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THEORY OF CONSTRAINTS E

DINTORNI

Strategia , tattiche, operatività per


prestazioni eccellenti

Anche quest’anno un piccolo dono, la raccolta di tutti gli articoli


pubblicati su TOC e dintorni nel 2022 così li si può trovare più
facilmente. Buona lettura, Buon Natale e Buon 2023.

1 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


TOC SESSIONE ESPLORATIVA

Cosa fare dopo aver letto tanta roba, aver ascoltato webinar e video con la
curiosità e l’inetersse che crescono e i dubbi e le incertezze che si
manifestano?

La Sessione Esplorativa è pensata per rispondere a questa domanda.

Concedimi una sola giornata e ti farò toccare con mano cosa puoi ottenere
veramente dalla TOC (Theory of Constraints).

E' una giornata sul campo, in azienda.

Non ho la bacchetta magica... ma iniziare da una giornata trascorsa insieme in


azienda ti aiuterà a capire se la TOC fa davvero al caso tuo.
Ovviamente bisogna arrivarci preparati, ma non preoccuparti: il grosso del lavoro
lo farò io.
L'azienda fornirà un po' di "materia prima" come dati, informazioni, risposte a
interviste.

Con questo "materiale" possiamo applicare la TOC alla vostra realtà aziendale.

Provando a rispondere a 4 domande chiave:

1 - Quale è il constraint (fattore limitante) del tuo sistema - azienda in questo


momento?

2 - E in che modo bisognerebbe organizzarsi per sfruttarlo fino all'ultima goccia e


generare così il massimo risultato possibile?

3 - Quali regole, procedure, indicatori, politiche vanno modificate al fine di sfruttare


fino all'ultima goccia il constraint?

4 - In che modo dobbiamo crescere nel futuro, mantenendo stabile il constraint


identificato o cercando di posizionarlo strategicamente in qualche altro punto del
sistema?

Che cosa ti porterai a casa al termine di questa giornata?

Una idea chiara di quale direzione seguire per ottenere grandi miglioramenti.

Una idea chiara di quali ostacoli e difficoltà si dovranno superare e soprattutto di


quale portata è il cambio di mentalità , cultura aziendale sotteso a questo
miglioramento.

2 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Indice degli articoli

1. Lettera a un manager che non mi ha mai ingaggiato. Kia vs Mercedes e io


sono Kia.
2. Play it again, Sam! Bogart, Allen e la Theory of Constraints.
3. Con l’aumento esponenziale delle materie prime conviene chiudere e non
produrre? Perchè invece non rimanere aperti abbassando di un poco i
prezzi di vendita?
4. KOTTER – al cuore del cambiamento.
5. Non fai progressi? Forse ti stai ponendo la domanda sbagliata. di Andrea
Zattoni
6. Il Caso AISA.
7. L'impossibilità sistemica dello 'stakeholder value' di Luciano Martinoli
8. Demand Planning: tra realtà e mito
9. Perché la TOC non è un divertimento
10. Nel mondo VUCCA ha ancora senso spendere tempo e denaro per elaborare
una strategia di medio termine?
11. The Science of Management - introduction and commentary - Humberto
Bautista
12. L’illusione del miglioramento - smettete di pettinare le bambole
13. Intervista a un “Monsignore della Consulenza”. Noi ascoltiamo
l’imprenditore, lo confessiamo e, a volte, lo assolviamo.
14. Il commerciale che bastonava i clienti
15. Alla ricerca di una definizione di organizzazione. Di Alessio Cassinelli
Lavezzo.
16. Fenomenologia del formaggiaio
17. Sales & Operations Plan e Theory of Constraints a cura di Real Throughput
18. Distinguersi come girasoli in un campo di papaveri? Sarebbe bello ma come
fare?
19. I 3 intervalli rilevanti e il Throughput Accounting (TA)

3 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Lettera a un manager che non mi ha mai ingaggiato.

Kia vs Mercedes e io sono Kia.

Caro manager, hai letto The Goal, ti sei immedesimato in Alex, hai anche pensato
che sarebbe bello ripercorrerne le gesta.
Bello e utile per il profitto dell’azienda.
Hai partecipato a qualche webinar sulla TOC, comprato qualche libro, letto un po’
di roba qua e là.
Mi hai trovato su Linkedin e ti stai chiedendo se conviene comprare qualche
servizio da me.
Formazione, consulenza, coaching?
Se fai parte di una organizzazione grande e strutturata, una multinazionale, ma
anche una grande azienda italiana sappi che al massimo potrai comprare un po’
di formazione.
Non che non ti fidi, dubiti delle mie competenze/esperienze, anzi le apprezzi
molto.
Se il tuo amministratore delegato ti chiedesse di scegliere la prossima vettura per
lui.
E dopo un’aspra selezione rimanessero in lizza la Kia Genesis e una Mercedes
Classe E, a prescindere da qualsiasi valutazione (prestazioni, linea garanzia,
consumi) tu non avresti il minimo dubbio.
Sceglieresti Mercedes tutta la vita.
Perché? Perché scegliendo Mercedes non sbaglieresti mai.
Anche se la macchina si fermasse dopo nemmeno un mese di vita.
Chiunque al tuo posto, nella tua situazione, anche io, sceglierebbe Mercedes.
E io sono Kia.

4 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Play it again, Sam! Bogart, Allen e la Theory of Constraints.

Frase celeberrima per quelli della mia età. La battura originale era per la verità
"Play it once, Sam". Dopo Woody Allen la battuta originale si è dissolta nella
mente.

Questa frase mi richiama alla mente il concetto di "suonare sempre la stessa


musica".

Vedo una forte analogia tra i solchi di un disco in vinile e i solchi che abbiamo
nella mente che ci costringono a ripercorrere sempre la stessa strada quando si
tratta di prendere una decisione.

Il premio Nobel Daniel Kanheman in "Pensieri lenti, veloci" ci guida in


un'esplorazione della mente umana e ci spiega come essa sia caratterizzata da
due processi di pensiero ben distinti: uno veloce e intuitivo (sistema 1), e uno più
lento ma anche più logico e riflessivo (sistema 2).

Se il primo presiede all'attività cognitiva automatica e involontaria, il secondo


entra in azione quando dobbiamo svolgere compiti che richiedono concentrazione
e autocontrollo.

Efficiente e produttiva, questa organizzazione del pensiero ci consente di


sviluppare raffinate competenze e abilità e di eseguire con relativa facilità
operazioni complesse. Ma può anche essere fonte di errori sistematici (bias),
quando l'intuizione si lascia suggestionare dagli stereotipi e la riflessione è troppo
pigra per correggerla.

Peter Senge, pioniere del pensiero sistemico, nella "Quinta Disciplina" utilizza il
concetto di modello mentale, le credenze profondamente radicate in noi che
influenzano la percezione e condizionano il nostro agire.

Nel modello di disruptive innovation di Clayton Chrystensen il ruolo chiave è


giocato dai “paradigmi limitanti”, una serie di credenze manageriali che
impediscono “fisicamente” alle aziende di fare un salto di qualità.

Nello sviluppo dei Thinking Processes Tools (TP tools) , Eli Goldratt ha dato un
ruolo centrale al concetto di "assumptions", in italiano "assunti". Che non sono
diversi dai "modelli mentali" di Senge nè dagli "stereotipi" di Kanheman né dai
paradigmi limitanti di Chrystensen.

Gli assunti di fatto sono il fattore limitante o constraint che dir si voglia. Quelli
che ci obbligano a "suonare sempre la stessa musica" quando prendiamo
decisioni.

5 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Il constraint, secondo la Theory of Constaints, è la leva mediante la quale
moltiplicare i risultati ottenuti con le risorse disponibili.

I TP Tools sono finalizzati a aiutarci a individuare il constraint in situazioni


particolarmente ingarbugliate e complesse, come quelle che stanno vivendo oggi
tutte le aziende

I Tp tools servono a attivare il sistema 2 di Kanehman, lo costringono ad alzarsi


dal divano e a prendere parte alla decisione.

Volete provare un assaggio della TOC e dei TP Tools?

La TOC exploring Session è la mia proposta.


https://www.winwin-consulting.biz/TOC-sessione-esplorativa

6 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Con l’aumento esponenziale delle materie prime conviene chiudere e non
produrre? Perchè invece non rimanere aperti abbassando di un poco i prezzi di
vendita?

Ma è proprio vero?

Quali sono le implicazioni, le conseguenze della


scelta di chiudere e quali quelle della scelta di
rimanere aperti.

Quali sono le implicazioni di scelte contro


corrente come potrebbe essere quella di abbassare, di poco, i prezzi di
vendita?

Userò il caso di un panificio, ho trovato alcuni dati in rete sui costi e


sull’incidenza dei costi delle materie prime e sugli aumenti in corso.

Vedremo come usare il Buffer Management per tenere sotto controllo gli effetti
delle nostre scelte.

Un po’ di numeri per partire e capire il senso dei ragionamenti.

Faremo una ipotesi super semplificata, vendiamo il pane a un prezzo unico, con
gli stessi costi totalmente variabili (TVC).

Dato l’aumento esorbitante dei costi energetici abbiamo inserito nei TVC anche i
costi energetici.

La fonte dei dati è :


https://www.progeomolini.it/saratimages/sapere_di_pane_2.pdf

Tabella A – costo materie prime pre aumenti e loro incidenza sul prezzo di vendita
Prezzo di vendita 4 Euro al Kg – tutti i valori sono in Euro

7 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


L’indicatore che ci interessa è il
Throughput, la differenza tra il
prezzo di vendita e i costi
totalmente variabili (TVC).

Per avere una idea della


redditività del panificio ci
servono altri dati.
Quanto pane vende in un anno
e a quanto ammontano tutti gli
altri costi (che chiameremo da
qui in avanti OE = Spese Operative).
Dalla stessa Fonte di ricava che le OE del panifico in questione in un anno
arrivano a circa 335.000 Euro (i costi dell’energia li abbiamo messi nei TVC).
Per quanto riguarda la vendita facciamo due scenari:

a) Kg medi venduti all’anno nel periodo pre aumenti - 125.000


b) Kg massimi producibili /vendibili con le attuali risorse produttive (quindi a
parità di OE) – 187.500
In situazione di normalità pre aumenti il “Conto Economico” del panificio era
rappresentato in questa tabella B, nelle tabelle C e D i conti post aumento dei
prezzi.

Vediamo l’impatto degli aumenti sul


Throughput e sul conto economico.

Valutiamo adesso in maniera qualitativa


usando le relazioni causa effetto i
possibili esiti di tre strategie:

a) Chiudo finchè i prezzi non tornano alla


normalità
b) Tengo aperto alle condizioni di prima
c) Abbasso il prezzo di vendita

8 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Per prendere in esame la terza strategia ci serve un “tonico rinfrancante”, lo
troviamo in questa tabella E che presenta il conto economico nell’ipotesi di
abbassare il prezzo di vendita del 10% e di vendere il 90% della capacità
produttiva totale.
Con un paio di calcoli
non troppo complessi
si può stimare la
quantità media di
pane che va venduta
per realizzare un NP
pari a quello del
periodo normale (vedi
tabella B, sono 680 kg
al giorno (+34% rispetto allo storico).

Vediamo velocemente che cosa ci attendiamo dai 3 scenari.

Il punto chiave sta nell’ipotesi che abbassando i prezzi, e quindi rimanendo


aperti si attiri una fetta di clientela che prima non entrava. Una fetta
sufficiente a sostenere il business.

Testare questa ipotesi è dunque la cosa più importante per il business, sia in una
logica di breve periodo che in una logica di lungo periodo.
Ecco a che cosa serve il Throughput Accounting, a valutare alternative in
situazioni apparentemente senza via di uscita.

9 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


KOTTER – al cuore del cambiamento.

Nell’introduzione del libro "Al cuore del


cambiamento" Kotter scrive “ le persone
modificano il proprio comportamento non in base
a un’analisi che incide sul loro pensiero, ma in
base alla dimostrazione di una verità che
influenza i loro sentimenti.”

Kotter propone un metodo per realizzare un cambiamento efficace su


vasta scala articolato in otto fasi.
Ho cercato di individuare per ciascuna delle 8 fasi il Thinking Tool TOC più
adatto.
La prima riflessione su cui meditare è che rispetto al ciclo “classico” proposto
dalla TOC che parte dal sintomo (UDE) e risale alla causa profonda (core cloud) e
passa quindi alla soluzione (injections) e al disegno della “visione” futura (CRT) ,
Kotter propone una sorta di ribaltamento.
Nella proposta di Kotter la visione futura assume una rilevanza molto maggiore
rispetto alla fase di analisi.
E' curioso, specie per uno impregnato di TOC come me.

Fase 1

Azione suggerita da Kotter: Creare un senso di urgenza


Nuovo comportamento atteso: Le persone cominciano a dirsi “dai bisogna
cambiare questo stato di cose”
Thinking Tool TOC: Secondo me qua non c’è nulla di utilizzabile all’interno
dell’armamentario TOC. Le emozioni in questa fase la fanno da padrone. La
TOC è molto centrata sulle relazioni causa effetto, sulla capacità delle
persone di "ragionare" se messe nelle condizioni per farlo e dotate degli
strumenti necessari. Creare un senso d'urgenza potrebbe corrispondere alla
prima delle 5 domande TOC (Why Change), ma se non c'è senso di urgenza è
molto difficile farsi domande scomode. O no?

Fase 2

Azione suggerita da Kotter: Costruire il team che guiderà il cambiamento


Nuovo comportamento atteso: Si forma un gruppo abbastanza solido da
poter guidare un vasto processo di cambiamento che comincia a lavorare
assieme in modo efficace.
Thinking Tool TOC: ho come la sensazione che questo team debba prendersi
la responsabilità dell’analisi, raccogliendo gli UDE, costruendo un CRT e
inventandosi delle injections. Su come mettere in piedi un team dotato di
leadership bisogna rivolgersi altrove rispetto alla TOC.

10 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Fase 3

Azione suggerita da Kotter: Creare una visione motivante


Nuovo comportamento atteso: il gruppo che dovrà guidare il cambiamento
sviluppa la visione e la strategia più idonee per lo sforzo di cambiamento.
Thinking Tool TOC: I TP tools tornano estremamente utili, sviluppare una
visione significa costruire una IO Map e/o costruire un FRT che comunque
andrà “riscritto” per essere emozionale (che serva qualcuno dei principi del
metodo SUCCES dei fratelli Heath?)
La visione deve per forza comprendere gli effetti collaterali negativi (NBR –
Negative Branch Reservation) e le idee vincenti (ulteriori injections) per
prevenirli.

Fase 4

Azione suggerita da Kotter: Comunicare per ottenere il consenso


Nuovo comportamento atteso: I collaboratori cominciano a credere nel
cambiamento e lo dimostrano con il loro comportamento
Thinking Tool TOC: Il CRT sotto forma di CCRT (Communication CRT) può
aiutare? Non sono del tutto convinto. Quando mi sono avvicinato alla TOC i TP
Tools venivano proposti anche come strumento per comunicare. La ragione
intuibile è che chi partecipa allo sviluppo di una visione futura (utilizzando CRT,
FRT, NBR) si ritrova in un lasso di tempo molto breve in uno stato di
consapevolezza e comprensione del sistema molto maggiore/diversa da chi non
ha partecipato. La semplice lettura dell'albero logico non permette a chi non ha
partecipato alla sua costruzione di raggiungere il medesimo grado di
consapevolezza/comprensione. Da qui la necessità di realizzare delle versioni
"Communication" degli alberi logici.
Non sono sicuro che sia sufficiente o che sia la strada migliore.

Fase 5

Azione suggerita da Kotter: Consentire l’azione attraverso l’empowerment


Nuovo comportamento atteso: Altri collaboratori si sentono in condizioni di agire e
agiscono effettivamente in base alla visione
Thinking Tool TOC: Qui la nuvola di conflitto autorità-responsabilità la fa da
padrone.

Fase 6

Azione suggerita da Kotter: Creare dei piccoli successi nell’immediato


Nuovo comportamento atteso: Poiché le persone cercano di mettere in pratica la
visione ci crea un certo slancio; e sono sempre meno numerosi coloro che
resistono al cambiamento.

11 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Thinking Tool TOC: Vale la pena di sviluppare dei PRT (Albero dei Pre requisiti)?
Personalmente non ne farei a meno. Forse in qualche caso viene buono anche il
TrT - albero della transizione (come facciamo altrimenti a garantire la coerenza
tra i comportamenti individuali e la visione generale?)

Fase 7

Azione suggerita da Kotter: Non mollare la presa


Nuovo comportamento atteso: Gli attori del cambiamento generano ondate
successive di cambiamento finchè non si realizza la visione
Thinking Tool TOC: Non vedo Thinking Tools applicabili. Kotter ripete uno dei 14
precetti di Deming quello che dice :"Constancy of purpose".

Fase 8

Azione suggerita da Kotter: Fare attecchire il cambiamento


Nuovo comportamento atteso: Il comportamento nuovo e vincente continua
nonostante il peso della tradizione, il turnover dei leader del cambiamento.
Thinking Tool TOC: non ce ne sono di specifici, questa fase è prevista in tutti i
cicli di miglioramento (PDCA, DMAIC, POOGI); è l'equivalente di fare i tagliandi
alla macchina appena comprata. Se sei convinto lo fai altrimenti molli la presa e
le persone un po' alla volta mollano anche loro.

Nelle 3 figure un riassunto di tutti i TP Tools della TOC.

12 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Non fai progressi? Forse ti stai ponendo la domanda sbagliata. di Andrea Zattoni

Prima di valutare se una risposta è esatta si


deve valutare se la domanda è corretta.
Immanuel Kant

Quante volte ci capita, mentre cerchiamo di


risolvere un problema complesso o di
assumere una decisione destinata ad avere
conseguenze significative su di noi o sulle nostre organizzazioni, di sentirci
bloccati o di essere entrati in un vicolo cieco, dove ogni nostro sforzo sembra
destinato a produrre risultati irrilevanti?
È molto probabile che, in casi simili, stiamo inconsapevolmente cercando di
rispondere a una domanda sbagliata.

La riformulazione della domanda costituisce un efficace metodo per sbloccare la


situazione e aprire uno scenario ricco di nuove possibilità.

Non tutte le domande hanno lo stesso potere di stimolare un efficace processo di


analisi, di scoperta, di crescita, che ci consenta di accrescere la nostra
comprensione della realtà e favorisca il conseguimento dei nostri obiettivi.

Poiché le domande stimolano il nostro istintivo desiderio di cercare una risposta,


esse possono essere classificate in base al loro impatto sul nostro modo di
affrontare le sfide che si manifestano alla nostra attenzione.

Alcune domande, che possiamo definire domande limitanti, ci inducono a


percorrere sentieri che non ci consentono di fare progressi verso gli obiettivi che
cerchiamo di perseguire.

A queste si contrappongono le domande abilitanti, che modificando


sostanzialmente la direzione della ricerca della risposta, aprono nuovi scenari e
spesso rendono possibile ciò che in precedenza appariva irrealistico. A questa
categoria appartengono le domande dirompenti, alle quali viene riservata molta
attenzione nel campo dell’innovazione, in quanto favoriscono la comprensione di
fenomeni sorprendenti e stimolano la creatività, aprendo nuove strade per la
generazione di nuove opportunità non disponibili in precedenza.

Un paio di esempi, che illustrano il passaggio da domande limitanti a domande


abilitanti, possono essere utili a chiarire questo concetto.

La base del processo decisionale: intuizione o razionalità?

13 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Negli ultimi cinquanta anni si sono sviluppate due scuole di pensiero sul modo di
condurre il processo decisionale in condizioni complesse e incerte. La prima, nota
come naturalistic decision-making e che ha come massimo esponente Gary Klein,
sostiene l’importanza e la validità dell’intuizione nel guidare il processo finalizzato
a giungere a decisioni corrette. La seconda, nata dagli studi del premio Nobel
Daniel Kahneman, si basa sul fatto che quando assumiamo decisioni in contesti
complessi e incerti, il nostro cervello tende a seguire processi di pensiero
semplificati (euristiche) che spesso danno luogo a errori sistematici (bias);
pertanto, quando una decisione può avere conseguenze rilevanti, è opportuno
seguire un lento e faticoso processo decisionale strutturato, anziché lasciarsi
guidare da una rapida e accattivante intuizione.

Nel 2009 Kahneman e Klein hanno deciso di effettuare uno studio congiunto per
confrontare le rispettive posizioni alla luce delle più recenti scoperte. Il principale
risultato di tale iniziativa è stato la riformulazione della domanda centrale: non
“E’ meglio basare le decisioni sull’intuizione o su un processo decisionale
strutturato?”, ma “Quando si può confidare sull’intuizione?”.

La ricerca di una risposta a questa domanda, infatti, ha consentito di identificare


due condizioni, la cui presenza concomitante rende possibile, e spesso
conveniente, utilizzare l’intuizione come elemento primario sul quale basare una
decisione:

Essere in un contesto ad “alta validità”, cioè in una condizione nella quale le


stesse cause generalmente tendono a produrre gli stessi effetti e nella quale i
segnali di ciò che sta accadendo sono affidabili e inequivocabili.

Possedere solida esperienza e competenza specifica, cioè avere avuto adeguate


opportunità per apprendere nel contesto specifico, mediante una pratica
prolungata e la possibilità di verificare in modo rapido e inequivocabile l’esito
delle proprie decisioni e azioni.

Queste due condizioni si basano sull’assunto che l’intuizione non è altro che
riconoscimento di situazioni già sperimentate e memorizzate, anche se non
ancora entrate a far parte della piena consapevolezza.

La riformulazione della domanda centrale ha consentito di definire un semplice


criterio per stabilire se possiamo confidare oppure no sulla risposta intuitiva a
una determinata sfida. Se le due condizioni sono soddisfatte (ad esempio, nel
caso dei vigili del fuoco, dei grandi maestri di scacchi e delle infermiere del pronto
soccorso), si può ragionevolmente fidarsi dell’intuizione. In caso contrario (ad
esempio, nell’ambito giudiziario o nel mercato azionario, contesti caratterizzati da
complessità, ambiguità ed elevata imprevedibilità), è necessario seguire un

14 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


processo decisionale razionale e strutturato, indipendentemente da quanto la
nostra intuizione ci appaia valida e degna di fiducia.

La scelta strategica: qual è lo scenario futuro più probabile?

Quando un’impresa si appresta a definire una strategia che le permetta di


conseguire i propri obiettivi, il principale problema che deve affrontare riguarda
l’incertezza sugli scenari futuri nei quali dovrà operare. Non sorprende che le
imprese investano ingenti risorse nell’acquisizione di sofisticati modelli
previsionali e/o per avvalersi del parere di esperti in grado di fornire un quadro
sufficientemente affidabile degli eventi futuri di particolare rilevanza per le scelte
da effettuare.
Questo modo di procedere, che nasce dall’avversione per l’incertezza che
caratterizza il modo di pensare e di agire della maggior parte dei manager, cerca
di fornire una risposta a due domande, poste in sequenza:
“Qual è lo scenario futuro più probabile?” e
“Alla luce dello scenario più probabile, quale, tra le opzioni possibili, è la più
conveniente per l’impresa?"
Purtroppo, questo approccio porta le imprese ad assumere, inconsapevolmente,
rischi molto alti.
L’illusione di certezza, che ha origine dalla precisione con la quale vengono
forniti i dati relativi alle previsioni, determina una sottovalutazione o una
negazione del rischio associato al verificarsi di scenari diversi da quelli previsti o
al manifestarsi di eventi imprevedibili di grande impatto.
Che cosa dovrebbe fare un’impresa per ridurre il rischio associato alle proprie
scelte strategiche?

Risposta: riformulare la domanda fondamentale, considerando due elementi


rilevanti:
È impossibile effettuare previsioni affidabili e precise riguardanti eventi
futuri non completamente determinati da leggi di natura, come il sorgere
del sole o le orbite dei pianeti.
Nella maggior parte dei contesti caratterizzati da complessità e incertezza,
esiste un’asimmetria negli esiti associati a ognuna delle opzioni a
disposizione, a seconda che si verifichi lo scenario più favorevole o quello
più sfavorevole. Un’opzione potrà presentare benefici rilevanti in presenza
di uno scenario favorevole e danni limitati qualora a manifestarsi sia lo
scenario sfavorevole; un’altra opzione, al contrario, potrà causare danni
devastanti in condizioni sfavorevoli e generare benefici modesti nel caso in
cui si verifichino le condizioni più favorevoli. Sfruttare questa opzionalità
asimmetrica significa selezionare opzioni in grado di generare benefici
significativi qualora si manifesti lo scenario migliore e danni limitati qualora
sia lo scenario peggiore a prendere forma.

15 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Alla luce di queste considerazioni, la domanda fondamentale da porsi diventa:
“Quale, tra le opzioni possibili, presenta la massima opzionalità asimmetrica
favorevole per l’impresa?”

Rispondere a questa domanda consente all’impresa di mettersi nelle condizioni di


affrontare qualsiasi scenario (ragionevolmente) possibile, assumendo in piena
consapevolezza rischi limitati e compatibili con le proprie caratteristiche.

Il processo di riformulazione della domanda

L’opportunità di riformulare la domanda nasce dalla rilevazione di una situazione


di blocco, dalla quale appare difficile uscire mediante l’applicazione dei comuni
metodi di problem solving.
Vediamo quale processo si può seguire per arrivare a formulare una domanda che
permetta di fare progressi nella direzione desiderata.
Per chiarire le varie fasi del processo, si utilizzerà, a titolo di esempio, un tema di
interesse primario in ogni impresa: il miglioramento delle prestazioni globali.
Definire l’obiettivo. Il primo passo da seguire consiste nel definire che cosa si
sta cercando di perseguire. Esempio: miglioramento delle prestazioni globali.

1.Identificare e verbalizzare il problema. La presenza di un problema o di


una situazione di blocco costituisce l’elemento da cui nasce l’esigenza di
avviare il processo. Esempio: condizione caratterizzata da risultati inferiori
alle aspettative, conflitti tra varie iniziative di miglioramento, dispersione
delle risorse disponibili in iniziative a impatto modesto o nullo.

2.Verbalizzare la domanda. Qualsiasi iniziativa può essere intesa come un


modo per cercare di rispondere a una specifica domanda, che spesso non
viene formulata in modo esplicito. Si tratta di risalire dalle iniziative in
corso allo scopo per il quale sono state avviate e tradurre tale scopo in una
domanda. Esempio: “Che cosa si può migliorare?”

3.Verbalizzare gli assunti. Gli assunti costituiscono le ragioni a sostegno


della correttezza della domanda, per favorire i progressi verso l’obiettivo
fissato. Esempio: “Il miglioramento delle prestazioni globali è uguale alla
somma dei miglioramenti delle prestazioni locali”; “Le parti di
un’organizzazione possono essere gestite efficacemente come sottosistemi
indipendenti”.

4.Identificare gli assunti errati e i nuovi assunti validi. Questa fase


presuppone una conoscenza approfondita del contesto nel quale si opera e
l’assunzione di un punto di vista distaccato, che consenta di individuare gli
assunti considerati corretti, ma in realtà non validi nelle condizioni reali in
esame, e di evidenziare nuovi assunti validi. Esempio. Gli assunti (errati)

16 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


rilevati nella fase precedente sono sostituiti dai seguenti: “Il miglioramento
delle prestazioni globali è completamente diverso dalla somma dei
miglioramenti delle prestazioni locali”; “Le parti di un’organizzazione sono
interdipendenti e non possono essere gestite efficacemente come
sottosistemi indipendenti”; “In qualsiasi momento, le prestazioni globali di
un’organizzazione sono limitate da pochissimi fattori (spesso uno solo, il
vincolo)”.

5.Riformulare la domanda. La verbalizzazione dei nuovi assunti favorisce


un cambiamento del quadro di riferimento e fornisce le basi per una
riformulazione della domanda centrale. Esempio: “Che cosa limita le
prestazioni globali dell’organizzazione?”.

6.Rispondere alla nuova domanda. Esaminare le implicazioni derivanti


dalla ricerca di una risposta alla nuova domanda, valutarne l’impatto e
verificare il superamento del blocco o la risoluzione del problema. In caso
contrario, ripetere le fasi 4-7. Esempio: focalizzazione delle iniziative sul
fattore limitante, semplificazione della gestione, miglioramenti globali rapidi
e significativi, utilizzo efficace delle risorse disponibili.

Il processo sinteticamente illustrato costituisce uno strumento per favorire il


superamento dell’inerzia, ossia dell’incapacità di cambiare anche quando il
cambiamento appare necessario e inevitabile. Sfruttando il potere stimolante delle
domande, il processo permette, a chi lo applica con l’atteggiamento aperto e
indagatore dello scienziato, di esplorare nuove strade per affrontare le sfide che si
propongono alla nostra attenzione, quando i metodi tradizionali si dimostrano
inefficaci.

17 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Il Caso AISA.

Grazie a AIDIC ed ad Alfredo Ruggiero che mi hanno stimolato a raccontare una


bella storia. Uno dei primi progetti TOC a cui ho avuto l'onore di partecipare.

I capisaldi metodologici della Teoria dei Vincoli (TOC)La Theory of Constraints


(TOC), o Teoria dei Vincoli, è una teoria di sistema che fornisce soluzioni e
strumenti per generare valore attraverso la gestione e il superamentodei fattori
che limitano la crescita. Questa filosofia gestionale è stata applicata con successo
in AISA, che riesce così a gestire al meglio più progetti contemporaneamente.

Divulgata da Eli Goldratt attraverso molti libri, il più famoso dei quali è “The
Goal” (“L’Obiettivo” nella traduzione italiana). la Theory of Constraints (TOC) è
una filosofia gestionale, completamente diversa da quanto studiato e proposto
dalle organizzazioni industriali e dalles cuole di management.

Secondo questa teoria, l’impresa è concepita come un sistema complesso,


composto da processi interdipendenti e correlati tra loro; il funzionamento
dell’intero sistema è governato da pochi fattori, i constraint o vincoli, che ne
determinano la prestazione. I constraints diventano le leve su cui agire per
controllare il sistema e orientarlo al raggiungimento dell’obiettivo.

Negli anni sono stati sviluppati soluzioni e approcci TOC per moltia mbiti
aziendali e sono state pubblicate le “specifiche” delle soluzioni TOC per l’ambito
operations: Drum Buffer Rope, Simplified Drum Buffer Rope, Replenishmente
MTA(Make to avalaibility), Critical Chain(la soluzione TOC per gli ambienti ETO,
Engineer To Order).

Queste quattro soluzioni sono l’ossatura della TOC in ambito Operations e Supply
Chain e coprono l’intera gamma delle tipologie produttive, MTO, MTS e ETO.

Sono tutte fondate sul concetto di “vincolo di sistema” e sul metodo per spremere
la maggiore quantità possibile di “denaro” da esso, metodo conosciuto come i 5
step di focalizzazione.

Il “vincolo” di un sistema

La prestazione di un’azienda-sistema si misura con la capacità di raggiungere in


tutto, in parte o per nulla, gli obiettivi che ci si pone.

Guardando bene, ci si accorge che c’è sempre un qualcosa che impedisce di


ottenere il massimo: che nessuna azienda, fatta eccezione forse per qualche
gigante o per i monopolisti, è in grado di crescere o di migliorarsi senza limiti. In
altre parole, l’esperienza ci suggerisceche le prestazioni di un sistema sono
determinate da un fattore limi-tante, chiamato dalla TOC “constraint” o “vincolo”.

18 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Poiché nelle aziende solitamente l’obiettivo è guadagnare dei soldi e la misura di
questo è il denaro che si genera svolgendo l’attività propria dell’azienda, il
constraint è l’elemento che determina il ritmo al quale l’azienda genera denaro
attraverso la vendita di ciò che essa produce.

Il valore così generato dal sistema viene chiamato “Throughput”(spesso


abbreviato in Tput o T). Il Tput è la quantità di denaro che l’azienda genera
vendendo le cose che produce, detratti i soldi pagati ai fornitori. Un’ora di lavoro
del constraint è un’ora di Tput e, di conseguenza, ogni minuto di mancato utilizzo
del constraint è Tput perso.

Sebbene sia familiare il concetto che ci sia un limite alla crescita, non è
altrettanto familiare pensare che in ogni azienda ci sia un solo fattore limitante o
vincolo.

Anzi, l’esperienza suggerisce che di vincoli ce nesono sempre molti, che è difficile
eliminarli tutti e che il problema staproprio in questo. Eliminare i “colli di
bottiglia” non migliora considerevolmente la situazione. Infatti, se dopo aver
individuato un collo di bottiglia, lo eliminiamo, subito dopo se ne presenta un
altro!

Questa forma di rincorsa ai vincoli è una lotta senza fine e senza significato. Per
cambiare la situazione, è necessario eliminare le cause, risalire quindi alle radici
dei problemi.

Il caso AISA: un esempiodi Critical Chain

AISA (www.aisaindustries.it) è stata


fondata nel 1977 da un gruppo di persone
interessate alla progettazione ed alla
costruzione di macchine per
l’automazione, in particolare manipolatori
pneumatici e macchine speciali per i
montaggi.

Nel 1984, con il passaggio dellaproprietà ad un imprenditore “illuminato” che


assume la guida della società, AISA di- venta S.p.A., e ha inizio un’evoluzione verso
la progettazione e la pro-duzione di automazioni per processi produttivi e di
montaggio com-plesso. I frutti di tale evoluzione si esprimono, in termini di
fatturato, in una crescita notevole: in cinque anni il fatturato di AISA è passato da
3 a 18 miliardi.

19 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


I settori di competenza di AISA sono quattro:

•settore vetro piano, soprattutto per le auto, in collaborazione con lemaggiori


aziende mondiali del settore;

•settore guarnizioni, AISA vende al mercato internazionale le suemacchine


spiralatrici e presse per la produzione dispiral wound ga-sketautomatiche e
semiautomatiche;

•settore cinescopi;

•settore macchine speciali.

Nel 1997, a seguito del veloce aumento delle vendite iniziato nel 1994, AISA si è
trovata di fronte alla necessità di soddisfare nuovi bisogni, e alla constatazione che
il modello di gestione in funzione non era più adatto. La crescita del fatturato,
infatti, non era stata accompagnata dal cambiamento del modo di lavorare e di
intendere l’azienda, portando, di conseguenza, alla perdita di opportunità di
espansione e di sviluppo.

AISA è un’azienda ad A, ovvero un’azienda che dato un numero elevato di


componenti genera un numero limitato, al limite uno, di prodotti. Come in ogni
azienda ad A, le difficoltà di gestione sono legate alla sincronizzazione delle azioni
(di acquisto, produzione e assemblaggio), al numero elevato di componenti esterni
che rientrano nel processo produttivo ed al numero dei relativi fornitori

È prassi comune nelle aziende del settore considerare i propri prodotti come unici,
e questa convinzione porta spesso le persone ad accettare il caos organizzativo che
ne consegue come un male incurabile. Secondo i principi della TOC gli effetti
negativi presenti all’interno di un’organizzazione derivano da un numero limitato
di cause, al limite una sola, che li genera tutti. La ricerca e l’analisi di questa causa,
definita “il problema centrale dell’organizzazione”, porta all’individuazione della
strada verso la soluzione che porterà all’eliminazione di tutti gli effetti indesiderabili
(UDEs, Undesirable Effects) presenti. Questo processo di analisi è supportato da
una serie di alberi, strumenti logici sviluppati da Eliyahu Goldratt nel corso degli
anni ’80. Questi alberi forniscono uno schema grafico a qualsiasi
ragionamentobasato sulla logica causa-effetto. In altre parole, essi guidano un
percorso rigoroso di analisi della realtà di un’organizzazione, che parte
dall’individuazione del problema di fondo e arriva alla definizione di un set di azioni
coerenti e sincronizzate

Definizione dei processi e loro analisi.

L’obiettivo di queste fasi era quello di stabilire le fondamenta per l’applicazione di


una tecnica di gestione delle commesse che, a parità di spese operative,

20 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


massimizzasse il denaro generato dal sistema, ciò che la TOC chiama throughput.
Il contributo dei processi di pensiero della TOC (thinking processes tools – TP tools)
è stato essenziale per disegnare i processi come una sequenza di passi logici verso
l’obiettivo, per trasferire istruzioni chiare a qualsiasi livello, e per definire ruoli in
cui il livello di autorità e quello di responsabilità fossero bilanciati.

Quanto più le azioni all’interno del sistema sono standardizzabili, infatti, tanto più
sarà facilitata la pianificazione della produzione, sia perché la stima della durata
sarà più sicura per attività con tasso di variabilità basso, sia perché la loro
esecuzione non richiederà la presenza di una persona particolare.

La schedulazione delle attività, o Catena Critica

Il meccanismo di schedulazione implementato in AISA prende il nome di Catena


Critica, e rappresenta la soluzione alla gestione dei progetti proposta dalla TOC. Lo
scopo di qualsiasi organizzazione profit è migliorare le condizioni economiche dei
proprietari. Un progetto contribuisce al raggiungimento di questo scopo
terminando il prima possibile: basti pensare al ciclo di vita di un prodotto ed alle
considerazioni economiche a riguardo.

L’obiettivo del Project Manager è quello di portare a termine il progetto nel rispetto
della data di consegna, di un budget prestabilito e delle specifiche fornite dal
cliente. Gestire un progetto significa gestire l’incertezza. Un progetto è, di fatto, un
sistema, ovvero un insieme di attività dalla cui interazione dipende il
completamento del progetto. Gestire l’incertezza, quindi, significa gestire la
variabilità associata alle attività costitutive del progetto Come sistema un progetto
ha un vincolo, ovvero un elemento che ne limita le prestazioni, sul quale focalizzare
l’attenzione per gestire e controllare l’intero progetto. Il vincolo di un progetto è la
sequenza più lunga di attività dipendenti, che tiene conto della condivisione di
risorse, e dalla quale dipende la durata dell’intero progetto. La TOC chiama questa
sequenza di attività catena critica:

21 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


•catena, perché, diversamente dal “percorso”, considera la disponibilità delle
risorse;

•critica, perché ogni miglioramento su di essa si traduce in un accorciamento della


durata del progetto.

Il concetto fondamentale che essa affronta è il problema della contesa di risorse,


fondamentale in ogni realtà industriale in cui le risorse non siano illimitate.
L’individuazione della catena critica evidenzia una suddivisione delle attività in
critiche e non critiche. La prima necessità che si presenta è di proteggere il vincolo
dall’incertezza naturalmente associata a tutte le attività. Come proteggere la catena
critica? Il project manager si trova di fronte ad un conflitto: aggiungere tempo di
protezione ai compiti vs. non aggiungere protezione. La soluzione a questo conflitto
prevede di sollevare gli assunti che ne reggono la logica, al fine di trovare una
direzione, che la TOC chiama Injection, vincente per entrambe le parti. L’injection
di questo conflitto è che la protezione va aggiunta soltanto laddove necessario,
ovvero in quei punti in cui un incidente causerebbe un ritardo sull’intero progetto.
Dal momento che la durata del progetto dipende dalla catena critica, la protezione
dovrà essere posta su di essa. Il meccanismo di protezione in questione è il buffer
(project buffer) e viene definito tenendo conto della variabilità con cui sono eseguiti
i compiti. Approssimativamente, per una commessa tipo di AISA la sua dimensione
è pari circa ad 1/3 della lunghezza della catena critica. Questo buffer non
rappresenta un tempo di slack (rilassamento), bensì la sua presenza è necessaria
poiché esso è indice di ciò che accade nel sistema. AISA utilizza questo buffer non
soltanto per proteggere la durata del progetto, ma anche per controllare l’ese-
cuzione del lavoro.

Per le attività non appartenenti alla catena critica si presenta un altro conflitto:
farli iniziare il più presto possibile per garantire il rispetto della data di
completamento vs. farli iniziare il più tardi possibile per evitare di avere troppo WIP
(Work in Process) nel sistema. La soluzione proposta dalla TOC è definire la data
d’inizio dei compiti non critici il più tardi possibile a meno di un buffer che ne
assorba la variabilità. La funzione di questo buffer (Feeding Buffer) è di aggregare
tutta la variabilità associata alla sequenza di attività che formano un ramo non
critico al fine di proteggere la catena critica da eventuali ritardi sugli altri rami.

Gestire una realtà multi-commessa

AISA gestisce più progetti contemporaneamente: ogni giorno ci sono circa 25-30
commesse attive contemporaneamente a diversi stadi di avanzamento. Di
conseguenza, oltre all’efficace schedulazione della singola commessa, dovrà essere
presente un meccanismo di coordinamento tra le diverse commesse. In una realtà
multi-commessa, infatti, il problema della contesa di risorse in un progetto si
estendeanche alla contesa di risorse tra i diversi progetti. Il problema della

22 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


sincronizzazione delle risorse è stato risolto in AISA con l’identificazione di un
gruppo di risorse (detto drum, tamburo perché detta il ritmo di produzione), da cui
dipende la durata complessiva di tutti i progetti. Davanti alla risorsa strategica
dovrà sempre essercilavoro da processare. In una realtà multi-commessa la catena
critica determina il lead time, ovvero il tempo di completamento del progetto,
mentre il throughput complessivo dell’azienda dipende dal lavoro della risorsa
strategica, il drum. In tale realtà è necessario pianificare le attività tenendo sempre
conto della risorsa strategica edella catena critica. La risorsa strategica è il vincolo,
e come tale deve essere protetto da un buffer: il buffer della risorsa strategica posto
prima del compito svolto dal Drum al fine di assicurargli sempre lavoro da
processare.

Quante risorse strategiche possono esserci? Naturalmente una, al fine di facilitare


l’attività di controllo con una maggiore focalizzazione. AISA ha scelto l’approccio di
schedulare le attività della risorsa strategica, comune ai diversi progetti. Questo
può essere fatto schedulando ogni progetto separatamentee considerando il tempo
delle attività della risorsa strategica, oppure identificando il percorso critico,e, dopo
aver schedulato ogni compito il più tardi possibile, considerare i tempi delle attività
svolte dalla risorsa strategica

Un modello di schedulazione secondo catena critica non è finalizzato soltanto ad


una gestione efficace delle attività, ma diventa uno strumento di decisione
strategico con il quale valutare l’impatto che eventuali azioni intraprese localmente
potrebbero avere sul sistema.

I risultati ottenuti e il percorso futuro

AISA rappresenta l’esempio di come si possa


far fronte alla situazio-ne e come sia possibile,
anche per un’azienda di dimensioni limitate, gestire la produzione in modo
razionale. Al momento è impegnata in una crescita che porterà a un aumento del
70% del fatturato, a seguito del quale ci si aspetta anche un sensibile aumento
dell’utile. Delle commesse schedulate con la nuova metodica il 76% è stato portato
atermine nei tempi stabiliti, di cui il 26% è terminato in anticipo.

23 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


L'impossibilità sistemica dello 'stakeholder value' di Luciano Martinoli

U no scorpione doveva attraversare un

fiume, ma non sapendo nuotare, chiese aiuto


ad una rana che si trovava lì accanto. Così,
con voce dolce e suadente, le disse: “per
favore, fammi salire sulla tua schiena e
portami sull’altra sponda.” La rana gli rispose:
“fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!”
“E per quale motivo dovrei farlo?” incalzò lo scorpione “se ti pungessi, tu moriresti
ed io, non sapendo nuotare, annegherei!” La rana stette un attimo a pensare, e
convintasi della sensatezza dell’obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e
insieme entrarono in acqua. A metà tragitto la rana sentì un dolore intenso
provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione.
Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all’insano ospite il perché del
folle gesto. “Perché sono uno scorpione…” rispose lui “È la mia natura!”
Questa favola, dall’origine incerta anche se spesso attribuita erroneamente ad
Esopo (I secolo a.C.), è una chiara metafora sulla prevalenza della “natura” delle
cose, animali ma anche persone e sistemi sociali, sulla “razionalità”, spesso (o quasi
sempre) solo esterna ad esse. Ciò che nella favola viene chiamata natura è infatti il
modo con i quali i sistemi, certamente complessi come quelli biologici e sociali,
riescono ad esistere. Laddove si trovino davanti a paradossi che mettono in
contraddizione la loro natura rispetto a condizioni esterne, la prima è prevalente.

“In pubblico i Ceo parlano dell’importanza nel business dei dipendenti,


delle comunità, dell’ambiente e degli altri stakeholeder. In privato, trattano
affari che sanno porteranno a perdite di posti di lavoro e chiusure di uffici
ma non chiedono compensazioni for queste perdite.”

Nell’estate del 2019, 181 Ceo membri della Business Roundatable, associazione dei
capi azienda delle principali imprese americane, siglarono una dichiarazione per
guidare l’azione delle loro corporatione a beneficio di tutti gli stakeholder- clienti,
dipendenti, fornitori, comunità e azionisti – e non solo questi ultimi. Vi furono
reazioni contrastanti. Alcuni salutarono il documento come l’impegno, finalmente,
ad abbandonare lo shareholder value, la prevalente tutela del valore per gli azionisti
a discapito degli altri. Altri invece sospettarono che fosse una studiata e utile presa
di posizione per parare le crescenti critiche contro l’esclusiva ricerca del profitto.
Altri ancora, tra i quali il sottoscritto, avanzarono critiche sul metodo e merito della
dichiarazione. Perchè proprio i Ceo affermavano questo se non sono i proprietari
dell’azienda e inoltre sono gli unici “dipendenti” assunti non dall’organizzazione ma
esattamente dagli azionisti? C’era proprio bisogno di ribadire la necessità di
24 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor
tutelare clienti, dipendenti, fornitori, comunità come se un’azienda potesse
prosperare sfruttandoli od operare senza di essi?

Un’evidenza di quale sia la natura delle grandi imprese al di là delle loro


dichiarazioni, ci viene da un articolo del Wall Street Journal del 10 febbraio:
“In pubblico (i Ceo) parlano dell’importanza nel business dei dipendenti, delle
comunità, dell’ambiente e degli altri stakeholeder. In privato, trattano affari che
sanno porteranno a perdite di posti di lavoro e chiusure di uffici ma non chiedono
compensazioni for queste perdite.”
L’articolo riporta una ricerca della Harvard Law School che ha studiato, a partire
dall’Aprile 2020, 116 acquisizioni di aziende con valori superiori a 1 miliardo di
dollari. Di queste nessuna includeva alcuna protezione legalmente vincolante o
compensazione garantita per coloro che sarebbero stati lincenziati. Invece i
manager delle aziende target sono stati capaci di negoziare per gli azionisti un
premio medio sull’acquisizione del 34% rispetto al prezzo prima della trattativa.
Inoltre questo ha influenzato pure i guadagni dei manager sulle azioni che
possedevano, visto che il 98% dei deal offriva loro ricompense di qualche tipo
sull’acquisizione.
Possiamo parlare di avidità del sistema capitalistico nel suo complesso? Forse, ma
l’attribuzione di caratteristiche umane a sistemi che umani non sono, oltre ad
essere improprio – le aziende non hanno nè un corpo nè una mente – non aiuta a
comprendere il fenomeno e a suggerire un nuovo “vocabolario” utile ad ispirare una
qualche forma di azione.
Ci troviamo di fronte alla “natura” di un sistema, quello attuale economico, che ha
fornito grandi benefici alla società nel suo complesso. E’ il motivo per il quale tutti
i paesi del mondo, la Cina in testa, lo vogliono adottare. Purtroppo a fronte di questi
benefici vi sono anche dei costi complessivi che però il sistema economico,
attraverso le sue componenti principali – le aziende – non sarà mai in grado di
minimizzare a meno che non rientrino all’interno delle sue operazioni. Detto in altri
termini, se il “conto” non appare a bilancio, nessun’azienda sarà in grado di
pagarlo, alla faccia delle dichiarazioni autonome (?) dei Ceo. E’ la loro natura, il
loro modo di funzionare ed esistere, che consente anche di erogare i benefici ben
noti. E’ compito allora degli altri stakeholder comprendere tale natura e predisporre
misure che evitino l’ingenuità della rana.
Quando Milton Friedman pubblicò il suo famoso articolo sul New York Times nel
1970, additato dai più come la nascita dello shareholder value, voleva dire
esattamente questo. Nella sua “scandalosa”, col metro di oggi, affermazione che
“l’unica responsabilità sociale del business è accrescere i suoi profitti” pochi hanno
fatto caso al seguito della sua dichiarazione: attenendosi alle regole di base della
società, sia quelle contenute nelle leggi che quelle nelle consuetudini etiche.
Quali sono le leggi che impediscono, in specifiche circostanze, allo “scorpione di
pungere la rana”? E le consuetudini etiche nella società che consentirebbero di
condannare alcune pratiche (ex-post è sempre facile, prima nessuno guarda a ciò
che fa un’azienda fintanto che paga gli stipendi e le tasse)?

25 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Il “buon funzionamento” della società non è il risultato del comportamento di un
unico attore, visto che influenza e viene influenzato dagli altri. Nè dell’azione di un
ente centrale che si presume superiore ed esterno e possa disciplinare gli altri,
anche la politica è influenzata dal resto del sistema in quanto non ne è esterna.
Solo guardando la società come insieme di sistemi che influenzano e sono
influenzati, e tenendo da conto della loro natura, si può evitare la tragedia della
rana e dello scorpione, e dei manager e degli azionisti che si arricchiscono a spese
degli altri.

26 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Demand Planning: tra realtà e mito

Nel mondo VU(C)CA pianificare ha ancora


senso?
Il capo di stato maggiore dell’esercito
degli Stati Uniti sa benissimo che
qualunque piano di battaglia “evapora” al
primo proiettile sparato. Ciò nonostante,
è un accanito sostenitore degli ingenti investimenti che l’esercito degli Stati Uniti
fa per allenare tutti gli ufficiali alla pianificazione, a livello operativo, tattico e
strategico.
Una contraddizione in termini, ma solo in apparenza. Infatti, l’esercito degli Stati
Uniti sa benissimo che quello che conta non è il piano ma la capacità di
pianificare, in quanto senza una adeguata capacità di pianificazione non ci
sarebbe scampo in battaglia.
Nel mondo VUCA siamo più o meno nelle stesse situazioni di un campo di
battaglia.
La capacità di pianificazione a tutti i livelli, operativo, tattico, strategico è ormai
una abilità senza la quale non c’è scampo.
Ogni azienda è soggetta a 4 “fonti di variabilità”:
· quella relativa alla domanda dei clienti
· quella relativa alla catena di fornitura
· quella relativa ai processi interni
· quella relativa al management
che generano impatti molto differenti sulla sostenibilità del business.
In questi ultimi due anni è salita agli onori della cronaca la variabilità della
catena di fornitura, per effetto di fatti clamorosi come la nave che ha bloccato il
canale di Suez o le chiusure dei porti cinesi per via del covid. Molte aziende
stanno riorganizzando le catene di fornitura per renderle meno “fragili”. È un tipo
di variabilità su cui si può lavorare e si può esercitare controllo, almeno in parte.
La variabilità della domanda invece è quasi sempre fuori dal nostro controllo;
variabilità della domanda che è impattata anche da ciò che sta accadendo alla
catena di fornitura, vedi gli ormai frequenti effetti “colpo di frusta” in molti settori,
paradigmatica la crisi dei chip elettronici.
Non riuscire a domare la variabilità della domanda quasi sempre mette a rischio
la sostenibilità del business
Da quando mi occupo di pianificazione ho incontrato molto spesso un paradosso.
Lavoro con persone che di mestiere si definiscono “pianificatori” ma che in realtà
passano il 95% del loro tempo a correre dietro a eventi “imprevisti” e non a
pianificare.
Questo comportamento, questi imprevisti sono quasi sempre dovuti a “variabilità
della domanda” facendo una sintesi estrema.
Quanto è colpa del mondo VUCA quanto invece di scarsa capacità di Planning?

27 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Una breve illustrazione della giornata tipo del pianificatore fornirà una possibile
risposta.
Quando si chiede al reparto commerciale di fare qualche previsione su come si
comporteranno i propri clienti quello che si ottiene quando va bene è un budget
previsto annuale.
Quando si chiede al marketing che impatto sulle vendite avranno le
campagne, le promozioni, le iniziative messe in atto quello che si ottiene è
uno sbrigativo “chiedilo al commerciale”.
Quando chiede al sistema informativo di fare qualche simulazione,
capisce subito che è meglio usare Excel.
Se aggiungiamo che:
· ai pianificatori non sono richieste cognizioni di modelli non lineari e per via di
“Sistema 1 di Kanheman” noi umani abbiamo la tendenza a credere che la
linearizzazione vada bene uguale;
· che ci sono grosse difficoltà a inserire nel “nostro modello mentale” dei fattori
esterni spesso sconosciuti;
· che la velocità con cui cambiano le cose, l’incertezza crescente
richiederebbero una velocità di “ripianificazione” che non è alla portata dell’essere
umano in quanto tale;
· che per far funzionare la pianificazione i compiti vengono divisi tra molte
persone, i planners, impedendo di fatto a tutti di avere un quadro di assieme.
Non è difficile spiegarsi come mai il 95 % del tempo serve per mettere toppe a una
pianificazione che di fatto non esiste.
Servirebbe uno strumento a supporto dei pianificatori che sia veloce, che impari
velocemente dalla storia, che sia in grado di fare simulazioni, che lavori sul
quadro di assieme. A livello operativo, tattico strategico in base alle
caratteristiche e peculiarità della singola azienda.
In che modo uno strumento di Demand Planning può portare benefici?

28 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Perché la TOC non è un divertimento

Nel corso delle conversazioni con i suoi


collaboratori e anche in occasione di seminari
o conferenze Eli Goldratt era solito dire che
“TOC is not fun”.
Poiché per quelli che lo ascoltavano in quel
momento era vero il contrario (“TOC is fun”), è
necessario cercare di capire meglio che cosa ci
volesse dire Goldratt, il padre della teoria di management più innovativa degli
ultimi decenni (ndr: così Business Week definisce Goldratt e la TOC).
Goldratt di sicuro non ci vuole convincere che transire da un paradigma
manageriale ad un altro sia come passare una giornata a Gardaland. E'
esperienza comune che i processi di cambiamento veri richiedono molta fatica e
determinazione.
Per intuire quanto sia rilevante la transizione da compiere occorre spendere
qualche parola sulla TOC.
La TOC è una teoria di management, una teoria che, in quanto tale, deve dare
conto di una pluralità di fenomeni aziendali.
Questa teoria è un insieme di un approccio mentale diverso alla gestione
aziendale e di una serie di tecniche specifiche per alcune aree funzionali; queste
tecniche si chiamano DBR – drum buffer rope – per la produzione, Catena Critica
per la gestione dei progetti, Replenishment per la logistica e così via. Le tecniche
per quanto potenti siano non portano a risultati duraturi se non si riesce ad
acquisire il nuovo approccio mentale.
La diversità dell’approccio mentale si misura attraverso il concetto cardine della
TOC: i risultati di un sistema dipendono dalla capacità di far fruttare al meglio la
“risorsa scarsa”, e quindi in primis da quanto accettiamo l’idea che le risorse
disponibili siano finite. In questo senso la TOC è una disciplina che ci permette di
gestire al meglio risorse limitate.
La TOC è come il Gran Canyon, può essere esplorata a diversi livelli di profondità,
il vero throughput (l’unità di misura del valore generato secondo la TOC) che si
ottiene da queste esplorazioni, a qualunque profondità le conduciate, è
l’acquisizione della consapevolezza di chi siamo e di chi vogliamo essere nel
mercato, sia come individuo che come organizzazione. Acquisire lucidità
nell’interpretazione della realtà non è sempre divertente, anzi in senso etimologico
non lo è proprio!
I risultati economici, per i quali la TOC ha acquisito fama internazionale,
seguono e sono la conseguenza di questa consapevolezza – per un saggio
esaustivo su questo concetto si veda il libro di Goldratt “It’s not luck” North River
Press - .
I tempi di comprensione della TOC sono lunghi, oltre che variabili da persona a
persona, per due ordini di ragioni: i livelli di profondità a cui esplorare la TOC

29 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


non sono pochi, la politica di subordinazione al constraint, che è la chiave di volta
per far funzionare la TOC, si può creare solo agendo sul consenso ed educando le
persone e quindi lentamente.
Questa comprensione si manifesta con una crescente adesione ai 3 “ingredienti”
principali della TOC:
 Autodeterminazione: il successo o il non successo che conseguiamo
dipendono in toto dalla nostra abilità nel decodificare correttamente la
realtà e nel superare il constraint-conflitto che in ogni situazione ci
impedisce di arrivare dove vogliamo; il mondo è “brutto, sporco e cattivo”,
ma questa è la realtà, non la causa ultima di ogni non-successo.
 Focalizzazione: per cambiare una situazione “brutta, sporca e cattiva”,
occorre una dose rilevante di concentrazione sul fattore che in quel
momento ci sta limitando, il constraint, e sulle azioni che ci permettono di
superarlo; queste azioni devono essere tutte coordinate tra di loro con un
meccanismo di
 Subordinazione: di attenzione costante non tanto a come stiamo
eseguendo il compito, ma a quanto il compito che stiamo eseguendo ha
rilevanza sul constraint.

Tutto questo non è “divertimento”, anzi è il suo contrario, focalizzazione allo stato
puro e anche (come suggerito dal dr. Deming nel primo dei suoi 14 punti per il
managmeet) "constancy of purpose".

Per fortuna c'è qualcuno che prova piacere, si diverte, nell'applicarsi con
determinazione al raggiungimento di un obiettivo, anche se sembra
irrangiungibile.

30 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Nel mondo VUCCA ha ancora senso spendere tempo e denaro per elaborare una
strategia di medio termine?

VUCA è un acronimo che significa Volatile, Incerto, Complesso e Ambiguo, aggettivi


che descrivono compiutamente la realtà in cui si trovano praticamente tutte le
imprese.

La C aggiuntiva sta per Constrained, ovvero


una situazione in cui le risorse disponibili
per raggiungere i propri obiettivi sono
limitate. E anche questa è una condizione
che caratterizza quasi tutte le imprese.

Una domanda non verbalizzata che nelle


imprese di media dimensione, che non possono vivere di rendita, sono esposte
alla competizione internazionale e hanno ambizioni di crescita, diventa sempre
più di attualità.

Anche perché osservando le imprese di riferimento, quelle che la strategia ce


l’hanno, ci investono molto sia nella elaborazione che nella messa a terra, qualche
dubbio viene.
Le ricerche delle grandi società di consulenza, ultima quella di McKinsey, rilevano
che nel 70% dei casi i piani strategici a medio termine (3 anni) non vengono
portati a termine. E i motivi di questa défaillance sono noti. Tra i più gettonati si
annoverano:
· gli obiettivi del piano strategico non sono correlati con gli indicatori “di campo” a
livello operativo e tattico
· gli obiettivi del piano strategico e quelli dei progetti che lo dovrebbero realizzare
a cascata non sono coerenti
· i piani strategici sono carenti nel deployment in azioni concrete, rimangono allo
stato di “esortazione”
· le persone si sentono poco “impegnate” ad agire
D’altronde pensare di raggiungere i propri obiettivi senza un adeguato processo di
pianificazione è una bella utopia..
Già nel 1974 A. Rugiadini uno dei maitre a penser sulla strategia di impresa
(1974) scrisse dei “quattro modi di non pianificare” che erano i seguenti:
1) L’approccio “sintetico”, nel quale manca un processo formale di pianificazione e
il tutto si concretizza in un documento nel quale l’imprenditore esplicita alcune
sue scelte strategiche elaborate sulla base di sue personali percezioni;
2) L’estrapolazione dei programmi a breve termine, il che spesso si accompagna
all’assenza di una valida riflessione strategica su “dove competere” e soprattutto
sul “come competere”, mentre si dà enfasi ai risultati economico-finanziari
proiettati a tre-cinque anni;

31 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


3) La pianificazione degli obiettivi, non accompagnata dall’individuazione e dalla
selezione delle alternative d’azione per tentare di conseguire quegli obiettivi;
4) La delega strategica, processo attraverso il quale si delega al planner o ai
responsabili operativi la definizione della strategia aziendale; ma la strategia di
un’impresa non è la sommatoria di strategie parziali formulate senza un
coordinamento o studiate a tavolino da chi non opera sul “campo”.
Tutto porta a pensare che anche nel mondo VUC(C)A abbia ancora più senso
spendere tempo e denaro per elaborare una strategia di medio termine.
Potrebbe sembrare che la risposta alle suddette domande sia fuori dalla portata
di imprese di media dimensione.
Invece no!

Esiste, è praticabile ed è stato già praticato numerose volte con successo, un


percorso strutturato (metodo) in grado di declinare la strategia a medio termine (3
anni) sulla struttura organizzativa dell’impresa individuando in maniera coerente
e collegata processi/progetti e indicatori di campo per cui ogni reparto
dell’impresa avrà ben chiaro in che modo dovrà comportarsi per realizzare la
strategia.

Questo metodo ha un nome un po’ strano, ma non fatevi spaventare dai nomi
strani, si chiama HOSHIN KANRI, consente alle imprese di arrivare a piani
esecutivi (azioni) per singolo reparto coerenti con la strategia e (udite udite)
controllabili.
I vantaggi ottenibili utilizzando HOSHIN KANRI nel processo di definizione degli
obiettivi sono molteplici:
1. Definire chiaramente quali sono gli obiettivi vitali per l’azienda
2. Coinvolgere tutta l’azienda nella definizione degli obiettivi
3. Ottenere l’impegno di ciascuno nella definizione delle azioni per raggiungere
lo stato desiderato
4. Monitorare e comunicare costantemente lo stato di avanzamento delle azioni
definite
5. Approvare, modificare o fermare tempestivamente ogni iniziativa che non sia
allineata alla strategia o che non porta i risultati desiderati
Se anche la tua azienda ha difficoltà a portare a terra le strategie o ad allineare le
persone verso il conseguimento di obiettivi sfidanti, non farti frenare dal pensiero
che consulenti+ strategia + metodo voglia dire un sacco di tempo, un sacco di
soldi e zero risultati.
Me lo conferma anche una super esperta del ramo come Silvia Mandelli
Inviaci un messaggio, un caffè sarà sufficiente per argomentare, valutare insieme
l’utilità del metodo e soprattutto annusarci vicendevolmente.

32 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


The Science of Management - introduction and commentary - Humberto Bautista

A little while before his untimely death Eli


Goldratt finally laid down the basis of his
much dreamt work: a treatise on The Science
of Management.
I shared Eli's views on the previous attempts
to introduce scientific thinking into management. Things like the "Scientific
Management" theories of the 50's, Taylor's attempts at the start of the 1900's, etc.
were naive and misguided attempts that basically tried to copy methods and tools
without any regards to concepts, principles and necessary assumptions to
successfully bring the scientific ways to management.
The need and advantage of doing so are obvious: Science and Technology are the
only fields of human endeavour that display a solid exponential growth. They are
really benefitting from the "standing on the shoulders of giants" stance. All other
areas of human activities have linear improvements at best.
Management is one of those that improves very little (if at all). The main jumps
and transformations being traced almost always to technological transformations
while almost nothing changes in terms of behavious, relationships and human
interactions.
Eli Goldratt died before completing his work, but he left us the introduction to his
book and recorded himself narrating it (see the free video here). In this short and
powerful piece he bring us about to rethink the basis for human evolution and
how TOC fits into it through the path of management. It also highlights some of
the fundamental principles that support all of the Theory of Constraints (and
basic decent human behaviour by the way).
I noticed many people, including some close friends and collaborators of Eli
Goldratt, are not familiar with this, so following Eli's clearly expressed wished of
putting his work in the public domain I will transcribe the video here and
comment a bit on the meaning behind it. This won't be a comprehensive work on
the subject of a real Science of Management, but hopefully will ignite the spark
on the subject.

Introduction to the Science of Management


Eliyahu M. Goldratt - Circa 2011

Any organization has a finite number of managers, and these managers


can address the organization’s needs for only a limited amount of hours
per day.
The obvious conclusion is that for any organization, the management
capacity available for giving attention to address the organization’s
needs, is finite.
Here Eli is doing his classic 1,2,3 movement: he will lay down 2
assumptions (or facts) and then lead us to a surprising or shocking, but

33 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


obvious, conclusion. The statements above state an important resource
(Management Capacity) as finite and set up the scope for out attention
(Managing Organizations).

On the other hand, in almost any organization, there are plenty of


things that require management attention.

In most organizations it is evident that management attention is a


bottleneck - the demand exceeds the capacity available.

Here we see the second fact and the conclusion: Management Attention is a
bottleneck. Eli also excelled into writing techniques that would focus our
attention and allow us to travel the paths he envisioned and little else. If you read
the first paragraph above you will notice one of this techniques as Eli shifts from
"Management Capacity to address the organization needs" to "Management
Attention" without any explicit warning or explanation.

To understand the significance of the above statement, envision a


physical bottleneck.

Most people think they know what a bottleneck is, but it is important to go
beyond the definition and understand the consequences of the existence of a
bottleneck.

For example, imagine a situation where the


bottleneck is a machine that punches holes in sheet metal, and its
capacity is lower than what is required for the products.

Do you "share the pain" already? Here any manager will start to empathize with
this line of though remembering when their capacity to deliver was smaller than
the firm demand…

Now imagine that most of the time this machine is punching holes that
are not required for producing the product, and many times, the holes it
punches damage the products.

In other words, the majority of the available capacity is wasted and


sometimes not just wasted but used in a way that causes setbacks.

Ops. Here he turns up the volume, but in a very subtle way brings us back to the
book "The Goal" and the focusing steps hinting at the concept of "exploit the
constraint": that not only the raw capacity of the constraint (or bottleneck)
matters, but also what do you do with it. If you waste this capacity the whole
organization suffers…

34 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


In such a grotesque situation, it is evident that this bottleneck, due to
the fact that so much of its capacity is diverted, will not be just a
bottleneck,
it will be the constraint; it will be the factor that limits the organization
from achieving more of its intended performance.

Here comes another classic Eli twist: in one fell swoop he blows away the concept
that bottlenecks are equal to constraints and reiterates a definition of Constraint.
Obviously many could be thinking: "it is a nice story, but a story nonetheless", so
Eli goes on:

Surprisingly enough this is exactly the case that we witness in almost


any organization regarding the limited capacity of management
attention.

"Almost any", he must surely be joking, right? Or at least exaggerating as Eli and
The Klingons are so fond of. Well it you thought his you walked right into Eli's
trap. He will proceed to convince you that this is so not only in "Almost any"
organization, but also to show how powerful are the causes behind it.

As we are going to see, we have created elaborate, sophisticated systems


that do just that.

Told ya.

They waste management attention, and in many cases not just waste it,
but divert management attention to do damage rather than create
benefits.

Or mind's eyes are now turning to "what systems are these?". So instead of
answering he dives down further bringing us all closer to the edge of the seats:

How come? If the situation is really so grotesque and it is so


widespread, it must stem from fundamental human behavior.

A-ha: this is the source: our behaviour. But what drives our behaviours?

In the next chapters a rigorous proof will be presented to establish that


it all stems from the following:

Shameless plug for the book, but this is ok in is own introduction…

35 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


1. Our fear of complex systems that drives us to dissect the complex
system into sub- systems, leading to diverting management attention to
chase local optima which are not in- line with the global objective;

A great verbalization of maybe the most important obstacle for all human species:
how to overcome complexity. Notice that dissecting a system in to subsystems
and then optimizing each one increases complexity because now the subsystems
are not limited by the relationships with the rest of the system.
And he surreptitiously slips in something very interesting: the engine behind our
bad habit of responding to complexity with complexity is fear.

2. Our fear of unknown that drives us to finer and finer resolutions –


diving into more and more details that divert management attention to
optimize within the noise;

Fear again, and yes: all of the sources of our most damaging behaviours are
relate to fears and an animalistic response to it. This is such a important and
crucial area that it warrants a separate analysis. Tell me if you are interested.
Back to the source: a bit of jargon crops up here: "the noise", but most will
intuitively connect this to its proper definition: the normal, usual variability in a
given situation.

Notice how prevalent this driver is: how much is dedicate to refining systems and
increasing the resolution of our data and analysis in hopes this will quash the
unknowns, while the opposite is true: the finer we slice an uncertain situation the
more uncertainty each piece will have. There is a great practical illustration for
this in the Funnel Experiment, very popular with the Quality Movement.

3. Our fear that conflicts will lead to a tug-of-war, that diverts


management attention to constantly struggle with unacceptable
compromises.

Here Eli goes on in another direction very studied in TOC: the compromises and
how we can delude ourselves into thinking they are facts and not just figments of
our minds. Worst than the compromises are their consequences: erratic
behaviour, resigned suffering or time bomb scenarios. All of those are common
and wreck a lot of damage in organizations.

This analysis will connect, through the common causes, seemingly


unrelated subjects like strategy, accounting, supply chain, product
development, sales and organizational behavior, shedding new light on
the surprising (realistic) potential for improving organizational
performance.

36 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


And to the grand finale: these staring points will conduct us to several changes in
key understandings, assumptions, and behaviours if we want to have
organizations that effectively deal with

I. Complexity: through simple solutions. Notice that to develop simple solutions is


not easy at all.

II. Uncertainty: through ranged and focused measurement and improvement.


Buffers and Buffer Management in TOC were design exactly for this.

III. Dilemmas/Conflicts: through the development of consistent solutions,


effectively evaporating inconsistencies instead of tolerating them. All the methods
of conflict resolution, the clouds in TOC are geared toward this.

And the performance of such organizations can reach heights we have not yet
imagined.
Eli died before he could finish this book but he left us with the challenge to fill up
the gaps, hunt down fears and start producing more and more of such amazing
organizations.

Happy hunting!

37 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


L’illusione del miglioramento - smettete di pettinare le bambole

COME SCOPRIRE SE STATE "Pettinando le


Bambole" o se invece state perseguendo la
strategia corretta?

Decorating the Fish, una frase ad effetto che


sostanzialmente significa che state portando
miglioramenti senza centrare il nocciolo del
problema. Come farsi una iniezione di botulino,
per un po' l'aspetto migliora, poi torna tutto
come prima se non peggio.
A me fa venire in mente la frase di un famoso ex politico :"Pettinare le Bambole"
Il punto chiave è che il problema vero va “scavato fuori”. Non è visibile a una
prima occhiata. Il problema vero è una cosa diversa dai mille mal di pancia
quotidiani.
Una volta individuato il problema vero potremmo finalmente concentrare tempo,
denaro, energie nervose sulla sua eliminazione.
Pettinare le Bambole è una pratica pericolosa in quanto consuma un sacco di
tempo, energie e soldi e produce dei miglioramenti minimali. Distrae soldi dal
vero problema. Produce una falsa illusione di progresso.
Come si fa a capire se state investendo nella soluzione del problema vero o se
state solo "pettinando le bambole"?
Kristen Cox, che è attualmente Executive Director of the Governor's Office of
Management and Budget for the state of Utah ed è una esperta TOC suggerisce
un processo di diagnosi che proveremo a sintetizzare qua sotto.
La diagnosi prende in esame tre aree specifiche del modo con cui state guidando
la vostra organizzazione:
Area 1 - il modo con cui definite il vostro obiettivo
Molte delle soluzioni che danno una illusione di progresso cercano di risolvere dei
falsi problemi. Un problema è tale solo se è un reale impedimento nel
raggiungimento dell'obiettivo. Ne consegue che senza una chiara definizione
dell'obiettivo e una comprensione degli ostacoli che ne impediscono o rallentano il
conseguimento è facile cercare soluzioni che non lo sono veramente.
Ci sono 4 tipologie di obiettivi civetta che possono distrarre il management:
gli obiettivi autorefenziali
questi sono in genere i cosiddetti obiettivi "aspirazionali", nell'obiettivo ci sono
frasi come "eliminare gli sprechi", "integrare, coordinare, allineare i servizi",
"creare una cultura dell'inclusione", "aumentare l'efficienza e ridurre i costi",
"migliorare la customer experience"? Troppa vaghezza stimola il "Pettinare le
Bambole".
confondere i mezzi con lo scopo
Spesso si confondono i mezzi con lo scopo. Diventare digitali o migliorare
l'innovazione non sono uno scopo, sono un mezzo per raggiungere uno scopo.

38 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Senza una chiara e misurabile definizione dello scopo qualunque "miglioramento"
rischia di non produrre risultati. Come fare a prevenire questo errore?
Scrivete in una decina di righe qual è lo scopo della vostra organizzazione. E'
misurabile, è chiaramente definito, per le persone sarà facile decidere in che
modo comportarsi?
Area 2 - il modo con cui definite la vostra strategia
Una strategia non è l'elenco delle azioni/decisioni che permetteranno
all'organizzazione di superare gli ostacoli al raggiungimento dello scopo.
Una strategia deve rispondere a domande come:
 da cosa sono causati i problemi che affrontiamo ogni giorno
 quali regole di funzionamento dell'organizzazione impediscono di
raggiungere il nostro scopo
 quale risorsa è così scarsa da limitare la velocità con cui stiamo
raggiungendo lo scopo
Limitarsi a risolvere i problemi quotidiani non è una strategia sufficiente.
Area 3 - il metodo che usate per eseguire la vostra strategia
 Spesso si attribuisce la responsabilità della lentezza e della poca affidabilità
delle operations a mancanza di capacità produttiva. In realtà molto spesso
la capacità produttiva non è il "problema" ma la causa sta nella cattiva
organizzazione e gestione del flusso, ovvero di come viene allocata la
capacità produttiva.
 Spesso ci si affida alla tecnologia per superare problemi di flusso. In questo
modo si "sprecano" energie e risorse economiche.
 L'innovazione è un mezzo per creare più valore per il cliente, per creare
valore per il cliente occorre rispondere a due domande chiave:
come il cliente crea valore per se stesso e quali limitazioni caratterizzano questo
processo
1. in che modo la mia organizzazione con le sue attuali regole/politiche sta
aiutando il cliente a eliminare/attenuare queste limitazioni
 Non confondete i big data con informazione o addirittura conoscenza. Per
ricavare informazioni e conoscenza dai dati bisogna avere un modello, una
mappa concettuale causa effetto della propria organizzazione, comprensiva
dei vostri assunti. Tanti dati senza un modello causa effetto e senza assunti
producono solo un sacco di confusione.
Per sopravvivere in tempi di incertezza e volatilità è molto più conveniente
attrezzarsi per essere agili e veloci nell'execution piuttosto che investire in
strumenti di forecasting e pianificazione a lungo termine. Lotti piccoli invece di
Lotti grandi, Lead time brevi invece di lead time lunghi.
Quante volte si è cercato la soluzione in un cambiamento della struttura
organizzativa? E non è cambiato nulla. Se non mettete mano ai processi, a
come vengono eseguiti, a quanto incidono le regole di funzionamento sulla
variabilità e sul manifestarsi di colli di bottiglia fluttuanti
nell'organizzazione qualunque cambiamento nella struttura organizzativa
sarà uno spreco di soldi, tempo, motivazione delle persone.

39 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


I cambiamenti devono essere guidati dai bisogni dei vostri clienti non dalle
esigenze interne di controllo del management.
Sapere e fare non sono la stessa cosa. Noi diciamo che tra il dire e il fare c'è di
mezzo il mare. I comportamenti sono determinati per lo più dal sistema in cui si
opera. I comportamenti sono influenzati moltissimo da come le persone si
sentono e vengono misurate. Non sempre alla radice dei problemi c'è una
mancanza di informazione o di comunicazione. Molto spesso ci sono politiche,
misure, kpi sbagliati.
Siamo molto più severi con le mancanze delle persone che con le
mancanze del sistema. I comportamenti sono determinati per lo più dal
sistema in cui si opera. I comportamenti sono influenzati moltissimo da
come le persone si sentono e vengono misurate. Occorre mettere le persone
nella condizione di cambiare, rimuovendo ostacoli, politiche, conflitti
autorità responsabilità, sistemi di misura che ostacolano il cambiamento.
Come si può fare una diagnosi come questa su tutta una organizzazione?
Costruendo la mappa della realtà corrente (in gergo CRT - current reality tree), un
lavoro di gruppo che genera una consapevolezza condivisa del come e perchè
accadono le cose in una organizzazione, una consapevolezza del fatto che non ci
sono colpevoli nè sabotatori interni, la messa a fuoco dei pochi elementi chiave
(constraint in gergo) che determinano il 99% dei problemi. Non servono mesi.
Qualche workshop ben strutturato e in logica 100/100.

40 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Intervista a un “Monsignore della Consulenza”. Noi ascoltiamo l’imprenditore, lo
confessiamo e, a volte, lo assolviamo.

Noi ascoltiamo l’imprenditore, lo confessiamo


e, a volte, lo assolviamo.
In questa frase c’è tutto del metodo, della
passione, del tatto, della solennità con cui
occorre affrontare un tema delicato, come
quello del passaggio generazionale.
Mi sono fatto raccontare una storia come
tante altre, cercando di cogliere l’essenza e i
punti chiave.
Che in questo decennio (2020-2030) il passaggio generazionale sia un fattore
decisivo, credo ci siano pochi dubbi. Se funzionerà, l’imprenditoria italiana potrà
prosperare ancora; se non funzionerà, non resterà che vendere a qualcuno di
grosso o chiudere baracca e burattini.
Sto cercando di leggere con gli occhiali della Theory of Constraints questo
fenomeno in modo da poter dare un contributo alla sua buona riuscita.
Nella storia di oggi galeotta fu la passione per gli ordini cavallereschi. Il
passaparola, il marketing più efficace per i consulenti, in questo caso è stato
scatenato da una comune passione.
Con Alessio Cassinelli (https://www.linkedin.com/in/alessiocassinelli/) ci siamo
conosciuti 20 anni fa più o meno, all’inizio della mia carriera come consulente.
Era un potenziale cliente, CEO di una tipica media azienda italiana. Adesso fa
anche lui il consulente (sta in una casa grandicella, Sigma Experience), ci stiamo
scambiando esperienze, il modo più efficace per alimentare il passaparola.
Essere parte di una struttura e non agire come libero battitore a volte fa la
differenza per superare timori inespressi da parte imprenditore: la situazione è
complessa, una persona sola per quanto brava potrà mai bastare, e se si ammala
che faccio.
L’azienda di cui parliamo è la tipica PMI, settore tessile, 15 mln fatturato, una 30
di persone, a guida familiare; tre generazioni presenti in azienda, dal nonno
patriarca al nipote un po’ spaesato. Relazioni intergenerazionali più o meno come
le collisioni delle placche tettoniche della Terra.
Centro focale dell’intervento la terza generazione, cercando di educarla ai diversi
“sapori e profumi ” dell’azienda. Viene in mente l’immagine dell’istitutore, che fino
a un secolo fa nelle famiglie agiate si prendeva cura della crescita culturale e
valoriale dei giovani.
Prendendo spunto dal ciclo di miglioramento della TOC (POOGI) ho scomposto la
storia in alcuni momenti chiave con una serie di domande e risposte molto secche
e sintetiche. I più attenti scorgeranno dietro ciascuna domanda uno dei Thinking
Processes Tools della TOC.
Il momento più bello: vedere che un po’ alla volta il “ragazzo” s’inseriva nel
tessuto aziendale.

41 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Momento più brutto: i momenti di crisi, quando dovresti comportarti come uno
psicologo, mantenere il distacco, ma non ce la fai e “partecipi”.
Miti da sfatare: quello atavico sui consulenti: arrivano, pontificano, prendono i
soldi e ti lasciano da solo a risolvere i problemi.
Proverbio che calza: gutta cavat lapidem, non è un lavoro da martello
pneumatico, è un lavoro di cesello, occorre dare una forma a una pietra grezza,
cercando di farla brillare seguendo le sue “sfaccettature”, se vai giù duro e veloce
la rompi.
Paure nascoste: ci si confessa con una persona che ha l’obbligo del segreto, con
l’avvocato o al massimo con il proprio commercialista. Con un consulente è
rischioso, poi magari va in giro a sparlare di noi.
Durata: di fatto è un percorso di educazione, in questo caso tutto centrato sul
“ragazzo”, educando i suoi 5 sensi nelle diverse aree aziendali. Quasi mai
risolvibile in meno di 6 mesi, quasi sempre in 12 mesi.
Difficoltà pratiche: in interventi di questo tipo la consulenza non è tutto, serve
quasi sempre del coaching, non sempre si riesce a farlo digerire all’imprenditore.
Obiezioni tipiche: tutti noi umani vogliamo risultati immediati, con la parte
raziocinante del cervello sappiamo che non è possibile, ma comunque lo vogliamo.
Per saperne di più https://www.sigmaexperience.it/passaggio-generazionale.html
Per fare quattro chiacchiere col “Monsignore”: a.cassinelli@sigmaexperience.it

42 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Il commerciale che bastonava i clienti

Tanti anni fa tentammo una missione quasi suicida: passare i principi dell’Offerta
Che Non si può Rifiutare della TOC a
una rete vendita formata da una
trentina di vecchi e giovani marpioni
della vendita.

Un gruppo con provenienze, approcci


ed esperienze molto variegate. E un
denominatore comune: avevano
partecipato al boom dell’azienda nei
suoi anni d’oro.
Iniziato il lavoro con la TOC ripiegammo subito su qualcosa di più familiare e
accettabile da un commerciale vecchio stampo: SPIN SELLING.
Prima però ci toccò catalogarli per tentare percorsi di cambiamenti differenziati.
Scoprimmo così la categoria del “commerciale che bastonava i clienti”. A quei
tempi una categoria a cui ambivano molti.
Un ennesimo caso di comportamento individuale plasmato dalla struttura del
sistema ovvero processi, valori, regole di funzionamento, sistema di misura che
caratterizzano un’impresa.
Nel caso in questione l’elemento chiave è la scala sconti e le relative provvigioni.
Ogni commerciale aveva a disposizione una scala sconti articolata in 10 livelli, dal
livello 1 che equivaleva a vendere a prezzo pieno al livello 10 che era il massimo
sconto concesso a quel commerciale per ogni prodotto e ogni cliente. Le
provvigioni erano strettamente legate alla scala sconti, più vendeva con sconto
elevato meno prendeva di provvigione. E poi la cliliegina sulla torta. A chi vendeva
a un prezzo maggiore del prezzo pieno veniva concesso un bonus pari al 50%
dell’extra prezzo.
L’intento di questo meccanismo era chiaro, penalizzare le vendite con sconti
esagerati e premiare le vendite con margine elevato. Ma come ci ricorda sempre il
dott. Deming “le nostre migliori intenzioni ci stanno rovinando”.
In effetti l’azienda in questione era famosa per sfornare prodotti
innovativi/nuovi/diversi e quindi per i commerciali era relativamente facile
agganciare nuovi clienti, anche grandi, proponendo un “prodotto nuovo”, cha al
momento nessun concorrente aveva.
Per il nuovo cliente testare un nuovo fornitore su un prodotto nuovo era l’ideale,
non comprometteva i rapporti di fornitura esistenti, circoscriveva il rischio
dell’esperimento.
Fin qui sembra che fili tutto liscio. Senonchè i sistemi si comportano da sistemi,
quindi un certo numero di elementi che presi singolarmente sembrano funzionare
a meraviglia una volta collegati possono produrre un vero disastro.
Nei sistemi la “somma non fa il totale”.
Se ad esempio un commerciale prende l’abitudine di agganciare nuovi grandi
clienti su un prodotto nuovo (senza concorrenti) e approfittando di questa

43 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


situazione propone ai clienti un prezzo maggiore al prezzo pieno, ovvero nel loro
gergo lo “bastona”, che cosa succede?
Per un po’ nulla di male, l’azienda guadagna, le provvigioni volano, il cliente non
si accorge di essere stato bastonato.
Ma i prodotti innovativi sono spesso facilmente copiabili (e nel settore dell’impresa
in questione molto facilmente copiabili).
Non ci vuole molto tempo prima che i concorrenti , che sono fornitori da un bel
po’ di tempo del grande cliente, possono proporre prodotti simili a un prezzo
inferiore.
A questo punto gli eventi precipitano, il grande cliente che può comprare a prezzo
inferiore, si accorge di essere stato “bastonato” e immediatamente mette sulla
lista nera l’azienda del nostro “commerciale che bastonava i clienti”, ovvero non
comprerà mai più nulla da questa azienda. Ne frattempo il “commerciale “ va alla
ricerca di un nuovo cliente da bastonare
Morale della favola: quando prendete una decisione ricordatevi che gli effetti di
questa decisione si manifestano anche lontano nel tempo e nello spazio, questa è
una proprietà dei sistemi contro la quale non c’è volontà o intenzione che tenga.
Quindi per comprendere fino in fondo gli effetti sul sistema delle vostre decisioni
prima che si ritorcano contro di voi fatevi aiutare da una strumentazione potente
e facile da usare come sono gli STRUMENTI DI PENSIERO SISTEMICO della TOC.
Prendiamo un caffè assieme e proverò a convincervi a fare un test pratico.

44 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Alla ricerca di una definizione di organizzazione. Di Alessio Cassinelli Lavezzo.

Non è semplice definire cosa sia un’organizzazione: è, al contrario, molto più


semplice cercare di fornire esempi di organizzazioni, da cui – per deduzione –
trarre di seguito una definizione del termine.
Ecco, comunque, alcune definizioni proposte in letteratura.
Per Henry Mintzberg, uno dei “mostri sacri” dell’organizzazione, professore di
management all’università di Montreal, in Canada, l’organizzazione è definibile
come il complesso delle modalità secondo le quali viene effettuata la divisione del
lavoro in compiti distinti e viene realizzato il coordinamento tra tali compiti. Già
da questa prima definizione emergono alcune caratteristiche distintive che
ritroveremo nelle successive: il concetto di “divisione del lavoro in compiti distinti”
e quello di “coordinamento tra tali compiti”.
La divisione del lavoro è un argomento importante nelle teorie economiche,
riguardando in genere tutte le organizzazioni umane, dalle più piccole comunità,
come la famiglia, fino alle più grandi aziende nazionali. Il lavoro, infatti, è uno dei
fattori della produzione e la sua organizzazione riveste un ruolo essenziale per la
crescita delle società.
Secondo Adam Smith, che è considerato uno dei padri dell’economia moderna, si
possono considerare due tipi di suddivisione del lavoro: la divisione orizzontale,
detta anche macroeconomica, in cui il sistema economico si suddivide in diversi
rami (settori o industrie) che producono beni, o gruppi di beni, diversi e la
divisione verticale, in cui il sistema economico si suddivide in diverse figure
professionali e il lavoro si suddivide in distinti ruoli nella produzione, cioè
mansioni. La divisione del lavoro aumenta, naturalmente, la produttività media
del lavoro, ma può essere applicata estensivamente solo se è favorita da un
allargamento dei mercati. Vedremo più avanti in dettaglio questi concetti.

Per Edgar Schein, professore di organizzazione al MIT, l’organizzazione si può


definire come il coordinamento razionale delle attività di un certo numero di
persone, al fine del raggiungimento di uno scopo od obiettivo comune ed esplicito,
mediante la divisione del lavoro e delle funzioni, e mediante una gerarchia di
autorità e responsabilità. In questa definizione si aggiungono, ai concetti di
divisione del lavoro e di coordinamento visti in precedenza, caratteristiche nuove:
lo scopo od obiettivo comune ed esplicito, che è poi la missione dell’Impresa, lo
scopo ultimo per cui compete sul mercato, e l’idea di gerarchia di responsabilità,
base fondante dell’organizzazione, da cui poi derivano strumenti come
organigramma e mansionari. Howard Aldrich, professore di sociologia
all’università del North Carolina, punta invece l’attenzione sui concetti di ruolo e
di relazioni tra dipendenti: per lui, infatti, l’organizzazione è definibile come il
ruolo che i singoli dipendenti dell’Impressa devono svolgere e le relazioni che
devono intercorrere tra essi, perché il coordinamento del loro lavoro assicuri un

45 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


ottimale contributo al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Il concetto di ruolo
è importantissimo in organizzazione, e definibile come lo spazio di attività affidato
ad una persona che occupa una determinata posizione all’interno del sistema
organizzativo.

Essendo un sociologo, Aldrich pone inoltre enfasi sulle corrette relazioni tra
individui alla base di un elevato valore aggiunto per l’impresa: indubbiamente il
valore delle relazioni è d’importanza strategica all’interno delle organizzazioni: è
interessante notare come all’interno di un’organizzazione le relazioni
interpersonali ma anche interfunzionali siano importantissime per mantenere un
clima aziendale sereno e – conseguentemente – per mantenere una produttività di
elevato livello e qualità.

Venendo, infine, a uno di massimi esperti di organizzazione aziendale italiani,


Giovanni Bernardi, professore di economia e organizzazione aziendale
all’università di Padova, la definizione di organizzazione è ancora più completa:
per Bernardi l’organizzazione si può definire come un sistema complesso di
persone, associate per il perseguimento di uno scopo unitario, fra cui si dividono
le attività da svolgere, secondo certe norme, stabilendo a tal fine dei ruolo,
collegati tra loro in modo più o meno gerarchico, in rapporto dinamico con
l’ambiente esterno.
Ritroviamo concetti già affrontati in precedenza, come ruolo, divisione del lavoro,
conseguimento di uno scopo; Bernardi, però, pone l’accento sulle norme e
sull’ambiente esterno. Per quanto riguarda le norme, oggi si può dire che in
qualsiasi ambito ci sia un minimo di organizzazione esistono delle procedure che
stabiliscono il modo di agire in specifiche situazioni o come trattare determinati
eventi.
Tale aspetto è così importante che esistono Enti nazionali ed internazionali il cui
scopo istituzionale è quello di redigere, formalizzare, mantenere, diffondere
procedure unificate, come ad esempio l’UNI, l’ente italiano di unificazione.
Per quanto, invece, riguarda l’ambiente esterno, l’arena competitiva dove l’azienda
quotidianamente si confronta, la definizione di Bernardi è importantissima perché
supera quelle degli altri studiosi, che si concentravano solamente all’interno
dell’organizzazione, per uscire all’esterno, dove l’azienda compete, e dove è
fondamentale per essa mantenersi in rapporto dinamico, cioè sapersi adattare al
contesto competitivo che si evolve in modo continuo nel tempo, e adattarsi
significa – per le aziende ma anche per le persone – sopravvivere.
Dopo aver analizzato quattro differenti definizioni di organizzazione, cerchiamo
ora di costruire una definizione che – possibilmente – sintetizzi le proposte
precedenti.
Possiamo, quindi, definire le organizzazioni come quelle unità sociali, cioè quei
raggruppamenti d’individui, che hanno alcune caratteristiche ben definite: un
fine, cioè uno scopo, determinato o determinabile; un certo numero di
meccanismi, di procedure, atti ad assicurare che le attività svolte siano orientate

46 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


a raggiungere quel fine; la possibilità di sostituire i propri componenti quando
questo si riveli necessario.
L’ultima caratteristica, però può essere “addolcita” non facendo riferimento al
termine “sostituire” ma a quello di “aggiornare”: non dimentichiamo, infatti,
l’importanza della formazione continua per mantenere pienamente operative le
risorse umani operanti all’interno dell’organizzazione.
La definizione che abbiamo ottenuto è estremamente versatile: adesso cerchiamo
di entrare più nel dettaglio dei tre requisiti che sono richiesti ad un
raggruppamento di individui per essere definito “organizzazione”.
Il primo requisito, la prima caratteristica, cioè l’avere un fine, uno scopo
determinato o determinabile esclude – in prima battuta – tutta una serie di
sistemi sociali come la famiglia, i gruppi di amici, le comunità.
Questi raggruppamenti d’individui, infatti, svolgono certamente una grandissima
quantità di funzioni ma non possiedono un fine predeterminato, uno scopo
economico ben definito.
Il secondo requisito, invece, comporta, per i singoli membri, l’adozione di
comportamenti che tengono conto di diritti e doveri specifici, esercitati nell’ambito
di ruoli predeterminati.
Si tratta, in sintesi, di adottare delle regole di comportamento che siano orientate
all’ottimizzazione degli sforzi per raggiungere lo scopo principale per cui
l’organizzazione è stata costituita: è impensabile applicare questo principio alla
famiglia o ai gruppi di amici, dove l’informalità, la serenità e l’amicizia sono alla
base dei rapporti umani. Il requisito relativo alle norme, alle procedure ed alle
regole dirette ad assicurare che le attività svolte tendano a raggiungere quel
determinato fine per cui l’organizzazione esiste, può essere anche considerato alla
stregua di “formalizzazione”.
Questo, però, senza voler inquinare questo termine con significati negativi,
contrapponendo il termine “formale” al termine “informale”, che può anche voler
significare “sostanziale”.
Il terzo requisito, infine, quello relativo alla possibilità di sostituire i propri
componenti quando questo si riveli necessario, è quello che può assicurare alle
organizzazioni la sopravvivenza oltre e al di sopra dei singoli componenti.
Abbiamo già accennato alla massima attenzione che dobbiamo porre
nell’interpretare questo requisito: molto spesso la sostituzione si può evitare
mediante una formazione continua, e quindi mediante l’aggiornamento, della
totalità delle risorse umane aziendali.

47 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Fenomenologia del formaggiaio

Umberto Eco mi ispira sin da quando lessi il


libro che viene considerato il saggio più
famoso scritto in Italia sulla televisione, la
Fenomenologia di Mike Bongiorno, un saggio
che fotografa il boom televisivo quasi ai suoi
inizi.

Avete presente i camioncini dei formaggiai


che vediamo nei mercati rionali?

Tentando una fenomenologia del formaggiaio vorrei convincervi a imitare 3


comportamenti che sono fondamentali per un vendita efficace e vorrei evidenziare
in che modo la “struttura del sistema” incide sui comportamenti delle persone sia
in senso positivo (incentivando comportamenti che portano beneficio al sistema)
che negativo (reprimendo comportamenti che portano beneficio o incoraggiando
comportamenti che portano nocumento al sistema).

Nel caso del formaggiaio la “struttura del sistema” è costituita da due elementi
chiave, il camioncino e la presenza pianificata in diversi mercati rionali.

Questa struttura determina una serie di comportamenti e fatti:

· La gamma prodotti, ciò che è disponibile e ciò che non è disponibile è tutta in
vista, non serve chiedere basta guardare (domandate a un distributore di
materiale elettrico idro sanitario …. che ha in gamma qualche migliaio di codici
quanto tempo passano le sue persone a rispondere richieste di disponibilità o
alternative di prodotto?)

· I formaggi sono raggruppati o separati per tipologia, trovare una alternativa è


più semplice, spesso senza chiedere al formaggiaio.

· 3 momenti diversi del processo di vendita e consegna al cliente: esposizione


merce, conservazione, trasporto integrati un un unico mezzo.

· Più clienti possono guardare contemporaneamente, tutti possono beneficiare


della spiegazione (verbale e gestuale) richiesta da un cliente. (chiedete sempre allo
stesso distributore quante volte le sue persone rispondono alla stessa domanda
rivolta loro da clienti diversi o dallo stesso cliente in momenti diversi)

· Il cliente per chiedere deve alzare la testa il che rende facilmente riconoscibile
il cliente che vuole comprare / informarsi (e quindi a cui prestare attenzione) da
quello che vuole solo guardare (a cui non prestare attenzione).

48 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Se qualcuno riconosce in queste cose lo spirito di 5S della Lean in generale e di
un pizzico di TOC non si sbaglia. E’ solo talento nel caso del formaggiaio. Ma
come fonte di ispirazione è magnifica.

E veniamo ai “comportamenti di vendita”. Ne voglio sottolineare 3 tipici del


formaggiaio che andrebbero imitati quelle che chiamo le 3A:

· Ascolto, il formaggiaio per prima cosa vi ascolta, dosando poche domande con
arguzia e scaltrezza (che SPIN Selling sia stato ispirato dall’osservazione dei
formaggiai del New England mi sembra azzardato, ma le analogie sono tantissime)

· Assaggio, il pezzettino di formaggio che vi porge dall’alto, con un sorriso, che


qualcuno rifiuta dicendo “ma alle 11 del mattino…”, quel gesto è in grado di
perforare anche la grande muraglia della diffidenza. E’ il gesto che vi fare l’ultimo
passo, “ma sì me ne dia… etti”. L’assaggio è un atto sociale, vi guardano tutti,
Dalla faccia che fate dipendono N decisioni di acquisto. Altro che marketing
virale. In quel momento il focus è tutto su un unico cliente, da cui dipende il 99%
del risultato (la decisione di tutti gli altri). TOC allo stato puro.

· Astensione, da cosa? Dal pushing, non forza mai la clientela oltre il limite,
ricordate che davanti al camioncino c’è il “social” più potente di tutti. Ogni gesto
inconsulto si ripercuote in un attimo su tutto il gruppo. Se è un mercatino in cui
va costantemente non vale la pena, ci sarà una nuova occasione; se è una
presenza estemporanea perché giocarsi la reputazione.

In un altro pezzullo “Il commerciale che bastonava i clienti” vi racconterò una


storia all’estremo opposto, sempre relativa al tema della “struttura del sistema”
che determina i comportamenti.

49 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Sales & Operations Plan e Theory of Constraints a cura di Real Throughput

Ovvero come passare da un approccio finalizzato a produrre un "Viable Plan" ad


uno per conseguire il massimo valore delle risorse disponibili e generare più
profitti, applicando i corretti principi di design dei processi di pianificazione
strategica e operativa.

Ci sono molte interpretazioni riguardo al processo in Sales & Operations Planning


e come esso viene attuato in azienda. Obiettivo di questo articolo è spiegarne le
finalità, dibattere i più comuni errori, e proporre una strada per ottenere risultati
migliori dal processo applicando i corretti principi di design.
Parleremo di:

1. Definizione del processo di Sales & Operations Planning e suoi obiettivi


2. Gli errori più comuni che si commettono
3. Gli effetti indesiderati causati da un set-up errato del processo
4. Come migliorare processo e risultati la Theory of Constraints

1. Il processo di Sales & Operations Planning e i suoi obiettivi

Il processo di Sales & Operations Planning (S&OP) viene definito da APICS


come:
“Un processo per sviluppare piani tattici che forniscono al management
la capacità di dirigere strategicamente le proprie attività per ottenere un
vantaggio competitivo su base continuativa, integrando piani di
marketing incentrati sul cliente per prodotti nuovi ed esistenti, con la
gestione della catena di approvvigionamento. Il processo riunisce tutti i
piani dell'azienda (vendite, marketing, sviluppo, produzione,
approvvigionamento e finanza) in un unico insieme integrato di piani”
(APICS Dictionary).

50 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Analizzando la definizione, il processo di S&OP ha l’obiettivo di raccordare i piani
operativi nella direzione degli obiettivi strategici, la cui rappresentazione
economica e finanziaria viene sintetizzata nel business plan.

Il Sales & Operations Plan è il primo step, l'iniziatore di un più ampio processo
di pianificazione operativa - che APIC chiama ciclo di Manufacturing Planning &
Control (MPC) - il quale, a mano a mano che ci si sposta dai livelli più aggregati
ai particolari, si articola in diversi step di dettaglio fino all’emissione degli ordini
di approvvigionamento.

Di seguito sintetizziamo i diversi step del processo, evidenziando i link tra le varie
fasi e il posizionamento del processo di S&OP, secondo la rappresentazione
APICS.
Secondo una visione comune a molti autori, l'obiettivo di tutte queste fasi è quello
di produrre quello che gli anglosassoni definiscono un "Viable Production Plan",
ossia un piano di produzione realizzabile, fattibile.
Partiamo subito col dire che noi dissentiamo con questo punto di vista che limita
l'obiettivo del S&OP al raggiungimento di un piano attuabile, in quanto riteniamo
che possa portare ad un importante spreco di potenziale.

2. Gli errori più comuni che si commettono nel processo di Sales &
Operations Planning

Ci sono molti errori che vengono comunemente commessi nell'impostare ed


eseguire i processi di S&OP: il più limitante dei quali è focalizzare il processo alla
sola definizione della fattibilità tecnica del piano.
In tanti anni di consulenza, possiamo affermare di “averne viste di tutti i colori”,
ma se fossimo chiamati a stilare il podio degli errori che più comunemente

51 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


vengono commessi quando si imposta ed esegue un processo di Sales &
Operations Planning non avremmo dubbi.

1. Accontentarsi della definizione di un Viable plan, una eccessiva focalizzazione


sulla fattibilità “tecnica” del piano, trascurando la finalità degli obiettivi strategici
2. La mancanza di metriche adeguate e coerenti per confrontare gli impatti dei
diversi scenari e prendere le decisioni migliori.
3. Innamorarsi dei dettagli, perdendo di vista le finalità e confondendo gli
obiettivi delle diverse fasi del processo di pianificazione, creando degli ibridi che
non sono efficaci né per prendere le decisioni strategiche, né tantomeno per
impostare i piani operativi.

2.1 Accontentarsi della definizione di un Viable Plan

Quando si organizza il processo di S&OP, definendone obiettivi, input, ruoli,


strumenti, livelli di dettaglio, occorre tenere ben presente che il S&OP è un piano
tattico di azioni NECESSARIE e SUFFICIENTI per raggiungere gli obiettivi
strategici.
Troppo spesso, le implicazioni di quanto sopra, non sono evidentemente chiare.
Chiedendo agli owner del processo di S&OP quali sono gli obiettivi, spesso
abbiamo raccolto affermazioni del tipo:
• L’obiettivo è quello di soddisfare i requisiti di domanda del cliente interno (ndr: le
funzioni che presidiano i mercati)
• L'obiettivo è quello di massimizzare l’efficienza produttiva
• L’obiettivo del processo è quello di tenere al minimo le scorte
• L'obiettivo è bilanciare domanda e supply, cercando di ridurre il nervosismo sulla
fabbrica
E altre varianti simili, affermazioni che sono il sintomo chiaro che il management
si sta accontentando di implementare un piano raggiungibile ed eseguibile,
concentrandosi sulla sua fattibilità tecnica e/o sui propri obiettivi locali,
trascurando completamente il vero goal. Tale fenomeno è conseguenza di
problemi che possono risiedere in diversi punti:
• Scarsa definizione / comprensione del goal e della strategia: non è chiara la meta
da raggiungere.
• Scarsa definizione dei ruoli e/o del processo: manca il timoniere e/o la squadra
non sa esattamente cosa è chiamato a fare.
• Il management, spinto a preservare obiettivi locali, tende ad andare in direzioni
diverse che non convergono verso la meta prefissata: manca una rotta precisa.
• Manca una conoscenza di base dei processi stessi e delle loro implicazioni,
• Mancano processi decisionali e regole di valutazione chiare e condivise all'interno
dell'organizzazione.
Un altro fattore importante, che spinge il management ad accontentarsi del
raggiungimento di un Viable Plan, sono i paradigmi e il peso che essi hanno sui

52 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


comportamenti delle persone ed organizzativi. Uno di questi, che spesso esercita
una potente forza frenante, è… il Budget.
Nel glossario della Theory of Constraints, l’obiettivo principe dell’azione
manageriale è quello di “ottenere il massimo valore possibile dalle risorse, in
particolare dai vincoli del sistema”, quello che in gergo tecnico viene chiamata
“exploitation del vincolo".
In tal senso il budget, con i suoi obiettivi predeterminati e deterministici, da
“strumento di coordinamento ex-ante”, rischia di essere, il più delle volte, un
“meccanismo deterrente ex post”, in altri termini un limite a fare di più. Esso
tende a generare nei manager la cosiddetta “sindrome del panettiere”: essere felici
di aver finito le scorte di pane alle 5 del pomeriggio, senza rendersi conto delle
opportunità di ricavo ulteriore perse causate dalla mancanza del prodotto.
Ritornando al goal vero del processo di S&OP – prendere le decisioni tattiche
necessarie e sufficienti per raggiungere gli obiettivi strategici - si ha bisogno di
una chiara definizione delle metriche da soddisfare, e questo ci porta al secondo
più comune errore di impostazione.

2. La mancanza di metriche efficaci per misurare il piano e dei processi


decisionali per prendere le decisioni migliori

Un piano è il risultato di decisioni che dovrebbero essere orientate a fare le cose


giuste rispetto agli obiettivi strategici. Per prendere decisioni efficaci occorre
avere un sistema di metriche efficaci per sintetizzare tali obiettivi e per fornire
un feedback riguardo all’effetto delle decisioni, e dei criteri e processi decisionali
strutturati per tradurre i dati in informazioni.

Parlando delle metriche, occorre avere un sistema in grado di valutare:


▪ Le Metriche Critical To Business, ossia misure che sintetizzano la convergenza
del piano rispetto agli obiettivi aziendali
▪ Le Metriche Critical To Customer, ossia indicatori che misurano come
l’azienda sta rispondendo / non sta rispondendo ai needs del mercato, il nostro
ultimo giudice, ed il rispettivo impatto finanziario.

Gli errori più comuni riguardo le metriche per valutare un processo di S&OP
sono:
1. Non utilizzare metriche di tipo finanziario
2. Utilizzare metriche che non sono coerenti / non sono bene prioritizzate

RIMARCHIAMO IN BOLD L’UTILIZZO DI METRICHE FINANZIARIE, in quanto le


uniche veramente in grado di far convergere metriche critical to business e
critical to customer.

53 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Un semplice esempio per rendere chiaro il messaggio: ad esempio un OTIF (On
Time In Full) del 99% non significa necessariamente che il piano sia stato quasi
perfetto se, ad esempio, da quell’1% di ordini “bucati” si potevamo portare profitti
addizionali pari al 20%.

La mancanza di efficaci metriche finanziarie denota spesso anche un set-up non


corretto del processo e dei ruoli: capita molto spesso di verificare che il Finance
svolge un ruolo “troppo marginale” nel processo, limitandosi il più delle volte a
tentare di dare una valorizzazione economica del piano ex-post, ossia a piano
validato e reso esecutivo.

Venendo al processo decisionale strutturato, si può definire tale un processo


quando:
▪ Sono definiti i momenti decisionali
▪ Sono definite le agende
▪ Sono definiti gli attori e i ruoli
▪ Sono definite le priorità che si devono raggiungere

Ma tutto ciò non basta per prendere buone decisioni. Per farlo, occorrono alcuni
requisiti:
▪ Devono essere chiare le relazioni di casua-effetto tra le tattiche e le azioni e gli
obiettivi da raggiungere
▪ Devono essere disponibili capabilities di simulazione delle decisioni per
verificarne l’impatto.
▪ Devono essere disponibili dei modelli chiari per interpretare i dati prodotti dal
processo e trasformarli in informazioni utili al processo decisionale

Il grande limite che abbiamo quasi sempre rilevato nell’affrontare i progetti di


reingegnerizzazione dei processi di S&OP è la pressoché totale assenza di tali
requisiti:
▪ La pressoché totale mancanza di valorizzazione economica (piani espressi in
volumi, tons, litri, etc) e la quasi totale mancanza di apprezzamento della
produttività espressa in “ Dollari”.
▪ Troppe metriche non coordinate e non prioritizzate.
▪ Mancanza di capabilities per simulare l’effetto delle decisioni.
La mancanza di link tra tattica e strategie.
▪ Decisioni che vengono influenzate prevalentemente dall’authority, e che non
poggiano su fattori oggettivi 

3. Confini del processo di S&OP non chiaramente definiti e troppo amore per
il dettaglio

Il terzo errore più comune è quello di non distinguere le finalità precise di ogni
step del processo complessivo di “priority planning” nel ciclo di MPC, creando dei

54 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


modelli ibridi poco efficaci, con un S&OP che si spinge a livelli di dettaglio non
necessari.

I fenomeni più comuni sono:


▪ Spingere i forecast a livelli troppo analitici, con il duplice effetto negativo di
aumentare la probabilità di errore delle previsioni lavorando a livelli impattati da
eccessiva variabilità, soprattutto, di non focalizzare l’attenzione manageriale sui
punti critici, che sono il goal principale del processo decisionale
▪ Una definizione poco efficace delle famiglie prodotto sulle quali concentrare la
pianificazione, con l’effetto negativo di creare campioni non rappresentativi
▪ Non avere la giusta organizzazione di processo, con una gestione a silos o con
funzioni importanti come il Finance che non vengono adeguatamente coinvolte
▪ Non attuare meccanismi corretti di feedback sulla fattibilità del piano

La conseguenza più grave di un set up errato è la mancanza di focalizzazione: se


il processo non porta la giusta sintesi e perde di efficacia nell’analizzare troppi
dati, con le persone impegnate nella caccia alle streghe senza distinguere tra
cause comuni e cause speciali della variabilità, gli S&OP meeting finiscono con il
non essere efficaci, portando a sprecare una delle risorse più scarse in azienda
che è la focalizzazione dell’attività manageriale.

In altri termini, gli effetti indesiderati di un set-up non corretto sono:


1. Sforzi non necessari, nella falsa convinzione che più dettagli siano sinonimo di
maggior accuratezza
2. Mancato coinvolgimento di ruoli chiave nel processo
3. Processo decisionale non efficace e poco strutturato
4. Perdite di tempo a spiegare fenomeni legati alla normale variabilità, senza
comprendere la differenza tra cause comuni e cause speciali

Gli effetti indesiderati causati da un processo di S&OP non Impostato in


maniera corretto

I diversi errori che vi abbiamo raccontato sono fonte di numerosi effetti


indesiderati. I top 3:
1. In primis, quello di non ottenere il massimo valore dall’impiego delle risorse,
con un processo decisionale poco efficace e obiettivi poco ambiziosi, che rientrano
nel normale “noise”
2. Piani non coerenti causati da metriche locali distoniche, che comportano
comportamenti non orientati al bene comune dell'organizzazione, ma in primis
alla salvaguardia degli obiettivi locali delle funzioni organizzative, con la
conseguenza di sprecare gli sforzi delle iniziative di miglioramento
3. Infine, un eccessivo spreco di energie causate da processi e set-up errati che
provocano una scarsa focalizzazione delle risorse, in primis quelle manageriali.

55 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Come migliorare processo e risultati del processo di S&OP con la Theory of
Constraints

La Theory of Constraints ci insegna tante cose. Tra queste:


▪ l'importanza di focalizzare l'azione sugli elementi essenziali (necessari e
sufficienti) per conseguire un determinato obiettivo;
▪ La necessità di adottare un approccio ed un punto di vista sistemico,
subordinando i risultati locali all'obiettivo di massimizzare il risultato globale
▪ L'importanza di adottare poche ma efficaci misure, coerenti tra di loro e con il
goal da misurare, per non incentivare comportamenti non coerenti con l'obiettivo
globale

Applicando tali principi, è possibile impostare un processo di S&OP veramente


efficace perché:

1. Vengono definiti i giusti paradigmi per comprendere bene COSA FARE e COSA
NON FARE
2. Vengono definite chiaramente le connessioni tra strategia, business
requirements e tattiche
3. Processi, organizzazione e sistemi vengono allineati coerentemente all’obiettivo
di supportare i business requirements necessari al raggiungimento degli obiettivi
4. Viene definito un set di metriche estremamente focalizzato, coerente ed efficace
per misurare la strategia e l’impatto delle tattiche, evitando di proliferare un
numero eccessivo ed inutile di indicatori, con i conseguenti sforzi inutili per
misurarli
5. Le nuove metriche rendono possibile abilitare strumenti e capabilities di
simulazione per scenari per verificare l’impatto sulle metriche delle diverse
decisioni in modo olistico (critical to business e critical to customer) e ridurre il
rischio di fallimento delle azioni
6. Viene bilanciato il sistema di performance management per incentivare le
funzioni aziendali a convergere sulla rotta migliore

Conclusioni

Un processo di S&OP ben strutturato può effettivamente essere una fonte di


vantaggio competitivo.
I principi della Theory of Constraints permettono di apportare significative
migliorie al processo, alle metriche e alla sua focalizzazione rispetto alla strategia.

56 - Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor


Distinguersi come girasoli in un campo di papaveri? Sarebbe bello ma come fare?

Philip Kotler è stato definito dal


Financial Times “il nuovo guru del
management” ed è considerato uno
dei maggiori esperti mondiali di
strategie di marketing.

Per Kotler la chiave per un marketing di successo sta in 3 ingredienti: focus,


posizionamento e differenziazione.

– Focus: non è possibile dirigere le nostre forze in mille strade… scegliamone una
e lì dirigiamo tutte le nostre forze. Focalizziamoci.
– Posizionamento: non possiamo pretendere di avere successo se non abbiamo
costruito un posizionamento chiaro, vero, concreto…
– Differenziazione: dobbiamo essere riconoscibili, avere caratteristiche uniche,
avere un tratto differenziante, creare e

Acquisire un DCE significa avere la capacità di soddisfare UN bisogno


significativo del cliente/mercato a un livello che nessun concorrente significativo
può / vuole / sa raggiungere in tempi brevi.

Il mese scorso ho provato a spiegare con parole semplici questo concetto e la


strada che occorre percorrere per provare a conseguirlo a un piccolo gruppo di
neo imprese, nell'ambito di un programma di assistenze specialistiche messo in
campo dalla Camera di Commercio di Milano. Avevo 1 ora a disposizione.

Ho usato una slide per provare a evidenziare le cose più rilevanti, anche a costo
di una certa dose di approssimazione.

La chiave di volta sta nel partire


dalla constatazione che le
richieste esplicite fatte dai clienti
sono solo una pallida e spesso
infedele rappresentazione dei loro
bisogni reali.

Perchè accade ciò e quali


conseguenze dobbiamo trarne?
Accade perchè agiscono due potenti filtri, in gergo TOC insiemi di assunti, che si
interpongono in due momenti specifici.
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Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor
In prima istanza il cliente, anche ammesso che gli sia chiaro il suo bisogno, si
crea una aspettativa in base alle sue presunzioni relativamente alla capacità
generale del mercato della fornitura di soddisfare il suo bisogno. Presunzioni che
non riguardano solo la sfera tecnica, del prodotto ma in generale tutto quello che
si aspetta di dover "subire" durante la sua "customer experience".

Assunto = presunzione = modello mentale =paradigma

In un secondo momento, non necessariamente separato nel tempo e nello spazio


dal primo, trasforma le aspettative in richiesta filtrando con un secondo set di
presunzioni più specificatamente relative a sè stesso come un tipo particolare di
cliente.

Faccio un esempio banale e approssimativo giusto per rendere l'idea. Tutti gli
imprenditori a capo di PMI hanno una serie di pregiudizi sulla consulenza in
generale, in base ai quali modellano le loro aspettative. Il singolo imprenditore poi
in base alla sua esperienza, al suo sentito dire alle sue competenze (provate a
spiegare a un imprenditore che non ha mai comprato consulenza la differenza tra
mentoring, tutoring, coaching, consulenza, temporary management, fractional
management,...) filtra ulteriormente le aspettative e dopo questo filtro diventano
richieste.

In moltissimi settori copiare / adottare le best practices è ritenuta la strada più


veloce, efficace e efficiente per migliorare. Questo fa si che in moltissimi settori
l'offerta dei fornitori sia nelle sue linee generali/strutturali molto simile.
Indistinguibile da parte del cliente. E spesso l'offerta non sia altro che la risposta
alle richieste dei clienti.

Si intuisce che esiste una prateria non esplorata di bisogni che si può acquisire,
differenziandosi dalla concorrenza, modellando la propria offerta non tanto e non
solo sulle richieste dei clienti ma sui loro effettivi bisogni.
Facile dirlo! Ma come si fa?

Nello schema ho cercato di sottolineare il legame fondamentale tra gli UDE del
cliente (effetti indesiderati) e la costruzione di un DCE.

E ho invitato a raccogliere gli UDE dei loro clienti usando lo strumento più
potente che abbiamo a disposizione: l'osservazione. Osservare il cliente mentre
sta approvvigionandosi delle cose e/o dei servizi per soddisfare un suo bisogno.
Non è tutto, servono molte altre cose. Ma è il primo passo necessario.

Sto mettendo a punto un percorso rivolto a quelle aziende che intendono provarci
sul serio. L'ho chiamato Mafia Offer Boot Camp. Ho cercato di concentrarmi

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Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor
sull'essenziale per essere in grado di concretizzare un DCE in un tempo umano e
a costi sostenibili.

Offritemi un caffè fisico o virtuale per ulteriori dettagli.

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Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor
I 3 intervalli rilevanti e il Throughput Accounting (TA)

Uno dei "meriti" della metodologia DDMRP


(DDOM/DDAE) è aver chiarito l'esistenza di
3 intervalli temporali rilevanti, le loro
differenze dal punto di vista gestionale e
quali siano i "parametri" su cui puntare
l'attenzione in ciascuno di essi al fine di
sfruttare al meglio la "managerial
attention" che può essere la "risorsa scarsa" in tempi turbolenti.

Quali sono questi intervalli?

L'intervallo operativo è determinato


grosso modo dal Lead Time tipico di
produzione. Quello che normalmente
viene promesso al cliente. Siamo
nell'ordine delle settimane/pochi mesi.

L'intervallo tattico è determinato dal


tempo necessario per cambiare strutturalmente la capacità produttiva, inserendo
nuove linee, nuovi macchinari, modificando i cicli e riadattando il flusso. Siamo
nell'ordine dei mesi.

L'intervallo strategico è equivalente al tempo necessario o tipico per modificare


l'offerta al mercato (che potrebbe comportare una modifica strutturale della
capacità produttiva)o addirittura il modello di business. Siamo nell'ordine di 1-3
anni.

Essendo impregnato di TOC non ho potuto resistere a rielaborare alcuni "pezzi"


della TOC in rapporto a questi 3 intervalli.
Una domanda che mi sono fatto è come si
rapportano i 5 passi di focalizzazione con
questi 3 intervalli?

La mia personale interpretazione è descritta


nella figura.

Ho usato i colori per rappresentare questa


rapporto. I passi da 1 e 2 sono relativi all'intervallo operativo (si tratta tutto
sommato di sfruttare al meglio una capacità produttiva esistente data una
domanda di mercato esistente, proteggendo il sistema dalla variabilità attuale), il
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Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor
passo 3 sta a cavallo tra l'intervallo operativo e quello tattico in quanto al fine di
"subordinare" qualche variazione di capacità potrebbe essere necessaria e
qualche variazione sul mix di domanda / ordini da soddisfare anche.
A questo punto è scaturita una ulteriore domanda, come si applica il TA in
ciascuno di questi 3 intervalli? Qual'è il ruolo del Throughput?

Questa una prima risposta, forse non completa , esaustiva e definitiva, ma ve la


sottopongo comunque.

Intervallo Operativo - secondo me si applica il TA (Throughput Accounting)


classico alla the Haystack Syndrome (vedi esercizio P&Q - figura)

Intervallo tattico - il TA va supportato da un uso accorto dei TP Tools - l'analisi


what if diventa fondamentale e la Change Matrix è il TP Tools su cui punterei

Intervallo strategico - serve solo saper


valutare il valore di (delta Throughput-
delta Operating Expenses - delta
Inventory) dei diversi scenari presi in
considerazione. Scenari la cui costruzione
deve essere supportato da un uso
massiccio dei TP Tools.

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Theory of Constraints e Dintorni – Raccolta 2022 a cura di Claudio Vettor

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