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Innanzi tutto, che chitarra scegliere? Classica, acustica, elettrica, solid body,
hollow body…
Le variabili che ci possono influenzare nella scelta sono molteplici e vanno dal
genere che c’interessa alla quantità di lira che vogliamo o possiamo investire nella
nuova passione e così via.
Premesso che è assodato il fatto che l’approccio tecnico che si usa con una
acustica è diverso da quello di una classica con le corde di nylon, così come da
quello usato con una elettrica (anche se non è corretto secondo me parlare di
strumenti “diversi”), ritengo che una buona scelta sia data, per il neofita, da una
chitarra classica con le corde di nylon e con misure regolari, e ciò per due motivi:
- 1) le misure del manico e le spaziature dei tasti, più ampi che in una acustica
con le corde di metallo (steel guitar), ci costringeranno all’inizio ad “aprire” la
mano, favorendo una impostazione molto corretta che assicurerà nel tempo
alti benefici;
- 2) l’action delle corde di nylon è sicuramente più morbida, consentendo da
subito di ottenere qualche suono e di “martoriare” un po’ meno i nostri timidi
polpastrelli, nonché di arrivare in breve tempo ad eseguire il famigerato ed
odiato “barrè” (ovvero quel movimento con cui l’indice preme simultaneamente
tutte o metà delle corde – azione che è la responsabile dell’ 80% degli
abbandoni sul campo da parte dei novelli guitar-hero).
In questo modo la mano destra cadrà naturalmente all’altezza della buca, mentre il
manico della chitarra sarà rivolto verso l’alto, in modo che diteggiando nelle prime
posizioni (cioè verso il capotasto), la mano sinistra si troverà circa all’altezza della
spalla.
Anche in questo caso gli svantaggi sono dati dall’innaturalità della posizione in
partenza (il polso troverà più comodo andare ad appoggiarsi quasi alle corde od al
ponticello) e da una minore efficacia in alcune tecniche particolari (es. finger-picking
con bassi alternati).
Un’impostazione alternativa è quella usata appunto da molti “finger pickers”,
dove il palmo della mano viene appoggiato al ponticello, fornendo una solida base
per il movimento del pollice sulle corde basse che viene così favorito; per contro i
cantini “suoneranno” di meno.
Importante distinzione tra le due tecniche e data dal fatto che nel modo
classico, la lunghezza delle unghie, da tenersi sporgenti di almeno un millimetro dal
polpastrello, è decisiva per la pulizia e profondità del suono; nella seconda
impostazione si ottengono buoni risultati anche suonando con i polpastrelli.
Quale scegliere? Che domande! Direi tutti e tre! Ogni tecnica emerge in un
particolare contesto ed è sicuramente vincente saperle gestire tutte al meglio. Alcuni
esempi operativi:
Melodia
Armonia
Ritmo.
E’ assai difficile trovare composizioni musicali che si limitino alla sola melodia.
Quasi sempre ad una linea melodica è affiancato un accompagnamento di note che
“stanno bene insieme”, potremmo quasi dire che stanno in “armonia”. Queste note,
quando sono suonate insieme, prendono il nome di “accordi”; le relative sequenze di
accordi che continuano a ripetersi nel corso di un canzone si chiamano “giri
armonici”, o “progressioni armoniche”.
Note singole ed accordi significano ben poco se non sono ben ordinate nel
tempo; il modo in cui queste sono organizzate si chiama ritmo, che potremmo
paragonare alle fondamenta, o all’anima della nostra musica. Senza ritmo, il nostro
castello …crolla.
La scala naturale prevede invece sette suoni (le famose sette note) cosi’
intervallati:
Per fornire un esempio visivo, possiamo affermare che queste sette note
rappresentano i tasti bianchi del pianoforte. E le note che si trovano a metà strada (i
tasti neri)?
O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
E F F# G G# A A# B C C# D D# E F F# G G# A
B C C# D D# E F F# G G# A A# B C C# D D# E
G G# A A# B C C# D D# E F F# G G# A A# B C
D D# E F F# G G# A A# B C C# D D# E F F# G
A A# B C C# D D# E F F# G G# A A# B C C# D
E F F# G G# A A# B C C# D D# E F F# G G# A
O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A
B C Db D Eb E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E
G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A Bb B C
D Eb E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G
A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A Bb B C Db D
E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A
O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
TONALITA’ e MODI
Ogni scala (consideriamo per il momento unicamente le scale di sette note),
può iniziare da una qualsiasi delle dodici note. La nota di partenza definisce la
TONALITÀ della scala stessa.
C D E F G A B C
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
A B C D E F G A
TONO SEMITONO TONO TONO SEMITONO TONO TONO
Osserviamo ora che le due scale sopra evidenziate utilizzano tutte le stesse
note, ancorché siano sviluppate su “modi” diversi. Tra le due scale esiste, infatti, una
forte correlazione, che ci porta a definire che:
“a ogni scala maggiore ne corrisponde una minore, che si colloca un tono e mezzo
sotto la relativa scala maggiore”.
Le SCALE dei MODI MAGGIORI
Tonalità di Do Maggiore:
C D E F G A B C
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Proviamo ora a partire dalla nota SOL, usando le note della scala naturale:
G A B C D E F G
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
D E F# G A B C D
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Tonalità di Re Maggiore:
D E F# G A B C# D
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Tonalità di La Maggiore:
A B C# D E F# G# A
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Con “quattro diesis in chiave”:
Tonalità di Mi Maggiore:
E F# G# A B C# D# E
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Proviamo ora a partire dalla nota FA, usando le note della scala naturale:
F G A B C D E F
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Notiamo ora che la discrepanza si trova tra il terzo ed il quarto grado della
scala. Infatti, tra A e B l’intervallo è di un tono; tra B e C è di un semitono, mentre
dovrebbe essere il contrario. Questa volta interviene in nostro aiuto il Bemolle (b):
Tonalità di Fa Maggiore:
F G A Bb C D E F
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Tonalità C G D A E F Bb Eb
Alterazioni 1# 2# 3# 4# 1b 2b 3b
in chiave:
Tono C G D A E F Bb Eb
Tono D A E B F# G C F
Semitono E B F# C# G# A D G
Tono F C G D A Bb Eb Ab
Tono G D A E B C F Bb
Tono A E B F# C# D G C
Semitono B F# C# G# D# E A D
C G D A E F B E
Ed ora esercitiamoci.
Le SCALE dei MODI MINORI
Tono A E B F# C# D G C
Semitono B F# C# G# D# E A D
Tono C G D A E F Bb Eb
Tono D A E B F# G C F
Semitono E B F# C# G# A D G
Tono F C G D A Bb Eb Ab
Tono G D A E B C F Bb
A E B F# C# D G C
Esercitiamoci:
GLI ACCORDI (mettiamo le note insieme)
L’armonia tonale, che caratterizza buona parte della musica dal 1600 sino ai
giorni nostri, prevede perlopiù l’uso d’ accordi consonanti, ancorché alcuni accordi
dissonanti siano talvolta usati per introdurre cambi di tonalità o particolari momenti di
tensione nei brani.
Gli intervalli
A B C D E F G A
TONO SEMITONO TONO TONO SEMITONO TONO TONO
Seconda Terza Quarta Quinta Sesta Settima Ottava
Minore Giusta Minore
Abbiamo detto che gli accordi altro non sono che “insiemi di note”, legate tra di
loro da intervalli ben precisi. Assumono il nome di:
Innanzi tutto, osservando anche i due diagrammi sopra riportati, appare subito
evidente il ruolo decisivo giocato dalle terze nella formazione degli accordi. Infatti,
l’uso della terza maggiore piuttosto che della terza minore arriva a cambiare
radicalmente il carattere degli accordi stessi, che sarà aperto e brillante nel caso
degli accordi con la terza maggiore (accordi maggiori) quanto cupo e chiuso nel caso
degli accordi con la terza minore (accordi minori).
Vediamo ora che tipo di triadi si riesce ad ottenere usando le sette note della
scala naturale.
Tonalità di DO
C D E F G A B C D E F G A B C
Do Maggiore
(N.F. – Terza Magg. – quinta)
C D E F G A B C D E F G A B C
Re Minore
(N.F. – Terza Minore – quinta)
C D E F G A B C D E F G A B C
Mi Minore
(N.F. – Terza Minore – quinta)
C D E F G A B C D E F G A B C
Fa Maggiore
(N.F. – Terza Magg. – quinta)
C D E F G A B C D E F G A B C
Sol Maggiore
(N.F. – Terza Magg. – quinta)
C D E F G A B C D E F G A B C
La Minore
(N.F. – Terza Minore – quinta)
C D E F G A B C D E F G A B C
Si ° (semidiminuito)
(N.F. – Terza Min – quinta dim.)
C D E F G A B C D E F G A B C
Re Minore 7
(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.)
C D E F G A B C D E F G A B C
Mi Minore 7
(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.)
C D E F G A B C D E F G A B C
Fa Maj 7
(N.F. – Terza Magg. – quinta - settima)
C D E F G A B C D E F G A B C
Sol Maggiore 7
(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima min.)
C D E F G A B C D E F G A B C
La Minore 7
(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.)
C D E F G A B C D E F G A B C
Si ° (semidiminuito)
(N.F. – Terza Min – quinta dim. – settima min.)
Gli accordi minori (Re min, Mi min, La min) e l’accordo semidiminuito (Si°) si
completano con la settima minore (cinque toni vs. n.f. o, più semplicemente, un
tono dall’ottava).
Gli accordi di Do maggiore e Fa maggiore si completano con la settima maggiore
A questo punto i più pazienti di voi potranno esercitarsi a ricavare tutti gli
accordi che interessano le altre tonalità. I meno pazienti, se mi assicurano che i
concetti espressi sono stati assimilati, potranno invece consultare direttamente le
seguenti tabelle:
Tonalità di Sol maggiore / Mi minore – triadi
Nome accordo: G Amin Bmin C D Emin F#°
Root (*) G A B C D E F#
Terza B C D E F# G A
Quinta D E F# G A B C
• III • • • VIII • • • •
• • •
• • • • • • • • •
F F F F
x x
• • • • • VIII • • • V • •
• • •
• • • • • • • •
•
G G G G
x
• • • • • • VII • •
• • •
• (•) • • • • • • •
•
• V • • • • VIII • VII •
• • • •
• • • • •
•
B° B° B°
x x x x x x
IX • •
• • • • • •
• • • •
Dall’esame degli accordi sopra riportati, vediamo la presenza ricorrente di tre
posizioni per il modo maggiore e tre per il modo minore, che differiscono per ogni
accordo unicamente per la “posizione di partenza”, determinata dal differente
capotasto da cui si “snoda l’accordo”. Nello schema riportato nella pagina
precedente, questi accordi sono evidenziati con il colore rosso.
Pertanto l’accordo di Fa maggiore indicato a lato, spostato di F
due semitoni verso il ponticello, diventerà Sol Maggiore; • • •
spostato di un ulteriore semitono diventerà Sol# Maggiore (o •
Lab maggiore), spostato di altri due semitoni diventerà Sib • •
Maggiore e così via.
Abbiamo presto capito che in questo modo possiamo trovare
qualsiasi accordo maggiore o minore, spostando adeguatamente la mano lungo la
tastiera partendo da una delle tre posizioni principali. Di seguito, completiamo
l’evidenza degli accordi più’ usati, in particolare in prima posizione, oltre ai principali
accordi di settima (tetradi).
D Eb E F#
III • • •
• • • • • • • •
• • •
• • •
G A Bb B
• • •
• • • • • • •
• • • • •
• • •
III • • • • • • • III • • • •
• • • •
• • • • • • •
• •
Cmaj7 Cmaj7 C7 C7
II • • III • • • •
• •
• • • • • •
• • •
Dmaj7 D7 E7 E7
• • •
• • • • • • •
•
Fmaj7 F7 Gmaj7 Gmaj7
x x
• • • • III •
• • • •
• • • • • •
(•) (•) •
G7 A7 A7 D7
x x
• •
• • • • • • •
• • • •
Bbmaj7 B7 D7 A7
x
• • • III •
• • • • • • •
• • • • • •
• • •
Mettiamo sul lettore Cd una canzone qualsiasi, di quelle con una melodia che
tende a ripetersi.
Prendiamo ora in mano la chitarra e cerchiamo sulla prima corda una nota che
possa trovarsi a suo agio in quella situazione. Facciamo finta d’averla trovata nel la
suonato al quinto tasto.
Come abbiamo accennato poco sopra, per quella nota passano di sicuro tre
tipi di accordo maggiore:
D A F
x
V • • • V • • • VIII • •
• •
• • • • • •
•
Sicuramente troveremo che uno di questi tre accordi ben si adatta al nostro
contesto musicale.
Troviamo anche qui una nota sulla prima corda che si adatti bene al contesto,
ad esempio un Fa# al secondo tasto. Per questa nota passano tre tipi di accordo
minore:
A / / / F#min / / /
Complimenti, abbiamo gettato i primi semi per la trascrizione del nostro primo
giro armonico…….
Nell’iniziare a parlare dei giri armonici, la memoria non può non ritornare, con
un pizzico di rimpianto, ai tempi di scuola, quando, con fare colpevole, ci passavamo
tra i banchi non solo qualche dritta sui compiti in classe, ma soprattutto fogliettini
spiegazzati con sopra indicate le sigle degli accordi delle canzoni più in voga del
momento. …
Questo ricordo, che sicuramente avrà fatto sorridere qualcuno di voi, ci porta
ora ad azzardare una definizione di giro armonico:
“Il giro armonico è una sequenza di accordi che si ripete nel corso della
canzone o del brano”.
C D E F G A B C
TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO
Ogni grado della scala, sul quale possiamo costruire i relativi accordi, assume
le seguenti definizioni:
C / / / G / / / F / / /
questo reclama una risoluzione, anche se con meno enfasi del precedente,
perlopiù verso la dominante, ma non solo. Lo chiameremo “regione di
sottodominante”.
E gli altri accordi della scala? Abbiamo almeno altri tre minori e un
semidiminuito che attendono di essere usati! Anche questi hanno un loro carattere e
possono essere pertanto inseriti in una delle predette “regioni”:
Regione di tonica Stabilità I (C), vi (Amin), iii (E min)
Regione di sottodominante Movimento IV (F), ii (Dmin)
Regione di dominante Tensione V (G), vii° (B°)
Per capire che cos’è il ritmo e quale sia la sua importanza nella musica,
facciamo un breve paragone con la nostra vita di tutti i giorni.
Il ritmo è il nostro respiro, calmo e rilassato se siamo sereni, veloce se siamo eccitati,
breve ed affannato se siamo arrabbiati o preoccupati.
Il ritmo è il nostro passo, come quando camminiamo o iniziamo a correre, dipende
dove vogliamo andare, e perché.
Il ritmo è il dondolio del treno, che ci porta lontano dai problemi e verso nuove
speranze.
Il ritmo è la vita che pulsa intorno a noi; il ritmo è il battito stesso del nostro cuore.
Se torno con la memoria ai primi approcci nel mondo della musica moderna,
sia come neo chitarrista sia come ascoltatore, mi affiorano chiaramente le
contrastanti sensazioni provate nel leggere avidamente i crediti degli amati vinili.
E’ vero, al cuor non si comanda, e tutti noi c’eccitavamo di più a sentire i lirismi
di Carlos Santana, piuttosto che i riffs di Keith Richards; ma un ascolto più attento e
maturo ci porta a riconsiderare e a rivalutare l’opera dei grandi accompagnatori.
Pensateci bene, il Rock‘n’roll sarebbe stato forse lo stesso senza i vari Keith
Richards, Pete Townshed o senza gli intrecci della coppia “Lennon/Harrison”?
ALLA RICERCA DEL “TEMPO” PERDUTO
Proviamo a ricordare la prima volta che siamo andati in discoteca. Al di là
dell’emozione dettata dall’ambiente nuovo, dell’invidia provata per quegli amici della
nostra compagnia che già al primo tentativo sembravano ballerini provetti (in quanto
in possesso del senso ritmico innato), certamente ricorderemo l’impaccio provato nel
tentare di muovere i nostri piedi seguendo il tempo della musica (e soprattutto
tentando di celare quanto eravamo imbranati…). Poi qualche anima pia, commossa
dal nostro disagio, ci prendeva per mano, e con sorriso a metà tra lo scherno e il
compiacimento ci faceva notare:“….Ascolta il battito e prova a seguirlo: uno,due, tre
e quattro – uno, due, tre e quattro” (e così via…)
Possiamo incontrare il caso di canzoni le cui misure contengono tre beats ciascuna.
In questo caso ci troveremo di fronte ad un tempo di “tre-quarti” (“un-due-tre / un-
due-tre); altre le cui misure contengono due battiti (un-due / un - due), ed allora
parleremo di tempo in “due quarti”.
Per assimilare bene questi concetti, che sono basilari, facciamo un piccolo
esercizio “metaforico”:
Proviamo a dire di seguito le seguenti parole di due sillabe ciascuna:
Ca-ne / gat-to / to-po / lu –po.
Possiamo identificare ogni parola con una misura di due/quarti; e le relative sillabe
con note di un quarto ciascuna.
Il tempo di due/quarti, con il suo carattere saltellante, è molto usato nelle marce, nel
fox-trot, nella polka. Il tempo ternario identifica invece molta musica da ballo,
mazurke e valzer; lo ritroveremo anche (nella versione 6/8 o 12/8) in alcune canzoni
di derivazione blues e soul. Infine il quattro/quarti è il tempo sicuramente più diffuso
nella musica moderna.
TECNICHE DI ACCOMPAGNAMENTO CON IL PLETTRO
LO STRUMMING
Nel tentare di recuperare il tempo perduto, mi scontrai poi con una terribile
realtà:
“il senso del ritmo, così come quello melodico (il famoso “orecchio”), è una qualità
innata”.
Pertanto esistono persone che senza alcun problema possono “strummare” da subito
con grand’efficacia; altre purtroppo che di primo acchito ottengono unicamente
risultati simili al suono della grattugia.
A / / / E / / / D / / / E / / /
Dimentichiamoci immediatamente l’applicazione di figure ritmiche strane,
controtempi, raddoppi etc., che ci confondono solamente (è come per un cestista
palleggiare dietro la schiena o sotto le gambe….all’inizio può solamente perdere la
palla).
Appelliamoci invece al “less is more” e iniziamo a suonare “marcando”
semplicemente i quarti d’ogni singola misura.
La concezione ritmica tradizionale, tipica della musica “bianca”, prevede che gli
accenti (ovvero le nota suonate con maggiore enfasi) cadano sul primo beat d’ogni
misura, ed eventualmente sul terzo:
A / / / E / / / D / / / E / / /
U-no Du-e Tre-e Quat- U-no Du-e Tre-e Quat- U-no Du-e Tre-e Quat- U-no Du-e Tre-e Quat-
tro tro tro tro
>> - > - >> - > - >> - > - >> - > -
A / / / E / / / D / / / E / / /
U-no Du-e Tre-e Quat- U-no Du-e Tre-e Quat- U-no Du-e Tre-e Quat- U-no Du-e Tre-e Quat-
tro tro tro tro
- >> - > - >> - > - >> - > - >> - >
A / / / E / / / D / / / E / / /
Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià
Ci risulterà presto evidente che gli accenti sui quarti “deboli” conferiscono un
movimento completamente diverso al brano, come se ogni accento, specie quello sul
quarto beat, introducesse, o letteralmente ci “mettesse in mano” la nota o la misura
successiva, in un contesto molto dinamico. Un ottimo brano da ascoltare con
attenzione, con un superbo strumming di chitarra acustica, è “Anymore”, di Vasco
Rossi, dall’album “Buoni o cattivi”.
Riepilogando:
“per un grande strumming curiamo nell’ordine: gli accenti, la dinamica, la qualità della
pennata”.
FLATPICKING
Continuiamo la nostra analisi sulle tecniche di accompagnamento
introducendo questo stile, che è tipico della musica folk nord-americana, ma che sta
trovando negli ultimi anni grande seguito, anche per opera di alcuni illuminati
chitarristi, primo tra tutti il mitico Beppe Gambetta., nel vecchio continente, sia in
contesti mediterranei che nella musica celtica.
Dicevamo che questo stile trae origine dalla musica folk nord-americana,
country e bluegrass e rappresenta un primo tentativo di porre in evidenza lo
strumento chitarra, fino ad allora relegato in una veste di puro e semplice
accompagnamento, rispetto agli altri strumenti delle “stings-orchestre” quali
mandolino, banjo e violino, ai quali era deputato lo sviluppo delle linee melodiche.
E’ veramente impensabile che cosa si può realizzare con il semplice uso del
plettro. L’unica cosa da fare è ascoltare, rimanendo piacevolmente stupiti, le
invenzioni di qualche grande maestro (il già citato Gambetta, oppure Tony Rice, Dan
Cry, o lo stesso Doc Watson).
“Carter Style”
I primi differiscono dalle triadi e tetradi che abbiamo già esaminato nei
precedenti capitoli poiché sono di norma composti di due note (fondamentale e
quinta) e sono suonati sulle sole corde gravi, in dichiarato appoggio allo stesso
basso elettrico. Altra caratteristica è il timbro, che deve essere appunto potente.
Pensate ai seguenti aggettivi: grasso, gonfio, largo, tanto, profondo, ciccione. Con
questi in mente, smanettate sulla vostra chitarra o sul vostro ampli finchè otterrete un
suono che ricordi dette qualità. Per aiutarvi provate:
CMagg
FONDAMENTALE III •
QUINTA
•
CMagg
FONDAMENTALE III •
QUINTA
OTTAVA • •
GMagg
QUINTA
OTTAVA III
• •
Non è detto che non possano esistere power chords muniti della terza, e
quindi ben definiti nel modo; altro che non sono consigliati in contesti “energetici”, se
non usati con parsimonia e gusto, pena il decadimento del senso di “potenza” tipico
di questo modo di suonare.
Le tre figure di accordo sopra riportate, ancorché siano nella sostanza decisamente
fungibili, trovano applicazione diversa a seconda dei contesti: la prima quando i
cambi d’accordo sono piuttosto mossi; la seconda quando necessitiamo di maggiore
potenza; la terza….riascoltiamoci l’intro di “Smoke in the water” dei Deep Purple…..
I riffs invece sono delle piccole cellule melodiche, suonate di norma sui registri
gravi dello strumento, che tendono a ripetersi al’infinito, fornendo “groove”, grinta e
carattere alle nostre canzoni.
La prima caratteristica di un buon riff deve essere la facilità con cui ti entra in
testa (provate a canticchiare le prime note di “Satisfaction”). Poi deve essere breve, e
deve trasmettere una sensazione di potenza e di dinamica (altrimenti come può
essere la colonna sonora delle nostre corse in motocicletta “vento nei capelli”? –
attenzione, e con il casco come la mettiamo?).
Qui non servono molte parole, solo tanto esercizio. Fondamentale provare i
riffs con un metronomo o batteria elettronica, ma molto meglio se c’esercitiamo sul
disco (ops, sul CD).
Il primo prevede la nota bassa sonata con il pollice, a marcare il tempo forte, seguita
dalle altre note dell’accordo suonate una per volta da indice, medio e anulare in
senso ascendente o discendente. In questo caso il consiglio è di mantenere figure e
diteggiature le più possibili regolari, evitando di andare a seguire la melodia della
canzone, per il rischio di perdere efficacia ritmica.
Il secondo invece, molto usato nella musica sudamericana, prevede che il pollice
suoni la nota bassa, alternando sul levare accordi sulle tre corde più acute suonate
simultaneamente da indice, medio, anulare, strappati verso l’alto.
Vediamo un paio d’esempi.
Arpeggio in 4/4 (il movimento del pollice sul quarto beat introduce la misura
successiva)
Arpeggio in 6/8
Arpeggio in ¾ (Fabrizio de’ Andrè – La città vecchia – 1° verse)
Trova invece lontane radici nel folklore nord-americano e nel blues un ulteriore
approccio all’accompagnamento con le dita, il “Finger Picking”. Il verbo “to finger
pick” significa appunto “raccogliere con le dita” e esprime compiutamente la tipica
esposizione di questo stile, che prevede che il pollice vada a cogliere i bassi su corde
diverse, mentre le altre dita si occupano di accordi e melodia sul registro acuto.
Questo continuo pulsare del basso alternato suonato con regolarità dal pollice, in
origine andava ad imitare il movimento di basso suonato con la mano sinistra nel
pianoforte “Rag-time”.
Notiamo il movimento del pollice sui bassi (cfr. note con il “gambo” verso il basso).
CHET ATKINS – AUTUMN LEAVES:
…….ON LEAD GUITAR: MR VILORENZ!!!!
Finalmente è arrivato il gran momento: ora parliamo di chitarra solista!
Oppure, se preferiamo, di lead guitar! Non credo esista appassionato di musica di
taglia “over forty”(come me) che a suo tempo sia rimasto immune dal fascino
magnetico di certe foto di copertina dei dischi (rigorosamente vinili) e dai relativi
crediti che dicevano: “Jimi Hendrix: lead guitar”; “Eric Clapton: lead guitar”; “Duane
Allman & Dickey Betts: lead guitar”; “Franco Mussida: chitarra solista, classica,
acustica, mandolino, mandoloncello…(ma questa è un’altra storia).
E che dire degli anni successivi, con sugli scudi un certo Eddy Van Halen, o tale
Randy Rhoads? E poi Steve Vai, Joe Satriani, Yngwie Malmsteen? O per rimanere in
Italia i Sigg. Maurizio Solieri, Andrea Braido o Steve Burns (che ormai consideriamo
italiano acquisito!)?
Se torno con la mente ai primi approcci con la chitarra solista, ricordo che
tendevamo a dividere i chitarristi in due insiemi, completamente opposti: chitarristi
puliti, e chitarristi sporchi. Tra i primi potevamo annoverare, ad esempio, Carlos
Santana, oppure David Gilmour; tra i secondi Richie Blackmoore e Jimmy Page. Era
una divisione arbitraria e che ora fa sorridere per la sua ingenuità. Infatti chi ha
dimestichezza con pick ups ed amplificatori, ben sa che per ottenere il suono di
Santana i settaggi sono tutt’altro che puliti; analogamente, un approfondito studio
dell’opera del grande Jimmy Page rivelava una raffinatezza tutt’altro che “sporca”.
Sicuramente la divisione tendeva a sottolineare nel primo caso più che il timbro della
chitarra, l’intelligibilità, o la facilità di comprensione delle linee melodiche, mentre nel
secondo caso, la definizione andava a riferirsi al contesto sonoro tipico dell’hard
rock, dove le forti distorsioni e l’uso di pattern ossessivi (power chords e riff)
potevano giustificare l’impietoso aggettivo.
Bene! Iniziamo. Ascoltiamo più volte qualche semplice frase (un esempio per
tutte le stagioni: Sampa Pa Ti, del buon Carletto), cerchiamo di memorizzarla
mentalmente, e poi proviamo a “tirare fuori” le note dalla chitarra.
D’accordo – mi direte voi – ma come si fa? Esistono due modi. Il primo, molto
semplice ed usato da tutti, spesso con superbi risultati, prevede di trovare le note “ad
orecchio”, confrontando in pratica ogni singola nota suonata, con ogni nota della
canzone, magari canticchiando quest’ultima mentalmente (da qui la necessità di
memorizzare “il canto” delle frasi che vogliamo imparare).
Esempio: SAMBA PA TI
Giro armonico:
Am / / / G / / / Bm / / / Em / / /
ABCDEG D F# E ABCDEG D F# E
Notiamo che le note della frase della canzone sono tutte
comprese nella scala di Sol maggiore.
Mentre nei nostri primi tentativi ritmici il risultato sonoro emulava la grattugia,
ora è assai probabile che il timbro da noi ottenuto suoni pressappoco così: “stic,
stic,stic…”, cioè con note piuttosto sorde e slegate tra di loro. E’ un problema di
“dinamica” e di “tocco”.
Per quanto attiene la dinamica, iniziamo anche in questo caso a porre
attenzione al volume (inteso come forza impressa alla pennata suonando) ed agli
accenti, sperimentando varie soluzioni. Per quanto concerne invece il tocco, iniziamo
innanzi tutto a curare il modo in cui premiamo le corde con le dita della mano sinistra:
prestiamo attenzione di premere la corda immediatamente prima del tasto, non “sul”
tasto e neppure “nel bel mezzo” tra i due tasti. Il suono che esce dovrà essere bello
chiaro e privo di ogni smorzamento.
IL VIBRATO.
E’ un’azione tipica della mano sinistra, copiata pari dai violinisti, e si esplica,
ferma la posizione del polpastrello prima del tasto, nel movimento della mano
parallelo al manico (avanti ed indietro), oppure perpendicolare (su e giù). Il risultato è
duplice: da un lato l’azione di progressiva pressione e rilascio che si attua sulla
corda, nel punto in cui è premuta, si traduce in un prolungamento naturale del suono,
che decade più lentamente (sustain); dall’altro, dette vibrazioni conferiscono un
“colore” al suono ricco e appunto “vibrante”.
Si può attivare l’effetto lentamente, con movimenti ampi e regolari, o
velocemente, in modo secco e nervoso. Il risultato sarà ovviamente caratterizzato da
sfumature diverse, ma tutte assai efficaci.
Innanzi tutto premiamo un tasto con l’indice della mano destra; poi, prima che
la nota decada del tutto, percuotiamo a martelletto (da qui il nome di “hammer-on”) la
nota successiva, senza suonarla con la mano destra. Otterremo un suono
(attenzione, non al primo tentativo!) che sarà la diretta prosecuzione del precedente,
come se fosse appunto “legato”. Per fare un esempio, il risultato fonico sarà simile a
pronunciare “Va-o”, anziché “va-do”. Nel primo caso abbiamo una singola emissione
vocale, nel secondo una doppia.
Proviamo l’hammer-on prima su due tasti adiacenti, tenendo di base l’indice e
percuotendo con il medio. Poi proviamo su due note distanti un tono, fermo ancora
l’indice e giù con l’anulare. Poi su due note distanti un tono e mezzo (tre tasti) con un
movimento indice – mignolo (questo è difficile). Proviamo anche la distanza di mezzo
tono e di un tono tenendo come base il dito medio e percuotendo rispettivamente con
anulare e mignolo.
IL BENDING
Arriviamo infine al principe degli effetti suonati con la mano sinistra, il più
usato ed abusato, il più frizzante ed emozionante: il “bending” (letteralmente “tirare le
corde”).
L’influenza della “musica per neri”, con tutti i suoi derivati (boogie-woogie, rag-
time, rhythm & blues) nel rock’n’roll ed in tutte le derivazioni che sono giunte sino ad
oggi (hard, metal, punk, grunge ….) è qualcosa di ingombrante ed imprescindibile.
Basti pensare, per rimanere in un ambito chitarristico, al significato del lavoro dei vari
Clapton, Green, Taylor, Beck, Page etc e quanto abbiano attinto a questa fonte
intere generazioni di chitarristi.
A7 / / / A7 / / / A7 / / / A7 / / /
D7 / / / D7 / / / A7 / / / A7 / / /
E7 / / / D7 / / / A7 / (D7) / A7 / E7 /
A7 / / / D7 / / / A7 / / / A7 / / /
D7 / / / D7 / / / A7 / / / A7 / / /
E7 / / / D7 / / / A7 / (D7) / A7 / E7 /
PRIMO GRADO
QUARTO GRADO
QUINTO GRADO
Bene, nel blues, così come nel jazz, il secondo ottavo della battuta tende ad
avvicinarsi al beat successivo, creando quel tipico movimento incalzante (swing o
shuffle).
Nei due esempi la prima misura è indicata “straight”, mentre le successive tre
tentano di rappresentare lo “swing”. Nel primo caso il secondo battito ritarda un po’ di
più rispetto al secondo. Nella pratica, salvo qualche brano che presenta una metrica
rigorosamente terminata (cioè in 6/8 o in 12/8), il confine tra il primo approccio ed il
secondo è assolutamente indeterminato e difficile da trascrivere.
Per questo motivo, spesso lo shuffle non viene proprio trascritto sulle partiture,
preferendo una semplice indicazione in testa alla parte da eseguire con questa
intenzione (appunto “shuffle”, oppure “swing”, oppure = . ). Il compito di
interpretare adeguatamente la ritmica del brano viene in questo modo lasciato alla
sensibilità dell’esecutore.
IMPROVVISIAMO SULLE DODICI BATTUTE
LA SCALA PENTATONICA MINORE.
A C D (D#) E G A
I Iii IV Vb V Vii VIII
- “innanzi tutto, nella scala, il secondo step è costruito su una terza minore, mentre
sull’accordo è su una terza maggiore”.
Qui affrontiamo uno degli aspetti più caratteristici del blues: l’indeterminatezza
tonale di alcuni gradi della scala.
Nel blues il secondo step della scala (la terza) non sarebbe né maggiore, né
minore, ma si trova “circa “ alla metà (la famosa “Blue note”). Proviamo a suonare
una semplice sequenza A-C (intervallo di terza minore), suonando prima la nota
straight, poi una sequenza A-C# (terza maggiore), infine suonando nuovamente
A-C ma esercitando un piccolo bending, tirando in su o in giù leggermente la
corda, sul C. Capirete subito che cosa intendo dire.
• • • • V • • • • • •
• • V • • • • • • • • • • XII
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V • • • • • • • • • • • • •
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Godiamoci ad esempio questo bel lick, tratto dal finale di “Revival”, appunto
della ABB:
Riepilogo delle scale pentatoniche minori più usate.
Tonalità Am Em Bm F# C# Dm Gb Cm
Alterazioni 1# 2# 3# 4# 1b 2b 3b
in chiave:
I A E B F# C# D G C
Iii C G D A E F Bb Eb
IV D A E B F# G C F
V E B F# C# G# A D G
Vii G D A E B C F Bb
A E B F# C# D G C
Tonalità C G D A E F Bb Eb
Alterazioni 1# 2# 3# 4# 1b 2b 3b
in chiave:
I C G D A E F Bb Eb
II D A E B F# G C F
III E B F# C# G# A D G
V G D A E B C F Bb
VI A E B F# C# D G C
C G D A E F Bb Eb
DAL BLUES AL ROCK (…E RITORNO?)
Musicalmente il linguaggio rock (il roll lo abbiamo perso per strada), inizia a
indurirsi e a raffinarsi, proliferando in numerosi filoni diversi, a partire dall’Hard per
finire al jazz rock, attraverso psichedelica, progressive, fino all’epitaffio del punk.
In questa sede, è interessante approfondire come gli stilemi tipici del blues
che abbiamo già esaminato arrivano a connotare fortemente il rock’n’roll, soprattutto
nei suoi aspetti più duri e grintosi.
Innanzi tutto l’aspetto armonico tende a semplificarsi sia nello sviluppo delle
progressioni, che quasi invadono zone “modali”, sia nella struttura stessa degli
accordi, che si focalizzano nella forma del bicordo (power chord), quest’ultimo privo
della terza con relativa indeterminatezza del modo. La struttura delle canzoni
s’incentra pertanto nei riffs, che diventano il vero fulcro del linguaggio.
Proviamo innanzi tutto con delle belle pentatoniche, sia maggiori che minori e
vediamo come “stanno agli accordi”:
Dopo un po’ di tempo che si suona, scopriremo che gli accordi studiati negli
scorsi capitoli, sono , di per sè, piuttosto statici, o poveri musicalmente. Le cose
migliorano se impariamo ad usare correttamente le tetradi, cioè aggiungendo ad ogni
accordo la settima.
II • • •
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• II • • • •
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Accordi di nona:
Per ricavare gli accordi di nona, è sufficiente aggiungere alle tetradi che
abbiamo imparato la nota che troviamo sull’intervallo di nona (attenzione, che
secondo la posizione sulla scala naturale, possiamo avere una nona maggiore o
minore). Vediamo lo schema sotto riportato:
Tonalità di DO
C D E F G A B C D E F G A B C
Do Maj 7/9
(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima - nona)
C D E F G A B C D E F G A B C
Re Minore 7/9
(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min. - nona)
C D E F G A B C D E F G A B C
Mi Minore 7/9b
(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min – nona min)
C D E F G A B C D E F G A B C
Fa Maj 7/9
(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima - nona)
C D E F G A B C D E F G A B C
Sol Maggiore 7/9
(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima min. - nona)
C D E F G A B C D E F G A B C
La Minore 7/9
(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.- nona)
E’ una figura molto usata nel blues sull’accordo di dominante, per il suo
sapore dissonante (infatti, la nona aumentata, altro non è che una terza minore; per
contro l’accordo aveva già “in corpo” una terza maggiore; la nona aumentata, in
questo caso un G, trova giustificazione essendo il settimo grado dell’accordo di
tonica). L’accordo è chiamato anche “alla Hendrix”, dal nome di chi l’ha introdotto…
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• • • • IV •
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Gmaj7/9 A9 D9 E7/9#
III • • • • • • • •
• • • VII • •
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Divertiamoci ora con le prime battute di una canzone che prevede un uso
estensivo di accordi di nona:
E’ una famiglia di accordi un po’ strana, in quanto ogni nota è distanziata dalla
precedente di un tono e mezzo. E’ l’accordo instabile per eccellenza, ed è ottimo per
introdurre/sostituire qualsiasi accordo formato sulla tonica un semitono sopra o un
semitono sotto.
Cdim Cdim
x x x x
IV • •
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...UN TOCCO DI RAFFINATEZZA IN PIÙ.
Ora che abbiamo imparato un gran numero di posizioni sulla tastiera, e, mi
auguro, appreso il metodo per ricavare le giuste note per qualsiasi accordo,
cominceremo a trovare un po’ “pesante” il suonare linee di accordi pieni in
“strumming”, magari normalissime triadi. Ciò soprattutto se ci cimentiamo alla chitarra
elettrica, in gruppo con basso/batteria, e, al caso, con un tastierista.
Se lo strumming, infatti, trova una sua ampia giustificazione in determinate
situazioni, soprattutto in chiave ritmica, succede per contro che suonando in un
ensemble con altri musicisti, le frequenze prodotte dalla nostra chitarra si possono
scontrare con quelle prodotte da altri musicisti.
Innanzi tutto esistono alcune accordature che, una volta impostate, formano
un accordo preciso, maggiore o minore che sia, suonando tutte le corde a vuoto. Le
più usate sono SOL aperto (DGDGBD) – ottenuta, partendo dall’accordatura
standard, abbassando la sesta, quinta e prima corda di un tono; e RE aperto
(DADF#AD), che potrà essere ottenuta abbassando la sesta e la prima e la seconda
corda di un tono, e la terza di mezzo tono.
Sono molto usate anche nel country e nel folk europeo, musica celtica ed
altro. Si ascoltino al riguardo la canadese Joni Mitchell (Circe Game) oppure John
Renbourne (English dance) o, perché no, i Led Zeppelin in “That’s the way” o in
“Going to California” (tutti questi brani sono in “open G”, anche se talvolta trasposto
con un capotasto mobile o abbassando di mezzo tono o più). Un bell’esempio di
open E è l’acustica Little Martha, suonata da Duane Allman e Dicky Betts nel mitico
“Eat a Peach” della Allman Brothers Band.
E’ il caso della “Dropped D”, in pratica una standard con il mi basso portato a
re, accordatura usatissima e fortemente consigliata quando dobbiamo
accompagnare brani appunto nella tonalità di Re (interessante, con un po’ di
attenzione, anche in Sol); oppure la “Double Dropped D”, (DADGBD), meravigliosa
per suonare in Re in un contesto di accordi sospesi o indeterminati (Cfr. “Don’t let me
bring you down” di Neil Young o la mitica “Black Queen” di Steve Stills).
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