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Forma di Stato

Insieme di principi e regole fondamentali che caratterizzano un


ordinamento statale, che informano i rapporti tra autorità e libertà; tra lo
Stato come apparato titolare della coercizione legittima (‘governanti’) e i
governati.

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Forma di governo

Insieme delle regole che disciplinano la distribuzione del potere sovrano


fra gli organi di vertice dell’apparato statale.

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Nell’antichità si classificavano le forme di dominio politico, senza
distinguere tra forme di Stato e forme di governo.

La classificazione che ha dominato il pensiero politico per quasi duemila


anni è quella di Aristotele (IV sec. a.C.), il quale, sulla scorta di quanto
già affermato da Platone, distingue nel III e nel IV libro della Politica le
forme di governo a seconda del numero dei soggetti titolari della
sovranità, proponendo la nota tripartizione fra monarchia, aristocrazia,
politèia (rispettivamente governo di uno, di pochi, di molti).

Queste sono le forme ‘buone’ di governo, alle quali corrispondono quelle


‘degenerate’: tirannia, oligarchia, democrazia.
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Storicamente più recenti sono la classificazione operata da Machiavelli,
soprattutto ne Il Principe (1513), fra Principati e Repubbliche e quella di
Montesquieu ne L’esprit des lois (1748) fra governi monarchici, dispotici
e repubblicani (aristocratici o democratici).

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La distinzione fra Monarchia e Repubblica è stata a lungo proposta
come criterio fondamentale di classificazione delle forme di Stato, in
quanto poggiava su due contrapposti principi:

§ quello monarchico, che faceva del Re l’organo che personificava lo


Stato e aveva una legittimazione dinastica e non rappresentativa;
§ quello repubblicano, che concepiva il Capo dello Stato come uno
degli organi dello Stato, legittimato dalla volontà popolare e quindi
rappresentativo.

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Con l’affermarsi del principio repubblicano (XX sec.) e con la
trasformazione delle monarchie europee in monarchie parlamentari, la
distinzione non è più decisiva.

Non è in grado di fungere da discrimine fra quelle democrazie


contemporanee nelle quali l’esistenza di un capo dello Stato monarchico
o repubblicano non modifica la sostanza né della forma di Stato, né
della forma di governo.

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Fra i criteri distintivi oggi utilizzati per la definizione delle forme di Stato,
quello più comunemente adottato si rifà alle modalità di derivazione e di
gestione del potere politico e porta a una bipartizione delle forme di
Stato in due grandi categorie:
lo Stato democratico e lo Stato autocratico.

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§ Lo Stato democratico risulta fondato sulla titolarità collettiva e su un
esercizio ripartito del potere, su una modalità di formazione delle
decisioni basata sul consenso popolare e sulle finalità proprie di
un’ideologia liberaldemocratica.

§ Lo Stato autocratico è caratterizzato dalla titolarità ristretta e


dall’esercizio accentrato del potere, da una modalità di assunzione e
di attuazione delle decisioni basata sull’imposizione e da finalità
ispirate a ideologie antitetiche a quella liberaldemocratica.

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‘Autocrazia’ (= governo di uno) assorbe i concetti di dittatura, di regime
autoritario e totalitario.

La dittatura rappresenta la forma di concentrazione del potere nelle mani


di un organo, di solito monocratico, che si divide in due categorie
fondamentali: commissariale e sovrana (C. Schmitt).

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Dittatura commissariale.

Esperienza verificatasi a Roma fra il V e il III secolo a.C.: il dictator è un


magistrato straordinario nominato da uno dei consoli in circostanze
eccezionali, come la guerra o la sedizione interna, che esercita il
comando interno (imperium domi) ed esterno (imperium militiae).

È un potere legittimo e costituito, che ha come presupposto lo stato di


necessità.
Caratteristiche essenziali sono la temporaneità della carica e
l’eccezionalità dei poteri, con sospensione delle garanzie costituzionali.

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Dittatura sovrana.

Introduce una nuova costituzione attraverso l’esercizio di un potere


costituente. Vi è totale rottura con l’ordinamento costituzionale
preesistente.

Essa non deriva da uno stato di necessità eccezionale e contingente,


ma da una vera e propria crisi di regime e, pur presentando i caratteri
della temporaneità e della straordinarietà dei poteri, sfocia non nel
ripristino della costituzione, ma nell’instaurazione di una nuova forma di
Stato.

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Di regime autoritario si parla per le forme di dominio politico che si
fondano su una forte concentrazione del potere, un basso livello di
consenso e di mobilitazione popolare, l’uso della forza e la repressione
dell’opposizione.

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In senso più circoscritto, è ‘autoritaria’ la forma di Stato che si è
affermata in Europa fra le due guerre mondiali e ha avuto le sue
realizzazioni più significative nella Germania nazionalsocialista e
nell’Italia fascista, anche se si è prolungata fino alla metà degli anni ‘70
dello scorso secolo con il regime salazariano in Portogallo e quello
franchista in Spagna.

La stessa dizione viene spesso utilizzata per i regimi autocratici


dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.

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Il regime totalitario ha caratteristiche che lo distinguono da quello
autoritario.

Il termine ‘totalitarismo’ è stato riferito a esperienze diverse: al regime


fascista, i cui teorici hanno usato tale espressione per indicare
l’aspirazione dello Stato a occuparsi di ogni aspetto della vita sociale,
ma soprattutto al regime nazionalsocialista della Germania e a quello
comunista dell’Unione sovietica.

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Caratteristiche:

1. proclamazione di un’ideologia ufficiale dello Stato che viene inculcata


nelle coscienze dei singoli mediante l’uso manipolato della cultura,
dell’informazione e della propaganda;
2. fonte suprema del potere è il partito unico, i cui organi, anche se
distinti da quelli dello Stato, si sovrappongono di fatto a questi;
3. capo carismatico, che è alla guida del partito e ne incarna l’ideologia
ufficiale come personificazione stessa del potere;

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4. mobilitazione permanente delle masse, realizzata mediante
un’organizzazione capillare e coattiva della società, e sulla costante
ricerca del consenso popolare tramite metodi di tipo plebiscitario e
che non consentono reali alternative;
5. struttura di tipo poliziesco che prevale su quella militare e utilizza le
armi della delazione e della provocazione contro i ‘nemici’ reali o
presunti.

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L’esperienza storica restituisce una pluralità di modelli di forme Stato:

§ l’ordinamento feudale
§ lo Stato assoluto
§ lo Stato liberale
§ lo Stato autoritario
§ lo Stato socialista
§ lo Stato democratico

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L’ordinamento feudale.

Non è tecnicamente una forma di Stato, posto che quest’ultima


espressione si può utilizzare a partire dalla nascita degli Stati-nazione
(XIV secolo).

Si fonda su un tessuto sociale costituito da comunità di ridotte


dimensioni e isolate l’una dall’altra.

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Vi è una totale identificazione fra la persona fisica del Signore (o del Re)
e la proprietà privata della terra, da un lato, e il potere esercitato sulle
masse contadine, dall’altro.

Ha una finalità non pubblicistica, ma incentrato sulla salvaguardia e


sull’incremento della proprietà terriera del Signore/Re.
Si fonda su rapporti di tipo privatistico-contrattuale.

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La sovranità del Signore/Re è puramente teorica, in quanto ogni feudo
costituisce un ordinamento autonomo posto sotto la iurisdictio del
singolo feudatario.

Non vi è, poi, un unico ordinamento sovrano, posto al di sopra degli


altri, ma una pluralità di ordinamenti autonomi (Chiesa, comunità
urbane, terre comuni, etc.).

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Lo Stato assoluto.

Si sviluppa in Europa dalla seconda metà del XIV secolo e costituisce


storicamente la prima forma di Stato, in quanto si identifica con la
nascita dello Stato-nazione (Francia, Inghilterra e Spagna).

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Nasce uno Stato-apparato, separato dalla società, che persegue in
nome e per conto del Re fini di tipo pubblicistico.

§ Corpo amministrativo-burocratico
§ Esercito permanente
§ Esazione dei tributi

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Il potere è accentrato nelle mani del Monarca, ma non in modo rigido
come avviene nei regimi autocratici: continuano a operare ordinamenti
autonomi (es., Chiesa) e corporativi (es., gilde mercantili) presenti nella
società feudale, pur se assoggettati al principio di autorità.

Il potere del Re è di origine divina e si trasmette per via ereditaria.


La rappresentanza, nelle prime Assemblee legislative, è un rapporto di
tipo privatistico (non esiste un concetto come quello odierno del ‘divieto
di mandato imperativo’).

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Lo Stato assoluto si configura assai distintamente in Inghilterra e
nell’Europa continentale:

§ in Inghilterra il principio assolutistico non si afferma mai


compiutamente;
§ nell’Europa continentale (soprattutto in Francia) l’assolutismo trionfa,
con una netta frattura sociale e politica tra aristocrazia e borghesia.

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Lo Stato liberale.

Nasce dalla crisi dello Stato assoluto per motivazioni finanziarie


(eccessivo costo dello Stato-apparato), economico-sociali (rivoluzione
industriale e crescita del ceto borghese), politiche (necessità per la
borghesia di conquistare il potere politico).

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In Inghilterra lo Stato liberale si afferma molto presto, in seguito alle due
rivoluzioni del 1649 e del 1688-89, ma senza forti traumi politici e
sociali.

Negli Stati Uniti d’America lo Stato liberale si afferma in maniera


‘naturale’, a seguito della vittoria nella guerra d’indipendenza e la
successiva redazione della Costituzione di Philadelphia (1787): la
società di uomini liberi è il punto di partenza dell’ordinamento
statunitense.

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In Francia il passaggio allo Stato liberale avviene in forme traumatiche e
violente, in seguito a un conflitto di tipo rivoluzionario dove stanno la
borghesia, da un lato, e la nobiltà e il clero dell’Ancien Régime,
dall’altro.

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Lo Stato liberale distingue nettamente tra sfera pubblica (che ha per
oggetto il mantenimento dell’ordine e l’uso della forza) e sfera privata
(dove stanno principalmente i rapporti economici, tanto che si parla di
‘Stato non interventista’).

Nella sfera pubblica, gli organi del pubblico potere esercitano


legittimamente e legalmente la forza di imperio per assicurare il
mantenimento dell’ordine contro i pericoli interni ed esterni allo Stato. La
sfera privata rappresenta, invece, una dimensione nella quale l’individuo
è sovrano.

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Lo Stato ‘lascia fare’, ma, all’occorrenza, non tralascia di intervenire
attraverso l’uso legale della forza (del quale ha il monopolio), quando
ciò sia necessario per contenere le forme più esasperate di protesta
sociale, quando si tratti di limitare i diritti dei singoli in nome
dell’interesse generale, quando si intendano rafforzare gli interessi
economici della Nazione anche attraverso politiche di espansione
coloniale.

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Titolare della sovranità è la Nazione, intesa come entità unitaria e
indivisibile e che trascende la volontà dei singoli.

Tuttavia, la sovranità diviene in concreto o sovranità di Stato (esercitata


dallo Stato come persona giuridica, concetto sviluppatosi soprattutto in
Germania e Italia), o sovranità del Parlamento (Francia e Inghilterra).

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La separazione dei poteri è uno dei principi cardine dello Stato liberale.

In particolare, l’indipendenza del potere giudiziario si impone


naturalmente nei Paesi di common law, trovando fondamenta nell’attività
normativa svolta dai giudici.

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Altro principio cardine è quello della rappresentanza politica, non più di
stampo privatistico: la Nazione può operare solo tramite rappresentanti,
chiamati a curare finalità generali.

Le elezioni diventano uno strumento fondamentale; viene sancito il


divieto di mandato imperativo.

Resta comunque fermo il fatto che lo Stato liberale è uno Stato


‘monoclasse’, perché il suffragio è basato sul censo o sul reddito degli
elettori, escludendo così dal voto la grande maggioranza del popolo.

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Con lo Stato liberale cominciano ad affermarsi i diritti di libertà.

Diritti civili (diritti della persona considerata nella sua individualità) e


libertà negative (o ‘libertà da’, primo su tutti il diritto di proprietà).

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Grande conquista dello Stato liberale è, infine, la costituzione, quale atto
fondamentale che assicura la garanzia dei diritti e garantisce la
separazione dei poteri.

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Lo Stato autoritario.

In senso stretto, il termine è applicato ai regimi europei fra le due guerre


mondiali (Italia e Germania su tutti).

Nasce come risposta alla crisi dello Stato liberale, con base di massa
rappresentata dalla piccola borghesia, un’ideologia illiberale e un
sistema di potere autocratico.

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Lo Stato socialista.

Si afferma in Russia in seguito alla rivoluzione del 1917 e si consolida a


partire dal 1922 nell’URSS.
Dopo la seconda guerra mondiale si è esteso a numerosi Paesi
dell’Europa centro-orientale, dell’Asia (in particolare con la creazione
della Repubblica popolare cinese nel 1949) e a Cuba (dopo la
rivoluzione castrista del 1959).
Oggi ancora ispira vari Stati asiatici (Corea del Nord, Laos, Vietnam).

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Anche lo Stato socialista nasce in risposta alla crisi dello Stato liberale,
assumendo alcune caratteristiche analoghe a quelle dello Stato
autoritario (partito unico, concentrazione e personalizzazione del potere,
negazione dei diritti civili e dei diritti politici).

Se ne differenzia per il fatto che lo Stato socialista impone un modo di


produzione collettivistico (statalizzazione dei mezzi di produzione) e per il
fatto che l’ideologia è anch’essa collettivistica, oltre che classista
(‘dittatura del proletariato’) e internazionalistica.

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Il principio della separazione dei poteri viene apertamente rifiutato in
nome dell’opposto principio dell’unità del potere statale.

Lo Stato funziona attraverso il principio della c.d. doppia dipendenza: i.


ogni organo del potere statale dipende orizzontalmente dal rispettivo
corpo elettorale e verticalmente dall’organo di livello superiore (fino a
giungere al Parlamento) e ii. ogni organo dell’amministrazione statale
dipende orizzontalmente dall’organo parlamentare che lo ha eletto e
verticalmente dall’organo superiore (fino a giungere al governo centrale).

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Viene espressamente sancito il principio del mandato imperativo, con la
conseguente revocabilità degli eletti da parte dei propri elettori.

La rappresentanza è unitaria, poiché chiamata a esprimere unicamente


gli interessi unitari del popolo.

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Il principio che regola il funzionamento del partito unico e dell’intero
apparato statale è quello del centralismo democratico.

1. Ogni organo è eletto ed è responsabile verso i propri elettori.

2. Le decisioni degli organi di livello superiore sono vincolanti per quelli


inferiori.

3. La linea approvata dalla maggioranza deve essere disciplinatamente


attuata.

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Lo Stato democratico.

Nasce dalla crisi dello Stato liberale, seppur ponendosi in un rapporto di


continuità con esso: fa propri principi e istituti di matrice liberale.

Non mancano però elementi di discontinuità, come l’estensione di diritti


e libertà a ceti sociali prima esclusi e l’introduzione di nuovi valori e
istituzioni (in Paesi come Italia e Germania, poi, la discontinuità è
storico-pratica, atteso il passaggio intermedio dello Stato autoritario).

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Due innovazioni fondamentali:

§ a livello economico, lo sviluppo del capitalismo in senso


monopolistico determina l’esigenza di un intervento regolatore dello
Stato;
§ a livello politico-sociale, nascono i moderni partiti di massa, in grado
di dare rappresentanza a tutte le classi sociali.

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L’azione delle nuove forze politiche e sociali spinge lo Stato ad avviare
iniziative volte a regolamentare l’economia di mercato: viene tutelata la
libertà di concorrenza, ma l’iniziativa economica privata non deve
contrastare con i primari interessi sociali e deve garantire il rispetto della
dignità della persona umana.

Lo Stato si prefigge la redistribuzione della ricchezza in modo da


realizzare l’eguaglianza sostanziale e la giustizia sociale. Sotto questo
profilo, lo Stato democratico viene qualificato come Stato sociale o
Stato del benessere (Welfare State).

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Il principio di separazione dei poteri subisce una serie di modificazioni
rispetto alla sua formulazione nello Stato liberale:

§ si moltiplicano le funzioni statali non riconducibili alle tre tradizionali


(es., revisione costituzionale);
§ si affermano nuovi poteri costituzionali che non rientrano in nessuno
dei tre tradizionali (es., corti costituzionali);

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§ sono riconosciuti a legislativo soggetti che non fanno parte di nessuno
dei tre poteri tradizionali – perché indipendenti dal potere politico – ma
che esercitano funzioni di tipo amministrativo, normativo e a volte
giurisdizionale (es., autorità amministrative indipendenti);

§ si verificano numerose interferenze fra i poteri, con il superamento di


una concezione di esclusività (es., attività normativa dell’esecutivo);

§ assumono un ruolo fondamentale soggetti esterni allo Stato-


apparato, come i partiti politici.

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Nello Stato democratico si affermano nuove categorie di diritti che si
configurano come libertà positive (‘libertà di’), posto che per la loro
realizzazione è necessario un intervento dello Stato: i diritti politici (diritto
di voto, libertà di associazione politica, etc.) e i diritti sociali (diritto al
lavoro, diritto all’istruzione, diritto alla salute, etc.).

I diritti devono essere declinati tenendo conto di un principio di


uguaglianza sia formale (pari accesso al godimento dei diritti e divieto di
discriminazioni arbitrarie), sia sostanziale (parità delle posizioni di
partenza e rimozione degli ostacoli).

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