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In s e g n a re

il lessico
Collana Al servizio degli insegnanti
a cura di
Telis Marin

Collana ad accesso gratuito


per gli insegnanti di italiano a stranieri
In s e g n a re
il lessico
Collana Al servizio degli insegnanti
a cura di
Telis Marin

Collana ad accesso gratuito


per gli insegnanti di italiano a stranieri
Collana Al servizio degli insegnanti
Collana ad accesso gratuito per gli insegnanti di italiano a stranieri
Questo volume, curato da Telis Marin, è stato realizzato dai seguenti autori:
Paolo E. Balboni
Fabio Caon
Mario Cardona
Giuseppe Caruso
Moira De Iaco
Francesca Della Puppa
Bruna Di Sabato
Francesca Gallina
Eva M. Hirzinger-Unterrainer
Elisabetta Jafrancesco
Matteo La Grassa
Giuseppe Maugeri
Elena Monami
Antonio Perri
Graziano Serragiotto
Camilla Spaliviero

© Copyright edizioni Edilingua


Sede legale
Via Giuseppe Lazzati, 185 00166 Roma Grazie all’adozione di
questo libro, Edilingua
Tel. +39 06 96727307 adotta a distanza dei
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I edizione: ottobre 2022


ISBN E-book: 979-12-5980-154-8
Redazione: Antonio Bidetti, Sonia Manfrecola
Impaginazione e progetto grafico: Edilingua

Ringraziamo sin d’ora i lettori e i colleghi che volessero farci pervenire eventuali suggerimenti, segnalazioni
e commenti sull’opera (da inviare a bidetti.redazione@edilingua.it).
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rizzazione, anche digitale su supporti di qualsiasi tipo, la sua trasmissione sotto qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, così
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eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.
Introduzione

Introduzione alla Collana Al servizio degli insegnanti


di Telis Marin

Da decenni Edilingua produce materiali per l’insegnamento dell’italiano, ed è questa parte


della sua attività che l’ha resa una presenza significativa nel mondo della glottodidattica
dedicata alla nostra lingua.
Da altrettanti anni Edilingua si occupa anche di formazione degli insegnanti, attraverso
a. la collana Formazione, in cui sono comparsi 7 volumi di riflessione glottodidattica;
b. la collana dedicata alla DITALS, la certificazione didattica diretta da una personalità
dell’italianistica, Pierangela Diadori, che collabora con Edilingua anche come autrice;
c. la rivista Italiano a stranieri, che viene distribuita durante gli eventi a cui Edilingua
prende parte o che viene inviata gratuitamente a enti, associazioni o scuole che ne
fanno richiesta. La rivista è anche disponibile sul sito Edilingua tra i materiali per la
formazione dei docenti e può essere scaricata in formato Pdf.
Con questa nuova collana Edilingua compie uno sforzo ulteriore, poiché offre gratuita-
mente ai docenti di italiano una serie di volumi di autoformazione pensati specificamente
per gli insegnanti, non per il mondo accademico o per i centri di ricerca. In questi manuali
gli insegnanti possono trovare:
a. alcuni saggi che delineano le coordinate concettuali relative al tema del volume;
b. alcuni interventi di carattere operativo, pensati per una applicazione diretta in classe;
c. una guida bibliografica in cui sono evidenziati gli studi accessibili gratuitamente;
d. una antologia di scritti sul tema del volume apparsi in riviste e libri, regalati a questa
collana dagli autori e dagli editori, che ringraziamo per essersi messi, insieme a noi, Al
servizio degli insegnanti.

Volumi realizzati:
ͳͳ Insegnare la Civiltà italiana con la ‘C’ maiuscola (2020)
ͳͳ Insegnare la grammatica (2021)
ͳͳ Insegnare il lessico (2022)

Volumi in progetto o in via di realizzazione:


ͳͳ Se non si capisce non si impara: sviluppare la comprensione in classe
ͳͳ L’insegnante di qualità: come può formarsi e autoformarsi
ͳͳ Valutare la competenza, analizzare e correggere gli errori

Insegnare il lessico 3
Indice
Introduzione alla Collana Al servizio degli insegnanti 3

Indice 4

Introduzione - La grammatica è definita, il lessico è infinito:


questo è il problema (Telis Marin) 7

Parte I - I concetti 9
1. Il lessico mentale. Note tra psicolinguistica e linguistica educativa
(Mario Cardona e Moira De Iaco) 11
2. L’insegnamento del lessico italiano a stranieri
(Francesca Gallina) 25
3. Il problema del lessico nei materiali autentici
(Elisabetta Jafrancesco) 33
4. Sviluppare la competenza lessicale con le tecnologie digitali:
alcune indicazioni
(Matteo La Grassa) 45
Approfondimenti bibliografici 54

Parte II - Le attività 59
5. Alcune attività per l’acquisizione del lessico
(Paolo E. Balboni) 61
6. Il lessico specialistico nella metodologia CLIL
(Giuseppe Maugeri e Graziano Serragiotto) 72
7. Giocare con il lessico
(Fabio Caon) 81
8. Come affrontare il lessico sofisticato della letteratura
(Camilla Spaliviero) 95

4
Indice

9. “Dimmi cosa mangi…”. Lessico alimentare e alterità culturale


nel mondo contemporaneo
(Bruna Di Sabato, Antonio Perri) 103

Parte III - Antologia 113


10. Il lessico della conoscenza e la didattica dell’italiano a stranieri
(Francesca Gallina) 115
11. Il lessico degli insegnanti dei corsi di italiano L2 rivolti
a immigrati adulti
(Matteo La Grassa) 121
12. Studenti internazionali in mobilità: la questione del lessico
della conoscenza in italiano L2
(Francesca Gallina) 131
13. Gli idioms: un aspetto centrale della competenza lessicale
(Mario Cardona) 144
14. Insegnare il lessico: l’opinione dei docenti e le indicazioni dei sillabi
(Matteo La Grassa) 151
15. 
Mobile learning nella classe d’italiano L2. Imparare il lessico con i podcast
(Eva M. Hirzinger-Unterrainer) 161
16. 
Parole: Questioni di lessico del docente nativo
e non nativo di italiano a stranieri
(Giuseppe Caruso, Elena Monami) 174
17. 
Arricchimento del lessico di italiano L2. Tecniche per la classe
ad abilità differenziate
(Francesca Della Puppa) 189

Insegnare il lessico 5
Introduzione

Introduzione
di Telis Marin

La grammatica è definita, il lessico è infinito: questo è il problema


Il titolo sintetizza il problema fondamentale: il lessico è un complesso magmatico, in con-
tinua ridefinizione ed evoluzione, con innovazioni sistematiche e altre che invece durano
una stagione, con parole che in pochi anni diventano obsolete; è legato in molti casi alla
valutazione di chi usa le parole (‘talvolta’ è sinonimo pieno di ‘raramente’ o è più frequen-
te? È orientato positivamente mentre ‘raramente’ è più negativo?) e con una dimensione
emozionale legata a sfumature minime (‘gattaccio’ è negativo o affettivo a seconda della
lieve differenza nell’inflessione di chi lo dice); soprattutto, e questo riguarda anche stu-
denti A1-2, ha un forte impatto sulla formalità/informalità/volgarità (chi impara l’italiano
in Italia è esposto a un uso di ‘cazzo’ e derivati che certo non c’è nei manuali per chi studia
italiano nel mondo).
Insegnare un elemento complesso e mutevole è molto più complicato che insegnare la
morfologia, ben definita e con un numero finito di casi, e la sintassi, più complessa e va-
riabile, ma comunque sempre costituita da un numero fisso di ‘regole’, come abbiamo
visto nel secondo volume di questa collana di strumenti gratuiti per l’autoformazione dei
docenti di lingue.
Abbiamo quindi chiesto a studiosi specializzati nella didattica del lessico di scrivere due
tipi di saggi, da un lato una riflessione generale e dall’altro delle indicazioni operative:
senza la dimensione operativa la riflessione fine a se stessa è poco utile, e senza una ri-
flessione teorica gli scritti operativi si trasformano in ricettari, che non fanno crescere la
professionalità ma solo il praticantato.
C’è poi una rassegna bibliografica sulle pubblicazioni italiane relative alla didattica del les-
sico, e un’antologia di saggi comparsi in varie riviste e volumi, che ci paiono utili in un
percorso di autoformazione.
Ringrazio tutti questi collaboratori, che hanno offerto gratuitamente agli insegnanti di tut-
to il mondo le loro conoscenze e la loro professionalità.

Insegnare il lessico 7
PARTE I

I CONCETTI
Parte I - Capitolo 1

1. Il lessico mentale.
Note tra psicolinguistica e linguistica educativa
Mario Cardona e Moira De Iaco
Università degli Studi di Bari

1.1. Una definizione


Con la definizione di lessico mentale1 ci si riferisce in genere, metaforicamente, ad uno
spazio mentale, un “contenitore” che raccoglie al suo interno i significati e i concetti relativi
alle parole che un individuo ha appreso e memorizzato nel corso della sua vita. Una sorta di
human-word store spesso riferito a una specie di mental dictionary (Aitchison 2003: 10) o,
come osserva Hulstijin: the memory system in which knowledge of a vast number of words,
accumulated in the course of time, has been stored (1997: 2010). Sotto il profilo funzionale,
il lessico mentale svolge un ruolo determinante nella struttura del linguaggio umano. Esso,
infatti, si colloca al centro di due processi fondamentali: l’analisi acustico-fonetica dell’input
verbale e la sua rappresentazione morfosintattica e semantica. Come osserva Merslen-Wil-
son (1989: 4) il primo processo riguarda le form-based functions and processes, ossia il pro-
cesso di codifica e mappatura dell’input in relazione ad una determinata rappresentazione
corrispondente nel lessico mentale. Il secondo processo riguarda invece le content-based
functions and processes, ossia, l’integrazione dell’input ai più alti livelli di elaborazione del
sistema concettuale in cui le informazioni sintattiche e semantiche si integrano nella rap-
presentazione concettuale della parola. Rappresentazioni lessicali e processi cognitivi sono
dunque due aspetti integrati del lessico mentale, il quale è costituito da un insieme artico-
lato di processi che coinvolgono diversi aspetti e livelli del linguaggio. Di conseguenza, a se-
conda dei modelli, dei metodi di indagine utilizzati, si sono proposte definizioni del lessico
mentale diverse e a volte parziali, a seconda degli approcci psicolinguistici, neurolinguistici
o neurobiologici adottati. Forse la definizione più omnicomprensiva è stata avanzata da Ja-
rema e Libben nel saggio The Mental Lexicon: Core Perspectives in cui gli autiri propongono
la seguente definizione: “The mental lexicon is the cognitive system that constitutes the
capacity for conscious and unconscious lexical activity.” (2008: 2).

1.2. Lessico ed educazione linguistica


Sotto il profilo della linguistica educativa, la conoscenza dell’organizzazione del lessico men-
tale sia nella lingua madre che nella seconda lingua (Second language mental lexicon) e nei
soggetti bilingui (Bilingual mental lexicon) è fondamentale per un approccio metodologico
consapevole all’insegnamento del lessico. Comprendere la natura e l’organizzazione del
lessico mentale è, infatti, la premessa necessaria per predisporre attività didattiche che

1 La definizione di lessico mentale (Mental Lexicon) è stata introdotta negli anni Sessanta del secolo scorso, in particolare
nell’articolo di Oldfield “Things, Words and the Brain” (1967).

Insegnare il lessico 11
rispettino i naturali processi cognitivi che presiedono all’acquisizione e all’organizzazione
delle parole. Nella lingua greca antica λέξις signifca parola, che nel senso ampio di “parole
appartenenti a una lingua” diviene in inglese vocabulary; mentre λεξικόν significa dizio-
nario (Singleton 2000). Ora, si potrebbe immaginare che mental lexicon si riferisca ad un
dizionario mentale delle parole. Tuttavia, tale definizione non deve trarre in inganno, in
quanto l’organizzazione del lessico mentale è ben lontana dal possedere le caratteristiche
di un dizionario. D’altronde ciò risulta evidente se si prendono in considerazione alcuni
aspetti. In primo luogo, si deve osservare che un adulto scolarizzato possiede circa 50.000
parole nella propria lingua madre (Aitchison 2003). Si consideri, in secondo luogo, la veloci-
tà con la quale gli esseri umani sono in grado di verbalizzare pensieri, intenzioni, sentimenti
sia a livello endofasico che nell’interazione quotidiana. Si calcola, infatti, che un individuo
articoli mediamente 15 suoni al secondo (Levelt 1989), oppure circa 6 sillabe al secondo
(Lenneberg 1967). Marslen-Wilson e Tylor (1980) hanno dimostrato in un esperimento che
un parlante codifica una parola della propria lingua madre in circa 200 millisecondi (ossia a
volte in un tempo inferiore alla sua intera pronuncia). Da queste osservazioni emerge con
evidenza che il lessico mentale deve possedere una natura ed un’organizzazione funzionale
all’utilizzo di un gran numero di parole in tempi molto brevi. Come osserva Aitchison (2003:
9), “the large number of words known by humans and the speed with which they can be
located point to the existence of a highly organized mental lexicon”.

1.3. Dalla parola al concetto


Per comprendere la funzione del lessico mentale è possibile descrivere due diverse di-
mensioni. Da un lato il processo che associa nel lessico mentale una forma (costituita da
una stringa di grafemi o fonemi) ad un significato e il processo che mette in relazione la
parola che veicola tale significato con la sfera profonda in cui sono organizzati i concetti a
cui le parole rinviano. Tali processi sono sintetizzati nella fig. 1.

PAROLA

significato lessico
mentale

forma

enciclopedia
CONCETTI mentale

fig. 1. Cardona, De Iaco 2020: 47

12
Parte I - Capitolo 1

È importante notare che nel processo di apprendimento del lessico di una lingua straniera
si formano nuove entrate lessicali corrispondenti a nuove parole e nuovi significati che,
tuttavia, afferiscono nella mente ad un unico sistema concettuale. Nella lingua materna la
relazione tra lemma e rappresentazione concettuale corrispondente è molto forte, men-
tre nella lingua seconda o straniera nelle fasi iniziali di apprendimento tale rapporto è me-
diato dal significato corrispondente nella lingua madre. Come si può osservare nella figura
2, le linee tratteggiate e continue definiscono tale processo. È evidente che nella relazione
interlinguistica non sempre i significati tra due lingue sono sovrapponibili o corrispondo-
no. La competenza lessicale, dunque, dipende dal grado di sviluppo del rapporto diretto
tra la nuova entrata lessicale e la relativa rappresentazione concettuale. Più tale relazione
si consolida e diventa indipendente dalla mediazione della lingua madre, più aumenta, di
conseguenza, il grado di fluency nella lingua di studio.

lexical links
L1 L2

conceptual links

concepts

fig. 2. Kroll 1993: 54

1.4. Conoscere una parola


In ambito glottodidattico, per comprendere l’organizzazione del lessico mentale e la sua
funzione nell’apprendimento linguistico è importante definire cosa significhi conoscere
una parola e quali siano gli aspetti che costituiscono le basi della competenza lessicale.
È necessario stabilire quando una parola può considerarsi appresa e integrata con le co-
noscenze semantico-lessicali già presenti nella memoria. Nation (2001), propone quattro
aspetti fondamentali: forma, posizione, funzione, significato. Innanzitutto, è necessario
conoscere gli aspetti relativi alla forma della parola e dunque alle sue caratteristiche fo-
nemiche e grafemiche. Una parola possiede, inoltre, una posizione in base al ruolo gram-
maticale che essa assume all’interno della frase e che ne determina specifiche caratteri-
stiche morfosintattiche. Le parole non vivono da sole, ma possono co-occorrere con alta
frequenza formando assieme ad altre parole unità lessicali e collocazioni. Esse possono
inoltre formare unità lessicali più o meno fisse come nel caso delle forme idiomatiche,
delle espressioni routinizzate della lingua, ecc. Forma e posizione determinano il ruolo
della parola sul piano sintagmatico.

Insegnare il lessico 13
La competenza lessicale prevede, inoltre, altri due livelli di conoscenza di una parola, so-
prattutto sotto l’aspetto funzionale, pragmatico e comunicativo. In primo luogo, un lemma
possiede un certo grado di frequenza all’interno del patrimonio lessicale di una determi-
nata lingua. Il significato di una parola può, infatti, appartenere ad un lessico di alta, media
o bassa frequenza. In secondo luogo, una parola può risultare più o meno appropriata in
funzione del contesto socio-pragmatico in cui avviene lo scambio comunicativo. La scelta
del registro linguistico adeguato è uno degli aspetti più importanti negli approcci didattici
orientati allo sviluppo della competenza comunicativa. Il quarto aspetto è relativo al signi-
ficato e ai rapporti di significato che una parola possiede all’interno del lessico, in partico-
lare in relazione al sistema concettuale. A questo livello la competenza lessicale riguarda
la dimensione semantico-concettuale e l’organizzazione del lessico mentale. Tanto più la
parola è inserita nelle reti semantiche e negli schemi concettuali tanto più essa è stabil-
mente rappresentata nel lessico mentale. Lo schema seguente (Nation 2001: 23) illustra
gli aspetti coinvolti nella conoscenza di una parola.

FORM

Spoken form r What does the word sound like?


p How is the word pronounced?
Written form r What does the word look like?
p How is he word written and spelt?
POSITION

Grammatical r In what patterns does the word occur?


position p In what patterns must we use the word?
r What words or types of words can be expected before or after
Collocation p the words?
What words or types of words must we use with this word?
FUNCTION

Frequency r How common is the word?


p How often should the word be used?
Appropriateness r Where would we expect to meet this word?
p Where can this word be used?
MEANING

Concept r What does this word means?


p What word should be used to express this meaning?
Association r What other words could do this word make us think of?
p What other words could be used instead of this one?
r = receptive p = productive knowledge

14
Parte I - Capitolo 1

1.5. Organizzazione del lessico mentale


A partire soprattutto dalla seconda metà del Novecento, diversi studi hanno indagato la
struttura del lessico mentale con l’obiettivo di comprendere come si organizzano le parole
di una lingua e le informazioni che le concernono all’interno della mente. Essi hanno ten-
tato di chiarire:
a. se le differenti funzioni cognitive che presiedono la competenza lessicale vengano svol-
te da un unico sistema o da più sistemi, quali un sistema ricettivo che gestisce l’entrata
lessicale nella forma scritta e in quella orale e un sistema produttivo che si occupa
dell’uscita del lessico nelle due diverse forme;
b. se tali sistemi siano dotati di sottosistemi che immagazzinano e processano informazio-
ni di tipo fonologico, ortografico, sintattico e semantico;
c. se il lessico di una L2 e quello di una LS vengano archiviati nello stesso sistema o negli
stessi sistemi della L1 o se per essi vengano attivati dei sistemi temporanei o permanenti.
A tali interrogativi hanno risposto due diverse visioni: il modularismo e il connessionismo.
Secondo la teoria modulare (Fodor 1983), i processi mentali costituiscono dei moduli di-
stinti, separati e con un’organizzazione isomorfica alla struttura neurologica del cervello. La
mente risulta dunque strutturata in sistemi di input che processano in modo meccanico le
informazioni sensoriali registrate dai trasduttori e inviano le rappresentazioni di tali input ai
sistemi centrali, i quali li utilizzano per svolgere funzioni cognitive superiori. Entro tale pro-
spettiva il lessico mentale è un modulo a cui corrispondono precise connessioni neuronali.
Il modularismo riprende ed estremizza la concezione innatista di Chomsky (1965), secondo
il quale alla base dell’acquisizione del linguaggio vi è un dispositivo mentale connaturato
all’essere umano, il Language Acquisition Device (LAD), costituito da un numero finito di
regole che sono le strutture universali innate deputate all’elaborazione linguistica.
Il connessionismo nega che vi sia una corrispondenza tra un modulo cognitivo e una preci-
sa struttura neurale sostenendo, invece, che una funzione cognitiva richieda l’attivazione
a rete di diverse aree neurali. L’idea alla base della teoria modulare che vi sia isomorfismo
tra strutture cognitive e strutture neurologiche prevede che ad ogni modulo cognitivo cor-
risponda una sola area neurologica e che alla connessione tra moduli cognitivi corrisponda
la connessione tra le rispettive aree neurologiche (Sartori 1984: 93). Tale isomorfismo è
stato però messo in discussione dagli studi clinici che hanno dimostrato come, in alcuni
casi, in presenza della lesione di un’area neurologica si manifestino sintomi diversi, mentre
in altri a uno stesso sintomo corrispondono lesioni in aree neurologiche diverse.
Secondo il paradigma connessionista, corroborato da diversi studi neuropsicologici, le stes-
se aree neurologiche intervengono in molteplici funzioni cognitive, partecipando alle fun-
zioni con differenti livelli di attivazione. Pertanto, la mente, piuttosto che strutturarsi in
moduli disconnessi tra loro che si attivano in modo sequenziale o parallelo, si configura in
reti di connessione con differenti gradi di attivazione in base alla funzione cognitiva da svol-
gere. Grazie alla plasticità neuronale (Denes 2016), tali reti di connessione si modificano
nel tempo adattandosi all’esperienza e all’apprendimento accumulati da ciascun individuo.
In presenza di nuovi input, la mente cerca di processarli ricorrendo alle reti di connessione
già attive, ma qualora queste dovessero rivelarsi insufficienti o inadeguate, allora verranno
configurate nuove reti di connessione o verranno riconfigurate quelle già presenti.
Insegnare il lessico 15
Dal punto di vista connessionista, la competenza lessicale non viene archiviata e messa in
funzione da uno specifico modulo cognitivo denominato ‘lessico mentale’, ma dipende da
diversi sistemi cognitivi che interagiscono per svolgere attività linguistiche come leggere,
parlare, coniugare i verbi, ecc.

1.6. I modelli modulari


Sulla base della concezione modulare della mente sono stati elaborati alcuni modelli psi-
colinguistici di rappresentazione del lessico mentale. Si tratta di modelli che si propongono
di rappresentare l’associazione degli aspetti formali delle parole con quelli semantici, l’or-
ganizzazione dei rapporti tra le parole nella mente e le modalità d’accesso e quelle d’uscita
del lessico.
Il modello di Forster (1976) rappresenta l’accesso lessicale in modo seriale. Esso prevede
una serie di operazioni seriali e lineari che permettono di processare gradualmente gli input
in sequenze, in funzione del loro passaggio all’archivio centrale. Quest’ultimo raccoglie tut-
te le informazioni necessarie per comprendere e produrre le parole e le invia al magazzino
delle conoscenze che costituisce l’enciclopedia del sapere accumulato da ciascun individuo
nel corso del tempo. Gli archivi periferici (ortografico, fonologico e sintattico/semantico)
si attivano a seconda della tipologia di input che la mente riceve. Ad esempio, se stiamo
leggendo la nostra mente riceve degli input che richiedono l’attivazione dell’archivio orto-
grafico, mentre se stiamo ascoltando un discorso si attiva l’archivio fonologico. Tuttavia, in
entrambi i casi, e non solo quando siamo noi a produrre un discorso o un testo, affinché ci
sia una comprensione degli input è necessario che si attivino anche le informazioni dell’ar-
chivio sintattico/semantico. Questa osservazione pone in evidenza come sia difficile condi-
videre l’idea di un’attivazione seriale e lineare dei sottosistemi di questo modello.
Archivio d’accesso Archivio d’accesso Archivio d’accesso
ortografico fonologico sintattico/semantico

Entrata indirizzo Entrata indirizzo Entrata indirizzo

cane
kane
Z j %s

Archivio centrale

Magazzino delle conoscenze

fig. 3. Forster 1979

16
Parte I - Capitolo 1

Anche il modello di Levelt (1989) è strutturato in modo sequenziale, ma prevede che la


rappresentazione lessicale avvenga secondo due percorsi paralleli: un percorso discendente
(produzione/riconoscimento) e uno ascendente (comprensione/ricostruzione). Il percor-
so di produzione si struttura nella costruzione sintattica alla quale fa seguito l’attribuzione
fonologica del lemma prima dell’assimilazione della sua struttura formale all’interno della
struttura enunciativa e prosodica che conduce alla sequenza finale, quella dell’articolazione.
Il percorso di comprensione, invece, si occupa dell’assimilazione della forma lessicale alla
struttura frasale che viene coerentemente definita attraverso le caratteristiche prosodiche.
Il lessico, composto da forme e lemmi, assume un ruolo centrale in questo modello sia
nel percorso ascendente che in quello discendente, in quanto il processo di codifica ed
elaborazione avviene in entrambi i percorsi attraverso l’attivazione di conoscenze lessicali
di tipo morfologico, fonologico, grammaticale e semantico. Tale modello permette perciò
di evidenziare come la lingua funzioni secondo unità lessico-grammaticali, ma l’idea di
due percorsi, uno produttivo e l’altro ricettivo, che procedono secondo sequenze lineari e
parallele risulta inadeguata a rappresentare le complesse funzioni cognitive che interagi-
scono per permettere la comprensione e la produzione linguistica. Quando articoliamo un
discorso, ad esempio, la codifica grammaticale e quella fonologica avvengono simultane-
amente e inconsapevolmente nella maggior parte delle situazioni comunicative, quelle a
un livello avanzato di competenza linguistica.

fig. 4. Levelt 1989

Insegnare il lessico 17
Nel modello logogen di Morton (1978) l’elaborazione degli input avviene in parallelo at-
traverso un sistema cognitivo che include informazioni di tipo semantico e sintattico ed è
collegato a due sistemi separati, i logogen. Uno di questi processa gli aspetti uditivi dell’in-
put, mentre l’altro quelli visivi. I logogen raccolgono le informazioni su ogni stimolo che
ricevono per inviarle al sistema cognitivo. Da quest’ultimo, invece, ricevono tutte le infor-
mazioni necessarie per riconoscere un input familiare perché già archiviato. Essi operano
in parallelo e sono connessi a un sistema d’uscita dell’input che si attiva quando si produ-
cono le parole in forma scritta o orale.
Il modello di Morton ha il merito di porre l’accento sulla variabile della frequenza d’uso di
una parola, in quanto prevede che quanto più una parola venga utilizzata e ricercata dai
logogen tanto più essa sarà attiva e disponibile nelle operazioni linguistiche successive e,
dunque, tanto più basso sarà, in tali operazioni successive, il livello soglia di attivazione dei
logogen. Ciò suggerisce l’importante dell’esposizione prolungata agli input linguistici per
lo sviluppo della competenza lessicale.

fig. 5. Morton 1978

18
Parte I - Capitolo 1

1.7. I modelli connessionisti a reti neurali


I modelli connessionisti riflettono in modo più verosimile il funzionamento cerebrale, in
quanto rappresentano la processazione simultanea di molteplici informazioni che si in-
terconnettono e vengono elaborate rapidamente. Inoltre, essi prevedono la possibilità di
modifica delle connessioni in base all’apprendimento. Si tratta di modelli che “riescono
a riprodurre alcune proprietà fondamentali del nostro sistema cognitivo”, come “la fles-
sibilità di prestazione in funzione del contesto ed un’elevata capacità di apprendimento,
sviluppo e modificabilità” (Baldi 2003: 45).
Il modello a rete di Elman (1989) si propone di rappresentare la categorizzazione lessicale.
Si tratta di un modello composto da tre strati di unità: output, hidden, input. La hidden-u-
nits è collegata all’unità del contesto. Quest’ultima rende disponibili le informazioni ine-
renti al contesto dello stimolo lessicale. Se riceviamo l’input linguistico “la” da qualcuno
che è in cucina all’ora di pranzo, si attiverà la categoria dei sostantivi di nome femminile,
in quanto le conoscenze archiviate nella nostra memoria ci suggeriscono che all’articolo
singolare femminile in italiano si deve accordare un sostantivo o un aggettivo singolare
femminile. Inoltre, si attiverà la categoria dei sostantivi tipicamente usati all’ora di pranzo
nel contesto di vita a noi familiare (“pasta”, “pentola”, “forchetta”, ecc.). Nel modello di
Elman la struttura della rete riflette la memoria dei contenuti dell’apprendimento, dei vis-
suti e le regole che li caratterizzano. I nuovi stimoli in entrata vengono elaborati dalla rete
attivando i pattern da essa già posseduti e qualora questi dovessero rivelarsi inadeguati
al momento dell’output della loro elaborazione, allora la rete si riconfigurerà adattandosi
all’apprendimento del nuovo stimolo di cui manterrà la memoria.

fig. 6. Elman1989

Un altro modello a rete a cui si fa spesso riferimento per descrivere l’elaborazione les-
sicale è quello di McClelland e Rumelhart (1981). Si tratta di un modello ad attivazione
interattiva e di elaborazione in parallelo che rappresenta il processo di lettura attraverso
la struttura di una rete neurale. I livelli di elaborazione si differenziano per struttura delle
lettere, per lettere e per parole. Gli stimoli in entrata attivano simultaneamente i diversi
strati delle unità di processazione che si presentano in raggruppamenti basati su principi

Insegnare il lessico 19
di somiglianza tra le informazioni archiviate e i diversi livelli interagiscono tra di loro per
elaborare le risposte.
Ai vari livelli corrispondenti ai tratti, alle lettere e alle parole avviene una competizione
basata sul calcolo delle probabilità. Come si nota alcuni elementi sono collegati da con-
nessioni che terminano con una freccia e dunque sono eccitatori, mentre altri terminano
con un pallino e corrispondono a connessioni inibitorie. Esistono inoltre connessioni che
collegano i livelli inferiori con quelli superiori, ma anche di tipo discendente. Accanto alla
parola cane si attiveranno, ad esempio, anche i tratti corrispondenti a pane e tane, ma in
base alla competizione probabilistica il significato corretto riuscirà ad imporsi su quelli non
pertinenti. Questo sistema di elaborazione parallela consente di disambiguare rapidamen-
te l’informazione ed ha fornito una base importante per successivi modelli connessionisti
sempre più complessi.

fig. 7. McClelland e Rumelhart 1981

1.8. Il lessico mentale bilingue


I modelli connessionisti rappresentano la capacità delle reti neurali di rimodellarsi in base
alle conoscenze acquisite. Dunque, anche quando si apprende una lingua le reti neurali si

20
Parte I - Capitolo 1

modificano in modo da poter elaborare e archiviare i nuovi input linguistici. Gli aggiusta-
menti delle reti neurali in funzione dei nuovi contenuti linguistici vengono indubbiamente
favoriti dalla frequenza con cui gli apprendenti di lingue seconde o lingue straniere ven-
gono esposti ai nuovi input e dalle modalità in cui avviene l’esposizione. Un’esposizione
multimodale che richiede una codifica plurale degli input garantisce un’elaborazione mag-
giore e favorisce un’acquisizione profonda delle unità lessicali.
È stato dimostrato che tra le categorie linguistiche delle diverse lingue esistono delle diffe-
renze graduali che possono andare da un’equivalenza concettuale a una non equivalenza
parziale o completa (Pavlenko 2009). Pertanto, chi apprende una nuova lingua può avere
bisogno di sviluppare categorie parzialmente differenti o comunque di aggiustare quelle già
memorizzate. L’apprendimento del lessico di nuova lingua comporta “un riaggiustamento
della struttura e dei confini delle categorie conformemente ai vincoli delle categorie lin-
guistiche di destinazione” (Pavlenko 2009: 141) e lo sviluppo di nuove rappresentazioni
multimodali. I principali modelli di rappresentazione del lessico bilingue sono il Revised Hie-
rachical Model e il Distributed Feature Model. Il primo modello si basa su due assunzioni:
a. la traduzione dalla L1 alla L2 è più veloce del denominare immagini nella L2;
b. la traduzione dalla L2 alla L1 è più veloce di quella dalla L1 alla L2, soprattutto nei
principianti per i quali l’accesso concettuale avviene attraverso gli equivalenti nella L1.
Con l’avanzare dello sviluppo della competenza lessicale nella L2, i legami tra le parole i
concetti diventano più stretti e gli apprendenti cominciano a fare affidamento a collega-
menti diretti che prescindono dalla mediazione concettuale nella L1. Il Revised Hierarchi-
cal Model rappresenta il cambiamento nello sviluppo del collegamento tra la forma delle
parole L1 e L2 e i concetti lessicali. Tuttavia, il Revised Hierarchical Model non considera le
differenze graduali che possono sussistere tra le categorie linguistiche delle diverse lingue.
Il Distributed Feature Model, invece, rappresenta tali differenze basandosi sull’osserva-
zione che i bilingui sono in grado di tradurre più rapidamente le parole concrete e affini
rispetto alle parole astratte. Ciò dipenderebbe dal fatto che la rappresentazione delle pa-
role concrete e affini è maggiormente condivisa dalle diverse lingue rispetto a quella delle
parole astratte (Pavlenko 2009: 144).

fig. 8. De Groot 1992

Insegnare il lessico 21
Questo modello non tiene conto dell’apprendimento di equivalenti parziali predicibili e
assume le caratteristiche prestabilite, fisse, delle categorie delle parole senza considerare
due aspetti molto importanti per l’apprendimento del lessico di una nuova lingua: gli effet-
ti della prototicipità delle parole e quelli derivanti dal contesto esse. Inoltre, l’assunzione
di un’equivalenza interlinguistica tra i concetti delle parole concrete i cui significati sareb-
bero condivisi tra le diverse lingue a differenza dei significati delle parole astratte è stata
più volte messa in discussione nell’ambito degli studi linguistici.
Il Modified Hierarchical Model è una versione aggiornata del modello gerarchico. Esso
introduce delle importanti differenze:
- l’archivio concettuale è costituito da rappresentazioni distinte in rappresentazioni con-
cettuali completamente condivise, parzialmente sovrapposte o specifiche di una lingua
che vengono riconosciute attraverso l’attivazione di processi che prevedono l’interazio-
ne tra la mente e l’ambiente;
- assume il fenomeno del transfer concettuale basato sulla differenziazione tra livelli se-
mantici riferiti a conoscenze implicite e livelli concettuali di rappresentazione. La dif-
ferenziazione tra livelli di rappresentazione semantici e concettuali consente di distin-
guere tra le fonti di trasferimento (concettuale o semantica) e di individuare il tipo di
rappresentazione riferito a ogni caso di acquisizione di L2;
- considera la ristrutturazione concettuale e lo sviluppo delle categorie linguistiche della
lingua target come gli obiettivi principali nell’apprendimento del lessico L2 (Pavlenko
2009: 146-148).
Secondo questo modello, l’apprendimento del lessico L2 si configura come un processo
graduale che avviene nella memoria implicita e che conduce alla produzione linguistica
spontanea, non mediata da processi metalinguistici di conoscenza esplicita.

fig. 9. Pavlenko 2009

22
Parte I - Capitolo 1

Dal punto di vista glottodidattico, quanto osservato attraverso la breve analisi di questi
modelli di rappresentazione del lessico bilingue ci permette di rilevare la necessità di dif-
ferenziare le metodologie di insegnamento del lessico in base ai livelli di apprendimento
degli studenti e l’esigenza di favorire l’acquisizione implicita degli input linguistici.

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Insegnare il lessico 23
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24
Parte I - Capitolo 2

2. L’insegnamento del lessico italiano a stranieri


Francesca Gallina
Università degli Studi di Pisa

2.1. Introduzione
Il lessico ha suscitato negli ultimi anni un rinnovato interesse, soprattutto per ciò che con-
cerne l’apprendimento e l’insegnamento del lessico in italiano come seconda lingua, come
anche il presente volume testimonia. L’insegnamento del lessico rappresenta uno degli
obiettivi principali all’interno della classe di italiano L2, grazie alla centralità del lessico sia
nella percezione dell’apprendente che nell’operato del docente: per l’apprendente il cono-
scere e apprendere parole nuove è certamente sintomatico dei propri progressi, mentre
per il docente il tempo dedicato all’insegnamento del lessico anche in modo non piani-
ficato, come ad esempio attraverso quelle che Villarini (2017) ha definito come “pillole
lessicali”, costituisce una parte certo non marginale della lezione, poiché è proprio per il
tramite delle parole, o delle unità lessicali in senso più ampio, che l’apprendente riesce,
soprattutto nei livelli iniziali, a veicolare i sensi di ciò che vuole dire e scrivere o a compren-
dere il significato di ciò che ascolta o legge.
A fronte della grande variabilità del lessico, della sua natura, del suo essere un sistema aper-
to e dinamico, è opportuno chiedersi come è possibile insegnare il lessico a un apprenden-
te, anche alla luce del processo di sviluppo della competenza lessicale nell’ambito della più
ampia maturazione delle competenze linguistico-comunicative. Obiettivo del contributo è
dunque quello di condividere alcune riflessioni su come insegnare il lessico a partire da al-
cune considerazioni su come avviene lo sviluppo della competenza lessicale in una seconda
lingua. Sapere quali sono i tratti principali di tale processo consente infatti di operare di-
datticamente selezionando le strategie, le tecniche, gli strumenti più efficaci per facilitare il
percorso, ampio e lungo, di apprendimento del lessico. Il contributo proseguirà poi con la
definizione dei principi cardine attorno ai quali far ruotare un vero e proprio piano di alfabe-
tizzazione lessicale, passaggio indispensabile, come vedremo, di un’azione didattica efficace,
e con la proposta di alcune strategie e tecniche per insegnare il lessico italiano a stranieri.
La cornice entro la quale si muove il contributo è quella delineata da un lato dalle indica-
zioni che vengono dall’educazione linguistica a partire dalle Dieci Tesi GISCEL (1975) e dal
ruolo che in esse viene attribuito al lessico (Gallina, 2019) e dall’altro dagli stimoli del Qua-
dro Comune Europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valuta-
zione. Volume complementare (Consiglio d’Europa, 2021) relativamente alla competenza
lessicale e all’insegnamento di una seconda lingua.

2.2. Lo sviluppo della competenza lessicale in L2


Che cosa succede quando impariamo una nuova lingua e in particolare il suo lessico? Ov-
vero, come si sviluppa la competenza lessicale in L2? Si tratta di un processo incremen-

Insegnare il lessico 25
tale, dinamico, continuo, con una forte variabilità da apprendente ad apprendente per la
grande eterogeneità di input cui attingere per imparare il lessico, dai materiali didattici al
parlato del docente, dalla comunicazione con altri apprendenti agli input esterni alla clas-
se, inclusa la quantità di materiali linguistici oggi a disposizione in internet, che consente
anche a chi non vive nel Paese in cui si parla la lingua target di accedere ad una ampia
mole di input linguistico.
Nel caso dell’apprendimento lessicale in L2 l’individuo ha già sviluppato una certa orga-
nizzazione e categorizzazione della realtà, così come ha già maturato delle strategie di
apprendimento e di comunicazione. Certamente in L2 ci troviamo spesso a incontrare
concetti nuovi e significati che sono tipici di una certa cultura che non è quella di partenza,
ma l’attività, che è permanente anche in L1, di continua risistematizzazione delle cono-
scenze e quindi del lessico è di fatto condivisa da L1 e L2. L’apprendimento del lessico è,
dunque, un processo graduale, continuo, che procede tramite una serie di incontri con
nuove parole e nuovi significati, per i quali non basta certo un primo e unico incontro per
consolidare la conoscenza.
Dobbiamo però chiederci che cosa significa esattamente conoscere una parola. Non si
tratta di un processo discreto, ma si configura piuttosto come un processo dinamico che
porta per approssimazioni successive a conoscere meglio una parola via via che la si in-
contra e se ne approfondiscono le conoscenze. La frequenza con cui una parola appare
nell’input linguistico condiziona fortemente le possibilità della parola stessa di essere ap-
presa, anche perché il saper riconoscere e produrre un’unità lessicale è funzione della sua
frequenza di occorrenza nella lingua (Ellis, 2002: 152).
Che cosa, dunque, dobbiamo imparare a conoscere quando ci imbattiamo in una parola
sia essa nuova o nota? Secondo Nation (2001) di un’unità lessicale dobbiamo conoscere:
la forma, scritta e orale, oltre alle parti che compongono la parola; il significato, il lega-
me tra forma e significato, i concetti e i referenti, oltre alle associazioni; l’uso, le funzioni
grammaticali, le collocazioni, le restrizioni all’uso di registro, la frequenza ecc. Per ciascun
aspetto è inoltre necessario tenere sempre presenti le diverse implicazioni per le dimen-
sioni ricettiva e produttiva della competenza lessicale. La distinzione tra lessico attivo e
passivo deve però essere vista non tanto in chiave dicotomica, ma come un continuum
lungo il quale il grado di conoscenza di una parola fa sì che un’unità lessicale possa essere
compresa e quindi successivamente utilizzata. È evidente che per cogliere e per assimilare
una parola in tutte le sue sfaccettature è necessario incontrarla, ma anche manipolarla, ri-
utilizzarla, ecc., per sostenere con maggior efficacia il processo di apprendimento. La sola
esposizione non sempre garantisce le condizioni ideali di apprendimento, per cui possia-
mo sostenere tale processo con attività supplementari alla sola esposizione per sollecitare
dei meccanismi di apprendimento esplicito, oltre che implicito.
Infine, ricordiamo come lo sviluppo della competenza lessicale avvenga in modo multidi-
mensionale, ovvero non è solo una questione di quante parole un apprendente conosce,
quella che viene definita come dimensione quantitativa (vocabulary size o breadht), ma
anche di profondità, cioè di livello di conoscenza di ogni singola parola (depht of knowle-
dge) e infine di automaticità, cioè di velocità di utilizzo e accesso alla conoscenza lessicale
(automaticity) (Schmitt, Mc Carthy, 1997: 104).

26
Parte I - Capitolo 2

2.3. L’elaborazione di un piano lessicale


Se, come abbiamo visto, l’apprendimento del lessico si muove lungo direzioni differenti,
attraversa piani anche distanti tra loro e si fonda su una molteplicità di fattori, è evidente
che la risposta alla domanda “è possibile insegnare il lessico?” non è poi così scontata o
facile. E se in prima battuta può sorgere spontanea una risposta affermativa, bisogna al-
tresì tenere presente che è vero che la risposta dipende anche da come viene insegnato il
lessico. Non sono infatti marginali gli studi che hanno messo in luce il ruolo dell’apprendi-
mento incidentale del lessico, ovvero di quelle modalità di apprendimento che si affidano
all’esposizione ad ampie quantità di lessico da cui ricavare nuove parole e nuovi significati
tramite l’ascolto o la lettura. Quale che sia la fonte, un testo scritto, un testo orale, un
testo multimediale, dal romanzo alla canzone, passando per le serie televisive, nel caso
dell’apprendimento lessicale incidentale il meccanismo che può generare apprendimento
si fonda sull’esposizione e su un lavoro individuale che implica strategie di indovinamento
dal contesto, di utilizzo di risorse come i dizionari, ecc. In tal caso abbiamo una modalità
di apprendimento lessicale meaning-focused, secondo la definizione di Webb e Nation
(2017) che sostengono che qualsiasi attività di insegnamento lessicale dovrebbe trovare il
giusto equilibrio tra apprendimento incidentale tramite ascolto e lettura (meaning-focu-
sed input), apprendimento produttivo tramite produzione orale e scritta (meaning-focu-
sed output), apprendimento esplicito delle caratteristiche linguistiche (language-focused
learning) e sviluppo della fluenza nell’utilizzo del lessico già noto.
Riprendendo dunque quanto abbiamo accennato nel par. 2, possiamo ribadire come la
sola esposizione non sia sempre una garanzia per l’apprendimento, mentre una maggior
attenzione in termini di riflessione metalinguistica esplicita insieme ad attività di riutilizzo
e manipolazione del materiale da apprendere consente di creare le migliori condizioni
per generare apprendimento lessicale. Tale bilanciamento tra modalità operative diverse,
capace di coniugare attività incidentali ed esplicite, non può certo essere lasciato al caso,
ma va fatto rientrare in una vera e propria attività di pianificazione lessicale.
Se volessimo dunque elaborare un piano di alfabetizzazione lessicale per l’italiano L2
dovremmo innanzitutto definire con cura cosa intendiamo per lessico e per competen-
za lessicale. Non è questa la sede, per ovvie ragioni di spazio, per aprire un dibattito su
questioni tanto ampie quanto capitali, ma possiamo certamente accennare al fatto che
nel lessico possono rientrare non solo le parole come casa, dormire, oggi, ecc., ma an-
che le unità lessicali multiple, come ad es. carta di credito, ferro da stiro, così come le
collocazioni come sbrogliare una matassa, perdita irreparabile, ecc. Nel caso delle lingue
seconde la conoscenza delle unità lessicali multiple marca la differenza tra i livelli iniziali
di apprendimento e i livelli intermedi e avanzati, nei quali cominciano a consolidarsi nella
ricezione e nella produzione anche espressioni multiple. Sotto questo profilo, l’insegna-
mento del lessico non può certamente ignorare il ruolo pervasivo che le unità multiple
hanno nella lingua e deve perciò renderle anch’esse oggetto di attenzione nelle attività
didattiche quotidiane.
D’altro canto, la multidimensionalità della competenza lessicale, cui abbiamo fatto cenno
nel paragrafo precedente, dovrebbe indurre l’insegnante a lavorare lungo l’asse quantita-
tivo, qualitativo e dell’accessibilità senza trascurare alcuno di questi aspetti nel corso del

Insegnare il lessico 27
tempo. In tale prospettiva è dunque opportuno curare il numero di parole ed espressioni
che si propongono alla classe, la precisione delle conoscenze che vengono via via matu-
rate, che implica anche l’ampiezza di domini e temi nei quali ci si può muovere linguisti-
camente, e il controllo, ovvero la capacità di attivazione, richiamo, riconoscimento, così
come suggerito anche dal Quadro comune europeo di riferimento per le lingue.
Una volta stabilita l’opportunità di lavorare su più dimensioni e con più modalità opera-
tive, è necessario procedere alla selezione delle parole oggetto di apprendimento. All’in-
terno di un piano di alfabetizzazione lessicale non si può infatti prescindere da una vera
e propria pianificazione di quali parole, quali campi lessicali e quali domini selezionare a
seconda dei bisogni linguistico-comunicativi degli apprendenti e degli obiettivi di appren-
dimento. Utile, a tal fine, è fare riferimento a strumenti come il Nuovo Vocabolario di Base
della lingua italiana (De Mauro 2016), ma anche ai sillabi delle certificazioni di italiano
come lingua straniera, al Profilo della lingua italiana (Spinelli, Parizzi, 2010) e alle Le Linee
guida CILS. Certificazione di Italiano come Lingua Straniera (Barni et al. 2009), che forni-
scono indicazioni piuttosto precise su quale e quanto lessico ci si aspetta sia conosciuto
attivamente e passivamente, oralmente e per iscritto, da un apprendente a seconda del
proprio livello di competenza. Le stime del numero di parole che nativi e non nativi co-
noscono sono piuttosto diverse tra loro, ponendo obiettivi che vanno dalle 30.000 alle
50.000 parole per i nativi (fino a un massimo di 60.000 o 80.000 parole), mentre per gli
studenti stranieri si fa riferimento a 3.000 parole come soglia del vocabolario ricettivo e
2.000 parole per il vocabolario produttivo (Corda, Marello 1999). Altri studi indicano che
sono necessarie 1.000-1.500 parole per comprendere un testo non specialistico e 3-4.000
parole per una comprensione più di dettaglio. Al di là delle cifre che variano anche in fun-
zione degli obiettivi nell’ambito di un determinato percorso di sviluppo della competenza
linguistica e in particolare della competenza lessicale, per poter fattivamente selezionare
il lessico ci sembra che i seguenti criteri siano di particolare rilevanza: la frequenza e la
dispersione di un’unità lessicale, la sua disponibilità, ma anche i centri di interesse e la
rilevanza per l’apprendente. Incrociando tali criteri con le selezioni dei sillabi di riferimen-
to che abbiamo menzionato, è possibile individuare con una certa approssimazione quali
parole è opportuno presentare e lavorare nel proprio piano di sviluppo lessicale.
Di pari passo alla selezione del lessico va anche la selezione dei testi input, fonte di grande
rilievo nell’insegnamento lessicale. Ci pare certamente opportuno effettuare una selezio-
ne dei testi da proporre, e conseguentemente del lessico, capace di spaziare notevolmen-
te tra tipi e generi testuali differenti, orali e scritti, in un continuum di testualità (Vedovelli,
2010) che consenta di accedere a una grande varietà di usi linguistici e lessicali. Il lessico va
inoltre sviluppato sia per ciò che concerne la dimensione ricettiva che produttiva, ovvero
favorendo la crescita sia del vocabolario ricettivo che produttivo, proprio per non trascu-
rare i tanti tratti che caratterizzano la competenza lessicale.
Per ciò che concerne invece la dimensione qualitativa delle conoscenze lessicali, è neces-
sario per un insegnante concorrere allo sviluppo di conoscenze relative a procedimenti
formativi, derivativi, compositivi, alterativi, ecc. delle parole, alla conoscenza dei rapporti
di senso per specificare il significato e le accezioni delle parole, al lavoro sulla configurazio-
ne sintattica e sulle collocazioni per dare il senso delle solidarietà sintagmatiche, ecc. A ciò
si sommano le capacità legate all’uso appropriato di un’unità lessicale in considerazione

28
Parte I - Capitolo 2

di aspetti sociolinguistici e pragmatici e in virtù dei bisogni e dei contesti comunicativi con
cui un apprendente è chiamato a confrontarsi.
Nel pianificare l’insegnamento del lessico, ci sembra che vi siano alcuni principi di massima
da tenere sempre in considerazione. Presentare il lessico in assenza di qualsiasi contesto,
al di fuori di qualsiasi contestualizzazione, rende l’apprendimento di quelle parole mol-
to più difficile rispetto alla loro presentazione in contesto. Una scarsa varietà di esercizi
ugualmente non aiuta l’apprendimento lessicale, tanto più in considerazione della natura
composita della competenza lessicale. Anche la presentazione di una quantità elevata di
parole in un arco di tempo ristretto non giova al processo di apprendimento, perché crea
un sovraccarico che non è certo un elemento di vantaggio. La presentazione ravvicinata
dei tanti sensi di parole fortemente polisemiche, o la presentazione simultanea di parole
con una relazione semantica stretta come l’antinomia, una scarsa conoscenza delle regole
di formazione delle parole sono tutti elementi che non favoriscono l’apprendimento lessi-
cale. Viceversa, giocano un ruolo facilitante nell’insegnare il lessico la ripetizione, ovvero
la possibilità di incontrare una parola più volte e in più contesti, ma anche la quantità di
attenzione posta su una parola, intesa come attività di manipolazione e utilizzo della paro-
la, anche a distanza di tempo.
Infine, riteniamo che sia altresì importante lavorare anche sullo sviluppo di strategie di
apprendimento lessicale, come strumento a disposizione dell’apprendente per aumentare
il proprio potenziale anche in maniera autonoma rispetto al lavoro in classe, che soffre
di evidenti limiti temporali rispetto alle possibilità di apprendimento che possono offrirsi
fuori dalla classe.
Nel prossimo paragrafo andremo a vedere quali strategie ed attività è possibile proporre
nel contesto classe per insegnare il lessico italiano a stranieri.

2.4. Esempi di strategie ed attività per insegnare il lessico italiano


a stranieri
L’insegnamento del lessico si colloca ovviamente all’interno della cornice dello sviluppo
della più ampia competenza linguistico-comunicativa, di cui la competenza lessicale co-
stituisce certamente un pilastro fondamentale. Qualsiasi attività svolta all’interno della
classe contribuisce in qualche misura all’apprendimento del lessico, anche se non focaliz-
zata su tale aspetto. La lettura e l’ascolto di un testo mettono l’apprendente di fronte a un
insieme di unità lessicali, che possono essere del tutto sconosciute o che in quel partico-
lare contesto possono assumere un significato che non è noto e che pertanto rappresenta
un nuovo oggetto da apprendere. Le strategie di indovinamento a partire dal contesto
che si possono attivare in queste situazioni sono certamente di stimolo all’apprendimento
implicito del lessico. Allo stesso modo possono concorrere allo sviluppo lessicale tutte le
attività di comprensione del testo che si focalizzano su alcuni elementi soprattutto di ma-
trice lessicale del testo input, le attività di sintesi, di manipolazione, ecc., così come tutte
le attività che in generale si svolgono in classe a partire da un testo come il cloze test, il
dettato, ecc. Per ciò che concerne le attività produttive è evidente che parlare e scrivere
comporta l’utilizzo del lessico, tuttavia alcune attività produttive, come ad esempio la pa-

Insegnare il lessico 29
rafrasi, stimolano in particolar modo la competenza lessicale.
Per quanto concerne le attività utili a insegnare il lessico, possiamo operare una prima
distinzione tra quelle attività che introducono e presentano delle unità lessicali nuove e
quelle che invece servono al consolidamento e al riutilizzo di parole già note, sebbene a
livelli anche molto diversi tra loro.
Per proporre parole nuove vi sono numerose tipologie di attività, da quelle di deduzione
del senso dal contesto a quelle che implicano l’utilizzo di mezzi non verbali tra cui foto-
grafie, immagini, oggetti, gesti, ecc. In passato anche le liste di parole venivano conside-
rate un utile strumento per introdurre nuove parole da memorizzare, tuttavia, ci pare che
l’assenza di contesto d’uso renda maggiormente difficile la fissazione delle nuove parole,
mentre viceversa la loro presentazione in un contesto, in cui esse assumono un determi-
nato senso, ha maggior efficacia in termini didattici. La presentazione può naturalmente
avvenire sia in L1 che in L2, coerentemente con il livello di competenza della classe, del
repertorio linguistico degli apprendenti e in generale del contesto di apprendimento. In
particolare, gli abbinamenti di parole, parola/immagine, parola/definizione, domanda/ri-
sposta, battute di un dialogo sono particolarmente utili per far conoscere parole nuove,
così come le attività di categorizzazione e di raggruppamento.
Per consolidare le conoscenze lessicali, oltre alle attività già elencate, sono particolarmen-
te efficaci attività di completamento di parole, frasi e testi, oltre che di tabelle, griglie,
schemi, moduli, di ricostruzione di frasi e dialoghi. Con un approccio maggiormente ludico
è possibile anche proporre cruciverba, anagrammi, associazioni semantiche, caccia all’in-
truso, ecc. Balboni (2008) propone numerose attività, come ad esempio il puzzle, che pos-
sono essere agevolmente trasformate in chiave ludica, anche in termini di sfida tra gruppi
interni a una classe. Inoltre, sempre in un’ottica di consolidamento è bene selezionare
anche delle attività che mirino a far maturare quelle conoscenze relative ai diversi aspetti
della competenza lessicale di cui abbiamo parlato nel par. 2, come ad esempio la cono-
scenza delle parti di parola e dei meccanismi derivazionali, dei diversi significati che assu-
me una unità lessicale a seconda del contesto, della sua connotazione, delle collocazioni,
ecc. Vediamo dunque alcuni esempi di attività che possiamo proporre per espandere le
conoscenze qualitative del lessico.
Per approfondire la conoscenza della forma delle parole è possibile, ad esempio, far pro-
nunciare una parola, far leggere a voce alta, far scoprire il significato di un prefisso/suffis-
so, ma anche insegnare a riconoscere parole base, radici, prefissi o suffissi, far scegliere
la forma corretta di una parola dando due opzioni di scelta, sia in contesto che isolate
(Corda, Marello, 1999). In particolare, per sfruttare le strategie che fanno leva sulle com-
ponenti di una parola in chiave lessicale si può chiedere di individuare la parola base a
partire dall’analisi di una parola derivata, di costruire una parola derivata da una base con
suffissi/prefissi dati, di trasformare in aggettivi un’espressione, come ad esempio “giorno
pieno di pioggia” > “giorno piovoso”, di individuare le parole base in un testo e trovare
altre parole con la stessa radice, di costruire altre parole derivate a partire da un suffisso/
prefisso/radice o esempi di parole derivate.
Per lavorare sul significato invece si possono introdurre in classe attività di associazione,
abbinamenti, scelta multipla, descrizione, definizione, traduzione, utilizzo di flashcard,
attività sui rapporti di sinonimia, antonimia, iperonimia, iponimia, meronimia, come ad

30
Parte I - Capitolo 2

es. associare una parola al sinonimo, dare il sinonimo di una parola, sostituzione di una
parola con una parola di significato simile, individuazione della parola corrispondente a
una definizione, creazione di un campo lessicale data una parola, costruzione della mappa
concettuale di una parola, ecc.
Altresì importanti sono le attività che maturano la conoscenza collocazionale, ovvero che
espandono la capacità di riconoscere e utilizzare le collocazioni, come ad esempio gli ab-
binamenti tra parole che costituiscono una collocazione, il completamento di griglie con
le combinazioni accettabili tra due set di parole, l’individuazione degli aggettivi che si ab-
binano a un certo sostantivo, o dei verbi + sostantivi, avverbi + verbi, ecc., la produzione di
frasi a partire dalla combinazione di due parole.
Volendo invece lavorare sul registro e sulla connotazione, soprattutto per i livelli intermedi
e avanzati, si possono svolgere attività di individuazione di parole connotate in un testo,
di associazione tra parole connotate e neutre, di sostituzione di una parola neutra, o vice-
versa connotata, in un testo, di trasformazione di un testo da un registro all’altro o da un
genere testuale ad un altro, ecc.
Non da ultimo ricordiamo come anche l’utilizzo del dizionario, anche in classe, costituisca
non solo una ulteriore occasione di sviluppo del lessico, ma favorisca soprattutto le stra-
tegie di apprendimento in autonomia, che possono sostenere l’apprendimento lessicale
anche al di fuori della classe di lingua. L’uso del dizionario, infatti, facilita tutti quei mec-
canismi di fissazione del significato e delle altre informazioni proprie di un’unità lessicale
grazie al processo di noticing esplicito che si attiva con l’utilizzo del dizionario, ma anche
di glossari, corpora, ecc.

2.5. Conclusioni
Sebbene in forma sintetica e solo tramite alcuni esempi delle tante attività che si posso-
no utilizzare per insegnare il lessico italiano L2, dalla rassegna che abbiamo condiviso ci
pare di poter concludere sottolineando come proprio per la natura multidimensionale
del lessico un’ampia varietà di attività consente di andare a lavorare sui vari aspetti di ciò
che costituisce l’apprendimento lessicale, mettendo dunque l’apprendente nelle migliori
condizioni per imparare nuove parole e per imparare meglio le parole che già conosce,
almeno in parte. Per cercare di garantire tale varietà, una forma di programmazione, in
termini di alfabetizzazione lessicale, si rende necessaria per qualsiasi docente: si tratta di
individuare obiettivi lessicali specifici, di selezionare il lessico da insegnare e i testi input da
utilizzare, oltre che le attività da svolgere in classe e le modalità di valutazione.
A tali considerazioni aggiungiamo, infatti, un altro tassello fondamentale del processo di
apprendimento e insegnamento, ovvero quello relativo alla valutazione delle competenze
linguistico-comunicative, come parte integrante, e fondamentale, del processo educativo,
soprattutto se si adotta una prospettiva come quella della valutazione formativa, utile a
fornire feedback sui processi di apprendimento e di insegnamento per renderli sempre
più efficaci. La valutazione del lessico rappresenta una sfida per un docente, perché la
complessità della natura del lessico rende ogni test di tipo lessicale, pensiamo ad esempio
a un test di abbinamento o a un cloze test, una prova molto parziale, che si focalizza su un

Insegnare il lessico 31
solo aspetto alla volta della competenza lessicale (Gallina, 2021; Serragiotto, 2016). Per
tali ragioni, una riflessione ulteriore su come valutare il lessico, e su cosa effettivamente
valutiamo quando lo valutiamo, deve essere condivisa, per lo meno per solleticare la con-
sapevolezza della complessità non solo della fase di insegnamento del lessico, ma anche
della sua valutazione. In questa prospettiva ci pare che una possibile soluzione sia quella
di variare, anche in questo caso, le tipologie di prove e test lessicali, caratterizzati ciascu-
no da un costrutto e da obiettivi diversi, ma che tutti insieme contribuiscono ad aiutarci
a valutare come procedono l’apprendimento e l’insegnamento del lessico in italiano L2.

Riferimenti bibliografici
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32
Parte I - Capitolo 3

3. Il problema del lessico nei materiali autentici


Elisabetta Jafrancesco
Università degli Studi di Firenze

3.1. Introduzione
La riflessione sul lessico, come dimostrano le numerose pubblicazioni degli ultimi decenni
sull’argomento, incontra l’interesse dei teorici del linguaggio, dei linguisti applicati e dei
glottodidatti1 sebbene da prospettive e con obiettivi diversi. Tale interesse riguarda da
un lato l’importanza che il lessico riveste sia per i codici semiologici costituiti dalle lingue
storico-naturali, dette anche “lingue verbali” proprio perché formate da parole, dall’altro
la rilevanza del lessico nell’apprendimento delle lingue materne, non materne e stranie-
re2. Il linguaggio verbale, come evidenziato nelle «Dieci tesi per un’educazione linguistica
democratica»3, è di cruciale importanza nella vita sociale e individuale degli esseri umani
ed è proprio attraverso la conoscenza delle parole e attraverso la capacità di usarle per ge-
stire le varie attività linguistiche (p. es. ricettive, produttive) che le persone sono in grado
di comunicare fra loro, cioè di comprendere e di essere a loro volta comprese dagli altri.
Tuttavia, nell’apprendimento linguistico, nonostante l’indubbia centralità del lessico, rico-
nosciuta da studenti, docenti e ricercatori, gli aspetti lessicali e semantici tendono a essere
trascurati (Basile, Casadei; Villarini 2021), mentre la grammatica continua ad avere un ruolo
predominante. Oltre due decenni fa, Balboni (1998: 112) lamenta infatti che «il problema
glottodidattico relativo al lessico […] rappresenta uno dei maggiori casi di rimozione da
parte di studiosi, di autori di libri di testo e di multimediali, di insegnanti». Tale problemati-
cità della questione lessicale riguarda probabilmente proprio nella sua importanza. Villarini
(2011: 54) afferma infatti: «La nostra impressione è che, paradossalmente, proprio la sua
importanza, la sua centralità, il suo essere così fondamentale e pervasivo, qualcosa in breve
che arriva a riguardare tutti i livelli in cui è scomponibile la competenza linguistico-comuni-
cativa, porti come conseguenza diretta l’estrema difficoltà nell’isolare, e conseguentemen-
te analizzare, ciò che può considerarsi lessico in una lingua da ciò che invece, pur essendo
rappresentato in superficie dalle parole, appartiene ad altri ambiti della competenza».
In questo contributo, l’Introduzione (par. 1) focalizzerà l’attenzione sulla sintetica risposta
ad alcune domande riguardanti da un lato la natura e la conoscenza del lessico, dall’altro
la definizione di autenticità di materiali didattici, che mira a tentare di inquadrare il tema
del lessico a livello generale, nei successivi paragrafi sarà invece analizzato il concetto di
«competenza lessicale» presente nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
(QCER) (CoE 2001/2002) (par. 2) e saranno illustrati schematicamente i principali contri-

1 Cfr., per esempio, i riferimenti bibliografici dei contributi contenuti in Jafrancesco, La Grassa 2021. Cfr. anche Cardona,
De Jaco 2020; Basile, Casadei 2019; Gallina 2018, 2019; Jafrancesco 2011; Sobrero 2009; Barni, Troncarelli, Bagna 2008.
2 Cfr. la rilevanza data alla competenza lessicale, nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del
primo ciclo d’istruzione (cfr. DM 16 novembre 2012, n. 254) e nel Quadro di riferimento della prova di italiano INVALSI
(QdR del 2 aprile 2013).
3 Per le «Dieci tesi», cfr. il sito Internet del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica),
˂https://giscel.it/dieci-tesi-per-leducazione-linguistica-democratica/˃.

Insegnare il lessico 33
buti teorico-applicativi sul lessico (par. 3), che forniscono spunti e riflessioni utili per il suo
insegnamento. Infine, nel paragrafo conclusivo (par. 4), si tenterà di fornire alcuni sugge-
rimenti utili alla didattica del lessico che scaturiscono dai contenuti trattati nei paragrafi
precedenti dell’articolo.
Il primo quesito è: che cosa è il lessico di una lingua? Nel Nuovo De Mauro online4 si de-
finisce lessico il «complesso dei vocaboli e delle locuzioni che costituiscono un sistema
linguistico o un settore di esso o il linguaggio proprio di una determinata disciplina, di
un’attività, di un ambiente o di un parlante: il lessico italiano, inglese; il lessico sportivo,
giovanile»5. Lo Cascio (2007: 4), precisando la definizione, puntualizza che il lessico non
è il complesso delle parole di una lingua considerate ognuna a sé stante, e non è quindi
un componente statico, ma è «l’insieme sistematico di una serie infinita di minisistemi di
parole che sono collegate tra di loro attraverso rapporti categoriali, semantici, enciclope-
dici». All’interno di questa struttura organizzata, i rapporti che le parole (o lessemi) intrat-
tengono fra loro riguardano differenti dimensioni della lingua: la fonetica/l’ortografia, la
semantica, la morfologia, la sintassi. Le parole, per esempio, possono avere in comune la
medesima forma fonologica e ortografica e intrattenere fra loro rapporti di omofonia e
omografia6, oppure sul piano morfologico possono essere in rapporto fra loro in base a
meccanismi di vario genere, quali per esempio la derivazione e la composizione7.
Che cosa significa conoscere il lessico di una lingua? De Mauro (2008: 28) afferma che
«apprendere l’uso di parole per capire e farsi capire è la porta d’ingresso nel mondo di una
singola lingua, e solo varcandola e avendola varcata il linguaggio, una facoltà certamente
innata per la specie umana, non si atrofizza e si attiva e permane». Lo studioso evidenzia
inoltre che il saper comprendere e usare una parola in modo appropriato coinvolge ne-
cessariamente la capacità di gestire tutti gli altri aspetti grammaticali e semantici a essa
connessi e sottolinea che il «cammino dell’empowerment di una lingua muove […] dal co-
minciare a imparare e a gradualmente possedere singole parole e con le singole parole la
loro fonologia e, quindi, a mano a mano la fonologia d’una lingua, la loro morfologicità e
grammaticalità, e quindi a mano a mano la morfologia e la grammatica d’una lingua, la
loro sintassi, e con essa, progressivamente, la sintassi di una lingua, i loro sensi e quindi, di
nuovo progressivamente, l’orizzonte noetico d’una lingua». In questa ottica sistemica del
lessico, De Mauro evidenzia tuttavia la natura aperta e variabile del lessico, specificando
che la mutevolezza del materiale lessicale è «numerica (per aggiunte o perdite di morfi

4 Cfr. il sito internet del periodico Internazionale, ˂https://dizionario.internazionale.it/˃.


5 Casadei (2003: 115), nel parlare di «lessico» e di «vocabolario», osserva che «nell’uso corrente i termini lessico e vo-
cabolario sono normalmente usati come sinonimi per indicare sia l’insieme delle parole di una lingua (in questo senso
parliamo ad esempio del lessico o vocabolario dell’italiano, dell’inglese ecc.), sia l’insieme delle parole che caratterizzano
l’uso di una lingua da parte di un parlante o di un gruppo di parlanti (in questo senso parliamo ad esempio del lessico o
vocabolario giovanile, leopardiano, medico).
6 Per «omofonia» si intendono parole che hanno lo stesso suono ma diverso significato o diversa grafia (p. es. il nome fiera
([ˈfjɛra]) con il significato di «belva» e il nome fiera con il significato di «mercato»), mentre con «omografia» ci si riferisce
a parole che hanno la stessa grafia ma etimo, significato e talvolta pronuncia diversi (p. es. il nome ancora ([ˈaŋkora] «ar-
nese di ferro atto a fissare sul fondo un’imbarcazione») e l’avverbio ancora ([anˈkora] «di nuovo, ulteriormente»)) (cfr. Il
Nuovo De Mauro, ˂https://dizionario.internazionale.it/˃).
7 La derivazione consiste nella formazione di una parola nuova tramite l’aggiunta in genere di un suffisso o di un prefisso
alla parola base (p. es. orologio > orologiaio; capace > incapace); la composizione è invece l’unione di due o più unità
lessicali autonome per formare una nuova parola (p. es. capostazione; francobollo; consocio; controprova; frutticoltore;
portaombrelli) (cfr. Treccani Vocabolario on line, ˂https://www.treccani.it/˃).

34
Parte I - Capitolo 3

lessicali), morfologico-sintattica (per variazioni indotte anche dalla variazione numerica) e,


infine, semantica per le perdite di accezioni di parole sopravvissute, per le specificazioni o
le restrizioni e per la riarticolabilità di ciascun significato in nuove famiglie di sensi, in nuove
accezioni» (De Mauro 2008: 36)8. Pertanto, conoscere le parole non significa limitarsi alla
conoscenza dei significati che esse esprimono, ma anche avere la capacità di collocarle
all’interno della complessa rete di rapporti che esse intrattengono con altre parole all’inter-
no del sistema linguistico (Cardona 2008), da qui l’importanza di tener conto, nei processi
di sviluppo del lessico, di tutta la pluralità di dimensioni che riguardano il segno linguistico.
Cardona (2008: 13), descrivendo la rete di connessioni esistenti fra le parole, individua
otto possibili livelli di conoscenza: 1. forma scritta/forma orale, per la scrittura i segni gra-
fici che la costituiscono, mentre per l’oralità i suoni; 2. connotazioni, significati aggiunti di
una parola che si sommano ai significati primari (denotativi) (p. es. bambino e bimbo han-
no medesima denotazione ma connotazione diversa; bimbo infatti ha valore affettuoso o
vezzeggiativo se riferito a un bambino, mentre ha valore ironico o scherzoso se rivolto a
un adulto); 3. collocazioni, combinazioni (co-occorrenze) di due o più parole che tendono
a presentarsi insieme e a formare unità lessicali non fisse ma riconoscibili (p. es. sostenere
un esame, amara sorpresa, calo di memoria); 4. posizione e funzione, la posizione che le
parole hanno nella frase in relazione al ruolo grammaticale o sintattico da esse svolto; 5.
significato/i, i significati diversi che possono avere le parole (polisemia) (p. es. il nome
intervento indica «l’atto di intervenire, di partecipare a una riunione, a una cerimonia,
di prendere la parola in una discussione, in un convegno ecc.», ma anche, negli sport a
squadre, «l’entrata in azione di un giocatore in aiuto dei compagni o per contrastare gli
avversari»); 6. registro, presupponendo che la sinonimia assoluta è inesistente, mentre la
parola mamma si usa in contesti familiari e colloquiali, madre si usa in contesti formali;
7. uso figurato, i significati delle parole non sono solo denotativi e connotativi, ma anche
figurati; le parole possono acquistare cioè significati diversi da quelli che hanno normal-
mente (p. es. nell’uso figurato il nome coniglio serve per indicare una «persona molto ti-
mida», oppure «vile e paurosa»); 8. frequenza, nei testi che i parlanti producono non tutte
le parole hanno il medesimo indice di occorrenza e tale tipo di consapevolezza può avere
effetti positivi nelle abilità ricettive e nella comprensione dei testi.
Infine, che cosa si intende con «materiali autentici»? Per definire questo concetto, si deve
ricordare che a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, grazie agli sviluppi dell’ap-
proccio comunicativo e alla diffusione del metodo nozionale-funzionale, vi è l’abbandono
delle metodologie orientate alla dimensione formale e strutturale della lingua, e di quelle
di tipo grammaticale-traduttivo e i testi proposti nella didattica delle lingue cessano di es-
sere funzionali all’apprendimento delle regole del sistema della lingua e tendono a rispec-
chiare gli usi autentici e naturali della comunicazione. Pertanto, dalla necessità di esporre
gli apprendenti a eventi comunicativi che rappresentano gli scambi reali fra soggetti sociali
nasce l’espressione «testi autentici», per indicare i materiali utilizzati in una didattica rin-
8 Sulla natura aperta del lessico, Dardano (1996: 243 s.), descrivendo le differenze fra segni grammaticali e segni lessicali,
evidenzia che mentre le strutture fonologiche, morfologiche e sintattiche di una lingua sono, in un determinato periodo
storico, insiemi stabili e non modificabili, il lessico presenta una maggiore dinamicità, data dalla possibilità di arricchirsi
continuazione attraverso vari meccanismi (formazione delle parole, prestito da lingue straniere). In altre parole, sebbene
avvengano dei cambiamenti anche a livello morfologico e sintattico, tali mutamenti si verificano molto lentamente e sono
in numero inferiore rispetto a quelli che si verificano a livello lessicale.

Insegnare il lessico 35
novata (Vedovelli 2010). Tale espressione si contrappone a quella di «testi non autentici»,
utilizzata per riferirsi agli ormai superati materiali caratteristici dei metodi tradizionali9.
A distanza di circa vent’anni, il QCER, assumendo la prospettiva teorica della linguistica
tetuale, individua nel testo l’elemento base della comunicazione su cui basare la didattica
delle lingue, superando di fatto la contrapposizione fra “testo autentico” e “testo non
autentico”. Nel secondo capitolo del QCER si afferma infatti che, coerentemente con la
prospettiva adottata, «le strategie comunicative e le strategie di apprendimento non sono
che delle strategie tra tante, proprio come i compiti comunicativi e i compiti di apprendi-
mento altro non sono dei compiti tra i tanti possibili. Analogamente i testi “autentici” o i
testi elaborati per scopi didattici, i testi nei libri di testo e i testi prodotti dagli apprendenti
sono solo testi fra gli altri testi» (CoE 2001/2002: 20), riconoscendo inoltre al contesto
della formazione il pieno valore comunicativo in quanto ambito di comunicazione reale.
Concludendo, coerentemente con il QCER, il questo contributo si ritiene che l’autenticità
non riguardi solo i testi che nascono per un pubblico di parlanti nativi, che non sono con-
cepiti a scopo didattico, ma anche a quei testi che, sebbene utilizzati per l’insegnamento,
rispondono alle condizioni di testualità, in primis coerenza e coesione, e alle caratteristi-
che strutturali proprie del genere e della tipologia testuale a cui appartengono, sebbene
l’utilizzo dei “testi autentici” comporti ovviamente alcune problematicità che si tenterà
più avanti di sciogliere.

3.2. La competenza lessicale nel QCER


Nel QCER la competenza lessicale è inclusa fra le competenze linguistiche10 e viene descrit-
ta (cfr. cap. V) come la conoscenza e la capacità di usare il lessico di una lingua, il quale
è composto da elementi lessicali e da elementi grammaticali (CoE 2001/2002: 136). Gli
elementi lessicali appartengono alle cosiddette «classi aperte»11 e includono da un lato
le espressioni fisse (formule frastiche, espressioni idiomatiche, strutture fisse, altri tipi di
espressioni fisse), dall’altro le parole isolate. Gli elementi grammaticali, vale a dire tutte
le parti del discorso appartenenti alle «classi chiuse» (articoli, dimostrativi, numerali, pos-
sessivi, indefiniti, pronomi personali, preposizioni, verbi ausiliari, verbi e modali, congiun-
zioni, le interiezioni). Si forniscono inoltre esempi di scale per l’ampiezza e la padronanza
del lessico (CoE 2001/2002: 137 s.), senza però fornire indicazioni quantitative. Tali criteri
utili per valutare la competenza lessicale e per pianificare la didattica del lessico, sono poi
ripresi nel sesto capitolo successivo (cfr. cap. VI) e approfonditi.
9 In quegli anni con l’affermarsi del concetto di «competenza comunicativa» (Hymes 1972/1979) su quello di «competen-
za linguistica» (Chomsky 1965) si verifica uno spostamento di focus nella didattica linguistica: dall’attenzione alle regole
del sistema linguistico, che consentono all’apprendente di produrre serie limitate di frasi grammaticalmente corrette, si
passa all’intento di sviluppare la «capacità del parlante di selezionare, nell’ambito di tutte le espressioni grammaticali
a sua disposizione, quelle forme che riflettono in modo appropriato le norme sociali che governano il comportamento
in situazioni specifiche» (Hymes 1972/1979: 270). In questa prospettiva, alla competenza linguistica di Chomsky, si
aggiungono altre competenze, fra cui quella sociolinguistica e quella pragmatica.
10 Vale a dire, la competenza lessicale, grammaticale, semantica, fonologica, ortografica e ortoepica. Le competenze lingui-
stiche, con le competenze sociopragmatiche rappresentano i tasselli della competenza comunicativa.
11 Le classi aperte ammettono un numero illimitato di parole, mentre le classi chiuse ne ammettono invece un numero
definito.

36
Parte I - Capitolo 3

Nel sesto capitolo non si parla infatti solo di ampiezza e padronanza del lessico, ma anche
di varietà, raccomandando a docenti, estensori di sillabi ecc. di considerare e, se oppor-
tuno, specificare: «l’ampiezza lessicale (vale a dire il numero di parole ed espressioni) che
l’apprendente avrà bisogno di/sarà in condizione di/sarà preparato a/sarà invitato a con-
trollare; la varietà lessicale (vale a dire i domini, i temi ecc.) che l’apprendente avrà biso-
gno di/sarà in condizione di/sarà preparato a/sarà invitato a controllare; il controllo sul les-
sico che l’apprendente avrà bisogno di/sarà in condizione di/sarà preparato a/sarà invitato
ad esercitare; come eventualmente distinguere il lessico che si apprende a riconoscere e
a comprendere dal lessico che si è in grado di ricordare e utilizzare nella produzione; l’uso
che si fa delle tecniche di inferenza e come se ne promuove lo sviluppo» (CoE 2001/2002:
184). Sempre nello stesso capitolo, in accordo con la natura non prescrittiva del QCER, si
fornisce una lista opzioni possibili che possono essere adottate dai docenti per sviluppare
la competenza lessicale degli apprendenti (par. 6.4.7.1), in termini di modalità di presen-
tazione del lessico e di attività didattiche da proporre, e si individuano inoltre alcuni criteri
che possono essere utilizzati per selezionare il lessico da presentare nei vari contesti di
insegnamento (par. 6.4.7.3), offrendo un modello di trasparenza e di consapevolezza nelle
scelte metodologiche da adottare nella didattica, di fondamentale importanza a garanzia
della professionalità dei docenti.
Per quanto riguarda la selezione del lessico, vale a dire le parole da usare nei test, nei ma-
teriali dei libri di testo, nei curricoli e nei programmi, il QCER indica alcune possibili opzioni:
a) selezionare parole chiave ed espressioni nelle aree tematiche in cui è possibile collocare
i compiti comunicativi che gli apprendenti sono chiamati a svolgere, oppure parole che rap-
presentano differenze culturali e/o valori e convinzioni rilevanti condivisi dai gruppi sociali
della lingua target; b) fare riferimento a principi di statistica lessicale e scegliere le parole
maggiormente frequenti all’interno di un ampio corpus generale oppure quelle più ricor-
renti in aree tematiche ristrette; c) scegliere testi orali e scritti (autentici) e insegnare tutte
le parole in essi contenuti; d) non pianificare lo sviluppo del lessico e lasciare che esso si
sviluppi in modo organico con i compiti che gli apprendenti devono svolgere.
Nei descrittori relativi all’ampiezza del lessico del QCER, come è stato evidenziato, sono
assenti indicazioni quantitative sul numero di parole da conoscere a ogni livello di compe-
tenza della scala12, tuttavia alcune indicazioni utili sul lessico da apprendere ai vari livelli
di competenza linguistico-comunicativa giungono dalle certificazioni della lingua italiana
(CELI, CILS, IT, PLIDA)13. In Barki et al. 2003, con riferimento ai livelli iniziali della compe-
tenza (A1, A2) della certificazione CILS, si indicano 604 parole per il livello A1 e 800 parole
per il Livello A2, selezionate sulla base delle liste di frequenza del Vocabolario di Base
(VdB) (De Mauro 1980) e del Lessico di frequenza dell’Italiano Parlato (LIP) (De Mauro et
al. 1993) e suddivise per campi semantici. Queste parole sono utilizzabili, come dichiarato
le autrici, sia con finalità certificatorie, sia con finalità didattiche per i vari tipi di profili di

12 Nei Livelli soglia (Livello B1), il progetto confluito poi nel QCER, si presentano per le varie lingue descrittori che includo-
no liste di parole. La versione italiana del documento indica un carico di esponenti lessicali pari a 1500 unità di 400 da
apprendere solo ricettivamente (Galli De’ Paratesi 191). Cfr. Balboni 1995.
13 CELI (Certificato di conoscenza della Lingua Italiana), Università per Stranieri di Perugia; CILS (Certificazione di Italiano
come Lingua Straniera), Università per Stranieri di Siena; IT (Certificazione Italiano), Università degli Studi Roma Tre,
PLIDA (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri), Società Dante Alighieri.

Insegnare il lessico 37
apprendenti individuati14. Inoltre, è possibile fare riferimento ai sillabi delle varie certifica-
zioni di italiano, in cui si esplicita quale e quanto lessico sia opportuno saper gestire ai vari
livelli di competenza, così come evidenzia Gallina (2019) in un articolo in cui si analizzano
le modalità di valutazione del lessico adottate dalle principali certificazioni che accolgono
la visione sociopragmatica del QCER15.

3.3. Contributi teorico-applicativi alla didattica del lessico


Affrontando la questione della didattica del lessico, il punto di partenza per lo sviluppo di
una adeguata competenza lessicale, può essere rappresentato dal Lexical Approach (Lewis
1993, 1997), che è collocabile fra gli approcci comunicativi16. L’approccio lessicale enfatizza
l’accesso alla lingua attraverso i contenuti piuttosto che attraverso le forme, focalizzando
l’attenzione sia sulla contestualizzazione del lessico, sia sull’autenticità, diversificazione e
ricchezza dell’input linguistico. Per Lewis (1993, 1997) la lingua è costituita da formule pre-
fabbricate di tipo lessicale («chunks»), che hanno un valore principalmente pragmatico e
che sono selezionate dai parlanti in base alla loro appropriatezza al contesto e alla loro ca-
pacità di realizzare un determinato scopo comunicativo. Da qui l’importanza, della costru-
zione della competenza lessicale a partire da materiali autentici o da strumenti didattici
basati su studi statistici sul lessico, attraverso i quali evidenziare in particolare, la centralità
delle collocazioni, vale a dire «delle relazioni di compatibilità tra vocaboli nei contesti di
occorrenza» (Serra Borneto 1998: 229), attraverso specifiche strategie di processazione
del lessico (p. es. ripetizione, elaborazione). L’approccio lessicale, come evidenzia Cardo-
na (2008), propone il superamento della dicotomia tra lessico e grammatica e una visio-
ne della lingua «come un organismo unitario costituito da un lessico grammaticalizzato
piuttosto che da una grammatica con un lessico» (2008: 183). In questa ottica, il lessico
e la grammatica non si dovrebbero apprendere separatamente, ma in modo integrato in
quanto il lessico, come sottolinea Serra Borneto (1998: 231), «è esso stesso una compo-
nente intrinsecamente portatrice di informazione grammaticale».
Un altro contributo importante allo studio del lessico, con ricadute anche nella didattica
proviene dalla linguistica dei corpora17, ovvero da quella branca della linguistica che, per la

14 Si tratta di immigrati adulti, figli di immigrati (6-7 anni, 8-11 anni, 12-15 anni); apprendenti asiatici; figli di emigrati italia-
ni (I e II generazione, 8-15 anni), ragazzi stranieri di origine italiana (III, IV, V generazione, 8-15 anni).
15 Nelle Linee guida CILS (Barni et al. 2009), «vengono infatti fornite indicazioni sulla padronanza del repertorio lessicale,
più o meno ampio per gestire i vari contesti comunicativi, sui campi semantici, sulle fasce di stratificazione lessicale
cui fare riferimento a seconda del livello fornendo anche delle indicazioni percentuali di quanto lessico sia opportuno
conoscere di tali fasce, sull’adeguatezza lessicale e la precisione d’uso delle parole, sulla capacità di utilizzare espressioni
idiomatiche e colloquiali, di utilizzare parole appartenenti a vari registri e di riconoscere tratti di connotazione sociale
delle parole. Una distinzione viene fatta anche per quanto riguarda il lessico produttivo e ricettivo e tra produzione orale
(PO) e scritta (PS), fornendo indicazioni differenziate» (Gallina2019: 542).
16 L’approccio lessicale condivide con l’approccio comunicativo numerosi aspetti: l’interesse per l’uso della lingua, in oppo-
sizione agli approcci formalistici, che focalizzano l’attenzione sulle regole del sistema linguistico; la priorità delle abilità
ricettive, soprattutto nelle fasi iniziali dell’apprendimento; un modello di apprendimento di tipo induttivo, che fa rife-
rimento a un curricolo basato sui bisogni comunicativi degli apprendenti; l’esposizione degli apprendenti a materiali
autentici, in cui sono presenti tutti gli elementi della lingua oggetto di studio (lessico d’uso, collocazioni, modi di dire,
aspetti sociopragmatici).
17 Per approfondimenti sulla linguistica dei corpora, cfr., fra gli altri, Barbera, Corino, Onesti 2007; Barbera 2013.

38
Parte I - Capitolo 3

descrizione delle lingue naturali e delle loro varietà, si avvale di raccolte di testi in formato
elettronico (scritti, orali, multimediali)18, che sono trattati in modo uniforme per poter es-
sere gestiti e interrogati informaticamente19. Anche se il trattamento automatico dei testi
si è affermato come metodologia di ricerca per indagare il funzionamento della lingua, in
ambito, per esempio, lessicografico e stilistico, rappresenta uno strumento ricco di poten-
zialità anche in quello della didattica delle lingue20. Anche la linguistica acquisizionale si
avvale di corpora di testi prodotti da apprendenti stranieri (learner corpus)21, per studiare
le caratteristiche dell’interlingua, con implicazioni dal punto di vista didattico, tanto che si è
giunti a parlare di «didattica acquisizionale» (Vedovelli, Villarini 2003; Villarini 2021), vale a
dire la progettazione e l’implementazione di percorsi didattici basati sulle conoscenze che
derivano dagli studi di linguistica acquisizionale22. In ambito lessicografico, i vari corpora di
italiano parlato e scritto, fra cui si ricorda il Lessico di frequenza dell’Italiano Parlato (LIP)
(De Mauro et al. 1993)23, consentono di individuare grazie alle cosiddette «liste di frequen-
za» le parole maggiormente utilizzate in determinati contesti comunicati.
Si ricorda, in particolare, il Vocabolario di base della lingua italiana (VdB) (De Mauro
1980)24, che raccoglie le parole di alta frequenza, cioè la parte del lessico più stabile nel
tempo della lingua, che rappresenta circa il 90% dei testi parlati e scritti di contenuto gene-
rico (Ferreri 2005). Sulla base di criteri statistici, il VdB individua il nucleo centrale della lin-
gua italiana, compresa e usata dalla maggior parte di quanti parlano italiano, costituito da
circa 7000 parole e suddiviso in Vocabolario fondamentale (2000 lemmi ca.): i lemmi più
frequenti in assoluto della nostra lingua; Vocabolario di alto uso (2750 lemmi): lemmi mol-
to frequenti, anche se in misura minore rispetto a quelli del Vocabolario fondamentale;
Vocabolario di alta disponibilità (2300 ca.): lemmi che, sebbene quasi del tutto assenti nel-
la lingua scritta, sono noti a tutti. Questo strumento è di grande utilità nell’insegnamento
linguistico, perché consente ai docenti di valutare il livello di complessità lessicale dei testi,
oppure può essere un punto di riferimento, come per le certificazioni della lingua italiana
(cfr. par. 2), per definire sillabo lessicale relativo ai vari livelli di competenza linguistico-co-

18 Per un elenco di banche dati, corpora e archivi testuali dell’italiano, cfr. il sito Internet dell’Accademia della Crusca, ˂ht-
tps://accademiadellacrusca.it/˃.
19 Si fa riferimento a procedure di vario genere, fra le quali, per esempio, la tokenizzazione, che consente alla macchina
di individuare ogni singola parola, in genere attraverso un blank a destra e a sinistra; la lemmatizzazione, che rimanda
ogni forma flessa alla forma di citazione; il Part-of-Speech (PoS) Tagging, che associa ogni forma alla parte del discorso
corrispondente.
20 Sull’utilizzo dei corpora nella didattica delle lingue, cfr. Lo Duca, Fratter 2007; Andorno, Rastelli 2009; Corino, Marello
2009; Corino 2014.
21 Fra corpora di apprendenti di italiano L2/LS, cfr. VALICO (Varietà di Apprendimento della Lingua Italiana Corpus Online),
con anche un corpus di controllo L1 VINCA (Varietà di Italiano di Nativi Corpus Appaiato) (curatrici C. Marello, E. Corino,
Università di Torino); LIPS (Lessico Italiano Parlato da Stranieri), con le trascrizioni dei testi tratti dall’archivio delle prove
d’esame CILS (coordinatore M. Vedovelli Università per Stranieri di Siena,); LAICO (Lessico per Apprendere l’Italiano.
Corpus di Occorrenze) (coordinatore A. Villarini Università per Stranieri di Siena,); il corpus ADIL2 (Archivio Digitale di
Italiano L2) (M. Palermo, Università per Stranieri di Siena).
22 Parlando di lessico, la linguistica acquisizionale ipotizza una fase prebasica dell’interlingua (Selinker 1972) in cui il par-
lante costruisce la propria competenza comunicativa basandosi sulle poche parole piene che conosce, accostate fra
loro senza esplicitare in nessi sintattici e logici esistenti, e su una quantità molto limitata di elementi funzionali, che gli
consentono di veicolare i primi messaggi nei contesti comunicativi più comuni in cui si trova ad agire linguisticamente.
23 Il LIP è consultabile presso il sito dell’Università di Graz, ˂http://badip.uni-graz.at˃.
24 Del VdB è stata pubblicata nel 2016 una versione aggiornata (Nuovo Vocabolario di Base, NVdB), disponibile al sito Inter-
net di Internazionale, ˂https://www.internazionale.it/, https://bit.ly/3zGfRdp˃.

Insegnare il lessico 39
municativa (cfr. Balboni 1995; Barki et al. 2003; La Grassa 2014; Gallina 2019). Il VdB può
essere utilizzato anche in combinazione con altri strumenti per l’analisi della complessità
linguistica dei testi, come, per esempio, gli Indici di leggibilità (p. es. GULPEASE25, Flesch),
che consentono di calcolare la complessità sintattica dei testi e quindi la loro adeguatezza
per i destinatari cui sono rivolti (Vedovelli 2010).

3.4. Indicazioni sulle pratiche didattiche del lessico


A partire dalla convinzione che non si può pensare che il lessico si apprenda spontanea-
mente con la semplice esposizione alla lingua, come invece ipotizzavano approcci che esal-
tavano la modalità naturale e comunicativa della acquisizione della L2 (approccio natura-
le), oppure che si possa affidare allo studio autonomo degli apprendenti26, data la grande
ricchezza e complessità del sistema, si ritiene che la didattica del lessico dovrebbe essere
svolta in modo esplicito e dovrebbe avere un ruolo rilevante nella formazione linguistica. Si
tenga tuttavia presente che non è possibile raggiungere la piena padronanza del lessico, sia
per la consistenza numerica delle parole di una lingua, sia per le caratteristiche intrinseche
di questa dimensione linguistica, che si configura come un sistema aperto che produce
unità lessicali nuove e che ne perde di antiche e obsolete (Ferreri 2019; Villarini 2021)27.
Tentando di fornire alcune indicazioni che possano essere utili per la didattica del lessico,
coerenti con le prospettive teorico-applicative illustrate nei precedenti paragrafi, si vuole
innanzitutto ricordare che lo sviluppo del lessico interessa tutte le fasi di svolgimento di
una unità didattica o di una unità di apprendimento, inclusi i momenti dedicati a migliora-
re la gestione di specifiche abilità (ricettive e produttive, orali e scritte). In altre parole si la-
vora con il lessico, anche in modo implicito, attraverso i compiti comunicativi assegnati agli
apprendenti (p. es. interagire con i compagni, leggere un testo, scrivere un racconto). Tali
compiti implicano due diversi tipi di conoscenza delle parole: una ricettiva, costituita da
tutte le unità lessicali di cui gli apprendenti si servono per comprendere testi orali e scritti
(vocabolario ricettivo) – di cui solo una parte rappresenta il suo vocabolario produttivo –,
e una produttiva, formata da tutte quelle parole, incluse nel vocabolario ricettivo, che gli
apprendenti utilizzano per produrre testi orali e scritti (vocabolario produttivo) (Corda,
Marello 2004, 2009). Una ulteriore distinzione riguarda la conoscenza reale e quella po-
tenziale delle parole, intendendo con il secondo termine «l’insieme di tutte le parole, in
particolare le parole composte o derivate, che lo studente non ha mai incontrato prima,
ma che è in grado di capire senza spiegazione, in base alle regole della morfologia deri-
vativa, a conoscenze linguistiche (anche relative ad altre lingue) o a ipotesi fondate sul

25 L’Indice di leggibilità GULPEASE verifica l’accessibilità di un testo correlandola al grado di scolarizzazione del lettore (cfr.
Lucisano, Piemontese 1988).
26 Per approfondimenti sul tema dell’apprendimento del lessico nella tradizione metodologica, cfr. Prat Zagrebelsky 1998;
Lo Duca 2006.
27 In considerazione della difficoltà di definire un sillabo lessicale che risponda ai variegati bisogni linguistici degli appren-
denti che costituiscono il pubblico degli studenti stranieri universitari, in Lo Duca 2006, la studiosa sceglie di occuparsi
del «settore più regolare del lessico (formazione delle parole) e di uno dei fenomeni più pervasivi (metafora) che at-
traversano e interessano tutto il lessico dell’italiano, nei suoi risvolti più informali e quotidiani come nei più formali e
specialistici» (Lo Duca, Fratter 2008: 14).

40
Parte I - Capitolo 3

contesto in cui si presentano. Il vocabolario potenziale costituisce dunque una parte “non
attivata” del vocabolario ricettivo, di cui è impossibile determinare l’estensione» (Corda,
Marello 2004: 222).
Le considerazioni appena esposte, hanno importanti implicazioni nella didattica del lessi-
co che riguardano da un lato la selezione dei testi (autentici o concepiti per la didattica),
dall’altro l’indicazione di quante e di quali utilità lessicali presenti nei testi input e nelle at-
tività esercitative saranno sottoposte ad analisi, in relazione alla loro conoscenza ricettiva
e produttiva. Una prima riflessione riguarda la complessità lessicale (e sintattica) dei testi
selezionati. Infatti, se da una parte è vero che il lessico viene appreso attraverso le attività
di lettura e di ascolto dei testi, dall’altro è vero anche che gli apprendenti per leggere e
ascoltare i testi necessitano di un bagaglio minimo di parole conosciute. Da qui la necessità
di proporre l’insegnamento del lessico attraverso testi adeguati, per complessità lessicale
(e sintattica), al livello di competenza degli apprendenti, in cui è basilare una importante
presenza del Vocabolario di Base della lingua italiana (De Mauro 1980), in particolare del
Lessico fondamentale, soprattutto per i livelli basici, focalizzando inoltre l’attenzione su
quelle parole che si vuole che siano apprese in modo stabile, cioè quelle più utili per gli
studenti in base a criteri di frequenza o di rilevanza.
Inoltre, per garantire un apprendimento delle parole oggetto di studio, è importante che
esse vengano riproposte più volte, insieme ad altre parole nuove, e in contesti diversi, af-
finché gli apprendenti, come ricordano Corda e Marello (2004: 140), creino «associazioni
diverse da quelle suggerite dal campo semantico a cui sono normalmente collegate», che
permettano una conoscenza maggiormente solida. Aspetto, quello della riproposizione
successiva delle parole, a cui si possono aggiungere le indicazioni che provengono da stu-
di di ambito psicologico, che indagano in che modo il ricordo possa fissarsi nella mente
(Craik e Lockhart 1972) e che individuano nei compiti che richiedono un livello di elabo-
razione più profonda, il modo per apprendere in modo più duraturo le parole28. Per Craik
e Lockhart (1972) la durata della traccia presente nella memoria dipende dalla profondità
con cui lo stimolo viene elaborato attraverso l’esecuzione di compiti che implicano livelli
più profondi di analisi (grafemico, fonetico, semantico), individuando nei compiti semanti-
ci l’attivazione di processi più complessi e profondi di elaborazione dello stimolo, grazie ai
quali poi lo stimolo viene memorizzato meglio (ipotesi dei livelli di elaborazione). Da ciò se
ne deduce l’importanza di lavorare sul lessico attraverso attività differenziate che attivano
livelli di elaborazione più profonda.
Passando alla questione del vocabolario potenziale, è di fondamentale importanza il lavo-
ro sulle strutture lessicali della lingua (p. es. sulla formazione delle parole per derivazione
e composizione, collocazioni, espressioni idiomatiche) (Lo Duca, Fratter 2008) in quanto
«si offrono degli strumenti concreti che consentono agli apprendenti di ricavare e dedurre
il significato di parole che non hanno mai avuto modo di leggere o ascoltare» (Atzeni 2013-
2014: 34). Di qui la necessità non solo di addestrare gli apprendenti all’uso di dizionari
mono- e bilingui e di altri repertori lessicali, ma anche di svolgere attività corpus-based, il
cui valore riguarda l’autenticità dei testi contenuti nei corpora, da cui è possibile elaborare
modelli di lingua a partire da liste di parole o di o combinazioni di parole, che, come evi-
denzia Corino (2014: 235), «descrivono come queste siano correlate, come vengono usate
28 Per approfondimenti sul lessico dei materiali didattici, cfr. Villarini 2008, 2011, 2012.

Insegnare il lessico 41
le une con le altre, e quanto frequenti esse sono in certo contesto o settore disciplinare».
È infine inadeguato un insegnamento decontestualizzato del lessico basato su liste di pa-
role ed è invece proficuo inserire le parole all’interno della dimensione testuale. I docenti
dovrebbero infatti puntare a sviluppare la competenza lessicale adottando una prospetti-
va funzionale e pragmatica, che tenga conto delle caratteristiche degli apprendenti e dei
loro bisogni linguistici, coerentemente con i principi propri degli approcci comunicativi.
Per i docenti che adottano un approccio orientato all’azione, volto cioè all’utilizzo attivo
della lingua per comunicare e di tipo learner centered, si tratta quindi di promuovere l’ap-
prendimento da un lato delle parole del VdB, che consento l’accesso a una grande quan-
tità di testi non specialistici, dall’altro di quelle unità lessicali che gli apprendenti saranno
chiamati a comprendere e/o a usare nei vari contesti di comunicazione in cui spendono le
proprie competenze linguistico-comunicative.

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44
Parte I - Capitolo 4

4. Sviluppare la competenza lessicale con le


tecnologie digitali: alcune indicazioni
Matteo La Grassa
Università per Stranieri di Siena

4.1. Tre passaggi per arricchire il bagaglio lessicale


Il processo di sviluppo della competenza lessicale in L2 è complesso e articolato e l’ampiez-
za del vocabolario conosciuto risulta positivamente correlata con molti altri aspetti della
competenza linguistico-comunicativa. Apprendere e ricordare le parole1 è quindi fonda-
mentale per rendere possibile l’avanzamento dell’interlingua. Per sostenere un effettivo
sviluppo della competenza lessicale è opportuno seguire specifici passaggi, alcuni dei quali
vengono considerati in questo contributo.
La prima condizione da garantire per favorirne l’apprendimento e la memorizzazione è
quella di far notare esplicitamente all’apprendente il lessico su cui si intende lavorare. Tale
fase può essere condizionata da vari aspetti quali la rilevanza del lessico nel contesto in cui
viene osservato; la motivazione e l’interesse verso il testo input a cui quel lessico è legato;
la sua frequenza.
In che modo può praticamente avvenire questo noticing lessicale? In primo luogo può
verificarsi quando gli studenti deliberatamente rivolgono attenzione a uno specifico les-
sico, le parole vengono “tirate fuori” da un testo specifico, ne viene ricercato il significato
(tramite uso di dizionari o traduttori o tramite strategie quali l’indovinamento lessicale da
un testo), oppure quando ne viene fornita una spiegazione con varie tecniche. Come si
può facilmente intuire, questo passaggio può assumere diverse forme e può essere realiz-
zato da entrambi gli attori del processo didattico: dal docente quando, a partire da un te-
sto, sottolinea le parole, le scrive alla lavagna, fornisce una spiegazione; dall’apprendente
quando consulta il vocabolario o una fonte.
Il secondo passaggio a cui si vuole fare riferimento è quello del recupero di lessico con cui,
in qualche misura, lo studente è già venuto a contatto. Non si acquisisce, infatti, una parola
dopo averla letta o ascoltata una sola volta: si tratta di un processo che richiede un arco di
tempo anche relativamente ampio caratterizzato da una esposizione ripetuta2 in contesti
diversi. Riproporre più volte e a distanza di tempo testi che includano parole già preceden-
temente incontrate dà la possibilità all’apprendente di recuperare quanto già noto.
In particolare, si distinguono in genere due tipi di recupero: ricettivo e produttivo. Il primo
consiste nell’esposizione, in testi orali o scritti, a parole sui cui precedentemente si è foca-
lizzata l’attenzione e su cui si sono svolte attività di esplicita riflessione. Date queste condi-
zioni, lo sforzo cognitivo compiuto dallo studente consiste principalmente nel richiamare
alla memoria il significato della parola stessa. Il secondo, invece (recupero produttivo) si

1 Si dà a questo termine una interpretazione estensiva, non limitata quindi alla singola parola grafica, ma comprensiva di
polirematiche, espressioni fisse, locuzioni ecc.
2 La semplice ripetuta esposizione, ovviamente, non è una condizione che da sola può garantire un rilevante sviluppo della
competenza lessicale (Schmitt 2010: 31).

Insegnare il lessico 45
riferisce ai processi messi in atto nel momento in cui si tenta di comunicare un significato
mediante parole già incontrate3.
Infine, il terzo passaggio fondamentale per lo sviluppo della competenza lessicale è il riuti-
lizzo (oralmente o in forma scritta) di parole già incontrate. Queste, però, vengono incon-
trate con significati e in contesti diversi. Maggiormente vario è il contesto in cui le parole
vengono reimpiegate, più marcata è, in definitiva, la possibilità di apprendimento lessicale.
Facendo riferimento ai passaggi appena illustrati, nei paragrafi successivi si cercherà di
mostrare in che modo le tecnologie possono intervenire per favorire uno sviluppo efficace
della competenza lessicale.

4.2. Notare le parole e conoscerne il significato


L’input a cui è possibile esporre lo studente può essere “arricchito”: in questo caso i testi
proposti contengono forme linguistiche (parole o elementi lessicali, nel nostro caso) che
possono essere portate all’attenzione degli studenti in vario modo per poi essere utilizzate
con attività di analisi e riflessione. Questa modalità di evidenziazione dell’input, una sorta
di “noticing arricchito”, può avere ricadute positive sul percorso di apprendimento in atto.
La realizzazione di input lessicale arricchito può senz’altro essere considerato un punto
di forza dell’uso delle tecnologie: in un testo scritto si possono utilizzare con facilità molti
espedienti grafici (colore, grassetto, sottolineato, grandezza del font ecc.) e la modificabili-
tà del testo digitale consente di utilizzare queste modalità anche contemporaneamente o
di aggiungere al testo immagini o altri elementi paratestuali.
Questa modalità di arricchimento dell’input finalizzato a fare notare con più efficacia il les-
sico di interesse, inoltre, non è limitata al testo scritto, ma si può realizzare anche quando
il testo input è un testo audio o audiovisivo, sfruttando quindi la potenzialità di presenta-
zione multimodale (cfr. Fig. 1).

fig. 1. Input arricchito in testo digitale.

L’utilizzo dell’attività presentata in figura è il seguente: si avvia la visione di testo input


in cui è incluso il lessico oggetto di focalizzazione. Ad un punto del video che l’autore
dell’attività avrà precedentemente stabilito, grazie alla possibilità di integrazione di testi
3 Sulla capacità di recupero interviene anche l’ampiezza del vocabolario già conosciuto. Come afferma Nation (2001: 67):
«The larger the vocabulary size, the greater the quantity of language that needs to be processed in order to meet the
words to be learned again».

46
Parte I - Capitolo 4

di tipo diverso, sarà possibile presentare la trascrizione di una specifica porzione di testo
mettendo in evidenza il lessico di interesse. A titolo esemplificativo, sono state realizzate
tre diverse modalità di messa in evidenza delle parole (grassetto, uso del colore, corsivo).
In questa fase, non si deve esclusivamente evidenziare l’input lessicale per portarlo all’at-
tenzione degli studenti. Esso deve anche, in vario modo, essere presentato, almeno nei
suoi aspetti più salienti relativi al significato. Ipotizzando, pertanto, di voler lavorare sulle
tre parole evidenziate in figura, sarà possibile prevedere una loro spiegazione che, come
si è accennato, può avvenire in modo diverso: mediante risorse esterne presenti in rete
(come i dizionari o i traduttori), oppure con spiegazioni di vario tipo (associazioni parola
immagine, uso del linguaggio non verbale, definizione, traduzione ecc.).
Un aspetto che ci sembra importante sottolineare è proprio l’eterogeneità delle soluzioni
che le tecnologie possono offrire, specialmente in questa fase: attività, dunque, che pre-
vedano uso di media diversi (testo scritto; immagini; audio) facilitano la presentazione e la
spiegazione del lessico rispettando anche stili cognitivi e di apprendimento diversi.

4.3. Recuperare il significato


Per fissare in memoria il materiale lessicale che lo studente ha almeno una volta incontra-
to e contribuire in questo modo a consolidare la sua competenza lessicale, è fondamen-
tale che, ad intervalli di tempo distanziati, questo venga nuovamente riletto o riascoltato4
e ne venga richiamato il significato. Su questo piano le tecnologie consentono di agire in
modi diversi e con strumenti efficaci.
Poniamo il caso di voler sostenere il recupero e il fissaggio della parola opera d’arte. Ogni
volta che questa è presente in un testo scritto digitale, sarà possibile collegarla automati-
camente a una risorsa, per esempio a un glossario che può fornire una spiegazione testua-
le, a un traduttore, a un file multimediale ecc. Come si vede nella figura 2, questa parola
si può evidenziare in testi diversi e rimanda a un box che può contenere immagini e testo.
La stessa cosa è possibile anche in testi audiovisivi (cfr. Fig. 3) anche se, per il momento,
non ancora in forma del tutto automatica: quando nel testo viene pronunciata una parola
oggetto di “recupero lessicale” (opera d’arte, nel nostro esempio), sarà possibile dare ac-
cesso a una finestra pop up che favorisca il processo di richiamo del significato utilizzando
gli strumenti appena visti (immagini, testo, link a risorse esterne).

fig. 2. Recupero di “opera d’arte” presente in testi scritti.

4 Sulle relazioni tra apprendimento e memoria la letteratura è vasta. Per una approfondita disamina di questi aspetti e per
una loro applicazione anche sul piano glottodidattico, si rimanda al recente Cardona, De Iaco (2020).

Insegnare il lessico 47
fig. 3. Recupero di “opera d’arte” presente in testi audiovisivi.

Con le tecnologie, inoltre, è possibile non solo ripresentare semplicemente i significati


nelle modalità che abbiamo indicato, ma anche proporre semplici attività che richiedano
un ruolo maggiormente attivo da parte dell’apprendente, per esempio utilizzando in vario
modo la tecnica delle word cards5 (con la parola da un lato e la spiegazione, la traduzione,
una immagine o un testo audio dall’altro, anche combinati tra loro). Ne presentiamo un
esempio nelle figure seguenti (cfr. Fig. 4).

fig. 4. Recupero di “opera d’arte” realizzata con word card.

4.4. Lavorare sulla polisemia


Lo sviluppo della competenza lessicale include anche il lavoro con attività incentrate su
parole già incontrate e conosciute nel loro significato più comune ma che, in altri contesti,
possono assumere un significato diverso da quello già noto. I diversi significati delle pa-
role, dunque, dovrebbero essere proposti in momenti successivi, quando se ne presenta
la necessità perché ricorrono nei testi che lo studente ascolta o legge ed evitando, quin-

5 Relativamente al loro utilizzo Nation (2001: 306) afferma: «Writing the word on one side and its meaning on the other
allows the learner to be able to retrieve the meaning of the word from memory. […] This is one reason why cards are
better than vocabulary lists and vocabulary notebooks as a means of learning».

48
Parte I - Capitolo 4

di, una modalità che tenda a presentare tutti gli aspetti semantici, ortografici, fonetici e
sintattici in una sola volta. Si tratta di una scelta che ha un evidente parallelismo con la
proposta di un sillabo morfosintattico cosiddetto «a spirale» in cui le funzioni delle forme
linguistiche vengono presentate a più riprese (Diadori, Palermo, Troncarelli 2015: 278).
L’uso delle tecnologie digitali può risultare proficuo per lavorare su questo aspetto, anche
quando la parola presenti un significato metaforico non noto.
Si consideri il caso di un testo digitale in cui sia presente l’espressione “saltare il pasto”, in
cui il verbo “saltare” assume, evidentemente, una diversa accezione rispetto al suo princi-
pale significato letterale. Utilizzando i software che sono disponibili liberamente in rete, è
possibile non solo segnalare questa espressione ma sarà anche possibile (cfr. Fig. 5):
- richiamare il significato letterale (che consideriamo già noto) e rinforzarlo o proponendo
una definizione testuale, o mediante immagini o ancora mediante risorse esterne; sarà
possibile, inoltre, rimandare automaticamente lo studente a sezioni specifiche del testo
(o dei testi) in cui questa parola è già stata utilizzata. In questo modo si potrà favorire il
legame tra significato principale e significato metaforico;
- fornire una spiegazione del nuovo significato (sempre tramite testi, o immagini, o defini-
zioni in un dizionario, o mediante la combinazione di queste modalità) o elicitare le ipo-
tesi degli studenti, modalità che, anche con riferimento al lessico polisemico, favorisce
la loro attiva partecipazione e ne facilita in questo modo l’acquisizione;
- fare riutilizzare la parola in vari contesti.

fig. 5. Attività sull’uso polisemico di “saltare”.

4.5. Creare attività significative


Come si è visto, le tecnologie digitali possono consentire lo sviluppo della competenza
lessicale assecondando i processi messi in campo quando si incontra una parola o una
espressione per la prima volta, si focalizza l’attenzione su di essa, se ne esplorano i diversi
significati.
Un aspetto di altra natura riguarda l’interesse dello studente, la motivazione che dovrebbe
sostenerlo nello svolgimento delle attività. È ormai piuttosto noto, infatti, come attività
decontestualizzate e poco coinvolgenti (ad. es. imparare a memoria una lista di parole),
possono essere di efficacia modesta. Paradossalmente, puntare sull’apprendimento mera-
mente mnemonico si rivela controproducente per la memorizzazione.
Il tentativo da fare, pertanto, è quello di rendere l’apprendente attivamente coinvolto re-
alizzando attività motivanti finalizzate alla presentazione e al riutilizzo del lessico. Que-

Insegnare il lessico 49
sto vale soprattutto quando si lavora su aspetti lessicali non soltanto limitati al significa-
to “centrale” delle parole e espressioni che, probabilmente, potrebbe risultare più facile
da apprendere anche per semplice esposizione all’input. Andando oltre questo livello,
le attività dovrebbero richiedere un esplicito coinvolgimento dell’apprendente. In questa
direzione risultano utili le indicazioni fornite da Lufer e Haulstin (2001) relativamente alle
caratteristiche che dovrebbero avere le attività lessicali. Nello specifico, per queste attivi-
tà, vengono indicati tre parametri:
- Need. Fa riferimento alla componente motivazionale propria dell’apprendente. Se que-
sto parametro è stato tenuto in considerazione, l’apprendente percepirà il lessico ogget-
to di attenzione come rilevante per la comprensione del testo in cui è presente o per lo
svolgimento di successive attività;
- Search. È il parametro che coinvolge più attivamente l’apprendente che è chiamato a
fare un lavoro di ricerca (consultando fonti, confrontandosi con i pari, rivolgendosi ai
compagni) sul significato delle parole o, all’opposto, di ricerca delle parole da utilizzare
per esprimere un determinato significato;
- Evaluation. Richiede allo studente di valutare l’adeguatezza di una parola in uno specifi-
co contesto, facendo riferimento alle proprietà semantiche e sintattiche della parola in
questione.
I parametri sopra indicati determinano la quantità di “carico di coinvolgimento” (Laufer,
Haulstin 2001: 15) richiesta dall’attività e tale coinvolgimento sembra essere direttamente
correlato con la possibilità di successo nell’acquisizione e nella ritenzione del materiale
lessicale. Mettere al centro l’apprendente elaborando attività che possano evidenziare la
significatività del lessico oggetto di interesse e in varia misura coinvolgerlo –agire, in altre
parole, secondo una prospettiva student centered–, potrà pertanto avere una ricaduta
positiva anche sulla efficacia della didattica del lessico.
Per rendere significativo il lavoro sul lessico, a partire da un testo potrà essere utile, ad
esempio, che la comprensione delle parole o espressioni su cui si intende focalizzarsi, ri-
sulti necessaria anche nella prova di comprensione del testo stesso. In questo modo si rea-
lizza una attività più efficace rispetto a una prova di comprensione che, invece, non richie-
da per il suo svolgimento il lessico stabilito come target. Tenendo presente questi principi,
con l’utilizzo delle tecnologie digitali è possibile non solo creare attività di questo tipo, ma
anche suggerire esplicitamente allo studente che il lessico, precedentemente portato alla
sua attenzione in fase di noticing, risulta necessario nello svolgimento della prova (Need).
Oltre a fare questo, è possibile rimandare in modo automatico alla parte di testo (scritto,
orale o audiovisivo) in cui la parola o l’espressione in questione è stata incontrata, fornire
o riproporre la sua spiegazione o, possibilmente, coinvolgere lo studente in prima persona
con una attività di ricerca o di scelta multipla tra più opzioni (Search).
Infine, continuando il lavoro sul lessico, si potrà chiedere allo studente di decidere l’inse-
rimento delle parole in contesti diversi (frasi o testi): questo tipo di attività sarà tanto più
efficace quanto più lo studente dovrà valutare l’appropriatezza tra diverse accezioni di una
stessa parola o scegliere tra diverse possibili parole fornite in una lista (Evaluation).
Vediamo come, in effetti, si possono realizzare attività che tengano conto di questi parame-
tri. Nell’esempio in figura 6, si presenta il lavoro sul lessico a partire da un testo audiovisivo.

50
Parte I - Capitolo 4

La comprensione della parola nemici, che è già stata precedentemente messa in evidenza
in fase di noticing, viene richiesta anche per il corretto svolgimento della prova di com-
prensione del testo input, come viene mostrato esplicitamente allo studente: sarà possibi-
le, infatti, inserire l’informazione Per rispondere a questa domanda devi sapere cosa signi-
fica ‘nemici’. A questo punto lo studente potrà scegliere sia di ritornare alla parte di testo
in cui la parola viene usata, sia di svolgere una attività che gli chiede di indicarne il signi-
ficato corretto.

fig. 6. Esempi di attività lessicale.

Proseguendo su questa linea, possono poi essere elaborate attività che richiedano, per
esempio, di formare una frase che contenga la parola target o di inserire la parola in un
testo, scegliendola tra una lista di altre proposte. Anche per queste attività si ha la possi-
bilità di fornire allo studente delle indicazioni, un feedback ragionato in base alla risposta.
L’uso delle tecnologie, pertanto, consente pienamente di rispettare e sostenere i principi di
engagement dello studente a cui si è fatto riferimento. Le attività lessicali realizzate in modo
da attivare un alto livello di coinvolgimento dello studente, possono, inoltre, essere rese più
efficaci segnalando esplicitamente (con un breve testo o un’immagine) l’utilità delle parole
oggetto di riflessione, ad esempio per lo svolgimento di una prova di comprensione.

Insegnare il lessico 51
4.6. Conclusioni
Alla luce degli esempi mostrati in questo contributo, si ritiene di poter dire che gli stru-
menti tecnologici non rappresentano uno steccato entro cui si è costretti a elaborare un
numero limitato di attività, per lo più di stampo strutturalista. Al contrario, le attività rea-
lizzabili consentono di rispettare in modo coerente le fasi di apprendimento generalmente
messe in atto nel processo di sviluppo della competenza lessicale, consentendo al contem-
po di tenere in considerazione aspetti motivazionali, di engagement dello studente.
Le attività lessicali realizzate con supporto digitale consentono, inoltre, un facile uso di
più media (testi scritti, orali e audiovisivi) che possono essere selezionati e modificati a
seconda delle proprie esigenze. Questo consente, per esempio, di realizzare attività in cui
facilmente e con diversi strumenti è possibile porre all’attenzione degli studenti il lessico
su cui lavorare.
Tra le altre caratteristiche proprie delle attività lessicali che si possono elaborare vogliamo
sottolinearne almeno tre:
- la ricorsività: in tutti i testi digitali con parole o espressioni su cui si decide di lavorare è
possibile creare link a elementi (testi, immagini, risorse di Rete) utili a favorire e rinfor-
zare la memorizzazione del materiale lessicale;
- la varietà: le tecnologie digitali consentono di poter utilizzare insieme o alternativamente
il canale orale e scritto; le attività realizzate possono focalizzarsi sulla competenza ricetti-
va o produttiva del lessico; possono riguardare tutti gli aspetti coinvolti nella conoscenza
della parola (forma, significato, uso) e, per estensione, anche i «lessemi complessi»;
- la flessibilità: con le opportune modifiche, le attività possono essere utilizzate in conte-
sto guidato, oppure possono essere svolte in autoapprendimento dando a chi le svolge
notevole libertà di scelta sulle modalità di lavoro che ritiene più adeguate. In quest’ulti-
mo caso, infatti, non ci sono percorsi obbligati, ma solo suggeriti. Sarà l’apprendente che
potrà scegliere se ritornare sulle parti del testo in cui ha già incontrato le parole target,
se guardare le definizioni sul dizionario ecc.
A conclusione di questo contributo, almeno un veloce accenno va fatto sul ruolo del do-
cente.
Le tecnologie digitali rappresentano uno strumento prezioso per sostenere lo sviluppo
della competenza lessicale nei suoi vari aspetti ma, pur favorendo un ruolo centrale e at-
tivo dell’apprendente, in nessun modo esautorano le competenze del docente. Del resto,
centralità dell’apprendente e responsabilità del docente, come è noto, non sono affatto in
opposizione reciproca. Al docente che voglia servirsi delle tecnologie digitali per sviluppa-
re il lessico, dunque, continueranno a essere demandate le scelte metodologiche legate
all’uso delle attività e soprattutto, almeno nella maggior parte dei casi, dovrà essere lui in
prima persona a creare ed elaborare queste attività o modificare quelle create da altri nel
modo che ritiene più utile per gli apprendenti a cui insegnerà.

Riferimenti bibliografici
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Insegnare il lessico 53
Approfondimenti bibliografici
Sono inclusi solo lavori pubblicati dopo il 2000.

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Insegnare il lessico 57
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Villarini A., 2011, “L’intercultura nelle attività didattiche per lo sviluppo della competenza
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Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata, n. 1, pp. 157-178.

58
PARTE II

Le attività
Parte II - Capitolo 5

5. Alcune attività per l’acquisizione del lessico


Paolo E. Balboni

Raccogliamo qui alcune tecniche che, in un contesto più ampio che include anche rifles-
sione sulla natura e l’acquisizione del lessico, compaiono in Balboni P. E., 20132, Fare edu-
cazione linguistica: Insegnare italiano, lingue straniere, lingue classiche, Torino, Utet Uni-
versità; questa scheda è abbinata a un video nella Guida all’Insegnamento dell’Italiano a
stranieri, disponibile gratuitamente nel sito www.anils.it, alla voce ANILSMONDO.

Mappe lessicali in diagrammi a ragno


Scopo:
Legare una serie di parole ad un concetto, fissandolo anche visivamente.
Dinamica:
In un diagramma a ragno una parola viene scritta al centro di un foglio e cerchiata (forma
il corpo del ragno) e da essa, per associazione, escono parole collegate alla prima con
una linea (sono le zampe del ragno): si creano in tal modo delle catene visive che sono
la rappresentazione grafica di catene semantiche mentali; in molti casi, nei livelli iniziali
di acquisizione, alcune parole saranno in italiano anziché nella lingua straniera o classica,
evidenziando una lacuna che può essere colmata con il ricorso al dizionario; riprendere a
distanza di tempo il proprio “ragno lessicale” permette di verificare cosa è stato memoriz-
zato nel frattempo e cosa invece rimane ancora estraneo. Facciamo un esempio:

locomotore, prima/seconda, ruota, manubrio,


carrozza, eurostar, diretto, pedale, catena,
testa / coda ecc. fanale, ecc.
posto

treno
bicicletta

automobile Mezzi di trasporto moto

nave aereo

Insegnare il lessico 61
Un’attività conseguente a questo diagramma a ragno può essere quella relativo alla deri-
vazione dell’aggettivo: basta partire da questo esempio e troviamo vari modelli: “automo-
bilistico”, “motociclistico”, “ciclistici” (senza il prefisso “bi-”); “aereo” è invariabile mentre
“marittimo” e “ferroviario” derivano da altri nomi).
Commento:
E’ un’attività che si presta al lavoro collettivo, usando la lavagna per fare il diagramma (che
ciascuno studente ripete su un suo quaderno, a futura memoria); aiuta ad attivare la me-
moria visiva; favorisce da un lato gli studenti che procedono facilmente per associazioni di
idee, ma aiuta anche gli analitici che trovano uno schema formale.
L’attività può anche essere svolta a squadre, in una gara in cui vince chi riesce ad avere
l’ultima parola.

Il lessico in sistemi completi attraverso il puzzle lessicale


Scopo:
Creare un sistema completo che aiuta l’acquisizione utilizzando l’accoppiamento tra me-
moria lessicale e memoria visiva.
Materiali e strumenti:
Si prendono due figure uguali, le si taglia in pezzetti, si mescolano e di dividono tra i mem-
bri della coppia o di un gruppetto: ciascuno avrà doppioni, da un lato, e mancherà di ele-
menti necessari, dall’altro.
Dinamica:
Ciascuno deve completare l’immagine e, a turno, deve chiedere al compagno il frammen-
to mancante, descrivendo quel che si intuisce possa mancare – il muso di una macchina
rossa, un paio di gambe femminili, un paio di gambe in jeans, un pezzo di strada – usando
la lingua per comunicati significati veri, per fare attraverso la lingua.
Commento:
E’ facilissimo trasformare questa tecnica in una gara, ma è molto accettabile anche come
normale esercizio.

Mappe della formazione lessicale in diagrammi a ragno


Scopo:
Uno dei meccanismi fortemente generativi di lessico è la grammatica della formazione
lessicale che può essere rafforzata anche con diagrammi a ragno.
Dinamica:
Per fare un esempio, prendiamo i suffissi usati in italiano (ma il meccanismo vale per ogni
altra lingua) per indicare i mestieri, quali:
-ante, come in “cantante”, -iere come in “barbiere”,
-ore, come in “curatore”, -ista come in “elettricista”,
-aio, come in “fioraio”, -ico atono come in “idraulico”.
Si tratta di regole su cui si può ragionare in questa forma (dividendo anche tra derivazioni

62
Parte II - Capitolo 5

dirette da un verbo italiano, e derivazioni più indirette (“attore” o “esattore” dal verbo
latino: ovviamente questa opzione è riservata a livelli più alti):
curare → curatore animare → animatore
dirigere → direttore agire → attore
marmo → marmista lingua → linguista
elettricità → elettricista velocità → velocista

-ore
-ista

-aio I mestieri -ico

-ante -iere

Certe volte attività come queste partoriscono dei mostri, come “rubatore” da “rubare” (il
meccanismo funziona in latino, fur → furor e in francese, voler → voleur, ma non in spa-
gnolo, robar/ladrón, o in inglese, steal/thief), ma in un albergo reale è meglio urlare che
“c’è un rubatore nella mia stanza!” (che poi qualcuno correggerà spontaneamente come
“ladro”) piuttosto che ammutolire per una lacuna lessicale…
Commento:
E’ un’attività che si presta al lavoro collettivo, usando la lavagna per fare il diagramma (che
ciascuno studente ripete su un suo quaderno, a futura memoria); aiuta ad attivare la me-
moria visiva; favorisce da un lato gli studenti che procedono facilmente per associazioni di
idee, ma aiuta anche gli analitici che trovano uno schema formale.
L’attività può anche essere svolta a squadre, in una gara in cui vince chi riesce ad avere
l’ultima parola.

Il lessico in sistemi completi attraverso attività individuali extrascolastiche


Scopo:
Creare un sistema completo che aiuta l’acquisizione utilizzando l’accoppiamento tra me-
moria lessicale e memoria visiva.
Dinamica:
Questa attività individuale richiede la motivazione del singolo studente di accrescere il suo

Insegnare il lessico 63
lessico: seduto nella propria stanza, elenca i nomi del campo semantico “stanza” (i vari
elementi dell’arredamento, dell’impianto di illuminazione, ecc.), oppure quello “colori”,
“materiali” e così via. Lo stesso può essere fatto mentre si attende l’autobus, andando in
bicicletta – ma anche semplicemente in una situazione di attesa, che si riempie ricostruen-
do a memoria la propria stanza, la propria fermata dell’autobus, ecc.
Questa operazione fa emergere quel che non si sa (e che si cercherà in un dizionario) e
consente una fissazione che crea sistema; lo stesso avviene con i disegni terminologici che
spesso ci sono nei manuali e nei dizionari – al mercato, in stazione, l’automobile – dove ad
ogni elemento illustrato è accoppiata la parola corrispondente.
Commento:
E’ una buona tecnica per consolidare l’autonomia dello studente, ed è rispettosa di ogni
stile cognitivo e d’apprendimento.

Fissazione lessicale attraverso il gioco delle differenze


Scopo:
Superare l’aspetto demotivante della fissazione lessicale, garantendo al tempo stesso suf-
ficiente ripetizione di parole.
Materiali e strumenti:
Le classiche vignette affiancate in cui ci sono alcuni dettagli differenti: può raccoglierle il
docente o farsele portare dagli studenti che le trovano in riviste come La settimana enig-
mistica o altre pubblicazioni per ragazzini; bisogna preparare una fotocopia delle vignette
per ogni coppia.
Dinamica:
Gli studenti devono individuare le differenze e dirla in lingua straniera o itaL2, poi il turno
passa al compagno. Vince chi lascia il compagno “senza parole”, o perché non individua
altre differenze o perché queste si sono esaurite (e in tal caso ci può essere un pareggio).
Il lessico fissato in questo modo è utile se le differenze non sono casuali ma appartengono
a specifici ambiti lessicali, ad esempio, colori, elementi dell’arredo, della strada, e così via:
è l’immagine, anziché la lingua, a fornire un abbozzo di contesto significativo.
Se si presenta una scena complessa, si possono avere differenze non solo nei nomi (ed in
aggettivi numerali, di quantità ed eventualmente di colore, riferiti a quei nomi: “qui c’è un
gatto bianco, lì ci sono due gatti neri”) ma anche nei verbi.
Commento:
L’attività privilegia chi ha una forte intelligenza visiva ed è tendenzialmente analitico; e
adatta a bambini e ragazzini; se ben spiegata, può essere usata anche con giovani e adulti.

Fissazione del lessico attraverso la lettura ripetuta nel tempo


Scopo:
Una delle forme di piacere nei processi di apprendimento è la constatazione che si sta
imparando: questa constatazione è particolarmente semplice ed evidente nel lessico piut-
tosto che in morfosintassi e questa attività sfrutta questa forma di piacere.

64
Parte II - Capitolo 5

Dinamica:
Si tratta della lettura di testi abbastanza corposi (racconti, ad esempio), che può essere
iniziata in classe e poi affidata all’autonomia dello studente.
Si legge e si sottolineano a matita:
a. le parole che non si conoscono, e che bisogna chiedere a compagni o al docente o che
si cercano sul dizionario;
b. le parole che sono comprese ad opera del contesto, ma che non si conoscevano prima
(e che quindi, probabilmente, non si comprenderanno in futuro trovandole in contesti
meno trasparenti).
Passato un certo periodo di tempo, si riprende il testo e si vedono le parole sottolineate,
cancellando il tratto a matita per quelle che ormai sono state acquisite; si tornerà succes-
sivamente sul testo per un ulteriore verifica di quelle che ancora sono sottolineate.
Commento:
è un’attività che sviluppa l’autonomia giocando sulla motivazione intrinseca del piacere di
constatare che si sta apprendendo la lingua.

La sostituzione di parole con perifrasi: il cruciverba


Scopo:
Esercitare la capacità di comprendere e generale perifrasi che sostituiscono una parola.
Materiali e strumenti:
Uno schema di parole crociate; molti strumenti on line, gratuiti, consentono la genera-
zione di parole crociate anche tematiche (ad esempio, le parti dell’automobile, i mobili, i
nomi di battesimo degli studenti, ecc., creando dei sistemi abbastanza completi; cfr. 2.1.c):
è sufficiente digitare crosswords su google.
Dinamica:
a. comprensione delle parafrasi: è la versione tradizionale dei cruciverba, si devono com-
prendere perifrasi spesso volutamente ambigue, le cosiddette “definizioni”: possono
essere fatte individualmente, a coppie, o proiettando uno schema sulla lavagna multi-
mediale che consente di scrivere elettronicamente nelle caselle;
b. produzione delle parafrasi: è la versione più complessa di questa attività; si svolge se-
condo il percorso opposto a quello tradizionale:
- si dà a uno studente un cruciverba già risolto, con le parole inserite nello schema;
- si chiede come compito a casa di preparare le definizioni e di ridisegnare lo schema
senza le parole, solo con le caselle nere ed i numeri;
- tornati a scuola, si creano coppie, e ciascuno deve risolvere il cruciverba preparato
dall’altro.
Nascono così discussioni, soprattutto per le perifrasi ambigue o non chiare, che portano
ad una discussione generalizzata con tutta la classe per verificare se effettivamente la peri-
frasi era imperfetta (e in tal caso si decide una perifrasi corretta) o si tratta semplicemente
di incapacità dell’“accusatore”, che quindi paga pegno.

Insegnare il lessico 65
Commento:
Attività ludica che non premia alcun stile cognitivo ed ha motivazione intrinseca.

La precisione del lessico: la denominazione e la definizione


Scopo:
Sia abituare a sia far riflettere su la denominazione come strumento concettuale.
Dinamica:
Si chiede agli studenti di individuare le caratteristiche essenziali di un oggetto o di un con-
cetto, tralasciando quelli accessori; si possono fare tre percorsi:
a. si offre una serie di definizioni (alcune delle quali possono essere errate, quindi devono
essere espunte) da accoppiare ai termini corrispondenti;
b. lavorando a coppie o gruppi si creano definizioni, che vengono poi confrontate in una
gara fino a giungere alla definizione più completa e sintetica insieme;
c. si legge ad alta voce una definizione, o la si dà per iscritto, e come in un indovinello
gli studenti devono scrivere la parola definita; si può organizzare anche questa attività
sotto forma di gara, per cui ad ogni turno vengono esclusi gli studenti che non hanno
scritto la parola giusta.
L’attività sembra semplice fino a quando non la si è provata in aula; ma basta fare l’espe-
rienza di chiedere la definizione di un mobile semplice come “tavolo” e si possono avere
sorprese, quali:
- la tendenza a iniziare definendolo un ripiano con 4 gambe: basta disegnare alla lavagna
un tavolo con quattro gambe cortissime e, dopo vari tentativi, emerge un dato costituti-
vo: le gambe sono alte fino all’inguine;
- a questo punto, allungate le gambe del disegno, si ampia il tavolo e si aggiungono altre
due gambe; poi si accorcia il tavolo e gli si lasciano tre gambe; poi lo si fa circolare con
un’unica gamba centrale – fin quando gli studenti non capiscono che il ripiano va sorret-
to da un certo numero di sostegni, detti “gambe”, alti fino all’inguine;
- si disegna, schematicamente, un muro con una mensola appoggiata al muro e sostenuta
da due gambe: rientra nella definizione precedente, ma non è un tavolo, perché un altro
requisito costitutivo è che il ripiano sostenuto da “x” gambe sia autonomo da muri o
altri sostegni, possa essere spostato in qualunque spazio della stanza – incluso contro un
muro, senza per questo diventare una mensola;
- a questo punto si può lavorare sugli alterati: un tavolo rotondo tale da ospitare almeno
4 persone è un “tavolo”, ma al bar lo stesso ripiano circolare con unica gamba ma con un
diametro ridotto è un “tavolino”, anche se poi al bar spesso ci si mangia in più persone;
ma è un tavolino anche quello quadrato del bar, in cui il diminutivo riguarda la dimen-
sione del ripiano; mentre un “tavolino” tra le poltrone può avere un ripiano abbastanza
grande da essere un “tavolo”, ma va al diminutivo perché è basso; un “tavolo” viene usa-
to per lavorarci, ma se ci si mette una tovaglia diviene una “tavola”, usata per mangiare e
pronta ad accogliere una “tavolata”, cioè le persone sedute intorno al tavolo – e così via.

66
Parte II - Capitolo 5

Un naturale completamento di queste attività si trova nella consultazione di un dizionario,


cioè dello strumento che fa della definizione la propria ragion d’essere.
Commento:
Condotta in maniera giocosa, senza alzare filtri affettivi e portando alla collaborazione (an-
che se mascherata da competizione sotto forma di gara) queste attività richiedono pochi
minuti ma lasciano sempre interessati gli studenti, che scoprono quali sottigliezze lessicali
conoscono senza esserne consapevoli.

Sinonimia e antonimia, iponimia e iperonimia attraverso il cruciverba


Scopo:
Non si tratta di insegnare sinonimi, iponimi, ecc.: devono essere già noti; lo scopo è quello
di riflettere sui meccanismi denotativi e soprattutto connotativi di queste forme.
Materiali e strumenti:
Uno schema di parole crociate; molti strumenti on line, gratuiti, consentono la genera-
zione di parole crociate anche tematiche (ad esempio, le parti dell’automobile, i mobili, i
nomi di battesimo degli studenti, ecc., creando dei sistemi abbastanza completi): è suffi-
ciente digitare crosswords su google.
Dinamica:
Si presenta un qualsiasi tipo di cruciverba a tema, in modo da lavorare su campi semantici
completi – stati d’animo, relazioni di parentela, aggettivi di qualità, ecc.
Gli studenti ricevono lo schema con le parole inserire e devono produrre per il loro com-
pagno le definizioni usando un sinonimo (ad esempio, “abitazione” per “casa”) o un anto-
nimo (“il contrario di triste” per “allegro”); più complessa è la realizzazione con iperonimi
(“fiore” rispetto a “margherita”) oppure per iponimi (“margherita” rispetto a “fiore”): ad
esempio, se il cruciverba è fatto con animali, può essere fornito l’iperonimo con una spe-
cificazione in modo da facilitare il compito (“insetto che vola”, “felino domestico”, “rettile
con le zampe”, “rettile senza zampe”, ecc.).
Commento:
Attività ludica che non premia alcun stile cognitivo ed ha motivazione intrinseca.

Polisemia e mappe concettuali con l’uso del diagramma a ragno


Scopo:
Riflettere sulla polisemia, fondendo memoria visiva e capacità analitica.
Dinamica:
Riprendiamo un esempio che abbiamo fatto in Balboni 2006b e che illustra perfettamente
questa tecnica:
- l’insegnante indica una parola polisemica, ad esempio “piano” e la scrive al centro della
lavagna; gli studenti, a coppie o in doppia coppia, la scrivono al centro di un foglio;
- a raggiera, dal cerchietto che circonda “piano”, si diramano i vari significati aggiungendo
una parola che specifichi quale significato di “piano” viene indicato

Insegnare il lessico 67
- su suggerimento dei gruppi si completa la mappa mentale alla lavagna: nel nostro caso
avremo

Suona piano

Vivo al primo piano Lei suona il piano

Foto in primo piano piano Vai piano

Dal monte al piano Piano militare

Scorre su un piano inclinato

Il lavoro può considerarsi concluso ma, se si vuole riflettere più approfonditamente, si può
chiedere anche di produrre una perifrasi di ogni significato, come se si scrivesse un dizio-
nario; anche in questo caso si può lavorare a coppie, poi a doppie coppie, e poi scegliere
le perifrasi migliori.
Commento:
Il meccanismo è abbastanza semplice ed è noto, ma questa proposta accentua l’opportu-
nità di eseguirlo in gruppo, nella convinzione che più teste funzionino meglio di una e che
la discussione nel momento in cui si procede nel compito dia un forte contributo all’ap-
propriazione dei contenuti.

La connotazione attraverso il ranking


Scopo:
Cogliere le sfumature di connotazione tra parole spesso percepite come (quasi) sinonimi.
Dinamica:
Una tecnica adatta questo scopo è il ranking, cioè l’ordinare una serie di parole dal massi-
mo a minimo rispetto a un parametro. Il funzionamento è semplice e gli studenti accetta-
no ben volentieri questo lavoro, che mette in gioco la loro creatività e sensibilità.
L’insegnante dà una parola di partenza e:
- ciascuno ha un minuto per scrivere su un foglio tutti i sinonimi che gli vengono in mente
e ordinarli secondo il parametro che viene dato dall’insegnante (dal chiaro allo scuro se
si lavora sui colori, dal grande al piccolo se si lavora sugli aggettivi di quantità, dal mas-
simo al minimo di intensità se si lavora su sensazioni come “allegria”, “tristezza”, o su
astrazioni come “bellezza”, “intelligenza”, ecc.); allo scadere del minuto l’insegnante da
un segnale che conclude per tutti questa fase;

68
Parte II - Capitolo 5

- a questo punto si concedono due minuti per un lavoro di coppia: i due elenchi dei due
compagni devono diventare un elenco unico;
- poi, un ulteriore spazio di tre-quattro minuti (conviene a questo punto diventare elastici
per lasciare che il lavorio ferva, se si vede che funziona) per mettere insieme due coppie
e produrre un elenco unico;
- infine si chiama un membro di un gruppo che scrive alla lavagna la sua sequenza di
sinonimi ordinati; poi i vari gruppi propongono integrazioni, spiegando la parola che
propongono, e modifiche eventuali alla gradazione, giustificando le proposte.
- Un’attività di questo tipo richiede un quarto d’ora ed ha due risultati, uno diretto (si impa-
rano parole nuove, le si memorizza in quanto sono state oggetto di discussione partecipa-
ta, soprattutto quando ciascuno difende il proprio patrimonio lessicale, la propria inter-
pretazione e percezione di quella parola) ed uno indiretto, consistente nello sviluppo della
capacità metalinguistica applicata al lessico: si crea una forma mentis di attenzione per
le sfumature e le connotazioni, assai più rilevanti per la comunicazione di quanto non sia
la mera, banale denominazione. Anche l’attività che segue lavora sul piano connotativo.
Commento:
Le persone con una forte intelligenza linguistica “sentono” spontaneamente la connota-
zione, coloro che si affidano di più all’intelligenza logico-matematica focalizzano piuttosto
la denotazione. Siccome la ricchezza lessicale, soprattutto sul piano qualitativo, è essen-
zialmente una questione di ricchezza connotativa, si tratta di un aspetto su cui lavorare
a fondo, possibilmente facendo interagire studenti che privilegiano i due tipi opposti di
intelligenza.

Le parole emozionali attraverso la poesia di gruppo


Scopo:
Sensibilizzare, usando parole appartenenti allo stesso campo semantico, alle differenze
connotative, soprattutto nelle parole legate all’espressione di emozioni.
Dinamica:
- La procedura, proposta da Mollica (1995), è la seguente (e sembrerà assai più complessa
nella sua descrizione che nell’esemplificazione che chiude questa scheda):
- si sceglie insieme agli studenti un tema psicologicamente rilevante (l’amore, la notte, la
festa, ecc.);
- a coppie, si devono trovare due aggettivi e tre verbi (o locuzioni verbali) che descrivano
il tema, più una frase che costituirà un verso;
- si fondono due coppie che devono scegliere, partendo dalle loro proposte, due aggettivi
e tre verbi e una frase conclusiva: in altre parole, deve essere eliminato metà del mate-
riale di partenza, e durante questa procedura si deve discutere metalinguisticamente;
- alla lavagna si inizia lo scrutinio degli aggettivi scelti: di tutti gli aggettivi devono rima-
nerne due, di tutti i verbi, tre; può essere utile scrivere da una parte aggettivi e verbi
connotati positivamente e dall’altra quelli negativi in modo da fare una doppia scelta,
due aggettivi positivi e due negativi, tre verbi positivi e tre negativi.

Insegnare il lessico 69
Nasce in tal modo una “poesia” con un titolo, un verso di attributi, uno di azioni e poi,
scelto conseguentemente tra tutti quelli proposti dagli studenti, un verso conclusivo; se
c’erano aggettivi e verbi connotati positivamente e negativamente, si possono creare due
“poesie” parallele ma di segno connotativo opposto.
Se il tema è, ad esempio, l’amore, due poesie che risultano dall’attività possono essere

Amore Amore
Dolce e sconfinato Traditore, evanescente,
Mi afferri, mi dài forma, mi inventi Illudi, svuoti, deludi
Ed io divento un essere nuovo Con l’alito dorato delle tue bugie,
Amore! Amore!

Il nucleo dell’attività è ovviamente la discussione sulle connotazioni delle singole parole e


poi sulla accoppiabilità delle connotazioni dei vari aggettivi e verbi; sul piano psicologico, è
importante che accanto alla versione collettiva della poesia, quella di classe, venga valoriz-
zata anche quella individuale – in cui il lessico viene riutilizzato favorendo l’appropriazione
emotiva oltre che (nelle lingue non native) la memorizzazione linguistica delle parole che
riguardano un campo semantico unico (l’amore, nell’esempio).
Una variante di questa attività prevede che dopo averla eseguita in una lingua la si traduca
in un’altra lingua, eventualmente coinvolgendo più insegnanti impegnati nell’educazione
linguistica. Partendo dal testo italiano e traducendo in lingua straniera o classica si tradu-
cono le proprie parole (connotatissime) sull’amore ed è una traduzione indubbiamente
più motivante che tradurre la storia delle pulchrae puellae figlie del saggio agricola che
per potreggerne la virtù le tiene in domo sua…
Commento:
Abbiamo già notato la potenza motivante intrinseca di questa attività, che allarga l’idea
di competenza comunicativa dalla semplice capacità di analisi o di efficacia pragmatica a
quella di strumento duttile per esprimere l’animo di chi parla.

Le co-occorrenze, le combinazioni obbligate


Scopo:
Riflettere sulle parole che compaiono insieme, spesso con un ordine predefinito.
Dinamica:
Si può lavorare individualmente o in coppia: ad esempio, si prende un verbo e si chiede
alle coppie di trovare eventuali combinazioni obbligate; per facilitare il compito si può sug-
gerire di aggiungere al verbo le varie preposizioni – e si scoprirà, magari a gara in cui vince
chi ha l’ultima parola, che le co-occorrenze sono molte, ad esempio:
- mettere su… richiede “casa” o “l’acqua (per la pasta)”;
- mettere di… richiede “fronte (alle responsabilità, alle prove)”;
- mettere a … richiede “posto” o “dimora” (parlando di piante);
- mettere di… comporta un avverbio (“traverso”, “sopra”, ecc.);

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Parte II - Capitolo 5

- mettersi con… è interessante perché la preposizione “con” occorre solo con la forma
riflessiva e poi richiede o un nome di persona (“si è messo con Maria”) o una doppia oc-
correnza, con “ci” e poi un complemento di modo: “cui si è messo con attenzione, senza
impegno, di buzzo buono”
- mettere in… abbiamo volutamente scelto il verbo “mettere” per richiamare la necessità
di fare prima le prove delle possibili co-occorrenze, perché una classe che debba com-
pletare “mettere in…” diviene incontrollabile per alcuni minuti.
C’è un aspetto particolare della co-occorenza che riguarda le locuzioni fisse, come “stan-
co morto”, “ubriaco fradicio”, spesso contrazioni di espressioni più estese (“morto per
la stanchezza → stanco morto”, “perso nell’innamoramento → innamorato perso”, “un
freddo mordente come un cane → freddo cane”) e così via: anche queste possono essere
usate per una gara: prima gli studenti pensano alcune di queste espressioni, poi lanciano
alla squadra avversaria la prima parola della locuzione e chi non è in grado di fornire una
seconda parola attendibile viene eliminato.
Commento:
Si tratta di attività rapide che possono anche essere impostate a gara di coppia o gruppi,
sulla base del meccanismo “vince chi ha l’ultima parola”.

Insegnare il lessico 71
6. Il lessico specialistico nella metodologia CLIL
Giuseppe Maugeri, Graziano Serragiotto1
Università degli Studi di Urbino, Università Ca’ Foscari di Venezia

Con il presente contributo si vuole mettere in evidenza la specificità della metodologia


CLIL procedendo, dopo un’iniziale comparazione fra la suddetta metodologia e la Micro-
lingua, a descrivere un modello edulinguistico che possa favorire l’apprendimento del les-
sico specialistico nel CLIL, competenza necessaria per la specializzazione professionale e
per la formazione al lavoro.1

6.1. Coordinate teoriche


Il primo obiettivo sarà quello di procedere a una riflessione sistematica circa la definizio-
ne di CLIL e Microlingua. Successivamente, si metterà a punto una concettualizzazione
che faccia luce sulle differenze considerando le peculiarità della Microlingua e del CLIL.
Infatti, per essere significativa, la proposta edulinguistica andrà progettata nell’ambito dei
riferimenti concettuali e operativi di ciascuna metodologia considerata allo scopo di poter
garantire un livello di apprendimento elevato e una complementarietà tra saperi e compe-
tenze essenziali a una formazione culturale, linguistica e professionale.

6.1.1. Definizione di Microlingua e di CLIL


In linea con gli studi di Mazzotta e Salmon (2007), Sisti (2015) e di Santipolo (2021) si adot-
terà una prospettiva pragmatica per la definizione di Microlingua. Si tratta di una varietà di
lingua usata tra specialisti ai fini di ridurre e se possibile eliminare ogni ambiguità nella co-
municazione. Dunque l’azione metodologica della Microlingua è specifica di un contesto di
apprendimento professionale che condivide pratiche fisse e valorizza l’esperienza diretta dei
partecipanti in quanto parte di una comunità professionale. Ne conseguono finalità pragma-
tiche e obiettivi pratici di apprendimento poiché la lingua che si mira ad acquisire è usata nel
settore scientifico professionale e scientifico degli studenti. Nella Microlingua, l’elemento
linguistico costituisce un codice di identificazione di un determinato gruppo, ne consegue
che la comunicazione fra gli individui dovrà essere precisa, mai ambigua e perciò esatta.
Il CLIL è una metodologia che ha un duplice obiettivo: introdurre dei contenuti nuovi in
lingua straniera; il focus è principalmente sui contenuti la lingua viene sviluppata in base ai
bisogni dei contenuti; tale metodologia favorisce l’integrazione curricolare e comprende
una varietà di modi di insegnare e di situazioni talmente flessibili che ogni docente può
decidere il percorso da seguire e le modalità più adatte per la propria classe, decidendo
anche eventuali modifiche da fare in itinere per migliorare l’apprendimento.
Il CLIL, quindi, si caratterizza per il doppio apprendimento di lingua e contenuti. Questo
1 Il contributo è frutto del lavoro congiunto dei due autori che hanno concordato assieme l’impianto generale e la suddivisio-
ne in parti. Graziano Serragiotto ha curato i paragrafi 6.1.1, 6.1.2 e 6.1.3, mentre Giuseppe Maugeri ha curato il paragrafo
6.2 e i successivi sottoparagrafi.

72
Parte II - Capitolo 6

elemento fisso presuppone che la lingua sia strettamente correlata alla disciplina per il
raggiungimento di una competenza specifica disciplinare. L’input linguistico è integrato e
complementare a quello disciplinare in modo da mobilitare negli studenti risorse metaco-
gnitive e attivare competenze trasversali.
Al fine di fare un sintesi rispetto alle due definizioni e di astrarre i concetti generali che ca-
ratterizzano la Microlingue e il CLIL, è possibile rilevare nella Microlingua le varietà specia-
listiche della lingua collegata a specifici settori di lavoro del gruppo di partecipanti. Pertan-
to, il parlante ha delle possibilità di scelta purché conosca la scienza, il settore e comunque
l’argomento di cui la Microlingua costituisce la “voce”. Diversamente dalla Microlingua, la
metodologia CLIL ha come scopo principale di acquisire contenuti utilizzando una lingua
straniera.

6.1.2. Differenze tra il CLIL e la Microlingua


Dopo aver fornito gli strumenti concettuali per inquadrare le due metodologia, in questo
paragrafo si vuole proporre uno schema il cui obiettivo è di sottolineare le peculiarità e
le differenze tra CLIL e Microlingua, tenendo in considerazione anche l’aspetto lessicale.
CLIL MICROLINGUA
FOCUS: CONTENUTO principalmente FOCUS: LINGUA usata dagli specialisti di un
settore specifico scientifico e/o professio-
nale
PROTAGONISTI: PROTAGONISTI:
- STUDENTI: seguono dei percorsi proposti - STUDENTI: specialisti e/o specializzandi,
- DOCENTE: un unico insegnante se il do- di un dato settore scientifico o professio-
cente possiede sia le competenze disci- nale
plinari sia quelle linguistiche, oppure si - DOCENTE: di solito è un unico insegnante,
prevede la collaborazione tra il docente e in questo caso si tratta di un insegnan-
di lingua e il docente di disciplina; in alcu- te di lingua che può avere più o meno
ni casi è anche contemplata la compre- qualche competenza professionista nella
senza tra i due docenti scienza o settore specialistico. In alcu-
ni casi si prevede la collaborazione tra il
docente di lingua e l’esperto specialista
della materia. In molti casi la collabora-
zione avviene tra il docente di lingua e gli
studenti che sono esperti del settore
RAPPORTO TRA I PROTAGONISTI: RAPPORTO TRA I PROTAGONISTI:
- collaborazione tra i docenti (di lingua e - collaborazione tra docenti
disciplina) in tutte la fasi della progetta- - collaborazione alla pari tra docente e
zione, dell’attuazione e della valutazione studenti
del percorso CLIL
- collaborazione tra studente/i/docente/i

Insegnare il lessico 73
OBIETTIVI: OBIETTIVI:
- apprendere contenuti disciplinari o te- - linguistici ed extralinguistici
matici - favorire l’acquisizione della Microlingua
- recuperare e valorizzare la lingua e la a livello comunicativo e metacognitivo
cultura italiana intesa come lingua etnica per sviluppare competenze professionali
- sviluppo CALP secondo Cummins (lingua
dello studio)
- plurilinguismo
PROGETTAZIONE: PROGETTAZIONE:
Il docente o i docenti devono: Il docente o i docenti devono:
- scegliere la lingua - scegliere i contenuti linguistici della Mi-
- scegliere le discipline o gli ambiti tema- crolingua in base ai bisogni degli studenti
tici considerando l’indirizzo di studio e - individuare obiettivi linguistici ed extra-
le competenze linguistiche e disciplinari linguistici e i contenuti del corso
degli studenti - organizzare le unità didattiche di lavoro
- essere in grado di:
1. selezionare i nuclei fondamentali delle
discipline
2. stabilire gli obiettivi del corso
3. prevedere i cambiamenti in itinere per
migliorare l’apprendimento
4. formulare un piano di lavoro comune
5. prevedere le difficoltà
MATERIALI: MATERIALI:
- Autentici da didattizzare per rendere l’in- - Autentici con situazioni e generi testua-
put comprensibile li dell’area della Microlingua oggetto di
- Schedati e selezionati e graduati studio
- I testi scolastici adottati nelle scuole ita- - Graduati a livello linguistico in base ai bi-
liane devono essere adattati ed integrati sogni degli studenti specialisti o specia-
poiché i programmi in alcuni casi sono di- lizzandi
versi e sono pensati per parlanti italofoni - Variegati e rispondenti ai bisogni del
- Uso di elementi extra-linguistici mondo del lavoro, non obsoleti

Le implicazioni teoriche fra il CLIL e la Microlingua riguardano soprattutto il piano pratico


perché entrambe le metodologie pur riferendosi a contesti di insegnamento/apprendimen-
to diversi si pongono l’urgenza di come costruire delle competenze specifiche, sul piano cul-
turale, linguistico e microlinguistico in apprendenti con un profilo sostanzialmente diverso.
Sul piano della progettazione didattica, nel CLIL si adopera un approccio flessibile per
adeguare gli obiettivi alla motivazione e alla realtà degli apprendimenti. Gli obiettivi infatti
sono disciplinari, linguistici, cognitivi e (inter)culturali finalizzati a istruzione ed educazione;

74
Parte II - Capitolo 6

nella Microlingua gli obiettivi sono linguistici, con brevi cenni alla cultura tecnico-scientifica
e focus sull’aspetto istruttivo. L’obiettivo del CLIL è soprattutto il plurilinguismo, ma non
solo, l’approccio CLIL permette di raggiungere competenze più elevate e cognitivamente
superiori rispetto all’insegnamento tradizionale, poiché consente di passare da una
competenza BICS (competenza comunicativa di base) ad una competenza CALP (competenza
cognitivamente ed accademicamente superiore). L’obiettivo della Microlingua è diverso:
far apprendere il lessico tecnico (scientifico, accademico, commerciale ecc.) soprattutto a
studenti che, conoscendo già i contenuti, hanno bisogno di apprendere i termini tecnici
per approfondire il loro percorso di studio e/o migliorare le loro competenze lavorative.
Un’ultima nota riguarda i materiali da utilizzare: per un progetto CLIL saranno, soprattutto,
testi autentici in lingua straniera, didattizzati secondo le esigenze del percorso CLIL. Al ma-
teriale cartaceo è auspicabile integrare grafici, immagini, schemi, video e quant’altro pos-
sa rendere l’input più comprensibile agli studenti. Per l’insegnamento delle Microlingue
esistono nei campi più diffusi dei testi specifici, negli altri casi si dovrà ricorrere a materiale
autentico che deve essere didattizzato.
Attività/esercizi: Sia nel CLIL sia nella Microlingua, le attività e gli esercizi saranno tarati
in base agli obiettivi. In un percorso CLIL sono preferibili le attività a coppie o di gruppo,
il cooperative learning, roleplay, esercizi di abbinamento, riempimento, collegamento e
approfondimenti on-line.
In modo specifico nel CLIL gli esercizi e le attività serviranno per la comprensione guidata
(es. pre-lettura),il vocabolario (es. traduzione), la discussione (es. domande), il riutilizzo/
consolidamento dei concetti (es. scrittura), l’ approfondimento/integrazione (es. inter-
net); nella Microlingua gli esercizi e le attività serviranno per richiamare pre-conoscenze
sulle rappresentazioni mentali degli eventi (es. elicitazione), presentare pluralità dei testi,
affrontare aspetti stilistico-testuali (le grammatiche).

6.1.3. La necessità di acquisire il lessico specialistico nel CLIL


e nella Microlingua
Una lettura e interpretazione attente alla dimensione d’uso della lingua sia nel CLIL e sia
nella Microlingua è stata proposta da Marsh et al. (1996). L’istanza emergente da tale
contributo scientifico e da quelli a seguire nel ricco panorama letterario glottodidattico
internazionale che interessa e approfondisce lo studio del CLIL e della Microlingua è che
la lingua che si acquisisce va utilizza per scopi sociopragmatici e professionali. Dunque
entrambe le metodologie si rivelano funzionali ad adeguare l’apprendimento del lessico
alle esigenze reali degli studenti. L’orizzonte formativo ed edulinguistico del CLIL e della
Microlingua, quindi, consiste nel fornire agli allievi gli strumenti culturali e (micro)lingui-
stici intesi come risorse personali per affrontare situazione di vita e di lavoro; per agire in
modo critico e responsabile scegliendo un lessico sintonizzato col contesto di vita in cui si
svolge lo scambio comunicativo.
Ai lavoratori che entrano oggigiorno nel mondo professionale si richiedono competenze
adeguate ad affrontare e risolvere le problematiche del lavoro; la diffusione della multi-
medialità e con essa delle tecnologie ha reso più complesso e sofisticata la dimensione
di studio e del lavoro, aggiungendo una configurazione dello spazio di lavoro di tipo

Insegnare il lessico 75
virtuale. In questa direzione, il CLIL nella fattispecie, se correttamente implementato,
genera un’opportunità formativa efficace, le cui fonti informative e di studio vanno de-
codificate, analizzate, rielaborate e usate con padronanza linguistica, a seconda del ge-
nere testuale, dello stile comunicativo e del registro. Il CLIL diventa una risorsa preziosa
se è in grado di educare la persona alla vita reale, agganciando l’esperienza didattica con
situazioni e compiti reali e autentici (Martini, 2017). Si lavora pertanto sulla costruzione
della competenza lessicale allo scopo di padroneggiare un lessico specialistico al fine di
stare al passo delle innovazioni, delle ricerche che ogni giorno si affacciano nella realtà
che ci circonda. La competenza lessicale che si intende promuovere nel CLIL è ampia e
approfondita: correlata all’ambito disciplinare oggetto di studio, la dimensione lessicale
contribuisce ad arricchire il repertorio di strategie di studio e di ricerca da parte degli
studenti (Martini, 2017), cogliendo grazie al lessico polarità diverse e strumenti di azioni
differenti. In tale contesti di apprendimento, lo studente è parte attiva e partecipata
al proprio apprendimento avendo l’insegnante create le giuste condizioni di acquisi-
zione. Si è pertanto d’accordo con Porcelli (2006) nell’individuare nel CLIL un tratto sia
formativo sia professionalizzante in forza di un progetto metodologicamente corretto
e un lavoro sul lessico che, associato alla materia di insegnamento, diventa risorsa per
potenziare abilità cognitive. Quest’ultimo aspetto presuppone scelte lessicali non fatte
a caso da parte dell’insegnante. Il lessico, infatti, andrà collocato all’interno di contesti
reali, comunicativi, disciplinari. Un lessico non marginale ma variegato, utile, concreto,
in grado di aumentare il livello di comprensione dell’input e di spiegazione da parte
dello studente (Cardona, 2008).

6.2. La competenza lessicale nel CLIL


A partire da questo paragrafo si procederà a riflettere sulla natura del lessico specialistico
nel CLIL e su quali indicazioni operative mettere in pratica da parte del docente per lo svi-
luppo del lessico specialistico nell’ambito della metodologia veicolare.

6.2.1. Il lessico e il CLIL


Nella metodologia CLIL, il lessico riguarda le conoscenze della disciplina. Dunque il lessico
è specifico della disciplina ed è adeguato a descrivere determinati ambiti e aspetti della
conoscenza disciplinare oggetto di studio. Pertanto, il lessico caratteristico della disciplina
ha una sua organizzazione testuale, corredata da una terminologia che assume un signifi-
cato adeguato a descrivere certi processi che caratterizzano quel dominio.
Ne consegue una prima implicazione di natura didattica ovvero al lessico va riservata in
classe un’attenzione centrale poiché la comprensibilità dell’input è anche determinata
dalle conoscenze lessicali possedute dallo studente. Quindi la comprensione dell’input
non può prescindere dal livello di competenza lessicale degli allievi (Serragiotto, 2008).
Diventa pertanto cruciale che il docente sappia presentare il lessico nel suo contesto d’uso
e sappia al contempo volgere l’attenzione degli allievi alla specificità del lessico in rapporto:
a. al genere testuale in una prospettiva funzionale e pragmatica. Questo perché ogni tipo-

76
Parte II - Capitolo 6

logia di scrittura prevede determinati obiettivi di comunicazione che vanno individuati.


Va inoltre considerato che diversi generi testuali esigono un controllo formale dello
stile e del lessico rispetto ad altri;
b. al registro, a seconda che sia formale o meno;
c. alla lunghezza del testo;
d. al grado di coerenza e di coesione.
In questa direzione, l’insegnante dovrà investire molto tempo nel presentare il corpus
lessicale all’interno della disciplina che si studia, attuando una serie di strategie didattiche
volte a favorirne la comprensione e l’accertamento dell’avvenuta acquisizione.
Dal momento che la metodologia esaminata è focalizzata sul senso della comunicazione,
è fondamentale che lo studente sia esposto al lessico specialistico con regolarità, che la
frequenza d’uso del corpus sia costante e ridondante. Da ciò è evidente che l’acquisizione
del lessico specialistico nel CLIL è strettamente correlata ad alcuni fattori che devono es-
sere massimizzati fra i quali:
a. l’esposizione al vocabolario;
b. l’opportunità di uso della suddetta terminologia.
A questo proposito, Nation (2008) sottolinea l’importanza delle parole ad alta frequenza
perché supporta l’equilibrio fra diverse tipologie di focus: focus sull’input, focus sull’output
e focus sulla fluenza. In questa direzione, Porcelli (2006), Gardner (2007) e Serragiotto
(2014) suggeriscono una maggiore focalizzazione sulle marche testuali in quanto operano
sull’aspetto lessicale in modo da favorire negli studenti la capacità di analizzare il codice
e i processi di comunicazione che sono sottesi. Tale aspetto è in linea con le finalità della
metodologia CLIL dal momento che la testualità è uno strumento per fare in modo che gli
studenti apprendano e utilizzino il contenuto a livello comunicativo, facendosi carico di
un discorso più ampio, che richiede non solo conoscenze ma abilità traversali nel sapere
descrivere, argomentare, spiegare, negoziare su aspetti e contenuti specifici.
Nel CLIL, quindi, il focus dell’attenzione è riposto sulla lingua in azione, sul senso di quello
che si è ascoltato e sul significato di ciò che è stato detto (Abbate, 2019).

6.2.2. Tipologia di lessico nel testo CLIL


Nel CLIL il lessico è caratterizzato da varietà linguistiche settoriali che richiedono delle
competenze complesse da parte degli studenti. Pertanto, in fase di progettazione l’inse-
gnante dovrà riporre attenzione alle strategie con cui semplificare i testi poiché molti essi
possono essere troppo lunghi, difficili o facili. Il docente dovrà altresì verificare se vi è una
certa sequenzialità nella proposta; se l’organizzazione del discorso è fatta sulla base di ca-
pitoli o sezioni; oppure in paragrafi e stabilire se essi sono troppo lunghi o meno. A questo
proposito, il docente dovrebbe valutare la densità informativa del testo con l’obiettivo
di stabilire se vale la pena intervenire sul testo e diluire i nuclei informativi presenti. Su
questo versante, il docente potrebbe decidere di inserire mappe, carte geografiche, video,
ad esempio, ovvero strumenti non verbali funzionali alla semplificazione del testo e ad
aumentare il livello di comprensibilità del testo.

Insegnare il lessico 77
Un altro elemento da valutare in fase di progettazione riguarda l’impostazione grafica.
Bisogna che il docente valuti se essa è motivante e rilevante ai fini della comprensione del
testo; se l’utilizzo delle immagini aiutino gli studenti a memorizzare e a sintetizzare.
Inoltre, il docente dovrà verificare in base alla classe se il contenuto disciplinare da propor-
re sia adeguato o meno; quali elementi morfosintattici e lessicali possono rappresentare
un elemento di difficoltà per lo studente e individuare delle tecniche didattiche per poterli
rendere fruibili.
Sarebbe anche coerente con la finalità e le ricadute che si intendono conseguire con la
metodologia veicolare prevedere ex ante delle schede, link e testi di approfondimento allo
scopo di collegare la disciplina studiata con le altre, valorizzando le competenze interdisci-
plinari possedute dagli allievi.
In questa direzione, sarà importante che il docente predisponga delle griglie, tabelle, gra-
fici, mappe per poter facilitare sia l’osservazione di certi fenomeni lessicali all’interno del
contesto d’uso sia la loro sistematizzazione in rapporto al nuovo valore semantico.
Lo scopo è di rendere l’input, ovvero il contenuto, comprensibile per poi guidare lo stu-
dente a comprendere il testo autentico. In questa direzione, l’insegnante CLIL potrà prima
di tutto sfruttare le conoscenze pregresse degli studenti in riferimento al genere testuale,
al contesto e al co-testo, elicitando il processo di attivazione della grammatica dell’antici-
pazione e di inferenza.
Ogni testo, poi, possiede una sua precisa architettura e sarà utile da parte del docente gui-
dare lo studente a individuare le informazioni generali del testo e dopo quelle particolari.
Si tratta di un passaggio molto importante ai fini della comprensione e dello sviluppo del
lessico; infatti il testo è caratterizzato dalla sua forma linguistica fondata su parole concre-
te, proposizioni coordinate, forme attive dei verbi anziché passiva, strutture SVO, quindi
soggetto – verbo – complemento, forme esplicite di pronomi e forme sottointese. Quindi
nei testi CLIL non ci sarà un lessico astratto né saranno presenti delle forme figurate; si
eviteranno anche le nominalizzazioni.
Il lessico, inoltre, manterrà un livello di ridondanza tale da facilitare l’osservazione, la com-
prensione e l’uso nel contesto. Questo aspetto si traduce a livello lessicale nella presenza di
nomi pieni rispetto ai pronomi, un numero limitato di ellissi, la ripetizione di certe forme.
Sarà importante che il docente guidi lo studente a comprendere le diverse sezioni o i para-
grafi del testo, i passaggi tra argomenti allo scopo di favorire la loro elaborazione cognitiva.

6.2.3. Indicazioni operative per lavorare sul lessico specialistico nel CLIL
Nel precedente paragrafo si è sottolineato che il docente CLIL dovrà riporre molta atten-
zione all’input. Lo scopo è di rendere l’input, ovvero il contenuto, comprensibile per poi
guidare lo studente a comprendere il testo autentico. In questa direzione, l’insegnante
CLIL, dovrà far ricorso a tecniche glottodidattiche che si basano sui riferimenti al reale.
Nella prima fase il docente CLIL potrà prima di tutto sfruttare le conoscenze pregresse degli
studenti in riferimento al genere testuale, al contesto e al co-testo, elicitando il processo di
attivazione della grammatica dell’anticipazione e di inferenza. Nel fare questo potrà far ricor-
so ad alcune tecniche efficaci ed economiche in termini di utilizzo e correzione. Una di queste
tecniche è il brainstorming utile per costruire il lessico attorno al topic. In alternativa a que-

78
Parte II - Capitolo 6

sta tecnica, il docente CLIL potrà introdurre l’argomento e formulare delle domande aperte
sull’argomento le cui risposte sono presenti nel testo. Egli potrà ricorrere all’uso di video
e di immagini suscitando interesse nell’argomento, collegandolo ai bisogni degli studenti.
Il collegamento parola – definizioni, parola – immagini potranno essere successivamente
adoperate per lavorare ed estendere il lessico funzionale alla comprensione del testo che
verrà introdotto in fase di Globalità. In questo modo gli studenti avranno piena compren-
sione di alcune parole che si trovano nel testo in quanto sono state analizzate nella fase
antecedente la lettura del testo.
Si potranno utilizzare inoltre tecniche come l’esplorazione della parola chiave, analizzando
il titolo del testo e facendo in modo che gli studenti formulino delle ipotesi sull’argomento;
oppure una prima lettura del testo e della prima sezione del testo in modo da favorire una
prima contestualizzazione del testo e stimolare gli allievi a esprimere delle loro opinioni
sulla tematica del testo.
Per prepararsi alla lettura e alla comprensione del testo, il docente potrebbe già selezio-
nare le parole chiave per comprendere il testo. In alternativa, potrebbe fornire testi in L1
sull’argomento.
Dopo la lettura si potrebbe lavorare sulla comprensione del testo e sull’utilizzo del nuovo
lessico specialistico chiedendo agli allievi di fare un breve riassunto; oppure si potrebbe
dare loro 3 descrizioni di processi e chiedere loro quale di esso corrisponde al processo
descritto nel testo, spiegandone anche le ragioni e le evidenze.
Dopo la lettura del testo si potranno formulare domande sul testo, far svolgere attività,
anche non verbali, a partire dal testo. In questa fase, il lavoro sul lessico specialistico che è
stato trovato nel testo potrebbe essere oggetto di riorganizzazione e di sistematizzazione
da parte degli studenti. In questo caso il docente chiederà agli allievi di riordinare i vo-
caboli secondo una precisa sequenza logica. Ogni termine, infatti, potrà essere collegato
con l’attivazione o la sequenza di un processo per cui diventa molto importante che gli
studenti siano in grado di collegare i vocaboli allo stadio di questo processo e organizzino
la loro distribuzione secondo un ordine cronologico sequenziale e corretto, ad esempio. In
alternativa essi potrebbero giustificare le proprie soluzioni in rapporto al corretto stadio di
sviluppo di un evento o processo. Gli studenti, poi, potrebbero selezionare alcune parole
chiave in rapporto al proprio lavoro e successivamente sviluppare una presentazione di se
stessi. Una simile attività consente all’allievo di mettere in pratica il linguaggio specialistico
e sintonizzarlo con un preciso campo esperienziale a cui egli fa riferimento.
Le tecniche della seriazione, quindi, in base a criteri di qualità e quantità svolgono un ruolo
chiave nel dare rilievo al lessico specialistico e nella sua organizzazione. Sullo stesso piano
ma con obiettivi differenti si possono collocare delle attività mirate alla riflessione sul les-
sico; ad esempio le tecniche insiemistiche, di inclusione e di esclusione hanno il merito di
aiutare gli allievi a organizzare il lessico in insiemi ben strutturati.
In questa fase più analitica e di lavoro sul lessico si possono inoltre utilizzare le seguenti
tecniche (Dale, Tanner, 2012):
a. scelta multipla per stimolare gli studenti a indovinare il significato delle parole scono-
sciute;
b. abbinamento fra parole sconosciute e definizioni prese dal dizionario;

Insegnare il lessico 79
c. tecnica di riconoscimento della collazione che si pone l’obiettivo di far riflettere gli stu-
denti sulla relazione di alta frequenza;
d. tecniche di completamento;
e. tecniche di riconoscimento della collocazione.
Come si osserva, le strategie didattiche sono varie e diversificate; in questa direzione una
possibile strategia di lavoro è fornita dal Task Based Learning che presuppone lo svolgi-
mento di un progetto o compito da risolvere in gruppi (Ball et al. 2015). Tale modalità
asseconda il carattere interattivo del CLIL prevedendo per ogni allievo compiti diversi in
ogni fase del progetto, dando modo a ogni allievo di essere attivo nell’elaborazione e nella
successiva produzione che caratterizza la Sintesi.

Riferimenti bibliografici
Abbate E., 2019, “DDL&CLIL Integration Learning Activities and Resources Based on the Use of
Corpora for CLIL Geography in a Cambridge International IGCSE® High School in Italy”, in EL.LE,
n. 2, pp. 286-304.
Ball P. et al., 2015, Putting CLIL into Practice, Oxford, Oxford University Press.
Cardona M., 2008, “Lo sviluppo della competenza lessicale in ambiente CLIL. Riflessioni lingui-
stiche e umanistico-affettive”, in Coonan M.C. (a cura di), CLIL e l’apprendimento delle lingue,
Venezia, Libreria Editrice Cafoscarina, pp. 177-192.
Dale L., Tanner R., 2012, CLIL Activities; A Resource for Subject and Language Teachers, Cam-
bridge, Cambridge University Press.
Gardner D., 2007, “Validating the construct of word in applied corpus­based vocabulary rese-
arch: A critical survey”, in Applied Linguistics, n. 2, pp. 241-­265.
Martini, M., 2017, Lavorare per competenze, Torino, Utet.
Mazzotta P., Salmon L. (a cura di), 2007, Tradurre le microlingue scientifico-professionali.
Riflessioni teoriche e proposte didattiche, Torino, Utet Libreria.
Nation P., 2008 ,“The four strands”, in Innovation and Language Teaching, n. 1, pp. 2-13.
Porcelli G., 2006, “Punti di incontro tra CLIL e approccio lessicale”, in Rassegna Italiana di
Linguistica Applicata, n.1, pp. 101-120.
Santipolo M., 2021, “The Content of CLIL and Beyond: Classifying Typologies of Microlanguages
for Teaching and Learning Purposes”, in Graziano P. et al. (a cura di), Pedagogical and
Technological Innovations in (and through) Content and Language Integrated Learning,
Newcastle, Cambridge Scholars Publishing.
Serragiotto G., 2008, “Il bilanciamento del fuoco contenuto e lingua nelle lezioni CLIL”, in
Coonan M.C. (a cura di), CLIL e l’apprendimento delle lingue, Venezia, Libreria Editrice Cafo-
scarina, pp. 129-142.
Serragiotto G., 2014, Dalle Microlingue disciplinari al CLIL, Torino, Utet Università.
Sisti F., 2015, “CLIL at University: Research, Didactics, Teacher Training”, in Rassegna Italiana
di Linguistica Applicata, n. 1, pp.147-162.

80
Parte II - Capitolo 7

7. Giocare con il lessico


Fabio Caon
Università Ca’ Foscari di Venezia

Come è noto, la didattica ludica può essere un utile aiuto per l’esercizio e la fissazione del
lessico in quanto, grazie alla ludicità (intesa qui come sfida e coinvolgimento olistico della
persona), può rendere più piacevoli le operazioni ripetitive ma necessarie per acquisire
una lingua.

7.1. Le tipologie di giochi


Tutte le tipologie di giochi possono aiutare il potenziamento del lessico anche se, in par-
ticolare, ci sembra che i “giochi di esercizio” possano esser quelli più mirati a tale scopo.
I giochi di esercizio (funzionali), correlati all’intelligenza senso-motoria, si manifestano fin
dai primi mesi di vita. Sono giochi attraverso i quali il bambino esplora, sperimenta la real-
tà circostante, esercita per puro piacere funzionale le nuove condotte, assume e controlla
la realtà che lo circonda passando dalla conoscenza sensoriale, percettiva - manipolativa
delle cose alla formazione dei concetti e del linguaggio.
In prospettiva glottodidattica, appartengono ai giochi di esercizio tutti i giochi-esercizi ca-
ratterizzati da una forte connotazione ludica. Non c’è contraddizione -in questo caso- tra
gioco ed esercizio perché la motivazione, l’interesse e il piacere che sostengono l’allievo
durante queste attività sono le stesse che si hanno in una situazione di gioco libero.
Ai giochi-esercizi sono riconducibili tutte le attività che esercitano e fissano lessico e strut-
ture della lingua, rese “ludiche” dalla componente sfida o da un limite prefissato di tempo:
a. ripetizioni (di parole, frasi, testi, filastrocche, poesie, canzoni, ecc.)
b. composizioni; scomposizioni; ricomposizioni;
c. associazioni di parole-immagini, testi-immagini, ecc.;
d. incastri di battute in un dialogo, incastro/abbinamento;
e. catene di parole, frasi, dialoghi a catena;
f. giochi di movimento che è alla base del Total Physical Response;
g. interviste e questionari con input linguistico molto controllato (gli esercizi noiosi di
matrice strutturalista, si trasformano in games piacevoli e coinvolgenti grazie alla com-
ponente ludica);
h. giochi di natura insiemistica: classificazioni, giochi di seriazione, sequenziazione, di in-
clusione ed esclusione, come ad esempio Caccia all’intruso;
i. giochi epistemici legati al problem solving, gioco dei perché;
j. giochi di enigmistica: cruciverba, crucintarsi, acrostici, anagrammi, rebus, ricerche di
parole in uno schema, ecc.
Presentiamo in questa sede alcune esemplificazioni, non solo di giochi di esercizio ma

Insegnare il lessico 81
anche di altre tipologie e privilegiamo la proposta di alcune varianti dello stesso gioco
anziché un numero maggiore di attività per richiamare sempre un principio fondamentale
della glottodidattica: adattare non adottare.
È l’insegnante che, a seconda dell’età e del livello dei propri studenti, può decidere non
solo quale attività ludica proporre ma anche come adattarla, quale variante scegliere o
inventare. Noi, in questa sede, abbiamo privilegiato giochi che possano esseere già svolti
con un livello A1 ma ovviamente è solo un’indicazione di massima che non deve essere
presa acriticamente. Non esiste, infatti, l’attività perfetta a priori: l’efficacia sarà sempre
“un onore ed un onere” di chi gestisce in prima persona la classe. Il nostro compito, qui
in veste di metodologi della glottodidattica, è di proporre attività che siano coerenti con
i principi di riferimento della ludica (per un approfondimento: Caon F., 2008, Educazione
linguistica e differenziazione, Torino, UTET Università).

7.2. Giochi su schema


I giochi su schema si basano su una griglia grafica in cui compaiono numeri, lettere oppure
figure.

Battaglia Navale
Gioco su schema che, oltre al classico binomio di numeri-lettere finalizzato ad individuare
il punto da colpire, può presentare versioni in cui il binomio sia costituito, come nel nostro
primo esempio, da spezzoni di frase da ricomporre ed esercitare.

OBIETTIVI LINGUISTICI Esercizio-fissazione del presente indicativo; lessico degli abiti;


incastro-composizione della frase; divisione in sillabe.
OBIETTIVI COGNITIVI Uso di tabelle a doppia entrata
OBIETTIVI RELAZIONALI Capacità di interagire col partner, accettare vittorie in modo
equilibrato, sdrammatizzare sconfitte
LIVELLO A1-A2
ORGANIZZAZIONE Gioco a coppie
DURATA 15 minuti
MATERIALI Due tabelle a doppia entrata (griglie) per ogni giocatore, una
per sé e l’altra per il campo avversario; cartellini in cartoncino
uguali per tutti gli allievi con parole di un certo campo lessi-
cale da dividere (tagliare) in sillabe. Si è preferito, al normale
disegno/scrittura nelle caselle, l’uso di cartellini mobili che
possono essere riutilizzati.

Come si gioca: lo schema di gioco è quello della battaglia navale tradizionale; al posto delle
“navi”, ogni allievo deve inserire nella propria griglia un numero concordato precedente-

82
Parte II - Capitolo 7

mente di parole bisillabe, trisillabe e/o quadrisillabe. Nel primo esempio che forniamo,
sono inserite 3 bisillabe e 1 trisillaba. Le parole inserite non devono toccarsi l’una con l’altra.
A turno, ogni giocatore compone una frase.
Es. Giocatore A – Lei indossa un cappotto
Giocatore B - dice: Colpito! e specifica: “PA”
Giocatore A: ha diritto ad un altro turno; se non colpisce, il giocatore B dice: mancato! e il
gioco passa in mano sua.
N.B.: ogni allievo deve segnare con un puntino i colpi andati a vuoto sia sulla propria
griglia che su quella che rappresenta il campo di gara avversario; ogni giocatore, quando
colpisce una sillaba dell’avversario deve scriverla nella sua griglia; quando invece viene
colpito dall’avversario deve girare il cartellino a faccia in giù. Nel momento in cui viene
colpita e affondata l’intera parola, il giocatore deve consegnare i cartellini corrispondenti
all’avversario.
Chi vince: vince chi “affonda” per primo tutte le navi dell’avversario, prendendogli tutti i
cartellini.
Esempio:
Schema giocatore A
Una camicia Un paio Una gonna Un pigiama Un cappotto
di pantaloni
Loro indossano GON
Lei indossa GUAN TI NA
Tu indossi
Io indosso SCAR CAP PEL LO
Noi indossiamo PE
Voi indossate

Schema giocatore B
Una camicia Un paio di Una gonna Un pigiama Un cappotto
pantaloni
Loro indossano CAL
Lei indossa ZI SCIAR PA
Tu indossi NI
Io indosso GIAC
Noi indossiamo CA MA
Voi indossate GLIA

Insegnare il lessico 83
Variante
Questa variante mira alla fissazione della coniugazione del verbo “indossare” che, a dif-
ferenza dell’esempio precedente, non è già inserito in tabella, ma deve essere richiamato
alla memoria.
Il tempo verbale da esercitare (modo indicativo) è a scelta dell’insegnante.
Ad esempio, noi indosseremo/indossammo/indossavamo, ecc., un paio di pantaloni/una
gonna, ecc.
Ogni giocatore, a turno, deve dire una frase per tentare di colpire una nave avversaria, es.
Giocatore A: Noi indossiamo una camicia. L’avversario deve controllare la correttezza della
coniugazione del verbo e, nel caso di dubbio, richiamare il controllore (un compagno dotato
di foglio di controllo con la coniugazione corretta o lo stesso insegnante) per una verifica. Se
la coniugazione è sbagliata, il colpo non è considerato valido e il turno passa all’avversario.
Esempio:
Schema giocatore A

maglione
di scarpe

cappotto
di guanti

di calzini
pigiama
Un paio

Un paio

Un paio
camicia

sciarpa
gonna
Una

Una

Una
Un

Un

Un
Noi CO STI
Io STU GI SAN DA LI VA
Ella/Lei ME LÈ LI
Tu
Egli/Lui GIAC CA
Voi GON
Essi CIN TU RA NA

Schema giocatore B
maglione
di scarpe

cappotto
di guanti

di calzini
pigiama
Un paio

Un paio

Un paio
camicia

sciarpa
gonna
Una

Una

Una
Un

Un

Un

Noi CAP
Io PEL BOR CAL
Ella/Lei LO SA ZE
Tu OM BREL LO
Egli/Lui MA
Voi SCIAL CA MI CIA GLIO
Essi LE NE

84
Parte II - Capitolo 7

Il bingo delle cose fuori posto


Il Bingo è una specie di tombola con numeri, immagini o parole. È uno dei giochi in cui
è opportuno far costruire i materiali dagli allievi non solo perché questi si “caricano” di
valenze affettive, ma anche perché il disegno in cui si unisce “dire e fare” rinforza la me-
morizzazione del lessico.

OBIETTIVI LINGUISTICI Sviluppo della capacità di comprensione-produzione orale;


fissazione, consolidamento, verifica del lessico degli ambienti
e degli oggetti della casa; distinzione tra singolare e plurale.
Uso di c’è-ci sono; un -uno- una/dei- delle.
OBIETTIVI COGNITIVI Sviluppo della capacità di osservazione, di riconoscimento di
ambienti diversi, di rielaborazione dei dati. Saper identificare
un elemento estraneo al contesto
LIVELLO A1-A2
ORGANIZZAZIONE Gioco per tutta la classe
DURATA Alcuni minuti a partita
MATERIALI Cartellini (indicativamente 12 per ogni alunno) uguali per
tutti i giocatori compreso il direttore di gioco (di solito l’inse-
gnante) che ha il compito di estrarli e descrivere l’immagine.
I cartellini presentano le immagini di ambienti in cui ci sia un
elemento estraneo.

Come si gioca: preliminarmente, affinché gli allievi possano avere le competenze per gio-
care, l’insegnante deve verificare le loro conoscenze lessicali attraverso, ad es., con sem-
plici attività di abbinamento parola-immagine.
Dal suo mazzo di dodici cartellini, ogni giocatore ne sceglierà, ad esempio, sei e li disporrà
bene in vista sul banco per la prima partita. Il direttore di gioco, che ha in mano tutte le
dodici carte, comincia ad estrarle dicendo ad es. C’è un letto in giardino/ Ci sono delle
sedie in bagno, ecc. Se un giocatore ha quella carta, la gira “a faccia in giù”. Si continua in
questo modo fino a che un giocatore non ha girato tutti i sei cartellini dichiarando ad alta
voce Bingo!.
Chi vince: Chi avendo dichiarato il suo Bingo ripete correttamente le frasi che descrivono
le immagini di ogni cartellino.
Variante
Lo stesso gioco con cartellini che riportano anziché le immagini, frasi da leggere, in questo
caso si esercitano – verificano le capacità di lettura e comprensione.
Idee per cartellini (da far eventualmente disegnare a studenti)

Insegnare il lessico 85
quadri libreria bici frigo ombrellone divani
in giardino nel bagno in cucina in camera in salotto in giardino

lavandino
televisore pentole poltrone vasca lavastoviglie
in sala
in garage nello studio in ripostiglio in camera in ingresso
da pranzo

piatti stufa
letti lavatrice computer specchio
in camera (fornelli)
in giardino nello studio in cucina in giardino
da letto in salotto

armadi
lavello
tappeto guarda-roba sedie telefono gabinetto
da cucina
in garage in sala da nel bagno in ripostiglio in ingresso
in camera
pranzo

7.3. Giochi su esercizio


Proponiamo ancora alcuni giochi di esercizio che si propongono di esercitare, fissare, ma
anche di revisionare e verificare l’acquisizione di lessico e strutture.

Trenta domande
Gioco di revisione e verifica che può essere modificato nel corso dell’anno scolastico, con
il progredire dell’acquisizione linguistica. È un ottimo esercizio di riflessione grammaticale
che dà all’insegnante la possibilità di monitorare la presenza di eventuali lacune e interve-
nire di conseguenza.

OBIETTIVI LINGUISTICI Riflessione grammaticale su un insieme di 6 o più campi gram-


maticali e morfosintattici; sviluppo abilità di base: compren-
dere, parlare, leggere, scrivere.
OBIETTIVI COGNITIVI Capacità di fare deduzioni logiche e di richiamare alla memoria
conoscenze generali e linguistiche
OBIETTIVI RELAZIONALI Rispetto delle regole di gioco; responsabilità individuale a
favore della squadra di appartenenza
ETÀ e LIVELLO 11 in poi; adattabile a qualsiasi livello
ORGANIZZAZIONE 2 squadre
DURATA 15-30 minuti

86
Parte II - Capitolo 7

MATERIALI 6 cartelli con i titoli degli argomenti delle domande.


5 cartelli con i numeri da 1 a 5
30 foglietti (da fissare di volta in volta con adesivo per lavagne
o altri supporti: es. Bostik Blu-tack) con domande predisposte
dall’insegnante (o dagli stessi allievi, se sufficientemente au-
tonomi).
Lavagna o un cartellone organizzato a griglia grafica (cfr.
esempio).

Come si gioca: la classe è divisa in 2 squadre, ma in realtà ogni allievo risponde da solo alla
domanda prescelta, impegnandosi per portare 1 punto alla sua squadra in caso di risposta
corretta. Le squadre si avvicendano nello scegliere le domande a cui rispondere. (15 per
ogni squadra)
Ogni giocatore sceglie la domanda; tale scelta avviene dando le coordinate della griglia,
es. Come si scrive/2 (cfr. Griglia)
L’insegnante dice: “Scrivi streghe”. La scrittura può essere fatta alla lavagna davanti a tutti,
oppure su un cartellone/foglio comune che viene fatto passare tra i giocatori.
L’insegnante, che conduce il gioco, verifica l’esattezza delle risposte, registrando il punteg-
gio di ciascuna. Alla fine del gioco si può prevedere un momento di riflessione-correzione
collettiva.
Nell’esempio abbiamo scelto, tra i molti possibili, i seguenti campi:
a. Come si scrive: difficoltà ortografiche- morfologia della parola, alfabeto;
b. Scopri il plurale: plurali regolari/irregolari;
c. Completa con il tempo verbale adatto: coniugazioni verbali;
d. Trova le parole: campi semantici,
e. Riordina la frase: frasi da riordinare;
f. Vero o falso?: veri e falsi alterati
Chi vince: la squadra che ha più punti.
Esempio:
Abbiamo esposto in questa griglia si possono leggere i quesiti che l’insegnante disporrà
invece coperti, in modo da poterli girare e leggere solo quando lo studente darà le coordi-
nate della domanda prescelta. Ovviamente ciò non sarà possibile con i quesiti della prima
colonna che saranno esposti solo a risposta del giocatore avvenuta.

Insegnare il lessico 87
COME SI SCOPRI IL completa TROVA LE RIORDINA LA VERO O
SCRIVE PLURALE con il tempo PAROLE FRASE FALSO?
VERBALE
adatto
1 scrivi Osso Una volta la Nomina 5 alle mi Un grande
spicchio e carne non mi parole cibo mattina sette lampo è un
compita le (piacere)…ma alzo ogni lampone
lettere ora la mangio.
2 scrivi streghe Dito Tutti i sabati noi 5 parole parti gli studiano Una grande
e compita le (andare)….. in del corpo lezione scatola è uno
lettere piscina alunni la scatolone
3 scrivi spugna Mano Lo scorso anno 5 parole capi ghepardo Un tacchino
e compita le Marco e Anna di abbiglia- veloce è degli è un piccolo
lettere (visitare)…. mento il più animali tacco
L’Egitto il
4 scrivi acqua Uomo Ti prometto 5 parole mesi se esami Un becco
ecc. che domani dell’anno passare piccolo è un
(prendere)… devi vuoi gli becchino
l’autobus in studiare
orario
5 scrivi Uovo Ah, se (potere)…. 5 parole perderai corri Una grande
pagliaccio vorrei visitare mezzi di treno o il torre è un
ecc. Roma trasporto torrione

Questionario – Intervista
Il questionario, o meglio l’intervista, diventa gioco nel momento in cui si fa assumere agli
alunni un altro ruolo, ad esempio quello del reporter, che fa sondaggi per il suo “giornale.”
In questo caso diventa, da un lato, un esempio classico del gioco di finzione, (gioco simbo-
lico), del “calarsi nei panni di un altro”, situazione che da sola giustifica il modo divertente
in cui una stessa struttura, ad esempio una domanda, viene ripetuta un numero elevato
di volte senza che subentri demotivazione o noia. Dall’altro lato, si tratta evidentemente
di un esercizio di fissazione, (drill) inserito però in un contesto motivante che “giustifica”
l’uso della lingua e non si limita a ripeterla per ottenere un automatismo.

OBIETTIVI LINGUISTICI Esercizio e fissazione di lessico e strutture; comprensione e


produzione orale; capacità di chiedere, rispondere, descri-
vere; strutture linguistiche: Sei capace di pattinare/giocare a
tennis..?/ Ti piace il/la…? È capace di…/ sa…/ a Giorgio piace…
OBIETTIVI COGNITIVI Trasferimento di competenze in ambito interdisciplinare: uso
di griglie, costruzione di grafici
OBIETTIVI RELAZIONALI Capacità di interagire con diversi soggetti

88
Parte II - Capitolo 7

LIVELLO Adattabile a qualsiasi livello


ORGANIZZAZIONE Classe intera con rotazione di intervistati/intervistatori
DURATA 10 minuti
MATERIALI Predisposizione da parte degli alunni di una griglia per il que-
stionario

Come si gioca: ogni alunno intervista da 3 a 5 compagni e trascrive le loro risposte nella
griglia. Tematica della griglia qui proposta: Sport (ovviamente l’insegnante può scegliere
tra diverse proposte a seconda delle esigenze: cibi, programmi televisivi, attività del tem-
po libero, materie scolastiche, giochi, mesi di nascita, stature, composizione della famiglia,
ecc.) Scopo delle interviste è quello di costruire poi un grafico di classe alla cui realizzazio-
ne partecipano tutti, riferendo ai compagni i risultati delle singole interviste per la regi-
strazione dei dati. Es.: “Giorgio sa giocare a calcio, a pallavolo; sa nuotare e pattinare ma
non sa giocare a basket, a tennis, a…” oppure “A Luca piace giocare a calcio, a basket e a
pallavolo. A Maria non piace nuotare.”
Chi vince: nessuno
Variante
Si possono proporre attività che si svolgano fuori dalla classe (es. in altre classi o in altre
scuole) e che prevedano l’utilizzo di supporti quali il registratore audio o la videocamera.
Esempio di attività da svolgere a coppie:
Un alunno intervista liberamente un compagno di scuola e compila la sua griglia, (in que-
sto caso l’attività diventa veramente comunicativa) e contemporaneamente l’altro compa-
gno registra la conversazione. Questa può essere un’occasione per utilizzare forme quali:
“ Puoi ripetere?” “ Scusa, non ho capito.” “Come?” “Cosa?”
In sede di controllo della correttezza delle griglie, un’altra coppia di allievi ascolta la regi-
strazione e verifica che i dati corrispondano.
Espansioni interdisciplinari
Altra attività proponibile è la costruzione, come dicevamo, di un grafico riassuntivo delle
risposte ottenute, partendo da un semplice grafico a blocchi fino ad arrivare al calcolo
delle percentuali. In questo modo l’attività può anche essere utile per l’introduzione di
termini e concetti della matematica e della geometria (es. linea, quadrato, rettangolo,
dividere, moltiplicare, corrispondere, ecc.).
Esempio di griglia:
Nome
calcio basket pallavolo nuoto tennis rugby baseball pattini sci
alunno
GIORGIO SÌ NO SÌ SÌ NO NO NO SÌ NO
LUCA SÌ SÌ SÌ NO NO NO NO NO NO
MARIA NO

Insegnare il lessico 89
7.4. Giochi di movimento
Attraverso il movimento, l’azione e il “fare” si creano le condizioni per un apprendimento
profondo e duraturo perché si stimolano più aree cerebrali.

Salta con vero o falso


OBIETTIVI LINGUISTICI Comprensione di frasi di senso compiuto; revisione e verifica
dell’acquisizione di lessico e contenuti
OBIETTIVI COGNITIVI Capacità di categorizzare – classificare; discriminazione di de-
stra-sinistra; riferimento alla propria conoscenza del mondo
OBIETTIVI RELAZIONALI Rispetto degli spazi; competenze sociali
ETÀ e LIVELLO 6-11 anni; A1-A2
ORGANIZZAZIONE Gioco a coppie, di gruppo/classe
DURATA Variabile
MATERIALI Nessuno
SPAZIO DI GIOCO Atrio, cortile, aula libera di arredi

Come si gioca: il direttore di gioco (insegnante) prepara una serie di enunciati relativi ai più
diversi criteri di classificazione, facendo riferimento ad argomenti noti alla classe.
I partecipanti sono in fila indiana. Il direttore di gioco pronuncia frasi del tipo: “ Il maglio-
ne è un giocattolo”, “Il leone è un mammifero”, “Il quadrato ha cinque lati”, “Lo squalo è
un pesce”, “Leggere è un aggettivo”. Al via, i giocatori ascoltano la frase e devono saltare
contemporaneamente a destra (convenzionalmente vero) o a sinistra (falso). Chi sbaglia
è eliminato
Chi vince: l’ultimo a restare in gioco

7.5. Giochi di memoria


I giochi di memoria, fra i quali rientrano il Memory, il Gioco di Kim (Kim’s Game), gli indovi-
nelli, la memorizzazione di filastrocche, conte, canzoni, ecc., possono essere efficacemen-
te utilizzati per esercitare memoria visiva e verbale, ma anche per apprendere, esercitare
ed ampliare lessico, strutture fonologiche e morfosintattiche.
Un gioco che presentiamo in numerose varianti, per dimostrarne la flessibilità, è il classico
Memory, che ogni insegnante è in grado di costruire con grande facilità, possibilmente con
l’aiuto degli allievi, facendo riferimento di volta in volta, ai diversi obiettivi programmati.

90
Parte II - Capitolo 7

Trova la coppia
OBIETTIVI LINGUISTICI Esercizio e fissazione di lessico e strutture; produzione orale
OBIETTIVI COGNITIVI Esercizio e potenziamento mnemonico; capacità di associare
OBIETTIVI RELAZIONALI Rispetto dei turni di parola e delle regole del gioco
LIVELLO A1-A2
ORGANIZZAZIONE da 2 a 5 giocatori
DURATA 15-20 min.
MATERIALI Almeno 8 coppie di cartellini (il numero è indicativo) con im-
magini appartenenti ad un campo lessicale ad es. parti del
corpo, numeri, oggetti della classe, animali, mezzi di traspor-
to, arredi della casa, ecc.

Come si gioca: Associazione di immagini si gioca schierando i 16 cartellini coperti (ad


esempio formando un quadrato di 4 cartellini x4); dopo aver stabilito con una conta il
turno di gioco, ogni alunno deve scoprire 2 carte in successione, nominando l’oggetto rap-
presentato con l’intento di formare una coppia. L’alunno che riesce a formare una coppia
ha la possibilità di fare un altro tentativo, fino ad un massimo di 3 successi consecutivi.
Chi vince: vince l’alunno che forma il n° maggiore di coppie

Associazione
Sono diverse varianti per cui non riportiamo i dati in tabelle come nei giochi precedenti.
Associazione parola-immagine
obiettivo: produzione orale e comprensione della lingua scritta (lettura)
8 coppie di cartellini. In ogni coppia un cartellino porta l’ immagine e l’altro la parola cor-
rispondente.
Associazione di parole
obiettivo: lettura
8 coppie di cartellini. In ogni coppia i 2 cartellini riportano soltanto la parola scritta
Associazione maiuscolo – minuscolo
obiettivo: lettura e discriminazione stampato maiuscolo - minuscolo/ minuscolo - corsivo/
maiuscolo –corsivo
8 coppie di cartellini. In ogni coppia, un cartellino porta la parola in stampato maiuscolo e
l’altro la stessa parola in stampato minuscolo o in corsivo
Associazione sostantivi-aggettivi
obiettivo: lettura e associazione sostantivi - aggettivi /sostantivi – verbi
8 coppie di cartellini. In ogni coppia i 2 cartellini riportano soltanto la parola scritta
Associazione articolo determinativo-sostantivo
obiettivo: lettura, produzione orale, discriminazione maschile/femminile singolare/plura-
le, uso appropriato degli articoli determinativi
Insegnare il lessico 91
Esempio di coppie sostantivo-aggettivo:
Lungo Feroce Alto Grosso Enorme Veloce Piccolo Lento
Serpente Leone Giraffa Ippopotamo Balena Ghepardo Topo Tartaruga

Esempio di coppie sostantivo-verbo:


Corre velo- Cammina
Vola Nuota Striscia Salta Scava Si arrampica
cemente e nuota
Passero Delfino Serpente Canguro Ghepardo Coccodrillo Talpa Scoiattolo

Catene
Si tratta di giochi di memoria di facile realizzazione in classe e adatti a far ripetere ed eser-
citare in modo efficace, ma giocoso la lingua.

OBIETTIVI LINGUISTICI Gioco di memoria e fissazione di lessico e strutture: si tratta


del classico drill ripetitivo a cui si dà una connotazione ludica
OBIETTIVI COGNITIVI Memorizzazione di sequenze di parole-frasi
OBIETTIVI RELAZIONALI Rispetto del turno di parola
LIVELLO Adattabile a qualsiasi livello
ORGANIZZAZIONE Squadre o gruppi di almeno 5-6 persone
DURATA 5-10 minuti
MATERIALI nessuno o carte immagine relative al campo lessicale esercitato

Come si gioca: l’insegnante propone una frase e, a turno, ogni allievo dovrà ripeterla ed
espanderla aggiungendo un altro sostantivo. Es. “Vado al (super)mercato/ dal fruttivendo-
lo/ a fare le spese e compro mele
“Vado al (super)mercato/ dal fruttivendolo/ a fare le spese e compro mele e pere
“Vado al (super)mercato/ dal fruttivendolo/ a fare le spese e compro mele, pere e banane,
ecc.
L’allievo che non ricorda la catena precedente viene eliminato o salta un turno di gioco,
ma è opportuno che almeno per le prime volte si giochi con il supporto di carte immagine,
almeno fino a che la memorizzazione del lessico non sia abbastanza sicura.
Chi vince: la squadra/ gruppo che per prima porta a termine il giro senza errori
Varianti
Il gioco è molto flessibile e si presta ai più diversi adattamenti, cambiando ad esempio:
a. Tempo e modo verbale: Ieri sono andato/Domani andrò al mercato e ho comprato/
comprerò; se potessi andare al mercato comprerei/vorrei comprare, ecc.
b. Persona del verbo: La mamma/Noi /Tu...

92
Parte II - Capitolo 7

c. Contesto: Ai giardini /Nel parco ho incontrato… ; Ho sete e vorrei bere… ; Ho fame e


voglio/vorrei mangiare …; Per fare un’insalata mista/macedonia ho bisogno di …; In
cucina /camera/salotto/bagno vedo /c’è/ ci sono...; Sto per partire e devo mettere in
valigia…; In cartella metto… ; Se fossi ricco mi comprerei/ andrei…/farei…ecc.; Se potes-
si fare un lungo viaggio andrei/vorrei visitare/ mi piacerebbe andare/ + luoghi e paesi
del mondo, ecc.

7.6. Il role play


Una delle situazioni in cui gli allievi hanno necessità di usare lingua in modo autentico è
quella del comprare qualcosa per sé o per la loro famiglia. In quest’ottica, in cui la simu-
lazione si giustifica in quanto propedeutica ad un uso pragmatico della lingua, possiamo
proporre il gioco della “bottega”.

Il gioco della bottega


OBIETTIVI LINGUISTICI Acquisizione del lessico specifico: cibi, bevande, cancelleria,
abiti, ecc; chiedere quantità di merci diverse, eventuali misu-
re e prezzi; usare formule di acquisto, di cortesia.
OBIETTIVI COGNITIVI Attivazione di conoscenze pregresse: uso del sistema di pesi,
misure, quantità e del nuovo sistema monetario.
OBIETTIVI RELAZIONALI Assunzione della propria parte, calandosi nei panni del perso-
naggio rappresentato
LIVELLO Adattabile ai diversi livelli
ORGANIZZAZIONE Gruppo che agisce di fronte alla classe
DURATA 15 / 20 minuti
MATERIALI Realia, giocattoli del gioco della bottega per gli allievi più pic-
coli, carte simboliche per i più grandi.

Come si gioca: sulla base di un dialogo preparato dall’insegnante o di un canovaccio, gli


allievi simulano l’acquisto di diverse merci usando le formule di cortesia e di acquisto. Si
possono usare fotocopie delle nuove monete/ banconote e fare in modo che i prezzi e
pagamenti presuppongano resti.
Altri esempi di simulazione potrebbero prevedere la richiesta delle più varie informazioni
per raggiungere un certo luogo, in città: il parco, il campo giochi, la piscina, la fermata
dell’autobus, un qualsiasi negozio, ecc.
N.B.: Se per gli allievi ad un livello iniziale, l’acquisizione del lessico minimo, di semplici
formule di acquisto come “mi dà…” o “posso avere…” “quanto costa?” e “grazie” sono da
ritenersi sufficienti, per gli allievi che affrontano già la lingua dello studio è necessaria, ad
esempio, la collaborazione con l’insegnante di matematica per l’acquisizione della micro-
lingua relativa ai sistemi di quantità, pesi e misure e per quello monetario.

Insegnare il lessico 93
Variante: Role-play storico letterario
Estremamente interessante è la tecnica del role-play letterario e storico in cui si chiede agli
allievi di simulare dibattiti tra scrittori o simulare delle “interviste impossibili” tra un allie-
vo giornalista e un allievo che impersona uno scrittore o un personaggio storico. Il gioco
si può proporre per squadre avversarie (previa cooperazione all’interno del gruppo) che
preparano le interviste da proporre ai rispettivi antagonisti.

94
Parte II - Capitolo 8

8. Come affrontare il lessico sofisticato della letteratura


Camilla Spaliviero
Università Ca’ Foscari di Venezia

8.1. La natura di questo contributo


Diversi studi si sono occupati delle specificità dei testi letterari per la lettura, la compren-
sione, l’analisi e l’interpretazione delle opere nella classe di lingua seconda/straniera (La-
vinio 1990, 2005, 2021; Freddi 2003; Balboni 2006; De Mauro 2007; Chines, Varotti 2019;
Spaliviero 2020). Per quanto attiene alla natura della lingua letteraria, anche se l’attesta-
zione delle particolarità che la contraddistinguono da quella ordinaria emerge già nella
Poetica di Aristotele, l’interesse per uno studio rigoroso dei diversi livelli strutturali delle
opere, inclusa la descrizione oggettiva della lingua letteraria sul piano espressivo, si affer-
ma solo agli inizi del Novecento (Coletti 1978).
In questo contributo, dal taglio operativo, ci proponiamo il duplice obiettivo di approfon-
dire le principali caratteristiche del lessico dei testi letterari e di avanzare delle soluzioni in
una prospettiva glottodidattica per risolvere le potenziali difficoltà che ne derivano.
Precisiamo, inoltre, che l’idea di letteratura sulla quale si basa questo contributo equivale
all’insieme delle opere rappresentative di un universo valoriale a sé stante rispetto ad al-
tre modalità di comunicazione appartenenti a una più ampia dimensione immaginativa e
culturale. Le riflessioni teoriche e le proposte operative seguono, quindi, la distinzione tra
letteratura ‘alta’, corrispondente alle opere del canone letterario e destinata a un pubblico
colto, e letteratura ‘di consumo’ (romanzi polizieschi, horror, di fantascienza ecc.), dai con-
fini meno rigidi e rivolta a un pubblico meno esigente.

8.2. Definire il lessico letterario: le principali caratteristiche


La lingua letteraria si distingue da quella ordinaria perché offre un ventaglio linguistico
più ampio ed esalta le proprie risorse espressive attraverso l’uso originale delle figure
retoriche, la ricercatezza lessicale, l’attenzione stilistica e l’innovazione formale. Queste
caratteristiche comportano l’innalzamento del livello di complessità linguistica e il caratte-
re polisemico delle opere a livello contenutistico ed espressivo, differenziandole così dai
testi non letterari.
In particolare, il lessico dei testi letterari si contraddistingue per le seguenti peculiarità:
a. prevalenza dei valori connotativi su quelli denotativi: a differenza della lingua ordina-
ria, in cui la selezione degli elementi linguistici si fonda su finalità pratiche che rendono
il contenuto del messaggio prevalente rispetto alle modalità in cui si trasmette, nella
lingua letteraria la stessa scelta è condizionata da obiettivi espressivi. La forma del
messaggio acquista un significato autonomo da quello generale che il testo comunica,
arricchendolo di nuove sfumature di senso e rendendo la lettura letteraria generatrice
di significati potenzialmente infiniti (Chines, Varotti 2019);

Insegnare il lessico 95
b. ambiguità: la flessibilità della lingua letteraria consente di trasmettere gli stessi contenuti
attraverso molteplici termini ed espressioni, sfruttando l’ambiguità che deriva dalla po-
lisemia dei vocaboli. Nella prospettiva strutturalista, la lingua è un sistema di segni che
si adatta agli obiettivi della comunicazione a partire dalla scelta tra le due principali fun-
zioni linguistiche: quella comunicativa, in cui predomina il significato, e quella poetica, in
cui prevale il significante. Jakobson (1963, 1973) si focalizza sulla funzione poetica del lin-
guaggio, dominante nel testo letterario, e sostiene che la lingua letteraria non si sviluppa
in modo lineare, logico e consecutivo. Al contrario, al significato oggettivo della parola
si aggiungono ulteriori significati provenienti dai molteplici piani strutturali della lingua
letteraria che ‘aprono’ il segno alla pluralità delle interpretazioni, la cui ambiguità si deve
anche all’autore, all’opera e al lettore (Gómez 1994; García 1996; Chines, Varotti 2019);
c. creatività degli usi linguistici: la lingua letteraria ‘gioca’ con le norme linguistiche vi-
genti e ne stabilisce di nuove attraverso i neologismi. Superando le limitazioni delle
regole quotidiane, che spesso comportano percezioni e scelte automatiche del lessico,
la lingua letteraria esplora e valorizza le possibilità del sistema linguistico in un’ottica
di costante ricerca e innovazione (Lavinio 2021). Per riuscire ad apprezzare la ricchezza
semantica che ne deriva è necessario possedere un’adeguata competenza metalingui-
stica relativa alle regole su cui si basa la lingua ordinaria attuale, al fine di cogliere come
le stesse norme siano violate intenzionalmente dalla lingua letteraria;
d. non parafrasabilità: i contenuti testuali possono essere riassunti, presentati in forma
diversa grazie al ricorso a sinonimi più comuni o integrati con spiegazioni aggiuntive
attraverso la parafrasi sintetica, equivalente e interpretativa (Lavinio 2021). Nei testi
non letterari, la parafrasi dà luogo a un testo della stessa natura di quello iniziale, che
esprime i medesimi contenuti seppur in modalità differenti. Nei testi letterari, invece,
la parafrasi produce un testo non letterario, diverso sul piano formale e contenutistico,
che non si può considerare intercambiabile con quello di partenza. Di conseguenza,
anche se entrambe le categorie testuali possono essere parafrasate, nel caso dei testi
letterari pur facilitandone la comprensione il risultato presuppone una perdita a livello
sia semantico sia espressivo;
e. varietà linguistica: il lessico dei testi letterari può includere diverse lingue e varietà di
una stessa lingua, poiché i pensieri e le parole dei personaggi possono riflettere i tratti
plurilingui della comunicazione quotidiana. Le varietà sociolinguistiche possono riguar-
dare l’alternanza tra lingua standard, varietà regionali e dialetti (variazione diatopica),
la compresenza di registri formali, informali e colloquiali (variazione diafasica), la pre-
senza di espressioni popolari, linguaggi giovanili e settoriali (variazione diastratica), sul-
la base della relazione tra lingua e spazio, contesto comunicativo, status socio-culturale
dei personaggi (Danesi, Diadori, Semplici 2020). La finalità è sia mimetica, per riprodur-
re in modo verosimile la pluralità linguistica delle interazioni reali, sia espressiva, per
caratterizzare lo stile di uno specifico autore (è il caso, per esempio, del romanesco di
Pasolini, dell’italo-siculo di Camilleri e del tosco-modenese di Guccini);
f. compresenza di ‘deviazioni’ linguistiche: la lingua letteraria presenta degli ‘scarti’ sul
piano testuale, fonologico, grafico, morfosintattico e lessicale. Le ‘deviazioni’ testuali
riguardano il genere letterario, le finalità dell’opera (letta o recitata), la struttura nar-

96
Parte II - Capitolo 8

rativa (narratore, punto di vista, fabula-intreccio ecc.) e il finale (chiuso o aperto). Gli
‘scarti’ fonologici esaltano i contenuti semantici mediante i suoni, il timbro e il ritmo
delle parole e delle concatenazioni tra di esse attraverso la scelta delle figure retoriche
di suono (allitterazione, onomatopea, paronomasia ecc.). Le ‘deviazioni’ grafiche sono
presenti prevalentemente nei componimenti poetici e attengono alla disposizione spa-
ziale dei versi. Gli ‘scarti’ morfosintattici riguardano le categorie di parole e la struttura-
zione dei periodi (tempi verbali, periodo ipotetico, ipotassi-paratassi ecc.) e l’incidenza
della coerenza interna sull’andamento ritmico. Le ‘deviazioni’ lessicali si concentrano
sull’interpretazione di parole, frasi e porzioni di testo in associazione agli elementi so-
ciolinguistici, al contesto storico-culturale e al profilo dell’autore, oltre che sull’analisi
delle figure retoriche di significato (metafora, sineddoche, litote ecc.).

8.3. Affrontare il lessico letterario: la prospettiva glottodidattica


Secondo la celebre teoria delle funzioni di Jakobson (1963), la fruizione dei testi letterari
equivale a un evento comunicativo caratterizzato da una serie di elementi. Nel modello di
comunicazione letteraria adattato alla dimensione didattica (Figura 1), la comunicazione
letteraria rappresenta un evento comunicativo che si realizza nel mondo, in cui un mitten-
te scrive a un destinatario all’interno di un dato contesto storico-culturale, in una lingua
condivisa e in forma orale o scritta:

Mondo Realtà scolastica

Mittente: Destinatario:
Testo letterario
Autore reale Studente

Mediatore:
Docente
fig. 1. Modello di comunicazione letteraria in prospettiva didattica (Spaliviero 2020: 27)

Nella prospettiva della realtà scolastica, il mittente corrisponde allo studente, al quale si
chiede di imparare a leggere e comprendere le opere per poi essere in grado di analizzarle
e interpretarle. Per consentire l’acquisizione di queste abilità è essenziale il ruolo di me-
diatore svolto dall’insegnante, collocato in una posizione intermedia tra il testo letterario
e lo studente.
Per l’interiorizzazione del lessico da parte degli studenti si possono proporre delle attività
finalizzate all’allenamento della memoria semantica generale e rivolte alla dimensione
cognitiva (Balboni 2014). Sulla base delle specificità del lessico letterario, risulta evidente
che per leggere e comprendere un’opera è necessario saper riconoscere le caratteristiche

Insegnare il lessico 97
di letterarietà che la rendono tale. Per esempio, è fondamentale mostrare agli studenti
l’attenzione per la scelta delle parole a seconda delle loro proprietà fonologiche, le qua-
li suggeriscono il loro contenuto a livello espressivo e influenzano l’andamento ritmico.
Le sopraccitate ‘deviazioni’ possono essere esaminate sia nella reciproca interazione, per
evidenziare il contributo e la rilevanza di ognuna nella co-costruzione del messaggio com-
plessivo, sia singolarmente (Chines, Varotti 2019). A seconda del livello di competenza
linguistica degli studenti e degli obiettivi della lezione è possibile proporre una ‘lettura pe-
dagogica’, quindi graduale, focalizzata su elementi specifici e rivolta a studenti che stanno
imparando a diventare lettori (Balboni 2006).
Su queste basi, per affrontare le specificità del lessico letterario si possono utilizzare una
serie di tecniche e strategie glottodidattiche per le attività da svolgere prima, durante e
dopo la lettura, in accordo con le sequenze naturali di acquisizione della psicologia della
Gestalt che definiscono le fasi di globalità, analisi e sintesi dell’Unità di Apprendimento
(UdA) (Porcelli 2004; Balboni 2008, 2014, 2015; Rigo 2014; Mezzadri 2015; Danesi, Diado-
ri, Semplici 2020; Spaliviero 2020).
Nella fase prima della lettura si esplicitano le preconoscenze degli studenti, li si incoraggia
a formulare delle ipotesi sui contenuti che leggeranno, si attiva l’expectancy grammar e si
stimola la motivazione attraverso attività finalizzate a:
a. collegare la quotidianità degli studenti ai contenuti della lezione;
b. sfruttare la ridondanza del paratesto (illustrazioni, titoli, didascalie ecc.);
c. introdurre delle informazioni sul contesto (autore, anno di produzione dell’opera, ge-
nere letterario ecc.);
d. accoppiare la memoria verbale a quella musicale, ritmica e visiva, attivando diversi canali
sensoriali (ascolto di canzoni, visione di spezzoni di film legati al testo letterario ecc.);
e. anticipare possibili problemi lessicali con un focus sui termini più ambigui, creativi e
distanti dalla comunicazione quotidiana degli studenti.
Per introdurre il lessico letterario si possono utilizzare le seguenti tecniche e strategie:
a. domande aperte sull’esperienza degli studenti relativa al tema dell’UdA;
b. domande aperte sui contenuti del testo letterario a partire dall’esplorazione del para-
testo;
c. brainstorming e diagramma a ragno sulle parole chiave dell’opera, sul contesto e sull’
autore;
d. visione e/o ascolto di strumenti integrativi al testo scritto, vicini sia al testo letterario
sia alle preferenze di audiovisive e multimediali e ai consumi extrascolastici degli stu-
denti (canzoni, spezzoni di film, pubblicità, fumetti);
e. cloze relativo ai versi iniziali del testo letterario;
f. incastro di parole o spezzoni di frasi riguardanti i versi iniziali dell’opera;
g. accoppiamento lingua-immagine sui campi semantici del testo letterario;
h. matching di parole o frasi tra registro formale e registri informali e colloquiali; tra lin-
gua standard e varietà regionali, dialetti, espressioni popolari, linguaggi giovanili e set-
toriali.

98
Parte II - Capitolo 8

Nella fase durante e immediatamente dopo la lettura si realizza una lettura estensiva
dell’opera mediante attività mirate a verificare la comprensione globale. Se il lessico risul-
ta particolarmente complesso per gli studenti è possibile inserire delle note a piè di pagina
in italiano standard (traduzioni) o nella lingua materna degli studenti (sinonimi semplici,
parafrasi brevi) per favorire la comprensione veloce e autonoma. In alternativa, si può
chiedere agli studenti di leggere il testo letterario ricorrendo al dizionario (Siani 1992).
Per esaminare il lessico letterario si possono proporre le tecniche e strategie a continua-
zione:
a. skimming: lettura rapida per verificare le ipotesi formulate nella frase precedente;
b. scanning: lettura rapida per individuare i punti chiave dell’opera;
c. suddivisione del testo in varie sezioni con attribuzione di titoli;
d. riassunto di parti di testo;
e. domande chiuse (scelta binaria, scelta multipla) e aperte sul significato globale del testo;
f. completamento di griglie e tabelle su informazioni generali (per esempio, le 5 W: chi,
che cosa, dove, quando, perché);
g. individuazione di errori di tipo lessicale.
Nella fase dopo la lettura si realizza una lettura intensiva dell’opera attraverso attività fi-
nalizzate a verificare la comprensione analitica di elementi specifici del testo, di tipo con-
tenutistico e/o formale. Se il livello di competenza linguistica degli studenti lo consente,
è possibile inserire l’opera sia all’interno delle coordinate storico-culturali di riferimento,
per interpretarla nella prospettiva passata, sia nella quotidianità attuale degli studenti,
per individuare i possibili significati nella prospettiva presente. Per avvicinare la letteratura
alla quotidianità degli studenti, se non sono stati impiegati nella fase iniziale, si può pro-
porre la lettura di testi paraletterari (fumetti), l’ascolto e la visione di strumenti integrativi
(canzoni, spezzoni di film, pubblicità).
Per approfondire il lessico della lingua letteraria e della microlingua della letteratura si
possono impiegare le seguenti tecniche e strategie:
a. segnatura nel testo (sottolineature, cerchiature, evidenziazioni) per riconoscere ele-
menti letterari specifici (‘deviazioni’) e scoprire in modo induttivo le regole di funzio-
namento;
b. completamento di griglie e tabelle, vuote o semi vuote, focalizzate sul confronto tra
registri formali, informali e colloquiali;
c. matching di definizioni sulle parole chiave del testo letterario: dalla definizione neutra,
precisa ed essenziale sul piano denotativo a quella soggettiva, indefinita e ricercata sul
piano connotativo;
d. domande chiuse (scelta binaria, scelta multipla) e domande aperte sul significato di
termini ambigui, neologismi, espressioni regionali e dialettali, espressioni popolari, lin-
guaggi giovanili e settoriali;
e. diagramma a ragno e mappa lessicale sulle parole chiave dell’opera, vuota o semivuo-
ta, che ripresi a distanza consentono di verificare cosa è stato memorizzato;
f. cloze e incastro per scoprire in modo induttivo le regole costitutive degli ‘scarti’ lettera-

Insegnare il lessico 99
ri (generi letterari, narratore, punto di vista, figure retoriche, disposizione spaziale dei
versi, elementi sociolinguistici ecc.);
g. matching tra i vocaboli del testo letterario e le perifrasi corrispondenti;
h. parafrasi di parti di testo, pur nella consapevolezza della diversità del prodotto testuale
(paragrafo 2), per compensare delle carenze lessicali;
i. perifrasi di parti di testo, per illustrare il significato dei vocaboli e compensare delle
carenze lessicali;
l. traduzione di parti di testo, a coppie o gruppi, dall’italiano come lingua seconda/stra-
niera alla lingua materna degli studenti, che l’insegnante può anche non conoscere.
Per reimpiegare il lessico letterario in modo guidato, creativo e ludico si possono proporre
le tecniche e strategie a continuazione:
a. cruciverba e battaglia navale, con definizioni costituite da sinonimi o contrari dei vo-
caboli del testo letterario, da svolgere a coppie, con testi speculari che contengono
spazi vuoti e risposte reciproche, per riflettere sui meccanismi denotativi e soprattutto
connotativi;
b. parole intrecciate (crucipuzzle): dato un diagramma con lettere mescolate si chiede
agli studenti di identificare una serie di parole (in verticale, orizzontale, diagonale, da
sinistra a destra e viceversa, dall’alto al basso e viceversa) collegate ai campi semantici
dell’opera;
c. parole mescolate (scrambled words): a partire da una serie di parole composte da let-
tere in disordine si chiede agli studenti di ordinarle per identificare termini apparte-
nenti ai campi semantici del testo letterario;
d. tris: date nove parole chiave dell’opera, disposte in file orizzontali da tre, si chiede agli
studenti di trovare tre parole in verticale, orizzontale o diagonale che presentano degli
aspetti semantici in comune sulla base dei contenuti del testo letterario, giustificando-
ne la scelta;
e. intruso semantico: data una lista di parole dell’opera si chiede agli studenti di identifi-
care il termine che non fa parte dell’insieme, motivandone la ragione;
f. creazione di nuovi neologismi a partire da quelli presenti nel testo letterario: dopo aver
identificato onomatopee, sigle e metafore nei testi letterari, si chiede agli studenti di
creare nuove onomatopee, sigle e metafore su modello di quelle analizzate;
g. creazione di nuove figure retoriche sulla base di quelle contenute nell’opera, assieme
alla spiegazione degli eventuali impliciti culturali (nel caso, per esempio, delle metafore);
h. roleplay letterari, in cui gli studenti si immedesimano negli autori e discutono sui temi
delle loro opere;
i. interviste impossibili agli autori;
l. ranking: data una serie di parole o frasi (aggettivi, sostantivi che esprimono sentimen-
ti, giustizi critici) gli studenti devono identificare quelle più adatte per definire l’opera
sulla base di alcuni aspetti (temi delle opere, stile, genere ecc.) creando una specie di
graduatoria;

100
Parte II - Capitolo 8

m. drammatizzazioni: recitazione, a memoria o leggendo, di un testo dialogico tratto dall’


opera o scritto dagli studenti a partire dal testo letterario;
n. scenario o controversia: attività di confronto a gruppi su un tema complesso, chiave
del testo letterario, che stimola il dibattito su posizioni diverse, con un eventuale terzo
gruppo di studenti nel ruolo di giudice;
o. dibattito ermeneutico sulle interpretazioni presenti: identificazione dei possibili signi-
ficati, esposizione alla classe con argomentazioni e confutazioni, ascolto delle idee di-
verse;
p. monologhi su episodi rilevanti della propria biografia (reali o inventati) legati ai conte-
nuti dell’opera;
q. narrazione scritta di avvenimenti (veritieri o di fantasia) associata ai contenuti del testo
letterario;
r. composizione di una poesia a partire da un tema rilevante dell’opera con la procedura
della ‘poesia strutturata’: dato un tema psicologicamente rilevante, che costituisce il
primo verso della poesia, gli studenti, divisi a coppie, devono identificare due aggettivi,
tre verbi, una frase libera e un sinonimo legati al tema, confrontarsi con un’altra coppia
e unire le idee in un’unica poesia (Mollica 1995);
s. confronti tra il testo letterario e gli strumenti integrativi (canzoni, spezzoni di film, pub-
blicità, fumetti) sulle nozioni di analisi letteraria affrontate nell’UdA;
t. riscritture ‘filtrate’: riscrittura della trama con modifiche formali (genere, registro lin-
guistico, strutture morfosintattiche ecc.);
u. riscritture ‘multiple’: riscrittura della trama con modifiche contenutistiche (luogo, epo-
ca, età dei personaggi ecc.);
v. transcodificazione del testo letterario nelle forme cinematografiche o musicali.

7.4. Conclusioni
Per concludere, nell’economia di questo contributo abbiamo affrontato le peculiarità del
lessico letterario e proposto alcune tecniche e strategie per focalizzare l’attenzione degli
studenti sui vocaboli delle opere nella classe di lingua seconda/straniera. Da un lato, l’a-
bilità di riconoscere e di catalogare i testi letterari, anche a partire dalle loro specificità
lessicali, è uno degli elementi che definiscono la competenza testuale, corrispondente a
una delle componenti della competenza comunicativa (Balboni 2015). Dall’altro, al pari di
altre forme di comunicazione, anche quella letteraria presuppone l’esistenza di codici con-
divisi tra mittente (autore) e destinatario (studenti), supportata dalla mediazione dell’in-
segnante nel contesto scolastico. Se tale competenza nella lingua letteraria non costituisce
un presupposto alla lettura, quest’ultima può comunque avvenire ma rischia di restare
superficiale, ingenua e parziale (Chines, Varotti 2019).
Grazie a queste considerazioni è possibile ribadire l’esistenza di un rapporto di vicende-
vole scambio tra educazione linguistica ed educazione letteraria: se lo studio della lingua
appare prioritario rispetto a quello letterario, quest’ultimo contribuisce al rafforzamento

Insegnare il lessico 101


delle competenze linguistiche, funzionali alla lettura di opere scritte in un lessico sempre
più sofisticato.

Riferimenti bibliografici
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Balboni P.E., 2014, Didattica dell’italiano come lingua seconda e straniera, Torino, Bonacci/
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Coletti V., 1978, Il linguaggio letterario, Bologna, Zanichelli.
Danesi M., Diadori P., Semplici S., 2020, Tecniche didattiche per la seconda lingua. Strategie e
strumenti, anche in contesti CLIL, Roma, Carocci.
De Mauro T., 2007, Primo Tesoro della Lingua Italiana del Novecento, Torino, Utet.
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straniere, Firenze, La Nuova Italia.
Spaliviero C., 2020, Educazione letteraria e didattica della letteratura, Venezia, Edizioni Ca’
Foscari.

102
Parte II - Capitolo 9

9. “Dimmi cosa mangi…”. Lessico alimentare e alterità


culturale nel mondo contemporaneo
Bruna Di Sabato, Antonio Perri1
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli

9.1. Introduzione
I vocaboli legati al cibo sono circondati da un fitto alone di connotazioni, rinviano ad altri
luoghi e altre culture anche quando sono presi a prestito e magari adattati in altri contesti
socioculturali. Ad esempio, le spezie, come il curry o l’origano, pur se aggiunte in maniera
più o meno consistente alla preparazione dei cibi attraverso culture diverse, continuano
inevitabilmente a evocare in chi ne fa uso e consumo la loro provenienza: l’origano diventa
oregano nella lingua inglese ma non perde con ciò il suo ‘richiamo’ mediterraneo.
Al contempo, altri alimenti più complessi, come il formaggio e il pane, sono tipici di uni-
versi linguistico culturali diversi e per questo motivo assumono connotazioni diverse a
seconda della lingua e/o cultura di riferimento. Claude Lévi-Strauss, osservava che per
lui, individuo bilingue, fromage e cheese vogliono dire la stessa cosa, ma con sfumature
diverse. Il formaggio ‘archetipico’, dunque, per Lévi-Strauss, non è lo stesso a seconda che
si pensi in una lingua o in un’altra:
(…) fromage evoca una certa densità, una consistenza cremosa e poco friabile, un sapore denso.
È un termine particolarmente adatto a designare quelli che i produttori chiamano ‘a pasta molle’;
mentre cheese, più leggero, fresco, un po’ aspro, che si sfà sotto i denti (basti pensare alla posi-
zione che prendono le labbra) mi fa immediatamente pensare al formaggio fresco. Il ‘formaggio
archetipico’ non è dunque lo stesso per me, a seconda ch’io pensi in francese o in inglese2.

Anche Roman Jakobson, proprio all’inizio del suo famosissimo saggio On linguistic aspects
of translation3, ricorre al formaggio, citando Bertrand Russell che vi aveva fatto ricorso a
sua volta, per sottolineare l’ineludibile dimensione connotativa e il potere evocativo della
forma linguistica, significante il cui rapporto necessario di reciproca presupposizione con il
significato si realizza ineludibilmente in relazione al contesto linguistico (e culturale).
According to Bertrand Russell, “no one can understand the word ‘cheese’ unless he has
a nonlinguistic acquaintance with cheese.” If however, we follow Russell’s fundamental
precept and place our “emphasis upon the linguistic aspects of traditional philosophical

1 Questo studio è stato svolto in modo collaborativo dai due autori. Anche la stesura del contributo è stata elaborata in
modo collaborativo. Bruna Di Sabato è autrice dei sottocapitoli Introduzione e Il corpus digitale; Antonio Perri è autore dei
sottocapitoli Prime considerazioni sul corpus; Un abbozzo di verifica contrastiva e Conclusione.
2 C. Lévi-Strauss, Anthropologie structurale, Plon, Paris 1958, p. 107, trad. it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano
1966, p. 110. Citiamo qui la traduzione, diversa da quella di P. Caruso, che del brano ha dato G.R. Cardona, I sei lati del
mondo, 1985, pp. 120-1.
3 R. Jakobson, On Linguistic Aspects of Translation, in In R.A. Brower (ed.), On Translation, Harvard University Press, Cam-
bridge (Mass.) 1959, pp. 232-239; reprint Galaxy Books, New York 1966. Il brano è citato dall’originale, posto che la tra-
duzione italiana (Aspetti linguistici della traduzione, in R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1966,
pp. 56-64) ‘italianizza’ il testo inserendo un riferimento alla “parola formaggio” del tutto inopportuno stante il contesto
in cui si articola il discorso jakobsoniano.

Insegnare il lessico 103


problems,” then we are obliged to state that no one can understand the word “cheese”
unless he has an acquaintance with the meaning assigned to this word in the lexical code
of English4.
D’altro canto, neppure per noi italiani cheese rinvia alla medesima sostanza del contenuto
di ‘formaggio’. Eppure il cheese, tanto lontano dalla nostra tradizione nazionale, appare
ormai saldamente ancorato alla nostra fenomenologia del gusto e alla nostra consapevo-
lezza culturale, tanto è vero che ogniqualvolta ordiniamo una cheese cake al ristorante
quei lessemi continuano a evocare scenari suggestivi, ‘estranei’, ‘stranieri’ e a volte addi-
rittura ‘esotici’ – non certo la banale immagine di torta al formaggio5!
Al di là degli (ovvi) problemi di equivalenza tra vocaboli appartenenti a lingue diverse, è
bene concentrarsi sul punto che questi esempi ci aiutano ad introdurre: ovvero che cia-
scuno di noi accoglie nel proprio lessico ‘alimentare’ una serie di items ricorrenti, prestiti
solo in parte acclimatatisi nel vocabolario e nella cucina talora sino a esser percepiti come
‘propri’ perdendo la loro connotazione culturale ‘altra’. All’interno del lessico, insomma,
tali parole-alimento si ‘accomodano’ adattandosi morfologicamente (e culinariamente) in
misura variabile.
Queste prime considerazioni lasciano emergere il nostro assunto di partenza. Se un piat-
to tipico passa in altre cucine (nazionali e/o regionali) diventando spesso perfettamente
acclimatato e, talvolta, subendo modificazioni nella procedura di preparazione – o nella
selezione degli ingredienti – a ciò corrisponde, sul piano semio-linguistico, che i nomi di
pietanze, ingredienti, procedure restino spesso invariati, continuando così a evocare nel
parlante, abbia questi il ruolo di ‘preparatore’ (spesso con l’ausilio di una ricetta) o di ‘con-
sumatore’ del cibo tratti della cultura e/o del loro luogo d’origine.
Non sono pochi d’altra parte gli studi che, da diverse prospettive disciplinari, hanno inda-
gato il valore del lessico alimentare in termini di portato culturale. A proposito dei “nippo-
nismi in cucina”, per esempio, una ricerca di qualche anno fa presentata al convegno ASLI
(Associazione per la Storia della Lingua Italiana 2007) rilevava il successo di tofu nel lessico
e nella cucina italiani, attestato dalle numerose forme in cui viene commercializzato che
danno anche luogo a blend tra «l’esotico e il consueto, un ibrido in cui si incontrano tradi-
zioni distanti» ̶ come nel caso dei ‘tofumini’, piccole forme di tofu che ricordano il tomino.
Il successo ‘lessico-gastronomico’ del lessema è confermato ancor più dalle ricette indivi-
duate dalla stessa ricerca all’interno di alcuni ricettari italiani: «carpaccio di tofu; tofu alla
pizzaiola; lasagne di tofu e zucchine; parmigiana di cardi e tofu»6.

4 R. Jakobson, cit., p. 232.


5 La nostra decisione di attribuire in italiano genere femminile alla cheesecake appare in linea con l’uso più frequente,
come indicato da una risposta dell’Accademia della Crusca (2017): «Cheesecake: è la “torta di/al formaggio” o il “dolce
di/al formaggio”. Al momento, abbiamo il dizionario Garzanti che registra il termine al maschile e lo Zingarelli 2018 che
riporta entrambi i generi, con data di ingresso in italiano 1968. Nell’archivio di “Repubblica” troviamo entrambi i generi
usati lo stesso numero di volte: 26; il “Corriere” invece contiene 10 esempi del maschile e 19 del femminile. Nel web, per
“il cheesecake” troviamo 77.300 risultati; per “la cheesecake” 213.000; a favore del femminile pesano le scelte di alcuni
blog di cucina particolarmente importanti, come Giallozafferano o Dissapore». ˂http://www.accademiadellacrusca.it/it/
lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/risposta-po-dolce-po-salata-genere-cheesecake˃.
Ma è, per la verità, anche ispirata dall’uso figurato di cheesecake in lingua inglese per designare una donna formosa, e anche
piuttosto discinta.
6 C. Bussolino, Nipponismi in cucina, in Storia della lingua e storia della cucina, Atti del VI Convegno internazionale ASLI, a
cura di C. Robustelli, Franco Cesati, Firenze 2009, pp. 687-695, cit. a p. 689.

104
Parte II - Capitolo 9

E ancora, un recente saggio di Sylvie Dumelat presenta una suggestiva lettura dell’evolu-
zione dei ‘sapori di casa’ («tastes of homes») attraverso l’analisi di sei scene tratte da film
diversi sulla diaspora magrebina in Francia (film prodotti tra il 1999 e il 2007, e ambientati
tra il 1961 e il 2006)7. Il cous cous viene seguito nella sua evoluzione da cibo etnico, vissuto
nell’area del Maghreb come «familiar comfort food», ad alimento/cibo/pietanza conside-
rato tra i preferiti dai francesi. Sebbene il tema sia lontano dal nostro universo culturale, lo
studio è interessante in quanto il cous cous è epitomizzato al fine di tracciare le «foodways»
degli immigrati fino all’assimilazione alla società dei consumi. Sebbene il cibo evochi solita-
mente un luogo, la casa, le proprie origini – ovvero conferisca continuità al proprio vissuto –
il cous cous nei film analizzati assume invece la funzione di ‘proiettare’ storie di migrazione,
spostamento e al contempo promuovere nuove aggregazioni nella nuova realtà cosmopo-
lita grazie a rivisitazioni e riconfigurazioni del gusto delle proprie origini.
Il noto parallelismo tra cucina e linguaggio proposto da Montanari è un altro tassello di
questa prospettiva: la cucina, come il linguaggio possiede vocaboli, ovvero gli ingredienti;
una grammatica, ovvero le ricette; una sintassi, ovvero i menu e l’ordine delle vivande
che compongono un pasto; una retorica, ovvero le regole di comportamento a tavola. Per
Montanari: “Come il linguaggio, la cucina contiene ed esprime la cultura di chi la pratica,
è depositaria delle tradizioni e dell’identità di gruppo. Ma è anche il primo modo per en-
trare in contatto con gli altri: più ancora della parola, il cibo si presta a mediare fra culture
diverse, aprendo i sistemi di cucina a ogni sorta di invenzioni, incroci e contaminazioni”8.
Da un punto di vista diacronico, occorre osservare che il cibo ha spesso costituito un ba-
luardo culturale, segno di appartenenza, di povertà o di opulenza. Valga per tutti il desti-
no, a causa della manifestazione di un bisogno identitario, della pasta in Tunisia in epoca
post-coloniale:
Intorno alla pasta si gioca il passaggio da una civiltà all’altra. I siculo-tunisini che hanno defini-
tivamente optato per la nazionalità francese, ostentano disprezzo per la pasta che considerano
emblematica di un mondo arretrato in cui era indispensabile, per la sussistenza, introdurre gran-
di quantità di farinacei. Non solo nella lingua anche nell’alimentazione si consuma la spaccatura
della comunità che si frammenta all’interno stesso delle singole famiglie. È la scelta del paese
europeo in cui stabilirsi alla fine dell’epoca coloniale ne è l’espressione più vistosa9.

Ribaltando la prospettiva, Marino Niola da sempre richiama l’attenzione sulla funzione


‘unificatrice’ del cibo, che superando ostacoli e divisioni permette di leggere il Mediterra-
neo attraverso le somiglianze piuttosto che le differenze:
Il Mediterraneo, che oggi vediamo solo come simbolo di guerre e tragedie, ha unito le cul-
ture. Anche attraverso il cibo. Le civiltà sono una forma di cucina e la dieta mediterranea
mette insieme elementi di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, facendoli diven-
tare qualcosa di nuovo e unico. Dovremo partire da qui per creare la civiltà del domani10.

7 S. Durmelat, Food and foodways. Explorations in the History and Culture of Human Nourishment, in «Tastes of Homes»,
23, 1-2, 2015, pp. 104-126.
8 M. Montanari, Il mondo in cucina, Laterza, Roma-Bari 2002, p. vii.
9 M. Pendola, “Gli italiani di Tunisia nella prima metà del XX secolo fra interculturalità e alterità”, in Da maestrale e da
scirocco: le migrazioni attraverso il Mediterraneo, a cura di F. Cresti, M. Melfa, Giuffrè, Milano, 2006, p. 91.
10 M. Niola, “La dieta mediterranea simbolo della società di domani”, lectio magistralis “Essere e benessere. La ricetta me-
diterranea”, Fico Eataly World, Bologna, 2017, ˂https://video.repubblica.it/il-gusto/gusto/cibo-e-cultura-niola-la-die-
ta-mediterranea-simbolo-della-societa-di-domani/292208/292818˃.

Insegnare il lessico 105


In questo contesto riteniamo che la prospettiva del linguista e il ricorso a procedure tipi-
che della linguistica dei corpora possa apportare un contributo all’indagine del rapporto
tra lessico alimentare e identità culturale. La research question dalla quale siamo partiti
è dunque: il lessico legato al cibo (e, più in generale, il discorso del/sul cibo) può essere
considerato espressione di valori culturali identitari ‘esotici’, sia pur deboli, in un periodo
storico post-globalizzato nel quale trionfano processi di contaminazione e omologazione?

9.2. Il corpus digitale


Per trovare una prima verifica al nostro assunto di partenza abbiamo avviato un’indagine
basata su un corpus multilingue composto di testi digitali scaricati da siti web di ricette
popolari in quattro paesi europei: Italia, Spagna, Francia e Regno Unito.
La parte della ricerca che presentiamo in questo contributo riguarda il corpus in italiano.
Abbiamo raccolto, nel corso di un periodo compreso tra gennaio 2017 e gennaio 2019,
1791 items che sono parte dei 468 nomi di piatti unici le cui ricette costituiscono la sezione
omonima di Giallo zafferano e Buonissimo, due popolari siti web di ricette in italiano11.
La scelta di analizzare singoli lessemi contenuti nelle sezioni designanti i cosiddetti ‘piatti
unici’ ha una giustificazione non soltanto ‘tecnica’ ma anche metodologica.
Per quanto riguarda il primo punto, l’indicizzazione automatica e il calcolo della frequenza
di items lessicali singoli costituisce senza dubbio un dato di immediata valutazione. Rite-
niamo cioè che in questa fase iniziale dell’indagine anche il solo dato quantitativo circa le
occorrenze lessicali, se considerato quale misura di potenziali fenomeni connotativi (non
solo a livello individuale, come emerge dagli esempi riportati nella parte introduttiva, ma
soprattutto al livello sociale più ampio degli “apprezzamenti collettivi”) costituisca un vali-
do criterio per individuare quello che potremmo definire, parafrasando Nelson Goodman,
un “sintomo dell’esotico”12 e dell’alterità negli usi linguistici – anche quelli più comuni.
La scelta del criterio di selezione ‘piatti unici’, invece, esprime la presa d’atto di un’evolu-
zione fondamentale nelle abitudini alimentari dell’Occidente: la dimensione strutturale
del pasto, con le sue «regole di combinazioni permesse» – per citare l’antropologa Mary
Douglas13 che, negli anni Settanta, aveva efficacemente approfondito il tema del «cibo
come sistema di comunicazione» e del suo simbolismo anche nel contesto britannico – ha
ormai ceduto il passo a una serie di opposizioni paradigmatiche fra ‘pietanze singole’ en-
tro un melting pot alimentare postmoderno nel quale, in un certo senso, “tutto va bene”
(ad onta di certi richiami alla tradizione o alla cucina d’autore, che tuttavia provengono da
un universo di chef e talent culinari ormai sempre più globalizzati e mediatizzati).
Per costruire il corpus iniziale abbiamo quindi eliminato le parole grammaticali, ricavando
una lista di 1237 tokens di parole lessicali delle quali abbiamo conteggiato la frequenza

11 ˂http://www.giallozafferano.it/˃; ˂http://www.buonissimo.org/˃.
12 Goodman in effetti parla, nel contesto di una definizione delle caratteristiche distintive di qualcosa che possa funzionare
come ‘opera d’arte’, di «sintomi dell’estetico», N. Goodman, Quando è arte? in Id., Vedere e costruire il mondo, Laterza,
Roma-Bari 1988, pp. 67-83.
13 M. Douglas, Il cibo come sistema di comunicazione, in Ead., Antropologia e simbolismo, il Mulino, Bologna 1985, pp.
194-229.

106
Parte II - Capitolo 9

con un tool disponibile gratuitamente on line14. La word frequency list (che presentiamo
nelle figg. 1-5 infra) contiene una serie di items (nomi di piatti, ingredienti, procedure
ecc.) i quali possono essere classificati in senso ampio come ‘esotismi’ e sono eviden-
ziati mediante l’uso del grassetto; gli items in grassetto e sottolineati (28 in tutto su 557
lemmi-type, ossia meno del 5% del corpus) sono invece classificabili come ‘dialettalismi’.
Abbiamo isolato gli esotismi sulla base della nostra percezione di italiani del centro-sud,
verificando che essi potessero potenzialmente esser considerati parte del vocabolario del-
la lingua italiana in base alla prassi lessicografica secondo cui una parola è da indendersi
integrata al repertorio lessicale di una lingua allorché (i) occorre come lemma in (almeno
alcuni) dizionari o (ii) se ne riscontrano occorrenze plurime in testi autentici della lingua in
oggetto – scritti o parlati, naturalmente, e nel nostro caso tutti reperibili in Rete15.

9.3. Prime considerazioni sul corpus


Nel nostro corpus i lemmi-type che abbiamo classificato come ‘forestierismi’ (o, a seconda
dei casi, ‘esotismi’) sono 130, ovvero il 23,3 % circa del totale.
Abbiamo passato sommariamente passato in rassegna la provenienza (e, in alcuni casi,
verificato l’etimologia) degli items selezionati.
La metà delle parole proviene da lingue internazionali e di grande comunicazione, tradi-
zionalmente a contatto con l’italiano che da secoli ne riceve prestiti: inglese e francese,
anzitutto (24 e 20 parole rispettivamente) ma anche spagnolo (nelle sue diverse varietà, in
particolare latino-americane, 14 parole). Lo spagnolo, peraltro, è lingua tramite anche per
l’ingresso di lessemi provenienti da lingue native americane (come guacamole, di origine
nahuatl). A rigore, nel caso di questi lemmi, bisognerebbe parlare di ‘forestierismi’ perché
frutto di un contatto culturale prolungato e di un pieno controllo sull’etichetta lessicale da
parte dei parlanti, che ne (ri)conoscono la denotazione e spesso anche alcune connotazio-
ni, in parte ‘vissute’, della cultura straniera di provenienza16. Molte fra le parole restanti,
d’altro canto, possono essere senza dubbio ascritte alla categoria degli ‘esotismi’ perché
i loro denotata sembrano a prima vista «tolti di peso con l’etichetta linguistica originale
incollatavi sopra e percepita o letta alla meno peggio, comunque sempre sentita come
profondamente estranea alla lingua occidentale di turno»17. Alcuni lessemi ‘denunciano’
la loro origine in modi allusivi, ma tutto sommato alla portata della competenza lessicale
media dei consumatori – è il caso dei nipponismi (sukiyaki, seitan, tofu, uramaki, onigiri,

14 Writewords: ˂http://www.writewords.org.uk/word_count.asp˃.
15 Vale la pena osservare come l’indicizzazione automatica delle parole singole prodotta dal tool in base alla loro struttura
grafematica abbia generato, in alcuni casi significativi, risultati non del tutto perspicui, perché alcuni dei lemmi ‘sensi-
bili’ sono in realtà parole complesse, costruzionali o sintagmatiche (cfr. su tale nozione R. Simone, Nuovi fondamenti di
linguistica, McGraw-Hill, Milano, 2013, pp. 78-9 e E. Ježek, Lessico. Classi di parole, strutture, combinazioni, il Mulino,
Bologna, 2011, p. 42, dove le si definisce quali «espressioni multiparola che equivalgono a lessemi ascrivibili a una ca-
tegoria lessicale […] piuttosto che a frasi fatte»): è il caso di croque monsieur, pot au feu, nasi goren, chicken salad, fish
and chips ecc. In un’elaborazione più avanzata dei dati, ovviamente, sarà opportuno tenere debitamente in conto di tali
fenomeni piuttosto comuni nei lessici specialistici.
16 W. Belardi, Nascita, vita e morte dell’esotismo, in M. Mancini, L’esotismo nel lessico italiano, Università degli Studi della
Tuscia, Istituto di Studi Romanzi, Viterbo 1992, p. 10.
17 Ibidem.

Insegnare il lessico 107


nigiri, hosomaki) o dei pochi lemmi indiani (tandoori, chapati ad es.) –, senza che questo
significhi naturalmente che se ne abbia piena conoscenza referenziale al di là del generico
riferimento a piatti e cibi visti dall’esterno, ovvero da ‘esplorare’.
A prescindere dalla frequenza d’uso dei prestiti, solo in pochi casi significativa in termini
di occorrenze (paella 12; couscous 9 + 6 cuscus; hamburgher 8 + burger 6, per esempio; la
maggior parte delle parole ‘esotiche’ è in effetti presente nel corpus con una singola occor-
renza) e certamente affatto rappresentativa dell’alimentazione ‘nazionale’ – considerando
che gli items sono stati estrapolati esclusivamente dalle sezioni dei siti dedicate ai piatti uni-
ci, poiché è indubbio che pasta, pizza, spaghetti avrebbero ben altra frequenza in un corpus
di primi piatti –, i tokens che abbiamo isolato come ‘forestierimi’ e/o ‘esotismi’ confermano
la natura morfologica di prestito prevalentemente integrale/non adattato di questi items, e
ciò anche nel caso di lessemi entrati nel lessico italiano da tempo: così, fatta eccezione per
l’unica occorrenza di gattò – italianizzato, per il tramite del napoletano, anche nell’ortogra-
fia, che regolarizza la grafia francese gateau presente in due altre occorrenze del corpus –,
le altre parole raccolte conservano una struttura morfofonologica (nella resa ortografica
corrente, ovviamente) spesso pressoché identica a quella della loro lingua d’origine.
Sembra dunque che un fenomeno frequente da sempre – come testimonia il titolo di un li-
bro di Marco Mancini dei primi anni Novanta, L’esotismo nel lessico italiano18 – abbia in cer-
to senso visto mutare alcune caratteristiche a partire dalla fine dello scorso secolo, e ciò a
seguito della capillare diffusione di una rete informativa globale (quella digitale): se fino alla
seconda metà del Novecento i lemmi esotici sono stati «quasi sempre ai margini del lessico
e comunque nell’ambito di settori specifici […] che ne garantiscono, per così dire, l’immuta-
bilità fono-morfologica o, molto più frequentamente, morfo-grafica»19 oggi l’esplosione del
web e la globalizzazione, con il postmoderno e il ‘postesotico’ che penetrano ovunque nelle
nostre vite, hanno davvero reso da un lato più pervasiva la circolazione di queste parole
senza che il loro potere seduttivo peraltro possa considerarsi davvero esaurito20.
L’esotismo insomma entra a far parte della cucina ‘nazionale’ (ma si può continuare a
definirla tale?) portando con sé nomi di piatti, di tecniche culinarie, di ingredienti: si pen-
si ai tanti francesismi evidenziati anche da questo piccolo corpus e che riguardano, per
esempio, i nomi dei formaggi (ancora loro, ma questa volta si tratta di fromages, ad es. il
roquefort), i tipi di cottura (pilaf, gratin), i condimenti (vinaigrette).
Peraltro, il fenomeno è analogo nel caso delle cucine regionali che entrano a far parte
della cucina nazionale conservando la denominazione dialettale originale: quantunque
esigua in termini quantitativi, la classe dei dialettalismi finisce per connotarsi come altret-
tanto ‘esotica’ in relazione al vocabolario della lingua nazionale. Tra i regionalismi presenti
nel corpus, così, ritroviamo lemmi non trasparenti ma comunque noti, perché circolanti
nei discorsi del/sul cibo – come bisi, casatiello, carasau.
I lessemi isolati in questo piccolo corpus, pur se rappresentativi, non esauriscono certa-
mente la quantità di altri esempi possibili che, probabilmente, staranno venendo in mente
al lettore. Del resto il nostro obiettivo, lo ricordiamo, non era rintracciare un elemento
di novità in questa dinamica di interferenza quanto piuttosto indurre il parlante (che è

18 M. Mancini, L’esotismo nel lessico italiano, Università degli Studi della Tuscia, Istituto di Studi Romanzi, Viterbo 1992.
19 Ivi, p. 16.
20 Come preconizzava Belardi nel 1992 nella sua introduzione al libro di Mancini: Nascita, vita e morte dell’esotismo, cit., p. 9.

108
Parte II - Capitolo 9

sempre anche, occorre ribadirlo, un consumatore) a riflettere sulla valenza connotativa –


ovvero sul ‘portato’ culturale – di tali lessemi: si tratta di un’evidenza che potrebbe essere
utilizzata a fini politici attivando un processo di sensibilizzazione verso l’altro, per esempio,
o ancora uno spunto di riflessione volto a problematizzare una concezione essenzialista
dell’identità a beneficio di una costruzione identitaria processuale, fluida e interferita –
quella che l’antropologia del nuovo millennio ha denominato identificazione21 – molto più
calzante in relazione alla multiculturalità che caratterizza le società entro le quali viviamo.

9.4. Un abbozzo di verifica contrastiva


Per completare la nostra piccola indagine e confermare come le parole legate al cibo ‘tra-
ghettino’ effettivamente contenuti culturali in culture ‘altre’, pur conservando la natura di
prestito e la valenza connotativa anche nelle altre lingue entro le quali si sono (in parte)
acclimatate, abbiamo selezionato alcuni items che ci sono sembrati rappresentativi delle
abitudini alimentari contemporanee (e denotano piatti, ingredienti, spezie provenienti da
varie parti del mondo), effettuando una verifica contrastiva nei dizionari di lingua inglese,
francese e spagnola.
Gli items individuati sono sushi, tandoori, curry, hamburger, couscous, taboulé, pasta. Ne
abbiamo verificato l’occorrenza con un dizionario multilingue on line tra i più popolari, il
wordreference22, perché in questo caso ci interessava non il dato scientifico ma l’uso diffu-
so di questi lemmi. Il wordreference, come è noto, è un dizionario online gratuito, tradutti-
vo per le coppie inglese-italiano, inglese-francese, inglese-spagnolo e inglese-portoghese,
attivo dal 1999 e affiancato da una serie di forum grazie ai quali gli utenti scambiano infor-
mazioni su traduzioni e items non presenti fra i lemmi del dizionario stesso.
A parte qualche differenza ortografica che in alcuni casi convive con altre varianti (è il caso
di tabulè/tabbouleh in it., per esempio), è interessante notare come i lemmi scelti occor-
rono di fatto invariati nelle lingue in esame – persino nella lingua francese che, come è
noto, tende più di altre ad ‘addomesticare’ i prestiti sul piano ortografico.
Nel caso di pasta, un prestito italiano entrato nel lessico francese da tempi più remoti,
come è noto questo adattamento effettivamente avviene, e anche il confronto ortografico
tra francese e inglese relativo a tabulè appare esplicito:
Anglais Français
pasta n Italian, uncountable (starchy food: spaghetti, etc.) pâtes nfpl

Français Anglais
taboulé nm (plat libanais) tabbouleh n23

Non è questa la sede per illustrare un aspetto della nostra ricerca che estende la riflessio-
ne lessicografica alle altre lingue. Ma la semplice verifica della presenza degli items isolati
nel corpus italiano in dizionari/vocabolari delle altre lingue citate sembra confermare il
21 Sulla nozione di identificazione cfr. G. Baumann, L’enigma multiculturale, il Mulino, Bologna 2003, p. 143 (ed. or. 1999).
22 ˂http://www.wordreference.com/˃.
23 ˂http://www.wordreference.com/fren/taboule˃.

Insegnare il lessico 109


dato già osservato: il lessico alimentare introduce in lingue/culture diverse elementi mor-
fologici (e significati) che non subiscono cambiamenti sostanziali, così da conservare la
capacità di ‘spostare’ (displace) anche il parlante/consumatore verso altri contesti.

9.5. Conclusione
Il destino della pizza è stato quello di essere manipolata, al punto da finire ‘condita’ con gli
ingredienti più incredibili per un italiano; gli spaghetti sono famosi all’estero soprattutto
per essere serviti ‘alla bolognese’, ovvero in base a una ricetta sconosciuta sul territorio
nazionale. E ancora il pollo tandoori è spesso cucinato da noi in un modo che probabil-
mente farebbe inorridire un indiano (quando non siano stati gli stessi indiani, nei loro
ristoranti, ad ‘addomesticare’ per noi la pietanza come a suo tempo, quasi quarant’anni
fa, hanno sistematicamente iniziato a fare i cinesi). Eppure le denominazioni di queste
pietanze non cambiano granché nelle lingue di tutto il mondo, e dovunque evocano l’Italia
o l’Europa (persino in chi mangia la pizza con l’ananas!), l’India o l’Oriente a seconda della
‘distanza geografica e culturale’ tra cibo e fruitore. Possiamo quindi concludere che, anche
se la arcinota frase riportata nel titolo può non corrispondere più a una realtà cristallizzata
in usi e costumi alimentari immediatamente identificabili, seguendo il viaggio del lessico
legato al cibo e alla sua preparazione attraverso le lingue, è possibile scoprire come tale
campo lessicale resti tutto sommato un baluardo di valori culturali ‘forti’, e che i vocaboli
legati al cibo resistono alle contaminazioni più delle pietanze stesse che denotano.
Se riconosciamo la cucina come un elemento della cultura di una parte del mondo, questa
piccola e iniziale ‘porzione’ della nostra ricerca speriamo sia stata sufficiente a mettere in
primo piano quanto persino una singola parola può fare per mantenere viva la varietà e
la ricchezza culturale del nostro pianeta (e ciò senza affrontare il nodo, cui si è accennato,
dei discorsi nei quali quella parola viene convocata). Anche se la cultura occidentale can-
nibalizza le altre culture e spesso pensa che accogliere l’altro significhi occidentalizzarlo,
anche se si ‘appropria’ del sushi e ne fa un prodotto ‘addomesticato’24, il nome resta:
pensare al sushi, mangiare sushi evocherà sempre ‘sapori d’Oriente’ negli europei, così
come pensare pasta (e mangiare pasta) evocherà sempre l’Europa negli abitanti dell’altro
continente, nonostante le origini della pasta siano antichissime e contese25. D’altro canto,
la pasta all’estero, in barba a qualsiasi tentativo di annessione, evoca italianità ovunque
nel mondo. Persino la “Pasta Panzani”, che a noi italiani sembra un prodotto (e un mar-
chio) inventato: invece quasi un secolo fa un signor Panzani di origini italiane cambiò il suo
nome da Giovanni in Jean, e si mise a produrre pasta vicino a Lione. Tanto vera da diventa-
re l’esempio scelto da Roland Barthes per illustrare il valore connotativo di un’immagine.

24 In C. Bussolino (cit.), vengono riportati interessanti esempi a proposito dei nipponismi nel lessico alimentare italiano
contemporaneo, che non si limitano al sushi ma comprendono altri alimenti e ingredienti come il gomashio o gomasio
(sale marino misto a sesamo), o ancora alghe come le nori o le wakame.
25 M. Montanari, Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro, Laterza, Roma-Bari 2019.

110
Parte II - Capitolo 9

Appendice
La word frequency list/1
47 insalata 8 forno 5 pilaf 4 pesto 3 pomodoro 3 chicken
41 riso 8 fave 5 pesce 4 pasticcio 3 piselli 3 broccoli
38 polenta 8 carne 5 manzo 4 orzo 3 pie 3 birra
25 patate 7 sandwich 5 curry 4 noci 3 piccante 3 bianca
24 pollo 7 salsa 5 carciofi 4 misto 3 pane 3 asparagi
21 verdure 7 pancetta 5 agnello 4 melanzane 3 olive 3 agrumi
14 funghi 7 fagioli 4 zuppa 4 formaggi 3 mais 2 zafferano
12 torta 7 ceci 4 zucca 4 erbe 3 maionese 2 wurstel
12 paella 6 zucchine 4 yogurt 4 crostata 3 maiale 2 vongole
10 peperoni 6 uova 4 trippa 3 wrap 3 lasagne 2 verza
10 parmigiana 6 salmone 4 tortino 3 vegetariano 3 gratin 2 veggie
9 salsiccia 6 pomodori 4 tonno 3 tortillas 3 grano 2 valenciana
9 ripieni 6 frittata 4 tacchino 3 tigelle 3 giallo 2 umido
9 pasta 6 couscous 4 spezzatino 3 sushi 3 formaggio 2 tiella
9 melanzane 6 crespelle 4 spaghetti 3 speck 3 fonduta 2 tempura
9 couscous 6 cozze 4 radicchio 3 rustica 3 croque 2 taragna
8 salata 6 burger 4 quinoa 3 rotolo 3 croccante 2 tandoori
8 lenticchie 5 timballo 4 porri 3 ripiene 3 crema 2 tacos
8 hamburger 5 soia 4 pizza 3 quiche 3 cotechino 2 tabuleh
8 gamberi 5 risotto 4 piadina 3 prosciutto 3 cipolle 2 sugo

La word frequency list/2


2 spinaci 2 pasticciata 2 gateau 2 crescione 1 vinaigrette 1 ungherese
2 speziato 2 panzanella 2 gamberetti 2 crescentine 1 vietnamiti 1 uccelletto
2 sformato 2 ossobuco 2 fritti 2 cous 1 verdi 1 tortino
2 seitan 2 ortaggi 2 frico 2 concia 1 verde 1 trota
2 scamorza 2 omelette 2 freddo 2 cipollata 1 veneziana 1 tropea
2 saraceno 2 nasi 2 foul 2 cipolla 1 veneta 1 trnenec
2 salmì 2 napoletana 2 fontina 2 cavolo 1 venere 1 trevisana
2 rustici 2 moussaka 2 filante 2 cassata 1 veloci 1 treccia
2 rosso 2 minestrone 2 fasolari 2 caprino 1 vellutata 1 traunstein
2 ricotta 2 milanese 2 farro 2 bulgur 1 vegetariana 1 trapanese
2 ragù 2 mele 2 farcito 2 brodetto 1 vegan 1 toscana
2 quesadillas 2 marinara 2 fajitas 2 basmati 1 vapore 1 tomino
2 quattro 2 mare 2 fagiolini 2 avocado 1 valtellinese 1 tofu
2 quartirolo 2 mandorle 2 estiva 2 ananas 1 valnerina 1 timballo
2 pot 2 kebab 2 dauphinois 2 algherese 1 valdostana 1 tirolo
2 porcini 2 involtini 2 cuore 2 affumicata 1 val 1 tikka
2 polpo 2 guacamole 2 crudo 1 zighinì 1 vacherin 1 thai
2 polpettone 2 grilled 2 crostone 1 zenzero 1 uvetta 1 terrine
2 pecorino 2 grigliate 2 crostacei 1 vitello 1 uramaki 1 terrian
2 patatine 2 gorgonzola 2 crosta 1 virtù 1 unico

Insegnare il lessico 111


La word frequency list/3
1 temaki 1 spiedini 1 sarde 1 reblochon 1 pinoli 1 paesana
1 tatin 1 sorrentina 1 sapori 1 raspadura 1 piemontesi 1 padella
1 tasche 1 soppressata 1 saltate 1 rapa 1 piemontese 1 paccheri
1 tas 1 siriano 1 salad 1 ramen 1 piatto 1 ortiche
1 tartufi 1 sirenetta 1 sagne 1 raclette 1 piani 1 orientale
1 tartiflette 1 silano 1 rustico 1 quaglie 1 piadine 1 onigiri
1 taroz 1 sherry 1 rucola 1 pusteria 1 piacentina 1 one
1 tajine 1 shepherd’s 1 rosticciata 1 punte 1 peverada 1 olandese
1 tagliatelle 1 sfoglia 1 rosti 1 provola 1 petti 1 nutella
1 sukiyaki 1 sette 1 rosse 1 profumo 1 perlato 1 noodles
1 stufato 1 selvatiche 1 roquefort 1 primaverili 1 pere 1 nigiri
1 stufati 1 selvaggio 1 romana 1 primavera 1 peperonata 1 nero
1 stufate 1 sedano 1 romagnola 1 prezzemolo 1 pasticciato 1 negros
1 strudel 1 scorzonera 1 rolls 1 portoghese 1 pasticciati 1 napoli
1 strozzapreti 1 scrippelle 1 rognone 1 porkolt 1 parmigiano 1 muscari
1 strati 1 scafata 1 ripieno 1 ponentina 1 papazoi 1 mozzarella
1 strapazzate 1 savoiarda 1 ripiena 1 polpettine 1 panino 1 moscardini
1 stracchino 1 sauté 1 rice 1 polpetti 1 panettone 1 morbida
1 straccetti 1 sartù 1 ribollita 1 polpette 1 panelle 1 montone
1 spiedino 1 sardine 1 regina 1 pizzaiola 1 panada

La word frequency list/4


1 monsieur 1 lombarda 1 hot 1 gattò 1 fasoi
1 molluschi 1 lime 1 hosomaki 1 gastronomico 1 farinata
1 miste 1 ligure 1 haggis 1 gamberoni 1 farina
1 mini 1 light 1 gyros 1 futomaki 1 farfalle
1 ministra 1 lasagna 1 gunkanmaki 1 frutti 1 fanese
1 millefoglie 1 lamponi 1 gulash 1 frutta 1 esotica
1 miglio 1 kiwi 1 guazzetto 1 fritto 1 erbette
1 maesfouf 1 kartoffelpuffer 1 groviera 1 frittatine 1 dog
1 merluzzo 1 kapsa 1 grösti 1 frijoles 1 delicato
1 mela 1 kamut 1 griglia 1 friarielli 1 decadente
1 mediterranea 1 jambalaya 1 greca 1 fresche 1 daikon
1 mazzancolle 1 italiana 1 gratinato 1 fregola 1 curcuma
1 masala 1 integrali 1 gratinate 1 fish 1 cunza
1 marisco 1 integrale 1 goreng 1 fiorentina 1 cubetti
1 margherita 1 insalatona 1 gnudi 1 finferli 1 cubano
1 mantello 1 insalati 1 gnocco 1 filetto 1 costoni
1 mamaliga 1 imbottiti 1 gnocchi 1 feta 1 croccanti
1 maltagliati 1 hummus 1 glutine 1 feijoada 1 crescenza
1 madrid 1 house 1 germogli 1 fegato 1 cotto
1 madame 1 favata 1 cotiche

112
PARTE III

Antologia
Parte III - Capitolo 10

10. Il lessico della conoscenza e la didattica


dell’italiano a stranieri
Francesca Gallina
Università degli Studi di Pisa
Tratto da Italiano a stranieri, 2015, n. 19

10.1. Il lessico e la didattica


Elaborare un percorso di sviluppo della competenza lessicale implica il fatto di tenere in
considerazione diverse dimensioni, dagli aspetti legati all’ampiezza del lessico (quante pa-
role è necessario imparare a riconoscere e usare) agli aspetti più legati alla profondità
della conoscenza di un’unità lessicale (forma, significato, rapporti con altre unità lessicali,
adeguatezza d’uso, ecc.) fino agli aspetti legati all’automaticità (la possibilità di accedere
a un’unità lessicale e di utilizzarla più o meno velocemente). L’apprendimento lessicale
costituisce un processo di natura incrementale non solo perché all’avanzare della compe-
tenza aumenta il numero delle parole che un individuo conosce, ma anche perché sotto il
profilo della profondità di conoscenza di una parola e della capacità di accesso ad essa si
ha un incremento via via che il livello di competenza aumenta.
Progettare un percorso di sviluppo della competenza lessicale in italiano L2, e non solo
naturalmente in L2, implica necessariamente il fatto di prestare attenzione a tutte e tre
le dimensioni che abbiamo richiamato. Tuttavia, in questa sede ci limiteremo a riflettere
soprattutto sulla dimensione più legata all’ampiezza, ovvero sull’estensione del lessico e
sulla stratificazione che gli studi lessicologici e lessicografici hanno elaborato (tra questi si
veda in particolare De Mauro 1999).
Il lessico di una lingua può essere infatti rappresentato tramite l’utilizzo di diverse fasce
che vengono distinte in base alla frequenza e all’uso che facciamo delle unità lessicali che
formano parte di una determinata lingua. Al centro del lessico delle lingue viene abitual-
mente individuato il vocabolario di base, ovvero quel modestissimo nucleo di parole che
hanno però una frequenza elevatissima e che consentono di affrontare la conversazione
quotidiana quasi interamente. Si tratta per l’italiano di un insieme di circa 7.000 parole che
rappresentano circa il 7% di parole di un dizionario medio, legate a esperienze quotidia-
ne e ben note alla maggior parte dei parlanti di una lingua. Per l’italiano il vocabolario di
base (VdB) è stato elaborato da Tullio De Mauro (1980) e consente di coprire circa il 98%
dei discorsi quotidiani, includendo parole come ad esempio abitare, sapere, allora, mai,
faccia, domani, attualmente, governare, gettone, sbucciare, sbadiglio, ecc. Oltre il nucleo
del vocabolario di base si collocano le parole che appartengono al lessico comune e che
costituiscono circa 47.000 unità di uso sporadico. Infine, oltre il lessico comune, il lessico
dell’italiano è rappresentabile con un insieme di oltre 2.000.000 unità lessicali che forma-
no i lessici tecnici delle diverse aree settoriali e disciplinari, conosciuti generalmente solo
dagli specialisti di ciascun settore.
Ai fini dello sviluppo della competenza lessicale in italiano L2 il vocabolario di base costi-

Insegnare il lessico 115


tuisce un punto di riferimento irrinunciabile, sia per il docente che progetta un percorso
didattico, sia per chi elabora materiali didattici o test di valutazione delle competenze lin-
guistico-comunicative. Tuttavia, se il VdB costituisce il primo elemento da tenere in consi-
derazione nella didattica attenta al maturare della competenza lessicale di un apprenden-
te l’italiano L2 soprattutto nei livelli iniziali, man mano che la competenza avanza e/o nel
caso in cui i bisogni dell’apprendente siano di tipo specifico si rende necessario tenere in
considerazione anche le parole che appartengono a determinati settori specialistici. In un
processo di apprendimento lessicale in cui l’apprendente ha necessità di conoscere anche
il lessico tecnico-disciplinare è necessario progettare tale percorso proprio per consentire
all’apprendente di gestire le peculiari unità lessicali presenti nei testi tecnico-specialistici
e scientifici. Per quanto rimanga ancora aperta la questione del livello minimo di compe-
tenza linguistico-comunicativa necessario per poter gestire il lessico tecnico-scientifico e
ampliare dunque la competenza lessicale in questa direzione, tuttavia i bisogni degli ap-
prendenti possono rendere necessario l’inserimento di tale lessico nel contesto didattico
anche in una fase precoce del percorso di apprendimento. Conseguentemente è opportu-
na una selezione delle parole tecnico-scientifiche da introdurre, così come dovrebbe av-
venire ad esempio in un piano di sviluppo lessicale per la scuola italiana, dove già a livello
della scuola primaria è opportuno aprirsi al lessico delle discipline, come ad esempio a
quello della storia o della geografia (Ferreri 2005).
Tuttavia, le parole che appartengono al lessico tecnico-scientifico da sole possono non es-
sere sufficienti per permettere all’apprendente di italiano L2 di gestire un testo settoriale,
poiché esiste un insieme di unità lessicali che non caratterizzano un ambito settoriale, ma
sono trasversali a diversi ambiti e sono imprescindibili per poter comprendere e produrre
un testo disciplinare e per poter anche generare autoapprendimento: si tratta del lessico
della conoscenza, di cui discuteremo le principali caratteristiche nel paragrafo successivo.

10.2. L’Academic Word List


Il lessico della conoscenza costituisce un insieme di parole trasversali agli ambiti disciplina-
ri, che richiama l’Academic Word List - AWL (Nation 2001; Schmitt 2000). Esso rappresenta
il “lessico di supporto” o “lessico sub-tecnico” (Schmitt 2010) necessario per scrivere e
parlare in più campi del sapere, ed è composto da parole con una frequenza relativamente
bassa nella lingua comunemente usata, ma che tuttavia hanno una certa frequenza in de-
terminati contesti d’uso. Esso rappresenta infatti circa il 9-10% delle parole dei testi acca-
demici, come dimostrano alcuni studi sull’inglese (Coxhead 2000). Si tratta di quella parte
di lessico necessaria per esprimere idee nelle varie discipline e per definire e classificare
altri termini più tecnici, che nella versione inglese contiene circa 570 parole suddivise in 9
gruppi di 60 parole e un gruppo di 30 parole e copre il 10% di un corpus di testi accademici.
A partire da un corpus di 3,5 milioni di occorrenze estratte da 414 testi accademici scritti
relativi al settore dell’arte, del’economia, della giurisprudenza e delle scienze, Coxhead ha
infatti estratto una lista di frequenza da cui ha eliminato il lessico generale e selezionato
poi le parole con maggiore frequenza e uso, costituendo così AWL, ampiamente ripresa
e riutilizzata per l’elaborazione di materiali didattici e di percorsi di apprendimento per

116
Parte III - Capitolo 10

l’inglese L2. Alcuni esempi di parole appartenenti all’AWL sono affect, chapter, goal, mi-
nimum, portion, sequence, undergo, ecc. Di fatto le parole inserite nell’AWL costituiscono
una sorta di ponte tra le parole con maggiore frequenza di una lingua e le parole con mag-
giore frequenza in uno specifico dominio di studio (Cobb, Horst 2004).
L’AWL rimane dunque un punto di riferimento importante, tuttavia come hanno messo in
rilievo Hyland e Tse (2007) alcune unità lessicali che le appartengono hanno una distribu-
zione differente a seconda dell’area settoriale che si prende in considerazione, soprattutto
per ciò che concerne l’uso, la frequenza, le collocazioni e il significato, suggerendo così
di lavorare all’elaborazione di liste di parole focalizzate sui singoli ambiti accademici. Per
quanto tale suggerimento sia fonte di inspirazione e costituisca un interessante sviluppo
per future ricerche, nel nostro contributo ci limiteremo a considerare il corrispettivo italia-
no dell’AWL, che come la stessa AWL ha una valenza per tutti i settori disciplinari.

10.3. Il lessico della conoscenza e l’italiano L2


Il lessico della conoscenza elaborato per l’italiano comprende parole utili per «manipolare
e lavorare con i dati, costruire ipotesi, ideare modelli, sostenere argomentazioni, interpre-
tare le condizioni d’uso a cui si adattano i vocaboli, riflettere sulle parole, i loro significati e
i loro usi» (Ferreri 2005). Per quanto sia stato individuato in prima istanza con riferimento
agli studenti madrelingua, diventa un obiettivo anche per gli apprendenti di italiano L2
inseriti nella scuola italiana che hanno tra i propri bisogni quello di studiare le discipline
scolastiche in italiano e per coloro che sono inseriti in percorsi di studio all’estero che pre-
vedono lo studio appunto disciplinare in L2.
Esso costituisce quella parte del percorso di sviluppo della competenza lessicale che non
mira tanto all’apprendimento di parole nuove, quanto alla capacità di «circoscrivere e in-
scrivere sensi e significati in campi disciplinari, costruire reti di relazioni semantiche, a
operare con unità – i morfemi – più piccole delle parole ricombinabili estesamente, a co-
gliere solidarietà sintagmatiche, a correlare parole e contesti d’uso» (Ferreri, ibid.).
Rientrano nel lessico della conoscenza parole come antitesi, bibliografia, categoria, de-
durre, ideologia, norma, presumere, risorsa, sintesi, tema, verificare, ecc. Per la lista com-
pleta delle parole che vi rientrano rimandiamo a Ferreri (ibid.).
Il lessico della conoscenza assume particolare rilievo nella didattica di una L2 perché spes-
so esso è meno noto agli apprendenti interessati a uno specifico ambito rispetto al lessi-
co tecnico-scientifico di quell’ambito e perché non sempre l’apprendente è consapevole
dell’uso tecnico e dell’uso non tecnico che viene fatto di alcune unità lessicali che gli ap-
partengono. Inoltre il lessico della conoscenza ha particolare rilevanza anche per il fatto
di favorire la coesione di un testo accademico, aiutando così la gestione del testo stesso
da parte dell’apprendente tramite la sua acquisizione. Infine per un docente è forse più
facilmente gestibile un percorso di insegnamento del lessico della conoscenza rispetto al
lessico settoriale (o ai lessici settoriali cui sono interessati i diversi studenti di una classe)
di cui non è uno specialista e per il quale spesso può mancare di conoscenze approfondite.
Le parole che appartengono al lessico della conoscenza possono essere combinate e ag-
gregate in vari modi, costruendo vere e proprie mappe concettuali organizzate attorno a

Insegnare il lessico 117


una parola, che favoriscono l’apprendimento e la gestione da parte dell’apprendente. Per
tale ragione dunque il lessico della conoscenza rappresenta un ambito del lessico trasver-
sale a diverse discipline, consentendo l’elaborazione di percorsi di apprendimento a tutti i
livelli scolastici e di formazione, oltre che di sviluppo della competenza linguistico-comu-
nicativa, in una prospettiva multidisciplinare. L’esempio che segue mette in luce proprio
questo tipo di possibilità di costruire un percorso di apprendimento lessicale. Partendo
dalla parola “tesi” è infatti possibile costruire dei percorsi di apprendimento sulla base di
altre parole del lessico della conoscenza, come ad esempio antitesi, assioma, corollario,
dedurre, deduttivo, definire, derivare, dimostrare, dogma, elicitare, formalizzare, ipotizza-
re, modellizzare, negare, postulare, principio, ecc.
Lo sviluppo della parte di lessico riconducibile al lessico della conoscenza non può dun-
que essere trascurata non solo nell’apprendimento di nativi, ma anzi diventa un sostegno
indispensabile anche nei percorsi di sviluppo della competenza linguistico-comunicativa
di non nativi, soprattutto per coloro che sono inseriti in percorsi formativi in Italia, dalla
scuola primaria ai corsi universitari, o che studiano l’italiano per ragioni professionali o di
studio all’estero e hanno quindi necessità di affrontare lo studio delle varie discipline.
Nel tentativo di intraprendere una riflessione sullo sviluppo della dimensione lessicale del-
la competenza linguistico-comunicativa degli alunni con cittadinanza non italiana inseriti
nella scuola superiore di secondo grado, confrontandola con quella degli alunni italiani, ci
sia consentito fare riferimento a una prova pilota di un progetto di ricerca più vasto i cui
risultati sono riportati in Gallina (2014). Le ipotesi da cui muove tale ricerca presuppongo-
no che gli alunni non nativi che hanno già frequentato almeno un anno di scuola superiore
conoscano, a vari livelli di competenza, il lessico tecnico-specialistico delle materie ogget-
to di studio, ma a differenza dei nativi non abbiano la stessa capacità di usare le parole che
appartengono al lessico della conoscenza. Sulla base di un questionario sociolinguistico e
di alcuni test cui sono stati sottoposti tutti gli studenti, nativi e non, di una seconda classe
del biennio di un istituto tecnico tecnologico e di una terza classe dello stesso istituto
con specializzazione in informatica, abbiamo cercato di cogliere alcune linee di tendenza
dello sviluppo della competenza lessicale generale e in particolare relativa al lessico tecni-
co-scientifico e della conoscenza. Tutti gli studenti sono stati sottoposti a una produzione
scritta generale, ovvero un commento a un breve testo sul rapporto degli adolescenti con
internet, e una produzione scritta nelle materie disciplinari selezionate, ovvero “Scienze
della terra e biologia” nella seconda classe e “Statistica” nella terza classe. Gli argomenti
proposti erano rispettivamente il microscopio (definizione, tipologie, funzioni) e la ricerca
in statistica (fasi dell’indagine, natura dei dati, metodi di raccolta).
Di entrambe le produzioni sono stati estratti i risultati dell’applicazione delle misure di
ricchezza lessicale come la densità lessicale, il conteggio degli hapax, il confronto con altre
liste di frequenza dell’italiano (Meara, Bell 2001) e inoltre sono stati analizzati gli usi ef-
fettivi delle parole chiave delle discipline e del lessico della conoscenza presenti nelle pro-
duzioni. Inoltre tutti gli studenti sono stati sottoposti a un test lessicale formato da item
a punti discreti, con lo scopo di valutare in modo più mirato la conoscenza di una parte
del lessico tecnico-specialistico delle scienze e della statistica, oltre che del lessico della
conoscenza. Il test si compone di otto attività, ciascuna delle quali è mirata a testare una
componente della competenza lessicale, data la natura composita dell’apprendimento del

118
Parte III - Capitolo 10

lessico. Le attività valutano parole del lessico della conoscenza e del lessico tecnico-specia-
listico e alternano momenti di riconoscimento del lessico a momenti di produzione più o
meno libera, oltre che attività sulla capacità di collocare una parola con altre parole.
Ciò che è emerso dall’analisi dei risultati delle varie prove di produzione scritta è che i
ragazzi stranieri rispetto agli italiani utilizzano sul versante produttivo più parole apparte-
nenti al VDB, a prescindere dalla materia con cui si confrontano. Allo stesso tempo usano
però un po’ di più il lessico tecnico-specialistico, che danno prova di conoscere indipen-
dentemente dal periodo di residenza e di scolarizzazione in Italia. La differenza più sostan-
ziale tra informanti italiani e stranieri e tra informanti stranieri con periodi di permanenza
in Italia differenti sta nella capacità di usare il lessico della conoscenza, che gli stranieri, e
in particolar modo gli stranieri in Italia da meno tempo, utilizzano in misura minore. Tale
tendenza è confermata anche dai risultati dei test lessicali, in cui sono proprio le parole
appartenenti al lessico della conoscenza, come “obiettivo”, “simulazione”, “nozione” ecc.
ad aver creato maggiori le difficoltà agli stranieri. Ciò che è però più interessante osservare
è che tale difficoltà riguarda anche moltissimi alunni di origine italiana, mettendo in luce
come lo sviluppo della parte di lessico che appartiene al lessico della conoscenza costitui-
sca una questione spinosa non solo per gli stranieri, ma anche per gli alunni nativi che pure
sono inseriti in un percorso scolastico in Italia da numerosi anni.

10.4. Il lessico della conoscenza e la didattica


Nel caso di apprendenti di italiano L2 particolarmente interessati a un ambito settoriale
o inseriti nella scuola italiana, il lessico della conoscenza assume rilevanza fondamentale
per la sua frequenza d’uso nei testi disciplinari, che fa sì che si renda necessario un percor-
so di apprendimento focalizzato su questo particolare aspetto del lessico. Spesso invece
nei percorsi di apprendimento il lessico della conoscenza viene trascurato a favore del
vocabolario generale o dei lessici tecnico-scientifici, e anche quando l’apprendente viene
esposto a parole appartenenti a questa fascia del lessico, di fatto la sola esposizione, ad
esempio tramite la mera lettura di un testo scientifico, non garantisce in alcun modo l’ac-
quisizione del lessico della conoscenza.
Il tempo dedicato all’apprendimento del lessico della conoscenza in particolari contesti
didattici assume dunque un grande valore e andrebbe inserito nelle attività mirate allo
sviluppo del lessico ricettivo e produttivo, così come ad esempio suggerito dalle attività
proposte da Coxhead proprio sull’AWL e da altri materiali didattici per l’inglese L2.
Inoltre la conoscenza pregressa di un certo ambito settoriale e del lessico della conoscen-
za nella propria L1 costituisce un elemento da considerare nella progettazione del percor-
so didattico in L2, perché può costituire un utile base di conoscenze ed esperienze su cui
fare leva. Lavorare con giovani apprendenti che non hanno ancora avuto modo di entrare
in contatto con le parole del lessico della conoscenza implica invece andare a lavorare in
modo ancora più stringente sull’acquisizione di tali parole, proprio per consentire agli ap-
prendenti di poter studiare una certa disciplina.
Se una mole di dati più ampia e non limitata a sole due classi confermasse i risultati esposti
nel par. 4, sarebbe quanto mai opportuno avviare una riflessione sulla possibilità di elabo-

Insegnare il lessico 119


rare, come suggerisce Ferreri (2005), un piano lessicale globale di alfabetizzazione che dia
il giusto spazio e il giusto rilievo all’apprendimento del lessico della conoscenza sia per i ra-
gazzi di origine italiana che per i ragazzi di origine straniera. Tale sforzo e la progettazione
che ne consegue naturalmente non possono essere di responsabilità esclusiva del docente
di lettere o di chi si occupa dell’italiano L2, ma devono essere condivisi dai docenti discipli-
nari nel loro complesso. E devono essere sostenuti anche tramite una produzione di libri
di testo e programmi più attenti e capaci di favorire non solo l’apprendimento del lessico
tecnico-scientifico, ma anche e soprattutto del lessico della conoscenza per descrivere,
distinguere, classificare, mettere in relazione, spiegare, capire e sintetizzare le materie
studiate.

Riferimenti bibliografici
Cobb T., Horst M., 2004, “Is there room for an academic word list in French?”, in Bogaards
P., Laufer B. (a cura di), Vocabulary in a second language, Amsterdam/Philadephia, John
Benjamins, pp. 15-38.
Coxhead A., 2000, “A new academic word list”, in TESOL Quarterly, n. 34, pp. 213-238.
De Mauro T., 1980, Guida all’uso delle parole, Roma, Editori Riuniti.
De Mauro T., 1999, Grande Dizionario Italiano dell’Uso, Torino, UTET.
Ferreri S., 2005, L’alfabetizzazione lessicale. Studi di linguistica educativa, Roma, Aracne.
Gallina F., 2014, “La competenza lessicale degli alunni stranieri: dal lessico tecnico-scientifico
al lessico della conoscenza”, in Colombo A., Pallotti G. (a cura di), L’italiano per capire, Roma,
Aracne, pp. 209-221.
Hyland K., Tse P., 2007, “Is there an ‘Academic Vocabulary’?”, in TESOL Quarterly, n. 2, pp.
235-253.
Meara P., Bell H., 2001, “P_Lex: a simple and effective way of describing the lexical character-
istics of short L2 texts”, in Prospects, n. 3, pp. 5-19.
Nation P., 2002, Learning vocabulary in another language, Cambridge, Cambridge University
Press.
Schmit N., 2000, Vocabulary in language teaching, Cambridge, Cambridge University Press.
Schmit N., 2010, Researching vocabulary. A vocabulary research manual, Basingstoke, Palgra-
ve Macmillan.

120
Parte III - Capitolo 11

11. Il lessico degli insegnanti dei corsi


di italiano L2 rivolti a immigrati adulti
Matteo La Grassa
Università per Stranieri di Siena
Tratto da in Italiano a stranieri, 2015 n. 19

11.1. Obiettivi dell’indagine


Il parlato dell’insegnante di L2 assume una fondamentale importanza nel processo di ap-
prendimento poiché rappresenta la principale fonte di input linguistico facilitato, che do-
vrebbe adeguarsi al livello di competenza dell’apprendente per agevolare l’acquisizione
della lingua oggetto di studio. Il controllo di aspetti fonologici (velocità di eloquio, pause,
enfasi, articolazione più attenta) morfosintattici e di organizzazione dell’informazione (ri-
petizioni, richieste di comprensione, richieste di conferma), caratterizza, infatti, il teacher
talk (Diadori 2004).
In ambito italiano, gli studi sul parlato del docente si sono concentrati soprattutto su aspet-
ti interazionali (Grassi 2007; Monami 2013) e recentemente anche sulle modalità adattate
per favorire lo sviluppo della competenza lessicale (cfr., tra gli altri, Villarini 2011; La Gras-
sa, in stampa). È in quest’ultima linea di ricerca che si inquadra questo contributo in cui si
presentano i principali risultati di una indagine svolta sul lessico utilizzato dagli insegnanti
di italiano L2 in classi di apprendenti immigrati adulti1. L’indagine si basa sull’analisi di un
corpus di parlato di docenti di oltre venti ore di lezioni registrate varie città d’Italia. L’obiet-
tivo è stato quello di individuare le parole più utilizzate dagli insegnanti, le loro categorie
grammaticali e le aree semantiche di appartenenza e, più in generale, se il lessico utilizzato
è adeguato al livello di competenza e ai bisogni linguistico-comunicativi degli apprendenti.

11.2. Misure lessicometriche e imprinting grammaticale del corpus


Il corpus è formato da 72.275 occorrenze realizzate da 5.500 forme grafiche differenti2. La
percentuale di forme sulle occorrenze è del 7,6%, questo vuol dire che vengono usate 7,6
parole nuove ogni 100 parole; gli hapax, cioè le parole utilizzate una sola volta, rappresen-
tano il 41,2% dell’intero corpus. In altri corpora, questo valore si colloca generalmente intor-
no al 50% e una percentuale inferiore a questo valore può essere considerata indicativa di
un parlato non particolarmente ricco dal punto di vista lessicale. Come interpretare questo
dato? Complessivamente gli insegnanti sembrano utilizzare un tipo di parlato poco vario, dal
1 L’indagine è stata svolta nell’ambito del progetto di rilevanza nazionale “Il lessico dei materiali, il lessico nei materiali” fi-
nanziato dal MIUR con fondi PRIN. Il lavoro è proseguito ed è stato ampliato nell’ambito del progetto PRIN “La competen-
za lessicale nell’interazione docente/apprendenti in contesti guidati di apprendimento dell’italiano L2”. L’unità di ricerca
dell’Università per Stranieri di Siena è stata coordinata per entrambi i progetti da Andrea Villarini.
2 Il numero delle occorrenze è dato dalle singole ripetizioni di ciascuna parola; il numero di forme da tutte le parole distinte
dalle altre.

Insegnare il lessico 121


momento che ripetono più volte le stesse parole. Riteniamo però che tale caratteristica non
debba essere considerata negativamente: è noto infatti che la ridondanza lessicale può co-
stituire un elemento di facilitazione della comprensione specialmente quando si opera con
gli apprendenti con bassi livelli di competenza. Inoltre, la frequenza e la ripetizione dell’input
è uno dei criteri che contribuisce all’acquisizione degli elementi lessicali (Bettoni 2001).
Passando all’imprinting grammaticale, ovvero le categorie grammaticali alle quali appar-
tengono le parole del corpus, si è rilevato che la categoria grammaticale maggiormente
rappresentata è quella dei verbi che con 10.943 occorrenze rappresentano oltre il 15% del
totale. In quasi il 95% dei casi, i verbi sono utilizzati al tempo presente, nel 4% dei casi al
passato e nel restante 1% al futuro. Tale uso particolarmente esteso del tempo presente,
oltre ad essere legato alle caratteristiche della lingua parlata utilizzata nel contesto di in-
segnamento, può essere determinato anche dal livello di competenza degli apprendenti3
dal momento che questi sono in grado di gestire principalmente testi tipici di una varietà
interlinguistica basica. L’insegnante sembra pertanto adeguare la complessità del suo par-
lato alle competenze degli apprendenti.
Molto meno rilevanti dei verbi sono le categorie del nome (8,36% delle occorrenze) e
dell’avverbio (4,26%). Si segnala soprattutto lo scarso peso percentuale degli aggettivi (sol-
tanto l’1,1%).

11.3. Segnali discorsivi e parole piene del corpus


Un testo, di qualunque natura esso sia, presenta due macrocategorie di parole: le parole
piene e le parole vuote. Semplificando si può affermare che le prime (nomi, verbi, agget-
tivi, avverbi) sono portatrici di un significato semantico, le seconde (congiunzioni, pre-
posizioni, articoli, interiezioni) invece sono utilizzabili in correlazione con le parole piene
poiché non hanno significato autonomo e hanno principalmente la funzione di indicare le
relazioni tra le parole che hanno un contenuto semantico più evidente4. Ai fini di questa
indagine, sono state considerate principalmente le parole piene, tuttavia si vuole segna-
lare anche l’ampio uso di segnali discorsivi5 che si collocano ai primi posti tra le parole più
utilizzate dagli insegnanti, tra l’altro in maniera diffusa nelle varie parti della lezione. Que-
sto forte utilizzo si spiega da un lato con la tipicità del loro uso nella lingua orale e dall’altro
con la funzione che essi svolgono all’interno delle lezioni di italiano L2.
Tra i segnali discorsivi più utilizzati segnaliamo “eh” (1175 occorrenze), “ok” (662 occor-
renze), “va bene” (486 occorrenze). I segnali discorsivi oltre ad avere funzione fatica, cioè
3 Come segnalato da Grassi (2008), anche all’interno del Quadro Comune Europeo di riferimento per quanto riguarda
i livelli di competenza più bassi si attribuisce grande importanza all’adeguamento dell’input verso il «qui e ora» che
linguisticamente si realizza verosimilmente anche mediante l’uso di verbi al tempo presente.
4 Non è sempre semplice operare in maniera inequivocabile la distinzione tra parole piene e parole vuote, specialmente
per quanto riguarda l’attribuzione delle classi di parole a una delle due categorie. Ad esempio, è generalmente condiviso
che i verbi, i nomi, gli aggettivi sono categorie di parole piene; mentre gli articoli, i pronomi, le preposizioni sono categorie
di parole vuote. Tuttavia, come afferma Jezek (2005) alcune di esse, come “sopra”, sono portatrici anche di un significato
semantico; al contrario i verbi “essere” e “avere” usati come ausiliari non hanno un significato autonomo.
5 I segnali discorsivi sono parole vuote ma polifunzionali e possono quindi assumere diverse funzioni nel discorso. Per una
accurata disamina di queste parole si veda principalmente Bazzanella (2001). Per quanto riguarda l’uso dei segnali discor-
sivi da parte di apprendenti di italiano L2 si rimanda a Jafrancesco (2015).

122
Parte III - Capitolo 11

a mantenere aperta la comunicazione con gli apprendenti, sono molto utilizzati con into-
nazione interrogativa con la chiara funzione di richiesta di comprensione, come è emerso
da un’analisi a campione fatta nelle tre diverse sezioni (inizio; metà; fine) in cui sono state
divise tutte le lezioni registrate. Il rilevante utilizzo di segnali discorsivi con questa funzione
ci sembra un dato positivo che segnala una modalità di comunicazione attenta all’effettiva
comprensione dei contenuti da parte degli apprendenti6.
Passando adesso alle parole piene maggiormente utilizzate, si segnala che le prime 100
hanno una frequenza che varia dalle 2091 occorrenze (“è”) alle 62 occorrenze (“persona”,
“Italia”, “risposta”). Si rileva innanzi tutto, come ci si attendeva, la rilevante presenza delle
forme del verbo essere e avere. Oltre a queste forme, tra le prime parole piene utilizzate si
trovano parole legate al dare istruzioni (“vediamo” 218 occorrenze; “fare” 217 occorrenze;
“facciamo” 155 occorrenze; “fai” 154 occorrenze). A questo proposito è interessante no-
tare il frequente utilizzo della prima persona plurale che conferisce all’istruzione un tono
meno direttivo, così come è emerso anche in altre indagini (Diadori, Cotroneo, Pallecchi
2007). Tra le altre parole piene più utilizzate emergono anche quelle legate al contesto di
insegnamento (“numero”, “frase”, “verbo”, “parola”, “nome”, “domanda”).
Per avere un’indicazione sul livello di comprensibilità del parlato a cui gli apprendenti sono
esposti, è stata verificata l’appartenenza di queste parole al Vocabolario di Base, da ora
in poi VdB (De Mauro 1980). È interessante notare che la stragrande maggioranza delle
parole piene più comuni rientra nel VdB (oltre il 95%) e di questa percentuale quasi l’87%
fa parte del vocabolario fondamentale, il 4% del vocabolario di alto uso e quasi il 5% del
vocabolario di alta disponibilità. In queste ultime due fasce rientrano parole legate al con-
testo di insegnamento (“numero”, “plurale”, “esercizio”, “singolare”, “maschile”), mentre
le parole che non rientrano nel VdB sono soltanto due nomi propri (“Andrea” e “Italia”) e
una parola ancora legata al contesto di insegnamento (“verbo”).
Il dato relativo al fatto che le parole maggiormente utilizzate rientrino nelle fasce del VdB,
ci sembra un positivo segnale di attenzione alla comprensibilità dell’input. Infatti, non ope-
rare nessun controllo sul tipo di parlato utilizzato in classe potrebbe essere addirittura
d’ostacolo nel processo di apprendimento. A tal proposito afferma Villarini (2002: 85) :
«Riteniamo, in conclusione, che, ai fini del processo di apprendimento, sia da preferire
un input più controllato. Anche se più povero di spunti didattici quest’input risulterà più
proficuo per lo sviluppo della competenza e sarà molto più efficace di un input ricco che
potrebbe risultare troppo difficile da gestire per la classe e non darebbe garanzie sull’ef-
fettivo passaggio di informazioni».
Sulla base dei dati esposti, gli insegnanti sembrano essere d’accordo con questa posizione.
Il lessico da loro utilizzato più frequentemente è infatti privo di vocaboli poco comuni dal
momento che rientra in gran parte nel vocabolario fondamentale e, inoltre, le forme che
rientrano tra le meno frequenti del VdB sono comunque largamente utilizzate nel contesto
di insegnamento e pertanto sicuramente comprensibili. Il lessico degli insegnanti tende
a rappresentare pertanto un input comprensibile in relazione agli apprendenti e al loro
livello di competenza linguistico-comunicativa.

6 Ciò non significa, tuttavia, che venga adottata una modalità realmente interattiva tra docente e apprendente. Per esem-
pio, in diversi momenti dedicati allo sviluppo della competenza lessicale, è presente anche una modalità unidirezionale
(La Grassa, Villarini, Troncarelli, in stampa).

Insegnare il lessico 123


11.4. I 50 verbi maggiormente utilizzati nel corpus
Se si escludono le parole che non sono classificabili in maniera univoca, la categoria più
utilizzata è quella dei verbi7. Nella tabella 1 si presentano i 50 verbi maggiormente utiliz-
zati nel corpus.

Lemma Occorrenze totali Lemma Occorrenze totali


essere 2322 piacere 60
avere 1340 usare 58
fare 469 rispondere 53
dire 460 sentire 52
vedere 457 finire 50
volere 454 conoscere 49
potere 334 mangiare 48
andare 310 trovare 48
dovere 250 chiedere 47
sapere 236 ascoltare 46
mettere 186 fumare 42
capito 178 tornare 42
scrivere 158 promettere 40
venire 144 pensare 40
parlare 143 diventare 39
dormire 140 lavare 36
guardare 119 lavorare 35
ripetere 103 comprare 33
significare 92 sembrare 33
stare 84 leggere 32
cambiare 82 uscire 31
aspettare 79 difendere 30
capire 77 iniziare 30
chiamare 70 correggere 28
prendere 67 cercare 28
provare 63 spiegare 28
tab. 1. Verbi maggiormente utilizzati.

7 Questo dato differenzia il parlato del docente dal parlato dell’apprendente di italiano L2 che nella sua produzione orale «fa
maggiore uso della categoria nominale rispetto a quella verbale, nella propria attività comunicativa, quale aggancio più im-
mediato con la realtà» (Barni, Gallina 2008: 153). Anche nel VdB il nome è la categoria grammaticale maggiormente diffusa.

124
Parte III - Capitolo 11

Anche in questo caso è interessante notare che tutti i verbi rientrano nel VdB e precisamen-
te nel vocabolario fondamentale ad eccezione del verbo “correggere” che fa parte comun-
que del vocabolario ad alto uso. Oltre al dato atteso relativo alla forte frequenza di verbi di
significato generico (“essere”, “avere”, “fare”, “volere”, “potere”, “dovere”) si segnala che
molti verbi sono legati al contesto di insegnamento (“scrivere”, “parlare”, “ripetere”, “si-
gnificare”, “capire”, “rispondere”, “ascoltare”, “leggere”, “correggere”, “spiegare”). Tuttavia,
sembrano assenti verbi che possano rientrare in maniera specifica nelle aree semantiche
di maggiore interesse per gli apprendenti immigrati adulti (lavoro, abitazione, salute). L’a-
nalisi dei verbi utilizzati fa pensare a una modalità di insegnamento maggiormente attenta
alla forma che al contenuto: i verbi utilizzati servono principalmente a dare istruzioni e a
incoraggiare lo sviluppo delle abilità, piuttosto che a veicolare contenuti che incontrino
l’interesse degli apprendenti immigrati adulti.

11.5. I 50 nomi maggiormente utilizzati nel corpus


I nomi costituiscono oltre l’8% dell’intero corpus e rappresentano dopo i verbi le parole pie-
ne più usate. Dall’osservazione dei nomi maggiormente utilizzati emerge in maniera molto
netta la specificità del parlato dell’insegnante che utilizza con grande frequenza parole ti-
picamente legate al contesto di insegnamento: i primi quattro nomi utilizzati infatti sono
“frase” (160 occorrenze), “verbo” (153 occorrenze), “parola” (135 occorrenze) e “nome”
(111 occorrenze). Molte altre parole legate a questo contesto rientrano tra i nomi più uti-
lizzati (“parole”, “esercizio”, “domande”, “verbi”, “pagina”, “lezione”, “esercizi”, “esempio”,
“foglio”). Per quanto riguarda la categoria dei nomi, il parlato dell’insegnante appare per-
tanto molto legato alla volontà di dare corrette istruzioni per lo svolgimento delle attività
in classe o di stimolare la riflessione metalinguistica ma anche in questo caso, come per i
verbi, sembra più modesto il peso delle parole che servono a veicolare contenuti di ambito
di interesse degli apprendenti.
Inoltre, i nomi più frequentemente usati sembrano rimandare a una modalità di insegna-
mento abbastanza tradizionale che trascura, per esempio, la centralità del testo come
elemento fondamentale intorno al quale realizzare tutte le varie attività didattiche della
lezione. Indicativo è, in questo senso, il fatto che il nome in assoluto più utilizzato sia “fra-
se” e che siano del tutto assenti parole, per esempio “testo”, in qualche modo correlate
alla dimensione della testualità.
Nella tabella 2 si riportano i nomi utilizzati con la maggiore frequenza.

Forma Occorrenze Forma Occorrenze Forma Occorrenze


grafica totali grafica totali grafica totali
frase 160 pronome 49 mare 31
verbo 153 stanza 47 pagina 29
parola 135 verbi 43 lezione 29
nome 111 attenzione 43 giovedì 29

Insegnare il lessico 125


casa 97 acqua 42 cognome 28
cose 88 festa 41 mesi 28
parole 84 ragazza 41 donne 27
cosa 81 barba 35 tipo 27
uomo 79 cinema 34 esercizi 26
persone 78 tempo 34 baby sitter 26
esercizio 74 problema 34 fiori 26
domande 68 lettera 34 nomi 25
donna 68 signora 33 lingua 25
Italia 62 venerdì 32 scuola 24
persona 62 attimo 32 esempio 24
bottiglia 55 capelli 31 foglio 24
anni 54
tab. 2. Nomi maggiormente utilizzati.

11.6. Analisi del lessico peculiare


I dati raccolti dall’indagine sono stati messi a confronto con una risorsa interna al program-
ma di elaborazione con cui è stata svolta l’analisi lessicale che per comodità definiremo
corpus di italiano standard. Si tratta di un corpus molto ampio di circa 4.000.000 di occor-
renze ricavato da testi sia scritti che orali. Dal confronto con i dati che abbiamo acquisito è
stato poi estratto il lessico peculiare, ovvero le forme che, in proporzione, sono maggior-
mente frequenti all’interno del corpus di parlato degli insegnanti e che di conseguenza lo
caratterizzano. Le prime 100 parole piene che presentano uno scarto differenziale più alto
rispetto all’italiano standard sono state poi divise per aree semantiche.
Come è possibile vedere dal grafico (cfr. graf. 1) emerge un gruppo di parole molto più
consistente rispetto agli altri (46 parole su 100), ovvero quello rappresentato dalle parole
utilizzate in contesto educativo. In questa macroarea semantica rientrano parole comune-
mente usate nella classe con varie funzioni tra le quali possiamo identificare principalmen-
te quelle metalinguistica, procedurale e valutativa8. Le prime sono le parole tipicamente
utilizzate durante momenti di riflessione sulla lingua. Tra queste segnaliamo: “pronome”,
“plurale”, “verbo”, “comparativo”, “maschile” e “frase”. Tali parole, inoltre, sono quelle
che fanno registrare lo scarto maggiore con l’italiano standard. Le parole di tipo proce-
durale sono utilizzate principalmente per dare istruzioni durante le attività in classe. Tra
queste segnaliamo: “ripeti” (la parola che in assoluto fa segnalare lo scarto più forte dall’i-
taliano standard), “vai”, “proviamo”, “vediamo”. Infine, la terza categoria che rientra tra le
parole di ambito educativo può essere considerata di tipo “valutativo”, poiché è costituita
8 Il dato è in linea con quanto rilevato da Villarini (2008) che segnala che il lessico peculiare dei libri di testo di italiano L2
rientra per la maggior parte in queste due categorie.

126
Parte III - Capitolo 11

da parole utilizzate per fornire una qualche forma di valutazione (“perfetto”, “brava”, “bra-
vissimi”, “bravissima”) 9.
Con forte scarto rispetto alle parole di ambito educativo, emergono poi altre categorie:
quella relativa alla quotidianità e al tempo libero con parole come “dormo”, “mi sveglio”,
“mi vesto”, “pizzeria”, “discoteca” ecc; quella relativa alla sfera personale che include pa-
role che hanno a che fare con la casa (“bagno”, “stoviglie”), con il cibo (“tortellini”) e con
l’abbigliamento (“cappotto”, “pigiama”); quella relativa alle descrizioni con parole come
“magra”, “barba”, “ricci”. Le ultime due categorie sono quelle relative alle professioni
(“dentista”, “pediatra”) e allo stato civile (“celibe”, “nubile”).
Anche dall’analisi del lessico peculiare vengono confermate le considerazioni già fatte in
precedenza: è quasi assente l’uso di parole che possano rientrare nelle macroaree di in-
teresse degli immigrati adulti, specialmente del lavoro. Molto frequenti, come in parte ci
si attendeva, sono invece le parole legate al contesto di insegnamento. Il resto del lessico
peculiare sembra poco significativo in quanto è costituito da parole frequentemente utiliz-
zate nella comunicazione di base. Interessante ci sembra il fatto che tra il lessico peculiare
rientrino due termini di italiano burocratico (“celibe”, “nubile”) che si ritiene comunque
utile presentare in contesto formativo in quanto si tratta di termini frequentemente utiliz-
zati in testi scritti, per esempio moduli di varia natura, con cui gli immigrati adulti vengono
sicuramente a contatto.

2% 2%
17% educavo
14% descrizioni
sfera personale
11% varie
46% tempo libero e quodianità
8%
stato civile
professioni

grafico 1. Lessico peculiare diviso per aree semantiche.

11.7. Conclusioni
L’analisi del corpus di parlato degli insegnanti di italiano L2 che è stata condotta fornisce
alcuni interessanti spunti di riflessione. Innanzi tutto è possibile affermare che il parla-
to degli insegnanti è complessivamente adeguato dal punto di vista lessicale al livello di
competenza linguistico-comunicativa degli apprendenti di livello basico. La gran parte del-
le parole utilizzate (95%) rientra infatti nel VdB, facilitando in tal modo la comprensione
dell’input, e l’uso dei tempi verbali si limita in modo quasi esclusivo, anche per il genere
prevalentemente espositivo della comunicazione da parte dell’insegnante, al presente in-

9 Dagli esempi del lessico peculiare, la valutazione sembra sempre essere fornita in termini molto positivi, probabilmente
al fine di incoraggiare il processo di apprendimento della lingua.

Insegnare il lessico 127


dicativo, facilitando, attraverso la semplificazione del sistema verbale, la comprensione
degli apprendenti. Inoltre, come è stato evidenziato, il corpus non presenta una ricchezza
lessicale marcata, aspetto che dimostra che le parole usate vengono ripetute più volte,
ulteriore strategia di semplificazione dell’input. Infine, le parole usate sono caratterizzate
da chiarezza semantica e da un basso livello di idiomaticità.
La categoria grammaticale più utilizzata è quella dei verbi seguita, a grande distanza, da
nomi e avverbi. Molto bassa è la percentuale degli aggettivi. Il fatto che i verbi siano usati
con maggiore frequenza può essere interpretato da un lato considerando l’informalità del
parlato, dall’altro il fatto che grazie all’utilizzo della categoria verbale si svolgono molte
funzioni durante la lezione di lingua (dare istruzioni, fornire esempi, fare domande ecc.).
Con riferimento ai nomi maggiormente utilizzati, essi sembrano rivelare una modalità di
insegnamento piuttosto tradizionale, molto attenta alla correttezza formale e alla riflessio-
ne metalinguistica, ma che ancora considera la frase, più che il testo, l’elemento centrale
nel processo di insegnamento/apprendimento.
Per quanto riguarda il lessico peculiare, ovvero le parole sovrautilizzate rispetto al lessico
di riferimento di italiano standard, si osserva il suo forte legame con il contesto di insegna-
mento, dal momento che sono presenti principalmente parole utilizzate in ambito educa-
tivo con funzioni che è possibile definire “metalinguistica”, “procedurale” e “valutativa”.
Un aspetto che ci sembra opportuno sottolineare è la mancata corrispondenza tra le ma-
croaree di interesse tradizionalmente significative per gli immigrati adulti e il tipo di lessico
utilizzato dagli insegnanti. A questo proposito facciamo riferimento al profilo di appren-
dente immigrato adulto definito da Vedovelli (2010) che identifica i bisogni linguistico-co-
municativi e le macroaree in cui le competenze acquisite in contesto libero o guidato sa-
ranno verosimilmente utilizzate. Vedovelli identifica alcune macroaree10 che interessano
gran parte degli immigrati adulti e afferma che esse devono essere trattate all’interno di
un percorso formativo tenendo conto dei principi di “equilibrio” e “gerarchia”. In altre
parole, l’immigrato adulto deve essere messo in condizione di saper gestire anche am-
biti all’interno dei quali non interagisce comunemente; allo stesso tempo però, quanti si
occupano di progettare e realizzare la formazione devono tenere presenti le priorità dei
loro apprendenti e adattare ad esse i loro interventi didattici. Nel caso di immigrati adulti
è nota la priorità che riveste la macroarea rappresentata dal lavoro11 declinata nei suoi
vari momenti (per esempio: ricerca, inserimento, specializzazione, ricerca di una migliore
situazione occupazionale), pertanto a questi aspetti deve essere attribuita principale im-
portanza con la presentazione in classe di contenuti, testi, lessico ad essi relativi. Tuttavia,
se si considera il lessico del docente come un indicatore significativo dell’andamento della
lezione, risulta che la macroarea lavoro – ma anche le altre macroaree di interesse per
l’immigrato adulto ad eccezione, in parte, di “socializzazione e tempo libero” –, risulta
molto marginale. Questo non è un aspetto da sottovalutare se si considera quanto affer-
mato precedentemente (cfr. par. 1), sulla centralità dell’input linguistico in contesto guida-
to rappresentato dal parlato dell’insegnante.
10 La macroaree di comunicazione sono: regolarizzazione, lavoro, abitazione, salute e assistenza, formazione, socializza-
zione e tempo libero.
11 A tal proposito afferma Vedovelli (2010: 154) : «Il lavoro, dunque, nella prospettiva gerarchizzante si pone al primo
posto rispetto alla restante gamma di macroaree/domini, e condiziona i caratteri degli altri, i quali assumono rilevanza
variabile per i diversi migranti e nei diversi momenti del percorso migratorio».

128
Parte III - Capitolo 11

In conclusione, si può affermare che gli insegnanti producono con il loro parlato un input
comprensibile che potrà facilitare lo sviluppo delle competenze, ma si concentrano an-
che molto sugli aspetti formali della lezione e meno sui contenuti che potrebbero mag-
giormente interessare gli apprendenti immigrati adulti. Ovviamente tale ipotesi andreb-
be verificata con un’analisi di tipo longitudinale, prolungata nel tempo, ma il fatto che le
macroaree significative per gli immigrati adulti risultino nel complesso poco presenti nel
parlato di insegnanti che operano in sedi differenti, suggerisce in ogni caso la necessità di
prestare maggiore attenzione ai più immediati bisogni linguistico-comunicativi di questo
gruppo di apprendenti.

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Insegnare il lessico 129
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130
Parte III - Capitolo 12

12. Studenti internazionali in mobilità,


la questione del lessico della conoscenza in italiano L2
Francesca Gallina
Università degli Studi di Pisa
Tratto da Ballarin e., Bier A., Coonan M.C. (a cura di), 2018,
La didattica delle lingue nel nuovo millennio.
Le sfide dell’internazionalizzazione, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari

12.1. Introduzione
Per gli studenti internazionali in mobilità una delle questioni più spinose ed attuali è quella
dello sviluppo della competenza linguistico-comunicativa in italiano L2 per lo studio e in
particolare la questione dello sviluppo della competenza lessicale necessaria allo studio
in un percorso universitario. Tali questioni ovviamente coinvolgono anche chi è chiamato
a favorire e sostenere il loro percorso di apprendimento linguistico in contesto formale
sia nella progettazione di percorsi formativi che nella prassi didattica. La recente pubbli-
cazione di specifici studi sull’apprendimento dell’italiano L2 per lo studio nelle università
(Mezzadri 2016; Fratter, Jafrancesco, Fragai 2017) e lo stesso convegno DILLE tenutosi a
Venezia mettono in luce come il tema sia di cogente attualità e coinvolga sia l’apprendente
sia chi si occupa di insegnamento, produzione di materiali didattici, verifica e valutazione.
Il processo di evoluzione lessicale per studenti in mobilità internazionale a livello univer-
sitario vede, infatti, coinvolti due aspetti particolari del lessico, ovvero la conoscenza da
un lato del lessico tecnico-scientifico del settore di interesse e d’altro canto di quello che
è stato definito il lessico della conoscenza1. Come sostiene Ferreri (2005) il lessico della
conoscenza (LC) dell’italiano costituisce un insieme di parole utilizzate trasversalmente
negli ambiti disciplinari che richiama il vocabolario accademico di origine anglosassone. Si
tratta dunque di un lessico utile per muoversi nello spazio linguistico interno a un percorso
di studio in contesto universitario, in cui la sola conoscenza del lessico settoriale può non
essere sufficiente per gestire i contesti e le situazioni comunicative, oltre che i tipi e i ge-
neri testuali, tipici dell’ambito universitario, come ad esempio sostenere un esame scritto
o orale, seguire una lezione, studiare un testo universitario, dispense o appunti, prendere
appunti, scrivere una tesina o la tesi.
L’obiettivo del presente contributo è dunque quello di proporre una riflessione sul pro-
cesso di sviluppo lessicale per studenti in mobilità internazionale a livello universitario,
1 Quella lessicale è una delle dimensioni che meglio individuano gli usi linguistici di ambito specialistico. Tuttavia, non è que-
sta la sede per approfondire tali temi, pertanto sulle caratteristiche dei linguaggi delle discipline e sulle differenti denomi-
nazioni attribuite ai linguaggi di settori di esperienza e di studio per i quali è richiesta una competenza specialistica riman-
diamo a Balboni (2000), Berruto (1993), Cortelazzo (1990), Dardano (1994), Desideri (2011), Gotti (1991), Gualdo, Telve
(2011), Lavinio (2004), Sobrero (1993). Accogliamo tuttavia la proposta del GRADIT di De Mauro (1999), ripresa da Vedovel-
li e Casini (2016, 31), che a fronte delle numerose proposte come microlingua, lingua speciale, lingua specialistica, linguag-
gi speciali, usi tecnico-specialistici di lingua, sottocodici, ritengono preferibile utilizzare l’espressione usi linguistici in ambiti
tecnico-scientifici, a sottolineare il fatto che è l’uso in rapporto a particolari attività, settori, specializzazioni, tecnologie e
scienze, che fa sì che si possa parlare di lessico tecnico-scientifico e si possa differenziarlo dall’uso comune non tecnico.

Insegnare il lessico 131


con particolare attenzione al lessico della conoscenza. Le domande che ci siamo posti e a
cui abbiamo cercato di rispondere sono infatti se gli studenti universitari non-nativi cono-
scono il vocabolario accademico, se sanno comprendere le unità lessicali del LC quando
le incontrano, se sanno produrre testi in cui sono presenti elementi del LC e soprattutto
come è possibile verificare le loro conoscenze del LC.
Il contributo si propone di fornire innanzitutto un inquadramento teorico sia di cosa siano
il vocabolario accademico e il lessico della conoscenza, sia di quali possano essere le mo-
dalità di valutazione di questa parte del lessico. Verrà pertanto illustrato un test lessicale
specificamente volto a valutare la conoscenza di questa porzione del lessico e somministra-
to in via sperimentale a degli studenti di italiano L2 di origini differenti e con livelli di com-
petenza linguistico-comunicativa differenziati. Verranno poi presentati in sintesi i risultati
della sperimentazione del test per proporre degli spunti di riflessione sulle modalità di va-
lutazione del lessico accademico, sui bisogni linguistici e lessicali degli studenti in mobilità
e sulla necessità di adattare le scelte didattiche a tali bisogni e a questo specifico profilo di
apprendenti. L’obiettivo ultimo del contributo è infatti quello di riflettere sulla necessità per
gli studenti in mobilità di sviluppare anche questa porzione del lessico italiano.

12.2. Il vocabolario accademico e il Lessico della Conoscenza


Gli studi sul vocabolario accademico di ambito anglosassone costituiscono ormai una tra-
dizione consolidata di riferimento per quanti siano interessati alla dimensione lessicale
del discorso accademico. Il vocabolario accademico include quelle unità lessicali che in
generale non hanno un uso diffuso, ma che sono molto frequenti in tutti i testi accademici
a prescindere dalla disciplina. Tra le varie proposte terminologiche che si sono sussegui-
te in ambito anglosassone ricordiamo che esso è stato definito come generally usefull
vocabulary (Barber 1962), sub-technical vocabulary (Cowan 1974; Yang 1986; Anderson
1980), semi-technical vocabulary (Farrel 1990), specialized non-technical lexis (Cohen et
al. 1988), frame words (Higgins 1966); academic vocabulary (Martin 1996; Coxhead 2000).
Schmitt (2010, 78) lo definisce come ‘support’ vocabulary, ovvero un vocabolario di sup-
porto necessario per esprimere delle idee in varie discipline. Nagy e Townsend (2012, 92),
alla luce del recente interesse e dei numerosi studi su queste tematiche, propongono una
discussione sulla definizione del vocabolario accademico, cui rimandiamo per un appro-
fondimento, limitandoci in questa sede a ricordare che il vocabolario accademico è consi-
derato un vocabolario specializzato, scritto e orale, capace di facilitare la comunicazione
e il ragionamento sui contenuti disciplinari in contesti accademici, secondo usi che non
corrispondono sempre a quelli di altri contesti comunicativi più informali.
Come rileva Nation (2001) sono numerose le ragioni per cui il vocabolario accademico è
rilevante nei processi di apprendimento di una L2 che vedono come protagonisti gli stu-
denti di contesti formali di apprendimento, a partire dal fatto che esso è molto comune in
un ampio ventaglio di testi accademici, basti pensare al fatto che in inglese ha una coper-
tura del 9-10% dei testi accademici (Coxhead 2000)2. Inoltre alcuni studi mettono in rilie-
2 Si veda lo stesso Nation (2001) per una più approfondita analisi della presenza e della copertura del vocabolario accade-
mico nei testi di ambito universitario.

132
Parte III - Capitolo 12

vo come il vocabolario accademico sia poco noto agli studenti, e comunque meno noto
rispetto al lessico tecnico-scientifico sia per l’inglese (Anderson 1980; Cohen et al. 1988)
che per l’italiano (Gallina 2014; Spina, in corso di stampa). Infine il vocabolario accademi-
co costituisce un tipo di lessico il cui apprendimento un docente di L2 può agevolmente
facilitare tramite una proposta didattica ad hoc3. Sono inoltre molti gli studi che mettono
in relazione la conoscenza del vocabolario accademico con le abilità di lettura accademica
e il successo accademico (Cohen et al. 1988; Nagy, Townsend 2012; Tonwsend et al. 2012;
ma si veda anche la sintesi di Gardner e Davies 2014)
La tradizione anglosassone ha prodotto numerose liste di parole appartenenti al voca-
bolario accademico la cui utilità è molteplice, essendo esse utili non solo per stabilire gli
obiettivi di apprendimento, valutare la competenza lessicale e analizzare la ricchezza e la
complessità dei testi, ma anche per creare o modificare i materiali didattici, progettare
nuovi strumenti per l’apprendimento, determinare le componenti lessicali del curriculum
e rispondere ai bisogni linguistici di chi studia tramite la L2 in un formale percorso accade-
mico e più generalmente educativo.
Nation (2001, 188, 192-3) propone una ricostruzione dell’evoluzione delle liste di voca-
bolario accademico per l’inglese, cui rimandiamo per un approfondimento, limitandoci
nel presente contributo a ricordare che la prima lista che ha avuto la capacità di imporsi
all’attenzione di insegnanti e apprendenti è quella elaborata nel 1984 sulla base di 800 fa-
miglie di parole da Xu e Nation, ovvero la University Word List (UWL) che ha selezionato le
unità lessicali sulla base della loro frequenza in testi accademici, rilevando una copertura
del 8,5%. All’UWL ha fatto seguito nel 1998 la lista di Coxhead, Academic Word List (AWL),
estratta da un corpus di 3.500.000 occorrenze di testi di arte, commercio, legge e scienze
e fondata su 570 famiglie di parole. Nel 2014, infine, Gardner e Davies hanno elaborato la
New Academic Vocabulary List (AVL), composta di 300 lemmi estratti da testi di humani-
ties, educazione, storia, scienze sociali, filosofia, religione, psicologia, legge, scienze politi-
che, scienze e tecnologia, medicina e salute, commercio e finanza.
Per quanto concerne l’italiano, abbiamo già visto nel primo paragrafo come il lessico del-
la conoscenza dell’italiano, proposto da Ferreri (2005), costituisce un insieme di parole
trasversali agli ambiti disciplinari, che si ispira all’Academic Word List di Coxhead (2000).
Mentre l’AWL è pensata appositamente per studenti non anglofoni che vogliono accedere
alle università, il LC è rivolto innanzitutto a madrelingua. Tuttavia, esso può essere di gran-
de utilità anche nel caso di studenti universitari non italofoni, perché costituisce quella
parte di lessico che permette di comprendere testi monografici universitari e inoltre di
innescare meccanismi virtuosi di autoapprendimento. Si tratta, infatti, secondo Ferreri, di
una tappa del percorso di sviluppo lessicale che parte nella scuola e continua all’università
e che quindi può riguardare sia i nativi che i non-nativi. Queste sono dunque le ragioni per
le quali abbiamo deciso di mettere a confronto gli studenti in mobilità internazionale con
il LC, proprio per il suo essere una componente fondamentale nel percorso di sviluppo
lessicale di chi è inserito in un percorso di formazione in contesto formale e che pertanto
ha dei bisogni linguistici espliciti.

3 Rimandiamo a Nagy e Townsend (2012) per una panoramica di alcuni interventi per l’apprendimento del vocabolario
accademico per l’inglese L2.

Insegnare il lessico 133


Ferreri (2005, 134) afferma che il LC comprende parole che consentono di manipolare e
lavorare con i dati, costruire ipotesi, ideare modelli, sostenere argomentazioni, interpreta-
re le condizioni d’uso a cui si adattano i vocaboli, riflettere sulle parole, i loro significati e i
loro usi. Esso si compone di 255 lemmi, di cui 167 nomi, 50 verbi, 35 aggettivi, 2 locuzioni
e 1 avverbio. Rimandiamo al lavoro di Ferreri per la lista completa e proponiamo in questa
sede solo alcuni esempi di unità lessicali ne fanno parte, ‘adeguatezza’, ‘analogia’, ‘forma’,
‘inferenza’, ‘modello’, ‘rappresentazione’, ‘sequenza’, ‘osservare’, ‘descrivere’, ‘differenzia-
re’, ‘processare’, ‘rappresentare’, ‘astratto’, ‘coerente’, ‘deduttivo’, ‘formale’, ‘subordinato’,
‘teorico’, ‘universale’. A partire dalla lista del LC, abbiamo elaborato un test selezionando
alcune delle unità lessicali che ne fanno parte per valutare quanto di tali unità fosse noto
a studenti in mobilità.
Nell’elaborazione del test abbiamo tenuto conto anche di un altro strumento a disposizio-
ne attualmente per l’italiano, ovvero l’Academic Italian Word List (AIWL) di Spina (2010),
ovvero una lista delle parole più frequenti nella comunicazione accademica scritta com-
posta da 403 lemmi e 208 collocazioni. L’AIWL è stata estratta dall’Academic Italian Cor-
pus composto di 1 milione di occorrenze, di cui ha una copertura del 5%, a fronte di una
copertura pari a 0,5% di un testo parlato di registro colloquiale. Per valutare la capacità
di riconoscere le collocazioni tipiche dei testi accademici abbiamo infatti inserito nel test
anche alcune delle collocazioni contenute nell’AIWL.

12.3. Il test di valutazione del LC


Nel ciclo di progettazione del test sperimentale di valutazione del LC ci siamo innanzitutto
posti alcune questioni, su quale costrutto porre a fondamento del test, quale unità consi-
derare, su quali dimensioni della competenza lessicale concentrare la nostra attenzione e
quali tipi di test utilizzare, se fare ricorso a test in contesto o fuori contesto.
Tradizionalmente i test lessicali sono di tipo discreto, come ad esempio attività di scelta
multipla, matching, completamento, traduzione nella L1. Tuttavia, la sempre maggiore
consapevolezza da un lato della scarsa validità dei test discreti nel valutare la competenza
linguistica complessiva e dall’altro della multidimensionalità della competenza lessicale ha
portato a proporre tipi di test differenti, specificamente mirati a valutare una o l’altra delle
dimensioni del lessico. Si è infatti reso necessario creare dei test che potessero rendere
conto sia della dimensione quantitativa (quante parole conosce l’apprendente) sia della di-
mensione qualitativa (quali parole conosce e come le conosce), ma anche della automatici-
tà e velocità di accesso e dell’organizzazione del lessico4. Read (1993) nel denunciare come
i test utilizzati per misurare l’aspetto quantitativo della conoscenza lessicale siano indicatori
inadeguati di quanto bene sia conosciuta una parola, specialmente nel caso di parole con
frequenza elevata che possono assumere significati e usi differenti, si concentra proprio
sul lessico accademico per dimostrare come sia necessario andare oltre i test di size. Read
stesso (2000, 9) propone una tripartizione in tre dimensioni della valutazione del lessico,
di cui la prima dimensione si focalizza sul costrutto e oppone test discreti a test integrati,

4 Per un approfondimento sulla valutazione del lessico rimandiamo a Read (2000, 2004) e a Schmitt (2010).

134
Parte III - Capitolo 12

la seconda dimensione riguarda il tipo e la quantità di lessico da sottoporre a valutazione e


oppone test selettivi a test globali, mentre la terza dimensione guarda al contesto e mette
in opposizione test dipendenti dal contesto e test indipendenti dal contesto.
Nel nostro lavoro di ricerca la valutazione guarda solo alla componente del lessico che è il
vocabolario accademico, selezionando dunque una precisa porzione di lessico. Non esisto-
no al momento per l’italiano test specifici per la sua misurazione sul modello ad esempio
del Vocabulary Level Test (nella versione di Schmitt, Schmitt, Clapham 2001), del Lexical
Frequency Profile (Laufer, Nation 1995), del Productive Levels Test (Laufer, Nation 1999) o
del Test of Academic Lexicon (Scarcella, Zimmerman 1998), ma anche del test, attualmen-
te in fase di sperimentazione, sulle associazioni di parole appartenenti al vocabolario ac-
cademico a cura di John Read (Comunicazione al Language Testing Research Colloquium,
Palermo, 23 giugno, 2016).
Pertanto, abbiamo elaborato un test lessicale il cui obiettivo è verificare quante unità lessi-
cali del LC sanno riconoscere e produrre gli studenti in mobilità, tenendo conto anche del
livello di competenza degli studenti coinvolti e mettendolo in relazione con la loro capacità
di uso del LC. Come sottolinea Nation (2001, 196), infatti, il lessico accademico va misurato
per ciò che concerne sia le abilità ricettive che produttive, dal momento che lo studente
è chiamato a saper comprendere, ma anche utilizzare, le unità lessicali del vocabolario
accademico nel proprio percorso formativo.
Il costrutto del test, sulla base delle indicazioni tratte da Chapelle (1994), Read (2004), ma
anche del Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue (Council of Europe 2001),
riguarda il numero di unità lessicali del LC e la qualità della conoscenza, ovvero la precisio-
ne del significato, la conoscenza delle caratteristiche delle parole e le relazioni lessicali, e
infine concerne la capacità di riconoscerle e usarle.
A fronte delle considerazioni appena fatte abbiamo quindi optato per un test multiplo, ov-
vero un test composto da diverse componenti, ciascuna capace di rendere conto di aspetti
diversi dello stadio di sviluppo della competenza lessicale. Read (2004) sostiene con forza
la necessità di un test multiplo per valutare il lessico, così come fa Schmitt (2010, 241) af-
fermando che la combinazione di più misure e approcci al testing serva per consentire una
migliore comprensione dello stadio di conoscenza lessicale di un apprendente. Abbiamo,
infatti, proposto dei test discreti, ma anche integrati, test che guardano alla quantità o alla
qualità delle conoscenze lessicali, che valutano il riconoscimento o l’uso di un’unità les-
sicale, dipendenti e non dal contesto. La scelta di proporre sia delle prove fuori contesto
che in contesto nasce anche dalle osservazioni di Townsend et al. (2012), che sottolineano
come per valutare la conoscenza del lessico accademico è necessario non proporre solo le
parole in isolamento, ma negli usi e nei contesti in cui esse ricorrono proprio nelle vesti di
parole del vocabolario accademico.
Vediamo dunque quale formato abbiamo adottato per il nostro test. Il test comprende sei
prove:
1. cloze test selettivo
2. completamento di frasi con scelta multipla
3. matching di un’unità lessicale e della sua definizione
4. matching sulle collocazioni

Insegnare il lessico 135


5. dare la definizione di una parola
6. scrivere una frase con un’unità lessicale data.
Le prove 1, 2 e 3 sono discrete, misurano gli aspetti quantitativi e lavorano sul riconoscimen-
to. Le prime due dipendono dal contesto, mentre la terza è fuori contesto. Le prove 4, 5, 6
invece misurano aspetti qualitativi. La numero 4 è un test discreto che prevede un’attività di
riconoscimento indipendente dal contesto, mentre la 5 e la 6 sono prove integrate sull’uso,
di cui solo la 6 dipende dal contesto. La tabella 1 riepiloga i tratti caratterizzanti le sei prove.

Riconoscimento
Test integrato
Test discreto

Contesto
Quantità
Qualità

Uso
1. cloze selettivo X X X X
2. completam. di frasi X X X X
3. matching UL/definizione X X X
4. matching collocazioni X X X
5. dare la definizione X X X
6. scrivere una frase X X X X
tab. 1. Tratti pertinenti delle prove del test lessicale

Come si evince dalla tabella 1, le prove che costituiscono il test si propongono di misura-
re aspetti diversi della competenza lessicale, focalizzando l’attenzione di volta in volta su
tratti differenti nel tentativo di restituire una quadro il più completo e sfaccettato possibile
dello stadio della competenza.
Per ciò che concerne il punteggio, il test prevede un totale di 60 item e 80 punti così di-
stribuiti:
• Prova 1, 10 item - 10 punti;
• Prova 2, 10 item - 10 punti;
• Prova 3, 12 item - 12 punti;
• Prova 4, 8 item - 8 punti;
• Prova 5, 10 item - 10 punti (1 pt solo se ci sono esempi e non definizioni);
• Prova 6, 10 item - 20 punti (1 pt se la frase ha poco contesto; sono tolti 0,5 pt se c’è un
errore morfosintattico nella parola target).
Per ogni risposta omessa non viene attribuito alcun punto. Il punteggio minimo per con-
siderare sufficiente l’esito del test è 40 punti. Per la definizione dei criteri di valutazione
delle prove di produzione abbiamo fatto riferimento al Quadro Comune Europeo (2001,
112) e a Read (2004, 176), cui rimandiamo per un approfondimento.

136
Parte III - Capitolo 12

12.4. Il campione
Vediamo dunque come si compone il campione al quale abbiamo somministrato il test
nella sua fase sperimentale. Abbiamo innanzitutto selezionato studenti coinvolti in pro-
grammi di scambio, programmi Erasmus o Marco Polo/Turandot il cui livello non fosse
inferiore al livello B2, livello che rappresenta la soglia minima per iscriversi in molte facoltà
italiane, ma che soprattutto costituisce, secondo il Quadro Comune Europeo, il livello a
partire dal quale è possibile affrontare i linguaggi settoriali e il discorso accademico.
Il campione si compone di 46 informanti che al momento della rilevazione erano inseriti
nei corsi di lingua e cultura italiana del Centro Linguistico dell’Università per Stranieri di
Siena nei seguenti livelli:
• B2, 22 studenti presenti in Italia per un periodo variabile da 2 a 11 anni, ad eccezione di
un informante arrivato da una settimana, iscritti nelle facoltà di Lingue, Lingua e cultura
italiana, Economia e con le seguenti lingue di origine, cinese (10 informanti), giappone-
se (4), coreano (3), francese (1), inglese (1), spagnolo (1), tedesco (1), vietnamita (1);
• C1, 21 studenti presenti in Italia per un periodo massimo di 5 anni, iscritti nelle facoltà
di Lingue, Managament, Italian Studies e con le seguenti lingue di origine, cinese (11),
coreano (1), armeno (1), giapponese (1), greco (1), inglese (1), olandese (1), russo (1),
ucraino (1), vietnamita (1);
• C2, 3 studenti presenti in Italia per un periodo da 1 mese a 7 anni, iscritti nelle facoltà di
sociologia o linguistica, con le seguenti lingue di origine, spagnolo, giapponese, cinese.
Tutti parlano almeno un’altra L2 oltre all’italiano, prevalentemente l’inglese.
Non è stato possibile individuare un campione più ampio per il livello C2 poiché al momen-
to della rilevazione il gruppo di livello C2 era piuttosto ridotto numericamente.
Una volta somministrato il test abbiamo analizzato i dati secondo diverse linee di analisi,
ovvero confrontando i risultati nel loro complesso in base al livello di competenza lingui-
stico-comunicativa, poi facendo un confronto prova per prova tra i vari livelli e infine in
base alla L1 degli informanti. Vedremo nei prossimi paragrafi quali sono stati, dunque, i
risultati in sintesi.

12.5. I risultati per livello di competenza


In primo luogo abbiamo confrontato il risultato globale del test a seconda del livello di
competenza linguistico-comunicativa. Come evidente dalla tabella 2, nel complesso abbia-
mo rilevato una progressione dei punteggi medi al crescere del livello. Tale progressione
concerne i risultati sia delle singole prove che del punteggio totale. Tuttavia, in alcune
prove i punteggi sono stati particolarmente bassi a prescindere dal livello, come ad esem-
pio nella prova 5 che chiedeva di fornire la definizione di una parola. La tabella 2 presenta
rispettivamente, il punteggio medio, il punteggio massimo e il punteggio minimo ottenuto
da un informante per ogni livello, e quanti candidati hanno ottenuto almeno 40 punti sugli
80 totali per livello. I dati mostrano che il punteggio medio aumenta via via al crescere
del livello, con un maggior gap tra livello C1 e C2, ovvero evidenziano chiaramente come

Insegnare il lessico 137


vi sia una differenza maggiore tra il livello C2 e gli altri due livelli, mettendo in luce quindi
come non sia sufficiente un livello B2, ma nemmeno C1, per affrontare e superare un test
di conoscenza del lessico accademico, nonostante il campione sia composto da studenti in
mobilità inseriti in percorsi di studio di ambito accademico.
B2 C1 C2
Punteggio medio 19,52 28,57 51
Punteggio massimo 55,5 48 67
Punteggio minimo 5 11 21
> 40/80 pt 2/22 3/21 2/3
tab. 2. Risultati globali per livello

Il grafico 1 offre un’immagine immediata di come gli apprendenti si collochino nelle varie
fasce di punteggio a seconda del loro livello di competenza. Dal grafico emerge chiara-
mente come gli informanti dei tre livelli si posizionino in fasce di punteggio diverse, basse
per ciò che concerne il livello B2, medio-basse per il livello C1 e molto elevate, salvo un
caso, per il livello C2.

grafico 1. I risultati per livello in fasce di punteggio da 1 a 80 punti

12.6. I risultati per prova


Per ragioni di spazio non ci è possibile in questa sede presentare nel dettaglio i risultati di
ogni prova, per cui ci limiteremo a proporre alcune linee di tendenza che abbiamo riscon-
trato negli esiti delle varie prove.
La prova 1 prevede un cloze test selettivo su un testo di introduzione all’analisi statistica di
dati, che si caratterizza per la presenza di un elevato numero di unità lessicali del LC e che
quindi ben si prestava al nostro obiettivo. Alcuni item del test, ad esempio ‘epistemologico’,

138
Parte III - Capitolo 12

hanno creato delle difficoltà in tutti i livelli di competenza, mentre altri item sono risultati di
più facile individuazione. Tuttavia, è interessante notare come nel livello C1 nessuno abbia
ottenuto il punteggio minimo della prova (5/10), come risulta dalla tabella 3, che presenta
il punteggio medio per livello, il punteggio massimo e punteggio minimo ottenuto da un
informante per ogni livello, e quanti candidati hanno ottenuto almeno 5 punti su 10.
B2 C1 C2
Punteggio medio 3,45 4,43 6
Punteggio massimo 8 7 9
Punteggio minimo 0 1 3
> 5/10 pt 6/22 0/21 2/3
tab. 3. Risultati della prova 1 - Cloze selettivo

La prova 2, il completamento di frasi con scelta multipla, ha evidenziato, così come nella
prima prova, come alcuni item siano difficoltosi per tutti gli informanti, come ad esempio
‘protocollo’, e inoltre ha fornito dei risultati molti simili alla prova 1 nel loro andamento,
con uno scarto maggiore tra i livelli B2 e C1 da un lato e il livello C2 dall’altro lato.
Nella prova 3, il matching tra un’unità lessicale e la sua definizione sul modello del Voca-
bulary Level Test, i risultati hanno messo in luce un progressivo aumento del punteggio al
crescere del livello, anche se lo scarto tra i primi due livelli e il livello C2 non è così marcato
come nelle altre prove.
La prova 4, il matching sulle collocazioni, mira a osservare le scelte sul piano sintagmatico
fatte dagli apprendenti ed è costruita come segue:
campo - di indagine
- di analisi
- di studio
- di ricerca
Il task era di individuare all’interno di un insieme di parole date quale tra esse potesse essere
abbinata alle quattro opzioni di collocazione date, in questo caso la parola da selezionare era
‘campo’. In questa prova i risultati sono generalmente in linea con quelli già descritti per le
altre prove, ma va segnalato che molti apprendenti del livello C1 hanno ottenuto punteggi
sufficienti e nel livello C2 tutti hanno superato la prova. Pare dunque di poter ricavare da tali
esiti che la capacità di riconoscimento delle collocazioni del lessico accademico sia buona, o
quantomeno sufficiente, a partire dal livello C1, per quanto tale risultato vada verificato con
un campione ben più ampio di quello della presente sperimentazione.
Nelle prove di produzione 5 e 6, rispettivamente di scrittura della definizione e di produ-
zione di una frase a partire da un’unità lessicale data, si evidenza nuovamente uno scarto
notevole tra i livelli B2 e C1 rispetto al C2, soprattutto nella prova 5. Dare una definizione è
stata, infatti, un’attività che ha creato non poche difficoltà agli apprendenti, basti pensare
che solo 1 e 6 informanti rispettivamente di B2 e C1 hanno ottenuto il punteggio minimo.
Ci sembra interessante proporre alcuni esempi delle definizioni di alcune unità lessicali
che sono state date nella prova 5, per evidenziare la capacità creativa insita nel processo

Insegnare il lessico 139


di sviluppo della competenza linguistica, ma anche la scarsa consapevolezza degli usi ac-
cademici di molte parole utilizzate anche in contesti generici:
• specialistico, molto speciale; non è normale; è molto speciale; professionalistico;
• sequenza, il risultato di una cosa che è già successa;
• norma, qualcosa è saputo da tutti; una cosa ovviamente, non c’è niente di speciale;
indica una cosa banale; non strano;
• subordinato, contrario di ordinato; fare le cose secondo la voglia di altre persone;
• associare, partecipare alla sociale;
• prospettare, i posti avanti; prevedere il futuro.
Nella prova 6, infine, ci sono stati anche usi non pertinenti per il contesto accademico,
come ad esempio, ‘La struttura della classe è molto bene’. Atri esempi di scrittura che in-
vece mettono in luce i processi sottesi allo sviluppo dell’interlingua sono i seguenti:
• David è una struttura più famosa di Michelangelo;
• Il principio dell’Inghilterra si chiama William;
• Mario parla, “Non derivarla!”;
• Sempre facciamo l’inerente nella scuola.
Tali risultati sottolineano come sia necessario sul piano didattico un intervento mirato per fa-
vorire l’acquisizione di usi specifici in contesto accademico di parole che veicolano altri signi-
ficati in altri contesti e, inoltre, sul piano della valutazione evidenziano come sia necessario
lavorare non solo sulla ricezione, ma anche sulla produzione, proprio per far emergere la ca-
pacità di utilizzo appropriato di una parola in un contesto specifico come quello accademico.

12.7. I risultati per lingua di origine


Se leggiamo i dati suddividendo il campione in base alla L1 in due macrogruppi, di cui uno
con lingue di origine europea, come ad esempio francese o olandese, e uno con lingue di
origine orientale, come ad esempio cinese o vietnamita, si rileva come a parità di livello
gli apprendenti con L1 europee hanno ottenuto punteggi più elevati, ad eccezione della
prova 3 di matching tra un’unità lessicale e la sua definizione, in cui i risultati sono sostan-
zialmente pari. La tabella 4 presenta la media dei risultati di ciascuna prova del livello B2
e C1 in base alla lingua di origine.
Prova 1 Prova 2 Prova 3 Prova 4 Prova 5 Prova 6 totale
B2 - Lingue orientali 3,00 2,72 1,83 4,33 1,00 2,53 15,42
B2 - Lingue europee 5,50 6,00 2,00 7,33 6,25 11,88 38,38

C1 - Lingue orientali 4,13 3,07 2,93 7,07 3,6 6,53 27,33


C1 - Lingue europee 5,17 4,33 3,00 6,83 4,00 8,33 31,67
tab. 4. Risultati per lingua di origine

140
Parte III - Capitolo 12

È evidente come le differenze maggiori tra apprendenti con L1 europee e L1 orientali si


riscontrano nelle attività di produzione scritta, in cui soprattutto al livello B2 i risultati del
macrogruppo con L1 orientali sono sensibilmente più bassi rispetto agli apprendenti con
L1 europee. Non solo nella produzione scritta, ma in generale in tutte le prove del test,
a livello B2 la differenza tra i macrogruppi linguistici è più ampia che nel livello C1, in cui
evidentemente il gap tra i due gruppi va diminuendo.

12.8. Conclusioni
Quali sono dunque le linee di tendenza che possiamo delineare sullo stato di conoscenza
del LC del campione sperimentale cui abbiamo sottoposto il test e quali le conseguenze sul
piano didattico? Innanzitutto da questa prima sperimentazione abbiamo verificato come
le maggiori difficoltà a tutti i livelli si hanno nella produzione scritta, in cui è richiesto di
fare un uso appropriato di unità lessicali del lessico accademico. Tra le attività in cui invece
gli esiti sono stati buoni a tutti i livelli di competenza vi è l’abbinamento tra unità lessicale
e definizione, che dal punto di vista del testing ha però il limite di consentire solo una
valutazione quantitativa e non qualitativa delle conoscenze lessicali. Le maggiori difficol-
tà, inoltre, riguardano gli studenti con L1 orientali, soprattutto nelle prove di produzione
scritta. Infine, rileviamo come fino al livello C1 i risultati del test siano piuttosto negativi,
evidenziando quindi delle carenze sia a livello B2 che C1, nonostante su un piano teorico
siano livelli per i quali già è prevista la capacità di gestire il lessico accademico.
Tali risultati ci portano a suggerire che per gli studenti internazionali in mobilità sia necessario
un lavoro specifico per lo sviluppo del LC in fase ricettiva, ma anche e soprattutto produttiva,
tenendo conto inoltre di tutte le dimensioni della competenza lessicale. La frequenza del LC
nei testi accademici rende, infatti, opportuno uno studio esplicito di questa porzione del les-
sico. D’altro canto, il fatto che le parole del lessico accademico siano trasversali alle varie di-
scipline fa sì che nessun docente disciplinare focalizzi l’attenzione su di esse, per cui rischiano
di rimanere al di fuori dei processi di apprendimento, per lo meno nei momenti di riflessione
esplicita e di reimpiego per lo sviluppo della competenza lessicale. Questo ci induce a sug-
gerire che è necessario per il docente di L2 proporre dei momenti di riflessione e di lavoro
esplicito per facilitare il processo di apprendimento del lessico accademico. Anche il docen-
te senza una specializzazione settoriale può infatti aiutare l’apprendente a sviluppare il LC.
Come sottolineano Townsend et al. (2012, 500), la conoscenza del lessico accademico rap-
presenta solo la punta dell’iceberg della complessiva competenza linguistico-comunica-
tiva riferita al contesto accademico. Essendo la dimensione lessicale in stretto rapporto
anche con altre dimensioni linguistiche all’interno di un testo accademico, la sola cono-
scenza della definizione di una parola del vocabolario accademico non è sufficiente per
garantire la comprensione di un testo di tipo accademico. Per poter davvero comprendere
e utilizzare una parola del vocabolario accademico è, infatti, necessario c‑onoscerne gli
usi in quei particolari contesti che si rifanno alla dimensione formale dell’apprendimento,
e inoltre è opportuno conoscere gli usi in una specifica disciplina, poiché il significato di
un’unità lessicale del vocabolario accademico può assumere delle sfumature differenti a
seconda del settore disciplinare (Hyland, Tse 2007).

Insegnare il lessico 141


Per tali ragioni si aprono numerose prospettive per il presente lavoro di ricerca. Se, come
sostengono Hyland e Tse, le unità lessicali del vocabolario accademico hanno usi, frequen-
ze, collocazioni e significati diversi nelle varie discipline si renderebbe necessaria l’elabo-
razione di liste di vocabolario accademico settoriali. Tuttavia, riteniamo sia possibile anche
pensare a un ‘vocabolario accademico di base’, che raccolga il nucleo centrale di parole di
ambito accademico e di uso scritto e orale, comuni a diverse discipline, selezionandole in
base a frequenza e dispersione. Una seconda prospettiva è quella di verificare la presenza
del LC nei materiali didattici destinati a studenti in mobilità, che costituiscono un input di
apprendimento fondamentale. Infine, la sperimentazione del test di valutazione di cono-
scenza del vocabolario accademico può essere estesa a un campione più ampio di appren-
denti non-nativi, ma anche ai nativi, per verificare lo stadio della competenza lessicale
accademica di studenti inseriti in percorsi formali di apprendimento.

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Insegnare il lessico 143


13. Gli idioms: un aspetto centrale
della competenza lessicale
Mario Cardona
Università degli Studi di Bari
Tratto da Italiano a stranieri, 2015, n. 19

Pollio et al. (1977) attraverso la trascrizione e l’analisi di diversi generi e tipologie di


interazioni orali hanno dimostrato che in un minuto di conversazione si producono me-
diamente quattro-cinque espressioni figurate. In un’altra ricerca Graesser et al. (1989),
hanno analizzato le conversazioni di una serie di dibattiti televisivi e hanno rilevato la
presenza di una metafora ogni venticinque parole. Nel 1995 Jakendorf analizzando il
corpus linguistico di uno show televisivo stimava che vi fossero «as many fixed expres-
sions as there as there are words in american english, roughly 80.000. This means that
people have at least 160.000 item memorized and available for use». (cfr Glucksberg
2001, p. 68)
Tali dati sembrano dunque confermare che la nostra abilità nel comprendere e produrre
lingua si basa grandemente nella nostra competenza sull’uso e la comprensione del lin-
guaggio figurato. Ovviamente, nelle interazioni tra parlanti della stessa comunità linguisti-
ca il ricorso frequente a metafore o idioms non costituisce un problema e nemmeno ci si
rende conto di esprimere concetti facendo ricorso a costrutti figurati, in quanto i soggetti
coinvolti nell’interazione condividono non solo gli elementi morfosintattici della lingua,
ma anche gli aspetti culturali pragmatici e sociolinguistici su cui si fonda gran parte della
competenza lessicale. Diversamente, quando ci si trova ad interagire in lingue altre dalla
propria lingua madre l’abilità di comprendere e produrre enunciati di carattere figurato
rappresenta una sfida difficile a causa della natura complessa che sta alla base del lin-
guaggio figurato. Va osservato, inoltre, che molti studi nel campo della linguistica cogniti-
va concordano nel considerare il linguaggio figurato non una risorsa retorica del linguag-
gio, un insieme di varianti stilistiche alle quali si ricorre per descrivere concetti altrimenti
esprimibili in modo letterale, ma piuttosto l’esito linguistico di una vera e propria attività
concettualizzante della mente. In altri termini, non usiamo una metafora in sostituzione
di un significato letterale magari per renderlo più incisivo o apprezzabile poeticamente,
ma ricorriamo all’attività metaforizzante della mente per descrivere concetti astratti che
altrimenti non sapremmo rappresentare e tradurre linguisticamente (Lakoff 1987, Lakoff,
Johnson 1980, 1999).
In questo contributo si prenderà in considerazione il concetto di idiom, cercando di de-
scriverne sinteticamente la natura e le caratteristiche essenziali sotto il profilo linguistico
e psicolinguistico, ricavandone alcune osservazioni di carattere glottodidattico. Le espres-
sioni idiomatiche sono, peraltro, un aspetto importante della competenza lessicale, con-
siderando la loro pervasività all’interno delle interazioni quotidiane e la loro presenza in
ogni genere e tipologia testuale. Da un punto di vista pedagogico, data la loro natura com-
plessa e a volte sfuggente, non è semplice stabilire le attività e i percorsi didattici in grado
di sviluppare rapidamente la competenza linguistica e metalinguistica necessaria alla cre-
144
Parte III - Capitolo 13

scita consapevole di una adeguata competenza relativa alla comprensione e all’uso delle
espressioni idiomatiche.
Idioms are one of the most difficult aspects il L2 acquisition due to the fact that they are conven-
tionalized expression peculiar to language community and they are usually frozen in form and
often unpredictable in meaning – that is, their meaning cannot always be derived from the literal
meanings of the components involved (Liu 2008, pp. XIII).

13.1. Una definizione di idiom


Come abbiamo osservato in apertura di questo contributo molte ricerche confermano la
massiccia presenza di espressioni idiomatiche nelle consuete interazioni della vita quoti-
diana. Tuttavia, tali dati vanno confermati sulla base del concetto stesso di idiom e su cosa
si intenda per esso. Diverse scuole di pensiero infatti presentano una visione più o meno
restrittiva del concetto di idiom.
Passando in rassegna la letteratura1, sia in campo linguistico che psicolinguistico, è al-
quanto diffusa una definizione piuttosto generale e omnicomprensiva, in base alla quale
gli idioms sono espressioni il cui significato non dipende dalla somma dei significati dei
loro componenti. Dunque il significato di tali enunciati non è riconducibile ad una analisi
sintattica o semantica, ma piuttosto ad un significato condiviso all’interno di una deter-
minata comunità linguistica che si è andato cristallizzando nel tempo e nell’uso. Come
osserva Cacciari (1989) si tratta di espressioni che violano il principio di composizionalità
del significato. Un’espressione idiomatica si connota dunque come un’unità lessicale e
come tale viene riconosciuta, recuperata e memorizzata nel lessico mentale di un indi-
viduo. Tuttavia, diverse scuole di pensiero hanno prodotto diversi modelli interpretativi.
Alcuni di essi includono, in una definizione molto ampia di idioms, praticamente tutte le
espressioni fisse e cristallizzate di una lingua. In quest’ottica locuzioni, clichés, prover-
bi, unità polisemiche, espressioni formulaiche, metafore morte e collocazioni possono
essere ricondotti al concetto di idiom. Qualsiasi enunciato il cui significato non è ricon-
ducibile alla sua struttura è dunque considerato un’espressione idiomatica. In un’ottica
interlinguistica, se si assumesse una visione estremamente allargata di idiom si potrebbe
dire che ha valore idiomatico ciò che non è esattamente traducibile in un’altra lingua.
In altri modelli, caratterizzati da una visione più restrittiva, si intende per idiom solo un
tipo di espressione fissa semanticamente opaca (cfr Liu 2008, p. 4). Per Weinrich (1969),
da un punto di vista generativo-trasformazionale, non tutte le locuzioni in quanto unità
fraseologiche possono essere definite idioms. Egli infatti attribuisce tale definizione a
quelle espressioni che risultano ambigue in quanto presentano sia un significato lette-
rale che idiomatico. In questo caso dunque l’analisi verte sulla complessa distinzione tra
una forma idiomatica e una collocazione. Weinrich si riferisce infatti alla distinzione tra
“Idiomaticity of expression” e “stability of collocation”. È evidente che in entrambi i casi
(espressione idiomatica e collocazione) siamo di fronte ad espressioni che contengono
al loro interno delle co-occorrenze. Tuttavia. L’elemento che le differenzia risiede nel
1 Per una descrizione delle varie definizioni di idiom si veda, tra gli altri, Fernando 1996; Liu, 2008; Moon 1998; Tabossi e
Zardon 1993; Cacciari C., Tabossi P., 1993.

Insegnare il lessico 145


rapporto di opacità che si instaura tra i componenti dell’unità fraseologica. Per Weinrich
dunque una espressione idiomatica è
A phraseological unit involving at least two polysemous constituents, and in which there is a recipro-
cal contextual selection of subsenses will be called an idiom (1969, p. 42, cfr. Fernando 1996, pp. 7-8).

Nell’economia di questo contributo non è possibile analizzare i diversi approcci che la let-
teratura sull’argomento ha prodotto (cfr ad esempio Hockett 1958; Malkiel 1959; Katz e
Postal 1963; Chafe 1968; Weinrich 1969; Fraser 1970; Makkai 1972; Stressler 1982), ma
risulta evidente che nel corso del tempo sono stati proposti diversi modelli di classifica-
zione degli idioms. È possibile, tuttavia, fornire una definizione che me riassume i tratti
fondamentali e che risulta peraltro funzionale ai nostri fini glottodidattica. Per espressione
idiomatica si intende una locuzione polilessicale il cui significato non deriva dalla somma
dei significati dei suoi componenti e la cui struttura possiede un certo grado di flessibilità
o cristallizzazione.

13.1.2. Cristallizzazione e flessibilità


Le espressioni idiomatiche in quanto unità lessicali, possiedono un certo grado di flessi-
bilità lessicale e sintattica, esse infatti a volte consentono l’inserimento al loro interno di
un ulteriore elemento che può essere, ad esempio, un avverbio o un aggettivo. È possibile
dire Francesca ha fatto veramente il passo più lungo della gamba, dove l’avverbio non
interferisce con il significato idiomatico dell’espressione; mentre nell’espressione tirare
la pesante carretta l’aggettivo pesante cambia il significato della frase alterando il valore
idiomatico (Cfr. Cacciari 1989). Esistono dunque espressioni idiomatiche assolutamente
congelate, che non accettano alcun tipo di modificazione sintattica, ed altre più elasti-
che che in diverso grado consentono variazioni. Fraser (1970) sulla base della flessibilità
sintattica ha suddiviso gli idioms in sei categorie, dal grado zero rappresentato dalle fra-
si completamente cristallizzate (complitely frozen) e dunque immodificabili, al livello più
alto in cui vi è la massima flessibilità.

13.1.3. Opacità e trasparenza


Le espressioni idiomatiche si caratterizzano, inoltre, per un diverso grado di opacità se-
mantica. Esistono espressioni parzialmente opache come i binomi irreversibili (detto fatto,
sotto sopra, ecc.) o le locuzioni complesse (suo malgrado) fino a espressioni totalmente
opache (essere in rosso, andare in bianco, essere al verde). In base ai gradi di opacità o
trasparenza e di cristallizzazione o flessibilità, è possibile stabilire un continuum in cui si
dispongono le espressioni idiomatiche di una lingua. Tuttavia, è interessante notare che le
espressioni con il maggior grado di opacità sono anche le meno modificabili.
Secondo Cutler !982) Il grado di cristallizzazione di un idiom sarebbe inoltre in funzione
del tempo di conservazione di tale espressione nella lingua. Quando una nuova espres-
sione entra a far parte di una lingua possiede una certa flessibilità sintattica, che tende a
scomparire con il tempo rendendo l’espressione idiomatica sempre più cristallizzata.

146
Parte III - Capitolo 13

13.2. Osservazioni glottodidattiche


Sulla base della sintetica analsi esposta nel paragrafo precedente, vediamo ora di descri-
vere alcune caratteristiche degli idioms da un punto di vista glottodidattico. Nel patrimo-
nio lessicale di una lingua straniera, come abbiamo osservato, le espressioni idiomatiche
sono moltissime. In sede glottodidattica è dunque necessaria una riflessione al fine di
individuare un corpus di espressioni che per la loro natura linguistica e per il loro uso
socio-pragmatico si ritiene debbano essere apprese dagli allievi. Alcune caratteristiche in-
terne o di uso possono rappresentare utili indicatori per inserire o meno una determinata
espressione idiomatica in un percorso didattico.

13.2.1. Frequenza d’uso


Un primo criterio per tale scelta si riferisce alla frequenza d’uso. In questo caso, tuttavia,
è bene tener presente una distinzione tra frequenza d’uso e bisogni degli allievi. Se si
parla di frequenza d’uso in generale ci si riferisce, ovviamente, ad un corpus molto vasto.
Se sono stati elaborati nella lingua target l’insegnante potrebbe consultare dei corpora,
oppure, sulla base della propria esperienza, ricavare le espressioni idiomatiche dai testi
adottati in classe utilizzando magari tecniche di espansione lessicale. Il problema è che
spesso una espressione idiomatica può essere di altissima frequenza e magari essere
costituita da un lessico di scarsa frequenza. I lemma sacco non è molto frequente, ma
l’espressione un sacco di… invece lo è. Dunque più che basarsi sui possibili plurimi significati
e usi di una parola incontrata in un testo è importante stabilire un lessico di frequenza
idiomatico autonomo. Si deve dunque valutare quali sono i bisogni degli allievi. Se si
tratta di apprendenti che seguono un corso normale, la lista delle espressioni idiomatiche
si baserà su una frequenza d’uso che avrà come parametro una ampia gamma di testi
orali e scritti adeguati al livello raggiunto. In caso invece di corsi di microlingua scientifico-
professionale o per immigrati bisognerà disporre di una lista di espressioni idiomatiche
che siano utili nello specifico ambito di riferimento. Non sempre infatti le espressioni più
utili possono risultare anche le più diffuse.

13.2.2. Appropriatezza
Si tratta di selezionare la lista di idioms sulla base del contesto e degli interlocutori. Mol-
te espressioni idiomatiche possono appartenere ad un linguaggio colloquiale, volgare
o slang. È dunque importante che gli allievi conoscano in quale contesto comunicativo
sia possibile utilizzare una determinata espressione. Essa infatti può appartenere ad un
uso colloquiale, informale, familiare, popolare ecc., e dunque potrebbe essere corretta
dal punto di vista della coerenza e della coesione testuale, ma non esserlo dal punto di
vista del contesto in cui avviene lo scambio comunicativo e dello status dei parlanti che
vi partecipano.
La riflessione sulla appropriatezza richiede dunque attenzione agli aspetti socio-prag-
matici relativi all’uso delle espressioni idiomatiche. L’utilizzo di determinati idioms deve
prevedere la consapevolezza metalinguistica relativa alla varietà della lingua utilizzata da

Insegnare il lessico 147


determinati gruppi sociali (diastratica), dal mezzo di comunicazione orale o scritto (dia-
mesica), agli elementi diafasici legati alla situazione comunicativa e diatopici (ad esempio
in Italiano vi possono essere forme idiomatiche tipiche di determinate aree geografiche
del Paese poco utilizzate o del tutto sconosciute in altre).

13.2.3. Difficoltà
La facilità di apprendimento delle espressioni idiomatiche è spesso in funzione della com-
plessità che tali espressioni presentano al loro interno da un punto di vista linguistico. I
gradi di difficoltà riguardano prevalentemente il livello di trasparenza, di densità lessicale
e, sotto il profilo interlinguistico, di similarità o corrispondenza. Il grado di trasparenza è
strettamente legato al grado di opacità semantica. Fare il passo più lungo della gamba è
semplice da interpretare e da comprendere grazie ad un grado di composizionalità che lo
rende molto più trasparente di essere in gamba. Quest’ultima espressione, infatti, viola
completamente il principio di composizionalità e non si presta a nessuna interpretazione
possibile se non se ne conosce a priori il significato idiomatico.
In alcuni casi, tuttavia, anche in presenza di un corretto livello di composizionalità l’inter-
pretazione di un idiom può risultare pressoché impossibile. Ad esempio andare a sentir
cantare i grilli nel significato di morire è una espressione corretta da un punto di vista sin-
tattico, ma se non se ne conosce il significato che la comunità linguistica vi attribuisce è di
difficile interpretazione malgrado l’alto grado di trasparenza.
La densità lessicale riguarda invece la complessità dei lemmi che compongono l’espres-
sione idiomatica. L’espressione Menare il can per l’aia presenta, ad esempio, il verbo me-
nare e il termine aia che sono molto poco frequenti nell’italiano standard. La similarità
o corrispondenza riguarda la possibilità che una determinata espressione possieda una
traduzione simile o corrispondente nella lingua madre degli allievi.
Rompere il ghiaccio, romper el hielo, break the ice oppure avoir la tête dans le nuages e
avere la testa tra le nuvole. sono perfettamente corrispondenti (Cardona 2004). Nel caso
della corrispondenza letterale l’espressione idiomatica potrà essere appresa molto facil-
mente. A volte vi può essere una corrispondenza parziale to leg it, darsela a gambe. In
alcuni casi però la corrispondenza si può trasformare in un falso amico, come nel caso di
tenir la jambe à quelqu’un (attaccare un bottone) che non corrisponde infatti a to pull sb’s
leg (prenere in giro).
In alcuni casi è possibile che l’espressione idiomatica possieda sia un significato idioma-
tico che metaforico. Ad esempio prendere la porta o rompere il ghiaccio possono essere
usate in italiano nella loro accezione letterale. È possibile che tale caratteristica sia di aiuto
per l’apprendimento di entrambi i significati. Infine, un tipo particolare di forme idiomati-
che proviene da citazioni o accadimenti storici (es., una vittoria di Pirro, piantare in asso,
portare il soccorso di Pisa, ecc.,). In questo caso non solo non esiste alcun livello di cor-
rispondenza intralinguistica, ma il significato è totalmente opaco perché non vi è alcuna
possibilità di rappresentazione concettuale della forma idiomatica. Nella selezione degli
idioms da insegnare sarebbe dunque opportuno che il docente tenesse in considerazione
una serie di elementi che possono essere sintetizzati nella seguente tabella:

148
Parte III - Capitolo 13

Bisogni Frequenza Frequenza Densità Appropriatezza Transfert Definizione


degli espressione lessico lessicale formale, lingua parafrasi
allievi registro madre
Espressione
Espressione
Griglia di osservazione delle espressioni idiomatiche. Fonte, adattato da Cardona 2004

13.3. Conclusioni
Lo sviluppo della competenza lessicale è certamente una delle sfide più importanti nel
percorso di apprendimento di una lingua straniera. Riconoscere, comprendere e usare in
modo corretto il lessico della lingua target è una condizione fondamentale per raggiungere
un buon livello di fluency e di sviluppo delle abilità ricettive e produttive. Conoscere le
parole di una lingua straniera non è un cammino semplice. Come osserva Nation (1990)
ciò implica conoscere la forma, la posizione, la funzione e il significato di un determinato
item lessicale. In altri termini gli aspetti morfosintattici (forma e posizione) si devono
integrare con gli aspetti socio-pragmatici e di uso (funzione e significato). Solo in questo
modo si può accedere attraverso la lingua alla comprensione della cultura che quella lingua
rappresenta. Tuttavia lo sviluppo della competenza lessicale non potrebbe essere completa
se non tenesse in conto il linguaggio figurato, le metafore e gli idioms che caratterizzano gli
aspetti pragmatici sociolinguistici e di uso che si producono all’interno di una determinata
comunità linguistica. Il linguaggio figurato rappresenta dunque una chiave importante per
accedere ad una dimensione culturale imprescindibile allo studio di una lingua. Inoltre, in
accordo con i principi del Lexical Approach proposto da Lewis (1990; 1997) molta parte
della lingua è costituita da prefabricated chunks, da blocchi di parole che costituiscono
delle unità lessicali singole e che come tali vanno apprese. Sinclair (1987) osserva come la
lingua sia governata da due principi il «open choice principle» e il «idiom choice principle».
Nel primo caso gli enunciati si costruiscono all’interno dei limiti imposti dalla sintassi
che regola quella determinata lingua. Il secondo principio invece indica come l’individuo
costruisce l’enunciato non solo sulla base dei vincoli sintattici, ma soprattutto attraverso
la combinazione di semi-precostructed phrases (cfr Liu 2008), che vengono assunte come
singole unità lessicali. Lo sviluppo della competenza lessicale si basa sull’interazione di
entrambi i principi. Rinunciare nei percorsi didattici a sviluppare la consapevolezza sugli
aspetti idiomatici e figurati del linguaggio significa rinunciare ad uno dei principi su cui si
fonda la possibilità di apprendere e produrre lingua.

Riferimenti bibliografici
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letterale e significato figurato”, in Giornale Italiano di Psicologia, n. 3, pp. 413-437.
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Hillsdale, N.J., Erlbaum.

Insegnare il lessico 149


Cardona M., 2004, Apprendere il lessico di una lingua straniera. Aspetti linguistici, psicolingui-
stici e glottodidattici, Bari, Adriatica.
Chafe W.L., 1968, “Idiomaticity as an Anomaly in the Chomskian Paradigm”, in Foundation of
Language, n. 4, pp. 109-127.
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stance of structure, of language, pp. 23-81, Berkley, University of California Press.

150
Parte III - Capitolo 14

14. Insegnare il lessico: l’opinione dei docenti


e le indicazioni dei sillabi
Matteo La Grassa
Università per Stranieri di Siena
Tratto da Italiano a stranieri, 2016, n. 21

14.1. Introduzione
In questo contributo si intendono presentare alcune riflessioni relative alla didattica del
lessico in contesti di apprendimento guidati di Italiano L2. In particolare, si farà riferimento
al pubblico di immigrati adulti che è stato il target di un più ampio lavoro di ricerca1 sulle
modalità di insegnamento del lessico messe in atto dai docenti (La Grassa, in stampa; La
Grassa, Troncarelli, Villarini 2016) sulla base di un corpus di lezioni che supera il totale di
27 ore, nonché delle attività lessicali presenti nei manuali maggiormente utilizzati con
loro2 (Villarini 2011, 2013); la ricerca non è stata priva di ricadute applicative e ha consen-
tito anche di elaborare proposte per l’elaborazione di un sillabo lessicale a loro rivolto (La
Grassa 2014).
Le riflessioni di questo articolo sono invece di natura meno quantitativa rispetto a quelle
presenti nei contributi appena citati e, in linea anche con i principi della cosiddetta folk
linguistic (Santipolo 2012) che considera gli insegnanti non solo come attori decisionali
di primo piano nei processi di apprendimento/insegnamento, ma anche come testimoni
«specializzati» dei fatti linguistici, si basano sulla percezione dei docenti che operano con
immigrati adulti e che è stata rilevata mediante la somministrazione di un questionario.
Oltre all’opinione dei docenti è stata sono state prese in considerazione le scelte teoriche
e metodologiche adottate da quanti hanno elaborato sillabi di italiano L2, sempre relati-
vamente ai criteri che contribuiscono a definire la competenza lessicale. Ne emerge un
quadro in cui, come in parte ci si attendeva, lo sviluppo della competenza lessicale assume
una posizione di primo piano; contestualmente le numerose sfaccettature che definiscono
il lessico e il ruolo rilevante assunto dai fattori contestuali nella sua selezione e presenta-
zione all’interno di corsi di lingua, specialmente rivolti a immigrati adulti, rendono le scelte
dei docenti di non facile realizzazione; i materiali didattici, sebbene rappresentino un aiuto
da cui non si può prescindere, mostrano tuttavia alcuni limiti e non possono risolvere tutte
le questioni inerenti alla didattica del lessico.

1 Si tratta del progetto PRIN “La competenza lessicale nell’interazione docente/apprendenti in contesti guidati di appren-
dimento dell’italiano L2”. Chi scrive ha collaborato ai lavori dell’unità di ricerca dell’Università per Stranieri di Siena coor-
dinata da Andrea Villarini.
2 La raccolta e l’analisi dei manuali ha generato L.A.I.C.O (Lessico per Apprendere l’Italiano. Corpus di Occorrenze) che con
oltre 300.000 occorrenze è oggi il corpus più ampio formato da manuali per la didattica dell’italiano L2.

Insegnare il lessico 151


14.2. Conoscere le parole, principali aspetti da considerare
Prima di passare alla presentazione delle indicazioni emerse dall’indagine, è utile fare una
premessa sui criteri definitori del lessico, fondamentali anche per tracciare i contorni della
competenza lessicale. Ciò contribuirà, inoltre, a chiarire il livello di efficacia sia delle tecni-
che inserite nei materiali didattici che delle modalità di insegnamento adottate dai docenti
per lo sviluppo della competenza lessicale, aspetti, questi, trattati entrambi nel presente
contributo. Sebbene ci si muova all’interno di un ambito che presenta contorni poco netti,
si proverà comunque a dare una definizione di lessico e competenza lessicale facendo
riferimento ad alcuni termini chiave.
- “Lessico ricettivo e produttivo”. Una prima distinzione va fatta tra lessico ricettivo e pro-
duttivo è un dato condiviso dai ricercatori che ciascun parlante è in grado di comprende-
re una quantità di lessico maggiore rispetto a quella che è in grado di riutilizzare adegua-
tamente in forma orale o scritta; inoltre, anche la capacità di ritenzione sarebbe inferiore
per il lessico produttivo3. Sebbene esistano certamente zone di sovrapposizione tra le
due macro aree lessicali ed è chiaro che i due sistemi siano in relazione tra loro, anche se
in maniera non strettamente proporzionale, la distinzione tra lessico produttivo e ricetti-
vo va comunque tenuta presente da quanti si occupano di insegnamento linguistico, per
le ricadute in contesto didattico attività diverse, infatti, sviluppano competenze lessicali
diverse ed è stata recentemente messa in dubbio l’opinione largamente diffusa tra molti
docenti secondo la quale apprendere le parole anche in maniera produttiva si tradurreb-
be sempre in un vantaggio anche per il lessico ricettivo (Mondria, Wiersma 2004).
- “Ampiezza e profondità del lessico”. Il concetto di ampiezza è prettamente quantitativo
e fa riferimento al numero di parole che un parlante conosce. In ambito didattico, ciò
implica innanzi tutto una selezione ragionata del lessico in modo da facilitarne l’acqui-
sizione da parte degli apprendenti. La scelta va fatta non solo in base alla frequenza
nell’input – imprescindibile, in questo caso, rimane il riferimento al Vocabolario di Base
(da ora in poi VdB) 4 –, ma anche in base a caratteristiche come la rilevanza pragmatica
delle parole in rapporto ai contesti d’uso in cui agisce il parlante; la loro difficoltà di
pronunciabilità; il grado di polisemia e il livello di trasparenza del significato; la similarità
sonora con la L1; la lunghezza; la regolarità morfologica (Bettoni 2001; Ambroso 2004).
L’ampiezza, pertanto, non è l’unico obiettivo che si deve perseguire e che deve deter-
minare la selezione del lessico su cui focalizzarsi in contesto guidato; all’ampiezza deve
affiancarsi il criterio di profondità della competenza lessicale. Prendere in esame questo
parametro significa, di fatto, cercare di definire con più esattezza il significato dell’espres-
sione “conoscere una parola”. Il tentativo di chiarire questo concetto da parte di chi non si
occupa di linguistica o didattica delle lingue si incentrerà quasi esclusivamente sul piano

3 Per una presentazione delle principali ricerche che vanno in questa direzione si rimanda a Mondra, Wiersma (2004).
4 Il peso del VdB nei testi non accademici orali e scritti è fortemente preponderante: si parla di una percentuale superiore
al 90% (Ferreri 2005). È ovvio, quindi, che il VdB debba rappresentare il nucleo forte del lessico da presentare, anche agli
apprendenti immigrati adulti. L’indicazione ci sembra confermata anche da uno studio di area anglosassone che, sebbene
affermi che l’uso del vocabolario di base sembra essere mediamente inferiore rispetto a quello che la letteratura riporta,
rileva che questo viene usato nell’interazione orale in contesti professionali, di grande interesse per gli apprendenti qui
presi in esame, più che in altri contesti di comunicazione (Adolphs, Schimdt 2004).

152
Parte III - Capitolo 14

semantico: conoscere una parola, per molti, vuol dire sapere il principale significato che
essa assume nei più comuni contesti in cui viene utilizzata. La definizione, tuttavia, risulta
incompleta perché non prende in considerazione numerosi altri aspetti5. Facendo riferi-
mento a un modello molto potente per la descrizione della competenza lessicale (Nation
2001), si può affermare che conoscere adeguatamente una parola significa prendere in
considerazione aspetti legati alla sua “forma”, al suo “significato”, al suo “uso.” L’asse ver-
ticale della conoscenza di una parola (la profondità) si riferisce pertanto al fatto di saperla
scrivere e pronunciare correttamente; conoscerne le caratteristiche grammaticali e i com-
portamenti di natura morfologica e sintattica che esse implicano; saperla comprendere e
saperla riutilizzare adeguatamente in vari contesti (uso ricettivo e produttivo) conoscendo
le principali relazioni che essa intrattiene con altre parole (sinonimia, antonimia, ipero-
nimia ecc.) e tenendo presente anche le sue caratteristiche collocazionali ovvero, sem-
plificando, le parole con cui frequentemente si accompagna6. Nella elaborazione di una
proposta per lo sviluppo della competenza lessicale, elaborata dal docente o presente
nei materiali didattici, “ampiezza” e “profondità” dovrebbero trovare un bilanciamento
armonico tenendo conto delle caratteristiche e dei bisogni degli apprendenti e cercando
di evitare di considerare eccessivamente o esclusivamente l’uno o l’altro criterio.

14.2.1. Conoscere le parole, l’opinione dei docenti


Di fronte a tali questioni preliminari che dovrebbero in qualche modo segnare il percorso
da seguire riguardo alla presentazione del lessico in contesto guidato, qual è l’atteggia-
mento dei docenti? Per averne un’idea si riportano le risposte a una domanda di un que-
stionario finalizzato a indagare le modalità adottate per favorire lo sviluppo della compe-
tenza lessicale e proposto a 28 docenti che insegnano in classi di apprendenti immigrati
adulti di livello elementare presso Centri Territoriali Permanenti (CTP) o associazioni di
volontariato in varie città della Toscana.
Il primo dato rilevante fa riferimento alla notevole importanza attribuita al lessico all’in-
terno della didattica in aula, è emerso che 17 docenti spendono su attività lessicali oltre
il 25% della lezione; i restanti 11 vi dedicano dal 15 al 25% del tempo; nessuno indica una
delle altre due opzioni (dal 5 al 15% del tempo; meno del 5% del tempo) 7.
Una domanda del questionario chiedeva ai docenti quanto fossero reputati importanti al-

5 La complessità degli aspetti coinvolti nella definizione di “parola” rende estremamente difficile la realizzazione di prove
che riescano a verificare adeguatamente il livello di competenza lessicale. I classici test di autovalutazione mostrano
evidenti limiti: chiedere a un apprendente se conosce o non conosce determinate parole non può essere ritenuta una
prova soddisfacente né sul piano quantitativo (considerato che il patrimonio lessicale di un parlante adulto è quantificato
nell’ordine delle migliaia o decine di migliaia di parole, non sembra rappresentativo un test che prenda in considerazione
qualche decina di parole al massimo), né sul piano qualitativo (per indagare adeguatamente la profondità della compe-
tenza, i test risultano come minimo poco economici). Per una approfondita riflessione sul testing lessicale si rimanda a
Read (2000); una proposta innovativa rispetto ai test classici viene avanzata da Meara (2009).
6 Per un approfondimento sulle caratteristiche collocazionali delle parole rimandiamo, tra gli altri, a Jezek (2005) e Lo
Cascio (2007). Per alcune considerazioni con riferimento alla didattica dell’italiano L2 si rimanda a Cardona (2004) e La
Grassa (2011).
7 In fasi successive dell’indagine questo dato sull’importanza che i docenti attribuiscono allo sviluppo delle competenze
lessicali è stato confermato anche dal numero di parole sulle quali essi si focalizzano durante ogni lezione. Il numero è
significativo perché, facendo una media, in ogni lezione verrebbero presentate in maniera esplicita oltre 46 parole per un
totale di circa 828 parole oggetto di attenzione nell’intero corpus di registrazioni.

Insegnare il lessico 153


cuni aspetti nel processo di apprendimento di una parola. Prendendo spunto dal già citato
modello di Nation, le opzioni proposte, che si è chiesto di mettere in ordine di importanza
in una scala da 1 a 6, erano le seguenti: conoscerne i diversi significati; saperla scrivere cor-
rettamente; saperla pronunciare correttamente; conoscerne la categoria grammaticale;
saperla usare nei contesti corretti; conoscere le parole che più frequentemente si trovano
vicino a essa.
Nel grafico seguente si presentano i dati rilevati per la prima e per l’ultima scelta, ovvero
quante volte ciascuna opzione è stata considerata la più importante (prima scelta) e quan-
te volte la meno importante (ultima scelta).

Grafico 1. Aspetti coinvolti nell’apprendimento di una parola, prima e ultima scelta.

L’aspetto considerato di gran lunga più importante è la capacità di saper usare la parola
in contesto, indicata da 18 insegnanti come prima scelta e solo da 3 come ultima, emerge
chiaramente, pertanto, che i docenti considerano la lingua come strumento di comunica-
zione e dichiarano di attribuire agli aspetti pragmatici una grande importanza8. A conside-
razioni simili porta la lettura del dato relativo all’importanza attribuita a sapere pronun-
ciare correttamente le parole da mettere in relazione con l’importanza di sapere scrivere
correttamente che ha valori positivi meno accentuati, sebbene, quindi, in entrambi i casi
questi aspetti vengono considerati importanti (soltanto una indicazione come ultima scel-
ta per entrambe le opzioni), è chiara la prevalenza attribuita all’oralità rispetto alla scrittu-
ra nella comunicazione quotidiana (8 indicazioni per la pronuncia contro 3 indicazioni per
la scrittura come prima scelta). Oltre al ruolo più rilevante dell’oralità dal punto di vista

8 Ci si aspetterebbe, quindi, una notevole attenzione al riutilizzo in contesti significativi delle parole introdotte. Tuttavia,
analizzando le lezioni dei docenti è emerso che spesso le pratiche didattiche adottate sono poco coerenti con questa
percezione.

154
Parte III - Capitolo 14

comunicativo, si tenga presente che molti immigrati che frequentano i corsi di italiano L2
possono avere un sistema di scrittura diverso da quello latino e, di conseguenza, l’abilità
di poter scrivere correttamente le parole potrà richiedere un tempo più lungo rispetto a
quello necessario ad altri gruppi di apprendenti. Si consideri, infine, che il pubblico di im-
migrati adulti che frequenta corsi di italiano nelle sedi presso cui è stata svolta l’indagine
(CTP e associazioni no profit) può avere un profilo socioculturale estremamente eteroge-
neo, è possibile infatti trovare nella stessa classe studenti che hanno una Laurea o addi-
rittura un titolo superiore, insieme ad altri non alfabetizzati in lingua madre. È evidente
che in questi contesti il peso dell’oralità, anche nel processo di apprendimento del lessico,
deve essere, almeno all’inizio, più rilevante del ruolo della scrittura.
Il ruolo svolto dagli aspetti collocazionali nel processo di apprendimento di una parola
si attesta, più di altre opzioni, su livelli medi (2 indicazioni come prima scelta e 1 come
ultima).
Per due opzioni, invece, si rileva un atteggiamento opposto rispetto all’opinione espressa
sulle altre, si tratta di conoscere i vari significati della parola (6 indicazioni come ultima
scelta e 2 come prima) e conoscere la categoria grammaticale (7 indicazioni come ultima
scelta e 1 come prima). Se ne può ragionevolmente dedurre che non viene attribuita par-
ticolare importanza né ad alcune proprietà di tipo semantico, probabilmente percepite
come non strettamente necessarie nella comunicazione di base (le varie accezioni, gli usi
connotativi, ecc.), né alla riflessione esplicita sui tratti morfologici e sui comportamenti
sintattici che caratterizzano le parole. Tenuto conto anche del pubblico di riferimento, è
comprensibile l’importanza solo relativa attribuita a questi aspetti; importanza che, tutta-
via, dovrebbe aumentare man mano che cresce il livello di competenza generale (Diadori,
Palermo, Troncarelli 2015).
Un’ultima indicazione che si ritiene significativa riguarda il ruolo dei manuali didattici. No-
nostante la varietà di attività presente nei manuali (Villarini 2011), accade spesso che più
che seguire pedissequamente il percorso da essi suggerito, i docenti considerino il mate-
riale didattico solo come input a partire dal quale ampliare e sviluppare la competenza
lessicale. Per capire i motivi di questa scelta possono essere utili alcune risposte fornite a
questo proposito al questionario che è stato somministrato agli insegnanti. In generale, ai
fini dello sviluppo della competenza lessicale, i materiali didattici vengono giudicati abba-
stanza utili da oltre la metà dei rispondenti (15 su 28), mentre 10 insegnanti li giudicano
molto utili. Analizzando le motivazioni che sono state fornite per questa risposta, emerge
però una opinione più eterogenea, prevalentemente una visione del libro di testo o come
punto di partenza per un successivo lavoro sul lessico (è un punto di partenza da integrare
con altro materiale; le dispense (o fotocopie, o “materiale grigio”) sono un buon punto
di partenza, il fatto di partire da un testo scritto costituisce uno spunto interessante, da
ampliare successivamente a voce; perché in genere costituiscono l’input iniziale ecc.) o
come uno strumento utile per il rinforzo e il fissaggio (per la loro consultazione e riutilizzo;
perché avere un libro di riferimento o fotocopie aiuta gli studenti a ricordare e rivedere il
lessico già affrontato ecc.). Non mancano, infine, le opinioni più esplicitamente critiche
che mettono in evidenza l’incompletezza della proposta presente nei materiali didattici
con riferimento allo sviluppo della competenza lessicale per il pubblico di apprendenti
immigrati adulti (nei libri che uso non ci sono esercizi specifici sul lessico, in genere cerco

Insegnare il lessico 155


di elaborarli da me; per alcuni campi lessicali (salute e assistenza, uffici pubblici) però ci
sono pochi esempi, poche attività contestuali e di reimpiego, perciò occorre creare esercizi
ex-novo, oppure attingere a più testi; molti libri di testo pongono poca attenzione (o meglio
poche attività) sul reimpiego del lessico ecc.).

14.2.2. Conoscere le parole, la posizione della ricerca glottodidattica


Dopo aver visto quale percezione hanno i docenti sull’importanza dei vari aspetti implicati
nel processo di apprendimento di una parola, può essere utile osservare le principali indi-
cazioni relative alla competenza lessicale fornite da alcuni studi elaborati in ambito glotto-
didattico e indirizzati specificamente a quanti si occupano di elaborare percorsi di apprendi-
mento linguistico9, ci si riferisce in primo luogo alla posizione del Quadro comune europeo
(d’ora in poi QCER, Consiglio d’Europa 2002) il cui approccio e il cui modello di competenza
linguistico-comunicativa rappresentano un punto di riferimento per molti docenti10.
Come è noto il QCER propone una serie di descrittori per i vari aspetti della competenza
linguistico-comunicativa. Un primo elemento da evidenziare è che quelli relativi alla com-
petenza lessicale vengono presentati per primi, quasi a rimarcare l’importanza del lessico
nella comunicazione. La competenza lessicale viene definita sulla base di due parametri,
«ampiezza» e «padronanza», che tuttavia appaiono eccessivamente vaghi e, come affer-
mano Corda e Marello (2004, p. 26), «non offrono appigli per una concreta applicabilità e
rimangono al livello di una descrizione generica».
Ciò che si ritiene comunque interessante notare nell’ambito delle considerazioni proposte
in questo paragrafo, riguarda l’assenza di descrittori che facciano riferimento a parametri
qualitativi (forma, struttura, comportamento morfologico e sintattico, relazioni lessicali
ecc.). Questi, in parte, sono rintracciabili all’interno dei descrittori di altre competenze
(competenza ortografica e fonetica per la forma; competenza grammaticale per il compor-
tamento sintattico), ma non godono di uno status che li metta in diretta correlazione con
i tratti della competenza lessicale. Per quanto riguarda gli aspetti legati al significato, poi,
il QCER indica una competenza di semantica lessicale, ma per questa area non esistono
descrittori e il documento si limita ad accennare che essa comprende i rapporti tra parola
e contesto e tra parole (sinonimia, antonimia, iponimia, collocazione ecc.).
In sintesi il QCER adotta una idea di lessico che si ritiene molto efficace e volta a ridurre
la distanza tra la competenza lessicale e quella grammaticale (il lessico comprende non
solo parole isolate di classe aperta, ma anche parole isolate di classe chiusa, formule,
espressioni idiomatiche, espressioni fisse), ma demanda del tutto - a quanti si occupano
operativamente di insegnamento della L2 - le scelte relative ai tratti qualitativi e, sul piano
quantitativo, si limita a qualche riferimento al lessico utilizzato nei più comuni contesti di
comunicazione11.

9 Il ruolo dei materiali didattici utilizzati in classe verrà invece analizzato nei prossimi paragrafi.
10 Si tratta di un approccio orientato all’azione che enfatizza l’uso della lingua come strumento di comunicazione. Anche sul
piano lessicale, le risposte dei docenti da noi intervistati che indicano nell’abilità dell’uso delle parole in contesto l’aspet-
to più importante nel processo di conoscenza della parola, sembra rivelare la condivisa importanza di questo approccio.
11 Si ritiene che chi si occuperà di selezionare il lessico dovrà farlo in modo che esso risulti coerente con i domini e le si-
tuazioni d’uso di interesse per il gruppo destinatario e all’interno dei quali sono indicati ambienti, istituzioni, persone,
oggetti, eventi, azioni e testi con cui l’apprendente potrà entrare in contatto nello svolgimento di compiti. Queste liste

156
Parte III - Capitolo 14

È interessante anche vedere in che modo strumenti che provano a declinare in proposte
operative le indicazioni del QCER, come i più comuni sillabi di italiano L2 al momento di-
sponibili, affrontino la questione della competenza lessicale.
Se si prende in considerazione il lavoro a cura di Spinelli e Parizzi (2010), si nota che il cri-
terio adottato è prevalentemente quantitativo. Gli autori forniscono delle liste di parole
(di classe aperta e di classe chiusa) divise per livello e dichiarano di fare riferimento al VdB
che, come si è detto, risulta ancora un imprescindibile punto di partenza12 nella selezione
del lessico da insegnare anche ad apprendenti di italiano L2. Il lessico individuato all’inter-
no del VdB è stato poi integrato grazie a corpora ricavati da esami scritti e orali sostenuti
da studenti non italofoni per il conseguimento della certificazione della conoscenza della
lingua italiana CELI, rilasciata dall’Università per Stranieri di Perugia. Le liste lessicali tratte
da questi corpora sono successivamente state emendate da errori e da occorrenze par-
ticolarmente ripetute e non riconducibili a un uso normale13. Nel CD ROM consultabile,
per ciascuna parola è fornita l’indicazione del dominio, della situazione comunicativa di
riferimento e dell’area semantica di appartenenza rendendo in questo modo evidente il
rapporto tra il lessico proposto e il suo contesto d’uso.
Ben diversa è la scelta operata nel sillabo di Lo Duca (2006). L’autrice, a partire dalla con-
statazione della eterogeneità cronologica e delle fonti che caratterizza i corpora di lingua
italiana ad oggi più diffusi, afferma che i tentativi di selezione lessicale rischiano di risul-
tare poco omogenei e in parte arbitrari. La difficoltà risulta ancora più evidente quando
si cerca di raccordare i criteri di selezione del lessico con i criteri di complessità morfo-
sintattica14. La scelta operata da Lo Duca è pertanto quella di non fornire liste di parole –
poiché, a suo avviso, la loro selezione è troppo legata fattori contingenti –, ma di indicare
soltanto aree semantiche di riferimento che, ovviamente, saranno coerenti con i contesti
di comunicazione in cui agiscono gli apprendenti universitari in scambio a cui è rivolto il
lavoro. Grande importanza, inoltre, viene attribuita agli aspetti della morfologia lessicale,
presentati tenendo conto dei livelli di competenza, visti come strumento per lo sviluppo
della competenza lessicale e considerati fondamentali per «[...] formare una sensibilità
lessicale, attenta a cogliere il rapporto tra forma e significato e le direzioni del cambiamen-
to di questo rapporto, puntando da una parte sulle regolarità della lingua, dall’altra sulla
capacità di elaborazione mentale del discente» (Lo Duca 2006, p. 74).
Nel Sillabo curato da Benucci (2007), rivolto agli studenti che frequentano i corsi di italiano
L2 presso il Centro Linguistico dell’Università per Stranieri di Siena, il lessico è esplicitamen-
te trattato come il primo punto di criticità. In linea con le scelte operate dal precedente
sillabo realizzato dai docenti dell’Università per Stranieri di Siena (AA.VV. 1995), Benucci
riconosce il peso fondamentale del VdB principalmente per i livelli elementari di compe-
aperte proposte dal QCER potrebbero fornire indicazioni utili, sebbene generiche, per le aree semantiche di riferimento
da trattare in contesto guidato.
12 La presenza del VdB viene presa in esame anche nell’elaborazione delle prove di certificazione (cfr. Barni et al. 2009).
Si segnala, inoltre, che il VdB rappresenta l’unica fonte della parte lessicale del primo sillabo elaborato dai docenti
dell’Università per Stranieri di Siena (AA.VV. 1995) che propone liste di parole divise per aree semantiche e per livello di
competenza degli apprendenti.
13 È il caso, per esempio, di parole presenti nella consegna del compito e subito riutilizzate e ripetute più volte dallo stu-
dente.
14 L’autrice fa l’esempio del verbo succedere, inserito in alcuni sillabi al livello A1, che presenta una complessità morfosin-
tattica difficilmente gestibile a livello elementare di competenza.

Insegnare il lessico 157


tenza; per i livelli di competenza indipendente e competente, tuttavia, esso non risulterà
rappresentativo. Da ciò la scelta di non proporre liste di parole, ma di demandare al docen-
te il compito della selezione lessicale. Gli spunti forniti per svolgere tale compito saranno
principalmente le liste dei contenuti culturali e dei generi testuali, entrambe divise per li-
velli, alle quali ricondurre le aree semantiche da trattare. Benucci, inoltre, sottolinea il peso
delle caratteristiche degli apprendenti che generalmente frequentano il Centro Linguistico
dell’Università per Stranieri di Siena, nella selezione lessicale il docente dovrà tenere conto
da un lato della distanza tipologica della loro lingua materna (soprattutto con studenti ci-
nesi o giapponesi), dall’altro del bagaglio delle conoscenze enciclopediche che potrebbero
determinare una buona familiarità di alcuni di loro con il lessico tecnico-specialistico15.
Barki et al. (2003) elaborano sillabi rivolti a diversi profili di apprendenti (tra cui gli immigrati
adulti) e focalizzati sulle prove di certificazione CILS, rilasciata dall’Università per Stranieri di
Siena, di livello A1 e A2. Con riferimento al lessico, i sillabi propongono liste di parole divise
per campi semantici che si basano prevalentemente sul VdB e sul LIP – Lessico di frequenza
dell’Italiano Parlato. La percentuale di presenza del VdB diminuisce al crescere della com-
petenza e al livello A2 le parole non VdB sono quasi il 12%. La selezione del lessico e la di-
visione per aree semantiche sono operate sulla base di una puntuale analisi dei bisogni del
profilo destinatario che ha consentito di individuare i più comuni contesti d’uso in relazione
al livello di competenza, nonché la «gerarchia dei bisogni» (Vedovelli 2010) degli immigrati
adulti, regolarizzazione, abitazione, lavoro, ambiti di socialità. Le parole selezionate sono
quelle che dovrebbero essere presenti nei diversi testi usati per le prove di certificazione.
Queste, in sintesi e con le inevitabili semplificazioni determinate dalla natura del presente
contributo, sono le posizioni prese relativamente alla selezione del lessico dai principali
sillabi ad oggi disponibili e rivolti ad apprendenti adulti. Tutte le scelte sono fondate dal
punto di vista teorico e possono senza dubbio rappresentare utili punti di riferimento per
i docenti che vogliano elaborare un piano di sviluppo della competenza lessicale per ap-
prendenti immigrati adulti. Si vuole sottolineare, come peraltro fanno tutti gli autori dei
sillabi citati, che la selezione proposta non può che essere un punto di partenza e non uno
schema rigido a cui attenersi pedissequamente, si pensi che le innumerevoli variabili che
intervengono nel processo di apprendimento/insegnamento portano alcuni autori a pre-
ferire una generica segnalazione delle aree semantiche di riferimento da trattare, senza
indicare gli specifici lemmi; è evidente, pertanto, che il lessico su cui focalizzare l’attenzio-
ne sarà inevitabilmente soggetto a variazioni rispetto alle liste suggerite.
Ma il “limite”, se così si può definire, che ci sembra di ravvisare nella proposta dei sillabi
sinteticamente esaminati riguarda la modesta attenzione alla dimensione qualitativa del
lessico. Si tratta probabilmente di un limite ineliminabile perché appare arduo, se non
impossibile, selezionare e mettere in sequenza tutti i vari aspetti qualitativi del lessico da
trattare in contesto guidato. Su questo piano la scelta è dunque demandata completamen-
te al docente, nel promuovere lo sviluppo della competenza lessicale dei suoi apprendenti
egli è chiamato a intersecare coerentemente e in modo bilanciato l’aspetto quantitativo

15 Si segnala, a questo proposito, il lavoro a cura di Benucci (2015), sui sillabi rivolti ad apprendenti con diversi profili
professionali di livello B2. In questo caso la scelta è stata quella di indicare il lessico tecnico specialistico diviso per aree
semantiche e rilevato sulla base di indagini linguistiche sui testi che questi apprendenti dovranno gestire e su analisi di
interazioni nei vari contesti lavorativi considerati.

158
Parte III - Capitolo 14

con quello qualitativo, scegliendo le modalità più adeguate per lavorare sui rapporti di
senso tra le parole, sui loro pattern sintattici, sulle regole di formazione e di derivazione16,
sulle loro proprietà collocazionali.
Un compito difficile17 che richiede competenze teoriche adeguate e impiego di tempo
per la pianificazione di percorsi efficaci; condizione, quest’ultima, comprensibilmente non
scontata in contesti di insegnamento a immigrati adulti in cui la maggior parte dei docenti
opera come volontario (Grosso 2013).

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16 Come è già stato segnalato, il sillabo a cura di Lo Duca attribuisce particolare attenzione a questo aspetto qualitativo
del lessico.
17 Accanto alla comprensibile priorità attribuita agli aspetti relativi al significato delle parole, la difficoltà a prendere ade-
guatamente in considerazione altri aspetti qualitativi nello sviluppo della competenza lessicale, del resto, emerge anche
dalle risposte fornite dagli stessi docenti che sono state presentate nel par. 2.1.

Insegnare il lessico 159


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160
Parte III - Capitolo 15

15. Mobile learning nella classe d’italiano L2.


Imparare il lessico con i podcast
Eva M. Hirzinger-Unterrainer
Università di Innsbruck, Austria
Tratto da Favaro L., Menegale M. (a cura di),
Tecnologie e autonomia nell’apprendimento linguistico, numero monografico
curato da Educazione Linguistica - Language Education, EL.LE, 2014, n. 7

15.1. Introduzione
Questo saggio focalizza l’attenzione sull’acquisizione del lessico tramite l’utilizzo dei nuovi
media; questi svolgono un ruolo sempre più importante nella nostra vita, e quindi la pro-
prietà, e l’uso dei media cresce costantemente. Stando al cosiddetto “JIM-Studie” l’81,5%
dei giovani possiede un iPod o un mp3-player e il 96,0% ha un proprio cellulare (cfr. mpfs
2011, p.6)1. L’80,0% degli adolescenti utilizza il telefonino ogni giorno, il 65,0% fa un uso
quotidiano di Internet e il 64,0% ascolta la musica (.mp3) quotidianamente (cfr. ibid., p.13).
Il progetto (cfr. Unterrainer 2012a, 2012b) presentato vuole approfittare dell’uso di que-
sti mezzi da parte degli studenti sfruttandoli per l’apprendimento della lingua. Seguendo
Balboni (2008, p.105) “il lessico infatti rappresenta uno dei più sentiti problemi nell’ac-
quisizione di una lingua straniera.” Lewis (1993; 1997) ha suggerito con il suo “approccio
lessicale”, “[…] a well-balanced learning programme will, in the early stages, place great
emphasis on receptive skills, in particular, listening.” (Lewis 1993, p.8) e per questo motivo
il mio progetto si focalizza sull’ascolto usando dei podcast audio. È proprio l’ascolto che
è stato trascurato nella ricerca precedente sull’acquisizione del lessico, “We have little
idea of how vocabulary is learned from listening, how many repetitions it requires, […]”
(Schmitt 2010, p.38) e “Vocabulary learning from listening has received much less atten-
tion than learning through reading […]” (Read 2000, p.47). Prima di presentare lo studio
svolto, il lessico e i media digitali (insieme al mobile learning) vengono situati nell’insegna-
mento delle lingue straniere.

15.2. Il ruolo del lessico nell’insegnamento delle lingue straniere


Nella classe di lingua, l’insegnamento del lessico ha ancora uno status minore di quello
della grammatica. Benché il lessico venga insegnato nella classe, la dimensione di quest’in-
segnamento è quantitativamente minore rispetto alla grammatica. Secondo lo studio di
Hinger (2011), che si occupa dell’acquisizione dello spagnolo come lingua straniera, l’in-
segnamento lessicale appare in dodici di 20 lezioni osservate, quello grammaticale invece
fa parte di 19 su 20 lezioni osservate. Nel secondo anno dell’insegnamento di spagnolo il

1 Dal 1998 in Germania viene eseguito lo studio JIM da Medienpädagogischer Forschungsverbund Südwest (mpfs) in cui
giovani da 12 a 19 anni vengono intervistati telefonicamente sui media (cfr. mpfs 2011: 3).

Insegnare il lessico 161


10,10% del tempo totale è dedicato al lessico, mentre il 44,40% alla grammatica. Le abilità
di ascolto, di lettura, di produzione orale e scritta abbracciano un totale di 29,80%. Nel ter-
zo anno il lessico occupa l’8,80% ossia il 9,80% (perché 1,00% è assegnato sia al lessico sia
alla grammatica). Rispetto al secondo anno di apprendimento la percentuale della gram-
matica scende al 35,40% (cfr. Hinger 2011, pp. 36, 39, 46, 49). Secondo De Florio-Hansen
(2004, p.85) il lessico viene studiato soprattutto a casa, dato che in classe viene trascurato.
Anche se ciò, stando a Hinger (2011), non è completamente così, si può assumere che nel-
la classe di lingua il lessico ha un valore inferiore rispetto all’insegnamento grammaticale.
Neveling (2004) ha condotto un’indagine intorno alla sua tesi sull’uso delle strategie lessi-
cali. Perciò ha interrogato 453 studenti in Germania che studiano il francese come lingua
straniera. A seguito vengono mostrati i risultati principali (cfr. Neveling 2004, p. 190),
a. Al 60% degli studenti non piace studiare il vocabolario perché è complicato e richiede
molto tempo.
b. Il 47% degli studenti impara il vocabolario senza documenti scritti, cioè oralmente,
mentre il 53% rimanente crea elenchi bilingui usandoli per la ripetizione dei vocaboli
secondo il cosiddetto “Zuhalteverfahren”2.
c. Il 70% dimentica le parole già imparate e riconosce in questo fenomeno il problema
maggiore per quanto riguarda l’apprendimento del lessico.
Inoltre l’apprendimento del lessico viene percepito come “monoton, langweilig und lästig”3
(ibid., p. 193), che tra l’altro, può essere rintracciato al cosiddetto “Zuhalteverfahren”. “Many
learners see second language acquisition as essentially a matter of learning vocabulary, so
they devote a great deal of time to memorising lists of L2 words […]” (Read 2000, p. 1).
Ma fra l’altro, secondo Neveling (2004, p. 85), la popolarità dello “Zuhalteverfahren” non è
né ragionevole né comprensibile. Lo “Zuhalteverfahren” deriva dalla tradizione comporta-
mentista, ma almeno dal 1980, con l’avvenire dell’approccio comunicativo, non è più confor-
me allo spirito del tempo. Tale approccio pone l’accento sull’imparare le parole nel contesto
(cfr. Elgort 2011, pp. 367-368). Anche Read (2000, p. 1) lo sottolinea, anche se constata che
research shows that systematic learning of individual words can provide a good foundation for
vocabulary development, especially in foreign-language environments where learners have limi-
ted exposure to the language outside of the classroom. Nation (1982) made a careful analysis of
various arguments that could be put forward to support the learn-in-context view, as applied to
the initial learning of new words, and concluded that it was a statement of belief rather than a
principle supported by the research evidence.

Stephen Krashen (1981) va ancora oltre, postulando che il linguaggio può essere solo ac-
quisito e non studiato formalmente; ciò avviene leggendo e ascoltando la lingua autentica.
Ricercatori come Ellis, Laufer e Nation contraddicono questa teoria per quanto riguarda
il lessico, perché secondo loro l’apprendimento del lessico avviene in modo intenzionale
(“deliberate learning”) come per esempio mediante cartellini (cfr. Elgort 2011, pp. 367-
368). Imparare con cartellini è un atto consapevole, “because the learner is aware that the
main goal of the activity is to learn the target words (Hulstijn, 2003).” (ibid., p. 371)
2 Spiegazione: Il termine “Zuhalteverfahren“ viene usato per denominare una tecnica usata per studiare i vocaboli copren-
do o la parola dell’L1 o quella dell’L2 e richiamando la parola corrispondente.
3 Traduzione: “monotono, noioso e spiacevole”.

162
Parte III - Capitolo 15

Dopo gli anni Ottanta l’apprendimento del lessico in generale è divenuto oggetto di studio
(cfr. Nation 2011, p. 529), negli anni Novanta è diventato una “booming area in linguistic
research and language teaching practice” (Read 2000, p. 251), ma tuttavia l’apprendimen-
to del lessico italiano è un campo di ricerca abbastanza trascurato, almeno dal 2000, “A
number of studies in this category have sought to trace the acquisition or development of
features of the Italian language, mostly its morphosyntax. In fact, there has been very little
interest in the acquisition of Italian VOCABULARY since the year 2000.” (Macaro 2010, p.
130) Secondo Macaro (2010, p. 148) non esiste quasi nessuna ricerca sull’apprendimento
del lessico italiano, soprattutto in confronto ad altre lingue straniere.

15.3. I media nell’insegnamento delle lingue


15.3.1 Definizione di “medium”
Il termine “medium” deriva dal latino e significa “mezzo” o “mediatore” (Tulodziecki 1997,
p. 33) e dà una visione ampia del concetto in quanto considera soprattutto i cosiddetti di-
spositivi tecnici in funzione sussunta (ibid.). Weber (2001, p. 22) riprende la definizione eti-
mologica di “medium” e la utilizza come punto di partenza per le sue deliberazioni. Il mezzo
è dunque a metà strada tra destinatario e mittente e offre una larghezza del processo di
comunicazione. I media si collocano tra questi due poli, ma un unilaterale trasferimento
delle informazioni dal mittente al destinatario ridurrebbe la definizione, perché tale tra-
sferimento è connesso con l’interpretazione da parte degli attanti (Böhme 2006, p. 14). In
altre parole, la mediazione e l’appropriazione sono processi reciproci (cfr. ibid.). Nella classe
d’italiano significa che i media trasmettono la lingua italiana. Il presente progetto intende
sfruttarli per imparare il lessico italiano mediante podcast creati dagli studenti stessi (du-
rante il loro tempo libero). Tali podcast possono incoraggiare l’autonomia degli studenti
perché permettono la realizzazione di alcuni livelli secondo Nunan (2003) per raggiungere
l’autonomia (“9 steps”). I podcast offrono la possibilità di usare la lingua italiana fuori classe
(“step 3”) (cfr. Nunan 2003, p. 198). Inoltre questi podcast “allow learners to generate their
own tasks” (“step 7”) (ibid., p. 201). Creando i podcast, gli studenti possono anche assumere
il ruolo di docente, che secondo Nunan è (ibid., p. 202) “step 8 [to learner autonomy]”.

15.3.2 I podcast nella classe d’italiano


Come già menzionato, l’uso dei nuovi media è in costante aumento e dispositivi come il
cellulare, l’iPod, ecc. possono essere utilizzati anche per l’apprendimento delle lingue, p.e.
nella forma del cosiddetto “podcasting”. Per “podcast” si intendono file digitali messi a di-
sposizione su un sito web dal quale è possibile scaricarli e memorizzarli anche su dispositivi
mobili (cfr. Salmon et al. 2008, p. 20). In altre parole, il termine “podcast” viene usato per il
prodotto, “podcasting” invece per il processo della sua produzione e pubblicazione (cfr. Alby
2008, p. 73). La definizione di “podcasting” contiene già l’aspetto della pubblicazione, per-
ché il termine – essendo una cosiddetta parola macedonia – è composto da “iPod” (Apple®)
e “broadcasting” (dall’inglese “trasmissione”). Il creatore del termine non è del tutto sicuro,

Insegnare il lessico 163


da un lato viene menzionato Dannie Gregoire, dall’altro Ben Hammersley che l’ha utilizzato
in un articolo su The Guardian nel 2004. Benché Apple® non abbia creato il termine, con
iTunes® ha apportato un grande contribuito alla diffusione dei podcast (ibid., pp. 73-74).
“Podcast” in senso stretto si riferisce ad una serie di contributi che vengono sottoscritti dal
feed RSS (ibid., 26). In altre parole, un podcast è “[…] eine Mediendatei, die in eine vorde-
finierte Datenstruktur eingebunden ist, sodass sich diese Datei mit Hilfe entsprechender
Software automatisiert aus dem Internet herunterladen und [z.B.] auf einen MP3-Player
übertragen lässt.”4 (Weber 2006, p. 2, aggiunta EMHU)
In senso più lato il termine “podcast” comprende invece anche i file scaricati che possono
essere distribuiti senza feed RSS, cioè, in altri modi (cfr. Bühler 2008, p. 25). Nel presente
saggio ci si riferisce alla seconda accezione del termine “podcast” in quanto i podcast crea-
ti dagli studenti sono (solo) stati pubblicati sulla piattaforma di apprendimento “Moodle”.
Generalmente i podcast possono essere suddivisi nei seguenti tre tipi (cfr. Alby 2008, pp.
73, 87; Kienitz 2007, p. 36; Salmon et al. 2008, p. 22) :
a. podcast audio, file di solo audio (molto spesso .mp3)
b. podcast video (anche vodcast), file video (p.e. .mp4 o per il cellulare .3GP)
c. podcast “enhanced”, completamento di un podcast audio di immagini, presentazioni
PowerPoint etc.
Per la creazione di podcast principalmente è necessario un PC, a seconda del podcast si
richiede un’attrezzatura aggiuntiva (cfr. Alby 2007, p. 86). Un podcast audio è il tipo più
facile da creare, il file audio (registrato dal PC o di un dispositivo portatile) viene editato
con un corrispondente programma come per esempio Audacity®. Considerati gli attesi
effetti positivi e la facile produzione per questo studio sono rilevanti esclusivamente i po-
dcast audio. Siccome gli studenti hanno creato questi tipi di podcast in base al progetto, la
produzione dei podcast audio viene illustrata in seguente,

fig. 1. Rappresentazione schematica della produzione di un podcast audio

All’inizio si registra il file mediante un computer o un dispositivo (p.e. registratore vocale,


cellulare), poi questo file viene convertito in .mp3 (da .wav). Nel caso del senso lato di
“podcast” questo viene caricato per esempio su una piattaforma di apprendimento, dove

4 Traduzione: “un file multimediale incorporato in una struttura di dati predefinita in modo che questo file - con l’ausilio
di software appropriato - possa essere scaricato automatizzatamente dall‘Internet e trasferito [p.e.] su un lettore MP3.“

164
Parte III - Capitolo 15

può essere scaricato e ascoltato su computer o dispositivi mobili. Per un’interpretazione


stretta del termine il podcast viene dotato di un feed RSS – come si vede nell’immagine – e
viene pubblicato su un sito web corrispondente. In questo caso il download viene eseguito
utilizzando un cosiddetto “podcatcher” (come iTunes®) (cfr. Weber 2006, p. 5).
A seguito verranno descritti i podcast utilizzati sulla base del modello di Reinhardt et al.
(2008, pp. 72-76) che prevede i seguenti aspetti centrali per la produzione di un podcast,
il gruppo target, l’obiettivo, il produttore, il contenuto, il formato e la forma.
Per quanto riguarda il gruppo target questo viene definito con gli studenti del gruppo
sperimentale. Si tratta di studenti di una scuola austriaca che imparano l’italiano come
principianti nell’anno scolastico 2011/12.
L’obiettivo è l’acquisizione del lessico italiano sulla base del libro di testo “Chiaro”.5 Ogni
podcast include una lezione del libro di testo e il vocabolario è presentato in frasi sia in
tedesco sia in italiano (in entrambe le direzioni).
La produzione di podcast si trova esclusivamente nelle mani degli studenti, cioè gli stu-
denti sono i produttori dei podcast. Ogni gruppo crea un podcast che poi viene messo a
disposizione ai compagni di classe, così gli studenti sono allo stesso tempo destinatari.
Questa circostanza può essere descritta con il termine “prosumer” (introdotto da Töffler
nel 1980); in altre parole, gli studenti sono contemporaneamente produttori e fruitori dei
podcast (cfr. Leitl 2008, p. 21).
Per quanto riguarda il formato, il presente studio si limita ai podcast audio che vengono
prodotti con Audacity® e poi salvati come file .mp3. La piattaforma “Moodle” serve per la
distribuzione dei podcast.
La forma dei podcast comprende la lunghezza e la struttura. Un podcast normalmente
non dovrebbe superare 30 minuti. Poi viene strutturato con un intro e un outro, cioè
all’inizio e alla fine, come anche dopo le singole sezioni, ci sono delle sequenze di musi-
ca, jingles, che aiutano a strutturare un podcast (cfr. Reinhardt et al. 2008, p. 75). Come
già menzionato, per questo progetto gli studenti lavorano in coppia o in gruppo, per
esempio due studenti modificano una lezione (creando delle frasi dalle singole parole)
e la registrano parlando a turno in italiano e in tedesco. All’inizio dell’anno scolastico
2011/12 gli studenti hanno ricevuto le istruzioni per la creazione dei podcast sia in modo
orale sia su un foglio.
Usando i podcast per l’apprendimento lessicale, il progetto vuole collegarsi al mondo
quotidiano degli studenti. L’81,5% dei giovani tedeschi ha – secondo lo studio JIM 2011
– un iPod, il 96,0% dispone di un proprio cellulare (cfr. mpfs 2011, p. 6). Mediante questi
dispositivi i podcast possono essere utilizzati in pratica in qualsiasi momento dagli stu-
denti. Questo ci porta a domandarci se i podcast possano sostenere il cosiddetto “mobile
learning”.

15.3.3 Il podcast come un esempio di mobile (micro) learning?


Il termine microlearning in quanto tale è relativamente giovane perché secondo Hug/Friesen
(2007) è in uso da solo una decina di anni, benché i suoi concetti di base risalgano al passato:

5 A tal merito vorrei ringraziare la casa editrice Hueber, l’ufficio di Vienna in particolar modo, per la fornitura di una copia
gratuita.

Insegnare il lessico 165


microlearning is a rather new expression. Similar to related expressions like microcontent or
micromedia, it has been in use only since about 2002, though many aspects of learning, didactics
and education have, of course been addressed on what can be called a ‘micro’ level for centuries.
(Hug/Friesen 2007, p. 16)

Il microlearning contiene “verschiedene informelle Lernaktivitäten im Kontext von Social


Software Anwendungen, inzidentelles Lernen mit digitalen Medien, mechanistisches Ler-
nen mit ‚Lernobjekten‘, SMS-Anwendungen, etc.”6 (Hug 2010, p. 200). In un senso più am-
pio il microlearning può essere visto come “Lernen mit Micro-content”7 (ibid.). A livello
temporale bisogna constatare che
minutes or seconds of time are relevant instead of hours, days or months; sentences, headlines,
or clips are the focus rather than paragraphs, articles, programs or presentations; and portable
technologies, loosely-coupled distributed environments are of interest rather than monolithic or
integrated turnkey systems. (Hug/Friesen 2007, 17)

Ciò significa che le unità imparate variano da secondi a minuti. Inoltre sono più frequenti i
dispositivi portatili (come smartphone, tablet PC, ...) che rappresentano i mezzi adatti per
il microlearning (cfr. ibid.).
Nel 2006 Theo Hug – in collaborazione con i Research Studios Austria – ha sviluppato
con “KnowledgePulse®” un esempio per incorporare il microlearning nella vita quotidia-
na. Quest’applicazione fornisce competenze linguistiche di base; a intervalli determinati
– secondo il principio push – appaiono domande sulla grammatica e sul vocabolario a cui
occorre dare una risposta (cfr. Hug/Friesen 2007, p. 26).
Nei paesi germanofoni il termine “mobiles Lernen” abbraccia soprattutto “Lernen mit mo-
bilen Endgeräten und Softwareanwendungen“8 (Hug 2010, p. 195) ed è usato come sino-
nimo di “M-learning” e “mobile learning” (ibid.). In altre parole, il termine “is frequently
used to refer to the use of handheld technologies enabling the learner to be ‘on the move’,
providing anytime anywhere access for learning.“ (Price 2007, pp. 33-34) Ciò significa che
mediante i podcast gli studenti possono studiare il lessico italiano quasi ovunque, in qual-
siasi momento.
Un esempio di microlearning nell’ambito dell’apprendimento della lingua inglese è il “Flo-
cabulary”. Sul sito web www.flocabulary.com vengono presentati dei vocaboli in forma rap
secondo aree tematiche e livelli diversi.
A fare il primo passo in direzione di un mobile learning nella classe d’italiano sono stati per
esempio Kennedy e Levy (2008) inviando degli SMS con i contenuti della lezione d’italiano
(grammatica, lessico) agli studenti di un’università australiana. Kennedy e Levy (2008, p.
322) riassumono così i risultati dello studio effettuato
“Overall, the post-trial survey showed that the vast majority of the students had found the
experience a positive one. While 84% said they had enjoyed receiving the messages, most
had also found them useful, as they agreed that the messages had helped consolidate

6 Traduzione: “varie attività di apprendimento informale nel contesto di applicazioni di software sociale, l’apprendimento
incidentale con dei media digitali, l’apprendimento meccanico con oggetti di apprendimento, delle applicazioni di mes-
saggini, ecc.”.
7 Traduzione: “imparare con micro-content”.
8 Traduzione: “imparare con dispositivi portatili e applicazioni di software”.

166
Parte III - Capitolo 15

their vocabulary (87.3%), extend their vocabulary (82.5%), and develop their interest in
Italian vocabulary (80.7%), while a smaller majority felt the messages had helped consoli-
date their knowledge of grammar (78.6%).”
Sebbene Kennedy e Levy constatino un successo nell’apprendimento dell’italiano, in parti-
colare nel vocabolario, grazie agli SMS inviati, va criticato il fatto che lo studio è stato con-
dotto solo con un gruppo sperimentale e solo per un periodo di sette settimane. Inoltre,
invece di un test lessicale, hanno usato soltanto un questionario per verificare il progresso
e perciò i risultati devono essere considerati da questo punto di vista.
Per l’apprendimento del lessico inglese ci sono più studi, come per esempio quello di Hase-
gawa et al. (2008) in Giappone. Nell’ambito di “SIGMA” (Special-Interested-Group Material
Accumulator) dieci studenti hanno creato del materiale didattico proprio per studiare l’ingle-
se mediante immagini e video (ibid., p. 158). Gli studenti tendevano a memorizzare meglio
le parole (audio) visuali. Ma le limitazioni di questo studio sono tra l’altro il numero ridotto di
partecipanti (10) e di parole da memorizzare (20). Gli studi di Joseph et al. (2005) e Thornton/
House (2005) costituiscono altri due esempi di mobile learning nell’insegnamento dell’inglese.
Dopo aver presentato il ruolo dei media nella classe di lingue mi dedicherò, in questa
sezione, alla presentazione dello studio effettuato cominciando dall’impostazione del pro-
getto di ricerca.

15.4. L’impostazione del progetto di ricerca


15.4.1 Domande e ipotesi
Il progetto qui presentato persegue lo scopo di misurare e descrivere l’influenza dell’uso
dei nuovi media, in particolare dei podcast audio, sull’acquisizione della lingua italiana
come L2 in termini lessicali in una scuola superiore in Austria. A questo scopo si opera una
distinzione tra due gruppi di soggetti partecipanti
1. gruppo sperimentale, gli studenti che imparano il lessico con l’aiuto di podcast bilingui
(tedesco - italiano)
2. gruppo di controllo, gli studenti che imparano il lessico senza podcast (apprendimento
“tradizionale”)
Inoltre le seguenti domande si collocano al centro dell’interesse di questo progetto,
1. Quali sono le differenze che emergono tra i due gruppi di soggetti partecipanti (vedi
sopra) per quanto riguarda l’acquisizione del lessico?
2. Ci sono dei cambiamenti nelle strategie usate dagli studenti nell’apprendere le lingue
in generale e l’italiano in particolare?
A partire da dette domande vengono postulate le seguenti ipotesi,
1. Durante il periodo di studio gli studenti del gruppo sperimentale potranno acquisire
quantitativamente più parole di quelli del gruppo di controllo.
2. Gli studenti del gruppo sperimentale usano più strategie per imparare il lessico rispetto
a quelli del gruppo di controllo.

Insegnare il lessico 167


15.4.2 La struttura della ricerca
Il progetto si è svolto nel semestre invernale dell’anno scolastico 2011/12 (da ottobre
2011 a febbraio 2012). Come accennato in precedenza, sono stati esaminati due gruppi
di studenti che apprendono l’italiano come lingua straniera in una scuola secondaria (in
Austria). Il gruppo sperimentale ha acquisito il lessico con l’aiuto di podcast, mentre il
gruppo di controllo l’ha imparato in gran parte con il libro di testo. All’inizio e alla fine
dell’esperimento gli studenti hanno compilato un questionario sul loro atteggiamento nei
confronti dell’acquisizione del vocabolario e sulle strategie usate (sulla base del questio-
nario di Neveling 2004).
Ho inoltre visitato entrambi i gruppi regolarmente per assistere alle lezioni (“l’osservazio-
ne partecipante”, Bortz/Döring 2009, pp. 267-268). Infine, gli allievi hanno partecipato a
un test lessicale per constatare eventuali differenze fra di loro.
Riassumendo, la base empirica di questo progetto è costituita da dati quantitativi e da
alcuni dati qualitativi forniti dagli studenti che vengono triangolati (cfr. Flick 2008). I dati
quantitativi ottenuti dal questionario e dal test di lessico – Vocabulary Knowledge Scale
(Paribakht/Wesche 1997) – rendono possibile individuare i cambiamenti nel loro lessico
italiano e nelle strategie usate. In questo modo è possibile constatare le differenze fra il
gruppo sperimentale e quello di controllo.
Oltre ai dati quantitativi sono esaminati quelli qualitativi ottenuti dalle osservazioni e dalle
domande aperte sui questionari. Questi dati non vengono però considerati in questo saggio.

15.5. Sintesi dei risultati dello studio effettuato


Lo studio è stato svolto per un semestre e ha coinvolto in totale 36 studenti; di questi solo
30 erano presenti al momento della raccolta dati (cioè, all’inizio di ottobre 2011 e alla fine
di gennaio 2012) per cui è stato possibile analizzare soltanto questi.

15.5.1. Risultati della statistica descrittiva


All’inizio dell’anno scolastico
Per il presente studio interessano anche le strategie di apprendimento, perché permetto-
no di proporre delle ipotesi sull’uso del mobile learning. Perciò gli studenti sono stati chie-
sti se usano il tragitto tra casa e scuola per studiare; ciò fornirebbe un modo per il mobile
learning. All’inizio della scuola tre di otto studenti (37,5%) del gruppo di controllo e otto
di 22 studenti (36,4%) del gruppo sperimentale indicano che imparano facendo la spola
tra casa e scuola. Ciò significa che in entrambi i gruppi la percentuale di coloro che non
imparano facendo il/la pendolare prevalga, così una delle considerazioni iniziali, ascoltare
i podcast in questa finestra temporale, non è data.
Poi – come nello studio di Neveling (2004) – anche in questo studio agli studenti non piace
studiare i vocaboli, la metà del gruppo di controllo e 12 di 22 studenti (54,5%) del gruppo
sperimentale lo indica.

168
Parte III - Capitolo 15

Entrambi i gruppi valutano il loro successo nello studio dei vocaboli in modo uguale,
perché circa un terzo degli studenti pensa di poter migliorare le proprie conoscenze in
quest’ambito.
La cosiddetta “Zuhaltemethode” gode di enorme popolarità presso gli studenti, 17 di 22
studenti (77,3%) dello gruppo sperimentale studiano i vocaboli leggendoli nel libro di te-
sto, coprendo p.e. le parole italiane e ripetendole ad alta voce. Poi l’uso delle liste bilingui
è più diffuso presso gli studenti del gruppo sperimentale, 13 di 22 studenti (59,1%) le usa-
no, mentre solo due di otto studenti (25,0%) del gruppo di controllo.
Le tecnologie nuove (come Skype, Chat, …) non vengono quasi mai usate per comunicare
con persone di madrelingua italiana nel tempo libero, sei di otto studenti (75,0%) del grup-
po di controllo e 19 di 22 studenti (86,4%) del gruppo sperimentale negano l’uso di queste
tecnologie. Ma neanche le tecnologie tradizionali, per quanto riguardano giornali, riviste,
libri, film, ... italiani, sono più popolari, sei di otto studenti (75,0%) del gruppo di controllo
e 19 di 22 studenti (86,4%) non le usano.

Alla fine dell’anno scolastico


Anche alla fine dell’anno scolastico la cosiddetta “Zuhaltemethode” gode di grande popo-
larità presso gli studenti, 16 di 22 studenti (72,7%) dello gruppo sperimentale e sei di otto
studenti (75,0%) del gruppo di controllo studiano i vocaboli usando questa tecnica. Inoltre
l’uso delle liste bilingui non si è modificato, cioè è ancora più diffuso presso gli studenti del
gruppo sperimentale, 13 di 22 studenti (59,1%) le usano, mentre solo due di otto studenti
(25,0%) del gruppo di controllo.
L’uso delle tecnologie nuove (come Skype, Chat, ...) per comunicare con persone di ma-
drelingua italiana nel tempo libero non si è cambiato molto, ancora sei di otto studenti
(75,0%) del gruppo di controllo e 15 di 22 studenti (71,4% invece del 86,4%) del gruppo
sperimentale negano il loro uso. Lo scarso uso delle tecnologie tradizionali, per quanto
riguardano giornali, riviste, libri, film, ... italiani, invece si è diminuito in entrambi i grup-
pi, solo tre di otto studenti (37,5% invece del 75,0%) del gruppo di controllo e otto di 22
studenti (36,3% invece del 86,4%) non le usano, cioè significa in conclusione che la mag-
gior parte degli studenti le usano alla fine dell’anno scolastico. Da questo risultato si può
derivare con cautela che il livello progressivo degli studenti svolge un ruolo decisivo per
consumare i media tradizionali.

15.5.2. Risultati della statistica inferenziale


Alcune differenze (statisticamente rilevanti) sono emerse dal questionario sulle strategie
di apprendimento – dimostrate da SPSS utilizzando il Mann-Whitney U-test (cfr. Raab-Stei-
ner/Benesch 2008). All’inizio dell’anno scolastico sono state rilevate le seguenti differenze
tra i due gruppi:
a. Il gruppo sperimentale impara con una frequenza maggiore (p=0,029) le collocazioni
(ad esempio, lavarsi i denti) ripetendole ad alta voce.
b. Gli studenti del gruppo sperimentale ripetono a mente con maggiore frequenza
(p=0,011) le parole italiane (concrete) quando osservano il loro ambiente.

Insegnare il lessico 169


c. Il gruppo di controllo tende con maggior frequenza (p=0,018) ad avere contatti lingui-
stici con persone di lingua italiana durante le vacanze.
Alla fine dello studio sono emerse le seguenti differenze:
a. Gli studenti del gruppo sperimentale scrivono più frequentemente (p=0,015) liste di
due colonne rispetto a quelli del gruppo di controllo.
b. Gli studenti del gruppo sperimentale scrivono molto (p=0,019) più spesso una frase
con la parola o l’unità lessicale da imparare.
c. Copiare i vocaboli dal libro di testo risulta molto più comune (p=0,041) nel gruppo di
controllo rispetto a quello sperimentale.
Da questi risultati si può dedurre che alla fine del semestre il gruppo sperimentale ha
utilizzato una più ampia gamma di strategie per l’apprendimento del lessico. Ciò significa
– come presunto – che gli studenti del gruppo sperimentale usano più strategie per impa-
rare il lessico rispetto a quelli del gruppo di controllo. Inoltre si può trarre la conclusione
che, da un lato, l’uso esclusivo dei podcast si è mostrato prevalentemente insufficiente per
loro, e dall’altro lato, che lo studio ha sensibilizzato gli studenti del gruppo sperimentale
all’uso di strategie diverse.
Per quanto riguarda l’attendibilità della VKS utilizzata, questa è α=0,96 secondo l’analisi
con SPSS 18.0, e quindi si trova all’estremità superiore della scala perché nei test linguistici
i valori compresi tra 0,70-0,90 sono considerati affidabili (cfr. McNamara 2008, p. 58). Sulla
base dei risultati della VKS va osservato che prima dello studio il gruppo di controllo ha
raggiunto una media di 92,63 punti, mentre il gruppo sperimentale è arrivato a 60,77. Il
gruppo di controllo ha ottenuto significativamente (p=0,001) più punti rispetto al gruppo
sperimentale. Dopo lo studio il gruppo di controllo ha ancora un valore medio più elevato
(111,63), tuttavia, il divario tra i due gruppi si è ridotto da una media di 31,86 a una di
21,45. In conclusione, il lessico del gruppo di controllo si è migliorato di 19 punti, mentre
il gruppo sperimentale ha raggiunto 29,41 punti più che all’inizio dell’anno scolastico. Ri-
spettando i propri risultati all’inizio e alla fine dell’anno scolastico, il gruppo sperimentale
ha quindi compiuto un maggiore progresso rispetto al gruppo di controllo. Con cautela
anche l’ipotesi secondo cui gli studenti del gruppo sperimentale potranno acquisire quan-
titativamente più parole di quelli del gruppo di controllo può essere affermata.

15.6. Discussione
Prima di tutto va detto che la metà degli studenti del gruppo sperimentale ha creato i po-
dcast audio, il resto invece no. Le cause di ciò sono molteplici, ma principalmente vanno
ricercate nella mancanza di tempo degli studenti e nella bassa responsabilità soggettiva in
quanto non hanno ricevuto nessun voto per il progetto. È per questo che va menzionato
che la metà degli studenti ha completato i podcast nel loro tempo libero e, quindi, li ha
ritenuti utili. Però risulta abbastanza chiaro che gli studenti preferiscano le tecnologie tra-
dizionali per studiare dei vocaboli.
Inoltre, a causa della difficoltà di trovare un insegnante d’italiano disposto a partecipare
insieme ai suoi alunni a questo progetto, non è stato possibile eseguire lo studio come
170
Parte III - Capitolo 15

previsto. Siccome due insegnanti hanno preso parte, gli stili d’insegnamento e due scuole
diverse sono entrati in gioco. Si tratta di variabili intervenienti che non potevano essere
evitate, ma dall’osservazione in classe emerge che in entrambi i gruppi l’insegnamento
della grammatica ha un’importanza maggiore rispetto all’acquisizione del lessico.
Un altro punto da considerare è la differenza dei gruppi per quanto riguarda il lessico.
Come già accennato, gli studenti del gruppo di controllo hanno raggiunto i risultati migliori
nella VKS all’inizio del semestre, ma alla fine del semestre il gruppo sperimentale è stato
in grado di compensare ciò, perché i risultati dei due gruppi si sono riavvicinati a causa di
un maggiore sviluppo del gruppo sperimentale sebbene i motivi alla base possano essere
molteplici. Nondimeno i risultati della VKS devono essere considerati in modo critico.
Per un prossimo studio (cfr. Hirzinger-Unterrainer 2014) saranno utilizzati più test ad ogni
raccolta dei dati (cfr. Nation, Webb 2011, p. 125) e diversi tipi di media (podcast, wiki,
weblog). Scegliendo fra le tecnologie varie, permette agli studenti di scegliere il mezzo più
adatto (o i mezzi più adatti) al loro stile di apprendimento. Ciò “help learners identify their
own preferred styles and strategies” (Nunan 2003, p. 200) e in tal modo gli consente di
fare un altro passo verso l’autonomia.
Inoltre, il processo soggettivo di apprendimento degli studenti sarà focalizzato utilizzando
metodi di ricerca qualitativa (intervista, diario d’apprendimento, ...). Inoltre verrà cam-
biata anche la struttura della ricerca confrontando due gruppi di livello diverso (p.e. 2° e
3° anno d’insegnamento d’italiano). Entrambi i gruppi useranno i media menzionati co-
minciando per esempio con i podcast video per un mese, poi con i podcast audio etc. In
tal modo si potranno confrontare i vari media e riflettere sui vantaggi grazie all’uso di un
diario d’apprendimento.

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Parte III - Capitolo 15

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Insegnare il lessico 173


16. Parole: Questioni di lessico del docente nativo
e non nativo di italiano a stranieri1
Giuseppe Caruso, Elena Monami
Università per Stranieri di Siena
Tratto da Aldinucci B., Carbonara V., Caruso G., La Grassa M., Nadal C., Salvatore E. (a cura di),
PAROLA. Una nozione unica per una ricerca multidisciplinare,
Edizioni Università per Stranieri di Siena, 2019

16.1. Introduzione
Muovendo da una sintesi delle riflessioni elaborate negli ultimi decenni a proposito dei
punti di forza e debolezza del docente nativo (DN) e non nativo (DNN) di lingua stranie-
ra, il presente saggio intende ricondurre il discorso al settore specifico dell’insegnamento
dell’italiano L2. Per tale motivo, saranno presentati i risultati di una indagine condotta su
lezioni videoregistrate tenute da 12 DN e 12 DNN di italiano come lingua straniera, più in
dettaglio sul lessico da loro adottato. Obiettivo di tale indagine, effettuata sulla base di 10
criteri di analisi contenuti in una griglia di osservazione, è rilevare quante e quali sono le
strategie di trasparenza più utilizzate dal DN e DNN di italiano L2 (in termini ad esempio di
ripetizioni, riformulazioni, sinonimi, codici non verbali), qual è la frequenza con cui ricorro-
no alla L1 degli apprendenti, e infine quali sono le differenze riscontrabili nell’adeguamen-
to del loro parlato alle competenze linguistiche dei destinatari cui si rivolgono.

16.2. Punti di forza e debolezza del DN e DNN di L2


A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la questione relativa ai punti di forza e debolezza
del DN e DNN di lingua straniera è stata a lungo oggetto di riflessione di parte della lettera-
tura glottodidattica, soprattutto di ambito anglofono (Davies 1991, 2003; Medgyes 1992,
1994; Liu 1999; Arva - Medgyes 2000). Tale riflessione, affievolitasi negli ultimi anni senza
mai scomparire del tutto, ha assunto sfumature differenti a seconda delle diverse lingue
prese in esame dagli studiosi, ognuna delle quali è stata posta in relazione al panorama
sociale di riferimento e alle motivazioni per cui quella specifica lingua veniva studiata.
Parte consistente del dibattito sulla figura del DN e DNN di lingua straniera ha riguardato
l’inglese, in merito al quale la letteratura di settore ha inteso porre in evidenza le differen-
ze fra docenti madrelingua operanti in patria e quelli non madrelingua operanti in paesi
culturalmente differenti, frutto in alcuni casi dell’epoca coloniale. La scelta di incentrare
maggiormente le ricerche sulla lingua inglese è dipesa da due fattori, il primo dei quali è
legato all’impossibilità di includere negli studi in oggetto le lingue di paesi che non hanno
avuto esperienze coloniali significative (almeno sul piano linguistico-culturale), il secondo

1 Il contributo è stato progettato congiuntamente dai due autori. Nello specifico, i paragrafi 16.1, 16.2, 16.2.1 e 16.3.2 sono
da attribuirsi a Giuseppe Caruso; i paragrafi 16.3, 16.3.1 e 16.4 a Elena Monami.

174
Parte III - Capitolo 16

alla sproporzione fra il numero di parlanti nativi inglesi e quello di apprendenti della lin-
gua inglese. Come è noto, quest’ultima è la lingua straniera più studiata al mondo, non
stupisce, quindi, che i DN siano in netta minoranza rispetto all’enorme numero di DNN,
chiamati a fronteggiare una domanda sempre più crescente di persone intenzionate a
imparare l’inglese come lingua straniera.
Al fine di individuare al meglio punti di forza e debolezza del DN e DNN di inglese, le ri-
cerche più recenti e rappresentative del settore (Arva - Medgyes 2000; Lee 2000; Davies
2003; Benke - Medgyes; Llurda 2004; Medgyes 2005; Canagarajah 2007; Gurkan - Yuksel
2012; Walkinshaw - Oanh 2014) hanno adottato una metodologia di indagine in linea di
massima comune, che ha previsto, 1) l’osservazione di videolezioni girate in classi di ingle-
se e tenute rispettivamente da DN e DNN (grazie a cui reperire informazioni sul setting,
sugli aspetti non solo verbali del docente, sui comportamenti dei discenti); 2) l’analisi di
informazioni inserite dal docente in una scheda informativa (attraverso cui delineare il suo
percorso professionale e inquadrare le metodologie didattiche adottate durante alcune
fasi dell’azione didattica, quali la spiegazione della grammatica, la correzione gli errori, la
progettazione dei materiali, ecc.); 3) l’esame di dati raccolti da un questionario sommi-
nistrato agli apprendenti (tramite cui rilevare il loro profilo sociolinguistico e raccogliere
valutazioni sul docente sulla base di parametri specifici, quali vocabulary, fluency, pronun-
ciation, grammar teaching, language and cultural teaching strategies).
Tali analisi hanno permesso di porre in luce i principali punti di forza e debolezza del DN e
DNN di lingua inglese, riconducibili in particolare alle metodologie adoperate e all’efficacia
didattica e riportati in modo sintetico a seguire.
Relativamente ai punti di forza del DN, c’è da dire innanzitutto come la sua oralità sia con-
notata da una fluenza certamente più spiccata rispetto a quella del DNN. Con specifico
riferimento al parlato, esso è caratterizzato da una pronuncia naturale e in linea di massima
accurata, da una buona correttezza morfologica, dalla combinazione della lingua con co-
dici non verbali (tipici della cultura della L2), da un ampio bagaglio lessicale, arricchito da
macchie di colore terminologiche tratte dalle microlingue, dalle varietà regionali, dai gerghi
o dalle varietà giovanili. A tali fattori, si aggiungano una buona flessibilità nel cambiare ar-
gomento senza apparenti problemi (specialmente quando gli apprendenti appaiono stan-
chi o demotivati) e un’ottima conoscenza del sistema culturale di riferimento. Soprattutto
quest’ultimo elemento consente al DN di adattarsi al contesto in cui opera con scelte prag-
matiche adeguate e corrispondenti agli usi della società contemporanea. Infine, il suo stile
di insegna- mento risulta nella maggior parte dei casi più tendente all’informalità.
Una scarsa o nulla conoscenza della L1 degli studenti, che porta delle volte il DN a non
capire quando questi parlano nella loro lingua, rientra di certo fra i suoi punti di debolez-
za. A tale distanza linguistica si somma quella culturale, che impedisce talvolta al DN di
comprendere a pieno tradizioni, stereotipi e tabù da lui/lei percepiti come lontani o, nel
peggiore dei casi, inaccettabili. Da un punto di vista prettamente didattico, il DN mostra in
alcuni casi un certo margine di superficialità nella preparazione della lezione e di improv-
visazione nella gestione della classe, essendo consapevole che il suo essere madrelingua
gli consente in qualche modo di cavarsela nelle diverse circostanze che gli si presentano.
Fra i punti di forza del DNN di lingua inglese rientra, al contrario, una maggiore accuratezza
nella progettazione dell’incontro, giustificata probabilmente da una relativa “insicurezza”

Insegnare il lessico 175


dovuta al suo non essere madrelingua. Tale condizione gli consente però di ricorrere alla
L1 degli apprendenti (pratica da loro molto apprezzata) con i quali condivide anche la cul-
tura, fattore quest’ultimo che gli permette anche di creare maggiore sintonia con la classe
in riferimento a specifiche situazioni. Rispetto al DN, il DNN ha inoltre una maggiore capa-
cità di trasmissione di quei metodi che meglio permettono di capire e soprattutto ricorda-
re le regole della L2, essendo stato lui per primo un apprendente della lingua straniera che
insegna, conosce possibili asimmetrie e dissimmetrie fra la L1 e la L2, che gli consentono
di prevedere quali aspetti della lingua target risulterebbero più semplici o complessi da
comprendere, in modo da prevenire possibili fenomeni di fossilizzazione. Da qui, il ricorso
a diverse metodologie per meglio spiegare la grammatica, in sintesi, il DN talvolta conosce
solo la grammatica, il DNN di lingua inglese anche le strategie con cui rendere l’input più
trasparente e comprensibile.
È proprio a quest’ultimo aspetto della lingua, ovvero alla conoscenza da parte degli stu-
denti delle regole formali della L2, che il DNN conferisce maggior peso, a scapito di altre
componenti altrettanto fondamentali del processo di acquisizione, quali il lessico, la prag-
matica, l’interazione. Questa attenzione posta alla grammatica, unitamente a una mino-
re tolleranza rispetto al DN nei confronti degli errori dei propri discenti (grammaticali e
di varietà substandard), rappresenta senza dubbio uno dei punti di debolezza del DNN,
soggetto anch’egli alla produzione – seppur sporadica – di errori nella L2. Inoltre, la co-
munanza di lingua con gli studenti, se da un lato favorisce con questi ultimi una qualche
forma di comunicazione (special- mente in presenza di discenti con un livello elementare
di competenza linguistica o in situazioni di maggiore criticità), dall’altro genera non pochi
ricorsi a fenomeni di code-switching, che, in certi casi, potrebbero non agevolare il pro-
cesso di sviluppo della L2. In ultimo, per quanto in possesso di un livello avanzato di com-
petenza nella lingua oggetto di insegnamento, la pronuncia del DNN non appare del tutto
autentica o comunque paragonabile a quella del DN, in quanto essa risente (sebbene in
minima parte) della marcatezza della L1 a livello prosodico e intonativo. Tale aspetto, di cui
il DNN è cosciente, lo porterebbe a usare poco in aula fonti audio o audiovisive autentiche
(quali CD, radio, filmati di varia natura) per far lavorare la classe sulla ricezione orale e la
pronuncia, il motivo è evitare di proporre un modello di lingua più naturale, che possa far
risaltare le proprie defaillance di pronuncia (Merino 1997, pp. 70-71). Al di là dei punti di
forza e debolezza ascrivibili all’una e all’altra figura, riteniamo difficile generalizzare sulla
questione, che, se da un lato dovrebbe estendere le sue ricerche anche a ulteriori lingue,
dall’altro dovrebbe prendere in esame ogni singolo caso nella sua specificità, ponendolo
in relazione alle caratteristiche personali del docente e al particolare contesto educativo in
cui opera. Solo in tal modo la disamina può arricchirsi di fattori ulteriormente interessanti,
di cui si tratterà con maggiore dettaglio nel paragrafo a seguire.

16.2.1 Il DN e DNN di italiano L2


Negli ultimi anni si è assistito a un netto aumento di nativi che in Italia intraprendono la
strada dell’insegnamento dell’italiano L2. Tale crescita è stata generata da fenomeni quali
l’immigrazione, la globalizzazione e il complessificarsi delle società, che hanno a loro volta
moltiplicato, rispetto ai decenni addietro, gli ambiti in cui svolgere tale professione e i pub-

176
Parte III - Capitolo 16

blici a cui rivolgersi. Chi oggi insegna in Italia la nostra lingua a stranieri può farlo, infatti,
a immigrati, richiedenti asilo, studenti coinvolti in pro- grammi di mobilità accademica,
professionisti del settore, ecc.
Le possibilità di insegnare italiano L2 non mancano neanche a coloro che si trovano all’e-
stero, chiamati sempre più spesso ad affiancare o sostituire i DNN locali, sia nelle univer-
sità sia nelle scuole di ogni grado e genere. La diffusione “a macchia di leopardo” dell’ita-
liano fuori i nostri confini (De Mauro et. al. 2002; Trifone - Giovanardi 2012) ha interessato
non pochi paesi e non solo quelli europei, nei quali è cresciuta smisuratamente negli ultimi
decenni la richiesta di imparare l’italiano, con conseguente domanda di corsi di formazio-
ne accademica per DN e DNN.
Nonostante tali cambiamenti, il dibattito sui punti di forza e debolezza del DN e DNN ha
solo marginalmente toccato il settore dell’insegnamento dell’italiano L2 (Bettoni 2006;
Bosisio 2010; Diadori 2018). Ciò che però emerge maggiormente dagli studi condotti dal-
la letteratura di settore che si è interessata dell’argomento, è che parlare di insegnante
“migliore” o “peggiore” non consente certamente di inquadrare la questione, sarebbe
forse più opportuno soffermarsi a riflettere in che termini il docente risulti «più o meno
adeguato ai destinatari» (Diadori 2018, p. 4). Tale cambio di prospettiva consentirebbe di
superare la rigida opposizione che vede contrapposti il DN operante con studenti di altre
lingue e il DNN operante con studenti con cui condivide la madrelingua, e al contempo di
spostare il focus del dibattito anche su altri aspetti.
La capacità del docente, sia esso nativo o non nativo, di adeguarsi al contesto educativo
di riferimento è strettamente dipendente dai recenti cambiamenti storico-sociali cui si è
fatto cenno nelle righe precedenti. Che il DNN abbia in comune con i suoi apprendenti la
stessa lingua madre non rappresenta infatti più una certezza, come invece accadeva in
passato, e ciò perché i recenti flussi migratori, che hanno interessato tanto l’Europa quan-
to altre parti del mondo, generano ormai classi plurilingui e pluriculturali.
Parallelamente, tali cambiamenti hanno fatto perdere al parlante nativo la sua “univoci-
tà”, se si considera ad esempio il numero sempre più elevato di soggetti che crescono con
genitori di lingue diverse (sviluppando fenomeni di bilinguismo precoce), che conseguono
studi universitari fuori dal proprio paese o che si sono trasferiti all’estero ormai da tempo.
Inoltre, il concetto di “univocità” non riguarda i fenomeni connessi solo alla lingua ma an-
che quelli associati alla cultura di origine, che può rischiare di perdersi se il soggetto non
intrattiene forme di contatto con il proprio Paese (tramite mass media o connazionali) che
gli consentono di restare al passo con le evoluzioni culturali.
Oltre a quanto esposto finora, è necessario rimarcare un ulteriore aspetto messo in evi-
denza da alcuni contributi italiani che hanno trattato la questione (Diadori 2018). Le ri-
flessioni elaborate a partire dagli anni ’90 attorno alla figura dei DN e DNN hanno posto
in luce i loro punti di forza e debolezza in termini di metodologia ed efficacia didattica,
trascurando altri fattori legati alle caratteristiche personali del docente, fra cui l’età, la
personalità, la cultura, la formazione ed esperienza didattica. Indipendentemente se na-
tivo o non nativo, un docente può essere un neolaureato con un incarico temporaneo o
un adulto incardinato presso un ente formativo, può essere empatico e garantire un clima
sereno in classe o introverso e adottare uno stile di insegnamento più formale, può risul-
tare in possesso di un elevato grado di scolarizzazione o dedicarsi all’insegnamento come

Insegnare il lessico 177


forma di volontariato, può aver iniziato da poco a insegnare conseguendo però esperienze
in contesti differenti o avere una lunga carriera alle spalle insegnando sempre a studenti
con lo stesso livello di competenza, può non disporre di una formazione in didattica dell’i-
taliano L2 o aver conseguito titoli specifici in tale settore (quali dottorato, master, specia-
lizzazione, certificazione di competenza in didattica).
In sintesi, la questione è più complessa di quanto appare e necessita di una valutazione
di ciascun singolo caso, dal momento che ogni docente presenta caratteristiche e back-
ground culturali diversi. Certo, essere nativi o conoscere bene la nostra lingua è in en-
trambi i casi un ottimo punto di partenza, ma non basta per facilitare l’acquisizione da
parte degli apprendenti stranieri. Appare necessario, a nostro avviso, affiancare a tali basi
ulteriori saperi e abilità pratiche, a completamento di una figura cui al giorno d’oggi sono
richieste competenze professionali sempre più specializzate.

16.3. Metodologia di analisi


Il Corpus CLODIS2 che abbiamo utilizzato come fonte per i dati della nostra ricerca è com-
posto da un’ampia e significativa quantità di registrazioni (oltre 150 sequenze) di parlato
del docente in classi di italiano a stranieri, allo scopo di focalizzarne alcuni aspetti dal pun-
to di vista linguistico e glottodidattico.
I brani sono stati raccolti in contesti di insegnamento dell’italiano come lingua non mater-
na che si differenziano in base al luogo (in Italia e all’estero), al tipo di istituzione (scuola
dell’obbligo di primo e secondo grado, università, scuole private, associazioni, centri per
l’accoglienza degli immigrati), all’età dei destinatari (bambini, adolescenti, adulti e senior)
o agli scopi dell’apprendimento (materia curricolare nella scuola, corsi Erasmus, corsi per
immigrati, corsi per adulti all’estero).
Obiettivo della ricerca CLODIS a cui si ispira anche la nostra, è quello di mettere in luce
(seguendo il filone di studi sul parlato istituzionale e l’approccio etnometodologico dell’a-
nalisi della conversazione) il tipo di input multimodale a cui sono esposti gli studenti di
italiano per stranieri nelle diverse realtà di insegnamento. In particolare, il teacher talk
viene analizzato durante specifici momenti didattici e funzioni comunicative realizzate dal
docente nelle seguenti situazioni, dare istruzioni, fornire spiegazioni, correggere errori,
impiegare tecniche per favorire l’interazione, utilizzare strategie di trasparenza3.
Dopo aver selezionato le sequenze di interesse per l’analisi, i brani sono stati trascritti
secondo il sistema notazionale di Jefferson (1985) e successivamente sono stati analizzati
i risultati dal punto di vista della lingua (una varietà di lingua modificata definita dalla co-
munità scientifica teacher talk) e dell’approccio glottodidattico adottato dai docenti.
Per la nostra ricerca, come già anticipato, ci siamo occupati dell’analisi quantitativa e qua-
litativa di sequenze tratte dalla banca dati CLODIS con l’obiettivo di creare un sottocorpus
2 Tale corpus rientra nel Progetto CLODIS (Corpus di Lingua Orale dei Docenti di Italiano per Stranieri) sul parlato del do-
cente nelle classi di lingua italiana per stranieri. Questo progetto di ricerca è stato ideato e diretto da Pierangela Diadori
e riguarda gli studi sulla gestione della classe effettuati all’interno del Centro DITALS dell’Università per Stranieri di Siena.
3 Si ringraziano tutti coloro che hanno dato la disponibilità alle videoregistrazioni, in particolare i docenti analizzati nella
presente ricerca.

178
Parte III - Capitolo 16

omogeneo che mettesse in risalto il tipo di lessico utilizzato dai DN vs quello dei DNN.
Come funzioni comunicative, abbiamo ritenuto significativo focalizzare la nostra attenzio-
ne sulle categorie relative alle strategie di trasparenza. A tal fine abbiamo quindi preso in
considerazione i parametri riportati di seguito:
• Sottocorpus,
12 videolezioni di italiano a stranieri, tenute da DN; 12 videolezioni di italiano a stra-
nieri, tenute da DNN; durata, da 10 a 20 minuti per ciascuna sequenza; profilo di
apprendenti, adulti (età dai 18 in avanti); livelli di competenza in riferimento al QCER.
• Per le classi con DN,
2 videolezioni di liv. A1, 2 di liv. A2, 2 di liv. B1, 2 di liv. B2, 2 di liv. C1, 2 di liv C2.
• Per le classi di DNN,
3 videolezioni di liv. A1, 3 di liv. A2, 3 di liv. B1, 2 di liv. B2, 1 di liv. C1. Non è stato pos-
sibile rilevare dati in classi di livello C2 all’estero in cui insegnassero DNN.
• Profilo DN (rilevato attraverso scheda informativa),
fascia di età, 28-55 anni,
formazione specifica in area glottodidattica, 6 su 12,
esperienza di insegnamento in classi di italiano L2, min. 3 – max. 25 anni.
• Profilo DNN (rilevato attraverso scheda informativa),
fascia di età, 25-60 anni,
formazione specifica in area glottodidattica, 3 su 12,
esperienza di insegnamento in classi di italiano L2, min. 1 – max. 30 anni,
livello di competenza linguistico-comunicativa (autodichiarata in conformità ai livelli
del QCER), min. B1 – max. C2.
• Modulo di partenza, strategie di trasparenza.
Per quanto riguarda l’analisi, dopo aver visionato il filmato e la relativa trascrizione ab-
biamo proceduto cercando di inquadrare le caratteristiche del lessico adottato dal DN e
DNN seguendo i parametri già individuati da precedenti modelli scientifici di riferimento in
questo ambito di studi (Diadori et al. 2007, 2008; Diadori 2015; Grassi 2007; Villarini 2011;
La Grassa 2016; Troncarelli 2016) e su cui abbiamo realizzato una stessa grigia di analisi
per i DN (cfr. Appendice 1) e i DNN (cfr. Appendice 2). Dopo una prima sperimentazione
su alcune sequenze abbiamo dunque ritenuto valido il modello che proponiamo qui di
seguito, con i criteri di analisi suddivisi in 10 categorie,
1. ripetizioni (nella stessa frase)
2. riformulazioni (parafrasi o esplicitazioni)
3. interiezioni improprie
4. sinonimi/antonimi
5. iponimi/iperonimi
6. ricorso a LM o LP
7. coniazione di nuove parole
8. correttezza morfologica – assenza (A) o incertezza (I)
9. lessico + CNV
10. CNV in sostituzione di lessico

Insegnare il lessico 179


Per dare conto in modo più chiaro del lavoro realizzato nello spoglio e nell’analisi delle
occorrenze, proponiamo un esempio di trascrizione del parlato con sistema notazionale
Jefferson (1985),
ins, non ho visto o non ho veduto eh, tutte e due (0.2) non ho visto eh, tu non hai visto la
mamma (.) bene. Jacleen che cosa hai dato alla mamma?
stud 3, eh, ho dato, un (.) braccio insun braccio? ((indica il braccio))
classe, ((risate))
ins, sei brava figlia ((tono ironico)) un braccio? stud 3, un braccio, I mean,
ins, sì questo è il braccio sinistro, allora il braccio sinistro? tu hai le braccia qui, oh, come
si dice? ((congiunge le braccia per indicare il gesto dell’abbraccio))
classe, un abbraccio ((voci confuse e risate))
ins, un ABBRACCIO (.) hai dato un abbraccio alla mamma (.) ho capito, meglio di un brac-
cio ((tono ironico)) questo è un po’ drammatico, meglio un abbraccio
classe, ((risate))
ins, un abbraccio.

16.3.1 I dati della griglia di osservazione del DN


Il primo parametro della griglia di osservazione sui DN con cui abbiamo rilevato la presen-
za di ripetizioni di una o più parole nella stessa frase, ha fornito dati decisamente positivi,
8 DN su 12 ripetono, anche più volte nello stesso enunciato, la medesima parola per dare
istruzioni (“Leggi”, “Scrivi”, “Spiega”), fare domande sul contenuto presentato (“Dove?”,
“Come si dice?”, “Cosa diciamo?”) o per mostrare qualcosa (“Eccole”).
Il secondo parametro, relativo alla riformulazione di parole, espressioni o concetti forse
poco chiari per gli studenti totalizza una presenza quasi assoluta di DN (11 su 12) che
esplicitano, riformulano e cercano di spiegare ciò che non sembra essere chiaro alla clas-
se o a parte di essa. Questa strategia si palesa a tutti i livelli del QCER, per cui possiamo
affermare che le riformulazioni non si limitano a competenze linguistiche di base. Tra le
occorrenze più significative troviamo, “Abbiamo rappresentate 4 ragazze” > “Ci sono 4 ra-
gazze”, “Planisfero” > “Terra”; “Vuoi indicare il tuo paese?” > “Dov’è il Perù?”, “Superficie”
> “Grandezza”; e anche esempi di parlato meno formale come “Consolare” > “No dai, non
fare così. Tirati su”.
Il terzo parametro riguarda la presenza di interiezioni improprie, i DN fanno uso abbon-
dante di “Esatto”, “Ottimo”, “Perfetto”, “Bravo”, “Molto bene”, “Perfetto”, “Ok” e altre
formule di incoraggiamento dei flussi comunicativi in classe. Si riscontrano in totale 25
occorrenze di questo tipo di strategie all’interno del corpus di video con DN analizzato per
la nostra indagine.
Le categorie che inseriscono al loro interno i sinonimi e gli antonimi e quelle degli iperoni-
mi e iponimi (parametri 4 e 5) non hanno registrato alcuna occorrenza nel parlato dei DN
analizzati. Ci saremmo aspettati un ricorso a tali strategie di trasparenza nel teacher talk
visto che anche nell’italiano d’uso quotidiano è forte il ricorso a sinonimi (la nota variatio
della lingua italiana) e antonimi, ma alla luce dei dati non abbiamo riscontrato alcuna
occorrenza di tale tipo tra i DN, quindi possiamo affermare che le attese non sono state
confermate dai fatti.

180
Parte III - Capitolo 16

Il sesto parametro relativo all’uso di una lingua diversa dall’italiano nel teacher talk e dun-
que il ricorso alla lingua madre (LM) degli studenti o a una lingua ponte (LP – solitamente
l’inglese o il francese) vede la presenza, in soli due contesti didattici, di parole in francese.
In entrambi i casi sono classi di livello A1 in cui gli studenti sono alfabetizzati anche in
francese, si tratta infatti di corsi per immigrati nordafricani (tunisini, marocchini e algerini)
e i docenti che conoscono la stessa lingua, vi fanno ricorso, sporadicamente, per chiarire il
significato di alcune parole e concetti chiave.
Il parametro 7, relativo alla coniazione di nuove parole, nel caso del parlato dei DN rimane,
“fortunatamente”, vuoto.
Nella colonna del parametro della correttezza morfologica (parametro 8) abbiamo riscon-
trato un unico caso di assenza di accordo soggetto + verbo “C’è due situazioni” in cui pre-
sumibilmente il docente si è rifatto a un uso colloquiale della lingua o si è trattato di un
cambiamento di prospettiva nella formulazione del suo discorso, alla situazione di parten-
za se n’è aggiunta una seconda che è venuta fuori repentinamente. Come ci aspettavamo
anche prima dello spoglio dei dati, i parametri 9 e 10, relativi all’uso di comunicazione non
verbale, registrano un alto numero di occorrenze. Si inseriscono in tale definizione tutte
le mosse di mimica facciale, i gesti del corpo, della testa, gli applausi e, oltre a ciò, anche
grafia e disegni alla lavagna.
Nella presente indagine abbiamo ritenuto opportuno analizzare sia quando si realizzano
come occorrenze sia quando avvengono nelle loro occorrenze di parlato + CNV (parame-
tro 9) sia in modo autonomo (parametro 10). Abbiamo riscontrato che la comunicazione
verbale in parallelo a quella non verbale è meno frequente dell’altra perché registra 17
occorrenze in tutto il corpus analizzato, mentre la CNV disgiunta dal parlato vede 20 occor-
renze di cui, però, è bene sottolineare che 11 su 17 sono rappresentate dal gesto del dito
indice del docente che punta la mano verso la lavagna. Alcuni gesti significativi che abbia-
mo riscontrato nei vari contesti didattici sono inseriti tra i gesti convenzionali della lingua
italiana come nel caso delle quantità e dei deittici spaziali, l’elenco dei nomi dei mesi + dita
della mano; le dita per indicare il numero 6; il dito puntato verso l’ascoltatore per indicare
“tuo”. Nel nostro corpus se ne trovano anche altri più “creativi” ma comunque di chiaro
intento esplicativo come “Sfogliare” + gesto delle mani sulle pagine di un libro o un giorna-
le”; “braccia incrociate” per spiegare “pigro”; “Pressappoco” + movimento mani oscillanti.

16.3.2. I dati della griglia di osservazione del DNN


Il primo parametro della griglia di osservazione, funzionale al rilevamento di ripetizioni di
una o più parole nella stessa frase, ha fornito dati abbastanza positivi, 6 DNN su 12 (per
un totale di 12 casi) dicono più volte e a distanza ravvicinata la stessa parola al fine di re-
alizzare diversi scopi, quali verificare la comprensione di un termine (“Capito?”), fornire
istruzioni (“Leggi”, “Fai un esempio”, “Fate così”), favorire l’interazione (“Cosa significa?”),
riempire pause e dare a chi ascolta il tempo di pianificare il proprio intervento successivo
(“Allora...”, “Adesso...”).
Il secondo parametro, strettamente correlato al primo, riguarda la riformulazione di parole,
concetti e brevi espressioni che il docente percepisce non essere stati compresi dagli studen-
ti o in merito ai quali questi ultimi chiedono maggiori delucidazioni. Tale parametro presenta

Insegnare il lessico 181


dati simili al precedente, 6 DNN su 12 (per un totale di 6 casi) esplicitano il significato di
quanto non capito dalla classe, attraverso spiegazioni più semplici e dettagliate (es. “Fare la
corte. Mi piace una persona e la invito a uscire”, “Tartaruga? È l’animale che va piano”). Con-
formemente al primo, anche il parametro in oggetto non sembra essere una caratteristica
esclusiva del parlato del docente che opera con discenti in possesso di un livello elementare
di competenza della lingua. Difatti, risultano assenti riformulazioni in 2 videolezioni di livello
A1 e in 1 videolezione di livello A2, al contrario risulta presente una riformulazione in 1 vide-
olezione di livello C1 (“Furberia? È quando cerco di aggirare le regole”).
Il terzo parametro riguarda la presenza di interiezioni improprie e restituisce un dato favo-
revole, in quanto quasi tutti i DNN (10 su 12) utilizzano, anche più volte e in forma diversa,
31 formule (es. “Bravo”, “Molto bene”, Perfetto”, “Giusto”) attraverso cui incoraggiano le
performance degli apprendenti e in generale il progredire del lavoro svolto in classe. Da
segnalare come tali interiezioni siano tutte caratterizzate da intonazioni foniche ascen-
denti, aventi lo scopo di focalizzare al meglio la funzione espressiva che le interiezioni in
questione intendono esprimere.
Al contrario dei dati ottenuti in riferimento ai primi tre parametri, quelli relativi al quarto
parametro appaiono meno rassicuranti. Nessuno dei 12 DNN presi in esame ritiene neces-
sario ricorrere all’uso di sinonimi/antonimi durante le proprie lezioni, nonostante alcune
circostanze (venutesi a creare soprattutto in classi di livello elementare) lo avrebbero forse
reso necessario. È noto, infatti, come la riformulazione di parole in altre più semplici a li-
vello morfologico, più frequenti nella comunicazione sia scritta che orale o più adeguate al
livello di competenza linguistica degli studenti, faciliti la comprensione. Una possibile spie-
gazione di questo mancato ricorso a sostituenti potrebbe ricondursi al bagaglio lessicale
dei DNN che, secondo ricerche condotte su DNN di inglese (Merino 1997), è composto da
circa 400.000 occorrenze, non certamente paragonabili a quelle di un DN.
I dati raccolti dalla visione delle videoregistrazioni e dalla lettura delle relative trascrizioni
non cambiano di molto in merito al quinto parametro, 1 DNN su 12 utilizza per un livello
A1 1 iponimo (“Abete” > pianta) e sempre 1 DNN su 12 utilizza per un livello A2 1 ipero-
nimo (“Uccello” > pollo). Come specificato nelle righe precedenti a proposito di sinonimi
e antonimi, riteniamo che l’esplicitazione sia di unità lessicali la cui estensione è minore
rispetto ad altre, sia di unità lessicali di significato più generico rispetto ad altre, rappre-
senti una strategia efficace per garantire la corretta comprensione dei termini affrontati
in classe e, di conseguenza, favorire lo sviluppo della competenza lessicale dei discenti.
Le informazioni ottenute per ciò che concerne il sesto parametro restituiscono un dato
che riteniamo in linea di massima atteso, 9 DNN su 12 utilizzano la lingua madre dei propri
apprendenti, con frequenza differente e non sempre con funzione di adeguamento alle
competenze degli interlocutori. Sono infatti riscontrabili percentuali medio-alte di uso del-
la lingua madre anche a livelli intermedi e avanzati (50% in classe B1 con studenti cinesi,
35% in classe B1 con studenti tedeschi, 30% in classe B2 con studenti olandesi, 25% in clas-
se B2 con studenti turchi, 10% in classe C1 con studenti francesi). Nullo, invece, il ricorso a
una lingua ponte, il che farebbe presupporre che DNN e studenti, come accade nella quasi
totalità delle volte, abbiano in comune la stessa lingua madre4.

4 Le percentuali sono state calcolate in base al numero di parole del docente nella LM degli studenti rispetto al numero
totale di parole pronunciate dal docente durante l’intera sequenza analizzata.

182
Parte III - Capitolo 16

Il settimo parametro, anch’esso in parte atteso in riferimento ai DNN, è incentrato sulla co-
niazione di nuove parole, fattore che interessa 5 docenti su 12. Alcune di tali parole appaio-
no frutto dell’influenza della lingua madre del docente (es. “Muscolatore” – inglese; “Han-
no cambriolato” – francese), altre invece della sua “fantasia” o comunque del suo tentativo
di avvicinarsi, per quanto possibile, con la parola pronunciata a quella originaria italiana (es.
“Ingiallazione” > ingiallimento, “Gigantamento” > aumento gigantesco). Ad ogni modo, le
parole coniate (che non suscitano perplessità da parte degli studenti, nemmeno di quelli di
livello B1) sono probabilmente sintomatiche di una competenza non molto avanzata della
nostra lingua da parte dei DNN presi in esame dalla presente indagine.
Quest’ultima ipotesi troverebbe peraltro conferma nei dati ottenuti in relazione all’ottavo
parametro, che rivela come 10 DNN su 12 producano errori di natura morfologica. Più in
dettaglio, 8 DNN commettono rispettivamente 8 errori in termini di “assenza di correttezza
morfologica” (es. “Rimpianto è parola nuovo”), 2 DNN compiono in totale 3 errori in ter-
mini invece di “incertezza di correttezza morfologica” (es. “Saltate una rega” > saltate una
riga). A proposito di tali errori, si fa presente come essi non siano seguiti in alcun caso né
da reazioni da parte dei discenti, né da autocorrezioni estemporanee da parte dei docenti
che li hanno compiuti.
Quanto emerge dall’analisi della griglia per ciò che concerne il nono parametro è decisa-
mente indicativo di come quasi tutti i DNN (10 su 12, per un totale di 28 casi) affianchino
alle loro parole codici non verbali, rappresentati nella quasi totalità delle videolezioni da ge-
sti. Questi ultimi sono usati con tre funzioni differenti, la prima, per rimarcare il significato
di quanto si sta dicendo, al fine di porlo maggiormente in risalto (es. “Contrario” + braccia
che si incrociano – per un totale di 11 casi); la seconda, per far comprendere meglio la mo-
dalità di scrittura (e, dunque, anche il significato) di singole parole che si stanno dicendo
(es. il docente scrive alla lavagna le parole e contemporaneamente le legge – per un totale
di 7 casi), la terza, per mettere in evidenza parti del discorso (es. il docente indica con il dito
parole già scritte alla lavagna – per un totale di 5 casi). Da segnalare, inoltre, il caso di 1
docente che integra il proprio linguaggio fornendo significati aggiuntivi, attraverso il ricorso
ad onomatopee, egli fa seguire a 7 nomi di animali da lui pronunciati i rispettivi versi, chie-
dendo poi alla classe di indovinare per ciascun suono emesso l’animale corrispondente.
Se il nono parametro punta a rilevare l’eventuale presenza di parole in combinazione a
codici non verbali, il decimo parametro mira invece a porre in luce se e quanti DNN usino
codici non verbali in sostituzione di parole. Con riferimento alla nostra indagine, 7 DNN su
12 (per un totale di 11 casi) ricorrono a tale espediente. Di questi 7, 4 DNN utilizzano gesti
esplicativi con l’obiettivo di testare il lessico della classe e al contempo stimolare una sua
partecipazione allo svolgimento dell’attività (4 casi). Tali gesti risultano immediatamente
comprensibili agli apprendenti di vari livelli di competenza, come si può dedurre dalle loro
risposte agli stimoli forniti (es. braccia all’indietro > risposta, “Passato”; gesto del collo
lungo > risposta “Giraffa”, braccia allargate e bocca gonfia > risposta, “Grasso”; gesto con
la mano per simulare la cornetta > risposta, “Telefonata”). In 2 casi 2 DNN rispondono con
un gesto a rispettive 2 domande poste dalla classe (pollice in alto per esprimere esattezza
e scuotimento della testa per indicare negazione). In ultimo, 1 DNN indica alcune parole
scritte alla lavagna, al fine di richiamarne l’attenzione e favorirne la lettura da parte della
classe, agevolando così lo svolgimento dell’esercizio proposto in quel momento.

Insegnare il lessico 183


16.4. Riflessioni conclusive
Alla luce di quanto delineato in precedenza e grazie a un’attenta analisi delle occorrenze
rintracciate tramite l’esame della banca dati in versione multimodale (video e trascrizioni),
possiamo affermare che nel lessico dei DN si riscontra
• un’alta propensione a riformulare parole o concetti che non sono stati compresi (11 casi
su 12);
• l’uso frequente di interiezioni improprie (8 casi su12);
• il ricorso nullo alla lingua ponte (LP) e molto raro è anche il caso di ricorso alla lingua
madre (LM) degli apprendenti (2 casi su 12);
• un’alta frequenza di accostamento del lessico alla comunicazione non verbale - CNV (9
docenti su 12 con 17 occorrenze);
• una discreta presenza di CNV in sostituzione del lessico (7 docenti su 12 con 20 occor-
renze).

Per quanto riguarda invece il lessico dei DNN abbiamo riscontrato


• un ricorso frequente a riformulazioni (5 casi su 12);
• un alto uso di interiezioni improprie (10 casi su 12);
• un ricorso molto frequente alla lingua madre degli studenti (9 casi su 12), che tende, per
ovvi motivi, a diminuire a livelli più alti;
• la coniazione di nuove parole (5 casi su 12), influenzata dalla LM;
• un’alta presenza di imprecisioni morfologiche (10 casi su 12);
• un’alta frequenza di accostamento lessico alla comunicazione non verbale CNV (10 casi
su 12);
• una discreta presenza di CNV in sostituzione del lessico (8 casi su 12).
Ci auguriamo di poter proseguire il nostro studio in questo ambito di ricerca così da contri-
buire all’analisi del lessico e della percezione degli studenti nei confronti del teacher talk.
In quest’ottica, le fasi di un possibile follow up potrebbero prevedere la somministrazione
di un questionario per analizzare la percezione degli studenti nei confronti di DN e DNN e,
in particolare, per un confronto più scientifico, sarebbe auspicabile trovare apprendenti
che hanno seguito le lezioni di entrambe le tipologie di insegnanti.
Si potrebbero poi confrontare i risultati ottenuti dalla nostra ricerca con la European Profi-
ling Grid – EPG, per stabilire il livello di sviluppo dei DN e DNN relativamente al parametro
“consapevolezza linguistica”. Oltre a ciò, sarebbe utile verificare l’adeguatezza del lessico
utilizzato dal docente rispetto al livello di competenza degli apprendenti (in riferimento
anche a ulteriori fonti come il Lessico dell’italiano parlato-LIP, il Sillabo di italiano per stra-
nieri, ecc.).
L’ambito di ricerca è molto ampio e merita di essere approfondito perché utile sia per la
formazione dei docenti sia per le ricadute sull’insegnamento glottodidattico e su tutti co-
loro che operano nel campo della didattica dell’italiano a stranieri.

184
Parte III - Capitolo 16

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Insegnare il lessico 185


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186
DN 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

video n. 1 “Leggi”(2) “Abbiamo rappresentate bene (2) LM (1 “No”+ scuotimento testa dita per indicare il nume-
4 ragazze”• “Ci sono 4 perfetto (1) parola in (1) ro 6 (1)
ragazze”(1) francese)

video n. 2 “Vuoi indicare il tuo LM (2 “Pressappoco” + movi-


paese?”• “Dov’è il Perù?”; parole in mento mani; “Sfogliare” +
“Superficie”• “Grandezza”; francese) mani; elenca mesi + dita
“Planisfero”• “Terra”(3) della mano (3)

video n. 3 “Eccole”(2) “Ripetere”• “Per non dire di bene (1) “Primo dialogo”+ dito; “Col-
nuovo”(1) esatto (1) leghiamo”+ braccio; “Gira
ottimo (1) pagina”+ mano (3)

video n. 4 “Dove?”(2) “A che ora?”• “Quando?”; “Ombrello”+ gesto mano; dito per indicare “No”
“Attivo”• “Fa tante cose”(2) “Insomma”+ gesto mano; (1)
“Salire e scendere”+ gesto
mano (3)

video n. 5 “In questo “Riferire”• “Lasciare un brava (2) “C’è 2 dito per indicare parole
caso”(2) messaggio per qualcuno” perfetto (1) situazioni, uno è...” scritte alla lavagna (11)
(1) bene (1) (1 A)

video n. 6 “Staccare la spina”• bene (3) “Vieni qui alla lavagna” + braccia incrociate per
“Riposare; “Praticare sport” dai (1) gesto mano (2) spiegare “pigro” (1)
Appendice

• “Fare sport”(2) perfetto (1)

video n. 7 “Chi legge?” “Infanzia “• “Quando erava- wow (1) “Passato”+ braccia all’in-
(2) mo piccoli”(1) bravo (1) dietro (1)

video n. 8 “Sintesi”• “Perdiamo il filo” + mano; braccia che si uniscono


“Riassunto”(1) “Solo parole che noi cono- per indicare “a coppie” (2)
sciamo”+ mano al
petto (2)

video n. 9 “Cosa “Come vi sembra?” • bene (1) Scrive e legge 5 parole alla mani che girano per
diciamo?”(2) “È così?”(1) ok (1) lavagna (1) incentivare l’interaz. (3)

video n. 10 “Consolare”• “No dai, non bravo (1) “Eravate”+ braccio all’in- dito per indicare “tuo”
fare così. Tirati su”(1) bene (1) dietro (1) (1)

video n. 11 “Come si bravo (2)


dice?”(2) bene (1)

Insegnare il lessico
video n. 12 “Scrivi”(3) “Supplemento”•
“Spiega”(2) “Quota in più”(1)
Parte III - Capitolo 16

187
188
DNN 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
video n. 1 bravo (2) LM “Ingiall “Faccio studentessa“ Legge + indica parole pollice in alto per
liv. A1 – inglese ottimo (1) inglese azione” (1) (1 A) alla lavagna (3) dire “Giusto!” (3)
perfetto (1) (95%)
video n. 2 bene (4) “L’abete è LM “Gigant “Che fai per Legge + indica parole indica parole alla
liv. A1 – bravo (2) una pianta“ spagnolo amento” (1) colazione?“ alla lavagna (2) lavagna (3)
spagnolo (1) (10%) (1 I)
video n. 3 “Ok?” (2) “Una cosa falsa è bene (3) “Musco “Andare nella “Abbraccio“ + gesto braccia all’indietro
liv. A1 – inglese dire una brava (2) latore” (1) spiaggia“ con due braccia (2) per indicare il
bugia“ (1) (1 A) passato (1)
video n. 4 “Fate così” “Tartaruga? È giusto (2) LM “Una femmina a chi Nomi animali + gesto del collo per
liv. A2 – turco (2) l’animale che va perfetto (2) turco piace“ (1 A) onomatopee per i rappresentare la
piano” (1) (40%) loro versi (5) giraffa (1)
video n. 5 bene (2) “Uccello“ • “Hanno Scrive + legge alla
liv. A2 – “Pollo“ (1) cambriolato” lavagna nomi di
neerlandese (1) animali (7)
video n. 6 “Leggi” bene (2) LM “Le nomi diversi“ (1 A) “Per me“ + mano al
liv. A2 – coreano (2) coreano petto (3)
(60%)
video n. 7 “Fai un “Rimpianto“ • “Per LM “Rimpianto è parola scuote testa per dire
liv. B1 – cinese esempio” esprimere occasioni cinese nuovo” “No” (1)
(2) mancate”(1) (50%) (1 A)
video n. 8 “Fare la corte“ bene (2) “Tu fai “Vi ricordate con chi “Contrario“ + incrocia muove dita per
liv. B1 – inglese • “Invitare a bravo (1) sognolin i?” lavori?“(1 A) braccia (1) indicare virgolette (1)
uscire”(1) (1)
video n. 9 “Cosa “Domestiche“ molto bene LM “Vieni qui“+ gesto allarga braccia e
liv. B1 – tedesco significa?” • “Della casa”(1) (1) tedesco mano ; “Aspetta“+ gonfia bocca per dire
(2) (35%) mano aperta (2) “grasso” (1)
video n. 10 “Capito?“ bene (2) LM “Vorrei che prendete“ “Pitturare“ + gesto
liv. B2 – (2) neerland (1 A) del pennello con
neerlandese ese mano; “Qui“ + dito in
(30%) basso (2)
video n. 11 LM “I diversi professioni“ “Scattare“ + gesto di gesto dita e mano
liv. B2 – turco turco (1 A) scattare una foto (1) per indicare
(25%) telefonata (1)
video n. 12 “La furberia“ • “Cerco d’accordo LM “Saltate una rega“ (2 I)
liv. C1 – di aggirare le regole“ (2) francese
francese (1) (10%)
Parte III - Capitolo 17

17. Arricchimento del lessico di italiano L2.


Tecniche per la classe ad abilità differenziate
di Francesca Della Puppa
Laboratorio Itals, Università Ca’ Foscari di Venezia
Tratto da Bollettino Itals, 2020, n. 82

17.1. Fondamenti teorici dell’insegnamento lessicale


Vogliamo introdurre il percorso che abbiamo condotto sull’espansione lessicale a partire
dall’indagine internazionale PIRLS1 (Progress in International Reading Literacy Study) del
2016 che analizza le capacità di lettura dei bambini delle classi quarte e che ha situato
l’Italia al sedicesimo posto in una lista di 50 paesi, un risultato migliore rispetto a quello
della Spagna e della Francia, ma che ci vede ancora lontani dai primi posti.
Se, come sottolineano Krashen e Terrell (1983, p. 55)
Acquisition depends crucially on the input being comprehensible. And comprehensibility is
dependent directly on the ability to recognize the meaning of key elements in the utterance.
Thus, acquisition will not take place without comprehension of vocabulary,

ci siamo chiesti se e quanto siano effettivamente comprensibili i testi che i bambini leggono
nella scuola primaria e su cosa si possano basare le difficoltà di lettura che incontrano. I
lavori di ricerca di Falaschi, Bigozzi e Limberti (2012) evidenziano come attraverso una co-
difica profonda relativa al significato e una codifica superficiale relativa alle proprietà fono-
logiche sia possibile stimolare i processi di costruzione del lessico per prevenire difficoltà
di apprendimento di lettura e scrittura e, in base a tali studi, abbiamo ipotizzato che po-
tenziando le attività didattiche mirate all’espansione lessicale si sarebbe potuto facilitare il
processo di comprensione dei testi e migliorare la fluidità nella lettura. Generalmente, però,
i libri di testo delle scuole primarie non sono particolarmente forniti di attività specifiche
sull’ampliamento e l’arricchimento lessicale, mentre sono più orientati a semplici attività di
comprensione dei testi, ad esempio, esercizi di vero/falso, scelta multipla, completamento.
La riflessione sulla lingua, spesso trattata in una sezione a parte, punta principalmente alla
morfo-sintassi e a rinforzare le competenze ortografiche, scorporando tale attività dal lega-
me intrinseco con il lessico e continuando, così, in qualche modo, a sostenere la visione della
lingua come di un sistema grammaticale provvisto di un lessico, piuttosto che di un insieme
di lessico grammaticalizzato come sostiene invece Lewis nel suo The Lexcal Approach (1993).
Ma, chiariamo, come specifica Cardona (2004), che l’approccio lessicale non crea una frat-
tura nei confronti dello studio della grammatica, si propone semplicemente come una
diversa prospettiva teorico-operativa che colloca il lessico al centro della metodologia di-
dattica. Il grande equivoco ancora presente nella scuola, dal nostro punto di vista, è che
mentre quando si parla di lingue straniere le attenzioni verso lo sviluppo delle competenze
lessicali sono già entrate nelle buone pratiche didattiche, quando si parla, invece, di italia-
1 Per approfondimenti consultare il sito invalsi.it alla voce Ricerche Internazionali\PIRLS 2016.

Insegnare il lessico 189


no L2 si dia per scontato che la competenza comunicativa acquisita intorno al livello soglia
(B1) sia sufficiente per la comprensione dei testi, soprattutto di quelli delle prime classi, in
quanto brevi e semplici, e, di conseguenza, sia sufficiente anche per poter condurre in au-
tonomia le attività di comprensione senza particolari difficoltà e che, quindi, l’attenzione
didattica debba andare spostata sull’esplicitazione delle regole grammaticali e di struttu-
razione dei testi in produzione scritta.
Vogliamo sottolineare anche il fatto che parlare di lessico non significa semplicemente
riferirsi alla conoscenza e alla comprensione delle parole, la competenza lessicale, infatti,
è costituita anche da sotto-competenze,
- la competenza linguistica
che riguarda la conoscenza degli aspetti morfosintattici, ossia la forma delle parole, ma
anche gli aspetti relativi all’ortografia e alla pronuncia;
- la competenza discorsiva
ossia i rapporti logico semantici tra le unità lessicali, la conoscenza delle co-occorrenze e
delle collocazioni, delle regole di coerenza e coesione all’interno del testo;
- la competenza referenziale
che riguarda la conoscenza del mondo e l’enciclopedia. Consente di attivare schemi e
script sui quali si basano i processi di inferenza, attivando il lessico corrispondente a
determinati domini di esperienza;
- la competenza socioculturale
che si riferisce alle scelte di registro in base al contesto comunicativo in cui si produce
l’atto linguistico. Questa competenza riguarda anche il valore culturale, affettivo e conno-
tativo delle parole in funzione delle griglie culturali proprie di ogni comunità linguistica;
- la competenza strategica
che riguarda la capacità di utilizzare strategie per risolvere problemi di comunicazione
in ordine al livello di conoscenza lessicale. Ad esempio saper utilizzare le informazioni
contestuali per inferire parole sconosciute o utilizzare strategie compensative in fase di
produzione laddove si presentino carenze lessicali.2
A sostenere ulteriormente l’attenzione da porre sulla competenza lessicale e le sue sot-
to-competenze troviamo anche Sobrero (2009, p. 218) che ha individuato chiaramente la
necessità di
curare l‘incremento della competenza lessicale fin dalle prime classi, aumentando l‘esposizione
del bambino a produzioni controllate (spiegazioni dell’insegnante, testi e filmati alla sua portata)
e a interazioni in lingua spontanee (coi compagni, con adulti), con l’occhio sia all’accessibilità del
lessico usato dal docente sia al significato di termini nuovi così come sono percepiti dal bambino.

Egli sostiene, inoltre, che


non basta conoscere le parole, bisogna possederle, cioè avere una competenza lessicale matura. [...]
Significa possedere un lessico in tutte e tre le sue dimensioni, ampiezza, profondità, automaticità.
L‘ampiezza è data dalla consistenza del patrimonio lessicale. La profondità è l‘insieme delle cono-
scenze connesse con ogni parola, la forma fonica, la forma grafica, la struttura morfologica, la com-
patibilità e la combinatoria sintattica, la pluralità dei significati (anche metaforici) e delle accezioni, le

2 Per approfondimenti: Cardona, 2004.

190
Parte III - Capitolo 17

relazioni di senso (sinonimi, antonimi, iperonimi), le combinazioni in strutture fisse, polirematiche...


L‘automaticità si ottiene quando la parola è stata inserita nella memoria a lungo termine. È
fondamentale, perché assicura al parlante la capacità di richiamarla, e utilizzarla, in qualunque
momento, non solo nell‘interrogazione del giorno dopo ma nel lungo periodo, che vuol dire
anche a distanza di mesi e di anni. Una competenza non avventizia ma radicata.

Quindi, vale la pena sia di incrementare la profondità del lessico con attività di riflessione e
di uso della lingua, così da far sviluppare nel bambino la percezione fisica della profondità
di ogni parola, la capacità e la voglia di controllare e di migliorare la propria competenza
lessicale; sia di sostenere l’automaticità, riutilizzando i lessemi di più recente apprendi-
mento, a distanza di tempo in contesti diversi. Ovviamente il tutto perfettamente in sin-
tonia con gli obiettivi didattici rivolti agli alunni italofoni che non possono che trarne un
grande vantaggio.

17.2. Una scelta essenziale, agire sul testo o agire sul lettore?
Una volta che si vuole affrontare la comprensibilità di un testo, come punto di partenza
per un lavoro di arricchimento e ampliamento lessicale, ci si trova di fronte a due strade
metodologiche, agire sul testo e agire sul lettore. Per agire sul testo si possono seguire i
criteri di scrittura controllata secondo i quali il lessico deve essere caratterizzato da termini
‘facili’3.
Riportiamo di seguito i criteri che dovrebbero essere seguiti perché un testo sia di facile
lettura (Zambelli 2014, p. 331)
- lessico appartenente per lo più al vocabolario di base;
- lessico disciplinare specifico riconoscibile e spiegato
- linguaggio figurato limitato;
- periodi brevi;
- periodi di struttura lineare;
- assenza – o scarsità – di forme a incastro all’interno del periodo;
- subordinazione limitata;
- pronomi e riprese anaforiche in genere dalla referenza riconoscibile;
- poche nominalizzazioni e comunque trasparenti;
- connettivi consueti.
Mentre per agire sul lettore, si possono individuare tre piste di facilitazione
a. l’attivazione-costruzione delle conoscenze implicite, necessarie per capire il testo, ciò
che si può definire ‘enciclopedia’ del lettore;
b. la formazione di strategie di lettura, funzionali a compensare una competenza lingui-
stica ancora incompleta;

3 I criteri di scrittura controllata sono stati elaborati da Piemontese in Piemontese M.E., Capire e farsi capire. Teorie e
tecniche della scrittura controllata, Tecnodid, Napoli, 1996.

Insegnare il lessico 191


c. lo sviluppo delle competenze linguistiche specifiche delle microlingue disciplinari, con
riferimento al lessico e alla morfosintassi.4
Oltre alle strategie di cui sopra, si possono unire stili di lettura diversi, così come riportato
da Pallotti (2000, p. 166)
lo sviluppo negli allievi stranieri “delle abilità di lettura sofisticate, che facciano uso di strategie
cognitive utili per ricavare il massimo delle informazioni da un testo, anche se non lo si riesce a
comprendere integralmente.

Infine, gli esercizi mirati allo sviluppo della padronanza lessicale possono riguardare l’ap-
prendimento a livello ricettivo di termini specifici come ad esempio riportato da Arici M.,
Cristofori S., Maniotti P. (2006, p. 41), “attività relative all’etimologia, alle definizioni, all’u-
so dei sinonimi e il riutilizzo corretto dei termini compresi attraverso attività di cloze, di
riscrittura di testi, di costruzione di testi.”
Per quanto ci riguarda, ci siamo orientati all’azione sul lettore, in quanto il contesto in cui
abbiamo operato non necessitava dell’utilizzo di testi semplificati o a scrittura controllata.

17.3. L’esperienza didattica, prime fasi di sviluppo


Quanto andremo a descrivere è nato, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione di-
dattica non solo sulla comprensione del lessico, ma anche sul suo arricchimento in una
classe seconda della scuola primaria. La classe in cui è stata condotta la sperimentazione
era composta da 15 alunni di cui 5 stranieri o nati da genitori stranieri o nati da genitori di
cui uno straniero provenienti da Cina, Moldavia, Albania e Panama. Tra questi alunni, uno
solo poteva essere definito neo-arrivato, gli altri sono nati e cresciuti in Italia.
Il gruppo classe ha manifestato sempre grande curiosità nell’ascoltare e leggere storie,
ma ci si è resi conto, col passare del tempo, che ci fosse una certa forbice tra bambini in
grado di comprendere e usare con sicurezza la quasi totalità del lessico e bambini la cui
comprensione si aggirava intorno al 50% e la competenza d’uso intorno al 25%. Dagli studi
di Krashen (1991) sappiamo che per avere dei progressi legati all’apprendimento linguisti-
co è necessario che ci sia una comprensione globale di almeno il 75% dell’input che viene
offerto. Quindi si è rilevato come bisogno formativo specifico quello di lavorare in modo
puntuale sulla comprensione e l’ampliamento del lessico. Tuttavia, essendo una classe con
le caratteristiche, a tutti gli effetti, di una Classe ad Abilità Differenziate (CAD), la seconda
esigenza è stata quella di progettare un percorso che rispondesse in modo efficace a tale
tipo di contesto, si è costruito, pertanto, un progetto didattico sul modello dell’Unità Dif-
ferenziata e Stratificata (Caon 2006).
Il percorso si è svolto per circa due mesi, da marzo a maggio 2019 con lezioni di due ore
una volta a settimana.
Ne riporteremo una sintesi in cui vi saranno le fasi iniziali che riteniamo siano state molto
importanti per cogliere le reali difficoltà di comprensione dei testi da parte dei bambini e
le fasi più specificatamente dedicate alle tecniche per classi CAD.

4 Per approfondimenti si veda Arici M., Cristofori S., Maniotti P., 2006.

192
Parte III - Capitolo 17

17.3.1. Modello di unità differenziata e stratificata


Il modello didattico dell’Unità Differenziata e Stratificata (da ora UDS) 5 prevede che ci sia-
no degli elementi ricorrenti e delle fasi che non sono rigidamente legate ad una sequenza
obbligata, seguendo una sorta di sviluppo circolare. La cosa importante è agire avendo
uno sfondo integratore comune che possa permettere a tutti gli alunni di sentirsi inclusi
nel processo. Dove si va ad agire per differenziare e stratificare sono alcune fasi di lavoro
in cui o viene dato un compito i cui obiettivi siano comuni ma le tecniche con cui realiz-
zarlo vengono stratificate nella difficoltà (dal più semplice al più complesso), oppure viene
dato un compito differenziato sia negli obiettivi sia nelle tecniche, più adatte ad una certa
tipologia di alunno o gruppo di alunni coinvolti. In questo modo si può lavorare anche su
materiali comuni o input comuni per poi, invece, aprire ad una didattica differenziata più
rispondente ai bisogni di apprendimento dei diversi alunni.
L’UDS che abbiamo condotto ha visto molti momenti di condivisione, soprattutto nella
fase iniziale del lavoro, mentre verso la fine sono state attuate attività diversificate in base
a quanto rilevato durante le fasi precedenti.

17.3.2. Avvio delle strategie di comprensione e memorizzazione


La prima lezione si è basata sulla lettura del racconto “Parole smarrite”6, dal libro di testo7.
Agli alunni si è richiesta una lettura individuale silenziosa per due volte, la prima per la
comprensione globale, la seconda per sottolineare le parole non comprese, così come gli
alunni sono stati abituati a fare fin dalle prime semplici letture della classe prima. Il testo
è stato sottoposto all’analisi di leggibilità Gulpease8 per avere dati comparabili al testo che
avremmo utilizzato successivamente ed è risultato con indice 68. Nella scala di leggibilità
Gulpease, come riportato in Piemontese (1996), i testi con leggibilità inferiore a 80 sono
difficili da leggere per chi ha la licenza elementare, inferiore a 60 sono difficili da leggere
per chi ha la licenza media, inferiore a 40 sono difficili da leggere per chi ha un diploma di
scuola secondaria di secondo grado.
Sono state, quindi, raccolte le parole sottolineate individualmente dai bambini si veda la
tabella 1:
Parole di cui gli alunni non conoscevano il significato
Dilagò
Generale
Infiocchettata
Ragioniere
Smarrite
tab. 1.

5 Una chiara sintesi del modello didattico si trova in Caon 2006: 142.
6 Tratto da Quarzo G., Dove sono le parole?, Emme Edizioni, Trieste, 1997.
7 Fattori N., Montini M.R., Il super Paper libro 2, Cetem, Milano, 2017, pp. 94-95.
8 L’indice Gulpease è una delle cinque formule realizzate nel 1988 nell’ambito delle ricerche del GULP (Gruppo Universitario
Linguistico Pedagogico) presso il Seminario di Scienze dell’Educazione dell’Università di Roma, con la supervisione

Insegnare il lessico 193


Gli alunni che conoscevano il significato delle parole, le hanno spiegate agli altri, sponta-
neamente, per alzata di mano, dopo di che sono rimaste le parole che non erano conosciu-
te da nessuno, ragioniere, dilagò e infiocchettata.
Per “dilagò” e “infiocchettata” si è proposto il metodo induttivo, osservare la parola e pro-
vare a riconoscere se in essa fosse contenuta un’altra parola riconoscibile. Gli alunni han-
no individuato le parole “lago” e “fiocco” e da queste si sono fatte ipotesi per associazione
di significati. Per la parola “ragioniere”, invece, è stato dato il significato in modo diretto
dall’insegnante, semplicemente riferendo la stessa al campo semantico delle professioni,
perché in questo caso usare il metodo induttivo, avrebbe potuto generare confusione (il
ragioniere non è semplicemente una persona che ragiona o che ha ragione!).
Quindi, prendendo spunto dal racconto letto insieme che invitava a salvare le parole che
altrimenti sarebbero potute finire all’ufficio “parole smarrite”, è stato introdotto l’uso del
dizionario personalizzato, ogni alunno avrebbe avuto un quadernone con i fogli bianchi
(né righe, né quadretti) per “salvare” ogni settimana almeno due parole. Per salvare una
parola ogni alunno avrebbe dovuto scriverla in modo corretto a livello ortografico, ag-
giungere una definizione e fare un disegno che potesse ricordarne il significato. Gli alunni
hanno accolto con entusiasmo la proposta.

17.3.3. Verifica della comprensione di un testo invalsi


Durante una lezione successiva è stata richiesta agli alunni la lettura silenziosa di una parte
del racconto delle prove INVALSI del 2017-20189 per la classe seconda della scuola pri-
maria. Si è scelto di lavorare su questo testo per verificare se gli alunni sarebbero stati in
grado di affrontare in autonomia una prova a cui sarebbero stati comunque sottoposti a
distanza di circa un mese. L’indice Gulpease era 57, il testo era leggermente al di sotto del-
la soglia minima di leggibilità della fascia delle scuole secondarie di primo grado (cfr. 3.2),
pertanto la difficoltà era oggettiva.
La consegna è stata quella usata per la lezione precedente, cioè leggere due volte e
sottolineare le parole sconosciute. In questo modo si andava a confermare una routine
procedurale; contemporaneamente, è stato fatto passare un foglio bianco in cui i bam-
bini avrebbero dovuto copiare le parole che avevano sottolineato, controllando che non
fossero già state scritte dai compagni che li avevano preceduti (si veda la tabella 2). In
questo modo la condivisione che la volta precedente era stata fatta oralmente solo per
alzata di mano, in questo caso ha coinvolto tutti, anche chi avesse trovato già scritte le
parole che avrebbe voluto proporre, avrebbe almeno dovuto fare un’attività di scanning;
inoltre, è avvenuto per tutti un rinforzo della lettura e della scrittura delle parole non
comprese. La tabella 2 è la seguente:

di Maria Corda Costa e Tullio De Mauro e in collaborazione con l’IBM Italia. La rilevazione dei dati utilizzati nella
costruzione dell’Indice Gulpease è stata effettuata nell’ambito di un seminario intercattedra, svolto tra il 1986 e il 1987
dalle cattedre di Filosofia del linguaggio e di Pedagogia dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza. Per
approfondimenti Lucisano, Piemontese, 1988.
9 ˂https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get=static&pag=esempi_prove_grado_2˃.

194
Parte III - Capitolo 17

Parole raccolte sul foglio


Affacciato Din Ingegnoso Semina
Allarme Dinnanzi Lentezza Sfiorò
Approfittando Disgraziato Logico Sicurezza
Avrò Fallimento Oscillante Solitaria
Babbo Fienile Particolare Sonnecchiava
Bestiaccia Frazione Pezzato Squittì
Calò Giocoliere Rischioso Tentativo
Cappio Grata Scacciare Terracotta
Compose Hum Scosse Zac
tab. 2.

Mentre girava il foglio, i bambini non impegnati in questa attività svolgevano il primo eser-
cizio di comprensione della prova nazionale, si veda figura 1:

fig. 1. Esercizio di comprensione della prova nazionale

Via via che i bambini finivano l’esercizio di comprensione, erano invitati a colorarne i dise-
gni. Il colore avrebbe fatto da cartina tornasole per verificare la comprensione delle parole
proposte dall’esercizio. Il disegno che è risultato più problematico da colorare è stato quel-
lo del fienile, perché rappresentava una parola sconosciuta a molti, infatti, è stato confuso
per il disegno di una fattoria.

17.3.4. Procedure e strategie di comprensione


Continuando il lavoro sul testo della prova INVALSI, si è chiesto ad una alunna italofona di
leggere a voce alta le seguenti righe,
Una casa solitaria in mezzo alla campagna, uomini e donne nei campi per la semina. Pomeriggio
di novembre, giorno di sole caldo. Un gatto bianco pezzato di nero sonnecchiava al sole sul mu-
retto di un pozzo, di fronte a un fienile.

Insegnare il lessico 195


L’alunna, durante la lettura, ha avuto delle difficoltà, la sua lettura non si è dimostrata fluen-
te, nonostante lo avesse letto silenziosamente due volte durante la lezione precedente. Alla
domanda dell’insegnante sul perché secondo lei avesse avuto queste difficoltà a leggerlo a
voce alta, lei ha risposto che era perché c’erano parole di cui non conosceva il significato. Le
parole che non aveva compreso erano le seguenti, fienile, semina, sonnecchiava.
Tutti gli alunni sono stati invitati a ripetere queste tre parole a voce alta, prima in modo
semplice, poi sillabandole battendo le mani a ritmo. L’alunna, quindi, è stata invitata a
rileggere il testo, la lettura è risultata più fluente.
A questo punto, sono state raccolte a livello di classe le frequenze delle sottolineature,
relative a questo frammento di testo, si veda la tabella 3:
Frequenze delle sottolineature della cinque parole non comprese
CC AP S S EP GB CB MP M LDL AM T AV X LB
L* P* T* T* N*
Fienile x x x x x x x x x x x
Pezzato x x x x x x x x x x x x x x x
Semina x x x x
Solitaria x x x x x x x
Sonnec-
x x x x x x x
chiava

tab. 3.

Come si può notare quattro alunni stranieri su cinque (alunni con asterisco) hanno avuto
quattro ricorrenze su cinque parole. L’alunno con cinque ricorrenze, invece, è italofono,
ma BES (colonna color giallo). L’alunna straniera con meno ricorrenze è originaria della
Moldavia.
Si è proceduto, quindi, all’analisi del testo attraverso le domande guida, “Dove? Chi?
Quando? Che cosa succede?”, applicando, in questo modo, quanto suggerito nel paragra-
fo 2 (Arici M., Cristofori S., Maniotti P. 2006, p. 41) e non volendo quindi utilizzare subito
la spiegazione diretta di ogni parola sconosciuta. Ciò che ci ha motivato a questa scelta
strategica è stata la convinzione di dover stimolare negli alunni delle procedure cognitive
che potessero rafforzare in loro l’autonomia.
Le risposte sono state raccolte nella tabella 4:
CHI? DOVE? QUANDO? CHE COSA SUCCEDE?
Uomini e donne Casa solitaria Pomeriggio Uomini e donne nei
Gatto bianco pezzato Campagna di novembre campi per la semina
di nero Giorno di sole caldo (manca il verbo)
Campi
Gatto sonnecchiava
Muretto del pozzo
Fienile
tab. 4.

196
Parte III - Capitolo 17

Gli alunni hanno trovato strano il fatto che ci fosse un’azione, in realtà, non espressa da un
verbo, ma attraverso la cosiddetta nominalizzazione
Uomini e donne nei campi per la semina.
La nominalizzazione è indicata in letteratura come un ostacolo nella comprensione del
testo, infatti, in merito alla semplificazione dei testi, viene richiesto di trasformare le no-
minalizzazioni in frasi SVO (Zambelli 2014, p. 333).
Dopo l’analisi del testo, si è chiesto agli alunni se le parole sconosciute fossero rimaste tali o
se qualcuno ne avesse intuito il significato. Gli alunni hanno risposto che avevano compreso
meglio che cosa facesse il gatto, quindi, per la parola sonnecchiava hanno trovato il sino-
nimo dormiva. L’altra parola compresa è stata semina, perché avendo loro inserito la frase
nella colonna del che cosa succede, avevano intuito che si trattava, in realtà, dell’azione del
seminare, ovvero, come descritto da un alunno italofono, del mettere i semini nella terra.
Infine, avevano anche compreso il senso di solitaria, ovvero, che stava da sola. Quindi, ri-
manevano da comprendere le parole pezzato e fienile. Così, per guidare alla comprensione
di queste due parole, si è usato nuovamente il metodo induttivo, si veda la tabella 5:

Parola da conoscere Parola individuata


Fienile Fieno
Pezzato Pezzo
Semina Seme
Solitaria Solo
Sonnecchiava Sonno

tab. 5.

Quindi, è stato chiesto alla classe se fosse intuibile il significato grazie al collegamento con
le parole individuate. 11 alunni su 15 non conoscevano la parola fieno, tutti gli stranieri
inclusi. La cosa non ci ha stupito dato che gli alunni della classe coinvolta vivono in un
contesto cittadino. Gli unici che conoscevano la parola in questione, avevano avuto espe-
rienza di montagna e avevano visto fare e raccogliere il fieno.
L’illustrazione proposta dall’esercizio di comprensione del testo (cfr. figura 1), non aveva
aiutato molto sia perché era in bianco e nero, sia perché il disegno del fienile era facilmen-
te confondibile con l’immagine di una fattoria, parola a più alta frequenza10, come di fatto
si è dimostrato.
A tal proposito, teniamo a sottolineare il fatto che se un bambino nel suo campo di espe-
rienza non ha mai avuto modo di conoscere un determinato oggetto, ambiente, animale o
persona, quindi non ha mai avuto modo di legare ad una certa immagine, significativa per
lui, la parola che le dà il nome, gli risulterà molto difficile poter riconoscere quell’oggetto,
ambiente, animale o persona. L’accoppiamento lingua-immagine può funzionare solo se

10 Come riportato nel DIB, dizionario di base della lingua italiana, p. 507 (De Mauro, Moroni 2000).

Insegnare il lessico 197


l’immagine risulta famigliare e il bambino ha avuto già modo nella sua vita di fare quell’ab-
binamento almeno una volta.
Pertanto, è fondamentale avere piena consapevolezza che ciò che spesso si dà per scontato
nella conoscenza lessicale, non lo sia affatto, un bambino straniero non solo può non aver
vissuto esperienze o essere cresciuto in un ambiente in cui aver già potuto associare ad una
data immagine la parola che la definisce nella sua lingua d’origine, ma anche più difficil-
mente lo avrà fatto nella L2. Nel caso fienile-fieno la situazione si è verificata non solo per i
bambini stranieri, ma anche per quelli italofoni e ciò in noi ha rafforzato la consapevolezza
di quanto sia necessario verificare sempre l’effettiva esperienza che i bambini possano aver
avuto rispetto ai campi semantici chiamati in gioco nelle letture che affrontano. Gli alunni
esperti, poi, sono stati in grado di rendere trasparente il significato della parola con un’esem-
plare capacità di formulare esempi, quindi sono stati una vera e propria risorsa per gli altri.
Per quanto riguarda, invece, il sintagma gatto pezzato, l’insegnante ha utilizzato la strategia
del cambio di abbinamento, introducendo un altro animale, la mucca. Immediatamente
alcuni bambini hanno afferrato il senso dell’aggettivo, l’abbinamento mucca pezzata ha fun-
zionato come chunk. Secondo la teoria del Lexical Approach di Lewis11, infatti, l’idea cen-
trale è che la produzione linguistica non avvenga a partire da norme grammaticali in cui si
inserisce il lessico, come previsto dalla grammatica generativa chomskyana, ma che si tratti
invece di un processo ripetitivo e automatico. La libera creazione sulla base delle sole rego-
le grammaticali, infatti, non sempre permette di produrre enunciati dotati di senso, mentre
l’analisi della lingua reale dimostra che questa è costituita soprattutto da formule lessicali
prefabbricate. Questi segmenti di parole, relativamente stabili, che Lewis chiama chunks,
hanno soprattutto un valore pragmatico, vengono scelti dal parlante per la loro appropria-
tezza al contesto, per la capacità che hanno di realizzare un certo obiettivo comunicativo.
Tra i chunks Lewis annovera
a. le pluriparole, come ad esempio, a causa di, grazie a, a favore di;
b. le collocazioni, come ad esempiosostantivo + aggettivo → mucca pezzata, aggettivo +
sostantivo → bella scoperta, doppio sostantivo → ragazza madre, verbo + avverbio →
ridere sguaiatamente;
c. le espressioni fisse o semi-fisse, tra cui si possono trovare frasi come convenevoli e sa-
luti, frasi di circostanza, ma anche espressioni tipiche dei discorsi, formule di apertura
e chiusura.
A conclusione della lezione, ogni bambino ha preso il suo dizionario personalizzato e vi
ha salvato due parole, una imparata quel giorno e una scelta a piacere e il salvataggio di
fienile è avvenuto con successo.

17.4. Stratificazione e differenziazione del compito


Dopo un lungo e necessario lavoro di condivisione e di analisi di altri testi con tutto il
gruppo classe, abbiamo elaborato la parte conclusiva del percorso in cui provare a riu-

11 Lewis, M., The lexical approach: The State of ELT and a Way Forward, England: LTP, Hove, 1993.

198
Parte III - Capitolo 17

tilizzare non solo le tecniche ma anche le parole stesse in attività diverse, quindi appli-
cando il transfer e la rielaborazione creativa secondo lo schema progettuale dell’UDS.
Gli alunni sono stati suddivisi in 5 gruppi con obiettivi e modalità di lavoro diversi, si veda
la tabella 6:

Gruppi Obiettivi Compiti Materiali


Gruppo 1 di 4 Consolidare le Lettura e scanning sia Foglio con il testo di
componenti procedure di lettura e sulle parole sconosciute, lettura della prova
comprensione del testo; sia sui nomi di animali; INVALSI 2018/2019;
classificare le parole in completare una tabella foglio con tabella per le
base a dei criteri; suddividendo le parole categorie grammaticali;
rinforzare la memoria sconosciute in nomi (di foglio per elenco dei
visiva e la correttezza cosa, animali, persone), nomi di animali
ortografica delle parole aggettivi, verbi, altro;
sconosciute Riportare in elenco
ampliare la conoscenza tutti i nomi di animali e
del lessico del dominio aggiungerne di nuovi
degli animali.
Gruppo 2 di 4 Classificare le parole Lettura e scanning sulle Lettura dei Musicanti di
componenti date in base a dei criteri; parole date; Brema da libro di testo;
riutilizzare le parole date suddividere le parole foglio con tabella per
in nuovi contesti rintracciate in una la classificazione delle
transcodificazione, tabella, nomi, aggettivi, parole;
parola-immagine verbi e modi di dire; fogli bianchi per frasi e
creare una frase per ogni disegni;
parola data e illustrare la cartellone e pennarelli.
parola;
creare un cartellone
con il lavoro svolto da
presentare alla classe
Gruppo 3 di 2 Individuare le parole in Lettura e scanning Lettura “Per chi è il
componenti base a criteri dati; relativo ad animali e mondo?” dal libro di
classificare le parole in ambienti e agli aggettivi; testo;
base a criteri dati; suddividere in tabella foglio con tabella per
Transcodificazione, animali e ambienti animali/ambienti;
parola-immagine corrispondenti; foglio per aggettivi;
raggruppare in elenco cartellone, tempere e
tutti gli aggettivi pennelli.
individuati;
preparare un cartellone
con l’illustrazione dei 4
ambienti individuati

Insegnare il lessico 199


Gruppo 4 di 2 Leggere e comprendere Lettura e comprensione Lettura “La gabbianella
componenti autonomamente il senso globale del testo; e il gatto” dal libro di
globale del testo; descrivere in una testo;
riutilizzare in modo tabella a confronto le foglio con la tabella
creativo il lessico caratteristiche del gatto per la descrizione degli
acquisito; e quelle del gabbiano; animali;
saper descrivere scrivere il finale della foglio con l’incipit per il
l’animale in base alle sue storia usando le finale della storia;
caratteristiche; parole, disponibilità e foglio di brutta copia.
saper comporre un indifferenza.
breve testo in modo
coerente e coeso con
l’utilizzo obbligato di tre
parole date.
Gruppo 5 di 3 Individuare le parole in Lettura e scanning Letture dal libro di testo;
componenti base a criteri dati; relativo a cose naturali e foglio con tabella per
classificare le parole in cose artificiali; naturale/artificiale;
base a criteri dati; compilare una tabella e foglio di brutta copia;
ampliare il lessico nel aggiungere 10 nomi di foglio per la scrittura del
dominio naturale/ cose naturali e 10 nomi testo.
artificiale; di cose artificiali;
riutilizzare le parole rileggere la ninna nanna
acquisite in modo di pag. 125 del libro di
creativo in nuovi testo;
contesti. riutilizzare i nomi degli
animali di una lettura
già fatta (pag. 115 del
libro) e creare una ninna
nanna utilizzandoli
almeno in parte e
collegandoli ai luoghi in
cui vivono (ovile, stalla,
pollaio,...).
tab. 6.

I gruppi sono stati differenziati sulla base di quanto osservato in tutte le lezioni preceden-
ti, capacità di fare inferenze, conoscenza approfondita del lessico, capacità di spiegare il
significato delle parole, conoscenza delle categorie grammaticali, conoscenza più o meno
approfondita di alcuni domini lessicali; memoria lessicale, abilità sociali. Dal punto di vista
linguistico, gli alunni stranieri che si erano dimostrati più deboli, sono stati messi nel grup-
po 1 e hanno lavorato sul testo delle prove INVALSI appena svolte, ma trascritto in forma
anonima. Al gruppo 2 sono state fornite, invece, le parole che nelle lezioni precedenti
erano state individuate come parole difficili o sconosciute, per verificare la permanenza
in memoria.

200
Parte III - Capitolo 17

Seguendo alcuni spunti strutturali del cooperative learning, i materiali forniti sono stati
preparati perché fossero necessariamente condivisi, si veda la Figura 2:

fig. 2. I diversi gruppi al lavoro

Alla fine ogni gruppo ha esposto alla classe il risultato del proprio lavoro e ad ogni alunno
è stato chiesto di esternare delle considerazioni su come si è trovato a lavorare in gruppo,
un aspetto positivo e uno negativo, aggiungendo anche un’autovalutazione sul proprio
operato.
Si è proceduto, quindi, con ulteriori attività di differenziazione e stratificazione ma que-
sta volta in modo individuale e lasciando agli alunni più margini di decisione autonoma.
Quest’ultima attività è stata considerata un’attività di verifica per valutare l’effettiva acqui-
sizione del lessico sul quale si era lavorato, si veda la figura 3. Il compito diversificato era
disponibile con gli stessi esercizi per tutti, ma ognuno poteva decidere da quale iniziare e
con quale proseguire; la stratificazione, invece, è avvenuta in base alle scelte dei bambini
stessi che, messi di fronte a diverse parole, potevano decidere liberamente su quali con-
durre il compito, le parole a gruppi o singole erano sparse sulla cattedra e un alunno alla
volta poteva venire a scegliere quelle che voleva. Inoltre, una volta selezionate le parole,
ogni alunno poteva ulteriormente stratificare il compito scegliendo da solo quali parole
utilizzare, tra quelle a sua disposizione, per ogni consegna data. In questo modo si è voluto
lasciare ai bambini la possibilità di decidere come e cosa fare sulla base della loro persona-
le percezione della difficoltà. Questa è la figura 3:

Insegnare il lessico 201


fig. 3. Immagini relative all’attività di verifica e valutazione

I gruppi di parole messi a disposizione dei bambini erano stati creati in modo da offrire
già una prima stratificazione di difficoltà, tenendo in considerazione il tipo di compito
richiesto si è cercato di non banalizzare troppo l’attività, ma nemmeno renderla inaccessi-
bile, per esempio con parole le cui rime da trovare fossero troppo difficili. Di fatto tutti gli
alunni sono stati in grado di svolgere gli esercizi senza difficoltà eccessive, dimostrando di
ricordare il significato di tutte le parole che erano state scoperte durante il percorso fatto.

17.5. Valutazione finale


La fase finale di valutazione di tutto il percorso si è svolta con una gara di salvataggio delle
parole in cui tutta la classe è stata coinvolta, l’insegnante ha dato ad ogni alunno un foglio
bianco invitandolo a scrivere le parole che avrebbe voluto salvare tra quelle che si ricor-
dava di aver imparato nei due mesi di attività svolte in classe. Lo scopo esplicitato dall’in-
segnante era quello di riuscire a salvare il maggior numero di parole possibili facendo la
somma di tutta la classe, quindi superando qualsiasi idea di competizione tra compagni.
Nella tabella 7, sono raccolte tutte le parole salvate:

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Parte III - Capitolo 17

artificiale agricoltore** aggettivo/i *** albicocca addentò


banditi allarme boccetta bambù afferrò
battello diritti burrone Brema**** cappio**
comò felino covo*** caccia cavo
dollari** fessura******* giocoliere detto fatto** chiarore**
edera gambe levate**** indifferente******* famoso crollò
fienile*** giardiniere macellaio*** girasole disponibile
gambe levate** gratuia (?) pezzato**** grugnire falò
grata***** illustratrice piripicchio illusciasi (?) gabbianella****
logico** incomprese**** pollaio incubatrice geografo
ovile *********** navale polpaccio** jeep indisponibili
pianura penzolava quadrifoglio minuta** orso polare
pigola portafoglio ragliare** qualificativi** picchio
smarrito sonnecchiava*** sbarre savana*** polline
stalla striscia semina scriciolo recita
subacqueo sussultava studioso** sibila sfogliava**
tempere trifoglio velenoso spuntar
terracotta**** wafer** upupa
tab. 7.

Le parole con asterisco sono parole che hanno avuto più occorrenze. Quelle con il punto
di domanda, sono quelle la cui forma non permette di comprendere, in realtà, che parole
fossero. Ciò che ha consolidato in noi l’efficacia del lavoro svolto è stato constatare che
alcune parole con più occorrenze fossero le prime parole su cui ci eravamo soffermati
all’inizio del percorso, quindi ben due mesi prima!
Altro aspetto tanto interessante quanto sorprendente, l’inclusione tra le parole salvate
della parola “aggettivo/i”. Ecco che allora, lavorare sul lessico, seguendo il Lessical Ap-
proach, non è affatto creare una frattura con la grammatica, anzi, può diventare una via
molto efficace per rafforzare le abilità metalinguistiche nei bambini, fornendo uno sfondo
di senso al lavoro di analisi più formale.
Il risultato più incoraggiante sono state le diciotto parole salvate dall’alunna cinese, nor-
malmente molto timida e silenziosa durante le attività in plenaria, ma che attraverso lo
sviluppo di questa UDS ha saputo non solo conquistarsi via via un ruolo più consapevole
e attivo, ma anche acquisire una maggiore sicurezza e padronanza relativamente alla sua
capacità di esprimersi.

17.6. Considerazioni conclusive


Il percorso svolto è stato efficace per tutti i bambini da diversi punti di vista, ha ampliato le
competenze lessicali, ha rafforzato le competenze metalinguistiche, ha sviluppato atten-

Insegnare il lessico 203


zione verso le parole per il valore non solo di senso, ma anche di funzione e di legame con
le altre parole. Ha reso disponibili delle parole nuove perché potessero essere riutilizzate
liberamente in testi scritti autonomamente per altri scopi, come nell’esempio di figura 4:

fig. 4. Esempio di riutilizzo di una delle parole imparate

Ha anche stimolato una maggiore attenzione alle parole usate nella vita quotidiana.
Per quanto riguarda gli alunni stranieri, la bambina cinese ha iniziato a saper spiegare il
significato delle parole e a volerlo fare pubblicamente molto più di quanto non lo facesse
prima, suoi sono stati gli interventi riportati qui di seguito, “artificiale vuol dire presempio
le cose fatti dall’uomo; sussultare per esempio quando un piatto cade e si rompe e una
persona si spaventa”.
Poi vi sono stati anche dei confronti di tipo culturale, la parola contorno. L’alunna cinese
ci ha raccontato che in Cina non esiste l’idea del contorno, perché il cibo si mangia come
piatto unico. Pertanto, non è da trascurare mai quanto di culturale possa essere connotato
nella parola che non viene compresa, come sostiene Baddeley (1990, p. 360), “i concetti
sono modi per categorizzare il mondo, per capirlo e per comunicare con gli altri”, e come
ribadisce Cardona (2001, p. 115), “il significato di un concetto è in relazione all’uso che di
esso ne facciamo, si determina in base allo scopo per cui lo richiamiamo alla nostra mente.
È in base a quest’ultimo che gli attributi semantici specifici si organizzano”.
Per quanto ci riguarda, il percorso è stato sicuramente molto arricchente dal punto di vista
metodologico, utile per le osservazioni sui processi coinvolti nell’approccio al lessico da
parte dei bambini, stimolante anche come auto-valutazione rispetto al proprio operato
relativamente soprattutto ai tempi di gestione delle diverse attività, il rischio dispersione
è sempre in agguato.
Si è consolidata la convinzione che lavorare sull’arricchimento lessicale e lo sviluppo di
strategie di comprensione di pari passo con lo sviluppo di una maggiore consapevolezza

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Parte III - Capitolo 17

metalinguistica, prepara i bambini ad acquisire maggiore autonomia e sicurezza nello svol-


gere i compiti linguistici sia in L1 che in L2, realizzando quanto auspicabile in ogni classe,
l’inclusione.

Riferimenti bibliografici
Arici M., Cristofori S., Maniotti P., 2006, Apprendere e insegnare la lingua per studiare, Tren-
to - IPRASE del Trentino.
Baddeley A., 1990, La memoria umana, Bologna, Il Mulino (ed. or. Working Memory, Oxford,
Clarendon Press).
Caon F. (a cura di), 2006, Insegnare italiano nella classe ad abilità differenziate, Perugia, Guerra.
Cardona M., 2001, Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue, Torino, UTET Uni-
versità.
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poli, Tecnodid.
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1, pp. 327-341.

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Note
Insegnare
il lessico

Dopo aver analizzato natura e metodi dell’insegnamento della ci-


viltà italiana e della grammatica, in quest’ultimo volume si affronta
l’insegnamento del lessico. Con questa nuova collana (Al servizio
degli insegnanti) Edilingua offre gratuitamente agli insegnanti di
italiano una serie di volumi di autoformazione in cui trovano:
• alcuni saggi che delineano le coordinate concettuali relative al
tema del volume;
• alcuni interventi di carattere operativo, pensati per la classe;
• una guida bibliografica, con gli studi accessibili gratuitamente;
• un’antologia di scritti sul tema del volume apparsi in riviste e
libri, regalati a questa collana dagli autori e dagli editori, che
ringraziamo per essersi messi, insieme a noi, Al servizio degli
insegnanti.
In questo volume Insegnare il lessico, grazie al contributo di tutti
gli autori, si è cercato di chiarire alcuni dubbi e di condividere alcu-
ne riflessioni sulla complessità dell’insegnamento del lessico, così
vasto e mutevole.

www.edilingua.it ISBN: 979-12-5980-154-8

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