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KALAPA – IL GOBLIN MENO STUPIDO DEGLI ALTRI

Capitolo 1 – Non volevo nascere.


Tutto iniziò il giorno del mio concepimento, scommetto che ero la cellula più annoiata del gruppo e la mia
più grande ambizione sarà stata quella di schiantarmi su di una qualche superficie in ceramica o addosso a
chi se lo meritava. Tralasciando dettagli inutili, quello che ricordo bene è lo schiaffo che il “dottore” goblin
diede a mia madre quando nacqui e il fatto che mi sputò addosso subito dopo dicendo “complimenti signora,
fa schifo quanto lei!”. Un inizio coi fiocchi per qualsiasi altro della mia specie, ma non per me, e questo mi
bastò per capire una cosa: non volevo nascere.
Capitolo 2 – Dalla padella alla brace, fino al cesso.
L’infanzia non ha fatto altro che confermare i miei sospetti: mi faceva schifo l’idea che il resto della mia
specie si comportasse in un modo che avrei inevitabilmente rischiato di emulare. La mia famiglia voleva che
seguissi le orme del padre artificiere morto il giorno che venni alla luce a causa di un ordigno fatto brillare in
modo poco adeguato (mia madre disse che l’aveva comprato per festeggiare la mia nascita), ma non ero
assolutamente d’accordo. Più cercavo di impormi e più mi rendevo conto che sarebbe stato complesso non
lasciarci la pelle, i miei nonni infatti iniziarono a nascondere piccole mine in camera mia per “addestrarmi”
come avevano fatto con loro figlio, quindi se volevo vivere avrei dovuto imparare a disinnescarle.
Indagando scoprii poi che questa era una pratica comune nella nostra famiglia e che si sarebbe conclusa con
una bomba vera e propria nascosta nel bagno, praticamente il mio diploma. Sfruttai la cosa a mio vantaggio
e decisi di inscenare la mia morte: in un modo che non voglio narrare recuperai i resti di mio padre
(mi sarebbero serviti per confermare il decesso, sapete la scienza medica del posto in cui stavo non era delle
migliori e il DNA lo potevano leggere solo a frammenti, quindi mio padre sarebbe potenzialmente sembrato
me) e li portai a casa, nascondendoli nel bagno in cui il giorno dopo avrebbero innescato l’ordigno (che io
avrei modificato per farlo detonare a distanza in tutta sicurezza). Il fatidico giorno andò quasi tutto come
previsto: per colazione passato di broccoli e ceci, e dopo qualche minuto l’ovvia conseguenza si manifestò.
Vidi l’ordigno ticchettante sul water, lo modificai collegandolo a un telecomando acquistato il giorno prima
a un bazar, disposi i resti di mio padre nella stanza e iniziai a calarmi dalla finestra ben attento a non farmi
vedere, ma non altrettanto da evitare di premere con la coscia il telecomando. L’esplosione disintegrò gli
stracci con cui ero vestito e per un minuto buono i miei sensi furono neutralizzati. Ripresi conoscenza nel
cespuglio sotto casa (fortuna che stavo al secondo piano) osservando la finestra dalla quale fuoriusciva una
copiosa nuvola di fumo nero. Ed è così che il mio vecchio “io” sparì letteralmente dalla storia, mentre un
nuovo “me” nasceva soddisfatto e molto più leggero di prima, avevo lasciato il passato alle spalle e sul
muro.

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