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PRINCIPI DI:
NEUROLOGIA
NEUROCHIRURGIA
NEURORADIOLOGIA
Il trofismo del muscolo si esamina all’ispezione visiva, alla palpazione, con la misurazione e tramite delle scale che
misurano la asimmetria tra dx e sx, a meno che una persona non faccia uno sport asimmetrico (lancio del disco, del
giavellotto..) o un mestiere asimmetrico in cui ovviamente è presente una ipertrofia focale in una metà del corpo
rispetto all’altra.
Il tono muscolare valuta la postura, la resistenza passiva alla mobilizzazione degli arti; potremo avere un aumento
del tono che vedremo in caso delle lesioni
extrapiramidali, tipiche del morbo di
Parkinson, o piramidali, tipiche della
spasticità, della lesione della via cortico-
spinale. Una rigidità osservabile solo nei
centri di rianimazione, in centri del risveglio
è quella dei pazienti post-comatosi con un
atteggiamento decerebrato come immagine
A, o decorticato come immagine B.
Manovra con significato identico è quella di Barrè : il paziente è prono sulla pancia e una delle due gambe non
riesce a mantenersi a 90 gradi.(vd. Immagine)
Poi i corrispettivi del Babinski sono l’ Oppenheim in cui scivolando, stimolando un pochino la cresta tibiale si ha una
estensione dell’alluce e una apertura delle dita, e lo stesso stimolando sul malleolo esterno o stringendo il tendine di
Achille, o il polpaccio.
Tutti questi segni che provocano l’estensione dell’alluce e una apertura delle dita sono segni indicativi di una
lesione delle vie piramidali e delle vie cortico-spinali. Ogni volta che c’è un ictus o una lesione a livello di queste
vie, c’è come segno di accompagnamento Babinski.
Lo stesso significato nell’arto superiore lo assume il segno di Hoffmann (vd,. Immagine) per cui se voi fate
schioccare gentilmente la falangetta del terzo dito, normalmente questo porta ad una rapida flessione di tutte le altre
dita (riflesso normale) mentre invece se questo diventa molto più evidente è un segno di iperreflessia, segno di
“liberazione” dovuta alla sofferenza della via corticospinale che ha funzione di controllo inibitorio, e quando viene
lesionata questo controllo viene meno e i motoneuroni spinali rispondono molto più rapidamente.
Disturbi oggettivi. Sono valutabili dal medico con un batuffolo d’ovatta, con un chiodo, con un compasso,
Sensibilità tattile: chiedendo al soggetto se è in grado di riconoscere
o Ad occhi chiusi, se lo state toccando e dove
o Se lo state toccando con un oggetto appuntito o smusso
o Se toccate un punto solo o due punti. Riconoscere la sua capacità di discriminare tra uno e due
punti. Tale capacità è molto diversa nella diverse parti del corpo. A livello del palmo della mano
avremo una maggiore densità recettoriale e quindi una maggiore capacità discriminatoria rispetto
al dorso.
Sensibilità vibroestesica (o pallestesica) che si testa con un diapason posato su un piano osseo. Si chiede al
paziente se sente toccare o se sente toccare e vibrare. Se non sente vibrare è persa la sensibilità
vibroestesica che normalmente viaggia nei cordoni posteriori del midollo spinale
Sensibilità di posizione e movimento . Normalmente siamo in grado di conoscere in ogni istante la
posizione di ogni parte del nostro corpo senza guardarla. Ci sono malattie in cui il soggetto se non guarda
dove mette i piedi casca o inciampa.
Sensibilità dolorifica. Il dolore è utile per riconoscere ed allontanarci da situazioni di danno potenziale. Ci
sono patologie genetiche o secondarie a lezioni in cui i soggetti perdono la sensibilità al dolore: essi si
spengono sigarette addosso, sono piedi di cicatrici, si addormentano con la mano sul termosifone e si
svegliano per la puzza di bruciato, ecc..
Sensibilità termica
Stereognosia è la capacità di riconoscere un oggetto semplicemente toccandolo, in base alla forma e alle
caratteristiche, senza guardarlo.
Grafestesia ci consente di riconoscere ciò che qualcuno ci scrive sul palmo della mano (o in altre zone
particolarmente sensibili) in base alla grafia e ai segni (se abbastanza grandi).
Esame dello stato mentale
Riguarda lo stato mentale, lo stato cognitivo. Si valuta:
Memoria
Analisi del linguaggio
Orientamento nel tempo e nello spazio
Possiamo avere poi dei quadri più parziali, evidenti soprattutto con delle lesioni a livello delle radiazioni ottiche. A
livello radiale le fibre infatti sono più larghe, ed è facile che una lesione ne prenda solo poche, coinvolgendo solo un
quadrante in alto o in basso. È difficile che il soggetto se ne accorga. Esse sono:
Quadrantopsia omonima (superiore o inferiore – destra o sinistra)
Emianopsia laterale omonima con conservazione della visione maculare : lesione dell’area striata della
corteccia visiva con risparmio del polo posteriore
Scotoma centrale : lesione selettiva delle fibre che provengono dalla macula (fovea, parafovea). Si
mantiene la visione periferica, ma si ha una perdita selettiva della visione centrale; sembra di vedere
attraverso un vetro smerigliato o bagnato, con perdita di definizione dell’immagine, ma vedendo bene il
chiaro e lo scuro. Tipica della neurite ottica retrobulbare, spesso esordio di sclerosi multipla.
Lesioni della corteccia calcarina: i labbri superiore ed inferiore della scissura calcarina corrispondono alla
proiezione dei quadranti superiori ed inferiori delle emiretine omolaterali (che corrispondono nel campo visivo, ai
quadranti rispettivamente inferiore e superiore controlateralmente).
Quando si valuta un deficit visivo bisogna fare attenzione alla possibilità di un quadro di eminattenzione visiva
(neglect), in cui il soggetto ha una scarsa attenzione per un emicampo visivo. In questo caso non c’è un problema
campimetrico vero e proprio, ma c’è un problema di attenzione verso il mondo a sinistra. Generalmente non accade
per il mondo di destra, soprattutto perché nella nostra civiltà dominano i destrimani.
Se io stimolo tutti e due gli emicampi, il soggetto vede soltanto lo stimolo a destra ed ignora lo stimolo a sinistra.
Quando lo stimolo avviene separatamente per ciascun emicampo, il soggetto riesce a vedere anche lo stimolo a
sinistra.
RIFLESSO FOTOMOTORE
Interviene per permetterci di vedere nelle varie condizioni di luce, ma ci aiuta anche con la messa a fuoco. Questo
riflesso è molto importante perché ci può aiutare nella diagnosi differenziale tra emianopsia laterale omonima da
lesione dei tratti ottici (in cui il riflesso è alterato) e da lesione delle radiazioni ottiche.
La reattività della pupilla alla sorgente luminosa si vede all’E.O., ponendo la sorgente ad una certa distanza
In realtà l’azione dipende dalla posizione dell’occhio: il muscolo ABBASSA L’OCCHIO se esso è IN
ADDUZIONE; lo RUOTA INTERNAMENTE SE è IN ABDUZIONE
- VI ABDUCENTE
Origina da un nucleo situato nel ponte sotto il pavimento del IV ventricolo. Questo nucleo è localizzato
in prossimità del nucleo del VII nervo ed è avvolto da un ginocchio che le fibre del VII nervo
descrivono intorno ad esso mentre fuoriescono dal loro nucleo: è chiaro quindi che lesioni a livello del
ponte interesseranno prima di tutto questi due nervi.
Innerva il retto laterale: ruota l’occhio orizzontalmente all’esterno
I tre nervi decorrono nel seno cavernoso insieme alla carotide interna ed alla prima branca del trigemino e penetrano
nell’orbita attraverso la fessura orbitaria superiore.
DIPLOPIA
È un sintomo soggettivo presente quando si guarda con entrambi gli occhi ed è dovuto alla mancata fusione delle
immagini fornite dalle due retine (come avverrebbe normalmente)
La distanza tra l’immagine vera (vista dall’occhio sano) e falsa (vista dall’occhio paretico) aumenta
portando lo sguardo nella direzione del muscolo paretico (il punto dove la distanza è massima ci indica il
muscolo responsabile).
L’immagine falsa è quella più periferica.
Esiste una legge generale per cui, essendo paralizzato un muscolo oculare, prevale l’azione
dell’antagonista, per cui il bulbo si presenta deviato anche a riposo (quindi gli occhi possono essere spostati
con strabismo nel “base line” per il prevalere relativo degli altri muscoli).
1 Una volta identificata la diplopia, bisogna coprire 1 dei 2 occhi: se lo sdoppiamento non scompare (dovrebbe
scomparire per diplopia monoculare, perché così si guarda con 1 occhio solo) bisogna cercare una patologia
LESIONI
La lesione del tronco nervoso cioè il nervo nel suo decorso periferico può determinare più frequentemente la paralisi
completa, cioè midriasi associata ai deficit muscolari.
La lesione di regioni del nucleo (di solito per piccoli infarti a livello mesencefalico) è responsabile di paralisi parziali.
Cause più comuni (definendo paralisi periferica e oftalmoplegia periferica) sono
1 Traumi e fratture della base cranica e dell’orbita
2 Tumori endocranici della regione sellare
3 Compressione da ernia del giro uncinato per tumoridel lobo temporale
4 Diabete
5 Aneurismi della CI
6 Meningite
7 Tabe
8 Tromboflebiti del seno cavernoso
9 Sclerosi a placche (piu freq in VI)
CAUSE DI PARALISI COMPLETA DEI 3 NN OCULOMOTORI
1) S. della fessura sfenoidale
I 3 nervi assieme alla I branca del trigemino passano a tale livello
Lesioni tumorali, infiammatorie determinano
Dolore o anestesia del territorio del n.oftalmico
Immobilità assoluta del globo oculare
Ptosi palpebrale
Midriasi paralitica
In caso di disturbo dell’oculomozione ad esordio subdolo e lenta evoluzione, una diagnosi differenziale si impone nei
confronti di disturbi della trasmissione neuromuscolare (miastenia) e di miopatie primitive, come la distrofia
muscolare oculofaringea, tipo Kiloh-Nevin.
La diagnosi differenziale tra una oftalmoplegia periferica (nucleare-tronculare) e centrale (sopranucleare) si basa sul
fatto che nella centrale la paralisi non è dei singoli muscoli, ma è una paralisi dello sguardo coniugato, cioè paralisi
dei movimenti associati di lateralità o verticalità dei globi oculari, ed è per lo più dovuta a lesione del Fascicolo
longitudinale mediale nel ponte o dei tubercoli quadrigemini superiori nel mesencefalo, o ancora della sostanza grigia
periacqueduttale nel terzo superiore del mesencefalo (area pretettale).
I 2 generatori sono inoltre controllati dai centri corticali per i movimenti coniugati degli occhi (frontal eye-field):
area di Brodmann 8 (2° circonvoluzione dei 2 lobi frontali): centro per i movimenti VOLONTARI
SACCADICI DI LATERALITA’. La stimolazione di tale area provoca deviazione laterale degli occhi
verso il lato opposto. Le fibre vanno al generatore pontino controlaterale.
Corteccia occipito-parietale: viene attivata dalle informazioni visive e serve per l’elaborazione dei
movimenti AUTOMATICI RIFLESSI DI LATERALITA’. Le fibre si portano al generatore pontino
omolaterale.
Tali centri possono essere valutati facendo ruotare orizzontalmente davanti agli occhi del soggetto un cilindro
con bande bianche e nere o un semplice metro da sarto. Si osserveranno delle continue oscillazioni degli occhi
costituite da una fase lenta di inseguimento nella direzione di rotazione del cilindro o del metro seguito da una
componente rapida saccadica controlaterale di riposizionamento della mira (si tratta del nistagmo optocinetico
da distinguere da quello vestibolare).
La programmazione dei movimenti volontari saccadici di verticalità avviene sempre nei frontal eye-field. Le fibre
giungono ad ENTRAMBI i generatori mesencefalici.
Analogamente le aree occipito-parietali per i movimenti automatici di verticalità si connettono ad ENTRAMBI i
generatori mesencefalici.
Il sistema per i movimenti coniugati di convergenza (necessari per adattare la convergenza degli occhi alla distanza
del bersaglio) origina dalle aree-visive occipito-parietali ed è costituito da fibre che raggiungono la formazione
reticolare del tegmento mesencefalico e, quindi, si collegano con i motoneuroni dei 2 nuclei del III (per i retti
mediali) e quelli dei 2 nuclei del VI (per i retti laterali).
CLINICA E SEMEIOTICA
Il riflesso più importante che può essere evocato è il riflesso corneale. La prima branca del trigemino costituisce la
branca afferente di questo riflesso (per il quale uno stimolo tattile sulla cornea determina la chiusura della rima
palpebrale), mentre la branca efferente è data dal nervo faciale.
Il riflesso masseterino è meno evidente e meno studiato (se non da un punto di vista elettrofisiologico).
Il riflesso glabellare lo si ritrova come riflesso primordiale che viene perduto nel corso dello sviluppo e viene
riacquistato con il deterioramento del cervello. In alcune patologie riemergono dal nulla dei riflessi arcaici che
abbiamo perduto nell’infanzia.
La patologia trigeminale può consistere di disturbi sensitivi e/o motori dovuti a lesione:
del Ganglio di Gasser o
dei tronchi nervosi o
a lesione nucleare (tronco cerebrale)
I disturbi sensitivi sono:
ipo-anestesia nelle aree innervate rispettivamente dalle 3 branche
ageusia dei 2/3 anteriori della lingua
riduzione della secrezione delle ghiandole sottomascellari e sottolinguali (nervo linguale) e della parotide
(nervo auricolo-temporale)
mancanza del riflesso corneale nelle lesioni del Ganglio di Gasser o del nervo oftalmico con insorgenza di
cheratite neuroparalitica.
l’anestesia a bulbo di cipolla (deficit con topografia sulla faccia a cerchi concentrici, cioè aree di anestesia
disposte concentricamente al naso ed alla bocca) è dovuto ad una lesione centrale, troncoencefalica che
coinvolga il nucleo sensitivo del V (sclerosi a placche, sindromi alterne vascolari tipo Wallenberg, tumori).
Essa è diversa da quella per problemi periferici del nervo.
Importante la nevralgia e l’herpes Zoster trigeminale. La nevralgia è uni dei dolori più forti che può
spingere anche al suicidio. Il soggetto evita qualsiasi manovra comporti irritazione del nervo e quindi
dolore (magiare parlare…)
Ci sono punti d’emergenza, cosiddetti “grilletto”, che se toccati provocano nevralgia trigeminale.
FIBRE MOTRICI
Originano dal nucleo faciale, situato nella calotta del ponte con emergenza a livello del solco bulbo pontino.
Penetra nel condotto uditivo interno insieme al nervo intermediario di Wrisberg.
FIBRE LACRIMALI
Fibre secretorie pregangliari provengono dal nucleo lacrimale pontino, abbandonano il VII a livello del suo ginocchio
superiore costituendo il nervo grande petroso superficiale che raggiunge il ganglio sfenopalatino, da cui si dipartono
fibre postgangliari per la ghiandola lacrimale.
FIBRE SALIVARI
Fibre secretorie provengono dal nucleo salivatorio pontino e abbandonano il VII tramite la corda del timpano, la
quale attraversa la cavità timpanica e si getta nel nervo linguale arrivando con questo al ganglio sottomascellare; di
qui si dipartono le fibre postgangliari per la ghiandola sottomandibolare.
NERVO STAPEDIO
Destinato all’innervazione dei muscoli interni dell’orecchio.
CLINICA E SEMEIOTICA
DEFICIT PERIFERICO E CENTRALE
All’E.O. si chiede di sorridere forte, in modo stirato, mostrando tutti i denti (ciò è mediato dall’orbicolare delle
labbra; il paziente solleverà anche le sopracciglia -muscoli frontali-, attivando tutta la muscolatura della faccia).
Oppure gli si chiede di fare il palloncino con le guance (manovra impossibile se è presente un deficit da uno dei due
lati: l’aria sfuggirebbe).
La parte del nucleo pontino che gestisce la metà superiore della faccia (frontale, sopraccigliare, orbicolare
dell’occhio) ha connessioni con fibre corticopontine sia omolaterali e che controlaterali (doppia innervazione,
proveniente da ambedue gli emisferi), mentre la metà inferiore è connessa solo con le corticopontine controlaterali.
Che l’innervazione dei muscoli faciali superiori sia bilaterale lo dimostra anche il fatto che normalmente non si riesce
a contrarre isolatamente il muscolo frontale di un solo lato e che spesso è anche difficile la chiusura di un solo occhio.
Quindi se c’è una lesione che colpisce, per esempio, l’emisfero di destra, i muscoli del viso deficitari saranno
sull’emifaccia di sinistra, nella sua metà inferiore. Invece se è leso il nervo periferico di destra o il nucleo pontino del
faciale di destra avremo paralisi omolaterale (destra) dei muscoli sia della metà superiore sia di quella inferiore.
La lesione situata subito dopo l’uscita dal foro stilomastoideo determina solo paralisi della
muscolatura mimica superiore ed inferiore dell’emiviso omolaterale alla lesione.
Non si ha di norma ipoestesia cutanea in sede mastoidea e della conca auricolare (aree dotate di
innervazione sensitiva multipla, anche a carico del nervo faciale), tuttavia l’irritazione delle fibre
sensitive spiega il dolore che spesso precede la paralisi del faciale
La lesione situata prima che dal nervo si stacchi la corda del timpano determina un deficit di salivazione non
parotidea e della sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua (proprio per la compromissione della corda del
timpano).
La lesione situata tra il ganglio genicolato e l’emergenza del nervo stapedio -che innerva l’omonimo
muscolo- determina anche iperacusia.
La lesione situata tra il ganglio genicolato e il meato acustico interno determina anche un deficit di
lacrimazione,perché compromette le fibre autonomiche deputate all’innervazione delle ghiandole
lacrimali.
SINDROMI IRRITATIVE DEL FACIALE
Possono coinvolgere sia il motoneurone centrale che periferico
1. contrazioni faciali epilettiche: episodi caratterizzati da contrazioni prima toniche poi cloniche dei muscoli
mimici controlaterali alla corteccia motoria “irritata”
2. emispasmo faciale periferico: sindrome irritativa periferica cioè da causa irritativa che agisce sul nucleo o
sul tronco del nervo faciale omolaterale
più frequente nelle donne di media età e inquadrata tra le distonie focali
crisi di contrazione e clonie dei mm dell’emifaccia (l’orbicolare delle palpebre il più
colpito) che perdurano molti secondi o 1 minuto
ripetizione frequente degli accessi
miochimie (movimenti vermicolari intermittenti muscolari) caratterizzate all’EMG da
scariche ripetitive di una o più unità motorie
può rappresentare l’esito di paralisi periferiche non guarite o erroneamente curate con
intensa elettroterapia (soprattutto faaradica)
altre eziologie possono riguardare una sindrome da conflitto neurovascolare dovuta a
compressione del nervo nell’angolo ponto-cerebellare da parte di un’anomalia
vascolare.
TERAPIA: tossina botulinica; è una proteina prodotta dal Clostridium Botulinum che
agisce a livello della placca neuromuscolare legandosi ai terminali presinaptici e
riducendo il release di Ach. Tale iniezione porta a paresi locale, ma l’efficacia del
trattamento è transitoria (2-4 mesi) e l’iniezione deve essere ripetuta (tale terapia è
impegnata anche nelle distonie focali e segmentali e della spasticità).
IL NERVO COCLEARE
NEUROANATOMIA
I nuclei delle cellule hanno sede nel ganglio spirale del Corti situato nel canale di Rosenthal , a sua volta contenuto
nel modiolo.
I prolungamenti centripeti delle cellule del ganglio penetrano nel nevrasse a livello della fossetta laterale del bulbo e
si portano al nucleo cocleare ventrale (o nucleo accessorio) e nel nucleo cocleare dorsale (o nucleo del tubercolo
acustico) situati nel ponte.
Da questi parte la via acustica centrale: si tratta in buona parte di una via crociata che ascende lateralmente nel tronco
encefalico all’interno del lemnisco laterale, arrivando al corpo genicolato mediale.
Nel suo percorso contrae rapporti con diverse strutture, come l’oliva superiore, il nucleo trapezoide, il nucleo del
lemnisco laterale, la formazione reticolare, il tubercolo quadrigemino inferiore.
La via termina nelle aree acustiche corticali di Brodmann 41 e 42 (giri traversi di Heschl e circonvoluzione temporale
superiore).
FISIOLOGIA
Il nervo acustico ci permette di sentire; attraverso di esso le onde fisiche acustiche trasmesse nell’aria vengono
convertite in segnali elettrici che viaggiano nel sistema acustico per giungere alla corteccia acustica primaria, così ne
capiamo il significato.
Questa porzione del nervo origina dall’epitelio cigliato della coclea, che è ben protetta nella rocca petrosa e connessa
con la catena degli ossicini (che traducono le onde sonore).
L’organizzazione tonotopica è conservata nella coclea, nel nervo acustico e in tutto il sistema in genere fino alla
corteccia acustica primaria: i suoni acuti e gravi sono portati in zone diverse del sistema (percepiti in un range di Hz
diverso rispetto ad altri animali: 1000-12000 Hz, con picco attorno ai 4000).
SEMEIOLOGIA
Le lesioni della via acustica si possono presentare come
Ipoacusia:
1 di trasmissione per danno all’orecchio esterno e medio (otosclerosi)
2 di percezione per danno cocleare (presbiacusia, danni tossici) o retrococleare (tumori dell’angolo
ponto-cerebellare)
Acufeni (ronzii, fischi, sibili)
Sordità centrale per lesioni bilaterali delle vie acustiche del tronco o delle aree corticali
uditive temporali (tumori, sclerosi multipla, infarti multipli)
Iperacusia ipersensibilità agli stimoli acustici osservabile specie in alcun casi di paralisi
periferica del VII
TEST CON DIAPASON
Test di Rinne. Mette a confronto la capacità del soggetto di udire uno stimolo uditivo che arriva ad eccitare il nostro
nervo uditivo per una via ossea con la capacità di udire uno stimolo che, invece, arriva per via aerea. Per via ossea
intendiamo la trasmissione delle vibrazioni che non avviene attraverso il meato uditivo e le altre strutture auricolari,
ma avviene attraverso una trasmissione diretta alla coclea attraverso le ossa craniche. Ovviamente un soggetto
normale sente meglio con la via aerea (che sfrutta gli ossicini di trasmissione) che con la via ossea (che non è
fisiologica). Il test di Rinne si esegue poggiando il diapason dietro l’orecchio del soggetto (sul processo mastoideo): il
soggetto sentirà il suono che sfrutta la via di trasmissione ossea; ad un certo punto non lo sentirà più, nonostante il
diapason continui a vibrare; a questo punto il diapason va posto davanti all’orecchio, a livello del meato acustico
esterno un soggetto normale riprenderà a sentire, questa volta attraverso la via di trasmissione aerea, capace di
trasmettere vibrazioni di ampiezza molto più bassa rispetto alla via ossea.
Questo test dimostra proprio la diversa acuità tra la via aerea (che sente meglio) e la ossea (che sente di meno).
Test di Weber. Si esegue ponendo il diapason al vertice del cranio; un soggetto normale sentirà un suono di uguale
intensità con entrambe le orecchie (con il test di Weber la via di trasmissione sfruttata è ovviamente quella ossea).
Distinguere queste due forme di ipoacusia ha un significato localizzatorio, in quanto l’ipoacusia di trasmissione è
legata a qualche alterazione dell’organo trasmissivo (martello, incudine, staffa) che serve per amplificare l’energia
sonora e trasdurla alla finestra ovale, che poi fa funzionare la coclea; in questo caso il nervo acustico può attivarsi
solo tramite una trasmissione ossea, che sarà conservata.
L’ipoacusia neurosensoriale è una lesione che in genere riguarda la coclea o il nervo: né impulsi trasmessi per via
aerea, né impulsi trasmessi per via ossea possono attivare la coclea e il nervo acustico, perché sono proprio queste
strutture ad essere compromesse.
IL NERVO VESTIBOLARE
NEUROANATOMIA
Origine nel ganglio vestibolare di Scarpa, costituito da cellule bipolari oppositopolari e da cellule a T.
I prolungamenti centrali penetrano nel bulbo e raggiungono 4 nuclei:
1. nucleo laterale di Deiters
2. nucleo mediale o triangolare
3. nucleo superiore di Bechterew
4. nucleo inferiore o discendente
Connessioni complesse:
con i nuclei oculomotori tramite il fascicolo longitudinale mediale costituendo la base anatomica
del riflesso vestibolo-oculare
con i motoneuroni spinali (fascio vestibolo-spinale)
con nuclei grigi reticolari pontobulbari (fibre vestibolo-reticolari)
I prolungamenti periferici si connettono con la macula dell’utricolo e del sacculo e con la cresta acustica nelle
ampolle dei canali semicircolari
I canali semicircolari sono 3 (posteriore, superiore, laterale) e rispondono alle accelerazioni angolari (rotazione del
capo) con conseguente spostamento dell’endolinfa in essi contenuta ciò determina a sua volta un’inclinazione delle
ciglia dell’epitelio sensoriale della cresta acustica.
Tale epitelio sensoriale (sia della macula acustica dell’utricolo che del sacculo) è rivestito da una membrana otolitica
(sostanza gelatinosa contenente concrezioni di carbonato di calcio). Lo scorrimento di tale membrana indotto
dall’accelerazione lineare del capo e dalla forza di gravità, determina una variazione dell’inclinazione delle ciglia
dell’epitelio sensoriale con conseguente partenza di uno stimolo sensoriale.
FISIOLOGIA
Il vestibolare nasce dall’epitelio ciliato dei canali semicircolari; nel ganglio vestibolare (orecchio interno) raccoglie
la sensibilità vestibolare dell’utricolo (analizza la posizione della testa rispetto alla gravità), sacculo (accelerazione
lineare) e delle creste ampollari. E’ un fine sistema su 3 piani che ci permette di sapere esattamente la posizione della
testa rispetto al corpo e viceversa. Dal ganglio vestibolare o di Scarpa proietta ai nuclei vestibolari inferiori, superiori,
laterali, medi, a livello bulbo-pontino. Dai nuclei partono le fibre vestibolari secondarie che proiettano ai nuclei
motori dei nervi encefalici, al cervelletto e a tutti i livelli spinali.
ESPLORAZIONE VESTIBOLARE STRUMENTALE
elettronistagmografia: consente di analizzare e registrare le caratteristiche del nistagmo. Si basa
sulle registrazioni delle variazioni di campo elettrico (dipolo corneo-retinico) prodotte dai movimenti
oculari.
prova calorica: studia gli effetti delle correnti endolinfatiche prodotte dall’irrigazione con acqua calda
o fredda del condotto uditivo esterno. Tale prova consente di esaminare separatamente ciascun
labirinto.
prova rotatoria: esamina contemporaneamente la funzione di entrambi i labirinti misurando la
sensibilità dei canali semicircolari all’accelerazione angolare indotta dalla rotazione della sedia sopra
la quale è seduto il soggetto.
IL NERVO GLOSSOFARIGEO
NEUROANOATOMIA E FISIOPATOLOGIA
È un nervo misto
PORZIONE SENSITIVA: fibre che hanno origine da due gangli posti lungo il suo decorso all’uscita del nervo dal
cranio
1. Ganglio petroso di Andersch: sensibilità gustativa. Le fibre si distribuiscono al terzo posteriore della lingua
(papille circumvallate)
2. Ganglio superiore di Ehrenritter: sensibilità somatica. Le fibre si distribuiscono alla mucosa faringea
PORZIONE MOTORIA origine dal nucleo ambiguo del bulbo (nucleo motore somatico del IX, X e XI). Innerva
vari muscoli tra cui:
Stilofaringeo
Stiloglosso
Costrittore superiore della faringe
PROLUNGAMENTI E PROIEZIONI CENTRALI: LA VIA GUSTATIVA
I prolungamenti centrali del IX, insieme a quelle provenienti dal ganglio genicolato del VII e dal ganglio nodoso o
plessiforme del X, vanno a confluire nel nucleo del fascicolo solitario da cui origina l’omonimo sistema di proiezione
ascendente (fascicolo o tratto solitario).
La ricezione della sensibilità gustativa (dolce, salato, amaro, acido) vede interessati:
VII (fibre associate al ganglio genicolato) per i 2/3 anteriori della lingua
IX e X (fibre associate ai Gangli di Andersch e Nodoso) per il 1/3 post della lingua e per
la regione periepiglottica
Le vie gustative centrali, al di là del nucleo del fascicolo solitario bulbare e del seguente fascio solitario-talamico, non
sono ben conosciute.
Il nucleo talamico implicato sarebbe il ventro-postero-mediale, zona di arrivo del lemnisco trigeminale (che
convoglia la sensibilità trigeminale).
L’area corticale sensitiva dovrebbe essere l’opercolo della corteccia fronto-parietale.
In caso di lesioni dell’uncus (porzione terminale del giro ippocampale) possono insorgere crisi epilettiche
caratterizzate da allucinazioni geusiche (e/o olfattive): questa osservazione clinica rende ipotizzabile l’esistenza di un
centro corticale gustativo localizzato nell’uncus o in aree temporali vicine.
Il decorso del nervo vede l’uscita dal bulbo a livello del solco laterale-posteriore e dal cranio a livello del foro lacero
posteriore (o giugulare) contraendo stretti rapporti di vicinanza con il X pertanto è RARA LA LESIONE
ISOLATA DEL IX.
Il IX n.c. è importante nei movimenti di deglutizione una sua lesione porta ad un difetto di deglutizione, che sarà
molto lieve in caso di lesione monolaterale, viceversa grave in caso di lesione bilaterale.
IL NERVO VAGO
NEUROANATOMIA
È un nervo Misto.
1. FIBRE MOTRICI: Origine nel nucleo ambiguo nel bulbo
2. FIBRE VEGETATIVE: Origine nel nucleo dorsale del vago a livello del pavimento del IV ventricolo
3. FIBRE SENSITIVE: Origine dal ganglio Nodoso (o plessiforme) e dal Ganglio Giugulare . I suoi
prolungamenti centrali contribuiscono, insieme alle fibre del VII e del IX, alla formazione del fascicolo
solitario.
Il tronco del vago esce dal cranio a livello del foro lacero posteriore (o giugulare) assieme al IX e nel suo lungo
decorso fornisce rami per i visceri sopradiaframmatici e sottodiaframmatici (bronchi, polmoni, cuore, esofago,
stomaco, fegato…):
1. rami intracranici:
meningeo posteriore: alla dura madre della fossa posteriore
Auricolare di Arnold: alla parete posteriore del meato uditivo esterno e alla membrana timpanica.
2. rami cervicali:
Il sistema motorio prevede una serie di vie parallele con organizzazione gerarchica.
La corteccia cerebrale interagisce in maniera stretta col talamo e con alcuni nuclei del tronco encefalo. Questi
impulsi vengono modulati in maniera importante a partire dai gangli della base del cervelletto fino ad arrivare al
midollo spinale da cui partono le cellule delle corna anteriori che arrivano attraverso il nervo al muscolo.
Il cosiddetto primo motoneurone è quello che compone il fascio piramidale e i corpi cellulari di questo partono dallo
strato V della corteccia motoria. 1/3 di queste fibre arrivano dall’area IV; 1/3 dall’area VI; e 1/3 da aree I II e III.
Il fascio piramidale scende attraverso il tronco, arriva al midollo spinale, si incrocia a livello della decussazione delle
piramidi e, attraverso il midollo, si connette con le cellule delle corna anteriori arrivando al corpo cellulare del II
motoneurone.
Il grosso del sistema motorio è fatto da due motoneuroni: il centrale o primo motoneurone e il periferico o secondo
motoneurone. La corteccia motoria ha una distribuzione somatotopica: il famoso homunculus di Penfield. Questo è
importante per localizzare alcune lesioni.
Nota: Per esempio la gamba è più all’interno per cui se ho una lesione ischemica a livello della cerebrale anteriore la
parte più danneggiata è l’arto inferiore; avrò un deficit di forza prevalente all’arto inferiore. Faccia, lingua, nervi
cranici e mano sono molto più rappresentati rispetto alla gamba.
Il primo motoneurone, è regolato da una serie di relè distribuiti attraverso la struttura nervosa.
A livello del mesencefalo ci sono i nuclei del tetto che regolano i movimenti del capo e degli occhi, il nucleo rosso da
cui partono i fasci rubrospinali (in particolare i fasci rubrospinali e il reticolopinale laterale controllano i muscoli
flessori) e i fasci vestibolospinali e reticolospinali (controllano i muscoli estensori).
Il controllo sui gruppi muscolari è molto importante perché il bilanciamento tra di essi ci permette di regolare il
movimento, il tono e la postura. Infine attraverso il ponte, con i nuclei ventricolari della reticolare pontina, e il bulbo
con la reticolare bulbare arriviamo poi al midollo spinale dove c’è l’unità motoria, molto importante perché la
dimensione del movimento dipende dal numero di unità motorie reclutate. Ovviamente se ho poche unità motorie
avrò un movimento più piccolo, se recluto molte unità motorie il movimento sarà più grande.
La dimensione del movimento dipende dal numero di unità motorie che recluto e anche dalla frequenza di scarica che
ciascuna unità motoria ha in questo ambito. Le unità motorie sono caratterizzate da un motoneurone che innerva una
serie di fibre muscolari.
Il motoneurone ha una funzione molto importante perché è quello che determina la caratteristica delle fibre
muscolari, per cui tutte le fibre muscolari innervate da una stessa unità motoria hanno la stessa proprietà e si
dovrebbero contrarre sempre quando vengono attivate dal motoneurone. Quando si contraggono in maniera spontanea
(anarchica) è espressione di patologia (per esempio sono sganciate dal motoneurone).
Esistono tre tipi di fibre: tipo I “ossidative”, IIb “glicolitiche rapide” e IIa “intermedie”. Queste fibre fanno nel
muscolo un pattern a scacchiera, ma questa differenza istoenzimatica che sottende una differenza biochimico-
metabolica è determinata proprio dal motoneurone. Quindi c’è un feedback molto importante tra muscolo e nervo. Il
motoneurone determina le caratteristiche delle fibre muscolari.
Es: Ipertrofia muscolare data dall’allenamento o l’ipotrofia data dalla sedentarietà che condizionano molto il
motoneurone come per esempio in situazioni di necessità di aumento delle unità dei motoneuroni che innervano un
determinato muscolo o deinnervazione nelle malattie neurogene perché il motoneurone ha anche una funzione trofica
molto importante per cui il muscolo denervato degenera e per evitarlo spesso i motoneuroni vicini lo reinnervano e
gli danno le loro caratteristiche del motoneurone che lo reinnerva.
Il tono muscolare è controllato da tre sistemi: piramidale, extrapiramidale e cervelletto.
Il tono è la resistenza passiva che apprezza l’esaminatore nella mobilizzazione di un arto (in genere un braccio o la
gamba). Il paziente deve essere rilasciato, non deve opporre una resistenza attiva.
Una alterazione del tono può essere in eccesso o in difetto. Quando in eccesso si verificano le ipertonie, in particolare
l’ipertonia piramidale (cosiddetta ipertonia spastica) dovuta a una lesione del primo motoneurone.
L’ipertono spastico è dovuto a uno sbilanciamento tra muscoli agonisti e antagonisti per cui il tipico atteggiamento
dei pazienti che hanno un ipertono spastico è la flessione dell’arto superiore e l’estensione dell’arto inferiore. Una
lesione del sistema piramidale è liberatoria (aumenta il tono) e aumenta anche i riflessi osteotendinei ed è un ipertono
cosiddetto spastico.
Una lesione del sistema extrapiramidale provoca il cosiddetto ipertono plastico perché sono coinvolti sia i muscoli
agonisti che quelli antagonisti per cui la sensazione è quella di un tubo di piombo per cui ci sono fenomeni particolari
come la troclea che si apprezzano nella mobilizzazione passiva dell’arto.
La lesione cerebellare da invece un ipotono cioè una riduzione del tono muscolare, per cui la sensazione alla
mobilizzazione passiva è proprio della persona che è flaccida. La stessa sensazione di flaccidità la da anche se con
caratteristiche diverse il deficit periferico del muscolo (in questo caso manca l’effettore).
L’ipertonia extrapiramidale è un’ipertonia plastica. La rigidità è la stessa sia nel movimento avanti che in quello
indietro perché è compromesso il movimento sia di agonisti che di antagonisti e c’è il tipico fenomeno della “ruota
dentata” per cui se mobilizzo il braccio che il gomito e il polso cedono a piccoli scatti.
L’ipotonia è una riduzione del tono muscolare caratteristica del cervelletto ma si può anche apprezzare per lesioni
periferiche del muscolo o del nervo periferico che diano anche una compromissione muscolare. Questa mancanza di
tono fa si che il paziente abbia un atteggiamento ciondolante (aumenta la pendolarità degli arti). L’ipotono può essere
legato anche a una debolezza muscolare che si quantifica mediante la scala MRC che va da 0 a 5 dove 5 è la
normalità, 3 il pz è in grado di fare il movimento contro la gravità ma senza resistenza. Da 3 a 5 ci sono una serie di
gradazioni di resistenza, 2 è il pz che fa il movimento in assenza di gravità, 1 è il muscolo che si contrae ma non fa
movimento e 0 è l’assenza totale di contrazione.
Un’altra cosa da valutare nell’eo sono i classici riflessi osteotendinei anche detti riflessi da stiramento o fasici che si
evocano percuotendo il tendine perché in questo modo si attivano i fusi neuromuscolari le fibre Ia e gli alfa
motoneuroni.
Per cui nella lesione piramidale se viene meno l’inibizione abbiamo riflessi vivaci , nella lesione periferica muscolare
in cui abbiamo una deficienza dell’effettore abbiamo i riflessi deboli o assenti, nelle forme extrapiramidali i riflessi
sono indifferenti e nella lesione cerebellare in cui c’è l’ipotonia come abbiamo un aumento pendolarità delle braccia
abbiamo anche un aumento della pendolarità del riflesso che viene evocato. La rilevazione dei riflessi è molto
importante perché non solo ci aiuta a discriminare tra lesione periferica e centrale (lesione periferica e assenza di
riflessi, lesione centrale e piramidale riflessi aumentati) ma a seconda del riflesso che noi testiamo possiamo anche
capire il livello lesionale perché i comuni riflessi corrispondono a un determinato livello.
I riflessi più comuni sono il bicipitale C5-C6, il tricipitale C7-C8, il rotuleo L3-L5, l’achilleo L5-S1 e poi il
brachioradiale e il cubito-pronatore.
La tipica sciatica S1 abolisce o riduce il riflesso ’achilleo; in un deficit del quadricipite il rotuleo sarà debole; una
lesione piramidale alta causa un aumento dei riflessi che può essere bilaterale o monolaterale; nell’ictus si ha
un’iperreflessia controlaterale alla lesione.
L’esaminatore osservando e valutando tono e riflessi in maniera adeguata già ha fatto una vasta parte dell’esame
obiettivo.
Abbiamo poi i riflessi superficiali che stimolano gli esterocettori. Il riflesso superficiale più noto è il plantarcutaneo,
infatti quando è alterato si estende l’alluce, è il tipico segno di Babinski, mentre lo sventagliamento delle dita è il
segno di Duprè. Per la stimolazione plantarcutanea si striscia l’ago dalla periferia del piede partendo dal tallone verso
l’alluce, mi deve far flettere tutte le dita.
Se il pz estende l’alluce questo è un segno di lesione e in particolare, un segno di interessamento piramidale.
Quindi una lesione piramidale mi da un’ipertonia spastica, un aumento dei riflessi e un Babinski.
Altri riflessi molto importanti sono quelli addominali ma, al contrario nel normale sono presenti e l’assenza del
riflesso è patologica. L’assenza dell’addominale è segno di interessamento piramidale come la presenza di Babinski e
vanno di pari passo con riflessi profondi abnormemente vivaci. Tutte le persone anche un po’ tese possono avere un
aumento dei riflessi o possono essere talmente tese che è difficile evocare i riflessi e bisogna fare delle manovre di
rinforzo o di distrazione come tirare le mani o serrare le mascelle.
L’asimmetria è sempre segno di patologia, ma riflessi globalmente vivaci per essere definiti patologici si devono
accompagnare ad altri segni come per esempio il Babinski o l’assenza degli addominali.
Trovare il Babinsky nel bambino di 1 anno è del tutto normale. Dobbiamo sempre considerare, infatti, che le
obiettività di cui stiamo parlando sono rapportate ad un paziente adulto o, per lo meno, ad un bambino grande.
LE GRANDI SINDROMI
Extrapiramidale
Piramidale
Cerebellare
SINDROME EXTRAPIRAMIDALE
La sindrome extrapiramidale per eccellenza è il Morbo di Parkinson.
Esso è caratterizzato essenzialmente da:
Rigidità da ipertono plastico (in cui vengono interessati sia i muscoli agonisti che antagonisti), con il
Inoltre il paziente mostra una postura particolare, cosiddetta camptocormica, cioè un atteggiamento in flessione del
tronco e degli arti.
Ad essa si associano: bradicinesia (riduzione della capacità deambulatoria), una deambulazione a piccoli passi, che
inizia molto lenta e che poi corre appresso al proprio baricentro, fenomeno definito “ festinazione”. Il paziente mostra
inoltre ipertonia dei muscoli e assenza dei movimenti pendolari nella marcia dovuti proprio a questa rigidità.
Caratteristica è anche l’ipocinesia del volto.
Importante: non sempre tutta la triade del Parkinson si riscontra nello stesso paziente.
Il Parkinson, nelle fasi avanzate è caratterizzato da una riduzione totale, completa di tutti i movimenti, mentre nelle
fasi iniziali è molto asimmetrico e i disturbi partono unilateralmente.
SINDROME PIRAMIDALE
La sindrome piramidale è caratterizzata da:
ipertonia spastica che ci dà l’atteggiamento in flessione dell’arto superiore e l’atteggiamento in estensione
dell’arto inferiore: il piede è supino-cavo-pronato, con la punta che va all’interno e, essendo rigido,
costringe il paziente ad extraruotare la rotula.
L’ipertonia spastica è caratterizzata dallo squilibrio agonisti-antagonisti per cui abbiamo il fenomeno del
“coltello a serramanico”.
I riflessi osteotendinei sono vivaci,
Segno di Babinsky , c’è l’ estensione dell’alluce e l’ assenza degli addominali (è ovvio che non sono
sempre semplici da rilevare perché, ad esempio, in un paziente in sovrappeso è chiaro che, anche se
normale, ha un’assenza dei riflessi addominali; però quando sono percepibili in maniera netta e si vede che
da una parte ci sono e dall’altra no, l’assenza è un segno patologico).
È molto importante considerare la topografia del fascio piramidale : il fascio piramidale decussa a livello delle
piramidi, per cui è importante sapere anche a che livello è la lesione:
Lesione sovra-piramidale (ex. Ictus) --> deficit piramidale controlaterale.
Lesione sotto-piramidale --> deficit piramidale omolaterale.
Per cui, se ho un paziente che ha un rotuleo vivace, un Babinsky a destra e, quindi, una sindrome piramidale dell’arto
inferiore destro io non posso sapere se lui ha una lesione cerebrale sinistra o una lesione spinale omolaterale destra.
Per cui importante è il tipo di lesione e dove è localizzata.
L’ictus è una classica patologia che da un quadro di sindrome piramidale controlaterale. La deambulazione è definita
pareto-spastica falciante . Il riflesso, normalmente, si evoca martellando il tendine, ma l’ ingrandimento dell’area
riflessogena è un altro segno di patologia del riflesso . Bisogna sempre paragonare il riflesso con il controlaterale: un
riflesso potrebbe non essere vivacissimo, ma può comunque risultare molto vivace in confronto al controlaterale.
Nelle sindromi piramidali è molto importante indagare anche i nervi cranici, ad esempio il faciale (infatti si dice
emiparesi facio-brachio-crurale ). Bisogna, però, considerare che i nuclei motori del faciale sono 2: uno superiore
innervato in parte dal fascio piramidale di destra e in parte dal fascio piramidale di sinistra e uno inferiore che riceve
solo l’innervazione controlaterale. Per cui gli orbicolari saranno sempre forti perché saranno compensati dal fascio
sano, mentre il faciale inferiore può essere deficitario. Si nota questa asimmetria del faciale inferiore perché la rima
labiale non è uguale a destra e a sinistra.
Ricapitolando:
Paralisi centrale (deficit del I motoneurone) --> è spastica
ipertonia di tipo piramidale
iperreflessia profonda (ROT policinetici, clono)
riflessi superficiali diminuiti o patologici (Babinski)
atrofia assente o ridotta
movimenti sincinetici
Paralisi periferica (deficit del II motoneurone) --> è flaccida (proprio perché manca l’effettore)
paralisi selettiva di singoli o gruppi di muscoli (si riferisce a quel compartimento che riguarda quel
determinato motoneurone danneggiato)
ipotonia
ipo/areflessia OT (perché viene interrotto l’arco riflesso)
ipo-atrofia muscolare
presenti fascicolazioni (contrazioni non finalizzate al movimento perché sono spontanee: sono piccoli
gruppi di fibre muscolari sganciate dal controllo da parte del motoneurone che è morto, è denervato, e
quindi si contraggono in maniera autonoma)
Paralisi periferica muscolare (se il muscolo viene denervato, se viene allontano dal proprio motoneurone, degenera,
diventa atrofico, perde di potenza) --> è flaccida (perché manca l’effettore)
interessamento selettivo di gruppi di muscoli (secondo pattern caratteristici per le diverse malattie)
riflessi profondi deboli, diminuiti ma proporzionati al deficit di forza
ipotonia
SINDROME CEREBELLARE
È caratterizzata da:
ipotonia,
atassia (da ataxia, che in greco vuol dire disordine): progressiva perdita della coordinazione
o atassia statica: tendenza alla caduta se il soggetto è a piedi uniti
o atassia della marcia (marcia dell’ubriaco)
o atassia segmentaria
tremore: che a differenza di quello del Parkinson, a riposo, è un tremore cinetico,
disartria: tipica parola scandita, esplosiva, da ubriaco
nistagmo.
IL CERVELLETTO
Il cervelletto è posizionato posteriormente al cervello nella fossa cranica posteriore, dietro al tronco cui è unito da tre
coppie di peduncoli: superiori al mesencefalo, medi al ponte, inferiori al bulbo.
Il cervelletto è un organo che, negli ultimi anni, si è dimostrato avere delle funzioni molto superiori rispetto a quelle
che ci si immaginava qualche tempo fa. Il suo ruolo è importante non solo nel movimento e nella coordinazione del
movimento, nell’ equilibrio, nel mantenimento del tono muscolare e della postura , ma ha anche un ruolo molto
importante nell’ apprendimento (abbastanza scontato) e, soprattutto, nelle funzioni cognitive . Per questo motivo una
buona parte del nuovo approccio riabilitativo sfrutta anche le capacità cerebellari per sanare alcuni deficit motori.
Il cervelletto integra e coordina tutti gli input , attuali e passati, che provengono dalla periferia (quindi dagli organi
dell’equilibrio, orecchio, vista, recettori sensitivi, fusi neuromuscolari, organi tendinei del Golgi…) e le integra con i
vari sistemi motori. E non solo le integra nel momento in cui serve integrarle, ma immagazzina l’esperienza passata e
ne fa un patrimonio prezioso anche per coordinare e modulare il movimento
Quindi il cervelletto dà la giusta intensità al movimento, la giusta direzione, ma integra anche queste necessità con
l’esperienza passata: ecco quindi l’apprendimento motorio.
Certe skills si acquisiscono proprio perché il cervelletto ha una funzione centrale e queste cose si mantengono più o
meno per tutta la vita. Si perde magari la manualità, l’esercizio ma le cose fondamentali si ricordano. Quindi: il
cervelletto coordina i vari movimenti, modulandone l’inizio e la fine, e l’interazione tra i muscoli agonista
antagonista, integrando anche le esperienze passate.
Dato che il cervelletto è indispensabile per qualunque azione la lesione cerebellare da degli effetti devastanti: nella
lesione cerebellare vedremo un paziente ciondolante perché non riesce a controllare la pendolarità degli arti e il
mantenimento della postura eretta nella maniera adeguata.
Anche dal punto di vista morfologico il cervelletto, detto anche “albero della vita”, è molto particolare: esso è
formato dalla corteccia cerebellare, un mantello di sostanza grigia superficiale formato, a sua volta, da una serie di
folia che costituiscono la superficie cerebellare. La corteccia è formata da tre strati: la parte esterna detta molecolare,
che è costituita da assoni e dendriti; la parte intermedia, costituita dalle cellule fondamentali del cervelletto che sono
le cellule del Purkinje; e uno strato interno granulare, costituito da piccoli neuroni. Al centro di ciascun folium (che è
come una sorta di cappuccio) c’è la sostanza bianca che passa all’interno così come passano tutti gli assoni afferenti
ed efferenti.
o Atassia della marcia (marcia tipica dell’ubriaco), è una marcia a zig zag, a stella, sempre perché
il paziente non riesce a coordinare e a posizionare nella maniera giusta il proprio corpo nello
spazio.
o Atassia segmetale, invece, è l’incoordinazione a livello degli arti e si manifesta con una serie di
problemi nell’esecuzione di movimenti: la dismetria (la prova classica è l’ indice-naso o
calcagno-ginocchio nell’arto inferiore: vediamo che il paziente non riesce a toccare in maniera
corretta il target e siccome se ne rende conto cerca di controllare e aggiustare il tiro ma non ci
riesce, per cui alla fine vedremo che il movimento si rallenta, questo fenomeno è detto frenage,
ma non riesce comunque a colpire in maniera corretta) o ipermetria, se è eccessivo (dici al
paziente di toccarsi il naso e lui si tocca la guancia); l’ incapacità di eseguire i movimenti fini
(tutto quello che richiede una coordinazione precisa); la diadicocinesia (incapacità di coordinare
in maniera adeguata i movimenti alternati); l’ asinergia (è la scomposizione del movimento in
tante piccole frazioni, per cui il movimento acquisterà un andamento irregolare, a scatti).
Il tremore è un’oscillazione ritmica involontaria dovuta alla contrazione alternata di agonisti e antagonisti;
il tremore cerebellare è ampio, irregolare, intenzionale cioè da pensiero, da movimento intenzionale, e
aumenta nei movimenti direzionati verso un bersaglio. Ciò anche perché è normale che tutti i disturbi del
movimento aumentino nelle situazione di stress, di tensione: dato che già so che sto facendo una manovra
che non farò bene man mano che arrivo al bersaglio, che so che sbaglierò, il tremore aumenta.
SINDROMI CEREBELLARI
Il cervelletto è costituito da delle strutture che sono filogeneticamente diverse:
L'archicerebello si identifica con il nodulo flocculo e
il paleocerebello con soprattutto con il verme cerebellare ed ha connessione soprattutto con il midollo
spinale.
Il neocerebello è quello che si identifica soprattutto con gli emisferi cerebellari e che si connette soprattutto
con la corteccia.
Questa differenza anatomica e filogenetica si manifesta anche a seconda della lesione dove colpisce anche con delle
manifestazioni differenti. La differenza sarà soprattutto se il danno è lateralizzato o meno.
La sindrome vermiana è soprattutto una sindrome che dà un'atassia del tronco, quindi un importante disturbo
dell'equilibrio e comporta nistagmo ma non dismetria. Questa è la sintomatologia tipica di alcuni tumori
cerebellari come il medulloblastoma.
Invece la sindrome emisferica cerebellare comporta atassia, dismetria dell'arto o degli arti omolaterali alla
lesione (e non particolarmente del tronco), l'ipotonia e il tremore omolaterali alla lesione. Anche qui c'è
disartria, disturbo dell'equilibrio.
3. Per quanto riguarda la sindrome del paleocerebello e dello spinocerebello (la cosiddetta sindrome del lobo
anteriore) abbiamo un'alterazione sempre della coordinazione motoria e dell'equilibrio, l'atassia nella marcia ma
non c'è ipotonia.
Questo è tipico delle forme degenerative come l'atrofia multisistemica o le atrofie spinocerebellari
paraneoplastiche.
4. Infine la sindrome del lobo posteriore o del neocerebello comporta dismetria, adiadococinesia omolaterale alla
lesione, tremore intenzionale omolaterale, marcata ipotonia con riflessi omolaterali pendolari e questo è tipico
dell'ictus cerebrale o di forme degenerative.
Non si può fare dal punto di vista dell'eziopatogenesi una correlazione molto stretta al quadro semeiologico.
Inoltre adesso si è visto che il cervelletto ha un importante ruolo anche nell'apprendimento cognitivo, svolgendo per il
pensiero lo stesso ruolo che svolge per il movimento, e quindi coordinare le afferenze ed efferenze con l'idea. Ha
importanti funzioni con le reazioni emotive e la working memory.
PATOGENESI
Si possono distinguere malformazioni congenite anche molto gravi da un punto di vista morfologico ma da un punto
di vista funzionale sono quelle più correggibili in quanto il SNC è dotato di una plasticità fenomenale che può
compensare tali difetti nelle prime fasi della vita.
Il cervelletto può addirittura vicariare alcune funzioni cerebrali.
Le malattie cerebellari si posso dividere in:
acute con esiti,
acute reversibili,
subacute
croniche.
- Tra quelle croniche ci sono soprattutto le malattie degenerative e, tra queste, soprattutto quel gruppo di
malattie genetiche.
- Tra quelle acute reversibili ci sono molte intossicazioni da farmaci e il deficit di tiamina, importantissimo poichè si
manifesta non solo nella sindrome alcolica ma anche in tutte quelle forme di malassorbimento che compromettono la
presenza di tiamina, indispensabile per la funzione cerebellare.
- Forme acute con esiti non compensabili come malattie infiammatorie infantili.
- Forme subacute che sono soprattutto le neoplasie (il medulloblasoma nell'infanzia o altre neoplasie cerebellari
nell'adulto), le sindromi paraneoplastiche che danno una sindrome cerebellare che, a differenza delle forme
degenerative, si sviluppa rapidamente nell'arco di mesi (non in anni o decenni come nel caso delle forme
degenerative). Tra le forme subacute dobbiamo ricordare anche le forme da prioni: l'atassia cerebellare nella C.J. è un
sintomo molto importante.
Vi sono delle forme anche episodiche in cui il sintomo dell'atassia è accessuale. Sono forme che si curano con
l’acetazolamide, in quanto legati a disturbi specifici dei canali ionici.
E’ importante sapere che queste forme sono trattabili poiché, se non vengono trattate, diventano degenerative e non
rispondono più al trattamento con l’acetazolamide (un diuretico osmotico che è anche uno stabilizzatore dei canali, si
usa indipendentemente dal canale coinvolto, anche se dovrebbe essere un risparmiatore di potassio).
La degenerazione cerebellare subacuta è un’altra forma importante da conoscere la cui diagnosi differenziale con la
sindrome cerebellare può esser difficile in quanto i sintomi possono essere gli stessi.
L’atrofia paraneoplastica è un’altra di quelle che possono esser curabili. Paraneoplastica da microcitomi, K ovario e
mammella, e i linfomi. In genere sono forme che si accompagnano a specifici anticorpi poiché il SNC è da un punto
di vista immunologico protetto. Quando certi tumori svelano proteine simili ai tessuti cerebrali si formano degli ab
che possono danneggiare specifici settori cerebrali. L’atrofia cerebellare è una delle più classiche sindromi
paraneoplastiche del SNC, e può manifestarsi anche precedendo il tumore stesso. Quindi è molto importante
identificare queste sindromi perché:
Devo fare lo screening e cercare il tumore;
Perché sono suscettibili di un certo trattamento immunosoppressivo, plasmaferesi o Ig.
Possono esserci le patologie infiammatorie , ad esempio quelle scatenate da vaccinazioni. Una complicanza della
vaccinazione per la varicella, ad esempio, sono proprio le cerebelliti.
Per le malattie demielinizzanti in generale è opportuno fare una risonanza magnetica che è l’esame cardine per notare
quelle che sono delle alterazioni della mielina.
Infine la degenerazione cerebellare alcoolica : l’alcolista che presenta un eloquio impastato, un po’ dismetrico e
atassico, è proprio l’esempio più lampante. Infatti la marcia atassica si chiama anche marcia dell’ubriaco.
L’atrofia dell’alcolista e soprattutto vermiana, e quindi dà disturbi della statica e della marcia. C’è un’assenza di
correlazione tra la quantità e la durata dell’intossicazione alcolica, spesso si associa anche polineuropatia. E sono
forme che migliorano con la tiamina (B1).
Le stesse manifestazioni legate al deficit di tiamina si possono avere anche nei pazienti con grave malassorbimento. E
la somministrazione di glucosata produce lo stesso effetto negativo.
L’atassia può essere un disturbo anche da malattia da prioni, ad esempio la Creutzfeld-Jacob, la quale può esser legata
a due fattori: un fattore genetico o ad una modificazione di questa proteina infettiva (una cosa nuovissima). È una
proteina (PrP) in grado di infettare e indurre generazione di frammenti amiloidi all’interno del SNC. La via di
trasmissione può esser alimentare (ricorderete il morbo della mucca pazza) oppure per via di terapie con GH, o
trapianti di cornea non protetti.
La sintomatologia clinica consiste in un’alterazione della personalità, una sindrome atassica cerebellare con
mioclonie. Incurabile, porta a morte dopo coma irreversibile.
Anche qui la diagnosi è importante, non tanto per le forme acquisite quanto per le forme genetiche, per le quali
esistono test di screening.
LE MALATTIE NEUROMUSCOLARI
Il muscolo non è un tessuto da trascurare perché attraverso il muscolo non solo si determinano le azioni, ma è
fondamentale anche per la respirazione, il battito cardiaco, la produzione di calore. Abbiamo, per compiere i diversi
movimenti, circa 75 coppie di muscoli, tra agonisti e antagonisti, su 434 muscoli totali. Il muscolo, oltre al
movimento, è importante anche per mantenere tono e postura.
La fibrocellula muscolare è eccitabile, contrattile, estensibile ed elastica.
Le malattie del muscolo possono essere conseguenti a:
Disturbi dell’ α-motoneurone (II motoneurone) o del nervo periferico e quindi si dicono neurogene
Un’alterazione della placca, il punto di contatto tra il nervo e il muscolo, e sono fondamentalmente il
gruppo di malattie di cui il rappresentante più noto è la Miastenia gravis
Malattie miogene, in cui il muscolo soffre primitivamente per un danno intrinseco al muscolo stesso.
DIAGNOSI
Tutte le malattie neuromuscolari possono essere geneticamente determinate oppure acquisite. La diagnosi si fa con i
soliti strumenti: anamnesi e osservazione del paziente, esame obiettivo, indagini di laboratorio, studi elettrofisiologici
etc.
Indagini di laboratorio
Per quanto riguarda le indagini di laboratorio ci può aiutare il dosaggio della creatinchinasi (CK), che è l’enzima
muscolare per eccellenza. Ci può dare un orientamento, ma non è un elemento indispensabile per fare diagnosi di
malattia muscolare. Grossolanamente possiamo dire che un’elevazione molto importante della CK (nell’ordine delle
migliaia) ci orienta verso una malattia muscolare primitiva, ma un’elevazione moderata (300-400-500) non ci può far
distinguere tra malattie miogene e neurogene. Il valore normale è intorno alle 170-200 ed è possibile ritrovarlo anche
in situazioni di malattia neuromuscolare.
Indagini strumentali
Per quanto riguarda gli studi elettrofisiologici, l’elettromiografia ci fa grossolanamente distinguere una malattia
neurogena da una miogena. Oggi si usa molto la risonanza muscolare (o anche la TAC), che ci aiuta a capire la
distribuzione della compromissione muscolare e soprattutto se c’è un interessamento infiammatorio. La biopsia
muscolare è il gold standard per le patologie miogene, mentre è inutile per le neurogene, dove talvolta può essere
utile effettuare una biopsia del nervo. Infine tra i test può essere effettuata l’analisi genetica.
Anamnesi
Nelle malattie neuromuscolari, oltre alle solite domande, è molto importante determinare quando il problema è
insorto, il suo esordio, perché è diverso tra le forme acute, subacute e croniche. Molto spesso il paziente mette in
relazione l’esordio della malattia con un evento particolare. In pratica spesso accade che il paziente non riconosce
l’esordio perché si è gradualmente abituato a quel deficit: un bambino che ha sempre corso poco si abitua a pensare
che la sua normalità è quella e quindi metterà attenzione al fatto che ha dei problemi muscolari magari in seguito a
una caduta con rottura del femore. Quindi è molto importante capire l’esordio, perché già quello ci orienta verso un
determinato gruppo di malattie.
L’osservazione del paziente è importantissima perché ci dà tante indicazioni su esordio e andamento della malattia,
ci dice se ci sono delle situazioni che scatenano o meno i sintomi e se questi sintomi sono costanti, recidivanti o
fluttuanti etc. E’ molto importante capire quali altre patologie sono associate, in quanto alcune di queste malattie sono
multisistemiche (con frequente compromissione cardiologica), oppure se sono presenti altre patologie internistiche
quali diabete o alcolismo, che possono provocare sintomi neurologici e quindi anche neuropatie o miopatie.
Anche l’ anamnesi fisiologica è particolarmente importante in quanto nelle neuropatie e nelle miopatie ci possono
essere disturbi vegetativi (sfera sfinterica, sessuale, disturbi del sonno…). Per quanto riguarda l’anamnesi
farmacologica, prestare attenzione a sostanze che possono essere neuromiotossiche. Anche l’ambiente sociale e la
professione ci possono essere utili nel caso in cui si utilizzino o si stia a contatto con determinati materiali. Anche la
scuola è importante perché ci può far capire se il bambino ha un qualche minimo (o conclamato) ritardo mentale.
A questo punto bisogna anche essere in grado di distinguere se il paziente è capace di riferirci da solo l’anamnesi,
perché a volte pur parlando di SNP ci può essere una compromissione dello stato di coscienza o mentale per cui il
paziente è inattendibile.
L’anamnesi familiare è fondamentale per questo genere di malattie perché molte di queste sono genetiche.
Dobbiamo pertanto individuare se nella famiglia ci sono altri individui affetti, se nella famiglia c’è consanguineità e,
qualora non ci fosse, se i genitori vengono da un piccolo paese, perché il piccolo paese e come una grande famiglia e
quindi il rischio genetico è di poco superiore al matrimonio tra consanguinei.
Esame obiettivo
La prima cosa è comunque l’osservazione del paziente, quindi capire la distribuzione del deficit muscolare; bisogna
osservare la distribuzione della debolezza, se questa prende soprattutto i muscoli prossimali o distali , se il deficit è
simmetrico o asimmetrico , se è diffuso o localizzato , se prende i muscoli mimici o oculomotori (perché questa
distinzione orienta per delle patologie ben caratterizzate).
Altra cosa da osservare è se il muscolo è atrofico o ipertrofico:
Un muscolo molto atrofico, con un’atrofia sproporzionatamente maggiore rispetto alla debolezza
muscolare, ci fa pensare a una malattia neurogena.
Un muscolo addirittura ipertrofico, pastoso, ma debole, ci fa pensare a una malattia muscolare primitiva.
Se la debolezza è più o meno uguale all’atrofia si tratterà di forme infiammatorie o metaboliche
DISTROFIE
In questo gruppo eterogeneo di patologie la genetica ha dato un notevole contributo alla diagnosi ma , ampliando i
fenotipi, ne ha complicato la classificazione clinica.
Stesso gene → DMP prossimali
→ DMP distali
LAMINOPATIE
Gruppo eterogeneo di malattie, caratterizzate da mutazione nel gene della lamina A/C , noto come LMNA. Vengono
definite anche nucleopatie perchè le lamine sono proteine nucleari.
Esse sono correlate a :
Lipodistrofia
invecchiamento precoce
problematiche del muscolo scheletrico e/o muscolo cardiaco e /o del nervo periferico
Dal difetto delle lamine si possono avere quadri sindromici complessi.
STRUTTURA LAMINE
I pazienti affetti mostrano caratteristiche quali: alopecia, micrognazia, spalle piccole e ciondolanti con clavicole
ipoplastiche, gomiti in flessione, lipodistrofia, iperpigmentazione, sdr dismetabolica ed osteolisi sia della mandibola
che delle falangi distali (di mani e piedi). E’ tipico di questo disturbo la deformità a “ joint stick ” delle dita ,
caratterizzate da zone di atrofia cutanea.
Un quadro grave , all’interno delle laminopatie con invecchiamento precoce, è rappresentato dalla PROGERIA.
Il paziente si presenterà con: ritardo post-natale dell’accrescimento, alopecia, osteoporosi e l’anomala distribuzione
del grasso sottocutaneo.
La morte sopraggiunge nella prima adolescenza per le tipiche complicanze di un soggetto anziano , come l’infarto
del miocardio o l’insufficienza cardiaca congestizia, in più del 90% dei casi.
Un’altra laminopatia è rappresentata dalla EDMD , nota come Distrofia di Emery - Dreifuss.
DISTROFIA MIOTONICA
Tra le distrofie, quella Miotonica è la più frequente. È una patologia a trasmissione a utosomica dominante, con
esordio clinico variabile.
È caratterizzata da :
Distrofia muscolare + miotonia
coinvolgimento multisistemico (muscolo scheletrico e liscio, cuore, cristallino, sistema nervoso centrale,
endocrinopatie)
Anticipazione nelle successive generazioni (esordio più precoce, fenotipo più
grave)
La distrofia di Steinert ( DM1) è stata la prima descritta assieme alla D. di Batten e di
Gibb. Esistono forme meno frequenti ma con comportamento dominante, accomunate dalle
tre caratteristiche sopra riportate.
CLINICAMENTE si noterà :
Miotonia - lentezza nel rilassare un muscolo normalmente contratto. È un
disturbo che si apprezza soprattutto a livello della mano dove, evocando la
contrazione muscolare, preferenzialmente tramite la percussione ripetuta
dell’eminenza tenar si osserverà il fenomeno del “ warm up” → riduzione della
miotonia.
DIAGNOSI
Osserviamo:
III. CK – normale o modestamente elevato
IV. EGM - scariche miotoniche (talora importante per evidenziare una miotonia subclinica)
V. Biopsia - variabilità del calibro delle fibre, nuclei centralizzati, raccolte di nuclei centrali “in fila ”/ “a
catenella”, fibre ad anello . Si osservano anche masse sarcoplasmatiche, modesta fibrosi e fibre
angolate
Nello specifico la diagnosi si avvale della : CLINICA + EMG + GENETICA
La distrofia miotonica potrà essere di tipo :
LIEVE: con cataratta, miotonia. Esordio: > 50 aa
TIPICA: con debolezza muscolare progressiva, miotonia, apatia, disturbi del ritmo cardiaco, atrofia
testicolare, diabete, ipersonnia, disturbi respiratori . Esordio: 10-50 aa
INFANTILE: con difficoltà nel linguaggio e nell’apprendimento, ritardo mentale di vario grado, debolezza
muscolare, miotonia assente in età prescolare. Esordio: 1-10 aa
CONGENITA: rappresenta una delle cause più frequenti di “floppy infant”. Caratterizzata da:
4. riduzione dei movimenti fetali, polidramnios
5. ipotonia neonatale, diplegia facciale , disturbi respiratori
6. artrogriposi, dismorfismi
7. ritardo psicomotorio
8. miotonia assente
Geneticamente l’alterazione è a carico del cromosoma 19 ( regione 19q13).
Il gene codifica per una miotonina protein kinasi ed è localizzato vicino alla sequenza genica coinvolta
nell’ipertermia maligna.
La mutazione è costituita dalla ripetizione anomala di una tripletta di basi (CTG) , che diventa patologica se ripetuta
più di 50 volte. Il numero di ripetizioni sarà proporzionale alla gravità del fenotipo clinico.
In base al numero di espansioni CTG , che va da 50 a 4000, si classificherà nel seguente modo:
DM LIEVE : > 50 – 150
DM TIPICA : poche centinaia - 1000
DM INFANTILE: centinaia - migliaia
DM CONGENITA: migliaia
Si osserverà un’ ampia eterogeneità fenotipica nei membri di famiglie affette da DM e la gravità delle sindromi
cliniche sarà correlata all’età del paziente e all’età di esordio della patologia.
TERAPIA
Per la miotonia -> FENITOINA (procainamide, chinino, mexiletina, da somministrare con estrema cautela a causa
degli effetti antiarimici)
Per la sonnolenza -> MODAFINIL
Monitoraggio cardiaco -> Tramite o terapia farmacologica o l’utilizzo di PaceMaker o impianto di defribillatore
Supporto respiratorio, che si avvale di:
o Ventilazione non invasiva con maschera facciale (inizialmente solo notturna)
o Tracheostomia e ventilazione invasiva
MALATTIE MITOCONDRIALI
Disturbi ad interessamento trasversale, come le laminopatie.
I mitocondri sono organuli ubiquitariamente presenti in tutte le cellule nucleate che , mediante la fosforilazione
ossidativa , rappresentano i principali produttori di energia.
Tramite una serie sequenziale di reazioni di ossido-riduzione lungo i complessi enzimatici della catena respiratoria,
trasformano le varie molecole ( proteine, zuccheri e/o grassi ) in ATP, indispensabile per la sopravvivenza cellulare.
Hanno un proprio DNA , molecola circolare a doppia elica contenente 37 geni: 13 proteine, 2RNAr, 22 RNAt.
Circa 1.5 bilioni di anni fa , i probatteri aerobi popolarono le cellule eucariote primordiali, perciò il DNA m. risulta
essere una molecola fossile, frutto dell’endosimbiosi . Diversamente dai fossili però , continua a funzionare sotto il
controllo del genoma nucleare.
DIAGNOSI
Seppure difficile da fare, si avvale dei dati clinici, di laboratorio, delle neuroimmagini e della biopsia muscolare.
Con la biopsia muscolare si osserveranno le alterazioni mitocondriali, evidenziabili con tecniche di
immunoistochimica e istoenzimatica.
Le alterazioni caratteristiche saranno rappresentate dalle Ragged red fibers (RRF) , caratterizzate da un aumento
della proliferazione mitocondriale (aumentati di numero ma non adeguatamente funzionanti) . Le RRF saranno fibre
alterate suggestive ma non specifiche, poiché possono riscontrarsi anche in patologie non mitocondriali e , d’altra
parte , possono mancare in alcune malattie mitocondriali.
Per quanto riguarda la classificazione genetica , che risulta essere complessa in quanto i mitocondri sono sotto il
controllo del genoma mitocondriale e nucleare, è la seguente:
Difetti del DNA nucleare (trasmissione mendeliana)
A. Mutazioni di geni che codificano proteine enzimatiche o strutturali
B. Difetti delle translocasi mitocondriali
C. Difetti di importazione delle proteine mitocondriali
Mutazioni del DNA mitocondriale
A. Riarrangiamenti maggiori sporadici (duplicazioni/delezioni)
B. Mutazioni puntiformi a trasmissione materna non mendeliana
Difetti della comunicazione intergenomica
A. Delezioni multiple del DNA mitocondriale
B. Deplezione del DNA mitocondriale
Note
§
Le disferlinopatie sono patologie recessive , caratterizzate da quadri prevalentemente distali e raramente da quadri
con interessamento prossimale-cingolare.
§
L’Ipertermia maligna è una problematica caratterizzata dalle contrazioni muscolari incontrollate e da un aumento di
temperatura oltre i 40°C.
Può insorgere o autonomamente come disturbo autosomico dominante, legata all’alterazione dell’omeostasi del Ca
nelle fibre muscolari , come conseguenza di mutazioni a carico del gene codificante per il recettore della rianodina ,
oppure come complicanza anestesiologica a seguito dell’utilizzo di anestetici volatili e della succinilcolina.
Rappresenta una complicanza potenzialmente letale, che deve essere tempestivamente trattata con l’utilizzo di
dantrolene ev.
x
Le complicanze respiratorie sono correlate tanto al precoce interessamento dei muscoli respiratori, quanto
all’alterazione del centro del respiro.
I pazienti che sviluppano complicanze respiratorie vanno frequentemente incontro ad un’insufficienza respiratoria
subdola , a causa di un anomalo rilassamento muscolare durante le fasi REM del sonno. L’anomalo rilassamento
determinerà fasi di apnea, responsabili di ipossia e ipercapnia , caratterizzata da cefalea al mattino e associata a
sonnolenza, stanchezza ed astenia.
Il monitoraggio delle prestazioni respiratorie del paziente sarà fondamentale, poiché da un’insufficienza respiratoria
Il dna mitocondriale viene trasmesso esclusivamente dalla madre, dall’ovocita, mentre il dna mitocondriale dello
spermatozoo viene eliminato al momento della fusione. Quindi il patrimonio mitocondriale viene esclusivamente
dalla madre, soltanto la madre trasmette la malattia.
E’ una forma in cui, diversamente dalle X-linked, la possibilità che i figli maschi e femmine siano affetti è
esattamente uguale e rispetto alle forme dominanti. Solo la donna che trasmette la malattia mentre il maschio non la
trasmette mai
A differenza dei geni nucleari per cui per ogni carattere abbiamo due alleli, per il genoma mitocondriale ci sono varie
copie in ogni mitocondrio, quindi migliaia di copie in un tessuto e queste copie vengono distribuite in maniera
casuale durante la divisione mitotica alle cellule figlie per cui la distribuzione dei genomi affetti è molto variabile. Se
un ovocita con un solo mitocondrio con un genoma mutato, viene trasmesso e si moltiplica anche una donna con una
forma lieve può dare origine ad una malattia grave, per cui una donna portatrice di una mutazione mitocondriale ha
una probabilità altissima di trasmettere la malattia.
La prima malattia mitocondriale caratterizzata è la malattia di Kearns Sayre , descritta da due oculisti nel 1958,
caratterizzata da una oftalmoplegia esterna progressiva, da una retinite pigmentosa, a cui si associa una serie di
patologie con blocco AV con necessità di mettere il pacemaker, miopatie mitocondriali, intolleranza allo sforzo,
sindromi cerebellari e deterioramento cognitivo, ipoacusia neurosensoriale, sintomo frequente nelle malattie
mitocondriali, bassa statura e diabete.
Questa è una forma sporadica perché l’ovocita che porta un’alterazione mitocondriale di questo tipo, che è una
delezione del dna mitocondriale, non è in grado di trasmettere la malattia.
Alcune forme sono associate a mutazioni puntiformi che danno un’oftalmoplegia esterna progressiva e
un’associazione eterogenea di sintomi, possono avere invece una trasmissione molto variabile. Ci sono più di cento
mutazioni del dna mitocondriale che seguono quindi la genetica mitocondriale trasmessa dalle donne a figli maschi e
femmine, solo le donne trasmettono la malattia.
Di queste forme la più caratteristica è la Melas, va in diagnosi differenziale con l’ictus giovanile. E’ una malattia
caratterizzata da episodi stroke-like, simil ischemici ma con caratteristiche diverse rispetto all’ictus vascolare, e
acidosi lattica. Altri sintomi molto comuni di questa malattia sono l’emicrania e le crisi epilettiche, anche qui una
miopatia mitocondriale, una neuropatia, una cardiomiopatia ipertrofica evolutiva , il diabete e la mutazioni più
frequente è la A3243G
Quello che è interessante è che questa stessa mutazione può in alcune famiglie esprimersi soltanto in diabete, quindi
c’è un diabete mitocondriale o ipoacusia o solo cardiomiopatia. Quindi la patogenesi mitocondriale va tenuta presente
nella diagnosi differenziale, in cardiologia, di alcune cardiopatie sia ipertrofiche (come nel caso della Melas) sia
aritmogene come nella sindrome di Kearn Sayre o altre malattie mitocondriali ma deve essere considerata anche dagli
endocrinologi, in particolare il diabete, aspetto molto frequente di queste malattie.
Ma la caratteristica che da il nome alla Melas è la presenza degli episodi ischemici o meglio simil ischemici che si
differenziano dalla malattie cardiovascolari classiche perché in queste aree ischemiche non c’è riduzione del flusso
sanguigno come si vede dagli studi di perfusione
Inoltre mentre nell’ictus ischemico gli episodi durano pochi minuti o al massimo poche ore, in queste forme gli
episodi si susseguono e l’ictus va avanti per giorni, settimane o addirittura mesi e comincia da un punto per poi
migrare nei punti vicini; la patogenesi di questi disturbi pseudo vascolari è infatti diversa in quanto è legata all’azione
tossica dell’acido lattico e se noi andiamo a fare la spettroscopia vedremo che in queste aree c’è un aumento
dell’acido lattico, non soltanto nelle aree ischemiche ma in tutto il cervello, tipica è quindi la presenza di un picco di
acido lattico.
Quindi azione tossica dell’acido lattico cui si associa una sofferenza dei neuroni con riduzione dell’N-acetil- aspartato
che è indice di depauperamento neuronale, non funzionano bene i neuroni in quanto i mitocondri sono alterati. Queste
manifestazioni simil ischemiche si manifestano dopo una situazione che richiede un dispendio energetico molto
importante, per esempio uno stress psicofisico, una crisi epilettica o emicranica e i neuroni non sono in grado di
rispondere a questa situazione di richiesta acuta e ciò unito all’effetto tossico dell’acido lattico dà queste alterazioni
simil ictali migranti che non corrispondono a un distretto vascolare preciso e con il ripetersi portano poi ad una atrofia
e ad una necrosi, per cui la malattia diventa alla fine progressiva.
Le Miopatie Infiammatorie
Le forme infiammatorie sono acquisite, in genere autoimmuni e le forme più frequenti sono la polimiosite, la
dermatomiosite e la miosite a corpi inclusi. La polimiosite e la dermatomiosite sono forme realmente curabili mentre
la miosite a corpi inclusi, che comunque è molto frequente nell’adulto no in quanto ha una patogenesi diversa. Nelle
miopatie infiammatorie si richiede una terapia immunosoppressiva quindi bisogna essere sicuri della diagnosi.
La polimiosite colpisce gli adulti mentre la dermatomiosite ha due picchi: uno nell’adolescenza, 14-16 aa e uno negli
adulti, 45-65 aa. La miosite a corpi inclusi colpisce soprattutto i maschi ed è rara sotto i 50 anni mentre rappresenta
l’80% delle forme infiammatorie sopra i 50 anni.
La caratteristica è la debolezza muscolare che ha una distribuzione prossimale, tra il cingolo pelvico soprattutto e il
cingolo scapolare e a volte può associarsi a problemi della deglutizione e nei casi più gravi piuttosto infrequente è la
compromissione respiratoria.
La diagnosi è effettuata sulla base di una debolezza muscolare che non va avanti da anni, le forme acquisite hanno un
andamento subacuto, di settimane o al massimo mesi mentre se un paziente accusa una debolezza da anni, 5 o 6,
allora non è una forma infiammatoria.
Alla periferia del fascicolo tutte le fibre sono più piccole. Questo è un quadro caratteristico perché anche se non
conoscete nulla del paziente se vedete un vetrino con quel quadro di atrofia perifascicolare è possibile fare diagnosi di
dermatomiosite, aspetto quindi patognomonico e diagnostico: tutto ciò perché nella dermatomiosite il target è il vaso
e quindi le fibre più periferiche, lontane dal vaso appunto sono quelle che soffrono di più. Le alterazioni cutanee sono
abbastanza caratteristiche e sono esacerbate dalla luce e dalla esposizione al sole; vengono colpite le zone foto
esposte come nel lupus però interessa il collo, la parte superiore del tronco e ovviamente le palpebre e le guance e la
superficie estensoria della articolazioni sia dei gomiti sia delle ginocchia, c’è inoltre una discolorazione eliotropa
delle palpebre e le papule di Gottron, anche queste caratteristiche a livello delle mani e delle unghie.
La dermatomiosite infantile invece è caratterizzata da:
Rialzo febbrile, malessere e irritabilità
Disturbi gastrointestinali, spesso legati alla presenza di vasculiti anche del sistema gatrointestinale
Calcinosi, soprattutto a livello delle articolazioni
Vasculiti
Inizialmente si pensava che fosse la terapia cortisonica responsabile delle complicazioni quali l’ulcera
gastrointestinale e adesso si è visto che sono semplicemente delle caratteristiche delle forme infantili.
Un altro interessamento tipico di dermato e polimiosite è a carico dei muscoli estensori e flessori del collo.
Se facciamo la capillaroscopia c’è un pattern abbastanza caratteristico. I primi segni della malattia che il pz riferisce
sono l’incapacità ad alzare il braccio, che si affatica a vestirsi e ha difficoltà a pettinarsi proprio per il deficit dei
muscoli prossimali, nonché piegare la testa.
Quindi l’associazione di deficit prossimali e soprattutto dei muscoli estensori del collo uniti poi alle manifestazioni
cutanee che abbiamo visto è abbastanza diagnostico di dermatomiosite.
Ci può essere un interessamento multisistemico, soprattutto cardiaco, con interessamento del tessuto di conduzione e
quindi aritmie o cardiomiopatia , il polmone, non tanto per l’interessamento dei muscoli respiratori che è rarissimo
ma soprattutto perché possono comparire delle fibrosi che rispondono poco alla terapia e possono condizionare in
maniera grave la prognosi di queste malattie; si associano alla presenza di anticorpi anti-JO-1 configurando una
sindrome da anticorpi anti-sintetasi, ancora, le calcificazioni cutanee soprattutto nelle forme infantili e nelle forme più
estreme possono esserci delle contratture articolari, le ulcere gastrointestinali e anche il fenomeno di Raynaud è molto
frequente.
Le polimiositi e le dermatomiositi devono essere considerate tra le sindromi paraneoplastiche. C’è una grossa
discussione sull’ effettuare uno screening paraneoplastico in queste forme infiammatorie, gli studi statunitensi
sostengono che sia antieconomico fare lo screening paraneoplastico .
In Italia lo screening è eseguito e varie volte sono stati identificati i tumori che si associano alla manifestazione
muscolare, tumori quali il microcitoma polmonare e i tumori ginecologici, ovaio, mammella, prostata e colon.
La biopsia è sicuramente il gold standard per la diagnosi di queste malattie ma la RM ci aiuta in quanto mostra i segni
dell’infiammazione, che sono segni di iperintensità, segno di edema ma c’è anche un’ iperintensità dei tessuti
sottocutanei e della fascia; a volte questi aspetti possono essere abbastanza significativi ma la RM muscolare non
distingue tra quello che è un edema infiammatorio o tossico-metabolico, quindi per questo motivo la biopsia andrebbe
comunque fatta.
La RM aiuta nella diagnosi ma anche nel follow -up della malattia.
Da un punto di vista immunopatogenetico la dermatomiosite e la polimiosite sono diverse:
- nella dermatomiosite il target sono i vasi, con infiltrati linfomonocitari vascolari, atrofia perifascicolare, prevalgono
meccanismi umorali e prevalenza dei CD4 rispetto ai CD8
- nella polimiosite il target sono le miofibre, prevalgono i CD8 e i meccanismi sono prevalentemente citotossici, il
quadro caratteristico è rappresentato dalle fibre invase dai macrofagi e dai linfociti citotossici.
TERAPIA
La terapia consiste nella somministrazione dei corticosteroidi come prima linea di attacco, adoperati ad alte dosi,
mentre come vedremo in seguito nella miastenia si parte da basse dosi perché addirittura può scompensare la
malattia, nelle forme infiammatorie invece si inizia subito con alte dosi per evitare la cronicizzazione della malattia.
Si usa il prednisone 1,5.2 mg/Kg/die o il prednisolone, il deltacortene o l’urbason.
Non ci sono regole precise per i corticosteroidi, purtroppo sono terapie empiriche per quanto riguarda lo schema (vale
a dire per quanto tempo mantenere queste alte dosi) questo poi si comprende con l’esperienza e cioè come
interpretare i segnali di risposta alla terapia.
Appena è possibile si riducono le dosi in maniera progressiva fino a portare la dose a giorni alterni; il cortisone (si usa
il deltacortene per bocca o l’urbason intramuscolo o endovena) è molto importante che venga somministrato in
monodose unica al mattino alle 8 e si somma poi con la secrezione fisiologica di cortisolo. Ciò riduce gli effetti
collaterali ed è una regola generale per l’uso dei corticosteroidi.
Gli effetti collaterali dei cortisonici sono:
- le ulcere gastriche motivo per cui si associa sempre l’antiacido,
- l’aumento del peso, il diabete , per cui è importante una dieta adeguata,
- riduzione dell’apporto calorico ma non dell’apporto proteico dal momento che il cortisone ha un’azione
catabolizzante e quindi bisogna evitare un depauperamento proteico;
- è necessaria una prevenzione dell’osteoporosi soprattutto nelle donne con vitamina D e laddove necessario con
bifosfonati
- prevenzione dell’ipertensione e delle infezione nei casi di immunosoppressione importante.
In genere è una terapia ben tollerata con queste precauzioni, una complicanza che è imprevedibile ma che bisogna
tenere presente è la necrosi asettica della testa del femore: quindi quando un paziente in terapia cortisonica lamenta
dolore al femore bisogna sempre pensare a questa evenienza. Purtroppo non è prevenibile, in quanto è dose
indipendente e indipendente anche dalla durata della terapia, ci sono ovviamente delle persone più predisposte e non
c’è terapia, bisogna fare una protesi dell’anca.
Queste terapie non vanno avanti per giorni ma per mesi, addirittura anni e si associano ad altri farmaci
immunosoppressori poiché possono esserci delle recidive: il primo farmaco che si associa è l’azatioprina, in genere
ben tollerata ma può dare leucopenie importanti o rialzo delle transaminasi, effetti reversibili con la sospensione; se
l’azatioprina invece è mal tollerata ci sono altri farmaci, quali la ciclosporina ed altri farmaci immunosoppressori.
Tutti questi farmaci (azatioprina ecc…) si usano negli anziani già da subito perché questo permette di scalare più
rapidamente il cortisone o usare delle dosi inferiori, oppure nelle persone che non rispondono benissimo al cortisone
o nelle recidive. E’ opportuno ricordare che gli steroidi non devono essere mai sospesi improvvisamente ma vanno
sempre affiancati da altre terapie.
Ricapitolando lo schema terapeutico è :
5. Prednisone ad alte dosi
6. Azatioprina
7. Ciclosporina, metotrexate, micofenolato, tacrolimus
8. Ciclofosfamide ed anticorpi monoclonali (terapie più impegnative)
A volte in acuto si usano cicli di immunoglobuline che aiutano a controllare la terapia ma come vedremo mentre le
immunoglobuline sono molto efficaci in alcune malattie quali la miastenia nelle polidermatomiositi da soli non
risolvono il problema.
Ci sono nelle polidermatomiositi, non sempre però, degli anticorpi, quello più comune è l’anti-JO-1 che si riscontra
nel 25-30% delle forme ma questi configurano, quando presenti, la sindrome degli anticorpi anti-sintetasi e si
associano ad interstiziopatia polmonare; altri anticorpi sono gli anti-MI 2 e gli anti-SRP.
MIOPATIA IPOTIROIDEA
La tiroide è molto importante nelle malattie muscolari e d’altro canto essendo molto diffuse ormai le malattie della
tiroide bisogna considerare la possibilità di un ipotiroidismo quando arriva il paziente con le CK alte e che accusa
debolezza:
- la prima cosa da richiedere sono gli ormoni tiroidei. Si associano anche disturbi suggestivi di un ipotiroidismo, c’è
un rallentamento generale, spesso ronzii e riduzione dell’udito ma a tutti gli effetti può sembrare una miopatia perché
il paziente è astenico, ha una debolezza prossimale, le CK sono alte così come sono alti però i trigliceridi e il
colesterolo, espressione di un rallentamento della clearance di tutte le proteine, comprese le CK.
- L’elettromiografia e la biopsia muscolare sono aspecifiche e quindi del tutto inutili, sono pazienti che hanno
difficoltà a decontrarre la mano simile alla miotonia ma che non è.
- Se si percuote la mano, proprio a causa di un’imbibizione dei tessuti, sembra che abbia una miotonia ma altro non è
che la conseguenza di questo mioedema e rallentamento generale di tutti i sistemi. I sintomi si risolvono
completamente trattando l’ipotiroidismo.
SLA
La malattia caratteristica per eccellenza del motoneurone è la sclerosi laterale amiotrofica o SLA , una malattia
neurodegenerativa progressiva che in realtà coinvolge entrambi i motoneuroni, sia il I che il II. È una malattia rara
piuttosto nota, che ha colpito personaggi noti anche nel mondo dello sport; nota è anche la sua gravità, e di recente è
sorta un’importante protesta contro il sistema sanitario, dal momento che ha ridotto i fondi per l’assistenza ai pazienti
affetti da SLA. È la malattia rara più nota che ci sia. È conosciuta anche con i nomi di malattia di Charcot , per il
neurologo che l’ha identificata nel 1974, e malattia di Lou Gehrig , dal nome di un giocatore di baseball che è morto
nel 1941 a 37 anni.
Si è cercato più volte di mettere in correlazione la SLA e alcuni sport intesi come fattori di rischio, ma non è stato
dimostrato nulla di incontrovertibile, anche se ciò ha permesso di mobilitare l’attività delle società sportive
nell’indirizzare fondi per la gestione di questa malattia.
È prevalentemente una patologia sporadica, e in minor percentuale vi è una forma familiare. Non c’è alcuna
predisposizione etnica, anche se ci sono realtà e località in cui sono stati riconosciuti focolai di malattia, come l’isola
di Guam.
EPIDEMIOLOGIA
Per quanto riguarda l’epidemiologia, l’incidenza è di 0.6-2.6 / 100000 / anno, e la prevalenza di 0.8-8.5 / 100000; è
lievemente più frequente nel sesso maschile ed è una malattia tipicamente dell’adulto, con un incremento al di sopra
dei 74 anni. È mortale, non esiste alcun paziente che sia guarito, al massimo in via del tutto eccezionale la malattia si
può stabilizzare. Se vedete un paziente di SLA guarito, si tratta certamente di un errore diagnostico, perché al
momento attuale non esiste alcuna terapia in grado di arrestare la malattia. È diffusa in tutto il mondo, come già
accennato vi sono dei focolai in alcune zone ristrette:
Isola di Guam, in una forma associata a demenza e al Parkinson, dove si è cercato di metterla in
correlazione con l’assunzione di una tossina citotossica derivante dalla palma presente nell’isola, ma si
tratta di un’ipotesi discussa;
Nuova Guinea occidentale;
penisola di Kii del Giappone;
cluster di SLA in piccoli centri in tutto il mondo.
Colpisce l’età adulta, il 90% sopra i 40 anni, esistono però anche forme giovanili, che costituiscono il 10% delle
forme.
EZIOLOGIA E CLINICA
L’esordio si caratterizza per la localizzazione iniziale della malattia, e in base all’esordio si classificano delle forme
prevalenti che sono la forma bulbare e la spinale, e in percentuali minori ne sono presenti altre, per esempio ci sono
rarissimi casi che possono iniziare con insufficienza respiratoria.
il 30% ha esordio bulbare, cioè si manifesta con sintomi nel distretto bulbare, quindi disartria (mista), per
cui abbiamo problemi di atrofia della lingua, debolezza della lingua, ma anche un problema di spasticità; un
In genere i distretti più colpiti sono i distretti distali, superiori o inferiori, ovviamente quando la malattia evolve
vengono ad essere coinvolti tutti i distretti, tranne i muscoli oculomotori, che si mantengono risparmiati fino alle fasi
terminali. In realtà si è visto che le persone mantenute in vita tramite ventilazione assistita, venivano a un certo punto
colpite anche nei muscoli oculomotori; mentre tra i muscoli assiali quello che è anche abbastanza caratteristico è la
testa cadente , c’è un deficit dell’estensore. La malattia è mortale, perché ad un certo punto colpisce i muscoli
respiratori, che soprattutto nella forma bulbare possono essere compromessi ancor prima della perdita della
deambulazione.
Descrizione di un tipico pz con SLA:
È possibile notare la tipica deambulazione steppante, la voce spastica, la lingua poco mobile, ma la vista è perfetta;
c’è il tipico riso spastico, e fascicolazioni della lingua (che spesso sono continue nel paziente, più o meno evidenti,
soprattutto con l’evoluzione della malattia, pur potendo rimanere focali, cioè non espandersi. Nella SLA spinale
sono più tipiche le fascicolazioni dell’interosseo. Nelle fasi molto avanzate possono scomparire, ma a quel punto la
malattia è più che conclamata); i riflessi sono asimmetrici, e poi c’è l’ingrandimento dell’area del riflesso, che si
evoca non più solo al punto tipico del tendine, ma anche più estesamente, altrove. Alle mani non c’è una vera atrofia,
ma c’è atrofia dell’interosseo che è caratteristica; segno di Hoffmann positivo, e c’è difficoltà a muovere le mani
proprio per il deficit dell’interosseo; quando valutate l’estensore dell’alluce, bisogna sempre verificare che il
paziente sia in grado di sollevare l’alluce (se vedo in un paziente con steppage, vivacità dei riflessi e Babinski,
significa che c’è lesione del I e del II motoneurone).
Oltre a questi aspetti clinici che sono caratteristici, ci possono essere i disturbi cognitivi. Una lieve compromissione
del distretto frontale è abbastanza frequente, ma ci sono delle situazioni, sia nei casi sporadici che familiari, di una
vera e propria Demenza, a configurare talvolta sindromi degenerative più complesse (ad esempio SLA-Demenza
complex di Guam: SLA + demenza + Parkinson). Come già detto più volte non c’è mai interessamento sensitivo,
come pure il dolore non è caratteristico, se c’è dolore è perché il paziente è allettato.
PROGNOSI
La sopravvivenza media è di circa 3 anni, i casi a sopravvivenza alta (massimo 10 anni) hanno una bassa percentuale,
del 4-10%.
Il fattore prognostico negativo è il tempo trascorso dai sintomi aspecifici (ad esempio le fascicolazioni) alla diagnosi.
Tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi passa circa un anno, e la sopravvivenza media da lì è di circa due anni. Quanto
IPOTESI EZIOPATOLOGICHE
Ancora oggi non si è giunti ad alcuna precisa evidenza dimostrabile. Tra le varie ipotesi:
VIRALE (per analogia alla poliomelite), ma non c’è stata alcuna evidenza di conferma;
TOSSICA, riconducibile alla famosa Cycas Circinalis, una pianta tipica dell’Isola di Guam, ma anche qui
non c’è alcun reale riscontro;
AUTOIMMUNE, ma tutti i tentativi di trattarla come una malattia autoimmune sono risultati vani;
ALTERAZIONE DEI NEUROFILAMENTI, proteine essenziali per l’integrità degli assoni; tali alterazioni
sono presenti anche in alcune demenze, e non a caso alcune forme di SLA familiari presentano alterazioni
negli stessi geni che danno ad esempio alcune di queste demenze;
TEORIA NEUROECCITOSSICA, è alla base del motivo per cui ancora si usa il riluzolo come terapia, che
è un antiglutammato.
In realtà è una MALATTIA MULTIFATTORIALE, per cui ci sono cause genetiche che poi si aggiungono a fattori
ambientali.
TERAPIA
Il 5-10% sono geneticamente determinate, il gene più frequentemente compromesso è quello della superossido
dismutasi, e con questo si è avanzata l’ipotesi di una azione tossica dei radicali liberi; perciò si usa il riluzolo, che è
un antiglutammatergico, perché l’eccesso di glutammato facilita la produzione di radicali liberi. Il riluzolo però è un
farmaco costoso, che comunque al massimo aumenta la sopravvivenza di pochi mesi.
In definitiva, la terapia non c’è, si usa solo convenzionalmente questo riluzolo che è un farmaco antiglutammato, e le
uniche manovre sono la PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) e il supporto respiratorio.
Per la gastrostomia quasi tutti si convincono, invece per la ventilazione assistita il 50% la accetta e l’altra metà la
rifiuta, anche perchè i pazienti tracheostomizzati al massimo possono vivere 3 o 4 anni.
Le più comuni malattie neuromuscolari sono autoimmuni, ma ci sono anche malattie ad origine tossica e tra queste la
più comune è quella da tossina botulinica.
La giunzione neuromuscolare è il punto di contatto tra il muscolo e il nervo e può essere alterata a tre diversi livelli:
pre-sinaptico
sinaptico
post-sinaptico
La Miastenia è la forma più frequente post-sinaptica, è legata ad anticorpi che sono diretti contro proteine della
membrana post-sinaptica.
La proteina più frequentemente interessata è quella del recettore dell’acetilcolina.
Una delle caratteristiche principali della malattia, oltre a quella di essere specificamente associata a degli anticorpi
caratteristici, è una frequente associazione alla patologia timica. Dal punto di vista clinico, a differenza di tutte le
altre patologie muscolari del sistema nervoso periferico, la caratteristica principale della Miastenia è l’esauribilità
neuromuscolare, ovvero i sintomi muscolari non sono persistenti, ma si accentuano con lo sforzo e infatti sono
tipicamente assenti o comunque più deboli al mattino dopo il riposo.
Esiste un’altra proteina, verso cui recentemente sono stati identificati degli anticorpi responsabili della Miastenia, che
è la proteina MuSK. Questa è una chinasi muscolo specifica, che non è coinvolta direttamente nel legame recettoriale,
ma è necessaria per la formazioni ed il mantenimento dei cluster di AChR.
Ricapitolando:
I meccanismi per cui questo recettore può essere alterato sono: o il blocco funzionale del recettore, per cui di fatto il
recettore non viene alterato, ed è la condizione più favorevole per il paziente; oppure distruzione mediata dal
complemento degli stessi recettori, per cui può essere alterato o il numero o la morfologia; oppure la presenza degli
anticorpi fa sì che il recettore venga internalizzato e venga distrutto.
Per fare diagnosi si fa il test al Tensilon (un anticolinesterasico). Il Tensilon è un farmaco che permette di valutare
l’effetto dopo pochi secondi, però è possibile utilizzare anche il Mestinon che ha lo stesso effetto in 30 min.
Inizialmente il Tensilon veniva considerato come un farmaco miracoloso, perché riusciva in pochi secondi a
migliorare significativamente la sintomatologia del paziente. Il problema è che la sua efficacia dura pochissimi
minuti, perciò non può essere utilizzato in terapia, ma continua ad essere utilizzato come test diagnostico indicativo
per la Miastenia, perché è l’unica patologia a rispondere in maniera così efficace alla somministrazione. Ha però degli
effetti collaterali a livello cardiaco.
- La base diagnostica della miastenia si trova nelle tecniche elettrofisiologiche e in particolare si utilizza
l’elettromiografia tramite la stimolazione nervosa ripetitiva sopra massimale (SRS). In particolare vediamo che nel
soggetto normale si ha una decremento inferiore al 10% del potenziale d’azione muscolare composto (CMAP) alla
stimolazione nervosa ripetitiva sopra massimale (SRS) a bassa frequenza, nella persona affetta il potenziale cade più
del 10%.
- Le stimolazioni ripetitive sopra massimali sono essenziali nella diagnosi dei disturbi della trasmissione
neuromuscolare, non soltanto della miastenia, ma anche in malattie post sinaptiche e malattie tossiche come il
botulismo e l’intossicazione da fosfati organici.
- Il terzo metodo per avere la certezza della malattia è la positività agli anticorpi. La miastenia associata agli anticorpi
anti MuSK è più grave, si associa più frequentemente a disturbi bulbari e a disturbi respiratori. Mentre la miastenia
sieronegativa, quindi anti-AchR negativa e anti-MuSK negativa assomiglia di più alla forma classica.
TERAPIA
Per quanto riguarda la terapia, si utilizzano gli anticolinesterasici e il farmaco più comunemente usato è il Mestinon.
È una terapia che si può assumere per via orale. Fu ideata nel 1934, è una terapia sintomatica (questi farmaci non
curano la patologia ma alleviano soltanto i sintomi tramite l’inibizione dell’acetilcolinesterasi che prolunga il tempo
di permanenza del neurotrasmettitore a livello della placca neuromuscolare), che però non riesce a curare il paziente.
È necessario quindi utilizzare altri farmaci: i farmaci immunosoppressori (anche perché il controllo della malattia con
i soli anticolinesterasici l’otteniamo solo nel 20% dei casi).
Bisogna prestare attenzione alle dosi eccessive di farmaco: il Mestinon ad alte dosi può dare delle crisi colinergiche
(aumento motilità intestinale fino alla diarrea, eccesso della salivazione, crampi) e quindi dare un peggioramento dei
sintomi miastenici: questo avviene soprattutto nei pazienti anti-MuSK positivi che rispondono poco agli
anticolinesterasici e possono avere soltanto gli effetti collaterali senza benefici.
MALATTIE CEREBROVASCOLARI
Secondo la OMS l'ictus è definito come: “presenza di segni clinici focali conglobali, di tipo neurogeno che
evolvono molto rapidamente, che perdurano per più di 24h o portano a morte, senza altra apparente causa che
non sia un'origine vascolare.”
Quello che viene invece definito Attacco Ischemico Transitorio (TIA) normalmente è qualcosa di simile al precedente
ma che ha una durata definita nel tempo ( limitata a 24h). Quindi la definizione di TIA sarà: “segni neurologici
focali o diffusi a inizio acuto che in genere hanno una durata breve, talvolta molto breve, anche di pochi minuti
ma in genere mai superiore a 24 ore” . È importante questa distinzione perché se è stato un vero TIA non troveremo
nessun tipo di lesione e quindi ci sarà un recupero clinico completo.
EPIDEMIOLOGIA
Lo stroke, con tutto quello che ruota attorno ad esso è uno dei cardini della neurologia perché continua ad essere,
purtroppo, in tutto il mondo non solo in Italia, la terza causa di morte ed è tutt'ora la prima causa di invalidità
permanente anche importante, seria.
L'incidenza in genere è attorno ai 2 casi su 1000 l'anno in Italia.
Le malattie cerebrovascolari sono malattie molto frequenti.
Dal punto di vista epidemiologico, nell’ambito delle patologie di tutto il sistema cardiovascolare, le malattie
cerebrovascolari rivestono un ruolo consistente; sono considerate la terza causa di morte nel nostro Paese.
Ogni anno abbiamo circa 200.000 ictus: l’80% di questi sono diagnosi ex novo, mentre il 20% è dato da pazienti
soggetti ad episodi di recidiva.
Con l’avanzare dell’età, aumenta di molto la frequenza di queste malattie: in genere, al di sopra dei 75 anni, il 75%
dei soggetti può essere interessato da malattie cerebrovascolari, in particolare l’ictus, il quale ha una mortalità in fase
acuta (ovvero legata ai primi 30 giorni) di circa il 30%. Il restante 70%, rappresentato dai pazienti che sopravvivono
all’evento acuto, diventa un paziente con una sintomatologia cronica.
Sono malattie che lasciano il paziente invalido, infatti circa il 40% dei pazienti colpiti da eventi di tipo ictale, ha
come residuo un’invalidità di tipo motorio e/o sensitivo, talvolta anche di tipo cognitivo molto grave.
C’è una prevalenza un po’ più alta nel sesso maschile rispetto al femminile; prevalenza che si inverte con l’avanzare
dell’età.
Con il passare degli anni è sicuramente migliorata la capacità diagnostica nei confronti di queste malattie, per due
motivi: il primo è dovuto al fatto che sono disponibili tecniche diagnostiche sempre più precise e accurate; il secondo
è correlato all’età del paziente: più aumenta l’età media della popolazione, più sarà facile avere a che fare con eventi
del genere.
FATTORI DI RISCHIO
I fattori di rischio per la malattia cerebrovascolare (ed in generale per tutte le malattie vascolari) si possono
suddividere in fattori modificabili e non. Possiamo agire ovviamente sui fattori di rischio modificabili, quali per
esempio:
Fumo
Ipertensione arteriosa ( fattore di rischio maggiore)
Dislipidemia
Iperglicemia
Obesità
Alcol
Inattività fisica
cardiopatie ischemiche
valvulopatie mitraliche
endocarditi
aritmie
fibrillazione atriale
Il fattore di rischio “età” è ovviamente un fattore non modificabile.
Lo stesso pregresso TIA o lo stesso pregresso ictus rappresentano fattori di rischio. Almeno per un'epoca di alcuni
anni in cui la possibilità di averne un secondo, che in genere sarà peggio del primo, è più elevata nella popolazione
generale.
Per quanto riguarda i territori di irrorazione delle arterie cerebrali anteriore, media e posteriore (rami che partono
sempre dal poligono di Willis) possiamo dire che:
A. Cerebrale Anteriore: irrora la porzione cerebrale che sovraintende alla regolazione dell’arto inferiore
(porzione antero-mediale degli emisferi);
A. Cerebrale Media: Arto superiore e volto (porzioni laterali degli emisferi); essa è suddivisa, a sua volta, in
una porzione superiore e una inferiore;
A. Cerebrale Posteriore: irrora la parte parieto-occipitale dell’encefalo, che riguarda le nostre funzioni
visuo-percettive, visuo-spaziali.
Il grosso degli accidenti cerebrovascolari avviene a livello della circolazione carotidea, quindi diciamo due terzi a
carico della circolazione carotidea ed un terzo a carico del circolo posteriore.
METABOLISMO ENERGETICO
Il tempo che intercorre tra la riduzione marcata o l'assenza di perfusione ed il danno irreversibile è molto breve.
Anche perché, pur costituendo solo una piccola parte della massa del nostro corpo, il cervello riceve una parte molto
significativa, il 15% del sangue che il cuore pompa. Consuma circa 1\5 dell'ossigeno presente nel nostro organismo e
il 25% di glucosio. Quindi è una struttura ad alto consumo energetico che ha bisogno in continuazione di ricevere
zucchero e ossigeno. Il problema è che non ha depositi energetici. Riceve e consuma energia in continuazione, quindi
se l'approvvigionamento energetico ad un certo punto fallisce il danno è purtroppo immediato o quasi immediato ed è
in sostanza perenne.
In un cervello adulto in condizioni normali il consumo di ossigeno è di 170 mmol per grammo al minuto e il glucosio
30 mmol per grammo al minuto. A livelli normali il flusso ematico, ricordate questo numero, è di circa 55 ml per
ogni 100 g di tessuto al minuto da cui si estrae il 50% dell'ossigeno ed il 10% del glucosio arteriosi . Vedremo
che questo numero quando scende sotto valori tra 20 e 30 provoca danni importantissimi e quando scende sotto valori
fino a 10 ml provoca la morte definitiva del tessuto cerebrale che non riceve circolazione.
EMODINAMICA CEREBRALE
Il cervello è dotato di meccanismi di protezione, primo fra i quali un meccanismo di autoregolazione.
Classicamente il nostro cervello riesce a mantenere un flusso ematico costante anche al variare molto serio dei valori
di pressione arteriosa. Tra una pressione arteriosa media di 70 mmHg ed una pressione media di 160 mmHg, la
pressione di perfusione cerebrale rimane sostanzialmente stabile. Purtroppo questa capacità di autoregolazione ha dei
limiti ed al di sotto di 60 mmHg ed al di sopra di 160 mmHg abbiamo o la rottura della barriera ematoencefalica o
comunque la perdita della regolazione ed una gravissima ipoperfusione.
Tutto questo si gioca sulla capacità di gestire il diametro arteoriale. Quindi di ridurre l'impatto di un aumento di
pressione o di facilitare la circolazione del sangue al diminuire della pressione arteriosa mantenendo la perfusione a
livello del tessuto sostanzialmente stabile.
Ci sono tanti meccanismi che determinano l'autoregolazione cerebrale. Alcuni sono sotto il controllo nervoso diretto,
perché la muscolatura delle tonache delle arterie cerebrali è sotto il controllo diretto nervoso e quindi può essere
autoregolata.
Ci sono però anche fattori biochimici a livello endoteliale che di volta in volta vengono messi in gioco per regolare le
dimensioni.
Poi ci sono aspetti anche metabolici che riguardano la pCO2, che riguardano la presenza di tutta una serie di sostanze
circolanti e anche di neurotrasmettitori i quali possono in qualche modo contribuire al mantenimento o alla
sregolazione dei meccanismi di autoregolazione del flusso cerebrale.
Ci sono delle equazioni che permettono di calcolare il flusso ematico regionale conoscendo la pressione di perfusione
cerebrale e le resistenze cerebrovascolari regionali che si oppongono alla medesima.
Tutto ciò non è affatto banale perché noi abbiamo situazioni intermedie che ci danno quel lasso di tempo, quella che è
la finestra temporale, importante per quanto riguarda la terapia, è importantissima.
È vero che il nostro cervello dopo pochissimi minuti di perdita di perfusione ematica muore, ma è altrettanto vero che
questo quasi mai si instaura. C'è un lungo periodo di ipoperfusione o di “misery perfusion” degli anglosassoni che
dura anche diverse ore. Per cui, se si riesce ad intercettare il paziente per tempo ed intervenire in quella finestra
temporale, i dati epidemiologici ci dicono che ci sono ampi territori di tessuto che sono ampiamente recuperabili che
significa una qualità di vita molto diversa rispetto a quando non sono recuperabili.
Il tessuto cerebrale quando riceve meno di 20 ml\100g\min a incontro a morte e naturalmente, più si scende sotto
questo valore tanto più rapida ed irreversibile è la morte neuronale, al contrario tanto più si va vicino o al di sopra di
questo valore tanto più si allunga quella finestra temporale che permette un recupero, almeno parziale del tessuto
dormiente.
Nelle prime fasi dello stroke, esiste un core, un nucleo centrale nella zona ipoperfusa che va incontro a morte rapida
ma attorno c'è un territorio di situazione grigia, gli inglesi la chiamano “la bella addormentata”, quindi i neuroni che
sono funzionalmente non funzionanti, silenti, ma ancora vivi, possono essere risvegliati da parte del principe cioè dal
ritorno del flusso e della fornitura di ossigeno e di zucchero.
- Quando ci avviciniamo attorno ai 20 ml di flusso cerebrale regionale comincia ad essere compressa la funzione
elettrica, infatti se si fa un EEG (elettroencefalogramma) in quel momento si inizia a vedere presenza di attività lenta
che è segno di lesione, segno di sofferenza neuronale.
- Se il flusso scende intorno ai 15 ml questa attività tende alla isoelettrica, quindi al silenzio elettrico vero e proprio. -
Se si scende sotto i 10 ml di flusso si assiste all'uscita di potassio, all'ingresso di tanta acqua ed alla morte della
cellula.
LA RIPERFUSIONE
La riperfusione è la presenza in una percentuale non banale di casi di riperfusione naturale, spontanea, con
meccanismi che conosciamo poco.
Ad un certo punto il trombo che si è formato si lisa da solo, ritorna il sangue e il sintomo scompare senza alcun tipo
d'intervento.
DIASCHISI
Significa che se un'area del cervello che è sottoposta ad un'aggressione vascolare smette di funzionare, non
soltanto le funzioni governate principalmente da quell'aria saranno deficitarie ma saranno deficitarie anche
EDEMA
Quando si va incontro all'edema maligno si fa un tipo di terapia “eroica” in cui si apre la testa alla persona, si da
libero sfogo al cervello che esce fuori come un “cavolfiore” violento, si allarga come un pallone, perché ha bisogno di
spazio e dentro al cranio, che è un contenitore rigido, non lo trova. Oppure il paziente è destinato a morire. A volte
muore nonostante la craniotomia terapeutica.
L'edema è legato al fatto che l'acqua esce dallo spazio extracellulare ed entra nelle cellule in modo massivo,
accompagnato dall'ingresso di calcio e di sodio e sin dai primi minuti si comincia a rigonfiare il cervello. Ciò
comporta un aumento significativo di pressione intracranica che comporta un danno successivo.
Man mano che la pressione intracranica aumenta, la zona colpita e le zone limitrofe, a causa dell'aumento di
pressione intracranica vanno in ipoperfusione. Poichè le arteriole vengono compresse, passa meno sangue e quindi c'è
un ulteriore insulto legato al danno da edema.
L'edema vasogenico in genere viene più tardivamente, è provocato dall'alterazione vasale della barriera
ematoencefalica, dalla vasodilatazione successiva e in genere si vede nelle zone più periferiche del territorio
infartuato.
1. Le tromboembolie : Sono lesioni aterosclerotiche, soprattutto quelle presenti nei vasi del collo, quelle che più
frequentemente causano ipoperfusione ed immissione in circolo di micro o macro trombi. La formazione della placca
è legata a tanti fattori: uno sicuramente è quello genetico, ma ci sono fattori di rischio dal diabete al fumo all'obesità,
all'alcool, che aumentano in modo anche esponenziale questo rischio.
Naturalmente le caratteristiche anatomiche sono importanti; nei punti di biforcazioni o nei punti in cui l'arteria
compie anatomicamente una curvatura a raggio abbastanza stretto il sangue rallenta, si formano anche delle
turbolenze di circolo e sono punti in cui più facilmente si depositano sostanze che vanno pian piano ad aderire alla
parete arteriosa e da qui a facilitare la formazione di placche stenosanti.
Ci sono anche dei punti, ed il collo è uno di questi, in cui facilmente si possono subire dei microtraumatismi che
possono facilitare la formazione di placche o la formazione di fissurazioni all'interno della parete delle arterie che
porteranno poi ad una dissecazione dell'arteria stessa.
Ci sono anche dei macrotraumi. Non è infrequente incontrare persone, anche giovani, che hanno avuto una
dissecazione di un'arteria del collo, della carotide ad esempio, a seguito di un trauma della strada, di un trauma
sportivo, di un trauma di qualche tipo. Il trauma che va a colpire il collo direttamente danneggia la parete dell'arteria,
dentro questa fissurazione inizia ad inserirsi del sangue sotto pressione che pian piano slamina i tessuti che formano
la parete arteriosa, fino a che questa provoca una ostruzione della medesima.
2. La tromboembolia aterosclerotica: I tubi che rappresentano le nostre arterie, quelli che irrorano il nostro cervello
in particolare, sono dei tubi intelligenti e ricchi di tante sostanze. Prima di tutto c'è tutta una tonaca muscolare che
determina, anche in termini di autoregolazione il diametro. Ma abbiamo anche una continua migrazione di leucociti,
perché questi intervengono in situazioni di infezione, quindi devono essere trasportati attraverso il flusso ematico da
una parte all'altra del corpo, quindi è necessaria una certa permeabilità endoteliale. Le cellule endoteliali manifestano
anche una certa capacità di far aderire leucociti, calcio, colesterolo per cui, nel tempo, si possono cominciare a
formare queste aggregazioni che aggettano nel lume vasale e che nel tempo possono anche portare ad una sua totale o
parziale occlusione.
Per quanto riguarda le carotidi, per esempio, si è visto che per stenosi che stanno sotto il 70-65% si può mantenere
soltanto una terapia medica, che normalmente è quella che tende a ridurre l'aggregazione piastrinica e quindi a
rendere più fluido il sangue facilitandone il circolo. Se però si va sopra questi valori rimane soltanto la rimozione
chirurgica, l'asportazione, la rimozione di questo “tappo” che tende ad ostruire il passaggio di sangue.
Naturalmente tutte le placche non sono uguali.
Ci sono delle placche che sono ad altissimo contenuto di calcio, molto compatte, molto omogenee e che se non sono
stenosanti.
Ci sono invece delle placche che sono omogenee, che sono friabili, per cui è molto facile che si possano totalmente
rompere con immissione massiva o parziale nel tempo di parti delle medesime placche che diventano altrettanti
emboli.
La formazione di trombi può essere un'altra modalità che può portare all'ischemia cerebrale, il trombo si accresce fino
4. Embolia cardiogena: anche il cuore è un'altra sorgente che in una percentuale non banale, soprattutto nei giovani,
può essere sorgente di microembolizzazione. In genere perché o c'è un forame ovale pervio e c'è la possiblità di un
collegamento, di un passaggio tra le due camere atriali destra-sinistra oppure per la presenza di disturbi del ritmo.
- Situazioni ad alto rischio . Il rischio è altissimo quando avete: una protesi valvolare; una fibrillazione atriale
parossistica non nota; un'endocardite batterica; un infarto del miocardio pregresso, soprattutto se sulla zona infartuata
si sia formato o meno un aneurisma nella parete vascolare dentro il quale si può essere formato del deposito, della
vegetazione, da cui sotto contrazione si possono staccare degli emboli; presenza di cardiopatia congenita etc.
- Situazioni a basso rischio : FA isolata; malattia del nodo SA; sindrome di WPW; tachicardia parossistica
ventricolare; valvulopatie aortiche; placche calcifiche dell'aorta ascendente; prolasso mitralico; endocarditi; difetti
atrio e ventricolo settali; pervietà del forma ovale; dilatazione atriale sinistra; mixoma; aneurisma ventricolare
sinistro; fistola AV polmonare.
L'emorragia cerebrale è molto molto temibile, più dell'ischemia perché ci si muore di più e si muore prima.
All'esordio è inizialmente non tanto distinguibile se non nella sua rapidità. Mentre nell'ischemia il sintomo
progredisce lentamente, nell'emorragia il sintomo compare molto rapidamente, talvolta in modo tragico, molto spesso
accompagnato da sintomi violentissimi quale può essere una cefalea mai avvertita dalla persona.
In genere ci sono delle aree che sono maggiormente a rischio e sono quelle cosiddette “tipiche” e sono normalmente a
livello del putamen, dei gangli della base e comunque delle strutture profonde: il nucleo lenticolare, il talamo, la
capsula interna.
Esse sono nutrite da arteriole di piccolo diametro le cui pareti sono
molto più sottili, queste arteriole quando sono raggiunte dall'impatto di
una pressione arteriosa sistolica eccessivamente elevata si rompono,,
riversando grosse quantità di sangue in una sede dove sono
impacchettate, in modo molto denso, moltissime fibre nell'arco di pochi
millimetri o pochi centimetri quadrati. Il danno è quasi sempre molto
molto serio. Anche se c'è da dire nell'emorragia la prognosi immediata per
quanto riguarda la vita è molto peggiore, muoiono di più, ma la prognosi
finale per coloro che sopravvivono è decisamente migliore, perché
normalmente, man mano che il sangue si riassorbe, alcuni dei neuroni o
molti dei neuroni che “dormicchiavano” attorno alla zona di pressione si
risvegliano spontaneamente perché la zona di pressione si autorisolve.
Ci sono poi, naturalmente, quelle anche in zone atipiche, queste sono
legate molto spesso alla presenza di malformazioni, quali: aneurismi,
angiomi, malformazioni arterovenose, tumori e quant'altro. In questo
caso vedete un'immagine molto temibile, quando si vede su un'immagine
tanto sangue nei ventricoli, con dei livelli nei corpi occipitali, tanto
sangue anche in corteccia, si vedono i solchi pieni di una marezzatura bianco\grigia, è tutto sangue. Queste sono
immagini che quasi sempre sono incompatibili con la sopravvivenza. Nell'arco di poche ore purtroppo il paziente
purtroppo ci lascia e non c'è modo di operare.
ANATOMIA PATOLOGICA
Dal punto di vista anatomo-patologico possiamo individuare queste caratteristiche:
- Rammollimento del tessuto cerebrale colpito dall’evento vascolare acuto, che comporta la perdita di colore, perciò il
tessuto risulterà pallido; d’altra parte,invece, il tessuto si può presentare fortemente colorato (rosso) perché magari, a
livello della lesione, c’è stata una lisi dell’embolo che ha causato la patologia e quindi si verifica una raccolta di
sangue all’interno della sede infartuata.
- Grandezza: le dimensioni della lesione in genere oscillano tra 1,5 e 3 cm di diametro,ma talvolta possono interessare
buona parte dell’emisfero. Bisogna sottolineare che le dimensioni della lesione non sempre sono correlate all’entità
del danno: ci sono delle lesioni molto piccole che hanno importantissime conseguenze dal punto di vista clinico (sono
delle situazioni che hanno a che fare con quello che veniva chiamato “infarto strategico” ).
Tra i fenomeni legati ad un infarto recente ricordiamo:
16. Necrosi del tessuto per mancato apporto di ossigeno e glucosio
17. Vasoparalisi da accumulo di acido lattico
18. Edema: nei primi 2 giorni è citotossico intracellulare e coinvolge gli astrociti, dal terzo giorno per le
due settimane successive è vasogenico extracellulare.
CLASSIFICAZIONE
Sindromi lacunari (dalle slide: lacunar syndromes o LACS)
Sindromi del ricircolo posteriore (posterior circulation syndromes o POCS)
Sindrome completa del circolo anteriore (total anterior circulation syndrome o TACS)
Sindrome parziale del circolo anteriore (partial anterior circulation syndrome o PACS)
DISTRETTI VASCOLARI
Le conoscenze riguardanti
quest’argomento non sono
vecchissime, risalgono a studi
fatti negli anni ‘30, su soggetti
svegli sottoposti a interventi
neurochirurgici. In questi studi
venivano studiate le sensazioni e i movimenti indotti da stimolazioni sul cervello; in particolare si segnavano con dei
pezzetti di carta assorbente sterile i punti del corpo il cui controllo sensitivo-motorio risultava alterato dopo
asportazione o rimozione chirurgica di parti del cervello.
Da questi studi è venuto fuori che abbiamo grossolanamente un omunculus motorio. In realtà i singoli muscoli sono
rappresentati in aree diverse della corteccia motoria in quanto concorrono a molti diversi movimenti, quindi possono
essere primi attori in certi movimenti e invece trovarsi in seconda fila per altri movimenti e quindi avere più punti di
rappresentazione in diverse zone della corteccia motoria. L'omunculus è tipicamente dismorfico.
Tutto questo ha finalità evolutive, infatti l’uomo nei suoi primi anni esplora l’ambiente con la bocca, poi ovviamente
crescendo la bocca non serve più per esplorare ma serve per sviluppare il linguaggio per l’articolazione dell’eloquio,
per esprimere emozioni.
È naturale che se abbiamo delle lesioni piccole su un’area dove sono rappresentate grosse parti del corpo queste parti
verranno coinvolte in modo grossolano.
SISTEMA CAROTIDEO
L’immagine mostra il sistema carotideo.
Nei cerchietti sono indicati i punti dove
più frequentemente si formano circoli
collaterali, che permettono, anche in caso
di stenosi importanti, il mantenimento di
un flusso sufficiente e quindi la non-
comparsa di sintomi.
Tra la carotide interna e l’esterna il
circolo collaterale si stabilisce attraverso
i vasi dell’orbita (ex. oftalmica laterale).
Tra la carotide esterna e la vertebrale il
circolo collaterale si ha tramite il
poligono di Willis.
1-CAROTIDE INTERNA
Se il circolo collaterale compensa bene i
sintomi non compaiono, quando compaiono possono essere dovuti, a seconda delle loro caratteristiche, soprattutto