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PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 1 A CURA DI ANDREA PERNA

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 2 A CURA DI ANDREA PERNA


PATOLOGIA SISTEMATICA DEL
SISTEMA NERVOSO CENTRALE E
PERIFERICO

PRINCIPI DI:
NEUROLOGIA
NEUROCHIRURGIA
NEURORADIOLOGIA

A cura di Andrea Perna

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PARTE 1: NEUROLOGIA

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CAPITOLO 1

ESAME OBIETTIVO NEUROLOGICO


L’attività neurologica si basa sulla funzione motoria, la sensibilità, la funzione sfinterica, l’esame dei nervi cranici e
dello stato mentale.
L’esame della funzione motoria è un momento non banale; Osservando il pz bisogna indagare:
- Trofismo dei muscoli
i muscoli possono essere:
-normotrofici
-ipotrofici
-ipertrofici
-pseudo ipertrofici
- il tono dei muscoli, cioè la resistenza che la muscolatura oppone al movimento e riguardo un’articolazione;
- la forza muscolare che i singoli muscoli riescono ad esprimere;
- i riflessi osteotendinei che sono quelli profondi, e i riflessi superficiali o da stimolazione cutanea;
- la coordinazione motoria;
- l’equilibrio;
- la deambulazione;
- i movimenti involontari.

Il trofismo del muscolo si esamina all’ispezione visiva, alla palpazione, con la misurazione e tramite delle scale che
misurano la asimmetria tra dx e sx, a meno che una persona non faccia uno sport asimmetrico (lancio del disco, del
giavellotto..) o un mestiere asimmetrico in cui ovviamente è presente una ipertrofia focale in una metà del corpo
rispetto all’altra.
Il tono muscolare valuta la postura, la resistenza passiva alla mobilizzazione degli arti; potremo avere un aumento
del tono che vedremo in caso delle lesioni
extrapiramidali, tipiche del morbo di
Parkinson, o piramidali, tipiche della
spasticità, della lesione della via cortico-
spinale. Una rigidità osservabile solo nei
centri di rianimazione, in centri del risveglio
è quella dei pazienti post-comatosi con un
atteggiamento decerebrato come immagine
A, o decorticato come immagine B.

Manovra di Mingazzini : una manovra


tipica che prende il nome dall’italiano
Mingazzini, in cui chiedete al soggetto di
mettere le braccia tese in avanti con le palme
verso l’alto e a un certo punto ci sarà
pronazione e slivellamento dell’arto
deficitario che vi dimostra che c’è un deficit di forza prevalente su una parte del corpo.
La stessa cosa la potete fare con gli arti inferiori (sempre manovra di Mingazzini, ma per le gambe): mettete il
soggetto disteso con le gambe messe parallele e a un certo punto, senza che ci sia nessun supporto, una gamba
comincia a scendere perché il soggetto non riesce a tenerle una parallela all’altra.(vd. Immagine)

Manovra con significato identico è quella di Barrè : il paziente è prono sulla pancia e una delle due gambe non
riesce a mantenersi a 90 gradi.(vd. Immagine)

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I muscoli hanno una forza che viene graduata da 0 (quando un muscolo è completamente mancante di qualsiasi
contrazione, anche minima) a 5 (quando c’è una forza muscolare normale),passante per una serie di punteggi i
intermedi (tensione muscolare che è visibile con l’occhio,movimento possibile ma non contro forza di gravità o
movimento che supera la forza di gravità, oppure contro leggera resistenza).

È importante ricordare che singoli gruppi muscolari permettono movimenti selettivi.


Ciascun muscolo è innervato da mielomeri, cioè segmenti midollari che lo innervano e questo serve per avere
un’idea, anche grossolana, di dove andare a mirare l’esame: in un deficit di abduzione della spalla vado a valutare con
gli esami strumentali il tratto cervicale medio- craniale, perché lì saranno i mielomeri più facilmente coinvolti..
Riflessi patologici
Noi abbiamo riflessi fisiologici che sono quelli osteo-tendinei, evocati col martelletto neurologico classico;
banalmente provocando un riflesso di allungamento cioè un impatto violento su un tendine del muscolo e questo
provoca un allungamento del muscolo (riflesso di allungamento).
Modalità di classificazione dei riflessi:
- completamente assente e quindi lo si classifica con un “-”;
- presente ma debole “+”;
-normale “++”;
- o molto accentuato “+++” o “++++”;
sia per la parte dx che sx del corpo, quindi uno può valutare se c’è una iper- o ipo- reflessia legata ad alcuni settori, o
ad una sola metà del corpo.
Ci sono soggetti molto ansiosi con una grossa tensione muscolare su base nevrotica in cui, anche se gli date una
martellata violentissima, non viene evocato il riflesso. Esiste una manovra di facilitazione che è quella di afferrarsi le
mani, essa provoca una distrazione del soggetto che consente di evocare il riflesso, dato che questa manovra libera
per qualche istante dal controllo superiore i mielomeri cervicali per far emergere meglio il riflesso osteotendineo.
Ci sono situazioni di iporeflessia in cui il riflesso è debole o addirittura assente (areflessia) quando:
- l’arco riflesso viene colpito
- viene colpito l’arco sensitivo (quindi per un deficit sensitivo)
- è interessata la centralina motoria dove si forma il riflesso, cioè il secondo motoneurone a livello spinale
- è colpito l’arco efferente quindi il motoneurone, la parte assone motorio, o addirittura l’efferente finale, il muscolo;
quindi il riflesso c’è, ma non c’è un muscolo che si contrae perché c’è una malattia muscolare talmente grave che
impedisce la contrazione.
Ci sono poi una serie di riflessi patologici che normalmente sono presenti nei periodi di sviluppo, quando il SNC è
immaturo, in genere nei primi due anni di vita se ne vanno via, ma tornano soprattutto a seguito di lesioni di varie
zone del cervello.
Il primo riflesso patologico è il
famosissimo riflesso di Babinski, si
stimola con la punta smussa di una
chiave o di un ago un pochino
smusso, non di aghi monouso che
sono aguzzi: stimolate la parte

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esterna della pianta andando lentamente anche sotto la radice delle dita: questa generalmente provoca una flessione
plantare di tutte le dita, mentre quando è presente il Babinski, c’è un movimento di estensione dell’alluce e poi
seguito da un movimento “lento e maestoso” delle dita del piede.(vd. Immagine)

Poi i corrispettivi del Babinski sono l’ Oppenheim in cui scivolando, stimolando un pochino la cresta tibiale si ha una
estensione dell’alluce e una apertura delle dita, e lo stesso stimolando sul malleolo esterno o stringendo il tendine di
Achille, o il polpaccio.
Tutti questi segni che provocano l’estensione dell’alluce e una apertura delle dita sono segni indicativi di una
lesione delle vie piramidali e delle vie cortico-spinali. Ogni volta che c’è un ictus o una lesione a livello di queste
vie, c’è come segno di accompagnamento Babinski.
Lo stesso significato nell’arto superiore lo assume il segno di Hoffmann (vd,. Immagine) per cui se voi fate
schioccare gentilmente la falangetta del terzo dito, normalmente questo porta ad una rapida flessione di tutte le altre
dita (riflesso normale) mentre invece se questo diventa molto più evidente è un segno di iperreflessia, segno di
“liberazione” dovuta alla sofferenza della via corticospinale che ha funzione di controllo inibitorio, e quando viene
lesionata questo controllo viene meno e i motoneuroni spinali rispondono molto più rapidamente.

Ci sono anche riflessi che dipendono da strutture cefaliche:


Riflesso mandibolare : percuotendo la punta del mento (o direttamente o
interponendo un dito) provoco una contrazione riflessa dei muscoli
masseteri, per cui il soggetto chiude la mandibola. Una esagerazione di
questo riflesso indica una lesione bilaterale in sede sovrapontina.
In alcune situazioni di liberazione patologica avremo un “riflesso del muso”
per cui il soggetto non solo chiude la bocca, ma tira fuori le labbra come per
dare un bacio. Questo è frequentissimo in tante forme di demenza e in tante
condizioni in cui c’è una liberazione dal controllo corticale di tutte le
strutture del troncoencefalo.
Riflessi primitivi
 Riflesso del muso (già descritto prima)
 Riflesso glabellare . Percuotendo a livello della radice del naso si
induce un ammiccamento, ma dopo la seconda o terzo percussione
il soggetto non ammiccherà più poiché il riflesso si “abitua”. Ci
sono situazioni patologiche in cui questo ammiccamento continua: c’è una perseverazione
dell’ammiccamento tipica del Parkinson.
 Riflesso da suzione . Ai bambini basta strofinare la cute attorno alla bocca affinché girino la testa verso la
fonte dello stimolo e protrudano le labbra come per succhiare al capezzolo. Tale riflesso viene perso
crescendo, ma può ricomparire negli anziani.
 Riflesso di prensione forzata . Normalmente toccando con un dito il palmo della mano di un neonato, egli
stringerà con molta forza. Tale riflesso può ricomparire in seguito ad un danno massivo del mantello
corticale, per un coma prolungato o in pazienti con malattie neurodegenerative che comportano demenza.
 Riflesso palmo-mentoniero. Strofinando il palmo della mano con un dito o con una punta smussa (es.: una
chiave) per tutta risposta il paziente, che nel frattempo osserva, protrude le labbra. C’è un riflesso del mento
allo stimolo della mano: questo è un altro segno di sofferenza alta.
 Riflesso di inseguimento
 Riflesso corneo-mandibolare
COORDINAZIONE
Ci sono mille manovre per testare la coordinazione:
 Prova indice-naso. Sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi
 Afferrare il dito dell’esaminatore . L’esaminatore (“maligno”) può spostare il dito all’ultimo secondo per
vedere come il paziente riesce a correggere la traiettoria. Il sistema di inseguimento degli occhi, il sistema
di “giroscopi” che si trova all’interno dei canali semicircolari sono delle cose meravigliose: si riescono ad
eseguire movimenti di una precisione impressionante senza rendersene conto. Purtroppo, però ci se ne
rende conto quando qualcosa all’interno di questi sistemi meravigliosi si ammala e riuscire ad afferrare una
cosa senza distruggerla o senza fare “figure da barzelletta” è difficilissimo. Tali soggetti devono
continuamente correggere con gli occhi una traiettoria che purtroppo non è quella che loro vorrebbero.

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 Prova calcagno-ginocchio. Si chiede al paziente di strofinare con il calcagno la gamba controlaterale lungo
la cresta tibiale fino alla rotula. Viene fatta ad occhi aperti e ad occhi chiusi per vedere se l’informazione
visiva, in qualche modo, influenza o interferisce con il risultato finale.
Si può assistere a presenza di dismetria: il movimento va oltre, sbaglia il bersaglio, taglia, deve essere corretto in
continuazione
Oppure possono esserci episodi di Frenage ( o Braditelocinesia): il soggetto rallenta, corregge e riparte in
continuazione per cercare di sbagliare il minimo indispensabile.
Questi sono tutti segni di un deficit, di una lesione del cervelletto.
 Manovra del rimbalzo . In genere quando c’è una lesione cerebellare c’è anche un’ipotonia muscolare. Si
chiede al paziente di tirare con forza, contro resistenza esercitata dall’operatore, il pugno verso la propria
spalla o verso il viso (a gomito flesso). L’operatore può porre la propria mano a protezione del viso del
paziente poiché se il paziente è un cerebellare si tira un pugno in faccia. Qualora non lo sia, nel momento in
cui l’operatore rilascia il braccio senza preavviso togliendo la resistenza, egli è in grado di fermarsi. Nel
cerebellare la traiettoria diventa molto più lunga e si arresta contro un ostacolo (che in genere è una parte
del proprio corpo).

 Diadacocinesia. È la capacità di eseguire movimenti ritmici:


o Prova palmo-dorso (Prova di prono-supinazione delle mani): battere ritmicamente sulle proprie
cosce alternando il palmo e il dorso della mano.
o “Finger Tapping ”. Toccare in modo ritmico e sequenziale con il pollice o lo stesso dito o dita
successive.
Anche queste sono funzioni regolate dal cervelletto.
POSTURA
Il cervelletto è coinvolto anche nel mantenimento della postura normale che vince la gravità. Il nostro asse corporeo
passante per il baricentro, per definizione, deve cadere all’interno della proiezione del nostro corpo medesimo,
delimitata dalla base d’appoggio dei piedi. Quando tale asse cade al di fuori, si tende a cadere: o si spostano i piedi
per correggere oppure si casca.
Ci sono diverse patologie in cui la capacità di correzione è alterata. Il soggetto cerca di mettere in atto strategie che
tendono di correggere finché è possibile, ma poi inevitabilmente casca.
 Prova di Romberg [ il medico chiede al paziente di stare in piedi a talloni uniti e braccia distese in avanti
per un tempo di alcuni secondi ad occhi aperti. Si fa ripetere l'esame al paziente chiedendogli di chiudere
gli occhi. Se tendesse a barcollare fortemente o cadere nei primi 30 secondi, il test si intende positivo in
caso di ATASSIA DI INFORMAZIONE (presenza di deficit di informazione sensitiva propriocettiva e
labirintica), mentre è negativo in caso di ATASSIA CEREBELLARE. ]
 “Pulling”. L’esaminatore (sempre quello maligno) chiede al soggetto di mettersi in piedi con i piedi uniti e
di chiudere gli occhi. Ora l’operatore darà una spintarella al paziente chiedendo di cercare di assorbirla
senza muovere i piedi. Se il soggetto è un parkinsoniano non riesce a correggere il proprio asse corporeo
senza spostare i piedi: o casca o inizia a camminare indietro o in avanti con passi piccoli e molto veloci nel
tentativo continuo, ma purtroppo non coronato da successo, di mantenere l’asse del baricentro all’interno
della base d’appoggio.
 Deambulazione. Il neurologo è costretto a guardare il paziente: deve osservarlo dal momento in cui entra
nel suo studio, da come si toglie la giacca, da come si slaccia le scarpe
Si può valutare:
 Camminata normale
 Camminata sulle punte. Si richiede per vedere quanto forti sono i polpacci
 Squatting. Può evidenziare difficoltà soprattutto dei muscoli prossimali.
 Camminata sul tallone (analoga a quella sulle punte). Permette di testare la forza dei muscoli tibiali
anteriori.
 Camminata sul lato esterno
 Camminata sul lato interno
 Segno di Gowers. Chiedendo al paziente (che è quasi sempre un bambino) di accovacciarsi e poi rimettersi
in piedi non ce la fa se non attivando una manovra definita “arrampicata su se stesso”: cerca dei punti di
appoggio sequenziali su parti sempre più alte del corpo fin quando non riesce a mettersi in piedi.

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Osservando la camminata vanno valutati:
 Fluidità
 Lunghezza del passo. I parkinsoniani fanno passi piccolissimi
 L’ampiezza della base. Un’andatura atassica presenta una base allargata (come quella di un ubriaco che
tende a sbandare da una parte all’altra ed allarga la base per ridurre la probabilità di cadere)
 Oscillazione degli arti superiori. Quando si cammina veloce, per bilanciare, si muovono in modo antifasico
le braccia rispetto alle gambe. In un Parkinson iniziale una delle due braccia è incollata al corpo e soltanto
l’altra pendula.
 Equilibrio
 Coordinazione
 Presenza di movimenti involontari. Ci sono pazienti affetti da tante forme di “Corea” i quali mentre
camminano hanno il cosiddetto “ballo di San Vito” con movimenti involontari che interferiscono in
continuazione.
Possono essere presenti diversi tipi di andature:
Andatura falciante dovuta ad una emiparesi di una parte del corpo (sx o dx), in cui mentre la gamba sana si piega e
si slancia in avanti, l’altra non si piega a causa della spasticità di tutti i muscoli e per essere mandata in avanti il
soggetto deve alzare l’anca e slanciare in avanti la gamba.
Andatura parkinsoniana . Possono esserci addirittura situazioni in cui il soggetto non riesce ad alzarsi dalla sedia
(situazioni di “freezing”) anche se provano 10-20 volte. Qualora riescano ad alzarsi, partono con un’andatura
“festinante” a passetti ripetuti (piccoli e veloci) che inseguono continuamente il baricentro nel tentativo di non cadere.
Hanno, tuttavia, una difficoltà nel mettere in atto una strategia di fine della camminata.
Andatura atassica. (simil-ubriacone)
Steppage. È dovuto ad una lesione del muscolo tibiale anteriore in cui il soggetto quando tira su il piede per
camminare, siccome il piede gli ciondola e inciamperebbe, per poter incedere deve tirare maggiormente in alto la
gamba facendo la manovra di steppage (tipica dei cavalli nei concorsi di portamento).
Andatura distonica . Ad esempio un bambino che incede con la testa che si piega fortemente indietro per distonia
focale dei muscoli nucali.
SENSIBILITÀ
La forza e il movimento sono importanti, ma affinché avvengano in modo corretto sono necessari dei “sensori”
distribuiti su tutto il nostro corpo che ci mettono in contatto con l’ambiente, che finalizzano e programmano il
movimento.
Abbiamo disturbi soggettivi o oggettivi della sensibilità.
Disturbi soggettivi
 Parestesie. Tipico formicolio
 Disestesiee iperalgesia. Toccando una parte del corpo si avverte una strana sensazione o addirittura
dolorosa.
 Allodinia. Dolore continuo e violento dovuto ad una irritazione dei nervi.

Disturbi oggettivi. Sono valutabili dal medico con un batuffolo d’ovatta, con un chiodo, con un compasso,
 Sensibilità tattile: chiedendo al soggetto se è in grado di riconoscere
o Ad occhi chiusi, se lo state toccando e dove
o Se lo state toccando con un oggetto appuntito o smusso
o Se toccate un punto solo o due punti. Riconoscere la sua capacità di discriminare tra uno e due
punti. Tale capacità è molto diversa nella diverse parti del corpo. A livello del palmo della mano
avremo una maggiore densità recettoriale e quindi una maggiore capacità discriminatoria rispetto
al dorso.
 Sensibilità vibroestesica (o pallestesica) che si testa con un diapason posato su un piano osseo. Si chiede al
paziente se sente toccare o se sente toccare e vibrare. Se non sente vibrare è persa la sensibilità
vibroestesica che normalmente viaggia nei cordoni posteriori del midollo spinale
 Sensibilità di posizione e movimento . Normalmente siamo in grado di conoscere in ogni istante la
posizione di ogni parte del nostro corpo senza guardarla. Ci sono malattie in cui il soggetto se non guarda
dove mette i piedi casca o inciampa.
 Sensibilità dolorifica. Il dolore è utile per riconoscere ed allontanarci da situazioni di danno potenziale. Ci
sono patologie genetiche o secondarie a lezioni in cui i soggetti perdono la sensibilità al dolore: essi si
spengono sigarette addosso, sono piedi di cicatrici, si addormentano con la mano sul termosifone e si
svegliano per la puzza di bruciato, ecc..
 Sensibilità termica
 Stereognosia è la capacità di riconoscere un oggetto semplicemente toccandolo, in base alla forma e alle
caratteristiche, senza guardarlo.
 Grafestesia ci consente di riconoscere ciò che qualcuno ci scrive sul palmo della mano (o in altre zone
particolarmente sensibili) in base alla grafia e ai segni (se abbastanza grandi).
Esame dello stato mentale
Riguarda lo stato mentale, lo stato cognitivo. Si valuta:
 Memoria
 Analisi del linguaggio
 Orientamento nel tempo e nello spazio

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 Abilità di riconoscere i posti e le cose. Ci sono situazioni in cui il soggetto non riconosce la familiarità di un
viso (prosopagnosia), o la propria abitazione.
 Capacità di usare gli oggetti
 Funzioni esecutive. Comportamento e decisioni all’interno della vita sociale
 Capacità di vivere nel sociale. Se una persona da silenziosa, prudente, riservata, silenziosa, diventa un
ciarlatano che racconta barzellette e prende a pacche sulle spalle tutti c’è qualcosa che non va.
Normalmente tale cambiamento nel comportamento e nella personalità è legato ad alterazioni a livello dei
lobi frontali.
 Capacità di giudizio. Prendere una decisione a seconda del contesto
NERVI CRANICI
I.Nervo Olfattorio
Ci consente di sentire profumi e puzze. È una emanazione diretta del cervello. Si sta scoprendo avere molta
importanza poiché è una zona che produce cellule staminali che poi diventeranno neuroni. Attraverso la lamina
cribrosa passano delle fibre che vanno ad innervare tutti i sensori nelle cavità del naso. Tale lamina, essendo rigida, in
caso di gravi traumi cranici e di slittamento del cervello, può causare la rottura di queste fibre. Una conseguenza di un
trauma cranico può essere una anosmia per tutta la vita: non potrà più sentire profumi e puzze che fanno parte
dell’armamentario sensoriale della nostra memoria e delle nostre emozioni.
Ci sono vari tipi di odori:
o Odori puri: odore di rosa, violetta, caffè
o Odori “trigeminali”, non puri: ammoniaca, peperoncino, ecc… Stimolano anche i recettori trigeminali, non
sono selettivi.
Il nervo olfattorio è un punto d’accesso al sistema limbico, la zona più antica, primordiale ma al tempo stesso molto
importante per la regolazione del comportamento, dell’umore e di alcuni aspetti della memoria.
È un nervo difficile da esaminare e relativamente poco esplorato nella routine neurologica, se non in situazioni
particolari, come alcuni tipi di tumori che incidono soprattutto a livello della porzione orbito-frontale del cervello
oppure più frequentemente in caso di traumi cranici.
Bisogna però ricordare che è normale che l’olfatto diminuisca con l’età, è normale che l’olfatto sia meno efficace in
soggetti fumatori o “sniffatori” (sia cocaina o colle varie, sia sostanze che per forza di cose, ad esempio questioni
lavorative, i soggetti sono costretti ad inalare), è normale che questo apparato sensoriale sia meno efficiente in caso di
soggetti affetti da patologie croniche o anche transitorie del cavo orofaringeo o della mucosa nasale (es. riniti
allergiche).
Al fine di esplorare la funzionalità di questo nervo, in genere si usano odori puri, come essenza di rosa, di violetta o
di caffé . L’esame viene eseguito chiedendo di identificare queste sostanze odorose presentate a ciascuna narice
separatamente, tenendo l’altra chiusa .
Non vanno usati odori “trigeminali” : si tratta di odori che hanno una componente nocicettiva. Ad esempio
l’ammoniaca presenta delle componenti volatili che stimolano le terminazioni trigeminali.

II. Nervo Ottico e Vie Ottiche


La via ottica ha decorso lungo e articolato. Nella retina i fotorecettori (coni e bastoncelli), tramite altre cellule
retiniche interposte ( cellule bipolari ), proiettano alle cellule gangliari multipolari (VII strato della retina), le cui
fibre formano la “ testa del nervo ottico ” (si guarda con l’oftalmoscopio), trasportano l’informazione in uscita dalla
retina e costituiscono il nervo ottico, il quale entra nel cranio attraverso il forame o canale ottico.
Nel settore nasale della retina all’esame oftalmoscopico si osserva una regione tondeggiante biancastra
corrispondente al punto di convergenza delle fibre del nervo ottico all’uscita dal bulbo oculare. Tale regione risulta
escavata (papilla) e priva di recettori risultando funzionalmente una macchia cieca.
Lateralmente e superiormente alla papilla si osserva la macula lutea con un’escavazione ( fovea). I bordi di tali
regione sono molto ricchi di recettori definendo pertanto un’area di massima acuità visiva. Il fascio di fibre che di qui
provengono (fascio papillo-maculare) occupa la parte centrale del nervo.
Il nervo, penetrato nel cranio, termina a livello del chiasma ottico, che rappresenta il sito di decussazione delle fibre
provenienti da ciascuna emiretina nasale. Le fibre provenienti da ciascuna emiretina temporale non decussano,
rimanendo omolaterali e andando a costituire i tratti ottici , insieme alle fibre provenienti dall’emiretina nasale
controlaterale (vedi figura).
Le fibre del tratto ottico si interrompono in parte nel corpo genicolato laterale (diencefalo), in parte anteriormente al
tubercolo quadrigemello superiore (area o nucleo pretettale) per il riflesso fotomotore.
Dai corpi genicolati laterali (centri visivi primari) nascono le radiazioni ottiche (del Gratiolet) che raggiungono l’area
visiva della corteccia occipitale (area 17 – corteccia calcarina).
La retina si può dividere in una emiretina temporale ed una nasale. Sull’emiretina temporale arrivano le informazioni
dalla regione nasale del cristallino, mentre sull’emiretina nasale arrivano quelle dalla regione temporale.
Quindi l’impulso luminoso raccolto dalla metà temporale della retina corrisponde alla metà nasale del campo visivo
di quell’occhio; quello raccolto dalla metà nasale della retina corrisponde alla metà temporale del campo visivo.
Ogni via ottica postchiasmatica (tratto o radiazione) contiene fibre dirette provenienti dalla metà temporale della
retina e fibre crociate provenienti dalla metà nasale della retina.
Ne deriva che l’area visiva occipitale, a cui arrivano le radiazioni ottiche, controlla l’emicampo visivo controlaterale.
Questo sistema ha una organizzazione topografica, retinotopica: le fibre che provengono dall’emiretina periferica
mantengono una loro organizzazione, mentre quelle provenienti dalla zona foveale (cioè dagli 8 gradi centrali del
campo visivo) mantengono una loro individualità lungo il decorso; questo perchè la zona centrale del nostro campo
visivo sia molto sensibile ai dettagli di ciò che vogliamo osservare, a differenza della periferica la quale è dotata di

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una visione molto più grossolana e sensibile al movimento.
Disponiamo, dunque, di due differenti sistemi recettoriali:
 periferico: abbastanza grossolano, ma con fibre a conduzione molto rapida. Ciò ci consente, per
esempio, di sapere velocemente se unoggetto appena entrato nel campo visivo possa aggredirci
(questa è una lettura filogenetica);
 centrale: ha campi recettoriali molto piccoli perché devono darci informazioni quanto più
dettagliate possibile, come tanti piccoli pixel (quindi tanti pixel al centro, pochi in periferia); le
fibre di conduzione sono però più lente.
La lesione, a secondo della sua localizzazione lungo la via visiva, darà dei sintomi, dei disturbi visivi diversi (da cui il
neurologo deve capirne la sede). Nessuno di questi si può correggere
con l’utilizzo di una lente (come nessun altro disturbo neurologico
della visione).
 Cecità completa omolaterale ( AMAUROSI, cioè cecità
totale di un solo occhio): per lesione completa di un nervo
ottico. L’amaurosi può esser dovuta ad un trauma, ad una
malattia infiammatoria, ad un tumore del nervo ottico o di
qualche struttura che gli sta vicino. A secondo della causa
l’insorgenza può essere lenta (tumore) o improvvisa (post-
traumatica).
 Emianopsia bitemporale: sono lese le fibre che
provengono dalle due emiretine nasali. L’unico punto dove
possono essere danneggiate ambedue è a livello del chiasma,
per esempio per compressione da tumore dell’ipofisi. I
disturbi visivi saranno localizzati a livello dei campi
periferici, pertanto sono scarsamente percepiti finchè non
diventano grossolani. Uno magari si accorge che urta
sempre con la stessa spalla contro lo stipite della porta o
contro la gente mentre cammina, oppure ha già fatto tre
incidenti perché non aveva visto una macchina venire da
quel lato.
 Emianopsia laterale omonima destra o sinistra : è la più
frequente di tutte le emianopsie. Deriva da lesione dei tratti
ottici o delle radiazioni ottiche quando sono ancora
impacchettate. Le cause possono essere diverse:
1 ictus a livello del territorio dell’arteria cerebrale
posteriore, dell’arteria cerebrale media o
dell’arteria coroidea anteriore;
2 tumori;
3 traumi cranici con fratture della base cranica (ed ematoma dei tratti ottici);
4 fratture occipitali.

Possiamo avere poi dei quadri più parziali, evidenti soprattutto con delle lesioni a livello delle radiazioni ottiche. A
livello radiale le fibre infatti sono più larghe, ed è facile che una lesione ne prenda solo poche, coinvolgendo solo un
quadrante in alto o in basso. È difficile che il soggetto se ne accorga. Esse sono:
 Quadrantopsia omonima (superiore o inferiore – destra o sinistra)
 Emianopsia laterale omonima con conservazione della visione maculare : lesione dell’area striata della
corteccia visiva con risparmio del polo posteriore
 Scotoma centrale : lesione selettiva delle fibre che provengono dalla macula (fovea, parafovea). Si
mantiene la visione periferica, ma si ha una perdita selettiva della visione centrale; sembra di vedere
attraverso un vetro smerigliato o bagnato, con perdita di definizione dell’immagine, ma vedendo bene il
chiaro e lo scuro. Tipica della neurite ottica retrobulbare, spesso esordio di sclerosi multipla.
Lesioni della corteccia calcarina: i labbri superiore ed inferiore della scissura calcarina corrispondono alla
proiezione dei quadranti superiori ed inferiori delle emiretine omolaterali (che corrispondono nel campo visivo, ai
quadranti rispettivamente inferiore e superiore controlateralmente).

Quando si valuta un deficit visivo bisogna fare attenzione alla possibilità di un quadro di eminattenzione visiva
(neglect), in cui il soggetto ha una scarsa attenzione per un emicampo visivo. In questo caso non c’è un problema
campimetrico vero e proprio, ma c’è un problema di attenzione verso il mondo a sinistra. Generalmente non accade
per il mondo di destra, soprattutto perché nella nostra civiltà dominano i destrimani.
Se io stimolo tutti e due gli emicampi, il soggetto vede soltanto lo stimolo a destra ed ignora lo stimolo a sinistra.
Quando lo stimolo avviene separatamente per ciascun emicampo, il soggetto riesce a vedere anche lo stimolo a
sinistra.
RIFLESSO FOTOMOTORE
Interviene per permetterci di vedere nelle varie condizioni di luce, ma ci aiuta anche con la messa a fuoco. Questo
riflesso è molto importante perché ci può aiutare nella diagnosi differenziale tra emianopsia laterale omonima da
lesione dei tratti ottici (in cui il riflesso è alterato) e da lesione delle radiazioni ottiche.
La reattività della pupilla alla sorgente luminosa si vede all’E.O., ponendo la sorgente ad una certa distanza

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 11 A CURA DI ANDREA PERNA


dall’occhio, non direttamente davanti (sennò si concentra ed accomoda), ma cercando di penetrare dalla periferia; per
affermare che il riflesso fotomotore è funzionante dobbiamo avere una reazione ipsilaterale e consensuale, cioè anche
l’altra pupilla (quella non illuminata) si deve restringere; ci sono patologie in cui ciò accade in modo paradosso.
Come tutti gli archi riflessi, esso è costituito da una branca afferente ed una branca efferente.
La branca afferente è il nervo ottico che veicola l’informazione sulla quantità di luce; abbiamo detto che il nervo
ottico continua con il tratto ottico, che a sua volta termina a livello del corpo genicolato laterale; tuttavia un
contingente di fibre del tratto ottico termina a livello dell’area o nucleo pretettale, situata anteriormente ai tubercoli
quadrigemelli superiori, che costituisce il centro di riflessione di questo riflesso.
La branca efferente è il terzo nervo cranico , che si chiama oculomotore comune. Se questo nervo è lesionato, oltre
all’oftalmoplegia, c’è anche un’incapacità parziale o totale ad adattare la pupilla rispetto all’altro occhio. Quindi
possiamo avere una situazione di sbilanciamento di diametro pupillare tra una parte e l’altra che si chiama
anisocoria.
Bisogna ricordare che il nucleo pretettale di un lato invia impulsi ad i nuclei di Edinger-Westphal di entrambi i lati: è
questo il motivo per cui abbiamo una reazione consensuale alla luce.
SINDROME DI BERNARD-HORNER
È caratterizzata da miosi, apparente ptosi (si tratta di un restringimento della rima oculare), enoftalmo (non si vede
dal davanti, ma se voi osservate la persona dall’alto si può vedere quanto sporgono i due globi oculari). Inoltre
sull’emivolto ipsilaterale ci può essere un disturbo di controllo della sudorazione (nello specifico un’ anidrosi) e del
controllo vasomotorio, per cui si ha un arrossamento dovuto a vasodilatazione.
La sindrome di Bernard-Horner è molto poco localizzatoria, perché la via che la controlla è una via lunga e la lesione
può stare ovunque in questo arco riflesso.
Tutti i livelli della via simpatica possono essere interessati ingenerando diversi tipi di Sindromi:
 S. di Bernard-Horner centrale (dall’ipotalamo al centro cilio-spinale di Budge escluso) le
cause possono essere patologie tumorali, disembriogenetiche, vascolari a carico del tronco
encefalico (è compresa nella sindrome alterna bulbare di Wallemberg) o del midollo spinale
(siringomielia)
 S. di Bernard-Horner periferica (dal centro cilio-spinale di Budge in poi, inclusa l’orbita)
1 Pregangliare S. di Pancoast, derivante da un tumore dell’apice polmonare con associati dolori
brachiali radicolari, per alterazione del plesso brachiale.
2 Postgangliare patologie carotidee (trombosi, dissezione), del seno cavernoso o della fessura
orbitaria superiore
RIFLESSO DELL’ACCOMODAZIONE E DELLA CONVERGENZA
Seguono le stesse vie del riflesso alla luce.
Si tratta del restringimento della pupilla nello sguardo da vicino; in pratica la miosi si accompagna
all’accomodazione.
La pupilla di Argyll Robertson (1869)
 S tratta di una pupilla piccola e irregolare che non reagisce alla luce, ma che si restringe sia
nell’accomodazione che nella convergenza
 L’eziologia più frequente è la sifilide
 Sicuramente la lesione non ha sede nelle vie afferenti (II), né in quelle efferenti(III), quindi è al livello dei
centri mesencefalici
 È probabile che il riflesso alla luce e quello all’accomodazione e convergenza seguano vie che prendono
rapporto con 2 gruppi di neuroni diversi e che l’infezione luetica colpisca selettivamente quello coinvolto
nel riflesso alla luce
La pupilla tonica
 Pupilla midriatica
 Risposta lenta alla luce
 Risposta rapida all’accomodazione e convergenza (sebbene la miosi tenda a persistere nel tempo)
 Si tratta di donne in cui si osserva l’assenza dei riflessi achillei e il deficit della sensibilità cordonale
posteriore (lemniscale) agli arti inferiori (Sindrome di Adie)
 È espressione di un danno parziale di ignota natura del ganglio ciliare con conseguente midriasi da
deficit parasimpatico colinergico.
Esame del fondo oculare
Il colore del tappeto retinico dovrebbe normalmente essere rosato o rossastro se ben irrorato. L’estroflessione della
papilla ottica ( edema della papilla , Fig.1) è tipico di tumori o lesioni occupanti spazio a livello intracranico. La
papilla può essere “madreperlacea” (Fig.2) con confini molto ben definiti, a seguito di una neurite ottica che ha dato
atrofia.
Si va a valutare anche come sono i vasi retinici: più grosse le vene, più piccole e pulsanti le arterie. In caso di una
occlusione dell’arteria centrale della retina, la retina sarà molto più pallida, la fovea molto allargata e le strutture
vascolari molto più povere del normale(Fig.3)

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 12 A CURA DI ANDREA PERNA


-

III, IV, VI N.C.: NERVI


OCULOMOTORI
Ci permettono di vedere con tutti e due gli occhi. Intorno al globo oculare c’è un sistema complesso di muscoli in
grado di fare movimenti di inclinazioni minimi, di millimetri; l’importante è che ciò accada in maniera coordinata
con quelli dell’altro lato (se i due assi oculari non restano allineati, l’immagine si sdoppia, perdendo la visione della
profondità, perché questo sistema permette la visione 3D). In realtà per i:
- movimenti di verticalità c’è una grande sinergia tra obliqui e retti; per la verticalità in alto, il retto superiore e
l’obliquo inferiore sono i due primi attori; per la verticalità in basso, invece, lo sono l’obliquo superiore ed il retto
inferiore.
- movimenti di lateralità ci sono i retti laterali, mentre per quelli di medialità ci sono i retti mediali.
- III O CULOMOTORE COMUNE Origina da un nucleo mesencefalico (calotta mesencefalica). Le fibre che provengono
da questo nucleo innervano il retto superiore , il retto inferiore , il retto interno ed il piccolo obliquo (o obliquo
inferiore). Quindi, quando questo nervo è danneggiato, la motilità oculare è gravemente danneggiata. Inoltre alcune
fibre provenienti dallo stesso nucleo vanno ad innervare l’ elevatore della palpebra, si verifica PTOSI in caso di
lesione. Bisogna sempre considerare che alcuni danni possono essere parcellari (interessano prevalentemente un
contingente di fibre) e quindi si possono avere soggetti che si presentano con ptosi palpebrale come unico sintomo.
Un altro contingente di fibre proveniente dal nucleo di Edinger-Westfal (mesencefalico) va ad
innervare lo sfintere dell’iride (fibre del parasimpatico dal nucleo di Edinger-Westphal), che ha
un’azione irido costrittrice. Si tratta di fibre del sistema parasimpatico.
Quindi, se leso dà più danni degli altri, comportando strabismo grave, ptosi, midriasi e inclinazione del capo per
compensare la diplopia.
- IV TROCLEARE
Origina da un nucleo mesencefalico situato subito sotto il nucleo del III.
Innerva il grande obliquo (superiore): RUOTA BASSO L’OCCHIO ADDOTTO (per ricordarvi
pensate a come ci si guarda la punta del naso).

In realtà l’azione dipende dalla posizione dell’occhio: il muscolo ABBASSA L’OCCHIO se esso è IN
ADDUZIONE; lo RUOTA INTERNAMENTE SE è IN ABDUZIONE
- VI ABDUCENTE
Origina da un nucleo situato nel ponte sotto il pavimento del IV ventricolo. Questo nucleo è localizzato
in prossimità del nucleo del VII nervo ed è avvolto da un ginocchio che le fibre del VII nervo
descrivono intorno ad esso mentre fuoriescono dal loro nucleo: è chiaro quindi che lesioni a livello del
ponte interesseranno prima di tutto questi due nervi.
Innerva il retto laterale: ruota l’occhio orizzontalmente all’esterno
I tre nervi decorrono nel seno cavernoso insieme alla carotide interna ed alla prima branca del trigemino e penetrano
nell’orbita attraverso la fessura orbitaria superiore.

SEMEIOTICA DEI NERVI OCULOMOTORI


La funzionalità dei nervi oculomotori si valuta invitando il paziente a seguire con gli occhi la punta di una penna.
Muovendo la penna nello spazio possiamo esplorare tutti i movimenti oculari. Il paziente deve avvertirci se il target
della sua visione si sdoppia. Se accade si procede con la copertura di un occhio o dell’altro e lo sdoppiamento
dovrebbe scomparire.

DIPLOPIA
È un sintomo soggettivo presente quando si guarda con entrambi gli occhi ed è dovuto alla mancata fusione delle
immagini fornite dalle due retine (come avverrebbe normalmente)
 La distanza tra l’immagine vera (vista dall’occhio sano) e falsa (vista dall’occhio paretico) aumenta
portando lo sguardo nella direzione del muscolo paretico (il punto dove la distanza è massima ci indica il
muscolo responsabile).
 L’immagine falsa è quella più periferica.
 Esiste una legge generale per cui, essendo paralizzato un muscolo oculare, prevale l’azione
dell’antagonista, per cui il bulbo si presenta deviato anche a riposo (quindi gli occhi possono essere spostati
con strabismo nel “base line” per il prevalere relativo degli altri muscoli).

1 Una volta identificata la diplopia, bisogna coprire 1 dei 2 occhi: se lo sdoppiamento non scompare (dovrebbe
scomparire per diplopia monoculare, perché così si guarda con 1 occhio solo) bisogna cercare una patologia

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 13 A CURA DI ANDREA PERNA


refrattiva (rara, si parla di diplopia monoculare) o funzionale (volontariamente la persona finge la diplopia per
motivi medico-legali, o inconsci).

LESIONI
La lesione del tronco nervoso cioè il nervo nel suo decorso periferico può determinare più frequentemente la paralisi
completa, cioè midriasi associata ai deficit muscolari.
La lesione di regioni del nucleo (di solito per piccoli infarti a livello mesencefalico) è responsabile di paralisi parziali.
Cause più comuni (definendo paralisi periferica e oftalmoplegia periferica) sono
1 Traumi e fratture della base cranica e dell’orbita
2 Tumori endocranici della regione sellare
3 Compressione da ernia del giro uncinato per tumoridel lobo temporale
4 Diabete
5 Aneurismi della CI
6 Meningite
7 Tabe
8 Tromboflebiti del seno cavernoso
9 Sclerosi a placche (piu freq in VI)
CAUSE DI PARALISI COMPLETA DEI 3 NN OCULOMOTORI
1) S. della fessura sfenoidale
I 3 nervi assieme alla I branca del trigemino passano a tale livello
Lesioni tumorali, infiammatorie determinano
 Dolore o anestesia del territorio del n.oftalmico
 Immobilità assoluta del globo oculare
 Ptosi palpebrale
 Midriasi paralitica

2) S. del seno cavernoso


Processo tromboflebitco (prima di attraversare la fessura sferoidale i 3 nervi + il nervo oftalmico giacciono nel seno
cavernoso: o nella spessore della parete, come per il III e il IV, o all’interno del seno stesso come per il VI). Si
osserva un quadro simile alla S. della fessura sfenoidale e in più:
 Esoftalmo
 Cremosi
 Edema palpebrale
 Quadro generale setticemico
Tale grave condizione ha prognosi infausta.
È dovuta a propagazione per via venosa di processi infettivi del labbro superiore, del naso, della faccia, dell’orbita
attraverso la vena oftalmica (più raramente dalla regione tonsillare e dell’orecchio attraverso i forami della base
cranica ed il seno laterale rispettivamente).
3) Rottura di Aneurisma della Carotide Interna nel suo decorso dentro il seno cavernoso
Formazione di fistola artero-venosa (carotido-cavernosa).
Sindrome simile alle 2 precedenti MA insorgenza ACUTA CON
1 Violento dolore orbitario
2 Esoftalmo pulsante
4) Encefalopatia di Wernicke
 Oftalmplegia completa ad inizio acuto

In caso di disturbo dell’oculomozione ad esordio subdolo e lenta evoluzione, una diagnosi differenziale si impone nei
confronti di disturbi della trasmissione neuromuscolare (miastenia) e di miopatie primitive, come la distrofia
muscolare oculofaringea, tipo Kiloh-Nevin.
La diagnosi differenziale tra una oftalmoplegia periferica (nucleare-tronculare) e centrale (sopranucleare) si basa sul
fatto che nella centrale la paralisi non è dei singoli muscoli, ma è una paralisi dello sguardo coniugato, cioè paralisi
dei movimenti associati di lateralità o verticalità dei globi oculari, ed è per lo più dovuta a lesione del Fascicolo
longitudinale mediale nel ponte o dei tubercoli quadrigemini superiori nel mesencefalo, o ancora della sostanza grigia
periacqueduttale nel terzo superiore del mesencefalo (area pretettale).

MOTILITÀ OCULARE CONIUGATA


Tipi di movimenti:
1. Saccadici: sono movimenti rapidi di reperimento del bersaglio. Si tratta di movimenti di tipo volontario
(esecuzione dopo ordine)
2. Automatici riflessi ad afferenze vestibolari o propriocettive cervicali (d’inseguimento e mantenimento
del bersaglio a seguito di spostamenti di esso o del capo dell’osservatore): sono sempre lenti
3. Automatici riflessi ad afferenza visive: possono essere sia rapidi sia lenti
Indipendentemente dalla loro natura i movimenti si producono in maniera coniugata e dipendono dall’attivazione di 2
generatori posti nella formazione reticolare del TE:
1. generatore pontino : bilaterale, posto accanto al nucleo del VI; elabora i movimenti di lateralità
omolaterale mediante collegamenti con il VI omolaterale (retto laterale) e con il III controlaterale (retto

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 14 A CURA DI ANDREA PERNA


interno)
2. generatore mesencefalico : bilaterale, posto nel tegmento mesencefalico; elabora movimenti di verticalità
mediante collegamenti bilaterali con i nuclei del III (retto superiore ed inferiore, piccolo obliquo) e del IV
(grande obliquo).
I due generatori, pontino e mesencefalico, ed i nuclei di tutti i nervi oculomotori sono collegati tra loro attraverso un
sistema di fibre denominato Fascicolo longitudinale Mediale , bilaterale e paramediano, che decorre lungo tutto il
TE.
Esso consente la completa integrazione necessaria per la corretta esecuzione dei movimenti coniugati che prevede la
contemporanea attivazione ed inibizione di motoneuroni di diversi nuclei oculomotori (esempio: movimento
coniugato di lateralità a destra richiede attivazione del VI dx e di alcuni MN del III di sx ma anche inibizione del VI
di sx e del III di dx)
Il FLM riceve, inoltre, afferenze da:
 nuclei vestibolari ponto-bulbari
 vie acustiche centrali
 propriocettive dei mm del collo
Ciò consente risposte oculari riflesse ad afferenze labirintiche acustiche ed ai movimenti del collo.

I 2 generatori sono inoltre controllati dai centri corticali per i movimenti coniugati degli occhi (frontal eye-field):
 area di Brodmann 8 (2° circonvoluzione dei 2 lobi frontali): centro per i movimenti VOLONTARI
SACCADICI DI LATERALITA’. La stimolazione di tale area provoca deviazione laterale degli occhi
verso il lato opposto. Le fibre vanno al generatore pontino controlaterale.
 Corteccia occipito-parietale: viene attivata dalle informazioni visive e serve per l’elaborazione dei
movimenti AUTOMATICI RIFLESSI DI LATERALITA’. Le fibre si portano al generatore pontino
omolaterale.
Tali centri possono essere valutati facendo ruotare orizzontalmente davanti agli occhi del soggetto un cilindro
con bande bianche e nere o un semplice metro da sarto. Si osserveranno delle continue oscillazioni degli occhi
costituite da una fase lenta di inseguimento nella direzione di rotazione del cilindro o del metro seguito da una
componente rapida saccadica controlaterale di riposizionamento della mira (si tratta del nistagmo optocinetico
da distinguere da quello vestibolare).
La programmazione dei movimenti volontari saccadici di verticalità avviene sempre nei frontal eye-field. Le fibre
giungono ad ENTRAMBI i generatori mesencefalici.
Analogamente le aree occipito-parietali per i movimenti automatici di verticalità si connettono ad ENTRAMBI i
generatori mesencefalici.
Il sistema per i movimenti coniugati di convergenza (necessari per adattare la convergenza degli occhi alla distanza
del bersaglio) origina dalle aree-visive occipito-parietali ed è costituito da fibre che raggiungono la formazione
reticolare del tegmento mesencefalico e, quindi, si collegano con i motoneuroni dei 2 nuclei del III (per i retti
mediali) e quelli dei 2 nuclei del VI (per i retti laterali).

PARALISI CONIUGATE DELLO SGUARDO


Le paralisi coniugate di sguardo sono caratterizzate dall’incapacità di entrambi gli occhi di ruotare o sguardo in una
direzione.
Queste alterazioni possono essere dovute a lesioni di centri a livello della corteccia frontale dove ci sono i Frontal
Eye Field (FEF), che sono quei centri che ci permettono di volgere lo sguardo verso una direzione o verso l’altra; la
lesione può essere:
1. di tipo irritativo: sguardo forzatamente diretto verso la direzione guidata dal centro leso (un esempio di
lesione di tipo irritativo può essere un focolaio epilettico)
2. di tipo deficitario: prevale l’azione del centro controlaterale; lo sguardo viene rivolto verso la direzione
guidata dal centro controlaterale
Esistono anche dei centri pontini per lo sguardo coniugato, che si attivano anche nel corso del sonno REM. Per
questi centri vale lo stesso discorso fatto per i FEF, con la differenza che il centro pontino di destra fa volgere lo
sguardo a destra, mentre il centro pontino di sinistra, fa volgere lo sguardo a sinistra.
Pertanto un’emorragia pontina destra, che lede il centro di destra, fa sì che prevalga il centro di sinistra, con
convergenza dello sguardo a sinistra.

- V N.C.: NERVO TRIGEMINO


NEUROANATOMIA E FISIOLOGIA
Innerva la sensibilità della faccia e di gran parte della volta cranica.
È il nervo più voluminoso ed il suo nucleo è il più lungo, estendendosi dal mesencefalo al bulbo.
Si distingue in una porzione motoria ed una sensitiva.
MOTORIA. Ha il suo nucleo d’origine nel ponte; costituisce la radice piccola o motrice che fuoriesce dal nevrasse un
po’ al di sopra della radice sensitiva, in corrispondenza del margine laterale della faccia ventrale del ponte.
Innerva soprattutto i muscoli masticatori (massetere, pterigoideo, temporale) tramite la sua branca mandibolare.
SENSITIVA.
Il nucleo della sua cellula d’origine è localizzato nel Ganglio di Gasser, situato nella cavità di Meckel, all’apice della
piramide dell’osso temporale; esso può essere sede di tumori o essere infiltrato la lesioni circostanti.
I prolungamenti centripeti costituiscono la radice sensitiva e terminano nel nucleo principale del V a sede pontina.
Questo nucleo si estende però rostralmente fino al mesencefalo (tratto mesencefalico) e caudalmente fino ai primi

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 15 A CURA DI ANDREA PERNA


segmenti cervicali del midollo spinale (tratto spinale).
I prolungamenti periferici si raccolgono in tre grandi branche:
- nervo oftalmico (V1): è associato al ganglio ciliare; esce dal cranio attraverso la fessura sferoidale od orbitaria
- nervo mascellare (V2): è associato al ganglio sfenopalatino; esce attraverso il foro grande rotondo
- nervo mandibolare - che ha anche una porzione motoria- (V3): è associato al ganglio otico ed al ganglio
sottomascellare; esce attraverso il foro ovale (il n. linguale, che nasce dal mandibolare, fornisce la sensibilità tattile e
gustativa ai 2/3 anteriori della lingua).
I gangli a cui queste branche sono associate sono in rapporto con funzioni vegetative (secrezione lacrimale e
salivare): contengono i nuclei dei neuroni post-gangliari parasimpatici.
Il trigemino, nel complesso, innerva le radici dei denti (la polpa dentaria è ricca di terminazioni nervose libere, cioè
quelle elettive per il dolore), la faccia e parte dello scalpo, i seni paranasali.

CLINICA E SEMEIOTICA
Il riflesso più importante che può essere evocato è il riflesso corneale. La prima branca del trigemino costituisce la
branca afferente di questo riflesso (per il quale uno stimolo tattile sulla cornea determina la chiusura della rima
palpebrale), mentre la branca efferente è data dal nervo faciale.
Il riflesso masseterino è meno evidente e meno studiato (se non da un punto di vista elettrofisiologico).
Il riflesso glabellare lo si ritrova come riflesso primordiale che viene perduto nel corso dello sviluppo e viene
riacquistato con il deterioramento del cervello. In alcune patologie riemergono dal nulla dei riflessi arcaici che
abbiamo perduto nell’infanzia.
La patologia trigeminale può consistere di disturbi sensitivi e/o motori dovuti a lesione:
 del Ganglio di Gasser o
 dei tronchi nervosi o
 a lesione nucleare (tronco cerebrale)
I disturbi sensitivi sono:
 ipo-anestesia nelle aree innervate rispettivamente dalle 3 branche
 ageusia dei 2/3 anteriori della lingua
 riduzione della secrezione delle ghiandole sottomascellari e sottolinguali (nervo linguale) e della parotide
(nervo auricolo-temporale)
 mancanza del riflesso corneale nelle lesioni del Ganglio di Gasser o del nervo oftalmico con insorgenza di
cheratite neuroparalitica.
 l’anestesia a bulbo di cipolla (deficit con topografia sulla faccia a cerchi concentrici, cioè aree di anestesia
disposte concentricamente al naso ed alla bocca) è dovuto ad una lesione centrale, troncoencefalica che
coinvolga il nucleo sensitivo del V (sclerosi a placche, sindromi alterne vascolari tipo Wallenberg, tumori).
Essa è diversa da quella per problemi periferici del nervo.
 Importante la nevralgia e l’herpes Zoster trigeminale. La nevralgia è uni dei dolori più forti che può
spingere anche al suicidio. Il soggetto evita qualsiasi manovra comporti irritazione del nervo e quindi
dolore (magiare parlare…)
 Ci sono punti d’emergenza, cosiddetti “grilletto”, che se toccati provocano nevralgia trigeminale.

FUNZIONE E DISTURBI MOTORI


Per valutare il massetere si chiede al soggetto di mordere con forza; i muscoli della masticazione sono muscoli forti.
I disturbi si manifestano con
 riduzione della forza con la quale è eseguito il movimento di masticazione da parte della mandibola del lato
leso
 deviazione della mandibola verso il lato leso, per azione dello pterigoideo del lato sano
 l’appiattimento della guancia è dovuto a modica atrofia del massetere (in genere associata a problemi anche
col muscolo temporale) sempre e solamente per lesione della III branca..
 aprendo la bocca la mandibola è deviata dal lato malato per azione dello pterigoideo del lato sano.
 Fenomeni di disassiamento della faccia.

- VII N.C.: NERVO FACIALE


Del decorso del nervo faciale è importante ricordare:
- angolo pontocerebellare , un sito piccolissimo, quasi virtuale, dove passano tre nervi cranici importanti (faciale,
intermedio, acustico). Eventuali patologie che occupano spazio a questo livello, come neurinomi dell’acustico e
meningiomi, possono avere come sintomo di esordio il coinvolgimento di uno, due o tutti e tre i nervi presenti, che
danno sintomi su quel lato del viso.
- “ rocca petrosa ”: se questa è troppo stretta, magari per un insulto termico che determina un rigonfiamento
edemigeno, il nervo viene compresso; in questo caso avremo la paralisi a frigore; un’altra condizione di ristrettezza
del canale faciale si può avere nel caso in cui il canale sia congenitamente ristretto, tale da determinare un’irritazione
del nervo con successivo edema e rigonfiamento in un canale che non è dilatabile pertanto si osserva una patologia
compressiva.

FIBRE MOTRICI
Originano dal nucleo faciale, situato nella calotta del ponte con emergenza a livello del solco bulbo pontino.
Penetra nel condotto uditivo interno insieme al nervo intermediario di Wrisberg.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 16 A CURA DI ANDREA PERNA


Percorre l’acquedotto di Falloppio nella piramide del temporale.
Esce dal cranio percorrendo il foro Stilomastoideo.
Attraversa la parotide e si divide in 2 rami: superiore e inferiore.
Tali rami innervano i muscoli mimici ( frontale, corrugatore del sopracciglio, orbicolare delle palpebre, traverso del
naso, dilatatore delle narici, elevatore comune dell’ala del naso e del labbro superiore, elevatore proprio del labbro
superiore, orbicolare delle labbra, buccinatore quadrato del mento, pellicciaio del collo ). Permette quindi le
espressioni mimiche (se leso, ci sono danni di tipo estetico). I muscoli del viso sono molto importanti, anche da un
punto di vista filogenetico. Essi non solo sono importanti per manipolare il cibo in bocca, ma intervengono anche a
modulare il flusso dell’aria emesso parlando (insieme alla lingua e ai muscoli del laringe). Inoltre sono muscoli che
servono per esprimere le nostre emozioni anche senza volerlo. Pertanto nei pazienti con deficit del faciale
(specialmente quelli con plegia bilaterale), tra le altre cose, non riescono ad esprimere quello che vogliono dire.

FIBRE LACRIMALI
Fibre secretorie pregangliari provengono dal nucleo lacrimale pontino, abbandonano il VII a livello del suo ginocchio
superiore costituendo il nervo grande petroso superficiale che raggiunge il ganglio sfenopalatino, da cui si dipartono
fibre postgangliari per la ghiandola lacrimale.

FIBRE SALIVARI
Fibre secretorie provengono dal nucleo salivatorio pontino e abbandonano il VII tramite la corda del timpano, la
quale attraversa la cavità timpanica e si getta nel nervo linguale arrivando con questo al ganglio sottomascellare; di
qui si dipartono le fibre postgangliari per la ghiandola sottomandibolare.

NERVO STAPEDIO
Destinato all’innervazione dei muscoli interni dell’orecchio.

NERVO INTERMEDIO DI WRISBERG


Trasporta gli stimoli gustativi dei calici dei 2/3 anteriori della lingua attraverso la corda del timpano ed il nervo
linguale (ramo del trigemino).
Le fibre appartengono a neuroni che risiedono nel ganglio genicolato aderente al faciale, nel primo ginocchio del
canale di Falloppio.
Le fibre centripete penetrano nel bulbo e insieme alle fibre del X e del IX vanno a costituire il nucleo del fascicolo
solitario, struttura che veicola principalmente le afferenze gustative.

CLINICA E SEMEIOTICA
DEFICIT PERIFERICO E CENTRALE
All’E.O. si chiede di sorridere forte, in modo stirato, mostrando tutti i denti (ciò è mediato dall’orbicolare delle
labbra; il paziente solleverà anche le sopracciglia -muscoli frontali-, attivando tutta la muscolatura della faccia).
Oppure gli si chiede di fare il palloncino con le guance (manovra impossibile se è presente un deficit da uno dei due
lati: l’aria sfuggirebbe).
La parte del nucleo pontino che gestisce la metà superiore della faccia (frontale, sopraccigliare, orbicolare
dell’occhio) ha connessioni con fibre corticopontine sia omolaterali e che controlaterali (doppia innervazione,
proveniente da ambedue gli emisferi), mentre la metà inferiore è connessa solo con le corticopontine controlaterali.

Che l’innervazione dei muscoli faciali superiori sia bilaterale lo dimostra anche il fatto che normalmente non si riesce
a contrarre isolatamente il muscolo frontale di un solo lato e che spesso è anche difficile la chiusura di un solo occhio.

Quindi se c’è una lesione che colpisce, per esempio, l’emisfero di destra, i muscoli del viso deficitari saranno
sull’emifaccia di sinistra, nella sua metà inferiore. Invece se è leso il nervo periferico di destra o il nucleo pontino del
faciale di destra avremo paralisi omolaterale (destra) dei muscoli sia della metà superiore sia di quella inferiore.

DEFICIT CENTRALE (sopranucleare, lesione del motoneurone piramidale)


Si tratta di un deficit della muscolatura dell’ emivolto inferiore controlaterale alla sede lesionale , in quanto la
rappresentazione corticale del muscolo orbicolare delle palpebre e del muscolo frontale è bilaterale e permette una
conservazione -seppur non completa- della funzionalità.
Caratteristiche
- A riposo, il solco nasogenieno è appianato (se è appianato indica che è paretico) e la rima buccale è deviata verso la
metà sana, perché i muscoli controlaterali hanno un tono basale anche se non contratti.
- DIFFICOLTA’ A GONFIARE LE GOTE, A SOFFIARE, A FISCHIARE, A MOSTRARE I DENTI . Nel tentativo di mostrare i denti,
LA RIMA BUCCALE VIENE STIRATA VERSO IL LATO SANO .
- La motilità emotiva è conservata. Il controllo della motilità emotiva è diverso da quello volontario. Non lo è nel
deficit periferico
- Non ci sono:
-lagoftalmo (l’occhio non è colpito, o lo è appena per un leggerissimo coinvolgimento superiore),
- fenomeno di Bell (perché l’occhio si chiude),
- disturbi di gusto, udito, secrezione lacrimale o salivare (sotto il controllo delle fibre provenienti dal nucleo
del VII). Tali alterazioni possono essere presenti nel deficit periferico

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 17 A CURA DI ANDREA PERNA


DEFICIT PERIFERICO: deficit di tutta l’emifaccia ipsilaterale;
Caratteristiche
1. A riposo il solco nasogenieno è appianato e la rima buccale è deviata verso la metà lesa
2. DIFFICOLTA’ A GONFIARE LE GOTE, A SOFFIARE, A FISCHIARE, A MOSTRARE I DENTI. Nel tentativo di
mostrare i denti LA RIMA BUCCALE VIENE STIRATA VERSO IL LATO SANO .
3. Il sopracciglio è abbassato dal lato leso
4. Il paziente non può CHIUDERE LE PALPEBRE (LAGOFTALMO), né CORRUGARE LA FRONTE.
5. FENOMENO DI B ELL: durante lo sforzo per chiudere le palpebre il globo oculare devia verso l’alto e verso
l’esterno.
6. Possono essere presenti iperacusia, disturbi del gusto (2/3 anteriori della lingua) e delle secrezioni lacrimale
e salivare (VALORE LOCALIZZATORIO DELLA LESIONE)
7. Manca l’ammiccamento
8. Epifora (caduta delle lacrime lungo la guancia)
9. Masticazione e deglutizione difficile in quanto il cibo rimane incarcerato tra l’arcata dentaria e la guancia
atonica e il soggetto è costretto a rimuoverlo con la lingua o con le dita

DISTURBI DI TIPO LOCALIZZATORIO


Oltre ai disturbi di tipo motorio, il nervo faciale può dare anche molti altri deficit il cui significato è localizzatorio
(servono per localizzare la lesione nell’ambito del tortuoso decorso del faciale).

La lesione situata subito dopo l’uscita dal foro stilomastoideo determina solo paralisi della
muscolatura mimica superiore ed inferiore dell’emiviso omolaterale alla lesione.
Non si ha di norma ipoestesia cutanea in sede mastoidea e della conca auricolare (aree dotate di
innervazione sensitiva multipla, anche a carico del nervo faciale), tuttavia l’irritazione delle fibre
sensitive spiega il dolore che spesso precede la paralisi del faciale
La lesione situata prima che dal nervo si stacchi la corda del timpano determina un deficit di salivazione non
parotidea e della sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua (proprio per la compromissione della corda del
timpano).
La lesione situata tra il ganglio genicolato e l’emergenza del nervo stapedio -che innerva l’omonimo
muscolo- determina anche iperacusia.
La lesione situata tra il ganglio genicolato e il meato acustico interno determina anche un deficit di
lacrimazione,perché compromette le fibre autonomiche deputate all’innervazione delle ghiandole
lacrimali.
SINDROMI IRRITATIVE DEL FACIALE
Possono coinvolgere sia il motoneurone centrale che periferico
1. contrazioni faciali epilettiche: episodi caratterizzati da contrazioni prima toniche poi cloniche dei muscoli
mimici controlaterali alla corteccia motoria “irritata”
2. emispasmo faciale periferico: sindrome irritativa periferica cioè da causa irritativa che agisce sul nucleo o
sul tronco del nervo faciale omolaterale
 più frequente nelle donne di media età e inquadrata tra le distonie focali
 crisi di contrazione e clonie dei mm dell’emifaccia (l’orbicolare delle palpebre il più
colpito) che perdurano molti secondi o 1 minuto
 ripetizione frequente degli accessi
 miochimie (movimenti vermicolari intermittenti muscolari) caratterizzate all’EMG da
scariche ripetitive di una o più unità motorie
 può rappresentare l’esito di paralisi periferiche non guarite o erroneamente curate con
intensa elettroterapia (soprattutto faaradica)
 altre eziologie possono riguardare una sindrome da conflitto neurovascolare dovuta a
compressione del nervo nell’angolo ponto-cerebellare da parte di un’anomalia
vascolare.
 TERAPIA: tossina botulinica; è una proteina prodotta dal Clostridium Botulinum che
agisce a livello della placca neuromuscolare legandosi ai terminali presinaptici e
riducendo il release di Ach. Tale iniezione porta a paresi locale, ma l’efficacia del
trattamento è transitoria (2-4 mesi) e l’iniezione deve essere ripetuta (tale terapia è
impegnata anche nelle distonie focali e segmentali e della spasticità).

ETIOLOGIA PARALISI PERIFERICA


1 Paralisi a frigore di Bell
2 Herpes zoster
3 Lesioni vascolari, tumorali del nucleo pontino:
1 S. di Millard-Gubler: paralisi crociata o sindrome alterna pontina caratterizzata da:
 Paralisi periferica faciale omolaterale
 Emiplegia controlaterale
2 S. inferiore di Faville
1 Paralisi periferica faciale omolaterale
2 Emiplegia controlaterale

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 18 A CURA DI ANDREA PERNA


3 Paralisi omolaterale dell’abducente
4 Paralisi coniugata dello sguardo verso il lato della lesione

ETIOLOGIA PARALISI CENTRALE


Lesioni vascolari tumorali infiammatorie che interessano le vie piramidali: parte della corteccia motoria deputata ai
movimenti della faccia o le proiezioni cortico-bulbari che arrivano, attraverso la capsula interna ed il peduncolo
cerebrale, al nucleo pontino del faciale.

- VIII N.C.: NERVO STATO-ACUSTICO


(o COCLEO-VESTIBOLARE)
È formato da due componenti, una cocleare ed una vestibolare, cioè una componente che riguarda l’udito ed una
componente che invece riguarda il sistema vestibolare e quindi il mantenimento dell’equilibrio.

IL NERVO COCLEARE
NEUROANATOMIA
I nuclei delle cellule hanno sede nel ganglio spirale del Corti situato nel canale di Rosenthal , a sua volta contenuto
nel modiolo.
I prolungamenti centripeti delle cellule del ganglio penetrano nel nevrasse a livello della fossetta laterale del bulbo e
si portano al nucleo cocleare ventrale (o nucleo accessorio) e nel nucleo cocleare dorsale (o nucleo del tubercolo
acustico) situati nel ponte.
Da questi parte la via acustica centrale: si tratta in buona parte di una via crociata che ascende lateralmente nel tronco
encefalico all’interno del lemnisco laterale, arrivando al corpo genicolato mediale.
Nel suo percorso contrae rapporti con diverse strutture, come l’oliva superiore, il nucleo trapezoide, il nucleo del
lemnisco laterale, la formazione reticolare, il tubercolo quadrigemino inferiore.
La via termina nelle aree acustiche corticali di Brodmann 41 e 42 (giri traversi di Heschl e circonvoluzione temporale
superiore).

FISIOLOGIA
Il nervo acustico ci permette di sentire; attraverso di esso le onde fisiche acustiche trasmesse nell’aria vengono
convertite in segnali elettrici che viaggiano nel sistema acustico per giungere alla corteccia acustica primaria, così ne
capiamo il significato.
Questa porzione del nervo origina dall’epitelio cigliato della coclea, che è ben protetta nella rocca petrosa e connessa
con la catena degli ossicini (che traducono le onde sonore).
L’organizzazione tonotopica è conservata nella coclea, nel nervo acustico e in tutto il sistema in genere fino alla
corteccia acustica primaria: i suoni acuti e gravi sono portati in zone diverse del sistema (percepiti in un range di Hz
diverso rispetto ad altri animali: 1000-12000 Hz, con picco attorno ai 4000).

SEMEIOLOGIA
Le lesioni della via acustica si possono presentare come
 Ipoacusia:
1 di trasmissione per danno all’orecchio esterno e medio (otosclerosi)
2 di percezione per danno cocleare (presbiacusia, danni tossici) o retrococleare (tumori dell’angolo
ponto-cerebellare)
 Acufeni (ronzii, fischi, sibili)
 Sordità centrale per lesioni bilaterali delle vie acustiche del tronco o delle aree corticali
uditive temporali (tumori, sclerosi multipla, infarti multipli)
 Iperacusia ipersensibilità agli stimoli acustici osservabile specie in alcun casi di paralisi
periferica del VII
TEST CON DIAPASON
Test di Rinne. Mette a confronto la capacità del soggetto di udire uno stimolo uditivo che arriva ad eccitare il nostro
nervo uditivo per una via ossea con la capacità di udire uno stimolo che, invece, arriva per via aerea. Per via ossea
intendiamo la trasmissione delle vibrazioni che non avviene attraverso il meato uditivo e le altre strutture auricolari,
ma avviene attraverso una trasmissione diretta alla coclea attraverso le ossa craniche. Ovviamente un soggetto
normale sente meglio con la via aerea (che sfrutta gli ossicini di trasmissione) che con la via ossea (che non è
fisiologica). Il test di Rinne si esegue poggiando il diapason dietro l’orecchio del soggetto (sul processo mastoideo): il
soggetto sentirà il suono che sfrutta la via di trasmissione ossea; ad un certo punto non lo sentirà più, nonostante il
diapason continui a vibrare; a questo punto il diapason va posto davanti all’orecchio, a livello del meato acustico
esterno  un soggetto normale riprenderà a sentire, questa volta attraverso la via di trasmissione aerea, capace di
trasmettere vibrazioni di ampiezza molto più bassa rispetto alla via ossea.
Questo test dimostra proprio la diversa acuità tra la via aerea (che sente meglio) e la ossea (che sente di meno).
Test di Weber. Si esegue ponendo il diapason al vertice del cranio; un soggetto normale sentirà un suono di uguale
intensità con entrambe le orecchie (con il test di Weber la via di trasmissione sfruttata è ovviamente quella ossea).

Distinguiamo due forme di ipoacusia:


1. di TRASMISSIONE:
 Rinne: la trasmissione ossea è praticamente uguale o addirittura maggiore di quella aerea; questo indica una
trasmissione ossea conservata, ma un’alterata trasmissione aerea

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 19 A CURA DI ANDREA PERNA


 Weber: è lateralizzato dal lato malato (perché a questo livello è accentuata la trasmissione ossea).
 NEUROSENSORIALE o di PERCEZIONE:
o Rinne: sono carenti entrambi i tipi di trasmissione
o Weber: è lateralizzato dal lato sano (a livello del lato malato non sentirà niente).

Distinguere queste due forme di ipoacusia ha un significato localizzatorio, in quanto l’ipoacusia di trasmissione è
legata a qualche alterazione dell’organo trasmissivo (martello, incudine, staffa) che serve per amplificare l’energia
sonora e trasdurla alla finestra ovale, che poi fa funzionare la coclea; in questo caso il nervo acustico può attivarsi
solo tramite una trasmissione ossea, che sarà conservata.
L’ipoacusia neurosensoriale è una lesione che in genere riguarda la coclea o il nervo: né impulsi trasmessi per via
aerea, né impulsi trasmessi per via ossea possono attivare la coclea e il nervo acustico, perché sono proprio queste
strutture ad essere compromesse.

ALTRI TEST DIAGNOSTICI


 Audiometria: somministrazione in cuffia a paziente isolato in camera fonoassorbente di stimoli uditivi di
intensità e frequenza variabile con l’intento di stabilire la soglia uditiva per le varie frequenze
(Presbiacusia: caratterizzata dalla caduta delle prestazione uditive solo per le alte frequenze)
 Potenziali evocati uditivi: utili nella diagnosi di livello del danno alle vie acustiche

IL NERVO VESTIBOLARE
NEUROANATOMIA
Origine nel ganglio vestibolare di Scarpa, costituito da cellule bipolari oppositopolari e da cellule a T.
I prolungamenti centrali penetrano nel bulbo e raggiungono 4 nuclei:
1. nucleo laterale di Deiters
2. nucleo mediale o triangolare
3. nucleo superiore di Bechterew
4. nucleo inferiore o discendente
Connessioni complesse:
 con i nuclei oculomotori tramite il fascicolo longitudinale mediale costituendo la base anatomica
del riflesso vestibolo-oculare
 con i motoneuroni spinali (fascio vestibolo-spinale)
 con nuclei grigi reticolari pontobulbari (fibre vestibolo-reticolari)

I prolungamenti periferici si connettono con la macula dell’utricolo e del sacculo e con la cresta acustica nelle
ampolle dei canali semicircolari
I canali semicircolari sono 3 (posteriore, superiore, laterale) e rispondono alle accelerazioni angolari (rotazione del
capo) con conseguente spostamento dell’endolinfa in essi contenuta ciò determina a sua volta un’inclinazione delle
ciglia dell’epitelio sensoriale della cresta acustica.
Tale epitelio sensoriale (sia della macula acustica dell’utricolo che del sacculo) è rivestito da una membrana otolitica
(sostanza gelatinosa contenente concrezioni di carbonato di calcio). Lo scorrimento di tale membrana indotto
dall’accelerazione lineare del capo e dalla forza di gravità, determina una variazione dell’inclinazione delle ciglia
dell’epitelio sensoriale con conseguente partenza di uno stimolo sensoriale.
FISIOLOGIA
Il vestibolare nasce dall’epitelio ciliato dei canali semicircolari; nel ganglio vestibolare (orecchio interno) raccoglie
la sensibilità vestibolare dell’utricolo (analizza la posizione della testa rispetto alla gravità), sacculo (accelerazione
lineare) e delle creste ampollari. E’ un fine sistema su 3 piani che ci permette di sapere esattamente la posizione della
testa rispetto al corpo e viceversa. Dal ganglio vestibolare o di Scarpa proietta ai nuclei vestibolari inferiori, superiori,
laterali, medi, a livello bulbo-pontino. Dai nuclei partono le fibre vestibolari secondarie che proiettano ai nuclei
motori dei nervi encefalici, al cervelletto e a tutti i livelli spinali.
ESPLORAZIONE VESTIBOLARE STRUMENTALE
 elettronistagmografia: consente di analizzare e registrare le caratteristiche del nistagmo. Si basa
sulle registrazioni delle variazioni di campo elettrico (dipolo corneo-retinico) prodotte dai movimenti
oculari.
 prova calorica: studia gli effetti delle correnti endolinfatiche prodotte dall’irrigazione con acqua calda
o fredda del condotto uditivo esterno. Tale prova consente di esaminare separatamente ciascun
labirinto.
 prova rotatoria: esamina contemporaneamente la funzione di entrambi i labirinti misurando la
sensibilità dei canali semicircolari all’accelerazione angolare indotta dalla rotazione della sedia sopra
la quale è seduto il soggetto.

SEMEIOLOGIA NEURO VESTIBOLARE


- Vertigine
Sensazione illusoria e spiacevole di movimento dell’ambiente ( oggettiva) o del corpo rispetto all’ambiente
(soggettiva); generalmente associata a manifestazioni neurovegetative (nausea, vomito, sudorazione, pallore,
bradicardia fino alla sincope).
Nelle vertigini oggettive il paziente si sente instabile e vede gli oggetti intorno a sé muoversi.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 20 A CURA DI ANDREA PERNA


Nelle vertigini soggettive il paziente lamenta un’instabilità del corpo (simile a quella che può avere un soggetto
ubriaco).
Si associa spesso ad andatura a base larga.
La vertigine non c’entra niente con i sintomi che può avere un soggetto che guarda giù dall’ottavo piano.
- Nistagmo
Movimenti oculari involontari, coniugati e ritmici, consistenti in una alternanza di deviazione lenta di
allontanamento del globo oculare dalla posizione centrale, seguita da una fase rapida di richiamo in senso
opposto.
Il nistagmo per definizione batte nella direzione della fase rapida.
Caratteristiche
 Sul piano spaziale: nistagmo orizzontale, verticale, rotatorio, obliquo
 Direzione: il nistagmo batte nella direzione della fase rapida
 Grado
- Grado I:quando il nistagmo compare con lo sguardo deviato nella direzione della fase rapida
- Grado II: quando il nistagmo compare anche nello sguardo in posizione mediana
- Grado III: quando il nistagmo compare con lo sguardo deviato nella direzione della fase lenta.
Cause: periferiche o centrali.
- Deviazioni posturali
Sono la conseguenza dell’asimmetria del tono muscolare generato dallo sbilanciamento dei sistemi vestibolo-spinali.
Si valutano mediante varie prove:
 Prova degli indici: il paziente seduto o sull’attenti e con gli occhi chiusi viene invitato ad estendere gli arti
superiori in avanti con gli indici tesi; il paziente con disturbi vestibolari comincerà a deviare da un lato: in
genere il lato in cui il paziente si muove è il lato ipovalido.
 Prova di Romberg: il paziente viene posto in stazione eretta ad occhi chiusi per valutare eventuali squilibri.
 Marcia a stella : si invita il paziente a fare ripetutamente tre passi in avanti e tre passi indietro; se ci sono
problemi di equilibrio egli disegnerà il profilo di una stella.
 Marcia “sul posto”: ha un significato simile; anche qui il paziente tenderà a deviare verso un lato.
Tutto ciò avviene perché i sistemi vestibolari dei due lati, in condizione fisiologica, si bilanciano funzionalmente,
cioè c’è un bilanciamento funzionale che ci permette di non avere deviazioni posturali da un lato o dall’altro e che ci
permette anche di orientare lo sguardo verso un punto fisso anche in presenza di movimenti corporei.
Il sistema vestibolare serve a mantenere fisso lo sguardo su un obiettivo anche in presenza di movimenti corporei. In
caso di lesione, mancherò il tentativo di compenso oculare per i movimenti della testa, Il risultato sarà che gli occhi
avranno un deriva lenta verso il lato che non funziona, ma il nostro sistema corticale (tramite i frontal eye field)
produrrà dei movimenti rapidi di correzione che generano il nistagmo, che quindi con la sua fase rapida batterà dalla
parte opposta rispetto al sistema (labirinto o nervo) leso.
Questo significa che essendoci un bilanciamento molto evidente della funzione è chiaro che le deviazioni posturali e
la fase lenta del nistagmo avranno un significato localizzatorio della lesione.
- Sindrome Vestibolare Periferica
Caratterizzata da vertigini oggettive. Viene anche detta “ARMONICA” in quanto
COINCIDONO:
- Fase lenta del nistagmo
- Deviazioni posturali
Nel caso di una lesione deficitaria, la fase lenta del nistagmo e le deviazioni posturali saranno rivolte verso il lato
leso.
Al contrario, se la lesione è irritativa, si ha un’iperattivazione del sistema vestibolare di quel lato; pertanto fase lenta
del nistagmo e le deviazioni posturali saranno rivolte verso il lato sano.
In caso sindrome periferica la lesione può essere localizzata al labirinto o al nervo vestibolare fino alle sue
terminazioni nei nuclei vestibolari.
Esiste spesso un’associazione a sintomi cocleari (tranne che nella vertigine posizionale benigna).
Cause di S. vestibolare periferica
 neurinoma dell’acustico
 sindrome da idrope endolinfatica o s. di Mènière
 labirintite
 neuronite vestibolare (etiologia sconosciuta decorso benigno con regressione della sintomatologia nell’arco
di gg o settimane)
 sclerosi multipla (placca demielinizzante all’ingresso del nervo vestibolare nel tronco)
 sindrome alterna bulbare di Wallenberg da ischemia dei nuclei vestibolari (tale ischemia quando transitoria
è peraltro responsabile della sintomatologia vertiginosa dell’insufficienza vertebrobasilare o dell’emicrania
basilare)

Vertigine posizionale benigna


Cause
Distacco delle concrezioni calcaree della membrana otolitica dell’utricolo e conseguente deposito nell’ampolla del
canale semicircolare posteriore (cupololitiasi)
Clinica
 Improvvise ed intense vertigini rotatorie

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 21 A CURA DI ANDREA PERNA


 Non accompagnate da sintomi cocleari
 Insorgenza nei cambiamenti di posizioni spontanei o indotti
 Manovre di Hallpike:cambiamenti di posizione indotto a scopo diagnostico suscitano vertigine
 Sindrome generalmente benigna e in caso di mancata remissione spontanea sono utile le “manovre di
riposizionamento degli otoliti”

- Sindrome Vestibolare Centrale


È una sindrome con vertigini soggettive. È caratterizzata da segni “disarmonici”. Inoltre sono anche
presenti segni e sintomi di lesione del SNC (tronco, cervelletto). La sindrome vestibolare centrale
è conseguenza di lesioni che colpiscono le connessioni centrali dei nuclei vestibolari (ad
esempio il paziente con lesione cerebellare).
Non si associa a sintomi cocleari.
La sintomatologia appare meno definita rispetto a quella della sindrome vestibolare periferica.
Il nistagmo è puro (solo orizzontale o verticale o rotatorio o obliquo o multidirezionale).

IX e X N.C.: NERVI GLOSSOFARINGEO E VAGO

IL NERVO GLOSSOFARIGEO
NEUROANOATOMIA E FISIOPATOLOGIA
È un nervo misto
PORZIONE SENSITIVA: fibre che hanno origine da due gangli posti lungo il suo decorso all’uscita del nervo dal
cranio
1. Ganglio petroso di Andersch: sensibilità gustativa. Le fibre si distribuiscono al terzo posteriore della lingua
(papille circumvallate)
2. Ganglio superiore di Ehrenritter: sensibilità somatica. Le fibre si distribuiscono alla mucosa faringea
PORZIONE MOTORIA  origine dal nucleo ambiguo del bulbo (nucleo motore somatico del IX, X e XI). Innerva
vari muscoli tra cui:
 Stilofaringeo
 Stiloglosso
 Costrittore superiore della faringe
PROLUNGAMENTI E PROIEZIONI CENTRALI: LA VIA GUSTATIVA
I prolungamenti centrali del IX, insieme a quelle provenienti dal ganglio genicolato del VII e dal ganglio nodoso o
plessiforme del X, vanno a confluire nel nucleo del fascicolo solitario da cui origina l’omonimo sistema di proiezione
ascendente (fascicolo o tratto solitario).
La ricezione della sensibilità gustativa (dolce, salato, amaro, acido) vede interessati:
 VII (fibre associate al ganglio genicolato)  per i 2/3 anteriori della lingua
 IX e X (fibre associate ai Gangli di Andersch e Nodoso)  per il 1/3 post della lingua e per
la regione periepiglottica
Le vie gustative centrali, al di là del nucleo del fascicolo solitario bulbare e del seguente fascio solitario-talamico, non
sono ben conosciute.
Il nucleo talamico implicato sarebbe il ventro-postero-mediale, zona di arrivo del lemnisco trigeminale (che
convoglia la sensibilità trigeminale).
L’area corticale sensitiva dovrebbe essere l’opercolo della corteccia fronto-parietale.
In caso di lesioni dell’uncus (porzione terminale del giro ippocampale) possono insorgere crisi epilettiche
caratterizzate da allucinazioni geusiche (e/o olfattive): questa osservazione clinica rende ipotizzabile l’esistenza di un
centro corticale gustativo localizzato nell’uncus o in aree temporali vicine.
Il decorso del nervo vede l’uscita dal bulbo a livello del solco laterale-posteriore e dal cranio a livello del foro lacero
posteriore (o giugulare) contraendo stretti rapporti di vicinanza con il X  pertanto è RARA LA LESIONE
ISOLATA DEL IX.
Il IX n.c. è importante nei movimenti di deglutizione  una sua lesione porta ad un difetto di deglutizione, che sarà
molto lieve in caso di lesione monolaterale, viceversa grave in caso di lesione bilaterale.
IL NERVO VAGO
NEUROANATOMIA
È un nervo Misto.
1. FIBRE MOTRICI: Origine nel nucleo ambiguo nel bulbo
2. FIBRE VEGETATIVE: Origine nel nucleo dorsale del vago a livello del pavimento del IV ventricolo
3. FIBRE SENSITIVE: Origine dal ganglio Nodoso (o plessiforme) e dal Ganglio Giugulare . I suoi
prolungamenti centrali contribuiscono, insieme alle fibre del VII e del IX, alla formazione del fascicolo
solitario.
Il tronco del vago esce dal cranio a livello del foro lacero posteriore (o giugulare) assieme al IX e nel suo lungo
decorso fornisce rami per i visceri sopradiaframmatici e sottodiaframmatici (bronchi, polmoni, cuore, esofago,
stomaco, fegato…):
1. rami intracranici:
 meningeo posteriore: alla dura madre della fossa posteriore
 Auricolare di Arnold: alla parete posteriore del meato uditivo esterno e alla membrana timpanica.
2. rami cervicali:

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 22 A CURA DI ANDREA PERNA


 rami faringei: concorrono alla costituzione del plesso faringeo dal quale si dipartono rami per i muscoli
costrittori del faringe medio (il superiore è innervato dal IX) e inferiore ed elevatori del palato molle e
dell’ugola
 n. laringeo superiore: innerva il muscolo cricotiroideo e costrittore inferiore del faringe e la mucosa della
parte sopra e sottoglottica della laringe, dell’epiglottide, della radice della lingua
 n. laringeo inferiore o ricorrente. Innerva i muscoli laringei tranne il cricotiroideo e fornisce rami tracheali
cardiaci ed esofagei
3. Rami toracici:
 Cardiaci
 Pericardici
 Tracheali
 Bronchiali
 Esofagei
4. Rami addominali che partono dai plessi esofagei anteriore e posteriore:
 Esofago sottodiaframmatico
 Stomaco
 Fegato
 Milza
 Pancreas
 Intestino tenue
 Surreni
Il vago ha azione anche cardiovascolare.
CLINICA E SEMEIOLOGIA
Sono nervi che generalmente vengono esplorati insieme. I sintomi del coinvolgimento di questi due nervi in genere
sono la disfagia legata ad un’ipomotilità delle strutture faringee. Questo significa che avremo:
 Deviazione dell’ugola verso il lato sano Nel soggetto normale i due nervi (IX e X) di destra e sinistra
vanno ad innervare i due muscoli che agiranno in maniera sinergica portando verso l’alto l’ugola. Se c’è un
deficit di uno di questi due nervi, prevarrà l’azione del muscolo del lato opposto (sano), con spostamento
dell’ugola “a tendina” dalla parte sana.
 Mancanza del riflesso faringeo (riflesso del vomito)
Per localizzare meglio la lesione possiamo considerare che:
 L’alterazione del IX n.c. determina una disfagia prevalente per i solidi, mentre se è alterato il X n.c. la
disfagia sarà prevalente per i liquidi con rigurgito dal naso (ovviamente non è un criterio valido in
assoluto). La disfagia è un grave disturbo in quanto può portare a broncopolmonite ab ingestis.
 Lesioni del IX n.c. compromettono la funzione gustativa del 1/3 posteriore della lingua
 Lesioni del X n.c. danno anche:
- immobilità della corda vocale omolaterale , con produzione di voce bitonale; se la lesione è bilaterale
abbiamo un cambiamento di timbro vocale con rinolalia (il soggetto parla come se avesse perennemente il
raffreddore)
- disturbi funzionali dei visceri innervati dal vago.

- XI N.C.: NERVO ACCESSORIO SPINALE


NEUROANATOMIA
È un nervo esclusivamente motore.
Esistono due teorie circa la sua costituzione.
La prima:
1. componente bulbare : costituita da fibre che originano dal nucleo ambiguo e fuoriescono dal nevrasse a
livello del solco laterale del bulbo, poi dal cranio attraverso il foro lacero posteriore (o giugulare) per
anastomizzarsi col vago e innervare i muscoli faringo-palatini.
2. componente spinale: costituita da fibre che originano dal midollo cervicale nei segmenti C1 C2 C3 C4 e
risalgono il canale vertebrale penetrano nel cranio attraverso il forame occipitale; ne fuoriescono
nuovamente insieme alla componente bulbare dal forame lacero posteriore. Innevano i muscoli
sternocleidomastoideo e trapezio
La seconda teoria, ritenuta più esatta per argomenti di organogenesi e sistematizzazione, considera la componente
bulbare (o n. accessorio del vago) come facente parte del X, essendo allora l’XI limitato alla componente spinale (che
controlla il trapezio e lo sternocleidomastoideo).
CLINICA E SEMIOLOGIA
Le lesioni si manifestano con PARESI dei due muscoli innervati da questo nervo: lo sternocleidomastoideo e il
trapezio.
Si tratta di paresi e non di paralisi in quanto questi muscoli sono innervati anche da fibre motrici del plesso cervicale.

LESIONE DELLO STERNOCLEIDOMASTOIDEO


 Deficit di rotazione della testa dal lato opposto al lato muscolo paretico (il muscolo infatti flette, inclina e
ruota la testa)
 Minore evidenza e consistenza alla palpazione del muscolo interessato
Per testare lo sternocleidomastoideo si invita il paziente a ruotare il capo contro una resistenza (sempre la nostra

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 23 A CURA DI ANDREA PERNA


mano); ricordate che la rotazione del capo contro resistenza in una direzione è determinata dallo
sternocleidomastoideo controlaterale.
LESIONE DEL TRAPEZIO
 abbassamento della spalla omolaterale
 deficit dei movimenti di sollevamento della spalla
 tendenza alla scapola alata
Per testare il trapezio facciamo fare spallucce al paziente, ponendo un peso sulle spalle (la nostra mano ) e cerchiamo
di apprezzare un’eventuale difficoltà del paziente ad effettuare il movimento.

È frequente la contemporaneità di lesione del tronco dell’XI con altri nervi.


Tipico esempio è la paralisi bulbare progressiva, un quadro sindromico caratterizzato da progressiva e lentamente
evolventesi:
 disfagia
 disartria
 ipotrofia dello sternocleidomastoideoe del trapezio
 atrofia della lingua
- XII N.C.: NERVO IPOGLOSSO
NEUROANATOMIA
Si tratta di un nervo esclusivamente motore.
Origina dal proprio nucleo bulbare situato sotto il pavimento del IV ventricolo.
Abbandona il nevrasse a livello del solco laterale anteriore del bulbo ed esce dal cranio attraverso il forame
condiloideo dell’osso occipitale.
Innerva i muscoli soprajoidei e particolarmente il genioglosso.
La lingua ha muscoli che si muovono in tutte le direzioni possibili. Essa ha un ruolo importante nel linguaggio e nella
masticazione.
Se il nervo è leso in maniera bilaterale (come nel caso di una paralisi bulbare progressiva):
 la lingua diviene anche progressivamente atrofica;
 abolizione di qualsiasi movimento della lingua
 grave disturbo della deglutizione
 disturbo della fonazione
Quando noi (persone normali) protrudiamo la lingua in avanti riusciamo a mantenerla in asse perché i due muscoli
genioglossi si bilanciano, ognuno spingendo verso il lato opposto.
Se il muscolo di sinistra è più debole per una lesione del nervo cranico che lo innerva, prevarrà l’azione del muscolo
di destra, che spinge la lingua verso sinistra, cioè verso il lato della lesione. Quindi c’è una situazione opposta rispetto
alla deviazione dell’ugola in caso di lesione del corrispettivo nervo cranico.
Quindi per ricordare: ugola e lingua, nelle rispettive sindromi deficitarie, fanno l’opposto.
Atrofia e fascicolazioni sono tipiche di qualsiasi lesione che comporta una riduzione dello stimolo trofico del nervo
sul muscolo (in qualsiasi distratto corporeo).
I disturbi della fonazione, della deglutizione e della masticazione sono modici e tendono a migliorare con il tempo per
l’azione di compenso dell’emilingua sana.
La funzione dei nn che originano dal bulbo (ultimi 4 nn cranici) può essere ridotta o abolita non solo per lesione dei
loro nuclei (paralisi bulbare progressiva), ma anche per lesioni sopranucleari cioè per piccoli rammollimenti
arteriosclerotici sottocorticali che interrompono le vie piramidali cortico-bulbari (s. o paralisi pseudobulbare). In
tale caso la paralisi del XII si manifesta con disturbo motorio della lingua, ma senza sua atrofia né
fascicolazioni

SINDROME DA LESIONE ASSOCIATA DEGLI ULTIMI NN CRANICI


 Contemporanee paralisi di più muscoli innervati dagli ultimi nervi cranici per degenerazione lenta
dei loro nuclei motori bulbari: PARALISI BULBARE PROGRESSIVA E SCLEROSI LATERALE
AMIOTROFICA
 Paralisi acute e subacute di più nervi cranici:
1. POLINEVRITI
2. LESIONII INTRISECHE VASCOLARI O TUMORALI del tronco cerebrale (REALIZZANDO
SINDROMI ALTERNE BULBARI-PONTINE-MESENCEFALICHE)
La dizione moderna per lesioni che colpiscono contemporaneamente più tronchi nervosi del gruppo degli ultimi 4
nervi cranici è sindromi unilaterali dovute a lesioni della regione posteriore della base del cranio:
1. s. del foro lacero posteriore (giugulare) di Vernet: lesione dei 3 nervi che escono da tale forame (IX, X,
XI) con:
 Paralisi del costrittore superiore del faringe (IX)
 Paralisi del velo pendulo e dei mm faringei (X)
 Paralisi dello sternocleidomastoideo e del trapezio (XI)
2. s. condilo-lacero posteriore o emiplegia glosso-laringo-scapolo-faringea o di Sicari-Collet:
 stesse paralisi dell s. di Fernet
 paralisi dell’ipoglosso per lesione del XII che esce dal forame condiloideo
Cause di tali due sindromi
 tumori (del glomo giugulare, neurinomi, condriomi, carcinomi e sarcomi provenienti dal rinofaringe)

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 24 A CURA DI ANDREA PERNA


 infiltrati leucemici
 flogosi meningee croniche

3. S. unilaterale globale o di Garcin-Bertolotti: coinvolgimento lesionale di tutti i 12 nn cranici di un lato è


eccezionale
Cause
 Non raramente tumori della base o del rinofaringe che si estendono lungo la faccia anteriore del
tronco encefalico (tumori a colata), per lo più sarcomi
 Processi meningitici della base che comprimono o infiltrano numerosi (se non tutti) nervi cranici
con conseguente estese paralisi (di solito i primi 2 nervi cranici non vengono interessati).

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 25 A CURA DI ANDREA PERNA


CAPITOLO 2

SISTEMA MOTORIO E LE GRANDI SINDROMI


Il sistema motorio controlla nel suo insieme non solo il movimento, ma anche il tono muscolare senza il quale
saremmo completamente flaccidi, la postura e la posizione del corpo nello spazio. Questo si realizza attraverso
diversi sistemi e controlli:
- un controllo centrale che è dato soprattutto dal sistema piramidale, dal sistema extrapiramidale e dal cervelletto;
- un controllo neurosensoriale che è dato dal sistema visivo, dal sistema vestibolare e dal sistema sensitivo e
l’effettore periferico che è il nervo, la placca e il muscolo (effettore finale del movimento).Abbiamo un controllo
sovrasegmentale “encefalico” e un controllo segmentale “unità motoria”.

Il sistema motorio prevede una serie di vie parallele con organizzazione gerarchica.
La corteccia cerebrale interagisce in maniera stretta col talamo e con alcuni nuclei del tronco encefalo. Questi
impulsi vengono modulati in maniera importante a partire dai gangli della base del cervelletto fino ad arrivare al
midollo spinale da cui partono le cellule delle corna anteriori che arrivano attraverso il nervo al muscolo.
Il cosiddetto primo motoneurone è quello che compone il fascio piramidale e i corpi cellulari di questo partono dallo
strato V della corteccia motoria. 1/3 di queste fibre arrivano dall’area IV; 1/3 dall’area VI; e 1/3 da aree I II e III.
Il fascio piramidale scende attraverso il tronco, arriva al midollo spinale, si incrocia a livello della decussazione delle
piramidi e, attraverso il midollo, si connette con le cellule delle corna anteriori arrivando al corpo cellulare del II
motoneurone.
Il grosso del sistema motorio è fatto da due motoneuroni: il centrale o primo motoneurone e il periferico o secondo
motoneurone. La corteccia motoria ha una distribuzione somatotopica: il famoso homunculus di Penfield. Questo è
importante per localizzare alcune lesioni.
Nota: Per esempio la gamba è più all’interno per cui se ho una lesione ischemica a livello della cerebrale anteriore la
parte più danneggiata è l’arto inferiore; avrò un deficit di forza prevalente all’arto inferiore. Faccia, lingua, nervi
cranici e mano sono molto più rappresentati rispetto alla gamba.
Il primo motoneurone, è regolato da una serie di relè distribuiti attraverso la struttura nervosa.
A livello del mesencefalo ci sono i nuclei del tetto che regolano i movimenti del capo e degli occhi, il nucleo rosso da
cui partono i fasci rubrospinali (in particolare i fasci rubrospinali e il reticolopinale laterale controllano i muscoli
flessori) e i fasci vestibolospinali e reticolospinali (controllano i muscoli estensori).
Il controllo sui gruppi muscolari è molto importante perché il bilanciamento tra di essi ci permette di regolare il
movimento, il tono e la postura. Infine attraverso il ponte, con i nuclei ventricolari della reticolare pontina, e il bulbo
con la reticolare bulbare arriviamo poi al midollo spinale dove c’è l’unità motoria, molto importante perché la
dimensione del movimento dipende dal numero di unità motorie reclutate. Ovviamente se ho poche unità motorie
avrò un movimento più piccolo, se recluto molte unità motorie il movimento sarà più grande.
La dimensione del movimento dipende dal numero di unità motorie che recluto e anche dalla frequenza di scarica che
ciascuna unità motoria ha in questo ambito. Le unità motorie sono caratterizzate da un motoneurone che innerva una
serie di fibre muscolari.
Il motoneurone ha una funzione molto importante perché è quello che determina la caratteristica delle fibre
muscolari, per cui tutte le fibre muscolari innervate da una stessa unità motoria hanno la stessa proprietà e si
dovrebbero contrarre sempre quando vengono attivate dal motoneurone. Quando si contraggono in maniera spontanea
(anarchica) è espressione di patologia (per esempio sono sganciate dal motoneurone).
Esistono tre tipi di fibre: tipo I “ossidative”, IIb “glicolitiche rapide” e IIa “intermedie”. Queste fibre fanno nel
muscolo un pattern a scacchiera, ma questa differenza istoenzimatica che sottende una differenza biochimico-
metabolica è determinata proprio dal motoneurone. Quindi c’è un feedback molto importante tra muscolo e nervo. Il
motoneurone determina le caratteristiche delle fibre muscolari.
Es: Ipertrofia muscolare data dall’allenamento o l’ipotrofia data dalla sedentarietà che condizionano molto il
motoneurone come per esempio in situazioni di necessità di aumento delle unità dei motoneuroni che innervano un
determinato muscolo o deinnervazione nelle malattie neurogene perché il motoneurone ha anche una funzione trofica
molto importante per cui il muscolo denervato degenera e per evitarlo spesso i motoneuroni vicini lo reinnervano e
gli danno le loro caratteristiche del motoneurone che lo reinnerva.
Il tono muscolare è controllato da tre sistemi: piramidale, extrapiramidale e cervelletto.
Il tono è la resistenza passiva che apprezza l’esaminatore nella mobilizzazione di un arto (in genere un braccio o la
gamba). Il paziente deve essere rilasciato, non deve opporre una resistenza attiva.
Una alterazione del tono può essere in eccesso o in difetto. Quando in eccesso si verificano le ipertonie, in particolare
l’ipertonia piramidale (cosiddetta ipertonia spastica) dovuta a una lesione del primo motoneurone.
L’ipertono spastico è dovuto a uno sbilanciamento tra muscoli agonisti e antagonisti per cui il tipico atteggiamento
dei pazienti che hanno un ipertono spastico è la flessione dell’arto superiore e l’estensione dell’arto inferiore. Una
lesione del sistema piramidale è liberatoria (aumenta il tono) e aumenta anche i riflessi osteotendinei ed è un ipertono
cosiddetto spastico.
Una lesione del sistema extrapiramidale provoca il cosiddetto ipertono plastico perché sono coinvolti sia i muscoli
agonisti che quelli antagonisti per cui la sensazione è quella di un tubo di piombo per cui ci sono fenomeni particolari
come la troclea che si apprezzano nella mobilizzazione passiva dell’arto.
La lesione cerebellare da invece un ipotono cioè una riduzione del tono muscolare, per cui la sensazione alla
mobilizzazione passiva è proprio della persona che è flaccida. La stessa sensazione di flaccidità la da anche se con
caratteristiche diverse il deficit periferico del muscolo (in questo caso manca l’effettore).

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 26 A CURA DI ANDREA PERNA


L’ipertonia piramidale o spastica da ridotta soglia del riflesso di stiramento causa uno squilibrio fra la via reticolo
spinale dorsale verso quella mediale e vestibolare. Quando si mobilizza il braccio del paziente si avverte una grossa
resistenza che cede all’improvviso, e infatti viene detto anche fenomeno del coltello a serramanico. Quindi mentre
quella plastica del sistema extrapiramidale noi la sentiamo durante tutto il movimento ed è un cedimento a piccoli
scatti sia all’andata che al ritorno, nell’ipertono spastico il cedimento è improvviso, a scatto. Interessa i muscoli
antigravitari e la tipica ipertonia spastica è quella in flessione dell’arto superiore e in estensione dell’arto inferiore per
cui abbiamo il ginocchio rigido e anche il piede rigido. Per questo motivo noi dovremmo extra rotare la gamba e con
una deambulazione tipicamente detta falciante perché il paziente per non inciampare nella punta deve extra rotare la
gamba.
Ci sono poi altre rigidità sempre conseguenza di una lesione piramidale e sono la rigidità da decorticazione. Sono
lesioni della corteccia, dei lobi frontali o del talamo che danno la tipica rigidità in flessione agli arti superiori e in
estensione agli arti inferiori e poi c’è la rigidità da decerebrazione per lesioni del tronco che da una extrarotazione sia
degli arti superiori che degli inferiori.

L’ipertonia extrapiramidale è un’ipertonia plastica. La rigidità è la stessa sia nel movimento avanti che in quello
indietro perché è compromesso il movimento sia di agonisti che di antagonisti e c’è il tipico fenomeno della “ruota
dentata” per cui se mobilizzo il braccio che il gomito e il polso cedono a piccoli scatti.
L’ipotonia è una riduzione del tono muscolare caratteristica del cervelletto ma si può anche apprezzare per lesioni
periferiche del muscolo o del nervo periferico che diano anche una compromissione muscolare. Questa mancanza di
tono fa si che il paziente abbia un atteggiamento ciondolante (aumenta la pendolarità degli arti). L’ipotono può essere
legato anche a una debolezza muscolare che si quantifica mediante la scala MRC che va da 0 a 5 dove 5 è la
normalità, 3 il pz è in grado di fare il movimento contro la gravità ma senza resistenza. Da 3 a 5 ci sono una serie di
gradazioni di resistenza, 2 è il pz che fa il movimento in assenza di gravità, 1 è il muscolo che si contrae ma non fa
movimento e 0 è l’assenza totale di contrazione.

Un’altra cosa da valutare nell’eo sono i classici riflessi osteotendinei anche detti riflessi da stiramento o fasici che si
evocano percuotendo il tendine perché in questo modo si attivano i fusi neuromuscolari le fibre Ia e gli alfa
motoneuroni.
Per cui nella lesione piramidale se viene meno l’inibizione abbiamo riflessi vivaci , nella lesione periferica muscolare
in cui abbiamo una deficienza dell’effettore abbiamo i riflessi deboli o assenti, nelle forme extrapiramidali i riflessi
sono indifferenti e nella lesione cerebellare in cui c’è l’ipotonia come abbiamo un aumento pendolarità delle braccia
abbiamo anche un aumento della pendolarità del riflesso che viene evocato. La rilevazione dei riflessi è molto
importante perché non solo ci aiuta a discriminare tra lesione periferica e centrale (lesione periferica e assenza di
riflessi, lesione centrale e piramidale riflessi aumentati) ma a seconda del riflesso che noi testiamo possiamo anche
capire il livello lesionale perché i comuni riflessi corrispondono a un determinato livello.
I riflessi più comuni sono il bicipitale C5-C6, il tricipitale C7-C8, il rotuleo L3-L5, l’achilleo L5-S1 e poi il
brachioradiale e il cubito-pronatore.
La tipica sciatica S1 abolisce o riduce il riflesso ’achilleo; in un deficit del quadricipite il rotuleo sarà debole; una
lesione piramidale alta causa un aumento dei riflessi che può essere bilaterale o monolaterale; nell’ictus si ha
un’iperreflessia controlaterale alla lesione.
L’esaminatore osservando e valutando tono e riflessi in maniera adeguata già ha fatto una vasta parte dell’esame
obiettivo.
Abbiamo poi i riflessi superficiali che stimolano gli esterocettori. Il riflesso superficiale più noto è il plantarcutaneo,
infatti quando è alterato si estende l’alluce, è il tipico segno di Babinski, mentre lo sventagliamento delle dita è il
segno di Duprè. Per la stimolazione plantarcutanea si striscia l’ago dalla periferia del piede partendo dal tallone verso
l’alluce, mi deve far flettere tutte le dita.
Se il pz estende l’alluce questo è un segno di lesione e in particolare, un segno di interessamento piramidale.
Quindi una lesione piramidale mi da un’ipertonia spastica, un aumento dei riflessi e un Babinski.
Altri riflessi molto importanti sono quelli addominali ma, al contrario nel normale sono presenti e l’assenza del
riflesso è patologica. L’assenza dell’addominale è segno di interessamento piramidale come la presenza di Babinski e
vanno di pari passo con riflessi profondi abnormemente vivaci. Tutte le persone anche un po’ tese possono avere un
aumento dei riflessi o possono essere talmente tese che è difficile evocare i riflessi e bisogna fare delle manovre di
rinforzo o di distrazione come tirare le mani o serrare le mascelle.
L’asimmetria è sempre segno di patologia, ma riflessi globalmente vivaci per essere definiti patologici si devono
accompagnare ad altri segni come per esempio il Babinski o l’assenza degli addominali.
Trovare il Babinsky nel bambino di 1 anno è del tutto normale. Dobbiamo sempre considerare, infatti, che le
obiettività di cui stiamo parlando sono rapportate ad un paziente adulto o, per lo meno, ad un bambino grande.

LE GRANDI SINDROMI
 Extrapiramidale
 Piramidale
 Cerebellare

SINDROME EXTRAPIRAMIDALE
La sindrome extrapiramidale per eccellenza è il Morbo di Parkinson.
Esso è caratterizzato essenzialmente da:
 Rigidità da ipertono plastico (in cui vengono interessati sia i muscoli agonisti che antagonisti), con il

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 27 A CURA DI ANDREA PERNA


segno della troclea o ruota dentata
 a cui si associa una riduzione dei movimenti (acinesia, bradicinesia), voce flebile (ipofonia) e
 Tremore che è caratteristicamente a riposo ed accentuato dall’emozione.

Inoltre il paziente mostra una postura particolare, cosiddetta camptocormica, cioè un atteggiamento in flessione del
tronco e degli arti.
Ad essa si associano: bradicinesia (riduzione della capacità deambulatoria), una deambulazione a piccoli passi, che
inizia molto lenta e che poi corre appresso al proprio baricentro, fenomeno definito “ festinazione”. Il paziente mostra
inoltre ipertonia dei muscoli e assenza dei movimenti pendolari nella marcia dovuti proprio a questa rigidità.
Caratteristica è anche l’ipocinesia del volto.
Importante: non sempre tutta la triade del Parkinson si riscontra nello stesso paziente.
Il Parkinson, nelle fasi avanzate è caratterizzato da una riduzione totale, completa di tutti i movimenti, mentre nelle
fasi iniziali è molto asimmetrico e i disturbi partono unilateralmente.

SINDROME PIRAMIDALE
La sindrome piramidale è caratterizzata da:
 ipertonia spastica che ci dà l’atteggiamento in flessione dell’arto superiore e l’atteggiamento in estensione
dell’arto inferiore: il piede è supino-cavo-pronato, con la punta che va all’interno e, essendo rigido,
costringe il paziente ad extraruotare la rotula.
L’ipertonia spastica è caratterizzata dallo squilibrio agonisti-antagonisti per cui abbiamo il fenomeno del
“coltello a serramanico”.
 I riflessi osteotendinei sono vivaci,
 Segno di Babinsky , c’è l’ estensione dell’alluce e l’ assenza degli addominali (è ovvio che non sono
sempre semplici da rilevare perché, ad esempio, in un paziente in sovrappeso è chiaro che, anche se
normale, ha un’assenza dei riflessi addominali; però quando sono percepibili in maniera netta e si vede che
da una parte ci sono e dall’altra no, l’assenza è un segno patologico).
È molto importante considerare la topografia del fascio piramidale : il fascio piramidale decussa a livello delle
piramidi, per cui è importante sapere anche a che livello è la lesione:
 Lesione sovra-piramidale (ex. Ictus) --> deficit piramidale controlaterale.
 Lesione sotto-piramidale --> deficit piramidale omolaterale.
Per cui, se ho un paziente che ha un rotuleo vivace, un Babinsky a destra e, quindi, una sindrome piramidale dell’arto
inferiore destro io non posso sapere se lui ha una lesione cerebrale sinistra o una lesione spinale omolaterale destra.
Per cui importante è il tipo di lesione e dove è localizzata.
L’ictus è una classica patologia che da un quadro di sindrome piramidale controlaterale. La deambulazione è definita
pareto-spastica falciante . Il riflesso, normalmente, si evoca martellando il tendine, ma l’ ingrandimento dell’area
riflessogena è un altro segno di patologia del riflesso . Bisogna sempre paragonare il riflesso con il controlaterale: un
riflesso potrebbe non essere vivacissimo, ma può comunque risultare molto vivace in confronto al controlaterale.
Nelle sindromi piramidali è molto importante indagare anche i nervi cranici, ad esempio il faciale (infatti si dice
emiparesi facio-brachio-crurale ). Bisogna, però, considerare che i nuclei motori del faciale sono 2: uno superiore
innervato in parte dal fascio piramidale di destra e in parte dal fascio piramidale di sinistra e uno inferiore che riceve
solo l’innervazione controlaterale. Per cui gli orbicolari saranno sempre forti perché saranno compensati dal fascio
sano, mentre il faciale inferiore può essere deficitario. Si nota questa asimmetria del faciale inferiore perché la rima
labiale non è uguale a destra e a sinistra.
Ricapitolando:
Paralisi centrale (deficit del I motoneurone) --> è spastica
 ipertonia di tipo piramidale
 iperreflessia profonda (ROT policinetici, clono)
 riflessi superficiali diminuiti o patologici (Babinski)
 atrofia assente o ridotta
 movimenti sincinetici

Paralisi periferica (deficit del II motoneurone) --> è flaccida (proprio perché manca l’effettore)
 paralisi selettiva di singoli o gruppi di muscoli (si riferisce a quel compartimento che riguarda quel
determinato motoneurone danneggiato)
 ipotonia
 ipo/areflessia OT (perché viene interrotto l’arco riflesso)
 ipo-atrofia muscolare
 presenti fascicolazioni (contrazioni non finalizzate al movimento perché sono spontanee: sono piccoli
gruppi di fibre muscolari sganciate dal controllo da parte del motoneurone che è morto, è denervato, e
quindi si contraggono in maniera autonoma)

Paralisi periferica muscolare (se il muscolo viene denervato, se viene allontano dal proprio motoneurone, degenera,
diventa atrofico, perde di potenza) --> è flaccida (perché manca l’effettore)
 interessamento selettivo di gruppi di muscoli (secondo pattern caratteristici per le diverse malattie)
 riflessi profondi deboli, diminuiti ma proporzionati al deficit di forza
 ipotonia

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 28 A CURA DI ANDREA PERNA


 atrofia muscolare variabile
 fascicolazioni assenti

TERMINOLOGIA DEI DEFICIT DELLA MOTILITA’ VOLONTARIA


EMIPLEGIA (completa)/ EMIPARESI (quando il deficit si localizza nell’emisoma/parziale): abolizione o
diminuzione della motilità volontaria di una metà del corpo da lesione piramidale. Controlaterale per lesioni al di
sopra della decussazione delle piramidi (ex. Marcia falciante facio-brachio-crurale nell’ictus); omolaterale nelle
lesioni midollari (in cui non sarà più brachio-crurale ma solo crurale).
Dissociazione automatico-volontaria per il faciale inferiore. Il faciale innerva non solo gli orbicolari delle palpebre
ma anche gli orbicolari delle labbra: quelli delle palpebre sono crociati quelli delle labbra no per cui avremo la paresi
centrale quando c’è soltanto il deficit del faciale inferiore , invece il periferico quando abbiamo la paralisi del faciale
di Bell.
Postura: arto inferiore esteso, piede equino-varo, arto superiore flesso intraruotato ed addotto con pronazione della
mano.
MONOPLEGIA/MONOPARESI: interessa un solo arto; dovuta ad una lesione circoscritta corticale o midollare o
del plesso. Spesso colpisce i muscoli distali.
PARAPLEGIA/PARAPARESI: quando vengono interessati i due arti inferiori; dovuta a lesione midollare al di sotto
del rigonfiamento cervicale o periferica o eccezionalmente encefalica (lobulo paracentrale bilaterale). DIPLEGIA:
paralisi di due parti simmetriche del corpo, come gli arti superiori e gli arti inferiori (lesioni bilaterali del cervello o
tronco).
TETRAPLEGIA/TETRAPARESI: quando il deficit interessa i quattro arti; dovuta a lesione del bulbo o del midollo
cervicale, o diffusa periferica.
SINDROME DI “LOCKED IN” (“prigioniero dentro”): è dovuta a lesioni del tronco encefalico. Gli unici
movimenti possibili sono quelli a livello degli oculo-motori; ma, nei casi più gravi (se la lesione è molto alta)
possono essere aboliti anche i muscoli oculomotori.

SINDROME CEREBELLARE
È caratterizzata da:
 ipotonia,
 atassia (da ataxia, che in greco vuol dire disordine): progressiva perdita della coordinazione
o atassia statica: tendenza alla caduta se il soggetto è a piedi uniti
o atassia della marcia (marcia dell’ubriaco)
o atassia segmentaria
 tremore: che a differenza di quello del Parkinson, a riposo, è un tremore cinetico,
 disartria: tipica parola scandita, esplosiva, da ubriaco
 nistagmo.

IL CERVELLETTO
Il cervelletto è posizionato posteriormente al cervello nella fossa cranica posteriore, dietro al tronco cui è unito da tre
coppie di peduncoli: superiori al mesencefalo, medi al ponte, inferiori al bulbo.
Il cervelletto è un organo che, negli ultimi anni, si è dimostrato avere delle funzioni molto superiori rispetto a quelle
che ci si immaginava qualche tempo fa. Il suo ruolo è importante non solo nel movimento e nella coordinazione del
movimento, nell’ equilibrio, nel mantenimento del tono muscolare e della postura , ma ha anche un ruolo molto
importante nell’ apprendimento (abbastanza scontato) e, soprattutto, nelle funzioni cognitive . Per questo motivo una
buona parte del nuovo approccio riabilitativo sfrutta anche le capacità cerebellari per sanare alcuni deficit motori.
Il cervelletto integra e coordina tutti gli input , attuali e passati, che provengono dalla periferia (quindi dagli organi
dell’equilibrio, orecchio, vista, recettori sensitivi, fusi neuromuscolari, organi tendinei del Golgi…) e le integra con i
vari sistemi motori. E non solo le integra nel momento in cui serve integrarle, ma immagazzina l’esperienza passata e
ne fa un patrimonio prezioso anche per coordinare e modulare il movimento
Quindi il cervelletto dà la giusta intensità al movimento, la giusta direzione, ma integra anche queste necessità con
l’esperienza passata: ecco quindi l’apprendimento motorio.
Certe skills si acquisiscono proprio perché il cervelletto ha una funzione centrale e queste cose si mantengono più o
meno per tutta la vita. Si perde magari la manualità, l’esercizio ma le cose fondamentali si ricordano. Quindi: il
cervelletto coordina i vari movimenti, modulandone l’inizio e la fine, e l’interazione tra i muscoli agonista
antagonista, integrando anche le esperienze passate.

Dato che il cervelletto è indispensabile per qualunque azione la lesione cerebellare da degli effetti devastanti: nella
lesione cerebellare vedremo un paziente ciondolante perché non riesce a controllare la pendolarità degli arti e il
mantenimento della postura eretta nella maniera adeguata.
Anche dal punto di vista morfologico il cervelletto, detto anche “albero della vita”, è molto particolare: esso è
formato dalla corteccia cerebellare, un mantello di sostanza grigia superficiale formato, a sua volta, da una serie di
folia che costituiscono la superficie cerebellare. La corteccia è formata da tre strati: la parte esterna detta molecolare,
che è costituita da assoni e dendriti; la parte intermedia, costituita dalle cellule fondamentali del cervelletto che sono
le cellule del Purkinje; e uno strato interno granulare, costituito da piccoli neuroni. Al centro di ciascun folium (che è
come una sorta di cappuccio) c’è la sostanza bianca che passa all’interno così come passano tutti gli assoni afferenti
ed efferenti.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 29 A CURA DI ANDREA PERNA


La sindrome cerebellare è stata per la prima volta vista e descritta da Holmes nel 1917, osservando i militari che,
durante la guerra, avevano subito una ferita da arma da fuoco proprio a livello della fossa cranica posteriore. Holmes
descrisse la triade che caratterizza la sindrome cerebellare:
1. ipotonia
2. atassia: assenza di coordinazione
3. tremore cinetico od intenzionale: che consegue proprio al fatto che, mancando il cervelletto, non si riesce
ad equilibrare in maniera giusta il movimento. Per cui il tremore, in piccolo, è una conseguenza del fatto
che il movimento non viene modulato in maniera giusta.
Abbiamo prima detto che una lesione corticale piramidale dà una sindrome controlaterale e che una lesione
piramidale fino alla decussazione delle piramidi è controlaterale. Le lesioni cerebellari sono sempre omolaterali
(simmetriche se prendono il verme cerebellare ma comunque sempre omolaterali). Non esistono lesioni controlaterali.
N.B. La lesione del cervelletto non causa deficit di forza muscolare.
Le caratteristiche di tale sindrome saranno:
 L’ipotonia, è una diminuzione della resistenza al movimento passivo degli arti. Questo porta ad un
aumento della pendolarità degli arti nella marcia (che rispetto alla marcia normale, proprio perché c’è la
riduzione del tono, ciondolano molto di più). Per la valutazione del tono si fa la manovra di rimbalzo
(manovra di Stewart-Holmes): facendo il solito braccio di ferro e poi lasciando all’improvviso, il braccio,
proprio perché non ha tono, va a sbattere addirittura sul paziente (bisogna pararlo perché altrimenti il
paziente potrebbe darsi una botta in faccia da solo!). Se non si conosce bene il paziente bisogna far sempre
la manovra del rimbalzo: il braccio, invece di cadere giù, rimbalza proprio perché sta continuando a fare
resistenza, non riesce a controllarla.
 L’atassia è l’assenza di coordinazione, disordine, che si può definire statica, della marcia o segmentata.
o L’atassia statica è quella del tronco, il paziente cerebellare ha difficoltà a controllare il tronco per
cui ha un’instabilità: anche se lo tengo e lo faccio mantenere nella posizione eretta, con i piedi
uniti, il paziente oscilla in tutte le direzioni.
Nota: diagnosi differenziale tra il pz cerebellare ed un pz con deficit dell'equilibrio neurosensoriale.
Bisogna distinguere l'atassia statica dal Romberg: se io faccio mantenere al paziente una stazione eretta e poi gli
faccio chiudere gli occhi se queste oscillazioni aumentano allora il Romberg è positivo.
Il Romberg è una manovra semeiologia essenziale per discriminare il disturbo dell’equilibrio cerebellare da quello
neurosensoriale. Nell’equilibrio non c’entra solo il cervelletto ma c’entrano anche una serie di organi di senso, fra cui
tutti i cordoni posteriori, i nervi sensitivi e anche vista e udito. Nel disturbo dell’equilibrio neurosensoriale il
disturbo dell’equilibrio si accentua con la chiusura degli occhi ; mentre nel disturbo cerebellare questo non succede.
Quindi, faccio mantenere la posizione eretta (molto importante nell’esame obiettivo) al mio paziente e vedo che ha
tante oscillazioni o tende ad allargare le gambe, allora gli faccio chiudere gli occhi:
 se questa situazione non peggiora --> Romberg negativo --> disturbo cerebellare;
 se peggiora --> Romberg positivo --> alterazione neurosensoriale.
Nel disturbo cerebellare il disturbo dell'equilibrio non peggiora con la chiusura degli occhi, mentre i disturbi
neurosensoriali peggiorano con la chiusura degli occhi (Romberg positivo). La differenza tra disturbo propriocettivo e
vestibolare è che in quest'ultimo, ad esempio nella labirintite o in lesioni del nervo vestibolare o acustico, il disturbo
dell'equilibrio è localizzato dalla parte del danno . Per la deambulazione è la stessa cosa: distinguere una
deambulazione da disturbo neurosensoriale propriocettivo e cerebellare a volte può essere molto difficile. La manovra
più importante è far camminare il pz ad occhi chiusi, perché, nel disturbo neurosensoriale, la deambulazione peggiora
nettamente con uno sbandamento verso la parte del lato danneggiato. La propriocezione è la rappresentazione della
posizione del proprio corpo nello spazio per cui, facendo chiudere gli occhi al paziente e muovendogli l'alluce, lui mi
deve saper dire se va sopra, va sotto. Quando si perde la capacità di posizionare il proprio corpo nello spazio si parla
di un'alterazione della sensibilità propriocettiva. Quindi è importante distinguere tra questi disturbi dell'equilibrio.

o Atassia della marcia (marcia tipica dell’ubriaco), è una marcia a zig zag, a stella, sempre perché
il paziente non riesce a coordinare e a posizionare nella maniera giusta il proprio corpo nello
spazio.
o Atassia segmetale, invece, è l’incoordinazione a livello degli arti e si manifesta con una serie di
problemi nell’esecuzione di movimenti: la dismetria (la prova classica è l’ indice-naso o
calcagno-ginocchio nell’arto inferiore: vediamo che il paziente non riesce a toccare in maniera
corretta il target e siccome se ne rende conto cerca di controllare e aggiustare il tiro ma non ci
riesce, per cui alla fine vedremo che il movimento si rallenta, questo fenomeno è detto frenage,
ma non riesce comunque a colpire in maniera corretta) o ipermetria, se è eccessivo (dici al
paziente di toccarsi il naso e lui si tocca la guancia); l’ incapacità di eseguire i movimenti fini
(tutto quello che richiede una coordinazione precisa); la diadicocinesia (incapacità di coordinare
in maniera adeguata i movimenti alternati); l’ asinergia (è la scomposizione del movimento in
tante piccole frazioni, per cui il movimento acquisterà un andamento irregolare, a scatti).

 Il tremore è un’oscillazione ritmica involontaria dovuta alla contrazione alternata di agonisti e antagonisti;
il tremore cerebellare è ampio, irregolare, intenzionale cioè da pensiero, da movimento intenzionale, e
aumenta nei movimenti direzionati verso un bersaglio. Ciò anche perché è normale che tutti i disturbi del
movimento aumentino nelle situazione di stress, di tensione: dato che già so che sto facendo una manovra
che non farò bene man mano che arrivo al bersaglio, che so che sbaglierò, il tremore aumenta.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 30 A CURA DI ANDREA PERNA


 La disartria cerebellare è molto tipica: è una parola rallentata, scandita, come quella dell’ubriaco, sempre
come conseguenza del fatto di non coordinare bene i muscoli fonatori e il tono della voce è variabile. E sarà
ben diversa da quella presente, ad esempio, nella sindrome spastica. È molto importante distinguere la
disartria cerebellare e spastica dal disturbo del linguaggio da funzioni superiori (in quel caso parliamo di
afasia: legata a disturbi della comprensione o della produzione del linguaggio). Questa produzione del
linguaggio può essere così scarsa da arrivare all’ anartria. C’è una bella differenza tra disartria spastica e
cerebellare, che presuppongono la conservazione perfetta delle funzioni cognitive superiori , dal disturbo
dell’afasico (nell’ictus, nella demenza…) Quindi, un elemento di diagnosi differenziale importante è che la
funzione del linguaggio è integra.
Nel disturbo vestibolare la parola è normale, in quello neurosensoriale il movimento fine è compromesso,
mentre nel disturbo cerebellare c'è tutto quel correlato di tremore, movimenti involontari e tremore
intenzionale.
 Il nistagmo è un oscillazione lenta seguita da una scossa rapida che riporta in posizione gli occhi; è spesso
spontaneo, verticale, orizzontale, rotatorio e non è inibito dalla fissazione.
Nel disturbo propriocettivo non c'è, mentre ci può essere nel disturbo vestibolare. In questo caso però, il
nistagmo è diverso da quello cerebellare poichè batte nella fase rapida verso il lato sano, orizzontale, ed è
inibito parzialmente dalla fissazione.
 Le saccadi è quel movimento fisiologico dell’inseguimento del bersaglio: per esempio, se voi siete in treno
e guardate fuori tutti avete questo movimento perché l’occhio si muove in maniera automatica per
mantenere il bersaglio nella retina. Nella lesione cerebellare anche queste saccadi sono alterate: o troppo
lente o eccessive.

Ci sono altre manovre semeiologiche per distinguere tra queste tre situazioni:
- Vediamo il tono ridotto soltanto nella sindrome cerebellare.
- La pallestesia è ridotta invece nella sindrome neurosensoriale, poichè usa le stesse fibre nervose della
propriocezione (cordoni posteriori.
- I riflessi sono normali nella vestibolare periferica, spesso sono ridotti nella neurosensoriale perchè ci può
essere una neuropatia sottostante. Invece sono pendolari (cioè il riflesso continua a far pendolare l'arto)
nella cerebellare.
La cosa importante da ricordare è che tutti i sintomi che si associano alla sindrome cerebellare non peggiorano
con la chiusura degli occhi, mentre quelli legati ad una sindrome neurosensoriale peggiorano con la chiusura
degli occhi.

SINDROMI CEREBELLARI
Il cervelletto è costituito da delle strutture che sono filogeneticamente diverse:
 L'archicerebello si identifica con il nodulo flocculo e
 il paleocerebello con soprattutto con il verme cerebellare ed ha connessione soprattutto con il midollo
spinale.
 Il neocerebello è quello che si identifica soprattutto con gli emisferi cerebellari e che si connette soprattutto
con la corteccia.
Questa differenza anatomica e filogenetica si manifesta anche a seconda della lesione dove colpisce anche con delle
manifestazioni differenti. La differenza sarà soprattutto se il danno è lateralizzato o meno.
 La sindrome vermiana è soprattutto una sindrome che dà un'atassia del tronco, quindi un importante disturbo
dell'equilibrio e comporta nistagmo ma non dismetria. Questa è la sintomatologia tipica di alcuni tumori
cerebellari come il medulloblastoma.
 Invece la sindrome emisferica cerebellare comporta atassia, dismetria dell'arto o degli arti omolaterali alla
lesione (e non particolarmente del tronco), l'ipotonia e il tremore omolaterali alla lesione. Anche qui c'è
disartria, disturbo dell'equilibrio.

Se anche vogliamo distinguerle in base alla filogenesi:


2. lesioni dell'archicerebello (nodulo flocculo e parte del verme) interessano la statica e la marcia e le connessioni
del cervelletto con l'orecchio interno. In soldoni è quello che vi ho detto prima.

3. Per quanto riguarda la sindrome del paleocerebello e dello spinocerebello (la cosiddetta sindrome del lobo
anteriore) abbiamo un'alterazione sempre della coordinazione motoria e dell'equilibrio, l'atassia nella marcia ma
non c'è ipotonia.
Questo è tipico delle forme degenerative come l'atrofia multisistemica o le atrofie spinocerebellari
paraneoplastiche.
4. Infine la sindrome del lobo posteriore o del neocerebello comporta dismetria, adiadococinesia omolaterale alla
lesione, tremore intenzionale omolaterale, marcata ipotonia con riflessi omolaterali pendolari e questo è tipico
dell'ictus cerebrale o di forme degenerative.
Non si può fare dal punto di vista dell'eziopatogenesi una correlazione molto stretta al quadro semeiologico.

Inoltre adesso si è visto che il cervelletto ha un importante ruolo anche nell'apprendimento cognitivo, svolgendo per il
pensiero lo stesso ruolo che svolge per il movimento, e quindi coordinare le afferenze ed efferenze con l'idea. Ha
importanti funzioni con le reazioni emotive e la working memory.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 31 A CURA DI ANDREA PERNA


Per cui una lesione cerebellare può dare anche disfunzioni cognitive caratterizzate da turbe cognitive emozonali ed
affettive ( cerebellar cognitive affective syndrome ): deficit della memoria di lavoro, dell'attenzione e della
pianificazione, del pensiero astratto, della fluenza verbale, abilità emotiva ed affettività.
Tale sindrome sarebbe associata in particolare a lesioni del lobo posteriore e del verme. L'origine patogenetica può
esser differente: degenerativa, tumorale o traumatica.

PATOGENESI
Si possono distinguere malformazioni congenite anche molto gravi da un punto di vista morfologico ma da un punto
di vista funzionale sono quelle più correggibili in quanto il SNC è dotato di una plasticità fenomenale che può
compensare tali difetti nelle prime fasi della vita.
Il cervelletto può addirittura vicariare alcune funzioni cerebrali.
Le malattie cerebellari si posso dividere in:
 acute con esiti,
 acute reversibili,
 subacute
 croniche.
- Tra quelle croniche ci sono soprattutto le malattie degenerative e, tra queste, soprattutto quel gruppo di
malattie genetiche.
- Tra quelle acute reversibili ci sono molte intossicazioni da farmaci e il deficit di tiamina, importantissimo poichè si
manifesta non solo nella sindrome alcolica ma anche in tutte quelle forme di malassorbimento che compromettono la
presenza di tiamina, indispensabile per la funzione cerebellare.
- Forme acute con esiti non compensabili come malattie infiammatorie infantili.
- Forme subacute che sono soprattutto le neoplasie (il medulloblasoma nell'infanzia o altre neoplasie cerebellari
nell'adulto), le sindromi paraneoplastiche che danno una sindrome cerebellare che, a differenza delle forme
degenerative, si sviluppa rapidamente nell'arco di mesi (non in anni o decenni come nel caso delle forme
degenerative). Tra le forme subacute dobbiamo ricordare anche le forme da prioni: l'atassia cerebellare nella C.J. è un
sintomo molto importante.

Anche il deficit di vit.E dà un danno che si estrinseca nel giro di mesi.


Le forme degenerative sono tantissime. Tra quelle più comuni ricordiamo l'atassia di Friedrich, che fa parte delle
malattie rare (si definisce malattia rara una malattia che ha un'incidenza inferiore di 1:2000). La forma di Friedrich è
recessiva, e caratterizzata da una sindrome cerebellare ed atassia mista: oltre alla disfunzione del cervelletto c'è una
neuropatia associata. C'è anche una sindrome piramidale mascherata poichè non abbiamo riflessi in quanto c'è la
neuropatia e altri disturbi associati come la cardiopatia ipertrofica ed altri disturbi abbastanza caratteristici.
La diagnosi si fa con la genetica.
Le altre forme sono soprattutto dominanti, più di 31 geni identificati. La caratteristica è che, anche in queste forme, si
associa l'atrofia cerebellare da un punto di vista morfologico e quasi tutte, inclusa anche l'atassia di Frederich sono da
un punto di vista genetico associate all'espansione di triplette.
Nelle forme cerebellari dominanti vi è ripetizione di poche decine di triplette, le quali vanno a determinare la
malattia. Nella distrofia miotonica si può arrivare addirittura alla ripetizione di centinaia di triplette.
In tutti casi comunque c’è atrofia cerebellare, in cui a malapena si può notare ciò che rimane dell’albero della vita,
che lascia spazio a ciò che sembra uno spazio vuoto.

Vi sono delle forme anche episodiche in cui il sintomo dell'atassia è accessuale. Sono forme che si curano con
l’acetazolamide, in quanto legati a disturbi specifici dei canali ionici.
E’ importante sapere che queste forme sono trattabili poiché, se non vengono trattate, diventano degenerative e non
rispondono più al trattamento con l’acetazolamide (un diuretico osmotico che è anche uno stabilizzatore dei canali, si
usa indipendentemente dal canale coinvolto, anche se dovrebbe essere un risparmiatore di potassio).
La degenerazione cerebellare subacuta è un’altra forma importante da conoscere la cui diagnosi differenziale con la
sindrome cerebellare può esser difficile in quanto i sintomi possono essere gli stessi.
L’atrofia paraneoplastica è un’altra di quelle che possono esser curabili. Paraneoplastica da microcitomi, K ovario e
mammella, e i linfomi. In genere sono forme che si accompagnano a specifici anticorpi poiché il SNC è da un punto
di vista immunologico protetto. Quando certi tumori svelano proteine simili ai tessuti cerebrali si formano degli ab
che possono danneggiare specifici settori cerebrali. L’atrofia cerebellare è una delle più classiche sindromi
paraneoplastiche del SNC, e può manifestarsi anche precedendo il tumore stesso. Quindi è molto importante
identificare queste sindromi perché:
 Devo fare lo screening e cercare il tumore;
 Perché sono suscettibili di un certo trattamento immunosoppressivo, plasmaferesi o Ig.
Possono esserci le patologie infiammatorie , ad esempio quelle scatenate da vaccinazioni. Una complicanza della
vaccinazione per la varicella, ad esempio, sono proprio le cerebelliti.
Per le malattie demielinizzanti in generale è opportuno fare una risonanza magnetica che è l’esame cardine per notare
quelle che sono delle alterazioni della mielina.
Infine la degenerazione cerebellare alcoolica : l’alcolista che presenta un eloquio impastato, un po’ dismetrico e
atassico, è proprio l’esempio più lampante. Infatti la marcia atassica si chiama anche marcia dell’ubriaco.
L’atrofia dell’alcolista e soprattutto vermiana, e quindi dà disturbi della statica e della marcia. C’è un’assenza di
correlazione tra la quantità e la durata dell’intossicazione alcolica, spesso si associa anche polineuropatia. E sono
forme che migliorano con la tiamina (B1).

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 32 A CURA DI ANDREA PERNA


Spesso in questi pazienti si ha l’encefalopatia di Wernicke, che associa ai sintomi sopra detti uno stato confusionale
ed una oftalmoplegia che interessa soprattutto il 3 e il 4 nervo cranico. Questa sindrome va considerata poiché, negli
alcolisti, non bisogna mai fare una glucosata se non dopo aver iniziato una terapia con tiamina. Questo perché la
tiamina è cofattore di un enzima che è la traschetolasi ed un altro che è la piruvato deidrogenasi. Nell’alcolismo c’è
un rallentamento importante del consumo di glucosio a livello cerebrale e quindi con un deficit di tiamina si ha
ulteriore impossibilità di consumare glucosio e quindi c’è una maggiore produzione di acido lattico. Quindi fare una
glucosata ad un alcolista senza aver prima intrapreso tiamina ad alte dosi è pericolosissimo, poiché può slatentizzare
un’enceflopatia di Wernicke.

Le stesse manifestazioni legate al deficit di tiamina si possono avere anche nei pazienti con grave malassorbimento. E
la somministrazione di glucosata produce lo stesso effetto negativo.

L’atassia può essere un disturbo anche da malattia da prioni, ad esempio la Creutzfeld-Jacob, la quale può esser legata
a due fattori: un fattore genetico o ad una modificazione di questa proteina infettiva (una cosa nuovissima). È una
proteina (PrP) in grado di infettare e indurre generazione di frammenti amiloidi all’interno del SNC. La via di
trasmissione può esser alimentare (ricorderete il morbo della mucca pazza) oppure per via di terapie con GH, o
trapianti di cornea non protetti.
La sintomatologia clinica consiste in un’alterazione della personalità, una sindrome atassica cerebellare con
mioclonie. Incurabile, porta a morte dopo coma irreversibile.

Anche qui la diagnosi è importante, non tanto per le forme acquisite quanto per le forme genetiche, per le quali
esistono test di screening.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 33 A CURA DI ANDREA PERNA


CAPITOLO 3

LE MALATTIE NEUROMUSCOLARI
Il muscolo non è un tessuto da trascurare perché attraverso il muscolo non solo si determinano le azioni, ma è
fondamentale anche per la respirazione, il battito cardiaco, la produzione di calore. Abbiamo, per compiere i diversi
movimenti, circa 75 coppie di muscoli, tra agonisti e antagonisti, su 434 muscoli totali. Il muscolo, oltre al
movimento, è importante anche per mantenere tono e postura.
La fibrocellula muscolare è eccitabile, contrattile, estensibile ed elastica.
Le malattie del muscolo possono essere conseguenti a:
 Disturbi dell’ α-motoneurone (II motoneurone) o del nervo periferico e quindi si dicono neurogene
 Un’alterazione della placca, il punto di contatto tra il nervo e il muscolo, e sono fondamentalmente il
gruppo di malattie di cui il rappresentante più noto è la Miastenia gravis
 Malattie miogene, in cui il muscolo soffre primitivamente per un danno intrinseco al muscolo stesso.
DIAGNOSI
Tutte le malattie neuromuscolari possono essere geneticamente determinate oppure acquisite. La diagnosi si fa con i
soliti strumenti: anamnesi e osservazione del paziente, esame obiettivo, indagini di laboratorio, studi elettrofisiologici
etc.
Indagini di laboratorio
Per quanto riguarda le indagini di laboratorio ci può aiutare il dosaggio della creatinchinasi (CK), che è l’enzima
muscolare per eccellenza. Ci può dare un orientamento, ma non è un elemento indispensabile per fare diagnosi di
malattia muscolare. Grossolanamente possiamo dire che un’elevazione molto importante della CK (nell’ordine delle
migliaia) ci orienta verso una malattia muscolare primitiva, ma un’elevazione moderata (300-400-500) non ci può far
distinguere tra malattie miogene e neurogene. Il valore normale è intorno alle 170-200 ed è possibile ritrovarlo anche
in situazioni di malattia neuromuscolare.
Indagini strumentali
Per quanto riguarda gli studi elettrofisiologici, l’elettromiografia ci fa grossolanamente distinguere una malattia
neurogena da una miogena. Oggi si usa molto la risonanza muscolare (o anche la TAC), che ci aiuta a capire la
distribuzione della compromissione muscolare e soprattutto se c’è un interessamento infiammatorio. La biopsia
muscolare è il gold standard per le patologie miogene, mentre è inutile per le neurogene, dove talvolta può essere
utile effettuare una biopsia del nervo. Infine tra i test può essere effettuata l’analisi genetica.
Anamnesi
Nelle malattie neuromuscolari, oltre alle solite domande, è molto importante determinare quando il problema è
insorto, il suo esordio, perché è diverso tra le forme acute, subacute e croniche. Molto spesso il paziente mette in
relazione l’esordio della malattia con un evento particolare. In pratica spesso accade che il paziente non riconosce
l’esordio perché si è gradualmente abituato a quel deficit: un bambino che ha sempre corso poco si abitua a pensare
che la sua normalità è quella e quindi metterà attenzione al fatto che ha dei problemi muscolari magari in seguito a
una caduta con rottura del femore. Quindi è molto importante capire l’esordio, perché già quello ci orienta verso un
determinato gruppo di malattie.
L’osservazione del paziente è importantissima perché ci dà tante indicazioni su esordio e andamento della malattia,
ci dice se ci sono delle situazioni che scatenano o meno i sintomi e se questi sintomi sono costanti, recidivanti o
fluttuanti etc. E’ molto importante capire quali altre patologie sono associate, in quanto alcune di queste malattie sono
multisistemiche (con frequente compromissione cardiologica), oppure se sono presenti altre patologie internistiche
quali diabete o alcolismo, che possono provocare sintomi neurologici e quindi anche neuropatie o miopatie.
Anche l’ anamnesi fisiologica è particolarmente importante in quanto nelle neuropatie e nelle miopatie ci possono
essere disturbi vegetativi (sfera sfinterica, sessuale, disturbi del sonno…). Per quanto riguarda l’anamnesi
farmacologica, prestare attenzione a sostanze che possono essere neuromiotossiche. Anche l’ambiente sociale e la
professione ci possono essere utili nel caso in cui si utilizzino o si stia a contatto con determinati materiali. Anche la
scuola è importante perché ci può far capire se il bambino ha un qualche minimo (o conclamato) ritardo mentale.
A questo punto bisogna anche essere in grado di distinguere se il paziente è capace di riferirci da solo l’anamnesi,
perché a volte pur parlando di SNP ci può essere una compromissione dello stato di coscienza o mentale per cui il
paziente è inattendibile.
L’anamnesi familiare è fondamentale per questo genere di malattie perché molte di queste sono genetiche.
Dobbiamo pertanto individuare se nella famiglia ci sono altri individui affetti, se nella famiglia c’è consanguineità e,
qualora non ci fosse, se i genitori vengono da un piccolo paese, perché il piccolo paese e come una grande famiglia e
quindi il rischio genetico è di poco superiore al matrimonio tra consanguinei.
Esame obiettivo
La prima cosa è comunque l’osservazione del paziente, quindi capire la distribuzione del deficit muscolare; bisogna
osservare la distribuzione della debolezza, se questa prende soprattutto i muscoli prossimali o distali , se il deficit è
simmetrico o asimmetrico , se è diffuso o localizzato , se prende i muscoli mimici o oculomotori (perché questa
distinzione orienta per delle patologie ben caratterizzate).
Altra cosa da osservare è se il muscolo è atrofico o ipertrofico:
 Un muscolo molto atrofico, con un’atrofia sproporzionatamente maggiore rispetto alla debolezza
muscolare, ci fa pensare a una malattia neurogena.
 Un muscolo addirittura ipertrofico, pastoso, ma debole, ci fa pensare a una malattia muscolare primitiva.
 Se la debolezza è più o meno uguale all’atrofia si tratterà di forme infiammatorie o metaboliche

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 34 A CURA DI ANDREA PERNA


Bisogna anche controllare se ci siano contratture o iperlassità perché anche questo ci orienta verso determinati
gruppi di malattie. Per quanto riguarda il decorso, questo può essere acuto, subacuto o cronico e la debolezza fissa,
fluttuante, recidivante o addirittura episodica.
Una delle manovre funzionali più semplici è quella di far alzare la paziente dalla sedia senza l’aiuto delle mani. I test
funzionali sono il metodo più utile e semplice per valutare il decorso della malattia.
FOLLOW UP
Per il follow-up delle malattie può anche essere misurato il tempo in cui il paziente sale una rampa di scale oppure si
effettua il six minutes walk test, che è il più comune, in cui si misurano i metri percorsi dal paziente in sei minuti. E’
un test che riesce a dare anche l’idea del deficit respiratorio, in quanto durante il test il paziente rallenterà sia per il
problema miogeno che per l’affanno.
CARATTERISTICHE DELLE FIBROCELLULE MUSCOLARI ED ELETTROMIOGRAFIA
Il muscolo è costituito da tre tipi di fibre che si intersecano a scacchiera:
 Fibre di tipo I: ossidative
 Tipo IIa: intermedie glicolitiche ossidative
 Tipo IIb: glicolitiche rapide
La caratteristica delle fibre dipende dal motoneurone e il primo esame diagnostico di screening è l’elettromiografia.
Questa presuppone la collaborazione del paziente ed è quindi difficile effettuarla nei bambini, in cui viene fatta
soltanto in casi eccezionali e soltanto per vedere la neurografia. L’elettromiografia ci dice, con lo studio della
conduzione nervosa, motoria e sensitiva, se c’è un problema al nervo e poi, più grossolanamente, se il deficit
muscolare è primitivo o neurogeno, quindi secondario a un’alterazione del motoneurone o del nervo periferico.
L’elettromiografia misura la grandezza dell’unità motoria in base alla contrazione volontaria che si fa effettuare al
paziente. Visto che i potenziali d’azione sono la conseguenza del numero e della grandezza delle unità motorie che
vengono attivate, se in un muscolo normale per effettuare un movimento avrò bisogno per esempio di 20 unità
motorie, in un muscolo neurogeno (quindi secondario alla perdita di alcuni motoneuroni), poichè i motoneuroni
sopravvissuti andranno a innervare anche le fibre muscolari vicine, avrò delle unità motorie molto più grandi ma se
ne attiverà un numero minore. Per cui se per fare un movimento classico avrò bisogno di 20 unità motorie, se i
motoneuroni sono molto grandi ne avrò bisogno magari 5. Il tracciato neurogeno ha unità motorie ampie e rare
mentre il miopatico ha un tracciato ricco ma con unità motorie molto piccole.
Prima di far contrarre il paziente, l’elettromiografia ci fa anche osservare se esistono dei potenziali di riposo: quando
metto l’ago posso sentire se il muscolo a riposo scarica, e questo mi può dare indicazioni legate alla presenza di
attività spontanea che è tipica o della denervazione (se si registra attività di fibrillazione) o di fenomeni miotonici o
pseudomiotonici che ci indicano invece tutto un altro campo di patologie.
MALATTIE MUSCOLARI PRIMITIVE
Tutte le malattie neuromuscolari fanno parte delle malattie rare. Le malattie rare sono 749, di cui 401 neurologiche e
di queste 401 i 2/3 sono neuromuscolari. E’ importante conoscerle perché in Italia le malattie rare interessano circa
2.000.000 di persone, quindi più di 1.000.000 presentano una malattia neurologica rara.
Le malattie muscolari primitive si distinguono in acquisite o geneticamente determinate. Le acquisite sono
fondamentalmente le infiammatorie, le tossiche, le endocrine-dismetaboliche. Le geneticamente determinate sono le
distrofie muscolari, le miopatie congenite, le encefalopatie mitocondriali, le miopatie metaboliche e le canalopatie,
che rappresentano un capitolo importante che si sta conoscendo adesso.
LE DISTROFIE MUSCOLARI
Il termine distrofia muscolare è un termine vecchio, antico. Alcune forme di malattia muscolare specifica vengono
ancora dette distrofie muscolari, ma in realtà è un termine che accomuna una serie estremamente eterogenea di
patologie muscolari che sono geneticamente determinate e la cui classificazione si basa sulla distribuzione del deficit
e la modalità di trasmissione genetica. Con il termine dis-trofia si intende il sovvertimento del tessuto muscolare con
tessuto fibroso e adiposo non contrattile. Però ripeto è un termine vecchio perché non in tutte le forme che ancora
adesso si chiamano distrofie muscolari avviene questo processo anatomo-patologico.
Le distrofie possono essere trasmesse in modo autosomico dominante, recessivo o X-linked. Le forme più frequenti
sono la Duchenne e la Becker, che è la forma allelica più lieve della Duchenne, e poi la Facio-scapolo-omerale e la
Distrofia miotonica come forme più frequenti nell’adulto.
LA DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE
E’ la distrofia più nota, descritta addirittura nel 1861. E’ una forma infantile con un deficit muscolare che inizia dal
cingolo pelvico e poi prende anche quello scapolare. E’ caratterizzata dall’associazione di deficit e ipertrofia
muscolare. L’ipertrofia è tipicamente localizzata ai polpacci (ma può anche essere diffusa), tuttavia questi muscoli al
tatto risultano di consistenza non elastica, ma dura e pastosa, nonostante l’aspetto tonico. I primi disturbi si verificano
nella primissima infanzia e i genitori sono i primi ad accorgersene, ma in realtà la patologia esiste già da prima. Se ne
accorgono quando il bambino comincia a camminare perché è un bambino che cammina male, cade spesso, ha
difficoltà a rialzarsi.
E’ una malattia progressiva che comincia dagli arti inferiori e poi si estende ai superiori che porta a una perdita della
capacità di deambulazione intorno ai 9-13 anni, oggi forse un po’ più tardi grazie alle terapie di supporto (tuttavia non
esiste ancora una cura).
Sempre alla fine dell’Ottocento venne osservato che i bambini affetti da tale patologia con deficit del cingolo pelvico,
invitati ad alzarsi da terra si devono arrampicare su stessi: questa manovra tipica viene detta manovra di Gowers.
Altro atteggiamento tipico è l’iperlordosi lombare come compensazione del deficit dei glutei, perché serve per tenere
il baricentro in asse.
Dopo aver perso la deambulazione si presenteranno problemi progressivi respiratori: un tempo il decesso avveniva
tra i 18 e i 25 anni, oggi la sopravvivenza è assicurata dalla tracheotomia con assistenza respiratoria dapprima non

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 35 A CURA DI ANDREA PERNA


invasiva e poi invasiva.
Altro quadro caratteristico della Duchenne è la cardiomiopatia dilatativa, che è una delle cause di morte. La
cardiopatia si manifesta solitamente dopo i 15 anni e quindi adesso l’attenzione terapeutica è posta nel ridurre la
fatica cardiaca.
Altra caratteristica del Duchenne almeno in 1/3 dei pazienti è il ritardo mentale, che però non è progressivo ma
abbastanza stabile. Un tempo si credeva che il bambino Duchenne fosse ritardato perché perdeva presto la
deambulazione e questo negli anni passati corrispondeva a una riduzione della scolarità; tuttavia questo è smentito dal
confronto con i pazienti affetti amiotrofia spinale, che sono altrettanto invalidati ma molto intelligenti. Quindi il
ritardo fa parte della malattia e non è conseguenza del disadattamento, come dimostrato poi anni dopo con la scoperta
che la distrofina è presente anche nel cervello, anche se a livello cerebrale è un po’ più piccola perché il primo esone
non viene trascritto.
La distrofia di Duchenne è infatti legata all’assenza della distrofina, così chiamata perché è stata la prima proteina
identificata in una malattia muscolare. Alla distrofina sono legati anche quadri più lievi, come la Distrofia muscolare
di Becker e la Distrofia muscolare intermedia, che compaiono più tardivamente (tarda adolescenza o età adulta).
Diagnosi Le CK sono elevate. L’elettromiografia ci darà un quadro aspecifico di miopatia per cui non è dirimente. La
biopsia muscolare ci evidenzia un quadro tipico del muscolo distrofico, quindi le fibre all’inizio cominciano a
soffrire, diventano più piccole, vengono invase dai macrofagi che cercano di smaltire i detriti, poi il muscolo piano
piano viene sovvertito da tessuto fibroso e le fibre non sono più una attaccata all’altra ma intersecate a dei tralci di
tessuto fibroso; ci sono fibre molto piccole e altre che diventano più grosse nell’inutile tentativo di compenso. Alla
fine il tessuto fibroso sostituisce tutto il muscolo, che verrà denominato muscolo end-stage quando tutte le fibre
saranno occupate da tessuto fibroso e adiposo. Queste stesse alterazioni si possono vedere alla RM muscolare:
comparando i muscoli della parte inferiore della gamba, che rimangono abbastanza compatti fino alla fine, con glutei
e cosce, possiamo osservare che in questi distretti il muscolo appare abbastanza disomogeneo e rarefatto.
Ruolo della distrofina
Nel 1987 la scoperta della distrofina ha aperto la strada alla caratterizzazione di tutta una serie di patologie muscolari.
Si è scoperto infatti che la distrofina è una proteina di membrana che fa parte di un grosso complesso di proteine che
tengono stabile la membrana e il suo rapporto col citoscheletro. La distrofina ha dei ruoli sia meccanici sia funzionali,
perché conferisce stabilità e flessibilità alla membrana e ha un ruolo nella capacità di differenziazione delle fibre,
partecipa all’organizzazione della membrana postsinaptica e interagisce direttamente con i canali ionici, soprattutto
quelli del calcio. All’inizio infatti si diceva che la distrofia di Duchenne era legata ad alterazioni dell’omeostasi del
calcio.
Quindi come spiegare che alterazioni della distrofina diano luogo a forme molto gravi o molto lievi, molto precoci o
tardive? Si spiega col fatto che le mutazioni genetiche sono diverse:
 Nelle forme di Duchenne l’alterazione più frequente è una delezione, vengono aboliti alcuni esoni. E’ una
delezione che causa un’alterazione “out of frame”, ovvero che causa la non produzione della proteina.
 Nella Becker invece la delezione è “in frame”, quindi viene prodotta una proteina instabile.
Questo viene sfruttato dall’immunocitochimica, infatti con gli anticorpi anti-distrofina vedremo che nel Duchenne la
proteina è assente, mentre nel Becker ridotta in maniera variabile.
La distrofia di Duchenne è X-linked e quindi la donna trasmette la malattia ai maschi, le femmine al massimo
saranno portatrici. La maggior parte delle portatrici sono asintomatiche (al massimo avranno i polpacci grossi) ma il
10% presenta delle manifestazioni cliniche che possono essere anche importanti, come cardiopatie gravi, deficit
cingolare, problemi respiratori. Questo è dovuto all’ipotesi di Lyon, secondo la quale nelle donne c’è un’inattivazione
casuale dell’X sana o malata che in genere è bilanciata del 50%. Però, visto che la fibra muscolare è multinucleata, se
questo 50% si distribuisce in parte della fibra la sintomatologia sarà lieve o assente rispetto a una distribuzione in
tutta la fibra, che ne causerà la necrosi. All’immunocitochimica osserveremo pertanto che alcune fibre sono
completamente normali, in altre la distrofina non c’è per niente, in altre è poco rappresentata. Inoltre a differenza dei
maschi in questi casi il deficit è asimmetrico, sempre perché l’inattivazione è casuale.
Non esiste una cura. Si usano gli steroidi perché riducano la reazione infiammatoria secondaria di smaltimento delle
fibre muscolari danneggiate, prolungando cosi la deambulazione di qualche mese. Nelle fasi più avanzate si fa
tracheotomia e assistenza respiratoria.
LGMD
La distrofina ha aperto la strada a tutto un gruppo importante di patologie associate al complesso di proteine legate
alla distrofina, che sono numerosissime. Queste sono le cosiddette Distrofie Muscolari Limb Girdle (LGMD) quindi a
distribuzione prossimale (Limb) o pelvica (Girdle). Possono essere dominanti (LGMD1) o recessive (LGMD2).
Conosciamo ormai almeno 20 recessive e 10 dominanti, quindi è difficile star dietro alla diagnosi precisa di queste
malattie ma almeno dobbiamo capire che si tratta di una distrofia e se sono dominanti, recessive o x-linked. Per la
diagnosi ci aiuta molto l’immunocitochimica, perché cosi come esistono anticorpi per la distrofina, esistono anticorpi
per i sarcoglicani, la disferlina etc. Tuttavia molte proteine vanno ancora scoperte.
La Disferlina è la forma recessiva più comune e perché spesso invece di dare una manifestazione che interessa i
cingoli dà una compromissione della parte distale della gamba: fa parte infatti delle cosiddette miopatie distali. E’ una
proteina interessante perché ha un ruolo nei meccanismi di riparazione della membrana. Infatti spesso questi pazienti,
che spesso sono atleti o sportivi praticanti magari sport impegnativi tipo kick boxing, hanno la manifestazione
apparentemente acuta proprio dopo un trauma importante. Purtroppo una volta che la malattia si è avviata ha carattere
abbastanza progressivo.

FSHD ( Distrofia facio-scapolo-omerale)


L' interessamento dei muscoli mimici e dei muscoli oculomotori è caratteristico di alcune forme patologiche. I

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 36 A CURA DI ANDREA PERNA


muscoli interessati nella FSHD sono quelli mimici, deputati ai cambiamenti dell’espressione facciale (come lo
strizzare gli occhi, il gonfiare le guance e il sorridere ) . Sono innervati dal settimo paio dei nervi cranici, il facciale,
ma in questo tipo di patologia il nervo non è interessato, in quanto è una problematica primitiva a carico dei muscoli,
sia mimici che del cingolo scapolare.
Visitando il paziente possiamo fare diagnosi.
È una problematica a carattere dominante ed è la seconda distrofia miotonica più frequente nell’adulto. Hanno
facies caratteristica con le guance scavate, incapaci di stingere gli occhi e, a causa del rilassamento muscolare che
avviene la notte, dormono ad occhi aperti.
Una problematica facilmente evidenziabile è scapola alata, correlata al deficit dei muscoli fissatori della scapola. Il
paziente sarà incapace di sollevare le braccia perché, mancando i m. fissatori della scapola , quest’ultima tenderà ad
uscire fuori durante il movimento, ostacolandolo.
Da un punto di vista clinico osserviamo una importante variabilità sintomatologica :
 paucisintomatica/oligosintomatica nel 30% dei casi , con problematiche per lo più asimmetriche
 perdita della deambulazione nel 10% dei casi
In quanto patologia dominante , lo stesso disturbo genetico può avere una manifestazione sintomatologica più grave
nella progenie, per questo nelle forme paucisintomatiche la diagnosi ,seppure difficoltosa, sarà ugualmente
importante. Possiamo anche avere delle forme più gravi , per esempio caratterizzate da ipodistrofia diffusa. In tal
caso, il paziente oltre al tipico coinvolgimento dei muscoli prossimali, potrà assumere un atteggiamento iperlordosico
per problematiche correlate al cingolo pelvico oppure potrà avere problematiche a carico della componente distale.
La biopsia muscolare sarà aspecifica , in quanto a carico del muscolo non si osserva un processo distrofico ma da un
punto di vista genetico possiamo ricercare caratteristiche alterazioni a livello del cromosoma 4, seppure non è stata
ritrovata un’alterazione corrispondente di tipo molecolare .
Non si conosce un marker / una proteina da poter valutare che possa aiutare il medico nella diagnosi. Ad oggi si
suppone soltanto che ci sia una correlazione con un meccanismo di trascrizione, riguardante i vari geni contigui.
Geneticamente si osserva la riduzione della dimensione di un frammento di DNA nella regione telomerica del
cromosoma 4q (4q35), legata alla delezione dell’unità di una sequenza di DNA ripetuta, nota come D4Z4.
Il locus di frammenti ripetuto D4Z4 , normalmente n=50, patologicamente risulterà più corto.
Più è corto, più la patologia sarà grave (al contrario di ciò che accade nelle patologie con espansione delle triplette).
Epidemiologia:
Si osserva una prevalenza di 5-10/100.000 , è seconda solo alla distrofia miotonica nell’adulto e terza come disturbo
in assoluto, dopo la Duchenne e distrofia miotonica.
L’esordio tipico è in 1°-5° decade e la forma sintomatologica classica della patologia si ha dall’età adolescenziale in
su.
In età infantile avremo un interessamento nel 2-5%. In questa fascia di età le manifestazioni, più gravi da un punto di
vista muscolare, sono caratterizzate dall’interessamento di altri sistemi, determinando :
 ipoacusia neurosensoriale ,
 ritardo mentale
 riduzione della vista correlato a teleangectasia o distacco di retina
 epilessia.
Infine circa 1/3 dei pazienti risulta essere asintomatico.

DISTROFIE
In questo gruppo eterogeneo di patologie la genetica ha dato un notevole contributo alla diagnosi ma , ampliando i
fenotipi, ne ha complicato la classificazione clinica.
 Stesso gene → DMP prossimali
→ DMP distali

 Stesso gene : quadri sindromici complessi ed eterogenei


 Distrofinopatie
 Sarcoglicanopatie
 Disferlinopatie §
 Calpainopatie
 Caveolinopatie
 Laminopatie
Secondo lo schema sopra possiamo asserire che, se la Distrofia di Duchenne è la forma clinica più grave, le altre
invece prendono il nome in base alla proteina alterata e sono forme cliniche più lievi.

LAMINOPATIE
Gruppo eterogeneo di malattie, caratterizzate da mutazione nel gene della lamina A/C , noto come LMNA. Vengono
definite anche nucleopatie perchè le lamine sono proteine nucleari.
Esse sono correlate a :
 Lipodistrofia
 invecchiamento precoce
 problematiche del muscolo scheletrico e/o muscolo cardiaco e /o del nervo periferico
Dal difetto delle lamine si possono avere quadri sindromici complessi.

STRUTTURA LAMINE

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 37 A CURA DI ANDREA PERNA


Appartengono alla famiglia dei filamenti intermedi.
Sono localizzate sulla membrana nucleare interna, sintetizzate nel citoplasma ed importate nel nucleo come
polipeptidi maturi . Esse vengono es presse in tutti i tessuti somatici, eccetto negli eritrociti. Contribuiscono alla
formazione della lamina nucleare ed i nteragiscono con la cromatina ed altre specifiche proteine della membrana
nucleare interna, acquisendo un ruolo attivo nella organizzazione spaziale delle funzioni nucleari.
La lamina nucleare si estende come una rete , dalla periferia (superficie interna della membrana nucleare interna)
all’interno del nucleo, conferendo stabilità e definendo la forma del nucleo . Essa contribuisce ad organizzare la
cromatina e si lega ai pori nucleari (nuclear pore complexes -NPC), a numerose proteine della membrana nucleare e a
fattori di trascrizione, ottimizzando numerose funzioni nucleari.

LAMINOPATIE CON INTERESSAMENTO M.SCHELETRICO/ CARDIACO /DEL N.PERIFERICO


Sono problematiche dominanti o recessive, caratterizzate contemporaneamente , soprattutto nella forma classica, da
varie problematiche :
 retrazioni muscolo-tendinee precoci con alterazione in flessione di gomito, collo o piedi ed alterazioni
dismorfiche , come la SPINA RIGIDA ( ipoflessibilità di colonna ) ;
 debolezza ed atrofia muscolare con distribuzioni omero-peroneale o cingolare;
 cardiomiopatie dilatative e aritmie (fibrillazione, flutter, blocco AV) che richiedono interventi come
l’inserimento di un pacemaker. Non è infrequente la morte cardiaca improvvisa;
 neuropatie associate.
I quadri clinici sono in realtà molto eterogenei , perciò talora sono caratterizzati da disturbi singoli (o solo muscolari,
o solo cardiaci o solo nervosi) .

LAMINOPATIE CON LIPODISTROFIA


La più conosciuta è la forma Familiare parziale di Dunningan.
Sono patologie caratterizzate da:
 perdita progressiva di tessuto adiposo sottocutaneo a carico degli arti, prevalentemente quelli distali, e al
tronco;
 accumulo di tessuto adiposo nel collo e nelle spalle (determinando
la gobba di bufalo);
 associato a sindrome dismetabolica , con eventuale
ipertrigliceridemia, insulino-resistenza e diabete tipo 2.
Non sono quindi problematiche a carico della componente muscolare. In tal
senso possiamo osservare solamente una CK aumentata di poco.
Patologia osservabile dopo la pubertà , più evidente nelle sesso femminile.
Queste pazienti , per la particolare distribuzione del grasso sottocutaneo, se
osservate da dietro sembrano persone di sesso maschile e talvolta, per fattori
clinici di confondi mento, bisognerà fare diagnosi differenziale con la Sdr
adrenogenitale.
LAMINOPATIE CON INVECCHIAMENTO PRECOCE
Sono disturbi caratterizzati da alterazioni dismorfiche. In questo gruppo
ritroviamo le MAD (MadibuloAcral Dysplasia) .

I pazienti affetti mostrano caratteristiche quali: alopecia, micrognazia, spalle piccole e ciondolanti con clavicole
ipoplastiche, gomiti in flessione, lipodistrofia, iperpigmentazione, sdr dismetabolica ed osteolisi sia della mandibola
che delle falangi distali (di mani e piedi). E’ tipico di questo disturbo la deformità a “ joint stick ” delle dita ,
caratterizzate da zone di atrofia cutanea.
Un quadro grave , all’interno delle laminopatie con invecchiamento precoce, è rappresentato dalla PROGERIA.
Il paziente si presenterà con: ritardo post-natale dell’accrescimento, alopecia, osteoporosi e l’anomala distribuzione
del grasso sottocutaneo.
La morte sopraggiunge nella prima adolescenza per le tipiche complicanze di un soggetto anziano , come l’infarto
del miocardio o l’insufficienza cardiaca congestizia, in più del 90% dei casi.

Un’altra laminopatia è rappresentata dalla EDMD , nota come Distrofia di Emery - Dreifuss.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 38 A CURA DI ANDREA PERNA


Patologia ereditaria caratterizzata da:
a) precoce insorgenza di retrazioni a carico dei gomiti, delle anche e della colonna cervicale;
b) compromissione e debolezza dei muscoli omero-peroneali;
c) coinvolgimento cardiaco, rappresentato da patologie del sistema di conduzione ( blocchi A.-V. e/o aritmie).
Inizialmente i pazienti affetti erano solo soggetti di sesso maschile, per cui fu ipotizzata una trasmissione ereditaria
legata al cromosoma X ( X-linked).
Il gene responsabile chiamato EDM o STA , codificante per una proteina nota come EMERINA, è localizzato sul
braccio lungo del cromosoma X (in posizione Xq28).
Successivamente si osservò che l’emerina è ubiquitariamente espressa in tutte le cellule e localizzata all’interno della
membrana nucleare, diversamente da tutte le altre proteine muscolari.
Ad oggi è noto che sono coinvolti anche altri geni perciò non tutti i pazienti, con quadro clinico tipico della Distrofia
di Emery-Dreifuss , presentano mutazioni nel gene EDM.
Tali geni sono trasmessi in maniera diversa dall’X-linked, tramite un modello a trasmissione autosomica, sia
dominante che recessiva.
Possiamo concludere che le distrofie sono patologie che possono derivare da meccanismi genetico-molecolari
differenti. Ciò spiega l’enorme eterogeneità della clinica di questi pazienti e le innumerevoli forme di distrofia.

DISTROFIA MIOTONICA
Tra le distrofie, quella Miotonica è la più frequente. È una patologia a trasmissione a utosomica dominante, con
esordio clinico variabile.
È caratterizzata da :
 Distrofia muscolare + miotonia
 coinvolgimento multisistemico (muscolo scheletrico e liscio, cuore, cristallino, sistema nervoso centrale,
endocrinopatie)
 Anticipazione nelle successive generazioni (esordio più precoce, fenotipo più
grave)
La distrofia di Steinert ( DM1) è stata la prima descritta assieme alla D. di Batten e di
Gibb. Esistono forme meno frequenti ma con comportamento dominante, accomunate dalle
tre caratteristiche sopra riportate.
CLINICAMENTE si noterà :
 Miotonia - lentezza nel rilassare un muscolo normalmente contratto. È un
disturbo che si apprezza soprattutto a livello della mano dove, evocando la
contrazione muscolare, preferenzialmente tramite la percussione ripetuta
dell’eminenza tenar si osserverà il fenomeno del “ warm up” → riduzione della
miotonia.

L’immagine rappresenta un tracciato


elettromiografico.
Attraverso questa metodica , ottenuta tramite
l’inserimento di un ago nel muscolo opponente
del pollice , si evidenzierà un fenomeno
miotonico caratterizzato da una scarica
parossistica involontaria a cui è correlato un
effetto sonoro molto caratteristico, definito
fenomeno del bombardiere in picchiata.
• Debolezza muscolare – a carico dei muscoli mimici, con conseguente ipomimia e ptosi palpebrale; Facies
tipica con aspetto depresso, allungata e con palato ogivale; ipotrofia dei m. temporali e dei m. masseteri ,
che determineranno impossibilità nel chiudere la bocca, con dislocazione dell’articolazione temporo-
mandibolare; debolezza dei mm. semidistali degli arti superiori con conseguente incapacità di flettere la
mano sul polso ed incapacità nell’estendere le dita delle mani a causa del deficit dei m. estensori ;
debolezza dei mm. semidistali inferiori, con interessamento del m. tibiale anteriore , deputato al
sollevamento della punta del piede , e del m. peroneo, deputato alla rotazione del piede. Tale problematica
si tradurrà in una deambulazione steppante.
Lo steppage è un aspetto caratteristico delle neuropatie in generale, ma quando accostato a facies caratteristica e
miotonia si dovrà subito sospettare di distrofia miotonica.
 Debolezza dei mm. respiratori – con interessamento soprattutto del diaframma. La differenza con la
malattia di Duchenne è rappresentata dal fatto che l’interessamento nella D.M. è precoce.
Osserviamo anche altre manifestazioni,quali :
 Cataratta e calvizie, tipiche e caratteristicamente presenti nelle forme lievi di distrofia miotonica;
 Coinvolgimento cardiaco con blocco atrio-ventricolare, aritmie (pacemaker) e cardiomiopatia (più rara);
 Coinvolgimento del Sistema Nervoso Centrale, con: apatia, modificazioni del comportamento, ipersonnia,
disregolazione centrale del respiro e deterioramento da demenza frontotemporale, soprattutto nelle forme
congenite ed infantili ;
 Problemi endocrinologici, quali diabete o atrofia testicolare;
 Coinvolgimento del Muscolo liscio (gastrointestinale), con : disfagia, stipsi, megacolon, pseudo-ostruzioni

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 39 A CURA DI ANDREA PERNA


 Complicanze anestesiologiche, quali la suscettibilità all’ Ipertermia Maligna § , l’aumento della miotonia e
problematiche respiratoriex e cardiache.

DIAGNOSI
Osserviamo:
III. CK – normale o modestamente elevato
IV. EGM - scariche miotoniche (talora importante per evidenziare una miotonia subclinica)
V. Biopsia - variabilità del calibro delle fibre, nuclei centralizzati, raccolte di nuclei centrali “in fila ”/ “a
catenella”, fibre ad anello . Si osservano anche masse sarcoplasmatiche, modesta fibrosi e fibre
angolate
Nello specifico la diagnosi si avvale della : CLINICA + EMG + GENETICA
La distrofia miotonica potrà essere di tipo :
 LIEVE: con cataratta, miotonia. Esordio: > 50 aa
 TIPICA: con debolezza muscolare progressiva, miotonia, apatia, disturbi del ritmo cardiaco, atrofia
testicolare, diabete, ipersonnia, disturbi respiratori . Esordio: 10-50 aa
 INFANTILE: con difficoltà nel linguaggio e nell’apprendimento, ritardo mentale di vario grado, debolezza
muscolare, miotonia assente in età prescolare. Esordio: 1-10 aa
 CONGENITA: rappresenta una delle cause più frequenti di “floppy infant”. Caratterizzata da:
4. riduzione dei movimenti fetali, polidramnios
5. ipotonia neonatale, diplegia facciale , disturbi respiratori
6. artrogriposi, dismorfismi
7. ritardo psicomotorio
8. miotonia assente
Geneticamente l’alterazione è a carico del cromosoma 19 ( regione 19q13).
Il gene codifica per una miotonina protein kinasi ed è localizzato vicino alla sequenza genica coinvolta
nell’ipertermia maligna.
La mutazione è costituita dalla ripetizione anomala di una tripletta di basi (CTG) , che diventa patologica se ripetuta
più di 50 volte. Il numero di ripetizioni sarà proporzionale alla gravità del fenotipo clinico.
In base al numero di espansioni CTG , che va da 50 a 4000, si classificherà nel seguente modo:
 DM LIEVE : > 50 – 150
 DM TIPICA : poche centinaia - 1000
 DM INFANTILE: centinaia - migliaia
 DM CONGENITA: migliaia
Si osserverà un’ ampia eterogeneità fenotipica nei membri di famiglie affette da DM e la gravità delle sindromi
cliniche sarà correlata all’età del paziente e all’età di esordio della patologia.

Nelle famiglie si osserverà l’ ANTICIPAZIONE della patologia , correlata ad :


 Un esordio più precoce di circa 2-9 aa nei figli , a confronto con il genitore affetto;
 Una tendenza della tripletta CTG all’espansione, nella trasmissione da una generazione all’altra.
La patologia all’interno del nucleo familiare si estinguerà a seguito di espansioni molto grandi e conseguenzialmente
molto gravi, poiché determinanti infertilità nei pazienti di sesso maschile e forme cliniche gravi (di tipo congenito o
infantile) .

TERAPIA
Per la miotonia -> FENITOINA (procainamide, chinino, mexiletina, da somministrare con estrema cautela a causa
degli effetti antiarimici)
Per la sonnolenza -> MODAFINIL
Monitoraggio cardiaco -> Tramite o terapia farmacologica o l’utilizzo di PaceMaker o impianto di defribillatore
Supporto respiratorio, che si avvale di:
o Ventilazione non invasiva con maschera facciale (inizialmente solo notturna)
o Tracheostomia e ventilazione invasiva

MALATTIE MITOCONDRIALI
Disturbi ad interessamento trasversale, come le laminopatie.
I mitocondri sono organuli ubiquitariamente presenti in tutte le cellule nucleate che , mediante la fosforilazione
ossidativa , rappresentano i principali produttori di energia.
Tramite una serie sequenziale di reazioni di ossido-riduzione lungo i complessi enzimatici della catena respiratoria,
trasformano le varie molecole ( proteine, zuccheri e/o grassi ) in ATP, indispensabile per la sopravvivenza cellulare.
Hanno un proprio DNA , molecola circolare a doppia elica contenente 37 geni: 13 proteine, 2RNAr, 22 RNAt.
Circa 1.5 bilioni di anni fa , i probatteri aerobi popolarono le cellule eucariote primordiali, perciò il DNA m. risulta
essere una molecola fossile, frutto dell’endosimbiosi . Diversamente dai fossili però , continua a funzionare sotto il
controllo del genoma nucleare.

Le malattie mitocondriali sono patologie eterogenee e complesse, a carattere sindromico e non-sindromico,


frequentemente multisistemiche.
Lo studio epidemiologico è complesso, in quanto tali patologie possono interessare qualsiasi fascia di età , seppure sia
stata osservata una prevalenza nei pazienti con più di 16 anni.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 40 A CURA DI ANDREA PERNA


Si osserva che 9.2 persone su 100,000 hanno una malattia mitocondriale clinicamente manifesta.
CLINICA
Osserviamo:
 Intolleranza allo sforzo - sintomo più frequente, correlato alla fatica muscolare precoce, alle mialgie, alla
tachicardia, alla dispnea e all’abnorme produzione di acido lattico
 Ridotta capacità di lavoro
 Riduzione del consumo di ossigeno
 Assenza di una chiara soglia anaerobica e respiratoria – problematica correlata ad un precoce e
progressivo aumento di acido lattico e del quoziente respiratorio durante l’esercizio ed un ritardo di
smaltimento dell’acido lattico post-esercizio.
I pazienti con malattia mitocondriale avranno come sintomo più frequente l’intolleranza allo sforzo, con nausea e
vomito. Tutto ciò è correlato all’accumulo di acido lattico, che viene costantemente prodotto e smaltito lentamente.
Tale accumulo è dovuto all’assenza della soglia anaerobica , tipica invece degli atleti. Questi ultimi , a seguito
dell’esaurimento delle molecole utilizzate nel metabolismo ossidativo, sono capaci di andare incontro ad uno shift
metabolico, che da ossidativo diverrà anaerobico. In essi si osserverà un aumento non costante di ac. Lattico , bensì
transitorio ed acuto.
La concentrazione di acido lattico che, nel range fisiologico di riferimento è intorno ai 2 mmoli/ L , sarà correlato a
manifestazioni più gravi quando osserveremo un aumento tale da provocare acidosi da ac. Lattico. Le
manifestazioni saranno rappresentate da cardiotossicità e coma , da neurotossicità.
Il sistema più frequentemente colpito è il sistema nervoso periferico (muscolo e nervo) e a seguire il sistema
nervoso centrale.
I pazienti affetti potranno presentare altre problematiche correlate o al sistema endocrino , con quadri importanti di
diabete mitocondriale, o al cuore, o alla vista o a livello renale, o a livello GI, o a carico del midollo osseo o ancora
a livello dell’orecchio, con quadri di ipoacusia mitocondriale e sordità da antibiotici. Quest’ultima, sarà provocata
prevalentemente dalla streptomicina, antibiotico appartenente alla classe degli aminoglicosidi, in concomitanza a
mutazioni geniche nel DNA mitocondriale.

DIAGNOSI
Seppure difficile da fare, si avvale dei dati clinici, di laboratorio, delle neuroimmagini e della biopsia muscolare.
Con la biopsia muscolare si osserveranno le alterazioni mitocondriali, evidenziabili con tecniche di
immunoistochimica e istoenzimatica.
Le alterazioni caratteristiche saranno rappresentate dalle Ragged red fibers (RRF) , caratterizzate da un aumento
della proliferazione mitocondriale (aumentati di numero ma non adeguatamente funzionanti) . Le RRF saranno fibre
alterate suggestive ma non specifiche, poiché possono riscontrarsi anche in patologie non mitocondriali e , d’altra
parte , possono mancare in alcune malattie mitocondriali.

Per quanto riguarda la classificazione genetica , che risulta essere complessa in quanto i mitocondri sono sotto il
controllo del genoma mitocondriale e nucleare, è la seguente:
Difetti del DNA nucleare (trasmissione mendeliana)
A. Mutazioni di geni che codificano proteine enzimatiche o strutturali
B. Difetti delle translocasi mitocondriali
C. Difetti di importazione delle proteine mitocondriali
Mutazioni del DNA mitocondriale
A. Riarrangiamenti maggiori sporadici (duplicazioni/delezioni)
B. Mutazioni puntiformi a trasmissione materna non mendeliana
Difetti della comunicazione intergenomica
A. Delezioni multiple del DNA mitocondriale
B. Deplezione del DNA mitocondriale

Note
§
Le disferlinopatie sono patologie recessive , caratterizzate da quadri prevalentemente distali e raramente da quadri
con interessamento prossimale-cingolare.
§
L’Ipertermia maligna è una problematica caratterizzata dalle contrazioni muscolari incontrollate e da un aumento di
temperatura oltre i 40°C.
Può insorgere o autonomamente come disturbo autosomico dominante, legata all’alterazione dell’omeostasi del Ca
nelle fibre muscolari , come conseguenza di mutazioni a carico del gene codificante per il recettore della rianodina ,
oppure come complicanza anestesiologica a seguito dell’utilizzo di anestetici volatili e della succinilcolina.
Rappresenta una complicanza potenzialmente letale, che deve essere tempestivamente trattata con l’utilizzo di
dantrolene ev.
x
Le complicanze respiratorie sono correlate tanto al precoce interessamento dei muscoli respiratori, quanto
all’alterazione del centro del respiro.
I pazienti che sviluppano complicanze respiratorie vanno frequentemente incontro ad un’insufficienza respiratoria
subdola , a causa di un anomalo rilassamento muscolare durante le fasi REM del sonno. L’anomalo rilassamento
determinerà fasi di apnea, responsabili di ipossia e ipercapnia , caratterizzata da cefalea al mattino e associata a
sonnolenza, stanchezza ed astenia.
Il monitoraggio delle prestazioni respiratorie del paziente sarà fondamentale, poiché da un’insufficienza respiratoria

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 41 A CURA DI ANDREA PERNA


subdola la situazione potrà evolvere in processi più gravi, come l’ipertensione polmonare e l’insufficienza respiratoria
grave. I trattamenti tempestivi per queste condizioni, saranno di tracheostomia o ventilazione non invasiva.

Il dna mitocondriale viene trasmesso esclusivamente dalla madre, dall’ovocita, mentre il dna mitocondriale dello
spermatozoo viene eliminato al momento della fusione. Quindi il patrimonio mitocondriale viene esclusivamente
dalla madre, soltanto la madre trasmette la malattia.
E’ una forma in cui, diversamente dalle X-linked, la possibilità che i figli maschi e femmine siano affetti è
esattamente uguale e rispetto alle forme dominanti. Solo la donna che trasmette la malattia mentre il maschio non la
trasmette mai
A differenza dei geni nucleari per cui per ogni carattere abbiamo due alleli, per il genoma mitocondriale ci sono varie
copie in ogni mitocondrio, quindi migliaia di copie in un tessuto e queste copie vengono distribuite in maniera
casuale durante la divisione mitotica alle cellule figlie per cui la distribuzione dei genomi affetti è molto variabile. Se
un ovocita con un solo mitocondrio con un genoma mutato, viene trasmesso e si moltiplica anche una donna con una
forma lieve può dare origine ad una malattia grave, per cui una donna portatrice di una mutazione mitocondriale ha
una probabilità altissima di trasmettere la malattia.
La prima malattia mitocondriale caratterizzata è la malattia di Kearns Sayre , descritta da due oculisti nel 1958,
caratterizzata da una oftalmoplegia esterna progressiva, da una retinite pigmentosa, a cui si associa una serie di
patologie con blocco AV con necessità di mettere il pacemaker, miopatie mitocondriali, intolleranza allo sforzo,
sindromi cerebellari e deterioramento cognitivo, ipoacusia neurosensoriale, sintomo frequente nelle malattie
mitocondriali, bassa statura e diabete.
Questa è una forma sporadica perché l’ovocita che porta un’alterazione mitocondriale di questo tipo, che è una
delezione del dna mitocondriale, non è in grado di trasmettere la malattia.
Alcune forme sono associate a mutazioni puntiformi che danno un’oftalmoplegia esterna progressiva e
un’associazione eterogenea di sintomi, possono avere invece una trasmissione molto variabile. Ci sono più di cento
mutazioni del dna mitocondriale che seguono quindi la genetica mitocondriale trasmessa dalle donne a figli maschi e
femmine, solo le donne trasmettono la malattia.
Di queste forme la più caratteristica è la Melas, va in diagnosi differenziale con l’ictus giovanile. E’ una malattia
caratterizzata da episodi stroke-like, simil ischemici ma con caratteristiche diverse rispetto all’ictus vascolare, e
acidosi lattica. Altri sintomi molto comuni di questa malattia sono l’emicrania e le crisi epilettiche, anche qui una
miopatia mitocondriale, una neuropatia, una cardiomiopatia ipertrofica evolutiva , il diabete e la mutazioni più
frequente è la A3243G
Quello che è interessante è che questa stessa mutazione può in alcune famiglie esprimersi soltanto in diabete, quindi
c’è un diabete mitocondriale o ipoacusia o solo cardiomiopatia. Quindi la patogenesi mitocondriale va tenuta presente
nella diagnosi differenziale, in cardiologia, di alcune cardiopatie sia ipertrofiche (come nel caso della Melas) sia
aritmogene come nella sindrome di Kearn Sayre o altre malattie mitocondriali ma deve essere considerata anche dagli
endocrinologi, in particolare il diabete, aspetto molto frequente di queste malattie.
Ma la caratteristica che da il nome alla Melas è la presenza degli episodi ischemici o meglio simil ischemici che si
differenziano dalla malattie cardiovascolari classiche perché in queste aree ischemiche non c’è riduzione del flusso
sanguigno come si vede dagli studi di perfusione
Inoltre mentre nell’ictus ischemico gli episodi durano pochi minuti o al massimo poche ore, in queste forme gli
episodi si susseguono e l’ictus va avanti per giorni, settimane o addirittura mesi e comincia da un punto per poi
migrare nei punti vicini; la patogenesi di questi disturbi pseudo vascolari è infatti diversa in quanto è legata all’azione
tossica dell’acido lattico e se noi andiamo a fare la spettroscopia vedremo che in queste aree c’è un aumento
dell’acido lattico, non soltanto nelle aree ischemiche ma in tutto il cervello, tipica è quindi la presenza di un picco di
acido lattico.
Quindi azione tossica dell’acido lattico cui si associa una sofferenza dei neuroni con riduzione dell’N-acetil- aspartato
che è indice di depauperamento neuronale, non funzionano bene i neuroni in quanto i mitocondri sono alterati. Queste
manifestazioni simil ischemiche si manifestano dopo una situazione che richiede un dispendio energetico molto
importante, per esempio uno stress psicofisico, una crisi epilettica o emicranica e i neuroni non sono in grado di
rispondere a questa situazione di richiesta acuta e ciò unito all’effetto tossico dell’acido lattico dà queste alterazioni
simil ictali migranti che non corrispondono a un distretto vascolare preciso e con il ripetersi portano poi ad una atrofia
e ad una necrosi, per cui la malattia diventa alla fine progressiva.

Le Miopatie Infiammatorie
Le forme infiammatorie sono acquisite, in genere autoimmuni e le forme più frequenti sono la polimiosite, la
dermatomiosite e la miosite a corpi inclusi. La polimiosite e la dermatomiosite sono forme realmente curabili mentre
la miosite a corpi inclusi, che comunque è molto frequente nell’adulto no in quanto ha una patogenesi diversa. Nelle
miopatie infiammatorie si richiede una terapia immunosoppressiva quindi bisogna essere sicuri della diagnosi.
La polimiosite colpisce gli adulti mentre la dermatomiosite ha due picchi: uno nell’adolescenza, 14-16 aa e uno negli
adulti, 45-65 aa. La miosite a corpi inclusi colpisce soprattutto i maschi ed è rara sotto i 50 anni mentre rappresenta
l’80% delle forme infiammatorie sopra i 50 anni.
La caratteristica è la debolezza muscolare che ha una distribuzione prossimale, tra il cingolo pelvico soprattutto e il
cingolo scapolare e a volte può associarsi a problemi della deglutizione e nei casi più gravi piuttosto infrequente è la
compromissione respiratoria.
La diagnosi è effettuata sulla base di una debolezza muscolare che non va avanti da anni, le forme acquisite hanno un
andamento subacuto, di settimane o al massimo mesi mentre se un paziente accusa una debolezza da anni, 5 o 6,
allora non è una forma infiammatoria.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 42 A CURA DI ANDREA PERNA


Sono forme che vanno avanti al massimo dall’anno precedente.
L’elettromiografia è miopatica, le CK sono in genere elevate e quello che fa diagnosi è la presenza di infiammazione
alla biopsia o alla RM muscolare; bisogna escludere l’esposizione a tossine, in quanto alcuni farmaci e sostanze
tossiche possono dar luogo a quadri infiammatorie simili, ed endocrinopatie, in particolar modo disturbi della tiroide;
la tiroide, infatti, va sempre indagata in tutte le situazioni di problematiche muscolari. Ovviamente questi criteri non
hanno tutti la stessa valenza, è ovvio che la debolezza muscolare deve esserci e devo avere la dimostrazione di un
processo infiammatorio alla biopsia o risonanza mentre le CK possono essere anche normali e l’elettromiografia non
significativa.
La debolezza è appunto prossimale ad esordio variabile, subacuta o cronica, generalmente simmetrica con preferenza
degli arti inferiori, la disfagia presente nel 15-20% dei casi, muscoli respiratori raramente interessati, a volte nelle
forme più gravi ci può essere una rabdomiolisi, ossia una distruzione delle fibre muscolari con immissione di enzimi
muscolari nel torrente sanguigno mentre i muscoli mimici sono raramente compromessi e mai i muscoli oculomotori.
Esami di laboratorio: le CK possono essere molto elevate, fino a 50 volte la norma, l’elettromiografia ha un quadro
caratteristico perché non solo mi darà quel tracciato ricco con unità motorie piccole ma dà anche segni di irritazione
del muscolo e in particolare la fibrillazione del muscolo.
La fibrillazione è tipica delle forme neurogene, qui la troviamo perché la fibrillazione è l’espressione elettromiografia
di un quadro di denervazione e allora può essere una vera denervazione, cioè un motoneurone muore, la fibra
muscolare viene sganciata dal controllo del motoneurone e, siccome le fibre hanno dei propri pacemaker intrinseci,
possono contrarsi in maniera autonoma; queste piccole contrazioni all’elettromiografia si chiamano fibrillazioni, che
sono diverse dalle fascicolazioni anche se hanno lo stesso significato.
L’infiammazione interrompe e distrugge le fibre muscolari per cui il segmento a valle dell’interruzione e che viene
quindi sganciato dal controllo moto neuronale si comporta come se fosse un pezzo di fibra denervata, per cui avremo
un tracciato miopatico, con questi segni di fibrillazione e questo è un sospetto diagnostico di una forma
infiammatoria; la diagnosi però la si fa con la biopsia muscolare e più recentemente con la RM muscolare.
La biopsia muscolare mi fa vedere che ci sono fibre in necrosi e fibre invase da macrofagi e linfociti che circondano e
invadono queste fibre muscolari.
La dermatomiosite non è una polimiosite con alterazioni cutanee, può sembrare una polimiosite ma ha una patogenesi
diversa, è comunque una malattia infiammatoria che dà anche una debolezza muscolare però è più frequentemente
acuta e più spesso si associa ad altre malattie autoimmuni, del collagene (Lupus o sclerodermia) ed è più
frequentemente paraneoplastica rispetto alla polimiosite.
Le CK possono essere normali o elevate e l’elettromiografia è la stessa ma la biopsia mostra degli aspetti
infiammatori completamente diversi dalla polimiosite: infiltrati linfomonocitari molto più importanti che partono dal
vaso, vedremo che la immunopatogenesi è diversa, nella dermatomiosite i target sono i vasi mentre nella polimiosite i
target sono le cellule mentre caratteristica è la cosiddetta atrofia perifascicolare.

Alla periferia del fascicolo tutte le fibre sono più piccole. Questo è un quadro caratteristico perché anche se non
conoscete nulla del paziente se vedete un vetrino con quel quadro di atrofia perifascicolare è possibile fare diagnosi di
dermatomiosite, aspetto quindi patognomonico e diagnostico: tutto ciò perché nella dermatomiosite il target è il vaso
e quindi le fibre più periferiche, lontane dal vaso appunto sono quelle che soffrono di più. Le alterazioni cutanee sono
abbastanza caratteristiche e sono esacerbate dalla luce e dalla esposizione al sole; vengono colpite le zone foto
esposte come nel lupus però interessa il collo, la parte superiore del tronco e ovviamente le palpebre e le guance e la
superficie estensoria della articolazioni sia dei gomiti sia delle ginocchia, c’è inoltre una discolorazione eliotropa
delle palpebre e le papule di Gottron, anche queste caratteristiche a livello delle mani e delle unghie.
La dermatomiosite infantile invece è caratterizzata da:
 Rialzo febbrile, malessere e irritabilità
 Disturbi gastrointestinali, spesso legati alla presenza di vasculiti anche del sistema gatrointestinale
 Calcinosi, soprattutto a livello delle articolazioni
 Vasculiti
Inizialmente si pensava che fosse la terapia cortisonica responsabile delle complicazioni quali l’ulcera
gastrointestinale e adesso si è visto che sono semplicemente delle caratteristiche delle forme infantili.
Un altro interessamento tipico di dermato e polimiosite è a carico dei muscoli estensori e flessori del collo.
Se facciamo la capillaroscopia c’è un pattern abbastanza caratteristico. I primi segni della malattia che il pz riferisce
sono l’incapacità ad alzare il braccio, che si affatica a vestirsi e ha difficoltà a pettinarsi proprio per il deficit dei
muscoli prossimali, nonché piegare la testa.
Quindi l’associazione di deficit prossimali e soprattutto dei muscoli estensori del collo uniti poi alle manifestazioni
cutanee che abbiamo visto è abbastanza diagnostico di dermatomiosite.
Ci può essere un interessamento multisistemico, soprattutto cardiaco, con interessamento del tessuto di conduzione e
quindi aritmie o cardiomiopatia , il polmone, non tanto per l’interessamento dei muscoli respiratori che è rarissimo
ma soprattutto perché possono comparire delle fibrosi che rispondono poco alla terapia e possono condizionare in
maniera grave la prognosi di queste malattie; si associano alla presenza di anticorpi anti-JO-1 configurando una
sindrome da anticorpi anti-sintetasi, ancora, le calcificazioni cutanee soprattutto nelle forme infantili e nelle forme più
estreme possono esserci delle contratture articolari, le ulcere gastrointestinali e anche il fenomeno di Raynaud è molto
frequente.

Le possibili associazioni sono:


 Malattie del collagene, soprattutto nelle dermatomiositi

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 43 A CURA DI ANDREA PERNA


 Tumori

Le polimiositi e le dermatomiositi devono essere considerate tra le sindromi paraneoplastiche. C’è una grossa
discussione sull’ effettuare uno screening paraneoplastico in queste forme infiammatorie, gli studi statunitensi
sostengono che sia antieconomico fare lo screening paraneoplastico .
In Italia lo screening è eseguito e varie volte sono stati identificati i tumori che si associano alla manifestazione
muscolare, tumori quali il microcitoma polmonare e i tumori ginecologici, ovaio, mammella, prostata e colon.

La biopsia è sicuramente il gold standard per la diagnosi di queste malattie ma la RM ci aiuta in quanto mostra i segni
dell’infiammazione, che sono segni di iperintensità, segno di edema ma c’è anche un’ iperintensità dei tessuti
sottocutanei e della fascia; a volte questi aspetti possono essere abbastanza significativi ma la RM muscolare non
distingue tra quello che è un edema infiammatorio o tossico-metabolico, quindi per questo motivo la biopsia andrebbe
comunque fatta.
La RM aiuta nella diagnosi ma anche nel follow -up della malattia.
Da un punto di vista immunopatogenetico la dermatomiosite e la polimiosite sono diverse:
- nella dermatomiosite il target sono i vasi, con infiltrati linfomonocitari vascolari, atrofia perifascicolare, prevalgono
meccanismi umorali e prevalenza dei CD4 rispetto ai CD8
- nella polimiosite il target sono le miofibre, prevalgono i CD8 e i meccanismi sono prevalentemente citotossici, il
quadro caratteristico è rappresentato dalle fibre invase dai macrofagi e dai linfociti citotossici.

TERAPIA
La terapia consiste nella somministrazione dei corticosteroidi come prima linea di attacco, adoperati ad alte dosi,
mentre come vedremo in seguito nella miastenia si parte da basse dosi perché addirittura può scompensare la
malattia, nelle forme infiammatorie invece si inizia subito con alte dosi per evitare la cronicizzazione della malattia.
Si usa il prednisone 1,5.2 mg/Kg/die o il prednisolone, il deltacortene o l’urbason.
Non ci sono regole precise per i corticosteroidi, purtroppo sono terapie empiriche per quanto riguarda lo schema (vale
a dire per quanto tempo mantenere queste alte dosi) questo poi si comprende con l’esperienza e cioè come
interpretare i segnali di risposta alla terapia.
Appena è possibile si riducono le dosi in maniera progressiva fino a portare la dose a giorni alterni; il cortisone (si usa
il deltacortene per bocca o l’urbason intramuscolo o endovena) è molto importante che venga somministrato in
monodose unica al mattino alle 8 e si somma poi con la secrezione fisiologica di cortisolo. Ciò riduce gli effetti
collaterali ed è una regola generale per l’uso dei corticosteroidi.
Gli effetti collaterali dei cortisonici sono:
- le ulcere gastriche motivo per cui si associa sempre l’antiacido,
- l’aumento del peso, il diabete , per cui è importante una dieta adeguata,
- riduzione dell’apporto calorico ma non dell’apporto proteico dal momento che il cortisone ha un’azione
catabolizzante e quindi bisogna evitare un depauperamento proteico;
- è necessaria una prevenzione dell’osteoporosi soprattutto nelle donne con vitamina D e laddove necessario con
bifosfonati
- prevenzione dell’ipertensione e delle infezione nei casi di immunosoppressione importante.

In genere è una terapia ben tollerata con queste precauzioni, una complicanza che è imprevedibile ma che bisogna
tenere presente è la necrosi asettica della testa del femore: quindi quando un paziente in terapia cortisonica lamenta
dolore al femore bisogna sempre pensare a questa evenienza. Purtroppo non è prevenibile, in quanto è dose
indipendente e indipendente anche dalla durata della terapia, ci sono ovviamente delle persone più predisposte e non
c’è terapia, bisogna fare una protesi dell’anca.
Queste terapie non vanno avanti per giorni ma per mesi, addirittura anni e si associano ad altri farmaci
immunosoppressori poiché possono esserci delle recidive: il primo farmaco che si associa è l’azatioprina, in genere
ben tollerata ma può dare leucopenie importanti o rialzo delle transaminasi, effetti reversibili con la sospensione; se
l’azatioprina invece è mal tollerata ci sono altri farmaci, quali la ciclosporina ed altri farmaci immunosoppressori.
Tutti questi farmaci (azatioprina ecc…) si usano negli anziani già da subito perché questo permette di scalare più
rapidamente il cortisone o usare delle dosi inferiori, oppure nelle persone che non rispondono benissimo al cortisone
o nelle recidive. E’ opportuno ricordare che gli steroidi non devono essere mai sospesi improvvisamente ma vanno
sempre affiancati da altre terapie.
Ricapitolando lo schema terapeutico è :
5. Prednisone ad alte dosi
6. Azatioprina
7. Ciclosporina, metotrexate, micofenolato, tacrolimus
8. Ciclofosfamide ed anticorpi monoclonali (terapie più impegnative)
A volte in acuto si usano cicli di immunoglobuline che aiutano a controllare la terapia ma come vedremo mentre le
immunoglobuline sono molto efficaci in alcune malattie quali la miastenia nelle polidermatomiositi da soli non
risolvono il problema.

Ci sono nelle polidermatomiositi, non sempre però, degli anticorpi, quello più comune è l’anti-JO-1 che si riscontra
nel 25-30% delle forme ma questi configurano, quando presenti, la sindrome degli anticorpi anti-sintetasi e si
associano ad interstiziopatia polmonare; altri anticorpi sono gli anti-MI 2 e gli anti-SRP.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 44 A CURA DI ANDREA PERNA


Nella forma di miopatia necrotizzante autoimmune si riscontrano anticorpi anti-HMGCoA reduttasi, gli anticorpi
che si ritrovano nelle miopatie da statine;
In genere sono considerate miopatie da statine soltanto quelle forme in cui a seguito della somministrazione di statina
aumentano le CK ed è possibile riscontrare al massimo dolore muscolare reversibile con la sospensione del farmaco;
purtroppo non è così, c’è una forma che fa parte delle miopatie necrotizzanti autoimmuni, in cui la statina è solo il
trigger perché costituiscono una miopatia tossica, esposizione ad auto antigeni e il danno viene sostenuto da questi
anticorpi una volta che l’antigene è stato scoperto. Queste forme sono in realtà a tutti gli effetti autoimmuni. A
differenza delle forme da statine classiche in cui basta sospendere le statine (ovviamente la sintomatologia non si
risolve da un giorno all’altro, possono volerci dei mesi) nelle forme necrotiche indotte da statine, che hanno alla base
un meccanismo autoimmune, si curano con la sospensione e con una vera e propria terapia immunosoppressiva. In
questi quadri non c’è una reazione infiammatoria come nelle dermatomiositi ma c’è una necrosi e la presenza di
anticorpi è un’indicazione necessaria al trattamento.

MIOPATIA IPOTIROIDEA
La tiroide è molto importante nelle malattie muscolari e d’altro canto essendo molto diffuse ormai le malattie della
tiroide bisogna considerare la possibilità di un ipotiroidismo quando arriva il paziente con le CK alte e che accusa
debolezza:
- la prima cosa da richiedere sono gli ormoni tiroidei. Si associano anche disturbi suggestivi di un ipotiroidismo, c’è
un rallentamento generale, spesso ronzii e riduzione dell’udito ma a tutti gli effetti può sembrare una miopatia perché
il paziente è astenico, ha una debolezza prossimale, le CK sono alte così come sono alti però i trigliceridi e il
colesterolo, espressione di un rallentamento della clearance di tutte le proteine, comprese le CK.
- L’elettromiografia e la biopsia muscolare sono aspecifiche e quindi del tutto inutili, sono pazienti che hanno
difficoltà a decontrarre la mano simile alla miotonia ma che non è.
- Se si percuote la mano, proprio a causa di un’imbibizione dei tessuti, sembra che abbia una miotonia ma altro non è
che la conseguenza di questo mioedema e rallentamento generale di tutti i sistemi. I sintomi si risolvono
completamente trattando l’ipotiroidismo.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 45 A CURA DI ANDREA PERNA


CAPITOLO 4

MALATTIE DEL MOTONEURONE


Il I e il II motoneurone sono elementi importantissimi per il percorso che va dall’idea del movimento all’esecuzione
del movimento. il I motoneurone costituisce il sistema piramidale, il II motoneurone è invece caratterizzato dalle
cellule delle corna anteriori. Le lesioni del II motoneurone danno una denervazione del muscolo, cioè una atrofia
muscolare e una paralisi flaccida, mentre le lesioni del I motoneurone danno una paralisi spastica, quindi un’ipertonia
muscolare spastica caratteristica.
I riflessi osteotendinei costituiscono un elemento diagnostico molto importante, sono i riflessi da stiramento; si
evocano percuotendo il tendine, la percussione del tendine fa stirare i fusi muscolari e si ha l’attivazione del
motoneurone alfa che provoca contrazione muscolare; al contrario poi si ha un feedback negativo per cui il fuso si
accorcia e il muscolo si rilascia. Il sistema piramidale ha un effetto inibitore, quindi una lesione del sistema
piramidale accentua i riflessi, mentre una lesione del II motoneurone abolisce i riflessi , praticamente interrompe
l’arco riflesso, perché non c’è più l’effettore.
Se mettiamo a confronto le malattie del motoneurone, esse possono interessare il I motoneurone, il II o entrambi. Le
conseguenze sono completamente diverse fra loro.
- Nella paralisi flaccida (degenerazione II motoneurone) il muscolo soffre della denervazione, perché il motoneurone
ha anche un’azione trofica e il muscolo non innervato degenera, di conseguenza il tono muscolare è ridotto, i riflessi
osteotendinei sono ridotti o assenti, gli addominali (riflessi superficiali) sono normali, anche l’alluce è normale,
l’atrofia muscolare è marcata e c’è la presenza delle caratteristiche fascicolazioni, che corrispondono al fatto che il
muscolo denervato esce dal controllo del motoneurone e per il pacemaker intrinseco che possiede si contrae in
maniera autonoma. Quando questa contrazione è limitata a poche fibre muscolari non si vede a occhio nudo ma si
vede con l’esame tomografico e si definisce fibrillazione. Quando invece queste fibre sono più numerose, allora si
parla di fascicolazioni e si vedono anche a occhio nudo.
- La degenerazione del I invece produce effetti opposti, cioè ipertonia spastica con aumento del tono muscolare,
riflessi vivaci e policinetici, segno di Babinski, che è l’estensione dell’alluce, l’assenza degli addominali, atrofia
modesta (il muscolo non diventa atrofico, si ha solo trofismo un po’ scaduto) e c’è assenza di fascicolazioni. Altro
segno di lesione è il clono, cioè tenendo in tensione il piede si provocano scosse continue, che in questo caso sono
anche inesauribili.

SLA
La malattia caratteristica per eccellenza del motoneurone è la sclerosi laterale amiotrofica o SLA , una malattia
neurodegenerativa progressiva che in realtà coinvolge entrambi i motoneuroni, sia il I che il II. È una malattia rara
piuttosto nota, che ha colpito personaggi noti anche nel mondo dello sport; nota è anche la sua gravità, e di recente è
sorta un’importante protesta contro il sistema sanitario, dal momento che ha ridotto i fondi per l’assistenza ai pazienti
affetti da SLA. È la malattia rara più nota che ci sia. È conosciuta anche con i nomi di malattia di Charcot , per il
neurologo che l’ha identificata nel 1974, e malattia di Lou Gehrig , dal nome di un giocatore di baseball che è morto
nel 1941 a 37 anni.
Si è cercato più volte di mettere in correlazione la SLA e alcuni sport intesi come fattori di rischio, ma non è stato
dimostrato nulla di incontrovertibile, anche se ciò ha permesso di mobilitare l’attività delle società sportive
nell’indirizzare fondi per la gestione di questa malattia.
È prevalentemente una patologia sporadica, e in minor percentuale vi è una forma familiare. Non c’è alcuna
predisposizione etnica, anche se ci sono realtà e località in cui sono stati riconosciuti focolai di malattia, come l’isola
di Guam.
EPIDEMIOLOGIA
Per quanto riguarda l’epidemiologia, l’incidenza è di 0.6-2.6 / 100000 / anno, e la prevalenza di 0.8-8.5 / 100000; è
lievemente più frequente nel sesso maschile ed è una malattia tipicamente dell’adulto, con un incremento al di sopra
dei 74 anni. È mortale, non esiste alcun paziente che sia guarito, al massimo in via del tutto eccezionale la malattia si
può stabilizzare. Se vedete un paziente di SLA guarito, si tratta certamente di un errore diagnostico, perché al
momento attuale non esiste alcuna terapia in grado di arrestare la malattia. È diffusa in tutto il mondo, come già
accennato vi sono dei focolai in alcune zone ristrette:
 Isola di Guam, in una forma associata a demenza e al Parkinson, dove si è cercato di metterla in
correlazione con l’assunzione di una tossina citotossica derivante dalla palma presente nell’isola, ma si
tratta di un’ipotesi discussa;
 Nuova Guinea occidentale;
 penisola di Kii del Giappone;
 cluster di SLA in piccoli centri in tutto il mondo.
Colpisce l’età adulta, il 90% sopra i 40 anni, esistono però anche forme giovanili, che costituiscono il 10% delle
forme.
EZIOLOGIA E CLINICA
L’esordio si caratterizza per la localizzazione iniziale della malattia, e in base all’esordio si classificano delle forme
prevalenti che sono la forma bulbare e la spinale, e in percentuali minori ne sono presenti altre, per esempio ci sono
rarissimi casi che possono iniziare con insufficienza respiratoria.
 il 30% ha esordio bulbare, cioè si manifesta con sintomi nel distretto bulbare, quindi disartria (mista), per
cui abbiamo problemi di atrofia della lingua, debolezza della lingua, ma anche un problema di spasticità; un

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 46 A CURA DI ANDREA PERNA


altro disturbo molto importante è la disfagia, così importante da portare alla necessità di una PEG
(gastrostomia endoscopica percutanea) per alimentare i pazienti. Per quanto riguarda l’interessamento del I
motoneurone, oltre la spasticità, c’è anche la vivacità del riflesso masseterino , in cui con la mandibola un
pochino socchiusa si percuote mettendo il dito sul mento e nella SLA si accentua il movimento. Un’altra
caratteristica è la cosiddetta sindrome pseudobulbare , che è caratterizzata da un riso e pianto spastico,
sproporzionati rispetto allo stimolo.
 La SLA spinale, invece, rappresenta il 50% delle forme, più frequentemente comincia dagli arti superiori,
più raramente dagli arti inferiori (in tal caso si parla di “sindrome pseudo-poliomelitica”), e si caratterizza
proprio per l’atrofia dei piccoli muscoli della mano, in particolare dell’eminenza tenar e ipotenar, che con
l’atrofia dei muscoli interossei danno l’aspetto di mano di scimmia. L’esordio è quasi sempre asimmetrico,
quindi prima una mano, poi l’altra, e poi si estende in maniera non lineare a interessare tutta la muscolatura.
Agli arti inferiori invece si chiama pseudo-poliomelitica proprio perché si associa a delle manifestazioni
tipiche della poliomelite , e cioè a deficit dei muscoli tibioperonei, per cui il piede cade giù e c’è la
cosiddetta deambulazione steppante . Anche questa forma è asimmetrica all’esordio. Se vediamo un
paziente che steppa, questa è la prima ipotesi diagnostica. Troviamo che i muscoli sono atrofici, ma i
riflessi sono vivaci, e ciò ci fa predire che c’è interessamento di entrambi i motoneuroni.
Questo, unito all’assenza di segni sensitivi, ci permette di fare diagnosi di SLA; perché invece, ad
esempio, se mi trovo di fronte ad un’ernia cervicale, posso avere un’atrofia della mano e dei riflessi
vivaci sottolesionali, quindi avrò i segni periferici a livello lesionale e segni piramidali sottolesionali, e
devo ricordare che qualsiasi fenomeno compressivo mi dà anche un disturbo sensitivo.
In definitiva, la presenza di segni piramidali e segni periferici, in assenza di segni sensitivi, mi può suggerire
l’ipotesi diagnostica di SLA.
Nota: in realtà sul libro di testo consigliato nella SLA spinale si parla di sindrome pseudopolinevritica e non di
sindrome pseudopoliomelitica.
 Esistono anche forme ipertoniche , cioè in cui l’ipertonia si manifesta più dell’atrofia, però diciamo che
sono forme poco comuni, e anche qui dobbiamo avere segni del II motoneurone che devono essere evidenti.
Schematizzando:
FORMA BULBARE: FORMA SPINALE:
 Disartria (mista) - segni di lesione del I e II con sensibilità
 Rinolalia, ipofonia (II motoneurone) - debolezza muscolare
 Disfagia, ipotrofia e fascicolazioni - debolezza, ipotrofia (II motoneurone)
linguali (II motoneurone) - fascicolazioni (II motoneurone)
 Deficit centrale motilità linguale - ROT vivaci, policinetici in distretti normali
(I motoneurone) o ipotrofici (I motoneurone)
 Sindrome pseudobulbare - ipertonia piramidale (I motoneurone)
(I motoneurone) - clono (I motoneurone)
 Riflesso masseterino vivace - Babinski (I motoneurone)
(I motoneurone)

In genere i distretti più colpiti sono i distretti distali, superiori o inferiori, ovviamente quando la malattia evolve
vengono ad essere coinvolti tutti i distretti, tranne i muscoli oculomotori, che si mantengono risparmiati fino alle fasi
terminali. In realtà si è visto che le persone mantenute in vita tramite ventilazione assistita, venivano a un certo punto
colpite anche nei muscoli oculomotori; mentre tra i muscoli assiali quello che è anche abbastanza caratteristico è la
testa cadente , c’è un deficit dell’estensore. La malattia è mortale, perché ad un certo punto colpisce i muscoli
respiratori, che soprattutto nella forma bulbare possono essere compromessi ancor prima della perdita della
deambulazione.
Descrizione di un tipico pz con SLA:
È possibile notare la tipica deambulazione steppante, la voce spastica, la lingua poco mobile, ma la vista è perfetta;
c’è il tipico riso spastico, e fascicolazioni della lingua (che spesso sono continue nel paziente, più o meno evidenti,
soprattutto con l’evoluzione della malattia, pur potendo rimanere focali, cioè non espandersi. Nella SLA spinale
sono più tipiche le fascicolazioni dell’interosseo. Nelle fasi molto avanzate possono scomparire, ma a quel punto la
malattia è più che conclamata); i riflessi sono asimmetrici, e poi c’è l’ingrandimento dell’area del riflesso, che si
evoca non più solo al punto tipico del tendine, ma anche più estesamente, altrove. Alle mani non c’è una vera atrofia,
ma c’è atrofia dell’interosseo che è caratteristica; segno di Hoffmann positivo, e c’è difficoltà a muovere le mani
proprio per il deficit dell’interosseo; quando valutate l’estensore dell’alluce, bisogna sempre verificare che il
paziente sia in grado di sollevare l’alluce (se vedo in un paziente con steppage, vivacità dei riflessi e Babinski,
significa che c’è lesione del I e del II motoneurone).
Oltre a questi aspetti clinici che sono caratteristici, ci possono essere i disturbi cognitivi. Una lieve compromissione
del distretto frontale è abbastanza frequente, ma ci sono delle situazioni, sia nei casi sporadici che familiari, di una
vera e propria Demenza, a configurare talvolta sindromi degenerative più complesse (ad esempio SLA-Demenza
complex di Guam: SLA + demenza + Parkinson). Come già detto più volte non c’è mai interessamento sensitivo,
come pure il dolore non è caratteristico, se c’è dolore è perché il paziente è allettato.
PROGNOSI
La sopravvivenza media è di circa 3 anni, i casi a sopravvivenza alta (massimo 10 anni) hanno una bassa percentuale,
del 4-10%.
Il fattore prognostico negativo è il tempo trascorso dai sintomi aspecifici (ad esempio le fascicolazioni) alla diagnosi.
Tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi passa circa un anno, e la sopravvivenza media da lì è di circa due anni. Quanto

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 47 A CURA DI ANDREA PERNA


più breve è il tempo trascorso tra i primi sintomi e la diagnosi, più sfavorevole è la prognosi, perché vuol dire che la
malattia è a decorso rapido. La causa del decesso è nella maggior parte dei casi l’insufficienza respiratoria , perché
nelle bulbari ci possono essere ad esempio polmoniti ab ingestis mortali.
Raramente può essere il primo sintomo, e tra i primi segni vi può essere l’ipercapnia al mattino, perché la notte in
fase REM tutti i muscoli si rilassano, anche quelli respiratori, e tipica è la ipercapnia mattutina , che dà cefalea,
sonnolenza, apatia e questo è indice di un’insufficienza respiratoria muscolare.
Altro problema è che il paziente non riesce a tossire, perché ha una debolezza di tutti i muscoli della gabbia toracica,
e il tutto complica la situazione respiratoria, favorendo le ab ingestis. Quindi a un certo punto si pone la problematica
della ventilazione assistita, se il paziente non viene ventilato muore. La ventilazione assistita è una decisione molto
difficile, che va presa con il paziente che deve decidere se farsi assistere o meno, anche perché la legge italiana poi
non consente di tornare indietro; ovviamente la malattia continua nel suo decorso, quindi sono pazienti che poi
diventano tetraplegici, per questo si tratta di scelte molto difficili, da prendere prima di arrivare allo stadio terminale.
DIAGNOSI
La SLA è una malattia progressiva. Per quanto riguarda la diagnostica comune, la neuroradiologia nella SLA è
negativa, si fa per escludere altre cause (ad esempio compressioni midollari, che spesso anche se rinvenute non
giustificano i sintomi e questi pazienti vengono sottoposti a interventi neurochirurgici non risolutivi). I criteri
utilizzati per la diagnosi di SLA sono criteri clinici ed elettromiografici; naturalmente occorrono evidenze di lesioni
ad entrambi i motoneuroni.
Dunque l’elettromiografia è utile perché mostra l’interessamento del II motoneurone, mentre i potenziali evocati
costituiscono un altro esame neurofisiologico che evidenzia l’interessamento del I motoneurone, soprattutto quando
questo non è molto evidente; e ovviamente non devono esserci segni sensitivi.
 Per giungere alla diagnosi di SLA certa , io devo avere un interessamento del I e del II motoneurone in
almeno due distretti spinali diversi e un distretto bulbare o tre distretti spinali .
 Per parlare di SLA probabile deve esserci l’interessamento dei due motoneuroni in soli due distretti, però
alcuni segni del I motoneurone devono essere rostrali ai segni del II motoneurone.

IPOTESI EZIOPATOLOGICHE
Ancora oggi non si è giunti ad alcuna precisa evidenza dimostrabile. Tra le varie ipotesi:
 VIRALE (per analogia alla poliomelite), ma non c’è stata alcuna evidenza di conferma;
 TOSSICA, riconducibile alla famosa Cycas Circinalis, una pianta tipica dell’Isola di Guam, ma anche qui
non c’è alcun reale riscontro;
 AUTOIMMUNE, ma tutti i tentativi di trattarla come una malattia autoimmune sono risultati vani;
 ALTERAZIONE DEI NEUROFILAMENTI, proteine essenziali per l’integrità degli assoni; tali alterazioni
sono presenti anche in alcune demenze, e non a caso alcune forme di SLA familiari presentano alterazioni
negli stessi geni che danno ad esempio alcune di queste demenze;
 TEORIA NEUROECCITOSSICA, è alla base del motivo per cui ancora si usa il riluzolo come terapia, che
è un antiglutammato.
In realtà è una MALATTIA MULTIFATTORIALE, per cui ci sono cause genetiche che poi si aggiungono a fattori
ambientali.
TERAPIA
Il 5-10% sono geneticamente determinate, il gene più frequentemente compromesso è quello della superossido
dismutasi, e con questo si è avanzata l’ipotesi di una azione tossica dei radicali liberi; perciò si usa il riluzolo, che è
un antiglutammatergico, perché l’eccesso di glutammato facilita la produzione di radicali liberi. Il riluzolo però è un
farmaco costoso, che comunque al massimo aumenta la sopravvivenza di pochi mesi.
In definitiva, la terapia non c’è, si usa solo convenzionalmente questo riluzolo che è un farmaco antiglutammato, e le
uniche manovre sono la PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) e il supporto respiratorio.
Per la gastrostomia quasi tutti si convincono, invece per la ventilazione assistita il 50% la accetta e l’altra metà la
rifiuta, anche perchè i pazienti tracheostomizzati al massimo possono vivere 3 o 4 anni.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 48 A CURA DI ANDREA PERNA


CAPITOLO 5

MALATTIE DELLA TRASMISSIONE NEUROMUSCOLARE: MIASTENIA GRAVIS

Malattie della trasmissione neuromuscolare:


 malattie etrogenee:
 congenite
 autoimmuni (Miastenia Gravis, sindrome di Lambert –Eaton)
 tossiche: tossine (botulino, veleno di serpente), farmaci e veleni (es. esteri organofosforici)

Le più comuni malattie neuromuscolari sono autoimmuni, ma ci sono anche malattie ad origine tossica e tra queste la
più comune è quella da tossina botulinica.
La giunzione neuromuscolare è il punto di contatto tra il muscolo e il nervo e può essere alterata a tre diversi livelli:
 pre-sinaptico
 sinaptico
 post-sinaptico

La Miastenia è la forma più frequente post-sinaptica, è legata ad anticorpi che sono diretti contro proteine della
membrana post-sinaptica.
La proteina più frequentemente interessata è quella del recettore dell’acetilcolina.
Una delle caratteristiche principali della malattia, oltre a quella di essere specificamente associata a degli anticorpi
caratteristici, è una frequente associazione alla patologia timica. Dal punto di vista clinico, a differenza di tutte le
altre patologie muscolari del sistema nervoso periferico, la caratteristica principale della Miastenia è l’esauribilità
neuromuscolare, ovvero i sintomi muscolari non sono persistenti, ma si accentuano con lo sforzo e infatti sono
tipicamente assenti o comunque più deboli al mattino dopo il riposo.

La MG è un disturbo autoimmune della giunzione neuromuscolare che si caratterizza per:


 presenza di auto-anticorpi contro proteine post-sinaptiche
 alta frequenza di associazione con patologia timica
 l’attacco autoimmune determina una ridotta risposta all’acetilcolina
Il target della malattia è quindi la placca neuromuscolare.
Fisiologicamente, per indurre una contrazione muscolare, è necessario un potenziale presinaptico, che determina
l’apertura delle vescicole pre-sinaptiche contenenti acetilcolina (Ach). Si induce così il rilascio di acetilcolina, che si
lega ai suoi recettori sul versante muscolare con induzione del potenziale di placca. Il potenziale di placca deve
arrivare ad una certa soglia per determinare l’apertura dei canali per il Na +, generando quindi il potenziale d’azione e
innescando così una cascata che porta alla contrazione muscolare.
I meccanismi di alterazione del recettore dell’acetilcolina possono essere diversi:
- può succedere che l’anticorpo, legandosi al recettore, blocchi il legame dell’acetilcolina con il suo recettore;
- può succedere che i recettori vengano distrutti tramite attivazione del complemento, e anche in questo caso il
legame viene bloccato perchè l’acetilcolina rilasciata non trova il suo corrispettivo recettoriale;
- può succedere che si realizzi un cross-link tra i recettori che vengono internalizzati e poi degradati.

Esiste un’altra proteina, verso cui recentemente sono stati identificati degli anticorpi responsabili della Miastenia, che
è la proteina MuSK. Questa è una chinasi muscolo specifica, che non è coinvolta direttamente nel legame recettoriale,
ma è necessaria per la formazioni ed il mantenimento dei cluster di AChR.
Ricapitolando:
I meccanismi per cui questo recettore può essere alterato sono: o il blocco funzionale del recettore, per cui di fatto il
recettore non viene alterato, ed è la condizione più favorevole per il paziente; oppure distruzione mediata dal
complemento degli stessi recettori, per cui può essere alterato o il numero o la morfologia; oppure la presenza degli
anticorpi fa sì che il recettore venga internalizzato e venga distrutto.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 49 A CURA DI ANDREA PERNA


Il potenziale di azione generato a livello
di placca, è proporzionale alle vescicole
di acetilcolina che vengono liberate e
decresce fisiologicamente. Con
l’esercizio fisico pur permanendo al di
sopra una certa soglia: nel soggetto
normale, anche con la riduzione delle
vescicole di acetilcolina, questo
potenziale di placca rimane sempre
sopra la soglia. Nella Miastenia invece,
con l’avanzare dell’esercizio il
potenziale di placca scende al di sotto
della soglia e non permette più l’avvio
del potenziale d’azione con conseguente
esauribilità muscolare. Al contrario delle
forme distrofiche dove troviamo un
muscolo debole che non riesce ad
effettuare il movimento nemmeno dopo
riposo prolungato, nella patologia
miastenica il muscolo è sano ma ha
esaurito la sua capacità motoria.
MG:
 85-90% dei pz con Miastenia generalizzata -> anti-AchR positivi
 10-15% dei pz con Miastenia generalizzata -> anti-AchR negativi
 40% di questi casi presenta anticorpi anti-MuSK (muscle specific tyrosine kinase)
 Nei restanti casi anti-AchR/ MuSK negativi
La maggior parte, l’85-90% dei pazienti con Miastenia generalizzata, e per Miastenia generalizzata si intende una
forma più grave, è associata agli anticorpi anti-AchR. Quindi vuol dire che il 10-15% sono quelli che fino a qualche
tempo fa venivano definiti siero nergativi. Di questo 10-15%, il 40% è associato ad anticorpi anti-MuSK e poi c’è una
bassa percentuale di pazienti in cui ancora non è stato identificato l’anticorpo, ma si comporta comunque come se
fosse una malattia autoimmune.

Sulla base clinica, la Miastenia si suddivide in cinque


gruppi. La forma oculare è la forma I ed è quella che I Miastenia oculare
dà soltanto problemi ai muscoli oculomotori. Per
quanto riguarda la forma generalizzata abbiamo i prevalentemente
sottogruppi II, III e IV, che si suddividono ancora in a
una forma prevalentemente assiale, ovvero che agli arti o assiale
colpisce gli arti e una forma prevalentemente bulbare. II Lieve
La forma V è quella che si manifesta con una grande prevalentemente
insufficienza respiratoria con necessità di intubazione. b
Infatti la parola “gravis” indica che è una malattia che bulbare
prima dell’inizio del trattamento può essere grave. La
gravità della malattia sta, non solo nelle manifestazioni prevalentemente
bulbari, ma anche nella difficoltà nel bere, nel parlare, a
ma soprattutto nella compromissione del muscolo Moderat agli arti o assiale
respiratorio. Questa compromissione può essere anche III
la prima manifestazione della malattia o si può
o prevalentemente
presentare quando si è già diagnosticata o si è già b
bulbare
cominciato un determinato percorso, ma comunque
determina la necessità dell’intubazione e quindi
dell’assistenza ventilatoria. prevalentemente
a
Nota: il pz con Miastenia Gravis ha bisogno agli arti o assiale
dell’assistenza respiratoria dopo l’anestesia, perché
alcune anestesie bloccano la trasmissione IV Grave prevalentemente
neuromuscolare e quindi tutti i pazienti miastenici che
devono fare un intervento hanno necessità di b bulbare con
un’assistenza e di un’osservazione nel post operatorio
perché hanno bisogno di un sostegno respiratorio nelle necessità di SNG
successive ore all’intervento.
EPIDEMIOLOGIA Insufficienza respiratoria con
prevalenza: 50-400 x milione
incidenza annuale: 2,5-20 x milione
necessità di intubazione,
V
2 picchi di esordio: (eccetto quando impiegata nella
 20-40 anni (M/F=1:3)
 60-80 anni (M/F=1,5:1)
routine post-operatoria)
È una malattia rara, ma non rarissima, ha due picchi

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 50 A CURA DI ANDREA PERNA


d’esordio: uno tra i 20 e i 40 anni e uno tra i 60 e gli 80 anni. Le forme oculari sono associate per il 50% agli
anticorpi anti-recettore, mentre il restante 50% preserva ancora la sieronegatività. Per la forma generalizzata, invece,
l’85% dei pazienti possiede gli anti AchR, il 7% gli anti-MuSK, l’8% è detto siero negativo, semplicemente perché
ancora non si è identificato l’anticorpo.
C’è un’associazione molto importante della Miastenia e le malattie timiche.
Il timo è un sito di immunizzazione, le cellule miodi timiche e le cellule epiteliali della midollare timica presentano
un mRna simile a quello dell’AchR. La presenza del timo quindi, mantiene e sostiene la Miastenia. La timectomia è
considerata infatti, come una possibile terapia, nel caso in cui ci sia la presenza di anticorpi anti recettore. Nulla ha a
che vedere quindi il timo con le forme con anticorpi anti-MuSK. Non è detto che ci debba essere un timoma, può
essere anche un timo iperplastico, il meccanismo tramite cui sostiene la patologia è lo stesso. Ovviamente il timoma è
di per sé un’indicazione alla rimozione, e proprio per questo, la miastenia solitamente viene indicata come una
patologia paraneoplastica. Il timoma è presente del 10-15% di Miastenia Gravis e la miastenia gravis è presente nel
40-45% di timoma.
Il timoma è un tumore relativamente poco aggressivo perché è locale, però può infiltrare i tessuti circostanti, dando
casi di metastasi oltrepassanti non solo il mediastino, ma addirittura il diaframma.
Miastenia oculare:
VI. I muscoli oculare estrinseci hanno un’alta capacità ossidativa e un’alta resistenza alla fatica: le
miofibre hanno un’innervazione multipla
VII. Preferenzialmente colpiti nella miastenia e nelle miopatie mitocondriali
VIII. Nella MG sono spesso interessati sia all’esordio che successivamente nel corso della malattia
Ritornando alla clinica, la miastenia oculare è quella forma che colpisce il distretto oculare e in particolare i muscoli
oculomotori, che sono costituiti da unità motorie molto piccole che hanno un’alta capacità ossidativa e una marcata
resistenza alla fatica. Proprio per questo sono i bersagli più colpiti in due tipi di patologie: le patologie mitocondriali
e la miastenia (in genere vanno in diagnosi differenziale). La differenza principale è che la lesione miastenica oculare
è nella maggior parte dei casi fluttuante e asimmetrica, con un diverso coinvolgimento dei muscoli oculomotori tra i
due lati e con una ptosi palpebrale asimmetrica. L’asimmetria infatti è molto più comune delle patologie miasteniche
rispetto a quelle mitocondriali. Purtroppo la maggior parte delle miastenie oculari rimane tale. L’interessamento
asimmetrico dei muscoli oculomotori determina inoltre diplopia, che non è costante nella sua entità ma è mutevole
nel tempo perché il disturbo degli oculomotori varia nel tempo e varia anche in base allo sforzo. La miastenia oculare
anche se non è una patologia particolarmente grave, a meno che non generalizzi, può essere comunque una patologia
molto invalidante perché limitante per il soggetto (basti pensare a scrivere, leggere, guidare la macchina, ecc.).
Un supporto, in questo caso, può essere dato tramite l’anticolinesterasico che blocca l’acetilcolinesterasi che scinde
l’acetilcolina nella placca, le permette così di permanere più a lungo all’interno e quindi compensare entro certi limiti
il fatto che il recettore sia bloccato o ridotto. La malattia oculare, così può rimanere tale, ma spesso evolve verso la
forma generalizzata entro i primi 3 anni. La forma oculare risponde poco ai farmaci anticolinesterasici utilizzati per la
terapia della miastenia (farmaco più comune è il Mestinon), perché la correzione sui muscoli oculomotori dovrebbe
essere simmetrica e contemporanea su tutti e sei i muscoli oculomotori.
Miastenia generalizzata:
 Difetto di forza distale e prossimale degli arti
 Deficit assiale (interessamento muscoli del collo)
 Rinolalia, disfagia, difficoltà nella masticazione
 Crisi miasteniche con insufficienza respiratoria
 Muscoli bulbari e assiali sono prevalentemente colpiti nelle forme a esordio tardivo
 LA DEBOLEZZA MUSCOLARE È FLUTTUANTE
La forma generalizzata si differenzia nelle forme che colpiscono la muscolatura assiale e gli arti e le forme che
colpiscono il distretto bulbare. A livello bulbare può dare: disfonia, disfagia, voce nasale, disturbo ai muscoli
masticatori, disturbi della motilità linguali. A livello della muscolatura assiale in particolare colpisce i flessori e gli
estensori del capo con comparsa della “testa ciondolante”, caratteristica comune anche alla SLA e alla
dermatomiosite (È tipico di questi pazienti mantenersi la testa), si può riscontrare inoltre un deficit degli arti a livello
prossimale ma soprattutto della muscolatura semi distale (estensori comuni delle dita).
Le forme più gravi sono quelle che danno insufficienza respiratoria e che possono dare delle crisi miasteniche ovvero
dei peggioramenti acuti o in pazienti all’esordio della malattia o in pazienti già in trattamento.
L’insufficienza respiratoria è quindi l’evento più grave che si possa verificare in questa malattia. Il deficit assiale e
bulbare è più comune nelle persone anziane, mentre il deficit prossimale è più comune nelle forme più precoci.
Importante sottolineare che tutti questi sintomi sono fluttuanti.
Miastenia anti-MuSK:
9. 5%di tutti i casi di MG
10. 40-45% dei casi di MG generalizzata AchR negativa
11. La sintomatologia è spesso grave, con elevata frequenza di deficit bulbari (>90%) e crisi respiratorie
(>40%)
12. Spesso deficit permanenti nel distretto cranio-bulbare (mm. Mimici, disartria) e atrofia (mm. Facciali e
lingua)
13. Minori fluttuazioni giornaliere
14. Scarsa sensibilità ai test diagnostici
15. Non evidenza di iperplasia timica o timoma
La miastenia con anticorpi anti-MuSK, è sempre caratterizzata da deficit muscolare, ma in questa forma prevalgono i
deficit bulbari, con frequenti crisi respiratorie. I pazienti anti-MuSK sono pazienti miastenici a tutti gli effetti, ma si

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 51 A CURA DI ANDREA PERNA


differenziano in alcune situazioni: hanno minori fluttuazioni giornaliere dei sintomi e rispondono meno agli
anticolinesterasici, infatti, anche al massimo del trattamento rimangono dei danni permanenti a carico dei muscoli del
distretto cranio – bulbare. La differenza abissale rispetto alle altre forme però è l’assente correlazione con l’iperplasia
timica o il timoma, per cui in questi pazienti non è indicata la timectomia.
Miastenia sieronegativa:
 6-10% dei casi di MG generalizzata
 50% dei casi di MG oculare
 Sintomatologia clinica per lo più indistinguibile dalla MG tipica
Esiste poi la miastenia sieronegativa, in cui non troviamo né gli anti-AchR, né gli anti-MuSK e ci sono delle forme
generalizzate sieronegative, che rispondono alla terapia, più o meno come la miastenia classica. Tuttavia questi casi
possono essere ancora più difficili da diagnosticare perché oltre a non avere anticorpi, possono non rispondere bene
agli anticolinesterasici o i classici test diagnostici possono essere negativi. Il quadro sintomatologico è simile a
quello della miastenia tipica e può essere presente anche iperplasia timica.
DIAGNOSI
 Test al Tensilon: miglioramento dei sintomi dopo iniezione di un farmaco anticolinesterasico ad azione
rapida
 Elettromiografia: disturbo della trasmissione neuromuscolare -> decremento del potenziale d’azione
muscolare composto (CMAP) alla stimolazione nervosa ripetitiva sopra massimale (SRS) a bassa frequenza
 Sintomatologia suggestiva: esauribilità muscolare
 Sierologia: Dosaggio degli anti-AChR e anti-MuSK

Per fare diagnosi si fa il test al Tensilon (un anticolinesterasico). Il Tensilon è un farmaco che permette di valutare
l’effetto dopo pochi secondi, però è possibile utilizzare anche il Mestinon che ha lo stesso effetto in 30 min.
Inizialmente il Tensilon veniva considerato come un farmaco miracoloso, perché riusciva in pochi secondi a
migliorare significativamente la sintomatologia del paziente. Il problema è che la sua efficacia dura pochissimi
minuti, perciò non può essere utilizzato in terapia, ma continua ad essere utilizzato come test diagnostico indicativo
per la Miastenia, perché è l’unica patologia a rispondere in maniera così efficace alla somministrazione. Ha però degli
effetti collaterali a livello cardiaco.
- La base diagnostica della miastenia si trova nelle tecniche elettrofisiologiche e in particolare si utilizza
l’elettromiografia tramite la stimolazione nervosa ripetitiva sopra massimale (SRS). In particolare vediamo che nel
soggetto normale si ha una decremento inferiore al 10% del potenziale d’azione muscolare composto (CMAP) alla
stimolazione nervosa ripetitiva sopra massimale (SRS) a bassa frequenza, nella persona affetta il potenziale cade più
del 10%.
- Le stimolazioni ripetitive sopra massimali sono essenziali nella diagnosi dei disturbi della trasmissione
neuromuscolare, non soltanto della miastenia, ma anche in malattie post sinaptiche e malattie tossiche come il
botulismo e l’intossicazione da fosfati organici.
- Il terzo metodo per avere la certezza della malattia è la positività agli anticorpi. La miastenia associata agli anticorpi
anti MuSK è più grave, si associa più frequentemente a disturbi bulbari e a disturbi respiratori. Mentre la miastenia
sieronegativa, quindi anti-AchR negativa e anti-MuSK negativa assomiglia di più alla forma classica.
TERAPIA
Per quanto riguarda la terapia, si utilizzano gli anticolinesterasici e il farmaco più comunemente usato è il Mestinon.
È una terapia che si può assumere per via orale. Fu ideata nel 1934, è una terapia sintomatica (questi farmaci non
curano la patologia ma alleviano soltanto i sintomi tramite l’inibizione dell’acetilcolinesterasi che prolunga il tempo
di permanenza del neurotrasmettitore a livello della placca neuromuscolare), che però non riesce a curare il paziente.
È necessario quindi utilizzare altri farmaci: i farmaci immunosoppressori (anche perché il controllo della malattia con
i soli anticolinesterasici l’otteniamo solo nel 20% dei casi).
Bisogna prestare attenzione alle dosi eccessive di farmaco: il Mestinon ad alte dosi può dare delle crisi colinergiche
(aumento motilità intestinale fino alla diarrea, eccesso della salivazione, crampi) e quindi dare un peggioramento dei
sintomi miastenici: questo avviene soprattutto nei pazienti anti-MuSK positivi che rispondono poco agli
anticolinesterasici e possono avere soltanto gli effetti collaterali senza benefici.

MG: terapia anticolinesterasici:


 Inibiscono la degradazione dell’Ach
 Terapia sintomatica (se impiegati come unico farmaco -> controllo della malattia solo nel 20% dei casi)
soprattutto nei pazienti anti-MuSK
 Effetti muscarinici e crisi colinergiche
Immunosoppressori:
 Necessari nel 70-80% dei pz
 Inibiscono la proliferazione linfocitaria e la produzione di anticorpi
 Corticosteroidi (Prednisone, prednisolone)
 Farmaci citostatici ( azatioprina, micofenolato, ciclofosfamide, metotrexate)
 Inibitori della calcineurina (ciclosporina A, tacrolimus)
 Rituximab (anticorpo monoclonale anti-CD20)
Un approccio correlato al timo nel trattamento è la timectomia. La timectomia si fa più frequentemente nei pazienti
che hanno positività per gli anticorpi anti-recettore e non si fa né in persone troppo anziane, né in persone troppo
giovani. L’introduzione dei corticosteroidi nei pazienti miastenici, deve tenere presente sempre che, rispetto a tutte le
altre malattie neurologiche, qui utilizziamo una dose di attacco. Nella miastenia si comincia a basse dosi, perché

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 52 A CURA DI ANDREA PERNA


l’inizio del trattamento nella malattia può addirittura peggiorare la sintomatologia. L’inizio del trattamento va sempre
fatto quindi in ospedale sotto monitoraggio.
Un supporto terapeutico molto importante è la terapia a breve termine che consiste nella somministrazione di
Immunoglobuline endovena e nella Plasmaferesi. Le immunoglobuline agiscono in maniera competitiva con gli
anticorpi dannosi, mentre la Plasmaferesi si effettua togliendo gli anticorpi patogeni dal circolo. Sono due procedure
più o meno equivalenti effettuate di solito nelle crisi miasteniche e nelle fasi iniziali dove la malattia si presenta in
forme molto gravi in cui è utile un effetto immediato per portare rapidamente il paziente in condizioni tali da
affrontare la timectomia.
Queste ci servono durante una crisi miastenica, quando il paziente, seppur in terapia peggiora e all’inizio della
terapia, quando questa è particolarmente grave. Hanno efficacia immediata. Questa terapia a breve termine è
utilizzata anche nelle donne in gravidanza che non possono fare terapia immunosoppressiva.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 53 A CURA DI ANDREA PERNA


CAPITOLO 6

MALATTIE CEREBROVASCOLARI

Secondo la OMS l'ictus è definito come: “presenza di segni clinici focali conglobali, di tipo neurogeno che
evolvono molto rapidamente, che perdurano per più di 24h o portano a morte, senza altra apparente causa che
non sia un'origine vascolare.”

Quello che viene invece definito Attacco Ischemico Transitorio (TIA) normalmente è qualcosa di simile al precedente
ma che ha una durata definita nel tempo ( limitata a 24h). Quindi la definizione di TIA sarà: “segni neurologici
focali o diffusi a inizio acuto che in genere hanno una durata breve, talvolta molto breve, anche di pochi minuti
ma in genere mai superiore a 24 ore” . È importante questa distinzione perché se è stato un vero TIA non troveremo
nessun tipo di lesione e quindi ci sarà un recupero clinico completo.

EPIDEMIOLOGIA
Lo stroke, con tutto quello che ruota attorno ad esso è uno dei cardini della neurologia perché continua ad essere,
purtroppo, in tutto il mondo non solo in Italia, la terza causa di morte ed è tutt'ora la prima causa di invalidità
permanente anche importante, seria.
L'incidenza in genere è attorno ai 2 casi su 1000 l'anno in Italia.
Le malattie cerebrovascolari sono malattie molto frequenti.
Dal punto di vista epidemiologico, nell’ambito delle patologie di tutto il sistema cardiovascolare, le malattie
cerebrovascolari rivestono un ruolo consistente; sono considerate la terza causa di morte nel nostro Paese.
Ogni anno abbiamo circa 200.000 ictus: l’80% di questi sono diagnosi ex novo, mentre il 20% è dato da pazienti
soggetti ad episodi di recidiva.
Con l’avanzare dell’età, aumenta di molto la frequenza di queste malattie: in genere, al di sopra dei 75 anni, il 75%
dei soggetti può essere interessato da malattie cerebrovascolari, in particolare l’ictus, il quale ha una mortalità in fase
acuta (ovvero legata ai primi 30 giorni) di circa il 30%. Il restante 70%, rappresentato dai pazienti che sopravvivono
all’evento acuto, diventa un paziente con una sintomatologia cronica.
Sono malattie che lasciano il paziente invalido, infatti circa il 40% dei pazienti colpiti da eventi di tipo ictale, ha
come residuo un’invalidità di tipo motorio e/o sensitivo, talvolta anche di tipo cognitivo molto grave.
C’è una prevalenza un po’ più alta nel sesso maschile rispetto al femminile; prevalenza che si inverte con l’avanzare
dell’età.
Con il passare degli anni è sicuramente migliorata la capacità diagnostica nei confronti di queste malattie, per due
motivi: il primo è dovuto al fatto che sono disponibili tecniche diagnostiche sempre più precise e accurate; il secondo
è correlato all’età del paziente: più aumenta l’età media della popolazione, più sarà facile avere a che fare con eventi
del genere.

FATTORI DI RISCHIO
I fattori di rischio per la malattia cerebrovascolare (ed in generale per tutte le malattie vascolari) si possono
suddividere in fattori modificabili e non. Possiamo agire ovviamente sui fattori di rischio modificabili, quali per
esempio:
 Fumo
 Ipertensione arteriosa ( fattore di rischio maggiore)
 Dislipidemia
 Iperglicemia
 Obesità
 Alcol
 Inattività fisica
 cardiopatie ischemiche
 valvulopatie mitraliche
 endocarditi
 aritmie
 fibrillazione atriale
Il fattore di rischio “età” è ovviamente un fattore non modificabile.
Lo stesso pregresso TIA o lo stesso pregresso ictus rappresentano fattori di rischio. Almeno per un'epoca di alcuni
anni in cui la possibilità di averne un secondo, che in genere sarà peggio del primo, è più elevata nella popolazione
generale.

ANATOMIA DEL SISTEMA VASCOLARE CEREBRALE


Dal punto di vista anatomico, il nostro sistema cerebrale è irrorato da una struttura molto importante che è il poligono

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 54 A CURA DI ANDREA PERNA


di Willis ( che assicura un collegamento e quindi consente l'attivazione di una serie di circoli di compenso. Questi
sono importantissimi e riducono in modo significativo la severità, in alcuni casi perlomeno, del quadro finale clinico
neurologico grazie all'attivazione in acuto o più facilmente in cronico ), formato da una porzione anteriore, i cui
maggiori fornitori sono le arterie carotidi, e una porzione posteriore, data dal sistema vertebro-basilare; circolo
anteriore e circolo posteriore sono anastomizzati grazie alle cosiddette arterie comunicanti.
Ovviamente possiamo avere anche eventi cerebrovascolari nella porzione extracranica, ovvero nelle porzioni di
carotidi o del sistema vertebro-basilare, che non sono ancora andate a formare il poligono, che possono determinare
eventi cerebrovascolari che ci interessano. Se, per esempio, abbiamo una qualche patologia che porta a stenosi di una
porzione della carotide interna che impedisce il flusso a livello cerebrale (stenosi emodinamicamente significativa,
cioè che almeno il 70-80% del flusso ematico cerebrale è inibito), potremmo avere a valle del punto occluso, una
serie di problemi dal punto di vista clinico, che possono sfociare in una lesione focale cerebrale.

Per quanto riguarda i territori di irrorazione delle arterie cerebrali anteriore, media e posteriore (rami che partono
sempre dal poligono di Willis) possiamo dire che:

 A. Cerebrale Anteriore: irrora la porzione cerebrale che sovraintende alla regolazione dell’arto inferiore
(porzione antero-mediale degli emisferi);

 A. Cerebrale Media: Arto superiore e volto (porzioni laterali degli emisferi); essa è suddivisa, a sua volta, in
una porzione superiore e una inferiore;

 A. Cerebrale Posteriore: irrora la parte parieto-occipitale dell’encefalo, che riguarda le nostre funzioni
visuo-percettive, visuo-spaziali.
Il grosso degli accidenti cerebrovascolari avviene a livello della circolazione carotidea, quindi diciamo due terzi a
carico della circolazione carotidea ed un terzo a carico del circolo posteriore.

METABOLISMO ENERGETICO
Il tempo che intercorre tra la riduzione marcata o l'assenza di perfusione ed il danno irreversibile è molto breve.
Anche perché, pur costituendo solo una piccola parte della massa del nostro corpo, il cervello riceve una parte molto
significativa, il 15% del sangue che il cuore pompa. Consuma circa 1\5 dell'ossigeno presente nel nostro organismo e
il 25% di glucosio. Quindi è una struttura ad alto consumo energetico che ha bisogno in continuazione di ricevere
zucchero e ossigeno. Il problema è che non ha depositi energetici. Riceve e consuma energia in continuazione, quindi
se l'approvvigionamento energetico ad un certo punto fallisce il danno è purtroppo immediato o quasi immediato ed è
in sostanza perenne.

In un cervello adulto in condizioni normali il consumo di ossigeno è di 170 mmol per grammo al minuto e il glucosio
30 mmol per grammo al minuto. A livelli normali il flusso ematico, ricordate questo numero, è di circa 55 ml per
ogni 100 g di tessuto al minuto da cui si estrae il 50% dell'ossigeno ed il 10% del glucosio arteriosi . Vedremo
che questo numero quando scende sotto valori tra 20 e 30 provoca danni importantissimi e quando scende sotto valori
fino a 10 ml provoca la morte definitiva del tessuto cerebrale che non riceve circolazione.

EMODINAMICA CEREBRALE
Il cervello è dotato di meccanismi di protezione, primo fra i quali un meccanismo di autoregolazione.
Classicamente il nostro cervello riesce a mantenere un flusso ematico costante anche al variare molto serio dei valori
di pressione arteriosa. Tra una pressione arteriosa media di 70 mmHg ed una pressione media di 160 mmHg, la
pressione di perfusione cerebrale rimane sostanzialmente stabile. Purtroppo questa capacità di autoregolazione ha dei
limiti ed al di sotto di 60 mmHg ed al di sopra di 160 mmHg abbiamo o la rottura della barriera ematoencefalica o
comunque la perdita della regolazione ed una gravissima ipoperfusione.
Tutto questo si gioca sulla capacità di gestire il diametro arteoriale. Quindi di ridurre l'impatto di un aumento di
pressione o di facilitare la circolazione del sangue al diminuire della pressione arteriosa mantenendo la perfusione a
livello del tessuto sostanzialmente stabile.
Ci sono tanti meccanismi che determinano l'autoregolazione cerebrale. Alcuni sono sotto il controllo nervoso diretto,
perché la muscolatura delle tonache delle arterie cerebrali è sotto il controllo diretto nervoso e quindi può essere
autoregolata.
Ci sono però anche fattori biochimici a livello endoteliale che di volta in volta vengono messi in gioco per regolare le
dimensioni.
Poi ci sono aspetti anche metabolici che riguardano la pCO2, che riguardano la presenza di tutta una serie di sostanze
circolanti e anche di neurotrasmettitori i quali possono in qualche modo contribuire al mantenimento o alla
sregolazione dei meccanismi di autoregolazione del flusso cerebrale.
Ci sono delle equazioni che permettono di calcolare il flusso ematico regionale conoscendo la pressione di perfusione
cerebrale e le resistenze cerebrovascolari regionali che si oppongono alla medesima.

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 55 A CURA DI ANDREA PERNA


rCBF = CPP \ rCVR
rCBF: flusso ematico regionale
CPP: pressione di perfusione cerebrale
rCVR: resistenze cerebrovascolari regionali

Tutto ciò non è affatto banale perché noi abbiamo situazioni intermedie che ci danno quel lasso di tempo, quella che è
la finestra temporale, importante per quanto riguarda la terapia, è importantissima.
È vero che il nostro cervello dopo pochissimi minuti di perdita di perfusione ematica muore, ma è altrettanto vero che
questo quasi mai si instaura. C'è un lungo periodo di ipoperfusione o di “misery perfusion” degli anglosassoni che
dura anche diverse ore. Per cui, se si riesce ad intercettare il paziente per tempo ed intervenire in quella finestra
temporale, i dati epidemiologici ci dicono che ci sono ampi territori di tessuto che sono ampiamente recuperabili che
significa una qualità di vita molto diversa rispetto a quando non sono recuperabili.
Il tessuto cerebrale quando riceve meno di 20 ml\100g\min a incontro a morte e naturalmente, più si scende sotto
questo valore tanto più rapida ed irreversibile è la morte neuronale, al contrario tanto più si va vicino o al di sopra di
questo valore tanto più si allunga quella finestra temporale che permette un recupero, almeno parziale del tessuto
dormiente.

Nelle prime fasi dello stroke, esiste un core, un nucleo centrale nella zona ipoperfusa che va incontro a morte rapida
ma attorno c'è un territorio di situazione grigia, gli inglesi la chiamano “la bella addormentata”, quindi i neuroni che
sono funzionalmente non funzionanti, silenti, ma ancora vivi, possono essere risvegliati da parte del principe cioè dal
ritorno del flusso e della fornitura di ossigeno e di zucchero.
- Quando ci avviciniamo attorno ai 20 ml di flusso cerebrale regionale comincia ad essere compressa la funzione
elettrica, infatti se si fa un EEG (elettroencefalogramma) in quel momento si inizia a vedere presenza di attività lenta
che è segno di lesione, segno di sofferenza neuronale.
- Se il flusso scende intorno ai 15 ml questa attività tende alla isoelettrica, quindi al silenzio elettrico vero e proprio. -
Se si scende sotto i 10 ml di flusso si assiste all'uscita di potassio, all'ingresso di tanta acqua ed alla morte della
cellula.

Il meccanismo della cascata che porta alla morte definitiva:


- un'alterazione della catena energetica; blocco delle proteine di membrana accumulo di Ca++ intracellulare e
disfunzione delle pompe sodio potassio;
- un'alterazione dei canali che permettono il passaggio di ioni: di sodio, potassio e calcio;
- un aumento progressivo della quantità di calcio intracellulare;
- la formazione di edema citotossico, l'attivazione di radicali liberi, quindi l'ossigeno singoletto che provoca danno;
- attivazione delle fosfolipasi e il rilascio di NT, soprattutto di glutammato che essendo un neurotrasmettitore di tipo
eccitatorio se in eccesso diventa eccitotossico e quindi provoca una morte dei neuroni che scaricano in eccesso.

PENOMBRA ISCHEMICA e FINESTRA TERAPEUTICA


Quando si interviene dopo le 4 ore e mezza noi accompagniamo l'evoluzione naturale dell'ictus soprattutto
incrociando le dita, perché a quel punto le cose possono andare soltanto nella direzione che la provvidenza o madre
natura hanno deciso, senza nessun intervento medico significativo.
In caso di ischemia cerebrale locale, ci sono della aree, normalmente circostanti l'arteriola che è stata occlusa dal
trombo, che vengono private completamente di qualsiasi irrorazione ematica e quindi di supporto di ossigeno e di
glucosio.
Ma nel contempo, quasi sempre, soprattutto se il soggetto è un soggetto anziano in cui la pressione arteriosa elevata e
la presenza di microtrombi è una cosa che è andata avanti progressivamente negli anni, si sono attivati nel tempo dei
circoli collaterali i quali mantengono in vita dei gruppi di neuroni intorno all'infarto cerebrale.
Oggi si ritiene che fino a 4 ore e mezza siamo ancora in tempo per fare qualcosa, in bambini molto piccoli si arriva
fino alle 6 ore, ma è il tempo limite entro il quale intervenire perché anche questi neuroni attorno alla zona d'infarto
iniziale poi muoiono.
Quindi la “penombra ischemica” l'abbiamo in quei casi in cui c'è ancora un flusso molto debole, che se viene
arricchito rapidamente porta al recupero, invece se rimane tale porta alla morte.

LA RIPERFUSIONE
La riperfusione è la presenza in una percentuale non banale di casi di riperfusione naturale, spontanea, con
meccanismi che conosciamo poco.
Ad un certo punto il trombo che si è formato si lisa da solo, ritorna il sangue e il sintomo scompare senza alcun tipo
d'intervento.

DIASCHISI
Significa che se un'area del cervello che è sottoposta ad un'aggressione vascolare smette di funzionare, non
soltanto le funzioni governate principalmente da quell'aria saranno deficitarie ma saranno deficitarie anche

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 56 A CURA DI ANDREA PERNA


alcune altre funzioni sostenute da circuiti di cui quell'aria è una parte integrante . Per cui, ci sono altre aree che
sono in rete con quella danneggiata, queste altre aree non sono danneggiate esse stesse ma diventano ipofunzionanti
perché il flusso d'impulsi, che passa attraverso il nodo che l'area danneggiata rappresenta è meno valido. In genere
questi sintomi di diaschisi sono sintomi temporanei perché il cervello mantiene una sua alta plasticità ed una capacità
di vicariare. Quindi, man mano che l'area danneggiata viene sostituita da altre aree, il circuito iniziale ricomincia a
funzionare e questi sintomi aggiuntivi si risolvono.

EDEMA
Quando si va incontro all'edema maligno si fa un tipo di terapia “eroica” in cui si apre la testa alla persona, si da
libero sfogo al cervello che esce fuori come un “cavolfiore” violento, si allarga come un pallone, perché ha bisogno di
spazio e dentro al cranio, che è un contenitore rigido, non lo trova. Oppure il paziente è destinato a morire. A volte
muore nonostante la craniotomia terapeutica.
L'edema è legato al fatto che l'acqua esce dallo spazio extracellulare ed entra nelle cellule in modo massivo,
accompagnato dall'ingresso di calcio e di sodio e sin dai primi minuti si comincia a rigonfiare il cervello. Ciò
comporta un aumento significativo di pressione intracranica che comporta un danno successivo.
Man mano che la pressione intracranica aumenta, la zona colpita e le zone limitrofe, a causa dell'aumento di
pressione intracranica vanno in ipoperfusione. Poichè le arteriole vengono compresse, passa meno sangue e quindi c'è
un ulteriore insulto legato al danno da edema.
L'edema vasogenico in genere viene più tardivamente, è provocato dall'alterazione vasale della barriera
ematoencefalica, dalla vasodilatazione successiva e in genere si vede nelle zone più periferiche del territorio
infartuato.

MECCANISMI ICTUS ISCHEMICO

1. Le tromboembolie : Sono lesioni aterosclerotiche, soprattutto quelle presenti nei vasi del collo, quelle che più
frequentemente causano ipoperfusione ed immissione in circolo di micro o macro trombi. La formazione della placca
è legata a tanti fattori: uno sicuramente è quello genetico, ma ci sono fattori di rischio dal diabete al fumo all'obesità,
all'alcool, che aumentano in modo anche esponenziale questo rischio.
Naturalmente le caratteristiche anatomiche sono importanti; nei punti di biforcazioni o nei punti in cui l'arteria
compie anatomicamente una curvatura a raggio abbastanza stretto il sangue rallenta, si formano anche delle
turbolenze di circolo e sono punti in cui più facilmente si depositano sostanze che vanno pian piano ad aderire alla
parete arteriosa e da qui a facilitare la formazione di placche stenosanti.
Ci sono anche dei punti, ed il collo è uno di questi, in cui facilmente si possono subire dei microtraumatismi che
possono facilitare la formazione di placche o la formazione di fissurazioni all'interno della parete delle arterie che
porteranno poi ad una dissecazione dell'arteria stessa.
Ci sono anche dei macrotraumi. Non è infrequente incontrare persone, anche giovani, che hanno avuto una
dissecazione di un'arteria del collo, della carotide ad esempio, a seguito di un trauma della strada, di un trauma
sportivo, di un trauma di qualche tipo. Il trauma che va a colpire il collo direttamente danneggia la parete dell'arteria,
dentro questa fissurazione inizia ad inserirsi del sangue sotto pressione che pian piano slamina i tessuti che formano
la parete arteriosa, fino a che questa provoca una ostruzione della medesima.

2. La tromboembolia aterosclerotica: I tubi che rappresentano le nostre arterie, quelli che irrorano il nostro cervello
in particolare, sono dei tubi intelligenti e ricchi di tante sostanze. Prima di tutto c'è tutta una tonaca muscolare che
determina, anche in termini di autoregolazione il diametro. Ma abbiamo anche una continua migrazione di leucociti,
perché questi intervengono in situazioni di infezione, quindi devono essere trasportati attraverso il flusso ematico da
una parte all'altra del corpo, quindi è necessaria una certa permeabilità endoteliale. Le cellule endoteliali manifestano
anche una certa capacità di far aderire leucociti, calcio, colesterolo per cui, nel tempo, si possono cominciare a
formare queste aggregazioni che aggettano nel lume vasale e che nel tempo possono anche portare ad una sua totale o
parziale occlusione.
Per quanto riguarda le carotidi, per esempio, si è visto che per stenosi che stanno sotto il 70-65% si può mantenere
soltanto una terapia medica, che normalmente è quella che tende a ridurre l'aggregazione piastrinica e quindi a
rendere più fluido il sangue facilitandone il circolo. Se però si va sopra questi valori rimane soltanto la rimozione
chirurgica, l'asportazione, la rimozione di questo “tappo” che tende ad ostruire il passaggio di sangue.
Naturalmente tutte le placche non sono uguali.
Ci sono delle placche che sono ad altissimo contenuto di calcio, molto compatte, molto omogenee e che se non sono
stenosanti.
Ci sono invece delle placche che sono omogenee, che sono friabili, per cui è molto facile che si possano totalmente
rompere con immissione massiva o parziale nel tempo di parti delle medesime placche che diventano altrettanti
emboli.

La formazione di trombi può essere un'altra modalità che può portare all'ischemia cerebrale, il trombo si accresce fino

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 57 A CURA DI ANDREA PERNA


ad occludere completamente il vaso, il trombo si propaga inizialmente fino a occludere vasi che partono dalla
trombosi iniziale, oppure si frammenta dando dei microemboli distali.

3. “artery-to-artery”: da origine ad una embolizzazione da arteria ad arteria ed è quello più frequentemente


responsabile dell'occlusione completa ed improvvisa della cerebrale media che è quella che purtroppo è una delle
situazioni più frequenti e disastrose. Purtroppo nel territorio di vascolarizzazione della cerebrale media si ha
l'homunculus sensori-motorio, quindi ci saranno sempre e comunque problemi di emiparesi o emiplegia e per quanto
riguarda l'emisfero sinistro, all'interno dello stesso territorio, ci sono alcune aree che controllano il linguaggio e
quindi ci saranno anche disturbi molto seri del controllo del linguaggio all'interno della grande famiglia della afasie.

4. Embolia cardiogena: anche il cuore è un'altra sorgente che in una percentuale non banale, soprattutto nei giovani,
può essere sorgente di microembolizzazione. In genere perché o c'è un forame ovale pervio e c'è la possiblità di un
collegamento, di un passaggio tra le due camere atriali destra-sinistra oppure per la presenza di disturbi del ritmo.
- Situazioni ad alto rischio . Il rischio è altissimo quando avete: una protesi valvolare; una fibrillazione atriale
parossistica non nota; un'endocardite batterica; un infarto del miocardio pregresso, soprattutto se sulla zona infartuata
si sia formato o meno un aneurisma nella parete vascolare dentro il quale si può essere formato del deposito, della
vegetazione, da cui sotto contrazione si possono staccare degli emboli; presenza di cardiopatia congenita etc.
- Situazioni a basso rischio : FA isolata; malattia del nodo SA; sindrome di WPW; tachicardia parossistica
ventricolare; valvulopatie aortiche; placche calcifiche dell'aorta ascendente; prolasso mitralico; endocarditi; difetti
atrio e ventricolo settali; pervietà del forma ovale; dilatazione atriale sinistra; mixoma; aneurisma ventricolare
sinistro; fistola AV polmonare.

PATOLOGIA DELLE PICCOLE ARTERIE CEREBRALI


Il tipo di lesioni ischemiche che noi possiamo trovare, lenticolo-striate, talamo perforanti o perforanti del tronco
cerebrale, in genere danno origine a piccoli infarti che vengono definiti “lacune” sono dei veri e propri piccoli buchi
all'interno del cervello del vostro paziente. Spesso sono clinicamente silenti nonché reperto accidentale in caso di
esami di neuroimaging per altra causa
- Anche le vasculiti cerebrali sono non frequentissime ma nemmeno tanto rare. Si accompagnano a numerose
malattie e possono essere causa di ischemia cerebrale. In questo caso facilmente anche a carico della popolazione
giovanile. Quindi se ci sono patologie autoimmuni, in cui una vasculite diffusa o più o meno diffusa, è parte
integrante bisogna sempre tenere la guardia alta perché le vasculiti cerebrali possono dare dei danni molto molto
importanti. Alcune vasculiti sono primariamente a livello dei vasi extra cranici, altre invece sono a livello dell'arco
aortico, altre invece sono più specifiche del circolo cerebrale.
- Traumi e sezioni vasali: le ferite, soprattutto nella regione del collo, le fratture delle vertebre cervicali, le
manipolazioni incongrue di osteopati, di fisioterapisti, può succedere che si “pizzichi” un'arteria vertebrale, quindi
provochi una lesione della parete e che questo possa portare ad una dissecazione.
- Le brusche trazioni del collo: non è banale che arrivi un paziente che vi dice che mentre stava mettendo un libro
nella sua biblioteca con il collo iperesteso o stava attaccando una lampadina al lampadario sul soffitto, ad un certo
punto ha sentito una fitta al collo ed ha perso forza molto rapidamente ad un lato del collo. Anche in quel caso è un
traumatismo compressivo su un'arteria dovuto ad un passaggio della medesima molto vicino o a contatto con una
struttura ossea.
- Dissecazioni possono essere spontanee, qui ci sono in genere situazioni di displasia o di connettivopatie che sono
alla base di questo aumentato rischio oppure, come vi dicevo prima, da traumatismi micro ripetuti oppure da
traumatismi importanti a seguito di incidenti stradali o del lavoro, quello che sia.
- Le malattie ematologiche, naturalmente, possono portare ad un aumento della viscosità ematica. Faccio un cenno a
quelle situazioni di doping in cui vengono usati dei farmaci, sostanzialmente l'eritropoietina. che aumenta la quantità
di globuli rossi e aumenta gli ematocriti in modo clamoroso per facilitare sforzi muscolari al di fuori delle capacità
del soggetto. Un esempio tipico è quello dei ciclisti che spesso pompano sangue densissimo che, oltre a sfiancare
rapidamente il loro cuore, può facilmente provocare anche problemi di circolazione cerebrale e quindi non è raro in
questa popolazione, che è una vera e propria popolazione a rischio, che l'aumento di viscosità ematica determinato da
uso improprio di queste sostanze aumenti il rischio di queste malattie.
- Malattie ematologiche anche con una componente di predisposizione genetica. Le incontriamo spesso negli
stroke dei giovani ed in particolare delle donne. In questi casi spesso facendo uno screening per le eventuali
coagulopatie trovaimo la presenza di pattern alterati come per l'antitrombina III, gli anticorpi anti fosfolipidi, il fattore
V di Leiden, etc. Sono tutti pattern che aumentano il rischio circolatorio, evidentemente non solo a livello cerebrale
ma anche a livello di tutti gli altri organi.
- Lo spasmo cerebrale , rimane un meccanismo quasi esclusivamente per l'emorragia subaraconoidea nella quale il
vasospasmo, al di là dell'emorragia, è l'evento più temibile, perché il vasospasmo induce progressivamente una
olighemia nelle strutture limitrofe a dove c'è stata una fuoriuscita di sangue.
- Meccanismi emodinamici quando si verifica una stenosi o una occlusione le regioni più distanti dall'occlusione
sono le prme che vengono danneggiate, perchè lì il sangue nona arriva o arriva in quantità assolutamente

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 58 A CURA DI ANDREA PERNA


insufficiente. Questo però ha una progressione disto-prossimale perché il problema alla fine si esprime in tutta la
regione che è irrorata dal vaso colpito.

L'emorragia cerebrale è molto molto temibile, più dell'ischemia perché ci si muore di più e si muore prima.
All'esordio è inizialmente non tanto distinguibile se non nella sua rapidità. Mentre nell'ischemia il sintomo
progredisce lentamente, nell'emorragia il sintomo compare molto rapidamente, talvolta in modo tragico, molto spesso
accompagnato da sintomi violentissimi quale può essere una cefalea mai avvertita dalla persona.

In genere ci sono delle aree che sono maggiormente a rischio e sono quelle cosiddette “tipiche” e sono normalmente a
livello del putamen, dei gangli della base e comunque delle strutture profonde: il nucleo lenticolare, il talamo, la
capsula interna.
Esse sono nutrite da arteriole di piccolo diametro le cui pareti sono
molto più sottili, queste arteriole quando sono raggiunte dall'impatto di
una pressione arteriosa sistolica eccessivamente elevata si rompono,,
riversando grosse quantità di sangue in una sede dove sono
impacchettate, in modo molto denso, moltissime fibre nell'arco di pochi
millimetri o pochi centimetri quadrati. Il danno è quasi sempre molto
molto serio. Anche se c'è da dire nell'emorragia la prognosi immediata per
quanto riguarda la vita è molto peggiore, muoiono di più, ma la prognosi
finale per coloro che sopravvivono è decisamente migliore, perché
normalmente, man mano che il sangue si riassorbe, alcuni dei neuroni o
molti dei neuroni che “dormicchiavano” attorno alla zona di pressione si
risvegliano spontaneamente perché la zona di pressione si autorisolve.
Ci sono poi, naturalmente, quelle anche in zone atipiche, queste sono
legate molto spesso alla presenza di malformazioni, quali: aneurismi,
angiomi, malformazioni arterovenose, tumori e quant'altro. In questo
caso vedete un'immagine molto temibile, quando si vede su un'immagine
tanto sangue nei ventricoli, con dei livelli nei corpi occipitali, tanto
sangue anche in corteccia, si vedono i solchi pieni di una marezzatura bianco\grigia, è tutto sangue. Queste sono
immagini che quasi sempre sono incompatibili con la sopravvivenza. Nell'arco di poche ore purtroppo il paziente
purtroppo ci lascia e non c'è modo di operare.

ANATOMIA PATOLOGICA
Dal punto di vista anatomo-patologico possiamo individuare queste caratteristiche:
- Rammollimento del tessuto cerebrale colpito dall’evento vascolare acuto, che comporta la perdita di colore, perciò il
tessuto risulterà pallido; d’altra parte,invece, il tessuto si può presentare fortemente colorato (rosso) perché magari, a
livello della lesione, c’è stata una lisi dell’embolo che ha causato la patologia e quindi si verifica una raccolta di
sangue all’interno della sede infartuata.
- Grandezza: le dimensioni della lesione in genere oscillano tra 1,5 e 3 cm di diametro,ma talvolta possono interessare
buona parte dell’emisfero. Bisogna sottolineare che le dimensioni della lesione non sempre sono correlate all’entità
del danno: ci sono delle lesioni molto piccole che hanno importantissime conseguenze dal punto di vista clinico (sono
delle situazioni che hanno a che fare con quello che veniva chiamato “infarto strategico” ).
Tra i fenomeni legati ad un infarto recente ricordiamo:
16. Necrosi del tessuto per mancato apporto di ossigeno e glucosio
17. Vasoparalisi da accumulo di acido lattico
18. Edema: nei primi 2 giorni è citotossico intracellulare e coinvolge gli astrociti, dal terzo giorno per le
due settimane successive è vasogenico extracellulare.

CLASSIFICAZIONE
 Sindromi lacunari (dalle slide: lacunar syndromes o LACS)
 Sindromi del ricircolo posteriore (posterior circulation syndromes o POCS)
 Sindrome completa del circolo anteriore (total anterior circulation syndrome o TACS)
 Sindrome parziale del circolo anteriore (partial anterior circulation syndrome o PACS)

DISTRETTI VASCOLARI

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 59 A CURA DI ANDREA PERNA


 Arteria carotide interna
• Arteria cerebrale media
(nell’immagine: rosso)
• Arteria cerebrale anteriore (blu)
• Arteria corioidea anteriore
 Sistema vertebrobasilare
 Arterie vertebrali
 Arteria basilare
 Arterie cerebrali posteriori (verde)

In modo molto grossolano:


 Lobi frontali: a. cerebrale anteriore
 Lobi occipitali: a. cerebrale posteriore
 Lobi parietali: in parte a. cerebrale media, in parte a. cerebrale posteriore
 Lobi temporali: a. cerebrale media

OMUNCOLO MOTORIO E SENSITIVO


Ogni area del nostro corpo si
organizza nel nostro cervello a
cavallo del solco centrale.
Abbiamo la parte deputata al
controllo motorio e quella
deputata al controllo sensitivo.

Le conoscenze riguardanti
quest’argomento non sono
vecchissime, risalgono a studi
fatti negli anni ‘30, su soggetti
svegli sottoposti a interventi
neurochirurgici. In questi studi
venivano studiate le sensazioni e i movimenti indotti da stimolazioni sul cervello; in particolare si segnavano con dei
pezzetti di carta assorbente sterile i punti del corpo il cui controllo sensitivo-motorio risultava alterato dopo
asportazione o rimozione chirurgica di parti del cervello.

Da questi studi è venuto fuori che abbiamo grossolanamente un omunculus motorio. In realtà i singoli muscoli sono
rappresentati in aree diverse della corteccia motoria in quanto concorrono a molti diversi movimenti, quindi possono
essere primi attori in certi movimenti e invece trovarsi in seconda fila per altri movimenti e quindi avere più punti di
rappresentazione in diverse zone della corteccia motoria. L'omunculus è tipicamente dismorfico.
Tutto questo ha finalità evolutive, infatti l’uomo nei suoi primi anni esplora l’ambiente con la bocca, poi ovviamente
crescendo la bocca non serve più per esplorare ma serve per sviluppare il linguaggio per l’articolazione dell’eloquio,
per esprimere emozioni.
È naturale che se abbiamo delle lesioni piccole su un’area dove sono rappresentate grosse parti del corpo queste parti
verranno coinvolte in modo grossolano.

SISTEMA CAROTIDEO
L’immagine mostra il sistema carotideo.
Nei cerchietti sono indicati i punti dove
più frequentemente si formano circoli
collaterali, che permettono, anche in caso
di stenosi importanti, il mantenimento di
un flusso sufficiente e quindi la non-
comparsa di sintomi.
Tra la carotide interna e l’esterna il
circolo collaterale si stabilisce attraverso
i vasi dell’orbita (ex. oftalmica laterale).
Tra la carotide esterna e la vertebrale il
circolo collaterale si ha tramite il
poligono di Willis.

1-CAROTIDE INTERNA
Se il circolo collaterale compensa bene i
sintomi non compaiono, quando compaiono possono essere dovuti, a seconda delle loro caratteristiche, soprattutto

PATOLOGIA STITEMATICA DEL SISTEMA NERVOSO 60 A CURA DI ANDREA PERNA


temporali, ad attacchi ischemici transitori (TIA) oppure a infarto ischemico o emorragico. Le cause di disturbi
ischemici sono legate a fenomeni di embolismo arterioso in cui un embolo che si stacca da una certa sorgente va in
giro finché non