JONES
© 2011 by SLY70
EDITRICE NORD
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COSMO serie Oro - Classici della fantascienza - Volume n. 195 - Aprile 2002
Pubblicazione periodica registrata al Tribunale di Milano in data 2/2/1980, n. 53
Direttore responsabile: Gianfranco Viviani
Titolo originale
MAN OF TWO WORLDS (RENAISSANCE)
Traduzione di Ugo Malaguti
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INTRODUZIONE
di Ugo Malaguti
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poneva tematiche quali le mutazioni e l’influsso dell’ambiente
sulle forme di vita, tematiche che sembrerebbero ricavate da
qualche avanzato manifesto ecologista di oggi: c’era un magico
impasto di fantasia, di capacità di sognare e far sognare, una
complicità totale tra autore e lettore che permetteva al secondo
di sospendere l’incredulità destata da azzardate ipotesi scientifi-
che o parascientifiche, e imponeva al primo di mantenere una
logica ferrea all’interno della propria storia, in modo che i pre-
supposti dai quali l’opera partiva, per quanto azzardati, non fos-
sero mai traditi o contraddetti nel successivo svolgimento della
vicenda.
Tra questi nomi mitici e conosciutissimi ancora oggi, si inne-
stano poi altri autori, considerati a volte un gradino più sotto,
ma che in realtà non hanno nulla da invidiare ai classici del pe-
riodo. In Italia poi, dove per lunghissimi anni si sono sottovalu-
tati o ignorati scrittori di primissima schiera, quali Henry Kutt-
ner o Leigh Brackett, si sono dimenticati a lungo capolavori e
scrittori che in realtà hanno contribuito come e più di certi loro
prolifici colleghi a portare avanti questa letteratura, a perfezio-
narne gli schemi, a tracciarne le mappe, le “nuove mappe
dell’inferno” esplorate all’inizio degli anni’50 in modo brillante
ma parziale e superficiale da Kingsley Amis in un suo famosis-
simo saggio.
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anche se negli ultimi anni si sono fatti grandi passi avanti nella
riscoperta e nella rivalutazione di una fucina d’idee e di talenti
quale non si è riscontrata se non raramente in nessun periodo
storico.
Jones appare per la prima volta, come autore di fantascienza,
sulle pagine di Astounding Science Fiction, durante i cosiddetti
Anni d’Oro che videro comparire quasi contemporaneamente i
nomi che abbiamo già citato e altri, quali Theodore Sturgeon, L.
Ron Hubbard, Ray Bradbury, in una parola, i padri fondatori
delle correnti e delle tendenze della fantascienza moderna. Il
suo racconto d’esordio, nel 1941, si chiamava Test of the Gods,
fu accolto da consensi discreti, che ben presto si trasformarono
in un notevole favore dei lettori, a mano a mano che Jones ap-
pariva con sempre nuovi racconti, quasi tutti basati su una nuo-
va ipotesi scientifica adattata a un’atmosfera psicologica parti-
colare, un connubio che dava a ogni storia un sapore diverso e
affascinante.
Come molti autori del periodo, balzò compiutamente alla ri-
balta con il suo primo romanzo, che la critica considera il suo
migliore, e che produsse una vera e propria sensazione nel
mondo della science fiction. Pubblicato a puntate nel 1944, ven-
ne poi completato e arricchito per l’edizione in volume, che ap-
parve nel 1951 e diventò in breve un best seller dell’epoca. Par-
liamo di Renaissance, che diventò in volume Man of Two
Worlds, il grande classico che potete trovare proprio in queste
pagine.
Si tratta indubbiamente di un capolavoro dell’epoca, della te-
stimonianza del momento indimenticabile nel quale il gusto per
l’avventura e per l’intreccio che aveva dominato la fantascienza
degli anni ’30 matura e risente delle sollecitazioni tecnologiche
e psicologiche che daranno vita alla fantascienza che noi cono-
sciamo meglio. Un’opera travolgente, nella sua complessità e
nei suoi personaggi, dove si professa una fiducia sconfinata
nell’Uomo e nelle macchine, una concezione ottimistica che
sorprende ancor di più pensando che il libro è stato scritto nel
periodo della Seconda Guerra Mondiale, il periodo della paura,
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il periodo nel quale l’energia atomica era ancora considerata
l’arma assoluta, ma l’orrore del conflitto soffocava l’ottimismo e
la speranza che gli scrittori di science fiction avevano sempre
manifestato nel futuro dell’uomo.
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te deluso vorrebbe bruciare il mago e lo stregone che lo ha in-
gannato).
Lasciamo al lettore il piacere di individuare le mille idee, i
mille spunti, a volte appena accennati, altre volte tratteggiati in
modo robusto, che sono stati ripresi in seguito da autori famosi
come Clarke, van Vogt e tantissimi altri. Sarà un gioco piacevole
all’interno di un’esperienza più che divertente, perché, malgra-
do la sua mole, Man of Two Worlds, o Renaissance, se preferi-
te, è un romanzo di altissima leggibilità, avvincente, gradevole
ed emozionante, romanzo di evasione ma anche poderoso affre-
sco non privo di riflessioni su di un futuro assolutamente biz-
zarro e su mondi comunicanti all’interno di altri mondi… quello
che si può chiedere di più a un romanzo di fantascienza.
L’opera di Jones non si compone solo di questo romanzo, è
chiaro: altre ed eccellenti prove ha saputo dare negli anni ’40 e
’50, e dopo un lungo silenzio negli anni ’60, ha ripreso a lavora-
re attivamente negli anni ’70, scrivendo libri bellissimi come il
già ricordato The Cycle of Eden, anche se la lunga malattia lo
aveva in un certo senso minato, impedendogli di lavorare più
assiduamente e di partecipare agli onori che proprio in quel pe-
riodo venivano tributati agli scrittori classici di fantascienza che
finalmente entravano nella considerazione critica e letteraria di
un mondo editoriale fino ad allora molto avaro nei loro confron-
ti.
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e ha risentito ben poco del passare del tempo. Come il romanzo,
uno dei più nobilmente impegnati a dimostrare l’importanza di
una fratellanza galattica scritti da questo grande autore del qua-
le meriterebbero di essere ristampati non solo questo capolavo-
ro assoluto, ma anche altri libri originali, ben costruiti, e soprat-
tutto pieni di idee che sorprendono ancora oggi.
Ugo Malaguti
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CAPITOLO PRIMO
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teristiche, i desideri, le necessità, i bisogni e le passioni, e inte-
grarsi così con le migliaia di altri che vivevano nella città.
La piena integrazione dei fattori forniti dalle migliaia di ma-
trici formava una volontà integrata… la volontà: la legge di Kro-
nweld. Il risultato poteva venire letto su monitor e su grafici,
come se l’intera città fosse composta da un singolo individuo.
La Karildex era, di conseguenza, la legge e il governo, e rap-
presentava l’amministrazione. Qualsiasi cittadino che deside-
rasse conoscere gli effetti di un’azione presa in esame doveva
semplicemente preparare una scheda, inserirla nella macchina e
confrontarla con la direzione generale della volontà collettiva di
Kronweld. Di conseguenza, ogni infrazione alla legge veniva
eliminata prima che potesse addirittura iniziare.
Era questo che il solitario individuo che interrogava la Karil-
dex stava facendo, mentre Ketan sedeva nella sua postazione di
tecnico addetto alla macchina, e registrava nervosamente le ma-
trici dopo che durante la giornata le aveva rivedute per adattarle
agli standard codificati che solo così la macchina poteva integra-
re.
Ma era troppo nervoso per continuare quel lavoro, così ci ri-
nunciò dopo avere commesso tre errori. Si alzò e rimase immo-
bile, accanto alla torreggiante macchina, spostando il peso del
corpo da un piede all’altro. Passò le sue dita forti e affusolate sul
fianco della macchina, e pensò a Elta, che avrebbe visto tra po-
co… e al Maestro Daran, il grande Maestro, con il quale avrebbe
avuto in incontro, quella stessa sera.
Bruscamente, la luce della postazione della lontana tastiera si
spense e la figura dell’importuno ricercatore scomparve lenta-
mente attraverso le ampie porte dell’edificio. Solo il chiarore
delle fioche lampade del soffitto e delle luci verdi della macchi-
na rimasero a illuminare la sala. Entrambi i soli erano tramon-
tati, lasciando a rischiarare il cielo soltanto la luce purpurea e
ondeggiante che veniva dalla Landa dei Mille Fuochi.
Ketan allora si mosse verso la figura che attendeva
all’estremità opposta della sala. L’altro si avvicinò a suo volta,
uscendo dall’oscurità.
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– Che cos’hai scoperto, Branen? – gli domandò subito Ketan.
– Nulla. Ho lavorato sulla tastiera per tutto il giorno, fino a
farmi dolere le dita. Qualsiasi argomento collegato alla doman-
da sul Tempio della Nascita ha un indice superiore a cento: as-
solutamente proibito. L’indice sale costantemente a ogni ulte-
riore domanda. Scommetto che le nuove matrici che hai regi-
strato oggi hanno portato un altro incremento di almeno un de-
cimo di punto. È un’impresa senza speranza.
– Conosco benissimo l’indice – esclamò con impazienza
Ketan. – Ma la cosa non è affatto senza speranza. Ce la faremo.
Vieni qui, e lascia che ti mostri il motivo per cui ho richiesto la
tua presenza.
Lo guidò rapidamente oltre la macchina, in una nicchia se-
minascosta. In essa si trovava il quadro di comando principale,
al quale avevano accesso soltanto i membri del Primo Gruppo.
Le sue multiple file di tasti situate su banchi semicircolari si in-
nalzavano fino alla portata massima di un braccio. In cima ai
banchi gli schermi degli indicatori erano disposti ad arco, e
creavano una specie di volta che racchiudeva come una conchi-
glia l’intricata tastiera. Solo dopo lunghi tara di esperienza un
uomo poteva riuscire a impratichirsi nel suo uso.
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identico. Ora osserva cosa succede se trasformiamo il fattore,
passando alle piante e agli animali.
Quasi trattenendo il respiro, Branen osservò. Era una linea di
ragionamento che lui non aveva seguito: attese che l’indice
comparisse sullo schermo.
– Novanta – ansimò. – Be’, questo…
– Ricorda, adesso, che abbiamo sempre presente il fattore
costituito dal Tempio della Nascita, nell’integrazione principale.
E adesso, supponiamo di toglierlo.
– Non puoi farlo. È impossibile.
– Perché pensi che esista il quadro di comando principale?
Perché pensi che quelli del Primo Grappo lo tengano sigillato?
– Ma distruggerai l’integrazione. Il fattore è registrato.
Quando si scoprirà che i termini del problema sono stati cam-
biati…
– Non cambierà nulla. Sto isolando un circuito mnemonico
separato, nel quale tutti i fattori dipendenti dall’esistenza del
Tempio della Nascita sono momentaneamente annullati. Leggi
l’indice!
Uno per uno, Branen lesse gli indici mentre Ketan elaborava i
vari dati togliendo a essi il fattore dato dal Tempio della Nascita.
– Venticinque, sedici, nove! – esclamò. – Possiamo investi-
gare.
– Sì, se questa integrazione rappresentasse il vero stato delle
cose – disse Ketan. Rimise a posto la sequenza dei fattori per-
turbati, e riordinò la posizione dei tasti sulla tastiera. Sostituì il
complicato sigillo, in modo che la sua intrusione non potesse
mai essere scoperta, poi fece cenno a Branen di seguirlo nella
sala principale.
– Ti ho chiesto di venire stasera – disse lentamente Ketan –
per mostrarti questo, e per istruirti a prendere il mio posto tra i
Non Registrati… se dovesse accadermi qualcosa.
– Perché dovrebbe accaderti qualcosa? Non sei…? – comin-
ciò Branen.
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– Penso che sia giunto il momento di provare le nostre forze.
Se non verrà fatto qualche passo avanti al più presto, i Non Re-
gistrati spariranno e il nostro obiettivo sarà perduto per sempre.
– Ma tu sei il solo a essere impaziente – protestò Branen. –
Gli altri Non Registrati sono ben lieti di attendere fino a quando
la situazione non diverrà più promettente.
– Non diverrà più promettente! Non diventerà mai promet-
tente, se non forzeremo noi il corso degli eventi! – Il pugno di
Ketan si abbatte sul fianco della Karildex. I suoi occhi si fissa-
rono sulle tenebre che avvolgevano l’estremità opposta della
sala.
– Immagina – mormorò. – La superstizione, la falsa cono-
scenza, la degenerazione mentale… tutte queste iniquità sono
diventate così grandi, che i nove decimi dei problemi che ora
possiamo affrontare ci vengono preclusi perché il popolo di
Kronweld crede che essi siano riservati al Dio. Quelli tra noi che
rifiutano di registrare le loro Ricerche presso il Consiglio dei
Ricercatori devono lavorare nelle tenebre, in luoghi nascosti, e
celarsi come se fossero declassati.
– Anche noi lo saremmo… se venissimo scoperti.
– Branen, è questo che cerco di dirti: è venuto il momento in
cui i Non Registrati devono uscire dalle loro tane, dai loro labo-
ratori nascosti, a proclamare il loro diritto di ricerca sui Misteri
la cui esistenza sia ovvia… il Mistero del Tempio della Nascita, il
Mistero del Grande Confine, il Mistero della Landa dei Mille
Fuochi. Queste cose non devono esserci precluse. Non dobbia-
mo andare a supplicare una congrega di vecchi baffuti e di vec-
chie avvizzite per fare una Ricerca su un Mistero. Il solo diritto
che essi hanno su di noi per impedircelo è basato su false inte-
grazioni inserite nella Karildex.
«Questo significa che è venuto il momento di sradicare que-
ste false integrazioni. Il momento di mostrare all’intera Kron-
weld il frutto del nostro lavoro.
– Non possiamo osare! – ansimò Branen.
– No… noi non oseremmo – disse amaramente Ketan. –
Noi… e con questo “noi”, intendo parlare di gran parte dei Non
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Registrati. Ma io sì. Io sto per correre il rischio. Sto per dire al
Consiglio dei Ricercatori… nel corso di una udienza pubblica…
che io ho scoperto il segreto della creazione della vita.
– Ti declasseranno!
– Che lo facciano… se ne avranno il coraggio, dopo quanto
avrò mostrato loro.
Branen osservò con silenziosa ammirazione l’alta figura slan-
ciata del suo capo. Guardò i suoi occhi luminosi e la mascella
ferma, che non ammetteva esitazione alcuna, una volta scelta la
sua linea di condotta.
Scosse tristemente il capo:
– Non potrò mai prendere il tuo posto. Tu sei così sicuro.
Sembra che tu conosca la tua meta, senza avere mai alcun dub-
bio. Dici che cinquecento tara di tradizioni di Kronweld posso-
no essere distrutti in un solo giorno, e lo affermi con la facilità
che useresti per ordinare il pranzo a un pannello. Devo essere
onesto con te. Nessuno dei Non Registrati crede che tu possa
riuscire nella sfida ai metodi di Kronweld… sebbene tu sia quasi
riuscito a persuadermi.
– Ecco perché tu sei l’unico al quale posso offrire il mio po-
sto, nel caso mi accada qualcosa. Certo che esiste un pericolo.
Non voglio minimizzarlo. Lo so che attaccare il Tempio della
Nascita significa scherzare con la più potente forza esplosiva di
Kronweld. Ma esso deve essere distrutto. Ogni frammento della
sua influenza deve essere spazzato via dalla nostra esistenza. Se
io fallirò, tu proseguirai il lavoro dei Non Registrati… fino a
quando la situazione diverrà più propizia. Sei d’accordo?
– Lo farò – promise solennemente Branen. – Lo farò. – Poi
domandò: – Qual è il tuo piano?
– Il Maestro Daran mi ha chiesto di andarlo a trovare, stase-
ra. Lo provocherò in modo da fargli redigere una lamentela con-
tro di me. Questo mi darà l’opportunità di chiedere un’udienza
pubblica.
– Non sarà difficile provocare il Maestro Daran. È sempre
stato sul punto di ordinare una lamentela nei tuoi confronti,
quasi dal primo momento in cui ti ha conosciuto.
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– Lo so. Se fallisco, troverai tutti i miei appunti, e il materia-
le, nel laboratorio nascosto, sotto la mia casa. Sai dove si trova-
no. Prendili e usali. Continua il lavoro dal punto in cui io mi so-
no fermato. Ecco tutto.
Un attimo d’incertezza fece assumere una strana espressione
al volto di Branen. Ma non disse altro. Si voltò, e se ne andò.
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CAPITOLO SECONDO
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zava, Ketan rimase immobile, come ipnotizzato dall’ondata di
attenzione che la figura avvizzita domandava.
Era come le foglie secche che venivano trascinate dal vento
sui prati di fronte all’edificio. I suoi capelli erano scompigliati e
ondeggianti, come una massa di tentacoli viventi nelle tenebre
della notte. E lo scialle nero, caratteristico del vecchi quando i
loro corpi diventavano troppo deformati dall’età per sopportare
la rivelatrice funzionalità degli abiti consueti, sembrava un su-
dario che l’avvolgesse.
Puntò su di lui un dito nodoso e gracchiò una sola parola: –
Aspetta!
Non era una domanda. Era un ordine.
– L’edificio è stato appena chiuso per la notte. È troppo tardi
per compiere qualsiasi ricerca, stasera. – La voce di Ketan
mancava di convinzione.
– Non provarci! Conosco i regolamenti che governano l’uso
della Karildex. Fammi entrare!
Era nel suo pieno diritto. Ketan imprecò tra sé e premette i
pulsanti che aprivano le grandi porte.
– Ci sarebbe molto più tempo domani – suggerì.
– Non per me… non per me – mormorò la vecchia. – Aiuta-
mi a salire questi scalini.
Le prese la mano, e gli sembrò di sollevare il ramo cavo di un
albero secco. Era leggerissima. Capì che nelle sue parole c’era
una profezia… non c’era molto tempo per lei… no, non c’era
molto tempo. Un’idea sollevò in lui una ondata di compassione,
perché la tragedia dell’invecchiamento e della morte era la tra-
gedia suprema, tra tutte quelle esistenti, per Ketan.
– Qual è l’oggetto della tua ricerca? – domandò, ansioso di
riscattarsi della sua iniziale scortesia, e di liberarsi della vecchia
il più presto possibile. – Forse potrei aiutarti alla tastiera.
– Non è affar tuo – esclamò lei. – La cosa riguarda solo me.
La risposta fece scomparire l’ondata di simpatia che Ketan
aveva provato per lei. La lasciò sola non appena fu entrato, e
andò a sedersi al suo posto di tecnico. Non accese neppure la
sua luce di posizione ma sedette nel buio, osservando il lontano
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lucore che illuminava le sottili spalle rinsecchite della vecchia
piegata sulla tastiera.
Si chiese cosa cercasse. Perché era venuta sola e di notte ad
attingere alla riserva di sentimenti e desideri di tutta Kronweld?
Quale differenza avrebbe potuto esserci, per lei o per Kronweld,
nella scelta di quella creatura avvizzita in qualsiasi problema
che si trovasse davanti a lei?
L’attenzione di Ketan, quasi controvoglia, si concentrò sulla
vecchia. Per un istante, non fu in grado di spiegare che cosa
avesse attirato la sua attenzione, ma subito si rese conto che era
stato il ticchettio veloce provocato da una rapida successione di
tasti schiacciati.
Di solito, un ricercatore lavorava lentamente, e mentre pre-
meva i tasti, sollevava frequentemente lo sguardo sui quadranti
e sui grafici per interpretare i risultati ottenuti. Invece la vecchia
stava battendo sulla tastiera con il tocco e la rapidità di un tec-
nico provetto. Ketan non aveva mai visto uomo capace di batte-
re così velocemente sulla tastiera. Si chiese se la vecchia stesse
semplicemente premendo dei tasti a casaccio, o se fosse effetti-
vamente impegnata in una ricerca.
In quell’istante la sua voce gracchiante ruppe il silenzio della
sala deserta.
– Ketan!
Lui sobbalzò.
Poi, lei chiamò, ma questa volta con tono sommesso, e la vo-
ce divenne quasi carezzevole:
– Ketan!
Un brivido gli percorse la spina dorsale… come aveva fatto a
sapere il suo nome? Lo aveva forse trovato nel Karildex?
La donna si alzò e si diresse sicura nell’oscurità verso Ketan.
Lui allora accese la luce della sua postazione, e le chiese: –
Hai terminato?
Ho soltanto incominciato – disse piano lei. – Devo lavorare
sul quadro di comando principale.
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Il quadro principale? E impossibile. Solo i membri del l’i imo
Gruppo e quelli del Consiglio dei Ricercatori possono accedervi.
Non è di uso comune.
Tu l’hai usato proprio questa sera – disse lei. – Hai alterato
l’integrazione principale del Tempio della Nascita e del Confine.
Poi hai ristabilito i fattori originali. Forse nessuno lo avrebbe
scoperto, ma io sì. Ti dispiacerebbe che il Primo Tecnico ne ve-
nisse a conoscenza, vero?
Gocce di sudore imperlarono la fronte di Ketan. Chi era
quell’insidiosa vecchia? La simpatia diventò paura e odio. Non
poteva correre il rischio di trovarsi coinvolto in una faccenda del
genere, ora che aveva preso la decisione di parlare al Consiglio
dei Ricercatori.
– Che cosa vuoi? – disse con voce soffocata. – Chi sei?
– Tu hai pensato di salvare Kronweld da se stessa; dal suo
lento disfacimento che la porterà alla morte… come vorrei fare
io stessa. E questo sarebbe bene, ma il nemico che tu pensi di
conoscere è ben misero… una cosa ridicola… in confronto al ve-
ro nemico che insidia Kronweld, e di cui tu non sai nulla. Dam-
mi quella tastiera!
– Non ne hai il diritto.
– Devo averlo. – Il suo tono era deciso, come se fosse abitua-
ta a comandare e farsi ubbidire.
– Qualcuno potrebbe venire…
– Nessuno verrà. Nessuno viene mai a quest’ora di notte.
Dammi quella tastiera!
La vecchia gli si avvicinò. I suoi occhi verdi e lampeggianti ri-
flettevano la luce del visore con un’intensità che provocò un al-
tro brivido a Ketan.
Allora si alzò come un automa e si diresse verso la nicchia si-
gillata nella quale riposava la tastiera principale. Le sue dita
premettero la combinazione proibita, che egli non avrebbe do-
vuto conoscere, e la nicchia si aprì.
– Ah… così va bene – mormorò la vecchia.
Ketan imprecò, sapendo di essersi comportato da idiota. Co-
me era riuscita a scoprire che lui aveva alterato i fattori
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dell’integrazione principale? I circuiti mnemonici avrebbero
dovuto essere perfetti. Lui era sicuro di avere riportato
l’integrazione ai valori normali. Era impossibile scoprire la sua
manipolazione. Eppure quella vecchia lo aveva fatto.
In quel momento, sotto le dita della donna, cominciò a sgor-
gare una debole musica, fatta di mille ticchettii di tasti. Le sue
mani si muovevano così rapidamente che era ormai impossibile
distinguere lo scatto di ogni tasto. I suoni si confondevano in un
ronzio continuo e monotono, che veniva interrotto solo quando
la vecchia si fermava per osservare lo schermo.
Ketan osservava, affascinato e incapace di agire. Dopo diversi
minuti di concentrazione, capì che la vecchia aveva modificato
l’integrazione principale, fino a farle assumere una forma quasi
del tutto irriconoscibile. Pregò in silenzio che fosse capace, in
seguito, di riportare alla normalità i singoli fattori che aveva
alterato, altrimenti sarebbe stato il caos… non solo per Ketan,
ma per l’intera Kronweld.
Bruscamente, la musica monotona dei tasti cessò, e la vec-
chia si rivolse a Ketan:
– Tu sei l’unico – mormorò lei. – Non possono essercene al-
tri. – Lo fissò come se per mezzo dei suoi occhi potesse rivelar-
gli l’anima, e fu una lunga, muta supplica.
– Che cosa vuoi dire?… – cominciò lui.
Ma lei si voltò rapidamente e il suo sguardo affondò nel vuo-
to.
– Tre persone devono morire… – disse in un mormorio quasi
inudibile. – Tre devono morire.
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CAPITOLO TERZO
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– Controlla.
Si mise davanti al monitor di ricerca che si trovava sulla pa-
rete, e premette i tasti che corrispondevano all’indice rappre-
sentato dalla cifra sconosciuta. Da una fessura avrebbe dovuto
uscire una striscia con la definizione appropriata.
Invece uscì una striscia bianca.
– Vedi? – esclamò la vecchia. – Ora quest’altra.
Apparve un altro numero sconosciuto.
– Che significa? Come facevi a saperlo? – domandò Ketan,
con tono teso. – Non può non esistere un significato. Deve es-
serci un errore da parte della macchina.
– Un errore da parte della Karildex? – La donna rise cupa-
mente. – Quante volte ti sei vantato della sua perfezione? No…
non ci sono errori. Adesso guarda questo.
Un altro codice, completamente differente, apparve sul vi-
deo. Ketan capì subito che era stato preso dalla matrice del
Maestro Daran, il più grande matematico della Casa della Sag-
gezza. Osservò la fila degli indici dei fattori. Erano centinaia, e
tra essi, tre risultarono sconosciuti.
– Vedi… per quanto abbiano cercato di eliminarli dalle ma-
trici, hanno fallito, quando vengono sottratte le influenze de-
terminanti. Osserva le loro matrici.
Eseguì un’altra operazione, e da una fessura uscì un tabulato
trasparente con la superficie coperta da centinaia di minuscole
perforazioni. La donna lo posò su una striscia di carta bianca, e
inserì il tutto nell’ingranditore.
– Apparentemente, sono normali.
– Ma che cosa significa? – mormorò Ketan, rivolgendo la
domanda più a se stesso che alla vecchia.
Lei rispose: – Significa che tra noi ci sono persone che hanno
avuto esperienze che non concordano con qualsiasi esperienza
possibile a Kronweld, e della Landa Oscura e della Landa dei
Mille Fuochi, perché sono state opportunamente modificate.
«Riesci a comprendere? No… tu non puoi. Significa che essi
sono venuti da fuori! – Pronunciò l’ultima parola con un tono
che a Ketan sembrò un insulto.
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– Da fuori? Che cos’è fuori?
– È al di là… al di là dei confini di Kronweld. Nel mondo che
nessun uomo di Kronweld ha mai potuto raggiungere. Non rie-
sci a immaginarlo? Eppure tu hai sognato un luogo fatto di sab-
bia e di deserto e di venti tempestosi e una roccia solitaria e si-
lenziosa che sorge come un monumento nel deserto.
La sua voce si era fatta ancora più fioca, ma le sue parole pe-
netravano nella mente di Ketan come l’acuminata lama di un
pugnale.
Cominciò a tremare, e arretrò involontariamente, pallido.
– Come fai a saperlo?
– Tu sei Ketan – disse semplicemente lei. – So molte cose su
di te.
– Come fai a saperle? Chi sei?
Lei ignorò la domanda… e le mani di lui, che le avevano affer-
rato le esili spalle.
– C’è un’altra cosa che devi vedere – disse. Premette una se-
rie di tasti in rapida successione… L’indice apparve e questa vol-
ta c’era almeno una dozzina di codici stranieri e sconosciuti. Poi
controllò il foglio che uscì dalla fessura e constatò che era del
tutto bianco.
– Di chi è questo indice?
Lei premette un ultimo tasto: il fattore d’identificazione ap-
parve. Ketan emise un’esclamazione sola, che sembrò un sin-
ghiozzo.
– Elta!
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Ma la vecchia lo sapeva.
Ma… Elta!
La mente di Ketan rifiutò di accettare il significato dei suoi
fattori sconosciuti. Non c’era nulla di insolito in Elta… tranne
che la sua bellezza, la sua grazia e la sua intelligenza, e la sua
incredibile abilità nella Ricerca.
La vecchia aveva detto che tre persone dovevano morire.
– Dimmi che cosa significa – domandò.
Lei esitò, mentre le sue agili dita rimettevano a posto le alte-
razioni fatte nella memoria principale.
– È stato un miracolo trovarti qui… e poterti mostrare questi
dati. È stato tutto al di là dei miei sogni più rosei… soprattutto
trovarti qui, nella sala della Karildex.
Si voltò e lo fissò con i suoi vecchi occhi che brillavano di una
luce intensissima.
– Vuoi sapere chi sono io? Te lo dirò. Ma prima devi sapere
molte altre cose.
«Devi sapere che il pericolo e la morte sono in agguato su
Kronweld. Le loro braccia sono già sollevate per l’ultima colpo
che distruggerà questo mondo. Questi tre sono gli agenti della
distruzione. Ce ne sono altri, ma questi sono i più importanti.
«Mi credi pazza? Aspetta che abbia terminato. Ma questi tre
devono morire. Questo è il tuo compito. Uccidi questi tre!
La testa gli girava. Cercò di capire per quale motivo fosse lì,
ad ascoltare quella vecchia pazza mentre avrebbe dovuto chia-
mare qualche Inserviente per farla portar via.
Progettare l’omicidio di due tra i più importanti Ricercatori
di Kronweld… e di Elta!
– Tu sei pazza… non voglio più ascoltare. Dovrai raccontare il
resto della tua storia ai membri del Primo Gruppo.
– Siediti!
Non fu un semplice comando verbale. Fu una specie di fru-
stata ipnotica che lo costrinse a sedere contro la sua volontà.
Ma rimase fermo e ascoltò.
– Per più di cento tara tra di noi è esistita un’organizzazione
della cui esistenza nessuno ha mai avuto il minimo sospetto.
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L’obiettivo finale di questa organizzazione è la distruzione di
Kronweld. Ci temono e ci distruggeranno. Essi sono gli Statisti.
«Hanno rimandato il colpo finale solo per attendere il mo-
mento propizio. Questa organizzazione si è servita di noi e delle
nostre Ricerche. Ha sottratto a Kronweld i segreti della sua ri-
cerca e li ha usati contro di noi. Aspettano solo un altro segreto
e poi saranno soddisfatti delle loro conoscenze e Kronweld mo-
rirà. Questo segreto è la conoscenza che noi abbiamo delle forze
dell’atomo.
– Sei completamente pazza – sbottò Ketan – se immagini che
voglia rimanere qui seduto ad ascoltare queste farneticazioni?
– E che ne dici dei fattori che non hai potuto identificare?
– Avranno una spiegazione logica, e io la troverò nella Karil-
dex. Chi potrebbe comporre un gruppo del genere? Quale po-
trebbe essere il suo scopo nascosto?
– Ti dirò chi sono, perché tu solo, in tutta Kronweld, puoi
comprendere, perché tu hai visto il loro mondo. Il mondo delle
sabbie colorate e del sottile pinnacolo di roccia, che sorge come
un monumento nel deserto. Essi sono…
Ci fu un rumore improvviso proveniente dalla porta della sa-
la. Non era possibile vedere nulla. La vecchia spense istanta-
neamente il video e si allontanò dalla tastiera.
Nell’oscurità Ketan udì la sua esclamazione roca e delusa.
– Hoult!
Poi scomparve. Ketan si affrettò a chiudere il quadro di co-
mando principale secondo il codice segreto, e scivolò verso
l’altro lato della Karildex. Giunto alla sua postazione, accese
una luce invisibile dalla porta, ed elaborò una sequenza che fin-
se di studiare, mentre dei passi si avvicinavano, e finalmente
una voce chiamò.
– Tecnico!
– Rispetto a te, signore – salutò Ketan. Il cuore gli batteva
forte. – Sono qui.
Girò intorno alla macchina, dirigendosi verso il capo. Perché
era venuto? Sentì che sui suoi piani gravava l’ombra di un disa-
stro imminente, già prima che avesse potuto metterli in atto.
– 26 –
Non avrebbe voluto incontrare quell’uomo proprio in quel mo-
mento.
Si trovò di fronte a lui, invece, là dove terminava la mostruo-
sa macchina.
– Tecnico!
– Saggezza, signore.
– Passavo e ho visto la porta aperta, e nessuna luce. Mi pare-
va strana la presenza di ricercatori a quest’ora di notte. – Gli
occhi neri dell’alto individuo scrutarono attentamente Ketan.
– Non c’era nessuno qui, signore. Stavo lavorando su un mio
piccolo problema. Stavo proprio per andarmene.
– Molto bene. Ti elogio per la tua operosità.
Ma le parole di Hoult non rispecchiavano i pensieri del capo.
Ketan notò che lanciava occhiate penetranti verso i punti più
oscuri della sala. Ma certamente non poteva sapere.
– In città sono giunti rapporti – disse Hoult, come se si fosse
trattato di un’idea improvvisa e indegna di eccessiva considera-
zione – su una vecchia pazza, che è fuggita dal confino. Per caso,
non l’hai vista nelle vicinanze della Karildex, oggi?
Ketan scosse il capo, senza esitazione.
– No! Non ho visto nessuna persona molto anziana in tutto il
giorno. È raro che gli anziani vengano qui. Per loro la Karildex
non ha molto significato. Vivono le loro vite senza provocare
danni né attriti.
– Sì… bene… – Hoult approvò meccanicamente il piccolo
saggio di filosofia, continuando a scrutare le ombre che si ad-
densavano nella sala. – Se vedi la vecchia, fa’ subito rapporto.
Saggezza a te, Ketan.
– Saggezza, Capo.
L’uomo scomparve lentamente nell’ombra, e Ketan rimase
immobile a fissarlo. Perché non aveva detto al Capo che la vec-
chia pazza era là, in quel momento, nascosta nelle tenebre della
grande sala? Era solo perché lei aveva minacciato di denunciare
il suo illecito impiego della Karildex?
Avrebbe dovuto faticare molto per convincerli… se la crede-
vano pazza. Non avrebbe potuto provare le sue accuse.
– 27 –
Ma c’era qualcosa di più che lo aveva trattenuto. C’erano gli
inspiegabili indici dei fattori, il fatto che la vecchia sapeva delle
sue visioni del deserto rosso con il pinnacolo… e non capiva co-
me avesse fatto a saperlo… e c’era dell’altro: qualcosa, in quella
voce gracchiante, aveva raggiunto le più riposte fibre dell’animo
di Ketan, destando una simpatia dovuta a un legame sconosciu-
to e istintivo. Voleva sapere chi era la vecchia. Doveva saperlo.
Ritornò nell’ombra, là dove aveva visto scomparire la vec-
chia. Con ogni cautela accese una sola luce.
Ma lei non c’era più. Doveva avere compiuto un giro intorno
alla macchina, dalla parte opposta. Superò di corsa un centinaio
di postazioni e raggiunse la parte terminale della macchina. Ac-
cese un’altra luce, che non rivelò la presenza della vecchia.
Poi la vide.
Un’ombra distante e vaga scivolò dalle tenebre e corse con
incredibile rapidità verso la porta, scomparendo infine nella
notte.
La inseguì di corsa, in silenzio, senza osare chiamarla a voce
alta. Quando fu alla porta esitò, mentre la brezza notturna gli
carezzava il volto. Ma di lei non c’era segno: solo una coppia di
compagni, in fondo alla strada, in lontananza.
Nessun segno di vecchie in fuga… in fuga nella notte. Sarebbe
stato inutile tentare di inseguirla.
Ma sapeva che sarebbe ritornata.
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CAPITOLO QUARTO
– 29 –
fronte all’ignoto. A volte, la sua semplice contemplazione lo la-
sciava debole e tremante.
Quando era stato più giovane aveva spesso preso in conside-
razione la possibilità di costruire una macchina capace di solle-
varlo fino alla cima del grande Confine. Era certo che l’energia
dei motori atomici sarebbe stata più che sufficiente ad alimenta-
re una macchina del genere. Ma poi si era reso conto che un so-
gno simile era una fantasia infantile. Nulla avrebbe mai potuto
superare i limiti del Confine. Era il nulla, una grande parete di
esistenza negativa che si stendeva dall’infinito positivo a quello
negativo: cima, lati, profondità, spessore… erano tutti termini
privi di significato, se applicati al grande Confine.
Un dolore quasi fisico, fatto di desiderio e di brama di cono-
scenza, attraversò il suo corpo quando pensò al grande Mistero
che si trovava là, un Mistero che nessun Ricercatore di Kron-
weld avrebbe mai svelato… tranne i Non Registrati. Un Mistero,
di conseguenza, che doveva essere esaminato illegalmente.
Mentre procedeva, osservando l’oscurità del Confine, pensò a
Elta. Come avrebbe reagito, sentendo la sua intenzione di anda-
re dal Maestro Daran? Cosa avrebbe detto, messa di fronte alla
sua decisione? Comunque andassero le cose, avrebbe dovuto
farle cambiare idea, in un modo o nell’altro…
Ci fu uno scatto improvviso nel suo cervello. Un brivido che
percorse i nervi del suo corpo, e rallentò la sua andatura rapida
in un faticoso procedere.
Davanti a lui l’infinita cortina di oscurità cominciò a mutare
in una sfumatura rossastra. Ketan emise involontariamente
un’esclamazione: Eccolo di nuovo.
Il vento cominciò a frustrargli il volto.
Manciate di sabbia pungente penetrarono fin sotto al suo
mantello. Il cielo rossastro stava rischiarandosi, e il mondo di-
ventò una ululante distesa cangiante di sabbia e di vento.
Fu come se Kronweld non fosse mai esistita.
Ketan si trovava nel mezzo del deserto, un deserto rosso e ur-
lante in cui la vita era inconcepibile. Da un orizzonte all’altro
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non c’era nulla… solo la vuota immensità della sabbia, del cielo
e del vento.
Tranne che per una singola scheggia di roccia che interrom-
peva la spoglia linea divisoria tra sabbia e cielo, stranamente
visibile, come se le cangianti dune di sabbia fossero trasparenti.
Il pinnacolo sembrava più vicino, stavolta. Ogni volta sem-
brava più vicino. I suoi piedi avanzarono nella sabbia insidiosa e
finissima fino a quando i muscoli cominciarono a dolere e fu
costretto a gridare alla ricerca di un sollievo. Ma qualcosa
d’insistente gli impediva di riposare. Doveva avanzare e avanza-
re, lasciandosi frustare e colpire dai venti incessanti. Forse que-
sta volta avrebbe potuto raggiungere il pinnacolo.
Poi qualcosa lo fermò. Fu come un colpo che gli rintronò in
capo. Udì il suono distante di una voce umana, che giungeva
dall’altra parte di quel deserto interminabile, distante… come se
giungesse proprio dal solitario pinnacolo remoto.
– Affrettati, tu che sei solo… Il tuo tempo è breve. Non devi
fallire… non devi fallire… vieni…
La voce si spense, e il vento ruggì in un impeto di follia, come
per respingere le parole alla loro origine, come per impedire che
esse fossero formulate.
Bruscamente, tutto finì.
Ketan si ritrovò dov’era stato prima della visione, ma il suo
corpo era imperlato di un sudore gelido. Il suono di quella allu-
cinante voce straniera era ancora nelle sue orecchie.
Gli sembrava l’estremo richiamo di un mondo morente, e lui,
chissà come, sentiva di possedere il potere strano e sconosciuto
di salvarlo.
Cercò di dimenticare la folle visione, ma il suo essere si ribel-
lò al semplice ricordo. Era la sedicesima volta che si verificava,
dalla sua uscita dal Tempio della Nascita. Questa volta, però, era
stata senza dubbio la peggiore.
Non aveva mai udito prima la voce, e il vento non aveva mai
colpito con tanta furia spaventosa.
– 31 –
Non aveva mai parlato a nessuno di quelle esperienze, eppu-
re la vecchia pazza che era venuta a interrogare la Karildex ne
era al corrente. Com’era possibile?
Cosa significava?
Quando vide Elta seduta tra gli alberi del piccolo parco che
interrompeva la strada, dimenticò gli orrori della sua visione.
Rimase a osservarla un istante, prima che lei si accorgesse della
sua presenza.
Il suo sottile corpo abbronzato era immerso nell’oscurità, sot-
to il cielo violetto che si stendeva su di loro. Indossava soltanto
la leggera guaina che serviva sia alla decenza sia alla protezione.
La sua testa con i capelli biondi si muoveva ansiosamente da
parte a parte, tentando di scoprirlo nell’oscurità.
Dai margini del Centro Artistico giungeva una musica soffo-
cata.
Le si avvicinò silenziosamente.
– Aspetti qualcuno?
– Ketan! – Esclamò lei, voltandosi sorpresa. – Hai anche il
coraggio di chiedermi se aspettavo, dici? Ho deciso una dozzina
di volte di andarmene, poi ho pensato di attendere ancora un
poco. Cosa ti ha trattenuto così a lungo? Delle ricerche?
– Sì… ricercatori imprevisti. Non vengono spesso così tardi.
Ma stanotte ho avuto una compagnia piuttosto strana.
Fece una pausa. Si chiese se avrebbe dovuto continuare. Du-
rante tutto il percorso aveva tentato di dimenticare quei fattori
misteriosi che la vecchia aveva fatto comparire sul monitor. E
anche ora, che stava seduto accanto a Elta, non riusciva a to-
glierseli dalla testa, perché si rendeva conto che la loro esistenza
creava tra loro due una barriera impalpabile.
– Il Capo Hoult è venuto a trovarmi.
– Il Capo Hoult! Cosa voleva?
– Stava cercando una vecchia signora che, secondo lui,
avrebbe potuto venire per interrogare la Karildex.
Ketan fece una pausa. Il volto di Elta era forse impallidito lie-
vemente… le sue labbra avevano mostrato un attimo
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d’incertezza? La luce violetta era troppo debole perché Ketan
potesse esserne certo.
– Una vecchia signora? Perché il Capo Hoult la stava cercan-
do? – La voce di Elta non tradì alcuna emozione.
– Lui ha detto che si trattava di una pazza fuggita dal confi-
no. Gli Inservienti la cercano… e il Capo Hoult vuole trovarla,
con una maledetta determinazione.
– Come fai a saperlo? Te l’ha detto lui?
– Lui ha appena accennato alla vecchia. La sua preoccupa
zione era però evidentissima.
– Strano – rise lei. – Quante cose puoi vedere, occupandoti
della Karildex… Dimmi cos’altro è accaduto, oggi. Si fece più
vicina e si appoggiò alla sua spalla. – È tanto che non ti vedo.
– Da ieri, no? – sorrise lui. – Ma non posso restare qui. Te
l’ho detto che il Maestro Daran vuole vedermi al più presto, ri-
cordi?
Lei annuì… delusa.
– E devi andare da lui stasera?
– Come fai a saperlo?
– Riesco a prevedere cose del genere. Sarò così felice quando
diventerai un vero Ricercatore… e potrò diventare la tua com-
pagna.
Le strinse forte la mano, sebbene il suo corpo fosse di ghiac-
cio.
– Comunque, potremo restare insieme per un giorno intero
dopodomani. La Karildex non sarà aperta – ricordò lei.
– Certo che lo sarà! Perché non dovrebbe?
– È l’apertura del Tempio della Nascita. L’hai dimenticato?
– Già… non me lo ricordavo. – La sua voce era debole. Quel-
le parole gli avevano riportato alla mente lo scopo della sua vi-
ta… svelare la falsità e l’inganno di quel luogo maledetto.
La sua mente completò il circolo dei suoi pensieri, poi ritornò
a Elta. Lei lo stava guardando con quello sguardo fiducioso che
lo teneva avvinto molto più che mille catene.
E Ketan si maledì per quello che stava per dire.
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– Elta… per caso… oggi ho introdotto la tua matrice in un
problema sul quale stavo lavorando. Sono apparsi alcuni strani
risultati. Ho trovato tre indici di fattori che non si accordano a
nessuna definizione dell’elenco generale. Questo mi ha sconcer-
tato. Sai cosa significano, oppure come sono finiti nella tua ma-
trice?
Ketan non se ne accorse subito, ma a poco a poco sentì che
Elta era diventata di pietra. Ogni muscolo del suo corpo era teso
al massimo. Stava tremando leggermente, e non lo stava più
guardando, ma aveva gli occhi fissi nel vuoto.
Quando parlò, la sua voce sembrò di gelo.
– Non hai trovato da solo quei fattori, vero? Quella vecchia
signora te li ha mostrati. Così alla fine si è messa contro di me…
e adesso anche tu dovevi essere messo al corrente…
– Elta, cosa stai dicendo? Sai di chi si tratta?
– Lei ti ha mostrato quei fattori, vero?
– Sì…
Ketan non fu capace di proseguire. Non c’era più nulla da di-
re. Non voleva più dire nulla. Sentì di essere stato colpito da
qualcosa che avrebbe popolato di incubi le sue notti fino al ter-
mine dei suoi giorni, una cosa orribile e sporca che stava in-
ghiottendo lui ed Elta, come una trappola. Se avesse lasciato
passare la cosa, senza dir niente, forse tutto sarebbe scomparso
dalla sua vita, ma ormai aveva sollevato il problema…
– Sapevo che lo avresti scoperto, prima o poi – stava dicendo
con voce stanca Elta. – Sapevo che sarebbe venuta. Cosa ti ha
detto di me?
– Ha detto che dovrei ucciderti… per salvare Kronweld.
Elta ansimò. La sua voce si riempì di tristezza.
– Quanto deve odiarci. Chi altro ha menzionato?
Ketan ignorò la domanda ma le chiese: – Elta! Dimmi cosa
significa tutto questo. Parli come se tu fossi di un altro mondo;
un mondo straniero che è al di là di ogni mia esperienza e com-
prensione. Dimmi tutto, Elta?
– Dimmi, cosa dirai al Maestro Daran?
Il repentino mutamento di argomento lo irritò.
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– Questo non ha importanza… ora. Voglio sapere cosa signi-
ficano i tuoi fattori sconosciuti.
– Fa tutto parte dello stesso problema. Cosa gli dirai.
– Prima devo sapere cosa vuole. – La nuova piega presa dal-
la conversazione lo sconcertò, gli impedì di trovare delle parole
per giustificare la sua decisione.
– Dimmi quale sarà la tua risposta. Perché sai bene cosa ti
domanderà!
– Ebbene… se mi domanderà di entrare nella Casa della Sag-
gezza e di venire istruito per prendere il suo posto, accetterò,
naturalmente. Ogni futuro Ricercatore sarebbe orgoglioso di
avere una simile opportunità.
– Lo dici ma non lo pensi.
– Certo che lo penso. Naturalmente, domanderò gli stessi
privilegi di tutti gli altri Ricercatori della Casa della Saggezza… il
diritto di compiere indipendentemente le Ricerche.
– Anche se si tratta di Ricerche non registrate?
– Cosa vuoi dire?
– Ti conosco, Ketan. Non potrai accontentarti di un lavoro
nell’ombra, nel segreto del tuo laboratorio sotterraneo, con gli
Inservienti alla continua ricerca di prove contro di te. Opporrai
un rifiuto al Maestro Daran, vero?
– Sì – esclamò a un tratto, sopraffatto dal desiderio di dirle
quello che aveva in animo di fare: – E farò di più. Chiederò una
pubblica udienza davanti al Consiglio dei Ricercatori, e dirò a
tutti di conoscere il segreto della creazione della vita. Mostrerò
l’inganno del Tempio della Nascita all’intera Kronweld.
Dopo, una breve pausa aggiunse: – Dopodomani è il giorno
dell’apertura del Tempio. Quale data migliore avrei potuto sce-
gliere?
Elta tacque così a lungo che lui si voltò a guardarla. Non era
più così rigida, ma sedeva con gli occhi bassi.
– Elta…
– Ketan, voglio che tu mi faccia una promessa, la prima pro-
messa che ti chiedo da quando ci conosciamo. Quando verrà il
momento… e il momento verrà presto… quando potrò dirti il
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significato di tutto questo, ti prometto che sarò esauriente. Ti
prometto inoltre che non farò mai nulla… che non ho mai fatto
nulla… contro Kronweld. La vecchia non ha capito. Non può
sapere che il mio dolore è stato grande quanto il suo. Prometto
che svelerò questo mistero e tu saprai e capirai che ho agito be-
ne.
«Devo andarmene per un po’ di tempo. Quando tornerò, po-
trò essere la tua compagna. Ma tu non devi tentare di distrugge-
re il Tempio della Nascita, rivelando l’entità delle tue scoperte al
Consiglio dei Ricercatori. Ecco la promessa che voglio da te. Ti
declasseranno. Non potrai compiere Ricerche mai più. Voglio la
tua promessa, Ketan.
– Non posso. È la cosa che ho sempre sognato da quando fui
introdotto nel mondo dei Ricercatori. Ho capito che è questo il
mio compito. Come puoi chiedermi una cosa del genere, se non
mi spieghi neppure il più insignificante frammento del mistero
che ti circonda? Perché devi andartene? Dove può esistere un
luogo in cui io non possa venire con te, né seguirti?
– Allora, per lo meno, promettimi di rimandare tutto al mio
ritorno, quando ti potrò spiegare le cose che tu desideri sapere.
Lui scosse il capo.
– Non posso fare neppure questo. Ho detto ai Non Registrati
quali sono i miei piani. Nessun momento sarà più appropriato
dell’apertura del Tempio, che avviene una volta ogni tara. Se
adesso io fallissi, i Non Registrati si dissoderebbero e ritorne-
rebbero a essere così com’erano prima della mia venuta. Non
posso attendere!
Elta aveva sollevato il capo per fissarlo negli occhi, ma subito
le sue spalle si piegarono. Le sue labbra si mossero silenziosa-
mente.
– Sei uno stupido… un meraviglioso genio di stupidità. Ma io
ti amo così come sei. Spesso vorrei non averti mai incontrato.
Mi chiedo come finirà tutto quanto.
– Come vuoi che finisca?
– Come? – Lo fissò nuovamente, e poi sollevò lo sguardo
verso il cielo. – Come abbiamo sempre sognato. Tu e io che ce
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ne andiamo nella Landa Oscura, continuando là il nostro lavoro,
provando nella più assoluta libertà che tu avevi ragione a propo-
sito della creazione della vita.
«Oh, so che qui non siamo liberi. Né io né te. Ma non pos-
siamo rovesciare l’intera Kronweld perché abbiamo scoperto
qualcosa che non possiamo sperare di far credere agli altri. An-
dremo nella Landa Oscura… alcuni verranno con noi. Potremo
costruire una nostra comunità, una nostra vita, lontani da tutto
questo.
– Moriresti là fuori, e lo sai. Non siamo fatti per vivere come
bors. Siamo uomini e donne. E abbiamo un dovere verso Kron-
weld, un dovere verso la Ricerca.
– Potremmo tenere fede al nostro dovere nella Landa Oscu-
ra…
– Ma non prima di avere tentato qui.
– Devo andare – disse lui, d’un tratto. – Il Maestro Daran
non aspetterà tutta la notte. Devo vederlo. Vieni con me?
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CAPITOLO QUINTO
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Il Maestro Daran sorrise e annuì.
– E potrai diventare il compagno di Elta subito. Non sai
quanto sei fortunato. Forse, se io avessi trovato una simile com-
pagna Ricercatrice quando ero giovane…
– Mi saranno accordati i pieni diritti di Ricerca… il privilegio
di scegliere i Misteri che io desidero?
– Soggetti soltanto all’approvazione o al rifiuto del Consiglio.
– Annuì il Maestro.
– Non riconosco al Consiglio il diritto di giudicare i Misteri
che sceglierò. Perché dovrebbero avere il potere di dirmi che
non devo indagare sul Mistero del grande Confine, della Landa
dei Mille Fuochi… perfino dello stesso Tempio della Nascita?
– Così quello che dicono di te è vero?
– Che cosa dicono su di me?
– Al Consiglio della Casa della Saggezza sono arrivati dei
rapporti riguardanti un’organizzazione chiamata dei “Non Regi-
strati”… che limiterebbe le sue Ricerche ai Misteri non registra-
ti. Alcuni dicono che tu apparterresti a essa. Se ne è discusso
molte volte… dell’opportunità di informare il Primo Gruppo. A
causa del tuo eccellente lavoro alla Karildex, io sono sempre
stato in grado di persuadere i miei colleghi a non intraprendere
un’azione così drastica, e sono riuscito persino a farli votare la
decisione di scegliere te come mio sostituto.
«Ma ti ammonisco severamente, Ketan, come amico e come
tuo Maestro, perché tu sei su un terreno molto pericoloso. Come
puoi dire che non accetti il diritto del Consiglio dei Ricercatori
di regolare le Ricerche, essendo così esperto dei principi sui
quali si fonda la Karildex? Devi sapere per forza che il mandato
del Consiglio è stato affidato dalla Karildex trecento tara or so-
no.
– E questa è la ragione per cui mi oppongo alle restrizioni.
L’integrazione della Karildex si basa su falsi fattori.
– Come può essere? L’integrazione viene rinnovata due volte
ogni tara, e può essere integrata ogni volta che qualcuno lo de-
sidera.
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– L’integrazione riflette soltanto la conoscenza degli indivi-
dui che la compongono. Se questa conoscenza è falsa, anche
l’integrazione è falsa.
– E secondo te quali fattori sono falsi? – Il Maestro Daran
pronunciò quella domanda con estrema calma.
– Tu li conosci. Non ho taciuto a questo proposito.
– Allora è proprio vero… quello che dicevano di te. Sono stato
uno stupido a difenderti davanti al Consiglio della Casa della
Saggezza. È vero che tu neghi la sacra natura del Tempio della
Nascita e sostieni la causa della sua eliminazione dalla categoria
dei Misteri sacri. Tu credi che debba essere aperto allo studio
profano di tutti i Ricercatori di Kronweld?
– Sostenere? Credere? Non solo ci credo e lo sostengo, ma io
lo domando!
– Allora, se è così presenterò una lamentela contro di te, que-
sta sera stessa, e domani a quest’ora sarai declassato.
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– Devo affrettarmi. Ti accompagno. Vieni?
Uscirono dal sentiero e si avviarono sulla strada principale la
cui superficie verde ed erbosa si allungava in un grande circolo
che passava davanti al magnifico Tempio della Nascita.
Procedettero in silenzio, osservando i riflessi del cielo sulla
superficie della strada che attraversava la zona più ricca della
città, dove vivevano coloro che avevano diritto alla ricchezza, i
veri Ricercatori, i membri del Primo Gruppo. Anche Elta viveva
lì, in una casa di Ricercatori.
Ketan invece abitava dall’altra parte della città, con i cittadini
di grado inferiore, tra gli apprendisti Ricercatori. Ed era là che
la maggior parte della popolazione viveva, perché i veri Ricerca-
tori erano pochi, adesso che quasi tutti i Misteri erano stati ri-
solti. L’uomo ormai aveva raggiunto l’apice della conoscenza
ottenibile. Quella non ottenibile… i Misteri sacri… invece consi-
steva in cose che gli uomini non dovevano sapere.
I due procedevano nel centro della città che era stata eretta a
fianco della Landa dei Mille Fuochi, un inferno radioattivo e
vulcanico, che illuminava il cielo con le sue fiamme vermiglie e
violette. Oltre a essa c’erano le eterne distese della Landa Oscu-
ra, con il suo perenne velo di nuvole, nebbia, fumo e ceneri por-
tati dai venti tempestosi che spiravano dalla Landa dei Mille
Fuochi.
Quando i due arrivarono in uno spiazzo aperto, si fermarono,
e Ketan si guardò attorno. L’alta siepe che fiancheggiava la stra-
da non impediva la visuale del Confine che rappresentava una
grande cortina di nulla impenetrabile, un’oscurità terrificante
che si stendeva tra le propaggini invalicabili della Landa dei
Mille Fuochi, che si univano a essa in entrambi i capi dell’arco
che circondava Kronweld. E si stendeva fino all’infinito, verso
l’alto.
– Riesci a sentirlo? – mormorò Ketan. – Non hai mai prova-
to il desiderio struggente e imperioso di sapere cosa si trova al
di là del Confine. Un richiamo che ti ordina di superare
quell’apparente barriera di nulla, di scoprire il grande Mistero
che si trova al di là di esso?
– 41 –
Elta rabbrividì.
– Non chiedermi di comprendere tutte le tue eresie. Il regno
del Dio giace al di là del Confine. Nessun uomo dovrà mai sape-
re ciò che si trova oltre Confine.
– Sciocchezze! Io so cosa c’è al di là di esso. L’ho visto.
– Tu…?
– L’ho visto durante una visione. C’è un’immensa landa de-
sertica. Sabbie rosse e bianche si stendono da un orizzonte
all’altro. Là non c’è Confine. Solo un circolo di cielo azzurro che
abbraccia il deserto. Caldo e venti infuocati portano nuvole di
sabbia pungente come milioni di aghi appuntiti, attraverso
l’aria. E nel mezzo del deserto sorge un pinnacolo. Un giorno lo
raggiungerò. C’è qualcosa laggiù. Non so di che si tratta, ma lo
scoprirò.
Si interruppe e si voltò a guardare Elta, che era diventata di
ghiaccio, alle sue spalle. Si era portata una mano alla bocca, e si
era allontanata di qualche passo da lui.
– Come fai a sapere questo? Non può essere vero!. Ketan…
Ketan, non dovrai mai cercare di raggiungere quel pinnacolo.
Non devi trovarlo. Dimmi che non lo farai.
«Verrò con te, subito, stanotte. Sarò la tua compagna e an-
dremo dove tu vorrai… qui, o nella Landa Oscura. Non ti lascerò
mai più, Ketan. Promettimi soltanto di dimenticare queste tue
visioni e di non pensare più di oltrepassare il Confine. Sarebbe
una pazzia!.
«Torniamo dal Maestro Daran. Vedrai che ritirerà la sua la-
mentela.
Ketan sorrise e guardò un punto molto lontano.
– Se lo facessi, mi odieresti per sempre.
Lei tremò.
Si rimisero in cammino e imboccarono una strada che passa-
va accanto al grande parco proibito che circondava il centro di
Kronweld, la zona più sacra esistente… il Tempio della Nascita.
Bianche e splendenti perfino nella notte fatta di fiamme vio-
lette e di tenebre, le pareti spesse e possenti del Tempio emana-
vano la loro luce interiore.
– 42 –
L’edificio aveva la forma di un quarto di sfera ed era posto
nell’angolo dell’intersezione tra il Confine e la periferia di Kro-
nweld. Come sempre, una debole musica giungeva da molto lon-
tano, dai recessi del Tempio. Nei grandi giardini un vento debo-
le agitava le foglie degli alberi e portava con sé un intenso pro-
fumo di fiori.
Camminarono lentamente ai confini del Tempio, senza osare
attraversare la rilucente linea purpurea che circondava il Tem-
pio stesso, una linea che nessuno poteva oltrepassare e rimane-
re vivo.
Ketan ricordò che pochi tara prima, lui stesso aveva visto
uno stupido, giovane Ricercatore ansioso che aveva oltrepassato
la linea proibita nel fanatico tentativo di sfidare le leggi più sa-
cre di Kronweld… e il disgraziato era svanito in una breve
fiammata.
Quella linea era percorsa da terribili forze atomiche che cu-
stodivano gelosamente i segreti del Tempio, e colpivano a morte
chi osavano sfidarli.
Ketan si fermò, di fronte all’arco proibito. Davanti a lui, la
scena era simile a quella di un grande palcoscenico… la grande
cortina nera del Confine che si stendeva all’infinito e il misterio-
so Tempio che riposava ai suoi piedi.
Al centro del giardino, c’era una splendida statua dorata,
grande quattro volte un essere umano, che rappresentava una
ballerina nell’atto di compiere un aggraziato movimento sulle
punte dei piedi, il suo volto ridente era rivolto verso il cielo; i
suoi fianchi erano circondati da sottili foglie dorate.
Era la “Prima Donna”.
Mille tara prima, la prima donna aveva trovato il primo uo-
mo che era stato creato in quel luogo. Lo aveva curato fino a
quando non aveva raggiunto la maturità, poi gli aveva fatto co-
struire il grande Tempio, nel quale era poi scomparsa senza mai
più farsi rivedere. Da quel momento ogni creazione era avvenu-
ta all’interno del Tempio della Nascita.
– 43 –
Da quel momento a ogni nuovo tara le porte del Tempio si
erano aperte e da esse era emerso un nuovo gruppo di esseri
umani pronti a prendere il loro posto nei mondo.
Nello stesso tempo, le donne di Kronweld che si offrivano vo-
lontarie, trascorrevano il resto delle loro vite nel Tempio al ser-
vizio della nascita. Esse sostituivano quelle che erano morte nel
tara trascorso.
Ketan osservò cupamente l’edificio.
– Lo distruggerò, un giorno – disse piano. – È un’orribile
piaga che offende l’intelligenza della gente di Kronweld. Se non
fosse per quell’edificio e per i segreti che in esso vengono celati,
conosceremmo da molti tara i segreti della vita. Conosceremmo
l’origine dell’uomo. Forse avremmo da tempo risolto il Mistero
del Confine.
– Se non sarà lui a distruggere prima te – disse Elta. – An-
diamocene. Mi fa paura.
Si voltarono e videro un veicolo biposto scivolare silenziosa-
mente vicino a loro. Istantaneamente, Ketan capì lo scopo dei
due uomini che erano a bordo. Elta si sentì pervasa da un brivi-
do di terrore.
Era Inservienti.
Uscirono e si avvicinarono a Ketan.
– Sei il Ricercatore apprendista Ketan? – Disse uno, e fu più
un’affermazione che una domanda.
Era un uomo panciuto con il viso rotondo, che parlava con
l’orgoglio di chi non è mai riuscito a raggiungere la dignità dei
Ricercatori, ma che a volte ha autorità su di loro, come emissa-
rio del Primo Gruppo.
Ketan annuì silenziosamente.
– Sei invitato a tornare a casa tua e ad apparire davanti al
Consiglio disciplinare del Primo Gruppo per la seconda levata.
– Chi ha presentato una lamentela contro di me?
Il grasso Inserviente rispose con ironia.
– Non è certo un segreto che…
Ma l’altro Inserviente, più alto e dignitoso, lo interruppe:
– 44 –
– Rispetto a te, apprendista Ricercatore Ketan… è stato il
Maestro Daran a portare il tuo nome davanti al Primo Gruppo.
Noi eseguiamo soltanto i nostri ordini. Possiamo accompagnar-
ti?
Ketan osservò intensamente il volto intelligente dell’altro.
Sapeva la storia di quell’uomo come se lui stesso gliene avesse
parlato. Conosceva quell’Inserviente… troppo incerto e poco
riflessivo per potere mai diventare Ricercatore, ma fedele servi-
tore del trono della Ricerca. Capì che il dovere di arrestarlo fa-
ceva soffrire quell’uomo.
Ma l’altro era impaziente.
– Subito, se non ti dispiace!
Ketan si voltò e, ignorando l’insolenza dell’Inserviente, mor-
morò qualche parola a Elta, poi entrò nel veicolo, lasciandola lì
a fissarlo, incredula.
– 45 –
CAPITOLO SESTO
– 46 –
– Ti riferisci a Igon, il primo escluso e a tutti coloro che lo
hanno seguito?.
– Quando sarà il momento ci occuperemo anche di loro…
proprio come faremo di quel Ketan.
In quel momento un’alta e imponente figura si avvicinò at-
traversando i vapori.
Il Maestro Daran si voltò: – Accomodati, Capo Hoult – invi-
tò, con una traccia di ironia nella voce.
Hoult l’ignorò.
– Sapeva che Matra è uscita dal Tempio, stanotte? – doman-
dò.
– No! – Daran balzò in piedi. – Chi ha incontrato?
– Ketan, per prima cosa. Ero certo che si sarebbe diretta alla
Karildex per cercare di localizzarci, così sono andato laggiù e ho
trovato Ketan che fingeva di lavorare. Quando gli ho chiesto se
avesse visto la vecchia, lui ha negato, ma dall’imbarazzo del suo
tono era evidente che mentiva. Non so quanto sia riuscita a sco-
prire. È da molto che sospetto che Ketan sia in grado di entrare
in profondità nei circuiti della Karildex per interrogarla su cose
che devono rimanere segrete.
Hoult si rivolse decisamente a Elta: – Cosa ti ha detto?
Lei esitò, guardando dall’uno all’altro, in preda alla paura. Si
rendeva conto quanto fosse inutile cercare di proteggere Ketan,
se loro già sapevano.
– Mi ha detto solo che tu sei andato là, a cercare una vecchia.
– Questo significa che lei ci ha scoperti, allora – imprecò Da-
ran.
– Perché dici questo? Tu balzi sempre alle conclusioni.
– E di solito sono corrette, mia cara. Vedi, se non avesse sa-
puto che tu eri una degli Statisti, non ti avrebbe mai detto solo
quello. Stava semplicemente osservando le tue reazioni. Spero
che tu non abbia reagito… sebbene immagini il contrario.
Elta distolse lo sguardo dai due uomini. Il cuore le batteva
forte, stanco degli anni di falsità e d’inganno. Rimase immobile
per quella che parve un’eternità.
– 47 –
– Va bene – disse alla fine. – Lui sa della nostra esistenza.
Mi ha detto che Matra ci ha scoperti. Sa di me ma non vuole
crederci.
«In quanto ai compiti che mi sono stati affidati, ora sono
terminati. Mia sorella ha tutte le informazioni sull’energia ato-
mica. Le ha registrate in una forma che i nostri ingegneri po-
tranno capire, stavolta. Non c’è bisogno d’altro. Di conseguenza,
mi ritiro. Vi chiedo pietà per Ketan. Quando apparirà davanti al
Consiglio, il vostro potere sarà sufficiente a farlo esiliare nella
Landa Oscura.
«Io andrò con lui. Vivremo la nostra vita nella Landa Oscura
e voi potrete continuare la miserabile lotta per sostenere la vo-
stra inutile posizione. Potrete dire questo al mio amato padre –
disse con amarezza. – Ma lasciateci vivere… anche come sel-
vaggi… e saremo felici di non vedere mai più i vostri volti e di
non sapere più nulla di voi.
– Vuoi farci credere che rinunceresti a tutto ciò che hai cono-
sciuto in cambio dei bors della Landa Oscura… e del tuo Ketan?
– Daran rise piano. – Credi di riuscire a convincerci?
– Mi chiedo… – disse pensoso Hoult. – Forse ha ragione,
Daran. Per una persona che ha servito così fedelmente gli Stati-
sti, potremmo usare questa clemenza. Dici che tutte le informa-
zioni sull’energia atomica sono in possesso di tua sorella?
– Di quella non mi fido più che di Elta! – esplose furioso Da-
ran. – È assetata di potere. Taglierebbe la gola a tutti, se pen-
sasse che la cosa potesse servirle!
Elta lo colpì con uno schiaffo violento. Hoult ridacchiò.
– Daran è soltanto troppo sospettoso – le disse. – Penso che
potremmo accordarti la clemenza che hai domandato… se quel-
lo che hai detto è vero. Se avremo il segreto dell’energia atomi-
ca, potremo isolare per sempre Kronweld, e lasciarla morire. Se
tu vuoi morire con essa, la cosa non ci riguarda.
– Grazie.
Dopo un istante si allontanò senza degnare i due uomini di
una saluto.
– 48 –
Provava un senso di profonda delusione. Le restava solo una
disperata possibilità: doveva tornare da suo padre al più presto,
ma doveva farlo senza che Daran e Hoult venissero a saperlo, e
la cosa era quasi impossibile, perché loro venivano sempre mes-
si al corrente di tutto. Tuttavia nasconderlo…
I due uomini osservarono la snella figura della donna scom-
parire tra i vapori.
– Sei uno stupido – gracchiò Daran. – Pensi forse che potrà
essere felice di vivere nella Landa Oscura? Se riusciremo a iso-
larla, cominceranno a lavorare per trovare una breccia un istan-
te dopo. Uomini come Ketan possono essere vinti soltanto dalla
morte.
– Stai diventando vecchio, Daran – replicò Hoult, con aria
pensosa. – Hai la tendenza a semplificare le cose, e ad affron-
tarle direttamente, quando i sotterfugi sarebbero molto più effi-
caci. Come hai potuto pensare per un solo istante che io abbia
potuto abbandonare il piano di completa distruzione di Kron-
weld… per una stupida promessa fatta a una ragazza innamora-
ta?
– 49 –
Nel frattempo, Ketan andò alla scrivania, prese un foglio e
cominciò a scrivere, dopo aver regolato la penna sul continuo.
La punta lievemente riscaldata della penna cominciò a incidere
le parole bruciando la carta appositamente trattata.
Mentre gli Inservienti si ristoravano, Ketan continuò a scri-
vere, e quando ebbe terminato si alzò. I suoi occhi mostravano
una profonda emozione, e le sue guance erano arrossate.
– Portatelo subito al Consiglio – ordinò.
I due guardarono il foglio. Quello più alto fissò Ketan.
– Non puoi osare… il rischio è troppo grande, per così poco.
Il grassone posò un bicchiere e lo fissò:
– Non sono molti i Ricercatori che sfidano fino a questo pun-
to il Consiglio dei Ricercatori. Se tu accetti senza discutere, ti
ordineranno semplicemente di cessare la tua ricerca sulle cose
per cui il Maestro Daran ha elevato una lamentela. Perché vuoi
sfidarli, in modo che ti declassino a un comune stato
d’Inserviente… come noi? – L’osservò pieno di curiosità.
– È mio diritto avere udienza dal Consiglio dei Ricercatori –
disse Ketan. – E io domando una seduta pubblica. Portate il
messaggio.
L’Inserviente terminò di bere e uscì, dirigendosi verso
l’automobile. In qualità di capo, era obbligato portare la do-
manda di Ketan al Primo Gruppo, ma era anche riluttante a ri-
nunciare a una nottata tranquilla nella confortevole casa di
Ketan.
– Tu non sei sempre stato un Inserviente? – Ketan si sedette
su un divano e osservò l’Inserviente rimasto.
L’uomo sorrise. Fu un sorriso amaro e malinconico.
– No… posso parlare come se fossi un tuo collaboratore?
– Puoi parlarmi da eguale.
– Io sono Varano. Ho proposto l’allevamento delle creature
della Landa Oscura per ottenere cibo… perché laggiù potremmo
trovare una grande riserva di ottimo cibo. Igon e gli altri furono
costretti a mangiarlo quando si persero laggiù. Ma la mia pro-
posta fu considerata barbara e irriverente, così venni declassato.
– 50 –
– Ah, eri tu? Ricordo la richiesta. – Ketan osservò con aria
enigmatica l’Inserviente, con un mezzo sorriso sul volto. Poi
indicò i bottoni del pannello dei rinfreschi.
– Spingi due volte quello azzurro e solleva quello rosso.
– Sollevare…?
Varano obbedì con aria perplessa. Poi i suoi occhi si spalan-
carono per la sorpresa. Il carrello uscì lentamente, e su di esso
c’era una fetta fumante di carne arrostita.
Balzò in piedi e si guardò ansiosamente intorno, come se oc-
chi nascosti potessero sorvegliarlo.
– Nascondila! – gridò. – Con una prova del genere, potresti
essere declassato a vita.
– Tu sei il solo, nelle vicinanze, con l’autorità sufficiente a
diffondere la notizia. Assaggiala. – Indicò la grossa bistecca.
Lentamente, Varano si sedette di nuovo.
– Cosa vuoi da me?
– Niente. Pensavo soltanto che ti sarebbe piaciuto del cibo
più sostanzioso di quello che ha mangiato il tuo grasso amico.
L’Inserviente non si fece pregare; tagliò un pezzo di carne e lo
assaporò con soddisfazione.
– Tu sei strano, Ketan. Vorrei averti incontrato… prima. Ma
tutto questo è inutile. Non c’è speranza per nessuno di noi. Tu
sarai declassato, è sicuro come i due soli che si leveranno, do-
mani. Kronweld deve proteggersi da esseri come te… è troppo
piccola per trattenerti.
– E tu?
Varano si strinse nelle spalle.
– È tutto sistemato e ho dimenticato le mie ambizioni di un
tempo. Adesso è tutto a posto. Il Primo Gruppo sa quello che è
bene. Sono nel posto che mi compete.
Ketan scosse il capo.
– Conosco le persone come te. Hai permesso che ti condizio-
nassero fino a farti dimenticare le cose che un tempo sognavi e
progettavi. Tu non sei che un guscio vuoto, legato ai voleri di
una banda di vecchi logori e di vecchie stupide.
Varano arrossì e si alzò lentamente.
– 51 –
– Dimentichi per quale motivo sono qui. Non è compito tuo
insultarmi.
– Spiacente – Ketan si alzò. – Non devi prendertela. Vieni
con me e ti farò vedere quello di cui parlo.
Varano prima ebbe un attimo di esitazione, poi seguì Ketan
fuori dalla stanza, lungo un breve corridoio, che passava oltre i
laboratori. Finalmente, giunsero di fronte a una rampa di scale
che conduceva verso il basso.
All’Inserviente sembrò che i gradini fossero migliaia, e che
affondassero senza speranza nelle viscere della terra.
Cominciarono a scendere, e dopo un angolo, finalmente arri-
varono in fondo, in una stanza che aveva le pareti bianche ed
era completamente spoglia.
Ketan emise un debole fischio e un pannello si aprì rivelando
un’immensa caverna.
Nei suoi recessi si udì un basso grugnito e un continuo rombo
che fece rizzare i capelli a Varano. Un insolito odore selvatico gli
colpì le narici.
– È la sorgente della tua bistecca. Vieni.
Entrarono e la porta si chiuse alle loro spalle. La sala era
grande, fornita di strumenti di Ricerca che l’Inserviente non
avrebbe neppure sognato di trovare, ma questo non gli apparve
strano. Era da molto tempo che non lavorava in un laboratorio.
Avanzarono, e raggiunsero un corridoio annerito, in cui il fe-
tore divenne più forte, quasi insopportabile.
La luce diminuiva sempre più.
– Non possono sopportare molta luce – spiegò Ketan.
Parlando, avevano raggiunto un punto del corridoio chiuso
da sbarre. Ketan accese una fievole luce.
L’Inserviente non poté nascondere il fremito di orrore che lo
aveva pervaso: – È un bors! – esclamò.
Una grossa bestia dal pelo irsuto avanzava pesantemente
verso di loro col muso basso, gli occhi rossi che brillavano mali-
gni nell’oscurità. Era molto più alta di un uomo, e la testa sem-
brava un grosso macigno nero, dal quale due corna ricurve
– 52 –
spuntavano minacciosamente. Sbuffava e grattava il terreno,
provocando un basso rimbombo che echeggiava nella caverna.
L’Inserviente arretrò, spaventato.
– Ma come hai potuto farlo arrivare qui? – gridò, incredulo.
– Anch’io ho provato, molto tempo fa. Il bando lo vieta…
– Il bando è facilmente superabile – disse Ketan. – Quando
si è pieni di risorse. Ma non ti ho portato a vedere questo. Guar-
da.
L’Inserviente si voltò nuovamente: con spaventosa determi-
nazione si stava avvicinando un secondo animale, leggermente
più piccolo.
– Sono due…
– Sì… due… i due che ho portato con me dalla Landa Oscura,
sfidando il bando che i nostri stupidi capi hanno emanato per
impedire che qualsiasi vita all’infuori di quella umana, possa
essere introdotta a Kronweld. Ho seguito i bors per molti giorni,
da solo, finché non ho scoperto le loro tane nelle zone più oscu-
re della Landa Oscura. Là ho trovato dei piccoli bors, non queste
grandi creature… capisci cosa significa?
Ketan aveva afferrato il braccio dell’Inserviente, e lo stava
stringendo forte, fissandolo con occhi fiammeggianti, Varano
restituiva lo sguardo, come ipnotizzato.
– Capisci cosa significa… bors grandi un decimo di questi
animali? Ne ho portati tre con me. Uno lo abbiamo mangiato.
Ora guarda nella gabbia e dimmi che cosa vedi!
La violenza dell’emozione di Ketan costrinse l’Inserviente a
guardare all’interno della gabbia, e poi egli disse: – Là
nell’angolo… un terzo… un piccolo bors!
– Ora credi che io abbia qualcosa da dire al Primo Gruppo… e
a tutta Kronweld? Ho scoperto il segreto della vita.
– 53 –
CAPITOLO SETTIMO
– 54 –
– So abbastanza per essere sicuro che questo è il solo modo
in cui il progresso può vincere la superstizione e l’ignoranza.
Bisogna cozzare contro la muraglia e abbatterla… oppure vivere
nel suo soffocante abbraccio.
– Non quando si ha da offrire solo quello che tu hai.
– Ho tutto ciò di cui ho bisogno. Ho le mie piante e ho i bors.
Cos’altro potrebbero volere?
Lo fissò a lungo, con amore.
– C’è un’altra cosa che potremmo offrire loro… tu e io…
Scosse il capo.
– Non oso ancora… non te, Elta.
– Certo che no, perché non sai. – Rabbrividì lievemente, e i
lunghi capelli dorati le caddero sul volto.
– Può esserci un solo risultato. – La sua voce divenne un
mormorio rassegnato. – Sarai declassato… non potrai mai più
compiere Ricerche. Non potrai mai più trovare la risposta a uno
solo dei Misteri esistenti.
Sollevò lo sguardo, con ferma decisione.
– Questa sarà la fine della vita che abbiamo conosciuto,
Ketan. Non attendere l’udienza davanti al Consiglio… fuggi per
salvare la tua vita. Anche se ora tu potresti essere soltanto de-
classato, ci sono coloro che non ti permetteranno di sopravvive-
re. Sei troppo pericoloso per quelli che vogliono la distrazione di
Kronweld.
«Hoult, non ti lascerà vivere! Va’ nella Landa Oscura, subito,
stanotte. Aspettami laggiù. Verrò presto. Devi farlo, Ketan, cre-
dimi!
Il suo volto supplichevole e sconvolto dal dolore ingigantì
sullo schermo, fino a quando Ketan non provò il desiderio di
allungare una mano per accarezzarlo. L’intensità della sua
espressione lo affascinò.
Elta tolse il contatto e lo schermo riprese il suo normale colo-
re grigiastro. Cercò di richiamare, ma lei rifiutò di rispondere.
Lentamente, si allontanò dal video. Cosa aveva voluto dire,
affermando che doveva fuggire per salvarsi? Aveva forse detto a
Hoult e al Maestro Daran che lui sapeva chi erano? Erano forse
– 55 –
venuti a sapere che la vecchia grinzosa gli aveva ordinato di uc-
ciderli tutti e tre?
Allontanò da sé quel pensiero. Elta non lo avrebbe mai tradi-
to.
– 56 –
Ketan si era aspettato di vedere nugoli di cittadini diretti ver-
so il salone, ma i corridoi erano deserti, a parte loro tre. Il gras-
so Inserviente sembrò leggere i suoi pensieri.
– Ho dimenticato di dirti prima che il Consiglio ha respinto
la tua domanda di una pubblica udienza… hanno detto che non
era d’importanza sufficiente a proclamare un procedimento
pubblico. L’udienza si svolgerà davanti al solo Consiglio.
Una gelida premonizione afferrò Ketan. Sapeva che la dimen-
ticanza dell’Inserviente era voluta, e capì che il rifiuto del Con-
siglio di concedergli una pubblica udienza era un deliberato
complotto per impedire che le sue rivelazioni si spargessero tra
la popolazione.
Metà dell’effetto sarebbe stato annullato se lui avesse parlato
solo davanti al Consiglio. Aveva contato di lanciare un appello ai
Ricercatori che sicuramente sarebbero stati tra il pubblico. Sa-
peva che loro erano più facili da convertire di quanto lo fossero i
membri Consiglio. Ma così, quegli uomini dalla mente chiusa e
gretta sarebbe stato tutto il suo pubblico.
Era il momento. Il banditore lesse il suo nome mentre i due
Inservienti lo scortavano nella sontuosa sala.
Sotto l’alto soffitto di marmo e oro lucente si trovava il tavolo
del Consiglio. Da esso, venti paia d’occhi si rivolsero su di lui…
un solo membro era assente.
Alcuni lo fissarono con sdegno; altri con curiosità; altri con
sguardi enigmatici e altri pieni d’incredulità, ma tutti erano stu-
piti per quell’insolita faccenda.
Da dieci tara nessun apprendista Ricercatore aveva doman-
dato udienza al Consiglio. E in cento tara nessuno tra coloro
che l’avevano fatto era sfuggito alla declassazione.
I capelli neri di Ketan, che gli cadevano sulla fronte, erano
segno della sua giovanile irresponsabilità, ma gli occhi sicuri
che fissavano i membri del Consiglio ebbero il potere di provo-
care perplessità. Sembrava che in quegli occhi ci fosse il potere
di leggere i pensieri più reconditi degli altri. Molti distolsero lo
sguardo, sconfitti.
– 57 –
Erano disposti con solenne dignità intorno a un grande tavo-
lo semicircolare, seduti dalla parte esterna.
Nello spazio interno, vuoto, Ketan giunse con misurata len-
tezza. Gli Inservienti lo lasciarono al centro della grande sala, e
se ne andarono. Varano gli strinse brevemente la mano, prima
di scomparire.
Di fronte a Ketan sedeva il Capo Hoult. Una solenne cappa
nera gli circondava le spalle, come un mantello da giorno. I suoi
occhi neri fissarono Ketan… senza lasciare trapelare i veri sen-
timenti dell’uomo.
Ketan restituì lo sguardo, chiedendosi quanto sapesse e quale
misterioso doppio gioco stesse sostenendo.
– Abbiamo udito in precedenza la lamentela del Maestro Da-
ran – disse Hoult. – Tu hai domandato un’udienza davanti al
Consiglio dei Ricercatori. Puoi fare qualsiasi affermazione che
tu ritenga appropriata. Hai il privilegio di parlare al Consiglio.
Procedi.
Il cuore cominciò a battergli forte, ma si calmò non appena
iniziò a parlare.
– Non sono venuto davanti a voi, rispettati Ricercatori, sol-
tanto per rispondere alla lamentela elevata contro di me, bensì
soprattutto per farvi una domanda e presentarvi i risultati otte-
nuti nel corso delle mie Ricerche… Ricerche che, devo ammet-
terlo sinceramente, si sono svolte nel campo dei Misteri proibiti.
Un movimento improvviso attraversò il Consiglio. Tutti si
protesero innanzi.
– Ammetti questo? – domandò il Capo. Le sue sopracciglia si
sollevarono. Ketan pensò che l’uomo fosse sconcertato.
– Lo affermo. La mia domanda è questa: perché il Mistero da
me scelto è proibito? Cosa c’è che ci fa paura, in esso?
– Ma di quale Mistero stai parlando? – chiese una voce con-
ciliante. Ketan si voltò e riconobbe Anot, il membro più giovane
del Consiglio, che aveva eseguito molte Ricerche sulla struttura
del terreno sottostante Kronweld.
– È il nostro Mistero… mio e vostro: perché siamo qui? come
siamo venuti qui?
– 58 –
Per un disperato momento provò una terribile ondata di pa-
nico e d’incertezza. Cosa stava facendo là? Come avrebbe potuto
spiegare a tutti quei cadaveri dai volti di pietra quello che lui
sentiva di notte sollevando gli occhi sulla terrificante oscurità
del Confine… pensando al Mistero incombente del Tempio della
Nascita… alle sconosciute minacce della Landa Oscura… Se loro
non avevano mai avuto quelle visioni, come potevano capire i
suoi sentimenti?
– È il Mistero dell’esistenza, il Mistero della vita che ho volu-
to affrontare…
– Non sei molto intelligente – disse il Capo Hoult.
– Guarda, lascia che lo faccia vedere a tutti.
I due Inservienti, nel frattempo avevano portato nel salone i
campioni di Ketan che lui mise sul tavolo e dopo aver osservato
le piante, sistemò davanti al Consiglio lo schermo e il proiettore.
– Come mai l’uomo non ha trovato la vita a Kronweld, quan-
do è giunto? – disse con aria retorica. – Perché Kronweld è sta-
to un mondo chiuso per tanti tara fino a quando Igon riuscì a
superare la Landa dei Mille Fuochi e portò dalla Landa Oscura
delle piante… alberi e fiori? Perché ancora oggi dobbiamo porta-
re tutte le piante a Kronweld dalla Landa Oscura?
– Queste domande trovano un’adeguata risposta nei Misteri
della nostra religione. I Ricercatori non possono occuparsi di
questi argomenti.
Ketan si voltò ad affrontare chi aveva parlato. Era Nabah, il
rappresentante della religione nel Consiglio, con il suo volto
apparentemente mite. Per molti tara aveva lottato per ottenere
un posto in Consiglio, per controllare e preservare i sacri Misteri
dalle violazioni di Ricercatori troppo ansiosi.
Ketan capì che quell’uomo era pronto a colpirlo.
– “Il Dio mise l’uomo a Kronweld, e le piante nella Landa
Oscura. Ciascuno nel suo luogo d’appartenenza. Non mettere in
dubbio le disposizioni del Dio” – intonò Nabah, citando il suo
credo.
– Allora l’uomo sfida il Dio ogni volta che porta una pianta a
Kronweld?
– 59 –
Tutti gli occhi erano fissi su Ketan e Nabah.
– L’uomo è padrone di tutte le cose – disse il religioso. – È
suo privilegio fare ciò che vuole delle cose della Landa Oscura.
– Allora è suo privilegio svelare tutti i Misteri legati alle pian-
te della Landa Oscura. Questa è una cosa che ho cercato… e tro-
vato. Guardate.
Inserì nel proiettore un’immagine che apparve sullo scher-
mo. Era lo schema di un fiore.
– Questo fiore può rappresentare il fiore di tutte le piante,
perché tutti contengono queste parti essenziali in una forma o
nell’altra. Abbiamo al centro un peduncolo con una formazione
bulbosa alla base che contiene minuscoli ovuli.
«Intorno al peduncolo centrale ci sono diversi sottili filamen-
ti che portano minuti granelli di polline. Quando questi granelli
toccano il peduncolo centrale dello stesso fiore… o più general-
mente, del fiore di una pianta vicina… i granelli penetrano nel
peduncolo e in seguito si uniscono con i minuscoli ovuli che si
trovano alla base.
– Questo è noto da molti tara – disse il Capo Hoult. – Non
hai nulla di nuovo da offrire?
– Ho questo: nessuno di voi sa dirmi lo scopo di questo stra-
no meccanismo che è comune, in una forma o nell’altra, a tutte
le piante?
Nabah sorrise rivolto ad Anot. I membri del Consiglio nasco-
sero malamente la loro noia. E Capo Hoult disse: – Tu sei gio-
vane, Ketan, e hai appreso ancora poco sulle tradizioni di Ricer-
ca che sono state fermamente stabilite tra i grandi della Saggez-
za di Kronweld. Una volta, la cosa giusta da chiedere, di fronte a
ogni nuova scoperta nel regno della natura, era: “Qual è lo scopo
di questo? Perché è stato fatto così?”. Ma da molto tempo ab-
biamo cessato di preoccuparci di questo. Accettiamo l’esistenza
di queste cose e la Saggezza del Dio che le ha create, e poniamo
così fine alle discussioni. Non è saggio proseguire una Ricerca
fino a limiti assurdi.
– E neppure è saggio cessare la Ricerca quando si è ancora
avvolti dall’ignoranza – disse fieramente Ketan. – Non c’è dav-
– 60 –
vero da meravigliarsi che dopo il lavoro del grande Igon non sia
più apparso nessun grande Ricercatore… dopo che Igon venne
esiliato e quasi ucciso per quello che aveva fatto. Da allora i Ri-
cercatori si sono fossilizzati nella crosta di tradizioni che ha im-
pedito la nostra conoscenza. Io ho infranto queste tradizioni, e
guardate cosa ho scoperto!
Sollevò una manciata di piccoli semi.
– All’interno di questi ovuli… il cui scopo non vi siete mai cu-
rati di approfondire… c’è la creazione potenziale di una nuova
pianta. Ne ho messi alcuni in terreno adatto, ho creato condi-
zioni simili a quelle della Landa Oscura, ed ecco il risultato.
Indicò la fila di venti piante, disposte sul tavolo in ordine di
altezza.
– Sono state create un giorno dopo l’altro, e ciascuna è uscita
da un piccolo ovulo. Rispettati Ricercatori, abbiamo nelle nostre
mani il segreto della vita.
Un’ondata di animazione e perplessità attraversò il Consiglio.
Qualcuno… Ketan non capì chi fosse stato… mormorò: – Un
lavoro degno di elogio, se questa cosa è vera.
Ma Nabah era balzato subito in piedi.
– Adesso che abbiamo sentito le sue bestemmie, io domando
che sia immediatamente declassato. Non possiamo permettere
che questo si spanda tra i timorati abitanti di Kronweld. Un
uomo simile è capace di tutto. Sentitelo: “Abbiamo nelle nostre
mani il segreto della vita”. Tra poco ci proporrà di aprire a tutta
Kronweld il Tempio della Nascita!
Gli scomposti attacchi di Nabah erano sorprendenti, ma era
ancor più sorprendente notare come il Capo Hoult non fosse
troppo intenzionato a farlo tacere. Improvvisamente, Ketan si
accorse dello schema dell’opposizione. Sebbene non ci fosse ac-
cordo tra i due, Hoult stava dando via libera a Nabah, contando
sulla natura violenta dell’uomo per convincere il Consiglio a
condannare Ketan.
Era un gioco ben misero quello di Hoult, apparentemente.
Gli altri membri avevano un’antipatia istintiva per Nabah; non
avrebbero accettato che fosse lui a costringerli a emanale una
– 61 –
sentenza. Oppure Hoult era convinto che gli argomenti di Ketan
sarebbero stati così deboli da non richiedere altra opposizione.
Deetan, una delle anziane Ricercatrici del Consiglio, ignorò le
proteste di Nabah. Si rivolse a Ketan con interesse.
– Se si tratta di una cosa naturale, e le piante nella Landa
Oscura vengono così create, perché la cosa non è comune a
Kronweld? Perché tutte le piante devono essere portate qui dal-
la Landa Oscura?
Ketan scosse il capo.
– Questo è un altro Mistero, nel quale non ho trovato Saggez-
za. L’intera faccenda necessita di altri approfonditi studi. lo ho
soltanto cominciato.
Deetan si rivolse al Capo Hoult.
– Non trovo nulla di blasfemo nella Ricerca di questo uomo.
Offro le mie lodi, invece. Ci ha aperto un nuovo campo meravi-
glioso.
Il Capo Hoult annuì.
– Faremo altre Ricerche più approfondite in questo campo.
Ketan lo fissò sbalordito. Vide chiaramente che Hoult era de-
luso dalla piega presa dagli avvenimenti. Ma c’era una riserva
nascosta nei suoi occhi e sapeva quale fosse quella riserva:
Hoult era sicuro che Ketan non aveva terminato.
Si chiese se fosse stato opportuno proseguire. Si poteva fer-
mare a quel punto, sapendo di avere aperto un nuovo campo di
ricerca. Ma non poteva fermarsi. Questa era soltanto la prepara-
zione di quanto stava per avvenire. Se si fermava, avrebbe falli-
to.
– Hai altre cose da mostrarci? – Hoult si piegò in avanti, fin-
gendo di interessarsi al lavoro di Ketan.
– Ho altre cose da mostrarvi – disse Ketan. – Quando Igon
andò per la prima volta nella Landa Oscura, ricordate che gli
uomini di Kronweld non potevano concepire altre forme di vita,
altri esseri all’infuori dell’uomo? Quando Igon tornò con imma-
gini e relazioni sui bors e sulle altre creature della Landa Oscu-
ra, fu domandata la sua testa per la sua innominabile bestem-
mia.
– 62 –
– Erano tempi primitivi – fece notare Nabah. – Spero che
non vorrai collegare te stesso a quella situazione?
– Anche senza considerare il diverso grado di Saggezza tra il
tempo di Igon e il mio, le creature della Landa Oscura sono
sempre considerate con ribrezzo e non sono oggetto di Ricerca.
– E così è giusto – convenne Anot. – La Ricerca deve essere
riservata esclusivamente alle cose più elevate della vita.
Ketan fissò il semicerchio di volti che lo circondavano. Ri-
spettati Ricercatori! Be’, non erano che bambini invecchiati, con
i loro pensieri confusi e ottusi.
Ignorò l’interruzione illogica.
– Qualche tempo fa, ho passato quasi un intero tara nella
Landa Oscura. Là, ho incontrato i bors nel loro ambiente natu-
rale. E ho scoperto che quanto è vero per le piante della Landa
Oscura, è altrettanto vero per le creature animali.
Attese un minuto, una lunga pausa perché questo si impri-
messe bene nelle menti dei suoi giudici. Poi esplose un finimon-
do. Più di metà dei membri del Consiglio erano in piedi, e im-
precavano contro di lui.
Hoult fu costretto a intervenire.
– È abbastanza! È possibile che le selvagge fantasie di un ra-
gazzo possano sollevare tanta vergogna nel Consiglio?
Poi si rivolse a Ketan.
– Un istante fa hai sollevato il nostro interesse per il tuo la-
voro. Ora, mi costringi a chiedere l’immediato giudizio del Con-
siglio. Non sei adatto a continuare la carriera di Ricercatore… se
affermi che gli animali della Landa Oscura nascono da semi se-
polti nel terreno.
– Non ho detto questo. Ho detto che lo stesso principio che si
applica alle piante, si applica anche agli animali.
«In questo caso l’ovulo che diventa una nuova creazione non
ha bisogno di essere sepolto nel terreno. Piuttosto, rimane
all’interno del corpo di uno degli animali… l’animale femmina,
se possiamo così definirlo… e cresce fino a raggiungere un certo
grado di maturità, prima di separarsi dal suo corpo.
– 63 –
Anot si alzò molto drammaticamente: – Dai giorni del gran-
de Igon a oggi, gli uomini sono andati nella Landa Oscura, han-
no studiato accuratamente le cose che il Dio vi ha messo, e sono
state riportate centinaia di immagini dei bors. Tutte hanno mo-
strato animali di grandezza uniforme. Eppure adesso ci viene
domandato di credere che esistano bors tanto piccoli da essere
contenuti nel corpo di un altro bors. Io sono il primo ad averne
abbastanza di queste sciocchezze. Credo che il Capo Hoult abbia
ragione nel chiedere l’immediato giudizio del Consiglio. – Ter-
minò tra cenni di approvazione.
Ketan osservò i componenti del semicerchio con occhi carichi
di pietà. Poi, senza parlare, si voltò e si diresse verso la gabbia
ad aria condizionata che conteneva i bors, e che era stata fatta
attendere fuori dalla grande sala.
Sistemò i comandi, in modo che avanzasse lentamente verso
il tavolo del Consiglio, e disinserì parzialmente l’isolamento
acustico e visivo.
Non ci fu alcun rumore, per un momento. Poi il bors più
grosso emise un ruggito che echeggiò come un tuono.
– Inservienti! – gridò il Capo Hoult.
Varano e il suo compagno spuntarono correndo dal nulla. Lo
afferrarono per le braccia, e lo strinsero fermamente.
– Prima che ordini di cacciarmi – consigliò Ketan. – guarda
dentro… guardate tutti. Attentamente.
Involontariamente, i membri del Consiglio scrutarono con
occhi pieni di spavento le profondità della gabbia. Uno dopo
l’altro videro, e rimasero attoniti.
Un piccolo bors spuntò da dietro l’animale più grosso, e co-
minciò ad annusare ciecamente, verso i Ricercatori boccheg-
gianti che erano quasi invisibili, dietro ai pannelli polarizzati.
Il Capo Hoult si afflosciò sulla poltrona, con un’ombra di au-
tentico sbalordimento negli occhi.
– La cosa che ci hai mostrato è davvero sorprendente… ma,
naturalmente, non prova la validità delle tue affermazioni ri-
guardanti l’origine della vita animale.
– 64 –
– Aspettate altre prove per ordinare che venga declassato? –
gridò Nabah. – Ha violato il bando di Kronweld contro
l’introduzione nella città di creature della Landa Oscura.
– Già, c’è anche questo… – mormorò il Capo Hoult.
Ketan lo guardò negli occhi e comprese che l’uomo stava ap-
profittando mentalmente delle possibilità offerte da questo
nuovo oltraggio alla società.
Ketan scrollò le spalle, liberandosi dalla stretta degli Inser-
vienti.
– Lasciatemi solo per mezzo tara con i due bors più grandi e
vi proverò la mia scoperta. Alla fine di questo periodo vi mostre-
rò tre bors.
Numerosi “No!” si levarono, cominciando da Nabah, il quale
urlò più forte degli altri: – Quest’uomo è troppo pericoloso per
restare a Kronweld!
Nelle profondità dell’anima, quattro o cinque Consiglieri
provarono un fremito dell’antico spirito della Ricerca che aveva
spinto il genio umano nelle epoche trascorse a sfidare le barrie-
re del Dio e dell’Uomo per esplorare i segreti di Kronweld, della
Landa dei Mille Fuochi e della Landa Oscura.
Ma il fremito fu debole e costoro rimasero silenziosi sotto il
peso soffocante di decadi di tradizione.
– Non possiamo permettere un esperimento simile, Ketan –
Hoult parlava quasi con benevolenza. – La stessa presenza dei
bors è un atto di sfida ai nostri sacri bandi. Questo soltanto è
più che sufficiente a farti declassare. È impensabile che noi pos-
siamo sopportare altre tue ricerche su queste direttrici, comun-
que, in considerazione del tuo lavoro sulle piante, sono propen-
so a suggerire clemenza fino…
– Non chiedo la tua clemenza! – gridò Ketan. – Chiedo
l’applicazione della Saggezza, che in questo salone sembra un
fenomeno assai raro. – Si interruppe spaventato dal suo stesso
coraggio, poi proseguì, senza interruzioni: – Se i bors sono una
sfida ai capricci dei vecchi di Kronweld, allora niente bors. Però
vi sfido a lasciarmi provare quanto ho scoperto in un modo che
nessun uomo potrà smentire.
– 65 –
– E di che si tratta? – domandò gelido il Capo Hoult.
– Gli esseri umani possono dimostrare la verità delle mie
scoperte né più né meno dei bors.
Un terribile silenzio scese sulla sala. L’unico rumore era pro-
vocato dai movimenti del piccolo bors. Poi il Capo Hoult parlò
piano… piano, con un tono gravido di minaccia.
– Che cosa hai detto, Ketan?
– Permettimi di completare il mio lavoro e diventare Ricerca-
tore. È stato stabilito che una volta raggiunto questo obiettivo,
io e la Ricercatrice Elta diventeremo compagni.
«Allora noi mostreremo a tutti l’origine della vita umana e
spazzeremo via la nebbia e la cieca superstizione che oscurano
questo Mistero… indicheremo qual è la via da seguire per giun-
gere alla distruzione del Tempio della Nascita e svelarne tutti i
Misteri agli uomini di Kronweld.
– Penso che faresti meglio a spiegarti. – Le parole del Capo
Hoult erano deliberatamente scandite, e ognuno sembrava fatta
di ghiaccio.
– L’interno dei corpi degli uomini e delle donne contiene ap-
parati simili a quelli che vi ho mostrato nelle piante… e simili a
quelli dei bors. Come nei bors, anche negli uomini gli ovuli che
generano la vita vengono portati nell’interno dell’essere-donna
fino a che la nuova creatura non si separa da lei. Ecco come io e
voi, rispettati Ricercatori, siamo venuti al mondo!
Non ci fu nessuna esclamazione, nessun grido di condanna,
nessuna accusa di bestemmia.
– Come fai a sapere cosa c’è all’interno di un corpo umano? –
domandò con tono pacato il Capo Hoult.
Allora Nabah balzò in piedi, e ricominciò a gridare: – Ha
osato profanare una forma umana tagliandola e guardando al
suo interno! L’unica cosa che quest’uomo si merita è la morte!
– Non c’è stato bisogno di tagliare nessun corpo – replicò
Ketan. – Ho una macchina con la quale posso vedere nelle pro-
fondità della carne e delle ossa. Ho tracciato uno schema
dell’intero meccanismo del corpo umano. L’interno è complica-
to oltre ogni immaginazione.
– 66 –
Improvvisamente, uno dei Consiglieri si sentì molto male.
Lasciò il suo posto e corse fuori. Un inserviente si avvicinò per
pulire.
Quelli vicini si allontanarono, ma uno di loro rimase con lo
sguardo fisso davanti a sé, e mormorò con voce rauca: – Chi
mai, nell’intera Kronweld, da quando il Dio vi ha posto l’uomo,
ha mai concepito un pensiero più mostruoso di questo?
– Immaginate di camminare per le strade della città e incon-
trare un altro essere umano… e sapere che un tempo si è stati
dentro a quel corpo?
Anche lui si sentì male, e corse via.
– 67 –
CAPITOLO OTTAVO
– 68 –
bero costruito la loro comunità ribelle di liberi Ricercatori nella
Landa Oscura.
Era questo tutto ciò che restava.
Quando entrarono nella casa, si rivolse a Varano:
– Tu hai ascoltato l’udienza, che cosa ne pensi?
– Non mi è permesso di parlarne.
– Andiamo – disse irritato Ketan. – Ieri sera abbiamo parla-
to da pari a pari. È cambiato qualcosa da allora?
Varano esitò, poi fissò Ketan con ammirazione.
– Benissimo, allora… tu sei un genio e uno stupido. Ecco cosa
penso.
– Ho i miei dubbi sulla prima definizione, ma comincio a
convenire con te sulla seconda. Eppure… come potrà essere con-
tinuata questa rivoluzione?
Si voltò verso il lontano Tempio della Nascita che giaceva alla
base della cortina di tenebra che si stendeva all’infinito.
– È il simbolo di tutto ciò che impedisce la Ricerca. – disse
additandolo. – E distruggerà Kronweld, se non verrà distrutto
prima. Come si può farlo? In quel luogo maledetto entrano
donne ignare. Poi passano là dentro tutta la loro vita, come
mezzi di riproduzione. Ecco da dove vengono gli abitanti di
Kronweld. Ma perché cercano di nasconderci la verità? Chi c’è là
dentro, chi è che controlla in questo modo Kronweld? Possibile
che tra tutti i nostri Ricercatori, non ci sia nessuno che conosca
la verità?
– Se ricordo bene le tue affermazioni – disse Varano – hai
detto che occorrevano sia l’animale uomo sia l’animale donna,
nei bors, per produrre una nuova creazione, e che questo avve-
niva anche per gli esseri umani. Se è vero, perché soltanto le
donne entrano nel Tempio della Nascita?
– Non lo so – ammise Ketan. – In tutta la nostra storia, non
si ricorda un solo uomo che vi sia entrato. Forse alcuni Ricerca-
tori, là dentro, hanno scoperto il modo di rendere la cosa non
indispensabile. Non è assurdo, ma si tratta di uno dei misteri
sconosciuti che riguardano il problema.
– 69 –
«Eppure io lo dimostrerò a tutti; Varano, se tu credi alle mie
parole, devi aiutarmi.
– Che posso fare?
– Me ne andrò da Kronweld. Andrò a prendere Elta e andre-
mo insieme nella Landa Oscura. Produrremo una nuova crea-
zione di vita umana e la porteremo indietro per mostrare la veri-
tà a quegli stupidi vecchi ignoranti del Consiglio dei Ricercatori.
– Non oserai!
– Sì… lo farò. Elta voleva farlo prima dell’udienza. Avrei do-
vuto ascoltarla, allora. Avremo il coraggio di farlo, certo. Che
cosa è meglio… vivere una semplice esistenza di esclusione dalla
Saggezza e dalla Ricerca come…
– … come me? – terminò per lui Varano.
– Non ho detto questo, ma…
– È la sola cosa che avresti potuto dire. Ma io ti risponderò:
per me è stato giusto diventare Inserviente. Non ho mai posse-
duto l’immaginazione né il talento di Ricercatore che tu possie-
di. Nel tuo caso… be’, a volte vorrei che ci fossimo incontrati
molto tempo fa, prima che io fossi declassato. Le cose avrebbero
potuto andare diversamente… per entrambi. Per me, è finita.
Per te, direi di andare avanti. Prova a tutta Kronweld, se puoi,
che il Consiglio è in errore. Ti uccideranno per questo, proba-
bilmente, ma nei tara futuri gli uomini ti esalteranno come ora
esaltano Igon.
– Non voglio venire esaltato. Voglio solo provare di avere ra-
gione e scoprire i segreti che si celano dietro a questi grandi Mi-
steri. Ma, se riusciamo a fuggire nella Landa Oscura, avrò biso-
gno del tuo aiuto per superare la barriera che separa la città dal-
la Landa dei Mille Fuochi. Se tu ci accompagni, possiamo farce-
la. Più tardi, potrai affermare di essere stato sopraffatto e co-
stretto ad accompagnarci. Lo farai?
– Sì – disse Varano. – E forse, quando la storia ricorderà i
tuoi successi, il mio nome non sarà dimenticato, per l’aiuto che
ti darò.
– Non pensare alla storia e alla gloria, Varano – esclamò
Ketan. – Non importa se saranno solo i bors della Landa Oscu-
– 70 –
ra a ricordarsi di noi, se potremo raggiungere il nostro intento.
Adesso, ci sono molte cose da fare.
– Possiedi degli schermi?
– Solo per il corpo. Avrò bisogno di un’auto schermata per
attraversare la Landa dei Mille Fuochi. Il Ricercatore Janu ne
ha una. Prenderò la sua.
– Non è probabile che te lo permetta.
– Non è probabile che io gli chieda il permesso – disse Ketan.
– Anche in questo caso dovrai aiutarmi. Non sarà facile rubare
una macchina del genere e fuggire prima che venga lanciato
l’allarme. Fortunatamente, cose del genere non accadono così di
frequente da costringere il Consiglio a preparare piani di difesa.
Varano impallidì.
– È troppo pericoloso. Il furto è un delitto che si paga con la
morte.
– Esattamente come lo sono molti altri delitti che vengono
commessi a Kronweld. Ma ora non pensiamoci, mangiamo e
ristoriamoci. Più tardi penseremo ai particolari.
– 71 –
Dopo il pranzo Ketan cominciò i preparativi del viaggio
dell’esilio. Radunò i materiali e gli strumenti che gli sarebbe
stato possibile portare con sé. Erano pochi: il resto delle cose
che radunò era costituito da provviste e oggetti di necessità per-
sonale. Infine nascose tutti i suoi appunti e i suoi materiali di
Ricerca in luoghi che sarebbero stati facili da trovare per Bra-
nen.
– Devo andare da Elta, ora – annunciò a Varano. – Me lo
permetti?
– Sì… ma fa’ attenzione. È meglio che io resti qui, nel caso
giungesse qualche comunicazione. Non farti scoprire mentre sei
fuori. Ti seguirei in esilio, se sapessero che ti ho lasciato uscire.
– Non sarebbe una cattiva idea.
Varano divenne molto serio, ma non disse nulla.
Ketan si diresse verso il pannello di comunicazione e chiese
un collegamento con la casa di Elta. Attese a lungo, con impa-
zienza, mentre il segnale suonava e la risposta indicava che la
ragazza non si trovava in casa, e non aveva lasciato indicazioni
di recapito per eventuali chiamate.
Ketan tolse il contatto. A quell’ora la ragazza era sempre in
casa. Si chiese dove potesse essere andata.
Provò alla direzione del Gruppo Ricercatori: non c’era. Né si
trovava alla Casa della Saggezza, né in alcuna delle sedi staccate.
La chiamò poi al centro ricreativo, senza ottenere risposta. Allo-
ra cominciò a preoccuparsi.
– Deve esserle accaduto qualcosa. Non si scompare del tutto
dai posti abituali se non c’è un motivo.
– Potrebbe essere andata a lavorare a casa di qualche altro
Ricercatore – suggerì Varano.
– Avrebbe lasciato qualche comunicazione.
– Non puoi esserne sicuro.
– Ma io devo trovarla. Non ho molto tempo. Prendo l’auto e
vado a vedere.
– Non puoi farlo, se giri senza una meta, darai nell’occhio e ti
prenderanno.
– 72 –
– Andrò a casa sua e ti informerò su ogni mio movimento. Se
qualcuno mi cerca qui, riferisci che non sono in grado di vedere
nessuno, dopo il processo.
Uscì nella notte e Varano udì il ronzio del motore atomico
dell’auto che svaniva in lontananza.
Mentre Ketan si allontanava, nel suo cuore cominciarono ad
agitarsi nuovi timori. Ricordò le parole di Elta: “Devo andarme-
ne per qualche tempo”. E poi: “Questo sarà la fine di tutto ciò
che abbiamo conosciuto… Va’ nella Landa Oscura… Aspettami
laggiù…”.
Cosa aveva voluto dire? Aveva davvero concepito qualche fol-
le piano, e aveva cominciato a metterlo in atto da sola?
Il pericolo di incontrare qualcuno che avesse potuto denun-
ciarlo era minimo. Solo il Consiglio dei Ricercatori, il Primo
Gruppo e i due Inservienti sapevano che era confinato in casa.
Perfino la presenza dell’Inserviente era una pura formalità.
L’idea che potesse fuggire era inconcepibile, perché sarebbe sta-
to un fatto senza precedenti.
Neppure il Capo Hoult avrebbe potuto pensare a una simile
eventualità.
Percorse le strade stancamente. Il crepuscolo era rischiarato
dagli attivatori che rendevano luminosa l’aria. La città era illu-
minata a giorno.
Passò nella zona più lussuosa della città, dove vivevano i veri
Ricercatori.
Ketan si fermò di fronte alla casa di Elta e corse attraverso
l’apertura fiancheggiata da colonne di marmo. Le pareti verde-
pallido erano riposanti per la vista. Cercò il terzo compartimen-
to, quello dove stava Elta.
Schiacciò il pulsante aspettando, come sempre, una risposta
istantanea. Quando vide la risposta che giungeva, una morsa di
gelo gli strinse il cuore. Per un istante apparve una scritta:
INABITATO.
Allora Ketan infierì ancora sul pulsante. E tornò la medesima
risposta. Spalancò la porta e guardò all’interno. Non riuscì a
credere quando vide il vuoto che lo circondava. Aprì cassetti e
– 73 –
porte ed esaminò gli scaffali. Elta era completamente svanita
dalla sua abitazione.
Tutto l’entusiasmo per la fuga disperata nella Landa Oscura
lo abbandonò. L’ambizione che lo aveva portato a sfidare il Con-
siglio dei Ricercatori sembrò svuotata di significato, senza Elta.
Poi cominciò a ordinare nella sua mente le possibilità più di-
sparate. Una persona non poteva svanire nell’aria. Doveva tro-
varsi da qualche parte, e Kronweld, da un confine all’altro, non
era tanto grande. L’avrebbe cercata da un capo all’altro della
città.
Poi ricordò di essere un fuggiasco e le sue speranze si spense-
ro di nuovo.
Uscì pesantemente dalla stanza e chiuse piano la porta alle
sue spalle. Si avvicinò alla porta del compartimento vicino e
schiacciò il pulsante. Il segnale all’ingresso lo invitò a entrare.
C’erano due donne nella stanza. Ricercatrici che lui conosce-
va soltanto di vista. Sapeva di essere un estraneo, per loro.
– Rispetto a voi – disse. – Cerco la Ricercatrice Elta. Crede-
vo di trovarla a casa, e invece ho visto che il suo alloggio è inabi-
tato. Sapete dirmi dove sia andata?
Una di esse si alzò. Era una donna alta e sottile.
– Tu devi essere Ketan – sorrise lei. – Elta parlava spesso di
te.
Lo osservò intensamente per un lungo istante.
– Ora so che Elta è ancora più stupida di quanto avessimo
pensato, quando stamattina se ne è andata. Ma non dirmi che
non sai dove è andata!
L’espressione della donna lo irritò.
– Non lo chiederei, se lo sapessi – disse.
La donna continuò a fissarlo, mettendolo sempre più a disa-
gio.
– È partita per il Centro di Preparazione. Domani entrerà nel
Tempio della Nascita per diventare una Signora del Tempio.
– 74 –
CAPITOLO NONO
– 75 –
tà di avere una sola entrata ermeticamente chiusa, e tutte le al-
tre pareti prive di finestre.
All’interno di quell’edificio Elta era sottoposta a riti maledet-
ti, noti soltanto al Dio.
Ketan sapeva quanto doveva fare.
E una volta raggiunta la decisione, la sua mente fu terribil-
mente lucida. Capì che quanto aveva deciso avrebbe dovuto es-
sere fatto in ogni modo… era l’unica cosa possibile per lui, dal
momento in cui era uscito dal Tempio della Nascita, molti tara
prima.
Quando questo pensiero lo colpì, gli sembrò di udire una vo-
ce che parlava nella sua testa: “È giusto. Affrettati, Tu che sei
Solo!”
– 76 –
Dopo un attimo l’Inserviente divenne immobile, quasi privo
di vita. Il respiro rallentò fino a diventare impercettibile e i bat-
titi del cuore rallentarono. Dopo qualche minuto la respirazione
e pulsazioni cardiache si stabilizzarono a livelli minimi.
Ketan si sentì soddisfatto; Varano sarebbe rimasto in quello
stato per almeno quindici giorni.
Questa sua conoscenza di cose mediche non era frutto delle
Ricerche di Ketan, ma di Branen e di altri membri dei Non Re-
gistrati che avevano lavorato in stretto collegamento con gli stu-
di di Ketan sui bors, cominciando a comprendere le funzioni del
meccanismo umano. Più di una volta avevano sperimentato
quella sostanza sui bors, e ne avevano provato l’efficacia sopori-
fera. Ketan non sapeva se Varano potesse sopportarla, ma non
c’era altra soluzione per liberarsi di lui. Comunque ritenne che
non avrebbe avuto conseguenze.
Una volta sistemato Varano, pensò di chiamare Branen per
dargli altre istruzioni, ora che l’amico avrebbe dovuto prendere
il posto di Ketan tra i Non Registrati. Ma poi ci ripensò e decise
di scrivere: anche se lui sapeva che non avrebbe ottenuto molto
da Branen, era sicuro che l’amico avrebbe fatto del suo meglio,
d’ora in poi.
Ketan si augurò che fosse in possesso di sufficiente immagi-
nazione per impedire la disgregazione dell’organizzazione dei
Non Registrati durante la sua assenza… o se non fosse più riu-
scito a tornare.
Nella lettera a Branen spiegò la presenza di Varano, e gli or-
dinò di lasciare l’Inserviente in un luogo pubblico deserto prima
che riprendesse conoscenza in modo che si svegliasse fuori dalla
casa di Ketan.
Mise la lettera assieme agli appunti e alle istruzioni per
l’organizzazione dei Non Registrati, e nascose il tutto.
Per costruire modelli ingranditi delle sue piante per motivi di
studio. Ketan possedeva una grande quantità di plastimodello.
Prese un blocco della sostanza biancastra, la impastò con del
pigmento rosa e una speciale crema.
– 77 –
Quando fu soddisfatto del risultato si tolse l’abito e si spalmò
la sostanza sul corpo, rimodellando lentamente le sue forme e il
colorito della pelle da capo a piedi.
Quando si osservò nello specchio, il risultato fu davvero sor-
prendente. Era una donna dall’apparenza credibile; necessa-
riamente formosa per nascondere i muscoli, ma soddisfacente.
Il lavoro di perfezionamento fu lungo e faticoso. Quando eb-
be terminato, i muscoli gli dolevano e il corpo era intorpidito,
ma avrebbe potuto superare qualsiasi ispezione.
Non possedeva né guaine né mantelli da giorno del tipo usato
dalle donne, ma decise di correre il rischio.
Risalì la lunga rampa di scale un po’ incerto. Gli sembrava
che il rivestimento con il quale aveva rimodellato il suo corpo
dovesse cadere da un momento all’altro. Ma sapeva che si trat-
tava semplicemente di un’illusione. Per rimuoverlo era necessa-
ria dell’acqua bollente, dopo l’uso di uno speciale solvente.
Dalle cose che aveva radunato per la fuga nella Landa Oscura
scelse un possente rampone che poteva utilizzare come arma, e
delle sottili funi. Quindi sigillò l’apertura del laboratorio segreto
in modo che nessuno potesse entrare senza conoscere la combi-
nazione. Spense le luci nell’intero edificio e uscì stringendo il
rampone.
Non usò l’auto, ma preferì dileguarsi a piedi, veloce e silen-
zioso.
Incontrò poche altre persone. Rallentò l’andatura, ogni volta
che qualcuno gli apparve, per non attirare l’attenzione, e corse
quando non era osservato.
Quando raggiunse la Strada che passava di fronte al Tempio
della Nascita, per un istante sì fermò a riprendere fiato, e osser-
vò l’esterno del Centro di Preparazione.
L’edificio a tre piani, massiccio, era immobile, oscuro e silen-
zioso nella notte. L’unica porta d’ingresso si apriva soltanto
quando una delle adepte formava la combinazione segreta che le
era stata trasmessa al momento dell’ammissione.
All’interno di quell’edificio c’era Elta.
– 78 –
Il pensiero divenne una monotona cantilena nella mente di
Ketan.
L’edificio era isolato. La luce proveniente dai vicini attivatori
era fioca, e sul retro dell’edificio le ombre erano fitte, interrotte
soltanto dai riflessi del cielo.
Si guardò intorno, poi s’incamminò decisamente verso
l’edificio e, quando fu sul retro, si rifugiò tra le ombre protettrici
e rimase per qualche tempo fermo a osservare e ascoltare per
timore di essere stato visto. Quando poi fu sicuro di essere solo,
attorcigliò la corda al rampone e lo lanciò.
Lo strumento si sollevò nell’aria, trascinandosi dietro la fune,
e cadde sul tetto dell’edificio. Allora Ketan tirò energicamente la
fune per provare la tenuta, quindi cominciò ad arrampicarsi,
verso il tetto. La sottigliezza della corda non favoriva il compito:
non offriva molta presa e scivolava tra le sue mani, tuttavia
Ketan riuscì a salire fino al bordo del tetto al quale si afferrò e si
issò faticosamente.
Per un momento giacque immobile quasi stremato dallo sfor-
zo, poi arrotolò la fune e la depositò in un angolo.
Si guardò intorno: il tetto, come tutti i tetti di Kronweld, era
una specie di terrazzo con un ingresso che portava nell’interno
dell’edificio. Si augurò che fosse aperto. Era difficile che quelle
porte venissero chiuse ermeticamente.
Ma quella, per sua sfortuna, era stata chiusa, e sarebbe stato
inutile tentare di forzare la chiusura elettrica, che rendeva pareti
e porta più solide di un blocco di metallo. Si guardò intorno, in
un momento di disperazione. Non c’era nulla, salvo le solite
sdraio usate per prendere il sole.
Non c’era modo di entrare, a meno di non aprirsi la strada
con dell’esplosivo.
L’unica alternativa era quella di attendere, sperando che
qualcuno aprisse la porta dall’interno e uscisse sul tetto, prima
che fosse troppo tardi per continuare a sperare.
Si sedette, appoggiando la schiena alla parete. Sopra di lui,
nel cielo si rincorrevano mille fiamme violette. Di quando in
quando, nei rari momenti di oscurità, riuscì a scorgere i minu-
– 79 –
scoli punti di luce nel cielo che si trovavano misteriosamente su
Kronweld. Un altro dei grandi Misteri che l’uomo non aveva mai
risolto.
Il tempo trascorse lentamente. A un certo punto si appisolò,
ma si risvegliò bruscamente, allarmato da un improvviso suono
che proveniva dalla strada; ma fu un falso allarme. Per rimanere
sveglio mise le mani in tasca e controllò tutto quello che si era
portato: la siringa piena di liquido narcotizzante, dei coloranti e
del plastimodello per rifarsi il trucco in caso si fosse danneggia-
to quello che si era applicato. Quindi rassicurato restò in attesa.
Più tardi l’alba cominciò lentamente a colorare l’orizzonte. Il
primo sole sarebbe spuntato tra poco. A quel punto si chiese
cosa sarebbe stato meglio fare: se aspettava ancora, sarebbe di-
ventato pericoloso discendere da dove era salito; se fosse stato
sorpreso lassù, non avrebbe avuto scampo: lo avrebbero subito
ucciso perché non c’erano precedenti al crimine che stava com-
mettendo.
Un leggero rumore alla porta risvegliò tutti i suoi sensi. Balzò
in piedi e si appiattì contro la parete. La porta si aprì e una gio-
vane donna uscì e rimase a osservare il cielo dell’alba.
Ketan notò che era sola, e con sollievo ancora maggiore vide
che era più bassa di lui e piuttosto rotondetta, con i capelli ta-
gliati quasi come i suoi.
Oltre alla comune guaina, il suo corpo era vestito di un legge-
ro abito bianco. Ketan immaginò che si trattasse di un abito da
cerimonia.
Quando Ketan fece un passo avanti, la ragazza si voltò di
scatto, allarmata.
– Mi hai spaventata. Pensavo di essere arrivata per prima,
stamattina – disse. – Il cielo non è meraviglioso quassù, al mat-
tino? Mi domando se, dopo, potremo mai più rivederlo.
Ketan avanzò sorridendo, e rapidamente le mise le mani in-
torno al collo.
– Non fare rumore – disse cercando di imitare la voce di una
donna, in maniera quasi convincente. – Non dovrai preoccu-
parti dell’alba nel Tempio della Nascita. Tu non ci andrai.
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Gli occhi della ragazza si spalancarono. Con improvviso ter-
rore, capì che era stata aggredita da qualcuno che non era un
ospite del Centro di Preparazione.
– Chi sei tu? – riuscì a mormorare.
– Spero che non lo scoprirai mai. Togliti i vestiti, presto.
Dobbiamo scambiarceli.
Lei protestò, tremando: – No! Questi sono i miei abiti
d’iniziazione. Devo indossarli oggi, per l’ingresso nel Tempio
della Nascita.
– Per questo li voglio – disse ironicamente Ketan.
Mentre con una mano la teneva stretta per la gola, con l’altra,
le tolse l’abito. Lei si dibatté freneticamente, ma Ketan riuscì a
trascinarla nell’angolo in cui aveva lasciato il rampone e la fune.
Le legò le mani, strappò una striscia di stoffa dal mantello e la
imbavagliò, poi rapidamente si cambiò d’abito, svuotando le
tasche del suo mantello e mettendo tutto quello che c’era nel
nuovo abito.
Quindi la fece rivestire con i suoi abiti e quando ebbe termi-
nato, estrasse dalla tasca la siringa. Slegò le mani della ragazza e
con la stessa corda le legò entrambe le caviglie, poi le affondò
l’ago nel braccio, mentre lei lo guardava piena di terrore.
– Ora ti calerò a terra. – Le disse.
Lei lo guardò con sgomento e attraverso il bavaglio riuscì a
urlare: – No! Ho preso i voti. Devo entrare nel Tempio. Non
potrò mai più vivere a Kronweld. Sarei vista come un bors in
giro per le strade. Non farmi questo, per carità, liberami!
Ketan mentì, ben sapendo che di lì a qualche secondo si sa-
rebbe addormentata. – Non appena sarai a terra, chiama un
Inserviente e digli quello che ti ho fatto. Non potranno accusarti
di niente, e vedrai che il prossimo tara potrai entrare nel Tem-
pio.
– Ti uccideranno!
– Forse. Adesso svelta.
La trascinò sull’orlo del tetto e la calò rapidamente a terra. La
ragazza rimase immobile per un momento, guardando verso
– 81 –
l’alto piena d’odio e di paura, ma Ketan era sparito, e la fune
stava risalendo rapidamente.
Ketan osservò la ragazza che correva verso la strada. Sperò
che non fosse in grado di correre troppo forte, altrimenti avreb-
be potuto davvero raggiungere un Inserviente e avvertirlo.
Ma subito dopo la vide rallentare, portarsi una mano al petto,
come se fosse stata colpita da un intenso dolore, e poi cadere a
terra. Si sarebbe svegliata molto più tardi.
– 82 –
CAPITOLO DECIMO
– 83 –
fosse stato distrutto al più presto… per tutti, comprese le giova-
ni donne presenti alla riunione.
Sedette accanto alla ragazza che aveva incontrato nel corri-
doio. Il suo travestimento gli provocò un’ondata di paura: per
un istante fu convinto che tutte le donne presenti lo stessero
guardando, che avessero subito capito il suo sesso. Ma combatté
vittoriosamente l’impulso di fuggire.
Una donna più anziana uscì da una grande tenda e salì sulla
piattaforma. Era splendida, nelle pesanti vesti dorate, con una
corona che splendeva di gemme bianche e purpuree. Si guardò
intorno, mentre tutte tacevano.
– Signore del Tempio… perché è questo ormai il titolo che vi
compete – disse. – Oggi non siete più donne di Kronweld. Ap-
partenete ormai a un mondo nuovo e più grande, per il quale
avete abbandonato per sempre il vecchio. Appartenete al mondo
dell’infinito, un mondo che si trova sulla soglia del regno del
Dio.
Ketan si mosse a disagio. Se almeno una sola delle frasi pro-
nunciate dalla donna avesse avuto qualche significato! La ragaz-
za seduta accanto a lui era in estasi. Ketan si domandò se non
gli sfuggisse per caso qualche significato recondito. Ma la sua
mente rifiutava di concentrarsi sulle parole della donna. Da
quando era entrato nella stanza, una sola idea lo aveva persegui-
tato. Trovare Elta!
Tentando di non attirare l’attenzione dei presenti, si guardò
intorno, e finalmente la vide: Elta era seduta due file davanti a
lui, attentamente assorta da quello che diceva la donna sulla
piattaforma. Non perdeva una sola parola.
Tutti gli interrogativi che si era posto da quando era stato av-
vicinato dalla vecchia nella sala della Karildex si ripresentarono
drammaticamente nella sua mente.
Domande senza fine lo assillarono: perché Elta era venuta in
quel posto? Era a questo che alludeva, quando gli aveva detto di
doversene andare per un certo periodo?
– 84 –
Come poteva pensare di poter ritornare indietro una volta
entrata nel Tempio? Tutti sapevano che sarebbe stata una cosa
impossibile.
In ogni modo, a quel punto anche lui non poteva tornare più
indietro, almeno fino a quando non avesse scoperto il segreto di
quel posto maledetto.
Chissà se la vecchia mi ha nuovamente cercato alla Karildex
pensò. Ma subito dopo concentrò l’attenzione sulla donna che si
trovava sulla piattaforma.
– Adesso a voi sarà demandato il nobile scopo della creazione
dell’uomo – stava dicendo. – Non avreste potuto dedicare le
vostre vite a nessuno scopo più grande. Persino il lavoro del
Primo Gruppo e del Consiglio dei Ricercatori è di secondaria
importanza in confronto al nostro.
Improvvisamente, un nuovo e strano dubbio si accese nella
mente di Ketan: quella donna credeva veramente in quello che
diceva?
Gli fu necessario un minuto per ragionare. Si disse che i risul-
tati delle sue ricerche non potevano essere sbagliati. C’erano le
prove: i bors, il corpo umano che aveva lui stesso esplorato e del
quale aveva capito le funzioni. No, non poteva sbagliarsi.
Eppure quella donna era diversa dai membri del Consiglio
dei Ricercatori. Loro non conoscevano affatto il Mistero. Ma lei
doveva sapere…
Ascoltò distrattamente la lunga elegia della vita di una Signo-
ra del Tempio. Non trovò nessuna traccia da seguire nelle sue
parole. L’unico dato positivo che ottenne fu quello di sapere che
sarebbero state pronte a entrare nel Tempio al sorgere del se-
condo sole, al momento dell’apertura dell’edificio, che avveniva
una volta ogni tara.
Furono congedate e uscirono dalla saletta. Ketan, alla ricerca
di Elta, si aggirò tra i gruppetti di donne, che si scambiavano
brevi commenti. Lei non si era unita a qualche gruppo, anzi, si
stava allontanando in fretta. Sobbalzò quando le rivolse la paro-
la con tono d’urgenza.
– Posso parlarti da sola…?
– 85 –
Si voltò. La sua vicinanza lo fece rabbrividire lievemente.
– Certo, Murna… – Portò la mano alla gola. – Tu non sei
Murna… Chi sei? Non ti ho mai vista prima, qui!
– Ti prego – disse lui, in tono d’urgenza. – Andiamo nella
tua stanza.
Dubbiosa, lei gli fece cenno di seguirla. Ketan si voltò, ma
nessuno li stava osservando. Poi entrarono nella stanza, lui
chiuse la porta e si avvicinò alla ragazza.
– Guardami attentamente, Elta – abbassò la voce, senza più
alterarla.
Lei spalancò gli occhi, gelata dalla sorpresa.
– Ketan!
– Ho dovuto seguirti, Elta. Perché hai fatto questa pazzia?
– Io? – emise una breve risata disperata. – E tu, allora? Co-
me sei giunto qui? Che intendi fare? Non sai che se ti scoprono,
la morte non sarà nulla in confronto a quanto potranno farti?
– Non mi importa di morire, ma tu non hai risposto alla mia
domanda. Perché sei venuta qui?
– Oh, stupido, stupido… – Elta sedette stancamente sul let-
to. – Non sai nulla di questo posto.
«Perché non ti sei fidato di me, Ketan? Ti ho detto che sarei
tornata indietro, che ti avrei raggiunto nella Landa Oscura.
Adesso…
– Indietro? Da dove? È qui che intendevi venire, fin
dall’inizio?
Lei annuì, a capo chino.
– Perché?
– Non posso dirtelo.
Una barriera nera e invalicabile e infinita come il Confine
sembrava essere sorta tra di loro. Non c’era nulla che Ketan po-
tesse fare, per evitare quella terribile separazione. Elta, per un
istante, gli sembrò completamente estranea. Non poteva essere
la Ricercatrice Elta di cui era innamorato… che avrebbe dovuto
diventare la sua compagna.
– E adesso…? – chiese lui.
Le sfuggì un breve singhiozzo.
– 86 –
– Adesso… adesso, niente. Tu sei declassato… e il Dio solo sa
cosa ti accadrà per essere venuto qui. Già Hoult ti voleva uccide-
re, e adesso se ti trovano avrà un doppio pretesto. Ti daranno la
caccia, perfino nella Landa Oscura. – Dopo un istante, aggiun-
se. – Ma questa è la sola soluzione. Dimmi come hai fatto a en-
trare… ce ne andremo adesso, entrambi. Possiamo farcela. La-
sceremo questo alle nostre spalle e lo dimenticheremo… per il
resto della nostra vita. Tu conosci la Landa Oscura. Potremo
trovare sicuramente dei nascondigli nei quali non potranno mai
scoprirci.
Volse gli occhi su di lui, e fu uno sguardo disperato, suppli-
chevole. Ketan scosse il capo, cominciava ad avere qualche dub-
bio sulla sincerità di Elta.
– Non ne varrebbe la pena. Anche se riuscissimo, ci condan-
neremmo a una vita di perpetua fuga di fronte a coloro che non
osiamo combattere.
«lo credo che esistano altre terre, oltre alla Landa dei Mille
Fuochi e alla Landa Oscura, terre mai viste da occhi umani.
Penso che al di là di esse, da qualche parte, si trovi la Landa del-
le mie visioni, là dove un pinnacolo alto e sottile si leva in un
deserto di sabbie rosse e bianche. Penso perfino che tu sappia
dove si trova questa terra. Ma non importa… è laggiù la nostra
meta. E credo che il segreto della sua ubicazione si trovi nel
Tempio.
Non aveva ragione di fare quest’ultima affermazione, tranne
che per il completo senso di chiarezza e di sicurezza che gli era
venuto da quando aveva preso la decisione di entrare nel Tem-
pio. Gli sembrava di essere legato a un filo invisibile che gli se-
gnalava quando compiva un movimento giusto o sbagliato.
– Devo trovare quel pinnacolo – disse. – E tu verrai con me.
Ma gli occhi di Elta si spalancarono come la prima volta in
cui le aveva parlato del pinnacolo.
– Tu non devi trovarlo – disse con voce carica di terrore.
Ketan la fissò a lungo, fermamente.
– Tu sai cosa c’è là. Tu sai che cosa è il pinnacolo.
– 87 –
– No! Se lo sapessi, l’avrei distrutto da molto tempo. Conosco
soltanto le cose terribili che si dice vi siano conservale. Fidati di
me… se non vuoi portarmi nella Landa Oscura, va’ laggiù senza
di me. Presto ti raggiungerò e allora prometto che non dovremo
più temere nessuno. Il Tempio verrà distrutto, proprio come tu
vuoi. Allora ti dirò tutto ciò che tu vuoi sapere su di me.
– Non so come tu sappia queste cose, Elta, ma se sono così
spaventose come vuoi farmi credere, io non posso aspettare che
tu scelga il momento di dirmele. Devo saperle adesso. Oppure
devo scoprirle da solo. – Scosse lentamente il capo. – Non so-
no io che non mi fido di te… sei tu che non ti fidi abbastanza di
me per raccontarmi la verità sul pinnacolo… e per quale motivo
tu conosci una cosa che io ho visto solo durante le mie visioni.
Non ti fidi abbastanza da dirmi cosa sai della vecchia che è ve-
nuta da me alla Karildex, e perché il Capo Hoult vuole uccider-
mi. Qual è il mistero che riguarda lui, quello del Maestro Daran,
e il tuo, Elta?
Ma ormai aveva capito che Elta non avrebbe risposto a quelle
domande, quindi non insistette, ma rimase in silenzio a osser-
varla.
– 88 –
Lentamente le massicce porte si aprirono sull’ampio viale che
conduceva direttamente dal Centro alla porta ancora chiusa del
Tempio.
Alla cerimonia dell’apertura del Tempio della Nascita tutti gli
abitanti di Kronweld si radunavano intorno al bianco edificio di
marmo. In quell’occasione la barriera di protezione, la linea
atomica che uccideva ogni forma vivente che osasse oltrepassar-
la, veniva spenta, ma numerose guardie armate venivano messe
a sorveglianza dell’unica entrata dell’edificio.
Ketan ricordava benissimo il giorno in cui era uscito dal
Tempio, e per la prima volta aveva visto il mondo esterno e i
due lucenti soli gemelli splendere nel cielo velato da una cupa
foschia. E ricordava pure il trauma che aveva subito entrando in
contatto con la realtà del mondo esterno, ma ogni ricordo del
tempo passato all’interno del Tempio gli era stato cancellato,
come a tutti d’altronde, così il Mistero era salvaguardato.
Però, era convinto che non poteva essere improvvisamente
nato già quasi maturo.
Quel giorno, quando era uscito, era già in grado di parlare la
lingua di Kronweld; conosceva le regole fondamentali della Ri-
cerca; sapeva in quale tipo di società si sarebbe trovato. Sapeva
che gli sarebbe stato assegnato un alloggio e che avrebbe lavora-
to come apprendista Ricercatore, e che, se avesse lavorato con
profitto, sarebbe poi diventato un vero Ricercatore.
Chi gli aveva impartito tutte quelle nozioni, non poteva aver-
lo fatto nell’attimo in cui era uscito e contemporaneamente can-
cellato ogni ricordo precedente.
– 89 –
Nonostante il suo travestimento, temette che qualcuno rico-
noscesse nel suo volto dei lineamenti familiari.
Procedette allora a occhi bassi. Elta, al suo fianco, con noncu-
ranza trovò il modo di stringergli fugacemente la mano in un
gesto di tenera disperazione.
La musica che usciva dolcemente dal Tempio divenne più
forte mentre la colonna si avvicinava alla grande scalinata. Arri-
vata in cima, la colonna si divise: le donne si disposero ai due
lati, e si fermarono.
Subito dopo, uno squillo poderoso di trombe invisibili squar-
ciò l’aria, e lentamente, solennemente, quasi ributtanti a rompe-
re l’isolamento del Tempio, le massicce porte dorate si aprirono,
e comparvero i nuovi abitanti. Ketan osservò l’espressione di
terrore che apparve sui loro volti nel momento in cui comincia-
rono a muoversi, tremanti, verso la luce dei soli gemelli.
Passarono tra le due file delle Nuove Signore in attesa. Ketan
si immedesimò nei loro stupiti pensieri, ricordando quando lui
stesso era stato in quella colonna, e provò per loro
un’inarrestabile ondata di simpatia.
Impiegarono pochi istanti a passare: non erano più di due-
centocinquanta, e quando la folla che assisteva si rese conto del
loro esiguo numero, cominciò a rumoreggiare inquieta: soltanto
duecentocinquanta!
Da molti tara ormai il gruppo del nuovi cittadini che emer-
geva era sempre minore, ma quello che quel giorno uscì dal
Tempio, fu il più esiguo di tutti i precedenti, e venne spontaneo
nei pensieri di tutti chiedersi dove avrebbe portato quella conti-
nua diminuzione. Per quale ragione erano sempre meno i nuovi
abitanti?
Ma nessuno era in grado di dare una risposta ai loro interro-
gativi.
A un certo punto squillarono le trombe: era il segnale che
comandava l’entrata nel Tempio delle Nuove Signore. Le due
file di donne avanzarono e oltrepassarono il grande portone che
subito si chiuse alle loro spalle.
Ketan era ritornato nel Tempio della Nascita.
– 90 –
CAPITOLO UNDICESIMO
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Ketan cominciò a sudare. Sentì di essere in trappola.
Udì a malapena le sue prime parole.
– … sono qui da ottanta tara. Non rimpiango un solo giorno
di lontananza dal mondo esterno. Il mio solo rimpianto è quello
di non avere svolto bene il mio lavoro… nessuna di noi riesce
mai a realizzare i propri sogni.
«Voi che un giorno siete uscite da queste sacre stanze dovete
sapere che è stato qui che le speranze, gli ideali e i desideri del
Dio che costruì Kronweld sono stati trasfusi in voi. Ora insegne-
rete ad altri quello che un giorno vi è stato insegnato.
– Volete sapere cosa vi si domanda. Siete nuove e piene di
speranza, siete ansiose e spaventate. Conoscerete ogni emozione
che mai abbia albergato in un cuore umano, ma le emozioni che
sentirete in misura enorme saranno la tristezza e la delusione.
«Per prima cosa dovrete apprendere le cose che si sono per-
petuate dal tempi della prima donna, e poi insegnarle a coloro
che verranno a voi.
«Vi siete domandate da dove venga la vita, e come essa sia
creata? Questo è uno dei Misteri proibiti che i Ricercatori di
Kronweld sono stati spesso tentati di penetrare, ma non è saggio
che essi sappiano. Anche noi che abbiamo la fortuna di occupar-
ci delle nuove vite non sappiamo come esse vengano create.
Questa conoscenza è riservata soltanto al Dio. Noi vediamo il
frutto della sua benevolenza, ma non comprendiamo come esso
si crei.
«Domani, dopo che vi sarete riposate e rinfrescate, sarete te-
stimoni della creazione della vita.
Dubbi spaventosi cominciarono a tormentare la mente di
Ketan. Neppure una sfumatura, neppure un indizio che gli di-
cesse che lui aveva avuto ragione. Le sue convinzioni e le sue
teorie erano dunque un’orribile bestemmia, come aveva deciso
il Consiglio?
Gli occhi di Matra passarono da un volto all’altro, ma spesso
ritornarono su di lui, scrutandolo come per cercare di stabilire
una muta comunicazione. Però non capiva se lo sguardo della
vecchia esprimesse o meno una condanna.
– 92 –
Poi una cupa tristezza apparve nella sua voce.
– Non rimarrò a lungo con voi – continuò lei. – Forse il vo-
stro è l’ultimo grappo di Nuove Signore che io accolgo nel Tem-
pio. Se così sarà, dovrete svolgere il vostro lavoro molto meglio
di quanto lo abbiano fatto quelle che vi hanno preceduto. Forse
alcune di voi lo avranno già percepito; altre non lo sospettano
neppure. Ma è così: Kronweld sta morendo. Non siate sconvolte
per questo. La fine di Kronweld avviene così lentamente che nel
corso delle nostre brevi vite non ce ne rendiamo conto, Kron-
weld sta retrocedendo nel passato, perché non ci sono più i
grandi Ricercatori senza paura, come il possente Igon, che fu
l’ultimo dei grandi.
«Perché questo accada io non lo so. Né so per quale motivo le
nuove vite sono sempre meno a ogni tara. Il gruppo con il quale
sono uscita comprendeva più di duemila persone. Voi avete vi-
sto il gruppo che è uscito oggi? Dovete scoprire il motivo di tutto
questo, o Kronweld sarà condannata.
«Ora potete andare. Ciascuna di voi troverà
un’accompagnatrice, nel corridoio, che vi guiderà nelle vostre
stanze e domani sarete condotte nella camera della nascita.
Si alzarono in silenzio, ancora sotto l’effetto delle parole di
Matra.
Ketan si unì alle altre e si diresse verso la porta. Elta lo guar-
dò con aria interrogativa.
Dopo avere fatto pochi passi, la vecchia lo chiamò.
– Tu che ti chiami Murna… vorrei parlarti – disse Matra,
Lo stava guardando con quegli occhi che sapevano leggere
nel pensiero.
Mentre Elta stava per uscire con le altre donne, Ketan fu pre-
so dal panico al pensiero che Matra sapesse che Elta si trovava
lì: lei aveva detto che Elta doveva morire.
Non poteva lasciarla uscire da quella porta, non poteva per-
derla di vista. Ma la ragazza sapeva che entrando nel Tempio si
sarebbe messa nelle mani della vecchia?
– 93 –
Ma in quel momento lui non poteva fare nulla. Le altre co-
minciavano a guardarlo con curiosità, mentre lui esitava. Allora
si voltò lentamente e si mosse verso la piattaforma.
Quando tutte se ne furono andate, Matra lo fissò intensa-
mente. – Non pensavo di rivederti così presto, Ketan.
Lui, immobile la fissò, poi disse: – Volevo terminare la con-
versazione che è stata interrotta bruscamente l’altra sera.
La vecchia sorrise e scosse il capo: – Stai mentendo, Ketan.
Non potevi sapere di trovarmi qui. Dimmi, perché sei venuto?
– Sono venuto per scoprire il segreto della vita, che tu e tutte
quelle come te avete nascosto per troppo tempo! L’umanità, se
non vuole estinguersi, deve saperlo. Quando lo avrò scoperto
distruggerò te e il tuo Tempio con tutto ciò che esso rappresen-
ta.
– Questo è buono – disse lei. – Ero sicura che eri giunto a
questo punto. Vieni, siedi accanto a me, e ti dirò quanto non ho
potuto dirti l’altra sera. Sarei tornata laggiù per parlarti, ma è
meglio che tu sia venuto qui.
«Per cominciare ti dico che non dovrai fare quello che ti ho
chiesto. Quando ho saputo che ti trovavi nel Centro di Prepara-
zione, ho dato l’incarico a un altro.
– Cioè…?
– A quest’ora Daran sarà già morto. Hoult… morirà domani.
Un uomo era stato assassinato… lui non sapeva neppure cosa
significasse quella parola; da trecento tara nessuno era stato
deliberatamente ucciso a Kronweld.
Poi pensò a Elta.
– Poi ci occuperemo di Elta visto che è qui – stava dicendo la
vecchia come se avesse letto il suo pensiero preoccupato. –
Lei…
– Ascoltami Matra! – la interruppe Ketan balzando in piedi e
protendendo le mani verso il collo grinzoso della vecchia. – Se
oserai toccarla, io…
Con sorprendente agilità, Matra si sottrasse alla stretta.
– 94 –
– Idiota – disse irata lei. – Cosa puoi fare? – Poi si calmò e
aggiunse: – Ma non preoccuparti. So quello che provi. Igon…
quando sentirai quello che devo dirti, cambierai idea. Ascolta.
«Immagina un altro mondo che ci circonda da ogni parte, un
mondo di esseri come noi che sono in grado di vederci, che san-
no della nostra esistenza, e che pure non possono essere visti.
Un mondo del quale non sappiamo assolutamente nulla.
«Un mondo simile esiste davvero, Ketan, e sa della nostra
esistenza da più di cento tara. Tutti i risultati delle nostre Ri-
cerche sono sfruttati da quel mondo, e usati a beneficio di colo-
ro che alla fine ci distruggeranno. Ci è stato permesso di vivere
solo perché sappiamo cose che per loro sono utili. Adesso, essi
vogliono una sola cosa: le nostre nozioni sull’energia atomica.
Finora non sono stati in grado di ottenerle, perché le spie che
hanno infiltrato tra noi non hanno saputo comprendere né in-
tuire queste nozioni. In generale essi sono di un basso livello
d’intelligenza.
«Ma ora a Kronweld è arrivata un’osservatrice tanto intelli-
gente da poterci strappare anche questo segreto. Kronweld sta
per essere tradita e la distruzione sta per scatenarsi su di noi.
«Questa osservatrice è Elta.
La voce della vecchia era quasi ipnotica, ma la mente coscien-
te di Ketan rifiutò l’idea. Elta…! No… non poteva credere che la
ragazza fosse l’emissaria di una razza che incombeva su Kron-
weld con la minaccia della sua distruzione.
– Non ti credo.
– No… certo… non ancora. Ma ti farò vedere le cose in un
modo che tu non potrai fare a meno di credere! Allora ritornerai
a Kronweld come una furia vendicatrice per sradicare le radici
infette che in essa si annidano. Ti conosco, Ketan. Ho quello che
basterà a convincerti.
«E fino a quando non sarai convinto, ti prometto che Elta sa-
rà risparmiata.
Ketan capì che la vecchia stava dicendo la verità a proposito
di Elta.
– 95 –
Per il resto rimase scosso dal significato delle sue parole: “Un
mondo invisibile intorno a Kronweld, che la spia ed è pronto a
distruggerla!”
– 96 –
– Voglio soltanto essere d’aiuto. Matra è vecchia. Non rimar-
rà con noi per molto tempo. Allora, quando non ci sarà più,
avremo un nuovo meraviglioso periodo sotto Anetel. Ci sono
molte cose che tu devi apprendere – aggiunse con voce carica di
significato. – Voglio soltanto essere d’aiuto. – Lo osservò a
lungo. Poi si voltò bruscamente e se ne andò.
Ketan ebbe l’impressione che all’interno del Tempio esistes-
sero dei contrasti; la stessa guida Nelan non aveva fatto mistero
che tra Matra e Anetel esistesse della rivalità.
Si strinse nelle spalle; c’erano altri problemi troppo impor-
tanti perché lui si lasciasse turbare dalle beghe
dell’organizzazione del Tempio. Sedette su una soffice poltrona
e cercò di rilassarsi. Non aveva dormito, ed era stato sottoposto
a una tensione incredibile durante gli ultimi tre giorni; la fatica
cominciava a farsi sentire pesantemente.
La poltrona era fornita di due pannelli: uno di svago e uno di
alimentazione. Scelse un cibo leggero e delle bevande che ap-
parvero su un vassoio. Assaggiò il cibo chiedendosi che cosa fos-
se; i cibi nuovi e sconosciuti avevano cessato di sorprenderlo da
quando il Centro di Alimentazione aveva iniziato a produrre
numerose nuove specialità. Comunque, quel cibo era eccezio-
nalmente buono. Se fosse stato fuori dal Tempio, lo avrebbe ri-
chiesto per una fornitura permanente nella sua abitazione. Se le
richieste di quel cibo, fatte dagli altri cittadini, sarebbero state
insufficienti per continuarne la produzione, il Centro l’avrebbe
sospesa e sostituita con altre nuove creazioni.
Osservò i titoli dei brani musicali sull’altro pannello, e fu
sorpreso di scoprire che c’erano diversi titoli recentissimi. Que-
sto significava che avvenivano scambi regolari tra il Tempio e
Kronweld, come sembrava evidente dalla visita di Matra alla
Karildex.
Quando scelse un brano, la musica incominciò a fluire nella
stanza. Affondò ancor più nella poltrona e osservò pigramente
l’appartamento.
Era stato progettato dagli architetti di Kronweld secondo i
dettami della moda più lussuosa. Nessun Ricercatore del Consi-
– 97 –
glio e nessun membro del Primo Gruppo avrebbe potuto per-
mettersi di godere degli agi che quella stanza permetteva a
Ketan.
Non c’erano finestre naturali, certo, ma degli energizzatori
disegnavano sul soffitto una striscia di aria illuminata e immer-
gevano la stanza in un bagno di uniforme luce riposante. Ketan
allungò la mano e manipolò il quadro di comando. La luce passò
dal color crema riposante a un verde gelido e da un tranquillo
azzurro a un rosso violento pieno di sfumature cremisi. Regolò i
comandi su un verde tenue, e tornò ad affondare nella comoda
poltrona.
Non seppe mai quanto avesse dormito. Ma quando si svegliò
si sentì abbastanza riposato, a parte un certo indolenzimento
alla schiena e alle spalle.
Si alzò e regolò le luci su un bianco-azzurrino piuttosto vio-
lento. Si tolse l’abito da cerimonia che indossava ancora, con un
gesto assolutamente privo di femminilità. La superficie lucida
che si trovava dall’altra parte della stanza rifletteva i suoi linea-
menti femminili.
Sogghignò e si avvicinò per osservare il suo travestimento e
controllare la tenuta della plastica. Osservò il suo volto, felice di
essersi sottoposto, qualche tara prima, al trattamento per
l’eliminazione permanente dei peli facciali. Se non lo avesse fat-
to, il suo travestimento non sarebbe servito a molto.
Quasi tutti gli uomini di Kronweld si sottoponevano al quel
trattamento, ma alcuni Ricercatori preferivano tenersi la barba
come segno di distinzione… o di perversione.
Dopo avere visto che il tracco era ancora intatto, cercò la
stanza della vaporizzazione, e stava per entrare sotto la doccia di
vapori di sostanze chimiche tonificanti e ripulenti quando vide
riflessa l’immagine del suo corpo che lo fece ridere. Ma quello
strato di plastica sul corpo, come avrebbe reagito al vapore? De-
cise di correre il rischio e fu sorpreso nel constatare che non
solo il vapore non deformava la plastica, ma penetrava attraver-
so la sua porosità fino alla pelle.
– 98 –
Ne uscì e si asciugò sotto il pannello che emanava un soffio
costante di aria calda. Indossò gli abiti che la guida aveva indi-
cato per la giornata, e sedette di fronte al pannello alimentare
per ordinare una colazione sostanziosa.
Guardandosi intorno non c’era niente che riconoscesse o ri-
cordasse nell’ambiente che lo circondava. Eppure c’erano dei
richiami vagamente familiari, come dei lontani ricordi di un
sogno.
E chissà come, quei richiami si concentravano sulla persona
della vecchia Matra. Sapeva di non averla mai vista… per quanto
potesse ricordare… prima della sera alla Karildex. Ma il ricordo
del suo volto gli destava delle sensazioni sempre più forti.
Probabilmente, l’aveva conosciuta prima di emergere dal
Tempio. Forse tra di loro si era stabilito uno strano legame.
Sembrava fantastico, così come era stata incredibile la loro con-
versazione alla Karildex e quello che le aveva detto nell’incontro
della sera prima.
L’improvviso richiamo di una campana nascosta lo sorprese
mentre mangiava. Poi una voce parlò dalla medesima sorgente
invisibile.
“Le nuove Signore si riuniscano subito nel corridoio, pronte
per l’ammissione alla camera della nascita”.
Inghiottì in fretta quanto restava della colazione, mise a po-
sto il vestito e si sistemò i capelli.
Aprì la porta e uscì.
Le altre erano già in attesa davanti alla porta dei loro appar-
tamenti. Nelan lo stava aspettando. Lo salutò con un cenno ine-
spressivo, e non disse nulla. Una fila di Signore stava avanzando
verso di loro. Quando furono passate, tutte le nuove si accoda-
rono.
Ketan aveva il cuore in tumulto: stava per sapere la verità sui
segreti che lo avevano assillato per tanti tara… stava per assiste-
re finalmente alla creazione della vita.
Ma c’era qualcosa di più della semplice eccitazione. Le sue
emozioni erano anche composte di un miscuglio di paura e di
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delusione. Ogni segno indicava qualcosa di estremamente di-
verso da quello che aveva immaginato come creazione della vita.
Nel Tempio non aveva visto alcun uomo. Come poteva nasce-
re la vita, allora? Avevano trovato un mezzo per raggiungere
quel risultato in maniera diversa?
Cercò ansiosamente Elta. Quando la vide, era in fila e cam-
minava davanti a lui tra una dozzina di donne. L’abito che in-
dossava la faceva sembrare esile e fragile. Era più complesso
dell’abito da cerimonia che aveva indossato il giorno prima, ma
sembrava accentuare, invece che diminuire, la sua grazia. I suoi
occhi ansiosi la fissarono intensamente nella speranza che lei si
voltasse e lo vedesse, ma fu inutile; avanzava con le altre a occhi
bassi e pareva assorta in quello che stava facendo.
La processione di donne percorse silenziosamente un labirin-
to di sale e corridoi. A un certo punto il silenzio fu rotto da un
grido di dolore in lontananza; tutte si voltarono per un istante,
ma subito ricominciarono a camminare, dimenticando quel
suono. Ma non fu così per Ketan, che, invece, fu pervaso da un
brivido, sapendo come avveniva la creazione di una nuova vita
nei bors…
Finalmente si fermarono al termine di un corridoio; una gui-
da schiacciò un bottone e una pesante porta si aprì lentamente.
Con ansia, tutte le Nuove Signore guardarono nella camera
che si apriva davanti a loro, illuminata da una luce verde che
mostrava la completa nudità dell’ambiente dove aleggiava un
silenzio mortale e ossessionante.
La camera aveva la forma di un quarto di sfera, una riprodu-
zione in miniatura del Tempio. Ketan, capì di trovarsi al centro
dell’edificio.
Apparentemente non c’era nulla all’interno della camera, ma
quando i suoi occhi si abituarono alla fioca luce verde, riuscì a
vedere due figure silenziose e immobili come statue, sedute di
fronte a una nicchia che si apriva nella parete, un’apertura con-
cava e semicircolare non più alta di un uomo. Nelle sue profon-
dità si annidavano profondissime ombre.
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Le due figure immobili non si voltarono a guardare le nuove
venute: i loro sguardi rimasero fissi sulla nicchia.
Poi apparve un’altra figura che andò a mettersi esattamente
al centro della camera: era Matra. I suoi occhi lampeggiavano e
sul suo volto grinzoso c’era una luce splendente.
Con un rapido gesto del braccio indicò una lunga panca ap-
poggiata alla parete concava, posta di fronte alle due immobili
guardiane della nicchia.
Le Nuove Signore, silenziosamente, raggiunsero il loro posto,
senza neppure osare di respirare forte, per non rompere il silen-
zio. Sedettero e poi… non accadde nulla.
La mente di Ketan lavorava furiosamente, ma non riusciva a
trarre alcuna conclusione Aveva immaginato di trovare un me-
raviglioso laboratorio di Ricerca, molto più avanzato del labora-
torio nascosto in casa sua. Ma quella… quella camera, cosa
c’entrava con la creazione della vita?
Lì regnava soltanto il silenzio, una strana sospensione della
vita, come se tutte le energie vitali si fossero arrestate per con-
centrarsi su una misteriosa dimostrazione.
Ketan l’avvertì, ma non poté immaginarne la natura.
Si trovava quasi al centro della panca. Poteva osservare le cu-
pe profondità della nicchia, ma in essa non c’era nulla da vede-
re.
Non c’era nulla… solo l’attesa.
Le ragazze cominciarono a muoversi lievemente, infastidite
dall’innaturale rigidità della loro posizione sulla scomoda panca
di pietra. Ma le due guardiane della nicchia non si erano sposta-
te di un millimetro dal momento dell’ingresso del gruppo, ben-
ché fossero sedute su sottili sostegni di pietra, senza schienale e
senza forma.
Matra sorrise.
– Imparerete cosa vuol dire pazienza, mie Signore. Ci saran-
no giorni nei quali siederete sole con un’ansia interminabile e
pregherete il Dio che vi mandi una nuova vita, che Kronweld
non sia ancora giunta alla fine. Ma la fine verrà… a meno che
non troviate un modo per impedirla. Metà delle stanze del
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Tempio sono chiuse e deserte da molti tara. Imparate a essere
pazienti, mie Signore.
«Forse sarà una di voi, l’ultima ad attendere in questa came-
ra prima che la polvere si accumuli e le porte vengano chiuse
per sempre, perché il Dio ha deciso di negarci la vita!
Un brivido di sgomento afferrò le donne: sentirono, quasi
palpabile, l’odore della morte.
Rimasero ansiose e tremanti, in attesa che qualche strano
miracolo avesse luogo sotto i loro occhi, osservando la misterio-
sa nicchia.
Poi, alla fine, doloranti e stanche, cominciarono a pregare
perché l’inutile veglia avesse fine e potessero ritornare ai loro
appartamenti.
Ketan, probabilmente, fu il primo a vederlo.
Osservava con attenzione ipnotica i recessi oscuri della nic-
chia. Ma quei recessi non erano più oscuri. Con un pulsare simi-
le a quello del cielo notturno, un’improvvisa fiammata di colore
apparve. Una luce violenta, terribile, purpurea balenò sulle pa-
reti della camera in una danza allucinante.
Morì lentamente, e quando fu scomparsa non furono più in
grado di vedere. Poi si alzò di nuovo, danzando dai margini del-
lo spettro al di sotto degli infrarossi, esplodendo in un crescen-
do di luce fino ad accecare gli occhi con radiazioni al di là del
violetto.
Le due guardiane erano balzate in piedi, proteggendosi gli
occhi, e ora stavano in piedi, immobili di fronte alla luce dan-
zante.
Ketan guardò Matra. Anche lei tremava visibilmente, davanti
al fenomeno. Si domandò quale cataclisma fosse piombato su di
loro.
Una delle nuove ragazze gridò.
E improvvisamente la fiamma si divise. Al suo centro c’era
l’oscurità. L’oscurità si allargò, e sembrò loro che mani invisibili
frugassero l’intera camera…
– 102 –
La fine giunse all’improvviso. La fiamma esplose e si spense,
riportando la camera alle sue condizioni normali, ma questa
volta con le Nuove Signore terrificate e piangenti.
Ma la loro traumatica esperienza non era ancora finita: vide-
ro le due guardiane e Matra correre e inchinarsi davanti alla
piccola piattaforma che sorgeva di fronte alla nicchia. Sentirono
un nuovo suono, un sottile suono lamentoso che diede voce alla
paura e al terrore che riempivano la camera della nascita.
Poi, una delle guardiane si rialzò e si voltò verso di loro; te-
neva tra le braccia una piccola forma animata che si contorceva.
Lentamente, come un sogno, la comprensione giunse alle loro
menti: era la riproduzione in scala ridotta di un essere umano. E
capirono di essere state testimoni della creazione della vita.
Poi uscirono e si recarono in una sala nella quale degli esseri
di appena un tara imparavano a camminare. Le Nuove Signore
si sentirono meglio di fronte a quello spettacolo. Alcune addirit-
tura risero divertite, vedendo le grottesche azioni dei piccoli
uomini e delle piccole donne.
Ma per tutte, quel momento di allegria, poco dopo fu sosti-
tuito da un sentimento di compassione per quelle creature indi-
fese che un giorno sarebbero diventate esseri perfetti.
E per loro fu spontaneo avvicinarsi ai bambini e aiutarli nei
loro sforzi di mantenersi in piedi.
Di là passarono in un altro compartimento nel quale bambini
più grandi imparavano a fare uso delle braccia e delle gambe e
della mente. In altri compartimenti, imparavano la lingua e i
principi fondamentali della Ricerca. All’ultimo livello del Tem-
pio si trovavano quelli che venivano preparati per emergere nel
mondo esterno, il tara seguente.
Fu spiegato alle ragazze che per mezzo di un metodo partico-
lare venivano cancellati dalla memoria dei ragazzi tutti i ricordi
riguardanti il loro il soggiorno nel Tempio. E che questo avveni-
va per preservare i segreti del Tempio e la sua santità tra gli abi-
tanti di Kronweld.
Frammenti di memoria ondeggiavano ai confini
dell’inconscio nella mente di Ketan, ma tutti i ricordi del perio-
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do passato nel Tempio non erano che vaghe ombre soffocate da
un mare di nebbia.
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CAPITOLO DODICESIMO
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Solo nel suo appartamento al termine di una giornata di pe-
regrinazioni nel Tempio, Ketan capì che non era più vicino alla
soluzione del Mistero del Tempio di quanto lo fosse stato prima
di entrare.
La strana dimostrazione alla quale aveva assistito nella ca-
mera della nascita, Io aveva confuso. Ma capiva che era stata
soltanto la copertura di un mistero ancora più profondo. La vita
non poteva essere creata da quelle fiamme abbaglianti. La rap-
presentazione non era che una farsa grottesca.
Fu certo che tutto quello che aveva visto quel giorno era una
verità parziale offerta alle più giovani Signore, mentre le più
anziane dovevano aver accesso ai Misteri più grandi.
Decise che c’era un solo modo per scoprirlo: doveva parlare
con Matra. Era sicuro che la vecchia si sarebbe fatta viva, e al
momento giusto avrebbe ottenuto la risposta alle sue domande,
anche se avesse dovuto strapparla con la forza alla vecchia.
Desiderava anche vedere Elta, voleva parlarle anche per capi-
re il motivo per cui era entrata in quel luogo. Era stata una scel-
ta, oppure lo aveva fatto per qualche oscuro motivo? Forse, co-
noscendo l’odio che Matra aveva nei suoi confronti, e il proposi-
to di farla uccidere, era entrata nel Tempio per cercare un’intesa
con Matra, ma anche questo era sconcertante.
E poi, chi erano gli Statisti?
– 106 –
– Hai ragione. – Annuì lei. Ketan notò che una mezza dozzi-
na di ragazze che erano vicine assentissero come aveva fatto
Nelan…
– Inoltre – continuò Nelan, – la nostra posizione ci dà diritto
a godere delle migliori ricompense per quello che facciamo: me-
ritiamo molti agi e molte libertà di cui potremmo godere qui,
ma che non abbiamo, anche se sarebbe nostro diritto pretender-
li.
– È giusto – annuì un’altra Signora anziana. – Matra non si
è mai curata troppo delle nostre condizioni: ha sempre insistito
sulla devozione al lavoro e non ci ha mai lasciato neppure il
tempo per vivere.
– La devozione al lavoro è il nostro scopo principale – disse
solennemente Nelan. – Ma abbiamo anche il diritto di preten-
dere le cose che meritiamo. C’è un modo sicuro per ottenerle.
Ketan si chiese cosa potessero volere di più. C’erano più agi là
dentro di quanti avessero mai avuto a Kronweld. Ma se avesse
riflettuto su quella discussione, avrebbe capito a cosa mirava.
– Abbiamo bisogno del tuo aiuto, e dell’aiuto di tutte le Si-
gnore più giovani – disse un’altra, rivolgendosi direttamente a
Ketan. – Anetel ci procurerà tutte le cose che vogliamo, se noi
la sosterremo.
– Di che cosa state parlando? – volle sapere Ketan.
– Matra è vecchia – disse Nelan. – Morirà presto. Una di noi
dovrà essere pronta a prendere il suo posto. La sua erede sarà
scelta da noi. Molte hanno già deciso di sostenere Anetel. E
l’erede naturale al posto di Matra. Saprà creare una nuova era di
progresso per il Tempio della Nascita. I nuovi nati entreranno
nella vita di Kronweld molto più preparati a occupare il loro
posto nella società.
«Anetel si occuperà delle condizioni di vita all’interno del
Tempio… tra le Signore… e farà in modo che esse vengano
enormemente migliorate. Avremo migliori e più confortevoli
alloggi, maggiore libertà di vivere la nostra esistenza e di venire
ricompensate delle cose alle quali abbiamo rinunciato. Non è
desiderabile tutto questo?
– 107 –
Ketan annuì: – Certo, è desiderabile.
Le altre gli sorrisero.
– Allora ci aiuterai a sostenere Anetel?
– Sì – le rassicurò Ketan.
Idealismo!
Così era quello il benedetto ideale del sacro Tempio della Na-
scita? e quelle erano le disinteressate e sante Signore che dedi-
cavano la loro vita alle cose più elevate dell’esistenza umana?
Ketan si chiese cosa pensassero in quel momento le ragazze
dagli occhi pieni di sogni… quelle che avevano ascoltato con
espressione tanto rapita le parole dell’istruttrice del Centro di
Preparazione. Probabilmente, anche loro con il passare dei tara
sarebbero diventate tali e quali alle Vecchie Signore, le quali
erano troppo occupate dall’egoismo e dalla ricerca del personale
benessere per pensare a cose ben più importanti, come, per
esempio, sconfessare la santità di quel luogo.
Ketan non aveva ancora avuto l’occasione di parlare con Ane-
tel. Però, l’aveva vista passare nei corridoi e nelle sale.
Era alta, bionda e statuaria, con i capelli lunghi e morbidi. La
sua abilità nel trattare i neonati era incomparabile. La sua appa-
rente freddezza era ingannevole. I colloqui che aveva con le altre
Signore erano essenziali, ristretti al tempo necessario e non di
più, ma la sua personalità trasmetteva un’ondata a chi
l’ascoltava. Metteva a loro agio le Signore più timide, quando
decideva di parlare loro. Quelle che provavano ribrezzo per i
lineamenti decrepiti e i modi bruschi di Matra si addolcivano
immediatamente alla presenza di Anetel.
Non era né piccola e suadente, né possente e violenta. Non si
univa ai piccoli gruppi di donne che si formavano alla fine della
giornata. Non cercava d’ingraziarsi le nuove arrivate.
Quella donna sfidava ogni analisi di Ketan.
E lui sentì di odiarla, perché sapeva che dietro quella facciata
di devozione, le parole pronunciate dalle sue sostenitrici erano
state suggerite da lei, in privato.
– 108 –
Anetel conosceva i pensieri di ogni Signora del Tempio, e
aveva le sue emissarie nei punti nevralgici per fomentare del
nervosismo e delle aspettative che le sarebbero tornati utili.
Si chiese per quale motivo Matra non si occupasse della cosa.
Il personale del Tempio era in agitazione: lei doveva senz’altro
saperlo. Ma forse non aveva più interesse a mantenere il suo
potere.
Però, quando ripensò a quei suoi occhi profondi e ipnotici, e
la ricordò al lavoro davanti alla tastiera della Karildex, si con-
vinse del contrario: quella donna aveva degli scopi che andava-
no molto più in là delle beghe che animavano le Signore del
Tempio.
– 109 –
In ogni caso, prima di andarsene aspettava solo di venire as-
segnato come guardiano alla camera della nascita.
Quella camera conteneva la soluzione del Mistero.
Attese con calma quel momento, ma il giorno in cui venne
assegnato alla camera della nascita, cominciò a essere molto
nervoso e agitato: stava per avere finalmente la risposta a tutte
le sue domande.
Sperò che la sua compagna fosse Elta che non avrebbe osta-
colato la sua ricerca. Ma era così determinato a sapere quello
che voleva, che non avrebbe esitato a uccidere un’altra compa-
gna che si fosse opposta.
Ma invece fu proprio Elta.
Quando lei lo vide, si immobilizzò all’ingresso della camera.
Prima lo fissò, incredula, poi si voltò, come per fuggire.
– Elta… – mormorò lui. – È più di quanto avessi potuto spe-
rare.
Il suo corpo ebbe un lieve tremito.
– Perché dovevi essere proprio tu? – esclamò.
– Elta! Cosa dici? Finalmente abbiamo l’occasione di stare un
po’ assieme.
– No… ascoltami, Ketan. – La sua voce era irata. – Sono ve-
nuta qui per compiere una missione. Vuoi fidarti di me, stavol-
ta?
«Forse io posso fare quello che vuoi… la distruzione del
Tempio, ma devi lasciarmi sola e libera di agire. Torna nella tua
stanza. Puoi raggiungerla senza essere visto. Quando avrò ter-
minato, ti raggiungerò. Potremo aprirci la strada verso l’esterno
perché ho scoperto dove sono nascoste le armi. Ti prego, fallo
per me, fidati.
– No!
– Ketan…
– No, Elta. Non ti lascerò realizzare il tuo piano, qualunque
esso sia. Non posso immaginare perché tu sia venuta qui… ma
io ho i miei scopi, e sono più importanti di qualsiasi tuo proget-
to.
– Ne ho parlato a Matra, e lei ha approvato…
– 110 –
La fissò sbalordito. Cosa doveva credere? Matra voleva che
Elta venisse uccisa. Come avrebbe potuto approvare un piano
che comportava la distruzione del Tempio?
– Non posso crederlo – disse. – Non credo che sia possibile
la distruzione del Tempio senza prima scoprire i segreti della
camera della vita. Come si crea la vita all’interno di quelle
fiamme che esplodono nella nicchia? Qual è il loro segreto? In-
tendo scoprirlo.
– Queste sono le cose proibite di Kronweld – mormorò Elta.
– Nessun uomo deve conoscerle. Nessuno le conosce, all’interno
del Tempio. Non scherzare con delle forze che vanno al di là
della comprensione umana.
– Non puoi credere a quello che dici, e neppure io credo alle
tue parole. Quando hai cominciato a lavorare tra i Non Registra-
ti, avevi le mie stesse idee. Perché adesso la pensi diversamen-
te?.
– Forse sono giunta a concludere che esistono forze che
l’uomo non può combattere. Forze che non possono essere
combattute perché portano soltanto alla fine di ogni energia
vitale. Lasciami, ora, Ketan. Tornerò subito da te.
– No! Andiamo insieme.
Mai, nel corso della loro relazione, si era sentito così lontano
da lei come in quella piccola camera maledetta che si trovava
nelle profondità del Tempio.
Lo spaventava il pensiero di una vita senza Elta. Era come
guardare un precipizio oscuro e senza fondo.
Perché voleva essere lasciata sola in quel luogo?
Elta stava di fronte alla nicchia e osservava l’oscurità interna.
In quel momento lui provò il desiderio di stringerla tra le brac-
cia e di schiacciare il cupo mistero che si ergeva tra di loro.
Ma era inutile. Non poteva essere spazzato via da un sempli-
ce abbraccio.
Percorse lentamente la camera spoglia e si guardò intorno.
Non c’era nulla da scoprire.
– 111 –
Anche la nicchia era vuota.
Si infilò all’interno di essa.
Elta gridò, terrorizzata: – Ketan, non farlo!
La fiamma violetta stava sorgendo nelle profondità della nic-
chia. Per un istante sembrò avvolgere Ketan, e il suo corpo as-
sunse una terribile trasparenza.
Balzò fuori dalla nicchia con il volto pallido; tremava senza
potersi controllare.
– Elta, io ho vist…
– Guarda. Eccolo che viene.
Il fuoco bianco balzò verso di loro, e si spezzò nella tenebra
più assoluta. Ketan si coprì gli occhi con il velo dell’abito che
indossava, e così protetto guardò nella fiamma… subito dopo,
sulla piattaforma giaceva un bambino urlante.
Elta lo sollevò tra le braccia e disse a Ketan: – Suona perché
vengano a prenderlo.
– Aspetta… c’è qualcosa…
Una strana striscia bianca era avvolta intorno alla gamba del
bambino. Ketan la svolse ed espose una profonda ferita, ma
contemporaneamente un foglio raggrinzito scivolò sul pavimen-
to.
Lo raccolse. – Sembra un messaggio… – Rise, incerto, di
fronte all’assurdità della cosa.
Elta lo guardò agitata: – Distruggilo. Svelto, Ketan. Qualcu-
no potrebbe entrare e vedercelo in mano. Ho paura…
La fissò negli occhi.
– Hai guardato nelle profondità della luce quando il bambino
è nato? Hai visto?
– No, ci è stato detto di non…
– Ci era stato detto di non osservare quello che non volevano
faci vedere. Quando quella prima ondata di luce mi ha avvolto,
mi è sembrato che la camera fosse svanita e che io mi trovassi
per un istante sulla soglia di un altro mondo lontano. C’era una
grande assemblea di persone in una sala più grande di questo
intero Tempio. Ero in piedi davanti a loro alla base di una gran-
de macchina e loro sollevavano gli occhi su di me con uno
– 112 –
sguardo pieno di paura e supplichevole. Mi stavano gridando di
andare a… salvarli!
Elta si voltò, rifiutando di sostenere il suo sguardo.
– Deve essersi trattato di un’illusione.
Ketan scosse il capo, stringendo il foglio con l’enigmatico
messaggio.
– No, io quel mondo l’ho visto veramente… e lo vedrò ancora.
La prossima volta gli andrò incontro. Devo raggiungere quel
mondo. Devo trovare quella grande sala e quelle persone che
imploravano di andare a salvarle.
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CAPITOLO TREDICESIMO
– 114 –
dere i bors e gli altri animali a una distanza considerevole. Era a
un’arma del genere, cui Elta si era riferita poco prima, dicendo
che con essa si sarebbero fatti strada fuori dal Tempio?
Se la traduzione era esatta, veniva richiesta proprio
quest’arma.
La traduzione non era stata difficile perché i caratteri sem-
bravano simili a quelli usati a Kronweld, salvo qualche semplice
distorsione e qualche altro segno indecifrabile. Era una lingua
molto strana, comunque.
Mentre guardava affascinato il messaggio, cominciò a udire
dei rumori, nella notte.
Poi la confusione divenne generale. Divenne un grido di mor-
te e di terrore che riempì il Tempio e svegliò ogni donna.
Ketan uscì di corsa e trovò il corridoio pieno di Signore terro-
rizzate, discinte e urlanti.
Prima che riuscisse ad avanzare verso l’origine del grido, le
donne furono fermate da un gruppo di robuste sorveglianti.
Tutte adepte di Anetel… Ketan le riconobbe.
– Che è successo? – Aggiunse la sua voce a quelle delle altre,
ed essa si perse nel marasma generale. Nessuno sapeva da dove
fosse giunto il grido.
Le Signore premettero contro il cordone di guardie, e riusci-
rono ad avanzare verso il fondo del corridoio, cercando di di-
stinguere qualcosa. Ma arrivarono subito altre fedeli di Anetel, e
l’avanzata delle Signore fu bloccata.
Poi lentamente, nella lunga fila di donne, così spontanea-
mente che nessuno seppe da quale fonte fosse giunta
l’informazione, cominciò a diffondersi la voce di morte:
“Qualcuno ha tentato di uccidere Anetel… l’ha pugnalata… è
stata una delle nuove ragazze… chi sa il suo nome?!”
– Era Elta, Elta… – si sentì dire.
La mente di Ketan vacillò sotto l’impatto di
quell’affermazione, e rifiutò di accettarla. Ma la voce continuò a
diffondersi… Elta aveva cercato di uccidere Anetel. Lo stavano
mormorando tutte “… una nuova ragazza… impazzita… sorpresa
a lottare con Anetel… ha cercato di ucciderla… era già morta?”.
– 115 –
Ketan ritornò nella sua camera e chiuse la porta. Si domandò
cosa potesse essere accaduto. Si afflosciò sulla poltrona e rimase
perfettamente immobile.
Ora non poteva far nulla per aiutare Elta, se era vero che ave-
va tentato di uccidere Anetel.
Ma perché avrebbe dovuto fare una pazzia simile?
Questo non poteva essere stata la sua missione!
Era meglio che lui non si facesse vedere. Rimase chiuso nella
sua stanza e, a mano a mano che passava il tempo, il vocio nei
corridoi diminuì fino a sparire del tutto.
Comunque doveva aspettare il mattino per avere maggiori
notizie. Allora ci sarebbe stato abbastanza tempo per agire. Do-
veva restare calmo, e attendere ancora.
Sul momento non capì se stesse sognando: sentì una voce che
gli parlava. Allora aprì gli occhi e si guardo attorno, ma nella
stanza non c’era nessuno. Poi la sentì di nuovo, come uscita im-
provvisamente dal nulla. Girò ancora lo sguardo e quando la
voce si fece sentire ancora, scoprì da dove veniva. Arrivava da
una grata della parete che lui pensava fosse la conduttura per il
ricambio d’aria. Avvicinò l’orecchio e ascoltò, trattenendo il re-
spiro.
Era la voce di Matra.
– Ketan… Ketan… rispondi se mi puoi sentire. Ketan…
– Ascolto. Dove sei? – mormorò con voce bassa.
– Nella mia stanza. Vieni da me subito. Attento. Non farti
scoprire. Vieni…
Completamente sveglio, Ketan aprì silenziosamente la porta.
Il corridoio era libero, e le Signore del Tempio erano ritornate al
loro riposo notturno.
Ma una di loro… senza dubbio una delle più fedeli ad Ane-
tel… stava sorvegliando il corridoio, in fondo. La vide sparire
dietro un angolo.
Corse veloce lungo il corridoio, tenendo il capo voltato per
sorvegliare il lato opposto. Vide spuntare il suo piede dietro
– 116 –
l’angolo, allora si appiattì nel vano oscuro di una porta che non
era sufficientemente profondo per nasconderlo.
Si appiattì ancora di più, e osservò, trattenendo il respiro, la
guardia con la coda dell’occhio.
Perché la vecchia lo aveva chiamato a quell’ora? Stava forse
morendo?
Quel pensiero lo agitò: prima doveva sentire il resto della sua
storia…
La guardia si era fermata e controllava il corridoio. Poi len-
tamente la donna si voltò, convinta che tutto fosse a posto.
Quando si ritirò e scomparve, Ketan rimase ancora per qualche
tempo fermo nel nascondiglio.
L’appartamento di Matra si trovava in fondo all’atrio
all’estremità opposta del salone di raduno del Tempio. Ketan
balzò dal suo nascondiglio e corse come un fulmine verso quella
direzione. Davanti alla porta di Matra, esitò, si guardò attorno, e
certo che nessuno lo stesse vedendo, entrò.
Una volta dentro, credette che la stanza fosse vuota, finché i
suoi occhi non si abituarono alla semioscurità che vi regnava.
Poi una voce esile pronunciò il suo nome. Proveniva da un
grande letto che si trovava in un angolo della stanza.
Di Matra si vedeva soltanto il suo volto, e le sue mani erano
strette sui bordi del baldacchino. Sembravano foglie secche e
grinzose.
– Sono felice che tu sia venuto… in tempo… – mormorò con
un terribile sforzo. – Sto morendo, e devo dirti molte cose.
– Posso fare qualcosa per te? – domandò dolcemente Ketan.
– Qualcosa per rendere più veloce la mia morte? Vuoi dire
questo, vero? – disse, con voce strana. – No, devo parlarti fino
a quando riuscirò a farlo.
«Per prima cosa, devo dirti di essermi sbagliata su Elta. È
venuta da me oggi, e abbiamo parlato a lungo. Le ho mostrato
quello che hanno fatto gli Statisti a Kronweld e alla Terra… tu
non conosci questo nome, vero? Ma lei mi ha creduta e ti aiute-
rà.
– 117 –
Una smorfia di dolore le contorse l’espressione del volto ren-
dendolo quasi irriconoscibile. Ketan rimase seduto senza potere
fare nulla mentre l’attacco passava.
– Il veleno… agisce in fretta – rantolò Matra.
– Veleno?
Matra annuì.
– Lo ha fatto Anetel. Avrei dovuto saperlo. Ma non importa.
Tu potrai proseguire. Devo sbrigarmi… la fine è vicina. Voglio
che tu prenda questo anello…
Sfilò un anello dal dito e lo porse a Ketan. Lui lo prese, scon-
certato. Si adattava appena al suo dito mignolo.
– Conservalo. Ti proteggerà dal male che Anetel vuole farti.
Lei sa di te. Sei stato riconosciuto dal primo momento in cui sei
entrato nel Centro di Preparazione. Non è facile ottenere
l’accesso al Tempio della Nascita – sorrise amaramente. – Ti
conoscevamo entrambe ed entrambe pensavamo di usarti per i
nostri scopi. Ma in questo ho vinto io.
«Mi rimane poco tempo. – Un’altra smorfia di dolore le alte-
rò i lineamenti. – Elta sa cosa deve fare. Ti dirà il resto. Volevo
che tu sapessi che lei è innocente da ogni male.
– Ma perché ha tentato di uccidere Anetel?
– Lei… ha fatto… questo? – La vecchia cercò di sollevarsi, e
si afflosciò nuovamente, rantolando. – Oh, che stupida… che
piccola stupida… che meravigliosa piccola stupida…
– Perché?
– Credeva che servisse. Ma non sarà affatto utile. Abbiamo la
situazione sotto controllo… Ma hai detto che ha tentato?
– Non sono certo di nulla… ho sentito solo un gran vociare
nei corridoi e qualcuno che pronunciava il suo nome. Adesso le
guardie di Anetel controllano i corridoi.
– Sì… è da molto tempo che ha creato una sua organizzazio-
ne. Ho visto i primi tentativi. L’ho vista crescere. Ma non impor-
ta Anch’io ho la mia, e le abbiamo impedito di inviare qualsiasi
informazione utile fuori di qui. – La sofferenza apparve di nuo-
vo, e questa volta non passò. Gli occhi le si riempirono di lacri-
me di dolore.
– 118 –
«È così – riuscì a rantolare, vincendo il dolore. – C’erano
tante cose che avevo da dirti. Ma Elta… sa tutto. Fa’ in modo che
porti il suo anello… le sarà necessario. Non perdeteli, nessuno
dei due. Ora… che Dio ti benedica!
Si contorse, emise un rantolo spaventoso… e giacque immo-
bile.
Per lungo tempo Ketan rimase inginocchiato accanto al cor-
po, senza comprendere, incapace di muovere un muscolo. La
fissava pieno di meraviglia e dì stupore, mentre cresceva in lui
la terribile sensazione della presenza di forze e potenze stranie-
re. Allora capì che la benedizione di Matra non implorava il Dio
di Nabah e dei suoi seguaci.
Osservò quel piccolo corpo stanco. Quali fardelli aveva porta-
to durante gli innumerevoli tara della sua esistenza?
Si alzò di scatto, conscio della sua posizione e del pericolo che
correva Elta. Osservò il curioso anello che Matra gli aveva dato.
Era soltanto un lucente cerchio dorato. Ed Elta ne aveva uno
uguale. Come potevano rappresentare la loro salvezza quei pic-
coli oggetto dall’aria innocua?
L’atrio era ancora deserto, quando uscì. Neppure la guardia
era in vista. Ritornò senza incidenti nel suo alloggio e sedette
sulla poltrona.
La morte di Matra lo aveva scosso. Non c’era nulla di così tri-
ste come assistere a una morte. A Kronweld, quelli che scorta-
vano gli incurabili nel Luogo della Morte erano dei paria, e solo
gli ultimi dei declassati potevano venire costretti a svolgere quel
lavoro. La morte era degradante.
Eppure, Matra era serena mentre moriva; non aveva paura,
anzi sembrava attendere con gioia la morte.
Rimpiangeva solo di non aver avuto il tempo di completare la
sua opera, ma era contenta di aver passato il compito a Elta… e
a lui. Ketan si sentì stranamente obbligato nei riguardi della
vecchia, sentì di dovere svolgere il lavoro cui essa aveva accen-
nato… qualsiasi lavoro fosse.
Ma il pensiero di Elta lo tormentava. Perché aveva tentato di
uccidere Anetel?
– 119 –
I piccoli e miserabili affari interni del Tempio non
c’entravano, non lo riguardavano. Era l’intero complesso che
doveva essere distrutto.
Tentò invano di capire.
Tentò invano di pensare a un piano logico per raggiungere
Elta.
Ma lo sorpresero mentre lui era seduto, a pensare.
– 120 –
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Anetel era la prima. Dietro di lei c’erano tre delle sue seguaci.
Ketan balzò in piedi. Gli occhi di Anetel lo fissarono con inso-
lenza. Un sorriso sardonico le piegava le labbra. Aveva un brac-
cio al collo, fasciato strettamente. Qualcuno l’aveva davvero pu-
gnalata…
– Potresti anche toglierti quei pezzi di plastica. Stanno per
staccarsi.
– Ormai ci sono abituato.
– Come vuoi. Devi essere proprio stupido per aver pensato di
riuscire a entrare qui senza essere scoperto… e ingannando Ane-
tel. Possiedo tutti i dati registrati sulla tua aggressione alla ra-
gazza del Centro di Preparazione. Tutte le tue parole con Matra.
Il tuo divertente lavoro di rimodellamento, ogni mattina. E la
tua profanazione nella camera della nascita.
«Voglio quel messaggio! Dammelo.
Tese imperiosamente la mano.
Ketan fece un balzo all’indietro, verso l’originale e la tradu-
zione che giacevano sul tavolo. Li gettò nell’inceneritore dei ri-
fiuti aperto, che si trovava sulla parete.
– È esattamente lo stesso – rise Anetel. – Non volevo che
rimanesse in giro, dove avrebbe potuto sconcertare delle Signo-
re curiose. Dobbiamo sempre sostituire le Signore che riescono
a tradurli.
– Ce ne sono stati altri di quei messaggi?
– Molti. Ecco perché viene proibito di guardare i bambini,
ma di portarli subito nell’apposito reparto. Ma, in ogni caso,
sarebbe stato necessario giustiziarti.
La fissò con fierezza. – E cosa significa questo?
– 121 –
– Sono sorpresa – disse con ironia la donna. – Eri un Ricer-
catore così grande, a Kronweld. Volevi abbattere e distruggere
questo falso Tempio e sostituirlo con la verità. Non hai mai udi-
to la verità sul Tempio e sulla grande porta nel Confine?
Ketan rimase sconcertato. Anetel rise. Poi la meraviglia lo
sopraffece. Quell’oscurità nella nicchia!
Che stupido era stato a non averlo capito prima. Quello era il
Confine.
– Ricordo, nella storia della tua vita – disse Anetel, – che in
gioventù hai proposto che i Ricercatori trovassero un sistema
per passare sopra o attraverso il Confine per scoprire cosa si
trovava dall’altra parte. Be’, tu lo scoprirai!
– Che vuoi dire?
– Centinaia di tara nel passato, ci fu una grande battaglia a
Kronweld. C’erano migliaia di primitivi ignoranti che si oppone-
vano ai Ricercatori. Dicevano che la Ricerca era contraria alla
volontà del Dio e uccisero centinaia dei nostri più nobili scien-
ziati. Ma alla fine vennero sconfitti e un grande Ricercatore, del
quale ormai perfino il nome è dimenticato, scoprì come costrui-
re una porta nel Confine che si aprisse su un mondo-prigione
vuoto e terribile. Un mondo al cui confronto la Landa dei Mille
Fuochi e la Landa Oscura sono dei giardini paradisiaci. Costruì
questa porta e gli ignoranti sconfitti vennero imprigionati in
quella landa. È una landa eterna, chi è lì, non muore mai, così
essi sono rimasti là fino a oggi.
La grande riunione di volti imploranti ritornò alla mente di
Ketan…
– Ah… allora tu li hai visti – rise Anetel. – E dal tuo volto,
vedo che li compatisci. Compatisci te stesso, povero Ricercatore,
perché tu li raggiungerai e il tuo volto sarà uno di quelli che im-
plorerà e perseguiterà le curiose Signore che cercheranno di
penetrare in futuro il segreto della vita… finché anch’esse non ti
raggiungeranno.
– Non puoi credermi così stupido da prendere per buona una
bugia così fantastica. Perché a Kronweld non si sa nulla di que-
– 122 –
sto? E da dove viene la nuova vita? Il tuo racconto non lo spiega
certo.
– Questo?… È stato un trionfo dello stesso Ricercatore che ha
aperto il Confine. Se ti può essere di qualche consolazione, sappi
che avevi ragione con le tue teorie sulla creazione della vita. Ve-
niamo al mondo nello stesso orribile modo dei bors, la cui asso-
ciazione tu trovi così desiderabile. Ma al popolo di Kronweld
questo orrore è stato risparmiato. Sono le creature dei prigio-
nieri che attraversano il Confine per riempire di nuove vite Kro-
nweld. Sono loro gli animali che servono alla nostra riproduzio-
ne. Solo i bambini possono attraversare il Confine da quella par-
te. Gli altri possono soltanto compiere il percorso a ritroso.
Ketan rimase immobile. Per quanto disgustosa, la storia di
Anetel, se fosse stata vera, avrebbe spiegato tutto. Tutto ciò che
riguardava il Tempio era fantastico e irreale, eppure ogni nuova
rivelazione sembrava condurlo più vicino alla verità.
– Sarai giustiziato oggi – disse Anetel. Si voltò per andarse-
ne.
Ketan le corse subito dietro. Istintivamente, lei si girò di scat-
to e la mano libera uscì dalle pieghe della veste.
– Penso che tu sappia di che si tratta – disse.
Ketan guardò l’oggetto che stringeva in mano. Era un’arma
della Landa Oscura… capace di ridurlo in un soffio di cenere.
Poi mentre lo guardava, Anetel scorse il luccichio dell’anello
dorato.
Questo sembrò colpirla.
– Così Matra pensava di prendersi giuoco di me anche mo-
rendo – mormorò lei. – Dammi quell’anello.
Ketan capì che doveva farlo se non voleva essere incenerito
dalla fiamma.
– Bene – disse lei, infilandosi in una tasca l’anello con un ge-
sto veloce. – Bene, senza dubbio ne ha uno anche Elta. Devo
trovarlo.
Chiusero ermeticamente la porta, nell’andarsene.
– 123 –
Ketan guardò senza capire il dito nudo. Ora non c’era più via
di scampo. Ma finalmente aveva scoperto il segreto del Tempio.
Sarebbe stato mandato oltre il Confine.
Un’esultanza fantastica lo travolse. Cosa importava la sua vi-
ta, se dimostrava la giustezza della sua Ricerca?
E in qualche modo, in qualche posto… se riusciva a sopravvi-
vere… avrebbe trovato il sistema di tornare indietro. Elta era il
suo unico pensiero. Cosa le sarebbe accaduto?
In quel momento una voce parlò nella stanza.
– Ketan… Ketan! Puoi sentirmi? Parla, se mi ascolti.
– Elta! Dove sei?
– Sono fuggita dal mio alloggio e ho trovato il centro di co-
municazione del Tempio. È in questo modo che ti parlo. Posso
sentire tutto ciò che viene detto nella tua stanza. Ascoltami
Ketan. So cosa intendono fare di te. Ho rubato un’arma della
Landa Oscura e posso prenderne un’altra. Sono travestita e mi
nasconderò nella camera della nascita. Sarò una delle sorve-
glianti. Nasconderò una delle armi dentro alla nicchia. Lasciati
condurre là e poi prendi l’arma, in modo che possiamo aprirci la
strada della fuga con la forza.
– No, Elta! È impossibile… dovremmo uccidere tutte le Si-
gnore del Tempio. E poi dove andremmo? Tutta Kronweld ci
aspetterebbe fuori, perché so che esiste un contatto tra il Tem-
pio e la città.
– Dobbiamo farlo! Non c’è tempo da perdere.
– Metti l’arma nella nicchia, come volevi. Quando io passo il
Confine, seguimi.
– No!
– Sei venuta per questo, no?
– Sì… sì, ma…
– Troveremo il modo di tornare indietro. Tu sai cosa c’è
dall’altra parte, ma io no, e per me sarà la realizzazione dei miei
sogni. E ti proverò che qualsiasi cosa tu possa temere non è poi
così spaventosa. Ora, fa’ come ti dico, Elta.
– 124 –
– Va bene. Sono una stupida, ma è soltanto perché ti amo. Sii
pronto a usare l’arma, non appena passi il Confine. Dovrai ucci-
dere subito, una volta dall’altra parte.
***
– 125 –
spettro e fiammeggiò in un candore abbagliante e si tinse
d’azzurro.
Esitò e si voltò. Un colpo nelle costole lo dissuase. Fu spinto
dalla punta aguzza verso le fiamme bianco-azzurre.
Riuscì a dare un’occhiata alle due sorveglianti. Nessuna delle
due era Elta.
Non ebbe tempo per capire quanto ciò fosse catastrofico. I
pungoli gli provocarono un acutissimo dolore alla schiena. Poi si
trovò a percorrere un lungo corridoio di fiamme ondeggianti e
serpentine che giocavano intorno al suo corpo e lo dilaniavano
con dita palpabili di fuoco.
– 126 –
lo. Non esisteva un “momento prima”. Era nell’eternità e prima
dell’eternità non esiste nulla.
La risata scosse l’infinito di luce che lo avvolgeva. Diede vita
allo spazio nel quale galleggiava ed esso cominciò a vibrare e a
muoversi con essa.
Salire e scendere, avvolgersi e svolgersi, in una incessante
giuoco di movimento che sembrava percorrere ogni fibra
dell’infinito. Ondate che lo portavano da un capo all’altro
dell’universo e lo riconducevano al punto di partenza, e mentre
queste ondate passavano, grandi Soli venivano spazzati via.
E poi la grande ondata lo travolse e spezzò il tempo e
l’universo, mille tempi e mille universi, nella selvaggia ondata
della creazione.
La vista gli si oscurò. I suoi piedi cominciarono a muoversi
attraverso ondate di sabbia. Sabbia pungente gettata dal vento
sul suo volto. Da un orizzonte all’altro non c’era che sabbia,
sabbia bianca e rovente che rifletteva la luce di un solo sole di
uno splendore accecante.
In mezzo al deserto sorgeva un grande pinnacolo torreggian-
te di roccia. Un’ancora di salvezza. Doveva raggiungere quella
roccia. La sua vita dipendeva da questo. La vita di Kronweld… si
fermò un istante per ricordare faticosamente il significato di
quella parola… Kronweld dipendeva da questo. Doveva raggiun-
gere quel pinnacolo immobile nelle sabbie accecanti.
– 127 –
CAPITOLO QUINDICESIMO
– 128 –
Elta. Ricordò che doveva seguirlo… dovunque si trovasse. Ma
non si era trovata nel posto di guardia, come aveva promesso.
Era stata presa prima, forse uccisa, a causa del suo attentato ad
Anetel?
Fu sommerso da un senso di inutilità e di fatalismo, come gli
era accaduto quando aveva scoperto che Elta era entrata nel
Centro di Preparazione e aveva pensato di averla perduta. Solo
che questa volta non c’era modo di tornare. Di tornare a Kron-
weld. Di tornare da Elta.
La meravigliosa estasi che lo aveva preso al pensiero di avere
raggiunto la sua meta, di avere oltrepassato il Confine, era so-
praffatta e perduta in quel mare di terribile solitudine.
Si voltò lentamente, e si sollevò. Adesso era nel bel mezzo di
una foresta. Non c’erano tracce di case né di costruzioni umane,
non c’erano segni di vita. Nessun segno della grande folla di vol-
ti supplichevoli che aveva visto attraverso la Soglia del Confine.
Nessun segno del grande Confine e neppure del deserto con il
solenne pinnacolo.
Non aveva mai visto una foresta come quella. C’erano degli
alberi nella Landa Oscura, ma erano cose piccole e misere, nel
buio e nel gelo, sotto un cielo percorso dalle ceneri roventi della
Landa dei Mille Fuochi. Le colonne torreggianti che vedeva in
alto e intorno erano terrificanti. Era terrificante guardare verso
l’alto e vedere le loro cime ondeggiare sullo sfondo del cielo. La
vista gli si annebbiò, per un’improvvisa vertigine.
Si chiese dove si trovasse. Era una domanda assolutamente
priva di significato. Era in un mondo speciale, creato per lui, nel
quale lui sarebbe vissuto fino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe
voluto sdraiarsi nuovamente, ma la necessità di indagare lo
spinse a camminare per soffocare il terrore che gli stringeva la
mente. Condurre i suoi piedi avanti, evitare pietre e rami caduti
e scegliere la strada tra gli alberi, furono cose che ridussero
l’importanza delle sue terribili domande.
Scoprì di discendere da un’altura, e pian piano il suono di ac-
qua corrente divenne più forte. Dopo un po’ , riuscì a vedere il
corso d’acqua. Lo fissò affascinato. Era una visione di limpida
– 129 –
bellezza. Nessun uomo di Kronweld aveva mai visto una cosa
del genere. A Kronweld l’acqua giungeva solo da specchi sta-
gnanti e caldi, e doveva essere raffreddata artificialmente.
Avanzò e toccò con la mano la corrente, e scoprì che l’acqua era
gelida.
Bevve a sazietà prima di riprendere il cammino lungo la riva.
La fame cominciò a far udire i suoi morsi. Si domandò se ci fos-
sero bors o altri animali, come nella Landa Oscura: ma lui era
senz’armi.
Dopo qualche tempo la foresta cominciò a diradarsi e le rive
del corso d’acqua divennero più ampie e sabbiose.
Mentre lui camminava, il cielo incupiva sempre più. Non
aveva alcuna meta, voleva soltanto avanzare e impedire alla sua
mente di formulare delle domande.
Udì un suono che doveva essersi ripetuto una dozzina di vol-
te, prima che i suoi sensi ottenebrati se ne fossero resi conto. Si
fermò ad ascoltare. Era un suono lamentoso che divenne a un
tratto un grido acutissimo e stridulo. Pensò al Luogo della Mor-
te, a Kronweld, dove i feriti e i malati che rifiutavano di darsi la
morte venivano portati. Gli avevano detto che lì si sentivano
quelle grida.
Affrettò il passo. E poi udì un debole fruscio nella sabbia, alle
sue spalle. Si voltò appena in tempo per vedere una creatura
sporca e lacera balzare verso di lui con la pazzia negli occhi. Poi
un enorme braccio si chiuse intorno alla sua gola e premette
fino a quando la sua mente non sprofondò nell’oscurità.
– 130 –
L’uomo era grosso e bruno e aveva le braccia e il petto sco-
perti perché indossava abiti laceri. Il suo volto era annerito dalla
barba incolta, ma i suoi occhi erano giovani, intensi e intelligen-
ti. Quegli occhi fissavano Ketan con un’intensità terribile.
Ketan mosse le mani alla cieca alle sue spalle, e trovò una
pietra aguzza che si trovava accanto alla corrente. L’uomo pro-
nunciò delle parole incomprensibili, e Ketan agì.
Il suo braccio scattò e la mano lanciò il sasso contro la fronte
dell’uomo. Ci fu un attimo di panico, sul volto dell’uomo, poi
questi cadde a terra senza un lamento. Il sangue cominciò a
uscire lentamente dalla ferita, coagulandosi tra i folti peli della
barba.
Ketan si sentì male. La vista del sangue umano era più di
quanto un comune Ricercatore di Kronweld potesse sopportare.
Era qualcosa capace di portare nausea e terrore al più forte degli
uomini.
Si alzò con un movimento nervoso e rapido, e si allontanò
senza voltarsi indietro, tremando violentemente.
Poi ritornò il grido di dolore e di terrore.
Si guardò disperatamente intorno, cercandone la fonte, ma
non vide nulla. Dopo un istante vide un chiarore nebuloso
nell’aria, e notò per la prima volta un fuoco che faceva innalzare
grandi nubi di fumo verso il fianco della collina.
Proprio davanti a esso, nella collina, si apriva una caverna.
Istintivamente, capì che il grido era giunto da lì.
Se si fosse trattato di un Luogo della Morte, avrebbe voluto
evitarlo, se gli fosse stato possibile. Imbevuto per tutta la vita di
un sacro orrore per ogni difetto del meccanismo umano, e con-
vinto che l’unico rimedio in quella situazione fosse la morte.
Eppure c’era un gruppo di Ricercatori a Kronweld, che rite-
neva inumano e non necessario far morire un uomo per ogni
piccola ferita. Erano convinti che fosse possibile riparare il mec-
canismo umano.
Istintivamente si allontanò della caverna, ma un inesplicabile
senso di solidarietà umana lo attirò, perché le grida sembravano
– 131 –
quelle di una donna che soffriva. Si avvicinò guardingo
l’apertura.
All’interno regnava una semioscurità che gli impedì di vede-
re, ma c’era qualcuno. Una voce gridò quando lui si fece sulla
soglia. Allora entrò e rimase immobile, aspettando che i suoi
occhi si abituassero alla fioca luce che giungeva da un punto
lontano. Vide che si trattava di un fumoso lucignolo sospeso in
un piatto di grasso.
Quando finalmente si fu abituato alla penombra, vide davanti
a lui, su un basso giaciglio fatto di rami d’albero, una donna che
si contorceva in preda al dolore e che tentava di raggiungere una
bottiglia che si trovava in una nicchia sulla parete opposta.
Ketan l’andrò a prendere e la porse alla donna.
Lei lo fissò con gratitudine, con occhi umidi di pianto, senza
comprendere di trovarsi davanti a uno straniero, e continuò a
ripetere una sola parola, come se stesse chiamando un nome.
In mano teneva un pezzo di stoffa sudicia che immerse nella
bottiglia, imbevendolo del suo contenuto. Ketan riconobbe
l’odore pungente. Poi la donna si portò lo straccio alle narici, e
aspirò profondamente.
Allora Ketan capì. Stava dandosi la morte, e lui non aveva il
diritto di trovarsi là. Fece per andarsene, ma prima di farlo si
chiese per quale motivo la donna si trovasse lì, e chi fosse.
Dov’era la sua città?
L’effetto era iniziato: il pezzo di stoffa le cadde di mano.
Ketan corse a raccoglierlo, per sostituirlo in modo che la donna
potesse morire più in fretta. Nel farlo, vide che il suo corpo era
orribilmente gonfio e trasfigurato. L’orrore lo fece indietreggia-
re. Vagamente, un debole ricordo affiorò nella sua mente. Una
volta… una volta, in precedenza, aveva visto una condizione del
genere.
I bors!
Le tolse il pezzo di stoffa dal volto e guardò con maggiore at-
tenzione. La donna non doveva morire.
– 132 –
Il suo respiro stava diventando affannoso. Ketan si sentì im-
potente e attonito. La meta di tutta la sua Ricerca sembrava a
portata di mano, e non era in grado di fare nulla.
Sollevò lo sguardo, di scatto, quando l’apertura della caverna
fu oscurata da un’ombra massiccia che l’attraversava. Era
l’uomo che aveva lasciato, credendolo morto.
Forse non vide subito Ketan nella semioscurità della caverna,
perché i suoi occhi non vi si erano ancora abituati. Avanzò a ten-
toni verso il letto di rami e cadde al suolo accanto alla donna.
– Mary! – gridò.
Poi vide Ketan, dall’altra parte del letto. Emise un selvaggio
grido di rabbia e fece per alzarsi, ma il suo sguardo cadde sulla
bottiglia accanto a Ketan e alla stoffa che aveva in mano, e ri-
tornò alla donna.
Lentamente, la sua espressione si addolcì. Un sorriso di gra-
titudine apparve sul suo volto. Tese una mano. Esitante, Ketan
la guardò, poi tese la sua intuendo che quella era la risposta.
Le domande esplosero nella mente di Ketan. Chi erano quei
due? E dove si trovava lui? Forse, al di là della Landa Oscura
che nessun uomo aveva mai oltrepassato? C’era soltanto
un’immensa e impenetrabile distesa di paludi fumanti, tra le
quali si aggiravano creazioni di vita d’incubo, che nuotavano e
volavano.
Per un istante considerò la possibilità di essere finito nella
terra-prigione descritta da Anetel nella sua fantasiosa spiega-
zione del Confine. Ma là non c’era nessun Confine, né quella
terra somigliava alla Landa descritta dalla donna.
Lasciò perdere il problema. Era banale in confronto a ciò che
accadeva davanti a lui. Aveva raggiunto il culmine della sua Ri-
cerca. La prova della sua teoria eretica sulla origine della vita
era a portata di mano.
L’uomo si alzò bruscamente e fece cenno a Ketan di uscire.
Nella luce morente del giorno i due si studiarono vicendevol-
mente, stupiti e perplessi. E l’uomo barbuto continuò a guardar-
si intorno nervosamente, come se fosse perseguitato da qualche
invisibile nemico.
– 133 –
La sua ansia si trasmise a Ketan.
Pronunciò una frase che suonò come un ordine incomprensi-
bile per Ketan. Eppure in essa qualcosa aveva una strana nota di
familiarità. La cadenza e l’unione di molti suoni basici erano le
stesse della sua lingua. Ma nonostante questo, quelle parole per
lui non avevano alcun significato.
Disgustato, il barbuto abitatore della caverna vide che l’altro
non aveva capito. Rinunciò e gettò una manciata di sterpi nel
fuoco che bruciava davanti all’ingresso, poi estrasse un fagotto
di laceri pezzi di stoffa e lo osservò con aria rassegnata. Prese da
una catasta di legno un corto bastone e lo avvicinò al fuoco, fino
a quando cominciò a bruciare. Poi lo conficcò rapidamente nella
sabbia dalla parte che impugnava.
Con un paio di bastoni più piccoli sollevò uno degli stracci e
lo tenne sospeso sulle fiamme e quando iniziò a fumare lo mise
sul bastone infisso nella sabbia.
Fece cenno a Ketan di imitarlo. Lui obbedì, domandandosi
quale fosse lo scopo: forse qualche inutile superstizione per pla-
care un Dio? Cose del genere non erano ignote a Kronweld.
Nel frattempo l’altro aveva trascinato una grossa pentola che
mise sul fuoco. Con dei contenitori più piccoli, portò dell’acqua
dal fiume, e attese impaziente che bollisse.
Poi estrasse un coltello affilato e lo tenne sulle fiamme, quin-
di rapidamente lo avvolse con uno degli stracci bruciacchiati.
Infine, si mise uno straccio sul volto, si lavò vigorosamente le
mani nell’acqua fredda, quindi le strofinò nella sabbia e le im-
merse a lungo nell’acqua bollente prima di avvolgerle negli
stracci.
Indicò a Ketan di imitarlo.
Dei bassi lamenti e delle grida che aumentavano costante-
mente d’intensità continuavano a giungere dalla caverna. I due
si affrettarono a entrare.
La donna si stava contorcendo, tra atroci sofferenze. L’uomo
emise un rumore che era evidentemente un’imprecazione e la
trascinò nuovamente al centro del letto.
– 134 –
Immerse nuovamente lo straccio nel liquido della bottiglia e
lo applicò alle narici della donna. Quindi fece cenno a Ketan di
stringerle le braccia e di tenerla ferma. Ketan obbedì, incapace
di guardare la donna.
Quasi incosciente, sommerso da successive ondate di nausea,
Ketan obbedì alle istruzioni dell’uomo barbuto. Ma le istruzioni,
trasmesse a gesti, furono poche. L’uomo lavorava in un parossi-
smo di terrore. Il terrore si trasmise a Ketan. Sapeva che qual-
cosa andava male, ma non sapeva di che cosa si trattasse. Senti-
va soltanto una grande paura e un terrore che riempivano gli
angusti confini della caverna e sembravano suggere la sua vita a
ogni respiro.
Passò un’eternità di tempo. La donna tremò sotto le mani di
Ketan, ma i tremiti divennero sempre più deboli. Poi l’uomo si
alzò in piedi, stringendo una piccola forma animale rossa. La
schiaffeggiò e portò la sua bocca contro quella della creatura, e
respirò a lungo e lentamente.
Ketan si sentì travolto da un turbine mentale.
Questa era la nascita! Questo era l’inizio della vita!
In qualche posto, all’inizio della sua vita, si era svolta una
scena identica. Forse da qualche parte esisteva ancora la donna
che lo aveva contenuto. Che orrore sarebbe stato incontrarla
sapendo…
Comprese la reazione dei membri del Primo Gruppo quando
aveva parlato della cosa.
Eppure c’era un altro sentimento sconosciuto che temperava
il suo ribrezzo. In un mondo in cui tutti gli uomini sapevano
come venivano creati, non potevano ignorare chi li aveva creati.
Si domandò quale tipo di mondo sarebbe stato, quali relazioni
sarebbero esistite tra gli esseri umani, in un mondo simile.
Osservò l’uomo barbuto che stringeva il piccolo umano.
C’erano solo preoccupazione, paura, e qualcosa che Ketan non
riuscì a definire, sul volto dell’uomo.
Ketan pensò a Elta e rabbrividì.
In quell’attimo avvertì un improvviso mutamento nella don-
na che stringeva ancora fermamente. Si stava contorcendo fre-
– 135 –
neticamente. Poi rimase immobile. Ketan guardò il suo volto
calmo, cercò inutilmente di sentirle l’alito e il battito del cuore:
era morta.
Per la seconda volta aveva visto morire un essere umano!
Dopo un periodo indefinibile un solo pensiero gli attraversò
la mente: Elta. Creare una vita significava sempre morire?
Il suo sguardo andò all’uomo barbuto che era in piedi come
una statua di pietra, con la piccola forma rossa immobile tra le
sue braccia. Rimasero così per lungo tempo. Non si udiva alcun
suono, tranne il rumore lontano della corrente.
Poi il silenzio fu rotto dal violento grido d’ira dell’uomo bar-
buto. Lasciò cadere il corpicino immobile e cadde a terra, accan-
to alle due figure senza vita, nascondendo il volto contro il corpo
della donna.
Ketan uscì lentamente dalla caverna.
C’era un brivido nell’aria, un brivido sconosciuto a Ketan. Ma
non era quello che faceva tremare il suo corpo. Aveva visto nuo-
vamente la morte.
E la nuova vita… cos’era accaduto? Qualcosa sembrava spa-
ventosamente sbagliato. Certo, cose del genere non dovevano
esistere. La creazione della vita non doveva significare un simile
terrore e la morte, come era accaduto alla donna…
Udì un passo, dietro di lui. Si voltò e vide l’uomo. Gli occhi
rossi di pianto forse non lo vedevano, ma il braccio villoso fece
un cenno imperioso, Ketan lo seguì nuovamente all’interno del-
la caverna.
L’uomo indicò a Ketan di avvolgere i cadaveri nei pochi
stracci che si vedevano in giro. Chissà perché, Ketan fu felice di
poterlo aiutare, anche se non vedeva il motivo della richiesta.
Quando ebbe terminato, uscì e trovò l’uomo che stava sca-
vando una fossa profonda nella sabbia. Chiedendosi quale fosse
il motivo, si chinò ad aiutarlo. Finirono di scavare quando gli
ultimi bagliori del fuoco illuminavano la scena. L’uomo entrò
nella caverna e ritornò lentamente, portando le forme immobili
della donna e del bambino, avvolte nei panni. Le mise tenera-
mente nella fossa. Poi accumulò sabbia su di loro, fino a na-
– 136 –
sconderle. Rimase solo un monticello di sabbia e il silenzio li
circondò.
Ketan vide che il secondo sole stava sorgendo. Appariva sulle
cime delle basse colline, dalle quali scendeva il corso d’acqua.
Ma non era normale. Era una cosa pallida e insignificante che
emanava soltanto una luce argentea e fredda. Per la prima volta,
Ketan ebbe paura. Quel globo innaturale parlava di un universo
nel quale l’esistenza di Kronweld era semplice fantasia.
Si rivolse all’uomo che era in piedi, immobile, con il volto che
mostrava la più profonda amarezza, circondato dai raggi argen-
tei del secondo sole. Un brivido lo scosse. Il suo corpo si tese al
massimo. Il suo profilo nero contro la luce argentea appariva
solenne.
E un possente pugno si sollevò nella notte, testimone di un
improvviso assalto d’ira e di furia distruttrice. Poi il pugno si
abbassò e l’uomo fissò il monticello di sabbia che si trovava da-
vanti a lui.
Si voltò e corse via. Prima che Ketan fosse riuscito a distin-
guere il punto verso il quale era diretto, l’uomo era già scompar-
so.
La paura travolse Ketan. Il dramma folle e irragionevole al
quale aveva assistito in quel cupo tramonto lo stava spingendo
alla pazzia.
L’ambiente completamente straniero che lo circondava par-
lava soltanto di creazioni d’incubo, e il corpo gli doleva per la
fatica e per la mancanza di cibo.
Stancamente, stese a terra la veste e vi si sdraiò sopra, non
osando sfidare i fantasmi che sorvegliavano l’oscurità della ca-
verna.
Il fuoco morì mentre lui dormiva.
– 137 –
CAPITOLO SEDICESIMO
– 138 –
che addentava voracemente un grosso pezzo di carne. Era
l’uomo barbuto della sera prima.
Quando Ketan si avvicinò, lo guardò con indifferenza, senza
espressione sul volto e gli offrì un pezzo di carne arrostito sulle
fiamme. Ketan lo accettò subito e si accoccolò sulla sabbia calda.
Il pezzo di animale che stava mangiando apparteneva a una
bestia piuttosto grossa dalla pelle brunita e levigata e con un
paio di corna ramificate sul capo. Non era grande e pesante co-
me i bors.
Finito di mangiare, Ketan si voltò verso ritorno barbuto il
quale aveva affondato il capo tra le ginocchia. Quando Ketan si
mosse, l’uomo sollevò il capo. Una mezza dozzina di parole
stranamente familiari gli uscirono dalle labbra.
Ketan immaginò che gli chiedesse chi fosse. Glielo disse e le
sue parole sembrarono provocare una parziale comprensione,
come accadeva a Ketan quando parlava lui, e così iniziò la loro
conversazione.
Ketan decise che il suo travestimento poteva portargli ancora
dei vantaggi, perciò continuò a contraffare la voce.
L’uomo si chiamava William Douglas. A Ketan sembrarono
due nomi, ma li accettò entrambi, visto che l’uomo non aveva
indicato alcuna preferenza per l’uno o per l’altro.
La ferita che Ketan gli aveva inflitto la sera prima era coperta
di sangue raggrumato. L’uomo la lavò nel fiume e poi andò nel
bosco. Ritornò, con qualche foglia, che masticò, impastò e ap-
plicò alla ferita con una striscia di stoffa presa dall’abito lacero
che indossava.
Versò acqua e sabbia sul fuoco. Poi, con aria efficiente, tagliò
la carcassa dell’animale e separò la carne ancora da mangiare,
quindi si issò il tutto sulle spalle.
Ketan si offrì di portarne una parte. William Douglas osservò
con aria perplessa il suo travestimento femminile, poi aderì alla
richiesta.
Si misero in cammino lungo la riva del fiume. L’uomo non si
voltò mai a guardare il punto in cui erano stati sepolti i corpi
della donna e del bambino.
– 139 –
Ketan non ebbe alcun dubbio sull’opportunità di seguirlo. A
parte il fatto che non avrebbe saputo dove andare, voleva riusci-
re a parlare la sua lingua, per chiedergli da dove venisse, e dove
si trovavano in quella terra strana e selvaggia.
Inoltre, avere una compagnia, in quella terra straniera, vale-
va come la stessa vita. Quello che era successo il giorno prima
gli aveva fatto capire che lì la morte era un fatto reale e terribile,
non certo come aveva fantasiosamente immaginato che fosse
quando era a Kronweld. Né il ponte attraverso lo spazio e il
tempo, che lui aveva attraversato, lo aveva condotto in una terra
vicina a Kronweld. Aveva superato il Confine, di questo ne era
certo.
Ma dov’era il Confine? Perché non era visibile?
E soprattutto continuava a pensare a Elta. Doveva trovare in
qualche modo una strada per tornare indietro, sperando che la
ragazza fosse ancora salva.
– 140 –
C’era una domanda ancora più urgente che voleva fare a Wil-
liam. Cercò di spiegarsi, in parte nella sua lingua, in parte nella
propria: – Tu sai dove si trova un luogo deserto in cui c’è solo
sabbia e una grande roccia altissima.
Piegandosi, disegnò un ampio cerchio nella sabbia e mise un
pezzo di roccia al centro di esso, poi si alzò per indicare
l’orizzonte e la grande altezza della roccia.
William apparve sconcertato. Indicò in lontananza, oltre agli
alberi. – Deserto – disse. – Là c’è sabbia. – Ma poi indicò la
roccia e scosse, il capo per dire che non l’aveva mai vista.
Ketan cominciò a disperare di trovare il pinnacolo. Forse non
esisteva affatto, in realtà. Forse era soltanto il frutto di uno
shock che gli faceva apparire la visione ogni volta che la sua
mente era tesa e stanca.
Ma senza alcun motivo razionale, continuava a sperare che il
pinnacolo fosse reale, che esistesse da qualche parte e che lui
doveva raggiungerlo se non voleva impazzire.
Aveva visto per la prima volta il pinnacolo nel corso della
prima notte passata fuori dal Tempio, dopo la sua nascita. Non
era stato un sogno, ne era stato certo. Si trovava in una stanza
assieme a molti altri nuovi cittadini nati quel giorno e ascoltava
le parole dei Maestri. Improvvisamente l’ambiente che lo cir-
condava era scomparso e si era trovato in mezzo al deserto, di-
retto verso il remoto pinnacolo che appariva all’orizzonte.
In seguito, ogni volta, ed erano state diciotto volte che l’aveva
visto, il pinnacolo era sembrato più vicino, come se a cominciare
dalla prima apparizione lui avesse continuato ad avanzare len-
tamente verso la meta. Molte volte si chiese se non fosse quello
il mondo reale, e Kronweld soltanto una visione.
– 141 –
avevano mangiato dell’altra carne, ma ora continuavano ad
avanzare. A un certo punto William gli disse che si trovavano
nelle vicinanze del villaggio.
Ketan si domandò cosa sarebbe accaduto, una volta che fos-
sero arrivati là. Cosa doveva fare?
Era così intento nei suoi pensieri che non si accorse che Wil-
liam si era fermato se non quando lo urtò. L’uomo aveva rag-
giunto la cima di una collinetta, e stava guardando verso il bas-
so. Ketan seguì con lo sguardo la direzione degli occhi dell’altro.
Sotto di loro, in una piccola valle, si alzava una nuvola uni-
forme di fumo proveniente da un centinaio di piccoli fuochi che
dovevano avere bruciato per tutto il giorno, e ora si stavano
spegnendo.
William emise un basso suono animalesco, che Ketan cono-
sceva: era un grido inarticolato di disperazione e d’ira.
Scesero a valle, tra le rovine fumanti, e videro che nessuna
abitazione era rimasta intatta. Raggiunsero il centro del villag-
gio dove l’uomo lasciò cadere a terra il prezioso carico di carne.
Le sue spalle erano indolenzite dal peso che avevano traspor-
tato durante la giornata, ma a quel punto non c’era più alcun
bisogno di trasportarlo.
Ketan capì che l’uomo aveva inteso offrire la carne in regalo
agli abitanti del villaggio.
– Cosa è successo? – domandò Ketan.
– Statisti… cacciatori Statisti…
Quella parola fu come un fulmine che attizzò il ricordo di
quella sera alla Karildex, quando Matra gli aveva rivelato che da
oltre cento tara esisteva un’organizzazione il cui obiettivo ulti-
mo… era la distruzione di Kronweld. “Ci temono e ci distrugge-
ranno. Sono gli Statisti” gli aveva detto.
Ketan ricordò quelle parole e il volto della vecchia, tremante
come se fosse stata aggredita dal vento gelido e violento della
Landa Oscura.
Ma non aveva avuto il tempo di dirgli chi fossero gli Statisti;
gli aveva parlato solo di un mondo che circondava Kronweld.
Poi, nell’ultimo colloquio, prima di morire Matra aveva detto
– 142 –
che Elta sapeva cosa fare, ma anche questa volta non aveva avu-
to il tempo per scoprire quanto sapeva Elta.
– Chi sono gli Statisti? – chiese a William.
– Gli Statisti? – l’uomo fece con il braccio un gesto che ab-
bracciò le rovine fumanti. – Sono quelli che hanno fatto questo.
Tiranni, pazzi, predoni… quante parole esistono nella tua lingua
per descrivere questi concetti? Sono tutto questo e molto di più.
Essi hanno rovinato un mondo.
Ketan non capì, perché non c’erano parole nella sua lingua
che descrivessero simili concetti del tutto sconosciuti a Kron-
weld.
– Sono uomini? – domandò.
– Sì, hanno l’aspetto di un uomo.
Ancora una volta la risposta di William lasciò molti interro-
gativi a Ketan, il quale stava per fare un’altra domanda, quando
William, senza dargli tempo, si abbassò e raccolse la carne. –
Dobbiamo proseguire – disse, stancamente. – Possiamo rag-
giungere un altro villaggio entro mezzanotte… se esiste ancora.
Gli Statisti… qualunque fosse il significato della parola… era-
no un contatto tra il mondo dove si trovava e Kronweld. Non
importava che fosse una parola pronunciata con odio e amarez-
za. Per lui era una forma di contatto, un collegamento. La spe-
ranza rinacque nel cuore di Ketan. Avrebbe scoperto il significa-
to di quella parola.
William sembrava in grado di vedere la strada al buio, men-
tre Ketan, che lo seguiva, inciampava e barcollava in continua-
zione. A un certo punto incespicò su qualcosa che giaceva in
mezzo al sentiero. Cadde, e quando si alzò, si fermò a osservare
l’ostacolo, ma William lo incitò a proseguire.
– Morto! – disse.
Allora Ketan capì cos’erano le altre cose informi che vedeva-
no immobili tra gli alberi: gli abitanti del villaggio. Duecento
persone uccise!
Ketan continuò a inciampare; a cadere e a rialzarsi, per quel-
la che gli parve un’eternità, prima che William, alzando una
mano gli facesse cenno di fermarsi.
– 143 –
Per un momento, non riuscì a capire il motivo di quella sosta.
Seguì la direzione del suo sguardo e distinse vagamente, nella
debole luce del secondo sole, che William chiamava Luna, un
movimento sul sentiero, davanti a loro.
Era una colonna di una dozzina di individui.
William avanzò con cautela fino a quando si trovò a poca di-
stanza da loro.
– Tutto a posto. Vengono dal Villaggio Brent.
Quando William apparve ai loro occhi e li salutò, quelli si
fermarono, spaventati. Poi, riconoscendolo, si avvicinarono, e
nella notte echeggiarono i loro lamenti. Con frasi concitate per-
ché Ketan potesse capirle chiaramente, gli raccontarono della
distruzione del Villaggio Brent.
Erano otto uomini, e sei donne. Due donne portavano con sé
dei bambini. Alcuni erano feriti. Il braccio di un uomo dondola-
va inarticolato come un orribile pendolo, quando egli si muove-
va. Una delle donne aveva i capelli imbrattati di sangue raggru-
mato.
Ketan pensò che a Kronweld quella gente sarebbe stata por-
tata al Luogo della Morte. Ma poi, gli venne in mente che quella
gente non aveva un Luogo della Morte. Se morivano, venivano
seppelliti dove erano caduti, come aveva fatto William, laggiù
nella caverna.
Ma cosa sarebbe accaduto agli individui danneggiati?
William Douglas si mise a capo della colonna, ed essi prose-
guirono il cammino.
Ketan tentò d’immaginare chi fossero gli Statisti: non riusci-
va a concepire uomini capaci di provocare distruzioni e disastri
come quelli che aveva visto.
Nell’intera storia di Kronweld avvenimenti di quel tipo non si
erano mai verificati… ma quello non era il mondo di Kronweld.
I due mondi avevano però un nemico in comune: gli Statisti.
Possibile che gli Statisti meditassero una uguale distruzione per
Kronweld?
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A mezzanotte arrivarono al villaggio. A mano a mano che si
avvicinavano, Ketan avvertì un’ondata di crescente ansietà
giungere dalla piccola colonna di superstiti.
Finalmente, quando dopo una brusca svolta del sentiero, vi-
dero il villaggio, un sospiro di sollievo e grida di gioia uscirono
dalle loro gole: il villaggio era intatto.
Quando poi entrarono nelle stradicciole mal tenute e sveglia-
rono gli abitanti i quali si precipitarono fuori, attorno a William,
Ketan trasse la conclusione che quell’uomo fosse un’autorità, un
capo.
Rimase con i superstiti che si sistemarono in un’abitazione
malridotta, illuminata da una lampada a olio. Gli fu indicato un
giaciglio sudicio addossato a una la parete, coperto di pelli di
animale, e con un piumino grigiastro.
Una grassona di mezza età gli fece cenno di sistemarsi lì. La
vide appena nella semioscurità, e osservò il suo abito. Sembrava
fatto della stessa pelle di un animale uguale a quello che aveva-
no mangiato durante la giornata. Per lo meno, pensò Ketan, non
c’erano inibizioni contro l’uso degli animali, tra quella gente.
Più tardi, la grassona portò una ciotola di liquido amaro e
una fetta di carne arrostita. Ketan l’assaggiò appena, poi, troppo
stanco per porsi altre domande, si addormentò.
– 145 –
– Digli dove vuoi andare – disse William.
Ketan sentì un fremito corrergli lungo la schiena.
Quell’uomo poteva condurlo al pinnacolo?
Affannosamente disegnò sul terreno il luogo, come aveva fat-
to con William Douglas.
L’uomo sembrò perplesso e parlò a William, troppo in fretta
perché Ketan potesse capire. Il nuovo venuto sembrò pensoso,
poi indicò un punto all’esterno, oltre la foresta, e pronunciò un
nome.
William annuì e si rivolse a Ketan: – John conosce il paese
meglio di chiunque altro, e pensa di poterti guidare nel luogo
che cerchi. Vuoi andare con lui?
– Sì! Subito?
William scosse il capo. – Non subito; prima dobbiamo ripo-
sare. E un lungo viaggio e tu devi dirmi molte cose. Dobbiamo
imparare a parlare meglio. Andremo fra un giorno o due.
– Verrai con noi?
– Sì.
Perché fosse così contento di avere William come compagno
di viaggio Ketan non avrebbe saputo spiegarlo: forse perché il
terribile momento di stordimento che aveva avuto nella foresta
lo aveva superato grazie a quell’uomo, al quale, da quel momen-
to Ketan si era aggrappato come a una guida e un protettore.
I due uomini sedettero e fecero cenno a Ketan di imitarli.
– Vogliamo parlarti – disse William. Pronunciava lentamente
le parole, scegliendole accuratamente tra quelle che Ketan
avrebbe potuto capire. – La tua venuta è di grande importanza
per noi. Non abbiamo detto agli abitanti del villaggio che tu non
sei una di noi. Vogliamo sapere se tu sei venuta ad aiutarci o se
anche tu sei fuggita da qualche terra che ci è ignota. Sai dove ti
trovi?
Ketan scosse il capo.
– Da dove vengo ci sono due grandi soli, mentre qui ce n’è
uno solo. Dovrebbe esserci il grande Confine, visibile da ogni
parte della Terra, ma qui non c’è.
– Il grande Confine? Cos’è? – domandò John.
– 146 –
– Aspetta – disse William. – Adesso tu ti trovi in una foresta
chiamata Kyab. Noi chiamiamo il nostro mondo “pianeta Ter-
ra”. Questo significa qualcosa per te?
– No!
– Allora parlaci del tuo mondo.
Avrebbe preferito sentirli parlare del loro mondo, ma c’era
un tono di urgenza nelle loro parole che lo convinse a fare in
modo che potessero comprendersi il più presto possibile. Avver-
tiva vagamente l’impressione che quegli uomini lo avevano
aspettato, inconsciamente, e che avrebbero potuto spiegargli il
mistero della sua partenza da Kronweld.
– Kronweld è piatta, ha la forma di un semicerchio – Ketan
tracciò un disegno sul pavimento sporco. – Da una parte c’è il
grande Confine. Nessuno sa cos’è tranne che si tratta di una cor-
tina di tenebra che si protende al di là dei nostri limiti di com-
prensione.
«Kronweld è circondata, nella parte curva del semicerchio,
dalla Landa dei Mille Fuochi. È una regione di laghi di metallo
fuso che esplodono nell’aria, di terra rovente e di vapori caldis-
simi che escono dalla terra. Soltanto pochi, me compreso, sono
riusciti a raggiungere la regione che si stende oltre a essa, che
noi chiamiamo la Landa Oscura perché là i due soli non sono
mai visibili a causa del fumo e delle ceneri portati dal vento dal-
la Landa dei Mille Fuochi. Là si trovano forme di vita animale e
di piante sconosciute a Kronweld.
– In quanti siete laggiù?
Ketan dapprima non comprese. Quando vi riuscì, rimase in
silenzio. Come avrebbe potuto dirlo? Non avevano comuni unità
di misura.
William vide la sua esitazione. Tracciò un quadrato sul pavi-
mento, con dieci divisioni su un lato. – Dieci – disse, indican-
dolo. Poi divise in dieci parti anche l’altro lato e, indicando
l’intero quadrato, disse: – Cento.
Ketan allora tracciò un quadrato e indicò un lato, dicendo: –
Cento.
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William comprese. – Ha capito cosa intendiamo. Se dice che
ogni lato, invece di dieci è diviso per cento, allora il quadrato ne
contiene diecimila. Ma devono essere molti di più, – concluse
William. Ma poi domandò a Ketan: – Nessuno giunge a Kron-
weld attraverso il Grande Confine?
– Ma è proprio così che tutti nascono a Kronweld! – affermò
pronto John.
Ketan trasalì – Dimmi: che cosa ne sai? – domandò a sua
volta. Quel mondo non doveva essere straniero come aveva cre-
duto dapprima. Quegli uomini sapevano del Grande Confine e
del mistero che si celava nel Tempio della Nascita.
Ma William Douglas stava scuotendo il capo.
– Non ne sappiamo nulla, nulla di certo, per lo meno. È solo
qualcosa che molti di noi hanno sospettato per molto tempo,
senza alcuna logica.
«Nel nostro mondo c’è una legge Statista che impone un
esame per tutti i neonati, per vedere se geneticamente hanno
caratteristiche criminali. Quando nel bambino vengono trovati
questi geni, il bambino è ucciso. Ecco tutto. Ma alcuni tra noi
non credono che quelli… per lo meno non tutti i bambini che
dovrebbero essere uccisi lo siano veramente. Abbiamo immagi-
nato che i bambini vengano spediti… altrove.
– Dove?
William Douglas scosse il capo: – Forse oltre… oltre il gran-
de Confine. Forse a Kronweld?
– Ma noi di Kronweld non siamo criminali! Criminali sono
gli Statisti, lo hai detto tu! – protestò Ketan.
– È una storia complicata, la nostra – disse William Douglas.
– Neppure noi sappiamo dove cercare le origini. Sappiamo sol-
tanto che per noi non c’è grande differenza tra nascere e morire.
«Gli Statisti ci chiamano “Illegittimi”. Significa che noi siamo
coloro che non hanno alcun diritto di vivere. Siamo quelli che
non sono stati esaminati dal Selettore. I nostri genitori, e prima
di loro i loro genitori, non hanno voluto correre il rischio di far
esaminare i loro figli, per paura di vederli uccisi.
– 148 –
«La legge richiede che tutti i neonati vengano portati nel giro
di un mese al Selettore. Io ho visto soltanto il grande Selettore
centrale di Danfer. Molti altri, controllati da esso, sono dissemi-
nati nel paese. È la vista più terribile del mondo. Centinaia di
genitori vanno tutti i giorni all’edificio e affidano i loro bambini
alla macchina. È una grande, mostruosa struttura che riempie
un immenso salone. I bambini vengono automaticamente tra-
sportati all’interno di essa, dove tutti i tratti caratteristici e psi-
cologici delle loro menti vengono analizzati e registrati.
«Quasi tutti ritornano dalla macchina tra le braccia dei loro
genitori, ma alcuni non emergono mai più dalla macchina.
Ecco di chi erano i volti che aveva visto pensò Ketan. Era
quella, la grande folla, supplichevole e piangente, che gli aveva
domandato soccorso. Quello che aveva visto era il grande sa-
lone del Selettore.
«Una volta ho visto i genitori di quei bambini – proseguì Wil-
liam Douglas. – Avevano portato le loro creature nel salone,
con centinaia di altri, e aspettavano nella Sala della Restituzio-
ne. Li ho visti attendere là tutto il giorno, vedendo gli altri, che
erano entrati dopo di loro, ricevere i loro figli e andarsene.
«Rimasero in quella sala fino a sera, poi, senza dire una paro-
la, si alzarono e uscirono senza il loro bambino. Apparentemen-
te avevano accettato con fatalismo il responso della Macchina,
ma, quando mi sono passati vicino, ho visto i loro occhi e
l’espressione di quello sguardo rimarrà per tutta la vita impres-
sa nella mia mente.
A quelle parole seguì un lungo silenzio, che finalmente Ketan
decise di rompere. Doveva capire il significato della scena avve-
nuta nella caverna.
Disse piano a William Douglas: – Tuo figlio…
Il doloroso ricordo, impedì a William di rispondere subito,
ma dopo qualche istante, sollevò lo sguardo su Ketan.
– Mary e io eravamo Illegittimi. Come pure i nostri genitori.
La nostra era una missione speciale, per scoprire qualcosa sugli
Statisti. Ci eravamo fatti imprimere sul braccio dei marchi con-
traffatti, come quelli che hanno i bambini ritenuto idonei dal
– 149 –
Selettore. Ho lavorato tra loro come chirurgo, ma a un certo
punto ci scoprirono. Se ci avessero catturati ci avrebbero uccisi
subito, ma Mary stava per avere un bambino. Dovevamo fuggi-
re. Arrivammo al Villaggio Domani, e la notte in cui giungemmo
esso venne distrutto da un cacciatore Statista che lo aveva sco-
perto per caso. Mary e io dovemmo fuggire di nuovo.
Sebbene Ketan non avesse mai conosciuto una relazione tra
individui sul tipo di quelle che esistevano in quel luogo, riusciva
ugualmente a capire i sentimenti di William per la sua donna,
pensando a Elta. E vagamente cominciò a sentire un senso di
ribellione nascere in lui.
Quello dove si trovava era un mondo pieno di conflitti in-
comprensibili. Un mondo di uomini che combattevano nella
notte, senza sapere chi fosse né dove si trovasse il nemico.
Eppure, perfino Kronweld era stata nelle stesse condizioni.
Per tara interminabili un conflitto era divampato sotto la sua
superficie apparentemente calma. Tanto calma che lui non ave-
va mai sospettato l’esistenza di quel conflitto, almeno fino al
giorno in cui era stato coinvolto nel vortice di avvenimenti che
lo avevano portato su quel nuovo mondo.
Stranamente sentì che i conflitti che si svolgevano nei due
mondi avevano una relazione tra loro, anche se non poteva
spiegarsi il perché. Ma forse, adesso, se avesse continuato a rac-
cogliere informazioni, sarebbe alla fine stato in grado di dipana-
re l’intricata matassa.
– Perché avete pensato che non tutti i bambini che scom-
paiono, vengano uccisi? – domandò Ketan.
– Ci hanno fatto sempre credere che il Selettore elimina i
criminali e i possibili tiranni che un giorno potrebbero nuocere
al nostro mondo. Ma gli stessi Statisti sono criminali e la loro
tirannia è la più crudele che sia mai esistita nei secoli passati,
eppure anche loro sono passati all’esame del Selettore.
«Ma c’è di più. A volte quelli che si trovavano nel salone del
Selettore… raramente, certo, ma in maniera inequivocabile…
hanno visto, come attraverso una grande porta, della gente ve-
stita stranamente. Vedi, i bambini che vengono respinti,
– 150 –
sull’altare, sono circondati da elettrodi che li avvolgono comple-
tamente in una sfera di fuoco, e quando, il fuoco si spegne, non
c’è più traccia del bambino. Ed è proprio quando il fuoco sta per
spegnersi, che è stata vista quella strana gente. E altre volte,
quando, nessun bambino si trova sull’altare, dicono che si veda
un debole lucore e tra gli elettrodi appaiono figure irreali e spet-
trali. Sono questi fatti che ci hanno fatto credere che… be’, che
succeda qualcosa di diverso dalla morte.
– Io ho visto quella luce – disse Ketan. – L’ho vista nella ca-
mera della nascita, nel Tempio di Kronweld, che si trova sul
grande Confine, e quando la Soglia si apre, c’è una grande
fiamma che sembra giungere dai recessi del Confine stesso.
Quando la fiamma si spegne, un altro bambino è nato a Kron-
weld.
«Deve trattarsi della stessa cosa. È troppo simile per essere
una semplice coincidenza.
– Forse. – Annuì William. – Molti, tra noi, sperano che esi-
sta una spiegazione del genere. Credevamo che voi sapeste della
nostra esistenza, e anche voi combatteste contro gli Statisti. Ma
come mai tu sei l’unico arrivato qui?
Ketan spiegò tutte quello che era gli successo prima del gran-
de balzo oltre la Soglia. I due Illegittimi ascoltarono, con un mi-
sto di sorpresa e di meraviglia, ma quando lui finì il racconto,
William annuì come se le parole di Ketan avessero dato una
conferma alle sue convinzioni.
– È chiaro che gli Statisti sono anche a Kronweld. Il perché, o
cosa intendano fare, non posso saperlo, ma sembra ovvio con-
cludere che Kronweld possiede una scienza che gli Statisti non
hanno. Come può essere? Perché gli Statisti vogliono la distru-
zione di Kronweld, se sono stati loro stessi a costruirla? Puoi
darci una spiegazione, Ketan?
– No. Io voglio soltanto tornare indietro. Devo tornare indie-
tro, per sapere cosa è accaduto a Elta.
– Se è una Statista, forse è già qui, tra la sua gente.
– Non può essere! Io la conosco…
– Da quanto tempo?
– 151 –
– Da tutta la vita!
– Ma ci hai detto che lei è maggiore di te? Quindi ha attraver-
sato prima il Confine. Sai quanto prima?
– Un paio di tara prima. Circa tre dei vostri anni.
– E non potrebbe essere arrivata a Kronweld in un altro mo-
do?
– Non lo so, ma so che non è una Statista – disse Ketan.
Gli Illegittimi rimasero in silenzio. E d’altro canto Ketan non
aveva bisogno di un loro commento. Pensò alle accuse che la
vecchia Matra aveva rivolto a Elta, accuse che poi aveva ritirato,
fino al punto di fidarsi di lei e di affidarle l’incarico di prosegui-
re la sua opera. Ma qual era lo scopo di Elta? Chi era Matra?
La mente di Ketan, dopo aver formulato quelle domande a
cui non poteva dare risposta, ritornò alla realtà udendo la voce
di William che gli chiedeva: – Noi vorremmo sapere il significa-
to del pinnacolo. Come facevi a sapere che l’avresti trovato qui?
Perché desideri trovarlo così disperatamente?
Ketan si chiese come avrebbe potuto spiegare a quegli uomini
una cosa che non riusciva a spiegare neppure a se stesso. Ada-
gio, scegliendo accuratamente le parole della loro lingua che
conosceva, parlò dei sogni e della visione, e della voce che aveva
udito.
– Mi sembra di essere attirato da una forza che si trova nel
pinnacolo – concluse. – Capisco quanto possa sembrarvi irrea-
le, ma è la verità. C’è una forza là dentro, una forza creata
dall’uomo che mi chiama. Come possa conoscere il mio nome e
la mia posizione non lo so, ma la forza mi chiama ugualmente.
Credo addirittura, a volte, che se chiudessi gli occhi e comin-
ciassi a camminare, andrei verso il pinnacolo, tanto è potente la
forza che mi attira.
I due Illegittimi tacquero. William girò la testa verso il punto
in cui, secondo John, avrebbe dovuto trovarsi il pinnacolo.
Finalmente osservò: – Non riesco a trovargli un posto, né nel
nostro mondo, né nel tuo. Sembra privo di significato. Non sa-
rebbe una delusione se non si rivelasse altro che il frutto
– 152 –
dell’immaginazione. Un condizionamento iniziale, forse, che
ritorna, quando ti trovi in uno stato di tensione.
– No, quel luogo esiste veramente – affermò con sicurezza
John. – Non ci sono mai stato, ma l’ho visto dalle Mesas. Viene
chiamato “La Valle dei Venti” perché è flagellato da perpetue
tempeste di sabbia. Vi si trovano soltanto roccia e deserto. Però,
non capisco cosa tu possa sperare di trovarci.
– È dentro – disse Ketan.
– Va bene, andremo domani. Qualunque cosa ci sia là dentro,
potrebbe rivelarsi la chiave necessaria a rovesciare gli Statisti.
– C’è un’altra cosa… – disse Ketan, con un certo imbarazzo.
– Cosa?
– Io non sono… esattamente quello che posso sembrarvi. Per
entrare nel Tempio della Nascita ho dovuto travestirmi, ma ora
sarei felice di togliermelo, se possibile.
– Certo – disse William. – Hai bisogno di abiti più consi-
stenti… te fi farò portare subito.
– E molta acqua bollente.
– Naturalmente. – Apparentemente, William pensò che vo-
lesse fare un bagno.
Ketan passò tutto il resto della giornata nella sua stanza. Si
tolse gli abiti che aveva indossato nel Tempio, e con un coltello
cominciò a lavorare sulla plastica già ammollita. Richiese molti
recipienti di acqua bollente, con la quale cercò di far cedere la
plastica che ancora resisteva. L’acqua bollente raggiunse la pel-
le, e quando finì, era mezzo bollito.
Il risultato non era certo un capolavoro, ma doveva acconten-
tarsi. La plastica restante sarebbe venuta via col tempo. Osservò
gli indumenti che gli erano stati portati, e poi capì che gli aveva-
no dato degli indumenti femminili. Rise tra sé immaginando la
sorpresa di William Douglas.
Era quasi sera, e l’ora di cena si avvicinava, quando lo mandò
a chiamare.
– Ho terminato i preparativi per domani… – disse William
senza guardarlo, ma quando alzò gli occhi su di lui si interrup-
pe, osservando a occhi spalancati Ketan.
– 153 –
Ketan gli mostrò il falsetto che aveva usato fino a quel mo-
mento, e disse, finalmente con la sua voce normale: – Vorrei
degli indumenti da uomo. Questi non sono più adatti.
– Che io sia… – esclamò William. – Così era questo il trave-
stimento.
– 154 –
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
– 155 –
Attraversò il villaggio accanto a William Douglas; tutti coloro
che incontravano li salutavano con cenni di deferenza.
Passando accanto a un edificio vicino al quale si trovava una
catasta di metallo contorto, William disse: – Statisti. Sono mac-
chine costruite dagli Statisti per viaggiare nell’aria. Qui li chia-
miamo aerei o aeronavi, ma, naturalmente, a Kronweld ne avre-
te di simili.
Ketan scosse il capo.
– No, non ce n’era bisogno, perciò non abbiamo mai proget-
tato macchine simili, anche se per tanto tempo mi ha affascina-
to l’idea di costruire una macchina volante che potesse superare
la barriera del Confine. Come avete fatto a impadronirvene?
– Sono macchine misere, non come quelle che gli uomini co-
struivano mille anni fa. A volte si guastano e sono costrette ad
atterrare. Noi uccidiamo gli Statisti e portiamo qui le loro mac-
chine, che sono quasi sempre inservibili. È stato un cacciatore
che si trovava a bordo di una di queste macchine a distruggere i
due villaggi Dorman e Brent.
In un altro momento a Ketan sarebbe interessato esaminare
la macchina, ma i principi sui quali si basava erano ovvi e ora
aveva altri problemi più urgenti.
Dopo un po’ notarono un gruppo di abitanti del villaggio, ra-
dunati intorno a una persona, e qualcuno stava indicando i due
uomini che avanzavano.
William la riconobbe e grido: – Carmen!
Una donna uscì dalla piccola folla e corse verso di lui. Si in-
contrarono e si abbracciarono a lungo. La donna disse, felice: –
Bill! Credevo di non vederti mai più. Sono stata in ogni villag-
gio…
Ketan rimase silenzioso a guardare, incapace di comprendere
la relazione tra i due. Che razza di gente era quella, se poteva
subire il dolore della morte della propria compagna, e solo due
giorni dopo…
Poi i due si voltarono verso di lui e William disse: – Ti pre-
sento Ketan. La sua è una lunga storia, che tu devi ascoltare.
Ketan, questa è mia sorella Carmen.
– 156 –
Ketan strinse la mano che lei gli tendeva. Sorella? La parola
lo fece meditare. Una parola che aveva già udito. Ma comporta-
va una relazione tra i due, che lui non poteva comprendere.
William vedendo l’espressione perplessa del suo volto, co-
minciò a ridere.
– Mia sorella – ripeté. – Significa che lo stesso uomo e la
stessa donna ci hanno dato la vita… abbiamo la stessa madre e
lo stesso padre.
Carmen non disse nulla, ma guardò in modo strano i due
uomini.
– Abbiamo anche un fratello – continuò William. – Ma non
sappiamo dove sia. Pensiamo che gli Statisti lo abbiano ucciso.
Ketan li guardò per scoprire qualche traccia del legame che li
univa, senza riuscirci. Ma conosceva il senso di solitudine che
aveva sempre provato a Kronweld, l’impenetrabile barriera che
sembrava esistere tra tutti coloro che non erano compagni. E
ora credeva di avere scoperto il perché della sua esistenza.
– Sorella – disse lentamente. – Fratello… Padre, Madre… –
Ripeté le parole che aveva udito come un bambino che le impara
per la prima volta. E i sentimenti sconosciuti che vagamente
intuiva erano sopraffacenti. Kronweld, con tutta la sua bellezza
e la perfezione della sua Ricerca, era molto più isolata della sel-
vaggia foresta degli Illegittimi.
– 157 –
Il primo sole, come Ketan continuava a chiamarlo, non era
ancora salito sull’orizzonte, ma il cielo si stava rischiarando.
Nell’aria c’era una limpidezza e una trasparenza che non aveva
mai visto a Kronweld e che lo riempì di strani sentimenti, di
un’inesplicabile gioia di vivere. Grandi nuvole bianche galleg-
giavano nel cielo.
John alzò lo sguardo, dubbioso: – Spero che non ci sorpren-
da un temporale prima di sera.
– Non possiamo aspettare, comunque – disse con impazien-
za William. – Trovare il pinnacolo è molto più importante di un
temporale.
Dietro a quelle parole Ketan scoprì un’ansia intensa come la
sua. Si chiese se le forze che si sprigionavano dal pinnacolo si
fossero impadronite anche di William.
– 158 –
no improvvisamente allo scoperto, sul fianco di un’altura che
dominava l’immensa distesa di un deserto.
L’improvvisa visione era così bella che fece trattenere il re-
spiro a Ketan. In lontananza, una catena di colline dalle pendici
dolcemente declinanti erano immerse nella luce purpurea del
sole al tramonto che si univa magicamente ai loro naturali colori
dorati e bronzei. Mentre il sole calava e le ombre si allungavano,
il deserto sembrava un mare cangiante di colori e di luci. La vi-
sione meravigliosa si abbatteva a ondate contro i suoi sensi, e a
un certo punto fu costretto a distogliere lo sguardo.
Ma prima di farlo, al di là di quel deserto giallo e rosso e delle
montagne dalle cime purpuree, vide un pinnacolo aguzzo che
interrompeva l’uniformità del deserto.
Indicò un punto lontano, e urlò: – È laggiù!
William fece per dire qualcosa, mai poi chiuse la bocca. John
si limitò a fissare Ketan e ad annuire.
Si accamparono in una radura ai margini della foresta, e do-
po aver mangiato, mentre le ultime fiamme del fuoco guizzava-
no e morivano nel silenzio, si sdraiarono e Ketan osservò le stel-
le.
Durante la prima notte, vicino alla caverna, la sua mente era
stata troppo sconvolta per rendersi conto del fatto che esse era-
no più lucenti e più numerose che nel cielo perennemente opaco
di Kronweld. Ma ora le vedeva. Rimase per lungo tempo a os-
servarle come avrebbe potuto osservarle un bambino, senza
stupore né spavento, ma accettando la loro meraviglia e la loro
vicinanza come una realtà del nuovo mondo.
Ma si rivolse a William Douglas, che era sdraiato accanto a
lui, con gli occhi fissi in una remota lontananza che si trovava al
di là delle stelle.
– Cosa sono? Tra la tua gente, qualcuno lo sa? – domandò
Ketan.
– Cosa sono… che cosa? – fece lui sorpreso dalla domanda.
– Lassù… quei punti di luce.
– Le stelle?
– 159 –
– Le chiamate così? È possibile avvicinarsi a esse, abbastanza
per scoprire che cosa sono?
William Douglas lo guardò incuriosito: – Vuoi dire che a
Kronweld non si vedono le stelle? Che la scienza dell’astronomia
da voi è sconosciuta?
– Quelle luci sono visibili da Kronweld solo durante rari e
brevi intervalli. Ci siamo posti il problema della loro esistenza,
ma non ne sappiamo nulla. Sono sempre state dichiarate un
Sacro Mistero.
– Stelle. – Ripeté la parola e fu come l’alito di un vento lon-
tano. In quella parole mise tutta la reverenza e la meraviglia, il
rispetto e la paura che uomo avesse mai provato dai tempi delle
caverne e delle prime invocazioni a divinità che si trovavano
nell’immensità del cielo.
– Stelle – disse Ketan. – Il nome che hai detto si addice a es-
se. Sai cosa sono?
– Sono sogni – rispose. – Sono sogni di altre vite, di altre ca-
se e mondi dove gli uomini sono come dovrebbero essere.
I suoi occhi ritornarono sulla terra, e il suo sguardo passò
dalle scintille del fuoco morente agli occhi dello straniero che
era giunto da un altro mondo. Osservò i suoi lineamenti fini, le
narici sottili e gli occhi intelligenti e ansiosi, l’alta fronte liscia.
– Devi tornare indietro, Ketan – disse. – Questo mondo ti
ucciderà.
– Ci sono altri mondi simili a questo? – insistette Ketan.
– Molte stelle sono astri come il nostro sole. Alcune di esse
sono pianeti come questo. Molti soli possiedono dei pianeti.
Probabilmente, tu puoi vedere un’infinità di mondi simili a que-
sto, in questo stesso momento.
– Kronweld… Kronweld potrebbe essere un mondo simile,
potrebbe essere uno di quei mondi, forse? – esalò Ketan.
Quando finalmente si addormentò, Ketan era ancora appog-
giato a un gomito, intento a fissare le stelle.
Secondo Ketan, erano passati pochi istanti dal momento in
cui si era addormentato, quando William cominciò a muoversi
accanto a lui, L’Illegittimo accese il fuoco e preparò la colazione.
– 160 –
– Dobbiamo partire presto e percorrere il maggior numero di
miglia possibile di questo deserto prima della levata del sole –
disse. – A mezzogiorno sarà un vero forno.
Le stelle brillavano ancora quando ripresero il cammino, ma
il cielo cominciava a tingersi di rosa, a oriente, quando raggiun-
sero i margini del deserto.
Una volta che le montagne furono alle loro spalle, le nuvole
che si trovavano nel cielo si tinsero di fuoco, e poi lentamente il
deserto diventò un mare giallo. Era irreale, come se si muoves-
sero su una superficie liquida illuminata da sotto.
Sembrava che si fossero fermati del tutto, perché le monta-
gne di sabbia davanti a loro non si avvicinavano affatto, e quelle
dietro non sembravano allontanarsi.
I suoi compagni provavano un evidente disagio per il calore
crescente, ma Ketan non risentì il minimo fastidio. Era né più
né meno il caldo di una giornata a Kronweld, e non era nulla in
confronto all’inferno della Landa dei Mille Fuochi.
Si fermarono a una sorgente d’acqua verso mezzogiorno. Il
sole era sul loro capo, e segnava il trascorrere del tempo, ma a
Ketan concetti come il tempo e la distanza sembravano assolu-
tamente irreali, in quell’oceano giallo.
Non arriveremo mai dall’altra parte, pensò.
Ma verso sera, si avvicinarono alla gola tra le montagne,
dall’altra parte, e il tempo riprese a scorrere normalmente.
Ketan sapeva che, al di là di quella gola, ricominciava il grande
deserto dove soffiavano venti eterni e un solitario ago di roccia
interrompeva l’uniformità dell’orizzonte.
– Ci accamperemo qui fuori – disse John.
– Là dentro c’è l’inferno. Non so se potremo farcela in un
giorno.
Essendo così vicino alla meta, quella notte Ketan riuscì a
dormire a stento. Tutte le speranze e i timori che aveva provato
ritornarono in un fiotto di emozioni che soffocavano il ragiona-
mento. Avrebbe finalmente scoperto il significato delle miste-
riose visioni? Il pinnacolo conteneva davvero la risposta a tutte
– 161 –
le sue domande, la soluzione a tutte le cose artificiali e irreali di
Kronweld?
E, soprattutto, avrebbe trovato laggiù una strada per tornare
indietro… da Elta?
Probabilmente, si addormentò verso l’alba anche questa vol-
ta, perché si accorse che Williams stava accendendo il fuoco.
Era più tardi del mattino precedente, e le pareti della gola si
stavano già accendendo dei colori dell’aurora.
Ripresero celermente la marcia, e passarono attraverso le al-
tissime pareti della gola. Dopo una svolta a gomito ebbero una
rapida, imponente visione di quello che li attendeva dall’altra
parte. Sembrava una grande cortina bronzea.
– Eccolo – disse John. – È l’inferno.
Allora Ketan capì di che cosa si trattava. Lo stava vedendo
realmente, e non era una visione. Oltre la gola c’era il grande
deserto di sabbie dai colori mutevoli e dalla forma cangiante.
Inferno, lo aveva chiamato John. Ketan sapeva di averlo at-
traversato almeno una dozzina di volte.
Il vento cominciò ad allungare le sue dita nella gola, dita ta-
glienti e dorate di sabbia che si divideva in migliaia di altre dita
e penetrava nei polmoni e oscurava la vista e pungeva la pelle.
Erano già semiaccecati dalle sferzate della sabbia, quando anco-
ra non erano neppure arrivati al termine della gola.
John, tossendo, fece girare, il suo cavallo.
– Dobbiamo aspettare – ansimò. – Non ce la faremo mai,
con quell’uragano.
– È quasi sempre così – disse Ketan.
– E allora? – domandò William. – C’è qualche possibilità che
questo vento diminuisca la sua intensità?
– Non diminuisce mai di molto – disse John. – Ma anche
poco basterebbe. Comunque, non riusciremo mai a trovare il
pinnacolo. Non si riesce a vedere a venti metri di distanza.
– Possiamo trovarlo – fece Ketan. – Non ho bisogno di ve-
derlo. – Come se una voce lo stesse guidando, sapeva di poterlo
trovare. C’era già riuscito, prima. Era sicuro di riuscirci ancora.
– 162 –
– Ne sei certo? – domandò William, incredibilmente sorpre-
so.
Ketan annuì.
Allora William decise: – Per lo meno possiamo tentare. Non
abbiamo provviste per una lunga attesa. E poi comincio a crede-
re che Ketan possa veramente condurci laggiù.
John non fece alcun commento A lui non importava molto di
Ketan e delle sue apparenti facoltà divinatorie, era, in un certo
senso, estraneo al mondo degli Illegittimi. Ma la devozione di
John per William era così grande, che qualsiasi decisione avesse
preso, per lui andava bene.
Si avvolsero il viso in stracci inumiditi, e ripresero ad avanza-
re. Gli animali affrontarono con riluttanza la tempesta, e usci-
rono dalla gola.
Automaticamente, Ketan si trovò al comando della piccola
spedizione. Gli altri si affidavano all’istinto del giovane, un istin-
to al quale non credevano completamente.
Le pareti della gola divennero delle ombre, lievemente più
oscure della nube di sabbia che le avvolgeva. Non si accorsero
neppure di uscire all’aperto. Sentirono soltanto il brusco au-
mento dell’intensità del vento e del morso dei granelli di sabbia
ancora più violento contro la loro pelle.
Nel turbine violento di sabbia i cavalli diedero segni di pani-
co, e fu con estrema difficoltà che gli uomini riuscirono a con-
trollarli.
In silenzio, circondati dall’ululato del vento, avanzarono nel
deserto. Era un mondo immerso in una notte desolata e tortu-
rante. Ketan provò di nuovo la sensazione di trovarsi fuori del
tempo, ma era intensificata, mille volte più potente di quella che
aveva provato il giorno prima, nell’altro deserto. Ora si trovava
in un mondo nel quale il tempo non sarebbe mai più esistito.
Erano congelati nel loro blocco di sabbia e d’aria senza tempo.
Si voltò per controllare se i suoi compagni c’erano ancora.
Riuscì a vedere soltanto William, a circa un metro di distanza.
John era invisibile. Sperò che li stesse seguendo.
– 163 –
Proteggendosi gli occhi dal morso della sabbia, guardò avan-
ti, ma non vide nulla. Tentò di raccogliere le idee: era sicuro che
quella fosse la direzione giusta?
Nella sua mente non c’era alcun dubbio. Come se un raggio
invisibile lo stesse attirando, sapeva con sicurezza in quale dire-
zione si trovava il pinnacolo.
E mentre avanzavano, gli parve che tutte le premonizioni dei
passati tara si unissero e aumentassero d’intensità, diventando
una sola e possente convinzione che, senza che lui se ne accor-
gesse, aveva guidato tutta la sua vita fino a quel momento. Era
giusto. Lui si trovava dove quelle forze lo avevano guidato, e tra
poco esse si sarebbero rivelate e gli avrebbero dato la chiave per
comprendere quei mondi che aveva attraversato.
Non c’era modo di sapere la posizione del sole nel cielo. Fu
soltanto dall’addensarsi delle ombre che si accorsero
dell’avvicinarsi della notte. Eppure era incredibile pensare che
un intero giorno fosse passato, sebbene l’assalto della sabbia
sembrasse iniziato da un’eternità.
Ma improvvisamente la tempesta cessò.
La cortina di sabbia turbinosa si abbassò, come se si fosse fu-
sa nell’improvviso scroscio di pioggia che si abbatté su di loro. Il
vento cadde con impressionante rapidità e l’acqua sostituì la
sabbia, abbattendosi a torrenti.
Si fermarono e sollevarono lo sguardo. Risero mentre l’acqua
scendeva sui loro volti e portava con sé la sabbia che si era ac-
cumulata per tutta la giornata.
– Avevi ragione a proposito del temporale – disse William a
John. – E ne sono felice.
– Un’altra ora di quell’inferno, e non ce l’avrei fatta più. Ab-
biamo perduto due dei cavalli con le provviste, te ne sei accorto?
William Douglas si voltò. Il suo volto divenne serio.
– Questo significa che abbiamo poco tempo. Sai dove ci tro-
viamo, Ketan?
Ketan sollevò la mano e tutti lo videro simultaneamente. At-
traverso l’ondeggiante cortina di pioggia che cadeva su di loro,
– 164 –
videro in lontananza la colonna isolata che si innalzava verso il
cielo.
Il pinnacolo!
Un’improvvisa, irragionevole eccitazione si impadronì per un
istante dì Ketan. Era la consapevolezza che là, davanti a lui, si
trovava l’oggetto di una ricerca durata una vita. Ecco la roccia
delle sue visioni, l’immagine radicata nella sua mente da sem-
pre.
– Avanti – disse, raucamente.
Il pinnacolo sembrava una colonna isolata di roccia refratta-
ria ai venti e alle tempeste e alla pioggia. Aveva lo stesso aspetto
eterno delle stelle. La sua superficie levigata sembrava creata
dalle mani degli dèi.
Perfino John fu preso da un senso di reverenza, di fronte alla
cosa. – Scommetto che nessun uomo si è trovato tanto vicino,
da mille anni almeno – mormorò.
– Ora sai cosa devi trovare? – domandò William.
– Sì, in basso, vicino alla base, sul lato opposto…
La sua cavalcatura si mosse. Sotto lo strato di fango, la sabbia
del deserto era ancora asciutta. Per l’inestinguibile sete di quella
landa, il temporale non era stato che una goccia d’acqua.
Mentre si avvicinavano al pinnacolo, la pioggia cominciò a
diminuire d’intensità. La roccia era più grande di quanto non gli
fosse apparsa nelle sue visioni. William la giudicò di circa due-
cento metri di diametro e seicento d’altezza. A perdita d’occhio,
il deserto non era interrotto da nessun’altra altura.
L’illusione dell’immensa distanza era parzialmente dovuta al-
la lentissima ascesa delle sabbie del deserto, che nascondevano
la visione delle montagne Mesas.
Ketan li condusse dalla parte opposta del pinnacolo e guardò
a lungo verso l’alto; il pinnacolo era fatto di strati pesanti a stri-
sce bianche, rosse e bronzee.
John ripeté la sua osservazione sull’isolamento del luogo: –
Se qualcuno voleva nascondere qualcosa, questo era proprio il
posto giusto.
– 165 –
Ma Ketan non stava ascoltando. Osservava invece la superfi-
cie della roccia, ma non vedeva nessun segno del punto che cer-
cava. Ritornò al suo punto di osservazione, e continuò a guarda-
re verso l’alto.
– Non è qui… – cominciò. Poi i suoi occhi si illuminarono. –
È là sotto – esclamò eccitato. – La sabbia l’ha seppellita.
– Seppellita? Cosa? – domandò William.
– L’entrata – spiegò Ketan.
Era evidente che la sabbia aveva coperto notevolmente la ba-
se del pinnacolo, perché il monticello da essa creato era piutto-
sto alto, e sembrava promettere un lungo scavo, se si desiderava
raggiungere un punto situato a livello del terreno.
Ma Ketan indicò che avrebbero dovuto scavare per una pro-
fondità non eccessiva. Nella sua mente vedeva il segno in alto,
bene al di sopra della sua testa.
Il torrente di pioggia stava rapidamente scemando
d’intensità, ed essi poterono vedere degli squarci nel cielo cupo.
Il vento stava levandosi di nuovo, preludendo a un nuovo scate-
narsi della tempesta di sabbia, momentaneamente interrotta
dalla pioggia, ma la cosa non sarebbe stata terribile come prima,
con il sottile strato di fanghiglia che ora si stendeva uniforme-
mente sulla superficie del deserto.
Andarono dall’unico cavallo rimasto di quelli che portavano il
carico ed estrassero dalla tasca dei rozzi strumenti di fabbrica-
zione degli Illegittimi. Ketan indicò il punto esatto nel quale
avrebbero dovuto iniziare gli scavi. Poiché non potevano puntel-
lare le pareti della fossa, furono costretti a farla molto larga per
ovviare alla continua caduta di sabbia verso il fondo.
Fu un lavoro estenuante, reso insopportabile dal rinnovato
impeto del vento, che penetrava nella fossa e rendeva difficolto-
so il lavoro. Anche la notte si stava avvicinando rapidamente, e
le nuvole si richiudevano. Prometteva di essere una notte di bu-
fera e di pioggia.
Finalmente John si rialzò, interrompendo il lavoro. Si passò
una mano sul volto che portava una maschera di sabbia, e guar-
dò Ketan.
– 166 –
– Questo è il punto che tu hai indicato, e la profondità è quel-
la giusta. Pure, non c’è niente. Sei sicuro?
– Sì. Deve essere qui. – Balzò nella fossa. – Fammi provare.
John gli passò il badile e uscì dalla fossa. Si fermò accanto a
William.
– Penso che dovremmo ritornare indietro. Qui non c’è nien-
te. Non possiamo tenere qui i cavalli senz’acqua, e tentare di
accamparsi qui, sarebbe un suicidio.
Ketan li udì. I loro profili erano vagamente visibili sul bordo
della fossa, sopra di lui, immobili come dèi spietati, pronti a
giudicarlo. Sperava che non tornassero indietro, ma se lo aves-
sero fatto, sarebbero tornati senza di lui.
Era troppo buio per vedere quanto stava facendo, ma conti-
nuò a scavare ciecamente nella sabbia. Il vento la faceva nuo-
vamente cadere su di lui, così fu costretto a scavare quasi a oc-
chi chiusi. Si teneva vicino alla parete rocciosa del pinnacolo e il
badile batteva spesso contro di essa, in modo che gran parte
dell’energia che metteva nel lavoro andava sprecata.
Poi, improvvisamente, si rese conto che non stava più col-
pendo semplicemente la parete. Si trattava di una prominenza.
Gettò via il badile e si inginocchiò, scavando freneticamente
con le mani. I suoi occhi non potevano vederlo, ma le dita gli
diedero un’idea della forma e della grossezza dell’oggetto. E i
polpastrelli trovarono il piccolo foro che si trovava su di esso.
– L’ho trovato! Datemi quella sbarra – gridò rivolto ai due
uomini.
William gliela passò e si piegò sul bordo per seguire i suoi
movimenti. Ketan infilò la sbarra nel foro e fece leva contro la
parete di roccia. Questa venne via facilmente, ma non accadde
altro. Osservò la superficie rocciosa, sbalordito. Si era aspettato
che quella fosse la chiave per aprire un passaggio. E invece, non
c’era nulla.
Poi William Douglas cominciò a gridare, eccitato: – Laggiù…
guarda quella luce… nella fossa!
Una debole luce dorata stava uscendo dalla piccola apertura,
e aumentava rapidamente d’intensità. Ketan si chinò su un fian-
– 167 –
co, compiendo una strana curva con il corpo sul fondo della fos-
sa, per guardare attraverso il foro.
Non sapeva cosa si fosse aspettato di vedere. Era preparato a
tutto… a tutto, meno a quello che vide.
La luce veniva da una piccola immagine rilucente, una im-
magine dorata, l’immagine di una ragazza che danzava, appog-
giata a un piede. La figura era disegnata con magico realismo, e
sembrava che da un momento all’altro dovesse muoversi.
Prima che i suoi sensi registrassero compiutamente
l’immagine, egli seppe di averla già vista prima. Vista quasi ogni
giorno della sua vita, dopo la sua nascita a Kronweld.
Era una squisita miniatura della statua dorata della Prima
Donna che si trovava davanti al Tempio della Nascita.
– Cos’è? – William e John erano impazienti.
Lentamente, Ketan uscì dalla fossa e indicò verso il basso.
– Guardate voi – disse.
A turno, entrarono nella fossa e guardarono la minuscola
immagine che si trovava nei recessi del pinnacolo, mentre Ketan
li aspettava sul bordo della fossa. Ma lui non stava guardando i
due uomini. Vedeva Kronweld, il Tempio della Nascita, le corti-
ne fluttuanti di luce purpurea nel cielo notturno che dominava
quel mondo lontano.
E vedeva la dorata immagine danzante della Prima Donna.
Com’era possibile che una miniatura di quell’immagine si
trovasse sulla Terra?
William uscì lentamente dalla fossa.
– È la scultura più bella che abbia mai visto… e pensare di
trovarla qui, in mezzo al deserto. Hai idea di cosa possa signifi-
care, Ketan?
Ketan raccontò quello che sapeva sull’originale che si trovava
a Kronweld.
William emise un rapido fischio.
– Da quanto tempo, secondo la vostra storia, quell’immagine
esiste? A Kronweld, voglio dire.
– È provato che la statua si trova a Kronweld da circa mille
tara.
– 168 –
– Mille tarai Quanti dei nostri anni saranno?
– Con una certa approssimazione, direi circa millecinquecen-
to.
Gli Illegittimi osservarono il foro dal quale continuava a usci-
re la luce.
– E quell’immagine deve trovarsi qui dalla stessa epoca. Ma
come vi è arrivata? Chi l’ha messa là dentro… e, soprattutto,
perché?
John non sembrava troppo impressionato.
– È tutto quello che siamo venuti a scoprire? Se è così, an-
diamocene.
– No! – fece William. – Deve esserci qualcosa di più. Da so-
la, l’immagine non significa nulla. Cosa pensi, Ketan?
– Non so cosa pensare. Là dentro c’è molto di più, ne sono
certo, ma non ho la minima idea di cosa si tratti.
– Tu hai detto che c’è un’entrata…
– Dovrebbe essercene una. So soltanto che la prominenza pi-
ramidale deve essere rimossa. Pensavo che così si sarebbe libe-
rata l’entrata. Vado a vedere di nuovo.
Scese nella fossa e si chinò, a guardare la minuscola immagi-
ne. Poi allungò una mano, l’infilò nel foro e cercò di toccarla.
Era semplicemente appoggiata, in precario equilibrio, su un
piede solo. La sollevò e la tirò fuori dal foro. La luce dorata bril-
lò più vivida.
E poi, improvvisamente, sotto di lui, la sabbia si aprì.
Con la stessa subitaneità dello spegnersi di una luce, Ketan
scomparve alla vista dei due Illegittimi.
– Ketan! – gridò William. Non si udì alcun suono, all’infuori
dello sprofondare della sabbia.
– Ketan!
Da molto lontano, giunse la debole risposta di Ketan.
– Venite qui, presto!
William stava per calarsi nella fossa, ma John lo afferrò per
un braccio e gridò: – Pensi che sia prudente?
– Vado prima io. Se tutto va bene, ti chiamerò. Se non lo farò,
rimani calmo. Non calarti nella fossa prima di essere sicuro.
– 169 –
– Questa storia non mi piace…
Ma William era scomparso. Dopo essere saltato nella fossa,
scivolò lungo la parete sabbiosa, ma non si fermò sul fondo:
continuò a scendere in una galleria tenebrosa la cui aria era
contaminata da un pulviscolo irrespirabile.
Ma la galleria era breve. Terminò bruscamente in un pavi-
mento di pietra.
Ketan era lì, fermo, impietrito. Non notò neppure l’arrivo di
William, ma continuò a guardare, immobile.
Anche William si immobilizzò di colpo.
– 170 –
CAPITOLO DICIOTTESIMO
– 171 –
vivente della miniatura che Ketan stringeva ancora in mano: era
la Prima Donna.
– Benvenuti al Reliquiario – disse lei. – Vi stavamo aspet-
tando. Per favore, seguitemi. Mio padre vi attende.
Furono il suono della sua voce e le sue parole che diedero un
altro fiero colpo ai due uomini, perché le parole erano nella lin-
gua di Ketan, più che in quella di William. Eppure si trattava di
una forma stranamente insolita. La pronuncia della ragazza non
era quella giusta. E le frasi erano piuttosto arcaiche.
Ketan si scosse dalla sua meraviglia. La sua mente riprese il
controllo delle corde vocali, e riuscì a rispondere.
– Mi chiamo Ketan. E questo è William Douglas – disse. – E
questo… – stava per dire John quando si rese conto che non era
con loro. Allora William ritornò all’apertura e chiamò il compa-
gno.
Imprecando sottovoce, John obbedì e appena sotto, disse: –
Credevo che vi foste cacciati in una trappola e vi foste ammazza-
ti. Stavo per andarmene. – Poi si interruppe e a sua volta fissò
sbalordito l’apparizione.
– Che diav…?
La ragazza sembrò perplessa.
– Quanti siete, questa volta?
– Tre. Questa volta…? Vuoi dire che ce ne sono stati degli al-
tri? – domandò Ketan.
– Molti altri, ma vieni, mio padre vi sta aspettando.
– Non è reale. Non può essere – mormorò raucamente John
quando la ragazza si voltò e loro la seguirono. Non aveva neppu-
re notato la sua somiglianza con l’immagine dorata, tanto era
stato lo stupore.
Simultaneamente, i due Illegittimi si rivolsero a Ketan.
– Che significa? – domandò William. – Non è reale, vero?
Deve essere un’altra di quelle visioni di cui ci hai parlato, solo
che stavolta capita a tutti e tre. Questa roccia è rimasta chiusa
per più di mille anni. Nessuno può vivere per tanto tempo qui
dentro. Tu capisci quello che dice la ragazza? Io riesco a capire
appena un terzo delle sue parole.
– 172 –
– Sembra un antico kronweldiano. E in quanto a spiegazioni,
non ne so più di voi due. So soltanto che, di qualsiasi cosa si
tratti, va bene. È questo che dovevo trovare.
Seguirono in silenzio la ragazza che si muoveva con leggerez-
za e grazia, come se danzasse. Attraversarono il giardino, pas-
sando accanto alla fontana. Notarono che nel laghetto nuotava-
no pigramente dei pesci. Strani pesci dorati.
L’illusione della distanza era perfetta… ma si trattava davvero
di un’illusione? A perdita d’occhio vedevano giardini pieni di
fiori e di alberi, che si stendevano in lontananza, sulle pendici
dolci di basse collinette. Molto in alto, sul loro capo, passò uno
stormo di uccelli, mentre una formazione temporalesca si vede-
va in lontananza.
Il sentiero che attraversava il giardino terminava con un pas-
saggio di legno, poi iniziò l’ascesa piuttosto ripida di una collina
più alta delle altre. In quella collina c’era un’atmosfera irreale
anche più accentuata che nel resto di quel luogo fantastico.
Poi scoprirono di che si trattava. Sembrava che la collina non
avesse una vetta. Saliva, ecco tutto, e davanti a loro non c’era
alcun sentiero visibile, ma la ragazza sembrava priva di esita-
zioni.
Infine raggiunsero la vetta.
La collina, il giardino e il cielo svanirono: si trovarono sul pa-
vimento di marmo di un grande atrio, mentre la ragazza conti-
nuava ad avanzare sicura. Le sue scarpe provocavano un debole
rumore sul pavimento, un rumore che si ripercuoteva, portato
da mille echi. La sua grazia nascondeva la rapidità del suo pas-
so, e i tre uomini dovettero affrettarsi per seguirla.
Ormai avevano esaurito le loro capacità di meravigliarsi, e
così non si stupirono dell’improvvisa trasformazione del giardi-
no in un pavimento di marmo.
Dopo una svolta improvvisa, entrarono in una sala dall’alto
soffitto, le cui pareti erano sontuosamente decorate con pannelli
di legno. Al centro della sala si trovava un tavolo, sul quale bril-
lavano delle candele. Su di esso c’era ogni bene della provviden-
za.
– 173 –
Fu solo dopo un istante che notarono l’uomo seduto al tavo-
lo. Si alzò lentamente, quando essi entrarono, e la ragazza li
condusse verso di lui.
– Vi presento mio padre, Richard Simons – disse lei. – Que-
sti uomini sono Ketan, William Douglas, e…
– John – disse Ketan, indicando l’ultimo componente del
gruppetto.
– Sono felice di conoscervi, signori. – disse Richard Simons.
– È davvero da molto tempo che vi stiamo aspettando. Volete
sedere a rifocillarvi, prima di parlare?
Non riconobbero nessuna vivanda. I due Illegittimi sembra-
vano sospettosi, ma Ketan capì che si trattava di variazioni sco-
nosciute di preparati sintetici. Identici a quelli di Kronweld, che
comunque trovò eccellenti.
Durante il pranzo, né l’uomo né la ragazza vollero discutere
le cose che tormentavano le menti dei tre uomini. Parlarono
allegramente di cose futili. Simons parlò del giardino in basso, o
fuori, o dovunque fosse. Parlò delle piante che aveva raccolto in
tutti i paesi del mondo per abbellirlo. Poi parlò con orgoglio del-
la sala nella quale si trovavano, dei pannelli di mogano dal valo-
re incalcolabile.
Nei due c’era qualcosa di strano che Ketan non riuscì a defi-
nire, una sensazione elusiva, come se l’uomo e la ragazza non si
rendessero conto della loro presenza eppure non era così, era
diverso, era inesplicabile. Guardavano i tre uomini direttamen-
te, ridevano e sorridevano mentre parlavano.
In effetti, monopolizzarono quasi completamente la conver-
sazione, senza quasi permettere ai tre ospiti di dire una parola.
Sembrava che stessero sfogando tutti i pensieri e tutte le parole
accumulati in secoli di silenzio e di prigionia all’interno del pin-
nacolo.
Ma Ketan non poté fare a meno di formulare delle domande.
Ad alcune fu risposto, ad altre…
Era così. Di quando in quando, durante la conversazione, pa-
dre e figlia ignoravano del tutto affermazioni o domande fatte
dai tre uomini. Sembrava che non avessero sentito, o che aves-
– 174 –
sero deciso di non udire quello che veniva chiesto. Ketan si do-
mandò addirittura se, per caso, non fossero sordi.
Dopo pranzo, Richard Simons offrì dei sigari, sconosciuti a
Ketan, ma che i due Illegittimi accettarono con evidente piacere.
Poi li guidò in un’altra sala lussuosamente arredata: una biblio-
teca.
Le alte pareti erano coperte fino al soffitto da migliaia di vo-
lumi. Gli scaffali erano interrotti da magnifici quadri. Il tappeto
spesso e folto che copriva il pavimento assorbiva tutti i suoni, e
sembrava che in quella sala fossero sufficienti i mormorii per
conversare.
Sedettero su poltrone comode e soffici, e Richard Simons
lanciò un anello di fumo nell’aria.
– Naturalmente, vorrete delle spiegazioni – disse lui. – Vole-
te sapere chi siamo noi, e cosa significa tutto questo. Risponde-
rò alle vostre domande con ordine.
«Per prima cosa, permettetemi di dire che troverete difficili a
credersi molte delle cose che vi dirò, ma che ugualmente dovre-
te crederle, perché si tratta della verità. Noi vorremmo che in
molti casi fosse vero il contrario.
«Tu sei venuto perché volevamo che venissi. E non avresti
potuto fare altrimenti. Quando hai superato l’esame del Seletto-
re, è stato immesso un impulso, nella tua mente, che ti ha porta-
to, attraverso tutta una vita, direttamente a questo momento.
Tutta la tua vita è stata vissuta con l’obiettivo di raggiungere
questo luogo. Spero che ciò non ti abbia cagionato inconvenienti
troppo gravi, ma dovevo essere sicuro della tua venuta, in qual-
che modo.
Stava parlando di Ketan, naturalmente, ma il suo sguardo
sembrava comprendere anche i due Illegittimi.
E così, era quella l’origine delle visioni pensò Ketan.
L’origine della forza imperiosa che lo aveva attirato. Ma per-
ché?
Apparentemente, il loro ospite era pronto a rispondere alla
domanda.
– 175 –
– È difficile scegliere un punto dal quale incominciare – dis-
se. – Prima di tutto, dovresti sapere che questa è la tua patria.
Tu sei della Terra. “Crown World” è stato semplicemente un
rifugio temporaneo, e ora si avvicina il momento di ritornare in
patria.
“Crown World” pensò Ketan. È il più antico nome di Kron-
weld. Perché quest’uomo lo usa?
– Devi conoscere molto della storia passata della Terra prima
di comprendere lo scopo di tutto questo. Non ti racconterò que-
sta storia. Troverai i particolari sui libri che ti circondano, nei
prossimi giorni.
«Per disegnare uno sfondo, comunque, ti dirò che ci fu un
tempo in cui scienza e civiltà erano molto più grandi di quanto
siano ora. Però, furono distrutte da una grande guerra che av-
volse la Terra in una cappa di distruzione che durò per centinaia
di anni. Si trattò, in realtà, di una sola guerra, ma fu interrotta
da tregue e armistizi che le popolazioni impiegavano per il riar-
mo e la preparazione delle guerre più grandi e più terribili che
seguivano.
«A causa dell’alto livello della scienza, in quei giorni, quelle
guerre furono terribilmente distruttive, fino a quando le forze
distruttrici non furono così grandi che il mondo si trovò com-
pletamente inerme davanti a esse, a un passo
dall’annientamento totale. E la civiltà terminò.
«E col tempo venne l’annullamento di ogni capacità di realiz-
zazione tecnologica. Non si trattò di un avvenimento singolo,
naturalmente, ma mentre le condizioni di vita dovute allo svi-
luppo tecnologico si disintegravano una dopo l’altra, esse veni-
vano sostituite da condizioni di vita sempre più primitive, fino
all’avvento di una civiltà quasi al livello paleolitico. Nello stesso
tempo, questo fenomeno pose termine alla guerra mondiale,
perché ogni mezzo di comunicazione e di trasporto era scom-
parso.
«Una generazione visse lottando con asce e coltelli e comuni-
cando con segnali di fumo e messaggeri. E, finalmente, gli uma-
– 176 –
ni dimenticarono il motivo della guerra, e si fermarono perché
tutte le loro energie erano concentrate sullo sforzo di nutrirsi.
«Forse voi troverete incredibili queste condizioni, ma vi assi-
curo che esse si perpetuarono per centinaia d’anni.
«Il rivolgimento che seguì avvenne rapidamente perché i ru-
dimenti della scienza poterono venire salvati dalle rovine delle
biblioteche e dei laboratori. Frammento dopo frammento, parti
della scienza ritornarono. Ma era accaduto qualcosa agli uomi-
ni: non volevano più sentir parlare di scienza. Un’ondata di sen-
timenti sembrò piombare sul mondo, in ogni paese, quasi si-
multaneamente, e divenne un dogma, una religione, e la scienza
fu il capro espiatorio, la colpa di tutte le guerre e del loro desti-
no. Gli uomini odiarono e condannarono la scienza e la tecnica,
e chiamarono il loro nuovo culto “Antimaterialismo”.
«Fu un’ondata fantastica di fanatismo, e la Terra ne fu sog-
giogata. Per creare nuovamente un sistema di comunicazione,
gli uomini furono costretti ad adottare alcune delle tecniche
odiate, ma si giustificarono considerando il sacro fine della loro
opera.
«Ma, nel frattempo, fu impossibile per noi, che credevamo
nella restaurazione della tecnica, rendere pubbliche le nostre
idee. Fummo uccisi a centinaia, e coloro che scamparono furono
costretti a nascondersi.
Ketan si protese verso l’uomo.
– Fummo? Tu hai preso parte a quegli avvenimenti?
L’uomo annuì.
– Non ti sorprendere. Dopo capirai. – Poi proseguì. – Noi
combattemmo per anni per la restaurazione della scienza, ma
alla fine capimmo che per la nostra generazione questo era im-
possibile. C’era una sola cosa da fare, e cioè immagazzinare la
scienza e il sapere, e conservarli per le generazioni future. E noi
lo facemmo.
Si appoggiò allo schienale della sedia e sollevò lo sguardo,
aspirando un’ultima boccata di fumo.
– Venimmo qui e costruimmo questo edificio. – Fece un ge-
sto che includeva il pinnacolo e tutto ciò che vi si trovava. –
– 177 –
Questo accadde più di mille anni fa. Dodici anni dopo il comple-
tamento del nostro lavoro, eravamo tutti morti.
I suoi occhi stavano scrutando i tre uomini con aria divertita.
I due Illegittimi sobbalzarono, incapaci di parlare.
Ketan non si mosse. Aveva aspettato quella dichiarazione.
Già nella sala da pranzo aveva avvertito la stranezza dei loro
ospiti, ma non aveva osato dar voce ai suoi sospetti. Ma, sebbe-
ne non avesse reagito esteriormente alle parole dell’uomo, il
cuore gli si strinse in una morsa terribile.
Fu un’immensa ondata di solitudine e di perdita. Una ondata
che si propagò alla biblioteca solenne e silenziosa, al pinnacolo
intero, alle grandi sale che ancora non aveva visto ma di cui av-
vertiva la presenza.
Era morto quel mondo che lui aveva soltanto sfiorato. Era
morto anche il pinnacolo con tutti i suoi tesori. Ed era morto
pure quel grande Ricercatore sconosciuto… ed era morta la
Prima Donna.
Ketan la guardò negli occhi. E in essi vide un abisso di tri-
stezza senza nome, un richiamo senza parole che lo colpì dolo-
rosamente, e poi le labbra della donna si mossero per dire con
voce quasi inudibile: – Sì, morti. Vorrei poterti conoscere –
disse. – Mi chiedo qual è il tuo aspetto, ora, mentre tu sei sedu-
to davanti a noi… mille anni dopo questo momento, quando noi
non saremo che luci e ombre e suoni registrati. Vorrei conoscer-
vi tutti. Siete forse selvaggi primitivi, siete venuti a distruggere
ciò che noi abbiamo cercato di conservare, siete venuti ad af-
fondare per sempre il mondo nelle tenebre della notte? Forse
no, perché abbiamo preso delle misure contro questa eventuali-
tà.
«Oppure siete creature intelligenti e sagge, alle quali noi ab-
biamo permesso di sopravvivere, e delle quali saremmo fieri, se
potessimo vedervi? Non lo sapremo mai, ma noi siamo morti
sperando.
Abbassò lo sguardo, e ci fu un tremolio di pianto nei suoi oc-
chi.
– 178 –
Tutto il rimpianto e la speranza della donna si comunicarono
a Ketan. Era incredibile sedere vicino a lei, vederla, ascoltare la
sua voce. Per tutti i giorni della sua vita era passato davanti
all’immagine della Prima Donna, antica più di mille tara, da-
vanti al Tempio della Nascita. E ora la vedeva viva… anche se si
trattava soltanto di una illusione: era come destarsi da un sogno
e scoprire che il sogno non era che realtà.
Immaginò il compito immane che la donna aveva assunto,
quando si era recata, da sola, a Kronweld, con il primo di coloro
che erano stati scelti dalla macchina di suo padre per dare inizio
alla vita in quel mondo.
Ma la domanda alla quale non era ancora stata data risposta
era quella riguardante la sterilità di Kronweld. Perché laggiù la
vita non aveva mai potuto riprodursi?
Richard Simons riprese a parlare.
– Le nostre necessità erano evidenti – disse. – Noi soprav-
vissuti… circa cinquecento… raccogliemmo i campioni di ogni
frammento di conoscenza scientifica che riuscimmo a rintrac-
ciare. Iniziai il lavoro molto prima che lei nascesse – indicò la
ragazza. – Ma quando lei fu cresciuta, mi aiutò a terminarlo.
Situammo questo pinnacolo in quello che sembrava il luogo più
sicuro della Terra. I venti perpetui che, secondo i nostri meteo-
rologi non avrebbero danneggiato in alcun modo il pinnacolo
per almeno cinquemila anni, e che avrebbero continuato a spi-
rare fino a quando non fosse scomparsa la particolare confor-
mazione fisica di questo luogo, formano una barriera naturale.
Ma una barriera che può essere superata facilmente, se esiste
una buona ragione per farlo.
«Molti tra noi rimasero qui, anche se il nostro numero dimi-
nuì lentamente a causa dei decessi. Avremmo potuto fuggire a
Crown World, ma c’era troppo lavoro da compiere, e così re-
stammo. Soltanto Dorien passò il resto della sua vita a Crown
World tra coloro che vi inviammo per primi.
«Questa è soltanto una metà del nostro problema. L’altra
metà devi risolverla tu, e se tu non l’hai risolta, oppure pensi di
non poterlo fare, devi ritornare a Crown World e non venire qui
– 179 –
mai più. Tra altri mille anni un altro seguirà i tuoi passi, ma
questo è quanto ti dico: Risolvi il secondo problema, oppure
torna indietro!
Negli occhi dell’uomo apparve un bagliore metallico,
un’espressione incredibilmente ferma e decisa. Ketan fu sicuro
che quell’uomo avrebbe potuto varcare l’abisso dei secoli per
costringere chiunque a obbedire ai suoi comandi.
– E qual è questo problema?
– Il problema è il più antico problema della società.
«Come può essere governato l’uomo?
Dopo una breve pausa, proseguì:
– Ecco cosa abbiamo fatto per voi: sfruttammo l’avversione
degli uomini per la guerra e costruimmo una serie di grandi
macchine che, dicemmo, avrebbero per sempre distrutto i gran-
di criminali che avevano portato il mondo alla catastrofe, in
passato. Sottolineammo quali mutamenti avrebbero potuto ve-
rificarsi nella storia mondiale se grandi criminali come Alessan-
dro, Nerone, Attila, Hitler, e tanti altri avessero potuto venire
esaminati alla nascita in modo da scoprire le loro tendenze cri-
minali e distruggerli senza dar loro la possibilità di vivere.
«Gli Antimaterialisti, certi che la nuova macchina fosse in
sintonia con i loro principi, accettarono il Selettore, come lo
avevamo chiamato, e noi lo installammo in diversi punti del
globo. Tutte le unità minori erano controllate dalla grande mac-
china centrale.
«Vi inserimmo dei circuiti che avrebbero identificato e di-
strutto tutti i potenziali geni criminali, ma inserimmo anche
altri circuiti. Questi ultimi identificavano e respingevano le
menti scientifiche, gli uomini e le donne che avrebbero portato
il mondo ad altissime vette del sapere in circostanze opportune,
ma che, se fossero rimasti sulla Terra, sarebbero vissuti inutil-
mente nella frustrazione e nella banalità, tra gli Antimaterialisti.
Tu, Ketan, sei uno di questi.
«Questo isolamento è stato reso possibile dalla scoperta di un
membro del nostro gruppo: costui ha scoperto che esistono
mondi paralleli nei quali il ritmo d’oscillazione delle particelle
– 180 –
che costituiscono gli atomi è differente. Tu questo non puoi ca-
pirlo, e neppure io vi riesco. C’è stato probabilmente un solo
uomo al mondo capace anche soltanto di comprenderlo, e ora è
morto. Il frutto delle sue ricerche è qui, comunque, se tu vuoi
sfruttarlo.
«Lui scoprì che la materia perfettamente “normale” può esse-
re cambiata servendosi delle frequenze di oscillazione delle par-
ticelle che la compongono, e può coesistere nello spazio con al-
tra materia di frequenza diversa.
«Tutto ciò va aggiunto al fatto che noi scoprimmo circa cen-
tomila altri mondi che si trovavano, per così dire, fianco a fianco
del nostro. Alcuni erano mondi terribili e spaventosi, con forme
di vita che avrebbero fatto impazzire qualsiasi essere umano.
Solo una dozzina di essi era adatto alla vita umana, e il migliore,
anche se sarebbe più opportuno definirlo il “meno peggio”, ven-
ne chiamato Crown World e fu scelto per l’invio delle menti se-
lezionate e prescelte dal Selettore. Se il risultato sia stato positi-
vo, puoi dirlo meglio tu di me.
«Ho sempre difeso la teoria secondo la quale, se un centinaio
delle migliori menti scientifiche del mondo potesse essere isola-
to in un’isola al di là di ogni possibile influenza degli ignoranti e
degli uomini politici, mille anni di progresso scientifico sarebbe-
ro coperti in un periodo dieci volte minore.
«Sono sicuro che ora, dopo più di mille anni, questa società
di scienziati si è evoluta e ha progredito oltre i sogni più ambi-
ziosi del mio tempo. Non vi ho dato nulla con cui cominciare.
Non vi ho fornito neppure uno dei principi scientifici basilari
della Terra, su cui costruire il vostro grande edificio. Volevo che
voi costruiste da soli fondazioni ed edificio. Tutto ciò che avete
fatto è soltanto merito vostro.
«Ora, il secondo problema per voi è quello di tornare indietro
a governare il mondo che è la vostra vera patria… se potete far-
lo. Se siete preparati, se siete pronti, come credo che sia, occu-
patelo, governatelo, fatene il paradiso che avrebbe potuto essere
da tanto tempo se non fosse stato per il gioco degli ignoranti,
dei guerrafondai e dei politicanti. Governate come pensate si
– 181 –
debba governare, ma se non siete del tutto pronti a governare
saggiamente, tornate e aspettate altri mille anni. Questo è il vo-
stro compito.
«E questo è tutto per stasera. Dorien vi accompagnerà alle
vostre stanze e voi potrete riposare. Ripensate a quanto vi ho
detto. Domani parleremo di nuovo.
Mille domande riempivano la mente di Ketan, ma la ragazza,
Dorien, si era già alzata e stava avviandosi verso l’uscita. La fi-
gura dell’uomo rimase silenziosa e immobile, come se da essa
ogni traccia di vita fosse improvvisamente scomparsa.
Uscendo dalla biblioteca si trovarono in un ampio corridoio,
dal folto tappeto e dall’illuminazione tenue e gradevole. Dorien
lì condusse davanti a tre porte vicine e augurò loro la buonanot-
te.
– Troverete tutto il necessario – disse lei. – Ma soprattutto
troverete un messaggio che vi è stato lasciato dal primo che è
tornato indietro. Leggetelo con attenzione.
I due Illegittimi avevano compreso poco di quanto era stato
detto. Avevano capito solo vagamente l’importanza della storia
narrata da Richard Simons. Non appena la ragazza se ne fu an-
data, entrarono nella stanza di Ketan.
– Che significa tutto ciò? – chiese William. – Noi due non
abbiamo capito molto. Tu hai capito?
Ketan in breve riempì le lacune. Mentre parlava, gli occhi de-
gli Illegittimi lampeggiavano di gioia. Poi tacquero per un istan-
te, e infine William disse: – Questo è ciò che ho aspettato per
una vita intera. Tornerete indietro… tutti voi di Kronweld, e
strapperete il governo agli Statisti?
Ketan annuì.
– A quanto sembra, è il nostro destino. Sicuramente torne-
remo sulla Terra, alla patria che in origine è stata la nostra. È
molto più desiderabile di Kronweld.
«Ma ci sono ancora molti problemi da chiarire. Molti che
credo non siano stati contemplati dai piani degli scienziati. Ri-
tornare alla nostra patria non sarà una faccenda tanto semplice.
– 182 –
– Naturalmente no. Gli Statisti combatteranno, ma centomi-
la Illegittimi, in tutto il mondo, combatteranno al vostro fianco.
Dovete soltanto guidarci, e darci le armi che per anni abbiamo
cercato di costruire, senza riuscirci. Voi potete condurre il mon-
do come hanno vagheggiato gli antichi scienziati. È il sogno di
tre generazioni di Illegittimi, un sogno nella cui realizzazione
nessuno aveva mai creduto veramente.
– Torneremo – dichiarò Ketan. – Ma, per prima cosa, devo
scoprire come ritornare a Kronweld.
– Ti aiuteremo – disse William. – Io so come indicarti la
strada.
Mentre giaceva nell’oscurità, Ketan ripensò all’affermazione
di Dorien, secondo la quale altri erano stati là prima di lui. Il
pensiero lo confuse e lo preoccupò.
Se ad altri era stata affidata la stessa missione, cosa era stato
di loro? Allora ricordò il messaggio che si trovava nella camera.
Scese dal letto e accese la luce. Il messaggio giaceva, arrotolato,
su un tavolo vicino al letto. Lo aprì e lesse.
– 183 –
avvenuto per caso o per un tradimento. Neppure gli Stati-
sti, a quanto sembra, lo sanno. Ma sono stati tanto furbi
da infiltrarsi nel mondo di Kronweld senza rivelare la loro
provenienza straniera, e, per mezzo del Tempio della Na-
scita, si sono nutriti della nostra Ricerca per oltre duecen-
to anni.
“Comunque, non sono come noi. Sono completamente
all’oscuro dei principi basilari della nostra scienza. Come
avrai appreso, gli abitanti della Terra sono stati privati, se
così si può dire, dei cervelli scientifici che sono nati su
questo mondo negli ultimi milleduecento anni. Questo si-
gnifica che, sulla Terra, coloro che sono rimasti sono vis-
suti in un’era di ignoranza e di oscurità incredibili. Quegli
Statisti che hanno rubato e usato il nostro lavoro sono
inetti e quasi completamente incapaci di applicare le tec-
niche necessarie all’impiego delle nostre scoperte. L’unica
loro salvezza è stata il fatto che nessuno di loro si è sotto-
posto all’esame del Selettore e, di conseguenza, tutte le
vaghe capacità tecniche rimaste nelle menti dei loro figli…
pochissime, dopo secoli di abbandono… ora vengono ri-
sparmiate. Perciò, anche tra gli Statisti esistono diversi
bravi tecnici.
“A causa della loro paura di Kronweld, una crisi è immi-
nente. Chissà come, tra loro è nata una leggenda, a propo-
sito del pinnacolo. Lo hanno cercato a lungo e invano e
credono che se Kronweld riuscirà a scoprirlo e a raggiun-
gerlo, gli Statisti verranno spazzati via.
“Il problema non è semplice. Ormai molti tra noi hanno
saputo e sono ritornati. Tu scoprirai chi siamo e dove ci
troviamo nel momento giusto. Vieni nella città di Danfer,
e là mi troverai e avrai altre informazioni e istruzioni. Io
sono Igon.
– 184 –
Igon!
Il leggendario Ricercatore di Kronweld che per primo aveva
attraversato la Landa dei Mille Fuochi per raggiungere la Landa
Oscura, e aveva rischiato di perdere la vita ed era stato declassa-
to per questo!
Igon… così fantastico, così mitico che molti dubitavano della
sua esistenza. Ormai da ottanta tara egli era scomparso da Kro-
nweld.
Era impossibile che fosse ancora vivo. La carta sulla quale era
scritto il messaggio era antica. Ma anche se Igon fosse morto,
cosa era accaduto ai suoi piani, e a tutti gli altri che erano venuti
a combattere gli Statisti e a reclamare il possesso della Terra?
Dove si trovavano?
– 185 –
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
– 186 –
setto, e fu tentato di indossare quello più adatto, ma poi decise
di rimettersi il più resistente e funzionale abito di pelle che gli
avevano dato gli Illegittimi.
Quando ebbe terminato, la porta si aprì e apparve Richard
Simons che entrò nella stanza.
– Buongiorno – disse. – Spero che abbia dormito bene.
– Non troppo. Ho avuto troppe sorprese in questi giorni.
– Capisco. Ma le sorprese non sono ancora finite. Abbiamo
moltissime cose da mostrarti.
Era strano parlare con lui, conversare con un uomo morto da
mille tara. Ketan non riuscì ad allontanare da sé la sensazione
di irrealtà. Anzi, diventava sempre più opprimente.
– La cosa che desidero di più è ritornare da Elta – disse.
Di nuovo, un’espressione completamente assente apparve sul
volto di Richard Simons. Naturalmente, Elta non era un nome
capace di attivare una delle moltissime risposte registrate,
Ketan si fece avanti e immerse la mano nel petto dell’uomo.
– Sì – disse Richard Simons, con un sorriso di scusa. – Non
sono altro che luce, ombre e suono… e certi altri effetti gravita-
zionali che mi permettono di sollevare oggetti ed esercitare
pressioni. Ma è meglio così, no? Penso che per te sia meglio es-
sere guidato a questo modo, piuttosto che ascoltare il suono di
una voce all’interno di saloni deserti.
– Molto meglio – ammise Ketan.
L’uomo uscì dalla porta.
– Non pensare a me come a un morto. Sebbene il mio corpo
si sia disintegrato mille anni fa, io ti ho guidato qui. Ho gover-
nato la tua vita per guidarti verso un grande destino. Non posso
essere morto se sono stato capace di questo, vero?
– No… è vero. – E Ketan improvvisamente capì che quanto
l’uomo diceva era vero. Quei saloni, il pinnacolo, la preziosa ri-
serva di nozioni scientifiche del suo mondo natale… nulla era
morto. Era la creazione più viva e vitale di quel mondo morente
e crepuscolare. Era una scintilla di vita che avrebbe raggiunto
Kronweld, e avrebbe unito i due mondi in una splendida esi-
stenza che nessun uomo aveva mai osato sognare nei millenni.
– 187 –
Nessun uomo potrà mai morire pensò Ketan, finché conti-
nuerà a guidare le vite di altri uomini verso il compimento del
suo grande lavoro.
Furono raggiunti dai due Illegittimi i quali avevano un aspet-
to molto più riposato di Ketan. E c’era un motivo. Essi vedevano
davanti a loro la fine di tutti i problemi e il trionfo delle speran-
ze della loro gente.
Ketan, invece, vedeva solo l’inizio dei suoi problemi.
Dopo qualche istante furono raggiunti da Dorien che indos-
sava un abito candido sul quale facevano magnifico contrasto i
capelli neri.
– Dove li stai portando? – domandò al padre.
– Pensavo di condurli nel laboratorio, stamattina. Devono
vedere la nostra collezione.
– Il nostro museo delle cere… – rise Dorien.
– Dorien, ti prego…
Era evidente che la ragazza considerava il loro lavoro con una
certa allegria, che non era condivisa dal padre. L’uomo era ter-
ribilmente serio, e Ketan sapeva che era il comportamento più
logico, nei riguardi dell’importanza di quanto stavano facendo.
Malgrado ciò, Ketan era felice del fatto che Dorien fosse capace
di scherzare. Questo rendeva l’atmosfera molto più leggera.
Percorsero lunghi corridoi e vennero trasportati da intermi-
nabili scale mobili, tanto che Ketan dopo poco tempo perse la
nozione della distanza. Non si meravigliò più del contrasto tra le
dimensioni del pinnacolo visto dall’esterno e l’enorme spazio
interno.
Finalmente giunsero su una terrazza che dominava un enor-
me salone. Per lo meno dovevano esserci duemila persone al
lavoro su tavoli da laboratorio e su apparecchi di ricerca. Alcuni
erano radunati a gruppi, ma quasi tutti sembravano lavorare da
soli e in silenzio.
– Cosa stanno facendo? – esclamò Ketan. – Credevo che qui
ci fossimo soltanto noi.
Richard Simons tacque per qualche istante.
– 188 –
– Quegli uomini sono come noi… come me e Dorien. Ma non
sono affatto morti, proprio come noi, perché il loro lavoro ha
influito su miliardi di vite… e influirà sulle vostre, e su milioni di
altre. Quelli sono gli scienziati della Terra, i più grandi di tutti i
tempi, gli autori delle scoperte più importanti raggiunte
dall’uomo fino al momento di costruire questo Reliquiario.
Scendiamo, così potrai parlare con loro.
Era strano l’aspetto di coloro che lavoravano nell’immenso
salone. Anche i loro abiti erano di fogge diverse, probabilmente
delle epoche in cui avevano vissuto.
Richard Simons li guidò verso un vecchio dai capelli bianchi,
che indossava una semplice tunica chiara, e che sedeva dietro a
un rozzo tavolo, intento a incidere qualcosa su una sostanza gri-
giastra.
– Il suo nome è Archimede – disse Richard Simons. – Sta
studiando degli specchi ustori per la battaglia di Siracusa.
Il vecchio sollevò lo sguardo, udendo le loro voci. Nei suoi oc-
chi c’era un’espressione remota, unita all’apprensione e alla
paura.
– Se solo potessi avere centomila uomini a disposizione,
avrei tanta forza… – mormorò.
– Perché uomini? – esclamò Ketan. – Potresti usare…
Richard Simons sfiorò il braccio di Ketan.
– Non può comprenderti. E Archimede, ricostruito come Ar-
chimede fu un tempo. Ai suoi tempi, si conosceva solo l’energia
fornita dagli uomini, dagli animali, dal calore e dalla caduta de-
gli oggetti. Passiamo a un’epoca più vicina. Il nome di
quest’uomo è Michael Faraday. Ha scoperto il principio della
generazione dell’energia elettrica.
Un uomo magro e non troppo alto si voltò al loro avvicinarsi.
Era in maniche di camicia. Aveva i capelli bianchi perfettamente
in ordine.
– Salve, Richard – disse.
– Salve, Michael. Stamattina sembri un po’ annoiato.
– Annoiato! Ieri sera ho fatto una conferenza e una stupida si
è alzata, dopo la dimostrazione, e mi ha chiesto a cosa serviva
– 189 –
tutto quello che avevo dimostrato. – Michael Faraday ridac-
chiò. – Immagina cosa le ho risposto. Le ho detto: “Signora, sa
dirmi a cosa serve un bambino appena nato?” Se ne è andata
senza salutarmi.
Risero con lui e si allontanarono.
– Volevo farveli conoscere – disse Richard Simons ai tre visi-
tatori. – Venite qui spesso. Parlate con loro. Con tutti.
Possono capirvi, perché abbiamo stabilito di dar loro
un’unica lingua, sebbene in origine essi ne parlassero a centi-
naia.
«Voglio che scopriate cosa fanno, e perché. Qui abbiamo ri-
prodotto gli uomini che cercarono di sollevare un mondo fino
alle stelle, e fallirono a causa dell’ignoranza e della stupidità che
bloccarono loro la strada. Voglio che impariate da loro, perché
dovrete compiere la stessa strada e riuscire dove loro hanno fal-
lito.
«Li troverete sempre qui, sempre al lavoro sulle cose che die-
dero loro la celebrità e la gloria, e per le quali vivono ancora.
Meglio questo che una semplice serie di registrazioni scientifi-
che, meglio conoscere gli uomini direttamente, nel modo mi-
gliore possibile ai nostri tempi, che assimilare fredde nozioni.
«Ecco Edison, laggiù, ed ecco Einstein, intento a nuove con-
quiste del sapere. Dovete conoscerli tutti, perché per questo esi-
stono: per farvi capire. Considerateli miei amici, considerateli
esseri viventi, considerateli amici di tutti gli uomini.
Quando furono di nuovo sulla terrazza, Ketan osservò a lun-
go l’assemblea di immagini che rappresentavano i grandi Ricer-
catori di quel mondo. Capì che gli scienziati che avevano ripro-
dotto quelle immagini e avevano dato loro vita non lo avevano
fatto per semplice esibizione. In quel luogo si trovava qualcosa
di importanza eccezionale per tutti i Ricercatori di Kronweld
che vi sarebbero giunti.
Avrebbero conosciuto e incontrato i Ricercatori della Terra
come se avessero lavorato con loro, e avrebbero conosciuto le
loro ambizioni, i loro sogni, e in essi avrebbero trovato la forza
per innalzarsi sempre più.
– 190 –
– E ora, la biblioteca – disse Richard Simons.
Dopo un’altra teoria di corridoi e di scale mobili giunsero in
una sala lunga e stretta, con un tavolo capace di ospitare cento
uomini almeno. Sul tavolo, davanti a ogni poltrona, si trovava
un piccolo visore e una tastiera piena di tasti colorati e numera-
ti.
– Dietro a queste pareti – spiegò Richard Simons, – si trova-
no cento milioni di libri. Questo è stato il nostro compito più
grande. Abbiamo passato gran parte dei nostri giorni a vagare
per il mondo, cercando di salvare dalle rovine i libri scritti dagli
uomini. Siccome ne esistevano moltissime copie, non tutte an-
darono distrutte, neppure nel corso dei terribili bombardamenti
e degli incendi delle guerre. Li abbiamo riprodotti e registrati su
disco, e li abbiamo archiviati in questa biblioteca.
«C’è un indice analitico, che contempla tutti i titoli disponibi-
li su ogni argomento. Il numero indicato in esso è riportato sulla
tastiera, e, componendolo, richiamerà il testo che comincerà a
scorrere sul visore. Così chiunque potrà attingere alla conoscen-
za dell’umanità.
«Secondo i nostri progetti, questa biblioteca dovrà essere
piena, giorno e notte, di scienziati di Crown World, intenti a
scoprire l’eredità della loro patria.
Ketan sedette e provò a comporre un numero. Sullo schermo
apparve una pagina della quale, però, non riuscì a leggerne i
caratteri. Tuttavia, l’immensità di nozioni che quella enorme
biblioteca conteneva lo stordì. Sarebbe stata necessaria molto di
più di una vita per apprendere soltanto una frazione di quanto
gli antichi avevano lasciato ai loro eredi.
Fece per parlare, ma Richard Simons lo precedette:
– C’è un’altra sala che dovete vedere, stamattina: il nostro
museo.
Come la biblioteca, era così immensa da non poter permette-
re una visione particolareggiata. C’erano esemplari di macchine
e di prodotti artistici tutto ciò che l’uomo aveva creato in mil-
lenni di storia. Macchine da trasporto, mezzi di comunicazione,
di produzione… gli scienziati li avevano raccolti dalle rovine di
– 191 –
un mondo come testimonianza delle vette altissime raggiunte
un giorno dall’uomo.
– È troppo! – esclamò Ketan. – Ho visto più del necessario.
È inutile che io veda altro del mio mondo natale. Fammi tornare
a Kronweld, per portare Kronweld qui.
– Allora segui la via che Igon ha tracciato – disse Richard
Simons. – E non fallire!
– 192 –
– Quelle istruzioni sono state scritte da Igon, il quale scom-
parve da Kronweld più di novant’anni fa. Anche se allora fossero
state valide, ormai è passato troppo tempo. Senza dubbio Igon è
morto. Se esiste un’organizzazione che raduna coloro che sono
venuti da Kronweld fino al pinnacolo, dovrei mettermi in con-
tatto con essa, ma temo che sia stata scoperta e distrutta dagli
Statisti già da molto tempo. In caso contrario, ormai avremmo
delle prove della loro esistenza. Igon avrebbe portato a felice
compimento i suoi piani, in questo periodo, se fosse stato mate-
rialmente possibile.
– Ma le istruzioni non sarebbero rimaste nel pinnacolo, se
fossero diventate inutili.
– E perché no? Dopotutto, si tratta soltanto di un apparato
meccanico in azione. A quanto sembra, Igon prese visione di
tutto e fece un piano. Poi ritornò nel pinnacolo e lasciò le sue
istruzioni, modificando i comandi delle proiezioni visive di Ri-
chard Simons e di sua figlia, in modo che essi richiamassero
sulle istruzioni l’attenzione di coloro che sarebbero venuti in
seguito. Lui è morto, il suo piano è fallito, e le istruzioni, molto
semplicemente, sono rimaste nel pinnacolo.
William scosse il capo.
– Non credo che sia così semplice. Quelle proiezioni sono
troppo perfette. Se sanno rispondere a quel modo alle domande
inattese, se sanno seguire così bene una conversazione, sicura-
mente ogni circostanza riguardante quelle istruzioni deve essere
sotto il loro controllo. Cosa ti hanno detto di fare?
– Devo andare nella città di Danfer, dove si trova il Selettore
centrale. Là dovrei incontrare Igon… la qual cosa, naturalmente,
è impossibile. Se fosse vivo, riceverei ulteriori istruzioni.
– Forse è vivo nello stesso senso in cui è vivo Richard Si-
mons.
– Ci ho pensato, ma se è solo un’immagine fatta di luci e di
suoni, non può fare molto per rovesciare gli Statisti.
– Forse questo è compito tuo.
– Non lo so. Se così fosse, cos’è accaduto a quelli che sono
venuti prima di me?
– 193 –
– In ogni modo, hai deciso di andare a Danfer?
– Voglio tornare a Kronweld – disse Ketan. – Questo per ora
è il mio primo obiettivo. Devo trovare Elta, se è ancora viva. In
caso contrario, passerò la mia vita a vendicarla, anche se per
farlo dovessi distruggere Kronweld e la Terra.
– Allora verrò con te a Danfer. È l’unica strada per tornare a
Kronweld. E forse scoprirai qualcosa di più su questo Igon, lag-
giù. Per fortuna hai ricevuto il marchio, passando attraverso il
Selettore. Per lo meno non ti faranno domande.
Ketan guardò il marchio purpureo ricamato sulla pelle del
braccio, che per tanto tempo gli aveva dato motivo di infinite
domande, e annuì.
– 194 –
Quando si pose direttamente la domanda, svuotata di ogni
emozione, comprese che la sua strada era chiara, come lo era
stata prima di raggiungere il pinnacolo.
Per prima cosa, doveva ritornare nei villaggi della foresta de-
gli Illegittimi, per riposarsi in vista del viaggio a Danfer, e per
ottenere il loro appoggio.
Poi sarebbe andato a Danfer, per trovare un sistema per tor-
nare a Kronweld. Doveva trovare Elta, ma, indipendentemente
dal suo destino, doveva portare a termine il suo progetto origi-
nario di distruggere e denunciare il Tempio della Nascita. Lo
avrebbe mostrato sotto il suo vero aspetto. Una semplice porta
sul mondo dal quale erano venuti.
Allora Kronweld avrebbe capito. Non avrebbero potuto di-
menticare le sue parole, non avrebbero potuto seppellire le pro-
ve che lui avrebbe portato con sé. Di questo ne era sicuro. Con
l’aiuto dei Non Registrati avrebbe avuto la certezza di convince-
re Kronweld e i kronweldiani.
Dunque, era questa la strada logica da seguire per riportare
la sua gente sulla Terra. Li avrebbe portati nel pinnacolo, li
avrebbe guidati nei villaggi degli Illegittimi. E avrebbero cono-
sciuto la grande eredità degli antichi. Avrebbero progettato in-
sieme un sistema per rovesciare gli Statisti. Lui non sarebbe
stato più solo.
Non sembrava una cosa tanto difficile. Una volta decisa una
linea d’azione, sembrava facile da seguire; una nuova esaltazio-
ne si impadronì di lui.
Ma non durò molto a lungo: se la soluzione del problema era
così elementare, perché Igon aveva fallito?
– 195 –
CAPITOLO VENTESIMO
– 196 –
Ed erano gli abitanti del villaggio a urlare in quel modo! Re-
spingendo l’ondata di panico, Ketan spronò il suo cavallo.
Giunto ai margini dell’abitato, percorse una breve strada, alla
fine della quale, davanti a lui, vide la folla di Illegittimi ululanti.
Erano radunati nella piazza principale intorno a un rogo fiam-
meggiante.
– Che cosa sta succedendo… – esclamò Ketan. Poi si accorse
che William era accanto a lui.
– Vieni via – gli disse. – Non devi vedere questo.
– Non devo vedere che cosa? Cosa stanno facendo?
Ma prima che l’altro potesse rispondere, Ketan vide l’oggetto
della loro furia, che stava per essere lambito dalle fiamme. C’era
un piedistallo al centro del rogo, e su di esso era legato un essere
umano.
– William Douglas! Fermali! Non vedi cosa stanno facendo?
– È una Statista che hanno catturato oggi. Alcuni dicono che
è una spia. Non puoi fermarli. Ti farebbero a pezzi e brucereb-
bero anche te. Neanch’io posso fermarli, mi ucciderebbero.
Nauseato, Ketan tornò a guardare il rogo. Allora vide solle-
varsi il capo della figura legata e un grido gli uscì dalla gola.
Guardò, pietrificato, e il mondo intero gli cadde addosso: quella
figura era Elta!
Ketan non ragionò più sulle sue azioni. Nella sua mente non
c’era posto per la riflessione e per il ragionamento. L’istinto lo
spinse ad afferrare il rotolo di corda che pendeva dal pomo della
sella di William, quindi, con un selvaggio grido animale spronò
il cavallo, staffilandolo con la corda.
La retroguardia della folla si voltò per fermarlo… ma gli zoc-
coli del cavallo calpestarono quelli che gli capitarono sotto,
mentre si faceva rabbiosamente largo distribuendo in ogni dove
selvagge sferzate.
Per un istante la folla si divise, terrorizzata da quella furia
selvaggia, ma fu solo un istante. Le grida inumane che aveva
udito in precedenza erano adesso rivolte a lui, e mille mani si
sollevarono per trascinarlo a terra. Il cavallo cominciò a scalcia-
re a suo volta terrorizzato, e sotto i suoi piedi si sentì il rumore
– 197 –
di ossa che si spezzavano. Nel frattempo Ketan continuò a muli-
nare selvaggiamente la corda, ormai rossa del sangue di coloro
che aveva colpito.
Nessuno avrebbe potuto credere che quell’uomo fosse Ketan,
il Ricercatore di Kronweld. C’era soltanto un animale selvaggio
e folle per la paura, che cavalcava un cavallo altrettanto folle. Le
grida di Ketan superavano in ferocia quelle degli Illegittimi, e si
udivano al di sopra del tumulto.
E lentamente, la gente cominciò a indietreggiare davanti alla
furia scatenata che si era tuffata in mezzo a loro.
Ketan infilò rapidamente una mano nella sua sacca ed estras-
se un coltello. Era quasi arrivato davanti al rogo. Qualche altro
passo, e avrebbe potuto tagliare le corde che legavano Elta, ma
mentre si piegava in avanti per farlo, il cavallo cedette sotto il
peso di uno che era balzato sul suo dorso. Con una pietra in ma-
no questi colpì Ketan aprendogli una profonda ferita sulla guan-
cia dalla quale il sangue cominciò a sgorgare copiosamente.
Ketan si voltò inferocito nel momento che l’uomo gli vibrava
un altro colpo che fu costretto ad incassare, ma quando
l’assalitore alzò il braccio per colpire un’altra volta, la mano di
Ketan che impugnava il coltello scattò veloce, e l’arma si infilò
nel ventre dell’uomo. Poi Ketan furioso rigirò il coltello nella
ferita, e quando lo estrasse, l’uomo cadde.
In quel momento tutto il condizionamento di Kronweld svanì
in Ketan, il quale, accecato dal sangue che gli colava dalla testa e
dalla guancia sul petto, diventò una bestia scatenata, e si guardò
intorno, sfidando chiunque ad affrontarlo.
Anche il cavallo sembrava condividere la sua smania di san-
gue. Con alti nitriti si impennò e tempestò di colpì gli assalitori
con i pesanti zoccoli.
Ormai era tanto vicino da avvertire il calore delle fiamme.
Vide che Elta era svenuta per il fumo; il suo abito… una parte
della mente di Ketan notò che si trattava dell’abito
d’iniziazione… era annerito, e cominciava a bruciare. Con furia
che cresceva insieme alle fiamme, frustò ferocemente i fianchi
– 198 –
dell’animale, e avanzò come un demone; pugnalò un altro uomo
alla gola, e dette un potente calcio sul volto di un altro.
Il cavallo nitrì e indietreggiò spaventato dalle fiamme, allora
Ketan affondò i tacchi nei suoi fianchi, e lo fece avanzare fino a
quando gli zoccoli non affondarono nel rogo, disseminando tiz-
zoni ardenti ovunque, tra la folla.
Tagliò con un preciso colpo la corda che teneva legata la ra-
gazza, poi gridò forte il suo nome nel tentativo di farla riavere
per impedirle di cadere col volto sulle fiamme, ma Elta non era
in grado di udirlo.
Il cavallo indietreggiò nuovamente, levando alti nitriti di ter-
rore, ma Ketan riuscì a controllarlo e a farlo riavvicinare, quel
tanto che bastò per afferrare il corpo della ragazza e trarla in
salvo in groppa al cavallo.
Se prima le urla della folla erano state selvagge, divennero un
disperato ululato quando videro Ketan portare via dalle fiamme
il corpo inerte di Elta e, con furia rinnovata, lo assalirono nuo-
vamente e si serrarono intorno ai fianchi sanguinanti e bruciati
del cavallo, il quale, appesantito anche dal corpo di Elta, rallen-
tò e quasi si fermò al centro della folla che urlava il suo odio.
Ketan colpì con selvaggia determinazione, ma si rese conto
che ormai tutto era perso: quella gente gli era addosso con clave
e bastoni, e lo colpivano alle gambe e al corpo, tempestavano di
colpi anche l’animale. A quel punto, la sua preoccupazione fu
quella di evitare che Elta ricevesse i colpi.
Con una parte della sua mente, fu lieto che tutto ciò fosse ac-
caduto prima che avesse potuto fare il terribile errore di conse-
gnare le Ricerche di Kronweld a quei selvaggi. La Ricerca sareb-
be stata mille volte meglio nelle mani degli Statisti, che in quelle
mani lorde di sangue.
Forse gli Statisti non erano quello che avevano cercato di far-
gli credere gli Illegittimi, anche se una serie di avvenimenti suc-
cessi a Kronweld indicava che erano dei nemici. Fu comunque
certo che se i kronweldiani fossero venuti in quel mondo,
avrebbero combattuto Statisti e Illegittimi nello stesso tempo.
– 199 –
Improvvisamente udì una voce tonante, e subito dopo il vocio
della folla diminuì. Allora si voltò e vide William e John che sta-
vano aprendosi la strada verso di lui.
William fece impennare il cavallo, in modo che gli zoccoli si
abbattessero su quelli che circondavano Ketan, mentre lui mu-
linava un pesante randello sul capo degli assalitori.
– Fermatevi! Ascoltatemi! – urlava.
Tutti arretrarono, sbalorditi, increduli, svuotati
dell’emozione che li aveva trascinati fino a quel momento contro
l’uomo che gli aveva sottratto Elta.
E i tre cavalieri sembrarono rinunciare con riluttanza a in-
fliggere altri colpi di bastone, perché qualsiasi altro colpo sulla
folla sarebbe stato come infierire su un cadavere.
William si sollevò in sella e urlò alla gente: – Questi due so-
no tornati indietro. Tornati dal Selettore. Sapete cosa significa?
Il silenzio calò, ma sembrò più terrificante della precedente
esplosione di urla. Poi William continuò, più piano ma con forza
incredibile.
– Per tre generazioni abbiamo atteso sperando che tornasse-
ro quelli che erano andati dall’altra parte, confidando nella sal-
vezza che avrebbero potuto portarci. Stanotte avete dimostrato
di non aver diritto a questa libertà: meritate di rimanere schiavi
per dieci volte tre generazioni, per quello che avete fatto!
«Adesso andatevene. Tornate alle vostre case!
Come un’ondata mormorante essi si dispersero così rapida-
mente che fu quasi impossibile capire dove fossero andati.
Ketan sistemò meglio Elta tra le sua braccia e seguì William nel-
le strade deserte… deserte, fatta eccezione per le due dozzine di
morti che si trovavano a terra.
Il silenzio che regnava, era come la bonaccia al centro di un
uragano, immobile, ansioso, caldo e soffocante. L’odio di Ketan
per quella gente bruciava ancora, e sapeva che non avrebbe mai
dimenticato quegli attimi di terrore che aveva appena passato.
William non parlò fino a quando non ebbero raggiunto la ca-
sa che era stata la sua abitazione, in fondo alla lunga strada tor-
tuosa e stretta.
– 200 –
– Sistemiamoci qui – disse. – Elta sarà curata. Farò venire
Carmen.
Ketan non disse nulla. Sebbene i due Illegittimi avessero
combattuto per lui e gli avessero salvato la vita, non poteva di-
menticare che erano pur sempre Illegittimi, e che William prima
che Ketan se ne accorgesse, gli aveva impedito di vedere il rogo,
perché non scoprisse chi era la vittima.
Dunque anche William non era meno selvaggio di tutti gli al-
tri.
Ketan portò Elta in casa e la posò sul rozzo lettuccio. Lei si
mosse lievemente. William si piegò su di lei e la esaminò atten-
tamente, constatando che la respirazione era quasi normale.
– È svenuta per il fumo, ma se la caverà benissimo. – Disse a
Ketan… – Apri quelle finestre, in modo che circoli abbastanza
aria. Le bruciature alle gambe saranno dolorose per un po’ di
tempo, ma non sono affatto serie. Le curo subito, poi faccio ve-
nire del cibo.
John quasi non sentì quello che diceva William; se ne stava a
guardare fuori dalla finestra assorto dai suoi pensieri.
William ritornò dopo un istante con l’occorrente per medica-
re le ferite di Elta e, quando finì, si voltò verso Ketan.
– Mi sembra che abbia bisogno anche tu di essere medicato –
disse.
Ketan si accorse allora che la profonda ferita della guancia gli
batteva per il dolore. Ma nella concitazione se ne era quasi di-
menticato. Anche le gambe e le braccia erano coperte di lividi e
di ferite. Silenziosamente, si sottopose alle cure di William.
Sembrava distaccato da quanto stava accadendo: le sue ferite
venivano accuratamente lavate e coperte di impasti medicamen-
tosi, e quindi venivano bendate.
Era una procedura strana e curiosa. Se tali ferite fossero state
inflitte a Kronweld, nessuno avrebbe fatto niente per curarle. Le
avrebbe soltanto lavate, e se si fossero infettate, e se il dolore
fosse continuato, si sarebbe inflitto la morte per alleviare la sof-
ferenza, o, se avesse rifiutato di obbedire a questa regola, sareb-
– 201 –
be stato condotto al Luogo della Morte, per venirvi abbandona-
to.
In simili trattamenti non era questione di pietà o misericor-
dia: era la sola possibilità. I tabù che circondavano ogni indagi-
ne sui processi biologici non avevano consentito alla Ricerca di
progredire nella cura di malattie e ferite.
Ketan si domandò quante migliaia di vite avrebbero potuto
venire salvate dai semplici rimedi di William, se il Tempio della
Nascita non avesse esercitato la sua ottusa influenza sulla vita di
Kronweld.
Quando ebbe terminato di medicare Ketan, William si occu-
pò del braccio di John, e infine pensò a se stesso.
Poco dopo, Carmen apparve con la cena, che aveva cucinato
in un’altra parte della casa. Come se si sentisse colpevole di
quello che era avvenuto, la donna abbassò lo sguardo piena di
vergogna. Mangiarono in silenzio.
Alla fine della cena William si alzò e andò a osservare Elta
che stava dormendo sotto l’effetto di una droga d’erbe che le
aveva fatto ingerire.
Quando John se ne andò a casa, William sedette accanto a
Ketan, e cominciò a parlare a bassa voce.
– Non so quello che stai pensando, ma posso immaginarlo –
disse. – Non voglio cercare di spiegare né di convincerti. Forse
voglio parlare per non pensare troppo, ma quando vorrai che
smetta, dimmelo.
«Quello che è successo stanotte deve essere stato come una
pugnalata nella schiena, per te. Lo so, perché ho vissuto tra gli
Statisti per molti anni. La loro brama di sangue è molto più raf-
finata.
«Secoli or sono, gli uomini allevavano degli animali. Uno,
chiamato cane, per esempio, in origine era un animale selvaggio
senza particolari caratteristiche, all’infuori di cacciare per nu-
trirsi, vivere e combattere. L’uomo catturò numerosi cuccioli di
differenti branchi, e li allevò. Dopo centinaia d’anni, c’erano
mille razze canine, ciascuna diversa dall’altra, come se fossero
specie diverse.
– 202 –
«Io penso che anche per l’uomo sia la stessa cosa. In esso
c’era ogni caratteristica: gentilezza, bellezza, brutalità e barba-
rie. Secoli or sono sopravvivevano in quel marasma di contrasti,
e ogni individuo accettava quel tipo di esistenza.
«Poi il Selettore di Richard Simons cominciò ad allevarli se-
condo le caratteristiche distintive. I tipi scientifici, artistici e
poetici vennero scelti e segregati a Kronweld. Qui rimasero la
barbarie e la tirannide. Ma rimaneva ancora qualcosa di buono,
qualcuno che aveva l’istinto innato dell’indipendenza,
dell’inestinguibile desiderio di vivere senza essere posseduto
anima e corpo da una cosiddetta classe superiore tirannica.
«E coloro che possedevano queste caratteristiche erano gli Il-
legittimi.
«Stanotte li hai visti. Hai visto il loro odio e la loro brama di
sangue. Non li rappresenta completamente, ma fa parte di loro.
Daranno fino all’ultima goccia di sangue per rovesciare gli Stati-
sti e stabilire un sistema di vita giusto e libero: preferiscono la
morte alla privazione dei loro diritti, e sono selvaggi e crudeli
con tutti coloro che minacciano la loro libertà. Hanno bisogno
della vostra scienza… forse voi potrete trarre giovamento dal
loro vigore e dal loro spirito d’indipendenza.
Ketan non rispose. I suoi occhi rimasero fissi nel vuoto. Dopo
un lungo silenzio, William continuò.
– È accaduta la stessa cosa, molto tempo fa. I più grandi pio-
nieri, i più grandi difensori della libertà, che siano mai vissuti su
questo continente, divennero per un certo tempo dei brutali sel-
vaggi. Furono loro che per primi, qui, fondarono una civiltà, ma
per farlo, dovettero avere una rigidità e una intolleranza che li
spinse a esercitare una tirannia sugli stessi membri del loro
grappo che davano segni di insubordinazione, di indipendenza.
Erano chiamati Puritani. Leggerai la loro storia in uno dei libri
trovati nel pinnacolo.
– 203 –
lamentarsi piano e muoversi, nel sonno dovuto alla droga. Car-
men dormiva di là, accanto alla ragazza.
Ketan pensava alla scena della notte e alle parole di William.
E ora che Elta si trovava con lui, miracolosamente salva, sapeva
che non c’era urgenza di tornare a Kronweld. Prima di farlo,
poteva dedicarsi alla missione che gli aveva affidato Richard
Simons.
Si domandava se non si fosse imbattuto proprio nel motivo
del fallimento di Igon. Forse Igon aveva scoperto appena in
tempo la brutalità e la barbarie di quel mondo e aveva giudicato
inutile il ritorno.
Certo, doveva essere così.
Poi Ketan ricordò quello che era successo la sera prima: l’ira
e la cieca emozione che lo avevano pervaso quando aveva visto
Elta in pericolo di vita. Non credeva che un cervello umano fos-
se capace di emozioni del genere. O meglio, non lo aveva mai
creduto prima.
Lentamente, comprese quanto aveva voluto dire William.
Capì che in ogni uomo, come nell’intera razza umana, c’erano
tutti i contrasti di bellezza e odio e amore e barbarie. Pensò al
cacciatori Statisti che scendevano dal cielo e bruciavano i villag-
gi della foresta e uccidevano gli Illegittimi come animali, solo
per divertirsi.
Si domandò quale potesse essere la logica reazione degli Ille-
gittimi di fronte a questo.
E l’unica risposta che trovò nella sua mente era quella che
aveva già avuto.
Con la loro ignoranza, con la loro eredità di stenti, con la loro
posizione disperata, non c’era reazione possibile all’infuori della
ritorsione più brutale della quale fossero stati capaci. Gli Statisti
erano diventati come quelli di cui aveva parlato William: aveva-
no fondato la nazione destinata a diventare la più grande di
quella terra, ma nel contempo erano diventati spietati.
Era necessario insegnare molte cose agli Illegittimi; questo
sarebbe stato il compito degli uomini di Kronweld: dovevano
fondere in loro l’eredità del mondo della Terra, e poi amalga-
– 204 –
marsi agli Illegittimi per formare una razza come quella sognata
da Richard Simons e dai suoi scienziati.
– 205 –
dalla quale potranno uscire gli scienziati che andranno a Kron-
weld per aumentare la ricchezza e il potere degli Statisti.
«Ma poi gli Statisti concepirono un terribile piano: credendo
di essere Ricercatori abili come quelli di Kronweld, cominciaro-
no a temere che Kronweld potesse scoprire il passaggio nel Con-
fine e invadessero la Terra, rovesciando il loro governo e po-
nendo fine alla loro ricchezza.
«Allora decisero di spazzar via Kronweld. Volevano soltanto
un’altra cosa, e si trattava dei piani particolareggiati delle mac-
chine da voi usate per produrre l’energia atomica. Quando se ne
saranno impadroniti, rivolgeranno le forze dell’atomo su Kron-
weld e la distruggeranno.
«Quando venni a sapere questo, mi ribellai. Rifiutai di colla-
borare. Né Hoult né Daran potevano comprendere i principi
fondamentali dell’atomo. Ma io ero l’unica in grado di capire,
allora mi costrinsero a lavorare per loro minacciandomi di ucci-
derti, perché sapevano che io… e te, che dovevamo diventare
compagni, che dovevamo sposarci, come dicono qui sulla Terra.
– Allora per salvarmi hai continuato a collaborare, vero? Per-
ché non me lo hai detto? Avrei saputo difendermi.
– No! Non da Hoult. Hai visto come è riuscito ad avere ra-
gione, quando sei apparso davanti al Consiglio. La tua udienza è
stata tutta una farsa. Hoult sapeva esattamente quello che sa-
rebbe accaduto. Non avresti mai potuto difenderti da lui.
– E Matra? Chi era? Quando l’ho conosciuta voleva che ti uc-
cidessi. Poi, nel Tempio mi ha detto di capire quanto tu stavi
facendo, e che dovevo fidarmi di te.
– Matra era una Statista – disse Elta. – Giunse nel Tempio
molti anni prima di quanto chiunque possa ricordare. Lei era il
principale canale di collegamento attraverso cui le informazioni
passavano da Kronweld agli Statisti.
«Questo, almeno, era quello che pensavano gli Statisti, ma
ora so che per tutto quel periodo, in realtà Matra ha lavorato
contro di loro, nascondendo delle informazioni, falsificandole in
modo che i nostri ingegneri non riuscissero a capirci nulla. Ri-
tardò l’inevitabile in migliaia di modi.
– 206 –
«Conosceva me, Hoult e Daran perché dovevamo lavorare
con lei. Quando scoprì il piano di distruzione di Kronweld, ven-
ne a chiederti di ucciderci. Ma ebbe troppo poco tempo per dirti
tutto ciò che dovevi sapere.
«Se il Capo Hoult non fosse venuto a interrompervi quella
sera, tu… tu avresti potuto arrivarmi alle spalle, quando ti stavo
aspettando, e uccidermi.
– Elta!
– Io dissi a Matra che stavo per attraversare il Confine per
distruggere la Soglia e il Selettore, isolando per sempre i due
mondi. La convinsi della mia sincerità e lei mi diede l’anello che
avrebbe dovuto proteggermi, non so come. Non lo so, perché
non ho mai potuto usarlo. Distruggere la Soglia! Ma se lo avessi
fatto, tu non avresti mai più potuto ritornare!
«E forse ne sarebbe valsa la pena. Avrei anche rinunciato a te
per questo. Sapevo che tu non avresti mai potuto vivere tra gli
Statisti. E nulla avrebbe potuto dissuaderli dai loro piani di di-
struzione. Dovevo scegliere tra la mia felicità con te e la distru-
zione di Kronweld. Andare nella Landa Oscura, come avevamo
pensato di fare una volta, era un progetto folle e magnifico, ma
non avremmo potuto sopravvivere laggiù, perché gli Statisti non
appena a conoscenza della nostra presenza, avrebbero distrutto
ogni cosa.
– Cosa è successo nel Tempio, dopo la mia partenza?
– Matra era in contatto con un gruppo segreto… non so dove
si trovasse… che stava combattendo per salvare Kronweld, così
diceva lei. Quando seppe che cosa intendevo fare mi diede la sua
approvazione, perché disse che le sembrava l’unica soluzione
possibile. E mi diede anche quell’anello, che, secondo lei, avreb-
be dovuto proteggermi e condurmi da Igon, una volta superato
il Confine. Igon… immagini?
– Igon! – Ketan sollevò il capo e nella sua mente apparve la
visione del pinnacolo solitario nel deserto. – Così Igon vive an-
cora – disse lentamente. – Ne era certa, Matra?
– Sembrava sicurissima, anche se la cosa appare incredibile.
– Ma Anetel ti prese l’anello, vero?
– 207 –
– Sì. Non ne conosceva il valore, ma sapeva che si trattava di
un mezzo di protezione.
– Perché hai tentato di ucciderla?
– Gli Statisti scoprirono il tradimento di Matra solo negli ul-
timi tempi. Ordinarono ad Anetel, che è mia sorella, di andare a
Kronweld per occuparsi del Tempio, dopo avere ucciso Matra.
Scoprii tutto questo troppo tardi per salvare Matra.
– Anetel è tua sorella? – esclamò Ketan.
– Sì. Siamo gemelle. Ma l’avrei uccisa per salvare Matra, e
impedire che i dati sull’energia atomica raggiungessero gli Stati-
sti. Li avevo già consegnati a mia sorella, ed è stato proprio per
riaverli indietro che ho tentato di ucciderla… Pensavo che po-
tesse trasmetterli e che gli Statisti potessero decidere di attacca-
re prima che io avessi avuto il tempo di distruggere la Soglia.
Ma lei riuscì a trasmetterli, e dopo la tua partenza mandò anche
me dall’altra parte, pensando che mi avrebbero catturata e pro-
cessata per il mio tradimento. A proposito, la storia pazzesca
che ti ha raccontato su ciò che si trovava dall’altra parte, era a
beneficio delle altre Signore.
– Come sei riuscita a fuggire?
– Per me è ancora un mistero. Fui presa, non appena arrivata
dall’altra parte, da qualcuno che non conoscevo. Due uomini.
Mi dissero di restare immobile, e che mi sarebbe stato permesso
di fuggire. Mi fecero attraversare la città, e mi fu consegnato un
aereo con le istruzioni di volo, ma nel posto in cui mi hanno or-
dinato di andare non ho trovato nulla, solo la foresta. Ho deciso
di atterrare in una piccola radura, poi quei selvaggi mi hanno
catturata e hanno cercato di bruciarmi sul rogo. Ecco tutto.
Ketan aggrottò le sopracciglia.
– Chi erano gli uomini che ti hanno liberata e ti hanno dato
l’aereo? Ti hanno detto qualcosa?
– Niente. Apparentemente, sapevano che tu eri qui e voleva-
no che ti raggiungessi. Penso che fosse questo lo scopo degli
anelli… condurci qui. Ma tu sei arrivato lo stesso, e io sono stata
guidata fin qui. Non capisco.
– 208 –
– Quegli uomini probabilmente facevano parte
dell’organizzazione segreta di Matra… e di Igon. Li riconoscere-
sti, se li vedessi di nuovo?
– Penso di sì. Dimmi cosa è accaduto a te, adesso.
– Ho trovato il pinnacolo – disse Ketan.
Il volto di Elta impallidì spaventosamente e la ragazza tremò
visibilmente. – Così l’hai trovato – disse lei. La sua voce era
eccitata. – Cos’hai scoperto?
Ketan la fissò, perplesso. – Perché hai tanta paura di ciò che
si trova nel pinnacolo? Cosa ne sai?
– C’è una leggenda tra gli Statisti… da molti secoli… che dice
che esiste un pinnacolo e che esso contiene il segreto
dell’origine di Kronweld. La leggenda dice che un giorno un
uomo venuto da Kronweld troverà il pinnacolo e guiderà il suo
popolo a reclamare la Terra e a distruggere gli Statisti.
– Cosa c’è di tanto terribile?
– La leggenda è vera?
– Sì.
– E tu sei quell’uomo?
– Sì… forse, non lo so! – Ketan scosse il capo. – Igon vi è
stato prima di me… e ha fallito. Ci sono stati molti altri, ma dove
sono finiti? Io non devo fallire. Io riporterò qui il mio popolo.
– No!
Per un istante si fissarono, con gli occhi pieni di fiera deter-
minazione.
– Questo non dovrà mai accadere – disse finalmente Elta.
– Perché? Siamo stati spogliati dell’eredità del nostro mondo
natale, e gettati in un luogo desolato e innaturale in cui non può
avvenire neppure la nascita. Perché non dovremmo tornare a
esigere il nostro mondo?
Elta non rispose alla domanda. Disse soltanto: – Dimmi cosa
è accaduto laggiù. Cosa c’è dentro al pinnacolo?
Dopo un istante, Ketan cominciò dapprima lentamente, poi
con trasporto sempre maggiore, a raccontarle del passaggio nel-
la roccia in mezzo al deserto, della straordinaria biblioteca, reli-
– 209 –
quiario della scienza di un mondo morto e della missione affida-
ta a coloro che giungevano fino al pinnacolo.
– Il Selettore è stato regolato in modo che a intervalli di mille
anni coloro che avevano la capacità di comprendere i piani di
Richard Simons e dei suoi scienziati potessero tornare indietro.
Igon è stato il primo. Forse io sono l’ultimo. Quanti siano stati…
non lo so. Ma Igon ha fallito. Oppure no? In ogni caso, ora la
missione è mia. La porterò a compimento. Ritornerò a Kron-
weld, portando dei campioni presi nel pinnacolo. Non potranno
rifiutare di credere alla mia storia e ritorneranno qui con me.
– Non sapevo che ci fossero stati degli altri – disse lentamen-
te Elta. – Cosa pensi che possa accadere quando Kronweld ri-
tornerà sulla Terra?
– Be’, noi deporremo gli Statisti, toglieremo loro il controllo
del mondo, e assumeremo il comando, come è stato previsto
dagli scienziati. Gli Illegittimi saranno con noi. Insegneremo
loro la nostra scienza, e loro ci insegneranno…
– Cosa potranno insegnarci, la loro barbarie e la loro igno-
ranza? – sbottò Elta.
– No, ci insegneranno il loro amore per la libertà e la loro
forza di sopportazione.
– Poveri stupidi… poveri stupidi, ciechi – disse Elta.
– Chi, gli Illegittimi?
– No… Richard Simons e i suoi scienziati, e Igon, e te…
– Di che cosa stai parlando? Richard Simons e i suoi hanno
salvato un mondo che sarebbe morto. Lo hanno trasferito dove
non avrebbe potuto essere inquinato dalla decadenza e dalla
degenerazione. Ora è il momento di tornare indietro.
– No. Non c’è forza in Kronweld. Non esiste quel genere di
forza che è necessario sulla Terra. Non capisci, Ketan? Non po-
trà mai riuscire. Voi kronweldiani non dovete tornare, mai. Oh,
ti prego, cerca di comprendere. Sei accecato da quell’antica illu-
sione che non potrà mai essere altro che un sogno.
– Non ti capisco. Pensavo che saresti stata felice, che avresti
creduto come me, che mi avresti aiutato.
– 210 –
– Sarebbe più crudele portare qui il tuo popolo che lasciarlo a
Kronweld e permettere agli Statisti di distruggerlo. Ho vissuto
in entrambi i mondi, e lo so.
«Questo mondo è crudele. Qui gli uomini combattono tra lo-
ro per sopravvivere, e la Terra e l’uomo combattono sempre tra
loro. Stanotte hai visto la brama di sangue come è veramente.
Cosa fareste, voi uomini e donne di Kronweld, in un mondo del
genere?
– Insegneremo un migliore sistema di vita.
– Voi siete gentili. Le vostre vite sono fatte di arte e di musica
e di poesia e di giornate di lavoro nel vostri laboratori. Nel mille
tara della vostra storia non si è verificata una sola guerra, che
qui è invece la cosa più comune. Dici che verrete a togliere que-
sto mondo dalle mani degli Statisti. Non sai che ora possono
controllare le forze dell’atomo, dirigerle contro di voi e distrug-
gervi completamente?
– Anche noi possiamo usare quelle forze, possiamo inventare
e costruire macchine molto più potenti e distruttive delle loro.
– Voi non sapete come combattere. La vista del sangue nau-
sea l’uomo più forte di Kronweld. Danneggiare volutamente il
corpo di un uomo è la cosa più impensabile della vostra vita.
Pensi di poter prendere uomini del genere e farne guerrieri san-
guinari nel giro di una notte? Sono buoni come bambini, e gli
adulti di Kronweld non possono formare un esercito, né ora né
al momento in cui escono dal Tempio della Nascita.
– Possono essere istruiti…
– Pensa a te. Mi hai detto cosa hai provato quando hai colpi-
to per la prima volta William.
– Ma ieri sera ho superato la prova: ero felice di ucciderli e di
far loro del male.
– Eri come impazzito. Vedere quello che mi stavano facendo
ha spazzato via tutto il tuo condizionamento. Ha ancora effetto
su di te, e quando ti sarà passato ti vergognerai come non hai
mai fatto in vita tua. Ma un esercito di kronweldiani non avreb-
be alcun incentivo del genere. Si ritirerebbero, fuggirebbero di-
sordinatamente alla vista del sangue e della distruzione.
– 211 –
– La sola prova che posso offrirti – disse Ketan. – Sarà la
riuscita dei miei piani.
– Supponiamo che tu riesca a vincere. E dopo?
– Faremo di questo mondo il paradiso sognato da Richard
Simons.
– Cosa farete dei milioni di uomini oppressi per secoli dagli
Statisti, e delle migliaia di Illegittimi ribelli? Non rispondermi!
Ti dirò io quello che farete. Darete inizio al più grande periodo
di anarchia e di caos che sia avvenuto dopo la caduta dei governi
mondiali, ai tempi di Richard Simons. – Fece una pausa, e ag-
giunse. – Ti ha chiesto se eravate pronti a governare? Rispon-
derò io per te. Voi di Kronweld non sapete nulla di governo. La
macchina potrà tentare per diecimila anni, e nessuno di voi sarà
mai pronto. Voi non avete mai sentito il bisogno di un governo.
A occuparsi di questo avete destinato la Karildex. Nessuno di
voi ha esperienza nel governare, nel promulgare e amministrare
le leggi.
«Per ricostruire il mondo secondo i sogni degli scienziati, sa-
rebbero necessari migliaia di capi, e altrettanti oculati ammini-
stratori. Altrimenti sareste dei bambini decisi a istruire degli
adulti, vecchi, scaltri e maligni. Un tentativo del genere è desti-
nato a fallire miseramente.
– Ma per lo meno noi faremo il tentativo – disse Ketan. –
Cosa puoi dirmi di Igon, di Matra e della forma di opposizione
che sicuramente esiste?
– Non lo so. Ma so che è troppo tardi per fare piani a lunga
scadenza. Gli Statisti stanno per agire… e presto! Noi dobbiamo
agire per primi. Dobbiamo distruggere il Selettore e chiudere la
Soglia. Tu e io dovremo vivere qui, nel modo migliore possibile.
Elta allungò la mano e strinse quella di Ketan.
– Possiamo essere felici, finché saremo insieme.
– Temo di non poter rinunciare con tanta leggerezza.
Questa non è una faccenda di convinzioni personali. Stiamo
parlando del destino di un mondo. Della riuscita o meno della
ragione di vita di Kronweld. Se noi non riusciamo, sarebbe stato
lo stesso rimanere a morire, o a vivere come gli Illegittimi.
– 212 –
– Il sogno di Richard Simons è stato un terribile errore – dis-
se Elta… – La vostra selezione e l’isolamento hanno prodotto
esattamente l’effetto contrario a quello da lui desiderato. Invece
di rendervi più capaci, vi ha reso inadatti a governare la Terra.
– Allora tu non mi aiuterai?
Lei lo guardò fermamente negli occhi.
– No, anzi, mi opporrò a te con tutte le mie forze.
– 213 –
CAPITOLO VENTUNESIMO
– 214 –
Gli scienziati erano stati giganti, nel loro tempo. Il loro sogno
di perfezione del mondo futuro non era stato un pensiero casua-
le. Avevano progettato tutto attentamente. Questo lo capiva più
che mai. Ora capiva che ogni particolare era stato predisposto
per impregnarlo della tremenda necessità della sua missione,
del fatto che si trattava della missione giusta.
Non aveva prestato attenzione sufficiente al laboratorio delle
riproduzioni degli scienziati terrestri. Ma il significato era di-
ventato sempre più chiaro nel suo inconscio.
“Quegli uomini ti guardano dall’abisso dei secoli. L’eredità di
tutto ciò che essi hanno sognato e sperato ora è tua. Tu non puoi
deluderli.”
Quando ricordò quelle parole, fu come un colpo violento. Se-
dette appoggiandosi a un tronco d’albero e ascoltò le voci eterne
degli dèi dei venti. Erano le stesse voci che avevano parlato nei
giorni in cui le immagini degli uomini si muovevano e parlavano
all’interno del pinnacolo.
Erano stati vivi. Erano voci che intonavano la missione del
pinnacolo, che gli ordinavano di non fallire, perché il lavoro e i
sogni di tutti i grandi scienziati della storia umana non fossero
stati invano.
Dopo la venuta della convinzione, rimase seduto a lungo. In
lui c’era una profonda calma, la calma di un uomo che ha trova-
to la pace dopo avere vagato per l’universo. E con la calma erano
giunte soddisfazione e sicurezza.
Adesso sapeva quale dovesse essere la sua direzione. Sapeva
di avere ragione, perché non era solo. Mille secoli di umanità lo
guardavano, comandavano, credevano, speravano…
Riprese a camminare, dirigendosi verso le alture. Mentre sa-
liva la pista sinuosa, l’aria si fece più pungente e il vento più for-
te.
Aveva bisogno di Elta. Era l’unica incertezza nel suo futuro.
Aveva bisogno di lei.
Se la portava al pinnacolo, e le faceva vedere i secoli di scien-
za della Terra, l’essenza dei loro sogni e delle loro speranze, e gli
– 215 –
uomini che queste speranze e questi sogni avevano formulato,
certo lei avrebbe capito.
Non era una questione di opportunità, né di possibilità. Era
un ordine che imponeva che gli uomini e le donne di Kronweld
fossero riportati nella loro terra natale. Se Elta fosse entrata nel
pinnacolo, certamente l’avrebbe capito.
Ma nello stesso istante, Ketan capì che non c’era tempo.
Gli Statisti erano in possesso della tecnica di costruzione del-
le armi atomiche. Kronweld doveva prepararsi a tornare, prima
dell’attacco Statista.
Si fermò un istante a guardare il cielo al di sopra del mare di
cime verdi che ora si stendeva ai suoi piedi. La terra era nasco-
sta dalla marea verde, e in lontananza splendevano soltanto del-
le alture, rosse e dorate.
Stava per tornare indietro, quando qualcosa attirò la sua at-
tenzione, un rumore e un rapido movimento nel cielo.
Dal basso, verso il villaggio, una freccia argentea salì, balenò
per un istante e scomparve. L’aria portò un lieve ronzio, che si
mescolò al fruscio degli alberi, tanto che non fu certo di averlo
udito realmente.
Distrattamente si domandò cosa fosse, poi ritornò a conside-
rare il da farsi nei riguardi di Elta. Poteva affidarla alla custodia
degli Illegittimi? Sarebbero stati abbastanza dotati di controllo,
o l’odio atavico li avrebbe spinti a vendicarsi su di lei per gli
uomini che lui aveva ucciso?
Bruscamente si rese conto che Elta aveva avuto ragione a
proposito del suo condizionamento mentale: pensando a come
si era comportato la notte prima, si sentì disgustato per la rea-
zione bestiale che aveva avuto, per la sua nuda smania di san-
gue. Riuscì a dominare a stento un senso di smarrimento.
Ritornato al villaggio, notò una notevole confusione: si guar-
dò intorno, ma tutti quelli che incontrava abbassavano la testa e
si allontanavano verso le loro case.
Poi vide William correre verso di lui.
– Ketan! – gridò. – Dove sei stato? Se ne è andata!
– Chi? Di che cosa stai parlando?
– 216 –
– Elta. Se ne è andata con il suo aereo, lo ha raggiunto mal-
grado le ferite alle gambe. Ti ha detto che se ne andava?
Ketan scosse il capo. Un sentimento profondo e disperato si
impadronì di lui.
– Devo raggiungerla – disse. – Devo fermarla prima che rag-
giunga Danfer. Vuole distruggere la Soglia, in modo che Kron-
weld rimanga per sempre isolata.
William impallidì. – Non può fare questo! Vorrebbe dire… il
disastro. Non usciremmo mai da questo… – I suoi occhi si po-
sarono sullo squallido villaggio.
– Ma come possiamo fermarla? Non possiamo arrivare a
Danfer prima di lei.
– Se è vero che gli Statisti la cercano, dovrà nascondersi. Per-
ciò, prima di raggiungere il suo scopo, passeranno diversi gior-
ni.
– A cosa serve? – chiese Ketan. – Per arrivare a Danfer a ca-
vallo ci vuole un mese: non arriveremmo mai in tempo per fer-
marla…
Sul volto di William apparve un’espressione che non era più
di disperazione.
– Non penso di andarci a cavallo – disse. – Ricordi
quell’ammasso di rottami che ti ho mostrato?
Ketan annuì.
– E allora?
– Sono macchine. Il tipo di macchine che gli Statisti impie-
gano per costruire i loro aerei. C’è anche del carburante. Nessu-
no di noi riesce a capirne il funzionamento… ma tu, forse…
Ketan capì cosa intendeva proporre l’Illegittimo: parlava de-
gli aerei distrutti degli Statisti. Forse tra i resti c’erano ancora
parti intatte, con le quali lui avrebbe potuto mettere insieme
una nuova macchina funzionante. Era fantastico, ma non im-
possibile. Inoltre era certo che gli Statisti non fossero in grado
di costruire una macchina della quale lui non avesse potuto
comprendere il funzionamento.
– Andiamo – rispose con un tono deciso.
– 217 –
William lo accompagnò nell’edificio nel quale alcuni Illegit-
timi tentavano inutilmente di comprendere il funzionamento
delle macchine degli Statisti. Per tre generazioni avevano fallito:
per loro era una questione di assoluta incapacità a comprendere
anche il meccanismo più semplice. Tuttavia continuavano nei
loro tentativi, senza stancarsi.
La loro ottusità era incredibile, però Ketan, considerando la
loro ignoranza in materia di tecnologia, fu costretto ad ammira-
re quello che erano riusciti a fare.
Avevano imparato a fondere il ferro e a forgiare semplici ar-
mi e strumenti: martelli, badili e altri utensili per il lavoro ma-
nuale. Ma le macchine erano al di là della loro portata: non era-
no capaci di riprodurre neppure il più semplice meccanismo a
ingranaggi.
Di conseguenza le macchine che venivano portate in quel
luogo, dopo averle sottratte agli Statisti, erano strumenti di
stregoneria.
Arrivato davanti all’ammasso di rottami, Ketan vide telai
contorti, pezzi di lamiera, macchinari, tutti accumulati alla rin-
fusa in una catasta.
Ketan rimase deluso: non c’era nulla, là, che avrebbe potuto
muoversi ancora. Non c’erano pezzi sufficienti perché lui riu-
scisse a comprendere la tecnica usata dagli Statisti per spostarsi
nell’aria.
– Niente di buono – disse a William. – Non c’è nulla che si
possa riutilizzare. I cavalli sono l’unica possibilità per raggiun-
gerla.
– Ma avrà settimane di vantaggio su di noi. Deve esserci il
mezzo…!
Lasciarono l’ammasso di rottami e uscirono nella strada. Il
sole era alto nel cielo e gli abitanti del villaggio cominciavano
timidamente a uscire. Ketan li fissò, pervaso da un’improvvisa
pietà per la loro ignoranza, per la loro inutile vita di terrore.
Improvvisamente gli venne un’idea. Si rivolse a William e gli
parlò, come se le parole gli fossero suggerite da qualche influen-
za esterna.
– 218 –
– Un sistema c’è. Pensaci! Dove si trovano le macchine di cui
abbiamo bisogno? Forse molto migliori di quelle degli Statisti?
William lo fissò sbalordito per un istante, poi comprese.
– Nel pinnacolo!
– 219 –
– Svelto – disse Ketan. – Raggiungiamo l’apertura prima che
faccia buio.
Questa volta scavarono molto più in fretta, perché conosce-
vano il loro obiettivo, e quando l’ultimo sprazzo di luce scom-
parve, l’apertura era già stata raggiunta. La luce della statuetta
dorata apparve nella notte.
– Attento – disse William.
Ketan si preparò, ma l’improvviso sprofondamento della
sabbia sotto di lui lo colse ugualmente di sorpresa. Si ritrovò
nell’anticamera di roccia.
Richard Simons e sua figlia erano in piedi, in attesa, come se
non si fossero mai mossi di là. – Siete tornati? – disse Dorien,
riconoscendoli. Ketan trovò difficile realizzare che si trattava di
una semplice proiezione di luce e suono.
– Vogliamo l’aereo più moderno che possedete – disse Ketan.
– Vogliamo il permesso di usarlo, e dovrete darci istruzioni sul
funzionamento.
– Certo – disse Richard Simons, senza neppure chiedere
spiegazioni. – Venite con noi. Se volete andare da Igon, l’aereo
è il mezzo migliore per raggiungerlo.
William scosse il capo, incredulo. Non capiva come quelle
immagini potessero parlare e conversare. E si chiese per quale
motivo Richard Simons non aveva suggerito loro di prendere un
aereo per andare a Danfer, quando erano stati là per la prima
volta.
Padre e figlia li guidarono attraverso lo strano giardino nel
quale fiori eterni piegavano il capo all’eterna brezza e le nuvole
percorrevano il loro eterno cammino nei cieli disegnando im-
magini sempre nuove.
Percorsero il sentiero che attraversava i boschi e le colline e
conduceva nell’immenso salone di marmo. Attraversarono una
teoria interminabile di scale e di corridoi e di scale mobili che
entravano in funzione al loro apparire.
Quel luogo al di fuori del tempo dava una strana sensazione a
Ketan, che si sentì pervaso dall’atmosfera che si respirava. Si
sentì perfino simile a quegli dèi eterni e intangibili che lo guida-
– 220 –
vano nei recessi del pinnacolo. E la sua determinazione di fare
in modo che i sogni di quei grandi scienziati si potessero avvera-
re, improvvisamente si rinnovò.
I quattro emersero improvvisamente in un’enorme sala che
Ketan non aveva mai visto prima.
Richard Simons disse, rispondendo alla muta domanda degli
altri:
– Non siete rimasti abbastanza per vedere tutto. In questo
salone sono racchiusi i prodotti più avanzati della tecnica dei
secoli precedenti, prima dell’avvento dell’oscurità.
Tese una mano verso un cilindro rilucente e puntuto posato
sull’estremità allargata, con la punta diretta verso il soffitto
oscuro della sala. Lungo i fianchi spuntavano degli alettoni, che
gli davano un aspetto stabile e sicuro.
La sua forma non disse nulla a Ketan.
– E quello mi porterà fino a Danfer? – domandò.
L’immagine di Richard Simons sorrise.
– Potrebbe portarti sulla Luna… se volessi andare lassù. Sa-
rebbe necessario un piccolo lavoro interno, per dare spazio alle
provviste. Così com’è può condurti in qualsiasi punto della Ter-
ra. Se c’è carburante e se è rifornito di provviste sufficienti. Vie-
ni, entriamo.
L’oggetto ispirò un terrore reverenziale a William. Sebbene
avesse vissuto tra gli Statisti, avesse visto le macchine volanti
che loro costruivano, non aveva mai immaginato che un oggetto
così fantastico e meraviglioso potesse esistere. Era una perfetta
creazione di acciaio e alluminio, e aspettava solo una scintilla
per entrare in azione. Toccò la fiancata con la mano, prima di
entrare.
Richard Simons aprì un portello nella base dell’aereo dietro il
quale apparve una scaletta che saliva lungo uno stretto pozzo
che presentava, a brevi intervalli, diverse aperture sui recessi
dell’aereo, ma le due guide continuavano l’ascesa senza fermar-
si.
Finalmente si aprì un altro portello e si trovarono in una ca-
bina dalle pareti trasparenti. Al centro c’erano due sedie gemelle
– 221 –
poste davanti a una consolle piena di quadranti dagli incom-
prensibili comandi. Per raggiungere le sedie dovettero salire un
paio di gradini.
– Questi sono i comandi – spiegò Richard Simons. – Ti farò
vedere come devi usarli. Durante le ultime battaglie della guerra
finale, questo aereo era noto come un mezzo da combattimento.
Necessitava di un equipaggio di venti persone, per le manovre e
per il combattimento, ma una volta modificato, è diventato un
eccellente biposto da trasporto.
Ketan e William presero posto sulle sedie, che erano solidis-
sime, malgrado l’apparenza fragile. Richard Simons rimase in
piedi dietro di loro. Il suo dito toccò un bottone sul quadro di
comando, ma sembrò che non accadesse niente.
– Questo circuito è collegato con le centrali esterne del pin-
nacolo – spiegò. – Con questo comando ho semplicemente eli-
minato il rivestimento protettivo che copre le parti soggette alla
corrosione. Ora che il rivestimento non c’è più, i propellenti
vengono immessi automaticamente in tutti i serbatoi. Tra un
istante sarà pronto.
Aspettarono in silenzio e dopo un istante Richard Simons
premette un altro bottone, e poi un secondo. Con il primo, un
basso ronzio di origine indefinita sembro pervadere l’atmosfera;
con il secondo, una porzione della volta che si trovava su di loro
si aprì e le sabbie del deserto si riversarono all’interno
dell’hangar, sferzando la punta trasparente dell’aereo.
Quindi lo scienziato spiegò a Ketan il funzionamento dei
semplicissimi comandi semiautomatici e quando fu certo che
Ketan avesse capito come pilotare l’aereo, disse: – Bene, ora
puoi partire quando vuoi – disse. – E non fallire!
Si voltò e raggiunse Dorien che era rimasta ad attenderlo al
portello della cabina, poi entrambi uscirono e dopo qualche
istante sentirono che il portello si era richiuso.
Allora Ketan accese il propulsore e l’aereo si innalzò lenta-
mente attraverso l’apertura del pinnacolo, immergendosi nella
notte.
– 222 –
Quando il velivolo attraversò il sudario di vento e di sabbia
che nascondeva la Terra, si ritrovarono con le stelle sopra di
loro. Sarebbe stato semplice continuare a salire all’infinito, pen-
sò Ketan. Se lui lo avesse permesso, l’aereo avrebbe continuato a
salire per sempre. Si domandò per quale motivo non ne fosse
mai stato costruito uno, a Kronweld.
Ma in quel momento non aveva tempo per farsi sopraffare da
simili sensazioni.
William gli disse: – Dobbiamo controllare la rotta…
Soltanto allora Ketan si accorse di non avere la più pallida
idea di quale fosse la loro destinazione. L’aereo attraversava
l’atmosfera a velocità fantastica. Era un volo senza meta, irreale
ed eterno come il tuffo nei mille universi senza tempo che costi-
tuivano il Confine.
– La rotta? – domandò Ketan. – Dove andiamo? Lo sai, tu?
– La complessità dei problemi connessi al volo quasi lo sopraf-
fece. A Kronweld sarebbe stato possibile orientarsi ovunque, ma
su quell’immenso pianeta Terra…
– Non lo so. Fammi vedere la nostra direzione.
Ketan rimase perplesso quando William gli indicò la bussola
e gli spiegò le funzioni dello strumento. A Kronweld non era mai
sorto il problema della navigazione e degli strumenti a essa
connessi. Ma la logica dello strumento apparve chiarissima dalle
poche parole di spiegazione dell’Illegittimo.
– Sai dirmi la posizione di Danfer rispetto al pinnacolo?
– Sì. Quarantasette gradi a una distanza di quattrocento mi-
glia. Controlla la velocità, il tempo e la nostra attuale direzione.
Ketan compì mentalmente le operazioni necessarie di calco-
lo, e regolò i comandi sulla nuova direzione e silenziosamente, il
velivolo affusolato cambiò rotta.
Ketan fissò con aria assente il cielo notturno cosparso di stel-
le, pensando a Elta.
– Chissà dove si trova – mormorò. – E le sue bruciature?
– Potranno farle male, ma credo che sia capace di occuparse-
ne da sola. Gli Statisti hanno fatto dei grandi progressi nella
scienza medica.
– 223 –
Dopo un po’ l’Illegittimo osservò gli strumenti.
– Ci siamo quasi – disse. – Guarda quelle luci laggiù…
all’orizzonte. Quella è Danfer! Quelle luci al centro sono quelle
della grande cupola che protegge la cittadella del Direttore.
All’interno di essa si trova il grande Selettore.
– Atterrare in città sarebbe una pazzia – disse Ketan. – E lo
stesso sarebbe portarti con me. Atterriamo a una certa distanza,
e poi andrò io, da solo. Se non sarò di ritorno, diciamo, entro
venti giorni, vorrà dire che ho fallito. Allora voi dovrete aspetta-
re Igon, ammesso che sia ancora vivo, oppure dovrete tentare di
entrare in contatto con il gruppo che lui ha organizzato.
– No. Io vengo con te.
– Non mi hai detto che chiunque entri nella città deve far re-
gistrare il suo marchio? Con il tuo marchio artificiale che essi
già conoscono, ti catturerebbero immediatamente Io sono al
sicuro. Il mio è naturale. Voglio che tu mi faccia una mappa del-
la città, con i nomi dei luoghi principali e delle cose indispensa-
bili, in modo che io possa superare l’esame.
– Forse… – ammise con riluttanza William. E nei suoi occhi
Ketan lesse un turbine di pensieri. Pensieri che ritornavano a
una caverna immersa nella penombra, vicina al torrente di
montagna dalle rive sabbiose, là dove una fumosa lampada a
olio illuminava il letto sul quale erano morti una donna e un
bambino. E gli Statisti erano direttamente responsabili di quelle
morti. Sapeva che William sarebbe stato del tutto inutile a causa
delle terribili emozioni di quelle notti che gridavano vendetta
contro gli Statisti.
Ketan fece descrivere all’aereo una curva elegante nel cielo,
verso la città. Le luci di Danfer erano fioche scintille sparpaglia-
te che sembravano sospese al centro di un abisso insondabile.
– C’è una regione boscosa sulla sinistra – disse William – è
pianeggiante, ma la vegetazione è fittissima. Se atterriamo lag-
giù potremo trovare un nascondiglio.
Ketan annuì.
– Tentiamo.
– 224 –
Fece volgere l’aereo verso il basso, nella direzione indicata.
Dei fari potentissimi erano incorporati nel ventre dell’aereo, ma
Ketan non osava accenderli fino a quando non avesse raggiunto
una quota molto bassa. Ma fu costretto ugualmente a farlo
quando apparve improvvisamente una cortina di punte verdi
davanti a loro.
– Ci siamo andati troppo vicino – disse piano William. –
Forse è meglio lasciare accesi i fari. Non credo che ci sia molto
pericolo a questa distanza e a quest’ora di notte.
Ketan, ancora tremante per lo scampato pericolo, guidò
l’aereo verso una piccola radura, quindi raddrizzò l’aereo, spen-
se i motori e lo fece atterrare dolcemente.
Subito dopo, i due uomini abbandonarono la cabina, ridisce-
sero il pozzo centrale dell’aereo e finalmente furono fuori, nella
fresca aria notturna. Era troppo freddo per Ketan che fu preso
da un brivido.
– Dovremo aspettare fino a domattina – decise. – Non riu-
scirò a uscire dalla foresta, stanotte.
– Forse potrei venire con te, per un po’ .
– No, devi restare qui a guardia dell’aereo.
Rientrarono nell’aereo e trovarono una cabina con due cuc-
cette. Si sentivano talmente sfiniti che caddero addormentati su
di esse e si destarono solo quando i raggi del sole filtrarono at-
traverso degli stretti portelli trasparenti situati sul soffitto della
cabina.
Consumarono una veloce colazione a base di preparati sinte-
tici, e subito dopo uscirono dall’aereo L’aria si stava lentamente
riscaldando, grazie ai raggi del sole.
– C’è un’antica autostrada abbandonata, a poca distanza –
disse William. – Ti accompagnerò fin là e ti mostrerò la dire-
zione della città.
Ketan assentì e i due si misero in marcia, mentre William
continuava a fornirgli istruzioni.
– Questa strada ti condurrà in città, dopo l’aeroporto. Ci vor-
rà quasi un’intera giornata di marcia. Parla il meno possibile. Ti
fermeranno all’aeroporto ed esamineranno il tuo marchio.
– 225 –
«Di’ che sei venuto dall’Est, questo giustificherà il tuo accen-
to. Non ti faranno altre domande, così non devi temere nulla
dall’interrogatorio. Dimostrati sicuro di te stesso, e nessuno so-
spetterà nulla.
– Quando arriverai al Selettore, dovrai probabilmente aspet-
tare a lungo. Avvicinati all’ingresso principale. Non ti fermeran-
no. Non appena vedrai un bambino apparire sull’altare circon-
dato dagli elettrodi, sali i gradini e balza tra le fiamme. Rag-
giungerai Kronweld.
Si fermarono su una piccola altura e William indicò un punto
dove la foresta era solcata da una striscia bianca interrotta in
diversi punti.
– Ecco l’autostrada. Dicono che centinaia di anni fa esse at-
traversavano tutto il continente, e migliaia di automobili, così le
chiamavano, le percorrevano. Ora nessuna delle autostrade vie-
ne usata.
Ketan si assicurò sulla schiena lo zaino contenente i libri pre-
si nel pinnacolo e il cibo dell’aereo, poi strinse forte la mano di
William.
– Venti giorni – disse. – Torna indietro se entro questo ter-
mine non mi vedrai.
Quando si voltò indietro per registrare nella mente con preci-
sione il punto in cui avrebbe dovuto abbandonare l’autostrada
per immergersi nella foresta, William era già sparito.
Ketan cominciò a camminare rapidamente, cercando incon-
sciamente di trovare un ritmo nell’irregolare concerto prodotto
dal vento tra le fronde degli alberi. C’era una strana magia nelle
foreste della Terra che per un po’ gli fece dimenticare il compito
tremendo e difficile che lo aspettava. Ascoltava soltanto la voce
del vento, camminava e sognava il passato che costituiva la sua
eredità e il futuro che da esso sarebbe nato.
L’autostrada era del tutto dissestata. Blocchi di pietra la
ostruivano, contorti e piegati in impossibili angolazioni. Alberi
piccoli e robusti erano cresciuti attraverso migliaia di crepe sul
piano stradale, e avevano squarciato i resti di una civiltà ormai
finita, un semplice momento in una storia eterna.
– 226 –
La Terra intera sembrava il Luogo della Morte. Non stavano
morendo dei semplici individui, ma una nazione, una razza, una
civiltà. Eppure, prima che la sua agonia avesse potuto termina-
re, una nuova e giovane razza si sarebbe presentata alla ribalta
della Terra per sostituirla, una civiltà che era il germoglio della
vecchia, ma purificata da tutte le antiche follie e crudeltà.
E per volontà del destino era lui ad avere tra le mani il futuro
di un mondo. Non poteva riflettere a lungo su questo. Ritrasse
la sua mente dall’immensità dei suoi propositi, e ritornò sempli-
cemente Ketan, Ricercatore di Kronweld, chino su uno dei più
interessanti e drammatici problemi che mai si fossero presentati
a un Ricercatore.
Distinse i confini della città quando il sole fu sul suo capo. La
foresta lambiva la città. Aveva immaginato di trovare una città
luminosa e splendida, con le grandi strade levigate e con edifici
imponenti e funzionali, come a Kronweld.
Ma attraverso gli alberi riuscì a distinguere delle rovine, dei
grandi ammassi di calcinacci corrosi dal tempo tra i quali cre-
sceva una fitta vegetazione maligna. Gli Statisti si limitavano a
difendersi dalla forza della natura.
Al di là del grande spiazzo dell’aeroporto, che Ketan vide da-
vanti a sé, scorse la misteriosa città semidistrutta. La possente e
lontana cittadella era visibile perfino dalla sua posizione, ed era
la sola costruzione che rivelava l’esistenza di una civiltà progre-
dita e in fase di sviluppo.
Era chiaro che lui avrebbe dovuto far finta di giungere dalla
direzione dell’aeroporto. Dall’altra parte, un gruppo di edifici
indicava dove venivano esaminati i marchi e dove veniva con-
sentito l’accesso in città.
Si diresse nella foresta, lasciando i resti contorti
dell’autostrada, e continuò la marcia verso il lato opposto
dell’aeroporto. Esitò un istante prima di uscire allo scoperto.
In quell’istante udì un ronzio nel cielo, familiare sebbene lo
avesse udito una volta sola, in precedenza, e involontariamente
sollevò lo sguardo.
– 227 –
Un puntino argenteo stava ingrandendo con rapidità incredi-
bile. Lo vide scendere con una curva elegante, fin sull’aeroporto,
e atterrare sofficemente. Un attimo dopo che si era fermato, una
fila di passeggeri cominciò a uscire dall’aereo. Allora non perse
tempo, uscì dal nascondiglio e corse a mescolarsi ai nuovi venuti
che stavano entrando nell’edificio di controllo.
Il suo abbigliamento gli dava qualche apprensione, ma si
tranquillizzò subito dopo avere visto la piccola folla di persone
che lo circondava, che indossavano abiti delle più differenti fog-
ge.
Questo gli fece concludere che malgrado i loro aerei, i mezzi
di comunicazione e trasporto, gli Statisti erano isolati, tanto da
non permettere che mode e costumi si integrassero.
Si guardò intorno e constatò che gli edifici avevano la stessa
architettura di Kronweld.
Avanzò tra gli altri verso l’edificio di controllo cercando di
farsi notare il meno possibile e salì i gradini che portavano in
una sala nella quale si udivano continuamente saluti e auguri e
grida di benvenuto. Poi vide che i nuovi arrivati venivano indi-
rizzati verso un lungo bancone, davanti al quale scoprivano le
braccia e si sottoponevano all’ispezione. Osservò la procedura.
Un uomo in uniforme giunse dalla parte opposta della sala e
gli disse: – Passi al reparto identificazione, per favore.
Era un semplice invito, ma fece capire a Ketan che gli Statisti
avrebbero eliminato senza pietà chiunque si fosse rivelato uno
di quelli che erano sfuggiti all’esame del Selettore.
Ketan si mosse verso il bancone, mettendosi in coda alla fila
di passeggeri. Guardò i volti che lo circondavano. Nessuno so-
migliava a un Illegittimo. Non vide espressioni di sfida, non
percepì spirito di rivolta. Solo la docile accettazione di una rou-
tine che rappresentava il frutto di mille anni di tirannia.
Quando l’uomo che si trovava davanti a lui si scopri il brac-
cio, Ketan vide un tubo flessibile con un’appendice a ventosa
che veniva applicata per un istante sulla cicatrice purpurea.
L’annoiato operatore dell’apparecchio annuì, e l’uomo proseguì.
– 228 –
Ketan si scoprì il braccio e l’operatore applicò la ventosa sen-
za neppure degnarlo di uno sguardo. La tenne applicata per un
istante, poi annuì senza alcuna espressione sul volto scialbo.
Ketan fece per andarsene e aveva raggiunto il termine del
bancone quando fu raggiunto dalla voce dell’operatore.
– Un momento, prego.
Si voltò. L’uomo stava aggrottando le sopracciglia, come se
gli stesse capitando di pensare dopo molti mesi di completa ot-
tusità mentale.
– Un momento, prego – ripeté. E non era una domanda.
– 229 –
CAPITOLO VENTIDUESIMO
– 230 –
Ketan approfittò del momento per compiere a sua volta una
rapida valutazione.
L’uomo alla sua sinistra era basso e tozzo, e aveva le spalle
curve. Gli occhi piccoli e calcolatori gli conferivano l’espressione
di un animale da preda. L’altro ostentava una calma glaciale, e
gli angoli della sua bocca erano piegati in un’ombra di sorriso
ironico. Ma il suo sguardo non era meno intenso e calcolatore.
Fu lui che parlò per primo.
– Sei uno degli uomini di Igon? – domandò.
Un senso d’allarme lampeggiò nella mente di Ketan.
– Non capisco cosa vuoi dire – rispose.
Il grassone aggrottò le sopracciglia e l’altro sorrise.
– Forse no – disse quest’ultimo. – Forse non hai ancora sa-
puto di lui. Malgrado ciò, dovresti sapere che il tuo numero di
registrazione indica che tu sei stato rifiutato dal Selettore. Ep-
pure sei qui, vivo, sulla Terra. Potresti spiegarlo agli Statisti, se
te lo chiedessero?
– Voi non siete Statisti? – gli occhi di Ketan si spalancarono
in quella che nelle sue speranze avrebbe dovuto sembrare
un’espressione di sorpresa. Nello stesso tempo fu pervaso da un
senso di malessere e di colpa. Che stupidi erano stati lui e Wil-
liam a non pensare che il suo numero sarebbe stato registrato
come quello di un individuo rifiutato dal Selettore! Se quei due
erano Statisti, la sua posizione era disperata. Se erano seguaci di
Igon… come avrebbe fatto a scoprirlo?
– Dove ti hanno detto che avresti trovato il quartier generale
di Igon? – domandò l’individuo alto e sorridente. – Lascia che
ti dimostriamo la nostra identità conducendoti laggiù.
Ketan scosse il capo.
– Non so nulla di quello che state dicendo.
– Forse puoi dirci dove hai lasciato Elta. Lei potrebbe identi-
ficarci. La conosci, no? E sai dell’aiuto che ha dato a Kronweld?
– Non ho mai sentito un nome del genere.
Il grassone sbuffò con impazienza.
– Sono tutte sciocchezze, Javins, questi discorsi idioti
sull’organizzazione di Igon. Igon è stato sistemato a dovere pri-
– 231 –
ma che avesse la possibilità dì fare qualsiasi cosa, e questo è ac-
caduto più di sessant’anni fa. Hanno detto tutti la stessa cosa.
Portiamolo dal Direttore e lasciamo che lo sistemi lui.
– Benissimo. – L’uomo chiamato Javins sospirò, rassegnato.
– Penso che tu abbia ragione, Bocknor. Ma vale sempre la pena
di tentare. Dai rapporti che mi sono stati mandati da Anetel,
continuo a credere che mia figlia sia entrata in contatto con lo-
ro, e lui potrebbe darci informazioni per sapere dove si trova.
– Pfui! Lui non sa nulla. È come tutti gli altri. Abbiamo cose
molto più importanti da fare. Gli ultimi tre proiettori sono già in
fase di collaudo.
Ketan rimase immobile, congelato. Osservò Javins: Elta era
la figlia di quello Statista con il volto aguzzo e gli occhi crudeli…!
Ma dalle loro parole capì che non sapevano dove si trovasse
Elta. Questo voleva dire che non era ancora arrivata? Oppure
che le era accaduto qualcosa? Per lo meno non era troppo tardi
per attraversare il Confine… se riusciva a fuggire dalle mani de-
gli Statisti.
E poi c’era un’altra possibilità insperata: Il Direttore! William
gli aveva raccontato storie incredibili su quell’uomo che gover-
nava gli Statisti con ferocia insaziabile. Valeva la pena ritardare
un poco per conoscere il Direttore e rendersi pienamente conto
dell’aspetto del nemico.
Mentre Ketan rifletteva, i due si erano alzati e dopo averlo
preso per il braccio stavano uscendo dalla stanza.
Percorsero il salone dirigendosi dalla parte opposta, dove en-
trarono in una porta che dava sul retro dell’edificio. Per un
istante, passando sotto l’alto tetto del portico, fu preso da un
fremito di nostalgia, tanto l’ambiente era simile a quello di Kro-
nweld. Per un istante trovò difficile ricordare che Kronweld era
lontana infinitamente nel tempo e nello spazio, e che lui non ne
conosceva neppure remotamente la posizione.
– Avanti. – Bocknor lo spinse verso un piccolo oggetto che si
trovava in fondo alla scalinata. Un’automobile, seppure molto
più primitiva di quelle di Kronweld. Al posto dell’energia atomi-
ca, sembrava funzionare per mezzo di un combustibile chimico
– 232 –
interno. Emise fumo e rumore, quando Bocknor si mise al vo-
lante e partì.
Seduto tra i due, Ketan aveva scarsa libertà di movimento,
ma tentò comunque di dare un’occhiata alla città.
La grande e favolosa metropoli degli Statisti era un luogo di
rovina e di decadenza. Era difficile comprendere che tipo di
economia e di governo dovevano esistere in quella città. L’intero
quadro di nozioni apprese sul passato governo della Terra e
quello dell’attuale sistema di vita degli Illegittimi erano una
massa confusa di informazioni non assimilabili per la sua mente
kronweldiana, ma le condizioni che regnavano tra gli Statisti
erano ancor più confuse e sconcertanti.
Gli Statisti erano pochi, questo era certo. Ma governavano i
molti milioni di terrestri in un modo che la Terra non aveva mai
conosciuto prima. E avvalendosi della scienza rubata a Kron-
weld, essi formavano una malvagia gerarchia intellettuale.
Il risultato era la città di Danfer, dove gli artigiani, i tecnici,
gli architetti, i progettisti erano troppo pochi per edificare una
nuova grande città e perfino per conservare quella antica: perciò
erano riusciti soltanto a rallentare la decadenza e a costruire la
cittadella che ospitava la maggior parte degli Statisti, perché,
sebbene possedessero il segreto della scienza di Kronweld, riu-
scivano a utilizzare le nuove tecniche solo con lenti procedimen-
ti manuali.
Questo poteva spiegare l’esistenza dell’unico grande aereo
che aveva visto nell’aeroporto.
Nelle città circolavano pochissime auto simili a quella in cui
si trovava, e ai bordi delle strade si vedevano cumuli di macerie,
e perfino gli alberi che le fiancheggiavano erano disposti in ma-
niera sciatta e disordinata.
L’auto finalmente entrò nella parte centrale della città e allo-
ra Ketan vide la costruzione che torreggiava, sproporzionata, sul
resto degli edifici fatiscenti: era la cittadella, quartier generale
degli Statisti, nella quale si trovava il grande Selettore.
Una fila continua di genitori attendeva pazientemente di pas-
sare attraverso una grande apertura situata sulla facciata
– 233 –
dell’edificio. Quasi tutti portavano un bambino da sottoporre
all’esame della macchina. Ketan sul momento non capì come
una fila così continua potesse essere costituita soltanto dagli
abitanti di Danfer, ma subito dopo capì che erano persone giun-
te con ogni mezzo da centinaia di lontanissimi villaggi o città,
oltre a quelli che vivevano nelle foreste e nelle pianure. Ricordò
che William gli aveva detto che alcuni viaggiavano per settima-
ne.
I due Statisti non avevano pronunciato una parola dal mo-
mento in cui avevano lasciato l’aeroporto. La macchina si fermò
e Bocknor lo sollecitò a uscire.
– Svelto – brontolò il grassone. – Il Direttore ti sta aspettan-
do. Non è abituato ad attendere.
Quando vide la grande parete della cittadella, Ketan pensò
immediatamente al grande Confine. Ma, al contrario del Confi-
ne, quella parete era grigia e non nera. Era tanto grande da na-
scondere ogni cosa che si trovasse dietro, perfino il cielo.
Entrarono nella semioscurità di una grande sala dalle pareti
di marmo, dove l’aria era fredda e della musica giungeva da una
sorgente nascosta: ancora Kronweld, pensò Ketan.
Attraversarono la sala ed entrarono in un mezzo pneumatico
che sfrecciò dentro un largo tubo dalle infinite diramazioni ver-
ticali e orizzontali. Quando si fermò e uscirono, si trovarono a
percorrere un corridoio che arrivava in una grande sala piena di
strumenti dall’aspetto incomprensibile.
Sul soffitto correvano centinaia di cavi, tra i quali di tanto in
tanto spuntavano delle apparecchiature dall’aspetto misterioso.
L’intera parete era coperta di monitor, pannelli di controllo,
pulsantiere e strumenti di metallo e cristallo che pulsavano e
risplendevano di mille luci.
In mezzo, la sala era occupata da un tubo oblungo trasparen-
te, della grandezza di un corpo umano, all’interno del quale si
intravedeva un infinito groviglio di fili, alcuni collegati ai pan-
nelli sistemati sul tubo stesso, altri che uscivano e andavano a
inserirsi nei pannelli della parete.
– 234 –
Ma la sorpresa lo colse quando distolse lo sguardo dai tubi
multicolori e vide che all’interno del tubo c’era la figura immo-
bile di un uomo.
Ketan involontariamente fece un passo avanti, ma Bocknor lo
trattenne sgarbatamente per la spalla.
– Aspetta che parli – disse.
– Sono pronto. Fatelo venire avanti. Sono il Direttore.
La voce che riempì la sala aveva un tono deciso e autoritario,
come quella di un uomo che non avesse mai conosciuto la pau-
ra.
Ketan avanzò, e quando riuscì a osservare meglio quello che
stava nel tubo, il suo corpo fu percorso da un brivido.
Forse una volta era stato un uomo, fu la prima cosa che gli
venne in mente. Il suo volto sembrava fatto di cuoio raggrinzito;
la bocca era incavata nel viso e chiusa strettamente; il cranio,
senza capelli, era giallo, come se il cuoio capelluto fosse stato
esposto a delle radiazioni.
Ketan non avrebbe saputo dire se quelli che vedeva erano o
meno degli occhi. Dove avrebbero dovuto trovarsi gli occhi
c’erano due coppe nere coperte dalla pelle.
– Non si tratta di una visione entusiasmante, vero? – disse la
voce.
Ketan pensò che quelle labbra che si erano mosse non aveva-
no pronunciato parola da molti tara. Tuttavia la voce… pulsava
di vita.
Ketan avanzò lentamente, fino a urtare improvvisamente in
una parete invisibile.
– Basta così. Protezione, naturalmente – disse la voce. –
Penso che ora possiamo vederci bene.
– Chi sei? – ansimò finalmente Ketan. – Come puoi…
– Come posso vivere? Notevole, vero? – sembrava parlare
agli altri due Statisti. – Strano come tutti questi giovani Ricer-
catori di Kronweld pongano la stessa domanda. Si sarebbe por-
tati a credere che essi si dovrebbero preoccupare del loro desti-
no e della loro esistenza, piuttosto che dei miei.
Poi, direttamente rivolto a Ketan:
– 235 –
– Sono sempre lieto di tanta sollecitudine, comunque, perché
è per merito del vostro lavoro che io vivo. Per mezzo dei principi
che voi avete scoperto. Ho potuto sostituire quasi tutte le fun-
zioni meccaniche del corpo con apparecchi dal funzionamento
perfetto.
«Sono rimasto cieco diversi anni fa, per un incidente dovuto
alla mia fretta giovanile di indagare sulle nozioni che voi ci avete
fornito. Ero giovane, allora, e adesso non sarei più così stupido.
Persi anche l’uso delle mani e mi vennero amputate le gambe.
Ma sono riuscito a sopravvivere come Direttore per molti anni,
grazie agli apparecchi artificiali.
Ketan notò che dai cavi che entravano nel tubo si diramava
una rete capillare di sottilissimi filamenti che sembravano af-
fondare nella pelle incartapecorita dell’uomo. Sembravano ca-
pelli sottilissimi, peli che spuntavano dalla pelle.
– Stai guardando attentamente? – chiese il Direttore. – Sì,
questi filamenti raggiungono direttamente i centri nervosi rima-
sti. Gli impulsi motori vengono ampliati milioni di volte per
mezzo dei cavi ottici che tu vedi dietro di me. Questi, a loro vol-
ta, fanno funzionare le macchine che si trovano in tutto il mon-
do. Anche la mia voce non è che una riproduzione meccanica,
controllata dagli impulsi nervosi. Le mie corde vocali si sono
atrofizzate da molti anni. Il cibo mi viene somministrato per
mezzo dei tubi più grossi che raggiungono il cilindro. Vengo nu-
trito benissimo.
Ketan non aveva notato i tubi color rosso-sangue che usciva-
no da un contenitore trasparente ed erano collegati ad altri ap-
parecchi laterali. Sentì che il senso di disgusto lo riprendeva,
quando si rese conto della quantità di alterazioni cui era stato
sottoposto quell’organismo umano. Ma nello stesso momento la
quantità e la qualità delle alterazioni lo impressionava. Se quelle
erano le possibilità latenti delle loro Ricerche, pensò Ketan, nes-
suno di coloro che venivano portati al Luogo della Morte sareb-
be mai morto.
– Bene, Bocknor, che ne facciamo di questo? – La voce del
Direttore sembrò divertita.
– 236 –
– Lo uccidiamo, naturalmente. È pericoloso.
– Afferma di non conoscere né Igon, né Elta, né altri membri
dell’organizzazione?
– No… naturalmente sta mentendo.
– Chissà. Vorrei che esistesse qualche sistema per far confes-
sare. Abbiamo provato molte volte e non abbiamo mai trovato
qualcuno disposto ad ammettere qualcosa su Igon. Deve esserci
qualche blocco mentale generato dal pinnacolo. Come sarei feli-
ce di sistemare quel vostro grand’uomo prima di morire… am-
messo che lui sia ancora vivo.
– Igon è morto – affermò Ketan.
La voce ridacchiò.
– Temo che la tua convinzione sia troppo debole. Igon e la
sua organizzazione… per lo meno quanto ne è rimasto… esisto-
no ancora, probabilmente in uno degli altri mondi paralleli. Ne
siamo certi, ma non dobbiamo preoccuparcene troppo. Vedi,
anche noi abbiamo un piano. Vuoi parlarne, Bocknor? Soddisfa
la curiosità di un Ricercatore prima che venga giustiziato.
– No… lasciamo perdere. Stiamo perdendo tempo – disse
con impazienza Bocknor.
– Parlagliene! – ordinò il Direttore.
Ci fu un attimo di silenzio durante il quale Ketan si trattenne
a stento dall’emettere un’esclamazione. Eccola qua… la debolez-
za che aveva sperato di trovare. C’era della lotta, nelle alte sfere
degli Statisti.
– Abbiamo dei proiettori atomici già completi i cui raggi at-
traverseranno il Confine e trasformeranno Kronweld in un de-
serto incandescente – disse Bocknor.
– Tipo simpatico, vero? – disse il Direttore. – E adesso im-
magini cosa faremo di te? Ti rimanderemo a Kronweld e stare-
mo a vedere i tuoi sforzi per convincere i tuoi concittadini a
preparare un contrattacco. Oh, sì, noi… cioè io… io vedo benis-
simo quello che succede a Kronweld. Con i miei occhi di metal-
lo, di vetro e di elettroni, posso vedere ovunque. I miei occhi
sono molto migliori di quelli di un tempo.
– 237 –
«Così, mi godrò lo spettacolo dei tuoi tentativi di convincerli
sull’esistenza della Terra. Dovrai fare attenzione, però, perché
probabilmente saranno piuttosto scossi a causa del tuo disprez-
zo per il Tempio della Nascita. Ti suggerisco di lavorare serven-
doti dei Non Registrati. È un’ottima organizzazione, la tua. Ma
stai tranquillo, e cerca di procurarmi abbastanza divertimento
fino a quando Bocknor non avrà messo in funzione i suoi proiet-
tori.
– Non pensi che io possa riuscire? – domandò Ketan.
– No. Non ho studiato Kronweld per tanti anni inutilmente.
Il successo per te è assolutamente impossibile, eppure tu conti-
nuerai a lottare fino al giorno in cui Bocknor azionerà il suo rag-
gio. Questa sarà la cosa più divertente.
– Allora, perché hai tanta paura di Kronweld? Perché non ci
lasci in vita?
– Il pinnacolo, stupido, e il gruppo di Igon. Alla fine vince-
ranno, lo avrebbero già fatto se non avessimo provveduto al
momento giusto, ma tu non avrai il tempo per concludere qual-
cosa di positivo. Se tu fossi un altro Igon, non correrei il rischio,
ma tu non rappresenti un pericolo per noi.
«Sei giunto vicino a delle scoperte molto importanti, comun-
que, devo dartene atto. Hai capito che il Tempio della Nascita è
il punto debole della vostra civiltà a causa delle mille supersti-
zioni da esso create. La misteriosa apparizione della vita rende-
va tabù tutte le ricerche sui processi vitali e portava all’esistenza
di un intero gruppo di cosiddetti Misteri, come dite voi. Di con-
seguenza la vostra scienza non comprende la biologia, la batte-
riologia e la fisiologia. Siete tutta chimica, fisica ed elettronica.
È un ambiente piuttosto strano in cui vivere, ma immagino che
pochissimi se ne siano accorti.
– Come fate voi a conoscere queste scienze, allora?
– Un tempo esse fiorirono sulla Terra e noi siamo riusciti a
coltivarle per conto nostro. Si tratta di scienze che si basano so-
prattutto sull’osservazione, non richiedono troppo spirito crea-
tivo, una qualità che senza dubbio ci manca.
– 238 –
– Allora avevo ragione! Se quelle superstizioni fossero abbat-
tute, Kronweld sarebbe stata infinitamente superiore a qualsiasi
forza che voi possiate scatenare.
– Esatto. E siccome la vostra civiltà si sta lentamente muo-
vendo in questa direzione, abbiamo deciso di distruggerla prima
che diventi troppo forte e decida di distruggere noi. Capisci?
Ketan non capiva. La sua mente rifiutava di comprendere i
pensieri del Direttore. I concetti di guerra e conquista erano così
lontani dalla mentalità kronweldiana che Ketan non poté nep-
pure intuire i desideri che motivavano azioni del genere.
Avrebbe dovuto agire alla cieca, come se il Direttore e gli Sta-
tisti non fossero che una grande macchina insensata, costruita
allo scopo di distruggere Kronweld.
Ma non c’era molto da capire nella mentalità del Direttore.
Probabilmente i lunghi anni trascorsi con un corpo meccanico
avevano cancellalo i più radicati sentimenti umani, rendendolo
feroce e spietato e deciso a conservare il potere a ogni costo.
Ecco qual era il vero motivo della determinazione di distrug-
gere Kronweld. i Ricercatori di Kronweld erano dei rivali, nella
sua lotta per il potere. Anche se ancora non erano riusciti a sco-
prire il passaggio tra i due mondi e trovare il pinnacolo, la loro
semplice esistenza costituiva una sfida per il Direttore che non
poteva tollerare minacce al suo dominio.
Ketan rabbrividì al pensiero di una simile brama di potere.
– Cosa ne è stato degli altri kronweldiani che nel tempo avete
catturato?
– Quasi tutti li abbiamo uccisi subito – disse il Direttore. – I
lo assistito personalmente, qualche volta. Sono molto in gamba.
Uno di loro sta vivendo in un mondo in cui lo spazio è tangibile.
Sta conducendo un’esistenza davvero strana.
Fece una pausa, poi riprese: – Ma comincio a essere stanco.
Quanto rimane di questo corpo si stanca facilmente. Bocknor e
Javins ora si prenderanno cura di te. Fa’ buon viaggio. Addio.
Come a un segnale, i due Statisti afferrarono per le bracciai
Ketan e lo trascinarono fuori dalla sala.
– 239 –
Mentre percorrevano un lungo corridoio immerso nella pe-
nombra, dove i passi erano attutiti e quasi impercettibili. Ketan
guardò i suoi sorveglianti.
– Penso che dovrete essere stanchi di venire governati da
quella… macchina.
Bocknor confermò i sospetti di Ketan.
– Non sarà per molto. – disse. – Ma non sono fatti tuoi.
Ketan sentì che le mani dei due Statisti che lo tenevano per le
braccia si erano staccate. Allora si volto e vide che il braccio di
Bocknor stava sollevandosi verso di lui con un pugnale affilato.
Fu un attimo: si gettò a terra, scattò e afferrò le gambe del gras-
sone all’altezza del ginocchio. Diede uno strattone, gettandosi
da un lato, poi con un calcio fece cadere il pugnale dalla mano di
Bocknor. Ma nello stesso istante fu bloccato dall’altro Statista.
– Stupido… imbecille! – gridò questi al compagno, furioso. –
Perché l’hai fatto adesso?
– È troppo pericoloso rimandarlo a Kronweld. Non hai senti-
to cosa ha detto?
– Farai come dice il Direttore… finché sarà lui a comandare.
– Lui non lo saprà mai. Gli diremo che il prigioniero si è ri-
bellato e che siamo stati costretti a ucciderlo.
– Non imparerai mai? Non hai pensato che ci sta guardando
e ascoltando, anche in questo istante?
Sopraffatto da un’improvvisa paura, Bocknor si guardò ner-
vosamente intorno.
– Non puoi vederlo – gli ricordò Javins. – Ma lui può vedere
te. Andiamo.
Si incamminarono nuovamente. Un misto di esultanza e di-
sperazione afferrò il cuore di Ketan. Esultanza per la insperata
facilità del ritorno a Kronweld. Disperazione per la conoscenza
delle terribili forze contro le quali stava combattendo.
Il Direttore aveva profetizzato il fallimento di ogni suo tenta-
tivo di persuasione dei kronweldiani. Questo concordava con le
parole di Elta. Ketan aveva pensato che tutto sarebbe stato sem-
plice, quando avesse potuto presentare la sua storia dell’eredità
di Kronweld e dell’esistenza della Terra. Ora cominciava a dubi-
– 240 –
tare di se stesso. Gli Statisti gli avevano sottratto i libri e le pro-
ve che aveva con sé. Ora non gli restava che la sua parola e la
sua incredibile storia.
Sarebbe riuscito a convincerli? Tuttavia, se volevano salvarsi,
avrebbero dovuto credere. Ci sarebbe riuscito.
Il corridoio terminò bruscamente. Quando si avvicinarono a
quel punto, i due Statisti si fermarono, come timorosi delle forze
che stavano per affrontare, apparvero incerti e nervosi, poi, con
un rapido gesto, Bocknor aprì la porta, spinse dentro il prigio-
niero e la richiuse subito alle sue spalle.
Ketan osservò la scena che gli si presentava: una folla di volti
lo fissava. Era la stessa breve visione che aveva avuto nella nic-
chia del Tempio della Nascita. Lo stavano guardando, suppli-
chevoli, con ansia disperata sui loro volti. Non parlavano, ma
centinaia e centinaia d’occhi lo guardavano.
Si trovava un po’ più in alto di loro, in cima a una rampa di
gradini molto ampi che terminavano sulla piattaforma. Sotto di
lui, nelle profondità dell’edificio, poteva udire il ronzio
dell’energia che alimentava la macchina. Comprese che si trat-
tava del Selettore, e lui era al suo interno.
La cupola trasparente dell’edificio lasciava passare un po’ di
luce che faceva intravedere i volti ansiosi della gente che si
aspettava qualcosa da lui, ma c’era anche della compassione nei
loro occhi.
Improvvisamente sentì un rumore seguito da una grande
confusione in fondo al salone. Nello stesso istante apparve di
spalle una persona a poca distanza dal Selettore.
Poi la figura si voltò e Ketan la riconobbe: Elta.
Era là. I suoi occhi ansiosi passarono dalla piattaforma al
fondo della sala e nuovamente si posarono su Ketan.
Indossava un lungo mantello che la nascondeva quasi com-
pletamente. Teneva una mano tra sue le pieghe come se impu-
gnasse un’arma che non voleva mostrare.
Improvvisamente un’esplosione tuonò nel salone e una voce
gridò: – Il giudizio del Direttore… annullamento!
– 241 –
In quel momento gli elettrodi che lo circondavano comincia-
rono a splendere e la scena divenne nebulosa, come, se si fosse
improvvisamente levata una cortina di vapori. Ketan cadde sulle
ginocchia.
La nebbia cominciò a splendere creando macchie di colore
che vorticarono sempre più velocemente, fino a confondersi tra
loro e a creare un gorgo di luce che lo avviluppò completamente.
Avvertì una tensione insopportabile, come se lo spazio stesso
fosse sul punto di squarciarsi.
E poi vagamente, attraverso il vortice di nebbia e di colore,
rivide la figura di Elta.
Gli inseguitori, che avevano provocato il disturbo in fondo al
salone, l’avevano quasi raggiunta. Lei estrasse la mano dal man-
tello, mostrando un’arma della Landa Oscura dalla quale uscì
un raggio di luce, e sotto di lui nacque una gemma di fuoco che
cominciò a propagarsi, mentre le macchine e gli strumenti del
Selettore cominciarono a vibrare: la piattaforma sulla quale si
trovava Ketan ondeggiò spaventosamente e lui ebbe appena il
tempo di urlare forte il nome di Elta.
– 242 –
CAPITOLO VENTITREESIMO
C’era una dolce musica nella notte e l’aria era piena di pro-
fumo. Nel cielo nero ombre e luci purpuree balzavano e fluttua-
vano e tremanti e lontani punti di luce apparivano in certi istan-
ti.
Ketan giaceva sulla schiena, con gli occhi fissi su quel cielo
familiare, ma straniero. Sotto di lui c’era un tappeto d’erba sof-
fice, e con la coda dell’occhio vide la bianca curva lucente di
un’immensa superficie emisferica che si stendeva fino al punto
in cui una cortina di oscurità la interrompeva.
L’aria era calda e stimolante, e un odore pungente e familiare
gravava ovunque. I venti stavano soffiando dalla Landa dei Mil-
le Fuochi.
Si sollevò a sedere, ricordando improvvisamente l’ultimo
istante in cui aveva visto Elta affondare una lama di fuoco nei
recessi della macchina eterna, dell’onnipotente Selettore.
Ricordò l’istante di terrore sconfinato in cui la piattaforma si
era inclinata e lui aveva cominciato a scivolare verso il lago di
metallo fuso provocato dall’arma della Landa Oscura maneggia-
ta da Elta.
Ma il Selettore aveva agito un istante prima della sua distru-
zione: aveva aperto la Soglia e lui l’aveva attraversata, superan-
do le epoche e gli abissi assurdi del tempo e dello spazio, supe-
rando l’abisso di nulla che separava i due mondi.
E ora la Soglia era chiusa.
Per sempre.
Elta era riuscita ad attuare il suo folle piano di chiudere per
sempre tra loro i due mondi, e lui non era riuscito ad attuare il
piano supremo degli scienziati di unire i due mondi.
– 243 –
Cercò di non pensare più a Elta. Sapeva qual era stato il suo
destino: i sicari del Direttore erano già su di lei, quando la ra-
gazza aveva azionato il raggio che aveva scatenato sul Selettore
un torrente di fiamme. L’avrebbero portata dal Direttore, e quel
simulacro avvizzito di essere umano avrebbe pronunciato con-
tro di lei una sentenza ben peggiore della morte: per lui non sa-
rebbe stato sufficiente isolarla a Kronweld, in attesa di distrug-
gere la città e con lei anche la ragazza; per dimostrare il suo po-
tere, l’avrebbe uccisa con le sue stesse mani.
L’ondeggiante cortina di fiamma, per un istante si sprigionò
nel cielo, e Ketan poté vedere la bianca città di Kronweld con le
sue colonne e le torri di marmo rilucente. Era come una scena
terrestre alla luce di una Luna rossa e purpurea.
Si chiese se Anetel sapeva. Guardò verso il grande Tempio
della Nascita, dal quale veniva la musica. Chissà per quale moti-
vo non era emerso nella Camera della Nascita. Probabilmente la
cosa era dovuta alla distorsione della Soglia, scaturita
dall’azione di Elta.
Probabilmente le Signore del Tempio non avevano alcun so-
spetto di quanto si stava verificando. Avrebbero continuato ad
attendere all’interno della spoglia Camera della Nascita, ma i
bambini della Terra non vi sarebbero più giunti.
Erano già allarmate dalla continua diminuzione del numero
di bambini arrivati negli ultimi tara. E la loro preoccupazione si
sarebbe tramutata in terrore quando i giorni fossero diventati
tara e nessuna nuova creatura fosse apparsa! Ketan si domandò
quale fosse l’ultimo uomo, l’ultimo che avrebbe dovuto vivere e
morire in quel mondo già condannato alla distruzione dagli Sta-
tisti.
Ma mentre giaceva sull’erba, assalito da quelle immagini
morbose, capì improvvisamente che erano tutte sbagliate, che
Kronweld non poteva morire così facilmente. Se avesse avuto il
tempo, forse avrebbero potuto trovare un sistema per vincere la
sterilità che li condannava. Forse, andando nella Landa Oscura,
sarebbe accaduto quello che accadeva ai bors…
– 244 –
Ma aveva anche un’altra idea: perché non avrebbero potuto
costruire una macchina capace di aprire la Soglia dalla loro par-
te? Se gli scienziati dei tempi di Richard Simons erano stati ca-
paci di crearne una, i Ricercatori di Kronweld avrebbero potuto
fare lo stesso.
Si alzò in piedi. La meta finale era sempre quella, ma gli osta-
coli che gli sbarravano la strada erano aumentati.
Camminò verso la strada che passava davanti al Tempio.
Nell’avvicinarsi, si rese conto del nuovo ostacolo che gli si pre-
sentava. Si trovava all’interno della purpurea linea letale che
circondava completamente il Tempio e lo escludeva dal resto
della città. Rimase di fronte a essa, immobile, e dopo qualche
istante udì un’improvvisa esclamazione. Sollevò lo sguardo e
vide un paio di Ricercatori, dall’altra parte, che lo fissavano a
bocca spalancata.
– Come hai fatto a entrare?
Prima che Ketan potesse rispondere, il secondo esclamò:
– Io ti conosco! Tu sei Ketan, il profanatore del Tempio. Mi
hanno detto che eri morto.
– Non lo sono, come vedi.
L’unicità della situazione gli diede un’ispirazione. Avrebbe
potuto essere un ottimo sistema di sfruttare le superstizioni del-
la gente di Kronweld, se solo riusciva a essere convincente.
– Sono stato al di là del Confine nel Regno del Dio. E ora so-
no ritornato per dirvi cosa si trova laggiù e da dove noi siamo
venuti.
I due arretrarono spaventati, di fronte a quella bestemmia.
– Gli Inservienti si occuperanno di lui – mormorò raucamen-
te uno di loro.
– Sì, ditelo agli Inservienti – disse Ketan. – Ditelo a tutta
Kronweld. Dite al popolo che mi avete visto e portate qui tutta la
gente di Kronweld. Devono vedere come io sia sfuggito, illeso
allo sdegno del Dio che ho profanato. Andate a dire a tutti che
ho un messaggio per loro.
Si voltarono e si misero a correre. Probabilmente avrebbero
cercato il più vicino Inserviente, ma questo non aveva la minima
– 245 –
importanza, pensò Ketan. La sua storia doveva diffondersi, e
ormai il risultato era certo.
Il Consiglio e il Primo Gruppo avrebbero tentato un’altra vol-
ta di impedire il suo messaggio, ma la popolazione era composta
di Ricercatori, uomini e donne che potevano comprendere la
verità delle sue parole, una volta che i loro occhi si fossero aperti
sulla falsità delle loro inibizioni. Erano loro che dovevano ascol-
tarlo.
Vide i primi avanzare verso il Tempio. Erano guidati dai due
Ricercatori eccitati e gesticolanti che lo avevano scoperto.
Si avvicinarono sempre più, preceduti da una mezza dozzina
di Inservienti. Ai primi se ne aggiungevano altri che sbucavano
qui e là dalle strade che convergevano nel viale principale.
Adesso era una piccola folla che avanzava verso il Tempio len-
tamente, con se fosse in preda a una strana forma di reverenza
nei confronti di “colui che era ritornato dal regno dei morti”.
Ketan rimase ad attendere quella gente, e dall’altra parte del-
la barriera che divideva la folla da lui cominciarono a giungere
domande che rimasero senza risposta perché erano troppe ed
espresse con troppa forza. La notizia si stava spargendo rapi-
damente.
– Ricercatori di Kronweld! – gridò Ketan improvvisamente.
Tutti tacquero di colpo, gelati.
– Mi vedete qui – disse Ketan. – E vi domandate come possa
essere ancora vivo dopo avere varcato la linea proibita, dopo
essere entrato nel Tempio e avere scoperto i suoi segreti.
«Sì, sono stato là dentro. Ho visto cosa accade là dentro? Vo-
lete sapere da dove veniamo?
Fece una pausa, avvertendo la spontanea ondata di meravi-
glia che giungeva dalla folla. Si aspettava che qualcuno parlasse,
ma tutti erano troppo sbigottiti per farlo e lo guardavano para-
lizzati dallo stupore di sentire pronunciare così impunemente
quelle parole blasfeme.
Si guardò intorno, comprendendo lo stato d’animo di quella
gente. Ma ormai doveva continuare.
– 246 –
– Ve lo dirò, che lo vogliate o no! – esclamò. – Vi dirò che
tutti voi siete venuti da un mondo al di là del Confine, che è no-
stro per diritto ereditario. Sono stato su quel mondo, e quel
mondo desidera il nostro ritorno.
«Molto tempo fa, un gruppo di grandi Ricercatori preparò
per noi i mezzi di fuga dalla distruzione che raggiunse il nostro
mondo natale e ci mandò a Kronweld per proteggerci. Ora, è
giunto il momento di ritornare a ricostruire quel mondo che
rappresenta la nostra eredità, e la sola ragione della nostra esi-
stenza.
«Tutti voi dovete andare dove io sono stato e vedere con i vo-
stri occhi. Ma la Soglia ora è chiusa. Nessuna vita nuova appari-
rà nel Tempio della Nascita, finché non l’avremo riaperta. Prima
di andare dall’altra parte, dobbiamo riaprire qui la Soglia.
Tacque. Li guardò. Vide mille volti e ciò che vide su di essi gli
provocò un’ondata di smarrimento che non aveva mai conosciu-
to prima. In quell’istante ricordò le parole del Direttore: Non ho
studiato Kronweld per tutti questi anni per niente. Il tuo suc-
cesso è assolutamente impossibile, eppure continuerai a com-
battere fino al giorno in cui Bocknor farà funzionare il suo
raggio. E questa sarà la cosa più divertente.
Si domandò se il Direttore lo stesse osservando anche in quel
momento, se i suoi misteriosi poteri potessero attraversare il
Confine e gli mostrassero quanto fossero giuste le sue parole.
Immobile come la dorata statua di Dorien, alle sue spalle,
Ketan guardò la folla e capì di avere fallito. Mille tara prima
avevano creato il mito del Tempio della Nascita e ora quella mo-
struosa creazione li teneva incatenati.
Solo l’abbagliante e nuda realtà della distruzione del Tempio
li avrebbe convinti. Quello, e la visione della Terra. Nessuna pa-
rola, nessun uomo, avrebbero potuto farcela altrimenti.
Il mormorio della folla, che si stava riprendendo dallo choc
provocato dalle sue parole, sorse improvviso.
Qualcuno lanciò una pietra. Una vampata di calore, un tuono
soffocato e un bagliore accecante segnarono l’istante in cui il
sasso raggiunse la linea protettiva.
– 247 –
– Blasfemo!
Il grido si alzò dalle ultime file della folla e si propagò
all’interno come un’ondata dalla forza sempre crescente. Ketan
si ricordò dell’altra folla, quella radunata nel villaggio degli Ille-
gittimi. Questa voleva il suo sangue con la medesima intensità
dell’altra.
Devo far loro vedere in qualche modo la verità pensò. Le pa-
role non bastavano. Doveva raggiungere i Non Registrati, sco-
prire cos’era stato di loro, e continuare con loro il suo lavoro.
Perfino il Direttore gli aveva ironicamente consigliato di lare
così. Quel vecchio fantasma raggrinzito aveva una mente che
conosceva di Kronweld molto più di quanto potesse conoscerne
lui.
Non si rese pienamente conto dell’evento che seguì
all’improvviso… e neppure la folla. Poi qualcuno gridò: – La
linea! Non c’è più!
Allora tutti avanzarono verso di lui. Lui corse lungo il dolce
pendio, cercando disperatamente di distanziare la folla impazzi-
ta. Ma non poteva andare da nessuna parte. Allora si voltò a
fronteggiarli e attese che giungessero.
Era solo, quella notte, in una stanza della sua casa. Secondo
la consuetudine, era stata dichiarata libera non appena era stata
resa nota la sua morte, ma nessuno voleva vivere nella casa di
Ketan, il blasfemo, e così tutto era rimasto nello stato in cui lui
l’aveva lasciato. In ogni altra stanza della casa si trovavano tre
Inservienti. Una doppia fila di Inservienti presidiava l’esterno
dell’abitazione.
Rimase seduto ore e ore, senza muoversi. La sua mente lavo-
rava a ritroso. Con il passare delle ore, l’enormità del suo errore
diventava sempre più evidente. Come aveva potuto sottovaluta-
re fino a quel punto l’ignoranza della storia in cui per secoli era
stata tenuta Kronweld? Perfino Branen ne aveva compreso gli
effetti meglio di lui.
– 248 –
Aveva sperato che l’improvvisa rivelazione della verità avreb-
be spezzato tutte le barriere. Forse Igon, nella sua ansia, aveva
commesso il suo medesimo errore?
C’era quindi un punto nel quale il grande sogno di Richard
Simons era naufragato. Ma dove?
Poteva essere il Tempio della Nascita? Gli antichi scienziati
non avevano previsto cosa sarebbe diventato. Loro prevedevano
che a Kronweld la vita avrebbe avuto il suo corso naturale, ecce-
zion fatta per le improvvise apparizioni di coloro che attraversa-
vano il Confine.
Se gli antichi avessero previsto nel modo giusto, la soppres-
sione di ogni conoscenza dei processi vitali non sarebbe mai
avvenuta, e la ricerca avrebbe riconquistato le scienze mediche,
chirurgiche, biologiche, batteriologiche, fisiologiche, e tutto quel
ramo dello scibile umano di cui aveva parlato William Douglas.
Ma se esisteva qualcosa che rendeva sterili tutti gli uomini e
le donne che giungevano a Kronweld, questo significava che il
seme vitale della Terra si era esaurito nel corso dei secoli senza
potersi rinnovare.
Così come gli scienziati che avevano costruito il pinnacolo
avevano fallito perché non conoscevano il mondo nel quale ave-
vano mandato i migliori germogli della razza umana, Ketan ave-
va fallito perché non aveva capito la sua gente.
– 249 –
fosse l’origine. Poi le porte della Sala si aprirono, e poté vedere
l’immenso locale strapieno di gente. La seduta era stata dichia-
rata pubblica. Il Consiglio doveva essere molto sicuro di se stes-
so, pensò disperatamente.
Preso posto nello spazio al centro del tavolo semicircolare,
davanti ai solenni Consiglieri. Da tutte le parti si assiepavano i
duemila Ricercatori che assistevano all’udienza.
Ketan si domandò chi avesse preso il posto di Hoult. Nessuno
poteva essere più crudele e spietato dello Statista.
Poi ebbe seri dubbi su questo giudizio. Al posto di Capo sede-
va Anot. Un’espressione di infinito piacere era dipinta sul suo
volto, mentre lo guardava.
Ketan aveva dimenticato il piccolo geologo ambizioso, la cui
sete di predominio gli ricordava quella del Direttore. Come lo
Statista, Anot godeva nel dominare menti più grandi e più aper-
te della sua. E ora godeva pienamente di quel potere.
La folla fu invitata al silenzio, ma Ketan ne sentì gli sguardi
sulla schiena. Immaginò quasi di sentire l’alito rovente della
loro improvvisa ondata di barbarie.
Quelli del Consiglio lo guardavano con volti gelidi.
Anot si alzò, con lentezza deliberata, e si voltò con mossa
studiata in modo da abbracciare con un solo sguardo l’intero
salone, e finalmente guardò Ketan.
– Solo una volta, o due al massimo, nella storia di Kronweld
– dichiarò Anot, alzando la voce, – questa sala è stata riempita
in un’occasione simile.
«Per essere preciso, dovrei dire che prima d’ora non si è mai
verificata una situazione come quella che dobbiamo affrontare.
Perché oggi siamo riuniti per emettere un giudizio su un indivi-
duo la cui empietà non trova riscontro in tutta la nostra storia.
– Si guardò intorno ancora una volta, prima di tornare a Ketan.
«Questa non è una normale udienza del Consiglio, per deli-
berare una reprimenda. Le trasgressioni compiute da
quest’uomo hanno colpito la nostra società alla radice e ci co-
stringono a rivedere tutta la struttura di Kronweld, prima di
emettere una sentenza.
– 250 –
«Non siamo costretti spesso a considerare i nostri obiettivi
nell’esistenza sia come comunità sia come individui. Automati-
camente passiamo dal Tempio della Nascita al nostro periodo di
istruzione nella Casa della Saggezza e poi intraprendiamo il no-
stro lavoro di Ricerca secondo i nostri desideri e le nostre capa-
cità. Coloro che più sono dotati per la Ricerca raggiungono le
posizioni più alte e sono esentati dai compiti minori, ma indi-
spensabili, di produrre cibo, abitazioni e agevolazioni di cui tutti
usufruiamo.
«Di conseguenza, tutti noi troviamo soddisfazione
nell’esistenza. Coloro tra noi, che si sono trovati nella posizione
di osservare la crescente Saggezza e le scoperte degli ultimi ta-
ra, si sono compiaciuti di notare che la meta della nostra razza è
stata quasi raggiunta. Siamo quasi giunti al termine dell’Era
della Ricerca. Presto, avremo scoperto i segreti di tutti i Misteri
che si trovano davanti a noi, e nascerà una nuova epoca nella
quale sarà permesso di occuparci esclusivamente del godimento
delle cose che abbiamo prodotto. Non sarà più necessaria la Ri-
cerca, perché sapremo tutto. Allora le nostre menti e i nostri
intelletti potranno espandersi e godere della bellezza e del pia-
cere che si possono trovare nelle arti della nostra terra e nella
saggezza che possediamo.
«Allora tutti gli uomini godranno dell’infinita felicità di esi-
stere, dopo essere giunti alla meta per la quale fummo predesti-
nati molti tara or sono, quando il Dio giudicò opportuno man-
darci in questa terra.
– Menzogna! – esclamò Ketan. Si voltò e fronteggiò il pubbli-
co. – Voi… voi Ricercatori credete a una sola parola di tutto
questo? Voi, che come unico piacere della vita avete la Ricerca…
credete di poter trovare la suprema felicità nell’idiozia, quando
questi vecchi cadaveri del Consiglio vi avranno finalmente proi-
bito tutte le Ricerche?
– Silenzio!
Il comando del Capo sibilò nelle orecchie di Ketan, mentre
un trio di Inservienti si avvicinò minacciosamente.
– 251 –
– Tu ascolterai e manterrai il rispetto per il Consiglio, oppure
sarai allontanato e la sentenza sarà emessa in tua assenza –
esclamò il Capo Anot.
«Ma forse, dovrei ringraziarti – continuò – per aver mostrato
a questa assemblea la vera natura delle azioni criminose delle
quali sei accusato.
«Ci sono stati, nel corso dei tara, certi Misteri nei quali ab-
biamo saputo di non dovere mai compiere Ricerche, perché si
trattava di Misteri che appartenevano al regno del Dio, del quale
non dobbiamo oltrepassare i confini.
«Il più importante di essi è il Mistero del Tempio della Nasci-
ta. Ciascuno di noi comincia a esistere in un modo miracoloso
che nessuno riesce a comprendere. Solo quelle Signore, che si
sono santificate e hanno dedicato le loro vite al servizio sacro
all’interno del Tempio, hanno il permesso di sapere qualcosa su
questo Mistero, ed è opinione comune che neppure esse cono-
scano interamente il Mistero dell’inizio della vita. Ma tra noi
esiste qualcuno che non è qualificato a esistere in una comunità
di Ricercatori rispettosi dei valori più sacri. Sono coloro che ve-
dono gli strumenti della Ricerca come strumenti di distruzione
coi quali ogni individuo irresponsabile può andarsene in giro
ciecamente a squarciare i veli, nei quali il Dio ha avvolto i Miste-
ri che non ci appartengono. Sono coloro che non sanno distin-
guere la differenza tra i Misteri che l’uomo può svelare e quelli
che appartengono al regno del Dio.
«Sono coloro che vorrebbero abbattere il Tempio della Nasci-
ta, che osano profanare il corpo umano permettendosi di pene-
trarvi per indagare i Misteri.
Anot si piegò in avanti e scrutò Ketan con occhi penetranti.
– A simili individui – sibilò, – non si può permettere di vive-
re a Kronweld.
L’esilio!
Qualcosa si indurì nel cuore di Ketan, qualcosa sparì
d’incanto. Pensò alle grandi distese malefiche della Landa Oscu-
ra, ai bors ostili… quello sarebbe stato il suo ambiente per tutto
il resto della sua vita.
– 252 –
Ma Anot aveva soltanto fatto una pausa a effetto. E subito
dopo proseguì, con tono mortale.
– Di conseguenza, uomini come questo… – il suo dito si pun-
tò contro Ketan, – non possono avere il diritto di vivere. Chiedo
la morte di quest’uomo!
Sedette. Un silenzio mortale gravava sull’assemblea. Poi la
folla fu pervasa da un fremito. Soltanto una volta in tutta la sto-
ria di Kronweld una pena simile era stata richiesta… per Igon,
che era stato più tardi graziato e mandato in esilio.
Un mormorio confuso e un paio di grida isolate di protesta si
udirono, ma più lentamente e più sicuramente una nota tonante
d’approvazione si alzò, un grido selvaggio e dirompente che gelò
il cuore di Ketan. Perfino i volti di alcuni Consiglieri impallidi-
rono di fronte al torrente di furia che era stato scatenato.
Ketan fissò la marea di volti. Li conosceva, erano stati suoi
amici, e ora volevano ucciderlo perché aveva tentato di mostrar-
gli la verità sul mondo che esisteva oltre il Confine. Non erano
quelli gli uomini e le donne che Richard Simons aveva voluto
mandare a Kronweld attraverso il Selettore. Qualcosa era anda-
to male nei secoli trascorsi e il Selettore aveva scelto soltanto dei
selvaggi intelligenti, ma feroci.
Il Capo Anot si alzò nuovamente, tremante di emozione. – Il
Consiglio deciderà!
Si rivolse ai Consiglieri. – Avete udito la mia richiesta. Ci so-
no obiezioni o chiarimenti che volete avere?
Ketan scrutò quei volti e su di essi vide soltanto la più gelida
ostilità, su tutti meno che sul volto del vecchio Jedal che si alzò
con evidente insicurezza. La sua voce si udì a malapena.
– Credo che quest’uomo non sia colpevole – disse.
– Allora sei colpevole quanto lui! – esclamò Nabah.
Ma Anot ordinò a Jedal di continuare.
– So che non approvate il mio modo di vedere – disse il vec-
chio Consigliere. – E so che le mie parole non avranno alcun
peso, perché voi avete già emesso il vostro verdetto di colpevo-
lezza. Ma vi dico che commettere un crimine non diminuisce
l’indegnità di un altro crimine. Supponendo che quest’uomo
– 253 –
abbia trasgredito nelle sue Ricerche, voi proponete un crimine
molto più grande, togliendogli la vita, perché non è possibile
farlo con alcun mezzo che non comporti una profanazione mol-
to più grande di quella di cui lo accusate. Non potete ucciderlo.
Solo i giudici che sedevano al tavolo avevano udito la sua vo-
ce debole, allora Nabah parlò subito, astutamente.
– Il sistema c’è sempre. Possiamo “permettergli” di morire.
La fame è una comunissima causa di morte che non comporta
nessuna profanazione.
– Questo significa negargli il privilegio più elementare di ot-
tenere il cibo – obiettò Jedal.
– È abbastanza! – esclamò Anot. – Se questa è l’unica obie-
zione, troveremo un sistema. Qual è il vostro giudizio? Siete
d’accordo con la mia richiesta?
Soltanto il vecchio Jedal esitò.
– 254 –
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
La cella della morte era una stanza della sua stessa casa.
Scortato da una folta pattuglia di Inservienti, uno dei quali
era armato di un’arma della Landa Oscura, Ketan fu ricondotto
nella stessa stanza nella quale era rimasto prigioniero il giorno
prima. Senza pronunciare parola, lo lasciarono solo e chiusero
la porta.
Sapeva che non avrebbe mai lasciato vivo quella stanza.
Quando il processo fu terminato, era già notte, e Ketan, ri-
tornato a casa, si sdraiò sopraffatto dalla stanchezza e dalla di-
sperazione dovute agli avvenimenti degli ultimi due giorni.
Il suo cervello stanco escluse ogni pensiero, ma rimase im-
mobile, con gli occhi spalancati sulle tenebre. Il pensiero fu so-
stituito da un panorama di immagini che balenavano per fra-
zioni di secondo nella sua mente. Erano semplici immagini, e
non erano associate a idee o a giudizi mentali.
Come se fosse uno spettatore neutrale, si trovò davanti alla
storia della sua vita, rivista nei particolari più significativi. Vide
nuovamente il giorno nel quale era uscito dal Tempio; il suo
primo giorno nella Casa della Saggezza; il primo incontro con
Elta; la prima volta nella quale aveva udito il nome famoso e
infame a un tempo di Igon; il momento in cui aveva deciso di
seguire i passi del grand’uomo, e l’avverarsi del sogno; il giorno
in cui era penetrato nella distesa fiammeggiante della Landa dei
Mille Fuochi per recarsi nella Landa Oscura.
Rivide le visioni del pinnacolo che lo avevano tanto tormen-
tato durante quei tara.
E poi… ma non si trattava soltanto di un’immagine mentale!:
ai suoi fianchi c’erano i due abitatori del pinnacolo. Sembravano
– 255 –
illuminati da un’eterea luce interiore. Dorien era alla sua destra
e Richard Simons alla sua sinistra.
– Sapevamo che sarebbe stato difficile – disse lo scienziato.
– Ma noi dipendiamo da te. Non abbandonarci.
E poi Dorien… avvertì il tocco della sua mano sul braccio che
gli provocò un brivido.
– C’è sempre una strada per uscire dalle difficoltà. A volte è
una cosa tanto ovvia che la si può guardare senza vederla effet-
tivamente.
Poi sparirono.
Tremava in ogni muscolo e sudava da ogni poro. Si alzò e ac-
cese la luce. Era solo. Per un istante, si chiese se non fosse stato
un sogno, ma sapeva di non essersi addormentato… sapeva che
le visioni del pinnacolo erano sempre state realtà. Ma cosa ave-
va provocato quella visione?
La Soglia era chiusa: le proiezioni potevano superare la bar-
riera? Non lo sapeva. Ma sapeva di avere degli amici che conta-
vano su di lui per completare il loro lavoro. Amici che erano vis-
suti ed erano morti mille tara prima, ma che, comunque, erano
amici.
Gli sembrò di rinascere. Contavano su di lui. Il pensiero ri-
suonava nella sua mente come un possente richiamo. Cos’aveva
detto l’immagine di Dorien? C’è sempre una strada… A volte è
una cosa tanto ovvia che la si può guardare senza vederla ef-
fettivamente.
Nuova vita fluì nella sua mente: cominciò a considerare la
sua posizione, le possibilità di sopravvivenza. Erano piuttosto
poche. Il Consiglio lo aveva messo in quella cella a morire
nell’unico modo che non avrebbe infranto le loro leggi… di fame
e di sete. Era inutile pensare di fuggire attraverso il doppio cor-
done esterno di Inservienti.
Come avrebbe potuto evitare d’indebolirsi e alla fine di mori-
re di stenti?
Cibo! Lentamente si rialzò e rise piano, poi spense le luci.
Schiacciò la combinazione segreta del pannello dei rinfreschi e
dopo un istante udì un lieve scatto. Cercò a tentoni il vassoio.
– 256 –
Era carico del cibo più sostanzioso che avesse potuto desiderare.
Gli Inservienti non avevano scoperto i canali privati e segreti
che aveva collegato al servizio di cucina automatica della casa.
Nella sua riserva segreta c’era cibo sufficiente a farlo resistere
per molti giorni.
Esattamente per quattordici giorni si disse dopo avere com-
piuto un rapido calcolo mentale.
L’unico che conosceva il segreto di quel ripostiglio, era
l’Inserviente Varano, e se non era ancora stato scoperto, signifi-
cava che non aveva ancora ripreso i sensi. E mancavano ancora
parecchi giorni prima del suo risveglio…
– 257 –
Si fece avanti per colpire Ketan, ma i suoi compagni lo trat-
tennero.
– Lascia perdere – gli ingiunse uno di loro. – Le tue istru-
zioni sono chiare. Esegui gli ordini.
– Cosa vuoi fare? – domandò Ketan.
Varano rise.
– Io? Per prima cosa, voglio mangiare.
Gli altri due uomini spalancarono gli occhi quando uscì un
vassoio carico di cibo che cominciò a mangiare di gusto.
– Ecco perché era così resistente – disse Varano, tra un boc-
cone e l’altro.
– Avanti, non è il momento – lo incalzò uno degli altri. –
Prendilo e andiamo, in modo da lasciare questo buco il più pre-
sto possibile.
– Sarà un grande piacere. Andiamo, Ricercatore Ketan. Ho
un posto pronto per te.
– Dove mi vuoi portare? Quali ordini hai ricevuto dal Consi-
glio?
– Dato che non ti si può convincere a morire qui, dovrai esse-
re condotto in un posto più indicato. Sarai incatenato nel Luogo
della Morte e vi rimarrai fino a quando morirai.
La ragione abbandonò completamente Ketan, dopo quelle
parole. Si avvento contro l’Inserviente. Senti il piacevole rumore
del suo pugno contro la mascella dell’altro, e udì il grido di dolo-
re di Varano. Ma gli altri si avventarono su di lui e lo immobiliz-
zarono, furiosi.
Gli legarono strettamente le mani dietro la schiena, poi gli
Inservienti arretrarono e lui rimase isolato.
– Avanti! Mi occuperò meglio di te quando saremo soli – ag-
giunse Varano con voce più bassa.
Ketan precedette l’uomo all’esterno. Attraversarono la casa e
ne uscirono, per trovarsi davanti a un’auto in attesa. Camminò
lentamente, come durante un incubo. Gli innumerevoli Inser-
vienti che vide intorno lo sconsigliarono da qualsiasi tentativo
di fuga.
– 258 –
Provò un brivido di paura al ricordo degli orrori che gli ave-
vano raccontato a proposito del Luogo della Morte. Gli era stato
descritto come un immenso salone nel quale i feriti e i malati
giacevano impotenti, rantolando e contorcendosi per il dolore,
lasciati a morire perché nessuno avrebbe potuto fare più nulla
per loro.
I costumi e le leggi religiose di Kronweld non permettevano
che fossero uccisi rapidamente e in modo indolore, e non per-
mettevano neppure che fossero curati. I legami di amore e ami-
cizia che si creavano nelle famiglie della Terra erano molto rela-
tivi a Kronweld, perché non esisteva nessuna parola che espri-
messe il concetto di famiglia. La pietà e il dolore per i moribondi
erano di breve durata.
Varano lo spinse nell’auto e si sedette al volante. Si allonta-
narono in silenzio.
Percorsero velocemente le strade, costeggiate dai nitidi edifi-
ci bianchi di marmo rilucente. Com’erano differenti, pensò
Ketan. dalle rovine e dalla decadenza della Terra. Certamente
doveva esserci qualcosa a Kronweld capace di innalzare i suoi
abitanti alle vette sognate da Richard Simons e dai suoi scien-
ziati.
Raggiunsero la periferia della città dove gli edifici lasciavano
il posto alle coltivazioni. Poi queste si confusero nella zona
esterna e la luce della Landa dei Mille Fuochi balenò nel cielo e
bruciò sui loro volti. Erano diretti a occidente, lungo la strada
che conduceva quasi fino all’intersezione tra l’anello ricurvo del-
la Landa dei Mille Fuochi e la nera cortina del Confine… là dove
forze titaniche e impossibili si mescolavano in un’esplosione di
furia abbagliante, che nessun uomo aveva mai osato avvicinare.
Varano fermò improvvisamente l’auto. Si guardò intorno per
un istante, e poi uscì.
– Ci siamo. Vieni fuori – ordinò. Poi slegò le mani di Ketan.
Ketan si guardò intorno, perplesso.
– Questo non è il Luogo della Morte. Dove mi stai portando?
Varano non era più impaziente e ironico, ma era improvvi-
samente diventato deciso e attento.
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– Da Hameth – disse, ermeticamente.
– Cosa?…
L’Inserviente lo afferrò per il braccio e lo trascinò con sé.
Calpestarono uno strato di cenere vulcanica, e passarono attra-
verso piccoli cumuli di cenere e lapilli portati dai venti selvaggi
della Landa Oscura.
Gli occhi di Varano osservavano attentamente il percorso,
come se cercassero qualcosa di definito.
– Là, dietro a quella duna – annunciò all’improvviso.
Avanzarono nella cenere che si sollevava in nubi soffocanti.
Girarono intorno alla duna indicata da Varano e subito dopo
Ketan esclamò: – Un’auto schermata!
– Entra – disse Varano.
Stordito dallo stupore, Ketan entrò nella lucida e massiccia
automobile. Non ne aveva mai vista una simile. Poteva ospitare
almeno sei uomini e un grande quantitativo di strumenti e
provviste. Gli schermi erano costituiti da massicce lastre di
piombo e alluminio… quattro strati, separati da spazi riempiti di
argo a pressione incredibile.
Esisteva un solo modo d’impiego di un’auto del genere… il
trasporto attraverso la Landa dei Mille Fuochi.
Varano sedette accanto a Ketan e azionò i motori atomici.
Lentamente, il poderoso veicolo avanzò attraverso la polvere
soffice, sostenuto saldamente dalle sue dodici grandi ruote.
La macchina acquistò velocità e attraversò la valle verso le
dune rosseggiami. Si diressero verso sud e si tuffarono diretta-
mente nelle fiamme accecanti della landa ostile e proibita che si
trovava davanti a loro.
La polvere e il vento si accanivano all’esterno con furia ine-
narrabile. Era quasi impossibile vedere a pochi centimetri di
distanza. Varano azionò lo schermo a infrarossi che permetteva
una discreta penetrazione della nube di cenere. Poterono così
vedere la cortina di fiamme che sorgeva intorno a loro, fiamme
che si avventavano contro l’auto, sgorgando direttamente dalla
terra arroventata.
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In lontananza un vulcano stava eruttando, proiettando
fiamme e lava nell’aria in una pioggia di fuoco che si mescolava
ai fuochi naturali del terreno. La macchina fu circondata da un
solido involucro di emanazioni radioattive ed elettriche.
Poi la polvere vulcanica scomparve rapidamente, spazzata via
dal terribile vento che dalla Landa dei Mille Fuochi soffiava ver-
so la Landa Oscura, ed essi avanzarono su una superficie roccio-
sa. Il sentiero che percorrevano a volte costeggiava abissi nei
quali brillavano fuochi d’inferno, a volte si arrampicava lungo
montagne di lava caldissima.
Poi, bruscamente, tutto finì. Si trovarono sul Confine, e il lo-
ro sguardo spaziò su distese interminabili di roccia fusa. Cento
piedi più in basso scintille enormi si sollevavano e ricadevano
nell’inferno. Nubi ionizzate si addensavano intorno a oggetti
metallici per sparire poi nel nulla. L’auto, all’esterno splendeva
come una meteora fiammeggiante. Le loro narici furono pervase
dall’odore dell’ozono.
Da tutte le parti, il caos sembrava estendersi per chilometri.
Varano sembrò afflosciarsi, esausto e sconfitto.
– Puoi guidare tu, adesso? – domandò.
Ketan annuì. – Dimmi dove stiamo andando. Ci vuole una
strada per attraversare questo inferno.
– Dall’altra parte, ecco tutto… non importa dove. Ogni trac-
cia precedente è ormai bruciata.
– Questo non ha senso – si oppose Ketan.
– Lo avrà. Vediamo se riesci a farcela.
L’Inserviente aveva smesso di comportarsi come se le loro re-
lazioni fossero quelle di guardiano e prigioniero. Ketan sapeva
che gli veniva offerta una strana libertà, eppure le azioni
dell’Inserviente erano incomprensibili. Di una cosa comunque
era certo: quella era una fuga.
Si mise al posto di guida e fece girare il volante. Indietreggiò
allontanandosi dal fiume fuso e ribollente e ripercorse la strada
che avevano seguito.
Il giorno era quasi terminato. L’oscurità si stendeva sulla ter-
ra ma non avvenivano dei mutamenti visibili nella Landa dei
– 261 –
Mille Fuochi. Il bagliore che li circondava assunse soltanto una
colorazione giallastra.
L’auto scivolò pericolosamente sulle pendici della montagna
di lava e roccia e ritornò quasi ai margini del deserto di polvere.
Poi Ketan si diresse decisamente a est. Avanzò attraverso valli
ventose, costeggiando montagne fiammeggianti che passavano
fulmineamente, testimoniando sulla velocità dell’auto. Varano
si afferrò alla fiancata interna della macchina, ma lasciò Ketan
libero di guidare come preferiva.
Polvere e frammenti di roccia e terreno lasciarono il posto a
una solida massa nera che pulsava di una luce e di un calore
interni e propri.
– Ketan… non puoi viaggiare su quella roba! – gridò Varano.
– È fusa per metà!
Sentirono le dodici ruote affondare nella sostanza nera. In
termini terrestri, ai quali Ketan si era abituato, stavano viag-
giando a circa trecento chilometri all’ora sulla roccia semifusa.
– Possiamo farcela, se andiamo veloci – gridò Ketan, al di
sopra del rumore dei motori. – È l’unico modo per attraversare
la Landa, se le vecchie piste sono state cancellate.
Varano non replicò. Rimase semplicemente seduto come se
fosse stato ipnotizzato a fissare l’allucinante panorama che pas-
sava accanto a loro a velocità incredibile. Il calore cominciava a
farsi opprimente e insopportabile. – Questa è la parte più dura
– disse tranquillamente Ketan. – Dimmi, vale la pena andare
dove stiamo andando?
Varano guardò davanti al veicolo che acquistava ancora velo-
cità e ansimò. La nera superficie pulsante dell’interminabile
roccia sulla quale stavano avanzando diventò arancione, poi
gradualmente raggiunse un rosso abbagliante che crebbe ancora
fino a stabilizzarsi in un lago fuso di fiamme accecanti che si
aprivano per una estensione superiore a quella di Kronweld, a
perdita d’occhio.
L’auto stava correndo verso il lago fuso con i motori alla mas-
sima potenza. Circa trecento chilometri all’ora, adesso. Prima
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che Varano potesse rispondere alla domanda di Ketan, capì che
aveva una sola risposta possibile. Ormai non potevano fermarsi.
Davanti a loro c’era uno stretto sentiero di roccia dallo splen-
dore rosso-cupo. Una sottile striscia di sostanza semisolida che
attraversava l’oceano di fuoco, formava un lungo arco sopraele-
vato che traversava la massa incandescente. Varano vide che in
un punto era ridotta al minimo, e formava un ponte, un sottilis-
simo guscio sulla lava.
Anche Ketan lo vide, e il sudore sgorgò ancora più copioso
dalla sua fronte. Quella erosione non c’era stata, la volta prece-
dente. Quando era passato, l’ultima volta, quella striscia era so-
lida.
Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. L’auto sareb-
be stata sul fragile ponte prima di potersi fermare. Aggiunse
l’ultima frazione di energia che i motori potevano fornire.
La distesa di roccia nera svanì, davanti a loro, e da tutte le
parti rimase visibile soltanto il lago di fuoco ribollente e pulsan-
te che allungava verso di loro dita adunche fatte di raggi ra-
dioattivi. La sottile striscia solida sulla quale avanzavano non
era più visibile. Lentamente, ma con sicurezza, si accorsero che
le ruote della grande auto affondavano nella massa semifusa.
Dietro di loro c’era già un quarto del ponte naturale. Ketan
era quasi accecato dall’incandescenza che lo circondava e am-
miccò disperatamente per riuscire a distinguere la strada e im-
pedire all’auto di finire nel lago di lava.
La macchina tuonò lungo la lieve ascesa, e non videro più il
culmine del ponte naturale, sotto al quale l’erosione aveva lavo-
rato.
Ci fu uno schianto e il rumore di roccia frantumata. Ebbero
una terribile visione delle grandi spaccature che improvvisa-
mente si aprirono sotto, davanti, dietro di loro, nella sostanza
semifusa. Videro letteralmente cadere sotto di loro la strada.
Eppure osservarono con la impersonalità di due tranquilli Ri-
cercatori in un laboratorio. Non ebbero il tempo di reagire emo-
zionalmente.
– 263 –
Non seppero mai se la morte li avesse sfiorati o meno. La ve-
locità terribile dell’auto la portò nello spazio fino a toccare la
superficie solida in discesa, con un impatto immediato e scon-
volgente.
I motori gemettero e tossirono e le ruote girarono più lenta-
mente. Ma tennero. Versarono l’energia degli atomi nelle ruote
e portarono avanti sicuramente l’auto a velocità crescente.
– 264 –
E per la centesima volta Varano scosse il capo. – Non posso
dirtelo. Ordini. Avrai tutte le informazioni da Hameth al tuo
arrivo. Mi è stato soltanto ordinato di portarti là.
Il pomeriggio raggiunse il momento di massima luce spettra-
le, poi l’oscurità cominciò a ridiscendere. Un’ora dopo l’altra,
Ketan continuò a mantenere l’auto a una velocità di circa tre-
cento chilometri all’ora.
Il rumore monotono dei motori lo cullava, mentre si doman-
dava per quale motivo stessero avanzando nelle deserte distese
della Landa Oscura.
E chi era Varano?
Questa domanda lo tormentava: quello che aveva conosciuto
come un umile Inserviente, adesso aveva perso ogni traccia di
sottomissione e deferenza. Si mostrava deciso e sicuro di sé, e
questo repentino comportamento rendeva perplesso Ketan.
– Hai pensato a quello che ti farà il Consiglio quando scopri-
rà che mi hai lasciato scappare? – domandò Ketan.
– Non m’importa niente, perché non mi vedranno mai più:
non ho motivo di ritornare a Kronweld, adesso che il compito
che mi ha assegnato la Restaurazione è terminato.
– La Restaurazione?
– Ho parlato troppo. Ti prego di dimenticare questa parola
finché non avrai parlato con Hameth.
Con l’avvicinarsi della notte, l’aria si fece più fredda e il de-
serto fu sostituito da colline formate da masse di roccia contorta
che si stagliavano all’orizzonte. Al di là di esse, si vedevano
montagne più alte, con le cime incappucciate di neve. Ketan non
aveva mai visto la neve a Kronweld: anche se se ne parlava, lui
era convinto che non esistesse.
E a un certo punto la neve cominciò a sfarfallare intorno a lo-
ro: milioni di fiocchi danzavano davanti alla luce dei fari
dell’auto.
Quando Ketan lo disse a Varano, questi si sollevò dalla bran-
da e guardò fuori.
– Devi stare attento, adesso – disse. – La strada diventa
stretta tra queste colline. Rallenta.
– 265 –
L’avvertimento era superfluo. L’auto aveva già cominciato a
slittare e a sbandare pericolosamente sulla strada che ormai era
completamente coperta di neve. Rallentò fino a ridurre la velo-
cita a quaranta chilometri all’ora, e proseguì avvolto da una
strana tempesta che ululava selvaggiamente intorno a loro.
Dopo mezzanotte raggiunsero la cima del passo montano e
improvvisamente sotto di loro apparve una piccola valle nella
quale si scorgevano parecchie luci.
– Ci siamo! – gridò Varano, mentre un’ondata di felicità gli
trasfigurava il volto. Ketan notò la cosa e capì che il suo compa-
gno guardava quel posto come uno che finalmente è tornato a
casa: una valle nascosta tra le montagne della Landa Oscura al
centro della quale sorgeva una città.
Varano lo sostituì al volante e fece procedere il massiccio vei-
colo in quel paesaggio spettrale, nel turbine di fiocchi di neve,
scendendo per uno stretto sentiero che si snodava davanti a lo-
ro. Poi si trovarono improvvisamente a un posto di blocco, e due
uomini armati di una versione gigante delle armi della Landa
Oscura si pararono davanti a loro.
Varano fermò il veicolo, schiacciò un bottone che fece abbas-
sare uno dei finestrini, e parlò ai due.
– Sono l’Istigatore Varano – disse – e con me porto il proba-
bile A-A Ketan.
– Dirigiti al Centro Operativo. Lì Hameth riceverà Ketan. Av-
vertiamo subito il Centro.
Ketan non chiese altro a Varano mentre si avvicinavano alla
città e al misterioso Hameth: sapeva che sarebbe stato inutile,
tuttavia si rese conto che fra poco avrebbe avuto molte risposte
ai suoi interrogativi.
Passarono tra le sagome oscure di alcuni edifici alla periferia
della città. Ketan non riusciva a distinguerne i particolari, ma fu
preso da nostalgia per la Terra, per Elta e per gli Illegittimi.
Poco dopo la strada si allargò in una piazza dove troneggia-
vano dei grandi edifici. Al centro di essi sorgeva quello più im-
ponente, sul quale vide una sottile torre di metallo che si tende-
va verso il cielo.
– 266 –
Varano seguì su una corsia che portava all’entrata
dell’edificio e dopo aver percorso un breve tunnel, sbucarono in
una sala dove sostava una dozzina di altre auto di ogni genere.
– Ci siamo – disse Varano. E per la prima volta da quando
erano partiti, le sue labbra si curvarono in un sorriso amichevo-
le. – Adesso ti mostrerò il tuo appartamento.
Parcheggiò il veicolo e a piedi salirono ai piani superiori, fino
a un lungo corridoio coperto da un tappeto spesso e soffice, nel
quale si aprivano diverse porte.
Si fermarono davanti a una di esse. Varano aprì la porta ed
entrarono.
– Questo è il tuo alloggio. Hameth verrà da te quando sarà
pronto, e finalmente saprai tutto… o, per lo meno, quello che
Hameth vuole che tu sappia, per ora.
Poi si voltò e chiuse la porta alle sue spalle, bruscamente.
– Aspetta! – gridò Ketan. – Quando…?
Girò la maniglia, ma la porta non si aprì.
– 267 –
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
– 268 –
dopo saresti arrivato, mentre tutti mi dicevano che era inutile,
perché dicevano che tu non eri l’uomo tanto atteso.
Ketan cercò di assimilare gli strani concetti, ma non riuscì a
comprenderne il senso.
– Chi sei tu? – domandò.
– Io sono Hameth, Capo sotto Igon.
– Igon? Allora puoi dirmi dove si trova. Lo devo trovare!
– Non posso dirtelo senza il suo ordine. Ma posso dirti che tu
lo conosci già, perché l’hai visto. Lo riconoscerai quando lo ve-
drai. Lui ti ha seguito per molti tara.
– Non capisco… – disse Ketan, mentre tra sé passava in ras-
segna le persone che aveva conosciuto.
Quale di loro poteva essere Igon? Branen… Matra, travestita,
ma Matra era morta… William? possibile che il capo degli Ille-
gittimi fosse il grande Igon? Oppure quel Richard Simons del
pinnacolo? Forse lo scienziato non era affatto un’immagine di
luce e di suono. Oppure Igon si nascondeva tra le centinaia di
figure che popolavano il laboratorio del pinnacolo? Quello sa-
rebbe stato un ottimo nascondiglio!
Ketan si concentrò su quell’uomo: Hameth. Chi era costui?
Hameth disse: – Siediti. Risponderò a molte delle domande
che sono nella tua mente. Ho moltissime cose da dirti. Ma pri-
ma di tutto devo avere una tua risposta: credi ancora che sia
possibile convincere il popolo di Kronweld a ritornare sulla Ter-
ra, come ha sempre voluto fare?
Ketan abbassò il capo.
– No! – rispose. – Avevo torto. Il loro condizionamento do-
vuto alle superstizioni collegate al Tempio della Nascita è trop-
po forte. Potrebbero essere convinti solo dallo shock provocato
dalla distruzione della città, oppure se potessero venire e vedere
la Terra, come è accaduto a me.
– Bene – disse Hameth. – Se non avessi risposto così, non
avrei potuto dirti altro. Ora andiamo avanti.
«C’è un altro fatto: tu, proprio tu, non sarai mai capace di
annullare completamente il condizionamento che hai ricevuto a
Kronweld. Lo capisci questo?
– 269 –
Ketan annuì nuovamente, e sollevò lo sguardo per incontrare
quello di Hameth.
– So anche questo. Dopo gli esperimenti con i bors pensavo
di potere sopportare la vista del sangue, ma nella foresta di
Kyab, quando mi sono trovato tra gli Illegittimi…
– Lo so – lo interruppe Hameth. – Potrai gradualmente ac-
quisire una nuova mentalità, ma ricorda che l’uomo di Kron-
weld esisterà sempre nel tuo intimo; e l’uomo di Kronweld è un
individuo falso e irreale.
– Allora cosa si deve fare? – sbottò Ketan. – Richard Simons
ha torto, e la speranza di salvare Kronweld deve essere abban-
donata del tutto?
– No! Ma per cambiare le cose dobbiamo metterli di fronte
alla distruzione del Tempio e poi convincerli della realtà della
Terra.
– Come?
– È quello che ti devo dire, ma perché tu capisca, devo ritor-
nare ai tempi di Igon. Lui fu il primo a essere scelto da Richard
Simons: lo inserì nel Selettore e lo fece tornare sulla Terra.
«Penso che tu abbia capito il suo funzionamento. Quando
nasceva un bambino dalle caratteristiche predeterminate, la
macchina immetteva nel suo cervello l’impulso di ritornare sulla
Terra. Non erano molti quei bambini, ma qualcuno avrebbe do-
vuto riuscire per forza. In passato esistevano altre Soglie, oltre a
quella del Tempio. Igon trovò quella della Landa Oscura. Ma poi
sono state tutte chiuse ed è rimasto solo il Selettore centrale.
«Comunque Igon, come te, riuscì ad arrivare al pinnacolo. Là
trovò le stesse cose e udì la stessa storia. Come te, tornò indie-
tro, attaccò violentemente il Tempio della Nascita e cercò di rac-
contare la sua storia. Questo non lo sapevi, vero? È la vera ra-
gione della sua condanna all’esilio, ma Kronweld col tempo l’ha
dimenticata.
«Non appena bandito da Kronweld, Igon pensò a come ese-
guire la sua missione in maniera logica. Aveva imparato la le-
zione che tu hai imparato così faticosamente a tue spese. Così
per prima cosa decise di organizzare coloro che arrivavano al
– 270 –
pinnacolo. Dopo di lui e prima di te ce ne furono circa un centi-
naio. Tutti, salvo quelli che nel frattempo sono già morti, adesso
si trovano qui.
«Poi scelse alcuni Illegittimi tra i più intelligenti. Prese alcuni
semplici abitanti della Terra. Prese con sé anche una dozzina di
Statisti. Tra la gente di Kronweld, trovò pochissimi simili ai tuoi
Non Registrati. Tra l’altro, se ti sei posto il problema, devo dirti
che Branen e tre quarti degli altri stanno lavorando qui con noi.
«Igon fondò la sua organizzazione “Restaurazione”… per la
restaurazione della Terra. In essa tu occupi un posto molto più
importante di quanto possa ora dirti. Apprenderai in seguito i
particolari.
– Ma come potremo tornare indietro, se la Soglia è chiusa?
Dobbiamo trovare il sistema di riaprirla – osservò Ketan.
– Non so cosa abbia in mente Igon. Mi è stato assicurato che
si riaprirà quando saremo pronti. Abbiamo ricevuto l’ordine di
continuare come se nulla fosse accaduto.
– Non capisco…
– Neppure io. Ma riceviamo gli ordini da Igon.
Ketan fissò Hameth, per un lungo momento di silenzio, ed
ebbe l’assoluta certezza di essere ingannato, in qualche modo,
da quell’uomo. E nello stesso momento capì perché gli era così
familiare l’aspetto di quell’uomo.
– Adesso ti riconosco – disse tranquillamente Ketan. – Tu
sei Varano.
Dopo un istante, le labbra di Hameth si curvarono in un lieve
sorriso.
– Lo sapevo che alla fine ci saresti arrivato. Speravo, comun-
que, che non fosse stato così presto. Il mio travestimento era
sufficiente per ingannare un qualsiasi Inserviente di Kronweld,
ma a te sono stato troppo vicino, e per questo scopo il mio tra-
vestimento era imperfetto.
– Ma cosa significa tutto questo?
– Igon mi ha ordinato di occuparmi personalmente di te. Do-
vevo aiutarti a raggiungere il pinnacolo in modo diverso dalla
prima volta, ma ti mi hai scombinato le cose, quando mi hai
– 271 –
spedito nel mondo dei sogni, per fortuna tu hai raggiunto lo
scopo da solo, e tutto è andato ugualmente bene.
– Mi spiace… non potevo sapere.
– Non è successo niente di male. Dimenticatene.
– Non capisco come tu abbia potuto assumere un’identità uf-
ficiale a Kronweld, soprattutto un’identità che non è mai esisti-
ta.
– Il vero Inserviente Varano era uno Statista che è morto –
disse semplicemente Hameth. – La ragione del grande interes-
se che Igon ha per te, ha origine dal fatto che ha potuto osserva-
re la tua scheda, compilata dal Selettore quando eri un bambi-
no, e ha visto che possiedi delle qualità che ora sono ancora la-
tenti nel tuo cervello, ma che una volta sviluppate potranno ser-
virgli per raggiungere i suoi scopi, che non sono diversi da quelli
che tu stesso hai sognato…
– Cosa sta facendo la Restaurazione in questa valle?
– Si prepara all’attacco degli Statisti.
– Non c’è modo di evitarlo? – chiese Ketan, che cominciava a
sentirsi preoccupato. – Con la scienza che possiedono i Restau-
ratori, non si potrebbe evitare un conflitto?
– Forse potrebbe essere evitato. Non lo so. Ma la cosa non ci
interessa. Non vogliamo evitarlo. Deve avere luogo.
– Volete che avvenga? – chiese incredulo Ketan, fissando
sbalordito Hameth.
– Pensa un istante – disse Hameth. – Tu hai visto il Diretto-
re degli Statisti, e Bocknor e Javins. Pensi che potrebbero paci-
ficamente sottomettersi al ritorno dei kronweldiani? Quei tre,
da soli, bastano a dimostrarti che gli Statisti devono essere di-
strutti e che il loro potere deve essere annientato.
– No! Non lo credo, però…
– Questa è la sola risposta. Loro attaccheranno Kronweld e
cominceranno a distruggere la città. Quale pensi che possa esse-
re l’effetto della loro azione sui Ricercatori di Kronweld?
«Ma noi aspetteremo il loro attacco e li distruggeremo, per-
ché non si attenderanno alcuna resistenza, così sarà facile sor-
prenderli e vincerli.
– 272 –
Per un istante Ketan immaginò Bocknor uscito dalla Soglia
con un raggio che avrebbe spazzato la città.
– Gli Statisti distruggeranno Kronweld? – esclamò Ketan.
– Forse molti kronweldiani moriranno – disse solennemente
Hameth. – È il prezzo che dovranno pagare per la loro ignoran-
za e per la loro superstizione. Però noi abbiamo radunato qui
tutti quelli che saranno di valore insostituibile per la restaura-
zione della Terra, e nessuno di loro morirà.
– Non sarebbe necessario neppure per gli altri!
– Ecco che l’uomo di Kronweld affiora di nuovo – disse Ha-
meth.
– Non hai risposto alla mia domanda. Cosa succederà ai Ri-
cercatori?
– Chi sopravviverà, dimenticherà col tempo le superstizioni
del Tempio della Nascita e l’inviolabilità dei Misteri Sacri, e co-
mincerà una nuova era. Comunque, prima che i danni arrecati a
Kronweld dagli Statisti siano eccessivi, i nostri generatori entre-
ranno in azione e spazzeranno dalla città gli Statisti. Poi invade-
remo la Terra e distruggeremo la loro cittadella. Quando la si-
tuazione sarà sotto controllo, potremo iniziare un esodo regola-
to sulla Terra e un sistema educativo per insegnare ai kronwel-
diani quello che tu e Igon e gli altri avete imparato sulla storia
della Terra.
«Ma prima, come ti ho detto, è necessario distruggere con la
forza gli Statisti, e convincere i kronweldiani a uscire dal loro
torpore. Lo capisci, questo?
– 273 –
Fuori stava ancora nevicando. Ketan fu attraversato da un
brivido, quando l’aria gelida lo investì, ma Hameth che sembra-
va non accorgersi della rigida temperatura, immaginando quello
che pensava sorrise.
– Rimangono tutti stupiti, quando per la prima volta vengo-
no a contatto con la neve. Ma affrettati: ci sono molte cose da
vedere e il tempo è poco.
La città era grande quasi come Kronweld.
Ketan domandò: – Quanti siete, qui?
– Più o meno come a Kronweld.
– Ma…
– Qui la nascita è un fatto normale. Abbiamo già raggiunto la
terza generazione di Restauratori che sono nati qui, e per tutta
la vita hanno appreso l’importanza e il significato del nostro
grande lavoro.
– E tu sai per quale motivo non si nasce a Kronweld?
– È qualcosa che Richard Simons non avrebbe mai potuto
prevedere. La sterilità è causata dalle radiazioni del primo sole e
dalla radioattività della Landa dei Mille Fuochi. Qui siamo pro-
tetti per la distanza e per lo strato protettivo che si trova sempre
nel cielo.
«Quelli che durante il giorno indossano il mantello di piom-
bo, vengono colpiti solo temporaneamente dalle radiazioni, e
tutti quelli arrivati da Kronweld, dopo un periodo di ambienta-
zione, hanno potuto riprodursi in modo naturale. Ma ecco il
generatore.
Entrarono in un enorme edificio, all’interno del quale c’erano
file e file di silenziosi apparati mobili che lo riempivano quasi
completamente. Erano grossi apparecchi grigi che riflettevano
le luci del soffitto.
Molti uomini lavoravano silenziosamente intorno a quelle
macchine.
– Cosa sono? – esclamò Ketan, incuriosito.
– Sono le unità mobili del generatore, che lanceremo contro
gli Statisti non appena si presenteranno. Vieni.
– 274 –
Si diressero verso un mostro d’acciaio sostenuto da venti ruo-
te e penetrarono nella macchina da un’apertura che si trovava
nella parte anteriore del ventre, tra le ruote che erano grandi
una volta e mezzo un uomo.
All’interno una luce spettrale illuminava un campionario di
meccanismi assolutamente sconosciuti a Ketan. Gli apparati che
si trovavano al livello più basso erano sufficientemente ortodos-
si per essere riconosciuti come generatori di energia. Ketan sti-
mò mentalmente l’energia che quella mostruosa macchina pote-
va produrre, e il risultato lo fece rabbrividire.
Il secondo e il terzo livello contenevano degli strumenti del
tutto sconosciuti: nel secondo, grossi tubi d’acciaio erano alli-
neati ordinatamente contro le pareti; nel terzo, al centro di esso,
si ergeva una specie di struttura a torretta le cui apparecchiature
erano protette solo da una rete metallica che scendeva fino alla
base.
All’interno della torretta, in una cupola trasparente, c’era un
operatore attorniato da intricate strumentazioni.
– L’irradiazione è il modo più economico ed efficiente per
trasformare l’energia in uno strumento di distruzione. Questi
generatori possono proiettare un raggio fino a Kronweld – disse
Hameth. – Ma intendiamo usarli a distanza ravvicinata. Più
tardi, ne porteremo fuori uno, e ti farò vedere come funziona.
Senza bisogno della dimostrazione, Ketan fu in grado di im-
maginare la terribile potenza di quei generatori trasformata in
un raggio distruttivo, e si chiese cosa potesse resisterle.
– Andiamo a vedere il generatore principale – disse Hameth.
Uscirono nuovamente nella tormenta e si diressero verso un
grande edificio. Quando Ketan lo vide, attraverso il turbine di
neve, rimase ancor più sorpreso.
Videro la macchina: era un duplicato in scala molto maggiore
di quello che avevano appena visto nell’altro edificio.
– Qui c’è energia sufficiente a… – ansimò Ketan.
– A distruggere le montagne che ci circondano in un batter
d’occhio – terminò Hameth. – Vieni, andiamo sopra.
– 275 –
Salirono e si trovarono sotto l’immenso anello del proiettore,
dove c’era il pannello dei comandi.
– Questa unità, pur essendo molto grossa, è più mobile dei
piccoli generatori che abbiamo visto prima – disse Hameth. –
O meglio, lo sarà quando la “Soglia” verrà aperta.
Dopo una breve pausa, continuò:
– Forse non ti rendi conto di cosa significhino le infinite pos-
sibilità offerte da questo strumento, creato dagli scienziati del
pinnacolo; aprire la “Soglia” significa creare una relazione tra
questo piano e quello della Terra. Il passaggio da un piano
all’altro può avere luogo in ogni punto di entrambi i piani. Spes-
so lo abbiamo usato per le comunicazioni; il suo flusso passa per
la Terra e ritorna in questo piano, nel punto desiderato. Di con-
seguenza, possiamo utilizzare questa proprietà per trasportare
sia questo, sia i piccoli generatori in qualsiasi punto della Terra
quasi istantaneamente.
Ketan era affascinato, ma anche allarmato per quello che
quelle armi potevano fare.
– Non è uno spreco di tempo, materiali, energie umane?
Hameth rise amaramente.
– Aspetta di studiare la storia della Terra, nel pinnacolo. Al-
lora saprai cosa significa la parola “spreco”.
***
– 276 –
reverente nei confronti della saggezza e della previdenza che
Igon aveva accumulato durante molti tara, ma nello stesso
tempo si accorgeva che con il passare dei giorni anche in lui av-
veniva una maturazione e acquisiva maggior saggezza.
Si dedicò allo studio dei fini dei Restauratori. La storia delle
tre generazioni che avevano popolato la valle era contenuta nel-
la biblioteca del Centro. I piani di Igon, a quanto sembrava, si
erano sviluppati gradualmente: dapprima l’unico interesse del
grande Ricercatore era stato quello di radunare il maggior nu-
mero di validi collaboratori capaci di comprendere l’entità del
problema. Allora non aveva ancora trovato la soluzione, e il
gruppo l’aveva ricercata per anni studiando e facendo tesoro dei
contenuti di milioni di libri del pinnacolo.
Poi il profilarsi della minaccia degli Statisti che volevano la
distruzione aveva suggerito la soluzione del piano.
Adesso erano pronti, e tutti alla base erano pervasi da
un’ansia che si poteva leggere su ogni volto: erano in vista della
meta dopo lunghi anni di attesa.
Ketan, pur sapendo che era necessario, non si sentiva co-
munque molto esaltato al pensiero dello scontro feroce e san-
guinoso che stava per avvenire. La sua mente era stanca, dopo
giorni e giorni trascorsi nel disperato tentativo di trovare un
sistema migliore. Conosceva i kronweldiani e conosceva gli Sta-
tisti… e si rendeva conto che Igon aveva ragione: non c’era altro
sistema.
Tuttavia i Restauratori, pur essendo un gruppo misto senza
caratteristiche predominanti, erano amanti della libertà; rap-
presentavano l’aristocrazia di una cultura vecchia e decadente
come quella degli Statisti, ma al contrario di loro sognavano di
poter vivere in libertà sul loro mondo natale.
Ketan fu assegnato al comando della progettazione tecnica,
che avrebbe eseguito gli ordini di Igon al momento giusto. In
quella posizione era richiesta la conoscenza di un intricato pro-
gramma di piani, del funzionamento di ogni macchina e di ogni
arma. Imparò a manovrare i generatori mobili e gli fu assegnato
il comando di un’unità composta da trenta macchine.
– 277 –
Hameth, malgrado fosse preso da mille altri compiti, si occu-
pò direttamente dell’istruzione di Ketan. Dopo diversi giorni di
manovra degli intricati comandi dei generatori, volle verificare
se Ketan fosse in grado di effettuare una difficile manovra.
– Porta il tuo generatore nella valle vicina – gli ordinò. – Il
bersaglio si trova al di là delle montagne. Le coordinate sono in
questa busta sigillata. Devi colpirlo e bruciarlo, senza lasciare
segni in un raggio superiore ai cinquanta turl.
Ketan lo fissò. Era quasi impossibile fare quello che gli ordi-
nava: richiedeva la massima coordinazione nel sincronizzare le
onde generate dalle due cupole, che a loro volta generavano il
raggio distruttivo. Non si sentiva in grado di farlo, ma era co-
munque solo una esercitazione e se sbagliava gli sarebbe servita
di esperienza per quando avrebbe dovuto farlo seriamente.
Guidò la grande macchina nella pianura desolata, campo di
addestramento delle manovre dei Restauratori, seguito a di-
stanza di sicurezza da altri due generatori mobili: sapeva che
non sarebbe stato il solo a partecipare all’azione.
Sotto la rete apparentemente fragile che copriva la torretta di
comando, gli sembrò di essere al centro dell’universo. La neve
aveva ripreso a cadere e per procedere fu costretto ad azionare i
fari a raggi infrarossi. Sopra di lui i fiocchi sfioravano il campo
di forza creato dalla rete e scomparivano liquefatti. In quel so-
lenne isolamento gli sembrava impossibile credere che la mac-
china silenziosa potesse generare un raggio di distruzione che
sarebbe affondato nell’oscurità insondabile che c’era davanti a
lui.
In breve raggiunse la valle. La sua superficie era coperta di
rottami fusi, che indicavano precedenti bersagli, e di macchine
abbandonate e antiquate che, ormai inutili, erano state portate
in quel cimitero in cui riposavano gli antenati del mostro nel
quale si trovava.
Si concentrò sul difficile problema. Regolò la velocità e la di-
rezione, e quindi inserì il pilota automatico. Regolò il visore sul-
le coordinate del bersaglio, e mentre l’immagine appariva len-
tamente sullo schermo, si dedicò alla preparazione dell’arma
– 278 –
vera e propria. Appoggiò la mano sul pulsante che avrebbe dato
il via al raggio nello stesso istante in cui l’immagine del bersa-
glio si fosse trovata perfettamente a fuoco sul visore.
Tra la neve che continuava a turbinare in un inferno di can-
dore accecante, Ketan scorse vagamente le forme delle altre due
gigantesche macchine che procedevano nella tormenta verso di
lui. Si domandò quale fosse la loro missione. Ma non doveva
preoccuparsene: la sua missione richiedeva tutta l’attenzione.
Attese, teso in ogni muscolo, che la terribile fiamma silenziosa
di distruzione scaturisse.
Ma non scaturì.
Invece, nella bianca desolazione della pianura Ketan scorse
una figura umana che apparve improvvisamente dal nulla. Era
Hameth che correva a folle velocità, a velocità inumana… diret-
tamente contro di lui.
Ebbe un istante d’esitazione nel quale pensò che doveva trat-
tarsi di un’allucinazione. Si aggrappò al comando dei freni, ma
la velocità del generatore non poteva arrestarsi così bruscamen-
te. Poi la figura di Hameth scomparve. Ketan ebbe l’impressione
di aver udito un rumore soffocato, ma il generatore continuò ad
avanzare.
Quando finalmente si arrestò, Ketan scese a terra dove la vio-
lenza della tormenta lo investì come un’ondata di fuoco gelido.
Si piegò sotto la macchina, cercando tra le massicce ruote, ma
non vedendo niente percorse a ritroso la pista lasciata dal pro-
fondo solco delle ruote nella fanghiglia, che si era gelata e risul-
tava chiarissima nella neve.
Ma non trovò segni della presenza di Hameth nei centinaia di
metri che esamino: soltanto fango e frammenti di acciaio, vetro
e parti di macchinari antichi.
Nel frattempo gli altri due generatori si erano avvicinati, e i
loro piloti stavano venendo incontro a Ketan il quale si volse
verso di loro, con gli occhi pieni di muta incredulità.
– L’avete visto anche voi? – domandò – è corso direttamente
verso di me. Si è gettato tra le ruote. Non ho potuto fermarmi…
– 279 –
Uno degli uomini annuì. Ketan lo conosceva, era Alva, un
giovane Restauratore della terza generazione.
– Sì, l’abbiamo visto. Deve essere impazzito per gettarsi sotto
le ruote. Ma adesso, dov’è?
– Non c’è.
Questa volta furono loro ad apparire increduli. Poi ripresero
a cercare tutti insieme lungo la pista. Ma non trovarono alcun
segno del corpo del capo dei Restauratori.
Fu mentre gli altri due si trovavano a una certa distanza che
Ketan vide la cosa. Era a pochissima distanza dal suo generato-
re, giaceva nel solco di sinistra: un pezzo lucente di vetro e ac-
ciaio che splendeva alla luce proiettata dal portello aperto della
macchina.
Vide il profilo distorto di un braccio schiacciato. Si chinò a
toccarlo, poi rimase immobile, come se il gelo lo avesse trasfor-
mato in una statua di ghiaccio.
Un senso di perdita e di infinito dolore gli provoco un lungo
singhiozzo.
Si chinò e toccò nuovamente il braccio senza pelle… con le
sue ossa di lucido acciaio e a poco a poco scoprì i pezzi quasi
irriconoscibili del corpo, con i loro filamenti, e l’involucro tra-
sparente che si trovava all’altezza del cuore.
Adesso ti conosco, Varano-Hameth-Igon, pensò. Questo era
il modo in cui il grande Ricercatore aveva vinto il tempo. Un po’
di tessuto cerebrale per pensare, sognare e controllare quel cor-
po possente di acciaio e di vetro. Quello era Igon l’immortale!
Ma perché si era distrutto gettandosi sotto il generatore?
Qualcosa doveva essersi guastato negli strumenti del corpo, do-
veva averlo sottratto agli ordini della mente.
Nel frattempo gli altri due piloti stavano ritornando.
– Non abbiamo trovato niente – disse uno di loro.
– Tu hai visto niente? – chiese l’altro.
Ketan scosse silenziosamente il capo allontanandosi dai
frammenti rivelatori del corpo.
– 280 –
– Deve essersi trattato di un miraggio, una specie di allucina-
zione che ci ha colpiti tutti. Vado a vedere se riesco a mettermi
in contatto con il Centro, per scoprire dove si trova Hameth.
Ma l’altro pilota, che era già entrato nella sua macchina, si af-
facciò sul portello e gridò, con voce agitata, non priva di una
nota di trionfo.
– Il Centro sta richiamando alla base tutti i generatori. La
Soglia si è riaperta. Gli Statisti stanno attaccando Kronweld.
Hanno già colpito il Tempio della Nascita!
– 281 –
CAPITOLO VENTISEIESIMO
– 282 –
Statisti che si facevano strada verso di lei attraverso la marea
umana.
Passando metodicamente il raggio sulle rovine del Selettore,
cercò di individuare tutti i punti che le sembrarono vulnerabili o
vitali. Mezza dozzina di volte vide delle sagome umane entrare
alla cieca nel raggio proiettato dalla sua arma e svanire quasi
improvvisamente in una nube di fumo. Manovrò il raggio di-
struttore facendolo penetrare nella grande camera di controllo,
dove gli inservienti sistemavano il casco sulla testa dei bambini
per misurare le qualità potenziali delle loro menti.
Un centinaio di bambini doveva essere perito tra le fiamme
del Selettore.
Poi la raggiunsero: sei Statisti armati, le afferrarono le brac-
cia in una stretta d’acciaio, e le strapparono l’arma di mano.
Per un istante pensò che avessero deciso di ucciderla subito,
tanto era grande l’ondata di rabbia e frustrazione che sconvol-
geva i loro volti. Ma in quel momento, non le sarebbe importato
nulla: aveva realizzato il sogno della sua vita… quel sogno che
aveva sempre saputo non appartenere che al regno della fanta-
sia.
Gli Statisti la trascinarono tra la folla, e la condussero verso
una porta. Se il salone fosse stato meno affollato, forse non
l’avrebbero mai presa. Ma quelli che si trovavano soltanto a po-
chi passi di distanza dalla ragazza non capivano cos’era accadu-
to. Sapevano soltanto che il Selettore non esisteva più, e viveva-
no di quella folle esaltazione primitiva. Sapevano che la mac-
china non avrebbe mai potuto essere ricostruita, perché neppu-
re gli Statisti ne sarebbero stati in grado.
Si levarono solo pochi insulti feroci dalla folla verso le guar-
die Statiste, e coloro che erano stati tanto coraggiosi da dare
sfogo al loro odio, pagarono con la vita la loro audacia, perché
gli Statisti spararono senza pietà sulla folla.
Fecero uscire Elta dall’edificio, e rientrarono con la loro pri-
gioniera da una porta vicina. Lei non sapeva dove la stessero
portando, ma ormai non le importava saperlo. Si lasciò trasci-
– 283 –
nare lungo corridoi interminabili. Poi si fermarono davanti a
una grande porta.
Elta non notò, fino a quando la voce non parlò, il manichino
umano racchiuso nel cilindro situato davanti alla porta.
– Lasciateci soli – disse la voce possente.
Elta rabbrividì al suono di quella voce. Ora sapeva dove si
trovava… nel favoloso santuario del Direttore, e quella cosa
all’interno del cilindro doveva essere lui in persona.
Le guardie se ne andarono immediatamente e la porta si
chiuse. Elta non riuscì a vedere chiaramente all’interno del ci-
lindro, ma quel poco che vide bastò a provocarle un’ondata di
repulsione.
Per tutta la vita aveva sentito le storie di un Direttore decre-
pito e senza età; del cilindro che conteneva quell’essere metà
uomo e metà macchina, che lo nutriva e lo teneva in vita, men-
tre avrebbe dovuto già essere morto da molto tempo.
Provò pietà e disgusto per il suo stato e dovette respingere il
bisogno quasi sopraffacente di fuggire di corsa, ma sarebbe sta-
to inutile. Lei aveva distrutto il principale strumento di potere
del Direttore, e ora doveva sopportarne le conseguenze. Sapeva
che sarebbe stato troppo bello sperare in una morte rapida, e si
augurò che suo padre, Javins, non dovesse sopportare le conse-
guenze del suo atto.
Sollevò il capo, lasciò il mantello dietro le spalle e si fece
avanti.
– Così è meglio, mia cara – disse la voce.
Quegli occhi inumani la stavano guardando, e sebbene lei
udisse la voce, le labbra incartapecorite non si muovevano.
– Sono qui – disse lei. – Fa’ quello che devi fare, in fretta.
– Sì, molto in fretta. Vieni più vicina e ascolta attentamente
quello che ti devo dire. Tuo padre, Javins, che è fuori, ha con sé
il regolatore del Selettore. Tu sai cosa significa?
Lei scosse il capo, sbalordita. Suo padre là fuori? Cosa voleva
dire?
– Il regolatore è il cervello del Selettore. È quello che regola
la relazione tra questo piano e quello di Kronweld. Possedendo-
– 284 –
lo, noi possiamo costruire un altro Selettore, ma se fosse stato
distrutto, non avremmo mai più potuto raggiungere Kronweld.
«Così, mentre tu stavi distruggendo il Selettore, ho ordinato
a tuo padre di mettere al sicuro il regolatore.
– Nessuno conosce i principi sui quali si basa il Selettore!
Non potrà mai essere ricostruito! – urlò lei.
– Sì, invece – disse tranquillamente il Direttore. – Potrà es-
sere ricostruito, purché il regolatore sia intatto.
L’infinita gioia della vittoria svanì dalla mente di Elta. Se il
Direttore diceva il vero, l’intero, terribile problema, era esatta-
mente al punto di prima. E lei non aveva ottenuto niente, con il
suo gesto disperato.
Ma cosa c’entrava suo padre? Per tutta la vita aveva dimo-
strato una ostilità nascosta e irriducibile per il Direttore, per i
suoi metodi e per gli obiettivi degli Statisti. Per questo lei aveva
pensato di chiedergli aiuto, anche se poi aveva deciso altrimenti.
Lui non era mai arrivato al punto di agire come aveva fatto lei,
ma non poteva pensare che avrebbe ubbidito agli ordini del Di-
rettore.
Il Direttore lesse il suo pensiero.
– Tuo padre e io abbiamo lavorato fianco a fianco in molte
cose che ti sorprenderebbe sapere – disse. – Abbiamo seguito
con piacere le tue attività. Comunque non è stato saggio da par-
te tua cercare di uccidere tua sorella. Non è stato saggio, e nep-
pure necessario.
Sta giocando con me pensò Elta. Vuole divertirsi prima di
uccidermi e con me anche mio padre. Deve essere venuto a co-
noscenza dei discorsi di Javins e ora si stava vendicando.
– Non mi sono espresso esattamente, dicendo che possiamo
ricostruire il Selettore – riprese il Direttore.
«Sappiamo, comunque, dove si possono ottenere i piani per
la sua ricostruzione. Adesso la tua missione è di andare con tuo
padre a prendere quei piani, in modo che io possa riaprire la
Soglia su Kronweld.
Era insensato, era privo di significato.
– 285 –
Il Direttore continuò: – Ti piacerebbe rivedere Ketan? –
domandò.
Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
– Ti prego, uccidimi e fa’ in fretta.
– No, tu andrai nella foresta, al di là dell’aeroporto. Javins
conosce il posto. Là si trova ancora l’aereo col quale Ketan è ve-
nuto in città stamattina. William vi sta aspettando. Gli dirai
quanto è accaduto, e gli chiederai di condurti al pinnacolo. Là
troverai informazioni sufficienti a riaprire la Soglia.
– Il pinnacolo! Tu sai dove si trova?
– Ci sono stato molte volte… molto, molto tempo fa.
– Vieni qui. Avvicinati al cilindro. Abbasserò il campo di for-
za. – La sua voce sembrò stranamente supplichevole.
Elta sentì scomparire il campo di forza, e per poco non cadde
in avanti, perché senza volerlo vi si era appoggiata.
Riuscì a riprendere l’equilibrio, e si avvicinò fin quasi a toc-
care il cilindro. La cosa oscena che vi si trovava dentro cominciò
a muoversi spasmodicamente, come se fosse attraversata da una
scarica di corrente elettrica.
Vide che metà del suo corpo era distrutto. La figura sembrava
lottare, all’interno del cilindro, per sollevare il braccio, ma i mu-
scoli atrofizzati si rifiutavano di obbedire all’ordine del cervello.
Il Direttore tentò ancora, e poi, con contorsioni allucinanti, il
braccio piegato assurdamente si sollevò come un ramo secco
portato dal vento. Da esso pendevano infiniti filamenti, che so-
migliavano a una tela di ragno.
– Guarda. – Perfino la voce artificiale sembrava riflettere
l’intenso dolore provocato da quello sforzo inumano.
Come ipnotizzata, incapace di disobbedire, Elta guardò quan-
to restava del braccio.
– Non capisco… – mormorò lei.
Avvicinandosi ancora, lo vide: era il leggendario marchio
purpureo del Direttore, impresso più di un secolo prima, quan-
do l’uomo aveva sostenuto l’esame del Selettore.
– Cosa dovrei vedere?
– 286 –
– Puoi leggerlo? – Il Direttore ansimò disperatamente. –
Svelta!
Poi il braccio cedette e cadde dove si era trovato prima. Il Di-
rettore non era più in grado di mantenere quella posizione. Ma
era stato sufficiente. Elta aveva visto ciò che doveva vedere.
Ansimò, e il suo universo si disintegrò intorno a lei.
– Tu… un respinto!
– Sono stato il primo a tornare indietro. Questo ti dice nien-
te?
Per un istante, Elta lo guardò, affascinata. Poi esalò una sola
parola: – Igon!
– Sì.
– Ora ci sono mille domande nella tua mente – disse il Diret-
tore dopo una pausa. – Ma non c’è tempo per rispondere. Fidati
di me. Un giorno conoscerai tutte le risposte. Ricorda che ti la-
scio andare mentre avrei potuto ordinare la tua esecuzione, se
fossi stato solo il Direttore degli Statisti. Ho rispedito Ketan a
Kronweld per impedire che Bocknor lo uccidesse. Ricorda que-
ste due cose e fa’ come ti ho detto. Ora, vattene in fretta. Javins
ti aspetta, fuori dalla porta. Lui conosce la strada per raggiunge-
re William.
Una porta si aprì nella parete a sinistra di Elta, automatica-
mente, come rispondendo a un ordine del Direttore. Elta si di-
resse verso la porta, provando la sensazione che il suo corpo
fosse controllato da una forza estranea.
Un momento dopo che la ragazza se ne fu andata, un uomo
entrò dalla porta principale. Il Direttore lo guardò con i suoi
occhi elettronici.
– Hai sentito, Bocknor?
Il grasso Statista dagli occhi calcolatori annuì.
– Molto astuto. Ma sei sicuro che essi conoscano la strada
che porta al pinnacolo?
– Certo. William e Ketan ci sono stati. William li porterà lag-
giù. D’ora in poi tocca a te. Seguili con precauzione e fa’ in modo
di non perderli. Non posso essere sicuro che Elta si metta nuo-
– 287 –
vamente in contatto con me. So, però, una cosa, con certezza:
quello che potrà accadere se tu li perderai di vista.
– 288 –
– Il resto del viaggio dovremo farlo a piedi – disse Javins. –
La strada è lunga, ma non possiamo andarci in auto.
Avanzarono nella foresta, girando intorno all’aeroporto fin-
ché sbucarono sull’autostrada in rovina.
Javins ruppe il silenzio.
– Ho sentito che tu conosci questo William. Dimmi che tipo
è, e se pensi che ci procurerà dei fastidi?
– L’ho visto una volta sola. È un dottore che viveva a Danfer,
dove è rimasto per diversi anni, con un marchio falso. È molto
più intelligente di quanto immaginassi che potesse essere un
Illegittimo, e non so se riuscirai a fargli credere la tua storia.
– È uno di noi: un membro del nostro gruppo al quale ven-
gono impartite istruzioni limitate. Io so, sebbene non l’abbia
mai conosciuto personalmente, che è stato inviato nella foresta
per organizzare gli Illegittimi. Però un incidente imprevedibile
ha causato la morte di sua moglie e di suo figlio. Forse il dolore
può averlo scosso, tanto da convincerlo ad agire contro di noi.
– È fedele a Ketan e crede sinceramente in quanto lui sta ten-
tando di fare, se questo ti dice qualcosa. Ti prego, spiegami quel
che succede. Non capisco nulla.
Javins si voltò a fissarla, sorridendo: – Temo che quando lo
saprai non sarai molto soddisfatta. Sei quasi riuscita a distrug-
gere tutti i nostri piani. Fortunatamente, le tue azioni possono
essere rivolte a nostro vantaggio. Questo è il solo motivo per cui
ti è stato permesso di continuare.
– Ma quali sono i vostri piani? Perché volete riaprire la So-
glia? Certo non per…
– Kronweld deve ritornare sulla Terra.
– Come si può credere che una simile unione possa avere
luogo, se si conoscono solo parzialmente i fattori di questo pro-
blema? Perfino Igon…
– Mi è stato detto di non discutere di questo con te.
– Allora non vi aiuterò – replicò lei solennemente. – Anzi, vi
combatterò. Kronweld è la più grande civiltà che sia mai esistita,
ma portarla qui significherebbe la sua distruzione. Sopravvi-
– 289 –
vrebbero gli Statisti, non Kronweld. E per spazzarli via non sa-
rebbe necessaria una sola generazione.
– Non pensi che Igon abbia considerato tutto questo, e abbia
fatto i suoi piani? Non ti rendi conto della forza di quell’uomo. È
la mente più grande che sia mai nata sulla Terra. Fra cento anni
il suo nome sarà divinizzato. Ma non posso discuterne con te,
almeno fino a quando non avremo raggiunto il pinnacolo. Igon
vuole che tu veda, per credere.
– Non crederò mai. Io vi sto ancora combattendo. Voglio che
tu lo sappia.
L’oscurità li sorprese a un quarto del viaggio, ma questo era
stato previsto da Javins. Non voleva spaventare William co-
stringendolo a fuggire. D’altro canto non c’era alcun modo di
comunicare con lui.
Avanzarono più lentamente, servendosi di quando in quando
di una potente lampada tascabile. Elta cominciava a risentire
della stanchezza per i terribili avvenimenti della giornata e per il
lungo viaggio. Inoltre le bruciature alle gambe le provocavano
acute fitte di dolore. Finalmente Javins si fermò e si guardò in-
torno. – Ci siamo – disse. – Se Igon è stato esatto, l’aereo e
William si trovano poco distante, in quella direzione.
Elta non capiva come fosse possibile trovare un piccolo aereo
nelle tenebre della notte, ma era troppo stanca mentalmente e
fisicamente per discutere.
Suo padre sembrava in grado di procedere senza esitazioni al
buio. La ragazza inciampò diverse volte su ostacoli nascosti, e
suo padre l’aiutò a rialzarsi, prendendola per mano e guidando-
la nell’oscurità.
Il Direttore gli aveva accennato a quello che lo avrebbe atte-
so, ma Javins ne fu affascinato: non aveva immaginato niente di
così bello e lucente come il cilindro affusolato che testimoniava
dell’abilità degli antichi: qualcosa infinitamente al di là della
portata della scienza degli Statisti.
Arrivato sul posto, Javins si guardò intorno con ansia. Non
c’era alcun segno dell’Illegittimo, allora pensò che si trovasse già
dentro l’aereo il cui portello era aperto.
– 290 –
– Va’ dentro a cercarlo – disse Javins alla figlia. – Ti conosce
e non si spaventerà nel vederti. Ma non cercare di convincerlo a
fuggire con te. – Estrasse una piccola arma portatile. – Ti se-
guirò subito e sarò nell’aereo prima che possa decollare.
Elta osservò la pistola, chiedendosi se quell’arma fosse una
minaccia per lei o per William.
Raggiunse il portello e chiamò a voce alta. In quel momento
dagli alberi giunse un grido soffocato. Si voltò in tempo per ve-
dere la figura di suo padre cadere a terra. Corse verso gli alberi e
si trovò davanti a William.
– Elta!
– Svelto! – Indicò la valigia di cuoio caduta dalle mani di suo
padre. – Punta la tua arma sulla valigia e distruggila!
Ma l’ultimo ricordo di William, a proposito di Elta, era quello
di una nemica astuta e pronta ad approfittare di ogni occasione.
– Dov’è Ketan? – domandò l’Illegittimo. – È andato in città
stamattina. Lo hai visto? E chi è quest’uomo? – La pistola si
sollevò minacciosamente.
– Ti dirò tutto, solo, ti prego, distruggi la valigia, subito. Devi
farlo!
Ma una voce parlò: – Tu sei un uomo intelligente, William.
Prima di distruggere la valigetta sarebbe meglio che ti rendessi
conto di cosa c’è li dentro.
Sobbalzarono entrambi. Javins si era sollevato sul gomito,
scuoteva il capo e con una mano si premeva il punto in cui era
stato colpito.
– Chi sei tu? – domandò William.
– Sono il padre della ragazza, e aiutante di Igon. La parola
d’ordine è Richard Simons.
Incredulo, William abbassò l’arma.
– Cosa vuoi da me? È da mesi che non sento quella parola.
Entra nell’aereo e dimmi tutto.
Javins si alzò e dopo avere raccolto la valigia, si avviò ciondo-
lante verso l’aereo, prendendo Elta sottobraccio.
– Non abbatterti – le disse dolcemente.
Elta non rispose.
– 291 –
Una volta all’interno dell’aereo, Javins si sedette, ancora un
po’ stordito, e disse: – Posso rispondere io alle tue domande:
Ketan è stato catturato ed è stato rispedito a Kronweld per pu-
nizione, perché rimanga ucciso laggiù quando gli Statisti di-
struggeranno la città. Subito dopo, Elta ha distrutto il Selettore,
un gesto che Igon aveva previsto e prima che succedesse mi ha
ordinato di rimuovere il regolatore principale della macchina in
modo che possa essere ricostruita per riaprire la Soglia. Ora ab-
biamo l’ordine di portare il regolatore al pinnacolo, ricostruire il
Selettore e aprire la Soglia per metterci in contatto con Ketan e
prendere accordi perché il suo popolo ritorni sulla Terra.
«A proposito, mia figlia non è ancora convinta che si tratti di
una cosa saggia, come hai potuto vedere dal suo desiderio di
distruggere il regolatore. Igon, comunque, crede che lei possa
venire convinta da una visita al pinnacolo, in modo da poterci
essere utile.
– Cosa devo fare? – chiese William.
– Devi portarci al pinnacolo, il più presto possibile.
– 292 –
Direttore, invece, da tempo inviava cacciatori Statisti a uccidere
migliaia gli Illegittimi sfuggiti all’esame del Selettore. Inoltre,
quel marchio che le aveva mostrato poteva far parte del suo dia-
bolico piano per ottenere il suo aiuto a riaprire la Soglia, in mo-
do che Kronweld fosse distrutta.
Ma prima di formulare un giudizio definitivo, voleva vedere il
pinnacolo per sapere qualcosa di più sui rapporti tra suo padre e
il Direttore. Poi avrebbe preso una decisione su cosa fare.
Nel frattempo, il pensiero della riapertura della Soglia le fece
accelerare i battiti del cuore. La tentazione di attraversarla, di
rivedere Ketan era quasi sopraffacente. E se si fosse riaperta, e
lei l’avesse attraversata… lasciandosi alle spalle un ordigno che
avrebbe distrutto il regolatore, il pinnacolo, e ogni prova possi-
bile, capace di condurre a un futuro passaggio da Kronweld alla
Terra e viceversa?
Rimase seduta a guardare dall’oblò dell’aereo la notte
d’argento, con la mente pervasa da un’ansia febbrile al pensiero
di questa possibilità.
– 293 –
qualche mese al massimo, ma è pronto ad affrontare la morte
serenamente se vedrà che il suo piano per la restaurazione della
Terra sarà avviato.
L’aereo compì alcuni lenti circoli, e assorbì il primo raggio
dell’aurora che squarciò le tenebre della notte.
William non era sicuro di essere capace di fare infilare l’aereo
nella piccola apertura che si trovava in cima al pinnacolo, che
era aperta, come se il loro arrivo fosse atteso.
Manovrò l’aereo in modo che il muso dell’apparecchio fosse
in direzione dell’apertura, ma non ebbe bisogno di tentare delle
manovra, perché subito dopo una forza si impadronì dell’aereo
come una grande mano e lo sottrasse completamente al suo co-
mando. Poi, lentamente, il velivolo si insinuò nel pinnacolo.
Javins, pieno di stupore, assistette a quella manifestazione di
incredibile potenza scientifica.
– Igon me ne aveva parlato, ma non ci ho mai creduto vera-
mente.
– Aspetta di vedere il resto – disse William. – Non crederai
ai tuoi occhi.
Quando uscirono dal portello, Richard Simons e sua figlia li
stavano aspettando.
– Sei tornato presto – disse lo scienziato, e si fece avanti ten-
dendo la mano. Poi il suo volto divenne serio. – Ma chi sono
questi stranieri? E Ketan, come mai non è con voi?
– Sono agenti di Igon – disse William. – Ketan è tornato a
Kronweld. Siamo venuti a chiedere il tuo aiuto per ricostruire il
Selettore. È stato distrutto però il regolatore è salvo.
– Qual è la parola d’ordine? – chiese lo scienziato rivolto a
Javins.
– Richard Simons.
Il sorriso ritornò sulle sue labbra.
– Molto bene. Dobbiamo essere prudenti per la sicurezza del
pinnacolo, naturalmente.
– È tardi. Dovete essere stanchi – disse Dorien. – Andate a
riposare fino a domattina, poi vi daremo le informazioni che
desiderate.
– 294 –
Elta ammutolita fissava Dorien con la stessa espressione sba-
lordita di Ketan quando l’aveva vista la prima volta. La ricono-
sceva. Sembrava che la statua dorata che si trovava davanti al
Tempio della Nascita avesse improvvisamente cominciato a vi-
vere.
– Sì, è meglio che andiamo a riposare – disse Elta.
– Le informazioni sono più importanti – intervenne Javins.
– Preferiremmo averle subito. – Poi si rivolse a Elta. – Tu puoi
andare a riposare, mentre noi esaminiamo i piani di costruzione
del Selettore.
Con riluttanza, Elta fu costretta dalla stanchezza a cedere.
Non le sorrideva l’idea di lasciare suo padre solo con le preziose
informazioni, ma sapeva di non poter resistere per molto.
Dorien l’accompagnò via.
La luce del sole che aveva sfiorato l’aereo quando si era trova-
to ad alta quota si riversò sul deserto in breve tempo, ma Elta
non si svegliò fino a quando il sole non fu alto. La luce attraver-
sò le aperture lattescenti della tenda, e la destò. Si stirò, senten-
dosi meravigliosamente a proprio agio su quel letto lussuoso, e
aspirò profondamente l’aria fresca e fragrante della stanza. Allo-
ra tirò la tenda e poté vedere un panorama che le fece trattenere
il respiro per la meraviglia.
Un giardino fiorito si stendeva fino alle colline, a perdita
d’occhio. Su grandi prati dall’erba folta e verde, degli animali
giocavano e si riposavano al sole. Vicino alla finestra, l’ombra di
un albero si muoveva lentamente facendo eco al ritmo della
brezza.
– Ti piace? – chiese una dolce voce musicale che giungeva
dalla porta. Dorien era comparsa e sorrideva. Poi avanzò e si
sedette sul bordo del letto.
– È meraviglioso – disse Elta. – Ma come…
Dorien le spiegò tutto sul pinnacolo, sulle sue illusioni e sulle
sue realtà, come già lo aveva spiegato a Ketan. Allora una tri-
stezza irragionevole e terribile riempì di lacrime gli occhi di El-
– 295 –
ta, al pensiero che quella bellissima ragazza era vissuta e morta
più di mille anni prima.
– 296 –
conflitti, morte e terrore perché gli Statisti non avrebbero tolle-
rato che qualcuno potesse minacciare il loro potere. Ma se i
kronweldiani fossero rimasti nella loro terra, sarebbero comun-
que morti, visto che gli Statisti avevano intenzione di distrugge-
re Kronweld. Sì, erano domande senza risposta!
Elta seguì suo padre, William e l’immagine di Richard Si-
mons nel laboratorio dove stavano ricostruendo il meccanismo
che avrebbe aperto la Soglia. Javins la fissò con aria interrogati-
va, ma non disse nulla. Il mutamento cominciava ad apparire
chiaro negli occhi di sua figlia, e lui se ne accorse.
Elta vide i grandi saloni a centinaia di metri sotto la superfi-
cie del deserto, nei quali le macchine, che procuravano la titani-
ca energia che teneva in vita il pinnacolo, lavoravano senza so-
ste. Vide una mezza dozzina di fantastici paesaggi, giardini, fo-
reste, montagne e laghi. Erano stati creati dagli antichi scienzia-
ti per divertimento personale, in previsione del fatto che avreb-
bero dovuto trascorrere tutta la loro vita lì dentro; ma quasi tut-
ti non avevano potuto godere di quelle meraviglie, perché erano
rimasti fino all’ultimo momento della loro vita disperatamente
intenti al lavoro di radunare quello che restava della scienza
della Terra.
Nel pomeriggio, andarono nel laboratorio in cui i simulacri
degli scienziati della Terra lavoravano sui loro sogni senza tem-
po. Quando Elta si trovò sulla piccola piattaforma che dominava
la sala, sobbalzò lievemente, intimorita, di fronte a quella visio-
ne di una grande folla che la stava fissando.
Dorien le toccò il braccio.
– Sono come noi.
La forza della visione penetrò molto più profondamente nella
sua mente che in quella di Ketan, perché Elta comprese il signi-
ficato del salone e degli scienziati che vi lavoravano.
– Scendiamo – disse, trattenendo il respiro.
Camminarono tra le figure indaffarate ed Elta parlò con loro.
Parlò ad Archimede e ad Aristotele, a Mendel e a Descartes, a
Newton e ad Einstein. Ascoltò e si smarrì nei loro sogni e nelle
loro visioni.
– 297 –
Parlò agli scienziati che erano vissuti nel periodo precedente
a quello di Richard Simons. Poté assistere agli ultimi giorni del-
la loro tragica storia, quando disperatamente si erano aggrappa-
ti all’idea di trovare una soluzione alla notte oscura che stava
per avvolgere il mondo, nel tentativo di conservare diecimila
anni di scienza. E più di ogni altra cosa, per proteggere le intel-
ligenze superiori che sarebbero nate in quell’era oscura.
Avvertì la frenetica urgenza di quegli ultimi anni che avevano
preceduto la caduta dell’oscurità. Comprese il sogno
dell’Utopia: un sogno che poi si era realizzato nella strana terra
di Kronweld.
Era facile immaginare Ketan tra loro. Lo immaginò sopraffat-
to dalla rivelazione dell’immenso sogno. Ma lui lo aveva certa-
mente accettato con entusiasmo e completamente, senza ombra
di critica. Gli erano stati spiegati i piani che concernevano Kro-
nweld, ed Elta sapeva che lui non poteva criticarli perché non ne
sapeva abbastanza per formulare un giudizio. Non poteva ri-
spondere alla domanda che riguardava la capacità di governare
dei kronweldiani, perché non comprendeva i problemi a essa
connessi.
Nel pinnacolo quella risposta non esisteva. Elta lo sapeva.
– 298 –
Spostò la Soglia, facendo in modo di non avvicinarsi troppo a
persone che avrebbero potuto stupirsi dell’improvvisa visione
dell’altro mondo in cui un individuo dagli strani vestiti sedeva
davanti a un pannello dagli strumenti inesplicabili.
Si domandò dove fosse Ketan e come avrebbe potuto indivi-
duarlo, ma questo non era compito suo. Ormai aveva fatto la
sua parte.
Fece per chiamare il Direttore sul circuito privato.
– Non è necessario. Assumo io il comando, da questo mo-
mento. Hai fatto già la tua parte.
Javins scattò al suono della voce nota e odiata.
– Bocknor! Come hai fatto a entrare?
– Richard Simons – sogghignò lo Statista, senza allegria.
Javins non si mosse. Sapeva che sarebbe stato inutile resiste-
re all’arma che Bocknor stringeva in pugno.
Bocknor si fece avanti.
– Forse sarebbe una buona idea chiamare il Direttore. Sarà
felice di sapere che siamo pronti.
Sconvolto, cercando di comprendere cosa significasse
l’entrata in scena di Bocknor, Javins chiamò il Direttore e dopo
un istante il suo volto comparve sullo schermo.
– Ti ho sorvegliato – disse. – Vedo che hai eseguito il tuo
compito, Javins. Hai fatto molto bene e mi ricorderò di te. Il
compito di Bocknor comincia adesso. Puoi procedere. Osserverò
con interesse.
– Attacco?
– Devi solo decidere il momento.
Bocknor chiuse la comunicazione e fece un’altra mezza doz-
zina di chiamate. Dall’angolo in cui Bocknor lo aveva confinato,
Javins poteva vedere lo schermo, e i suoi sensi furono sopraffat-
ti da un gelido orrore.
Vide uno dopo l’altro un’infinità di spaventosi generatori
atomici e i grandi proiettori tubolari che essi alimentavano.
Erano sei stazioni, poste all’interno dei confini della città. Erano
state costruite senza che lui se ne accorgesse. E ognuna di esse
– 299 –
avrebbe potuto ridurre in cenere la città di Kronweld in un solo
istante.
Bocknor chiamò uno per uno i suoi comandanti.
– Tempo dell’attacco, tre ore – disse. – Siete pronti?
Uno dopo l’altro, risposero affermativamente.
Lo scatto dei circuiti si ingigantì milioni di volte
nell’immenso salone del laboratorio, e quel suono pulsò doloro-
samente nel cranio di Javins. Divenne un terribile ruggito che
rappresentava il tuono provocato dal crollo del suo mondo. Tut-
ta la sua vita era stata basata su un solo precetto: il Direttore era
Igon che un giorno avrebbe unito i mondi.
Ora quel precetto si era frantumato.
– 300 –
CAPITOLO VENTISETTESIMO
– 301 –
avevano preso temporaneamente il comando. Ogni uomo cono-
sceva il suo posto. Lo stesso Hameth poteva non risultare neces-
sario, se non in caso di emergenza. Ma sarebbero certamente
sorti dei casi di emergenza. Allora si sarebbero trovati nei guai.
Fino a quel momento, Ketan e il numero del generatore che
lui occupava non erano stati chiamati: sarebbe stato difficile che
questo avvenisse, ma lui sapeva qual era il suo posto, e spinse la
macchina alla massima velocità per raggiungerlo. C’erano degli
ordini di emergenza, comunque, che erano stati lasciati da Ha-
meth e avrebbero dovuto essere aperti nel caso di una sua as-
senza nel momento della crisi. Forse quegli ordini avrebbero
potuto cambiare ogni cosa.
In quel momento gli arrivò la comunicazione.
– Ketan… pilota del generatore tre-dodici.
– Ti sento – rispose.
– Gli ordini di emergenza richiedono la tua presenza al Cen-
tro. In assenza del Comandante Hameth ti è stato affidato il
comando temporaneo per l’esecuzione del piano difensivo C-12.
Conferma.
– Ricevuto – rispose Ketan. – Azionate il trasferitore.
Era incredibile! Gli era stato affidato il comando tempora-
neo? Dovevano esserci almeno cento uomini più adatti, pensò.
Eppure…
Pensò agli interminabili giorni di sfibrante istruzione, che
durava fino a quando lui non aveva impresso in mente tutti gli
schemi tattici con la precisione più assoluta. Si domandò se esi-
stesse davvero un altro uomo al quale fosse stata impartita
un’istruzione così accurata. Hameth aveva previsto la sua di-
struzione prima dell’attacco?
Ketan passò poi in rassegna i piani del Centro, impressi inde-
lebilmente nella sua memoria. Chiamò nuovamente il Centro.
– Datemi la situazione dell’attacco.
Mentre si svolgevano frettolosamente i preparativi per farlo
ritornare subito al Centro per mezzo della Soglia, il subordinato
rispose: – C’è stata una sola irruzione. Un solo raggio che ha
– 302 –
colpito il Tempio della Nascita. Finora nessun altro danno alla
città.
– Ordinate alle Signore sopravvissute di uscire dal Tempio.
– Già fatto.
– Disponete una rete difensiva davanti al Tempio.
– Fatto.
– Eccellente. Quanti proiettori hanno mandato in campo gli
Statisti?
– Sei postazioni.
Ketan aggrottò la fronte. Non capiva per quale motivo Ha-
meth non avesse ottenuto informazioni più accurate dalla sua
rete di spionaggio. Sembrava strano che gli Statisti avessero così
pochi proiettori, a meno che non fossero di potenza terrificante.
Ma gli Statisti non avevano previsto alcuna resistenza da parte
di Kronweld. Probabilmente sei postazioni erano sembrate una
forza più che sufficiente per spazzare via la città indifesa.
In quell’istante il trasferitore entrò in funzione: una sensa-
zione accecante gli fece perdere i sensi per un istante, poi si tro-
vò con la grande macchina davanti al grande Centro, dove un
pilota lo stava aspettando per prendere in consegna il generato-
re.
Ketan si affrettò a entrare nel quartier generale che rappre-
sentava il centro nevralgico della difesa di un mondo.
Nella sala di comando una grande mappa mostrava Kron-
weld, la Landa dei Mille Fuochi, la Landa Oscura, e la valle dei
Restauratori. Nel punto in cui era stato posto un modellino del
Tempio della Nascita, c’era una sottile lingua di fuoco che si
muoveva lentamente in circolo, infrangendosi vanamente con-
tro una sottile rete che avvolgeva il Tempio. Delle piccole luci
verdi indicavano la posizione dei loro generatori mobili, mentre
più in grande appariva la possente arma fissa.
Davanti a pannelli di comunicazione, immobili operatori at-
tendevano l’ordine di spostare i generatori a Kronweld, attra-
verso la Soglia, o di sistemare reti protettive.
Ketan osservò la mappa. Nella sua mente non c’era più do-
mande sulle sue responsabilità. Ci sarebbe stato tempo in segui-
– 303 –
to. Adesso il suo atteggiamento era come quello di un uomo che
avesse sempre esercitato il comando.
– Nessun altro punto d’invasione? – chiese.
Il suo vice scosse il capo. Era un Restauratore della seconda
generazione. Ketan sapeva che non avrebbe mai messo in dub-
bio le decisioni di Hameth, men che meno quella di averlo desi-
gnato come comandante.
L’uomo, che si chiamava Zeeter, aveva un solo ideale, quasi
fanatico: il successo della restaurazione.
– No. Nessun altro – rispose prontamente. – Non ho fatto
mettere in azione nessuna unità finora. Prima volevo provare la
validità della nostra rete contro i loro proiettori.
– Ottimo. Aspettiamo il secondo attacco. Non faremo entrare
in azione il grande generatore fino al momento di passare
all’offensiva. Nel frattempo sistema otto unità di generatori in
schema razionale, intorno al perimetro della città.
Mentre parlava, una sottile lingua di fuoco apparve sulla
mappa: sparì e riapparve quasi immediatamente all’esterno del-
la rete. Questa volta ci fu un lungo raggio che affondò nella città,
distruggendo in un olocausto di fuoco gli alberi e gli edifici che
incontrava.
– Fermatelo! – gridò Ketan. L’operatore addetto alla rete la
dispose nella nuova posizione, ma nello stesso istante il proiet-
tore Statista svanì e riapparve in un altro settore della città. Su-
bito la rete protettiva lo avvolse, ma non prima che il suo raggio
di fuoco fosse nuovamente scaturito e provocasse molti danni.
– Tutte le unità in posizione! – ordinò Ketan. Si rivolse agli
operatori che controllavano la posizione delle unità mobili. Non
sottovalutava la complessità del problema, ma la sua abilità
nell’uso della Karildex gli fece sembrare incredibilmente lungo
il tempo necessario agli uomini per calcolare una mezza dozzina
di dati.
L’operatore capo, sudando, si rivolse a Ketan.
– Unità in posizione.
Ketan osservò la mappa. In città, disposti secondo uno sche-
ma funzionale, duecentoquaranta generatori erano in attesa
– 304 –
della prossima apparizione del proiettore Statista. In qualsiasi
posizione fosse apparso, si sarebbe trovato al centro dei genera-
tori che l’avrebbero fatto segno di un fuoco spietato.
Infatti apparve dopo un istante accanto all’edificio della Ka-
rildex. Ketan emise un’imprecazione. La Karildex era l’unica
costruzione che aveva sperato di salvare dall’attacco, ma ormai
era immersa in un bagno di fuoco.
Una rete di protezione avvolse il proiettore, e cominciò a
splendere di un bianco abbagliante, nascondendo la macchina,
ma nel momento in cui era stata visibile, Ketan aveva colto una
rapida immagine di un cilindro sormontato da una cupola dalla
quale uscivano raggi di luce violetta.
La rete di energia che aveva fatto mettere intorno al proietto-
re per il momento resisteva alla radiazione distruttiva, bloccan-
do quella che giungeva dall’interno e lasciando filtrare gran par-
te di quella che le pioveva addosso dai generatori dei Restaura-
tori.
Ketan diminuì l’intensità della ricezione sullo schermo, fin-
ché riuscì a distinguere chiaramente che il fuoco atomico degli
assalitori stava per distruggere completamente la rete protetti-
va.
Allora ordinò all’operatore che manovrava la rete: – Aumen-
ta l’intensità protettiva!
Ma subito Zeeter l’informò: – Il Comandante dell’Ottava
Unità ha chiesto che venga ridotta perché non riesce ad attra-
versarla con i suoi raggi.
– Allora prepara un secondo schermo, per quando il primo
cederà – rispose Ketan.
Infatti il successo di quel metodo di difesa e di contempora-
neo attacco dipendeva dalla quantità di energia indispensabile a
bloccare i raggi del proiettore nemico, ma nello stesso tempo
per permettere ai generatori di attraversarlo per colpire.
Ma Ketan capì subito che quell’equilibrio non poteva essere
ottenuto. Infatti il proiettore Statista sembrava avere una po-
tenza superiore a quella del loro scudo protettivo e già lo aveva
smantellato in una dozzina di punti. Tra un istante la rete di
– 305 –
energia avrebbe ceduto, e dopo sarebbe stato libero di colpire i
loro generatori.
Nel frattempo dodici generatori posti intorno al proiettore
Statista dirigevano simultaneamente i loro raggi in un circolo di
fiamma che avrebbe distrutto il proiettore… se avessero potuto
colpire all’interno dello scudo di energia, ma il loro fuoco non
era sufficiente.
Ketan si collegò con i visore dei piloti dei generatori. C’era
anche Alva. Aveva le labbra strette e osservava lo schermo
fiammeggiare e dissolversi sotto il doppio assalto di energia.
Rimanevano pochi istanti, prima che lo schermo diventasse in-
candescente, e quindi si volatizzasse.
Vide che con un gesto improvviso e deciso aveva regolato il
raggio del suo generatore e lo aveva diretto su uno dei punti in
cui lo schermo si stava disintegrando.
Istantaneamente, lo schermo svanì e nel punto dove i raggi
erano entrati, avvenne un’esplosione di luce accecante.
Quando la luce permise di vedere, il proiettore Statista era
scomparso, portandosi dietro sia quello che rimaneva della rete
protettiva, sia il generatore… quello di Alva: le due macchine si
erano distrutte a vicenda, simultaneamente.
Era una vittoria, ma una vittoria che era costata il sacrificio
di un uomo che conosceva e rispettava.
Ma non era il momento di cedere alla commozione; adesso
doveva dare battaglia agli Statisti. Lanciò un nuovo ordine agli
operatori: – Pronti a mandare l’Unità 9 a Danfer.
Sapeva che altri proiettori Statisti sarebbero apparsi a Kron-
weld, ma con quel diversivo sperava di creare a Danfer suffi-
ciente confusione per farli rientrare e intralciare così i loro piani
di distruzione a Kronweld.
L’Unità 9 comprendeva trenta generatori che se avessero
aperto il fuoco avrebbero causato innumerevoli danni alla città e
chissà quante vite sarebbero state cancellate. Quel pensiero gli
procurava un senso di malessere. Si chiese se anche gli altri
kronweldiani della prima generazione, presenti nella colonia dei
Restauratori, provassero anche loro quella sensazione di sgo-
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mento, ma guardandosi attorno, vide che i loro gesti erano così
freddi e impersonali da non dare l’impressione che pensassero
alla distruzione di vite umane che stava per accadere.
L’Unità 9 era in posizione. Attendeva con i motori alla mas-
sima potenza. Improvvisamente una porta sembrò aprirsi da-
vanti a loro, fu come se un gorgo li avesse risucchiati. Svaniro-
no, e si trovarono a Danfer.
La posizione non era perfetta, perché gli operatori non ave-
vano potuto compiere un collaudo per paura di rivelare la loro
presenza prima dell’attacco. Quindi, i generatori, quando furono
dall’altra parte, si trovarono a circa mezzo miglio dalla cittadella
degli Statisti.
Ketan li vide procedere in formazione perfetta e avanzarono
possenti per guadagnare la loro posizione di accerchiamento
della città.
Ketan vide i cittadini di Danfer osservare quelle macchine
d’incubo che erano apparse all’improvviso. Alcuni urlarono e si
misero a correre. Altri rimasero gelati da un orrore indicibile.
Molti di loro sarebbero stati uccisi dai generatori.
Ketan si era atteso che gli Statisti spostassero i proiettori per
difendere la loro città, ma nei minuti che seguirono non ne ap-
parve nemmeno uno, mentre i trenta generatori si disponevano
intorno alla costruzione centrale degli Statisti, tenendo pronti i
loro schermi protettivi per difendersi dai raggi mortali che si
aspettavano da un momento all’altro, ma che continuavano a
non arrivare. Allora un presentimento terribile e inesplicabile si
impadronì di Ketan.
Subito dopo, il comandante dell’Unità 9 diede l’ordine di
aprire il fuoco: tutti i raggi atomici partirono all’unisono, scate-
nando la loro forza spaventosa contro l’obiettivo.
Un’intera Unità che faceva fuoco simultaneamente! Ketan
aveva cercato di immaginarla infinite volte senza riuscirvi: gli
sembrò di osservare lo splendore del Sole della Terra. Le forze
atomiche sviluppate dal circolo di generatori in azione, in effet-
ti, avevano una potenza che poteva sfidare quella del Sole.
– 307 –
Attenuò la ricezione dello schermo migliaia di volte, finché le
torrette dei generatori furono visibili.
Ora il Direttore è morto pensò Ketan, ma gli sembrava stra-
no che tutto fosse stato così facile, ma d’altro canto forse era
vero che gli Statisti erano tanto sicuri della loro invincibilità,
che nei loro piani non era mai stata presa in considerazione la
difesa.
Peccato pensò Ketan. Avrebbe voluto incontrare ancora una
volta il Direttore per scoprire qualcosa di più sulla mente di
quella creatura.
Attenuò ancor più la ricezione per vedere le rovine provocate
nella città degli Statisti, ma lo schermo trasmetteva soltanto un
accecante bagliore di fiamme bianche.
Stava per voltarsi, quando si accorse che la luminosità dello
schermo diminuiva, come se il comandante dell’Unità avesse
ridotto l’intensità dei raggi per vedere quello che aveva colpito.
E Ketan rimase stupito di quello che vide: i raggi dei genera-
tori ancora in azione si abbattevano a ondate sul bersaglio, ma
questo era protetto da un’invisibile e impenetrabile cupola di
energia che assorbiva i raggi dell’Unità 9 senza lasciarli passare.
La roccaforte degli Statisti era ancora intatta!
Ketan esplose in un’imprecazione rabbiosa: era teoricamente
impossibile che potesse esistere uno schermo capace di opporsi
alla forza di un’intera Unità. Ma non si vedeva alcuno schermo.
Non c’era nulla. Nulla, all’infuori di quel confine sferico oltre il
quale le radiazioni non passavano.
Il suo sguardo passò al circolo di generatori che riversavano
la loro terribile energia. Tutt’intorno c’erano ammassi di cada-
veri anneriti, bruciati dal calore provocato dai raggi.
– Mandate l’Unità 10 di rinforzo all’Unità 9 – ordinò con vo-
ce tonante.
Malgrado la disciplina, tutti coloro che si trovavano nella sala
sollevarono lo sguardo per un istante. Il significato di
quell’ordine provocò un’ondata di dubbio, insidioso e preoccu-
pante. Loro non erano stati capaci di costruire una rete che po-
tesse sostenere per un solo istante l’attacco di un’intera Unità di
– 308 –
generatori. Se gli Statisti possedevano uno schermo del genere,
allora…
L’Unità 10 apparve con un rombo possente nelle strade di
Danfer, e trenta mostri si piazzarono negli spazi lasciati liberi da
quelli dell’Unità 9 e i loro raggi si unirono a quelli dell’Unità già
in azione, e lo splendore fu così accecante che Ketan fu costretto
a distogliere lo sguardo dallo schermo.
Nella città, gli abitanti folli di terrore cercavano rifugio nelle
cantine più profonde o dietro le pareti più robuste. Imprecava-
no, ma erano felici di vedere che qualcuno era venuto a sfidare
la tirannia dei loro oppressori. Ancora non sapevano quale sa-
rebbe stato il loro destino, ma in quel momento non se ne
preoccupavano. D’altro canto se gli aggressori sarebbero stati
benevoli nei loro confronti, ne avrebbero tratto vantaggio, ma se
si trattava di un’altra tirannia ancor più feroce di quella degli
Statisti, li avrebbe semplicemente uccisi più in fretta.
La possente irradiazione dei generatori filtrò nel sottosuolo e
li trovò nelle loro tane. Passò attraverso le pareti e oltrepassò le
rovine secolari che li nascondevano. La sentirono arrivare come
una vampata di calore estivo, e scaldare i loro corpi stanchi, ad-
dormentarli pietosamente, bruciando i loro centri nervosi, pri-
ma di carbonizzarli completamente.
Ketan li vide torcersi e morire tra le macerie della città.
– Non riusciamo a penetrare quello schermo – disse a Zeeter.
– Nessuno era informato di questo?
L’uomo scosse il capo e si passò una mano tra i capelli.
– No, pensavamo di essere noi ad avere creato lo schermo
più potente che la teoria rendesse possibile. Cos’hai intenzione
di fare, ora? Il piano di Hameth non prevedeva una possibilità
del genere… se soltanto fosse qui, ora! Ma perché se ne è andato
in un momento simile?
Un lampo accecante apparve sullo schermo, subito seguito
un altro.
– Hanno sferrato due attacchi a Kronweld! – esclamò Ketan.
– Lasciamo a Danfer l’Unità 9 e inviamo la 10 di rinforzo alla
Ottava, per fronteggiare quei due proiettori.
– 309 –
Gli Statisti sembravano non dare importanza all’attacco sfer-
rato sulla loro città. E comunque la loro roccaforte non era stata
minimamente intaccata dall’attacco delle due unità dei Restau-
ratori, perciò, era chiaro che prima di tutto volevano portare a
termine il progetto di distruggere Kronweld.
I rinforzi arrivarono, ma nella mente di Ketan cominciavano
a sorgere dubbi sulle loro possibilità di vittoria. Il potente Igon
doveva aver disposto qualcosa di meglio nei cento anni di tempo
che aveva avuto a disposizione per formulare i suoi piani.
Adesso le forze erano così equamente distribuite che la vitto-
ria dell’una o dell’altra sembrava significare soltanto la distru-
zione di Kronweld.
Ketan osservò sugli schermi le strade di Kronweld. La scena
era di panico e di cieco isterismo. Davanti al palazzo della Ka-
rildex c’era una folla terrorizzata e urlante.
L’esterno dell’edificio era fuso in globi di metallo; il tetto era
squarciato e mostrava la parte superiore della grande macchina.
Con assoluta mancanza di logica, i Ricercatori si riversavano
nell’edificio distrutto, si arrampicavano sui rottami e sui grotte-
schi cumuli di pietra e metallo che erano caduti dalle pareti. En-
travano e si fermavano davanti alle tastiere distrutte, digitando
freneticamente sui tasti che non potevano più funzionare, alla
ricerca di una risposta che non sarebbe mai arrivata.
Spostò l’immagine sul Tempio della Nascita. Anche laggiù
centinaia di kronweldiani erano radunati davanti all’edificio in
rovina. Invocavano il loro Dio, chiedendo pietà.
Nel cielo, nubi di fumo che non venivano dalla Landa dei
Mille Fuochi coprivano i soli gemelli e nascondevano
l’orizzonte: era l’immagine di una città morente.
Con la convinzione irrefrenabile dell’errore di Igon, Ketan
maledì il suo nome, e nello stesso tempo fu pervaso da una gioia
selvaggia al pensiero che quella mente ormai infiacchita fosse
morta sotto le ruote del suo generatore. Avrebbe dovuto morire
da molto tempo. Questo non era il modo di unire i mondi. Tutta
la Ricerca dei Restauratori e la scienza della Terra avrebbero
– 310 –
potuto trovare un metodo migliore. Riconobbe che Elta, su que-
sto punto, aveva avuto ragione.
Ma adesso che tutto era cominciato, il seguito non sarebbe
stato che un continuo succedersi di stragi sempre più sanguino-
se. Non si poteva tornare indietro, non ci si poteva fermare.
Forse quella sarebbe stata l’ultima, definitiva battaglia di quella
grande guerra che era stata semplicemente sospesa ai tempi di
Richard Simons.
Ketan rivolse la sua attenzione all’attacco contro i proiettori
che si trovavano nella città. Erano in posizione di stallo, e si
muovevano continuamente per ottenere la concentrazione di
energia sufficiente a contrastare i proiettori degli Statisti…
Energia… nel posto giusto… pensò Ketan: ecco quello di cui
avevano bisogno! Sarebbe bastato il raggio di un solo generatore
indirizzato sulla superficie indifesa del proiettore per squarciare
il suo metallo.
Si avvicinò all’operatore capo.
– Quando hai mandato a Danfer i nostri generatori, sono ar-
rivati lontano dal punto prescelto. È possibile ottenere una
maggior precisione?
L’uomo rispose senza sollevare lo sguardo.
– L’errore a Danfer è dovuto al fatto che non è stato possibile
vedere la posizione scelta prima di iniziare l’operazione. Se pos-
siamo vedere il punto preciso, non esistono margini di errore.
– Potresti, per esempio, trasportare un generatore all’interno
dello scudo di energia che circonda uno di quei proiettori?
– All’interno? – L’uomo sollevò incredulo lo sguardo per un
istante, poi ritornò ai suoi strumenti. – Certo!
Ketan si fece indietro, sotto lo sguardo interrogativo di Zeeter
e degli altri che si assiepavano intorno alla mappa, incapaci di
interrompere la posizione di stallo. Parlò sul circuito generale e
si rivolse ai piloti dei generatori che non erano ancora entrati in
azione.
– Voglio due volontari per una missione suicida! – disse.
Un’immediata adesione da parte non soltanto dei piloti in atte-
– 311 –
sa, ma anche di quelli che già si trovavano in città, sgorgò dal
microfono interno.
– Grazie – mormorò lui. L’unanimità degli uomini che ave-
vano risposto alla sua richiesta lo stupiva, pur conoscendo la
ferrea decisione dei Restauratori. Cercò d’immaginare una cau-
sa per cui tanti kronweldiani avessero offerto la loro vita, e non
riuscì a trovarne nessuna.
Per un istante si domandò se il suo pazzesco piano valesse la
pena di sacrificare la vita di due Restauratori, ma doveva tenta-
re; se non toccava a quei due, avrebbe potuto toccare ad altri
duemila.
– Perché non solleviamo gli schermi delle nostre Unità e la-
sciamo che combattano allo scoperto? – suggerì Zeeter. – Così,
non stiamo facendo nessun progresso.
– Perché, prima che la battaglia fosse decisa, mezza città sa-
rebbe spazzata via.
– Se i nostri generatori riuscissero a infliggere un colpo deci-
sivo, tutto finirebbe molto presto.
– Prima tentiamo questa azione. Se funzionerà, non dovremo
sollevare lo schermo.
Consultò l’enorme archivio che conteneva i dati relativi a tut-
ti gli uomini adatti al combattimento. Trovò i nomi dei due pilo-
ti in possesso dei riflessi più rapidi.
– Piloti 381 e 396 – ordinò. – Tenteremo di trasferirvi
all’interno dello scudo di energia, in modo che i vostri raggi,
orientati nella direzione che vi daremo, siano rivolti sui proiet-
tori Statisti. Dovete essere pronti ad agire immediatamente,
prima che gli Statisti si rendano conto di quello che sta acca-
dendo.
I due uomini compresero: avrebbero dovuto riuscire al primo
colpo, perché non ci sarebbe stato tempo per un secondo tenta-
tivo.
Un operatore trasferì le due macchine nella grande radura in
cui si svolgevano le manovre. Tutti gli occhi, nella grande sala
del Centro, erano puntati sui generatori pronti a entrare in
azione.
– 312 –
– Ora! – ordinò Ketan.
L’operatore azionò il comando e immediatamente le macchi-
ne svanirono.
Da un altro schermo una cascata di luce si riversò nella sala
accecando tutti quelli che lo stavano guardando.
Il metallo di una rete si volatilizzò immediatamente quando il
proiettore all’interno di essa fu colpito dal raggio del primo ge-
neratore che gli era apparso accanto, ma l’energia dell’atomo
investì anche il generatore, trasformandolo in vapore insieme al
suo coraggioso pilota.
L’immane forza dell’esplosione colpì dodici dei generatori
che si trovavano più vicini i quali si capovolsero e la forza dei
loro schermi protettivi fu l’unica cosa che impedì ai piloti di mo-
rire. Il secondo generatore che apparve accanto all’altro proiet-
tore Statista questa volta non creò lo stesso cataclisma: i due
oggetti, semplicemente, svanirono.
L’olocausto che seguì lasciò un profondo cratere nel quale
due proiettori nemici giacevano sventrati e semisepolti.
Ketan spostò la visione sui trenta generatori dell’Unità 9 di-
slocata a Danfer. E nello stesso istante vide un proiettore mate-
rializzarsi in mezzo a essi e cominciare a tempestare le macchi-
ne con i suoi terribili raggi. Presi di mira da quei raggi, e incapa-
ci di spostare le loro torrette, i generatori giacquero all’interno
del campo di forza creato dai loro schermi, ma poi la terrificante
energia che stavano assorbendo cominciò a fondere i circuiti
interni e lo schermo cadde. Uno per uno, i generatori sparirono
in un grande cratere che pareva una pozza di metallo fuso.
Solo dieci macchine riuscirono ad allontanarsi dal cratere, e
si stavano riallineando per dare battaglia.
Una di esse era completamente sepolta dalle rovine di un edi-
ficio che le era crollato addosso, e dal cumulo di rovine lanciò
un raggio violetto direttamente verso la cupola del proiettore.
Lo schermo della macchina divenne un inferno di fiamme bian-
che che avvolsero il proiettore in un scintillante mantello di lu-
ce. Probabilmente il proiettore Statista possedeva un dispositivo
creato frettolosamente, perché nessuno aveva pensato alla ne-
– 313 –
cessità di una difesa, quindi riuscì ad annullare solo parzialmen-
te l’energia del raggio del generatore.
Apparentemente sconcertato dallo strano attacco, il pilota del
proiettore cominciò a spazzare col suo raggio il territorio che lo
circondava. Il raggio trasformò gli edifici vicini in cumuli di ma-
cerie fumanti e fiammeggianti. Le malefiche dita di fuoco si pro-
tesero selvaggiamente sulla città e fino alle alture, in un grande
arco di fiamma, poi tornarono indietro e colpirono la massa di
detriti dalla quale veniva l’attacco. I detriti divennero un am-
masso di lava fumante.
Senza interrompere il flusso del raggio, il pilota del generato-
re uscì dalle macerie, e vide che lo schermo del proiettore Stati-
sta fiammeggiava e cedeva.
Contemporaneamente le altre macchine attaccavano con i lo-
ro raggi, e come una furia immensa delle generazioni che ave-
vano subito secoli di schiavitù, colpirono a morte il proiettore
che diventò una pozza di metallo fuso.
Nel Centro di controllo, Zeeter mise una mano sulla spalla di
Ketan e lo gratificò di un caldo sorriso di ammirazione.
– Questo sarebbe piaciuto ad Hameth – disse. – Con pochi
generatori che hanno attaccato dall’esterno, e con quello che
abbiamo mandato all’interno della rete siamo riusciti a rompere
una situazione che volgeva a nostro sfavore. Questo significa la
distruzione di un terzo delle loro armi, se le informazioni giunte
sono esatte.
Ketan non rispose. Sapeva che la distruzione di due o tre o
anche di tutti i proiettori Statisti non significava nulla. Erano gli
Statisti, e non le loro armi, che dovevano essere distrutti.
L’unico fattore decisivo di quel conflitto sarebbe stato
l’annientamento totale delle menti responsabili di quell’inferno.
E quelle menti erano al sicuro, nell’impenetrabile cittadella
degli Statisti.
– 314 –
CAPITOLO VENTOTTESIMO
– 315 –
mente violetta vi stava apparendo, ma sembrava una chiazza di
un candore abbagliante, tanto era in contrasto con la tenebra
che regnava nel Confine.
– Cos’anno fatto? – domandò Zeeter.
Ketan tentò una spiegazione.
– Hanno aperto una Soglia proprio al Confine, come è acca-
duto con il Tempio. Senza dubbio, è abbastanza grande da per-
mettere il passaggio del raggio.
– Ma l’energia radiante non può essere trasmessa da sola at-
traverso una Soglia!
– In quella zona, sembra che la cosa sia possibile. L’ho visto,
in relazione con la camera della nascita.
– Non possiamo localizzare il proiettore in quella posizione!
Potrebbe essere ovunque… sulla Terra, su Kronweld, o su cia-
scuno degli altri piani!
– Hai ragione. Non possiamo. – Ketan si voltò e osservò la
riproduzione in scala ridotta di Kronweld. – Dovremo sgombe-
rare la città. Chiama il servizio di emergenza e raduna delle
squadre di soccorso perché vadano in aiuto. Quando gli Statisti
scopriranno che la città è stata evacuata, cominceranno a cer-
carci, e si chiederanno come mai le nostre difese continuino a
funzionare. Allora ti affiderò il comando; io avrò un’altra mis-
sione. Ora, voglio cinquanta uomini delle squadre di soccorso,
immediatamente.
Zeeter si mosse per eseguire senza porre domande mentre
Ketan ritornò a osservare lo schermo. Vide il raggio distruttore
passare lentamente sulla città. Fece compiere un tentativo per
frapporre uno schermo tra il raggio e la città, ma il raggio conti-
nuò a muoversi regolarmente, e riuscì soltanto ritardare la sua
opera di distruzione.
Il raggio spazzò le rovine del Tempio e ridusse quello che re-
stava delle sue pareti in polvere e lava. La roccia fusa si riunì
lentamente in un lago che divenne sempre più alto, con la su-
perficie bianca che rifletteva le nubi di fumo che percorrevano il
cielo. Riempì la depressione nella quale si era trovato l’edificio,
formò una parete che esitò un istante prima di spezzarsi, come
– 316 –
in uno spaventoso incubo, e rovesciarsi in una fiumana di lava,
di metallo e di roccia fusa nei giardini e sulle strade allargandosi
a dismisura prima di raffreddarsi e fermarsi, in attesa che il rag-
gio fondesse altra sostanza per alimentarla.
Il raggio avanzò, immergendosi tra gli alberi e nei giardini.
Boccioli a migliaia sembrarono liberare nell’aria tutta l’essenza
del loro profumo, nell’istante precedente a quello in cui la furia
del raggio li trasformava in nubi di fumo, che andavano a rag-
giungere la caligine soffocante che gravava nell’aria.
Ketan osservò la favolosa casa del Maestro Daran sciogliersi e
fondersi, invadendo il meraviglioso giardino dalla stupenda fon-
tana con una fiumana di lava che seppellì ogni cosa sotto una
coltre informe.
Il raggio avanzò e spazzò la strada che sorgeva davanti al
Tempio. La sostanza plastica si fuse e cominciò a scorrere in un
fiume che passò sopra la massa solidificata di sostanza scesa dal
Tempio, spezzò ogni argine e avanzò terrificante e inarrestabile
verso il centro di Kronweld.
La distruzione era impressionante. La sua ferocia e la sua
metodicità quasi immobilizzarono Ketan. Osservò la forza sem-
pre crescente del fiume incandescente, la nube di fumo che si
alzava e si addensava sempre più, oscurando la luce dei due soli.
Improvvisamente Ketan fu riscosso dalla voce dell’operatore.
– La squadra è pronta.
Rapidamente, Ketan diede loro le istruzioni. Poi l’operatore li
radunò davanti a una Soglia, e li proiettò nella città, oltre
l’immensa distesa della Landa Oscura, e della Landa dei Mille
Fuochi. Uno dopo l’altro furono depositati in mezzo alle folle
isteriche che correvano nelle strade in preda al terrore. Ketan
seguì il giovane dal volto magro che era stato deposto vicino alle
rovine della Karildex. L’uomo corse nel salone gridando ai Ri-
cercatori frenetici e allucinati:
– Da questa parte! – urlò. – Correte se volete salvarvi. Il rag-
gio sta venendo da questa parte! Correte a nascondervi!
Poi girò per tutta la sala, continuando a gridare il suo avver-
timento.
– 317 –
Un paio di volte fu costretto schiaffeggiare degli individui che
l’orrore sembrava avere trasformato in statue di pietra.
Dopo qualche istante tutti quelli che si trovavano tra le rovi-
ne si misero a correre, in preda al panico, senza curarsi di cono-
scere la loro destinazione, desiderando solo fuggire. Non aveva-
no pensieri indipendenti; correvano nelle strade come una
grande massa in preda alla pazzia e al terrore.
Il giovane Restauratore incitò tutti quello che vedeva nelle
strade, ed essi si unirono alla marea in fuga.
Poi il passaggio fui immediato e la folla in fuga si trovò nella
valle coperta di neve.
La vista del nuovo ambiente non arrestò, per lo meno non
immediatamente, la fuga. Poi il vento gelido cominciò a sferzar-
li, e i fiocchi di neve si abbatterono sulla loro pelle.
Si fermarono, si guardarono intorno e tentarono di tornare
indietro, ma la Soglia si era chiusa dietro di loro. Allora, in pre-
da a una folle ira tutti si diressero verso il giovane Restauratore
che si trovava a una certa distanza, davanti alla porta spalancata
di un edificio. Qualcuno emise un grido isterico poi la folla si
gettò disperatamente verso la porta.
Solo quelli che avevano ormai perso ogni lume della ragione
rimasero a urlare e a correre per le strade di Kronweld, fino a
sprofondare in qualche crepaccio apertosi improvvisamente, e a
morire.
Erano morti a centinaia, Ketan lo sapeva, ma era deciso a
salvare tutti coloro che potevano essere salvati.
Mandò in missione altre squadre di soccorso fino a quando
non furono i soli ad aggirarsi nelle strade di Kronweld, ma rovi-
starono le case e gli edifici pubblici, entrarono in ogni possibile
nascondiglio. Salvarono un’altra dozzina di Ricercatori terrifica-
ti e urlanti, le cui menti avevano ceduto di fronte al massacro.
Ormai più di metà della città era stata distrutta. Ketan sapeva
che ora doveva agire.
Parlò nel circuito generale.
– Unità 11, 12 e 13, e i resti della 9 e della 10: preparatevi ad
attaccare la roccaforte degli Statisti.
– 318 –
Poi si rivolse a Zeeter: – Assumi il comando. Io vado.
– Ma dove?…
– Piloterò il grande generatore… e ci andrò dentro.
L’altro lo fissò, sbalordito.
– Non te… non è necessario. Ci sono altri piloti, uomini che si
sono esercitati a lungo con la grande macchina. C’è bisogno di te
qui.
– Non c’è nulla che tu non possa fare, qui. Questo è compito
mio, il Direttore è mio.
Entrò in una sezione del pavimento contrassegnata da un
grande cerchio, e fece cenno all’operatore di issarlo nella torret-
ta del gigantesco generatore. Per un istante, quasi si pentì del
suo piano. Certo, molti piloti erano più abili di lui nella manovra
del mostro meccanico, ma si trattava dell’ultima, estrema possi-
bilità di vittoria dei Restauratori, e il piano era suo: nessuno
poteva comprenderne pienamente lo scopo, all’infuori di lui.
Mise in azione gli spaventosi macchinari atomici, più com-
plessi e più grandi di quanto avesse potuto immaginare la fanta-
sia più sfrenata; quindi accese il dispositivo di emissione del
raggio.
A quel punto l’operatore del Centro fece lampeggiare un se-
gnale sullo schermo. Le Unità prescelte erano già entrate in
azione e i loro raggi si riversavano inutilmente sull’invisibile
superficie di cristallo che circondava la roccaforte.
Simultaneamente, girò l’interruttore che forniva l’energia
spaventosa al generatore. Per un istante, la vista gli si offuscò,
poi si trovò nella grande valle nella quale aveva assistito alla
morte di Hameth-Igon. Fu quasi sopraffatto dal desiderio di
scendere, di vedere nuovamente quello che restava di quel cor-
po artificiale.
Ma l’operatore stava chiamando di nuovo.
– Pronto.
Il terribile raggio del generatore squarciò lo spazio, pronto a
distruggere qualsiasi oggetto si fosse presentato sulla sua stra-
da. Aveva la potenza di dieci Unità di piccoli generatori mobili.
– 319 –
Attese il nuovo momento di oscurità, e quando venne chiuse
gli occhi, lottando contro la vertigine che lo assaliva, e le imma-
gini fantastiche dei mondi e degli spazi infiniti. Quando final-
mente terminò, Ketan riaprì gli occhi, ma per un istante non
capì quello che stava succedendo: non era arrivato all’interno
della roccaforte e inoltre il tremendo raggio del suo generatore
si era spento!
Guardò il quadro di comando, come allucinato. Il motore che
alimentava il raggio funzionava al massimo dell’intensità, i con-
vertitori che trasformavano l’energia in quella mortale fiamma
atomica funzionavano regolarmente, ma nonostante questo il
raggio non scaturiva.
Fuori, davanti a lui poteva vedere la roccaforte degli Statisti
avvolta da una sfera di fuoco causata dai raggi dei generatori
che continuavano a convergere su di essa.
Sarebbe stato felice di vedere la sfera infrangersi, se fosse sta-
to certo che il Direttore sarebbe morto nello stesso tempo, ma
nell’edificio non si vedeva alcun segno di vita o di attività.
Quell’immensa costruzione silenziosa avrebbe potuto contenere
diecimila abitanti, senza che la loro presenza fosse neppure no-
tata.
Spense l’inservibile generatore atomico. Si mosse verso il
portello, ma prima di uscire, si assicurò sulle spalle una piccola
unità atomica e impugnò un’arma che da essa traeva energia.
Quando uscì, fu preso da un curioso senso di instabilità. Co-
me se il terreno sul quale procedeva fosse composto di materia
fusa e lo sostenesse solo grazie a uno sforzo di immaginazione.
Il suolo sembrava torcersi e ondeggiare mentre procedeva verso
l’edificio.
Fuori, oltre la barriera, il mondo era nascosto da un uragano
di fuoco. Anch’esso sembrava stranamente irreale, visto come
attraverso una cascata di acqua corrente.
Raggiunse l’entrata dell’edificio e in quel momento il terribile
tuono dei raggi dei generatori si zittì per permettergli di proce-
dere.
– 320 –
Entrò dalla porta. Il corridoio era fiocamente illuminato… e
vuoto. Tenendo davanti a sé l’arma puntata, avanzò lentamente,
aspettando da un momento all’altro di essere attaccato. Non
ricordò di aver visto quel posto nella sua visita precedente, nes-
suno dei passaggi che aveva percorso, nessuna di quelle scale
mobili che comunque non erano in funzione.
Risalì il corridoio e raggiunse il livello superiore.
All’estremità opposta c’era una porta che si apriva su una gran-
de sala all’interno della quale c’era della gente.
Si appiattì contro la parete respirando lentamente. Era entra-
to così precipitosamente nel corridoio che non potevano avere
fatto a meno di vederlo. Ma nessuno parve accorgersi di lui.
C’era qualcosa di strano in quelle figure: cautamente, con
l’arma in pugno, avanzò. Poi, bruscamente, si rilassò.
La mezza dozzina di persone che vedeva dal di fuori della
porta si trovavano grottescamente immobilizzate nelle loro po-
sizioni: tutte morte. Si avvicinò alla porta e vide che nella sala
c’erano almeno cento cadaveri di Statisti, ma non riuscì a capire
quale fosse stata la causa della loro morte.
Non c’era più nulla da scoprire in quella sala, quindi conti-
nuò ad avanzare nel corridoio, curiosando in tutte le stanze e
nelle sale che si aprivano su di esso. Raggiunse un altro salone,
più piccolo, e trovò un altro gruppo di cinquanta Statisti, cada-
veri anch’essi.
Poi con un sobbalzo riconobbe il posto dove si trovava. Cono-
sceva quel corridoio, riconosceva la porta chiusa che c’era da-
vanti a lui. Allora, senza esitazione, sollevò con un gesto rapido
l’arma e bruciò la porta.
Subito una voce gli disse: – Sei un giovane impetuoso, ma è
quello di cui c’è bisogno. – Quella voce riempì l’aria e gli fece
rizzare i capelli.
– Direttore!
– “Il Direttore”, prego. Avvicinati. Non c’era bisogno di rovi-
nare la mia porta. Speravi di avere l’opportunità di incontrarmi,
vero?
– 321 –
– Certo! – rispose Ketan. – E adesso sarò in grado di dimo-
strarti che nonostante il condizionamento di Kronweld, posso
uccidere senza esitazioni. – Sollevò l’arma e la puntò sul cilin-
dro che conteneva il Direttore.
– Hai dimenticato lo schermo che mi protegge? – domandò
con un tono divertito.
– Troverò il punto debole. In tutti i circuiti, da qualche parte,
c’è un’energia che riuscirò a staccare, e ti farò morire lentamen-
te dietro al tuo schermo.
– Ah, sì, è proprio vero. – Il Direttore sospirò, come se fosse
pervaso da una stanchezza infinita. – Però, prima parliamo, poi
rimuoverò io stesso lo schermo e ti lascerò fare come desideri.
Non sei curioso di sapere chi io sia?
– Tu sei il Direttore. E questo mi basta.
– C’è un mio amico, qui, che forse ti piacerebbe incontrare
prima di finirla con me.
Istintivamente, Ketan girò il capo: alla sua sinistra una porta
si aprì improvvisamente e apparve un uomo.
Ketan fu così sorpreso che per poco non lasciò cadere l’arma.
– Hameth!
La figura seminuda avanzò a braccia aperte, ma quando si
avvicinò, Ketan vide la parete attraverso il corpo.
Apparve poi una seconda figura, subito seguita da un’altra.
Ognuna di esse era una copia di Hameth: tre Hameth! Erano
duplicati, tranne che in un particolare: ciascuna era più giovane
di quella precedente, di almeno una dozzina d’anni.
– Piuttosto buone, vero? – disse la voce del Direttore.
Ketan non rispose. Stava cercando una risposta, e l’unica che
riuscì a trovare era anche la più incredibile.
– Adesso comprendi? – disse la voce del Direttore. – Hai vi-
sto i frammenti di Hameth sotto le ruote del tuo generatore. Io
l’ho creato. Io parlavo per mezzo suo, ti influenzavo e guidavo la
Restaurazione per mezzo suo. Capisci cosa significa?
Ketan si sentì confuso da pensieri contrastanti. Ma poi co-
minciò a capire l’incredibile realtà.
– Tu sei Igon? Ma perché sei qui?
– 322 –
Seguì un attimo di silenzio, poi la voce parlò di nuovo.
– Sai immaginare un nascondiglio migliore… o più efficace?
– Non capisco… Tu hai sterminato gli Illegittimi… e hai cau-
sato la distruzione di Kronweld…
– La tirannia degli Statisti è stata molto meno sanguinaria di
quanto sarebbe stata con un altro al mio posto. Ho mitigato le
sofferenze degli Illegittimi in mille modi, ho cercato di alleviare
la vita della gente delle nostre città. Ho rimandato prima, ed
evitato poi, la distruzione dei kronweldiani.
«Perché credi che abbia permesso a Elta di distruggere il Se-
lettore? Pensavi che gli Statisti fossero così stupidi e inefficienti
da non riuscire a scoprire il suo piano? Dovevo permetterle di
distruggere la macchina, perché non eravate pronti. I Restaura-
tori non erano pronti a sostenere l’attacco.
– Cosa le hai fatto?
– Si trova nel pinnacolo con suo padre, Javins, e con William.
Sono prigionieri di Bocknor che sta dirigendo l’attacco a Kron-
weld.
– Elta… è viva! – Ketan sentì un fremito nella schiena, e
mentalmente recitò una preghiera di ringraziamento.
– Come posso raggiungerla?
– Per il momento è al sicuro. Ci sono molte cose che devo
dirti, Ketan. Non vivrò ancora per molto. Minuti, forse. Ho resi-
stito solo per il desiderio incrollabile di vedere il mio lavoro rea-
lizzato e di vedere te al mio posto.
– Ma cosa stai dicendo? Come potrò mai prendere il tuo po-
sto? – chiese, sempre più sorpreso Ketan.
– Ci sono molte buone ragioni perché tu lo faccia. Prima di
tutto, perché tu sei il mio erede.
– Cosa significa?
– Significa che tuo padre era mio figlio.
Il volto di Ketan sbiancò.
– Mio padre… sai dirmi dove si trova… e mia madre…
– No! Rimasero uccisi nella stessa esplosione che ridusse il
mio corpo a una semplice metà di un essere umano. Facevano
– 323 –
parte del nostro gruppo e conoscevano i progetti che avevo su di
te.
– Vorrei… vorrei averli conosciuti. Ma… – Ketan guardò la
figura raggrinzita e una strana e sconcertante emozione si im-
padronì di lui. –… non avrei mai potuto immaginare che tu fos-
si mio parente. Forse quando saprò tutto… sarò orgoglioso di
esserlo.
– Sono lieto che tu dica questo. Mi domandavo se le normali
emozioni dei rapporti familiari avrebbero mai potuto toccarti.
Tua madre temeva che sarebbe accaduto il contrario, quando ti
lasciò andare a Kronweld.
– Quali erano i tuoi piani? Io ho sempre sospettato che mi
accadessero cose che non dipendevano dalla mia volontà.
– Questo è vero, ma credo che tu alla fine converrai del fatto
che non ti ho negato nulla e che ti ho sempre protetto.
«Tutto cominciò con il desiderio di vedere uno dei miei di-
scendenti completare il lavoro che io avevo iniziato, perché sa-
pevo che non sarei vissuto per vederne la fine.
«Nella posizione di Direttore, fui in grado di esaminarti alla
nascita e di leggere le schede che riferivano delle tue possibilità.
Tu possedevi le caratteristiche di cui avevo bisogno, nella quasi
totalità. Sapevo che tu saresti diventato l’uomo capace di ripor-
tare indietro il popolo perduto di Richard Simons. Tuo padre e
tua madre alla fine diedero il loro consenso, e io ti feci attraver-
sare la Soglia, in modo che tu trascorressi a Kronweld i primi
anni della tua vita.
«Il Selettore ti avrebbe prescelto automaticamente e avrebbe
impresso nella tua mente lo stimolo al ritorno sulla Terra, come
è accaduto a me. Durante questi anni io sono stato l’unico a co-
noscere la tua identità. Ma l’ho nascosta perfino a tua nonna,
Matra, che era furiosa con me, ma io non osavo permettere a
nessun altro di conoscere la tua identità.
«Finalmente, lei ti individuò da sola e cercò di coinvolgerti
nel suoi piani personali. Le avevo ordinato di controllare le in-
formazioni che passavano per il Tempio, ma Hoult e Daran co-
minciarono a darle fastidio. Decise di liberarsi di loro, e quando
– 324 –
ti individuò fu sicura che tu l’avresti aiutata. Non sapeva che la
mente di Elta stava gradualmente cambiando, naturalmente,
perciò incluse anche lei tra le persone che dovevano essere eli-
minate.
Ketan ripensò per un istante a quella notte, quando era stato
presente alla morte della vegliarda nel Tempio della Nascita.
Ripensò alla strana ondata di sentimenti che aveva provato per
lei. Si chiese se fossero dovuti al suo legame di sangue e rim-
pianse di non avere saputo della sua identità.
– Ti ho seguito per tutti questi anni – disse Igon. – Ti ho
guidato e ti ho consigliato. Di quando in quando ho mandato dei
miei inviati speciali per dirigerti lungo la strada desiderata. Ma
non devi pensare di essere stato costretto a seguire una strada
per forza. Tutt’altro, semplicemente, ti ho fornito degli stimoli
artificiali per portare alla luce le qualità e le iniziative che tu do-
vevi sviluppare.
Ketan ripensò a Branen, l’amico leale, e mille piccoli inciden-
ti gli furono chiari d’un tratto, mentre prima erano stati enigmi
inesplicabili.
– Ecco perché Branen mi spingeva avanti così gentilmente
ma con tanta insistenza. Non sarei mai riuscito a capirlo. Cerca-
va di annullare la sua personalità in mille modi, ma era come
un’ombra che mi seguiva e costruiva la mia personalità quando
dubitavo di me stesso. Anche quando tentò di dissuadermi a
chiedere l’udienza pubblica davanti al Consiglio, immagino che,
in realtà, mi stesse spingendo avanti.
– Proprio così, certo – disse Igon. – È il compito che gli ave-
vo affidato. Molti altri Restauratori, tra i Non Registrati, fecero
lo stesso per te. Ti sorvegliavano e ti istruivano e poi facevano
rapporto a me.
«Quando fosse venuto il momento di tornare indietro, volevo
che uno degli Hameth, come Varano, fosse con te. Non volevo
che tu concepissi qualche sogno fantastico, basato sulle infor-
mazioni ottenute a metà, come è accaduto ad alcuni di coloro
che sono tornati indietro. Due di loro divennero così fanatici che
fui costretto a ucciderli. Era la massa di sapere fornita dal pin-
– 325 –
nacolo, l’unica responsabile. Le loro menti non erano sufficien-
temente forti da riuscire a valutarla propriamente, anche se
erano stati scelti dal Selettore. Tu, invece, ti sei comportato be-
nissimo: hai valutato i fatti con notevole esattezza. La tua debo-
lezza era costituita dal fatto di avere sottovalutato la complessità
delle reazioni dei kronweldiani, basandoti sulle tue reazioni per-
sonali, ma era un errore naturale, considerando l’ambiente in
cui eri cresciuto. Elta compì una valutazione migliore della tua,
solo perché aveva un maggior numero di fatti sui quali basarsi.
Ma fino a poco tempo fa, non è riuscita affatto a comprendere la
meta di Richard Simons e del suo gruppo.
«Anche senza l’aiuto di Varano, tu hai avuto le giuste reazio-
ni, così è stato inutile un mio ulteriore intervento, tranne quello
indispensabile a rimandarti a Kronweld per raggiungere i Re-
stauratori.
– Continuano a esserci molte cose che non capisco – disse
Ketan. – Se Varano era soltanto uno degli Hameth, una mac-
china, perché ha accusato il mio pugno alla mascella, e si è ad-
dormentato con l’iniezione che gli ho praticato?
– Perché non doveva destare i tuoi sospetti. Doveva agire in
modo naturale. Rivelarti che si trattava di una macchina avreb-
be potuto distruggere l’equilibrio che stavi faticosamente rag-
giungendo proprio in quel periodo. Sarebbe stato un disastro se
tu avessi scoperto la verità.
Ketan guardò quel suo parente quasi con un senso di risen-
timento.
– Non possiamo restare qui a parlare. Si sta combattendo
una guerra e i miei generatori stanno attaccando questo edificio.
Il nostro discorso può attendere.
– No, c’è tempo – disse il vecchio. – E non provare risenti-
mento per quello che ho fatto, Ketan. Pensaci per un istante e
capirai. Tu sei al corrente degli ideali di Richard Simons e di
conseguenza sai che ogni misura indispensabile per portarli a
buon fine era giustificata.
«Dopo essere cresciuto a Kronweld, tu eri come una pianta
cresciuta in un ambiente artificiale. Bisognava istruirti e la tua
– 326 –
mente doveva essere preparata con estrema cura per ogni passo
che dovevi intraprendere. Ti ho guidato da William, che era
l’uomo più qualificato a mostrarti gli Illegittimi e il loro conflit-
to. Ti ho rimandato a Kronweld in modo che tu comprendessi le
loro reazioni alla verità che tu avevi detto. Ora sai come la pen-
sano e questo ti permetterà di trattare con loro.
«Sappi, però, che io non ho tentato di controllarti, né ho de-
siderato farlo. Ti ho solo insegnato. Ma adesso per me è ormai
arrivata la fine. Ora tocca a te continuare. Questo edificio, come
hai certamente capito, non riuscendo a penetrare con il tuo ge-
neratore, è leggermente spostato rispetto al piano della Terra.
Questo rende i raggi atomici inutili in questo spazio. Gli Statisti
morti che hai visto di sotto, sono alcuni dei capi che ho chiama-
to qui, dicendo di mettersi al sicuro, quando voi avete iniziato
l’attacco. Li ho distrutti per aiutarti nel tuo compito, ma ce ne
sono altri, che combatteranno e dovranno essere sopraffatti.
«Il più pericoloso di tutti è Bocknor. Se sapesse di essere
sconfitto, tenterebbe di distruggere il pinnacolo e il regolatore e
tagliarvi fuori per sempre. La sistemazione del regolatore può
essere messa a punto solo dopo migliaia di anni di prove e di
errori.
– Allora devo tornare subito al pinnacolo! – urlò Ketan.
– C’è tempo. Prima che tu vada, voglio sapere quali sono le
tue idee su come governeresti il mondo.
– Idee? Dovranno essere le tue idee, non le mie. Io avevo dei
piani, ma erano impetuosi e formulati senza esperienza. Esegui-
rò i tuoi progetti per istruire e orientare i kronweldiani. Ci sarà
della confusione per un certo periodo, ma con le comunicazioni
e il trasporto… – Si fermò bruscamente, come se tutti i suoi
pensieri e tutti gli avvenimenti trascorsi fossero giunti davanti a
una terribile barricata, eretta dall’ultima domanda di Igon. Già
Elta aveva formulato quella domanda, ma allora lui non ne ave-
va capito il significato.
– Governo? – Ketan pronunciò la parola, mentre nella sua
mente si rincorrevano le immagini di milioni di persone igno-
ranti e oppresse, gente della Terra che con la fine della tirannia
– 327 –
degli Statisti avrebbero gioiosamente rotto ogni freno. Centinaia
di migliaia di Illegittimi barbari e impulsivi, ma anche un mani-
polo di sbalorditi e attoniti Ricercatori di Kronweld.
E in quello stesso momento comprese il significato delle pa-
role di Elta.
Chiuse la sua mente di fronte alla scena e cercò di non pensa-
re alla complessità del problema, poi fu abbagliato dalla sua
semplicità.
– No, non cercheremo di governarli – disse finalmente. –
Lasceremo che si governino da soli. È stato sempre il sistema
migliore. E dovrà essere così. Noi non governeremo; noi inse-
gneremo. Per un certo periodo dovremo essere gli amministra-
tori, ma consegneremo tutto nelle loro mani, alla fine.
«E daremo loro la Karildex. Questo sarà il nostro dono, e alla
fine si rivelerà l’oggetto capace di realizzare il sogno di Richard
Simons. Tutti i governi antichi hanno fallito perché i rappresen-
tanti del popolo non riuscivano a esprimere i veri desideri della
comunità, ed era impossibile radunare intorno a un tavolo mi-
liardi di persone per formulare le loro leggi.
«La Karildex renderà possibile questa impossibilità. I desi-
deri e i voleri dei membri più lontani di una società così com-
plessa come quella che si creerà, non saranno sottovalutati al
momento di formulare le leggi. Mi chiedo come mai la civiltà
antica non abbia mai compreso che per risolvere il problema del
governo ideale sarebbe stata necessaria una macchina.
– Mi domandavo se l’avresti capito – disse solennemente
Igon. – Tutto il contributo di Kronweld alla civiltà consiste nel-
la Karildex come metodo di governo. È una giustificazione suf-
ficiente per l’intero esperimento di Richard Simons. Lui ha di-
mostrato che le menti selezionate dalle sue macchine non pote-
vano perdersi nelle piccolezze della politica come sistema di go-
verno; quelle menti scelte da Richard Simons eliminarono il
problema il più presto possibile e costruirono un mezzo di con-
trollo che era quasi automatico nel suo funzionamento.
«La debolezza di Kronweld, che è quasi riuscita a distrugger-
la, era una debolezza comune agli esseri umani, la disposizione
– 328 –
alla superstizione, e l’unico rimedio per la superstizione è la co-
noscenza. Tu hai cercato di dare a Kronweld questa conoscenza.
A volte l’istruzione deve essere impartita violentemente, come
stiamo facendo adesso. Non c’era altro sistema. Kronweld stava
lentamente marcendo per la sua involuzione intellettuale. Aveva
cominciato la sua parabola discendente.
«Ma, soprattutto, c’è una cosa che devi insegnare al popolo:
costruire, usare e rispettare le macchine. La macchina è il segno
che distingue l’uomo dagli animali. È la manifestazione
dell’intelligenza, ma l’intelligenza senza manifestazione è sol-
tanto fumo. Nella Seconda Era Oscura l’uomo ebbe paura delle
macchine e fece voto di vivere senza di esse e così diventò qual-
cosa di simile alle bestie, incapace di muoversi più velocemente
di quanto consentissero le sue gambe, incapace di parlare a di-
stanza maggiore di quella consentita dalla sua voce.
«Insegna al popolo a costruire e sognare macchine sempre
più grandi, finché esse non potranno raggiungere le stelle. La
macchina è la poesia dell’uomo e la sua musica e tutta la sua
arte. Non dimenticare mai questo concetto. Non commettere
mai l’errore commesso dagli antimaterialisti.
– Non lo farò – promise solennemente Ketan. – Ma tu ades-
so devi tornare indietro con me. Devi parlare ai kronweldiani,
devi raccontare loro qual è stato il tuo lavoro.
– No… no, loro adesso devono guardare te. Io rimarrò una
leggenda, la leggenda del grande iconoclasta di Kronweld. Ora ti
manderò indietro, al pinnacolo, dove dovrai affrontare Bocknor.
Farò ritornare la tua macchina nella valle della Landa Oscura, e
quando te ne sarai andato, io andrò un po’ più lontano. Esiste
un piano in cui la morte è rapida e dolcissima.
«Addio, Ketan, figlio di mio figlio!
– 329 –
CAPITOLO VENTINOVESIMO
– 330 –
L’immagine della ragazza passò con grazia tra gli alberi e tra i
fiori, nella brezza profumata.
Ketan vide l’uomo che si trovava al di là degli alberi, in lonta-
nanza: era uno Statista, armato e dall’aspetto arrogante.
Ketan si alzò e seguì Dorien. Doveva chiederle come fare a
raggiungere Bocknor che stava guidando l’attacco contro Kron-
weld. Igon era sembrato calmissimo, come se la battaglia fosse
già decisa, ma Ketan sapeva che i Restauratori potevano ancora
perdere, e allora sarebbe stata la catastrofe. Si domandò se fosse
già iniziato l’attacco alla valle, o se Bocknor non era stato capace
di localizzarla.
Tentò di raggiungere Dorien, ma non riuscì neppure a tenere
il suo passo, poi la vide vicina allo Statista. L’uomo aveva abbas-
sato la sua arma e la stava abbracciando. Ketan guardò senza
comprendere.
In quell’istante fu accecato da una terribile fiammata. La luce
e lo spostamento d’aria lo fecero cadere a terra. Quando si rial-
zò, Dorien stava ritornando e lo Statista era completamente
scomparso.
Poi capì cosa era accaduto, e fu percorso da un brivido, al
pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se non lo avessero
identificato quando era caduto all’interno del pinnacolo per la
prima volta. L’energia che si trovava latente in quelle immagi-
ni…
– Adesso portami da Bocknor… e da Elta – le disse.
– Devi stare attento. Ci sono molti Statisti…
Percorsero la solita strada e si trovarono nel salone di mar-
mo. Là, uno Statista li stava aspettando e quando vide Ketan
sollevò istantaneamente la sua arma. Anche l’arma di Ketan era
pronta, ma lui fu più lento. Lo Statista schiacciò il pulsante e un
germoglio di fuoco apparve nell’aria.
Dorien lo fermò. Balzò davanti a Ketan, mentre il raggio la
colpiva, ma lei continuava a correre a braccia aperte verso lo
Statista ansimante e incredulo.
– 331 –
L’uomo fece fuoco altre due volte, e il raggio avvolse la figura
della ragazza di un alone terrificante. Infine arrivò su di lui, e lo
strinse forte tra le braccia.
Ketan si voltò e si coprì il volto con le mani, ma nonostante
questo la terribile luce dell’esplosione sembrò attraversare il suo
corpo e arrivare direttamente al cervello.
Subito dopo Dorien tornò verso di lui, con un sorriso.
Attraversarono i recessi del pinnacolo senza incontrare altri
Statisti, ma rimasero entrambi pronti a ogni apparizione, anche
se Ketan comprese che la sua attenzione probabilmente era inu-
tile, in confronto all’individuazione automatica della quale do-
veva senz’altro essere dotata Dorien.
Raggiunsero una grande porta, davanti alla quale Dorien esi-
tò. – Il mio potere sarà pericoloso per gli altri, se lo uso là den-
tro.
– Aspetta finché non te lo chiederò – disse Ketan. – Forse
non sarà necessario.
Quando aprì la porta, la scena che gli si presentò fu come una
collezione di immagini di cera.
Due operatori Statisti si voltarono di scatto dai loro pannelli.
Davanti a loro, il corpulento Bocknor era in piedi, a bocca aper-
ta. Più oltre, in una piccola alcova, Elta e Javins e William erano
legati a una parete.
La mano di Bocknor si posò sull’arma che portava al fianco.
– Come hai fatto a entrare?
– Mi manda il Direttore. Non riesce a entrare in contatto con
te. Vuole sapere cos’è che non va.
– Qui non c’è niente che non va! È un trucco. Io ti…
– Perché, allora, non chiami il Direttore?
– Chiamalo! – ordinò Bocknor a un operatore. Poi si rivolse a
Ketan. – Non so come tu ci abbia scoperti, ma ormai tutti i
trucchi del mondo non ti serviranno più a nulla. Guarda che fine
ha fatto la tua città: l’abbiamo distrutta!
Indicò uno schermo sul quale si vedeva la città in fiamme,
abbattuta quasi interamente. Si vedeva solo un lago di materiale
fuso e ribollente.
– 332 –
In quell’istante, Elta urlò: – Ketan!
Ketan lottò con tutte le sue forze contro l’impulso di rispon-
dere al suo richiamo, ma non poteva distrarsi, quindi tenne gli
occhi fissi su Bocknor.
L’operatore stava trafficando sulla consolle. Finalmente in-
quadrò la scena… la zona sulla quale c’era stata la roccaforte
degli Statisti. Adesso si vedeva soltanto una depressione semi-
circolare sul terreno, profonda quanto era stato alto l’edificio.
Bocknor ansimò e bestemmiò. I suoi riflessi funzionavano
lentamente, e l’unico risultato della sorpresa fu una mancanza
di coordinazione nei movimenti del suo grasso corpo. Ketan
approfittò del momento e balzò.
Afferrò la pistola di Bocknor e gli torse il braccio con tutte le
sue forze. Faticò terribilmente a far cadere l’arma dalla sua ma-
no, perché Bocknor era molto forte.
Finalmente l’arma cadde al suolo e rimbalzò lontano da loro.
Ketan continuò a torcere il braccio, poi spostò da un lato tutto il
suo peso e fece cadere a terra l’avversario, il quale si aggrappò a
Ketan e lo trascinò a terra insieme a lui.
I due operatori balzarono in piedi: uno di loro accorse in aiu-
to del capo mettendo violentemente un piede sulla mano di
Ketan, e facendogli cedere il polso. Nella nebbia provocata dal
violento dolore, Ketan vide che il piede dell’altro Statista si sol-
levava per abbattersi sul suo volto. Attese e quando il piede
dell’operatore si abbassò, Ketan gli afferrò la gamba e la torse,
alzandosi nello stesso tempo. L’uomo cadde, mentre un altro
pugno di Ketan si abbatteva su Bocknor.
Nel frattempo il primo operatore aveva raccolto la pistola e
aspettava freddamente che Ketan si alzasse, puntandogli l’arma
alla schiena. Quando Ketan se ne accorse, più per istinto che per
altro, tentò di scattare, ma in quell’istante Dorien apparve die-
tro lo Statista. Non si avvicinò molto, né allungò la mano per
toccarlo. Rimase in piedi dietro di lui, come cercando di valuta-
re esattamente la distanza. Poi lo Statista fu avvolto da un alone
di luce dorata che riempì l’aria e un attimo dopo l’uomo stra-
mazzò sul pavimento.
– 333 –
L’altro operatore, che aveva assistito alla scena, si mise in gi-
nocchio, pietrificato dal terrore, perché Dorien stava avanzando
su di lui.
– No! – gridò Ketan. – Voglio occuparmene io.
Ma ormai la mano di Dorien aveva toccato l’uomo. Il suo
lungo grido di dolore echeggiò nella sala e poi il suo cadavere
bruciato cadde.
Bocknor strisciò sul pavimento. Dorien lo guardò accigliata.
– Hanno spogliato il nostro reliquiario – disse lei. La sua vo-
ce era carica di amarezza.
– Lascia vivo quest’uomo – le ordinò Ketan, – lui ha rovinato
Kronweld. L’ha ridotta come desiderava, e adesso deve vivere
laggiù!
– Fa’ come vuoi. – L’alone dorato si spense.
Bocknor si stava alzando in piedi, tremante di paura, e nono-
stante questo trovò la forza di agitare il pugno in segno di sfida.
Ma ormai non costituiva più un pericolo.
Cadde nuovamente a terra, quando Ketan lo colpì sul volto e
rimase semincosciente, allora Ketan lo trascinò in un punto al
centro dei pavimento. Poi, dopo aver esaminato il pannello dei
comandi, regolò un paio di apparati.
Istantaneamente, l’inferno che Kronweld era diventato si aprì
accanto a lui. Allora diresse la Soglia ai confini della Landa dei
Mille Fuochi, schiacciò un pulsante, e Bocknor scomparve dalla
sala. Adesso giaceva sulle sabbie radioattive ai margini della
Landa dei Mille Fuochi.
Infine Ketan chiuse la Soglia.
Poi andò dai tre prigionieri, tagliò i loro legami e abbracciò
Elta, che lo strinse piangendo.
Javins e William lo accolsero con entusiasmo.
– Non speravamo più di rivederti – disse William. – Erava-
mo ormai rassegnati che Bocknor avesse vinto.
– Non con Igon a governare le cose – sorrise Ketan. – Lui
non ha mai perduto il controllo della situazione.
– È morto? – chiese Javins.
Ketan annuì.
– 334 –
– Igon era il Direttore? – domandò con voce malferma Elta.
– Non capisco…
– Devo raccontarvi molte cose, ma prima dobbiamo vincerà
la battaglia. Ritornò alla consolle dei comandi e chiamò Zeeter,
al Centro.
– Ketan – disse felice il vecchio comandante quando lo vide
sullo schermo: – Credevo che fossi morto.
– Non importa. Dimmi come vanno le cose.
– Kronweld è distrutta. Immagino che tu lo sappia. Ma non è
tutto. Il Confine sta spezzandosi e la Landa dei Mille Fuochi sta
avvampando come mai è accaduto. Sembra che tutta la Landa
stia per esplodere!
– Un istante. Fammi vedere. Ti richiamo subito.
Ketan spostò la visione dal Centro a Kronweld.
All’esterno della valle, la visione presentò i picchi e le valli
coperte di neve, e quando inquadrò la pianura spoglia, Ketan
trattenne un’esclamazione di rabbia. Numerose voragini si sta-
vano aprendo sulla superficie, erano spaccature enormi che si
stendevano per distanze incredibili. Mentre la visione si sposta-
va, vide mandrie di bors correre pazzamente, inseguite dai cre-
pacci che si aprivano ovunque e molti animali ci cadevano den-
tro. Più avanti, una tempesta flagellava il cielo e riempiva di
esplosioni di luce la pianura, mentre eruzioni di fuoco e di fumo
si intravedevano a grande distanza dai confini della Landa dei
Mille Fuochi.
Spostò l’immagine su quella zona: il grande lago fuso che
aveva attraversato con Varano era un inferno che ribolliva,
proiettando ondate di lava molto lontano dai suoi margini. Un
nuovo vulcano eruttava, scagliando verso il cielo materiale fuso,
e blocchi di pietra grandi come palazzi.
Un fuoco mortale raggiungeva il cielo e cadeva in mille scin-
tille sulle rocce.
Ketan si sentì impotente. – L’intero mondo sta esplodendo –
disse triste Elta. – Le radiazioni dei generatori e dei proiettori
devono aver sconvolto il suo equilibrio.
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Ketan spostò la visione sul punto in cui la Landa dei Mille
Fuochi incontrava il Confine. La vista che gli si offrì lo costrinse
quasi a distogliere lo sguardo, tanto era impressionante la sua
selvaggia bellezza.
Lo stesso Confine sembrava in fiamme.
Una cortina di fuoco si stendeva all’infinito, sopra Kronweld,
come una cascata di fuoco liquido.
Ketan, preso da scoramento, capì che ormai non avrebbe mai
più potuto scoprire i segreti del Grande Confine.
Si voltò e gridò all’Illegittimo: – William, dobbiamo portarli
qui tutti. Gli Illegittimi possono occuparsi di loro?
– Vuoi dire tutti quelli della valle?
– Portali a Danfer, invece! – suggerì Javins. – Non possono
andare nei villaggi primitivi degli Illegittimi.
– Sono circa ventimila. Porteremo in città i Restauratori. Tu
ti occuperai della loro sistemazione, Javins. I kronweldiani, in-
vece, li manderemo nei villaggi. William, pensi che la tua gente
possa occuparsi di loro?
William annuì. – Avevo quasi terminato il mio lavoro di
riorganizzazione. Mi chiedo se Igon avesse previsto…
– Allora ti occuperai tu della loro sistemazione. Potrai dare le
istruzioni ai capi dei villaggi.
Ketan ripensò al primo giorno, nel quale aveva camminato
nelle strade del villaggio degli Illegittimi: quei loro volti fieri e
decisi… chissà se sarebbero riusciti a unirsi ai kronweldiani,
lavorare insieme e imparare da loro…
Certamente all’inizio ci sarebbero stati dei contrasti, ma fra
essi sarebbe nata la comprensione e i villaggi degli Illegittimi
sarebbero diventati città e le città sarebbero diventate i nuclei di
una nuova civiltà. Col tempo, quando avessero imparato ad ap-
prezzare la loro eredità e il loro nuovo mondo, i kronweldiani
sarebbero saliti alle loro posizioni di comando, ma prima avreb-
bero dovuto guadagnarsele.
Ketan ritornò a occuparsi di Zeeter. – Trasferiremo tutti il
più presto possibile. Raduna tutti i kronweldiani in gruppi di
cento che porteremo qui. Controlleremo da qui il trasporto. Nel-
– 336 –
lo stesso tempo trasferisci i Restauratori, in gruppi numerosi, a
Danfer. Abbandonate ogni cosa. Non c’è tempo per trasferire
nulla, all’infuori della popolazione.
Zeeter sembrò stordito per un istante, come se fosse incapace
di comprendere l’entità della catastrofe, poi parlò fermamente.
– Darò gli ordini necessari.
Dalla valle giunsero dei tecnici, che sciamarono nel pinnaco-
lo. Coloro che vi erano giunti per la prima volta frenarono la
loro meraviglia e l’eccitazione naturale e lavorarono duramente
sotto la direzione di Richard Simons, Dorien e Ketan.
Dalla grande riserva di macchine e materiali del pinnacolo
ottennero uno schermo di protezione che disposero intorno
all’edificio, perché esistevano ancora tre, forse quattro proiettori
Statisti in libertà, e non sarebbero stati al sicuro fino a quando
non li avessero trovati e distrutti.
I generatori che avevano attaccato Danfer furono disposti in
formazione protettiva, pronti ad attaccare non appena una delle
macchine nemiche fosse comparsa.
E bisognava occuparsi ancora di molte centinaia di Statisti.
La polizia d’emergenza degli uomini della Restaurazione ebbe
l’incarico di individuarli e di eliminarli immediatamente.
Davanti alla consolle di comando, Ketan ed Elta osservarono
il rapido trasferimento dei kronweldiani nei villaggi. Circa un
migliaio di capaci Restauratori stavano occupandosi di quel
compito titanico, e William dirigeva l’intera operazione.
– Ecco qualche membro del Consiglio – disse Ketan. – C’è
Anot, e c’è anche Nabah. Vorrei sapere cosa pensano adesso del
loro piccolo mondo nel quale, secondo loro, ormai era stato sco-
perto quasi tutto quello che c’era da scoprire.
– Per loro è la fine – disse lentamente Elta.
– Il loro mondo è esploso. Menti come le loro sarebbero state
chiuse e dogmatiche in qualsiasi ambiente. Ma soltanto pochi
kronweldiani sono irrecuperabili come loro. Con
l’allontanamento di ogni superstizione, un nuovo sapere entrerà
nelle loro menti, e tu avrai i capi e i maestri sognati da Richard
Simons. Ora lo capisco, ma Igon me lo aveva detto.
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Quando l’ultimo gruppo fu trasferito, l’intero mondo di Kro-
nweld divenne un’unica massa di fuoco, dal Confine alla valle
dei Restauratori. Le fiamme uscirono dal suolo e avvolsero il
grande Centro. La sua forma elegante e maestosa ondeggiò per
un istante sullo sfondo dell’inferno, come se esitasse a cedere la
sua posizione, poi crollò e la lava l’assorbì con le sue labbra fuse
e fameliche.
Ketan spense lo schermo, chiuse la Soglia e staccò i contatti
del prezioso regolatore.
Aveva deciso che doveva riposare per un po’ . Con Elta anda-
rono nei meravigliosi giardini del pinnacolo, dove soffici nuvole
ondeggiavano pigramente nel cielo azzurro.
Ketan si sentì colpevole: non avrebbe dovuto trovarsi lì, ades-
so che il lavoro della Restaurazione era appena cominciato, fu
un pensiero di un solo istante… ma fu sufficiente perché Elta lo
capisse.
Lui sorrise, sollevò il mento della ragazza, e i loro sguardi si
incontrarono: fu una pioggia di luce e di felicità.
– Sono certa che realizzerai tutto quello che sognava Igon. –
Gli disse – E io ti sarò sempre accanto.
FINE
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