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Fermenti pre romantici nella pittura di Füssli

Quando nel 1770 e giunse a Roma,


lo svizzero Füssli reagì in maniera
assolutamente originale alla fervore
di studi sull’antico e sul bello
ideale. L’artista si era poi accostato
alla moderna letteratura gotica e
sentimentale affermatasi in
Inghilterra, dove aveva soggiornato
tra il 1764 e il 1770. Questa sua
peculiare formazione lo portò a
interpretare l’arte classica, come
dimostrano alcuni disegni dedicati
alla grandiosità dell’antico che per
l’artista una fonte di sensazioni
L’artista commosso davanti
alla grandezza delle rovine
conturbanti e non di riflessioni
antiche, 1778, csu Zurigo nazionali sulla bellezza ideale.
Fússli è anche interessato ai monumenti più
imponenti dell’antichità, alle opere di Michelangelo
( considerato da diversi critici “ corruttore dell’arte
“), e ai Manieristi, spesso svalutatati dai teorici del
Neoclassicismo.

Le forme titaniche ed espressive della maniera


moderna attrassero invece l’artista elvetico durante
il suo soggiorno romano, che si prolungò fino al
1778, quando Füssli si stabilì definitivamente a
Londra.

Fra primi quadri eseguiti dopo la partenza dall’Italia


c’è il giuramento dei tre confederati sui Rútli che
celebra il patto stretto contro gli Asburgo dai
cantoni svizzeri siglato su Rütli, un ampio prato sul
lago dei quattro cantoni. Un confronto tra il dipinto
e il giuramento degli Orazi eseguito da David,
quattro anni dopo, rivela come i due artisti fossero
animati da ideali artistici molto distanti: la
composizione di Füssli è centrata sul gigantismo e
sullo slancio dei corpi allungati, ispirati ai
manieristi. Mentre J.L. David fonda il dipinto su un
perfetto equilibrio spaziale ricercato in maniera
quasi scientifica dagli artisti neoclassici.
Nel tempo il carattere visionario della pittura di
Füssli si accentua e le sue creazioni acquistano
valenze sempre più ambigue e inquietanti.
L’orrido e le esotico, il sensuale e l’oscuro
improntano la traduzione pittorica di alcuni temi
letterari cari all’artista, come avviene nei dipinti
ispirati alle opere di Shakespeare, nei quali si
scatena la componente bizzarra e fantastica

Macbeth che consulta la testa del cavaliere,


olio su tela, 1793.

L’artista ritrae il protagonista dell’omonima


tragedia al cospetto delle spaventose streghe a
cui ha chiesto se diventerà re; queste indicano
una testa di Cavaliere decapitata apparsa ai suoi
piedi, che lo metti in guardia da Macduff, nobile
suo nemico. L’atletica figura di Macbeth,
sconvolta dalla visione, è l’unica parte della
composizione luminosa e colorata, mentre le
streghe, che emergono dal buio assoluto e la
testa decollata sono realizzate in
monocromo, a dimostrare la loro natura
extraterrena.
Il suo dipinto più celebre, l’incubo, 1781 olio su tela, Ditroit, è
infatti la rappresentazione di quella parte irrazionale dell’anima
che si esprime nell’attività onirica. La parola inglese per incubo
Nightmare le letteralmente “cavallo notturno”, motiva la presenza
della testa di cavallo dall’aria atterrita che emerge dall’oscurità.

Gli occhi dell’animale quasi fosforescenti sono i soli elementi


luminosi di questa scena tenebrosa, insieme al corpo della
giovane addormentata. Un essere mostruoso, allegoria dell’
affanno che opprime chi è preda di un incubo, grava sul ventre
della donna e palesa, non senza riferimenti erotici, i risvolti più
torbidi del sogno. La visione onirica di pittore è tra le
manifestazioni più esplicite di quel processo di liberazione
dell’io che caratterizza la produzione artistica dei cosiddetti
pittori dell’immaginario. Le loro opere sono il riflesso di una
nuova sensibilità che attingono alle fonti del mito e del
sogno, produce una realtà espressiva inedita, spesso carica
di simboli.
L’incubo
Francisco Goya
Nella progressiva trasformazione dei modi pittorici
dell’artista emerge la forza visionaria dell’inconscio, che
si accompagna a un rifiuto di modelli assoluti di bellezza
desunti dall’antichità e a una passione sfrenata per
l’ombra e il colore. Formatosi in ambiente illuministico, in
costante contatto con i circoli culturali più progressivi della
Spagna del suo tempo, Goya concentra la sua attenzione
sui mali dell’intelletto che ostacolano l’affermarsi della
ragione nella storia e adottò un linguaggio sempre più
corrosivo per denunciare la cieca violenza e gli orrori del
potere, la superstizione e la stupidità, fino alle ultime
disperate composizioni, le “pitture nere”, sulle pareti della
sua casa nei pressi di Madrid. ( casa del sordo).
Le prime opere: l’abbandono della tradizione
Il clima artistico della Spagna dell’ultimo trentennio del
settecento era molto eterogeneo: dominavano le
personalità dell’antico Tiepolo e del moderno Mengs, a
cui Goya si avvicinò in un primo momento. Dopo aver
fallito due volte l’ammissione all’Accademia di belle arti
di Madrid l’artista compie un viaggio formativo in Italia,
dove poté conoscere l’antico e la pittura rinascimentale.
È difficile, tuttavia, individuare echi dell’arte italiana nella
produzione del pittore spagnolo, che sin dalle opere
dell’esordio dimostra una straordinaria originalità. In
esse emergono alcuni temi che lo accompagneranno
per tutta la vita: l’attenzione per gli umili, il rifiuto
dell’idealizzazione, la curiosità verso l’animo umano.
La famiglia dell’infante Don Louis, 1783, olio
su tela a Parma fondazione Magnani Rocca.
Richiesta dal fratello di re Carlo III
di Borbone, Goya sconvolge la
tradizione. L’anziano committente,
ritratto al tavolo da gioco con la
giovanissima sposa, è immerso in
un atmosfera dimessa, circondato
da una folta schiera di parenti e
servitori, quasi sorpresi dallo
sguardo dello spettatore: nessun
appare in posa e la gerarchia è
totalmente ignorata; le pennellate
e la gamma cromatica sono
volutamente essenziali, quasi
povere. All’interno troviamo un
autoritratto dell’artista intento a
dipingere la scena.
Il sonno della ragione genera mostri, dai capricci,
1799, acquaforte acquatinta, collezione privata
Intorno al 1791 Goya fu colpito da una malattia
che lo rese sordo, accentuando il suo
isolamento e favorendo una disillusa
osservazione della realtà, spesso trasfigurata in
forme fantastiche che trovò sfogo nella serie di
acqueforti dei capricci. Il sonno della ragione
genera mostri è una delle creazioni più celebri
e drammatiche: quando la ragione tace, la
paura e le false opinioni prosperano facendo
prevalere gli impulsi razionali. Il protagonista di
cui non scorgiamo il volto, e appoggiato a una
sorta di scrittoio su cui compare il titolo
dell’opera e sembra rassegnato a subire
passivamente l’assalto dei mostri, senza
opporre resistenza. Goya sceglie di
rappresentare più chiare e con contratto meno
fitto le creature più vicino all’uomo, mentre
sullo sfondo i tratti si fanno più fitti e le creature
più scure.
Uno scandaloso nudo contemporaneo
La maja desnuda e la maja vestita.
La prima tela in cui è raffigurata una
sensuale dama completamente nuda,
costò all’artista spagnolo un
interrogatorio presso il tribunale della
Santa inquisizione. Goya mostra di
avere ormai completamente
scardinato ogni convenzione: per la
prima volta ad essere rappresentata
non è una mitologica Venere ma una
donna contemporanea, in carne e
ossa, che mostra con compiaciuto
orgoglio la propria nudità. Le due
versioni si differenziano soprattutto
per la resa dei dettagli: mentre nella
Maja vestida le pennellate sono più
mosse e sfrangiate e colori più algidi,
il corpo nuda della maja desnuda è
rappresentato con grande attenzione,
naturalezza e calore.
Testimoni delle tragedie del suo tempo opera:
“ 3 maggio 1808: fucilazione alla Montana del principe
Pio”, olio su tela a, 1814, museo del Prado Madrid
Nella celebre tela Goya
decide di eternare un
momento di grande
tragicità e di assoluta
contemporaneità.Goya
racconta qui uno degli
episodi più violenti della
guerra di dipendenza
spagnola: il massacro di
alcuni patrioti sospettati di
aver partecipato alla rivolta
di Madrid del 2 maggio
1808, il giorno precedente
alla fucilazione.
Sullo sfondo di una città buia e deserta, avvolto nelle
tenebre notturne che incombono sull’intera scena, il
pittore tratteggia due gruppi distinti di figure: sulla sinistra
i rivoltosi, prossimi essere giustiziati; sulla destra il
drappello di soldati francesi, impassibili esecutori della
volontà del potere assolutistico. Mentre i volti di questi
ultimi sono pressoché invisibili, quelli dei condannati
risultano perfettamente illuminati dalla lanterna in primo
piano, che crea effetti simili a quelli di un’ istantanea
fotografica.Diverse sono le espressioni e le pause dei
personaggi, a rispecchiare le differenti reazioni dell’essere
umano: terrore, odio, rassegnazione, davanti
all’imminente tragedia.
L’apice emotivo e compositivo della
scena è rappresentato dal gesto del
contadino in camicia bianca,
inginocchiato, nell’attimo che
precede lo sparo. Intorno a lui si
affollano le altre vittime: alla sua
destra giacciono i corpi dei
compatrioti già giustiziati, alla sua
sinistra coloro che lo seguiranno
davanti al plotone di esecuzione, una
scelta compositiva che suggerisce
una progressione temporale nella
scena. Al suo fianco, un frate si china
sui morti in una sconsolata preghiera.
Neppure la religione può fare nulla
dinanzi alla cieca violenza del potere:
la Chiesa sullo sfondo, con le luci
spente, dipinta con tonalità terrose,
ribadisce questa pesante assenza.
L’unico lampo di luce, il bianco
puro della camicia del contadino in
ginocchio reso con una pennellata
larga e veloce, quasi abbozzata.
Ogni dettaglio è abbandonato per
privilegiare una pittura sintetica,
priva di orpelli ed essenziale nelle
forme e nelle tinte, che faccia
risaltare il contenuto rispetto alla
forma. Le figure dei soldati formano
un insieme compatto, costruito per
accumulo di macchie di colore, che
dà allo spettatore un’impressione di
chiusura, rafforzata dalla scelta di
Goya di non dipingere gli occhi dei
militari, che avrebbero umanizzato il
plotone. All’opposto si pone la
morbida e disordinata schiera di
patrioti, priva di contorni neri e
dipinta con tinte più temi.
Le cupe visioni dell’ultimo Goya
Con il ritorno della monarchia Goya godette di una piena
integrazione dei propri benefici e non patí le conseguenze
della restaurazione borbonica che colpirono invece molti suoi
amici. Tuttavia, Ferdinando VII deluse ben presto le aspettative
dell’artista, abolendo la costituzione nel 1814, ristabilendo
l’inquisizione e facendo ripiombare la Spagna nel più profondo
assolutismo. Era la definita vittoria di quei mostri che Goya
aveva sempre combattuto.In un crescendo di isolate e
pessimistiche meditazioni egli dipinse le pareti della sua
abitazione fuori Madrid tra il 1819 e il 1823, la quinta del
sordo, con 14 scene crude e allucinate che segnano il
punto d’arrivo della sua cupa visionarietá. I toni tenebrosi
dominano infatti queste pitture nere realizzate con l’inconsueta
tecnica dell’olio su muro, in cui l’ombra, nonostante l’intensità
di alcuni colori, sembra aver vinto definitivamente la luce.
Saturno che divora uno dei suoi figli, 1821 olio su
muro trasportato su tela, Madrid, museo del Prado.
È una delle scene più terribili ed
esprime nei termini dell’incubo la ceca
bestialità del potere che teme
l’usurpazione. Il mito racconta come
Saturno, signore dell’Olimpo, divorasse i
propri figli appena nati per scongiurare
un’antica profezia, secondo la quale uno
di essi l’avrebbe detronizzato. La figura
allucinata del dio è raffigurata mentre
strazia le carni del povero figlio,
stringendolo e masticandolo con avidità:
la materia pittorica, sporca e pastosa, è
ravvivata soltanto dalle pennellate di
rosso del sangue della vittima,ormai
ridotta ad una figura informe.

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