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Natura e idea nella pittura

Caratteristica della cultura tedesca del periodo romantico è la stretta


relazione fra le teorie sulla filosofia e quelle sull’arte; in tale contesto
anche la pittura, soprattutto quella di paesaggio, non si limitò alla
rappresentazione della realtà, ma di rappresentazione di idee.Friedrich
è l’artista romantico che meglio incarna in pittura i due principi
tipicamente ottocenteschi: la concezione di un’anima universale che
comprende l’uomo e la natura e la tensione sempre insoddisfatta
verso l’infinito.

Nato e cresciuto a Greifswald, allora sotto il dominio svedese, Friedrich


frequentò l’Accademia di Copenhagen dal 1794 al 1798, trasferendosi
poi a Dresda, dove visse fino alla morte. Non compì il tradizionale
viaggio di formazione artistica in Italia e rappresentò soggetti
tipicamente nordici, nei quali la natura è fonte privilegiata di ispirazione
e si carica di valenze spesso simboliche: emblematica è in tal caso la
croce della montagna.
La croce della montagna,
1808, olio su tela, Dresda
Eseguita nel 1808 come paesaggio e poi trasferita
come pala d’altare della cappella privata del
castello in Boemia. Il fatto suscitò non poche
polemiche, perché il quadro non raffigura una
classica scena sacra, ma un semplice picco
roccioso su cui si innalza un crocefisso, come
capita di trovare in montagna. Nonostante ciò il
dipinto emana una forte aura sacrale, evocata da
una serie di simboli che l’artista inserisce nel
paesaggio: la sottile croce elemento di raccordo tra
la terra e il cielo, tra uomo e Dio, segna il passaggio
dalle tenebre alla luce nel nome della fede in Cristo;
la roccia su cui la croce è fissata è Il simbolo della
saldezza della fede; mentre i sempreverdi sullo
sfondo sono allegorie della speranza degli uomini.
La cornice progettata dallo stesso artista sviluppa il
medesimo tema del dipinto adottando però motivi
tradizionali della iconografia religiosa.
Abbazia nel Querceto, 1809 olio su tela, Berlino

I simboli cristiani ricorrono spesso nelle opere dell’artista, in sintonia con il fervore
religioso che si animava in Germania nel primo ottocento: le tendenze misticizzanti
dell’arte romantica, e la poetica cimiteriale inglese diffusasi a partire dalla seconda
metà del XVIII secolo. Nel quadro si racchiude tutti questi elementi: sotto un cielo livido
di neve, al centro di una gelida landa piatta e desolata, emergono dalla nebbia le rovine
dell’abbazia cistercense di Eldena nella Germania settentrionale . Alcuni monaci
trasportano alla sepoltura la bara di un confratello; il corteo spettrale procede verso il
portale superstite dell’antico edificio, oltre al quale si stende un cielo luminoso.
Viandante sul mare di nebbia, 1818, olio su tela
Il centro della composizione è occupato da
una figura umana, presentata quasi fosse
parte integrante dello scenario naturale
che gli si apre davanti. Il personaggio
ritratto di schiena osserva da uno sperone
roccioso quello che a un primo sguardo
sembra un mare spumeggiante in
burrasca: si tratta in realtà di un’immensa
distesa di banchi di nebbia, che nasconde
parte della valle montuosa, comunicando
la sensazione di spazi infiniti. Il viandante,
figura centrale della cultura romantica,
sempre in movimento e alla ricerca di
un’identità, è colto in un momento di
comunione e confronto con la natura.
Ammirandone la maestosità e la vastità,
riflette sulla propria fragilità di fronte
all’incommensurabile bellezza del
creato, ma al contempo prende anche
consapevolezza della propria capacità
di cogliere tale grandezza.
La sensazione di leggerezza della nebbia,
simile a quella di un lavoro a pastello, è
resa con grande efficacia per mezzo di
tinte delicate e luminose e di pennellate
rapide e sfumate, contro le quali la figura
umana si staglia con grande definizione
grazie anche all’effetto di controluce. Lo
spettatore, che in genere nelle opere di
Friedrich assiste agli spettacoli naturali da
un punto di vista esterno alla tela, si trova
proiettato dentro il quadro, identificandosi
con il viandante che, non a caso, non
mostra il viso, scelta che favorisce il
processo di immedesimazione. Il
tentativo, riuscito, dell’artista è quello di
trascinarci nella composizione, in modo
da fondere anche noi su questo mistico
palcoscenico naturale.
L’ingresso del cimitero, 1825, olio su tela a,
Dresda Germania
Le visioni di crescente malinconia.
A partire dagli anni 20 dell’ottocento l’artista ricercò una
sempre maggiore aderenza al vero in opere che,
tuttavia, rimangono espressione di paesaggi interiori, e
vocazioni più che descrizioni, frutto della sua crescente
malinconia.

L’ingresso del cimitero, del 1825, raffigura il cancello


di una spettrale camposanto, forse ispirato a quello
della trinità di Dresda in cui lo stesso pittore sarà
sepolto. Nel dipinto rimasto incompiuto, l’atmosfera si
fa ancora più crepuscolare: nonostante un luminoso
cielo azzurro conclude la parte alta della composizione,
una nebbiolina leggera invade i disordinati spazi terreni,
brulli e a tinte terrose, chiusi dalla quinta scenografica
di un tetro filare degli alberi. In primissimo piano
campeggiano i due maestosi pilastri in pietra
dell’ingresso, a separare insieme a unire il mondo dei
vivi e quello dei morti. Alla base della colonna di sinistra
sono velocemente tratteggiate a colpi di pennello due
figure umane, un uomo con un cappello e una donna,
che assistono a un evento soprannaturale: degli angeli
planano sopra la tomba al centro della scena.
Libro di testo: G.Cricco F. P. di Teodoro,Itinerario dell’arte 3, quarta edizione,
dall’età dei Lumi ai giorni nostri. Versione verde. Da pag 74 a pag 84.

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