Sei sulla pagina 1di 4

Lifelong learning (apprendimento lungo tutto l’arco della vita, apprendimento continuo o permanente),

sviluppo professionale e ICT: formazione dei lavoratori e lo sviluppo professionale nel contesto
dell’educazione degli adulti. un presupposto del lifelong learning è che le persone hanno necessità di
aggiornare continuamente le proprie conoscenze e abilità per far fronte alla mutevoli sfide della vita
quotidiana; pertanto, promuovere le capacità di autogestione del proprio apprendimento diventa cruciale
per lo sviluppo personale e professionale. le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sono
state viste in una duplice prospettiva. Da un lato, sono state considerate come un fattore che richiede
l’aggiornamento continuo dei lavoratori, vuoi per la costante e rapida evoluzione delle tecnologie, vuoi per
l’impatto che hanno sulle abilità necessarie per svolgere i nuovi «lavori digitali». Dall’altro, sono state
percepite come un volano per il cambiamento, ossia come una risorsa che abilita processi di innovazione e
supporta l’apprendimento ovunque e in ogni momento: in altre parole, l’apprendimento continuo. è
opportuno chiarire che non è la tecnologia da sola a determinare l’attivazione di processi informali di
lifelong learning, quanto il modo in cui essa viene utilizzata all’interno di specifici contesti sociali e culturali.

Comunità di pratica vs reti di pratica: è costituita da un gruppo di persone che condividono un interesse,
un insieme di problemi comuni, una passione per un tema e che approfondiscono le proprie conoscenze ed
esperienze interagendo in modo graduale e progressivo. L’apprendimento avviene, infatti, attraverso la
partecipazione periferica legittimata a una comunità di persone che esercitano una pratica e l’insieme delle
relazioni che si innestano tra persone, attività, ambiente e anche altre comunità. Le comunità di pratica
possono essere di dimensioni variabili, di breve o lunga vita, omogenee o eterogenee, spontanee o
intenzionali, non riconosciute o istituzionalizzate. Secondo Wenger (1998), tre sono in particolare le
caratteristiche che le contraddistinguono: 1) un’identità che si definisce sulla base di un interesse condiviso
(identity); 2) il senso di appartenenza a una comunità i cui soggetti si aiutano reciprocamente (community);
3) la condivisione delle pratiche, e non solo degli interessi (practice). più autori hanno evidenziato come il
costrutto delle comunità di pratica possa difficilmente essere applicato tout court ai contesti virtuali,
laddove l’interazione online si basa prevalentemente su forme di comunicazione codificate che mal
supportano il trasferimento di conoscenza tacita attraverso le tecnologie. Questa criticità ha condotto
autori come Brown e Duguid (2000) a distinguere tra comunità e reti di pratica. Mentre le prime designano
gruppi di professionisti interdipendenti che condividono e coordinano le proprie pratiche e hanno
un’implicita responsabilità per la riproduzione della loro comunità, le seconde denotano l’insieme di tutti i
professionisti che condividono una specifica pratica. Infatti, molte esperienze sono condivise da più di un
gruppo locale di professionisti; pertanto, una comunità di pratica può essere vista come un sottoinsieme di
una rete di pratica.

Crowd vs comunità: I crowd sono strutture collaborative «leggere», dove l’aggettivo connota il tipo di
relazione interpersonale implicata piuttosto che l’importanza o meno dell’attività intrapresa. Si tratta di una
forma di collaborazione basata sul modello del crowdsourcing che non richiede la conoscenza degli altri
soggetti coinvolti né il lavorare direttamente con loro. Piuttosto, queste forme di collaborazione
comportano spesso impegni minimali sul piano degli apprendimenti, senza ostacoli per la partecipazione. I
fattori motivazionali che inducono gli individui a contribuire a un’impresa collaborativa vera e propria
possono essere connessi alla reputazione e al riconoscimento.

Comunità vs collettivi: L’idea chiave che distingue le comunità dai collettivi va rintracciata nel diverso
meccanismo che regola il rapporto tra individuo e istituzione: nel caso della comunità, l’investimento è
strutturato nella direzione individuo-istituzione, mentre nel caso dei collettivi l’investimento è strutturato
nella direzione opposta. Più specificamente, si possono individuare tre principali differenze tra queste due
entità. In primo luogo, la ragione che spinge a interagire e partecipare a una comunità o a un collettivo è
diversa: in una comunità, la motivazione principale è che l’appartenenza a un’istituzione è più importante
di se stessi o anche dell’insieme dei partecipanti; in un collettivo, l’investimento sta nella partecipazione
stessa, che permette agli individui di intraprendere azioni significative per un gruppo più ampio di persone,
ma senza l’immediato senso di reciprocità che l’appartenenza a una comunità invece comporta. In altre
parole, in una comunità, l’agency individuale si dispiega nella creazione e nel mantenimento della comunità
stessa, mentre per un collettivo, il suo valore è dato dal livello di investimento nell’agency individuale da
parte dell’istituzione. Mentre i membri di una comunità possono rinunciare a certi diritti o libertà per
appartenere a qualcosa di più ampio di se stessi (e trarne di conseguenza benefici), i membri di un collettivo
sono molto più focalizzati sulle opportunità di una particolare istituzione e sono molto resistenti alla perdita
di agency o libertà individuale. Il secondo tipo d’investimento implica costi diversi in entrata e in uscita dalla
comunità o dai collettivi. le comunità vengono giudicate più dai soggetti esclusi che da quelli inclusi. Per
questo, il prezzo da pagare per entrare a far parte di una comunità può essere molto alto, richiedendo un
investimento effettivo, che può essere economico, ma non necessariamente. Al contrario, i collettivi
operano cercando di ridurre i costi individuali per aderirvi, facilitando l’affiliazione e riducendo le barriere
per diventare membri. Al tempo stesso, il collettivo garantisce un investimento sostanziale sia di tempo sia
di soldi, investendo nell’agency dei suoi membri, per consolidare una base di utenti attiva e resistente alla
competizione esterna. In terzo luogo, le comunità sono spesso reciprocamente esclusive, ossia
l’appartenenza a una comunità richiede l’esclusione da un’altra. Anche se non è sempre così,
l’appartenenza può anche diventare un tratto costitutivo dell’identità individuale. I collettivi gestiscono,
invece, l’identità in modo opposto: piuttosto che costruirla attraverso la partecipazione alla comunità, essi
forniscono gli strumenti per l’espressione individuale dell’identità all’interno del collettivo stesso. L’identità
nei social network non è costruita appartenendo a un particolare gruppo, ma filtrando selettivamente le
informazioni e controllando ciò che si vede e ciò che si vuole far vedere. In una prospettiva analoga, Dron e
Anderson (2007) hanno evidenziato tre entità che entrano in gioco nelle dinamiche sociali tipiche dei
contesti d’apprendimento in rete, ossia il gruppo, il network e il collettivo. Il gruppo si caratterizza per
alcune peculiarità, quali la consapevolezza individuale della propria appartenenza, la condivisione di un
obiettivo comune, le regole di ingaggio definite, la partecipazione e la leadership. Di solito, il gruppo ha una
durata limitata nel tempo, ossia si esaurisce una volta che l’obiettivo sia stato raggiunto. Queste
aggregazioni sono tipiche dei contesti educativi formali, ma si possono costituire anche in casi di
apprendimento informale, assistito o meno dalle tecnologie. A differenza dei gruppi, i network sono
caratterizzati da legami più blandi. Infatti, sono costituiti da individui che condividono un qualche interesse
comune intorno a un tema generale (anzi, il desiderio di condivisione è un fattore che ne determina
l’esistenza), ma senza un vero e proprio obiettivo collaborativo dichiarato. Anche il senso di appartenenza è
sicuramente più debole rispetto ai gruppi. Coloro che aderiscono a un network hanno di solito come
obiettivo quello di migliorare la propria reputazione, attraverso forme di riconoscimento quali l’esplicito
apprezzamento del contributo. Oggi i siti di social network, e più in generale i social media, consentono agli
individui di appartenere a reti sociali diverse, sulla base dei diversi scopi che le caratterizzano. i collettivi si
caratterizzano in quanto spazio ideale per la serendipity, l’apprendimento per scoperta, l’imbattersi
casualmente in qualcosa di interessante mentre si sta cercando qualcosa d’altro. i vari autori convergono
sull’individuazione di un costrutto «morbido» («rete», «crowd», «collettivo») capace di descrivere le
strutture aggregative che stanno prendendo corpo nei social network come ambienti di apprendimento
informali. Esse sono caratterizzate da legami deboli (weak ties) (Haythornthwaite, 2005) e da un capitale
sociale di tipo bridging (Ellison et al., 2007), elementi che sembrerebbero essere tipici dei gruppi
professionali su Facebook. Caratteristica di questo genere di gruppi sarebbe, infatti, quella di offrire un
contesto in cui i membri possano scambiarsi informazioni utili o nuove idee senza che venga implicato un
significativo supporto socio-emotivo, a differenza dei legami forti (strong ties) e di forme di capitale sociale
di tipo bonding. Facebook e social network analoghi agirebbero proprio nell’attivazione di legami latenti
(latent ties), ossia di connessioni «tecnicamente possibili ma non ancora attivate socialmente»
(Haythornthwaite, 2005, p. 137) e nella creazione di capitale sociale di tipo bridging. Facebook e social
network analoghi agirebbero proprio nell’attivazione di legami latenti (latent ties), ossia di connessioni
«tecnicamente possibili ma non ancora attivate socialmente» (Haythornthwaite, 2005, p. 137) e nella
creazione di capitale sociale di tipo bridging.
INSEGNANTI: nel contesto della formazione degli insegnanti vengono evidenziati i seguenti vantaggi e
svantaggi: V Costruzione e negoziazione dell’identità professionale. Condivisione delle pratiche e delle
esperienze didattiche, confronto metodologico e sulle pedagogie implicite. Mentoring continuo per i
docenti novizi e confronto con risorse esterne per supporto tra pari. Supporto emotivo e socio-relazionale
rispetto alle problematiche relative al vissuto professionale. Contaminazione tra reale e virtuale come
fattore di innesco per nuove iniziative. S Erosione dei confini tra identità personale e professionale, con
conseguente difficoltà di gestione delle identità. Possibile controllo da parte dei superiori di quanto viene
reso pubblico nel social network, con conseguenze imprevedibili sul piano amministrativo. Livelli
relativamente bassi di adozione di tecnologie come i social network. Livelli bassi di capacità d’uso dei social
network.

MEDICI: in ambito medico vengono evidenziati i seguenti vantaggi e svantaggi: V Espressione e


negoziazione dell’identità professionale. Condivisione delle informazioni. Problem solving in ambiente
d’apprendimento «allargato». S Rischi per la reputazione e l’immagine professionale. Rischi per la privacy
propria e altrui, in particolare dei pazienti. Rischi legati all’affidabilità delle informazioni.

Un cloud può essere una descrizione di una pratica didattica, uno studio di caso, uno strumento o una
risorsa, una discussione. Più cloud possono essere aggregati a costituire comunità chiamate cloudscapes.

Qualità: Un primo elemento su cui soffermarsi riguarda la qualità. Indipendentemente dagli strumenti
utilizzati, essa rimane un elemento caratterizzante dell’attività scientifica che dipende sostanzialmente dalla
chiarezza sugli obiettivi, dalla contestualizzazione dei dati e dalla trasparenza sui metodi e le procedure.

Tempi e costi: Da una parte, si sottolinea che la durata di una ricerca può essere decisamente ridotta se le
informazioni vengono localizzate più velocemente e condivise con altri esperti per la generazione di nuove
idee, con conseguente riduzione dei costi. Condividere il ciclo di ricerca: Il lavoro può essere condiviso e
commentato in forum aperti e poi disseminato attraverso vari strumenti tra cui, ad esempio, Twitter. I
vantaggi della collaborazione sono molteplici: si evita di ripetere gli stessi errori e si allarga la rete di
persone cui poter attingere per richieste di aiuto.

Open access: facilita enormemente la possibilità di accedere alla produzione scientifica, aprendo
straordinarie opportunità soprattutto per i ricercatori che operano in contesti istituzionali che non possono
sostenere i costi dell’informazione scientifica.

Vantaggi e svantaggi dei social x gli accademici e i ricercatori: V Riduzione dei tempi del ciclo della ricerca
con ricadute positive sui costi. Allargamento dell’accesso all’informazione scientifica attraverso la
disseminazione aperta dei prodotti della ricerca. Maggiori possibilità per la collaborazione, la condivisione e
la generazione di nuove idee. S Tempi eccessivi per la gestione del profilo personale su uno o più social
network. Rischi per la qualità legati alla disseminazione di semilavorati o lavori in progress (problema
dell’affidabilità). Mancanza di procedure valutative alternative dei risultati della ricerca e di metriche
spendibili ai fini della carriera.

Il concetto di digital curation si sta affermando nel web come una nuova pratica emergente che sposta
l’enfasi dalla produzione di contenuto alla selezione e all’aggiornamento continuo dei contenuti. L’idea che
sta dietro al concetto di curation, a volte chiamata anche aggregation, è quella di collegare i lavori altrui o di
estrapolarne parti, sezioni o brani. Es. Tumblr, Pinterest, Spotify.

fenomeno dell’hype-hope-disappointment, in base al quale le tecnologie vengono dapprima invocate in


ambito educativo tra esaltazione e grandi speranze, per lasciare poi il terreno a disincanto e delusione,
laddove i riscontri empirici abbiano rilevato una realtà di solito molto meno entusiasmante.

Il primo elemento da prendere in considerazione è l’oggetto reale alla base della progettazione
dell’intervento: una sua chiara definizione è spesso cruciale per la buona riuscita dell’attività. Ai fini
dell’organizzazione di strategie di intervento efficaci, è necessario distinguere e discriminare tale fenomeno
intenzionale da quell’insieme di atti che sono risultato di ingenuità relazionale, di sottovalutazione
dell’effetto di amplificazione del mezzo digitale, di competenza linguistica e pragmatica acerba, di
leggerezza, immaturità e miopia nel prevedere le conseguenze del proprio agire online. Mentre a questo
comportamento, che potremmo definire «cyberingenuità», si può far fronte con attività mirate allo
sviluppo e al potenziamento di una competenza digitale, i casi di cyberbullismo vero e proprio rendono
necessario il pensare alle dinamiche attive tra cyberbullo (quando noto) e vittima/e nonché alla gamma di
sentimenti e sensazioni in gioco.

I più recenti studi sulle potenzialità dei social media hanno sottolineato il ruolo della partecipazione, della
collaborazione e della condivisione quali azioni più significative per l’interazione in rete. Questi
atteggiamenti sono, dunque, i presupposti fondamentali della nostra attuale esistenza interattiva, con e
attraverso le tecnologie mediali. Nell’e-commerce, ad esempio, l’esperienza dell’utente ha assunto un ruolo
predominante per stimolare altri utenti all’acquisto di un prodotto, al punto che il commento e la
valutazione di un cliente appaiono più funzionali, a livello di buona o cattiva pubblicità, rispetto ad altre
forme di advertising. Ciò che conta, nel web attuale, è la community, ossia quello spazio in cui è possibile
costruire un sentimento di fiducia e di fidelizzazione, o risulti nella condivisione di un’emozione o nella
partecipazione a un evento collettivo.

UN’ESPERIENZA D’USO DI NING PER LA DIDATTICA DELL’ITALIANO L2: L’evoluzione sempre continua del
web e la costante crescita del numero di utenti, ulteriormente accelerata dalla diffusione dei dispositivi
mobili, hanno portato alla nascita e all’affermazione di molti siti di social network (SN), utilizzati
quotidianamente per le attività più varie, tra cui la didattica. In questo contesto si amplificano le interazioni
sociali e si aprono nuove opportunità per il collaborative learning e la creazione di comunità di
apprendimento online. Grazie alle loro funzionalità, infatti, i SN possono supportare la condivisione e lo
scambio, e costituiscono un interessante campo di ricerca, rappresentando tecnologie «vuote» facilmente
adattabili ai diversi obiettivi curricolari. Nello specifico caso della didattica dell’italiano L2, aumentano sia la
quantità di input proposta ai discenti, sia le occasioni di output e d’interazione, entrambi elementi chiave
nel processo d’acquisizione linguistica. Inoltre, scrivere per un pubblico reale spinge i discenti a utilizzare la
lingua target prestando attenzione al contenuto e alla forma per via della visibilità che contributi e
commenti ottengono nell’ambiente virtuale.

ETWINNING: UNA RETE PER LO SVILUPPO PROFESSIONALE DEGLI INSEGNANTI: pag 175

Potrebbero piacerti anche