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Colonialismo

Le potenze europee alla conquista del mondo

Per colonialismo s'intende l'occupazione e lo sfruttamento territoriale realizzati dalle potenze


europee in età moderna e contemporanea, ricorrendo alla forza e all'aggressione. Per molti versi,
la storia del colonialismo può essere fatta iniziare con la scoperta dell'America da parte di
Cristoforo Colombo nel 1492 e con l'occupazione di territori lontani da parte delle potenze
europee. Dopo la Seconda guerra mondiale sono iniziati i processi di decolonizzazione

Il colonialismo spagnolo e portoghese

Già prima della celebre spedizione guidata da Colombo, nel corso del Quattrocento vi erano stati
insediamenti dei Portoghesi in territori extraeuropei: nelle Azzorre, nelle isole del Capo Verde e
lungo le coste dell'Africa occidentale.

Una prima fase del colonialismo è dunque quella che, apertasi nel 15° secolo, si concluse nel 18°.
In essa si distinsero gli Spagnoli e i Portoghesi, e poi, dal Seicento, Francesi, Inglesi e Olandesi.
Obiettivo iniziale fu quello commerciale: nel corso del Quattrocento, infatti, i Portoghesi
volevano scoprire nuove vie per competere con i traffici di Veneziani e Arabi. Col tempo, però,
l'impianto delle basi mercantili si trasformò, con la formazione di stabili insediamenti per lo
sfruttamento umano, minerario e agricolo dei territori colonizzati.

Nel 1494 Portogallo e Spagna conclusero il Trattato di Tordesillas, in base al quale la sfera di
influenza assegnata ai Portoghesi era sulle terre situate a oriente di una linea convenzionale di
demarcazione che correva a 370 leghe dalle isole del Capo Verde (posta all'incirca sul 46°
meridiano). Nel corso del Cinquecento i conquistadores spagnoli si spinsero nell'America
Centrale e Meridionale, assicurando nuove risorse alla loro madrepatria (in particolare Hernán
Cortés sottomise il Messico azteco nel 1521-22 e Francisco Pizarro il Perù inca nel 1533), e nel
contempo i Portoghesi riuscirono a occupare buona parte dell'odierno Brasile, oltre a continuare
l'esplorazione dell'Africa. Grazie alle imprese di Vasco da Gama avevano altresì stabilito il
monopolio commerciale sull'Oceano Indiano.

Francesi, Inglesi e Olandesi

In America Settentrionale, i Francesi giunsero nel Québec nel 1534; nella seconda metà del
secolo gli Inglesi iniziarono invece a insediarsi nei territori dell'attuale Virginia (così venne
chiamata in onore di Elisabetta I, la "regina vergine", la prima colonia reale inglese in America,
formalmente istituita nel 1641). Fu comunque soprattutto nel Seicento che Francia e Inghilterra
diedero inizio alla propria poderosa espansione coloniale. Sulla base di istanze religiose
(protestanti) e civili, si sviluppò nell'America Settentrionale la Nuova Inghilterra. I Francesi
colonizzarono nel frattempo il Canada e la Louisiana, oltre a impossessarsi di molte località
asiatiche, soprattutto sulla penisola indiana. Infine gli Olandesi, poco presenti in America,
puntarono sulla direttrice orientale (Ceylon, Indonesia, Molucche).

Già nel Medioevo erano state create le compagnie di navigazione, per i commerci di lunga
distanza. Tra il 16° e il 18° secolo ne vennero istituite da tutte le potenze coloniali. In
Inghilterra e in Olanda, in particolare, sorsero per iniziativa privata, mentre in Francia furono
promosse direttamente dalla monarchia. Le compagnie commerciali favorirono enormemente
la conquista europea; quale strumento essenziale per il colonialismo ricevettero pertanto dai
sovrani privilegi fiscali e politici. Particolarmente importanti furono la Compagnia inglese delle
Indie orientali (fondata nel 1600 e operante in Africa, in Asia, nel Pacifico e protagonista della
settecentesca colonizzazione dell'India) e quella olandese (sorta nel 1602, ottenne nel corso del
Seicento l'egemonia commerciale nell'Oceano Indiano).

Nel corso del Settecento l'egemonia coloniale mondiale passò all'Inghilterra, a spese della
Francia. Nel 1763 si concluse la guerra dei Sette anni, che vide Francia e Gran Bretagna in
conflitto per il controllo del mondo coloniale, e in seguito alla quale quest'ultima risultò padrona
assoluta dell'America Settentrionale e molto influente anche in Africa e nelle Indie Orientali.

Colonialismo e imperialismo

Una seconda fase del colonialismo è quella iniziata nel 19° secolo, di cui furono protagoniste
soprattutto Gran Bretagna e Francia, seguite da Belgio, Germania e Italia. La trasformazione fu,
in primo luogo, di carattere amministrativo: la direzione politica delle colonie venne sottratta alle
compagnie private e passò direttamente al governo.

Nella seconda metà dell'Ottocento, con il sostegno dei grandi gruppi economici nazionali, molti
Stati europei cercarono prestigio e nuovi e più ampi sbocchi per merci e capitali: la soluzione
consistette nell'espansione coloniale. Iniziò quindi una febbrile corsa agli armamenti, a cui si
accompagnò, naturalmente, una politica estera più aggressiva. Per descrivere questo clima
complessivo si parlò di imperialismo (termine adoperato dall'economista inglese John A. Hobson
nel 1902 e divenuto poi uno degli strumenti concettuali più sfruttati dal marxismo).

Dall'ottocento al novecento: espansione coloniale in Asia e Africa

L'Asia. La grande ripresa dell'espansione coloniale in Asia partì dalla penetrazione delle potenze
europee in Cina e dalla guerra dell'Oppio tra Cina e Gran Bretagna (1839-42), in seguito alla
quale gli Inglesi si impossessarono di Hongkong e strapparono importanti privilegi commerciali
nei porti cinesi (Pace di Nanchino del 1842). Un'iniziativa in cui gli Inglesi non vennero seguiti
dalle altre potenze europee fu, successivamente, la creazione di forme di limitato autogoverno
coloniale, che assecondava almeno in parte le richieste autonomistiche delle classi dirigenti locali
(di origine europea o meticce) formatesi nei precedenti secoli di insediamento. Vennero creati,
dunque, nella seconda metà dell'Ottocento, i dominions. L'India, 'perla' del colonialismo
britannico, divenne dominion nel 1858: fu posta sotto l'autorità di un viceré, rappresentante
locale della regina Vittoria, imperatrice delle Indie. La Francia, nel frattempo, era penetrata in
Indocina, dove realizzava ancora una forma di colonialismo diretto (diversamente da quello
britannico).

Due altre potenze europee presenti in Estremo Oriente erano poi l'Olanda e la Spagna.
L'impero coloniale di quest'ultima era però in disfacimento già dal Settecento. Gli Stati Uniti
d'America (nati dalle ex colonie britanniche, resesi formalmente indipendenti dalla madrepatria
con la Pace di Versailles del 1783) gli diedero il colpo di grazia, sottraendogli il dominio
dell'arcipelago filippino (1898).

L'Africa. Negli ultimi due decenni dell'Ottocento avvenne inoltre con estrema rapidità la
spartizione coloniale dell'Africa. Dopo l'abolizione della schiavitù (1833) e della tratta degli
schiavi (1844) gli obiettivi delle conquiste erano l'acquisizione delle materie prime e le finalità
strategiche dettate dalla politica di potenza delle grandi nazioni.

Nella conferenza di Berlino (1884-85) l'Africa venne dunque spartita in sfere di influenza.
Dopo Germania e Belgio, che si assicurarono rispettivamente l'Africa centromeridionale e il
Congo, anche l'Italia, sebbene non inclusa negli accordi presi a Berlino, decise di muoversi, per
ragioni economiche, di prestigio internazionale e demografiche (le colonie potevano rappresentare
una valvola di sfogo per l'emigrazione). Avanzò le proprie pretese nell'Africa orientale (Eritrea,
Somalia) e poi, nel Novecento, in Libia (1911-12) e in Etiopia (1935).

La fine del colonialismo e il neocolonialismo

Solo dopo la Seconda guerra mondiale prese avvio il cosiddetto processo di decolonizzazione:
finì così la lunga storia del colonialismo, con la liberazione dei paesi sottomessi al controllo
delle potenze europee e la conseguente nascita di molti nuovi Stati nazionali. Non scomparvero
tuttavia ingerenze di vario genere (soprattutto di carattere economico) da parte dei paesi ex
coloniali nei confronti di quelli del Terzo e Quarto Mondo. Queste nuove forme di
condizionamento vanno sotto il nome di neocolonialismo.

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