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Tra preghiere e peccati uno dei complessi monastici più grandi d’Europa.

Il Monastero di San Nicolò L’Arena di Catania, è un luogo magico e suggestivo. Intanto


colpisce per la sua immensità, (è il secondo complesso monastico in Europa, per grandezza
dopo quello di Mafra in Portogallo) quindi, per la sua magnificenza ed infine per la storia e i
segreti di coloro che per secoli
lo hanno abitato: i monaci
Benedettini. Dal 1977 è sede
della Facoltà di lettere e
filosofia dell’Università di
Catania che, dopo un periodo
di sapiente restauro,condotto
dall’Architetto De Carlo, lo ha
reso idoneo allo svolgimento
delle attività universitarie e
fruibile al pubblico. Gli
immensi e labirintici locali sotterranei, in pietra, adibiti a biblioteca universitaria, ospitavano
le originarie cucine cinquecentesche con annesso refettorio e deposito provviste. Nella parte
in cui si trova oggi l’emeroteca della facoltà, negli anni 80, degli scavi hanno portato alla luce
una domus romana con splendidi mosaici. Illustri viaggiatori del 700 restarono stupiti dai
fasti del palazzo e dall’accoglienza regale loro riservata. Così scrive, ad esempio, Patrick
Brydone in visita a Catania nel 1770 dopo aver visitato il monastero: “Entrato nel grande
cancello la mia sorpresa si accrebbe: avevo dinanzi una facciata quasi uguale a quella di
Versailles, un nobile scalone di marmo bianco e una magnifica cornice propria di una
residenza regale”; i Benedettini, continua, “volevano assicurarsi a tutti i costi un paradiso
almeno in questo mondo se non nell’altro”. Il palazzo non sembrava certo un luogo di
preghiera e penitenza e i monaci vivevano in uno stato di agiatezza degna delle loro famiglie
di provenienza. Erano infatti, per lo più, i secondogeniti delle famiglie nobiliari catanesi.
Considerato che il patrimonio familiare era indivisibile e che veniva ereditato solo dal figlio
primogenito, per gli altri, la carriera ecclesiastica era la scelta più allettante perché consentiva
potere e benessere senza spreco di energie. I Benedettini abitarono il monastero dal 1558 al
1866, con numerose vicissitudini, assumendo un ruolo di spicco e condizionando la vita
sociale, religiosa e culturale dell’intera città
e non solo. Nel 700, in particolare, il loro
tenore di vita nettamente in contrasto con
qualsiasi regola di obbedienza e povertà e la
condotta spesso scandalosa, suscitarono
risentimenti nella popolazione provata da
carestie che usava addirittura, stazionare
davanti al convento dopo i pranzi luculliani
dei monaci per cibarsi degli avanzi. Il
Monastero di San Nicolò L’Arena di Catania
si cominciò a costruire nel 1558 nella zona
detta “della Cipriana”, dove sorge attualmente, per accogliere i Monaci Benedettini che,
provenienti da Nicolosi avevano deciso il trasferimento a causa del clima poco favorevole e
delle incursioni da parte di briganti. Lo
occuparono ancora incompleto e nel 1578
diedero inizio alla costruzione della Chiesa
annessa di San Nicolò. Le incurie del
tempo non risparmiarono la struttura
monastica. Tra gli eventi più devastanti
sono da ricordare la colata lavica del 1669
che lesionò in parte il convento e distrusse
l’annessa chiesa e il terremoto del 1693
che rase tutto al suolo e provocò la morte
di parecchi monaci. Nel 1702
cominciarono i lavori di ricostruzione della struttura ad opera di Antonino Amato, sul
precedente impianto cinquecentesco ma secondo rinnovate idee di grandiosità e proseguirono
per tutto il XVIII secolo ad opera degli architetti Battaglia e Vaccarini, con l’ausilio di
artigiani intagliatori provenienti da ogni parte della Sicilia. Dal portale affacciato su Piazza
Dante, si accede ad un grande cortile esterno, ambiente di separazione tra il mondo laico e
quello religioso, e da qui, con la sua splendida facciata barocca, il palazzo si presenta in tutta
la sua magnificenza non proprio monastica. Stalle, scuderie carretterie erano locali di servizio
utilizzati per regolari approvvigionamenti alimentari come racconta Federico De Roberto nel
suo romanzo “I vicerè”: “ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di
carbone di quercia per tenere i fornelli sempre accesi…quattro vesciche di strutto… e due
cafisi d’olio…”. Non è indulgente De Roberto riguardo le abitudini mangerecce e la condotta
dei monaci – “I calderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una
coscia di vitello e arrostire un pesce spada…” “di tutta quella roba, se ne faceva poi tanta, che
ne mandavano in regalo alle famiglie dei Padri e dei novizi e i camerieri, rivendendo gli
avanzi, ci pigliavano giornalmente quando 4 e quando 6 tari” “…subito dopo tavola, se ne
uscivano dal convento, si sparpagliavano pel quartiere popolato di famiglie, ciascuna delle
quali aveva il suo Padre protettore” e Don Basco, Benedettino della famiglia Uzeda,
“…aveva tre ganze nel quartiere di San Nicola: donna Concetta, donna Rosa e donna Lucia la
sigaraia, con una mezza dozzina di figliuoli…”. Il palazzo è costituito da un piano terra e da
due piani soprastanti con finestre e balconi abbondantemente decorati con putti, motivi
floreali, frutti e mascheroni, secondo il gusto barocco, mentre all’interno i due piani sono
sostanzialmente simmetrici con lunghi corridoi e collegati l’un l’altro con scalinate tra cui la
più sorprendente, è quella principale: lo scalone a tenaglia in marmo di Girolamo Palazzotto
con stucchi neoclassici. Di particolare interesse il chiostro di levante caratterizzato da un
rigoglioso giardino con una struttura centrale in stile neogotico, decorata da ceramiche dai
tenui colori secondo l’uso del paese di provenienza: Vietri. Anche la possibilità di far arrivare
materiale da fuori Sicilia era un modo per ostentare potere e ricchezza. Qui si passeggiava
gustando qualche bevanda. Il più antico dei chiostri è quello di ponente. Originariamente la
pavimentazione, ancora visibile in alcuni punti, era un lastricato in ciottoli e pietra lavica. Al
centro una fontana seicentesca in marmo recentemente restaurata insieme al magnifico
colonnato esistente prima del terremoto del 1693. Da notare, tra i due chiostri, il lunghissimo
“corridoio dell’orologio” con ai lati, secondo il progetto del Vaccarini, il refettorio e la
cucina. Quest’ultima ha una forma poligonale con il punto di cottura, al centro, facilmente
raggiungibile da ogni angolo della sala. Un vano
"passavivande" la collega al refettorio con una
distribuzione degli spazi decisamente funzionale e
innovativa. Proprio sotto la cucina, le cantine custodivano
ottimo, immancabile buon vino. L’opera del Vaccarini fu
proseguita dall’Arch. Battaglia che realizzò un giardino su
un banco lavico risalente alla colata del 1669 e il cosiddetto
“coro di notte” dove i monaci recitavano le preghiere
mattutine, non sempre e non tutti. C’era infatti l’abitudine
di delegare questo ingrato compito di svegliarsi all’alba per
pregare, a qualche frate cappuccino, pagandolo. Un luogo
affascinante, oggi patrimonio dell’UNESCO, che consente
un incredibile percorso attraverso la storia, alla scoperta di
intriganti segreti.

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