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Corso di LETTERATURA LATINA

25 FEB. 2021

➜ CRONOLOGIA DELLA VITA DI PLINIO:


=> 61-62 d.C. → Gaio Cecilio Secondo nasce a Como da Lucio Cecilio Secondo
(appartenente all’ordine equestre) e dalla sorella di Gaio Plinio Secondo (ossia Plinio
il Vecchio).
- Il nome e (soprattutto) il rango del padre si ricavano da un’iscrizione che riguarda la
costruzione di un tempio a Como → Lucio Cecilio Secondo aveva finanziato questo
tempio in onore della figlia Cecilia, morta in giovane età.
- Dunque P. apparteneva a una famiglia illustre di Como, che aveva grandi
possedimenti non solo a Como ma anche in altre parti d’Italia
=> ca. 69-79 → viene istruito a Como → nonostante la morte prematura del padre
(siccome la sua era una famiglia importante, che aveva strette connessioni con
l’ambito politico-culturale romano) poté trasferirsi e proseguire la sua istruzione a
Roma → sotto il tutorato di Virginio Ruffo (importante senatore dell’epoca), potè
studiare con i più grandi maestri dell’epoca, tra cui Quintiliano.
- Fin da giovane, P. mostrò grande interesse per la poesia e la letteratura →
addirittura, all’età di 15 anni, era ben formato e conosceva il greco a tal punto da
cimentarsi nella composizione di una tragedia greca.
- Più o meno in quegli stessi anni P. divenne patrono della città di Tifernum
Tiberinum (l’odierna Città di Castello), città che verrà spesso citata nelle lettere e
dove P. possedeva una villa, probabilmente appartenuta al padre, che probabilmente
era stato patrono di Tifernum prima di lui.
=> (Agosto) 79 → eruzione del Vesuvio e morte di Plinio il Vecchio (descritta in una
lettera di P.) → fu probabilmente per testamento che Plinio il Vecchio adottò Gaio
Cecilio Secondo, concedendogli così l’uso del nome e anche lasciandogli in eredità
tutto il suo patrimonio (che doveva ess. cospicuo, in quanto Plinio il Vecchio era un
personaggio in vista nella scena politica dell’epoca → infatti era stato in contatto con
diversi imperatori e, al momento della sua morte, era ammiraglio della flotta
occidentale, che era di stanza a Miseno, poco distante dal Vesuvio).
- Dunque nel giro di poco tempo dunque P. perde sia il padre sia l’influente zio, ma
gli restano tutti i contatti che la sua famiglia aveva con personaggi e senatori illustri
dell’epoca → il contatto con questi personaggi lo aiutò senz’altro nella carriera, per
cui già a 19 anni Plinio discuteva come avvocato cause nel foro e, più o meno nella
stessa epoca, divenne decemvir stilitibus iudicandis (magistratura annuale), che
consisteva nel giudicare all’interno di cause di diritto civile → era una magistratura
minore, non particolarmente importante, però veniva spesso concessa a coloro che
poi sarebbero entrati in Senato.
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=> Nell’anno 81 era morto l’imperatore Tito e gli era successo il fratello Domiziano →
con egli P. inizia a fare una carriera importante:
● in primo luogo svolse il servizio militare come tribuno di una legione che si tro-
vava in Siria → come tribuno militare svolse delle mansioni prevalentemente
amministrative;
● al suo ritorno (forse nell’84) divenne sevir equitum romanorum (carica sine
cura, cioè che non comportava quasi nessuna attività), carica che veniva
concessa a chi, di lì a poco, sarebbe entrato in Senato.
=> 89 o 90 → P. divenne quaestor Caesaris (cioè un questore incaricato di portare al
Senato le comunicazioni che provenivano dall’imperatore → P. diventa quindi un
questore alle dirette dipendenze dell’imperatore) → diventare questore comportava
la conseguente entrata in Senato.
=> 92 → diviene tribuno della plebe.
=> 93 → viene eletto pretore → inoltre sostiene l’accusa (cioè fu avvocato
dell’accusa) contro un governatore della Hispania Baetica che era stato denunciato
per estorsione (si tratta di uno dei molti casi in cui P. partecipa come avvocato a
processi riguardanti governatori provinciali che erano stati poco corretti → infatti P. si
trovò molte volte a discutere di tali questioni in Senato → infatti, mentre le cause civili
si discutevano in tribunale, le cause riguardanti i senatori venivano discusse
internamente al Senato, che svolgeva le funzioni di tribunale).
- Verso la fine del 93 (forse in conseguenza al processo contro il governatore della
Betica) ci fu un’inchiesta (le cui motivazioni non sono state del tutto chiarite) che
portò alla condanna a morte o all’esilio di numerosi amici di P., il quale però, per
qualche ragione, non fu coinvolto in questa inchiesta, continuando invece a fare
carriera.
=> 94-96 → è prefetto dell’erario militare, rimanendo in carica fino a poco prima o
poco dopo l’assassinio di Domiziano (avvenuto il 18 settembre del 96).
=> Nella prima parte della sua carriera P. ebbe fortuna sotto Domiziano, imperatore
che non era amato dal Senato e che aveva una forte opposizione → P. apparteneva
a una famiglia di ordine senatorio e vicina al Senato → nonostante questo, sotto
Dom. riuscì a fare carriera, ma i suoi contatti erano prevalentemente legati
all’ambiente senatorio.
- Dopo l’assassinio di Dom., P., sotto il principato di Nerva, non ebbe più incarichi,
evidentemente perché si riteneva che P. fosse stato troppo vicino al precedente
imperatore.
- Tuttavia P., nelle sue opere, non descrive mai bene Dom. → cioè l’immagine di
Dom. che P. delinea nei suoi scritti coincide con l’immagine delineata da Tacito
nell’Agricola e da Giovenale nella sua IV Satira, entrambe opere che rispecchiano il
punto di vista del Senato, il quale, ben felice della morte di Dom. (e in parte ne era
stato anche la causa), decretò la damnatio memoriae dell’imperatore e, subito dopo
la sua morte, si dette da fare per una vera e propria propaganda contro la sua
politica e la sua memoria.
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- Se si vuole leggere un giudizio più equilibrato su Dom. (rispetto a quello
trasmessoci da autori come P., Tacito, ecc.), bisogna rifarsi alla Vita di Domiziano
scritta da Svetonio (amico di P.), il quale descrive Dom. come un imperatore non così
pessimo (come era stato invece descritto da molti) e che aveva avuto anche dei
meriti, soprattutto in ambito economico, finanziario e amministrativo.
=> Dopo la morte di Dom., il potere era stato passato a Nerva, che, nonostante
avesse 66 anni e la sua salute fosse già compromessa, aveva l’appoggio di tutta la
classe senatoria e, quando divenne imperatore, venne esaltato come un imperatore
che avrebbe restaurato la libertà, rispetto al periodo di tirannia che il Senato aveva
vissuto sotto Dom.
- Tuttavia l’acclamazione di Nerva non soddisfece tutti → c’erano infatti dei nostalgici
di Dom. (ossia le persone più vicine a lui, tra cui in particolare il suo prefetto del
pretorio Casperio Eliano), che stavano cercando di organizzare una rivolta per
estromettere Nerva dal potere.
- Fu così che Nerva (il quale era già compromesso a livello di saluto e inoltre soffriva
il fatto che le maggiori milizie romane fossero lontane da Roma), per consolidare la
sua posizione di imperatore, nel novembre del 97 adottò Traiano, il quale gli
succedette alla sua morte, avvenuta il successivo gennaio.
- Traiano fu subito considerato l’iniziatore di una nuova età dell’oro, in cui avrebbero
regnato la felicità, la sicurezza, la libertà (in contrapposizione all’oppressione, alla
paura e alla mancanza di libertà che si erano vissute sotto Dom.).
=> Con l’ascesa al trono di Traiano, P. torna ad avere incarichi pubblici → infatti nel
98 venne nominato prefetto dell’erario di Saturno (ossia responsabile della
amministrazione della cassa del Senato) insieme all’amico Cornuto Tertullo → i due
ricopriranno la carica fino al 31 agosto del 100, quando entrambi furono nominati
consoli per il bimestre settembre-ottobre → in occasione del conferimento di questo
importante riconoscimento, P. (il 1 settembre del 100) pronunciò in Senato
un’orazione di ringraziamento per l’imperatore → questa orazione venne da lui
successivamente rielaborata e pubblicata in una versione che ci è giunta sotto il
nome di Panegirico a Traiano (unica opera di P. pervenutaci assieme all’epistolario).
- Quindi, con Traiano, P. ritrovò quella situazione favorevole per la propria carriera
che aveva dapprimo trovato con Dom. → Tr. evidentemente decise di sorvolare sui
trascorsi di P. con Dom. e di dargli non solo fiducia ma anche stima → i rapporti tra P.
e Tr. si intensificarono nel corso degli anni, tanto che proprio sotto il suo principato P.
ottenne gli incarichi più prestigiosi, primo fra tutti il consolato, ma poi anche la carica
sacerdotale dell’augurato, carissima a P. perché era stata ottenuta in precedenza
anche da Cicerone (modello di stile), per cui la riteneva un segno di grande onore.
=> Successivamente, dal 104 al 106, ottenne un altro importante incarico,
diventando curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum urbis, ossia sovrintendente
dell’alveo e delle rive del Tevere e del sistema fognario di Roma → si trattava di un
incarico molto prestigioso, perché significava occuparsi non solo del letto del Tevere
e delle fognature della città ma anche di tutto ciò che comportava
l’approvvigionamento idrico di Roma.
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- Probabilmente in questi stessi anni P. ha già sposato la sua terza moglie Calpurnia
(ragazza di Como, da cui ebbe diversi figli, come non aveva avuto dalle mogli
precedenti, sposate sotto Dom. e delle quali non sappiamo nulla se non che P.
mantenne dei cordiali contatti con una sua suocera, Pompea Celerina, alla quale si
rivolse spesso per consigli e altre questioni).

26 FEB. 2021

=> Sotto Traiano P. torna ad avere incarichi pubblici e si guadagna anche la stima
del nuovo imperatore, tanto che nel 100 viene nominato consul suffectus (<
subfactus = nominato al posto di un altro → pratica esistente già in età repubblicana
ma molto più frequente e largamente utilizzata in età imperiale) per il bimestre
settembre-ottobre insieme a Cornuto Tertullo.
=> 103-104 → ottiene la carica sacerdotale dell’augurato.
=> 104-107 → viene nominato curator alvei Tiberis et riparum urbis.

=> In questi anni (come testimoniano le importanti cariche da lui ricoperte)(e già pri-
ma di diventare console) P. aveva un rapporto molto stretto con l’imperatore Traiano,
che evidentemente si fidava di lui, probabilmente perché P. era una persona affidabi-
le e volenterosa (aspetto che emerge anche dalle lettere), dotata di una notevole
competenza in campo amministrativo e giuridico (infatti di mestiere faceva l’avvocato
e aveva una formazione retorica per discutere le cause nel foro) → inoltre P. cono-
sceva diverse importanti personalità del tempo, in parte per la sua estrazione eleva-
ta, in parte erano personaggi con cui era entrato in contatto grazie a quei personaggi
famosi che avevano promosso la sua carriera quando era giovane.
- P. era quindi un politico di primo piano → Traiano lo ritiene una persona degna di fi-
ducia e lo assume nel consilium principis, che era una sorta di consiglio privato dello
imperatore molto importante, in quanto si trattava di un consiglio ristretto di perso-
naggi di intelletto a cui l’imperatore si affidava in caso di dubbio o nel caso in cui do-
vesse effettuare delle scelte di tipo politico, amministrativo o militare → P. sicuramen-
te veniva consultato prevalentemente (fatto testimoniato anche nelle lettere) per que-
stioni di carattere procedurale (cioè quando si trattava di instaurare dei processi con-
tro qualcuno) o finanziario (perché P. nella sua carriera si occupò anche di questioni
finanziarie).
- Dunque emerge, non solo dalle lettere ma soprattutto dagli incarichi affidatigli, una
certa vicinanza di P. a Traiano.

=> Probabilmente proprio perché P. si era distinto agli occhi di Tr. per il suo equilibrio,
la capacità amministrativa e forse anche per la capacità di gestire questioni burocra-
tiche, l’imperatore gli affidò un compito di grande rilievo → a partire dal 109 o 110 Tr.
lo inviò nella provincia di Bitinia-Ponto come legatus Augusti (pro)consulari potestate,
cioè lo mandò sostanzialmente a governare la provincia di Bitinia-Ponto.
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=> Le province che Roma aveva conquistato a partire dall’epoca repubblicana erano
solitamente amministrate da un proconsole, cioè un governatore che faceva le veci
del console nella provincia → quindi, in sostanza, le province romane, in epoca re-
pubblicana, dipendevano direttamente dal Senato (che nominava il proconsole).
- In età imperiale, invece, una parte delle province venne lasciata all’amministrazione
del Senato, mentre l’altra parte (di cui facevano parte quelle province di confine dove
potevano esserci problemi di tipo militare, per cui i confini non erano saldi e si dove-
va spesso battagliare con le popolazioni vicine → erano quindi le province dove stan-
ziava la maggior parte dell’esercito, in quanto necessitavano di un presidio militare
stabile) era di diretta competenza dell’imperatore → si parla quindi di province
senatorie e province imperiali.
- Si trattava di una decisione di tipo strategico → l’imperatore riservava per sé quelle
province in cui si trovava un forte contingente militare → questo dava dunque all’im-
peratore una maggiore forza e una preponderanza rispetto ad altre forze politiche
che a Roma erano tradizionalmente rappresentate dal Senato.
- Ci sono sempre (si vede bene anche nell’epistolario di P.) questo dualismo e questo
equilibrio di poteri che è quasi sempre a vantaggio dell’imperatore, il quale fa in
modo di mantenere in suo potere le forze militari, il consenso politico, il potere eco-
nomico, ossia fa in modo di mantenere un potere tale da consentirgli di ess. prin-
ceps.

=> La provincia di Bitinia-Ponto (conquistata all’epoca di Pompeo), nonostante fosse


una provincia romana da molti anni, continuava a destare molti problemi, in quanto
era una provincia formata da molte città-stato, in cui si parlava il greco e che non
comunicavano molto tra sé e all’interno delle quali dominavano dei signorotti locali, i
quali, per nobiltà o aderenze politiche, facevano il bello e il cattivo tempo all’interno
della provincia, molto spesso arricchendosi alle spalle della popolazione e anche del
fisco romano.
- Quindi la provincia di Bitinia-Ponto aveva gravissimi problemi di tipo amministrativo
ed era una provincia tradizionalmente amministrata dal Senato → nel 109 Tr. sceglie
di inviare P. come legatus Augusti (pro)consulari potestate, cioè lo spedisce in Bitinia
come governatore alle dirette dipendenze dell’imperatore (legatus Augusti) con i
poteri di proconsole (proconsulari potestate) → quindi sostanzialmente Tr. continua a
mantenere un proconsul come in tutte le province senatorie ma di fatto questo
proconsul non viene nominato dal Senato ma viene inviato dall’imperatore, per cui ri-
sponde direttamente all’imperatore.
- Tr., quando era salito al potere, aveva il consenso del Senato (così come lo aveva
avuto il suo predecessore Nerva) → si tratta cioè di imperatori che, a differenza di
Domiziano (che aveva largamente oppresso e svalutato il Senato), cercano in tutti i
modi di accattivarsi il favore della classe senatoria.
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=> Dunque nel 109 o 110 P. (che in realtà non godeva di ottima salute) intraprende
questo lungo viaggio per raggiungere la provincia di Bitinia-Ponto per cercare di
risanare la situazione (che a Tr. non piaceva).
- Tr., in una epistola (con cui risponde a una domanda di P.), dice:

«sed ego ideo prudentiam tuam elegi, ut «ma io ho scelto la tua prudenza, affinché tu
formandis istius provinciae moribus ipse presiedessi alla formazione dei costumi di
moderareris et ea constitueres, quae ad questa provincia e costituissi quelle cose
perpetuam eius provinciae quietem essent che possano giovare a una tranquillità
profutura». duratura di questa provincia».
- Questo è dunque il motivo per cui Tr. ha scelto P. e l’obiettivo per cui lo invia in Biti-
nia e Ponto.
=> In seguito non si sa altro sulla carriera di P. → è probabile che P. sia morto in
Bitinia e non sia più tornato a Roma, perché non abbiamo più sue notizie.

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=> L’ISCRIZIONE DI COMO (CIL - Corpus Inscriptionum Latinarum, V, 5262) → que-


sta iscrizione è nota come Iscrizione di Como ed è conosciuta nella sua interezza
grazie a delle trascrizioni fatte tra il ‘400 e il ‘500 (epoca dell Umanesimo) →
conosciamo però anche un frammento dell’iscrizione, conservato nella Basilica di
Sant’Ambrogio a Milano, probabilmente perché i pezzi di marmo con cui era stato co-
struito qualcosa (forse un monumento commemorativo di P. nella sua città natale)
furono spostati da Como a Milano per costruire con essi il sarcofago di Lotario II.
- Questa iscrizione è una traccia importante della vita di P., in quanto descrive la sua
carriera secondo un formulario abbastanza corrente all’epoca, cioè, quando all’epoca
si voleva onorare qualcuno, lo si faceva elencando la famiglia di provenienza e poi
tutte le cariche ricoperte durante la vita→ in questo tipo di iscrizioni le cariche erano
solitamente elencate indicando in prima battuta quelle più importanti e poi disponen-
do le altre in ordine cronologico inverso.
«C. PLINIVS LVCI FILIVS OVFENTINA TRIBV CAECILIVS [SECVNDVS
CONSVL] AVGVR LEGATVS PRO PRAETORE PROVINCIAE PON[TI ET
BITHYNIAE PRO]CONSVLARI POTESTA[TE] IN EAM PROVINCIAM E[X
SENATVS CONSVLTO AB] IMPERATORE CAESARE NERVA TRAIANO
AVGUSTO GERMAN[ICO DACICO PATRE PATRIAE MISSVS] CVRATOR
ALVEI TIBERIS ET RIPARVM E[T CLOACARVM VRBIS] PRAEFECTVS
AERARI SATVRNI PRAEFECTVS AERARI MIL[ITARIS PRAETOR TRIBVNVS
PLEBIS] QVAESTOR IMPERATORIS SEVIR EQVITVM [ROMANORVM]
TRIBVNVS MILITVM LEGIONIS [III] GALLICA[E IN PROVINCIA SYRIA XVIR
STLI]TIBVS IVDICANDIS [...]».
«Gaio Plinio Cecilio Secondo, figlio di Lucio, proveniente dalla tribù Ufentina;
legato propretore della provincia del Ponto e della Bitinia con poteri di
proconsole; inviato in quella provincia per delibera senatoria dall’imperatore
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Cesare Nerva Traiano Augusto Germanico Dacico padre della patria; curatore
dell’alveo del Tevere, delle sponde e delle fognature della città; prefetto
dell’erario di Saturno; prefetto dell’erario militare; pretore; tribuno della plebe;
questore dell’imperatore; seviro dei cavalieri romani; tribuno militare della
legione terza gallica nella provincia di Siria; decemviro della corte centumvira-
le [...]».

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➜ PRODUZIONE LETTERARIA → di P. conosciamo un Epistolario e il cosiddetto


Panegirico a Traiano → non sono però le uniche opere scritte in realtà da P. → infatti
già a 17 anni si cimentò nella scrittura di una tragedia in greco, poi scrisse anche
poesie e moltissimi altri discorsi (oltre al Panegirico), che provvide anche a pubblica-
re → tuttavia di questa produzione letteraria (che doveva ess. piuttosto vasta) a noi
sono giunte unicamente quelle due opere, mentre il resto della sua produzione è
andata perduta.

=> Il Panegirico è giunto a noi attr. un’unica copia dall’antichità → però non ci è giun-
to da solo ma insieme a una raccolta di altri panegirici di epoca più tarda, che furono
probabilmente composti proprio sul modello del Panegirico di P. → quindi il panegiri-
co ha dunque una tradizione a sé stante.

=> Anche le lettere hanno una loro tradizione → P. nel corso della sua vita (in partico-
lare subito dopo la morte di Domiziano - fine 96) iniziò a raccogliere e pubblicare
delle lettere private, che scriveva ad amici, parenti (es. moglie e suocera), personaggi
in vista della politica, colleghi ecc. → ce lo dice lui stesso nella lettera con cui si apre
l’Epistolario.
- A noi sono giunti 9 libri di lettere private e un libro (corrispondente al Libro X dello
Epistolario) che contiene le lettere che P. si scambiò con Tr. mentre era governatore
in Bitinia-Ponto → sono quindi due raccolte di tipo diverso:
● i primi 9 libri sono lettere private, che P. scelse deliberatamente di raccogliere,
riordinare e pubblicare;
● il libro X invece non ha carattere privato ma pubblico (anche se riservato) e
contiene non solo le lettere di P. ma anche le risposte scritte da Tr.
- Oggi queste due raccolte sono pubblicate come Epistolario di P. → tuttavia queste
due raccolte hanno un’origine probabilmente molto diversa → la prima (libri I-IX) è
una raccolta pensata, voluta e pubblicata dallo stesso P. quando era in vita, mentre si
ipotizza che il libro X sia stato pubblicato da qualcuno dopo la morte di P → può darsi
che lo stesso P. avesse l’intenzione di pubblicare il suo carteggio con Tr., ma non
possiamo saperlo → è probabile che P. sia morto in Bitinia e che qualcuno, dopo la
sua morte, abbia raccolto questo carteggio e abbia deciso di pubblicarlo includendovi
anche le risposte che P. aveva ricevuto da Tr. → può darsi che costui abbia pubblica-
to il libro come omaggio verso un personaggio a cui era molto affezionato.
- Un personaggio molto vicino a P. era Svetonio (autore delle Vite dei Cesari), il quale
è possibile abbia accompagnato P. nella Bitinia-Ponto (erano molto amici) → Sveto-
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nio poi, sotto Adriano, divenne segretario dell’imperatore e aveva quindi accesso allo
archivio imperiale, contenente le lettere scritte dalla cancelleria dell’imperatore, per
cui aveva la possibilità di recuperare i materiali necessari per pubblicare il carteggio
di P. con Tr.

=> I primi 9 libri vengono dunque pubblicati da P. → ma come mai ha deciso di ren-
dere pubbliche le sue lettere private? → P. ce lo spiega un po’, bisogna leggere tra le
righe delle sue lettere → lo fa perché sa di scrivere bene e in effetti scrive in un latino
piuttosto elegante, che si ispira spesso al latino di Cicerone ma che ha anche la sua
autonomia e delle proprie caratteristiche distintive, che lo rendono un latino molto ap-
prezzabile.
- Prima di P. chi era stato a pubblicare delle lettere private?
❖ Cicerone → monumentale epistolario → Epistulae ad familiares, Epistulae ad
Atticum, Epistulae ad Quintum fratrem ecc. → tuttavia il suo epistolario viene
pubblicato dopo la sua morte → quindi queste lettere vennero raccolte e pub-
blicate probabilmente da Tirone (uno dei suoi schiavi più fidati);
- le lettere di Cic. sono delle lettere private, che contengono anche degli argo-
menti privati → sono quindi delle lettere vere, scritte per necessità o abitudine
e che contengono argomenti riservati riguardanti la vita privata;
❖ Seneca → pubblica le Lettere a Lucilio, che però non sono lettere vere, ma so-
no lettere che contengono un insegnamento filosofico → sono cioè dei piccoli
trattatelli di filosofia mascherati sotto la forma epistolare → si tratta sostanzial-
mente di un’opera letteraria, che l’autore in vita sceglie di pubblicare;
❖ conosciamo anche le Epistulae poetiche di Orazio, che però sono anch’esse
un’opera meramente letteraria → sono delle lettere in versi che contengono
dei dettami e precetti di tipo filosofico;
❖ la lettera di tipo filosofico era stata utilizzata molto anche in greco → es. Epicu-
ro ha scritto delle famose lettere che contengono i dettami della sua filosofia
→ è proprio all’epistola filosofica greca che si rifanno sia Orazio sia Seneca.
- Le lettere di P. non sono delle lettere filosofiche ma non sono anche delle lettere
completamente private → sono cioè delle lettere private che a un certo punto l’autore
decide di pubblicare → quindi queste lettere sono innanzitutto selezionate e poi forse
anche modificate e aggiustate in vista della pubblicazione.
- Quindi quando leggiamo una lettera di P. non dobbiamo immaginare di leggere
un’epistola di Cic. (che comunque venne rivista da qualcuno prima della pubblicazio-
ne) e non sono neanche lettere vere come lettere di cui noi abbiamo effettivamente
testimonianza → infatti si conoscono anche lettere vere scritte da personaggi non
letterati → alcune di queste lettere provengono dal forte romano di Vindolanda (situa-
to al confine settentrionale in Britannia) → si tratta di lettere scritte dai soldati romani
al fronte e contengono corrispondenza sia ufficiale sia privata → queste lettere sono
note come “Tavolette di Vindolanda”, in quanto sono scritte su delle tavolette accop-
piate e tenute insieme da un fermaglio → si sono conservate perché sono rimaste se-
polte sotto uno strato umido di terra che ne ha preservato l’integrità.
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- Le lettere di P. non sono assolutamente come queste → però P. fa in modo che le
sue lettere, per quanto scelte e rielaborate, mantengano quella spontaneità propria di
quelle lettere → quindi per questa ragione l’Epistolario di P. risulta piacevole e anche
divertente e le sue lettere, sebbene frutto di una rielaborazione successiva, manten-
gono quella spontaneità caratteristica delle lettere private.

➜ CRONOLOGIA DELLE LETTERE:


- P. pubblica le sue lettere a partire dalla fine del 96 (subito dopo morte di Domiziano)
e lui stesso, nella prima lettera, dice che lo farà «non servato temporis ordine», cioè
«senza rispettare l’ordine cronologico» e che le pubblicherà «ut ad manum venerant»,
cioè «come vengono sottomano» → si tratta di un’affermazione certamente non veritie-
ra, in quanto è chiaro che P. ha scelto e ordinato per la pubblicazione le sue lettere,
perché se leggiamo le lettere una dopo l’altra nell’epistolario notiamo che non sono
raggruppate per affinità tematica ma sono distanziate per affinità tematica → cioè le
lettere sono mischiate in modo tale da dare l’idea di un ordine del tutto casuale, cosa
che non è verosimile, in quanto questo ordine apparentemente causale in realtà con-
tiene delle civetterie, cioè P. sceglie di aprire e chiudere ciascun libro con una lettera
particolarmente importante e le lettere sono alternate tra tristi e liete → il principio con
cui dispone le lettere nel libro è dunque quello della varietas.
- Nella prima lettera P. dice che vuole pubblicare le lettere e che lo farà in ordine ca-
suale → tuttavia non sappiamo esattamente quanti libri di lettere abbia pubblicato
inizialmente → si potrebbe anche ipotizzare che P. abbia pubblicato tutti e 9 i libri in-
sieme → in realtà non è così, perché ha disposto le lettere in ordine casuale ma solo
all’interno di ciascun libro → questo è segno che i libri non sono stati pubblicati tutti
insieme (altrimenti P. non avrebbe detto che non erano ordinate in ordine cronologi-
co) ma che sono stati pubblicati in epoca successiva.

4 MAR. 2021

=> P. pubblica le sue lettere con un ordine ben studiato, attr. il quale ricerca la
varietas, cioè cerca di ordinare le lettere in modo tale che all’interno dei singoli libri
esse siano disposte in ordine vario per far sì che la lettura continuativa dell’opera
non sia noiosa per il lettore.
- Se si prende in considerazione tutto l’epistolario, si può notare, attr. alcuni dettagli
presenti nelle lettere, che l’ordine in cui le lettere sono pubblicate all’interno dei libri è
di tipo cronologico:
● libri I e II → fine del 96 - settembre del 100;
● libro III → settembre del 100 - 104 (due lettere risalgono ad anni precedenti);
● libro IV → 104-105;
● libro V → 105-106 (o inizi del 107);
● libro VI → 106-107;
● libro VII → 107;
● libro VIII → 107-108;
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● libro IX → 106-108 (tre lettere risalgono ad anni precedenti).

=> L’epistola prefatoria (cioè la lettera con cui P. dichiara all’amico Setticio Claro di
voler rendere pubblico il suo epistolario) compare soltanto all’inizio del primo libro →
non abbiamo altre epistole prefatorie all’inizio degli altri libri → quindi chi (fin dalla
epoca umanistica) ha avuto a che fare con l’epistolario pliniano ha creduto che la
raccolta fosse unitaria e pubblicata tutta insieme da P. con un’unica prefazione.
- Tuttavia, Theodor Mommsen si rese conto che le lettere pubblicate da P. apparte-
nevano a una serie di anni piuttosto estesa e che all’interno dell’epistolario era possi-
bile individuare un ordine cronologico (quello di sopra).
- Allora come si può interpretare l’affermazione di P., per cui avrebbe pubblicato le
lettere non in ordine cronologico ma come gli capitavano sottomano? → bisogna im-
maginare che P. non abbia pubblicato tutti e nove i libri di lettere private contempora-
neamente ma che l’abbia fatto in più momenti, e cioè che abbia pubblicato inizial-
mente un certo numero di libri e che a questa pubblicazione ne siano seguite altre
dei libri successivi.
- A proposito dell’epistolario pliniano è stato osservato anche che, sebbene i libri in
cui è suddiviso presentino una propria strutturazione interna a livello di varietà con
cui sono disposte le lettere e siano, per così dire, organizzati in modo indipendente,
P. marca il passaggio da un libro a un altro con lettere significative e attraenti per il
lettore e che ci sono alcuni libri (come il I e il II) che presentano delle rispondenze
tematiche (riscontrate anche con il III libro) → quindi a partire dagli studi di Asbach
(le cui conclusioni sono state riprese anche in epoca successiva) si è pensato che P.
abbia pubblicato i 9 libri di lettere private in triadi (I-III, IV-VI, VII-IX).
- Nessuno degli altri libri riporta un’altra epistola proemiale, segno che, idealmente, la
pubblicazione dei libri successivi al I era connessa al libro I delle lettere → è come
se P. pubblicasse un romanzo a puntate e non ha quindi bisogno di altre prefazioni.

=> Cosa succedeva nell’antichità quando un testo veniva pubblicato? → un autore


scriveva un determinato testo e lo rileggeva, magari davanti a qualcuno in modo da
riceverne le impressioni (questo è un lavoro che P. fa per le sue opere e di cui ci la-
scia testimonianza nell’epistolario) → apportava quindi all’opera delle correzioni, che
potevano ess. di tipo strutturale, espressivo, formale ecc. → una volta che l’opera
era considerata perfetta per la pubblicazione, l’autore la consegnava a un editore, il
quale aveva a disposizione una serie di scribi che ricopiavano l’opera sui rotoli di
papiro, che venivano poi messi in commercio nelle librerie, che non erano altro che
delle bancarelle su cui si vendevano i libri dei vari autori (in edizioni sia nuove sia
usate → anche di questo l’epistolario di P. lascia alcune testimonianze).

=> Quindi che cosa può ess. successo all’inizio? → semplicemente, P. potrebbe aver
deciso di pubblicare un rotolo di papiro contenente i primi tre libri oppure potrebbe
aver pubblicato tre rotoli diversi, contenenti ciascuno uno dei primi tre libri.
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=> Secondo gli studi più recenti condotti da Sherwin-White (il quale ha scritto un
commento fondamentale a tutto l’epistolario pliniano) sembrerebbe che il libro III sia
stato pubblicato indipendentemente dagli altri → cioè, secondo S.-W., P. potrebbe
aver pubblicato inizialmente i primi due libri insieme, poi il III da solo e infine tutti gli
altri libri → sempre secondo gli studi di S.-W., il libro VII, anziché ess. stato pubblica-
to assieme ai libri VIII e IX, potrebbe ess. stato pubblicato assieme ai libri precedenti
→ questa teoria è stata formulata sulla base di considerazioni di ordine cronologico e
di rispondenze tematiche tra le lettere.

=> I libri I-IX contengono corrispondenza privata, mentre il libro X contiene il carteg-
gio ufficiale di P. con Tr. → quindi, per quanto fosse una corrispondenza privata, era
cmq di interesse pubblico, perché si trattava della corrispondenza tra un governatore
e l’imperatore → corrispondenza che quindi non era soltanto in mano al governatore,
ma anche a un destinatario importante, quale l’imperatore, il quale si serviva per la
gestione per la gestione delle corrispondenze di una cancelleria, la quale scriveva
(cioè metteva per iscritto) le risposte → infatti è molto probabile che gran parte delle
lettere presenti nel libro X siano state impostate (per lo meno a livello dei concetti
fondamentali) dall’imperatore stesso.
- Si tratta, dunque, di un libro sostanzialmente diverso, che non contiene soltanto le
lettere del mittente, ma anche lettere del personaggio più importante di Roma e che
trattano spesso di questioni delicate, di carattere amministrativo, burocratico, politico
ecc.
- La cronologia dell’epistolario contenuto nel libro X ci permette di stabilire che le let-
tere contenute nel libro X arrivano fino (forse) alla morte di P., perché, dopo le ultime
lettere del carteggio con Tr., di P. non si sa più nulla, cioè le uniche informazioni che
abbiamo su P. provengono dalle ultime lettere dell’epistolario → dunque attorno al
112 P. scompare, per cui qualcuno probabilmente si occupò di pubblicare questo
libro forse come omaggio alla memoria dell’amico scomparso → forse Svetonio
avrebbe potuto provvedere alla raccolta, revisione e pubblicazione di queste lettere. -
All’interno del libro X non ci sono solo lettere scritte nel periodo di governatorato in
Bitinia-Ponto ma ci sono anche 14 lettere appartenenti all’epoca precedente, cioè
agli anni tra il 98 e il 102 → si tratta di lettere che P. scrive all’imperatore, a volte
senza ricevere risposta → queste sono lettere con cui P. comunica qualcosa a Tr. →
ad es. sono messaggi di congratulazioni, messaggi con cui lo informa di qualcosa,
ma si tratta di messaggi che solitamente non richiedono una risposta.
- Perché sono così poche le lettere a Tr. precedenti al governo in Bitinia? → sempli-
cemente perché in quel periodo P. si trovava a Roma e faceva parte del consilium
principis, quindi poteva parlare e informare l’imperatore di persona qualora ce ne
fosse stata la necessità → in quest’epoca P. affida a lettere o messaggi di scarso ri-
lievo (come messaggi di congratulazioni) oppure scrive a Tr. quando quest’ultimo
non è a Roma (e quindi non può recarsi da lui per parlargli di persona) → la presen-
za di queste 14 lettere all’inizio del libro X è un indizio che P. stesso avesse iniziato a
raccogliere la corrispondenza con l’imperatore → quindi la raccolta di lettere che P.
scrive a Tr. non è iniziata all’epoca del governatorato in Bitinia, ma prima, cioè P. te-
neva copia delle lettere che scriveva a Tr. e forse le raccoglieva lui stesso per qual-
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che ragione, o semplicemente per conservarne memoria oppure perché lui stesso
accarezzava l’idea di pubblicare il proprio epistolario con l’imperatore → quindi è
possibile che chi, dopo la morte di P., ha pubblicato il libro X delle lettere abbia ono-
rato la memoria dell’amico rispondendo a un suo desiderio.
- Nelle nostre edizioni moderne questo libro compare per ultimo insieme ai nove libri
di lettere private, però si tratta di una raccolta molto diversa.

=> Storia della tradizione delle lettere di P. → le edizioni moderne non hanno fatto
altro che riprodurre criticamente (cioè dopo attenta revisione) un testo che è tra-
smesso da fonti manoscritte, le quali sono prevalentemente di origine medievale e
derivano, in ultima istanza, dalle edizioni delle lettere di P. fatte nell’antichità → se si
guarda alla trasmissione delle lettere di P., si scopre che le testimonianze che ripor-
tano l’epistolario si possono suddividere in due grandi categorie:
1. la prima è quella che tramanda nove libri di lettere private;
2. la seconda è quella che tramanda dieci libri di lettere, cioè tutto l’epistolario
così come si conosce oggi.
- La tradizione si articola quindi in due rami → il ramo che tramanda 10 libri risale a
un manoscritto che oggi possediamo solo in forma frammentaria ma che nel ‘500 era
ancora integro e che risale alla fine del V sec. → la parte superstite di questo mano-
scritto contiene oggi le ultime lettere del libro II e le prime del libro III, ma nel ‘500
questo manoscritto era ancora integro quando fu utilizzato da Aldo Manuzio, il quale
entrò in possesso di questo antichissimo manoscritto quando era ancora completo →
poi nel corso del tempo il manoscritto si è rovinato, per cui l’edizione di Manuzio di
fatto testimonia il testo che era presente nel manoscritto originale → tuttavia, come
sempre succedeva nel ‘500 (processo iniziato già durante l’Umanesimo), chi faceva
una copia di un testo o lo stampava adoperava tutte le fonti che aveva a di-
sposizione su quel testo → dunque l’edizione di Manuzio non è una trascrizione fe-
dele di quel manoscritto (indicato dagli studiosi con π), ma è un’edizione migliorata
attr. le altre fonti di cui disponeva Manuzio → all’epoca infatti esistevano (oltre a que-
sto manoscritto) altri manoscritti derivanti dal manoscritto π e altri manoscritti che
appartenevano all’altro ramo della tradizione → quindi l’edizione di Manuzio non può
ess. presa come modello fedele in quanto egli ha contaminato la fonte principale.
- Il ramo che tramanda dieci libri risale almeno alla fine del V sec. → quindi questi
dieci libri erano già contenuti in un manoscritto della fine del V sec. → questo vuol
dire che alla fine del V sec. circolava un’edizione dell’epistolario pliniano compren-
dente anche il carteggio con Tr. → d’altro canto circolava anche un’edizione conte-
nente soltanto le lettere private (cioè i libri da I a IX) → è quindi probabile che ai no-
ve libri iniziali sia stato aggiunto in seguito il libro X, che era stato pubblicato dopo la
morte di P.
- P. quindi potrebbe aver pubblicato il suo epistolario per triadi e ogni papiro contene-
va una triade → nella tarda antichità però, per risolvere il problema della limitata lun-
ghezza dei papiri (ma anche perché sembra che a un certo punto non arrivasse più
una quantità di papiro sufficiente dall’Egitto), si cominciò a utilizzare la pergamena,
che diede origine al cosiddetto codex, cioè al libro così come lo si conosce oggi →
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questi libri in pergamena venivano piegati in più parti ed erano così più maneggevoli
e capienti dei rotoli di papiro → quindi è molto probabile che, con l’introduzione del
codex, l’epistolario di P. sia stato riunito tutto insieme → è possibile che a questo
codex (contenente i nove libri) in qualche parte dell’impero qualcuno abbia deciso di
aggiungere il libro X, che fino ad allora aveva avuto circolazione autonoma, in quan-
to la capienza del supporto scrittorio lo consentiva.

=> Di P. conosciamo anche il Panegirico a Traiano, cioè il discorso di ringraziamento


che P. pronunciò in Senato l’1 settembre del 100 → P. rilesse e rielaborò più volte
questo panegirico e alla fine decise di pubblicarlo.
- Il Panegirico non è mai stato unito alle lettere e ha quindi avuto una trasmissione
testuale del tutto indipendente dalle lettere dell’epistolario → l’edizione critica delle
lettere è distinta da quella del Panegirico, che è pubblicato insieme ad altri panegirici
di età tardo-antica (per i quali il panegirico di P. servì forse da modello) (l’edizione dei
panegirici è denominata Panegirici veteres).

=> Le opere che giungono dall'antichità non sempre sono riunite per autori → infatti,
a volte le opere ci sono giunte in manoscritti che contengono più autori, perché essi
derivano da manoscritti precedenti che a un certo punto sono stati accorpati tutti
insieme, per cui autori e opere anche molto diverse si trovano a coesistere in un
volume miscellaneo, che poi viene copiato nella sua interezza, e si formano così
delle famiglie di testi che circolano nel corso del Medioevo e che arrivano a noi come
delle vere famiglie, delle quali restano tracce sparse in testimonianze sparse prove-
nienti da varie parti d’Europa.

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➜ Lettera I,1 → si tratta della lettera proemiale.

I, 1
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO SETTICIO «CLARO»¹

1. Mi hai esortato spesso a raccogliere e pubblicare² delle lettere se ne avessi scritte


alcune con maggior cura³. Le ho raccolte non mantenendo l’ordine temporale (infatti non
scrivevo storia), ma come ciascuna⁴ mi veniva sottomano⁵. 2. Rimane che tu non ti penta⁶
del consiglio e che io non mi penta dell’obbedienza⁷. Così infatti succederà che io vada a
ricercare quelle che ancora giacciono trascurate e non getti via quelle che eventualmente
aggiungerò. Stammi bene.

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¹ Come mai il nome il nome Claro si trova tra parentesi uncinate? → le parentesi
uncinate indicano un’integrazione congetturale → cioè questo Claro non è traman-
dato dai manoscritti ma viene aggiunto dagli editori perché in altre lettere P. adope-
ra il nome completo di Setticio → è quindi improbabile che proprio all’inizio dell’epi-
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stolario, quando di questo Setticio Claro non si è mai parlato, P. menzionasse


l’amico senza far capire esattamente di chi si trattasse → quindi è del tutto plausi-
bile che nel corso della tradizione dell’opera questo Claro sia stato trascurato da
qualche copista per errore, andando così perduto.
² «colligerem publicaremque» → fa riferimento alla raccolta e alla pubblicazione, nel
senso di divulgazione dopo attenta revisione.
³ «paulo curatius» = con un po’ più di cura, attenzione, raffinatezza → cioè se aves-
se scritto lettere più raffinate.
⁴ sottinteso di esse.
⁵ P. finge di raccogliere le lettere quasi con disattenzione.
⁶ «paeniteat» → da paenitet, verbo impersonale che regge l’accusativo della perso-
na che si pente e il genitivo della cosa di cui ci si pente.
⁷ Cioè di averti obbedito.

=> «paulo curatius» → in questo caso si tratta di lettere che non servono solo alla
mera comunicazione ma sono anche un esercizio di stile → nell’antichità come oggi
chi scriveva poteva farlo senza nessuna attenzione o scrivere utilizzando un formula-
rio tipico della scrittura epistolare o poteva decidere di impegnarsi di più in quella
lettera perché, oltre a voler far colpo sul destinatario, voleva anche esercitarsi a
scrivere bene → questo è quello che P. fa con le lettere che decide di pubblicare.

=> Setticio Claro era un amico di P. che gli sopravvisse → in quest’epoca non era
ancora particolarmente noto ma diventerà più famoso in seguito, in quanto ricoprirà
incarichi amministrativi di una certa rilevanza (il suo incarico più importante fu la pre-
fettura del pretorio sotto l’imperatore Adriano → era cioè a capo della milizia cittadi-
na) → anche S.C. era amico di Svetonio (il quale dedicò le sue Vite proprio a S.C.) e
i due insieme fecero carriera sotto il principato di Adriano (in particolare Svetonio di-
venne segretario ab epistulis, cioè era a capo della cancelleria imperiale), fino a
quando non caddero in disgrazia per qualche gesto poco riverente o qualche azione
giudicata dall’imperatore poco rispettosa nei confronti dell’imperatrice.

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➜ Lettera VII, 9 → P. scrive questa lettera a Fusco Salinatore, un giovane molto


promettente negli studi letterari e che si esercitava nella scrittura sia in greco che in
latino con risultati molto soddisfacenti (per lo meno a quanto dice P.) → Fusco evi-
dentemente aveva chiesto dei suggerimenti di scrittura a P.

VII, 9 VII, 9
C. PLINIUS FUSCO SUO S. GAIO PLINIO SALUTA IL SUO FUSCO
1. Quaeris quemadmodum in secessu, quo 1. Tu mi chiedi in che modo io ritenga che
iam diu frueris, putem te studere oportere. tu debba studiare mentre sei in vacanza,
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2. Utile in primis, et multi praecipiunt, vel cosa di cui stai godendo già da un po’ di
ex Graeco in Latinum vel ex Latino vertere tempo. 2. Utile in primo luogo, e molti lo
in Graecum. [...] 7. [...] Ut enim terrae consigliano, è tradurre dal greco al latino
variis mutatisque seminibus, ita ingenia oppure dal latino al greco. [...]¹ 7. [...] Così
nostra nunc hac nunc illa meditatione come le terre con seminagioni diverse e
recoluntur. 8. Volo interdum aliquem ex alternate, così anche i nostri ingegni
historia locum apprendas, volo epistulam migliorano meditando ora su un argomento
diligentius scribas. Nam saepe in oratione ora su un altro. 8. Voglio² che tu ti concen-
quoque non historica modo sed prope tri su un qualche brano tratto dalla storia,
poetica descriptionum necessitas incidit, et voglio che tu scriva una lettera con maggior
pressus sermo purusque ex epistulis petitur attenzione. Infatti spesso anche nell’orazio-
[...]. ne capita la necessità di descrizioni non
solo di tipo storico ma anche vicine al
poetico e il discorso reso più compatto e
puro si ottiene dalle lettere³ [...].

¹ P. consiglia a Fusco di utilizzare stili diversi a seconda di ciò che deve scrivere e
quindi di rivolgersi alla lettura di testi diversi.
² Cioè ti consiglio.
³ P. dice che la scrittura di epistole scritte con maggiore attenzione contribuisce a
rendere l’eloquio e la scrittura dell’autore più compatti e puliti.

=> La scrittura di epistulae scritte diligentius era quindi considerata da P. contempo-


raneamente un esercizio per lo stile, che addirittura consiglia agli altri.

5 MAR. 2021

➜ Lettera I, 6 → lettera (per certi aspetti) spiritosa, breve, ma anche molto impor-
tante, perché è la prima lettera dell’epistolario che P. scrive a un suo amico molto ca-
ro, ossia Publio Cornelio Tacito, personaggio notissimo a Roma.
- Tacito era più anziano di P. di circa una decina d’anni e aveva già affrontato una
brillante carriera, tanto da ess. molto stimato da P. sia dal punto di vista dei successi
ottenuti in ambito pubblico sia per le sue virtù di oratore.
- Tacito è probabilmente il più grande storico di Roma e scrive importanti opere di
storia → cfr. Germania, Agricola, Annales ab excessu Divi Augusti (dalla morte di
Augusto fino alla morte di Nerone) e Historiae (dall’anno dei quattro imperatori fino
alla morte di Domiziano) → dalle ultime due opere, nonostante non siano giunte per
intero, siamo in grado di farci un’idea ben precisa dell’importanza letteraria e storica
di Tacito → a Tacito è attribuito anche il componimento cosiddetto Dialogus de
oratoribus, in cui si tratta di oratoria.
- Tacito probabilmente scrisse anche altre opere, ma soprattutto si dedicò a un’inten-
sa attività oratoria, nella quale doveva eccellere, motivo per cui P. lo assume come
modello (lo dice anche in altre lettere che per lui Tacito è un esempio da seguire).
- Tacito ha uno stile di scrittura particolarissimo → rispetto ad altri scrittori, Tacito rie-
sce a utilizzare la lingua a tutto tondo e a forzarne i confini → Tacito non scrive con
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una sententia ornata e breve (come aveva fatto ad esempio Seneca) ma scrive un
latino più denso e complesso, molto articolato, in cui la lingua viene spesso forzata
con variazioni, anacoluti, espressioni nuove → quindi è una lingua per certi aspetti
anche difficile, che spesso sorprende il lettore per la sua grande espressività.

- Questa è la prima lettera che P. scrive a Tacito → in seguito gliene scriverà altre
dieci → Tacito è il destinatario dell’epistolario che riceve più lettere → non è detto pe-
rò che questa proporzione rispecchi la realtà → infatti può darsi che P. abbia deciso
di pubblicare gran parte delle lettere che si scambiava con Tacito in quanto egli era
un personaggio in vista, era un amico stretto (almeno per quanto dice P. nell’epistola-
rio) ed era anche un personaggio per cui provava molta ammirazione.

- Questa prima lettera non parla né di argomenti politici né (se non tangenzialmente)
di letteratura.

I, 6
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CORNELIO TACITO

1. Riderai, e hai ragione a ridere. Io, proprio quello che tu conosci bene, ho preso tre cin-
ghiali e anche parecchio belli. “Tu?”, dirai. Io; non tuttavia da allontanarmi del tutto dalla
mia inerzia e tranquillità ¹. Ero seduto presso le reti²; a portata di mano non c’era il vena-
bulo³ o una lancia, ma uno stilo e delle tavolette⁴; meditavo qualcosa e lo annotavo, in
modo che se avessi riportato a casa le mani vuote, avrei tuttavia riportato le cere piene.
2. Non c’è ragione di disprezzare questo tipo di applicazione⁵; è sorprendente come l’ani-
mo si metta in moto con il movimento del corpo; inoltre da ogni parte i boschi e la soli-
tudine e quello stesso silenzio che si dà alla caccia sono dei forti incitamenti al pensiero.
3. Perciò, quando andrai a caccia, ti sarà possibile portare, con me come consigliere, così
come il paniere e la fiaschetta⁶ anche delle tavolette: scoprirai che Minerva si aggira sui
monti non meno di Diana⁷. Stammi bene.

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¹ P. è andato a caccia, una delle passioni dei romani, anche colti, alla quale si dedi-
cavano solitamente quando erano in vacanza, si ritiravano nelle proprie ville priva-
te in campagna e si prendevano una pausa dalla vita politica → anche P. aveva di-
verse ville, sparse in diverse parti dell’Italia → una delle ville cui era più affezionato
era quella che aveva ereditato, probabilmente dal padre, a Tifernum Tiberinum
(Città di Castello).
² Nell’antichità la caccia con le reti era abbastanza comune e veniva utilizzata an-
che per animali di grossa taglia come cervi, caprioli e cinghiali → la caccia con le
reti comportava necessariamente che non si cacciasse da soli, per cui P. in questa
caccia è sicuramente accompagnato da qualcun’altro, però decide di non parteci-
pare alla caccia in modo troppo attivo, ma si limita a starsene seduto presso le reti.
³ = lancia sottile e molto allungata con cui veniva colpito l’animale una volta finito
nella rete.
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⁴ «pugillares» → supporto scrittorio molto comune nell’antichità → erano sostanzial-


mente due tavolette cerate, tenute insieme da un fermaglio e incorniciate da steli di
legno → all’interno di ciascuna tavoletta era spalmato un sottile strato di cera che
poi veniva inciso con lo stilo, strumento che aveva una punta acuminata che servi-
va per incidere la cera e scrivere e una punta fatta a spatola, che serviva a lisciare
la cera quando si voleva cancellare → questo tipo di supporto scrittorio era uno dei
più comuni nell’antichità → queste tavolette erano definite pugillares perché si te-
nevano bene in mano ed erano il tipico quaderno con cui gli studenti andavano a
scuola e sul quale si prendevano gli appunti, si facevano i conti, ecc. → il fatto di
ess. di cera le rendevano un supporto scrittorio non adatto alla lunga conservazio-
ne.
⁵ «studendi» → da studeo = applicarsi a qualcosa.
⁶ «lagunculam» → diminutivo di lagena = bottiglia.
⁷ Cioè sui monti non c’è solo la dea della caccia (Diana) ma anche quella dell’attivi-
tà intellettuale (Minerva).

=> Si tratta quindi di un biglietto breve e piuttosto spiritoso, nel quale si offre un’infor-
mazione reale (cioè che P. è stato a caccia e, insieme ai compagni, è riuscito a pren-
dere tre bei cinghiali), ma questa informazione si piega a un messaggio di tipo diver-
so → cioè questo, pur essendo un autocompiacimento per il successo nella caccia, è
un biglietto nel quale P. comunica a Tacito di riuscire a svolgere attività intellettuale
anche mentre si trova nel bosco → P. quindi si autorappresenta come un vero e pro-
prio intellettuale, per cui, anche mentre svolge attività di tipo fisico, si dedica comun-
que ad attività di tipo più elevato.

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➜ I, 24 → si tratta dell’ultima lettera del I libro, che si conclude con una lettera breve
e (per certi aspetti) spiritosa ma che ha a che fare con una questione economica e
materiale collegata a Svetonio (altro personaggio pubblico, amico di P., divenuto an-
che lui famoso per le sue opere di storia).

I, 24
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO BEBIO ISPANIO
1. Tranquillo, mio contubernale¹ vuole comprare un poderetto², che si dice un tuo amico
intenda vendere³. 2. Ti prego di informarti a quanto è equo che lui lo compri; così infatti
sarà soddisfatto di averlo comprato⁴. Infatti il cattivo acquisto è sempre sgradito, soprat-
tutto perché sembra rinfacciare al proprietario la sua stupidità. 3. Inoltre in questo pode-
retto, se solo il prezzo sarà conveniente⁵, sono molte le cose che stuzzicano l’appetito del
mio Tranquillo, la vicinanza della città, la comodità della strada, la grandezza media del
fabbricato rurale, la misura del terreno, che attragga più che preoccupare⁶. 4. A dei pro-
prietari intellettuali⁷, come è costui, è sufficiente in abbondanza⁸ quel tanto di terreno da
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poter sollevare la testa, riposarsi gli occhi, trascinarsi lungo il confine e calpestare un uni-
co viottolo e conoscere tutte le sue vitine e contare i suoi alberelli⁹. Ti ho esposto queste co-
se affinché tu sapessi meglio quanto lui mi sarebbe debitore e quanto io ti sarei debitore¹⁰
se questo¹¹ poderetto¹², che si raccomanda per queste doti, lo possa comprare così bene da
non lasciare spazio a pentimenti. Stammi bene.

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¹ Cioè qualcuno che vive sotto lo stesso tetto (o sotto la stessa tenda, se i perso-
naggi stanno svolgendo servizio militare) → questa espressione indica, quindi, un
amico particolarmente stretto, che frequenta spesso la casa dell’amico.
² «agellum» → diminutivo di ager → con questa espressione si indica un appezza-
mento di terreno al cui interno si trovava una struttura di produzione agricola →
una villa circondata da un terreno abbastanza vasto da consentirne l’autonomia.
³ «venditare» → frequentativo del verbo vendo → i frequentativi sono verbi che indi-
cano un’azione iterata, che si ripete frequentemente → il frequentativo può ess.
usato anche per esprimere desiderio di compiere un’azione (come in questo caso).
⁴ Cioè soltanto se lo avrà pagato un prezzo giusto sarà soddisfatto dell’acquisto.
⁵ lett. se solo il prezzo gli sorriderà.
⁶ Quindi la villa che Svetonio vuole comprare è una villa non troppo grande, che
possa servirgli da distrazione.
⁷ «scholasticis» → gli scolastici sono tutti coloro che avevano a che fare con la
scuola (in senso molto lato) → si tratta quindi di personaggi che si interessano alla
cultura e che ruotano attorno all’ambiente culturale della scuola.
⁸ Cioè basta e avanza.
⁹ «viteculas» e «arbusculas» → diminutivi usati in senso affettivo → servono a far
capire che a un intellettuale come Svetonio piace avere un terreno perché esso è
motivo di svago.
¹⁰ «quantum esset ille mihi ego tibi debiturus» → meccanismo della variazione, usato
molto spesso da P. → queste variazioni riproducono una libertà linguistica caratte-
ristica della lingua parlata.
¹¹ «istud» → lett. codesto, qualcosa di vicino a chi ascolta e lontano da chi parla
(può assumere valore dispregiativo, allontanando l’oggetto dal parlante).
¹² «praediulum» → diminutivo di praedium, che designa tutto l’appezzamento di ter-
ra comprensivo dei fabbricati.

=> L’utilizzo in questa lettera da parte di P. dei diminutivi è volto non solo per cercare
di ricreare nello scritto la spontaneità del parlato ma è anche un modo per
convincere l’amico a intervenire per fare sì che il prezzo sia adeguato e fargli capire
quanto piacerebbe a Svetonio avere questo poderetto.

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➜ Lettera II, 1 → prima lettera del II libro e quindi molto significativa, in quanto par-
la di Virginio Rufo, che era stato il tutore di P., lo aveva seguito nella sua educazione
e lo aveva praticamente adottato alla morte del padre → quindi V. Rufo era un perso-
naggio a cui P. era particolarmente legato dal punto di vista personale e che stimava
moltissimo dal punto di vista professionale, in quanto era stato uno dei protagonisti
della storia romana negli anni ‘60, andando vicino a diventare imperatore per un paio
di volte.

=> Situazione di Roma negli anni ‘60 → Nerone si suicida nel giugno del 68 → dopo
di lui diventano, in rapida successione, imperatori Galba, Otone e Vitellio, dopo il
quale prende definitivamente il potere Vespasiano.
- Il governo di Nerone era considerato dal Senato come oppressivo per l’aristocrazia,
motivo per cui la classe senatoria fece di tutto per abbatterlo.
- Province senatorie governate ciascuna da un proconsole ≠ province imperiali, in cui
c’erano forti contingenti dell’esercito e che erano governate da un governatore →
nella Germania Superiore era governatore V. Rufo → nella Gallia Lugdunense si sol-
levò una rivolta, capeggiata da Vìndice (il governatore stesso), che aizzò le truppe
con l’intenzione di marciare contro l’imperatore → V. Rufo, però, lo affrontò e lo scon-
fisse → le truppe della Germania e della Gallia erano anch’esse insoddisfatte, per cui
alla morte di Vindice proclamarono V. Rufo imperatore, il quale però rifiutò nei con-
fronti del rispetto per il popolo romano → nel giugno del 68 il Senato di fatto sfiducia
Nerone e proclama imperatore Galba (governatore della Spagna Tarraconense), che
prende il potere e vi resta fino alla metà del gennaio del 69, quando viene assassina-
to da Otone (governatore della Lusitania), che prende il potere e diventa a sua volta
imperatore → ma nella Germania la situazione non si è placata, le truppe non sono
ancora soddisfatte e cercano di sollevarsi contro il potere centrale, così che nella
Germania Superiore il potere viene nuovamente offerto a V. Rufo, il quale lo rifiuta
per la seconda volta e nella Germania Inferiore viene proclamato imperatore Vitellio,
che prende il posto di Otone fino alla fine del 69, quando le truppe della Pannonia e
della Mesia si sollevano e proclamano a loro volta imperatore il governatore di quelle
zone, ossia Vespasiano, con la cui salita al potere ha finalmente fine questo periodo
turbolento sostanzialmente di guerra civile.

II, 1
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO ROMANO
1. Dopo diversi anni un insigne e anche memorabile spettacolo lo ha offerto agli occhi del
popolo romano il funerale pubblico¹ di Virginio Rufo, cittadino della massima importanza e
illustrissimo, e altrettanto felice. 2. È sopravvissuto trent’anni alla sua gloria²; ha potuto
leggere poesie scritte su di lui, ha potuto leggere libri di storia³ e ha potuto partecipare
alla sua posterità⁴. Ha ricoperto⁵ il terzo consolato, così da ottenere il massimo onore che
può capitare a un privato cittadino⁶, non avendo voluto l’onore di essere imperatore. 3.
Riuscì a sfuggire agli imperatori ai quali era stato sospetto e addirittura inviso per le sue
virtù⁷, ne lasciò uno incolume, ottimo e amicissimo, come riservato a questo stesso onore
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del funerale pubblico⁸. 4. Se n’è andato l’anno ottantetresimo con grandissima tran-
quillità d’animo e circondato da pari rispetto. Ha potuto godere⁹ di una salute ferma, se
non che gli solevano tremare le mani, al di qua del dolore¹⁰. Tuttavia l’appressarsi della
morte è stato più duro e più lungo, ma anche in questo caso si è comportato in modo lode-
vole. 5. Infatti, mentre esercitava la voce per pronunciare il ringraziamento all’imperatore
per il consolato¹¹, un libro un po’ più grande che aveva preso in mano, a lui anziano e in
piedi, scivolò per il suo stesso peso. Mentre lo segue e lo raccoglie, ingannato dal passo, su
un pavimento liscio e scivoloso, cadde e si ruppe il femore, il quale, risistemato in modo
non adeguato, con i problemi dell’età, si risaldò malamente.
6. Le esequie di quest’uomo sono state un grande decoro per l’imperatore, per questa ge-
nerazione e anche per il foro e per i rostri¹². Fu lodato dal console Cornelio Tacito; infatti
alla sua felicità si aggiunse questo supremo cumulo di fortuna, cioè il più eloquente degli
oratori. 7. E lui se ne andò pieno di anni, pieno di onori, anche di quelli che aveva rifiuta-
to: da noi tuttavia deve essere ricercato e desiderato come un esempio dell’età passata,
da me in particolare, che lo ammiravo tanto quanto lo amavo non solo pubblicamente¹³;
8. anzitutto perchè entrambi provenivamo dalla stessa zona, municipi confinanti, terreni e
possedimenti confinanti, e inoltre perché egli, lasciatomi come tutore, mi mostrò l’affetto di
un genitore.

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¹ «publicum funus» → funerale svolto a spese pubbliche → solitamente il funerale


pubblico veniva concesso a personaggi di spicco, che erano stati importanti per la
società, e veniva deliberato dal Senato.
² Siamo nel 96 → aveva ricevuto la prima offerta per diventare imperatore nel 68.
³ sott. su di sè.
⁴ In sostanza, V. Rufo è riuscito a vivere nel futuro di Roma creato da lui stesso.
⁵ «perfunctus» → composto di fungor, uno di quei verbi che reggono l’ablativo stru-
mentale.
⁶ Il massimo onore conferibile a un privato cittadino (quindi non imperatore) era
quello di ess. eletto più volte al consolato per un massimo di tre volte.
⁷ Non era infatti scontato ricevere dall’esercito la possibilità di diventare imperatore,
rifiutare e rimanere in vita → è quindi comprensibile il motivo per cui V. Rufo fosse
inviso ai vari imperatori che si succedettero in quell’epoca → V. Rufo era un perso-
naggio scomodo, influente, che godeva di credito presso gli eserciti e quindi era
virtualmente pericoloso, anche se era così virtuoso che nessun imperatore decise
di mandarlo a morte → quindi anche l’ess. riuscito a sopravvivere in tale situazione
è una delle virtù di V. Rufo.
⁸ Si sta parlando dell’imperatore in carica, ossia Nerva.
⁹ «usus est» → da utor, altro verbo che regge l’ablativo strumentale.
¹⁰ Ossia questo problema non gli causava dolore.
¹¹ Per avergli concesso il terzo consolato.
21

¹² Dai rostri venivano pronunciati i discorsi pubblici.


¹³ Per P. V. Rufo era stato quasi un padre adottivo → per questo lo amava non solo
pubblicamente ma anche nella vita privata.

11 MAR. 2021

8. [...] Per questa ragione¹⁴ mi onorò del suffragio¹⁵ quando io ero candidato¹⁶; per questa
ragione accorse dai suoi possedimenti a tutte le mie cariche, avendo egli stesso già da
tempo rinunciato a doveri del genere; per questa ragione in quel giorno in cui i sacerdoti
sono soliti nominare coloro che ritengono più degni del sacerdozio¹⁷, egli faceva sempre il
mio nome. 9. Che anzi, anche nel suo ultimissimo stato di salute¹⁸, temendo di essere
nominato tra i quinqueviri, che venivano nominati per volontà del Senato per diminuire le
spese pubbliche, sebbene egli avesse numerosi amici anziani e di rango consolare, scelse
me così giovane, attraverso il quale scusarsi per non essere nominato nel collegio, e anche
con queste parole: “Se anche avessi un figlio affiderei a te questo incarico”¹⁹ ²⁰.
10. Per queste ragioni bisogna che io pianga tra le tue braccia la sua morte come se
fosse stata prematura, sempre che sia lecito o piangere o addirittura chiamare morte quella
per cui è terminata più la mortalità di un uomo così grande che la vita²¹. 11. Infatti vive e
vivrà sempre, e comparirà ancor più largamente nella memoria delle persone che nei
discorsi, ora che se n’è andato dai nostri occhi²². 12.²³ Vorrei²⁴ scriverti molte altre cose,
ma tutta la mia mente è inchiodata in questa sola contemplazione. Penso a Virginio, vedo
Virginio, ascolto, lo abbraccio, parlo a Virginio, che ormai sono diventate immagini
inconsistenti, per quanto recenti; al quale forse abbiamo e avremo forse qualche cittadino
pari per virtù, ma nessuno per gloria. Stammi bene.

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¹⁴ Si riferisce all’affetto di V. Rufo.


¹⁵ Cioè del sostegno.
¹⁶ Molto probabilmente si tratta della pretura, ricoperta da P. nel 93.
¹⁷ Ossia una carica di tipo religioso.
¹⁸ Valetudo è una vox media e può indicare tanto la buona salute quanto la cattiva
a seconda dell’aggettivo che la accompagna.
¹⁹ Da questa frase si evince che sostanzialmente V. ha chiesto a P. di comunicare
al Senato che egli non era disponibile per ess. nominato al collegio dei cinque → si
evince però anche che V. non ha figli.
²⁰ «mandarem» → da mando, il verbo dell’incaricare, con il quale si affida a qualcu-
no un compito o un ordine → l’imperatore assegnava spesso incarichi o compiti,
che venivano appunto definiti mandata principis.
²¹ Allude al fatto che V. lascia dietro di sé un ricordo immortale.
22

²² P. utilizza qui un verbo eufemistico per descrivere la morte, come se V. si fosse


allontanato deliberatamente dalla vita.
²³ Finale letterario e stilisticamente molto ricco.
²⁴ «volo» = falso condizionale.

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➜ Lettera II, 6 → P. in questa lettera parla della brutta abitudine di alcuni padroni di
servire pietanze differenziate ai propri convitati.

II, 6
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO AVITO

1. Sarebbe lungo ricordare e non ha importanza, come sia accaduto che io, persona per
nulla intima, cenassi presso un tale che, a suo parere, è lussuoso e pieno di attenzioni¹,
invece, a mio parere, è allo stesso tempo gretto e suntuoso². 2. Infatti imbandiva per sè e
per pochi pietanze particolarmente pregiate, agli altri pietanze scadenti e in piccole
quantità. Aveva suddiviso anche il vino in tre tipologie all’interno di piccole bottiglie, non
perché ci fosse la possibilità di scegliere, ma perché non ci fosse la possibilità di rifiutarlo,
uno per sè e per noi, uno per gli amici di minor conto (infatti ha amici suddivisi per
gradi)³, un altro per i suoi e i nostri liberti. 3. Se ne accorse quello che mi stava sdraiato
accanto, e mi chiese se io approvassi. Io dissi di no. “E tu allora” disse “che abitudine
hai?”. “Io imbandisco a tutti le stesse cose; infatti invito a cena, non a un biasimo e con
tutte le cose metto alla pari coloro che ho uguagliato grazie alla mensa e al letto”⁴. 4.
“Anche i liberti?”. “Anche; in quell’occasione infatti li considero dei commensali, non dei
liberti”. E quello: “Ti deve costare molto”. “Per nulla”. “In che modo può succedere?”.
“Evidentemente perché i miei liberti non bevono la stessa cosa che bevo io, ma io bevo la
stessa cosa che bevono i liberti”⁵. 5. E, per Ercole, se tu metti a freno la gola, non è
costoso condividere con più persone ciò di cui tu ti servi. Quella deve essere frenata, va
rimessa in riga, se vuoi ridurre le spese, alle quali molto più correttamente puoi provvedere
attraverso la tua moderazione meglio che attraverso l’offesa agli altri.

——————————————————————————————————

¹ Verso gli ospiti.


² Aggettivo negativo, in quanto i Romani vedevano di malocchio il lusso sfrenato →
per questo vennero spesso varate delle leggi suntuarie contro le spese eccessive.
³ In questo caso non si tratta di grado di affetto ma di grado di importanza.
⁴ P. esprime un concetto di uguaglianza che si stava diffondendo in alcuni ambiti
culturali della seconda metà del I sec. d.C. e in particolare presso intellettuali come
Seneca, che considerava gli schiavi alla pari delle persone libere.
23

⁵ Ricorda molto la sententia di Catone il Censore riportata da Plinio il Vecchio nel


Libro XIV della sua Naturalis Historia.

=> Plinio il Vecchio nel Libro XIV della Naturalis Historia riferisce questo:
«idem Cato cum in Hispaniam navigasset, unde cum triumpho rediit: “Non aliud
vinum”, inquit, “bibi quam remiges”, in tantum dissimilis istis qui etiam convivis
alia quam sibimet ipsis ministrant aut procedente mensa subiciunt»
«Lo stesso Catone (il Censore), in viaggio di ritorno dalla Spagna, dalla quale
tornò con un trionfo, disse: “Non ho bevuto un vino diverso da quello della
ciurma”, di tanto diverso da coloro che anche ai convitati offrono cose diverse
rispetto a quelle che mangiano loro stessi oppure le sostituiscono via via che il
banchetto va avanti»
- Plinio il Vecchio riporta con ammirazione questa sententia di Catone, rimproveran-
do un vizio che doveva ess. frequente nella sua epoca, cioè la cena differenziata a
seconda del grado sociale o tra padrone e ospiti.

=> Anche Marziale lascia molte testimonianze di questo tipo di cena nei suoi Epi-
grammi:
- I, 20:
«Dimmi un po’, che pazzia è questa? Chiamata una folla di persone a guardare
tu da solo, Ceciliano, mangi i porcini.
Che cosa mi auguro che accada a te con un ventre e una gola così spropositati?
Che tu possa mangiare un fungo come quello che mangiò Claudio»
- III, 60:
«Poiché sono invitato a cena e non vengo più pagato come prima*,
perché non mi si danno le stesse cose che si danno a te?
Tu mangi delle ostriche ingrassate nel lago Lucrino,
invece io succhio con una conchiglia con un’incisione:
tu hai a disposizione dei porcini, io invece mangio dei pinaroli:
mentre tu hai a che fare con un rombo, io con uno sparulo.
Una tortora dorata ti riempie con le sue enormi cosce,
a me viene servita una gazza morta in gabbia.
Perché, Pontico, io ceno senza di te pur cenando con te?
Giovi il fatto che non c’è più la sportula: mangiamo le stesse cose.»
* I clientes non cenavano col padrone (perché erano di rango sociale molto più bas-
so) ma ricevevano la cosiddetta sportula, ossia una cesta con delle vivande → que-
sta abitudine fu però abolita da Domiziano (perché si era diffusa l’abitudine di sostitu-
irla con una somma di denaro), per cui i clientes cominciarono a ess. invitati a cena
dai padroni.
- In sostanza Marziale in questi due epigrammi si scaglia contro degli ospiti che ser-
vono ai convitati delle pietanze differenziate.
24
- IV, 85:
«Noi, Pontico, beviamo nel vetro, tu invece nella fluorite, perché?
Perché il calice trasparente non mostri due vini»

12 MAR. 2021

=> Lettera II, 6 → questa lettera comincia come una storia, con P. che dice al desti-
natario che non importa che spieghi perché si trova a cena presso un uomo che co-
nosce pochissimo.
- La lettera prosegue poi raccontando un fatto avvenuto durante la cena e osserva la
mancanza di gusto da parte dell’ospite.
- Dopodiché prosegue rivolgendosi direttamente a Giunio Avito, utilizzando sempre
la seconda persona del congiuntivo, che si rivolge non solo al destinatario ma anche
un po’ a tutti, è generalizzante, esprimendo un concetto che si può applicare univer-
salmente e trasformando il destinatario della lettera in un destinatario ideale, che può
ess. chiunque.
- Dopo aver fornito questo concetto, P. passa alla conclusione.

[...] 6. A cosa mira tutto ciò? Affinchè il lusso sulla tavola di qualcuno, giovane di ottima
indole, non ti inganni⁶ con un aspetto di frugalità. Si conviene all’amore che ho per te, e
ogniqualvolta capita qualcosa del genere io ti avverta con l’esempio di ciò da cui tu ti
debba tenere lontano. 7. Perciò⁷ ricorda che niente è da evitare più di questo nuovo
abbinamento di lusso e grettezza; le quali, sebbene siano già cose vergognosissime quando
sono separate e a sé stanti, sono ancora più vergognose quando si uniscono. Stammi bene.

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⁶ «tibi [...] imponat» → imponere + dativo = ingannare.


⁷ Introduce la conclusione a cui è giunto dopo tutte queste argomentazioni → è il
precetto finale che P. dà a Giunio Avito.

=> Questa lettera si apre con un inizio accattivante e si conclude con un precetto di
tipo sociale → la lettera precedente (quella sulla morte di V. Rufo) si apriva anch’es-
sa con un inizio piuttosto roboante, poi raccontava la vita di V. Rufo e l’affetto che P.
provava per lui e infine si concludeva con una sorta di innalzamento di stile → P.
pensa a Virginio, gli sembra di vederlo e di parlarci ma ormai V. si è trasformato in
un’immagine vuota, per quanto recente → infine la conclusione è lapidaria e afferma
che non ci sarà mai nessuno come lui.
- In questa conclusione si nota l’innalzamento di stile → la lettera che P. scrive su V.
è una lettera scritta bene fin dall’inizio, però nel finale P. ha messo un surplus di
attenzione e si nota una maggiore cura stilistica.
- Nella lettera a Bebio (in cui cerca di convincerlo a intervenire perché l’amico Sveto-
nio faccia un acquisto soddisfacente) l’inizio è quasi dimesso e ordinario → però il fi-
25
nale della lettera è anch’esso molto curato → si tratta di un finale riassuntivo e quasi
spiritoso, con cui saluta l’amico.
- La lettera a Tacito inizia anch’essa in modo accattivante e si conclude con un sug-
gerimento scherzoso che P. dà a Tacito, cioè di portarsi, quando va a caccia, non so-
lo gli strumenti per la caccia e il paniere con il vino, ma anche tavolette per prendere
appunti → anche questa lettera si conclude con una battuta particolarmente curata.

=> Già da queste prime lettere si vede che l’inizio della lettera deve accattivare il let-
tore e anche il finale è particolarmente curato → si può dire che l’incipit della lettera e
la sua conclusione sono i due momenti fondamentali → gli antichi infatti ponevano
molta attenzione alla struttura compositiva di qualsiasi testo → come il latino tende a
porre gli elementi più importanti del periodo ai suoi margini, allo stesso modo si svi-
luppa il discorso (quando si fa più complesso), ponendo nella parte iniziale e in quel-
la finale gli elementi più importanti → questo modo di comporre si riflette spesso an-
che nella struttura dei componimenti → è vero che la parte centrale è dedicata all’e-
sposizione degli argomenti, però ciò che conta per i latini è attrarre all’inizio e lascia-
re una buona impressione di sé nella conclusione.

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➜ Lettera II, 14 → lettera scritta a un certo Massimo, che non sappiamo chi sia
esattamente perché P. nell’epistolario scrive diverse lettere a svariati Massimi, spes-
so senza riportare altri nomi, per cui non si è in grado di capire con certezza a chi sia
indirizzata la lettera → forse è un letterato, perché la lettera fa in qualche modo pen-
sare che il destinatario si occupasse di declamazioni e in generale di composizione.
- Questa lettera sembra la risposta a una lettera che P. ha ricevuto, come sembra
evincersi dall’esordio.

II, 14
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO MASSIMO

1. Pensi bene: sono oberato da cause centumvirali¹, che mi danno da fare più che
dilettarmi. Infatti la maggior parte sono piccole e di poco conto; raramente ne capita una
ragguardevole o per la notorietà delle persone coinvolte o per l’importanza dell’affare. 2.
Inoltre sono pochi coloro con cui sia piacevole discutere; gli altri sono persone audaci e
anche in gran parte dei ragazzetti di nascita non illustre che sono venuti qua a declamare
in modo così irreverente e azzardato che mi sembra abbia detto in modo adeguato il nostro
Atilio, che i bambini iniziano² nel foro dalle cause centumvirali, così come nelle scuole
cominciano da Omero³. Infatti anche qui, come lì, si inizia da ciò che è più importante. 3.
Ma, per Ercole, prima della mia memoria⁴ (così sono soliti dire gli anziani⁵) neppure ai
ragazzi più nobili era concesso spazio, se non li presentava un qualche consolare: con
tanta venerazione era coltivata il più bel mestiere. 4. Ora, rotti i freni del pudore e della
riverenza, tutto è a disposizione di tutti e non vi vengono portati ma vi irrompono loro
stessi⁶. Seguono degli ascoltatori⁷ simili agli attori, affittati e acquistati. Si trova un
26

ingaggiatore; nel mezzo della basilica vengono date davanti a tutti delle offerte in denaro
così come nel triclinio; si passa di giudizio in giudizio per un identico prezzo. 5. Perciò, in
modo non privo di spirito, vengono chiamati Sofoclei [deriva da σοφῶς e da καλεῖσθαι]⁸,
agli stessi è stato dato anche un nome latino, Laudiceni; 6. ciònonostante, questa vergogna
cresce giorno dopo giorno, sebbene stigmatizzata⁹ in entrambe le lingue. Ieri due miei
nomenclatori¹⁰ (hanno proprio l’età di coloro che da poco hanno assunto la toga¹¹) stavano
per essere trascinati a tessere le lodi di qualcuno per tre denari a testa¹². Tanto è il prezzo
per essere eloquentissimo. Con questo prezzo vengono riempite sedi numerose quanto
vuoi¹³, con questo prezzo si raccoglie una ingente corona, con questo prezzo vengono
sollecitate grida di apprezzamento infinite, non appena il mesocoro dà il segnale¹⁴. 7. Ѐ
infatti necessario un segnale per coloro che non comprendono, che non ascoltano neppure;
8. infatti i più non ascoltano e nessun’altro loda di più. Se ti capiterà di passare attraverso
la basilica e vorrai sapere in che modo ciascuno reclami, non c’è bisogno di salire sulla
tribuna e che tu aguzzi l’orecchio; è facile congetturarlo¹⁵: sappi che sta declamando
peggio colui che sarà lodato più di tutti gli altri. [...]

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¹ «centumviralibus causis» → si potrebbe tradurre in italiano corrente con “cause


civili” → infatti le cause che a Roma si discutevano di fronte alla corte centumvirale
erano appunto di tipo civile (si tratta di cause di tipo privato) → la corte centumvira-
le prendeva il suo nome dal fatto che in origine era costituita da poco più di cento
membri (che poi nel corso del tempo aumentarono fino ad arrivare a 180) → la cor-
te cen., essendo composta da tutti questi membri, non giudicava sempre come una
corte riunita ma per lo più si suddivideva in quattro sezioni separate → ogni tanto
poteva succedere anche che la corte si riunisse al completo per giudicare di que-
stioni della massima importanza, però accadeva raramente → a capo di ogni se-
zione si trovava un decemvir stilitibus iudicandis, mentre a capo di tutte e quattro le
sezioni si trovava un pretore → questi processi di diritto civile avvenivano nel foro
(nella parte centrale della città) all’interno della cosiddetta Basilica Iulia, ossia una
basilica fatta costruire da Cesare nel 54 a.C., poi bruciata a causa di un incendio e
fatta ricostruire da Augusto.
² «auspicari» = lett. prendere gli auspici → a Roma prima di cominciare qualsiasi
cosa si prendevano gli auspici per ess. sicuri della volontà divina.
³ P. si lamenta del fatto che nel foro non ci sono colleghi di grande livello ma per lo
più ci sono ragazzetti di oscura origine che declamano in modo irriverente, quasi ir-
rispettoso e senza scrupoli.
⁴ «ante memoriam meam» → espressione che si potrebbe rendere oggi con “ai bei
tempi”.
⁵ «maiores natu» → ablativo di limitazione → lett. “i maggiori in quanto alla nascita”.
⁶ P. sta descrivendo una situazione in cui un mestiere importante come quello dello
avvocato non è più appannaggio di persone di nobile nascita ma è stato, per così
dire, preso d’assalto da giovinastri di origine oscura e non di buona famiglia, che
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non hanno avuto un’istruzione adeguata e il cui mestiere è iniziato forse anzitempo
→ andare a discutere cause nella corte centumvirale era considerato da questi non
un punto di arrivo bensì un punto di partenza → di questa situazione si lamentano
anche altri autori coevi a P., come Quintiliano (che aveva scritto un De causis cor-
ruptae eloquentiae, andato però perduto) e Tacito, che nel Dialogus de oratoribus
dice che una delle cause della corruzione dell’eloquenza è proprio il fatto che i gio-
vani vadano a declamare nel foro anzitempo senza aver ricevuto un’istruzione ade-
guata → la decadenza dell’oratoria è spesso associata alla decadenza della scuo-
la, che non è più in grado di insegnare a declamare bene e a ess. all’altezza del
compito di avvocato.
⁷ Questi «auditores» seguivano gli avvocati, che avevano a disposizione una serie
di ascoltatori presi in affitto e pagati.
⁸ Nonostante il termine “sofoclei” abbia una certa somiglianza con il tragediografo
Sofocle, questi ascoltatori venivano chiamati così perché solevano gridare “bravo!”
(infatti σοφῶς era il termine che veniva solitamente usato nei teatri per sottolineare
la bravura di un attore) per ess. invitati a cena (καλεῖσθαι), come suggerisce anche
l’appellativo latino “laudiceni”.
⁹ «notata» → il verbo noto fa riferimento alla nota censoria, che era una nota con
cui il censore stigmatizzava una persona (per es. se aveva esagerato con le spe-
se, contravvendendo alle leggi che a Roma impedivano l’ostentazione di ricchez-
za) → nonostante questo biasimo fosse ridicolizzato negli ambienti colti, continua a
crescere nel foro.
¹⁰ I nomenclatori erano dei servi incaricati di ricordare al padrone i nomi delle per-
sone che incontrava (ad es. dei clienti).
¹¹ A Roma l’età in cui si prendeva la toga si aggirava tra i 14 e i 17 anni → la pa-
rentetica serve a P. per giustificare questo comportamento sciocco da parte dei
suoi nomenclatori.
¹² «ternis» → numerale distributivo.
¹³ Durante le discussioni nella basilica potevano assistere anche i privati cittadini, i
quali a volte potevano ess. chiamati a esprimersi sulla bontà della difesa o dell’ac-
cusa di un avvocato, sostenendo una o l’altra parte → ovviamente il pubblico era
maggiore più la causa era importante.
¹⁴ Il mesocoro era il capo del coro e, in teatro, dava il segnale perché il coro comin-
ciasse a cantare → qui il termine mesochorus è usato da P. in senso dispregiativo
per indicare l’oratore che assolda degli uditori e, nel corso della sua orazione, con
qualche cenno invita i suoi ascoltatori ad applaudire, manifestare apprezzamento
con grida di acclamazione ecc.
¹⁵ «divinatio» → termine religioso che significa “prevedere il futuro attr. l’arte della
divinazione” → nella quotidianità il termine divinatio era usato per indicare l’ipotesi,
la congettura.
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=> Un passo molto famoso riguardo questo tema è la scena iniziale del Satyricon di
Petronio, che si svolge all’interno di una scuola di retorica dove un allievo (che poi si
rivelerà ess. il protagonista del romanzo) espone al suo maestro quali sono i motivi
della decadenza dell’oratoria (testo su moodle).
- Il protagonista dice che nelle scuole si imparava a declamare su argomenti fittizi e
favolosi, che non rispecchiano i temi di cui si discuteva in tribunale e che vengono
trattati quasi come delle pietanze particolarmente elaborate → sono i maestri che,
primi fra tutti, hanno rovinato l’eloquenza.
- Il maestro risponde che questo problema nasce nella scuola, in quanto i maestri de-
vono soddisfare le aspettative dei giovani e delle loro famiglie e fare in modo che i
ragazzi siano in grado di andare presto nel foro a discutere le cause, per cui non ap-
plicano una disciplina severa ma fanno lezioni su argomenti che possano piacere ai
ragazzi, che in sostanza a scuola non fanno altro che giocare, finendo per ess. derisi
nel foro e, cosa ancor più grave, nessuno ammette in vecchiaia di aver imparato ma-
le in gioventù.
- In questi primi capitoli Petronio descrive una situazione che evidentemente era al
centro della riflessione da parte di maestri di scuola, intellettuali e teorici che si occu-
pavano di oratoria, uno dei quali era proprio Quintiliano, maestro di P.

=> Questa lettera di P. descrive una situazione che doveva ess. realistica (per quan-
to descritta con tinte piuttosto colorite), cioè la degenerazione di una situazione che
all’interno della Basilica Iulia doveva ess. piuttosto comune e che personaggi come
P., che svolgevano il mestiere di avvocato, dovevano giudicare come piuttosto
drammatica → era questa la situazione in cui versava l’oratoria dell’epoca, intesa
come pubblico parlare, arte del pronunciare discorsi all’interno di un tribunale, che si
era corrotta sia per colpa della scuola sia per l’avanzata di certi ceti sociali che nel
corso della prima età imperiale si arricchiscono e ambiscono che i loro rampolli
giungano presto nell’Urbe a svolgere un mestiere prestigioso come quello di
avvocato.
- P. ha ben presente questa situazione e ne discute con un suo amico (che
evidentemente si occupava degli stessi argomenti o cmq era interessato all’oratoria)
→ ma molti altri oratori (forse non del rango di P. o che non avevano avuto maestri
importanti come lui) non stigmatizzavano questa situazione o non erano
semplicemente in grado di comprendere il disvalore di certi comportamenti.
- È probabilmente per questo che P. dedica a questo argomento una lettera e decide
poi di pubblicarla nell’epistolario → non è l’unico caso, perché infatti P. inserisce
nell’epistolario una serie di lettere in cui prende le distanze da comportamenti che lui
ritiene volgari e che però si stavano diffondendo nella società dell’epoca piuttosto
rapidamente e che rischiavano di abbassare il livello culturale delle classi elevate.
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18 MAR. 2021

=> Una delle cause fondamentali della decadenza dell’oratoria sta nel fatto che sia-
mo ormai in epoca imperiale, per cui il discorso pubblico non riveste più l’importanza
politica che invece aveva in età repubblicana perché l’equilibrio politico di Roma è in
gran parte in mano all’imperatore, per cui il discorso pubblico non riesce più a smuo-
vere certi ingranaggi della politica ma spesso i discorsi sono meri discorsi di ringra-
ziamento e attr. l’esibizione di un bel parlare non si riesce più a intervenire sulle sorti
dello Stato come avveniva invece in età repubblicana, dove i conflitti erano anche
piuttosto aspri e spesso aveva la meglio colui che riusciva a esprimersi meglio.
- Non è solo questa la causa della decadenza dell’eloquenza, però era di fatto un
problema avvertito all’epoca, soprattutto perché in epoca repubblicana c’erano stati
grandi oratori (primo fra tutti Cicerone, che P. ammirava massimamente), che erano
diventati poi dei modelli considerati inarrivabili, per cui il confronto con l’oratoria del
passato faceva sentire l’oratoria attuale come di minore importanza e decaduta.

[...] 9. Il primo a introdurre questo tipo di uditorio fu Larcio Licino, a tal punto tuttavia da
raccogliere gli ascoltatori. Così almeno mi ricordo di aver sentito dire al mio precettore
Quintiliano. 10. Quello raccontava: “Seguivo Domizio Afro16. Mentre si esprimeva presso i
centumviri con serietà e pacatezza (questo infatti era il suo modo di parlare), sente lì vicino
un clamore esagerato e insolito. Sorpreso, tacque; appena fu fatto silenzio, riprese ciò che
aveva interrotto. 11. Nuovamente grida, nuovamente tacque e, dopo che fu fatto silenzio,
riprese. Ugualmente una terza volta. Alla fine chiese chi stesse parlando. Fu risposto:
‘Licino’. Allora, interrotta la causa, ‘Centumviri,’ disse,‘quest’arte è morta17’”. 12. La
quale arte evidentemente iniziava a morire quando ad Afro sembrava morta, mentre ora è
pressoché morta e sepolta per davvero. Mi vergogno a riferire quali cose si dicano con che
pronuncia affettata e con quali sdolcinati clamori vengano accolte. 13. A quelle cantilene
mancano soltanto gli applausi, anzi soltanto i cembali e i tamburi: gli ululati, di certo, ci
sono in abbondanza (infatti non è possibile chiamare con un altro nome una lode
indecorosa addirittura all’interno di teatri). 14. L’utilità degli amici e la considerazione
della mia età mi attarda e mi trattiene ancora18; ho infatti timore di dare l’idea che non ho
abbandonato queste indegnità ma che ho scansato una fatica. Mi presento tuttavia meno
frequentemente, e questo è l’inizio di un abbandono graduale. Stammi bene.

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16
P. utilizza qui il verbo frequentativo adsector per indicare che Quintiliano era soli-
to seguire Domizio Afro in quanto lo considerava un maestro ed era interessato ad
ascoltare ciò che diceva → dalla Institutio oratoria si scopre che Quintiliano aveva
una vera e propria ammirazione per Domizio Afro, che considerava il più grande
oratore della sua epoca.
17
«perît» → P. non utilizza la forma regolare del perfetto ma la forma contratta per-
ché sta riportando un discorso parlato.
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18
A trattenere P. ancora a discutere cause in tribunale sono la sua giovane età e le
necessità degli amici, che evidentemente hanno bisogno di lui.

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➜ Lettera III, 1 → prima lettera del Libro III (libro che contiene le lettere successive
al consolato di P. → quindi questa lettera risale ca. al 100 d.C.), indirizzata a un ca-
valiere di Como, Calvisio Rufo, conosciuto attr. l’epistolario di P. e con il quale P. di-
scute altre volte soprattutto riguardo di affari.
- In questo caso invece Calvisio Rufo è destinatario di una lettera che parla di un per-
sonaggio in vista dell’epoca e vicino a P., ossia Vestricio Spurinna (console per tre
volte, il massimo onore che un cittadino privato poteva ricevere).

III, 1
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CALVISIO RUFO

1. Non so se ho mai trascorso un periodo più felice di quello che ho trascorso recentemente
presso Spurinna, a tal punto che non vorrei imitare nessuno più di lui nella mia vecchiaia,
se solo mi è dato di invecchiare; infatti non c’è nulla di più scandito di quel tipo di vita. 2.
Infatti, così come l’immutabile percorso degli astri, così mi piace la vita ben organizzata
degli uomini. In particolare degli anziani: infatti ai giovani non sono inadatte cose confuse
e quasi turbate, mentre ai vecchi si confanno tutte cose calme, tranquille e ordinate, vecchi
per i quali l’attività è qualcosa di tardivo e l’ambizione è disdicevole. 3. Spurinna osserva
questa regola con la massima attenzione; e anzi, anche queste piccole cose - piccole se non
avvenissero ogni giorno - le abbraccia con una sorta di ordine e come in cerchio1. 4.2 La
mattina si trattiene nel letto, all’ora seconda chiede i calzari, cammina per tremila passi ed
esercita non meno lo spirito del corpo. Se sono presenti degli amici, si dispiegano degli
onorevolissimi discorsi; se non sono presenti, viene letto un libro, talvolta anche se gli
amici sono presenti, se tuttavia non dà loro fastidio. 5. Poi si mette a sedere, ed è
nuovamente un libro oppure un discorso più interessante di un libro; sale sulla carrozza,
porta con sé la moglie di eccezionale esemplarità o qualcuno degli amici, come me poco
tempo fa. 6. Che bella situazione, che dolce vita appartata3! Quanto c’è lì di antichità4!
Che episodi, che personaggi puoi sentir menzionare! Da quali precetti puoi essere
imbevuto! Sebbene lui abbia imposto questo limite alla sua modestia, cioè di non dare
l’impressione di voler insegnare5. 7. Percorsi settemila passi, ne percorre a piedi ancora
mille, nuovamente si siede oppure restituisce se stesso al letto e allo stilo. Scrive infatti e,
per di più, in entrambe le lingue delle liriche ben scritte; queste hanno una sorpredente
dolcezza, soavità, ilarità, la grazie della quale è aumentata dalla rispettabilità di colui che
scrive. 8. Quando è annunciata l’ora del bagno6 (d’inverno ciò avviene alla nona ora, in
estate all’ottava), lui cammina nudo al sole, se non c’è vento. Poi si esercita con la palla
con forza e a lungo; infatti combatte contro la vecchiaia anche con questo tipo di esercizi.
Una volta lavato, si sdraia e differisce il cibo per un po’; nel frattempo ascolta uno schiavo
che legge qualcosa di più pacato e dolce7. Durante tutto questo tempo gli amici hanno
31

libertà o di fare le stesse cose o di farne altre se preferiscono. 9. Viene servita una cena
non meno splendida che frugale, in serviti di argento puro e antico; sono in uso anche
argenti corinzi, dei quali si diletta ma non se ne fa una fissazione. [...]

——————————————————————————————————
1
Sostanzialmente le affronta quotidianamente con ciclicità.
2
Adesso P. racconta qual è la ciclicità della vita di Spurinna.
3
«secretum» → fa riferimento al fatto che Spurinna si trova in un secessus, ossia
una villa di campagna, e si è ritirato in pensione.
4
Ossia “quanto vi puoi trovare dei costumi antichi” → Spurinna evidentemente è
un uomo d’altri tempi, una persona sobria, elegante e austera, tutte caratteristiche
che per i romani venivano dall’antichità (sono i cosiddetti mores antiqui, quelli a cui
i romani tenevano più di tutti).
5
Quindi Spurinna ama raccontare fatti della sua vita e anche trasmettere degli in-
segnamenti ma senza assumere l’atteggiamento di chi vuole insegnare.
6
I romani solitamente facevano il bagno prima di cena → le cene, soprattutto
quando c’erano degli invitati importanti, cominciavano alle terme → all’interno delle
terme (in città si trattava solitamente di terme pubbliche, mentre in campagna qua-
si esclusivamente di terme private, perché molte ville di romani abbienti possede-
vano al loro interno un complesso termale) non si faceva soltanto il bagno ma ci si
esercitava anche fisicamente (erano una sorta di centro benessere e di palestra) e
ci si faceva fare massaggi da degli schiavi addetti → dopo il bagno seguiva la ce-
na.
7
Era abbastanza comune che nel corso della cena, se c’erano ospiti, venissero
fatte delle letture o fatti intervenire dei musicisti o dei veri e propri teatranti che
recitavano brevi scene, intervallando in questo modo le varie pietanze.

19 MAR. 2021

=> Il bronzo di Corinto era diventata una vera e propria moda nell’età imperiale →
una leggenda faceva risalire questo bronzo proprio alla presa di Corinto (avvenuta
nel 146 a.C.), quando l’incendio della città avrebbe fuso tutti insieme gli argenti e le
statue presenti in città e da questa massa di metallo i fabbri avrebbero poi tratto una
lega che aveva colori molto variabili (a seconda della quantità dei materiali fusi insie-
me) e che quindi si prestava per forgiare pezzi di particolare pregio → a Roma que-
sta moda era diffusissima tanto che era diventata quasi un’ossessione e c’erano ad-
dirittura dei collezionisti di pezzi in bronzo di Corinto.
- Plinio il Vecchio parla di questa lega nel Libro XXXIV della Naturalis Historia (testo
su moodle) → Plinio il Vecchio dice che la lega poteva contenere, oltre al bronzo, an-
che oro, argento e rame in differenti quantità, fatto che differenziava in diversi tipi
questa lega, che quindi poteva ess. anche molto preziosa.
32

[...] 9. [...] Frequentemente la cena è scandita anche da delle esibizioni di commedianti


affinchè anche i piaceri siano accompagnati da attività intellettuali. Prende qualcosa della
notte anche d’estate8; questo per nessuno è lungo; tanta è la convivialità con cui viene
protratto avanti il banchetto. 10. Dopo il settantasettesimo anno il vigore del suo udito e
della sua vista è ancora intatto, ha ancora un corpo agile e pieno di vita e soltanto
l’avvedutezza gli deriva dalla vecchiaia. 11. Io presumo questa vita con il voto e con il
pensiero, per entrarvi con grande desiderio, non appena il calcolo dei miei anni permetterà
di cantare la ritirata. Nel frattempo mi consumo in mille occupazioni, delle quali è a me di
consolazione e di esempio lo stesso Spurinna; 12. infatti anche lui, finchè fu opportuno,
affrontò doveri, rivestì magistrature, governò province, e con molta fatica si è meritato
questo riposo. Perciò io stabilisco per me uno stesso percorso, e una stessa meta, e presso
di te già ora sottoscrivo questo affinchè, se mi vedrai andare un po’ troppo avanti, tu mi
chiami in giudizio con questa lettera come prova e mi ordini di riposare, dal momento che
sarò già sfuggito all’accusa di inerzia9. Stammi bene.

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8
Ossia la cena occupa un po’ di tempo della notte anche d’estate.
9
Finale piuttosto lambiccato in cui P. stipula un patto con Calvisio Rufo per cui lui
dovrà richiamarlo se, una volta vecchio, vorrà continuare a lavorare → P. considera
la sua attività professionale come un qualcosa a cui deve assolutamente assolvere
perché altrimenti una persona del suo grado e della sua istruzione potrebbe ess.
accusata di inerzia (a Roma i cittadini come lui dovevano contribuire al buon fun-
zionamento dello Stato) → d’altro canto non era opportuno neanche rimanere trop-
po a lungo a lavorare (per gli anziani l’attività tardiva non è una cosa positiva).

——————————————————————————————————

➜ Lettera III, 5 → lettera molto importante perché è una delle principali informazioni
sulla vita (tra cui la data di nascita) e sulle opere di Plinio il Vecchio.
- Evidentemente il suo amico Bebio Macro gli aveva chiesto delle informazioni sulle
opere dello zio e P. risponde con questa lettera in cui fa un elenco delle opere di Pli-
nio il Vecchio e poi aggiunge informazioni sullo stile di vita dello zio.

III, 5
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO BEBIO MACRO

1. Mi è particolarmente gradito1 che tu legga2 con grande passione i libri di mio zio, tanto
da voler averli tutti e da chiedere quali siano tutti quanti. 2. Farò le veci di colui che
indica e ti renderò noto anche in quale ordine siano stati scritti; anche questo tipo di
conoscenza non dispiace agli intellettuali. 3. Tecnica per lanciare il giavellotto da cavallo,
in un libro; questo libro, quando militava come prefetto di un’ala dell’esercito, lo compose
con impegno pari all’ingegno3. Vita di Pomponio Secondo4, in due libri; dal quale amato
33

in modo eccezionale, offrì, come per ricambiarlo, questo tributo alla memoria dell’amico.
4. Le guerre germaniche, in venti libri; nei quali raccolse tutte le guerre che abbiamo
condotto contro i Germani. Iniziò quest’opera quando era soldato in Germania, ammonito
da un sogno: a lui che dormiva si fermò accanto l’immagine di Druso Nerone5, che aveva
largamente vinto in Germania, vi morì, e raccomandava la sua memoria e lo pregava di
liberarlo6 dall’ingiuria della dimenticanza7. 5. L’uomo di cultura, in tre libri, divisi, a
causa della loro ampiezza, in sei volumi, nei quali istruisce e porta a perfezione l’oratore a
partire dalla culla. Forme linguistiche incerte, in otto libri: lo scrisse sotto Nerone negli
ultimissimi anni, quando l’asservimento aveva reso pericoloso ogni genere di studi che
fosse un po’ più libero ed eretto8. 6. Dalla fine dell’opera di Aufidio Basso9, in trentuno
libri. Storia Naturale, in trentasette libri, un’opera vasta, erudita e non meno varia della
natura stessa.
7. Ti sorprendi che un uomo impegnato abbia portato a compimento tanti volumi e in essi
ci siano cose trattate con grande approfondimento10? Ti sorprenderai di più se saprai che
lui ogni tanto discuteva cause, è morto a cinquantacinque anni, ha trascorso gran parte del
suo tempo dedito e impedito un po’ da impegni importantissimi un po’ dall’amicizia degli
imperatori. 8. Ma c’erano un ingegno acuto, un impegno incredibile e una grandissima
capacità di stare sveglio. Iniziava a lavorare con la luce della lampada alla festa di
Vulcano11, non per prendere gli auspici12 ma per lavorare, subito appena faceva buio,
d’inverno invece all’ora settima o al più tardi all’ottava, spesso alla sesta. Era indubbia-
mente di sonno prontissimo, non di rado anche durante lo stesso studio lo assaliva e lo
abbandonava. 9. Prima che facesse giorno andava dall’imperatore Vespasiano (infatti
anche lui approfittava delle notti), e poi al lavoro che gli era stato affidato. Ritornato a
casa, restituiva agli studi ciò che rimaneva di tempo13. 10. Dopo pranzo (che durante il
giorno faceva leggero e semplice secondo l’usanza degli antichi) spesso d’estate se c’era
un momento di pace si sdraiava al sole, si faceva leggere un libro, prendeva appunti e
compilava estratti14. Infatti non ha mai letto nulla da cui non abbia tratto estratti; era
anche solito dire che non c’è un libro così malvagio da non poter giovare in qualche sua
parte. 11. Dopo aver preso il sole, per lo più si faceva un bagno nell’acqua fredda, poi
faceva merenda e dormiva un pochino; poi, come se fosse stato un altro giorno, studiava
fino all’ora di cena. Durante la cena, si faceva leggere un libro e faceva prendere appunti,
e anche rapidamente. [...]

——————————————————————————————————
1
«pergratum» → prefisso per- con valore superlativizzante.
2
«lectitas» → forma frequentativa del verbo lego.
3
I titoli dei libri sono seguiti da una frase abbastanza secca → sembra quasi un in-
dice e che P. abbia scritto i titoli accompagnati da una breve spiegazione che non
solo indicava l’argomento dell’opera ma aggiungeva anche informazioni che solo il
nipote poteva conoscere.
4
Pomponio Secondo era un personaggio piuttosto in vista ed era stato governato-
re della Germania Superiore nel 50-51, all’epoca in cui Plinio il Vecchio era sotto il
34

suo comando.
5
Cioè Druso Maggiore, figliastro di Augusto, figlio di Tiberio Claudio Nerone e di
Drusilla → Druso morì di malattia giovanissimo, proprio mentre tornava dalla Ger-
mania, dove era riuscito a vincere diversi scontri contro una popolazione germani-
ca.
6
«adsereret» → da adsero (lett. “abbracciare”), verbo utilizzato quando, nella proce-
dura giuridica della liberazione di uno schiavo, si abbracciava o si mettevano le
mani su qualcuno per liberarlo (per questo qui assume il significato di “liberare”).
7
Infatti Druso Maggiore non aveva una grande fama, in quanto da lui discendeva-
no Caligola (figlio di suo figlio Germanico) e Claudio (suo figlio).
8
L’ultimo periodo del principato di Nerone era diventato molto pericoloso per gli in-
tellettuali e non si poteva esprimersi in maniera troppo libera se non si voleva ess.
accusati di lesa maestà, rischiando così l’esilio o addirittura la condanna a morte.
9
Evidentemente l’opera era molto famosa all’epoca in quanto P. non ne nomina
nemmeno il titolo → in quest’opera si narravano gli eventi che andavano dalla mor-
te di Cesare (44 a.C.) all’epoca di Claudio (ca. 37 d.C.).
10
«scrupulosa» → da scrupulus = “sassolino” → i dubbi sono noiosi come i sassoli-
ni nelle scarpe e bisogna risolverli → per questo ess. scrupolosi significa fare le co-
se con grande approfondimento.
11
I Vulcanalia erano una festa che si teneva in onore del dio Vulcano il 23 agosto
(quando le giornate cominciavano ad accorciarsi).
12
Infatti gli auspici si prendevano una volta calata la notte.
13
P. fornisce all’amico informazioni non solo sulle opere ma anche sulla routine
quotidiana di Plinio il Vecchio, perché egli era stato un personaggio in vista della
politica dell’epoca, aveva ricevuto incarichi importanti e, ciononostante, aveva an-
che scritto molto, per cui P. si sente quasi in dovere di spiegare come egli riuscisse
a fare tutto.
14
È probabilmente proprio grazie a questi estratti che Plinio il Vecchio era in grado
di comporre le sue opere.
35

25 MAR. 2021

[...] 12. Mi ricordo che uno degli amici, dal momento che lo schiavo che stava leggendo
aveva pronunciato qualcosa male, lo aveva richiamato e costretto a ripetere; a costui mio
zio disse: “Ma avevi capito?”. Quando quello disse di sì, “Allora perché lo hai richiamato?
Con questa tua interruzione abbiamo perso più di dieci versi”. 13. Tanta era la sua
parsimonia del tempo. In estate si alzava da cena quando era ancora giorno, d’inverno
entro la prima ora della notte e come se ci fosse stata una legge che glielo imponeva.
14. Tutto ciò in mezzo alle fatiche e al fremito della città15. Nella pace della villa
sottraeva agli studi soltanto il tempo del bagno (quando dico del bagno, parlo della parte
interna16; infatti, mentre veniva massaggiato e deterso, ascoltava o dettava qualcosa). 15.
Quando si metteva in viaggio, come liberato dalle altre preoccupazioni, si dedicava
soltanto a questo17: al suo fianco stava uno stenografo18 con il libro e le tavolette cerate, le
mani del quale d’inverno erano munite di guanti, affinché neppure la asperità del clima
portasse via alcun tempo allo studio; per questa ragione anche a Roma veniva trasportato
in portantina. 16. Mi ricordo di essere stato ripreso da lui per il fatto che io andassi a
piedi: disse: “Avresti potuto non perdere queste ore”; infatti riteneva che fosse buttato tutto
il tempo che non veniva dedicato agli studi. 17. Con questa dedizione portò a termine tutti
codesti volumi e mi ha lasciato centosessanta raccolte di passi scelti, scritte anche dietro e
con lettere piccolissime; per questa ragione questo numero si moltiplica. Lui stesso riferiva
che avrebbe potuto, quando era procuratore in Spagna19 avrebbe potuto vendere queste
raccolte a Larcio Licino per quattrocentomila sesterzi; e all’epoca erano molti di meno.
18. Non ti sembra, se poni l’attenzione a quanto lui ha letto e ha scritto, che non sia stato
impegnato in alcun dovere e che non sia stato amico dell’imperatore; e poi, quando senti
che cosa di impegno abbia dedicato all’attività intellettuale, che non abbia scritto e letto a
sufficienza? Che cosa c’è infatti che quegli impegni non possano impedire o che una tale
dedizione non riesca a realizzare? 19. E perciò sono solito ridere quando alcuni
considerano me un intellettuale, io che, se vengo confrontato a lui, sono del tutto pigro. Ma
sono solo io che affannano i doveri in parte pubblici in parte degli amici? Chi di codesti,
che dedicano tutta la loro vita alle lettere, confrontato con lui non arrossirebbe come uno
dedito al sonno e all’inerzia?
20. Ho allungato la lettera anche se avevo deciso di scrivere soltanto ciò che tu
richiedevi, e cioè quali libri avesse lasciato; confido tuttavia che anche queste cose ti
saranno non meno gradite dei suoi stessi libri, cose che possono spingerti non soltanto a
leggerli ma anche a elaborare qualcosa di simile con gli stimoli dell’emulazione. Stammi
bene.

——————————————————————————————————
15
La giornata che P. ha appena raccontato è la giornata tipica di Plinio il Vecchio a
Roma (infatti lavori come il suo venivano svolti prevalentemente nell’Urbe).
16
«de interioribus» → evidentemente si riferisce alla parte più interna del balneum,
dove si trovava il cosiddetto calidarium (dove si trovava l’acqua calda).
36

17
Cioè al dettare.
18
Il notarius era colui che scriveva rapidamente sotto dettatura attr. l’uso di segni
abbreviativi (detti notae, la cui invenzione viene fatta risalire a Tirone, il segretario
di Cicerone).
19
Non sappiamo da altre fonti che Plinio il Vecchio sia stato procurator in Hispania,
ma sappiamo che Larcio Licino fu governatore della Spagna Tarraconense dal 72
al 74 → Plinio il Vecchio era amico di Vespasiano, per cui può darsi che egli fosse
in Spagna come procuratore dell’imperatore.

=> L’inizio di questa lettera, che è per noi fondamentale perché ci fa capire che P. sta
rispondendo a una richiesta dell’amico, nell’antichità era in realtà un modo abbastan-
za comune con cui iniziare una lettera → cioè, in sostanza, questa lettera nella sua
prima frase sintetizza rapidamente il contenuto della lettera che ha ricevuto da Bebio
Macro → questo modo di iniziare le lettere era abbastanza comune perché serviva a
mettere il lettore in condizione di capire subito a che cosa si fa riferimento nella rispo-
sta.

——————————————————————————————————

➜ Lettera III, 7 → lettera scritta da P. a un suo amico d’infanzia, Caninio Rufo.


- Questa lettera non inizia con una ripresa ma con una notizia → P. scrive liberamen-
te a Caninio Rufo per informarlo che gli è giunta la notizia della morte del letterato Si-
lio Italico, autore dei Punica, il più lungo poema epico che ci sia giunto della letteratu-
ra latina, in 17 libri, ambientati al tempo della II Guerra Punica → Silio Italico era
morto nella sua villa di Napoli, la quale era appartenuta a Cicerone e al cui interno si
trovava il sepolcro di Virgilio

III, 7
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CANINIO RUFO

1. Mi è appena stato annuciato che Silio Italico nella sua villa di Napoli ha posto fine alla
sua vita con l’inedia. 2. La causa della morte è stata la salute. Gli era venuto un tumore1
incurabile, per l’assillo del quale si è rifugiato nella morte con una risoluta decisione,
felice e fortunato fino all’ultimo giorno, sennonché aveva perduto il minore di due figli, ma
ha lasciato il figlio più grande e migliore florido e addirittura consolare2. 3. Aveva
danneggiato la propria fama sotto Nerone (si credeva che lui avesse fatto delle accuse
spontanee), ma nell’amicizia con Vitellio si era saputo comportare in modo assennato e
amichevole, aveva riportato gloria dal suo proconsolato in Asia, aveva lavato via la
macchia del suo precedente impegno con un lodevole ritiro a vita privata3. 4. Fu tra i primi
cittadini senza potere, senza invidia4: veniva salutato e venerato5, standosene molto
sdraiato su un divano sempre all’interno dello studio, affollato non grazie alle sue
ricchezze, e trascorreva le giornate in conversazioni coltissime, quando non si dedicava
alla scrittura. 5. Scriveva dei componimenti poetici con maggior accuratezza che ingegno,
37

non di rado sperimentava il giudizio delle persone facendo delle recitazioni6. 6.


Recentemente, spinto così dagli anni, si ritirò dalla città e si mantenne in Campania e non
si è smosso di lì neppure per l’arrivo del nuovo imperatore7: 7. grande lode di Cesare,
sotto il quale questo è stato possibile, grande lode anche a lui, che ha osato approfittare di
questa libertà. Era amante del bello, tanto da incorrere nella taccia di spendaccione. 8.
Possedeva più ville negli stessi luoghi e, innamoratosi delle nuove, trascurava le vecchie.
Aveva molti libri in ciascuna, molte statue, molti quadri, le quali non solo possedeva ma
addirittura venerava, di Virgilio più di tutti gli altri, del quale celebrava il genetliaco più
religiosamente del proprio, in particolar modo a Napoli, dove era solito accostarsi al suo
monumento come un tempio. 9. In questa tranquillità ha superato i settantacinque anni,
con un corpo più delicato che malato; e come divenne console per ultimo grazie a Nerone,
così se n’è andato ultimo di coloro che Nerone aveva fatto consoli8.
10. Anche questo è degno di nota: è morto l’ultimo dei consolari neroniani, sotto il cui
consolato Nerone morì. A ricordare ciò mi assale una commiserazione per la fragilità
umana. 11. Che cosa c’è infatti di così circoscritto e di così breve quanto la più lunga vita
di un uomo? Non ti sembra che Nerone sia esistito or ora? Nel frattempo, di coloro che
sotto di lui avevano ricoperto il consolato, nessuno ormai sopravvive. 12. Ma perché mi
stupisco di questo? Non è molto tempo che Lucio Pisone, padre di quel Pisone che è stato
ucciso in Africa attraverso un efferato delitto da Valerio Festo9, soleva dire che non vedeva
più in Senato nessuno di quelli a cui, quando era console, aveva dato la parola10. [...]

——————————————————————————————————
1
«clavus» = lett. “chiodo” → con questo termine si indicava un particolare tipo di tu-
more, solitamente esterno e che dava dolore (per questo veniva definito clavus).
2
Già da questo paragrafo si intuisce che l’ammirazione di P. per Silio Italico non è
sconfinata → cioè nella lettera P. dà un giudizio a parer suo equilibrato su Silio,
parla della costanza con cui ha affrontato la morte ma dice che comunque è stato
felice fino all’ultimo e che sì gli è morto un figlio ma quello migliore è sopravvissuto
ed è addirittura console → poi, nel paragrafo successivo, aggiunge che si pensava
che Silio avesse fatto delle delazioni sotto Nerone (ossia avesse tradito qualcuno).
3
P. dunque mette il dubbio che Silio avesse fatto il delatore sotto Nerone, ma poi
aveva lavato le sue colpe ritirandosi a vita privata.
4
Dunque fu un personaggio in vista ma non ostentò il suo potere e, di conseguen-
za, non fu invidiato.
5
Ossia riceveva visite da parte dei suoi clienti e riceveva omaggi.
6
Ossia delle letture pubbliche → era abbastanza comune, quando uno scrittore
scriveva qualcosa, sottoporlo al giudizio degli amici o addirittura di un gruppo più
ampio di persone, composto semplicemente da appassionati che si recavano a
sentire queste letture pubbliche, dalle quali spesso gli autori traevano spunti per
migliorare le proprie opere (le stesso P. sottopose al giudizio dei suoi amici il Pane-
girico prima di pubblicarlo, traendo così delle possibili correzioni).
7
Fa riferimento a Traiano.
38

8
Questo paragrafo contiene la frecciata pià potente sferrata da P. con Silio, che
viene accostato al principato di Nerone, sotto il quale ha fatto carriera, probabil-
mente grazie ad agganci politici.
9
Pisone (figlio di Lucio Pisone, console nel 27) è stato proconsole in Africa nel pe-
riodo tra 69 e 70, quando fu ucciso da Valerio Festo, che era a capo di una delle
milizie di stanza in Africa.
10
Affermazione che testimonia quanto sia breve la vita umana.

26 MAR. 2021

=> Mentre la prima parte della lettera è occupata da un elogio piuttosto ambiguo di
Silio Italico, la seconda costituisce una sorta di fuori tema, in quanto non si parla più
di Silio Italico ma il discorso si allarga a considerare la brevità e caducità della vita
umana (argomento caratteristico del genere letterario della consolatoria - cfr. le con-
solationes di Seneca).

[...] 13. La vitalità di una tanta moltitudine di persone è racchiusa in termini così ristretti
che mi sembrano non solo degne di essere perdonate ma addirittura degne di lode, quelle
lacrime regali; infatti raccontano che Serse, avendo percorso con gli occhi il suo immenso
esercito, si mise a piangere, poiché su tante migliaia di persone incombeva così vicina la
morte11. 14. Ma tanto più per questa ragione, tutto ciò che abbiamo di tempo utile e
caduco, se non è impiegato per le azioni (infatti questo sta in mani altrui), allunghiamolo
almeno con gli studi, e, dal momento che a noi è negato vivere a lungo, lasciamo qualcosa
con cui testimoniamo di aver vissuto12. 15. So che tu non hai bisogno di stimoli: tuttavia
l’affetto per te mi spinge affinché io ti istighi, anche se stai già correndo, come tu sei solito
fare con me. “Bella contesa”13 quando degli amici si spronano a vicenda con reciproche
esortazioni per amore dell’immortalità. Stammi bene.

——————————————————————————————————
11
Fonte di questo aneddoto è Erodoto (testo su moodle) e ripreso anche da diversi
altri autori, tra cui Valerio Massimo e Seneca (nel De brevitate vitae - testo su
moodle).
12
La lettera si conclude con un invito a vivere bene la vita anche se è breve (è lo
stesso invito che Seneca fa nel De brevitate vitae e con cui si conclude l’aneddoto
di Serse in Erodoto).
13
Citazione da Le opere e i giorni di Esiodo.

=> Questo finale riprende l’argomento della lettera → cioè Silio Italico, che ha con-
dotto una vita per certi aspetti criticabile, letterato forse non geniale ma appassiona-
to, rispettoso della memoria di altri letterati, è morto lasciando dei carmina forse non
eccezionali ma cmq scritti con cura, ed è questo ciò che per P. conta, cioè lasciare
39
una traccia di sé → non tutti però hanno la possibilità di lasciare una traccia materia-
le nella storia, di ess. grandi condottieri o personaggi importanti della politica, perché
questo non dipende solo da loro stessi ma molto spesso da condizioni esterne e da
opportunità casuali → però ciascuno può cmq impegnarsi a lasciare una traccia di ti-
po letterario, per cui l’esortazione che P. fa a Caninio e a se stesso e che ricorrerà
spesso nell’epistolario è quella di dedicarsi agli studi.

——————————————————————————————————

➜ Lettera III, 14 → lettera inviata ad un certo Acilio, forse un amico di Padova, do-
ve aveva cospicui possedimenti.
- Anche in questa lettera (come in quella precedente) P. racconta un fatto avvenuto
in quel periodo (era il modo in cui i romani si scambiavano le varie informazioni).

III, 14
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO ACILIO

1. Un fatto atroce, non degno di essere raccontato solo in una lettera, è stato subito da
Larcio Macedone, ex pretore, a opera dei suoi schiavi, un padrone peraltro superbo e cru-
dele, che si ricordava poco, o forse troppo, che suo padre era stato schiavo1. 2. Stava fa-
cendo il bagno nella sua villa di Formia. All’improvviso gli schiavi lo circondano. Uno gli
si getta al collo, l’altro gli colpisce il viso, un altro il petto e il ventre e gli ferisce anche
(cosa orribile a dirsi) le parti intime; e, ritenendolo ormai esanime, lo gettano sul pavimen-
to bollente2, per scoprire se fosse vivo. Quello, o perché non sentiva o perché simulava di
essere privo di sensi, immobile e tutto disteso, dette a credere che la morte fosse soprag-
giunta. 3. Allora infine, quasi morto per il calore, viene portato fuori; lo ricevono gli schia-
vi più fedeli, accorrono le concubine con urla e grida. Così, sia svegliato dalle voci sia
ripresosi grazie alla freschezza del luogo, aprendo gli occhi e muovendo il corpo, confessa
di essere ancora vivo (e già si trovava in un luogo sicuro). 4. Gli schiavi scappano; dei
quali gran parte è stata arrestata, i restanti sono ricercati. Lui stesso, curato a fatica per
pochi giorni, è morto non senza la consolazione della vendetta, vendicato così da vivo
come sono soliti coloro che vengono uccisi3. 5. Vedi a quanti pericoli, a quante offese, a
quanti scherni siamo soggetti; non c’è ragione per cui alcuno possa essere al sicuro solo
perché è pacato e mite; infatti i padroni non vengono ammazzati con giudizio ma con un
delitto.
6. Ma basta con questo argomento. Che cosa c’è di nuovo oltre a questo? Che cosa?
Niente, altrimenti lo aggiungerei; infatti c’è ancora carta e il giorno festivo consente che
più cose vengano intessute. Aggiungerò una cosa che mi viene opportunamente in mente a
proposito dello stesso Macedone. Quando stava facendo il bagno nelle terme pubbliche a
Roma, accadde un fatto degno di nota e anche, come poi in seguito ha dimostrato, di fune-
sto presagio. 7. Un cavaliere romano, leggermente sfiorato con la mano da un servo di lui
affinché cedesse il passo, si voltò all’improvviso e percosse non il servo, dal quale era stato
toccato, ma lo stesso Macedone, in modo così forte con un ceffone che quasi cadde per
terra. 8. Così il bagno per lui, come per gradini successivi, prima fu luogo di offesa, poi di
40

morte. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Che il figlio di un liberto potesse aspirare al rango senatorio e ottenere alte cari-
che statali è un’eccezione (forse dovuta alla benevolenza dell’imperatore) → di re-
gola infatti dovevano intercorrere tre generazioni di nati liberi per entrare sia nell’or-
dine equestre sia in Senato.
2
A Roma il riscaldamento si trovava sotto il pavimento e talvolta si estendeva alle
intercapedini delle pareti → sotto il pavimento delle terme c’era un piano all’interno
del quale si diffondeva il calore creato da un forno → il calore veniva convogliato in
gran parte a riscaldare la vasca dell’acqua, mentre il resto andava a riscaldare il
pavimento.
3
A Roma vigeva una legge per cui gli schiavi che attentavano alla vita del padro-
ne venivano condannati a morte (non solo i servi che avevano commesso l’attenta-
to ma tutta quanta la servitù) → di questa legge resta traccia nel Digesto (raccolta
di estratti provenienti da trattati di diritto romano fatta all’epoca di Giustiniano).

——————————————————————————————————

➜ Lettera IV, 10 → lettera che P. scrive al suo amico Stazio Sabino, personaggio
del quale non si sa nulla, se non che dovesse ess. parente della Sabina menzionata
nella lettera.
- Si tratta di una lettera in risposta a una lettera di Stazio Sabino, nella quale lo aveva
informato di ciò che viene riassunto da P. nel primo paragrafo.

IV, 10
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO STAZIO SABINO

1. Mi scrivi che Sabina, che ci ha lasciati suoi eredi, non ha mai dato ordine che il suo
schiavo Modesto fosse libero, tuttavia gli ha lasciato un lascito con queste parole: “A
Modesto che ho ordinato che fosse libero”. Mi chiedi che cosa io ne pensi1. 2. Mi sono
confrontato con degli esperti di diritto. Tutti sono stati d’accordo che la libertà non gli sia
dovuta in quanto non gli è stata concessa né gli è dovuto il lascito in quanto lo ha dato a
un proprio schiavo2. Ma a me sembra un errore manifesto e perciò ritengo che noi
dobbiamo comportarci come se Sabina avesse scritto ciò che riteneva di aver scritto. 3.
Sono convinto che tu sarai d’accordo con la mia opinione, dal momento che sei solito
custodire con la massima scrupolosità la volonta dei defunti, che per dei buoni eredi aver
compreso è come una legge. Infatti presso di noi l’onestà non vale meno che presso gli altri
il dovere. 4. Rimanga dunque in libertà con il nostro consenso, goda del lascito come se
avesse provveduto3 ad ogni cosa con la massima diligenza. Ha provveduto infatti, lei che
ha scelto bene i suoi eredi. Stammi bene.

——————————————————————————————————
41

1
Per il diritto romano i servi erano di proprietà dei padroni ed erano considerati
come degli oggetti → la trattatistica di età repubblicana considerava gli schiavi co-
me strumenti, al pari degli utensili agricoli e degli animali → con il corso del tempo
la concezione della servitù cambia, il fenomeno di liberazione degli schiavi diventa
sempre più comune, molti schiavi raggiungono posizioni importanti, spesso diven-
tano amministratori dei possedimenti dei loro ex padroni, alcuni sono diventati ad-
dirittura consiglieri imperiali ecc. → dal punto di vista giuridico però lo schiavo con-
tinuava a ess. considerato proprietà del padrone e per questo non poteva ricevere
un lascito perché tutto ciò che egli ereditava era di proprietà del padrone, per cui
bisognava che lo schiavo fosse stato preventivamente liberato → dal 2 a.C. la Lex
Fufia Caninia consentì la liberazione degli schiavi per testamento, con delle limita-
zioni (c’era infatti un tetto massimo di schiavi liberabili per testamento) → il proble-
ma che si pone nel testamento di Sabina è che lei lascia un lascito a Modesto e lo
libera per testamento → Sabino dunque interpella P. sia perché P. era anche lui
erede di Sabina sia perché egli si occupava prevalentemente di cause di diritto ci-
vile e quindi si occupava spesso di questioni riguardanti l’eredità.
2
In sostanza a Modesto non spetta niente perché Sabina nel testamento si è
espressa male, in quanto dice di aver già liberato Modesto, non che lo libera per
testamento.
3
Il soggetto sottinteso è Sabina.

15 APR. 2021

➜ Lettera III, 16 → si tratta di una delle lettere più interessanti dell’epistolario, nella
quale P. parla di una grande figura femminile e da lui molto stimata, ossia Arria Mag-
giore, personaggio cui P. era molto affezionato e che ricordava molto volentieri in
quanto era all’origine di una famiglia (che faceva parte di quel gruppo di famiglie
nobili che stavano dalla parte del Senato) della quale P. era molto amico → però la
famiglia di Arria (a differenza di quella di P.) si era esposta nel tempo in modo molto
diretto, impegnandosi arditamente per difendere le prerogative del Senato contro il
sempre crescente strapotere degli imperatori → per questo motivo i componenti della
famiglia di Arria furono mano a mano decimati dalle vendette degli imperatori.
42
- Arria era la moglie di Cecina Peto, il quale fu un oppositore di Claudio → C.P. ave-
va militato in Illiria e, dal momento che vi fu la possibilità di ribellarsi contro l’impera-
tore, sostenne la causa dei ribelli, motivo per cui fu arrestato, portato a Roma e infine
giustiziato (questo è appunto uno degli argomenti su cui è incentrata questa lettera).
- Arria Minore (figlia di Arria e Cecina Peto) sposò Trasea Peto, il quale fu un opposi-
tore di Nerone e fu condannato da lui a morte nel 66 → accusato di lesa maestà, gli
fu recapitata a casa la sentenza del Senato, concedendogli così la possibilità di suici-
darsi (Tacito, Annales XVI, 34-35 - brano su moodle).
- Fannia (figlia di Arria Minore e Trasea Peto e amica di P.) sposò Elvidio Prisco, con-
dannato a morte da Vespasiano nel 74 perché si era opposto sia a lui che a Nerone
→ per questo motivo E.P. fu condannato due volte all’esilio e Fannia lo seguì in en-
trambi i casi, finché egli non venne condannato a morte → per celebrare la memoria
di E.P., Fannia convinse Erennio Senecione (un amico di P.) a scrivere una biografia
del marito, a causa della quale (poiché celebrava un personaggio inviso agli impera-
tori) E.S. fu condannato a morte da Domiziano nel 93 e Fannia fu nuovamente man-
data in esilio.
- E.P. aveva avuto un figlio da un precedente matrimonio, Elvidio il Giovane, il quale
fu accusato da Domiziano di averlo deriso pubblicamente in un’opera teatrale e per
questo anche lui condannato a morte nel 93 → dopo la dipartita di Dom., P. scrisse
un’opera per celebrare la memoria di Elvidio il Giovane.

=> P. menziona personaggi di questa famiglia (in quanto sostenitrice del Senato) o
legati a essa (come Erennio Senecione) sempre con grande rispetto.

III, 16
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO NEPOTE 1
1.2 Mi sembra di aver osservato che le azioni e le parole di uomini e donne in alcuni casi
sono più famose, in altri più grandi. 2. Questa mia opinione è stata confermata dalla
chiacchierata che ho avuto ieri con Fannia. Nipote costei di quell’Arria che per il marito
fu nella morte sia consolazione sia esempio3. Riferiva molte cose di sua nonna, non minori
di questo evento ma meno note; le quali cose credo che per te saranno tanto sorprendenti a
leggerle quanto lo sono state per me nell’ascoltarle. 3.4 Suo marito, Cecina Peto, era
malato, era malato anche il figlio, entrambi in maniera mortale, almeno così sembrava. Il
figlio morì, un ragazzo di esimia bellezza e pari pudore5 e non meno caro ai genitori per
queste virtù di quanto era a loro caro per il fatto di essere loro figlio. 4. A costui lei
preparò il funerale, così condusse le esequie, in modo tale che il marito non se ne
accorgesse; e anzi ogni volta che entrava nella sua camera faceva finta che il figlio fosse
vivo e che stesse anche meglio e al marito che la interrogava spesso su come stesse il
ragazzo rispondeva: “Ha riposato bene, ha mangiato d’appetito”6. 5. Poi, quando le
lacrime a lungo trattenute avevano la meglio e uscivano fuori, usciva fuori dalla stanza;
allora si dava al dolore; una volta sfogatasi, asciugatasi gli occhi e ricomposto il volto,
rientrava come se avesse lasciato fuori la perdita. 6. È certamente illustre quel gesto di lei,
afferrare il ferro, colpirsi il petto, estrarre il pugnale, porgerlo al marito e soggiungere una
43

frase immortale e quasi divina: “Peto, non fa male”. Ma tuttavia, a lei che faceva e diceva
queste cose, erano di fronte agli occhi la gloria e l’eternità; quanto è più grande senza il
premio dell’eternità, senza il premio della gloria, nascondere le lacrime, nascondere il
lutto e, pur avendo perso il figlio, riuscire a fare ancora la madre.
7. Scriboniano aveva sollevato le armi nell’Illiria contro Claudio; Peto era stato dalla
sua parte e, ucciso Scriboniano, veniva trasportato a Roma. 8. Stava per salire sulla nave;
Arria implorava i soldati che fosse fatta salire insieme a lui. Disse: “Di certo infatti avrete
intenzione di dare a un uomo di rango consolare qualche servetto, dalle cui mani possa
ricevere il cibo, da cui venga vestito, da cui venga calzato; tutte queste cose le farò io da
sola”. 9. Non riuscì a ottenerlo: prese in affitto una barchetta da pescatori e seguì la
grande nave con una piccola imbarcazione. La stessa di fronte a Claudio disse alla moglie
di Scriboniano, quando quella stava per fare una confessione: “Io dovrei ascoltare te, sul
cui grembo è stato assassinato Scriboniano e sei viva?”. Dalla qual cosa è manifesto che a
lei l’idea di quella bellissima morte non venne all’improvviso. 10. Anzi, quando suo genero
Trasea la scongiurava di non avviarsi a morire, e avendo detto, tra le altre cose, “Vorresti
dunque che tua figlia, se mi toccasse di morire, morisse con me?”, rispose: “Se avrà vissuto
con te tanto a lungo e con tanto accordo quanto io con Peto, lo vorrei”7. 11. Con questa
risposta aveva aumentato la preoccupazione dei suoi; veniva sorvegliata con particolare
attenzione; se ne accorse e disse: “Non riuscite a fare niente; infatti potete far sì che io
muoia in malo modo, ma non potete far sì che non muoia”. 12. Mentre dice queste cose,
balzò su dalla poltrona e andò a sbattere la testa con grande forza alla parete che stava di
fronte e crollò. Rinvenuta, disse: “Ve lo avevo detto che sarei riuscita a trovare una
qualsiasi via, anche dura, per la morte se me ne aveste negata una più facile”. 13. Non ti
sembrano questi fatti più grandi di quel “Peto, non fa male”, al quale attraverso questi si è
giunti? Mentre tuttavia quello lo circonda una grande fama, questi non li circonda alcuna
notorietà8. Da ciò si conclude ciò che ho detto all’inizio, che alcune cose sono più famose,
altre sono più grandi. Stammi bene.

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1
Sappiamo che questo Nepote apparteneva alla classe senatoria e che quindi
condivideva certi ideali propri di P. e dei componenti della famiglia tratteggiata nella
lettera.
2
L’inizio di questa lettera ci fa capire che non si tratta di una risposta a un’altra
lettera ma di una lettera che P. scrive indipendentemente → ci fa però anche capi-
re che la lettera è un pretesto per parlare di un personaggio alla cui memoria P. te-
neva particolarmente, ossia Arria.
3
P. fa riferimento all’episodio della morte di Cecina Peto e di Arria → C.P., con-
dannato a Roma e ingiuntogli di uccidersi, aveva la mano tremante nel momento
del suicidio, per cui , per aiutarlo, si pugnalò per prima e poi porse il pugnale al ma-
rito dicendogli che non faceva male → anche Marziale celebra questo gesto corag-
gioso di Arria nell’epigramma I, 13:
Casta suo gladium cum traderet Arria Paeto L’innocente Arria, nel porgere al marito Peto il
44

quem de visceribus strinxerat ipsa suis, pugnale


“Si qua fides, vulnus quod feci non dolet,” inquit che aveva estratto dal proprio ventre
“sed quod tu facies, hoc mihi, Paete, dolet”. “Se puoi credermi, la ferita che mi sono inferta non
mi arreca dolore” disse
“ma mi arreca dolore, Peto, quella che ti farai tu”

- La frase di Arria è una frase destinata a diventare immortale e quasi proverbiale


→ infatti questa frase rispecchia l’ideale romano della moglie che è talmente fedele
al marito dal seguirlo anche nella morte.
- Dopo un inizio in cui P. promette un argomento molto generale, si passa poi al ri-
ferimento al famoso episodio del suicidio di Arria e Cecina Peto.
4
Primo aneddoto riguardo ad Arria.
5
Sono coppie descrittive caratteristiche delle epigrafi funerarie e frequenti anche
nei discorsi funebri.
6
In questo modo Arria faceva finta che il figlio stesse migliorando, evidentemente
per incoraggiare il marito e aiutarlo a uscire dalla malattia.
7
Arria vorrebbe che il suo comportamento virtuoso si trasmettesse anche alla fi-
glia.
8
P. conclude la lettera riprendendo ciò che ha detto all’inizio (cosiddetta “compo-
sizione ad anello” → era uno dei dettami della tecnica compositiva retorica in quan-
to consentiva di dare unità al ragionamento), cioè che ci sono fatti e detti che sono
più noti ma ce ne sono altri che sono più grandi anche se sono meno noti.

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➜ Lettera III, 18 → lettera riguardante il discorso che ha pronunciato in Senato per


ringraziare l’imperatore di averlo nominato console per il bimestre settembre-ottobre
del 100.
- Non sappiamo niente riguardo al destinatario della lettera.
- Fin da subito si nota una differenza di stile rispetto alla lettera precedente, la quale
era quasi una lettera intima, nonostante parlasse di un personaggio famoso e illustre
→ questa lettera invece parla di un discorso pubblico, ufficiale e si riferisce a un testo
che ha richiesto a P. una lunga fase di elaborazione → dunque l’inizio della lettera è
in uno stile che in qualche modo richiama l’argomento stesso della lettera (allude al
Panegirico).

III, 18
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO VIBIO SEVERO

1. L’incarico del consolato mi ha imposto di ringraziare l’imperatore a nome dello Stato1.


La qual cosa, avendola fatta io in Senato com’è costume adeguandomi sia all’occasione
sia al tempo, ho creduto che fosse assai conveniente per un buon cittadino abbracciare
quegli stessi argomenti in modo più ampio e ricco in un volume, 2. in primo luogo perché
45

le virtù del nostro imperatore venissero celebrate con lodi veritiere, e poi perché i futuri
imperatori fossero avvertiti non come da un maestro ma grazie a un esempio, attraverso
quale via possano raggiungere una medesima gloria2. 3. Infatti insegnare come debba
essere l’imperatore è certamente bello ma è difficile e quasi superbo; invece lodare un
imperatore che è ottimo e attraverso questo mostrare ai posteri, come da un posto
d’avvistamento, la luce che devono seguire, questo ha una sua utilità e non ha niente
dell’arroganza. [...]

——————————————————————————————————
1
P., in quanto console, rappresenta lo Stato romano e quindi ringrazia l’imperato-
re non a titolo personale ma a nome di tutto lo Stato.
2
L’inizio di questa lettera spiega due cose:
1. la prima è che P. ha avuto intenzione di riprendere in mano il discorso che
ha tenuto in Senato, il quale era necessariamente più breve a causa del
tempo a disposizione e quindi doveva ess. necessariamente anche meno
ricco rispetto a come avrebbe voluto;
2. la seconda è qual è l’intenzione con cui riprende in mano il discorso → lo fa
per celebrare degnamente l’imperatore e perché la lode dell’imperatore pos-
sa diventare un esempio per gli imperatori futuri → duqnue quello che noi
che noi conosciamo come Panegirico non è altro che una lode dell’impera-
tore Traiano la quale ambisce a diventare un esempio per i futuri imperatori.

16 APR. 2021

=> Si deduce da indizi interni non alla lettera ma al Panegirico stesso che questo la-
voro di revisione attuato da P. sul discorso sia avvenuto intorno al 102 (o al più tardi
nel 103) → infatti all’interno del Panegirico si allude, senza parlarne troppo chiara-
mente, al fatto che Traiano riesce a sconfiggere i Daci, la quale campagna è databile
al 102 → questa allusione ci fa capire che questa revisione non fu semplicemente
una limatura del discorso tenuto in Senato ma fu un vero e proprio ampliamento.

=> Per P. descrivere e lodare Traiano diventa sostanzialmente descrivere virtù astrat-
te (ma concretamente rappresentate da questo eccellente imperatore), alle quale gli
imperatori successivi avrebbero potuto fare riferimento.

[...] 4. Ho ricevuto un piacere non esiguo poiché, avendo io voluto leggere questo libro agli
amici, invitati non attraverso lettere ufficiali o programmi ma “se sei in comodo” e “se
davvero hai tempo” (non c’è mai davvero tempo libero a Roma o non si è mai in comodo
per ascoltare uno che legge pubblicamente), si sono riuniti, per di più con un tempo
davvero cattivo, per ben due giorni e, sebbene la mia modestia avesse voluto porre un
termine alla lettura, pretesero che io aggiungessi un terzo giorno. 5. Dovrei considerare3
46

che ho ricevuto io questo onore o l’hanno ricevuto gli studi? Preferisco pensare agli studi,
che, quasi estinti4, adesso si stanno riprendendo. 6. Ma a quale argomento gli amici hanno
dedicato questa attenzione? Proprio quello che anche in Senato, dove era obbligatorio
sopportarla, ci annoiava5 anche6 solo per un momento, lo stesso trova chi lo voglia esporre
e chi la voglia ascoltare per tre giorni, non perché si scrive in modo più eloquente di prima
ma perché si scrive con più tranquillità e quindi anche più volentieri. 7. Si aggiungerà
dunque anche questo alle lodi del nostro imperatore, cioè che una cosa che prima era così
malvista quanto falsa adesso è diventata così vera quanto gradita7. 8. Per quanto mi
riguarda, ho approvato considerevolemente da una parte per l’attenzione degli ascoltatori
dall’altra per la loro capacità di giudizio: mi sono infatti reso conto che anche le parti più
austere del discorso davano una particolare soddisfazione. 9. Ho ben presente che ho
recitato a non molte persone ciò che ho scritto per tutti, nondimeno tuttavia mi compiaccio
della loro severità con cui hanno ascoltato, come se l’opinione di tutti debba essere la
medesima, e come un tempo i teatri hanno insegnato ai musicisti a fare cattiva musica, così
adesso sono indotto a sperare che possa accadere che gli stessi teatri insegnino ai musicisti
a fare buona musica8. 10. Infatti tutti coloro che scrivono per il successo scriveranno cose
tali che avranno visto che piace. E io sono persuaso che in questo genere di argomento è
conveniente uno stile più ornato, dal momento che quelle cose che ho scritto in modo più
compresso e breve potrebbero sembrare artificiose e forzate più di quelle che invece ho
scritto in modo più allegro e quasi baldanzoso. Non per questo tuttavia mi auguro di meno
che prima o poi venga un giorno (e volesse il cielo che fosse già venuto!), in cui lo stile
dolce e blando lasci il posto, anche se lo occupano a buon diritto, a uno stile più austero e
severo9.
11. Hai il mio resoconto di questi tre giorni; conoscendo le quali cose, era mia intenzione
che tu ricevessi tanto piacere, pur essendo assente, sia per amore degli studi sia mio,
quanto avresti potuto ricevere se tu fossi stato presente. Stammi bene.

——————————————————————————————————
3
«putem» → congiuntivo dubitativo.
4
Evidentemente l’attività letteraria e culturale era giunta, secondo P., a un mo-
mento di grande sofferenza a causa delle censure esercitate da imperatori come
Domiziano, volte a evitare contestazioni e insurrezioni.
5
Lett. “dalla quale eravamo soliti essere annoiati”.
6
«vel» → particella solitamente con valore disgiuntivo ≠ in questo caso invece ha
valore intensivo.
7
Lodare l’imperatore ai tempi di Domiziano comportava necessariamente dire
delle falsità, in quanto egli non era degno di lode, ed era un qualcosa che non si fa-
ceva volentieri e anzi era malvisto ≠ adesso invece lodare l’imperatore è piacevole
e corrisponde alla verità.
8
Nell’epoca di Domiziano anche il gusto era regredito, per cui il pubblico nei tea-
tri aveva fatto abbassare il livello delle rappresentazioni (è dunque il pubblico che
determina la qualità delle rappresentazioni, in quanto il musicista compone in mo-
47

do tale da soddisfare le aspettative degli spettatori).


9
Probabile riferimento allo stile severo e austero di Tacito.

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➜ Lettera VII, 17, 6 → passo in cui P. racconta qual è il suo modo di rivedere gli
scritti:

«Nec vero ego, dum recito, laudari, sed dum «Io del resto non ambisco a essere lodato
legor, cupio. itaque nullum emendandi mentre tengo la lettura, ma quando il mio
genus omitto. ac primum quae scripsi lavoro viene letto. Perciò non tralascio
mecum ipse pertracto; deinde duobus aut nessun mezzo per migliorarmi. Prima valuto
tribus lego; mox aliis trado adnotanda, tra me e me quanto ho scritto; poi lo leggo a
notasque eorum, si dubito, cum uno rursus due o tre persone; quindi lo sottopongo ad
aut altero pensito; novissime pluribus recito altri perché vi annotino le loro osservazioni
ac, si quid mihi credis, tunc acerrime che, se sono in dubbio, soppeso ancora
emendo; non tanto diligentius quanto insieme a una o due persone; alla fine lo
sollicitius intendo». leggo davanti a più persone e, se vuoi
credermi, è proprio allora che intervengo
con la massima decisione; mi impegno con
più diligenza quando sono più sotto
pressione».

=> Sappiamo da altre lettere dell’epistolario che questo modo di rivedere gli scritti
era una prassi comune all’epoca → infatti P. applica questo metodo non solo ad altri
suoi scritti ma anche a scritti di altri autori, come Tacito e Svetonio.

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➜ Lettera III, 19 → lettera di argomento piuttosto diverso rispetto alla precedente,


scritta a un suo amico conterraneo.

III, 19
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CALVISIO RUFO

1. Ti prendo come consulente per il mio patrimonio, come sono solito. Sono in vendita dei
poderi vicini ai miei terreni e addirittura intrecciati. In essi molte cose mi allettano, altre,
non minori, mi spaventano. 2. Alletta in primo luogo l’attrattiva stessa di poter unire i
possedimenti; inoltre, cosa non meno utile che piacevole, poterli visitare entrambi con lo
stesso impiego di tempo e con lo stesso viaggio, poterlo tenere sotto lo stesso
amministratore e quasi sotto gli stessi fattori, abitare e abbellire una sola villa, l’altra
soltanto mantenerla. 3. In questo conto ci stanno la spesa per le suppellettili, la spesa per i
custodi, quella per i giardinieri, quella per gli artigiani e anche quella per il necessario per
48

la caccia; le quali cose è di particolare importanza se tu li raccogli in un luogo soltanto o


se li suddividi in luoghi diversi. 4. Dal lato opposto ho paura che non sia incauto
sottoporre un possedimento così grande allo stesso clima e alle stesse vicende; sembra più
sicuro affrontare le incertezze della sorte con una varietà di possedimenti. È
particolarmente piacevole il poter cambiare territorio e clima, e anche quello stesso
viaggiare tra le proprietà. 5. Adesso, e questo è il capo della nostra decisione, i campi sono
fertili, produttivi e ricchi d’acqua; constano di campi, di vigne, di boschi, i quali offrono un
prodotto e da quello un reddito che, così come è modico, è anche costante. [...]

22 APR. 2021

[...] 6. Ma questa fertilità del terreno è rovinata da dei mezzi insufficienti1. Infatti il
precedente proprietario2 più volte ha venduto gli strumenti di lavoro e, mentre ha diminuito
temporaneamente i debiti dei contadini, ha esaurito le forze produttive per il futuro, a
causa della mancanza delle quali i debiti sono cresciuti nuovamente3. 7. Vanno dunque
attrezzati con degli schiavi, tanto più costosi perché validi; infatti né io ho da nessuna
parte schiavi in catene né qui ce li ha alcuno4. Rimane che tu sappia a quanto sembra si
possano acquistare. Tre milioni di sesterzi, non che una volta non ne siano costati cinque,
ma, sia a causa di questa penuria di lavoranti sia a causa della generale difficoltà della
situazione, come la rendita dei campi così anche il prezzo è andato all’indietro. 8. Ti chiedi
se possiamo raccogliere facilmente questa cifra di tre milioni5. Sono quasi tutto impegnato
in poderi, qualcosa tuttavia presto a interesse, e non mi sarà di peso prendere un mutuo;
riceverò qualcosa da mia suocera, la cui cassa utilizzo non diversamente dalla mia6. 9.
Perciò non devi preoccuparti di questo, se le altre cose non si oppongono, cose che vorrei
che tu esaminassi nella maniera più attenta possibile. Infatti, così come in tutte le altre
cose, così anche nelle questioni finanziarie tu hai abbondante esperienza e avvedutezza.
Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
«imbecillis cultoribus» → ossia dalla scarsità di manodopera.
2
Precedente rispetto al potenziale acquirente → dunque si tratta dell’attuale pro-
prietario.
3
Il proprietario terriero, per gestire la proprietà, affittava il proprio terreno a dei
coloni (ossia dei contadini), i quali lo ripagavano con la vedita dei prodotti o con i
prodotti stessi → il padrone, per assicurarsi un reddito sicuro anche nel caso in cui
i contadini non pagassero, faceva impegnare loro i loro strumenti (era una sorta di
garanzia) e li vendeva nel caso essi non avessero prodotto quanto pattuito → così
facendo però metteva a repentaglio il lavoro futuro.
4
A Roma i latifondisti vecchio stampo utilizzavano ancora gli schiavi incatenati
→ P. intende invece riattrezzare il nuovo fondo con degli schiavi trattati come per-
sone normali → quindi ha bisogno di schiavi molto abili e affidabili e per questo
49

molto costosi.
5
«hoc ipsum triciens» → per rendere bene il senso del latino si potrebbe tradurre
“questi tre milionetti”.
6
Si tratta di Pompea Celerina, madre della prima moglie di P., con la quale fu
sempre in ottimi rapporti.

——————————————————————————————————

➜ Lettera III, 21 → lettera indirizzata a Cornelio Prisco, importante personaggio


dell’epoca (infatti in quegli anni aveva ricoperto il consolato e sarebbe stato in segui-
to governatore dell’Asia sotto Adriano) → in questa lettera P. comunica a Cornelio
che è morto Valerio Marziale.

III, 21
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CORNELIO PRISCO

1. Ho sentito dire che è morto Valerio Marziale e lo sopporto con difficoltà. Era una
persona ingegnosa, acuta, pungente e che nello scrivere aveva sia molto sale sia fiele e non
meno candore1. 2. Lo avevo accompagnato, mentre se ne andava, con un viatico2; dovevo
questo all’amicizia, lo dovevo anche per quei versetti3 che ha composto su di me. 3. Era
del costume antico omaggiare con onori o con del denaro coloro che avevano scritto lodi di
singoli o di città; ai nostri tempi però, così come altre cose belle ed eccellenti, anche
questo è stato tra le prime cose a passare di moda. Infatti, da quando abbiamo smesso di
compiere cose degne di lode, consideriamo inutile anche essere lodati. 4. Ti chiedi quali
siano questi versetti per i quali ho ringraziato? Ti rimanderei al volume stesso, se non ne
ricordassi qualcuno; tu, se questi ti piaceranno, andrai a cercare gli altri nel libro. 5. Si
rivolge alla Musa, le ordina di cercare la mia casa sull’Esquilino e di accostarsi con
riverenza4:
Ma bada di non bussare in un momento inopportuno,
ebbra, a quella porta dell’eloquenza!
Giornate intere egli dedica all’austera Minerva,
finché non ha pronto per le orecchie dei centumviri
quel che i posteri e i secoli futuri potranno
paragonare addirittura agli scritti dell’Arpinate5.
Sarai più sicura se ci andrai sul tardi, quando i lumi sono accesi6;
questo è il tuo momento, quando imperversa Bacco,
quando la rosa regna, quando le chiome sono intrise di profumo.
Allora possono leggermi anche i duri Catoni!
6. Non è a ragione che io pianga, come un amico carissimo, ora che è morto, colui che ha
scritto di me queste cose e che allora congedai in modo amichevolissimo? Mi ha dato
infatti quanto più poteva, mi avrebbe dato di più se avesse potuto. Del resto, che cosa può
essere dato di più a un uomo della gloria, della lode e dell’eternità? Ma non saranno
50

eterne le cose che ha scritto: forse non lo saranno, lui tuttavia le scrisse come se dovessero
esserlo7. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Nella scrittura era definito candidus uno scrittore puro (cioè che si teneva lonta-
no da certi argomenti) e spontaneo (quindi non artificioso) → Marziale infatti ci te-
neva a distinguere il candore morale della sua poesia rispetto ad alcuni contenuti
che la sua stessa poesia esprimeva.
2
Ossia offrendogli i soldi per il viaggio → infatti M., nella parte finale della sua
vita, era tornato nella sua città natale, Bilbilis (in Spagna), ed evidentemente (per lo
meno per quanto si apprende dalla lettera) P. gli aveva offerto il biglietto della na-
ve.
3
Diminutivo di modestia.
4
Si tratta del carme X, 20 (testo su moodle).
5
Marziale paragona P. a Cicerone, per lo meno sul piano dell’impegno.
6
Si riferisce alla comissatio, parte successiva alla cena in cui venivano serviti so-
lamente vino e qualche stuzzichino.
7
La lettera si conclude con un’osservazione di P. sullo stile e sul modo di scrittu-
ra di Marziale (si chiude quindi una struttura ad anello → infatti ne aveva parlato
anche nel primo paragrafo della lettera).

23 APR. 2021

➜ Lettera IV, 1 → lettera indirizzata al prosuocero Calpurnio Fabato, personaggio


dell’aristocrazia di Como, il quale aveva svolto una carriera politica piuttosto brillante,
eccetto un periodo di difficoltà vissuto attorno al 65, quando era caduto in disgrazia
presso l’imperatore Nerone poiché fu coinvolto in un’accusa di tradimento che aveva
investito Giunio Silano.
- Anche C.F. era un proprietario terriero e infatti P. nell’epistolario ricorre spesso ai
suoi consigli riguardo all’amministrazione dei possedimenti

IV, 1
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO PROSUOCERO CALPURNIO FABATO

1. Desideri, dopo un lungo periodo, vedere tua nipote e me1. A entrambi è gradito ciò che
tu desideri ed è una cosa reciproca, per Diana. 2. Infatti anche noi a nostra volta abbiamo
una sorta di incredibile desiderio di voi che non rimanderemo oltre. E perciò già stiamo
legando il bagaglio per affrettarci quanto lo permetterà la condizione del viaggio. 3. Ci
sarà soltanto una ma breve sosta: faremo una deviazione in Etruria, non per osservare i
possedimenti e il patrimonio familiare (questo infatti può essere rimandato) ma per
51

svolgere un dovere necessario. 4. C’è una città vicina ai nostri possedimenti (il suo nome è
Tifernum Tiberinum), che quando ero ancora quasi un ragazzino mi ha scelto come
patrono con tanto maggiore affetto quanto con minor avvedutezza2. Celebra i miei arrivi, si
dispiace delle mie partenze, si felicita per i miei incarichi. 5. In questa cittadina, per
ringraziarla (infatti essere vinti in amore è una cosa vergognosa), ho costruito dal nulla a
mie spese un tempio, la cui inaugurazione, essendo già pronto, sarebbe irrispettoso
rimandare più a lungo. 6. Saremmo dunque lì nel giorno dell’inaugurazione, che ho
stabilito di celebrare con un banchetto pubblico. Rimarremo lì forse anche il giorno
successivo, ma tanto più accorceremo la via stessa. 7. Possa solo capitare che noi troviamo
te e tua figlia in buona salute! Infatti toccherà di trovarvi felici se ci troverete incolumi.
Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Probabilmente qui P. riprende brevemente l’oggetto della lettera inviatagli da
Calpurnio Fabato.
2
Alla morte o del padre o dello zio, la città di Tifernum Tiberinum scelse P. come
patrono, probabilmente per onorare la memoria del defunto, il quale aveva dei pos-
sedimenti in quella zona.
- Ess. patrono di una città era per lo più un incarico onorifico ma comportava anche
dei doveri, il principale dei quale era quello di rappresentare gli interessi della città
a Roma → il patrono si occupava della città anche in altri modi, come facendo do-
nazioni in denaro, costruendo edifici pubblici ecc. → ovviamente il patrono era
sempre un personaggio in vista con grandi disponibilità economiche.

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➜ Lettera IV, 7 → questa lettera parla di Marco Aquilio Regolo, avvocato come P.
ma a lui non simpatico per molteplici ragioni → in primo luogo perché non lo stimava
come avvocato e in secondo luogo (ragione più importante) perché in passato egli
aveva tradito diversi amici di P. denunciandoli a Domiziano (Regolo dunque erano
uno dei cosiddetti “delatori”) → per questo P. nel suo epistolario descrive a tinte fo-
sche questo personaggio, cercando spesso di metterlo in ridicolo

IV, 7
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CAZIO LEPIDO

1. Te lo dico spesso che in Regolo c’è una forza. È sorprendente come si impegni in ciò a
cui si dedica. Ha deciso di piangere il figlio: lo piange come nessun’altro. Ha deciso di
fare il più alto numero possibile di statue e ritratti di lui: questo lo fa impegnando tutti i
laboratori, lo rappresenta con i colori, con la cera1, con il bronzo, con l’argento, con
l’oro2, con l’avorio, con il marmo. 2. Lui in persona recentemente, radunato un grande
uditorio, ha letto pubblicamente un libro sulla vita di quello; sulla vita di un ragazzino,
52

eppure l’ha letto pubblicamente. Lo stesso libro, trascritto in mille esemplari, l’ha diffuso
per tutta l’Italia e per le province. Ha scritto pubblicamente affinché dai decurioni venisse
scelto qualcuno con una voce particolarmente bella che lo leggesse al popolo: così fu fatto.
3. Questa forza, o con quale nome va chiamata lo sforzo di ottenere ciò che vuoi, se
l’avesse rivolta a cose più importanti, quanto bene avrebbe potuto fare! Tuttavia c’è una
forza minore nei buoni rispetto a quella che c’è nei cattivi, e come “l’imprudenza produce
l’audacia, invece la riflessione l’incertezza”, così la modestia indebolisce le menti perbene
e l’audacia rende più forti le menti malvagie. 4. Regolo ne è un esempio. Non ha fiato, ha
un modo di esprimersi confuso, una lingua esitante, l’ingegno molto lento, alcuna
memoria, niente dunque eccetto un intelletto malato, e tuttavia è giunto con l’impudenza e
con quel suo furore a tal punto da farsi considerare un oratore. 5. E così Erennio
Senecione ha meravigliosamente rovesciato contro di lui quell’espressione di Catone
sull’oratore: “L’oratore è un uomo malvagio incapace di parlare”. Per Diana, lo stesso
Catone non è riuscito a rappresentare tanto bene il vero oratore quanto egli ha
rappresentato bene Regolo. 6. Hai qualcosa con cui rendere pari grazia per una tale
lettera? Ce l’hai, se mi scriverai se qualcuno dei miei amici nella vostra cittadina, o forse
addirittura tu hai letto questo libro piagnucoloso di Regolo come un ciarlatano nel foro,
“alzando”, come dice Demostene, “la voce e gioendo e rendendo la voce bel udibile”. 7. È
infatti così sciocco che può tirar fuori il riso più che il pianto: diresti che non è stato scritto
su un ragazzo ma da un ragazzo. Stammi bene.

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1
I Romani tenevano in casa le immagini, fatte con la cera, dei propri defunti.
2
Con argento e oro si realizzavano coppe e altri oggetti di argenteria.

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➜ Lettera IV, 8 → in questa lettera P. risponde alle congratulazioni fattegli da Matu-


ro Arriano in occasione dell’ottenimento, attorno al 103-104, da parte di P. dell’augu-
rato, una delle più importanti cariche sacerdotali.
- In epoca imperiale gli auguri non avevano più l’importanza che avevano avuto in
età repubblicana, ma si tratta ormai di un mero incarico onorifico (≠ in età repubblica-
na invece aveva un’importante rilevanza politica, perché l’augure poteva bloccare le
decisioni prese dai magistrati) → in epoca imperiale l’augure deriva l’importanza del-
la sua carica dall’età imperiale ma di fatto tale carica è inefficace a livello politico (è
un prestigio solamente formale e non più sostanziale) → era cm una carica ambita in
quanto vitalizia.
53

IV, 8
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO MATURO ARRIANO

1. Ti congratuli con me per il fatto che ho ottenuto l’augurato: fai bene a congratularti, in
primo luogo perché è gradito conseguire un’attestazione di stima da parte di un imperatore
serio anche in cose di minor conto, poi perché lo stesso sacerdozio, se da una parte è
antico e importante dal punto di vista religioso, anche per questo è chiaramente sacro e
importante, per il fatto che non può essere sottratto a un vivente. 2. Infatti gli altri
incarichi, sebbene più o meno pari per dignità, come vengono attribuiti così vengono
revocati; in questo alla fortuna è lecito fino a questo punto, cioè che possa essere dato. 3.
In verità a me sembra degno di congratulazione anche questo fatto, cioè che sono
succeduto a Giulio Frontino1, uomo della più grande importanza, il quale nel giorno in cui
si fanno le nomine in tutti questi anni faceva il mio nome tra i sacerdoti, come se volesse
che mi cooptassero al posto suo; cosa che ora gli eventi hanno provato e non sembra
dovuta al caso. 4. Te dunque, da come scrivi, sei particolarmente lieto del mio augurato
perché anche Marco Tullio è stato augure. Ti allieti infatti anche per il fatto che io
proseguo la sua strada nella carriera, il quale desidero emulare anche nell’attività
intellettuale. 5. Ma volesse il cielo che come il sacerdozio, come il consolato, che ho
conseguito quando ero anche molto più giovane di lui, così da vecchio possa conseguire
almeno in qualche parte il suo ingegno! 6. Ma senza dubbio le cose che sono nella mano
degli uomini sono toccate a me e a molti; mentre ciò che non può essere dato se non dagli
dei, così come è difficile ottenero, è addirittura troppo sperarlo. Stammi bene.

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1
Personaggio molto importante, che aveva ricoperto diverse cariche:
- aveva ricoperto tre volte in consolato;
- era stato curator acquarum → grazie a questa esperienza scrisse il trattato
De acquaeductu urbis Romae;
- era stato impegnato anche in diverse campagne militari → a partire da esse
scrisse il trattato Stratagemata.

=> P. in questa lettera non dice all’amico che lui stesso si era interessato per ottene-
re l’augurato, avendo avuto addirittura il coraggio di chiederlo direttamente all’impe-
ratore (102) → quindi tutte le ragioni che lui spiega nella lettera e che sono per lui
motivo di orgoglio sono in realtà messe in secondo piano da questo fatto (molto pro-
babilmente dunque Traiano ha messo la sua parola perché P. ottenesse l’augurato).
54

26 APR. 2021

➜ Lettera IV, 11 → lettera in cui P. racconta un pettegolezzo a un suo conterraneo,


Cornelio Miniciano, che era un giovane di Bergamo che stava muovendo i primi pas-
si della sua carriera e per il quale P. cercherà anche di ottenere dei favori convincen-
do dei suoi amici a sostenerlo per il tribunato.
- Questo pettegolezzo è il pretesto per scrivere una delle lettere curatius scriptae e
all’interno di questo pettegolezzo si trova un riferimento all’epoca buia che a Roma
era stata vissuta sotto Domiziano → questa lettera per molti aspetti ricorda certi tratti
del Panegirico a Traiano, nel quale il ritratto dell’imperatore Domiziano emerge in
modo piuttosto prepotente → nonostante il Panegirico sia di fatto un ringraziamento
al nuovo imperatore, P. mette in luce le virtù di Traiano molto spesso attr. la descri-
zione dei vizi e dei demeriti di Domiziano → P. infatti era convinto che come in pittura
«nihil magis lucem quam umbra commendat» (ossia «niente mette più in risalto la luce
dell’ombra»), così anche nella scrittura bisogna utilizzare l’ombra se si vuol far risulta-
re ancora più vivida la luce.
- Sia nell’Epistolario che nel Panegirico P. prende le distanze dall’epoca di Dom. →
nel Panegirico questa presa di distanze è attuata in modo strutturato e viene descrit-
ta in modo piuttosto strutturato la differenza tra l’epoca inaugurata da Tr. rispetto a
quella vissuta sotto Dom. → il breve periodo in cui era stato al potere Nerva viene
per così dire appiattito tra le due grandi figure di Dom. e Tr. e viene considerato
come un passaggio quasi necessario.
- Dunque ciò che si vede ben strutturato nel Panegirico lo si ritrova sparso nell’Epi-
stolario, dove si trovano diverse lettere in cui P. mette in cattiva luce il precedente im-
peratore, ne descrive i vizi, l’ingiustizia, in altre lettere magnifica persone a lui vicine
(cfr. Cornelio Prisco, Erennio Senecione e altri suoi colleghi che erano stati colpiti
dalla vendetta o dall’ira di Dom.) → questa è una di queste lettere, in cui lo spunto è
un pettegolezzo che si racconta a un amico ma affonda le proprie radici nell’epoca
domizianea e serve a spiegare che cos’era successo a causa di Dom. → il pettego-
lezzo riguarda Valerio Liciniano, un ex pretore che al momento in cui P. scrive la let-
tera si trova in Sicilia.

IV, 11
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CORNELIO MINICIANO

1. Hai sentito per caso che Valerio Liciniano fa il professore in Sicilia? Credo che ancora
tu non l’abbia saputo: è infatti una notizia recente. Ex pretore costui, fino a poco tempo fa
era considerato uno dei più eloquenti avvocati; adesso è precipitato a tal punto da
diventare da senatore esule e da oratore retore1. 2. E così lui stesso in prefazione2 ha detto
in modo dolente e serio: “Che scherzi fai, Fortuna? Fai infatti dei professori da dei
senatori e dei senatori da dei professori”. In questa battuta c’è così tanta rabbia e tanta
amarezza che mi sembra che lui abbia fatto il professore per dire questo. 3. Lo stesso,
essendo entrato in aula rivestito con il mantello alla greca (non hanno infatti il diritto alla
toga coloro che sono stati esiliati3), dopo che si fu sistemato e dette un’occhiata al suo
55

vestito, disse: “Parlerò in latino”4. 4. Tu dirai che queste sono cose tristi e miserevoli e che
lui tuttavia se l’è meritate visto che ha macchiato questa stessa attività intellettuale col
delitto di un incesto5. 5. Ha confessato sì l’incesto, ma è incerto se perché era vero o
perché temeva cose più gravi se lo avesse negato. Domiziano infatti fremeva e ribolliva,
privato di sostegno nella più grande impopolarità. 6. Infatti, avendo concepito il desiderio
di seppellire viva Cornelia, la vestale massima, ritenendo6 che con esempi di questo tipo si
rendesse più illustre la sua epoca, con il diritto di pontefice massimo, o piuttosto grazie
alla crudeltà di un tiranno e della libertà di un padrone, convocò gli altri pontefici non
nella Reggia ma nella sua villa Albana7. E con un delitto non minore di quello che
sembrava voler punire, condannò per incesto la vestale assente e senza averla ascoltata,
mentre lui non aveva soltanto contaminato con l’incesto la figlia del fratello ma addirittura
l’aveva uccisa; infatti morì a causa di un aborto quando era già vedova8. 7. Furono subito
inviati i pontefici che si occupassero di seppellirla e ucciderla. Quella, tendendo le mani
ora a Vesta ora a tutti gli altri dei, andava gridando molte cose ma questo più spesso:
“Cesare mi ritiene incestuosa, grazie ai riti della quale ha vinto e ha trionfato!”9. 8. È
incerto se per blandirlo oppure per irriderlo, se per fiducia nella propria condotta oppure
per disprezzo dell’imperatore. Lo disse fino a quando fu condotta al supplizio, non so se
innocente ma certamente come se fosse innocente. 9. Che anzi mentre veniva fatta scendere
in quel sotterraneo, e a lei che scendeva si era impigliata la stola, si volse e la raccolse, e,
siccome il carnefice le porgeva la mano, lei la rifiutò e fece un balzo indietro e respinse
quell’immondo contatto come da un corpo casto e puro con questo ultimissimo esempio di
castità e con tutti i numeri del pudore «mise molta cura a morire in modo dignitoso»10. 10.
Inoltre Celere, cavaliere romano, a cui veniva rinfacciata Cornelia, siccome veniva frustato
a morte nel comizio, aveva continuato a gridare: “Che cosa ho fatto? Non ho fatto niente”.
11. Insomma Domiziano ardeva a causa della taccia di crudeltà e iniquità. Fa arrestare
Liciniano, poichè avrebbe nascosto nei suoi possedimenti una liberta di Cornelia. Quello
viene avvertito da coloro che lo avevano in custodia che, se non voleva subire il comizio e
le frustate, si rifugiasse nella confessione come a un perdono. Lo fece. 12. Parlò per lui
assente Erennio Senecione con una dichiarazione tipo il famoso: «Patroclo giace». Disse
infatti: “Da avvocato sono diventato messaggero; Liciniano ha rinunciato alla difesa”. 13.
Questo fu particolarmente gradito a Domiziano, a tal punto che egli si tradì a causa delle
contentezza e disse: “Liciniano ci ha assolti”. Aggiunse anche che non bisognava essere
severi con la sua vergogna; anzi gli permise, se era possibile prendere qualcosa, arraffare
qualcosa dei propri beni, prima che questi fossero messi all’asta, e gli diede un esilio dolce
come se fosse un premio. 14. Dal quale, tuttavia, in seguito, per la clemenza del divo
Nerva, fu trasferito in Sicilia, dove ora fa il professore e si vendica della sorte con le sue
prolusioni.
15. Vedi come io ti obbedisco in modo ossequioso, io che ti scrivo non solo ciò che
succede in città ma anche cose peregrine con tanta dedizione da riprenderle più in alto11.
Di certo pensavo che tu di Liciniano non avessi udito altro che era stato relegato a causa
di un incendio, visto che all’epoca eri lontano. Infatti le dicerie riferiscono per sommi capi,
non l’ordine dei fatti. 16. Mi merito che tu a tua volta scriva per filo e per segno che cosa
succeda nella tua cittadina e in quelle vicine (infatti cose interessanti capitano sempre),
56

insomma racconta ciò che vuoi, purché in una lettera non meno lunga. Io conterò non solo
le pagine ma anche le righe e le sillabe. Stammi bene.

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1
Retore = maestro di retorica → V. Liciniano non può più esercitare la professio-
ne di avvocato.
- Questa frase ne ricorda una contenuta nella VII Satira di Giovenale, in cui si dice
che «se la Fortuna lo vuole da retore puoi diventare console; se lo vuole da console puoi
diventare maestro di retorica» → è probabile dunque che questa espressione fosse
diventata quasi proverbiale.
2
Ossia nella prolusione alle sue lezioni.
3
Aqua et igni interdicere = “proibire a qualcuno l’uso dell’acqua e del fuoco” → an-
tica formula giuridica che significava “bandire”, “esiliare” → in origine infatti chi ve-
niva esiliato non veniva cacciato dalla città bensì gli veniva proibito di usufruire
dell’acqua e del fuoco all’interno della città, perciò costui per sopravvivere doveva
necessariamente andarsene → questa espressione divenne poi la formula giuridi-
ca per l’esilio.
- La toga (ossia l’abito del cittadino romano libero) era interdetta ai condannati
all’esilio → per questo Liciniano veste il pallio greco.
4
Era infatti abitudine vestirsi col pallio greco se si declamava in greco, mentre ci
si vestiva con la toga se si declamava in latino → Liciniano, dal momento che non
può vestire la toga, si sente in dovere di precisare in che lingua declamerà.
5
Ecco che comincia a venire fuori la colpa di Liciniano.
- A Roma veniva definito “ incesto” qualsiasi tipo di rapporto non lecito.
6
«ut qui [...] arbitraretur» = lett. «come colui che riteneva».
7
Il pontifex maximus risiedeva nella Regia (che originariamente era la sede del
rex sacrorum, figura preposta alle funzioni sacre di Roma ma che nel corso dell’e-
poca repubblicana perde la sua funzione di sacerdote più importante, che viene
passata al pontifex maximus) → a partire da Augusto però l’imperatore assume le
funzioni del pontifex maximus (fino al 376 d.C., quando l’imperatore Graziano, fer-
vente cristiano, cede le prerogative di pontifex maximus al vescovo di Roma), che
era un religioso a capo di un collegio (composto da un numero variabile di pontifi-
ces) → l’imperatore risiedeva nella residenza imperiale, però per svolgere le sue
funzioni di pontifex riuniva il collegio nella Regia.
- Domiziano vuole condannare la vestale massima ma non può farlo da solo,
perciò convoca il collegio sacerdotale, ma non nel luogo preposto (ossia la Regia),
bensì nella sua villa Albana (dove avrebbe potuto esercitare sui pontefici un potere
più vasto e autocratico).
8
Dom. aveva avuto per amante la nipote Giulia, figlia del fratello Tito → sebbene
una legge fatta emanare da Claudio avesse autorizzato il matrimonio fra zio e nipo-
te (cfr. Svetonio, Claudio 26, 3), nel sentire comune questo tipo di rapporto era an-
cora ritenuto incestuoso → Svetonio (cfr. Domiziano 22 - testo su moodle) conferma
57

la notizia che Giulia morì in seguito a un aborto, mentre, ormai vedova, frequenta-
va assiduamente Dom., che non si faceva problemi a frequentarla anche pubblica-
mente ma non voleva un figlio da lei, motivo per cui la costringe all’aborto.
- P., parlando di Liciniano, tira fuori una delle storie più brutte riguardo Dom. (e alla
quale allude anche nel Panegirico - 52, 3).
9
Cornelia si riferisce ai due trionfi celebrati da Dom. per le inconcludenti guerre
contro i Germani (83) e i Daci (89).
10
Frase proveniente dall’Ecuba di Euripide, con la quale il messaggero Taltibio ri-
ferisce a Ecuba della nobile morte della figlia Polissena, sacrificata da Neottolemo
sulla tomba del padre Achille.
11
Altius repetere = espressione idiomatica che significa “riprendere il discorso un
po’ più da lontano, indietro”.

29 APR. 2021

➜ Lettera V, 10 → lettera interessante perché fornisce alcune informazioni su un’o-


pera che Svetonio stava scrivendo in quegli anni (ca. 105-106) → in questa P. solle-
cita Svetonio a rendere pubblica un’opera alla quale stava lavorando, alla quale ave-
va dedicato diverso tempo e che andava progressivamente limando in vista della
pubblicazione → si apprende che P. stesso aveva pubblicamente annunciato il lavoro
di Svetonio, il quale però era esitante a pubblicare e voleva curare ulteriormente lo
scritto.

V, 10
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO SVETONIO TRANQUILLO

1. Libera una buona volta dall’impegno i miei endecasillabi1, che hanno promesso i tuoi
scritti agli amici che abbiamo in comune2. Vengono richiesti ogni giorno, vengono
reclamati e ormai c’è il rischio che vengano costretti a ricevere l’ingiunzione a esibire3. 2.
Sono anche io uno che esita a pubblicare, tu tuttavia hai superato anche la mia esitazione e
lentezza. Perciò o rompi subito gli indugi oppure fai attenzione che codesti stessi libri, che i
nostri endecasillabi non riescono a tirarti fuori con delle blandizie, non te li estorcano
degli scazonti4 con delle offese. 3. La tua opera è perfetta e compiuta, e ormai, grazie alla
lima, non splende di più ma è consumata. Lasciami vedere il tuo titolo, lasciami sentire che
sono ricopiati, letti, venduti i volumi del mio Tranquillo. È giusto che noi, in un rapporto di
affetto così reciproco, riceviamo da te lo stesso piacere e tu goda da noi. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Versi caratteristici di epigrammi o carmi d’amore o spiritosi → quindi evidente-
mente P., il quale si dilettava nello scrivere poesie leggere, aveva dedicato uno di
questi suoi componimenti all’opera che Svetonio stava scrivendo → si ipotizza, con
58

buona verosimiglianza, che l’opera di cui si parla sia il De viris illustribus, ma non si
sa se P. si riferisca all’intera opera o a una delle cinque parti da cui è composta →
è però più plausibile pensare che, dal momento che ne fa una così gran pubblicità,
si riferisca o all’intera opera o alla prima parte.
2
I componimenti di P. circolavano all’interno di una ristretta cerchia di amici e
non erano stati pubblicati.
3
Ad exhibendum = formula giuridica che fa riferimento alla norma con cui un tribu-
nale poteva imporre a un cittadino di presentare pubblicamente ciò che possedeva.
- P. utilizza spesso espressioni giuridiche perché non solo lui era avvocato ma lo
erano anche molti dei suoi amici (in generale la formazione giuridica era molto co-
mune a Roma, motivo per cui la lingua latina presenta molto spesso termini tecnici
ed espressioni tipici del diritto).
4
Mentre il trimetro giambico è formato da sei giambi (∪ —), il trimetro giambico
scazonte (detto anche coliambo) presenta nell’ultimo piede un trocheo (— ∪) o
uno spondeo (— —), che determina una forte inversione del ritmo → per questo
motivo era considerato adatto alle invettive e alle proteste.

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➜ Lettera VI, 6 → richiesta di sostegno (risalente probabilmente all’autunno del


106) indirizzata da P. a Minicio Fundano (console nel 107).

VI, 6
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO FUNDANO

1. Se qualche volta ho desiderato che tu fossi a Roma, ora in particolare lo desidero e ti


prego di esserci. Ho bisogno di un socio che condivide il mio desiderio, la mia fatica e la
mia ansia. Giulio Nasone compete per la carriera pubblica; si candida insieme a molti
altri, persone di qualità, che come sarebbe glorioso così è anche difficile superare. 2. Sono
dunque sospeso e sono torturato dalla speranza, sono afflitto dal timore e non mi sembra di
essere un consolare; infatti mi sembra di essere nuovamente un candidato di tutte quelle
cariche che ho già ricoperto. 3. Si merita questa mia sollecitudine per il suo lungo affetto
nei miei confronti. Con lui c’è un’amicizia che non certamente paterna (cosa che infatti
non può essere a causa della mia età); tuttavia, quando io ero appena un adolescente, suo
padre soleva venirmi additato con grandi lodi. Costui era amantissimo non solo degli studi
ma anche delle persone colte, e quasi quotidianamente veniva ad ascoltare quelli che
anch’io all’epoca frequentavo, cioè Quintiliano e Niceta Sacerdote1, del resto era un uomo
illustre2 e serio e che deve giovare con la memoria di sé al figlio. 4. Tuttavia ora in Senato
ci sono molte persone a cui è ignoto, molti a cui è noto ma che non stimano se non chi è in
vita3. A maggior ragione, lasciando stare la gloria del padre, dalla quale riceve grande
ornamento ma un sostegno poco forte, costui deve sforzarsi e lavorare da solo. 5. Cosa
che, del resto, ha sempre fatto con grande dedizione, come se prevedesse questo momento:
59

si è procurato delle amicizie, le ha coltivate, e quanto a me, non appena si è concesso di


giudicare, mi ha scelto come persona da amare e imitare. 6. Mi assiste con sollecitudine
quando pronuncio un’orazione, mi si siede vicino quando tengo una lettura pubblica; si
interessa alle mie operette nel loro stadio iniziale e in particolare quando stanno nascendo,
ora da solo, prima con suo fratello4, del quale, essendo morto di recente, io devo fare le
veci, io devo rappresentarlo. 7. Mi dolgo infatti sia perché quello è stato portato via in
modo indegno da una morte prematura sia del fatto che questo è stato privato dell’aiuto di
un ottimo fratello ed è stato lasciato ai soli amici. 8. Per queste ragioni pretendo che tu
venga5 e unisca il tuo voto al mio. Mi interessa particolarmente poterti mostrare, poterti
circuire. Tale è la tua autorità che io ritengo di poter più efficacemente pregare anche i
miei amici6. 9. Interrompi se c’è qualcosa che ti trattiene: questo richiede la mia
situazione, la parola data e anche la mia reputazione. Ho sostenuto un candidato ed è noto
che lo sostengo; io brigo, io corro il rischio; insomma, se a Nasone viene dato ciò che
vuole, l’onore è suo, se invece gli viene negato, la sconfitta è mia7. Stammi bene.

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1
Si tratta dei due maestri di P.
- Niceta Sacerdote era un sofista e uno dei più importanti oratori della sua epoca.
2
Clarus → aggettivo che contiene non solo l’accezione di “nobiltà di famiglia” ma
anche quella di “notorietà”.
3
Perché possono ancora ricevere dei favori da essi.
4
Si tratta forse di Giulio Avito, di cui P. parla nella Lettera V, 21 e dice che non ha
più il padre e ha un fratello.
5
I senatori erano soliti andare i vacanza nei mesi di settembre e ottobre → dun-
que Minicio si trovava probabilmente in una delle sue ville.
6
La presenza di Minicio permette a P. di ess. più convincente anche con i propri
amici → questa auctoritas di Fundano è sempre dovuta al fatto che si era a cono-
scenza che avrebbe ricoperto il consolato l’anno successivo.
7
P., dopo aver elencato tutti i motivi per cui sostiene Giulio Nasone, infine non
nega a Fundano che il favore che gli chiede è di tipo personale, perché rischiare
nella competizione elettorale significava rischiare anche personalmente (ossia se
sostengo un candidato che non vince sono io a rimetterci la faccia).

——————————————————————————————————
60
➜ Lettera VI, 10 → lettera che riguarda Virginio Rufo → siamo nel 107 e P. si è re-
cato nella villa della suocera, Pompea Celerina, ad Alsio.
- La lettera è inviata a un avvocato, collega di P., Lucceio Albino.

VI, 10
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO ALBINO

1. Giunto nella villa di Alsio1 di mia suocera, che un tempo era stata di Virginio Rufo, il
luogo stesso mi ha rinnovato, non senza dolore, il desiderio di quell’ottimo e grande uomo.
Egli infatti aveva preso a venerare quel luogo appartato e anche a chiamarlo piccolo nido
della sua vecchiaia. 2. Ovunque io mi recassi, lui l’animo, lui gli occhi ricercavano. Volli
anche visitare il suo monumento funebre e mi dispiacque di averlo visto. 3. Infatti è ancora
incompiuto, né tra le ragioni c’è la difficoltà della costruzione, che è modesta o per meglio
dire esigua, ma l’inerzia di colui al quale ne è stata affidata la costruzione. Sovviene una
indignazione mista a pietà a vedere che dopo il decimo anno dalla sua morte le sue spoglie
e le sue ceneri trascurate giacciono senza una iscrizione funebre e senza un nome, la
memoria del quale si diffonde grazie alla gloria per tutto il mondo. 4. Eppure lui aveva
ordinato e si era preoccupato che quella sua azione divina e immortale fosse iscritta in
versi:
Qui giace Rufo, che un giorno, sbaragliato Vindice,
non a sé rivendicò l’impero, ma alla patria2.
5. Così rara è la fiducia nelle amicizie e così pronta è la dimenticanza dei morti, che
dobbiamo costruire per noi persino il sepolcro e prendere su di noi in anticipo tutti i doveri
degli eredi. 6. Infatti chi è che non deve preoccuparsi di ciò che vediamo essere successo a
Virginio? L’ingiuria subita dal quale, come più indegna, così ancor più nota la rende la sua
rinomanza3. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Località di villeggiatura sulla costa tirrenica dell’Etruria meridionale.
2
Si tratta di un distico elegiaco (distico tipico dell’elegia amorosa, composto da
due versi, di cui il primo è un esametro e il secondo un pentametro).
- Il distico racconta di come, dopo aver sconfitto il ribelle Vindice, V.R. avesse rifiu-
tato l’impero offertogli dall’esercito e lo cede a Galba.
3
L’ingiuria subita da V.R. è più scandalosa e richiama maggiormente l’attenzione
proprio perché egli era un personaggio famoso.
61

6 MAG. 2021

➜ Lettera VI, 16 → P. fornisce indicazioni riguardo l’eruzione del Vesuvio a Tacito,


che utilizza queste informazioni per parlare dell’evento all’interno delle sue Historiae,
anche se quella parte dell’opera è andata perduta → dunque l’unica documentazione
riguardo questo disastroso episodio sono queste due lettere di P.
- Nel 79 il Vesuvio era considerato un placido monte, ricco di coltivazioni (soprattutto
vigne e uliveti) → gli antichi conoscevano la pericolosità del monte ma essa era stata
completamente sottovalutata perché non si era mai verificata un’eruzione come
quella del 79 → la regione inoltre era un luogo di villeggiatura molto frequentato (il
golfo di Napoli era costellato di ville in cui i romani andavano in vacanza).
- Al momento dell’eruzione P. il Vecchio si trovava a Capo Miseno in qualità di prefet-
to della flotta, la quale nel periodo invernale sostava in parte proprio a Miseno in par-
te a Ravenna.

VI, 16
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO TACITO

1. Mi chiedi che io ti scriva della fine di mio zio, affinché tu possa tramandarla in modo
più veritiero ai posteri. Ti ringrazio; infatti mi rendo conto che alla sua morte, se viene
celebrata da te, è posta innanzi una gloria immortale. 2.1 Sebbene infatti lui sia morto con
la rovina di terre bellissime in un’occasione memorabile, così come i popoli e le città che
sono periti in quella disgrazia, come se dovesse vivere in eterno, sebbene egli stesso abbia
compiuto numerose opere e destinate a rimanere nel futuro, l’eternità dei tuoi scritti
aggiungerà molto anche alla sua rinomanza. 3. Di certo considero beati coloro ai quali per
dono divino è stato dato o di compiere azioni degne di essere scritte o di scrivere cose
degne di essere lette, ma beatissimi coloro a cui sono state date entrambe le cose. Nel
novero di costoro ci sarà mio zio grazie sia ai suoi libri sia ai tuoi. Ragion per cui
intraprendo più volentieri, anzi ti prego di farmi fare ciò che tu mi chiedi.
4.2 Era a Miseno e comandava la flotta di persona3 con imperium4. Il 24 agosto, più o
meno all’ora settima, mia madre mi dice che sta comparendo una nuvola insolita sia per
grandezza sia per aspetto5. 5. Lui aveva preso il sole, poi aveva fatto un bagno nell’acqua
fredda, aveva spilluzzicato qualcosa mentre se ne stava sdraiato e stava studiando; chiede i
calzari, si inerpica in un luogo dal quale quella apparizione poteva essere osservata
meglio. Stava sorgendo una nube - era incerto per coloro che osservavano da lontano da
quale monte (dopo si seppe che era il Vesuvio) - il cui aspetto non lo potrebbe esprimere
altro albero meglio del pino. 6. Infatti, come sollevata verso l’alto su un lunghissimo
tronco, si allargava con una specie di rami, credo perché sollevata in alto da una recente
corrente, poi, venendo meno la corrente e privata di sostegno o addirittura vinta dal suo
stesso peso, andava scomparendo in lontananza, in dei punti chiara, in altri sporca e
macchiata, a seconda che avesse sollevato terra o cenere. 7. Questo fenomeno apparve a
lui, come a uomo particolarmente erudito, grande e da conoscere più da vicino. Ordina di
apprestare una liburnica6; mi dà la possibilità di andare con lui se avessi voluto
partecipare; io risposi che preferivo studiare, e per l’appunto lui stesso mi aveva dato un
62

qualcosa da scrivere. 8. Stava uscendo di casa; riceve una lettera7 di Rettina, moglie di
Tascio, spaventatissima dal pericolo imminente (infatti la sua villa si trovava sotto e non
c’era alcuna possibilità di fuga se non per nave): lo pregava di strapparla a un pericolo
così grande. 9. Cambiò idea e ciò che aveva iniziato con animo di scienziato lo affronta
con spirito eroico. Va a mettere in mare delle quadriremi e lui stesso si imbarca per portare
aiuto non solo a Rettina ma a molti (l’amenità del luogo era infatti frequentata). 10. Si
affretta là da dove gli altri fuggono e tiene dritta la rotta e dritti i timoni verso il pericolo, a
tal punto privo di paura da dettare e far annotare ogni aspetto di quella sciagura così come
lo aveva visto con i suoi occhi.
11. Ormai sulle navi pioveva cenere via via che si avvicinavano, più calda e più densa;
ormai piovevano anche pomici e lapilli neri e bruciati e spaccati dal fuoco; ormai si
presentava un’improvvisa secca e una frana venuta giù dal monte che ostruiva l’accesso
alla spiaggia. Dopo aver esitato un po’ se tornare indietro, poi disse al timoniere, che lo
esortava a fare così: “La fortuna aiuta gli audaci: punta verso la casa di Pomponiano”.
12. Costui si trovava a Stabia, separato dal golfo che stava nel mezzo (infatti il mare si
insinua sensibilmente nelle insenature circondandole); lì, sebbene il pericolo non si
avvicinasse ma fosse evidente e ormai vicino visto che cresceva, aveva fatto portare i suoi
bagagli sulle navi, determinato alla fuga se il vento contrario si fosse placato. Mio zio,
trasportato là da un vento che invece era favorevolissimo, abbraccia Pomponiano, che era
agitato, lo conforta e, per lenire il suo timore con la sua sicurezza, chiede di essere portato
a fare il bagno; dopo essersi lavato, si sdraia a tavola, cena, o allegro o (cosa che sarebbe
ugualmente grande) simile a uno allegro. 13. Nel frattempo dal monte Vesuvio rilucevano
in diversi luoghi fiamme vastissime e grandi incendi, il cui folgore e la cui luminosità erano
accresciuti dalle tenebre della notte. Quello andava dicendo, come rimedio alla paura, che
si trattava di fuochi abbandonati dalla trepidazione dei contadini e che le ville
abbandonate bruciavano nella solitudine. Quindi si dette al riposo e riposò di un sonno
profondo; infatti il respiro, che lui aveva più pesante e rumoroso a causa del suo peso,
veniva udito da coloro che si trovavano a passare di fronte alla porta di camera. 14. Ma il
cortile dal quale si accedeva alla dieta8 si era ormai sollevato, riempito di cenere mista a
pomici, a tal punto che, se l’indugio nella stanza fosse stato più lungo, l’uscita sarebbe
stata negata. Svegliato, esce fuori e si incontra nuovamente con Pomponiano e le altre
persone che erano rimaste sveglie. 15. Si consultano insieme se rimanere al coperto o se
avventurarsi all’aperto. Infatti gli edifici oscillavano a causa di frequenti e vasti terremoti
e, quasi sollevati dalle loro sedi, sembrava che ora se ne andassero qua e là oppure
ritornassero al loro posto. [...]

——————————————————————————————————
1
P., per scrivere questa lettera, dice che adotterà uno stile più alto, che a tratti
sfocia nel poetico, che si confa allo stile dell’amico Tacito → è come se volesse
piacere a T. e in qualche modo farsi citare.
2
Comincia la narrazione della morte di P. il Vecchio.
3
Normalmente l’incarico di prefetto si svolgeva a distanza, in quanto si trattava di
un incarico amministrativo.
63

4
L’imperium era il potere di ess. a capo di un esercito concesso solo ad alcuni
magistrati.
5
Primo segno dell’imminente eruzione.
6
Cioè una piccola imbarcazione, leggera, piuttosto veloce, utilizzata anche dai
pirati.
7
Codicillus = piccola lettera o messaggio scritto solitamente su tavolette cerate.
8
Diaeta = dependance separata dal resto della villa.

=> Dubbi sulla datazione dell’eruzione:


- Questa discussione è iniziata molti secoli fa e risale addirittura agli umanisti → essa
è dovuta al fatto che, mentre nella lettera di P. si trova il 24 agosto, Cassio Dione, in
un passo della sua Storia romana (da dove si ricava anche l’anno dell’eruzione → in-
fatti C.D. dice che essa avvenne nel primo anno dell’imperatore Tito), dice che l’eru-
zione è avvenuta in autunno.
- Questa discussione è stata alimentata anche da qualche incertezza nella tradizione
manoscritta di P. e dalla presenza negli scavi di melagrane (frutto tipicamente raccol-
to in ottobre).
- Inoltre nel 2018 venne trovata su una parete della casa del giardino un’iscrizione
fatta a carboncino, la quale riporta una data, il 17 ottobre → non si sa però con cer-
tezza a quale anno risalga questa iscrizione → gli scopritori sostenevano che l’iscri-
zione risalisse al 79 perché, essendo stata fatta a carboncino, sarebbe stata molto
deperibile (in realtà il carboncino non è così deperibile) → l’iscrizione però potrebbe
ess. proprio del 79 perché al tempo dell’eruzione la casa del giardino era in restauro,
per cui si potrebbe pensare che quell’iscrizione sia un’annotazione di servizio riguar-
do al restauro → il 17 ottobre potrebbe dunque ess. il termine post quem è avvenuta
l’eruzione.
- L’eruzione potrebbe ess. avvenuta il 24 ottobre, perché nella tradizione manoscritta
della lettera di P. potrebbe ess. accaduto che un NONUM KAL. VIIIIBRES (infatti
nell’antichità era più diffusa la forma VIIII rispetto a IX) sia stato confuso con un
NONUM KAL. VIIMBRES.

7 MAG. 2021

[...] 16. Sotto il cielo, in ogni caso, si temeva la caduta di pomici, sebbene fossero leggere e
corrose, cosa che tuttavia il confronto dei diversi pericoli fece scegliere; presso di lui
prevalse ragione su ragione, mentre presso gli altri timore su timore. Si legano dei
guanciali messi sopra la testa con degli asciugamani; questo fu una protezione contro ciò
che cadeva dall’alto. 17. Altrove ormai era giorno, lì invece c’era una notte più scura e
densa di tutte le notti; la quale tuttavia molte fiaccole e lumi accesi disperdevano. Fu
deciso di uscire sulla spiaggia e vedere da vicino se il mare ora consentisse l’accesso; il
quale mare rimaneva ancora pericoloso e ostile. 18. Là, sdraiatosi sopra un asciugamano
64

che era stato gettato in terra, chiese una e due volte acqua fredda e la bevve. Poi delle
fiamme e un’odore di zolfo, che preannunciava le fiamme, mettono gli altri in fuga,
svegliano lui. 19. Appoggiatosi su due servetti, cercò di alzarsi e subito ricadde, a quanto
posso desumere a causa del respiro ostruito dalla caligine più densa e della chiusura della
gola, che lui per natura aveva particolarmente delicata e stretta e spesso infiammata. 20.
Quando il giorno tornò (il terzo da quello che lui aveva visto per ultimo), il suo corpo fu
ritrovato integro, illeso e coperto così come si era vestito: l’aspetto esteriore era simile a
quello di uno che dorme più che a quello di un morto.
21. Nel frattempo a Miseno io e mia madre - ma questo non ha nulla a che fare con la
storia e tu non volevi sapere nient’altro che della sua morte. La finirò dunque qui. 22.
Aggiungerò solo un particolare, cioè che io ho seguito per filo e per segno tutto ciò al
quale ero stato presente e tutto ciò che avevo ascoltato nell’immediato, quando si ricorda
meglio la verità. Tu scegli le cose più importanti; infatti una cosa è scrivere una lettera,
una cosa è scrivere storia, una cosa è scrivere a un amico, una cosa è scrivere per tutti9.
Stammi bene.

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9
Anche se la parte centrale della lettera sembra ess. scritta in modo tale che
Tacito avrebbe potuto inserirla direttamente, con solo alcune variazioni, nelle sue
Historiae → l’ambizione di P. a far parte delle opere di Tacito si evince anche da al-
tre lettere, come quella in cui P. gli descrive per filo e per segnoi fatti relativi a un
processo importante e gli dice che lo fa perché sa benissimo che i suoi scritti rimar-
ranno immortali, motivo per cui ambisce a entrarvi in qualche modo.

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➜ Lettera VI, 20 → P. (qualche lettera dopo la precedente) risponde a una lettera di


Tacito, che gli chiedeva di conoscere cosa era accaduto a Miseno a lui e alla madre.

VI, 20
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO TACITO

1. Dici che, spinto dalla lettera che su tua richiesta ti ho scritto sulla morte di mio zio,
desideri conoscere non solo i timori ma anche gli avvenimenti che io ho dovuto affrontare
una volta lasciato a Miseno (avevo infatti interrotto lì dopo aver narrato la prima parte).
“Sebbene l’animo abbia orrore nel ricordare, … inizierò”1. 2. Partito lo zio, io dedicai il
tempo spesi della giornata negli studi (ero infatti rimasto per quello); poi un bagno, la
cena e un sonno inquieto e breve. 3. C’era stato per molti giorni il terremoto, non
particolarmente spaventoso, in quanto frequente in Campania; ma quella notte prese una
tale forza che tutto sembrava non muoversi ma essere rovesciato. 4. Mia madre irruppe
nella mia camera; io a mia volta mi stavo alzando per svegliarla nel caso dormisse. Ci
sedemmo nel cortile della casa, il quale divideva per un breve spazio il mare
dall’abitazione. 5. Non so se io debba chiamarlo coraggio oppure imprudenza (stavo
65

infatti trascorrendo il diciottesimo anno): chiedo un libro di Tito Livio e, come se fossi in
tranquillità, lo leggo e ne traggo anche estratti, come avevo iniziato a fare. Ecco che un
amico dello zio, che recentemente era venuto da lui dalla Spagna, come vede me e mia
madre seduti, me addirittura che leggevo, rimprovera aspramente la sua indolenza e la mia
eccessiva sicurezza. Nondimeno io continuo a essere intento sul libro.
6. Era già la prima ora del giorno, ma il giorno era ancora incerto e quasi languido.
Poiché gli edifici circostanti erano già stati sconnessi, sebbene in un luogo aperto, tuttavia
ristretto, la paura di un crollo era grande e certa. 7. Allora decidemmo di lasciare la città;
ci segue una folla attonita, e ciò che nella paura assomiglia alla prudenza antepone la
decisione altrui alla propria e con una grande ressa preme e spinge noi che ce ne andiamo.
8. Usciti dall’edificio ci fermiamo. Lì siamo oggetto di molte cose sorprendenti a vedersi e
di molte paure. Infatti i carri che avevamo fatto uscire, sebbene in un territorio
completamente pianeggiante, venivano spinti in direzioni diverse e neppure se rincalzati
con dei sassi se ne stavano fermi sulla loro via. 9. Inoltre vedevamo che il mare si ritirava
in se stesso e che era quasi respinto dal terremoto. Certamente la spiaggia si era ampliata
e tratteneva sulla sabbia asciutta molti animali marini. Dalla parte opposta c’era una nube
nera e spaventosa, attraversata da bagliori di fuoco che balenavano e serpeggiavano e che
si apriva in fiamme allungate; erano simili e più grandi dei fulmini. 10. Ed ecco allora
nuovamente quello stesso zio proveniente dalla Spagna, in modo più aspro e insistente ci
disse: “Se tuo fratello, se tuo zio è ancora in vita, vuole che voi vi mettiate in salvo; se
invece è morto, certamente voleva che gli sopravviveste. Perciò che cosa aspettate a
fuggire?”. Gli rispondemmo che noi non avevamo intenzione di pensare alla nostra
salvezza se eravamo incerti della sua. 11. Senza attendere oltre si slanciò e, con una corsa
scomposta, si sottrasse al pericolo. Non molto dopo quella nube cala sulla terra, copre il
mare; aveva cinto e nascosto Capri, aveva portato via ciò che di Miseno si sporge in
avanti2. 12. Allora mia madre mi prega, mi esorta, mi ordina che io fuggissi in qualsiasi
modo; era infatti possibile per un giovane, mentre lei, appesantita dagli anni e nel corpo,
sarebbe morta bene se non fosse stata causa di morte per me3. Io, al contrario, le risposi
che non mi sarei salvato se non insieme a lei; quindi, stringendole la mano, la costringo ad
aumentare il passo. Lei obbedisce malvolentieri e si rimprovera di attardarmi.
13. Ed ecco arrivare la cenere, ancora tuttavia piuttosto rada. Mi volgo indietro: una
caligine densa incombeva alle nostre spalle, la quale, riversatasi a terra, ci inseguiva come
un torrente. Dissi: “Cambiamo direzione finché ci vediamo, affinché, sdraiati sulla strada,
non siamo calpestati al buio dalla folla di chi ci segue”. 14. Ci eravamo appena seduti e
arriva una notte non come quella che c’è quando manca la luna o quando è coperta dalle
nuvole ma come quella che c’è nei luoghi chiusi quando si spenge la lampada. Potevi
sentire i pianti delle donne, i lamenti dei bambini e le grida degli uomini; alcuni cercavano
con le voci i genitori, altri i figli, i coniugi e li riconoscevano grazie alle voci; alcuni si
disperavano per la propria sorte, altri per quella dei propri cari; c’erano quelli che per la
paura della morte si auguravano di morire; 15. molti alzavano le mani al cielo verso gli
dei, i più ritenevano che non ci fossero più dei e che quella fosse una notte eterna e l’ultima
per il mondo. E non mancarono coloro che con paure false e inventate aumentavano i veri
pericoli. C’erano quelli che riferivano erroneamente, ma ai quali si credeva, che a Miseno
66

quell’edificio era caduto, che quell’altro bruciava. 16. Ci fu un po’ di luce, che a noi
sembrò non il giorno ma l’indizio del fuoco che si avvicinava. Ma il fuoco si fermò a una
certa distanza; quindi nuovamente tenebre, nuovamente cenere, abbondante e pesante.
Alzandoci ce la scuotevamo di dosso reciprocamente, altrimenti ne saremmo stati ricoperti
e addirittura schiacciati dal peso. 17. Potrei vantarmi che non mi uscì un gemito, una
parola poco coraggiosa in una così grande situazione di pericolo se non avessi creduto che
sarei morto con tutti e che tutto sarebbe perito insieme a me, consolazione misera ma
comunque grande per un essere mortale.
18. Alla fine quella caligine, attenuatasi, se ne andò come in una specie di fumo o
nebbia; poi il giorno fu vero; brillò anche il sole, giallognolo tuttavia, come è solito essere
quando viene meno. Si presentavano agli occhi ancora trepidanti tutte le cose
completamente cambiate e ricoperte di un alto strato di cenere come se fosse stata neve.
19. Ritornati a Miseno dopo esserci ristorati in qualche modo, trascorremmo nella
speranza e nella paura una notte sospesa e dubbia. Prevaleva la paura; infatti il terremoto
perseverava e molti, come impazziti a causa di previsioni terrificanti, si facevano scherno
dei propri e degli altrui mali. 20. Noi tuttavia neppure allora, sebbene avessimo
sperimentato il pericolo e ce lo attendessimo, decidemmo di andarcene, finché non arrivò
la notizia dello zio.
Queste cose, che di certo non sono adatte alla storia, le leggerai non per scriverle e
attribuirai a te stesso la responsabilità, visto che le hai richieste, se non ti sembreranno
neppure degne di una lettera4. Stammi bene.

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1
Citazione da Eneide II, quando Enea inizia a raccontare della caduta di Troia e
come fossero sopravvissuti su richiesta di Didone.
2
Ossia aveva nascosto alla vista non solo Capri ma anche Capo Miseno.
3
P. qui riporta le parole con cui la madre lo esortava a fuggire.
4
Dichiarazione di modestia.

13 MAG. 2021

➜ Lettera VII, 5 → si tratta di un biglietto personale e affettuoso che P. scrive alla


moglie lontana da lui → probabilmente nell’estate del 107, Calpurnia si era recata in
Campania in una villa del nonno, Calpurnio Fabato, in parte per stare in vacanza ma
in parte anche per rimettersi da una malattia (probabilmente legata a un aborto o alla
sua salute particolarmente cagionevole) → P. le scrive questo affettuoso e breve bi-
glietto, nel quale dice che gli manca in maniera molto ricercata, facendo riferimento a
un antico topos della poesia amorosa, ossia il παρακλαυσίθυρον.
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VII, 5
GAIO PLINIO SALUTA LA SUA CALPURNIA

1. È incredibile da quanto desiderio di te io sia stretto. Tra le ragioni quella principale è


l’amore, poi il fatto che non siamo abituati a stare lontani. Da questo deriva il fatto che io
trascorro la gran parte delle notti sveglio a pensarti; da questo deriva il fatto che durante
il giorno, nelle ore in cui ero solito farti visita, i piedi stessi mi portano nel tuo
appartamento, come si dice in modo veritiero; da questo deriva infine il fatto che triste e
mesto e simile a un amante che non è stato fatto entrare mi allontano dalla tua soglia
vuota. Un unico momento è privo di queste angosce, quello in cui mi consumo nel foro e
nelle dispute1 degli amici. 2. Valuta tu che vita sia la mia, che ho riposo nella fatica e
sollievo nella miseria e nelle preoccupazioni. Stammi bene.

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1
Lis = termine giuridico con cui si indica il processo.

=> Lucrezio - De rerum natura IV, vv. 1177 ss. → viene descritto l’amante exclusus
(ossia “respinto”) che implora in lacrime l’amata di farlo entrare nella stanza ma sen-
za riusirci → è questa la prima definizione di questo topos nella letteratura latina e ri-
calca sostanzialmente la definizione greca che darà poi Plutarco ma che evidente-
mente doveva già ess. nell’uso, ossia quella di παρακλαυσίθυρον.

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➜ Lettera VII, 19 → parla del personaggio di Fannia, la figlia di Arria Minore e nipo-
te di Arria Maggiore (già protagonista della lettera III, 16).
- Fannia (unico motivo per cui Arria Minore decide di restare in vita alla morte del
marito Trasea Peto) si era sposata con Elvidio Prisco, il quale aveva un figlio nato da
un precedente matrimonio, Elvidio il Giovane (sul quale P. scriverà l’opera De ultione
Elvidi).
- Elvidio Prisco era stato condannato all’esilio prima da Nerone e poi anche da Ve-
spasiano e Fannia lo aveva seguito entrambe le volte → Elvidio Prisco viene poi con-
dannato a morte (74 o 75) e Fannia chiede a Erennio Senecione di scrivere una bio-
grafia sul marito → i due vengono però condannati di aver celebrato la memoria di
un personaggio avverso al potere imperiale → in realtà Fannia fu coinvolta nel pro-
cesso solo quando fu tirata in ballo da Erennio, che per discolparsi disse che aveva
scritto la biografia di Elvidio su richiesta di Fannia, la quale fu dunque condannata
all’esilio e poté rientrare solo dopo la morte di Domiziano.
- Questa lettera parla di Fannia che, una volta rientrata a Roma, mentre assistiva a
una vestale che si era ammalata gravemente, aveva contratto a sua volta la stessa
malattia → P. prende spunto da questa malattia di Fannia per celebrare la sua figura
sia perché gli stava a cuore sia perché pare avesse ricevuto qualche favore dalla fa-
miglia di Fannia e dunque era in debito.
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VII, 19
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO PRISCO 1

1. La salute di Fannia mi fa star male. Ha contratto questa malattia mentre assisteva la


vergine Giunia, prima di propria iniziativa (è infatti sua parente), poi anche per volere dei
pontefici. 2. Infatti le Vestali, quando sono costrette ad allontanarsi dall’atrio di Vesta a
causa della violenza di una malattia, vengono affidate alla cura e alla custodia di matrone.
Mentra Fannia svolgeva con dedizione questo compito, è rimasta vittima dello stesso male.
3. La febbre si fa persistente, la tosse aumenta; massima è la magrezza, massima è la
debolezza2. Solo l’animo è ancora valido, degnissimo del marito Elvidio e del padre
Trasea; tutto ciò che resta sta cadendo e mi fa star male non solo per la paura ma anche
per il dolore. 4. Mi dolgo infatti che una donna così grande sia strappata agli occhi della
città, occhi che non so se potranno vedere qualcosa di simile. Che castità lei ha, che
purezza, quanta serietà, quanto coraggio! Due volte ha seguito il marito nell’esilio e una
terza volta è stata lei stessa esiliata a causa del marito. 5. Infatti quando Senecione fu
incriminato per aver composto dei libri sulla vita di Elvidio e disse in sua difesa che
Fannia gli aveva chiesto di farlo, quando Mezio Caro le chiedeva minacciosamente se lo
avesse effettivamente chiesto, rispose: “Gliel’ho chiesto”; se avesse dato degli appunti
perché scrivesse: “Glieli ho dati”; se la madre lo sapesse: “Non lo sapeva”3; in conclusione
non si lasciò sfuggire neanche una parola cedevole di fronte al pericolo. 6. Anzi, quegli
stessi libri, sebbene per la necessità e la paura di quei tempi erano stati distrutti in
conseguenza di un decreto del Senato, una volta che i suoi beni furono messi all’asta, lei li
conservò e li tenne e portò in esilio la causa dell’esilio. 7. Allo stesso tempo quanto è
allegra, quanto è affabile, quanto infine (cosa che è data a pochi) non meno amabile di
quanto sia rispettabile! Ci sarà una donna che in seguito possiamo mostrare alle nostre
mogli? Ce ne sarà una dalla quale anche noi uomini possiamo trarre esempi di fortezza e
che possiamo ammirare vedendola e ascoltandola, così come quelle di cui leggiamo4? 8. A
me sembra che la sua stessa casa stia vacillando e che, strappata dalle sue sedi, stia per
cadere sopra di esse, sebbene essa abbia ancora dei posteri5. Con quante virtù e azioni
riusciranno a far sì che questa non perisca? 9. Anche questo mi affligge e mi tormenta,
cioè che la madre di lei, quella madre di una tale donna (non posso dire niente di più
degno6), mi sembra di perderla nuovamente, quella madre che costei, così come la
restituisce e la riporta a noi, allo stesso modo la porterà via con sé, e mi farà star male allo
stesso tempo con una nuova ferita e con l’apertura di una vecchia ferita. 10. Le ho
venerate e amate entrambe: quale di più tra le due non lo so, ma loro non volevano essere
distinte. Hanno avuto i miei servigi in situazioni favorevoli e li hanno avuti in situazioni
avverse. Io sono stato per loro una consolazione quando erano in esilio7, io le ho vendicate
quando sono rientrate8; non sono riuscito tuttavia a pareggiare il conto e per questa
ragione desidero che lei resti in vita, affinché mi resti il tempo di estinguere il debito. 11.
Mi trovavo in queste preoccupazioni mentre ti scrivevo; preoccupazioni che se un qualche
dio tramuterà in gioia non mi lamenterò della paura che ho subito. Stammi bene.

——————————————————————————————————
69

1
Non sappiamo esattamente chi sia questo Prisco, poiché all’interno dell’episto-
lario ne vengono nominati molti.
2
Non si sa esattamente di quale malattia si tratti ma i sintomi descritti fanno pen-
sare che potesse trattarsi di tubercolosi.
3
In sostanza Fannia si prende tutta la colpa per la biografia di Elvidio.
4
Nei libri si leggevano spesso esempi di virtù matronali e femminili → secondo P.
Fannia è forse l’ultimo di questi esempi nella società romana.
5
Si passa ora a una preoccupazione per la famiglia di Fannia, fatto che testimo-
nia l’attaccamento di P. a essa → se Fannia muore, la stessa famiglia è messa a
repentaglio, sebbene ci siano ancora dei discendenti.
6
Breve e sintetico elogio di Arria Minore da parte di P. → infatti secondo lui il
maggior pregio di Arria Minore è quello di aver partorito una donna così esemplare
come Fannia.
7
Non si sa esattamente a cosa si riferisca → probabilmente P. aveva fatto dei
donativi in denaro alle due donne mentre si trovavano in esilio.
8
Alla morte di Dom., P. partecipò all’accusa e al processo contro Publilio Certo,
che aveva contribuito a far condannare a morte Elvidio il Giovane, vendicando così
in parte queste due donne → inoltre P. scrisse una monografia, intitolata De ultione
Elvidi, in cui cercava di riscattare la memoria di Elvidio il Giovane

=> Si tratta di una lettera in cui si celebra non solo la personalità di Fannia ma
anche, attr. il tratteggiamento di questa figura esemplare, la madre e tutta la famiglia.
- Questa lettera però non permette di chiarire quali fossero i rapporti precisi che P.
aveva con questa famiglia → si capisce però che c’era un legame stretto e che dove-
vano esserci stati anche dei favori che P. aveva ricevuto, per i quali continua a sentir-
si in debito, motivo per cui spera che Fannia non muoia, in modo tale che possa ave-
re il tempo per ripagarli → è impossibile ricostruire di quale favore si tratti, però tra le
righe si evince un certo senso di colpa per le sventure che sono toccate a questa fa-
miglia e che invece non sono affatto toccate a P.

- Per capire in che modo questo senso di colpa serpeggi in questa e altre lettere
dell’epistolario, bisogna ricordare che P. ha iniziato il suo cursus honorum sotto
Dom., proprio quell’imperatore che, con il suo dispotismo, aveva perseguitato la fa-
miglia di Fannia e Arria e aveva condannato a morte Elvidio → quindi è probabile
che fosse rimasta un’ombra nei rapporti tra le due famiglie.
- Quando scrive il Panegirico, P. spiega come Traiano fosse un optimus princeps in
contrapposizione proprio a Dom., che invece era pessimo → in particolare, alla fine
dell’ultimo capitolo (XCV), P. lascia intuire qualcosa sui rapporti tra lui e Dom., inizial-
mente caratterizzati da una stima reciproca:
«2. [...] Vi chiedo1 solo di guardare con favore a questo proposito e di dargli
fiducia: 3. se è vero che, dopo aver iniziato a fare carriera sotto il più
ingannevole degli imperatori prima che egli professasse il suo odio nei confronti
70
degli onesti2, non appena l’ebbe professato, mi fermai 4. (vedendo quali
scorciatoie si presentavano per ottenere gli incarichi, preferii una via più lunga3);
se in tempi travagliati sono stato nel novero di chi era infelice e spaventato,
mentre in tempi fortunati sono fra le persone serene e felici; se, infine, sono tanto
affezionato al migliore degli imperatori quanto sono stato inviso al peggiore di
essi, 5. io sarò sempre così devotamente riverente verso di voi non come un
console o un ex console, ma come un aspirante al consolato».
1
P. sta parlando ai senatori.
2
P. dice di aver cominciato la sua carriera prima che Dom. iniziasse a perseguitare le
famiglie perbene.
3
Dunque P., dopo aver cominciato la sua carriera, decide di interromperla perché eviden-
temente per continuare avrebbe dovuto fare qualcosa che a lui non andava bene.

- Dalla fine del Panegirico si evince dunque che P. intende prendere le distanze dalla
precedente carriera fatta sotto Dom., quando i suoi amici cominciarono a ess. perse-
guitati → quindi deve esserci stato un momento preciso nella vita di P. in cui la sua
iniziale fortuna si svolgeva nel periodo delle ingiuste persecuzioni di Dom. contro fa-
miglie e personaggi a lui vicini → è dunque forse questo il senso di colpa, il debito
(non materiale ma di coscienza) che non è mai riuscito a saldare.

- In alcune lettere si accenna che anche P. per un periodo ha rischiato delle persecu-
zioni e che c’era un dossier su di lui → non si sa però se questo dossier effettiva-
mente sia esistito.

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➜ Lettera VII, 20 → da questa lettera emerge molto bene la profonda amicizia che
legava P. e Tacito, la quale coinvolgeva anche la loro passione per la scrittura → in-
fatti i due si scambiavano reciprocamente gli scritti che volevano pubblicare per revi-
sionarli → in realtà P. era solito fare questa operazione con molti suoi amici, per cui
sottoponeva a revisione le sue opere alla sua cerchia di amici.
- Non si sa a quale opera si faccia riferimento in questa lettera, ma è molto probabile
che si riferisca a uno o più libri delle Historiae.

VII, 20
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO TACITO

1. Ho letto il tuo libro e, con quanta più diligenza potevo, ho annotato ciò che io ritenevo
andasse cambiato e ciò che invece andasse tolto. Infatti io sono abituato1 a dire la verità e
tu ad ascoltare volentieri. Infatti nessuno accetta di essere corretto con maggior pazienza
di coloro che si meritano di essere massimamente lodati. 2. Adesso io aspetto da te il mio
libro con le tue annotazioni. Che bella piacevole reciprocità! Quanto mi fa piacere che, se i
posteri avranno qualche preoccupazione di noi, si racconterà sempre con quanta
concordia, semplicità e fiducia siamo vissuti! 3. Sarà un qualcosa di raro ed eccezionale
71

che due uomini quasi pari per età2 e nobiltà, con un nome non piccolo nelle lettere (sono
infatti costretto a dire un po’ meno nei tuoi confronti visto che contemporaneamente parlo
di me), abbiano favorito gli studi l’uno dell’altro. [...]

——————————————————————————————————
1
«adsuevi» → si utilizza il perfetto perché si tratta di un’azione compiuta (ess.
abituato presuppone di aver già preso un’abitudine) e si traduce con il presente.
2
In realtà pare che P. fosse più giovane di Tacito di cinque o sei anni.

=> Rispetto alla figura di Tacito, quella di P., per quanto si evince dalle sue opere, è
destinata a rimanere molto più esile, quasi schiacciata da quella gigantesca di Tacito
→ in realtà, nella loro epoca, entrambi dovevano ess. ugualmente stimati e oggi non
si può desumere quale fosse l’effettiva differenza tra i due percepita dai loro contem-
poranei → in passato si giudicava P. uno scrittore vanaglorioso, che non possedeva
nemmeno un minimo della grandezza dell’amico Tacito → in realtà questo giudizio
non può ess. giusto, dal momento che non siamo in grado di comprendere appieno
la figura di P. in quanto si conosce solo una minima parte della sua produzione lette-
raria.

14 MAG. 2021

[...] 4. E io, quando era ancora un ragazzetto, mentre tu eri già fiorente per fama e per
gloria, ambivo a seguirti e a essere ed essere considerato da te «a grande distanza ma il
più vicino»3. E c’erano molti ingegni illustri; ma tu mi sembravi (così mi spingeva a
pensare la nostra affinità di carattere) quello maggiormente imitabile, quello maggiormen-
te da imitare. 5. Perciò sono particolarmente felice che, se il discorso cade sulla
letteratura, noi siamo nominati insieme e che vengo immediatamente in mente a coloro che
parlano di te. E non mancano coloro che sono stimati più di noi. 6. Ma noi, non mi
interessa a quale livello, siamo congiunti; per quanto mi riguarda è primo colui che è
vicino a te. Anzi devi averlo notato anche nei testamenti: a meno che qualcuno non sia più
amico per caso di uno dei due di noi, noi riceviamo gli stessi lasciti e anche in parti uguali.
7. Tutte queste cose mirano a questo, che noi ci amiamo reciprocamente con più ardore,
visto che le nostre occupazioni culturali, le nostre abitudini, il nostro buon nome e infine
anche le estreme considerazioni degli uomini ci uniscono con tanti legami. Stammi bene.

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3
Citazione da Virgilio, Eneide V (v. 320) → in una gara di corsa il primo assoluto
è Niso, seguito da Salio «il più vicino a lui, anche se a gran distanza» → P. dunque
ambisce a ess. secondo, anche se è molta la distanza che lo separa da Tacito.

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72
➜ Lettera VII, 21 → si tratta di un biglietto di ringraziamento, scritto da P. al collega
Cornuto Tertullo, perché egli gli aveva fatto avere un piccolo dono quando P. era sta-
to costretto ad allontanarsi da Roma per una malattia agli occhi (forse una congiunti-
vite).

VII, 21
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CORNUTO

1. Obbedisco, mio carissimo collega, e, come tu ordini, mi prendo cura della mia malattia
degli occhi1. Infatti sono giunto qua2 all’interno di una carrozza coperta, chiuso come in
una stanza, e qui non solo mi astengo dallo scrivere ma anche dalle letture, con difficoltà,
ma mi astengo, e studio soltanto con le orecchie. 2. Tirando delle tende, rendo la camera
ombrosa, ma non buia. Anche il criptoportico3, grazie all’apertura delle finestre inferiori,
riceve una giusta dose di luce e ombra. Così a poco a poco imparo a sopportare la luce. 3.
Vado nelle terme perché fa bene, prendo del vino perché non fa male, però con grande
moderazione. Così sono abituato, e ora c’è anche un custode4.
4. Ho ricevuto volentieri la gallina che mi hai mandato; ho visto, con una vista
sufficientemente acuta, sebbene io sia ancora cisposo, che è grassissima. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Evidentemente, nel biglietto che accompagnava il dono, Cornuto aveva racco-
mandato a P. di curare la sua malattia.
2
Non si sa esattamente dove P. sia andato a curarsi gli occhi, ma è molto pro-
babile che sia andato nella sua villa di Laurento (più vicina a Roma rispetto agli al-
tri suoi possedimenti).
3
Cryptoporticus = porticato chiuso, una sorta di galleria, che si affacciava sull’e-
sterno attr. delle finestre ed era presente in molte ville.
4
Non si sa chi fosse questo custode, forse la moglie o lo stesso Cornuto.

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➜ Lettera VII, 27 → lettera che tratta di un argomento leggero ma che si conclude


con informazioni sulla carriera e sui trascorsi di P. con Domiziano.
- Lettera scritta a Licinio Sura, uno dei più importanti generali dell’esercito di Traiano
e che era stato governatore della Germania Inferiore nel 98-99, era stato console per
ben tre volte e soprattutto aveva accompagnato Tr. nelle sue campagne in Dacia, per
cui egli compare più volte raffigurato nella Colonna traiana, sempre di fianco all’impe-
ratore.
73

VII, 27
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO SURA

1. L’ozio offre a me la facoltà di imparare e a te quella di insegnare. Perciò vorrei sapere


perbene se tu ritieni che i fantasmi esistano e abbiano una propria figura e un qualche
potere oppure se ritieni che, vuoti e inconsistenti, ricevano una figura dai nostri timori. 2.
Io sono indotto a credere che esistano in primo luogo per questa ragione, cioè il fatto che
sento essere accaduto a Curzio Rufo1. Quando era ancora poco importante e sconosciuto,
si era unito come compagno a colui che aveva ottenuto l’Africa. Quando il giorno iniziava
a calare, passeggiava sotto il porticato; gli si presenta una figura di donna, più grande e
bella di una figura umana. Disse allo spaventatissimo di essere l’Africa che gli
preannunciava il futuro: sarebbe andato a Roma e avrebbe intrapreso una carriera e anche
sarebbe ritornato con il potere più grande in quella provincia e lì sarebbe morto. 3. Tutto
accadde. Oltre a questo si narra che la stessa figura apparisse sulla spiaggia a lui che si
recava a Cartagine e che stava scendendo dalla nave. Certamente lui, rimasto vittima di
una malattia, predicendo le cose future da quelle passate e quelle avverse da quelle andate
bene, gettò la speranza di salvarsi, sebbene nessuno dei suoi disperasse2.
4. E non è forse più terribile e non meno sorprendente un altro fatto che esporrò così
come è stato raccontato a me? 5. C’era ad Atene una casa spaziosa e con molte stanze ma
con una cattiva fama ed esiziale. Nel silenzio della notte compariva un suono di ferraglia e,
se ascoltavi con maggior attenzione, uno strepito di catene, prima più da lontano e poi da
più vicino: poi compariva una visione, un vecchio rifinito dalla magrezza e dalla
trasandatezza, con una barba lunga e i capelli ispidi; il vecchio portava e scuoteva dei
ceppi ai piedi e delle catene alle mani. 6. E così notti tristi e disgraziate venivano trascorse
nella veglia nel mezzo della paura da coloro che abitavano nella casa; all’insonnia
facevano seguito la malattia e, a causa della crescente paura, la morte. Infatti anche
durante il giorno, sebbene questa apparizione se ne fosse andata, il ricordo dell’immagine
ritornava di fronte agli occhi e la paura era più duratura della causa del timore. Perciò la
casa fu abbandonata e condannata alla solitudine e lasciata interamente a
quell’apparizione; veniva tuttavia bandita nel caso in cui qualcuno volesse comprarla o
prenderla in affitto. 7. Venne ad Atene il filosofo Atenodoro, lesse il titolo e, udito il prezzo,
siccome il prezzo basso destava sospetti, essendosi informato, viene edotto su tutto e
nondimeno, anzi tanto più prende in affitto la villa. Quando comincia a far sera dà ordine
che gli venga preparato un letto vicino all’ingresso, uno stilo e una lucerna e fa
accomodare tutti i suoi nella parte più interna della casa; volge l’animo, gli occhi e la
mano allo scrivere, affinché una mente priva di pensieri non si fabbricasse quelle immagini
di cui aveva sentito parlare e vacue paure. 8. Sulle prime, come sempre, il silenzio della
notte; poi uno scuotere di ferragia, vengono mosse delle catene. Lui non solleva gli occhi,
non posa lo stilo ma rafforza l’animo e lo pone a guardia delle orecchie. Allora questo
frastuono si fa più frequente, si avvicina e ormai si sente come se fosse sulla soglia, già
dentro la soglia. Si volta, vede e riconosce quella figura che gli era stata descritta. 9. Stava
in piedi e faceva un cenno col dito come uno che chiama. Fa un cenno con la mano di
aspettare un po’ e nuovamente si dedica alle tavolette cerate e allo stilo. Quella andava
facendo rumore con le catene alla testa di colui che scriveva. Si volge nuovamente e vede
74

che accenna la stessa cosa di prima e, senza attendere oltre, prende la lucerna e lo segue.
10. Quella se ne andava con passo lento, come appesantita dalle catene. Dopo che svoltò
nel cortile della casa, scomparsa all’improvviso, lascia solo colui che la seguiva.
Abbandonato, pone come segnale in quel luogo erbe e foglie che aveva strappato. 11. Il
giorno successivo va dai magistrati e li esorta a dare ordine di scavare in quel luogo.
Vengono ritrovate ossa legate e intrecciate con catene, ossa che il corpo che si era
decomposto a causa del tempo e della terra aveva lasciato nude e corrose dai vincoli; una
volta raccolte, vengono seppellite pubblicamente. In seguito la casa, sepolti i mani3
secondo il rito, fu libera.
12. Io credo a chi afferma queste cose; posso io stesso affermare un altro fatto ad altre
persone. Io ho un liberto non privo di istruzione. Insieme a lui riposava a letto suo fratello
minore. A costui sembrò di vedere un qualcuno che gli si era seduto sul letto e che
rivolgeva verso la sua testa un rasoio e che inoltre stava tagliando i capelli dalla cima
della testa. Quando fece giorno, lui fu ritrovato con la cima della testa rasata e i capelli a
terra. 13. Passò un po’ di tempo e nuovamente un fatto analogo rafforzò la credibilità del
precedente. Un servetto dormiva insieme a molti altri in collegio4. Entrarono due
personaggi dalle finestre (così riferisce) coperti di tuniche bianche e mentre dormiva lo
rasarono e se ne andarono da dove erano venuti. Il giorno successivo mostrò anche lui
rasato e i capelli sparsi lì intorno. 14. Non ne seguì nulla di importante se non forse che io
non fui accusato, lo sarei stato se Domiziano, sotto il quale queste cose avvennero, fosse
vissuto più a lungo. Infatti in un suo scrigno è stato ritrovato un dossier su di me che gli
era stato dato da Caro; da questo si può congetturare che, poiché coloro che vengono
accusati hanno l’abitudine di farsi crescere i capelli5, i capelli recisi dei miei servi siano
stati un segno del fatto che era stato stornato il pericolo che era presente6.
15. Perciò prego che tu dispieghi tutta la tua erudizione. La questione è degna che tu la
consideri lungamente e molto; e io non sono uno che non si merita di ricevere abbondanza
del tuo sapere. 16. E anche se tu argomenti la cosa da entrambi i punti di vista7 (come sei
solito), bisogna che tu ne argomenti una con maggior vigore, in modo da non lasciarmi in
sospeso e incerto, dal momento che il motivo per cui ti ho consultato è stato quello di
smettere di essere in dubbio. Stammi bene.

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1
Non si sa chi sia questo Curzio Rufo → potrebbe trattarsi dell’autore delle Sto-
rie di Alessando Magno, ma non si può sapere con esattezza → secondo alcuni
studiosi non si tratta di lui perché non si fa alcun riferimento alla sua opera (ugual-
mente accade in un passo degli Annales di Tacito).
2
Tacito, Annales XI, 21→ questo brano presenta molti punti di contatto con la
narrazione di P.:
«Riguardo alla origine di Curzio Rufo, che alcuni hanno detto fosse stato
generato da un gladiatore, non vorrei raccontare cose false e, d’altro canto, ho
pudore a raccontare tutta la verità. Dopo che fu cresciuto, al seguito del questore
al quale era toccata l’Africa, mentre nella città di Adrumeto a metà del giorno lui
passeggiava da solo sotto il porticato, gli apparve una figura di donna, superiore
75

alle dimensioni umane, e fu udita una voce: “Sei tu, Rufo, che in questa provincia
tornerai come proconsole”. Acquisite speranze grazie a questo presagio e
ritornato a Roma, grazie alla generosità degli amici e insieme grazie al suo
ingegno acuto, riesce a conseguire la questura e subito dopo, pur tra nobili
candidati, riesce a conseguire la pretura con il sostegno dell’imperatore, avendo
Tiberio velato il disonore dei suoi natali con queste parole: “Curzio Rufo mi
sembra uno nato da se stesso”. Dopo questo una lunga vecchiaia, e verso i
superiori si comportava con una triste adulazione, era arrogante nei confronti
degli inferiori, era scontroso coi suoi pari, ottenne il potere consolare, ottenne le
insegne trionfali e, infine, l’Africa; e qui, defunto, completò il fatale presagio».
3
I Mani erano gli spiriti dei defunti, ai quali erano solitamente dedicati dei cippi
sepolcrali.
4
Paedagogium = scuola dove andavano i figli degli schiavi.
5
Sulla base di alcuni scritti di Cicerone, sappiamo che gli imputati erano soliti
presentarsi in tribunale coi capelli lunghi e l’aspetto trasandato per impietosire i
giudici.
6
P. ci tiene a far sapere che, nonostante abbia fatto carriera sotto Dom., anche
lui ha corso dei rischi a causa di questo dossier ritrovato dopo la morte dell’impera-
tore.
7
Disputatio in utramque partem = discussione in cui si prendevano in considera-
zione sia i pro sia i contro di una questione.

20 MAG. 2021

➜ Lettera VIII, 7 → breve biglietto, dal quale si evince che Tacito ha continuato a
inviare a P. suoi scritti per la revisione → P., attr. questo biglietto piuttosto scherzoso,
dice di aver ricevuto questi scritti.

VIII, 7
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO TACITO

1. Non come un maestro a un maestro, né come un allievo a un altro allievo (così infatti tu
scrivi1), ma come maestro a un allievo tu hai inviato il tuo libro (infatti tu sei il maestro, io
sono il contrario; e per questa ragione tu mi richiami a scuola, mentre io prolungo fino a
questo momento i Saturnali2). 2. Avrei potuto forse fare un iperbato più lungo e con questo
dar prova che io sono tale da non solo non dover essere chiamato tuo maestro ma neppure
tuo allievo? Impersonerò tuttavia la figura3 del maestro ed eserciterò sul tuo libro il diritto
che tu mi hai concesso, tanto più liberamente visto che niente dei miei scritti, che nel
frattempo ho intenzione di mandarti, nel quale tu possa vendicarti. Stammi bene.

——————————————————————————————————
76

1
Tacito dunque probabilmente aveva accompagnato il suo scritto con un bigliet-
to in cui diceva la medesima cosa.
2
I Saturnali (17 dicembre) erano una festa in onore del dio Saturno → era una
festa in cui si mangiava, si beveva e si facevano molti festeggiamenti anche a livel-
lo popolare e in cui l’ordine delle cose era sovvertito (per certi versi simile al nostro
carnevale) e durante la quale non si andava a scuola → la festa veniva celebrata il
17 dicembre ma il clima festivo si estendeva per tutto il mese (come oggi a Natale)
→ P. dunque scherza dicendo che lui è in ferie e che Tacito, inviandogli il suo scrit-
to, è come un maestro che invita l’allievo a tornare a scuola.
3
Persona = maschera, personaggio che si muove sulla scena teatrale.

=> Questo biglietto scherzoso è l’ennesima prova della comunione culturale e della
fiducia che legava P. e Tacito.

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➜ Lettera VIII, 8 → lettera molto famosa, scritta a Voconio Romano, un senatore


spagnolo che aveva fatto carriera grazie a P. e al quale P. scrive altre lettere.
- Questa lettera è quasi una cartolina con cui descrive a V.R. le fonti del Clitumno,
invitando l’amico ad andarle a visitare.

VIII, 8
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO ROMANO

1. Hai mai visto una volta le fonti del Clitumno? Se non ancora (e credo non ancora:
altrimento me lo avresti raccontato), vedile; io (mi pento di averlo fatto tardi) le ho viste da
poco. 2. Si eleva una piccola collina, selvosa e ombreggiata da antichi cipressi. Alla base
di questa fuoriesce la sorgente e si manifesta in numerose vene ma di diversa grandezza, e,
dopo aver lottato contro il gorgo che essa stessa crea, si allarga in un vasto bacino pura e
vitrea, a tal punto che potresti contare le monetine1 che vi vengono lanciate e i sassolini
rilucenti. 3. Da lì viene sospinta non dall’inclinazione del terreno ma dalla sua stessa
abbondanza e quasi dal suo stesso peso, ancora fonte ed è già fiume grandissimo e
addirittura capace di portare delle navi; riesce a trasportare anche navi che si incontrano
l’una con l’altra e che pendono in direzioni opposte con sforzo contrario, a tal punto forte
che quella nave che si muove nella direzione in cui la corrente si affretta, sebbene su un
terreno pianeggiante, non ha bisogno di essere aiutata da remi, mentre lo stesso fiume in
direzione contraria viene vinto con grande difficoltà con remi e pertiche. 4. Sono piacevoli
entrambe le cose per coloro che navigano per spasso e divertimento, cambiando direzione,
alternare la fatica al riposo e il riposo alla fatica. Le rive sono rivestite di molti frassini, di
molti pioppi, che il fiume trasparente riflette con aspetto verdeggiante come se fossero
sommersi. La freschezza dell’acqua potrebbe gareggiare con le nevi, né il colore è da
meno. 5. È lì vicino un tempio antico e venerato. Clitumno2 stesso sta in piedi avvolto e
77

ornato da una toga pretesta; le sorti3 indicano che si tratta di una divinità4 presente e che è
anche capace di predire il futuro. Lì intorno sono sparsi diversi tempietti e altrettante
divinità. Ciascuna ha il suo culto, ciascuna ha il suo nome, alcune addirittura hanno fonti.
Infatti, oltre a quella che è quasi madre di tutte le altre, ce ne sono di più piccole separate
dall’origine; ma si uniscono al fiume, che è attraversato da un ponte. 6. Questo è il confine
della zona sacra e di quella profana: nella parte superiore è concesso navigare soltanto, in
quella inferiore anche nuotare. I cittadini di Spello, ai quali quel luogo dette Augusto in
dono, offrono a spese pubbliche il bagno, offrono anche ospitalità. E non mancano le ville,
le quali, seguendo l’amenità del fiume, insistono sul suo bordo. 7. Insomma non ci sarà
niente da cui tu non tragga piacere. Infatti ti acculturerai anche; leggerai molte cose di
molte persone scritte su ogni colonna e su ogni parete5 con cui quella fonte e quella
divinità vengono celebrate. Molte le loderai, qualcuna ti farà sorridere; sebbene tu,
considerata la tua cultura, non riderai di nulla. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
Stips = piccola moneta di scarso valore → da questo deriva la parola
stipendium, che era il compenso dato ai soldati oppure poteva anche trattarsi della
moneta che veniva pagata nel momento in cui si stipulava un contratto.
2
Clitumno era considerato una personificazione di Giove (Iuppiter clitumnus),
perché l’acqua trasparente rifletteva il colore celeste del cielo → perciò tutte le fonti
erano dedicate a Clitumno.
3
Sortes = tessere di legno con su incise lettere e simboli, le quali venivano
estratte a sorte e utilizzate dai sacerdoti per annunciare la volontà degli dei e predi-
re il futuro.
4
Numen = volontà divina → per metonimia indica anche la divinità in sé.
5
Ancora oggi sono presenti sulle pareti le lodi scritte dai vari scrittori che hanno
visitato la fonte (tra tutti Virgilio nelle Georgiche - testo su moodle -, Plinio, Carducci
ecc.).

——————————————————————————————————

➜ Lettera VIII, 10 → lettera con cui P. avvisa il prosuocero Calpurnio Fabato che la
moglie ha abortito.
- P. scrive una lettera anche alla zia Calpurnia Ispulla (VIII, 11) → infatti Calpurnia,
orfana dei genitori, fu adottata dalla zia e dal nonno.

VIII, 10
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO PROSUOCERO FABATO

1. Tanto più desideri vedere da noi dei pronipoti, tanto più tristemente apprenderai che tua
nipote ha abortito, mentre lei ignora in modo fanciullesco di essere incinta e perciò,
trascurando alcune precauzioni che le donne incinta dovrebbero osservare, ha fatto cose
78

da evitare. Il quale errore l’ha pagato con una grossa lezione, essendo stata portata in un
grave pericolo. 2. Dunque, come è necessario che tu riceva con tristezza la notizia che la
tua vecchiaia è rimasta priva di una discendenza che era quasi pronta, così devi
ringraziare gli dei che, se da un lato nel momento presente ti hanno negato dei pronipoti,
dall’altro ti hanno salvato la nipote per comunque renderti dei nipoti in futuro, uno dei
quali a noi ci ha dato una speranza questa stessa fecondità, sebbene abbia avuto un seguito
poco favorevole. 3. Ora io ti esorto, ti ammonisco e ti faccio coraggio con le stesse cose
con cui lo faccio a me stesso. Infatti tu desideri ardentemente dei nipoti non più di quanto
io desideri dei figli, ai quali ritengo di poter lasciare, sia da parte mia sia da parte tua, una
via spianata per la carriera e un nome che si è sentito largamente e immagini1 non recenti.
Nascano una buona volta e trasformino questo nostro dolore in gioia. Stammi bene.

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1
Imagines = immagini degli antenati che i romani tenevano in casa → avere
imagines non subita significa appartenere a una famiglia antica.

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➜ Lettera VIII, 16 → P. si lamenta delle malattie e delle morti di alcuni suoi schiavi
(una delle molte lettere in cui P. dimostra il trattamento più che umano che riservava
a schiavi e liberti).
- Non si sa chi sia il destinatario della lettera (tale Paterno), ma si tratta probabilmen-
te di un suo conterraneo.

VIII, 16
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO PATERNO

1. Mi hanno abbattuto le malattie dei miei, addirittura le morti, e addirittura di persone


giovani. Ho due consolazioni, di certo non pari a così tanto dolore, tuttavia consolazioni:
una è la mia predisposizione a liberare gli schiavi (mi sembra infatti di non aver perduto
del tutto prematuramente quelli che ho perduto quando erano già liberi), l’altra è che
consento anche ai servi di fare una sorta di testamento1, e questi li custodisco come se
fossero giuridicamente validi. 2. Ordinano per iscritto e chiedono ciò che a loro pare; io
obbedisco come se fosse un ordine. Dividono, donano, lasciano, purché all’interno della
casa; infatti per i servi la casa è come una sorta di stato e come una città. 3. Ma sebbene io
mi tranquillizzi con queste consolazioni, sono affranto e avvilito proprio per quella stessa
generosità che mi ha indotto a permettere ciò2. Non per questo tuttavia vorrei essere più
duro. Non ignoro che altri chiamano eventi di questo tipo niente più che danno e che per
questo si considerano grandi e sapienti. Se siano grandi o sapienti non lo so; non sono
persone. 4. Caratteristico dell’uomo è infatti sentire di essere colpiti dal dolore, ma
resistere e consentire di essere consolati, non un non avere bisogno di consolazione3. 5. Ma
di questi argomenti forse ho detto più di quanto dovevo; ma meno di quanto avrei voluto.
Infatti esiste anche un certo piacere nel dolore, soprattutto se puoi piangere nel grembo di
79

un amico, presso il quale per le tue lacrime è pronta o la stima o il perdono. Stammi bene.

——————————————————————————————————
1
I testamenti degli schiavi erano considerati giuridicamente nulli dal diritto roma-
no in quanto essi non possedevano nulla di fatto, ma tutto ciò che avevano era di
proprietà del padrone → P. invece istituisce questa convenzione privata.
2
P. dice che la stessa umanità che gli ha consentito di avere quelle due magre
consolazioni (la manomissione e il testamento) è ciò che lo rende vulnerabile e lo
fa soffrire.
3
Tema tipico della letteratura consolatoria, con la quale si cercava di consolare
qualcuno per una perdita (cfr. Consolationes di Seneca).

21 MAG. 2021

➜ Lettera IX, 6 → lettera scritta all’amico e conterraneo Calvisio Rufo → l’argomen-


to è come P. adori spendere il proprio tempo libero a Roma.
- P. ribadisce l’amore per l’attività letteraria e culturale e il disprezzo per i vani passa-
tempi mondani.

IX, 6
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CALVISIO

1. Ho trascorso tutto questo periodo fra tavolette e libri in una pace piacevolissima. Mi
chiederai: “In che modo ci sei riuscito in città?”. C’erano i giochi del circo1, un tipo di
spettacolo che non mi attrae neanche lontanamente. Non c’è niente di nuovo, niente di
diverso, niente che non basti aver visto una volta sola. 2. Perciò tanto più mi sorprendo che
tante migliaia di persone desiderino sempre vedere in modo così puerile dei cavalli che
corrono e delle persone che ne stanno sopra. Se almeno fossero attratti dalla velocità dei
cavalli o dalla capacità degli uomini, un qualche motivo ci sarebbe; ora fanno il tifo per
una maglia2, amano una maglia e, se nel bel mezzo della corsa e della gara uno di questi
colori passasse da una parte e un altro dall’altra, anche il loro favore si sposterebbe e in
un attimo abbandonerebbero, quegli aurighi, quei cavalli, che vanno riconoscendo da
lontano e dei quali vanno gridando i nomi. 3. Tanto è il potere, tanta è l’autorità in una
tunica da nulla, lascio perdere presso il volgo, che è un qualcosa che vale meno della
tunica, ma addirittura presso certe persone serie; quando io penso che loro si attardano in
una cosa così vacua, ripetitiva, priva di soddisfazione in modo così insaziabile, io traggo
un certo piacere per il fatto di non essere attratto da questo piacere. 4. E in questi giorni
investo nella letteratura il mio tempo libero, che altri invece perdono in occupazioni
improduttive. Stammi bene.

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80

1
Si tratta ovviamente del Circo Massimo, una struttura circolare (situata tra il
Palatino e l’Aventino) al cui interno si svolgevano degli spettacoli ben definiti, ossia
corse o di cavalli o di carri (bighe o quadrighe).
- Nel capitolo 51 del Panegirico P. parla dei restauri del Circo Massimo a opera di
Traiano dopo che la struttura era stata gravemente danneggiata da un incendio
sotto Domiziano (testo su moodle).
2
Gli aurighi (agitatores) avevano maglie di colore diverso in modo tale da poter
ess. riconosciuti dagli spettatori anche a grande distanza

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➜ Lettera IX, 7 → P. parla di alcune sue proprietà sul lago di Como a Voconio Ro-
mano → anche questa lettera (come quella sulle fonti del Clitumno, sempre indirizza-
ta a Voconio) ha i modi di una cartolina → P. infatti descrive a Voconio due sue ville
che si trovano in prossimità del luogo perché ha saputo da Voconio che egli sta co-
struendo e anche P. in quel momento sta costruendo.

IX, 7
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO ROMANO

1. Mi scrivi che stai costruendo. È bene, ho trovato un avvocato difensore; ora infatti
costruisco a buona ragione, visto che costruisco contemporaneamente a te. Anche in
questo non c’è differenza, che tu costruisci al mare, io invece sul lago Lario1. 2. Sulle
sponde di questo lago ci sono molte mie ville, ma due in particolare come mi danno piacere
così mi danno da fare. 3. Una, posta sulla scogliera alla maniera delle ville di Baia2,
guarda il lago, l’altra, ugualmente alla maniera delle ville di Baia, tocca il lago. Perciò ho
l’abitudine di chiamare quella tragedia e l’altra commedia, questa perché si sostiene come
su dei coturni3, quest’altra perché è come se vestisse dei sandali. Entrambe hanno la loro
amenità e sono amate dal proprietario proprio per la loro diversità. 4. Questa gode del
lago più da vicino, l’altra per più ampio spazio; questa abbraccia un intero golfo con la
sua dolce curvatura, quella invece su un altissimo promontorio ne divide due; in quella un
viale diritto si estende per lungo tratto sopra il lido, in questa un viale si curva leggermente
in un ampio porticato; quella non sente il rumore dei flutti, questa li frange; da quella
potresti osservare i pescatori dall’alto, da questa puoi tu stesso pescare e gettare l’amo
dalla camera e quasi dal letto come se tu fossi su una barchetta. Questi sono i motivi per
cui vado ad aggiungere a entrambe le cose che mancano, proprio per i vantaggi di cui esse
abbondano. 5. Ma perché dovrei rendere ragione a te? Tu presso il quale la giustificazione
è il fatto che facciamo la stessa cosa. Stammi bene.

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1
Antico nome del lago di Como.
2
Baia (nei pressi di Napoli) era la località per eccellenza dove erano situate le
81

ville dei nobili romani.


3
Calzature alte adoperate dagli attori tragici.

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➜ Lettera IX, 21 → lettera che si concentra sul rapporto tra un liberto e Sabiniano
(un amico di P. di cui però non si conosce niente), i quali hanno litigato non si sa per
quale motivo → il liberto va a pregare P., il quale decide di intercedere per lui presso
Sabiniano, consapevole del grande rapporto di amicizia che legava i due.
- La lettera testimonia un rapporto tra padrone e servitù completamente diverso da
quello esistente in età repubblicana.

IX, 21
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO SABINIANO

1. Il tuo liberto, con il quale avevi detto di esserti arrabbiato, è venuto da me e, prostratosi
ai miei piedi, ci si è attaccato come fossero stati i tuoi. Ha pianto molto, ha pregato molto,
è stato anche molto in silenzio, insomma mi ha dato prova1 di un vero pentimento: credo si
sia ravveduto visto che si rende conto di aver sbagliato. 2. Tu sei arrabbiato, lo so, e sei
arrabbiato a ragione, so anche questo; ma allora è particolarmente lodevole la
mansuetudine quando la causa dell’ira è giustissima. 3. Hai voluto bene a questa persona
e spero le vorrai bene in futuro: nel frattempo basta che tu consenta di lasciarti pregare. Ti
sarà possibile arrabbiarti nuovamente se lui lo meriterà, cosa che farai con buone ragioni
se ti lascerai persuadere. Sii indulgente con la giovinezza di costui, sii indulgente verso le
sue lacrime, sii indulgente con la tua indulgenza. Non torturarlo, non torturare anche te
stesso; ti torturi infatti visto che, essendo di carattere così mite, ti arrabbi. 4. Ho paura di
sembrare che io non prego ma che ti costringo se congiungerò alle sue preghiere le mie; le
congiugerò tuttavia tanto più pienamente e largamente quanto io ho rimproverato lui
aspramente e severamente, minacciandolo fortemente che io in futuro non avrei più
interceduto. Questo a lui, che era necessario spaventare, per te non vale la stessa cosa;
infatti forse ti pregherò nuovamente, otterrò nuovamente: purché ovviamente sia per me
decoroso pregare e per te ascoltarmi. Stammi bene.

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1
Fidem facere aliqui = dare prova a qualcuno.

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82
➜ Lettera IX, 23 → lettera indirizzata a Massimo, che non sappiamo esattamente
chi sia, in quanto nell’epistolario sono citati diversi Massimi.
- In questa lettera P. si compiace della propria attività letteraria e in particolare che
grazie a essa il suo nome è conosciuto a Roma e nelle province e spesso è addirittu-
ra associato a quello di Tacito (motivo di grande orgoglio e soddisfazione per P.).

IX, 23
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO MASSIMO

1. Spesso, mentre discutevo delle cause, mi è successo che i centumviri1, dopo essersi
trattenuti nella loro autorità e serietà di giudici, all’improvviso tutti insieme, quasi vinti e
trascinati, si alzassero in piedi e mi lodassero; 2. spesso ho riportato anche dal Senato2
una gloria come quella che avevo massimamente sperato: non ho mai tuttavia avuto un
piacere così grande come quello che ho ricevuto recentemente grazie a un discorso di
Cornelio Tacito. Raccontava che era seduto con lui negli ultimi giochi del circo un
cavaliere romano. E che costui, dopo diversi discorsi anche eruditi, gli aveva chiesto: “Sei
dell’Italia o di una provincia?”. Rispose: “Mi conosci, e proprio grazie alla mia attività
letteraria”. 3. E quello a lui: “Sei Tacito o Plinio?”. Non posso esprimere quanto sia
piacevole per me che i nostri nomi, quasi appartenenti alle lettere e non a delle persone,
vengono restituiti alle lettere, che entrambi siamo noti grazie alla nostra attività letteraria
anche a coloro ai quali altrimenti saremmo ignoti.
4. È accaduto qualcosa di simile pochissimi giorni fa. Era sdraiato a tavola con me un
uomo illustre, Fadio Rufino, sopra di lui stava sdraiato un suo conterraneo, che era venuto
a Roma per la prima volta proprio quel giorno; a costui Rufino, indicando me, disse: “Vedi
costui?”. Poi aggiunse molte cose relative alla mia attività; e quello disse: “È Plinio”. 5.
Dirò la verità, raccolgo un grosso frutto dalle mie fatiche. Se Demostene si è compiaciuto
con diritto che una vecchietta dell’Attica lo riconobbe così: «Costui è Demostene», io non
devo compiacermi del fatto che il mio nome è celebre? Ma io ne godo e mi dico che devo
goderne3. 6. Né del resto ho paura di sembrare uno che si vanta, dal momento che riporto
il giudizio degli altri su di me, non il mio, e in particolare con te, che non invidi le lodi di
nessuno e sei un sostenitore della mia fama. Stammi bene.

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1
I centumviri erano i giudici del tribunale, della corte centumvirale.
2
P. non discusse cause solo presso la corte centumvirale ma anche in Senato,
perché, nel caso in cui fosse coinvolto a giudizio un senatore, il processo si svolge-
va non nel tribunale ordinario ma nel Senato stesso e gli avvocati erano essi stessi
senatori.
3
Questo aneddoto di Demostene è ricordato non solo da lui stesso ma anche
da Cicerone nelle Tusculanae disputationes, dove critica Dem. per essersi compia-
ciuto della frase della vecchia, diversamente da quanto fa P., che invece lo riporta
per compiacersi.
83
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➜ Lettera IX, 33 → lettera, indirizzata all’amico Caninio Rufo (al quale aveva scritto
la lettera sulla morte di Silio Italico e lo invitava a dedicarsi alla letteratura, offrendogli
dei consigli → Caninio dunque era un altro personaggio appassionato di letteratura e
anzi pare che volesse addirittura scrivere un poema epico sulle campagne di Traiano
in Dacia) in cui si racconta un fatto prodigioso, udito da P. durante una cena.

IX, 33
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO CANINIO

1. Mi sono imbattuto in un argomento vero, ma assai simile a uno inventato, e degno del
tuo profondissimo e chiaramente poetico ingengo; mi ci sono imbattuto mentre, durante
una cena, vengono riferiti dai diversi ospiti1 varie storie meravigliose2. La credibilità di chi
l’ha raccontata è grandissima: tuttavia che cosa hanno a che fare i poeti con
l’attendibilità? Tuttavia chi l’ha narrato è tale che tu gli crederesti anche se volessi
scrivere di storia. 2.3 In Africa la colonia di Ippona4 si trova vicino al mare. Lì vicino c’è
una laguna navigabile; dalla quale fuoriesce nel mare come una specie di fiume, il quale
alternativamente, a seconda che la marea o lo spinge indietro o ne favorisce il corso, ora si
riversa nel mare ora invece viene risospinta indietro nello stagno. 3. Tutte le età qui si
intrattengono nel pescare, navigare, nuotare, soprattutto i ragazzi, che l’ozio e il
divertimento sollecita. Per costoro è motivo di gloria e di virtù spingersi al largo: vince
colui lascia più indietro sia la spiaggia sia coloro che stanno nuotando con lui. 4. Durante
questa gara, un ragazzino più audace degli altri si spingeva più lontano. Gli va incontro un
delfino e ora precede il ragazzo, ora lo segue, ora gli gira intorno, alla fine gli va sotto, lo
depone, va nuovamente sotto, trasporta l’impaurito prima verso il largo, poi torna indietro
verso la spiaggia e lo restituisce alla terra e ai suoi compagni. 5. Serpeggia per tutta la
colonia questa notizia; accorrono tutti, guardano il ragazzo come un miracolo, lo
interrogano e lo ascoltano raccontare. Il giorno seguente occupano la spiaggia, osservano
il mare e tutto ciò che è simile al mare. I ragazzini nuotano e fra loro anche lui ma con
maggior cautela. [...]

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1
Hinc inde = lett. di qua e di là.
2
Infatti sappiamo che verso la fine della cena i commensali erano soliti raccon-
tarsi delle storie, spesso riguardanti fatti incredibili (cfr. la cena di Trimalchione nel
Satyricon di Petronio).
3
La storia che P. ora racconta è presente anche nella Naturalis Historia di Plinio
il Vecchio (testo su moodle) → dunque il narratore misterioso potrebbe ess. lo zio, ma
non si può sapere con certezza.
- Cmq la storia narrata da Plinio il Vecchio sembra ess. alla base (per quanto ri-
guarda sia l’argomento trattato sia i termini utilizzati) di quella riportata qui da P.,
sviluppandola in una sua lettera in modo più ampio.
84

4
Si tratta non della Ippona di Agostino (che si trova in Algeria), ma dell’odierna
Biserta, in Tunisia.

27 MAG. 2021

[...] 5. [...] Alla stessa ora nuovamente il delfino, nuovamente dallo stesso ragazzo. Quello
fugge con gli altri. Il delfino, come se lo invitasse e lo richiamasse indietro, balza fuori e si
rituffa, intreccia e scioglie varie piroette. 6. Questo anche il secondo giorno, questo anche
il terzo, questo per più giorni, finché la vergogna di aver paura non subentra in uomini
cresciuti sul mare. Si avvicinano, ci giocano, lo chiamano, lo toccano addirittura e
accarezzano lui che si offre spontaneamente. L’audacia aumenta con l’esperienza. In
particolare il ragazzino che per primo lo aveva provato nuota vicino al delfino che nuota,
gli sale sul dorso, viene trasportato al largo e viene riportato indietro, crede di essere
riconosciuto e amato dal delfino e lui stesso lo ama; nessuno dei due ha paura, nessuno dei
due è temuto; la fiducia dell’uno aumenta la mansuetudine dell’altro. 7. Gli altri ragazzi
vanno insieme a lui a destra e a sinistra esortandolo e avvertendolo. Se ne andava insieme
a lui un altro delfino (anche questo è un fatto sorprendente), solo come osservatore e
compagno. Non faceva o non si faceva fare niente di simile, ma accompagnava l’altro e lo
riaccompagnava indietro, così come il ragazzino gli altri ragazzini. 8. È incredibile,
tuttavia vero come le cose che ho detto in precedenza, il delfino che trasportava e si
divertiva con i ragazzi era solito addirittura estrarsi dall’acqua e, una volta asciugatosi
sulla sabbia, ritornare in mare dopo essersi riscaldato. 9. A quanto pare Ottavio Avito,
legato del proconsole, fece versare dell’unguento sul delfino che era stato trasportato sulla
spiaggia per un’assurda forma di superstizione e quello rifuggì al largo la novità e l’odore
e non fu visto se non dopo molti giorni indebolito e triste e che successivamente, tornategli
le forze, aveva ripreso la giocosità di prima e i soliti servigi. 10. Tutti i magistrati si
radunavano per vedere questo spettacolo, a causa dell’avvento e del soggiorno dei quali5
quella piccola comunità veniva consumata a causa delle nuove e impreviste spese. Alla fine
il luogo stesso stava perdendo la propria quiete e tranquillità: si decise di uccidere di
nascosto la ragione per la quale ci si radunava. 11. Queste cose con quale compassione,
con quale abbondanza di parole tu le compiangerai, le ornerai e le esalterai!6 Per quanto
non c’è bisogno che tu inventi o vi aggiunga qualcosa; è sufficiente che le cose che sono
vere non vengano sminuite. Stammi bene.

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5
Il soggiorno e lo spostamento dei magistrati era tutto spesato da parte dei mu-
nicipi o delle colonie che li ospitavano.
6
Appello finale di P. a Caninio Rufo affinché utilizzi questo argomento per un’o-
pera letteraria (così come aveva fatto all’inizio → perfetta costruzione ad anello).

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85
➜ Lettera IX, 36 → lettera riguardante l’organizzazione della giornata e i possedi-
menti di P. → evidentemente Fusco Salinatore gli aveva chiesto come organizzasse
le sue giornate estive nella villa di Tifernum Tiberinum.

IX, 36
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO FUSCO

1. Mi chiedi in che modo io organizzi la giornata d’estate nella mia villa di Tifernum
Tiberinum. Mi sveglio quando mi pare, per lo più attorno alla prima ora1, spesso prima,
più tardi raramente. Le finestre restano chiuse; infatti, sorprendentemente separato grazie
al silenzio e alle tenebre da quelle cose che distraggono e libero e lasciato solo a me stesso,
non seguo gli occhi con la mente ma la mente con gli occhi, che vedono le stesse cose che
vede la mente tutte le volte che non vedono altro. 2. Rifletto se ho qualcosa tra le mani,
rifletto parola per parola come uno che sta scrivendo e corregendo, ora meno parole ora
più parole, a seconda che sia stato difficile o facile comporle o ricordarle. Chiamo uno
scrivano e, fatta entrare la luce, gli detto ciò a cui ho pensato; se ne va, poi viene
richiamato indietro e poi viene congedato. 3. Quando è l’ora quarta o quinta (infatti non
c’è un tempo stabilito o misurato), come consiglia la giornata, mi reco nel viale alberato o
nella galleria, penso a ciò che resta e lo detto. Salgo su una carrozza. Anche lì faccio lo
stesso che facevo passeggiando o quando ero a letto; la concentrazione perdura rinnovata
dallo stesso mutamento. Ridormo un pochino, poi passeggio, poi leggo un’orazione greca o
latina scandendo bene le parole e con grande concentrazione, non tanto per la voce quanto
per i polmoni; tuttavia contemporaneamente si rinforza anche quella. Nuovamente
passeggio, mi faccio ungere, mi esercito, faccio un bagno. 4. Quando ceno, se con la
moglie o pochi altri, mi faccio leggere un libro; dopo cena una commedia o un suonatore di
lira; poi passeggio con i miei servitori, nel novero dei quali ce ne sono di eruditi. Così la
sera si prolunga in discorsi vari e anche la giornata più lunga trascorre bene. 5. Non di
rado di questo ordine qualcosa cambia; infatti, se sono stato a letto a lungo oppure ho
camminato a lungo, dopo il sonno o una lettura non vengo trasportato da una carrozza ma
da un cavallo, che è più breve poiché più veloce. Arrivano amici dalle città vicine e
assorbono per sé una parte della giornata e talvolta mi soccorrono quando sono stanco
con un’opportuna interruzione2. 6. Ogni tanto vado a caccia, ma non senza tavolette3, in
modo tale che, anche se non ho preso nulla, non torni a mani vuote. Del tempo non
sufficiente, così a loro sembra, viene dato anche ai contadini, le cui lamentele campagnole
mi fanno apprezzare i nostri passatempi letterari e le occupazioni urbane4. Stammi bene.

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1
Ossia l’ora della prima luce, quindi all’alba.
2
Non tutti gli amici che vanno a trovare P. nella villa sono sempre ugualmente
graditi → a volte sono una perdita di tempo, altre volte sono più graditi perché P. è
stanco e così lo soccorrono.
3
Da questa frase si deduce che la lettera scritta a Tacito riguardo la caccia fos-
se stata scritta proprio a Tifernum Tiberinum, dove P. andava a caccia al cinghiale.
86

4
Esaltazione dell’attività letteraria rispetto a quella amministrativa, alla quale un
proprietario terriero era necessariamente destinato.

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LIBRO X

=> È il libro che raccoglie una corrispondenza di tipo prevalentemente pubblico, in


quanto è la corrispondenza che P. scambia con l’imperatore Traiano mentre si trova
in Bitinia e Ponto.
- Le prime 14 lettere del libro però risalgono al periodo precedente al trasferimento
(dal 98 al 102) e si tratta per lo più di messaggi o biglietti di ringraziamento

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➜ Lettera X, 2 → lettera di ringraziamento all’imperatore, che ha concesso a P. un


favore all’inizio del suo principato → il favore che P. ha ricevuto è lo ius trium libero-
rum (lett. “diritto dei tre figli”), ossia un’agevolazione fiscale che veniva concessa dal-
lo Stato a coloro che avevano tre o più figli, anche se l’imperatore poteva riservare
questo trattamento anche ad altri personaggi da lui ritenuti meritevoli.

X, 2
GAIO PLINIO ALL’IMPERATORE TRAIANO

1. Non posso, signore1, esprimere a parole quanta gioia mi hai procurato per il fatto di
avermi considerato degno dello ius trium liberorum. Sebbene infatti tu sia stato indulgente
con le preghiere di Giulio Serviano2, persona eccezionale e a te affezionatisima, tuttavia
anche da rescritto3 capisco che tu hai concesso a lui questo più volentieri visto che pregava
in mio favore4. 2. Credo di aver raggiunto la somma dei miei desideri, se tu, all’inizio del
tuo felicisimo principato, hai dato prova del fatto che io posso avere a che fare con la tua
particolare indulgenza; e a maggior ragione desidero dei figli, che ho voluto avere anche
in quella tristissima epoca, come puoi dedurre grazie ai miei due matrimoni. 3. Ma gli dei
hanno disposto meglio, i quali hanno riservato ogni cosa integra alla tua benevolenza; io
ho sempre desiderato diventare padre in un tempo in cui avrei potuto esserlo in modo
sicuro e felice.

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1
P. si rivolge all’imperatore con l’appellativo dominus, che non era un appellativo
ufficiale, in quanto avrebbe comportato l’attribuzione all’imperatore di un potere au-
tocratico, perciò si tratta solo di un’espressione di rispetto e riverenza.
2
Giulio Serviano, governatore della Germania Superiore, era un personaggio
molto importante e influente e aveva contribuito perché Traiano diventasse impera-
87

tore → a quanto si deduce, Serviano era interceduto presso l’imperatore per il


conferimento dello ius trium liberorum a P.
3
Rescripta = risposte dell’imperatore, che avevano carattere ufficiale e legale →
forse è proprio attr. un rescritto di Tr. che a P. è stato comunicato il conferimento
dello ius trium liberorum.
4
Evidentemente nel rescritto di Tr. si trovavano anche parole di stima per P.

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➜ Lettera X, 39 → è una delle classiche lettere in cui P. si rivolge all’imperatore per


sapere come fronteggiare al meglio problemi che riscontra nell’amministrazione della
provincia.
- Non si sa esattamente quando sia iniziato il governatorato in Bitinia-Ponto → que-
sta lettera risale al gennaio successivo all’anno in cui esso è iniziato → P. scrive que-
sta lettera dopo qualche mese che era arrivato in Bitinia, dove ha speso la maggior
parte del suo primo anno da governatore, mentre nel secondo anno si sposta verso il
Ponto.
- In questo caso P. scrive a Tr. perché vuole sapere cosa fare dopo aver riscontrato
dei problemi nella costruzione di edifici pubblici nelle città di Nicea e Claudiopoli.

X, 39
GAIO PLINIO ALL’IMPERATORE TRAIANO

1. Il teatro di Nicea, signore, ormai in gran parte costruito, tuttavia non ancora
completato, ha inghiottito più di dieci milioni di sesterzi (a quanto sento dire; infatti il
conteggio del lavoro non è stato ancora prodotto): temo invano. 2. Infatti è affondato con
grandi crepe e si sta aprendo, sia che la ragione sia nel suolo umido e morbido sia che la
ragione sia la pietra stessa che è debole e tende a disfarsi: merita certamente una
decisione, se sia da costruire o se sia da abbandonare o addirittura da abbattere. Infatti i
sostegni e le sostruzioni, dalle quali viene costantemente puntellato, non mi sembrano così
stabili quanto costose. 3. A questo teatro devono essere aggiunte molte cose grazie a
promesse fatte da privati, come delle basiliche intorno, come un porticato sopra la cavea.
Tutte cose che ora vengono rimandate, essendosi fermato quello, che invece va completato
per primo. 4. Gli stessi abitanti di Nicea hanno iniziato a ricostruire prima del mio arrivo
un ginnasio che era stato perso a causa di un incendio, di gran lunga più ampio di quello
precedente e hanno già sborsato un bel po’; il rischio è che l’abbiano fatto con poca
utilità; infatti è mal strutturato e sparso. Inoltre l’architetto, evidentemente rivale di colui
dal quale l’opera è stata iniziata, afferma che le pareti, sebbene siano ampie due piedi, non
possano sostenere il peso sovrastante perché sono riempite di materiale sconnesso e non
sono rivestite di laterizi. [...]
88

28 MAG. 2021

[...] 5. Anche gli abitanti di Claudiopoli stanno scavando, più che edificando, un grande
edificio termale in una zona piuttosto in basso e anche con un monte che la sovrasta e
proprio con quel denaro che i consiglieri della città1, che sono stati aggiunti grazie al tuo
beneficio, o hanno già pagato in seguito al loro ingresso oppure pagheranno dietro nostra
richiesta. 6. Siccome temo che da una parte il pubblico denaro e dall’altra, cosa che è più
preziosa di ogni denaro, venga mal collocato il tuo beneficio, sono costretto a chiederti,
non solo per il teatro ma anche per questi bagni, che tu invii un architetto per verificare se
sia più utile dopo la spesa che è già stata fatta continuare a costruire gli edifici in qualche
modo così come sono stati iniziati oppure correggere ciò che sembra da correggere,
trasferire ciò che va spostato, in modo tale da non spendere male ciò che va ancora speso,
per voler conservare ciò che è già stato speso2.

——————————————————————————————————
1
Buleutae = corrispettivo dei decurioni dei municipi dell’Italia, ossia i consiglieri
della città, che per entrare in carica pagavano facoltativamente una ingente som-
ma di denaro.
2
La lettera si conclude (come accade spesso nelle lettere ufficiali all’imperatore)
con una richiesta all’imperatore.

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➜ Lettera X, 40 → lettera scritta da Traiano a P. → molto probabilmente Tr. dettava


le linee generali della lettera e poi spettava alla sua cancelleria metterla in bella co-
pia → le lettere di Tr. sono solitamente più brevi di quelle di P. e con uno stile di qua-
lità inferiore, forse dovuto al passato da generale militare dell’imperatore o forse attri-
buibile ai segretari della cancelleria.
- In questo rescritto Tr. indica a P. come comportarsi e aveva per P. valore di ordine.

X, 40
TRAIANO A PLINIO

1. Che cosa sia opportuno fare riguardo al teatro che è stato iniziato presso Nicea lo
valuterai e stabilirai ottimamente in presenza. A me sarà sufficiente che tu mi informi quale
decisione avrai preso. Però esigi le opere dai privati quando il teatro, per il quale sono
state promesse, sarà ultimato. 2. Questi grechetti sono appassionati di ginnasi; per questo
forse gli abitanti di Nicea si sono avventurati in una costruzione con un animo più grande:
ma è necessario che loro si accontentino di un ginnasio che a loro sia sufficiente. 3. Che
cosa tu debba suggerire agli abitanti di Claudiopoli a proposito del bagno che, a quanto mi
scrivi, hanno iniziato in un luogo poco adatto lo deciderai tu. Gli architetti non ti possono
mancare. Nessuna provincia è priva di uomini esperti e dotati di intelletto; a meno che tu
89

non creda che sia più rapido vi siano inviati da Roma quando è dalla Grecia che sono soliti
venire da noi.

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➜ Lettera X, 96 → P. interroga l’imperatore su come comportarsi nelle inchieste nei


confronti dei cristiani → costituisce la prima testimonianza del conflitto che stava na-
scendo tra questa nuova religione e il governo di Roma.
- P. scrive questa lettera o ad Amiso o ad Amastri, che sono le città menzionate nelle
lettere circostanti a questa.
- In tempi moderni c’è chi ha messo in dubbio l’autenticità di queste lettere, ma ci so-
no degli argomenti che ne confermano l’autenticità:
● il primo argomento è che queste lettere erano note a Tertulliano, che le men-
ziona esplicitamente nell’Apologeticum (187 d.C.);
● il secondo argomento riguarda lo stile → infatti o qualcuno ha eseguito una
copia perfetta del suo stile o si tratta proprio dello stile di P., tesi confermata
dalla caratteristica prosa ritmica, per cui si doveva avere necessariamente il
senso della quantità → la prosa ritmica è stata ristudiata nell’‘800, perciò nes-
suno prima di quel tempo avrebbe potuto imitare così bene lo stile di P.

X, 96
GAIO PLINIO ALL’IMPERATORE TRAIANO

1. È una regola per me, signore, sottoporre a te ogni cosa su cui sono in dubbio. Chi infatti
può meglio di te indirizzarmi in caso di subbio o istruirmi quando non so qualcosa? Non
ho mai partecipato a delle inchieste1 sui cristiani: perciò non so che cosa e fino a che
punto solitamente si punisca o persegua. 2. E ho esitato non poco se vi sia una differenza
fra le età e se le persone quanto vuoi giovani non differiscano dalle persone più adulte; se
si debba concedere un perdono al pentimento oppure se a colui che è stato certamente
cristiano non giovi aver smesso di esserlo; se venga punito il nome stesso anche in assenza
di delitti oppure se debbano essere puniti i delitti che sono connessi all’appartenenza a
questa setta2. Nel frattempo con coloro che mi sono stati denunciati come cristiani io ho
seguito questa procedura. 3. Ho chiesto loro se fossero cristiani. Coloro che hanno
confessato li ho interrogati una seconda e una terza volta minacciandoli di morte: coloro
che perseveravano ho ordinato che fossero condannati. E infatti non dubitavo che,
qualsiasi cosa fosse quella che loro ammettevano, si dovesse punire la loro pertinacia e la
loro inflessibile ostinazione3. 4. Ce ne sono stati anche altri caratterizzati da una simile
follia4, i quali, dal momento che erano cittadini romani, li ho messi in lista affinché fossero
rispediti a Roma.
Presto, a forza di occuparsene, come succede spesso, allargandosi le accuse, mi sono
capitate diverse fattispecie. 5. Mi è stato recato un dossier anonimo contenente i nomi di
molte persone. Ho ritenuto di dover liberare coloro che negavano di essere cristiani o di
esserlo stati quando, seguendo le mie parole, pregavano gli dei e veneravano con incenso e
90

vino la tua immagine, che per questo avevo dato ordine di portare sul luogo insieme alle
statue degli dei, e inoltre maledicevano Cristo, a nessuna delle quali cose possono essere
costretti, almeno così si dice, coloro che sono davvero cristiani. 6. Altri, menzionati da un
delatore, hanno affermato di essere cristiani e poi l’hanno negato; hanno affermato di
esserlo stati, ma di aver smesso di esserlo, alcuni da tre anni, altri da più anni, alcuni
addirittura da vent’anni5. Anche tutti costoro hanno venerato la tua immagine e le statue
degli dei e hanno maledetto Cristo. 7. Affermavano del resto che questo fosse il massimo
della loro colpa, o meglio errore, il fatto di essere soliti riunirsi in un giorno definito prima
dell’alba e che recitavano tra loro vicendevolmente un canto a Cristo come se fosse un dio
e che si stringevano con un giuramento non a compiere qualche delitto ma a non
commettere furti, delitti, scorribande, adulteri, a non venir meno alla parola data e a non
negare, se richiesti, di restituire del denaro prestato. Compiute queste cose, era loro
costume andarsene e ritrovarsi nuovamente per consumare un pasto, tuttavia ordinario e
innocente; avevano smesso di fare ciò dopo il mio editto, con il quale, secondo le tue
disposizioni, avevo proibito si formassero delle corporazioni. 8. Ragion per cui ho ritenuto
ancor più necessario chiedere che cosa ci fosse di vero a due ancelle, che si dicevano
diaconesse. Non ho trovato nient’altro che una superstizione annosa e smisurata.
9. Perciò, aggiornata l’inchiesta, ho fatto ricorso al tuo consiglio. La cosa infatti mi è
parsa degna di una consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono a rischio.
Molti infatti di ogni età, di ogni livello sociale, di entrambi i sessi sono e saranno chiamati
a processo. Infatti il contagio di questa superstizione si è diffuso non solo nelle città ma
anche nei villaggi e nelle campagne; il quale contagio sembra che possa essere fermato e
corretto. 10. Si sa abbastanza certamente che i templi che erano ormai quasi abbandonati
hanno iniziato a essere frequentati e che i riti solenni, a lungo interrotti, vengono ripresi e
che qua e là viene venduta la carne delle vittime, della quale, fino ad ora, si trovavano
pochissimi compratori6. Dal qual fatto è facile congetturare quale folla di uomini possa
essere corretta se ammettiamo uno spazio per il pentimento7.

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1
La cognitio non era un vero e proprio processo ma un’inchiesta, che veniva
condotta da un magistrato assistito da un consilium.
2
P. si chiede se il fatto di ess. cristiano comporti di per sé commettere dei delitti
oppure no → i delitti (flagitia) attribuiti ai cristiani erano di diverso tipo, in particolare
l’incesto, l’infanticidio rituale e il cannibalismo (sono menzionati esplicitamente da
Tertulliano nell’Apologeticum) → P. si chiede però se la sola appartenenza al cri-
stianesimo comporti questi delitti oppure no.
3
A Roma era considerato un reato opporsi a un magistrato → perciò la pena
che P. infligge a queste persone non dipende dal loro ess. cristiani ma dal fatto
che, di fronte alla pena di morte, non ritrattavano la loro fede, mancando così di ri-
spetto al magistrato.
4
Amentia → P. non comprende come, di fronte alla scelta di vivere o morire,
queste persone possano scegliere la morte in nome della loro fede.
91

5
Informazione importante, che testimonia come attorno al 90 d.C. la religione
cristiana si fosse già diffusa nella regione di Bitinia-Ponto.
6
La carne delle vittime sacrificali dei riti pagani veniva poi venduta → i cristiani
però si tenevano lontano da questo tipo di carne, perciò il fatto che non ci fossero
compratori di carne significava che a quel tempo la religione cristiana era piuttosto
diffusa in quella regione.
7
Soluzione pragmatica proposta da P. → infatti se non si lascia uno spazio per il
pentimento si rischia che si debbano condannare troppe persone.

——————————————————————————————————

➜ Lettera X, 97 → risposta di Tr. alla precedente lettera di P.

X, 97
TRAIANO A PLINIO

1. Ti sei comportato come dovevi, mio Secondo, nell’istruire cause contro coloro che ti
sono stati denunciati come cristiani. Infatti non è possibile stabilire una legge universale
che abbia una forma per così dire definita. 2. Non vanno ricercati d’ufficio; se vengono
denunciati e riconosciuti, vanno puniti, in modo tale tuttavia che chi negherà di essere
cristiano e lo renderà manifesto con i fatti, cioè venerando le nostre divinità, per quanto sia
stato sospettato in passato, ottenga il perdono grazie al pentimento. Le denunce anonime,
cioè gli elenchi di nomi che ti vengono inviati senza nome, non devono avere spazio in
nessuna accusa. Infatti si tratta di una brutta abitudine che non è propria del nostro secolo.

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➜ Lettera X, 120 → mentre P. si trova in Bitinia-Ponto, Calpurnio Fabato (nonno del-


la moglie) muore, perciò Calpurnia deve affrettarsi ad andare a Como per stare vici-
no alla zia → l’unico modo per raggiungere rapidamente Como da una regione così
distante era quello di servirsi del cosiddetto cursus publicus, ossia un sistema di tra-
sporti pubblici riservato a coloro che avevano incarichi pubblici (ossia ufficiali e magi-
strati) → l’unico modo per servirsi del cursus publicus era quello di usare dei diplo-
mata, ossia dei lasciapassare che venivano concessi all’inizio di ogni anno dall’impe-
ratore ai propri magistrati → Traiano era piuttosto rigido riguardo questi diplomata e
non voleva che venissero usati se non per scopi ufficiali.
- P. in questa lettera confessa all’imperatore di aver usato i diplomata per uno scopo
personale e si scusa per questo, però dice di averlo fatto perché avrebbe potuto con-
tare sulla sua benevolenza e che sapeva che avrebbe approvato.
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X, 120
GAIO PLINIO ALL’IMPERATORE TRAIANO

1. Fino a oggi, signore, non ho mai prestato a nessuno i lasciapassare e non ho mai inviato
qualcuno per nessuna ragione che non ti riguardasse. Ma una necessità ha infranto questa
mia perpetua osservanza. 2. Ho infatti ritenuto duro negare l’uso del lasciapassare a mia
moglie, che, essendo stata informata della morte del nonno, voleva recarsi rapidamente da
sua zia, visto che il beneficio di un tale servigio consisteva nella rapidità e io sapevo che tu
avresti approvato il motivo del viaggio, la cui causa era l’affetto filiale. Ti ho scritto queste
cose perché mi sembrava che ti sarei stato poco riconoscente se ti avessi nascosto che tra
gli altri benefici anche questo io devo alla tua generosità, che, confidando in essa, non ho
esitato ad agire come se ti avessi consultato perché se ti avessi consultato avrei agito
troppo tardi.

=> Non è sicuro che la posizione finale di queste due lettere (X, 120 e 121) sia cro-
nologicamente corretta → infatti potrebbero ess. state poste appositamente da chi ha
riordinato le lettere in ultima posizione perché sono le due uniche lettere del carteg-
gio con Traiano in cui compare il riferimento a un personaggio presente nel resto
dell’epistolario, creando così una chiusura simbolica.

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