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Lavagnino, Pozzi

CULTURA CINESE segno, scrittura e civiltà (pag. 21-90)


1Origini e classificazioni dei caratteri
Le origini dei caratteri cinesi
Il concetto di civiltà viene accostato a quello della scrittura, la redazione
e la conservazione dei documenti scritti è una tappa fondamentale del
passaggio dalla preistoria alla storia. La scrittura è stato dovunque un
mezzo potente per la trasmissione e la conservazione delle strutture sociali,
delle istituzioni politiche, del patrimonio culturale, del sapere scientifico e
delle tradizioni.
Lo sviluppo della civiltà cinese è inseparabile dallo sviluppo e dalla
permanenza del suo particolare sistema di scrittura, un sistema complesso
che è stato costruito sulla base di unità grafiche chiamate hanzi (i caratteri
scritti usati dal popolo Han), strumento privilegiato per configurare a ogni
livello le strutture della società, ma anche per operare un vero e proprio
riordinamento del mondo. Un sistema “forte” che nel corso dei secoli ha
esercitato una profonda influenza anche presso altri popoli dell’Estremo
Oriente (Giappone, Corea, Indocina) e ancora oggi permane, in Cina, come
potente elemento di identità culturale.
Le origini dei caratteri cinesi appartengono al passato più remoto: per
alcuni studiosi i primi esempi di pittogrammi e di ideogrammi sono alcuni
motivi decorativi presenti su oggetti di terracotta colorata della cultura di
Yangshao, in epoca neolitica. La mitologia cinese attribuisce l’invenzione
della scrittura a CangJie, ministro dell’imperatore Giallo (Huangdi), che
avrebbe regnato dal 2697al 2599 a.C. Per la maggior parte degli esperti il
vero e proprio sistema di scrittura in Cina risale al XIV-XII secolo a.C.
(ultimo periodo della dinastia Shang) ed è contemporaneo al sistema
alfabetico di Ugarit nell’attuale Siria.

L’invenzione di una “lingua grafica”


Il patrimonio scritto cinese nasce in seguito all’invenzione di uno
strumento linguistico unico nel suo genere e originale: wenyan (grafia +
parola), che il sinologo francese Leon Vandermeersch (1994-2013) traduce
languegraphique = lingua grafica. È una lingua artificiale, ricavata da una
lingua naturale, ha subito una profonda ristrutturazione e un trasferimento
dell’operatività semica (capacità di rinviare al referente extralinguistico,
dal livello del segno orale al livello stesso del segno scritto, ossia della
grafia). A differenza di altri sistemi di scrittura, quello cinese sarebbe stato
costruito per rappresentare direttamente il referente extralinguistico, e il
rapporto della grafia cinese con la sua pronuncia sarebbe l’inverso del
rapporto tra il semplice segno di scrittura e la sua realizzazione fonica:
ecco perché la formula “lingua grafica”. In origine era una lingua/scrittura
divinatoria, serviva per annotare quello che lo sciamano otteneva
sottoforma di screpolature prodotte dal fuoco sui carapaci (lo scudo
dorsale, la parte superiore dello scheletro della pelle) di tartaruga; le
annotazioni incise sui carapaci erano le formule per compiere l’atto
divinatorio. Le annotazioni non erano trascrizioni della lingua naturale, ma
venivano realizzate mediante uno strumento sapiente, un sistema di
simboli, segni grafici fabbricati per rappresentare i dati pertinenti alla
spiegazione della particolarità di ogni diagramma. La combinazione delle
grafie veniva ordinata secondo la sintassi della lingua naturale, ma per la
scienza divinatoria contava solo l’addizione dei dati pertinenti (tale
antenato+ tale sacrificio + tale giorno + tali vittime) e il risultato era la
previsione del futuro: propizio o nefasto. L’articolazione sintattica dei
segni grafici -non sfruttata – rimaneva sotto-elaborata, pochissime erano le
particelle grammaticali. C’era invece una precisione estrema nella
designazione dei dati, quella che l’ortodossia confuciana chiama la
“rettifica dei nomi” (zhengming), essa spinse alla ricostruzione del lessico
con i mezzi propri del grafismo, la competenza nel quale proveniva, fra gli
sciamani/aruspici, dallo studio approfondito dei diagrammi iniziali
utilizzati per la divinazione. Tutto il campo lessicale venne ristrutturato
attraverso la razionalizzazione della produzione dei segni grafici derivati
dai segni primitivi. Attraverso la pratica divinatoria vennero costituite le
caratteristiche della lingua grafica classica: una economia dei legami
sintattici e una potenza semantica legata alla precisione e alla
comprensione e leggibilità del tessuto lessicale. Alla scrittura si
attribuirono poteri magici, associabili, più o meno, a ogni segno visibile. I
pensatori cinesi davano un grande valore alla scrittura, che non era solo lo
strumento per tramandare le proprie riflessioni. (“Grandissimo è il potere
del segno scritto! wen, è nato con il cielo e con la terra”) LiuXie VI secolo.
Il carattere Wen = segno scritto, modello/forma/ornamento, è componente
di parole importanti wenhua = cultura, wenming = civiltà, wenxue =
letteratura. In virtù di tale magico potere ogni carattere non possedeva solo
una concatenazione di elementi fonetici in sé privi di significato, ma era
un’entità portatrice di senso, “una cosa tra le cose” (A. Cheng). Quando un
autore cinese parla di “natura” (xing) scrive un carattere graficamente
composto dall’elemento sheng (una pianta che cresce sempre più, ciò che
nasce/ ciò che vive), accostato alla radice xin (cuore/mente). “In virtù della
peculiare essenza della sua scrittura il pensiero cinese si iscrive nella realtà
invece che sovrapporvisi” (A. Cheng).

L’evoluzione stilistica dei caratteri


Come è avvenuto per il nostro alfabeto, l’aspetto dei caratteri cinesi si è
modificato nel corso del tempo, grazie anche al variare dei supporti e dei
materiali usati per la scrittura. I primi esempi di grafia antica a noi
tramandati si trovano sulle “ossa oracolari” (jiaguwen = tartaruga + osso
+ grafia), scapole di ovini e bovini, o carapaci di tartaruga che venivano
messi sulla fiamma perché nelle screpolature prodotte dal fuoco l’aruspice
leggesse le indicazioni per il futuro. Lo studio di questo materiale
cominciò in Cina in epoca recente alla fine della dinastia Qing, ad opera
dello studioso WangYirong in maniera, sembra, del tutto fortuita: allo
studioso, che si era ammalato, era stata prescritta una cura a base di “ossa
di drago”, curioso, esaminò le ossa fossilizzate e vide su di esse incisi
strani segni che somigliavano ai caratteri degli antichi delle iscrizioni sui
bronzi rituali che egli sapeva decifrare, acquistò dalla farmacia l’intera
partita di ossa e cominciò a studiarle. I caratteri iscritti sulle “ossa
oracolari” sono ottenuti tramite incisioni e sono caratterizzati da tratti
squadrati, corpo sottile ed estremità appuntite. Le iscrizioni su ossa e
carapaci hanno caratteri di diverse dimensioni, varianti e disposizioni
grafiche particolari di cui ancora gli specialisti cercano regole e significati.
Si chiama jinwen (metallo + grafia) lo stile dei caratteri incisi su oggetti
rituali di varia forma, di bronzo, che a partire dall’epoca Shang (XVI-XI
secolo a.C.) e in epoca Zhou (XI-III secolo a.C.) furono una delle forme
artistiche più alte della Cina tradizionale. In questo periodo la tecnica della
fusione del bronzo aveva raggiunto livelli altrove sconosciuti e serviva per
creare suppellettili rituali, oggetti votivi, doni preziosi, raffinati ornamenti
usati nelle cerimonie delle corti principesche. Le iscrizioni (solitamente
formule di dedica dei committenti, o di ringraziamento, di augurio, di
commemorazione) venivano incise nello stampo prima della fusione. I
tratti, rispetto allo stile precedente, sono più pieni, morbidi e flessuosi. A
partire dal IX-VIII secolo a.C. nei periodi chiamati “Primavere e Autunni
(770-476 a.C.) e “Stati combattenti” (476-221 a.C.) il paese ebbe 5 secoli
di guerre e divisioni i principati in lotta tra loro: la lingua scritta presentava
diversificazioni, i caratteri variavano nello stile e nelle grafie. In questo
periodo si consolida la tradizione dell’incisione di scritte su pietra in forme
grafiche particolari = dazhuan (grande sigillo), si diffonde anche l’uso
dell’inchiostro rosso brillante o nero con il pennello su strisce di tela di
seta, o su tavolette di legno o lamelle di bambù e si rilevano i primi esempi
di corsivo (scrittura a “erba” = caoshu). L’uso del pennello si espande e si
popolarizza.
L’unificazione delle norme grafiche e dello stile avvenne per opera di
QinShiHuangdi, il primo imperatore della dinastia Qin (221-206 a: C) che
unificò tutto il territorio cinese in un solo grande impero nel 221 a.C.,
standardizzò anche i pesi, le misure, le monete e lo scartamento dei carri.
Lo stile grafico divenne regolare e codificato. Poi si passò allo stile del
“piccolo sigillo” = xiaozhuan: i caratteri si succedono in linee regolari e
con uguali dimensioni, dall’alto verso il basso, da destra verso sinistra, lo
spazio tra un carattere e l’altro è sempre lo stesso. I singoli tratti dei
caratteri hanno una struttura stretta, le linee sono sottili, omogenee,
circolari, aggraziate e composte. L’uso divenne obbligatorio a livello
ufficiale.
Grazie alla diffusione della carta per scrivere (I secolo d. C.), al
perfezionamento delle tecniche del pennello e dell’inchiostro si diffuse il
lishu = “stile dei funzionari”, la forma da allungata verticalmente diventa
più squadrata, esso diventerà il più comune e ufficiale stile nell’epoca
degli Han occidentali (206 a.C.-25 d.C.) e lo stile sigillare verrà usato solo
per scopi specifici. Queste forme, chiamate kaishu = “scrittura regolare”,
resteranno invariate fino ad oggi, il loro corrispondente corsivo, più
regolare e meno fantasioso dello stile “erba” è chiamato xinghu= scrittura
corrente.
Il corsivo divenne la tecnica più rapida, veloce e libera ortograficamente
soprattutto nelle semplificazioni in pochi tratti di caratteri complessi.
L’arte calligrafica dei caratteri tracciati con il pennello si sviluppò in modo
creativo ed evocativo soprattutto nella più libera esecuzione dello caoshu,
come una forma d’arte completa, nella pittura e nella poesia.

Classificazione tradizionale dei caratteri cinesi


Considerando la struttura e le funzioni dei caratteri (zi), gli studiosi
cinesi, fin dall’epoca Han (206 a.C.-220 d.C.) distinsero 6 categorie
(liushu). Un erudito del II secolo, XuShensistematizzò queste descrizioni
dei caratteri:
wen = le grafie primitive;
zi = le grafie derivate a partire dalle prime;
da qui il titolo della sua opera: Shuowenjiezi = Teoria delle grafie
primitive e spiegazione delle teorie derivate.
Fra le sei categorie dello Shuowenjiezisi possono distinguere:
 4 categoriebasate sulle strutture dei caratteri:
- xiangxing (imitare + forma), chiamato comunemente pittogramma, in
origine era il disegno dell’oggetto significato, più o meno stilizzato
secondo l’evoluzione delle forme grafiche, gli esempi sono alcuni
caratteri “a corpo semplice” più antichi e di uso comune come: (pag.
26);
- zhishi (indicare + cosa) = simbologramma/ “caratteri indicativi”, sono
pittogrammi ai quali si aggiunge un segno che indica quale parte del
disegno prendere in considerazione. (Es. yi = “uno” = rappresentazione
dell’orizzonte, shang = “ciò che sta sopra”, e xia = “ciò che sta sotto”.
Partendo dal pittogramma mu = legno/albero si sono costruiti ben =
radice e mo = cima/estremità aggiungendo un tratto a un estremo o
all’altro dell’”albero”. Partendo da dao = coltello si è costruito ren =
lama aggiungendo un tratto, e così via.);
- huiji(riunire + significato) = ideogramma/”composto
associativo”/”composto logico”. Sono caratteri formati
dall’accostamento di due componenti (tratte da caratteri preesistenti la
cui forma grafica viene ridotta o stilizzata) di cui si considera il senso
ma non la fonetica. (Es. unendo il carattere ri= sole a yue = luna si è
costruito ming = chiarezza; accostando il carattere nu = donna a zi =
bambino si rappresenta hao = affetto/buono/bene/star bene). La
pronuncia di un carattere di questa categoria non ha alcun rapporto con
la pronuncia dei caratteri utilizzati come suoi componenti;
- xingsheng(forma + suono) = ideofonogramma/ “composto
ideofonetico”/“pittofonogramma”/ “morfo-fonogramma”. Sono
caratteri composti da due parti: una è un carattere utilizzato con valore
fonologico (un prestito fonetico); l’altra è un elemento utilizzato come
chiave semantica: esso segnala una categoria di senso e permette di non
rendere ambigui tra loro caratteri altrimenti omofoni (uguali nel suono).
(Es. la parola ma = madre è resa con il carattere di ma = cavallo
preceduto però dalla componente semantica nu = donna, che non si
pronuncia, ma sta a segnalare la categoria “di genere femminile”.
Dunque, ma = cavallo è, almeno in origine, un pittogramma, mentre ma
= madre è un ideofonogramma). Questo procedimento, utilizzato anche
nelle scritture antiche di altre civiltà, nella scrittura cinese si è avvalso
di centinaia di “componenti semantiche” utilizzate come
“radicali/chiavi” per ordinare i caratteri nei dizionari e si è rivelato
molto produttivo per l’espansione del lessico scritto;
 2 categorie basate sui possibili usi funzionali dei caratteri nel sistema
di scrittura:
- jiajie (prestito/ sostituzione) = prestito fonetico (Es. il carattere lai
= venire nasce dal prestito del carattere lai = spiga). È un
procedimento simile al rebus, presente in diverse civiltà antiche. Ad
esempio, quando, nell’inviare un SMS con il cellulare, digitiamo “6
bello” prendiamo in prestito il segno che rappresenta il numero “sei”
anche per designare la voce del verbo “essere”. Naturalmente chi
riceve il messaggio deve conoscere bene l’italiano per capire, dato
che nella nostra lingua il numero “sei” e la voce verbale “sei” sono
omofoni;
- zhuanzhu(trasferire + annotazione) = “trasferimento”. Molti
studiosi fanno rientrare in questa categoria l’utilizzo di un carattere
esistente anche per designare una parola affine sul piano dei
significati. (Es. i caratteri lao =vecchio e kao =anziano/ venerabile).
Ne sono state proposte varie interpretazioni, per alcuni studiosi si
tratterebbe di varianti di caratteri che rappresentano dei sinonimi.
Ma kao è utilizzato anche nel senso di “verificare”, “esaminare” e
per questo ha permesso altre analisi che prendono in considerazione
sia la vicinanza grafica sia quella semantica. Una di queste è che si
viene esaminati dal maestro, che tradizionalmente è anziano, quindi
venerabile, ancora oggi il termine laoshi = insegnante mantiene la
connotazione di rispetto che la scuola confuciana attribuiva a ogni
maestro.
I caratteri del tipo “forma + suono” (ideofonogrammi) aumentarono e
divennero preponderanti sotto gli Han, quando i letterati aggiungevano le
cosiddette “chiavi semantiche” a caratteri precedentemente utilizzati come
prestiti fonetici, o per distinguere vari “semi” (significati) di parole
polisemiche negli usi orali. Già nel II secolo gli ideofonogrammi
costituivano il 90% del totale dei circa 8.000 caratteri (zi) catalogati nello
Shuowenjiezi. È un sistema di scrittura che comporta un vero e proprio
riordino del mondo, esplicito nella categorizzazione stessa dei caratteri.
Durante l’epoca imperiale vennero aggiunti nuovi caratteri, mentre ne
cadevano in disuso di vecchi: anche se il numero dei caratteri utilizzati dai
letterati in un periodo dato non è cambiato nel tempo (10.000), sommando
tutti gli hanzi delle varie epoche si arriva a cifre molto maggiori. In epoca
contemporanea si evita di creare nuovi caratteri, l’espansione del lessico
avviene mediante la creazione di nuove parole scritte con caratteri già
esistenti, secondo i meccanismi del prestito fonetico (yinyi =traduzione del
suono) o del calco semantico (yiyi = traduzione del significato). Nella
Repubblica popolare cinese negli anni cinquanta e sessanta del secolo
scorso sono state attuate diverse riforme della scrittura che hanno
comportato la semplificazione (riduzione del numero di tratti) di molti
hanzi. Nei dizionari ci sono le tabelle di corrispondenza tra le “forme
semplificate” (jiantizi) e le “forme complesse” (fantizi), queste ultime sono
ancora in uso a Taiwan e Hong Kong e presso le comunità cinesi della
diaspora.

Hanzi: “ideogramma/carattere/sinogramma”
Pochi dei caratteri cinesi sono ideogrammi, in base agli usi funzionali, essi
hanno assunto un valore fonologico e semantico, il termine ideogramma
come traduzione di hanziè entrato nell’uso corrente delle lingue
occidentali in epoche in cui si pensava che la lingua scritta cinese fosse
ideografica (senza nessun rapporto con i suoni delle lingue parlate in
Cina), ciò perché veniva associata a uno stadio primitivo della lingua, e nel
XIX secolo si pensava che gli alfabeti dell’area mediterranea sarebbero
stati prova della superiorità delle civiltà occidentali. Nel XX secolo hanzi
venne tradotto con “logogramma” e più recentemente “sinogramma” =
carattere cinese.
Il sinogramma (carattere cinese) ha tre aspetti importanti:
- aspetto grafico (grafia), ogni sinogramma è una forma semplice o
complessa, costituita da un numero preciso di tratti, indipendente, è
una forma invariabile, sempre centrata all’interno di uno spazio
predefinito. L’ortografia dei sinogrammi è standardizzata, rispetta
norme rigorose di ordine e direzione dei tratti. I cinesi hanno una
diffusa consapevolezza etimologica delle unità grafiche che le
scritture alfabetiche non hanno.
- aspetto semantico (senso) ogni carattere cinese non rappresenta
necessariamente una parola, ma è associato a un insieme di
significati (campo/rete semantica), anche lontani l’uno dall’altro,
costituito da tutte le parole che si scrivono con quel carattere, per
molti caratteri ci sono relazioni tra almeno un elemento del suo
campo semantico (seme) e le caratteristiche grafiche (la struttura
costitutiva) del carattere stesso.
- aspetto fonologico (suono) il sinogramma non analizza né
rappresenta i singoli foni (suoni) della lingua parlata, ma corrisponde
a una sillaba tonalizzata. Quasi il 10% dei caratteri ha almeno due
diverse pronunce (corrisponde a due sillabe diverse secondo i
contesti) e vi sono caratteri con ben 5 possibili pronunce, ci sono
anche varianti diacroniche (evoluzione della pronuncia nel tempo) e
diatopiche (pronunce dialettali che variano da luogo a luogo).

Usi scritti e articolazione tra lingua e scrittura nel contesto culturale


cinese
A partire dall’epoca Han i modelli assunti per gli usi scritti ufficiali erano i
testi dell’epoca Zhou anche se non venivano più praticati gli usi orali, i
letterati cinesi hanno spesso semantizzato (interpretazione collegata ai
significati) anche caratteri usati in origine con valore fonologico. È molto
diffuso ancora oggi l’uso di para-etimologie interpretative (Es. il carattere
wang = re/sovranoè la stilizzazione di un pittogramma che rappresenta
un’arma, simbolo del potere, nella grafia presente sulle ossa oracolari, in
epoca Han ha assunto valori simbolici tramandati fino a oggi: il tratto
verticale rappresenta il sovrano, i tre tratti orizzontali sono l’intersezione
del Cielo, della Terra e dell’Uomo; il carattere dong = Est/Oriente è
composto da mu = albero e ri = sole = “il sole che sorge tra gli alberi”).
Molti studiosi hanno posizioni diverse nel descrivere la natura della
scrittura cinese e i suoi rapporti con la lingua (sistema ideografico,
logografico, morfosillabico, logosillabico, semosillabico, fonologico
opaco). Per la linguista francese Viviane Alleton la “fonicità” non svolge
un ruolo meno importante in cinese rispetto alle scritture alfabetiche e
bisogna distinguere l’uso propriamente linguistico della scrittura, che
forma il testo e si legge, dalla contemplazione delle forme grafiche.
Per lingua cinese si intendono gli usi parlati o gli usi scritti? e poi gli scritti
classici o volgari? e per scrittura cinese si intende l’analisi delle unità
grafiche o la lettura dei testi? Ci sono state interferenze e interazioni
reciproche delle varie forme orali tra loro, tra usi orali e usi scritti, fra
registri alti e registri popolari nell’evoluzione della storia culturale cinese.

Un testo: XuShen, Teoria delle grafie primitive e spiegazione delle


grafie derivate
Il passo è tratto dalla “Postfazione” dell’opera: Teoria delle grafie
primitive e spiegazione delle grafie derivate, ritenuta il primo repertorio
organizzato dei caratteri cinesi, scritta dal letterato XuShen e presentato
all’imperatore nel 121 d.C., lo scopo dell’opera era registrare per iscritto le
forme grafiche del passato, lo stile del “piccolo sigillo”, che l’autore
riteneva la forma più antica e la migliore per analizzare i testi scritti dai
saggi antichi. Troviamo per la prima volta l’uso sistematico dei “radicali”
(bushou) che erano 540 e che per 1500 anni saranno il fondamento dei
dizionari e delle opere lessicografiche. Il testo enumera 10.516 caratteri
diversi.
Pag.32-34.
2 La scrittura del mito, fengshui e numeri

Trigrammi, esagrammi e Libro dei mutamenti


L’archeologia recente costituisce il punto di partenza delle origini storiche
della scrittura cinese, ma non bisogna tralasciare quello che ci riferisce la
tradizione letteraria. Sono gli enigmatici trigrammi della divinazione le
prime testimonianze scritte che la tradizione colta ha voluto riconoscere
come autentiche. I trigrammi hanno un potere di auspicio e di divinazione,
le loro combinazioni e la loro corretta interpretazione indirizza l’azione di
chi li consulta. I trigrammi e gli esagrammi che questi compongono
sarebbero stati donati misteriosamente ai saggi sovrani dell’antichità,
grazie alle loro possibili combinazioni hanno il potere di orientare le scelte
future. Il Libro dei mutamenti (Yijing)è il manuale di divinazione per
eccellenza, sarebbe stato composto dal re Wen, mitico fondatore della
dinastia Zhou, intorno al 1120 a.C. ed è il fondamento comune di tutta la
speculazione filosofica cinese tradizionale, più tardi furono aggiunte le
appendici, scritte in uno stile molto oscuro, attribuite a Confucio ma
databili a un’epoca più recente (fine Zhou-inizi Han).

Le origini della scrittura: miti e leggende


Sulle origini della scrittura tradizionale letteraria cinese ci sono molti miti
identici scritti da autori diversi. Il più antico è tratto dal Libro dei
mutamentie narra del mitico sovrano Fu Xi che scoprì i primi 8 trigrammi
fondamentali della divinazione e quindi della scrittura, mediante essi
comprese i prodigi e classificò le qualità di tutti gli esseri: questo
confermerebbe la natura divinatoria della scrittura, almeno nelle fasi
iniziali.
Un’altra leggenda, tratta dalla stessa fonte, racconta di un magico drago
emerso dalle acque del Fiume Giallo che avrebbe portato una mappa
iscritta sulla quale sarebbero stati tracciati gli 8 trigrammi fondamentali.
In un altro testo della “Grande regola” del Libro dei documenti(Shujing),
una delle opere più antiche della tradizione storiografica cinese, si racconta
che Yu il Grande, uno dei 5 mitici imperatori finì di regolamentare le
acque sulla terra, una tartaruga divina sarebbe emersa dal Fiume Luo,
recando incise sul carapace uno scritto diviso in 9 parti, corrispondenti alle
9 sezioni del testo della “Grande regola” (sono 9 anche i territori in cui il
paese era stato diviso dall’imperatore, uno dei nomi antichi della Cina è
Jiuzhou = “nove isole”).
Un altro testo intitolato Raccolta di tracce rimaste (Sheyiji) di WangJia
(IV secolo) racconta del ritrovamento da parte del mitico imperatore Yao
di tavolette di giada su cui era incisa in oro la mappa del mondo.
Secondo un’altra leggenda la mappa del Fiume Giallo fu donata dal drago
ed era costituita da verdi strisce di bambù in cui erano incisi in color
cinabro (rosso) i primi segni della scrittura cinese.
Un metodo per tenere a memoria gli eventi era quello di annodare corde, i
nodi grandi indicavano gli avvenimenti più importanti e i piccoli quelli di
minore importanza, “La scrittura nasce quando alle corde intrecciate si
sostituirono le impronte di uccello” (anche in italiano si dice: “scrivere a
zampe di gallina”).
La tradizione confuciana attribuisce l’invenzione della scrittura al ministro
del mitico Imperatore Giallo, lo scrivanoCangJie, egli sembra sia stato il
primo ad attribuire un senso preciso alle “impronte di uccello” e a creare il
sistema di scrittura. Secondo un’altra leggenda con la nascita della
scrittura sarebbero nate anche l’artificio e la falsità: gli uomini, disponendo
di questo nuovo mezzo per comunicare, avrebbero trascurato la
coltivazione dei campi e si sarebbero dedicati ad altre attività più
redditizie. Il Cielo, sapendo che ci sarebbe stata una carestia, avrebbe fatto
piovere cereali per nutrire gli uomini, e quella notte i demoni della natura,
spaventati per le conseguenze che la scrittura avrebbe procurato al genere
umano, sarebbero scoppiati in lacrime. L’origine della scrittura viene
senza dubbio attribuita ai mitici imperatori che sono i fondatori della
civiltà cinese.

Un sistema forte
Dai trigrammi, ai pittogrammi, agli ideogrammi si perfeziona un sistema di
scrittura forte, compatto e che resiste per millenni pressoché invariato,
che viaggerà nei secoli in tutto l’Estremo Oriente. Ancora oggi in alcuni
caratteri permangono alcune implicazioni magiche e misteriose (fu =
prosperità, shou = longevità, xi = felicità) alcuni caratteri divengono
talismani, usati dagli sciamani e dai sacerdoti taoisti(fu). La scrittura
diventa una guida efficace per il futuro nella scansione ordinata della vita
della collettività, il testo scritto del passato viene continuamente letto,
imparato, interpretato e verificato. Ancora oggi il più antico testo
divinatorio, il Libro dei mutamenti, continua a svolgere il suo ruolo nella
vita quotidiana dell’Asia orientale. Nellaciviltà cinese il rispetto e la
venerazione per la parola scritta vennero codificati grazie al complesso e
articolato sistema dei Classici che divennero una vera e propria religione
del segno scritto (Kristofer Schipper “Il corpo taoista”1983). Il sistema
burocratico imperiale si basava costantemente sul testo scritto e la scrittura
sarà per secoli la detentrice del potere, dell’arte e dell’élite colta. Lo
sviluppo dell’esegesi testuale (interpretazione di un testo) a partire dalla
dinastia degli Han occidentali (II secolo a. C.) costruirà nel corso dei secoli
una grande tradizione ermeneutica (di interpretazione testuale). L’uso della
scrittura consolidò il consenso e l’obbedienza nei confronti dell’autorità
imperiale, il sistema burocratico ebbe come fondamento indispensabile un
corpus testuale e il saggio funzionario divenne l’interprete, grazie ai testi
canonici, privilegiato del potere politico e amministrativo.

“Vento e acqua”: scritture e fenghui


Nella trasmissione delle scritture l’eletto (colui che praticava le arti
divinatorie) trovava riconosciuto il suo ruolo di interprete esclusivo e
potente e di autorevole rappresentante della comunità. Collegata alle
pratiche divinatorie, che nel corso del tempo riconobbero un rapporto
stretto tra l’uomo e l’ambiente circostante, è la geomanzia (saper
riconoscere che solo il geomante -l’indovino- è in grado di leggere e
comprendere un paesaggio ideale in cui si realizza l’armonia e l’accordo
tra l’uomo e il mondo esterno). La corrispondenza tra la parte interiore del
corpo umano e quello del mondo esterno che lo circonda viene ritrovata e
ricostruita dal geomante grazie alla comprensione dei testi canonici ai
quali solo lui ha accesso. Sono testi del pensiero cosmologico (scienza che
spiega l’origine e l’evoluzione dell’universo attraverso le stelle i pianeti e
l’astronomia), molto diffusi in Estremo Oriente. Un pensiero cosmologico
che si diffuse intorno al cenacolo intellettuale (Accademia Jixia) nel IV
secolo a. C. metteva al centro del pensiero la triade (Cielo, Terra, Uomo) e
si basava sulla corrispondenza tra uomo e ambiente (wang = re), molto
importante era la stretta correlazione tra gli elementi spaziali e quelli
temporali, tra “ciò che sta in alto e ciò che sta in basso” shang = sopra/in
alto, xia = sotto/ in basso.
Questo pensiero che è presente in molti testi che poi verranno raccolti nella
grande rubrica del taoismo, si riflette ancora oggi a livello di vita
quotidiana in una pratica che regola la disposizione corretta dello spazio
naturale di edifici pubblici e privati, il rispetto dell’ambiente, l’armonia
esterna che si riflette nell’armonia interna dell’individuo (spazi pubblici,
giardini, parchi, scuole, uffici, teatri, luoghi di culto, abitazioni private,
monumenti funerari) vengono costruiti nel rispetto di una serie di principi
antichi ma non dimenticati perché rappresentanti l’identità culturale.

Una base comune: Yin e Yang


Le due nozioni basilari, le dualità cosmiche fondamentali sono i concetti di
Yin e Yang. Sono due entità antagoniste ma anche due classi opposte di
simboli, una coppia di attività alternantisi e un raggruppamento bipartito di
forme alterne. Esse presiedono alla classificazione di tutte le cose, nella
loro etimologia è importante lo spazio naturale: Yin è in origine il lato sud
di un corso d’acqua e il lato nord di un’altura, Yang è l’inverso, ci sono
molte simmetrie: alla categoria Yin appartengono la terra, il Nord, il
freddo, l’oscurità, la luna, la quiete, il femminile; sono Yang il cielo, il
Sud, il caldo, la luce, il sole, il movimento, il maschile. L’alternanza
dell’equilibrio spazio-temporale delle due forze (un cerchio nella cui parte
oscura è incorporato un punto bianco e viceversa) vede nel tempo il
succedersi delle stagioni (Yang = solstizio d’estate, taiyang “il grande
Yang” = sole), (Yin = solstizio d’inverno). L’unione perfetta tra le due
forze, lo stato originario, precedente all’inizio del processo di
polarizzazione che condurrà alla loro differenziazione = Taiji = “Grande
estremo” /” Grande culmine”, il radicale mu (legno) etimologicamente
significa la trave maestra, l’apice del tetto da cui si dipartono le travi che
da lui dipendono e in cui si ritrovano per sostenere l’intera armatura. Il
Grande estremo è il principio Primo, il numero Uno ineffabile e misterioso
che dei Diecimila esseri che costituiscono il mondo esterno è origine,
fonte, e continuo motore.
Dall’Uno ai Diecimila esseri: i numeri
Il Tao genera l’Uno/ l’Uno genera il Due/ il Due genera il Tre/ il Tre
genera Diecimila esseri (stanza n. XLVII del Libro della Via e della sua
potenza). Il motore immobile dell’Universo è il principio primo del Tao:
Dao (strada/ cammino/ percorso iniziatico). Questo è uno dei principi
cardine di tutto il pensiero cinese. Le allegorie numeriche hanno una
tradizione antichissima in Cina, se ne trovano esempi nelle costruzioni del
passato, corrispondevano ai calcoli numerici elaborati dalle regole del
fengshui, e nelle abitudini dei costumi della vita contemporanea. Si
identificano diverse categorie sulla base delle indicazioni numeriche
(tesori della scrittura sono 4 = carta, pennello, inchiostro e pietra per
scrivere; i colori sono 5; i toni della scala musicale sono 5; gli Immortali
della tradizione taoista sono 8; le regioni del paese sono 9; gli stratagemmi
del pensiero strategico tradizionale sono 36; i discepoli di Confucio sono
72; nella Cina modernai principi del popolo elaborati nel XX secolo da
Sun Yat-sen/SunZhongshan, il padre della Cina moderna sono 3; i principi
della coesistenza pacifica del ministro Zhou Enlai negli anni cinquanta
sono 5; le riforme della modernizzazione di Deng Xiaoping negli anni
settanta sono 4; le rappresentatività del terzo millennio di Jiang Zemin che
hanno portato alla svolta “capitalistica” nel Partito comunista cinese sono
3).Le cifre hanno un valore numerico ma sono anche un emblema e hanno
un valore simbolico. Marcel Granet dice che i numeri sono emblemi, non
sono segni astratti di quantità, esiste una vera e propria filosofia dei numeri
in Cina, essi sono il mezzo per raffigurare i settori logici, le categorie
concrete che compongono l’Universo: è attraverso di essi che si dà ordine
all’Universo. Nel mito sull’origine della scrittura Yu il Grande riceve le 9
sezioni/ rubriche della “Grande regola”, Granet dice che erano simboli che
evocano l’ordine universale, erano disposti intorno al numero 5, emblema
del posto supremo e centro dello spazio, erano i 9 primi simboli numerici;
infatti, Yu il Grande divise poi il mondo in 9 regioni.

Da uno a dieci: i simboli e le immagini


In Cina esiste una fiorente numerologia legata alla vita quotidiana (giorno
fausto per un matrimonio, una targa con numero fortunato per
immatricolare una macchina, il costo maggiorato di una scheda telefonica
con numeri fortunati rispetto a quella con numeri sfortunati).
I più consueti simboli/immagini collegate ai numeri da uno a dieci sono:
Yi = uno: ci sono 67 significati del numero uno con 3.417 possibili
composti, secondo la cosmologia cinese in origine esisteva il Grande
culmine, il Grande estremo da cui nacque il Grande Uno, si trasformò in
Due princìpi (lo Yin e lo Yang) da cui nacquero i Cinque elementi (agenti
fondamentali = legno, fuoco, terra, metallo, acqua), o Cinque fasi (wuxing)
da cui ebbero origine i diecimila esseri cioè il mondo visibile. “L’Uno è il
completo, il perfetto, è assoluto e perfetto, prima del cielo e della terra,
esiste solitario e silenzioso”. “L’Uno non è mai altro che l’intero, e due in
fondo non è altro che la coppia”. Come tutti i numeri dispari è maschile, i
numeri pari sono femminili.
Er = due: è un numero pari quindi femminile, di natura Yin, er in
corrispondenza con la Terra come l’Uno con il Cielo e il Tre con l’Uomo
(destra/sinistra, davanti/dietro, sopra/sotto, cerchio/quadrato =
parallelismo). Le domande dello sciamano all’oracolo si fondano sul
sistema binario e i 64 esagrammi del Libro dei mutamentisono formati
sull’alternanza e sulle mutazioni tra i due trigrammi che compongono
ciascuno di essi.
San = tre: in Cina è un numero molto importante perché indica l’insieme
privilegiato di Cielo (tian), Terra (di) e Uomo (ren) = i Tre poteri (sancai),
gli sono attribuiti 11 significati, nel dizionario ci sono 1915 i composti. Tre
sono le dinastie dell’antichità (sandai) = Xia, Shang, Zhou, tre sono le
dottrine religiose (confucianesimo, taoismo, buddhismo = sanjiao), è in
versi di tre caratteri ciascuno il classico che serviva per imparare la lingua
e la morale (il Classico dei tre caratteri = Sanzijing). Secondo Granetil
numero 3 è l’emblema di ogni organizzazione gerarchica.
Si = quattro: è simile per grafia a xi(ovest), è la rappresentazione grafica
della terra, che secondo un’antica concezione è quadrata. Quattro sono le
porte della residenza imperiale, ciascuna orientata verso i punti cardinali
(che nella tradizione cinese son 5 e non 4, essendo il centro, dove
l’imperatore siede in trono, il quinto), 4 sono le stagioni, 4 i “tesori della
scrittura”, 4 i Libri di Confucio secondo la tradizione sishu, il numero 4
non è fausto, perché è omofono di quello di morte (si).
Wu = cinque: è uno dei più importanti numeri cinesi, i 5 punti cardinali, i
5 colori (verde-azzurro, rosso, giallo, bianco, nero), 5 i sapori (acido,
amaro, dolce, aspro, salato), dodici i significati di 5 e 1148 i composti di 5.
Cinque sono le fasi wuxing, 5 sono iClassici della tradizione confuciana =
wujing (il Libro dei mutamenti, il Libro delle odi, il Libro dei documenti, il
Librodei riti, Primavere e Autunni), 5 sono i “picchi maestosi” le
montagne sacre (wuyue), situate nelle quattro direzioni dove andare in
sacro pellegrinaggio, 5 sono le fortune (wufu) da augurare a parenti e amici
(lunga vita, salute, ricchezza, tranquillità, virtù), 5 sono i visceri (wuzang)
(cuore, fegato, polmoni, bile, reni), 5 sono le stelle gialle della bandiera
rossa della Repubblica popolare cinese che indica l’unione delle diverse
etnie (mongoli, mancesi, uighur, tibetani)sotto l’egida degli Han.
Liu = sei: nel Libro dei mutamenti viene associato a un esagramma fisso,
non muta, 6 sono le arti (liuyi) (i riti, la musica, il tiro con l’arco, la guida
dei carri, la scrittura, la scienza dei numeri), 6 sono le categorie (liushu)
dei caratteri della scrittura, 6 sono le ripartizioni dell’amministrazione
imperiale (liubu) (gli affari civili, le finanze, gli affari militari, leggi e
punizioni, i lavori pubblici).
Qi = sette: anche se è un numero dispari di tipo Yang, è associato alla
donna, perché a 7 mesi una bimba mette i denti da latte che perderà a 7
anni, dopo un doppio ciclo di 7 anni inizieranno le mestruazioni che
finiranno dopo 7 cicli di 7 anni, il 7 è legato ai riti funebri (7 giorni di
digiuno per 7 = zuoqi, offerte fino a 49 giorni dalla scomparsa del
defunto), 7 sono gli astri (qixing = sette stelle) = le cinque fasi
fondamentali a cui vengono aggiunti il sole e la luna.
Ba = otto: in origine femminile ma poi fa riferimento allo Yang perché 8
sono le fasi della vita dell’uomo, a 8 mesi il bambino mette i denti che
perde a 8 anni, completato due volte il ciclo di 8 anni, diventa adulto e
dopo 8 volte 8, diventa vecchio. Otto sono le note (bayin), che derivano
dagli 8 strumenti fondamentali, 8 sono i “tesori del letterato” (babao), 8
sono gli Immortali taoisti (baxian), 8 sono gli emblemi del buddhismo, 8
sono i trigrammi alla base della divinazione per il Libro dei mutamenti,
disposti in una figura ottagonale per i calcoli del fengshui, gli esagrammi
sono 64 in un quadrato di 8 x 8, in “Otto sezioni” (bagu) era diviso il testo
degli esami imperiali del funzionario pubblico. Oggi il numero 8 è reputato
fortunato perché è vicino foneticamente a fa = moltiplicazione, sviluppo,
abbondanza e facai = arricchirsi. Molti talismani, portafortuna e gadget
hanno il n.8 e i giochi olimpici di Pechino 2008 sono cominciati alle ore
08:08 dell’8 agosto.
Jiu = nove: è tre al quadrato, nel Libro dei mutamenti indica la comparsa
di 9 draghi che animano le linee dei trigrammi e le rendono mobili, è il
numero che rende possibili i mutamenti, 9 sono le ripartizioni dei terreni
coltivabili (jing = pozzo), il Cielo ha 9 spazi, la Terra 9 regioni. Il paese 9
montagne, 9 i quartieri della città tradizionale, il 9 si accosta all’omofono
jiu =durevole ed è un numero importante e apprezzato.
Shi = dieci: tra i suoi omofoni c’è il carattere shi = cibo, elemento
fondamentale per la sopravvivenza di qualsiasi essere e componente
caratterizzante della cultura cinese di ieri e di oggi. Il carattere shi è
costruito aggiungendo un tratto verticale al carattere yi (uno) e quindi il n.
10 sarebbe provvisto di tutte le capacità dell’Uno, la decina ritma la
successione dei numeri, segnandone la completezza. Secondo Javary,Mao
Zedong scelse il primo giorno del decimo mese (shiyueyiri) per proclamare
nel 1949 la nascita della Repubblica popolare cinese, per dare il messaggio
che quel giorno inaugurava un cambiamento totale nel destino della Cina.

Un testo: LiuXie, Il tesoro delle lettere, un intaglio di draghi


È un trattato di retorica, composto all’inizio del VI secolo da LiuXie, nel
primo capitolo vengono esposte le teorie dell’autore attraverso la
narrazione cosmogonica, al termine chiave Tao viene dato il valore di Via
maestra della tradizione confuciana e di legge naturale che è alla base del
pensiero taoista e di rispetto dell’ordine sociale. Gli altri termini chiave
sono wen, xinyan, ci. Il capitolo è concentrato sulla dilatazione semantica
del termine wen = segno/forma/modello/ornamento/scrittura; esso viene
considerato nel suo rapporto con xin (mente/cuore), come fattore di
riflessione interna da un lato, mentre dall’altro wen è messo in relazione
con il principio regolatore esterno, la natura ovvero il Tao. Le risorse
polisemiche di questi termini consentono una progressione del processo
creativo naturale e soggettivo che, secondo la teoria di Confucio, dice che
il patrimonio scritto, cioè i Classici, sono la massima espressione della
saggezza.
Pag. 48-51
3 Scrittura e pensiero: il confucianesimo e le Cento suole

La tradizione scritta
Il concetto di Tao (dao), la Via assume diverse interpretazioni, come
primo significato ha quello di via, strada, cammino, in senso figurato
significa metodo, principio. Confucianesimo e taoismo sono le due anime
della tradizione centrale (zhong) che si contrappone agli apporti esterni
(wai) che via via verranno assorbiti (buddhismo). Queste si alimentano a
vicenda o si contrappongono e propongono due modi di concepire il Tao:
il confucianesimo enfatizza l’importanza per l’individuo, in relazione con
gli altri, di seguire la Via morale in accordo con la Via della Natura; il
taoismo sottolinea l’importanza per l’individuo, in relazione con la Natura,
di apprendere il Tao e vivere in armonia con esso, di ritrovare l’armonia
che regnava in principio tra le cose e gli esseri. Per il confucianesimo il
Tao è la via degli antenati, dei saggi re dell’antichità, questa è la fonte del
pensiero di Confucio, che è un conservatore e un rivoluzionario, perché
nega il diritto di successione ereditaria del passato e il diritto della
sopraffazione della sua epoca.
Per la civiltà cinese il sistema di notazione scritta è sempre stato rilevante
nella registrazione del pensiero e della riflessione teorica. Fin dalle origini
la scrittura venne inclusa tra le “sei arti” (liuyi) (riti, musica, tiro con
l’arco, guida dei carri, scrittura, scienze dei numeri, astrologia), le
discipline indispensabili per il gentiluomo. La scrittura aveva (oltre alla
funzione più importante cioè essere lo strumento della comunicazione)
altre funzioni: la trasmissione del rituale, della riflessione, dell’estetica e
ancora la trasmissione delle scritture taoiste e il rapporto tra la letteratura,
la calligrafia e le arti visive. Il pensatore neoconfuciano Zhou Dunyi
diceva che la scrittura rendeva manifesto il Tao (“wenyizai dao”) cioè la
prosa era il tramite per veicolare il Tao. Le strutture portanti del pensiero
cinese sono radicate nelle vicende storiche della Cina, la sua unità, la
compattezza culturale, la tradizione del sistema imperiale dinastico, la
lingua scritta come fattore unificante, il senso di identità e la
consapevolezza di essere un “paese di mezzo”. Confucianesimo e taoismo
sono i due grandi filoni filosofici e religiosi, entrambi traggono origine da
dalle credenze legate alle trasformazioni climatiche, al divenire del tempo
e delle stagioni, al rapporto diretto con la natura (taoismo) e i culti locali
contadini, le feste stagionali, le abitudini, le usanze agricole
(confucianesimo). La varietà del pensiero cinese, le sue innovazioni, il
confucianesimo come dottrina di Stato eliminano il luogo comune che
vorrebbe la Cina come “l’impero dell’uniformità”.

Confucio
Al culto del sovrano, Figlio del cielo (tianzi), mediatore del rapporto tra
l’uomo e le forze della natura (tian = Cielo, di = terra, ren = uomo, che
danno origine alla formula sancai = tre poteri) è legata la nascita e lo
sviluppo del confucianesimo (rujia = scuola degli
eruditi/classicisti/letterati), fondato da Confucio. Il termine
confucianesimo deriva da Confucius, una latinizzazione del nome del
maestro Kong Qiu, Kong fuzi (Maestro Kong), fatta dai missionari gesuiti
in Cina nel XVI secolo. Confucio (551-479 a.C.) apparteneva alla classe
degli shi, letterati/funzionari delle sei arti e conoscitori dei rituali di corte e
funebri e dei Classici. Egli era un ru = erudito/classicista/letterato, ru
furono chiamati i suoi seguaci. Anche se molti testi della tradizione sono
stati attribuiti a Confucio, nulla di quanto ci è pervenuto è stato veramente
scritto da lui, anche l’opera più importante del suo pensiero, i Dialoghi
(Lunyu) del II secolo a.C. è una raccolta dei suoi discepoli e dei suoi
seguaci. Di Confucio sappiamo poco, sappiamo che girovagò per la Cina
in cerca di un principe che mettesse in pratica i suoi insegnamenti, la storia
di Confucio è quella di un fallimento, così come accadde a molti altri
pensatori e letterati che, delusi ed estromessi dalla politica, divennero
grandi pensatori, egli abbandonò lo stato di Lu, sua terra di origine, vi
ritornerà in vecchiaia e dopo aver superato molti ostacoli, per dedicarsi
all’insegnamento e morire nella convinzione della propria inutilità. Il testo
dei Dialoghi non è organico, accorpa detti del maestro, aneddoti, non c’è
un’esposizione coerente delle teorie di Confucio, ma è una raccolta di
massime e immagini esemplari, che insieme ai Classici e alle opere di
Mencio e Xunzi saranno la base della letteratura confuciana e dagli Han in
poi diventeranno il punto di riferimento per la politica dell’impero. Grazie
a Confucio, che ha fatto da collante e ha tenuto insieme per duemila anni
una società molto variegata e piena di differenze sociali, le classi colte
hanno imparato a leggere e il popolo analfabeta ha conosciuto la sua
visione del mondo.
La musica (yue = carattere che pronunciato le significa “gioia”) è uno
strumento politico, musica e rituale si compenetrano (ogni cerimonia era
accompagnata dalla musica), la musica è un’eco privilegiata dei suoni
della natura, i suoni riproducono l’armonia (he) del cosmo, che deve
riflettersi in quella della società. Alla scala delle note si equipara ai ruoli
sociali e per ogni cerimonia sono previsti ritmi e melodie prestabiliti, la
musica è un agente armonizzatore per i vari gruppi sociali che nel rito
trovano una rigida divisione dei ruoli. I letterati dovevano conoscere le
musiche dei rituali, nel cerimoniale gli strumenti a fiato erano i più
importanti, avevano una emissione regolata, garantivano l’equilibrio della
rappresentazione musicale, regolatrice simbolica delle festività, della vita
in società. L’emissione regolata degli strumenti si chiamava jie (i nodi del
bambù, misura/scansione temporale/festività). La musica garantisce
l’espressione misurata delle emozioni che si devono manifestare in
maniera opportuna tramite un linguaggio espressivo equilibrato che mimi
quello delle musiche rituali.
La “rettifica dei nomi” di Confucio sanciva il principio secondo il quale
la rettitudine morale dipende dall’ordine del linguaggio: la scrittura
diventa specchio dell’armonia cosmica e sociale, “l’uomo superiore”,
cioè colui che ha il potere (junzi), può conformare ai concetti, le parole e le
azioni. Si esprime la potenza del wen, il valore magico della scrittura,
come riflesso di ordine e armonia. La comunione tra uomo e natura è
sancita dalle caratteristiche degli esseri umani nei loro ruoli prestabiliti,
che richiamano quelli dell’ordine naturale, il ruolo può cambiare a secondo
del contesto, il figlio può diventare a sua volta padre e si comporterà in
base alla nuova posizione. È importante la suddivisione gerarchica della
società: al vertice c’è l’uomo dotato di virtù superiori ((junzi),
contrapposto all’uomo da poco (xiaoren), le virtù dello junzi sono la
benevolenza (ren) (ren = uomo + er = due) = gli esseri umani trovano la
loro cifra di umanità solo nella relazione con l’altro. Per Confucio “l’uomo
è un animale sociale”, per cui benevolenza potrebbe essere “senso
dell’umano. I missionari europei arrivati in Cina in epoca Ming fecero una
connessione tra ren e agape (affetto/amore) cristiano. Il concetto di ren è
indissociabile dal senso del rito, perché nel rituale gli uomini celebrano la
loro esatta posizione nel cosmo e legittimano il loro ruolo
nell’indispensabile rete dei rapporti sociali. Le altre virtù dello junzi sono:
il senso di giustizia (yi), la lealtà (zhong), intesa come fedeltà ai principi
della nostra natura, la reciprocità (shu), la fiducia (xin), e la devozione
filiale (rispetto per gli antenati, e per i saggi re dell’antichità) (xiao). Tutte
queste virtù rimandano a una concezione di società gerarchizzata che
funziona solo se tutti adempiono al loro ruolo in armonia.

Gli eredi di Confucio


I continuatori di Confucio furono numerosi, i più importanti furono
Mencio e Xunzi.
Mencio nacque nello stato di Zou, nell’odierno Shandong, visse a cavallo
tra il IV e il III secolo a.C., neanche lui trovò un sovrano disposto a
mettere in pratica i suoi insegnamenti. Il Libro del Maestro Meng/Mencio
raccoglie aneddoti delle sue conversazioni con i feudatari e con i pensatori
di altre scuole. Il suo pensiero si concentra sulla natura umana (xing), che
lui dice essere buona, ma che è guastata dalla società e dalla ricerca di utili
individuali (li). Per evidenziare il deterioramento subito dalle qualità
positive che il Cielo ha dato all’uomo, usa la metafora e la parabola del
Monte dei buoi: un tempo la montagna era ricca di alberi e piante ma i
boscaioli hanno tagliato molti alberi, per cui la gente non sa che in quel
luogo prima c’erano gli alberi e il legname (cai); allo stesso modo le
qualità dell’uomo (cai) possono essere annullate dalle sue brutte azioni,
che lo abbrutiscono. Mencio usa i dialoghi, le parabole e le assonanze tra i
caratteri (cai = legno, indole umana).
Per Mencio è importante l’economia politica, trascurata da Confucio,
insiste sugli aspetti tecnici come la suddivisione del terreno in 8 campi
privati intorno a un nono pubblico, con una ripartizione dello spazio come
lo (jing = pozzo). Ogni famiglia avrebbe coltivato il proprio campo e
avrebbe partecipato ai lavori di quello pubblico, i cui proventi sarebbero
andati al principe. Questa riforma (“campi a pozzo”) non fu mai applicata
se non da Wang Mang (45 a.C. 23 a.C.), detto “l’usurpatore”, durante il
suo breve regno. Mencio insiste sul benessere del popolo che dipende dal
buon governo, sul sostegno ai deboli, sulla giusta economia agricola e
sull’istruzione. Anche per lui è importante la gerarchia centralizzata, la
cura degli anziani, l’apice della piramide sia per la famiglia che per la
società.
Anche il trattato di Xunzi prende il nome del suo pensatore, Il Xunzi, è
un’opera filosofica in 37 capitoli, parla soprattutto della scuola della
legge, e ha una visione pragmatica (più pratica che teorica) del mondo, egli
non idealizza il passato ed è molto diversa rispetto a quella di Mencio: per
Xunzi la natura umana è malvagia, perché per lui è artificiosa qualsiasi
espressione di bontà, gli esseri umani seguono i loro interessi (li) e solo il
maestro può guidarli verso la moralità tramite i riti, solo i maestri possono
contenere la brutalità tramite le regole, il benessere e la giustizia si
raggiungono con lo studio e i precetti restrittivi necessari per la convivenza
sociale. Alla natura e all’autocoltivazione di Mencio, Xunzi risponde con
l’intelligenza critica e lo studio.
Il confucianesimo divenne dottrina ufficiale di Stato grazie agli Han, poi fu
sistematizzata da Dong Zhongshu (179-104 a.C.), egli unificò la teoria
dello Yin e dello Yang con quella delle Cinque fasi (wuxing), propose la
distruzione di tutti i testi che non erano i Classici, l’imperatore Wu istituì
una scuola per preparare i futuri funzionari che studiavano i testi canonici
del confucianesimo. I grandi riformatori della scuola furono definiti spesso
eretici, come accadde a Zhu Xi (1130-1200), uno de maggiori esponenti di
quello che i sinologi (studiosi della cultura cinese) chiameranno
neoconfucianesimo. Questa corrente riprende la dottrina originaria che
sarebbe decaduta a causa delle contaminazioni taoiste e buddhiste, la
ripresa si ebbe intorno all’845, anno della condanna del buddhismo che si
stava diffondendo grazie allo strapotere politico ed economico dei monaci
buddhisti. Dall’epoca Tang in poi il buddhismo e il taoismo influenzarono
molto il pensiero confuciano, anche se si cercava sempre di ritornare al
pensiero originario di Confucio e Mencio. Wang Fuzhi (1619-1692) in
epoca Ming definì il linguaggio artificiale e cercò di arrivare a una
comprensione immediata e diretta dei rapporti e delle combinazioni
fondati su ciò che è visibile e concreto. Il neoconfucianesimo propone una
lettura sistematica del mondo e degli eventi, ricercando nella natura i
principi della morale. I pensatori di epoca Tang, come Han Yu (768-824)
ritengono che la realtà del mondo sia in contrasto con la visione buddhista
di vanità del tutto e del mondo sensibile come pura illusione, ribadiscono
l’armonia del cosmo, ma rielaborano gli apporti metafisici e mistici del
buddhismo (per esempio fanno la contemplazione da seduti -jingzuo-,
come i buddhisti). Le due correnti principali di questa dottrina sono: lixue
= studio del principio o della ragione e xinxue = studio della mente -cuore.
La prima riflette sui principi di organizzazione del mondo nascosti sotto
l’apparente disordine dei fenomeni e difende il dualismo dei princìpi delle
cose e le cose stesse, uno dei maggiori esponenti di questa corrente è Zhu
Xi, egli scrisse diversi commenti dei Classici, che divennero materia degli
esami imperiali del 1313, la seconda corrente vedeva la saggezza come
un’intuizione istantanea, l’universo come un’emanazione della mente-
cuore (esso esiste perché percepito dall’uomo), prevalse la corrente lixue,
dopo che il pensiero di Zhu Xi divenne la dottrina dell’ortodossia nel XIII
secolo.

Le Cento scuole
Nell’XI secolo – 221 a. C. la dinastia Zhou regnava solo di nome, di fatto
il potere era in mano ai signori dei vari principati e la Cina era
frammentata, dall’età del bronzo all’età del ferro si passò da un sistema
aristocratico alla formazione dell’idea di Stato centrale e della figura del
funzionario, si assistette alla crescita demografica, allo sviluppo delle città,
ai nuovi ceti mercantili, alle rivoluzioni nelle tecnologie agricole, militari,
nell’artigianato e nei mezzi di trasporto. Nel 221 Qin Shi Huangdi unificò
l’impero e in questo periodo nacquero le “Cento scuole” (baijia), questa
iperbole (esagerazione) indica la proliferazione intellettuale e la grande
libertà di orientamento e di movimento dei pensatori che hanno rapporti
non vincolanti con i regnanti, ai quali offrono i propri consigli e servizi. Il
pensiero filosofico in Cina affiora in un preciso contesto sociopolitico e ha
un orientamento pragmatico. Il dibattito era incentrato sulla natura e la
legittimazione dei regni emergenti, sulla formazione e sulla condotta
necessarie a legittimare la gestione del potere. Il pensiero filosofico non
era di tipo aristotelico ma di tipo esemplare e persuasivo e usava la
narrativa e la poesia. I cinesi danno molta importanza alla politica: la
storia del mondo comincia con l’inizio della civiltà, non c’è molto spazio
per le cosmogonie, gli inizi coincidono con la biografia dei sovrani mitici,
anche l’origine dei princìpi di Confucio è da ricercare nella politica, che
ribadisce una concezione feudale della subordinazione. Molti testi di
orientamenti filosofici che si sono poi estinti non sono mai giunti a noi,
abbiamo poche informazioni anche di filosofi importanti, come alcuni dei
padri del taoismo, Laozi, Zhuang Zhou e Confucio. Le informazioni ci
sono pervenute tramite gli storiografi, anche se spesso sono colorite o
accomodate. Le principali scuole di pensiero, registrate nell’opera
storiografica di Sima Qian Memorie di uno storico, sono 6, mentre lo
Hanshu (Storia degli Han) di Ban Gu ne cataloga 10: i confuciani, i taoisti,
la scuola dello Yin e dello Yang (yinyangjia), i moisti (mojia), la scuola
della legge (fajia), la scuola dei nomi (mingjia), la scuola dei politici
(zonghengjia), la scuola degli eclettici (zajia), la scuola dell’agricoltura
(nongjia), la scuola del “piccolo dire (xiaoshuojia). Alcuni di questi
orientamenti sono stati assorbiti dalle scuole sopravvissute (Yin e Yang),
altri sono scomparsi, come i moisti, i seguaci del Maestro Mo (Mozi/Mo
Di 479-381 a. C.), erano i principali antagonisti dei confuciani,
predicavano l’amore universale, un’organizzazione della società frugale e
tirannica. Sembra che il loro fondatore si fosse formato alla scuola
confuciana e avesse girovagato da un regno all’altro, i suoi discepoli
compilarono il Mozi, un testo oscuro, a noi giunto incompleto, ma molto
importante per la formalizzazione del discorso, in esso vengono
determinati 3 criteri di validità applicabili a qualsiasi teoria, che
propongono una visione del mondo pragmatica e uniformata all’esempio
degli antenati: conformità alla condotta dei santi re antichi, conformità a
quanto risulta evidente all’esperienza empirica e all’applicabilità pratica.
Anche per il Maestro Mo il potere deve essere amministrato da persone
valide e il popolo deve identificarsi con i propri superiori, a differenza di
Confucio, egli predica un’adesione al senso comune della gente modesta e
una politica imperniata sul risparmio economico, alla condanna della
musica, dell’etichetta e del rito, considerati inutili sperperi, del tutto
estranei alla vita del popolo. Lo sviluppo tecnologico agricolo e industriale
fece crescere le classi più ricche che decretarono la fine del moismo.
Nel trattato in 5 parti Maestro Gongsun Long (Gongsun Longzi)
dell’omonimo pensatore del III secolo a. C. si parla della controversia tra
confuciani e la scuola dei nomi, Gongsun Long riteneva ci fosse una
divergenza tra nomi e realtà, alcuni paradossi somigliano a quelli del
filosofo greco Zenone di Elea, si coglie una certa fatica e una
incompatibilità della lingua.
Una delle scuole più famose, tanto da diventare la base della dottrina di
Stato del primo imperatore della Cina è la scuola della legge, i cui teorici
principali sono Han Feizi (280-233 a. C.) e Li Si (280-208 a. C.), primo
ministro di Qin Shi Huangdi, furono allievi di Xunzi. L’espressione fajia
che identifica questa scuola, in italiano si traduce legalismo/legismo e
proponeva una concezione totalitaria dello Stato, che doveva essere diretto
autocraticamente dal sovrano con un sistema di norme e un apparato di
punizioni, non dettate dal sovrano ma da lui imparzialmente applicate. Il
consolidamento del potere fu fatto da Li Si contro il confucianesimo e
contro i pericoli per il potere della pagina scritta, nel 213 furono distrutti i
testi confuciani, ritenuti pericolosi, di cui rimase solo una copia nella
biblioteca imperiale a uso esclusiva della classe dirigente. Furono salvate
solo le opere di medicina, agricoltura, divinazione (il Libro dei mutamenti)
e storiografia. I letterati conoscevano a memoria i Classici e centinaia di
confuciani furono uccisi (sepolti vivi). L’approccio legalista dell’impero
cinese continuò nel sistema di leggi e di pene anche nelle epoche
successive.

La formazione confuciana: lo studio dei Classici e gli esami imperiali


Il termine jing = “classico” indica la “trama” di un tessuto e poi diventa
testo normativo, regolare, esso rappresenta le opere fondamentali per lo
sviluppo della civiltà e per la formazione dei letterati funzionari. Nel
tempo il corpus si è allargato fino a comprendere il Daodejing (il Libro
della Via e della sua potenza), il capolavoro del taoismo. Con il termine
jing in cinese viene tradotta anche la parola dal sanscrito, sutra = testi sacri
del buddhismo. I 5 Classici sono il Libro delle odi (Shijing), il Libro dei
documenti (Shujing), il Libro dei mutamenti (Yijing). Nel Libro dei
documenti c’è la teoria del “mandato del Cielo” (tianming) secondo la
quale Yu il Grande, il fondatore della prima dinastia, gli Xia, sarebbe stato
investito del potere direttamente dal Cielo in virtù delle sue qualità
superiori. Questa dottrina (la nobiltà d’animo potenziata
dall’autocoltivazione) è ripresa da molti pensatori (Mencio, Xunzi)
“Chiunque può diventare Yao o Shun”. Nei secoli ci furono sovrani di
origine contadina (Liu Bang, detto Gaozu, iniziatore della dinastia Han e
Hongwu, il fondatore della dinastia Ming). Il Maestro sarebbe l’autore
della sezione Xici (“Parole legate” = “Appendici” = “Grande tradizione” =
“Dieci ali”) del Libro dei mutamenti, in cui elaborerebbe l’alternanza dei
princìpi cosmici di Yin e Yang. Del corpus fanno parte Primavere e
Autunni (Chunqiu), una cronaca storica dello stato di Lu, la Tradizione di
Zuo (Zuozhuan), una raccolta di aneddoti e commentari, il Chunqiu, gli
insegnamenti di Confucio, le Memorie dei riti (Liji) un manuale di riti e
cerimonie. Viene menzionato un sesto libro, andato perduto, il Classico
della musica. In epoca Tang si aggiunsero altri testi e si arrivò a 13: due
manuali di riti, Etichetta e riti (Yili), e Riti dei Zhou (Zhouli), due
commentari di Primavere e Autunni, la Tradizione di Gongyang
(Gongyang zhuan) e la Tradizione di Guliang (Guliang zhuan), il Classico
della devozione filiale (Xiaojing), i Dialoghi di Confucio, il Mencio e un
antichissimo dizionario, Lessico letterario o Avvicinamento a ciò che è
corretto (Erya).
In epoca Song, il neoconfuciano Zhu Xi aggiunse altri testi: i Quattro libri
(sishu) = Dialoghi di Confucio, il Mencio, due sezioni delle Memorie dei
riti, il Grande studio (Daxue) e il Giusto mezzo (Zhongyong). I funzionari
venivano selezionati tra quelli che avevano una formazione confuciana già
sotto la dinastia Han, durante l’impero di Wu, ma durante la dinastia Tang
il sistema venne istituzionalizzato, gli esami si basavano sulla conoscenza
dei Classici, una prova di diritto, matematica e calligrafia, gli esami si
svolgevano una volta all’anno e prevedevano almeno 20 specializzazioni,
le più importanti davano il titolo di “esperto di Classici” (mingjing), di
“studioso introdotto” (jinshi), i figli dei funzionari e degli aristocratici
avevano un accesso facilitato anche se chiunque poteva presentarsi alle
prove, alla fine del XV secolo fu introdotta la prova del “saggio a otto
gambe” (bagu wen), una composizione divisa in 8 sezioni, con regole
rigidissime, la cui struttura sopravvive ancora nella scrittura moderna. La
composizione prevedeva l’apertura divisa in due frasi, l’amplificazione
dell’apertura in 5 frasi, dove c’era l’argomento del saggio, l’esposizione
preliminare in prosa, il tema iniziale in frasi parallele, il tema centrale in
frasi parallele, il tema finale e le conclusioni, solo in questa parte il
candidato poteva dare spazio alla sua creatività. A seconda dell’esame che
si superava si occupava il livello corrispettivo chi voleva fare carriera
doveva superare numerose altre prove teoriche e orali. Ogni anno veniva
valutato l’operato e la condotta del funzionario, che, se avesse ammonito il
sovrano, avrebbe potuto essere condannato a morte. Appare evidente che
la selezione della classe dirigente era indifferente a una gestione tecnica
della macchina statale. Confucio nei Dialoghi si appella alla forza
dell’esperienza, all’esempio degli antichi sovrani, alla pratica del wen (i 4
insegnamenti erano: la cultura = wen, la condotta sociale = xing, la lealtà =
zhong, e la fiducia = xin.

Un testo: Classico dei tre caratteri


Il Classico dei tre caratteri (Sanzijing) viene attribuito a Wamg Yinglin
(1223-1296), il letterato dei Song meridionali, anche se molti studiosi lo
mettono in dubbio. È un abbecedario (sussidiario) di 356 rime alternate di
tre caratteri ciascuna, comprende 514 caratteri, è stato utilizzato dai tempi
della dinastia Yuan fino ai Qing per la formazione dei bambini. Anche le
bambine non ammesse alle scuole pubbliche lo potevano imparare a
memoria fino al 1906. I versi (a gruppi di 4 formano le strofe) sono
semplici da memorizzare come ritornelli e filastrocche e raccontano i
fondamenti della tradizione confuciana. Nel tardo impero venne accorpato
sotto la dicitura San bai qian = Tre, cento e mille ad altri testi, il Bajia xing
= I cognomi delle cento famiglie, un elenco dei 438 cognomi più comuni in
distici di 6 caratteri in rima, il Qianzi wen = Testo dei mille caratteri, 250
versi di 4 caratteri del VI secolo con il vocabolario di uso più quotidiano.
Molti sinologi (H. Giles, J. Legge e G. Bertuccioli) suggerivano a chi
studiava il cinese la memorizzazione del Sanzijing, per raggiungere una
certa padronanza.
Pag. 69- 70.

4 Scrittura e pensiero: il taoismo


Dao, zirzn, wuwei, xian, shengren

Le origini
Con il termine Tao (dao = via, strada, cammino) veniva identificato il
principio regolatore dell’universo e il sistema assoluto della perfezione
insito in ogni cosa. Questo concetto fu un argomento di riflessione non
solo dei taoisti ma anche di tutti i pensatori della Cina antica. Gli scritti
che sanciscono le prime fasi dello sviluppo del taoismo sono: il Libro
della Via e della sua potenza (Daodejing) attribuito a Laozi, il “Vecchio
maestro” e il Zhuangzi (Maestro Zhuang) di Zhuang Zhou. Queste opere
sono state definite taoiste perché in esse il Principio primo e ultimo ha una
qualità specifica, lo ziran = ciò che è di per sé, ovvero la spontaneità, la
naturalezza di ciò che non viene imposto da altri. La libertà e l’armonia si
raggiungono soltanto seguendo totalmente il grande movimento naturale,
che avviene “di per sé”, dell’universo. È qui il vero Tao, inteso come
principio e via di salvezza. questa tesi è in contrasto con le strutture dello
Stato feudale e dei precetti morali del confucianesimo. Il taoismo si
concretizza all’inizio dell’era imperiale (II secolo a. C.), manifesta la sua
contrarietà al controllo esercitato dall’amministrazione centrale nei
confronti della vita locale e rurale, la sua ostilità nei confronti
dell’ortodossia confuciana e il suo rifiuto di assoggettarsi passivamente
alle norme ufficiali e alla gerarchia confuciana. Il Taoismo rifiutò la vita
pubblica, si isolò in una vita ascetica e in un’evasione mistica, causò
profonde ribellioni e rivolte popolari e sarà sempre una dottrina di libertà,
una dottrina originale e una eterna alternativa.

Gli scritti del taoismo mistico: Daodejing


Non è mai esistita una scuola antica taoista, si ignora l’origine del Libro
della Via e della potenza (Daodejing), il testo fondante della tradizione
taoista, anche se vanta centinaia di commenti in Cina, dalla sua traduzione
in sanscrito nel 661 divenne l’opera cinese più tradotta nelle lingue
occidentali e viene definito un “testo classico (jing). Sappiamo poco anche
del suo autore, Laozi, il “Vecchio maestro” la stesura dovrebbe essere
datata intorno al VI secolo a. C., molti studiosi dicono che l’opera è stata
redatta all’inizio del III secolo a. C. e alcune parti nel secolo precedente. Il
pensiero del maestro si manifesta attraverso detti e massime brevi, spesso
enigmatici e ambigui, ricchi di paradossi e giochi di parole, la struttura
della lingua si articola con continui rimandi tra i concetti chiave e
parallelismi delle sentenze. La lingua raggiunge la perfezione. Una delle
massime più note dell’opera, quella con cui si apre è:
Dao ke dao fei chang dao ming ke ming fei chang ming.
Ci sono molte interpretazioni, quella del sinologo olandese Duyvendak in
italiano è:
La Via veramente Via non è una via costante. I Termini veramente
Termini non sono termini costanti (Tao = via, non una via immutabile,
costante e permanente, ma è mutevole, l’Essere e il Non-essere, la vita e la
morte si alternano costantemente, non vi è nulla di fisso o immutabile).
La maggior parte dei traduttori intendono la parola chang = “eterno”, il
significato della frase è del tutto diverso:
“La Via che può essere seguita (oppure che può essere espressa dalla
parola) non è la via eterna. Il Nome che può essere nominato non è il
Nome eterno”.
Tra le traduzioni in italiano c’è quella di Fausto Tomassini: “Il Tao che
può essere detto/ non è l’eterno Tao / il nome che può essere nominato /
non è l’eterno nome”. L’autore spiega che il Tao è la via/ sistema/modo di
condursi, è la via della carità, della giustizia, dei riti, della sapienza (quella
dei libri canonici e dei confuciani), il termine chang = eterno, significa
perenne, immutabile, costante.
Negli anni Settanta Lionello Lanciotti propone: “Il tao che può essere
definito non è il tao costante / I nomi che possono essere nominati non
sono nomi costanti”.
La proposta di Attilio Andreini è: “La via che come tale può essere presa,
Via eterna non è / Il nome che come tale può esser preso, nome eterno non
è”.
Sia la brevità del testo originale che le interpretazioni contraddittorie sono
la prova della capacità combinatoria dei caratteri e dell’estrema creatività
di quello che viene chiamato “il paradosso della lingua” (la lingua non
riesce a ad esprimere appieno le cose). I versi rimati e ritmati del breve
testo hanno uno stile singolare, semplice e oscuro, sono una novità rispetto
alle opere precedenti (esposizioni didattiche con domande e risposte e
dialoghi), sono invece un pensiero “messo in versi” con aforismi,
metafore, salti di palo in frasca e accostamenti folgoranti. Il testo sembra
avere una forza incantatrice ed è destinato ad essere cantato e memorizzato
come è avvenuto in alcune sette religiose. La versione ufficiale è datata tra
il I e il II secolo d. C., consta di 81 stanze raggruppate in due parti, oltre
alla versione di Mawangdui, ne esiste un’altra rinvenuta nel 1993 a
Guodian, nello Hubei, che gli studiosi ritengono la più antica (350-300 a.
C.). secondo Schipper “ciò di cui si può parlare” indicherebbe le dottrine
Tao dei confuciani mentre il Tao del Vecchio maestro è eterno, coesistente
con l’Universo e a esso antecedente, un Tao primordiale, inteso come
“nulla” in opposizione alla materia sensibile di ciò che esiste, non è una
negazione dell’essere, ma un vuoto colmo di potenzialità e di efficacia.
Senso del misero, percorso iniziatico verso un’ascesi mentale che porti alla
totale realizzazione dell’unione con la Natura (da ziran = il “grande di per
sé”). Nel primo capitolo del Daodejing, composto da 69 caratteri, si dice:
“Senza nome” è dei Diecimila esseri il cominciamento, “Ha nome” quel
che dei Diecimila esseri è la Madre, sicché nella costante cessazione del
desio se ne contempla il prodigio, e nel costante desio se ne contempla il
limite manifesto.
È il raggiungimento dello stato permanente del non-desiderio che consente
di poter contemplare il mistero, questo percorso di ascesi viene suggerito,
indicato e proposto, non si deve guardare ciò che non si potrebbe
desiderare perché le passioni usurano e causano una perdita dell’energia
vitale, non bisogna usurare le proprie energie, ma lasciare tutto allo stato
originale (ziran). Questa spontaneità si ottiene attraverso la non azione (wu
wei), ovvero non turbando l’armonia naturale attraverso inopportuni
interventi dettati da norme e costumi artificiosi e falsi. Colui che pratica il
Tao diventa come un neonato, grazie al nutrimento appropriato conserva le
proprie forze vitali e la sua azione rimane spontanea, un tale essere è
invulnerabile.

Zhuangzi
Il Zhuangzi è una miscellanea attribuita a Zhuang Zhou (IV secolo a. C.),
un pensatore dello stato di Song, nell’odierno Henan, vissuto nell’epoca
degli Stati combattenti, ma forse fu redatto in epoca successiva. Qui il
Santo, Immortale per definizione, vive una vita speciale, ha un corpo
sottile, più leggero, purificato attraverso una dieta, esercizi particolari,
beve la rugiada dei picchi montani, acquista poteri soprannaturali che gli
consentono di cavalcare le nuvole e di salire nei cieli. La sua non è una
vita post mortem, non una longevità terrena, ma una vita trascendentale,
attraverso una trasformazione corporea e un volo ascetico = immortalità. I
taoisti compirono pellegrinaggi verso le Montagne sacre (Immortale =
xian = uomo, ren, accanto alla montagna, shan), alla ricerca di foreste
incontaminate, animali straordinari, frutti rarissimi e succulenti, preziose
sostanze minerali per creare pozioni alchemiche che garantiscono loro
l’immortalità del corpo o “lunga vita” (changshou), per i taoisti zhi =
alcune sostanze di nature vegetale, minerale o animale che conferivano
longevità da diecimila anni in avanti. Nel Canone taoista (Daozang) ci
sono i racconti di questi percorsi, viaggi, ricette, pozioni, rituali, pratiche
segrete, l’opera è un’enciclopedia redatta in epoca Ming e raccoglie tutto il
sapere del taoismo. L’opera è dedicata a colui che aspira a una vita al di
fuori dell’ufficialità e delle convenzioni sociali. È una raccolta pervenutaci
tra il III e il IV secolo, ad opera dell’erudito Guo Xiang, in 33 capitoli,
divisa in tre parti: Sezione interna (l’unica originale di Zhuang Zhou),
Sezione esterna, Varia. Il libro contiene storie fantastiche, favole,
leggende, apologhi, invettive, massime e aforismi. Le sentenze appaiono a
volte lapidarie e oscure, ma la lettura è scorrevole e stimolante. L’opera è
in polemica con l’ordine costitutivo, con l’ortodossia confuciana e con il
sistema gerarchico del tempo, le storie sono paradossali, fantastiche,
(viaggi nel più alto dei cieli, nel paese del non luogo, in groppa a draghi
volanti, e a uccelli fatati). L’autore usa l’ironia e la satira e smaschera la
finzione, la falsità della politica e della morale dei confuciani e l’astuzia
retorica del potere costituito. L’opera appare scritta con completa libertà e
spregiudicatezza, è ricca di allusioni, metafore e citazioni e ha un’ampia
esposizione delle varie correnti di pensiero di quel tempo.

Ancora Yin e Yang


La citata sentenza della stanza XLII del Daodejing:
Dao sheng yi yi sheng ere r sheng san san sheng wan wu insieme a Wan
wu fu yin bao yang chong qi yi wei he
traduzione di Duyvendak: Uno ha prodotto due; due hanno prodotto tre; tre
hanno prodotto i diecimila esseri. I diecimila esseri si scostano
dall’elemento Yin e abbracciano l’elemento Yang. Il soffio vuoto ne fa una
mescolanza armoniosa.
Esso serve a inquadrare meglio le principali correnti e tendenze presenti in
Cina in epoca pre-Han. Il passo forse non è autentico ma è più tardo, in
esso compare per la prima volta il dualismo delle forze Yin e Yang, Yin è
la categoria oscura, fredda, femminile, passiva, Yang è la categoria chiara,
calda, maschile e attiva.
Tomassini traduce: Il Tao generò l’Uno/ l’Uno generò il Due/ Il Due
generò il Tre/ Il Tre generò le diecimila creature/Le creature voltano le
spalle allo yin e volgono il volto allo yang/ il ch’i infuso le rende
armoniose.
Lanciotti scrive: Il tao produce l’uno, l’uno produce il due, il due produce
il tre, il tre produce tutti gli esseri. Tutti gli esseri volgono le spalle allo yin
e abbracciano lo yang, e il soffio vuoto li armonizza.
Attilio Andreini recita La Via generò l’Uno, / e da Uno furon Due, / E da
Due, Tre, / E da Tre ecco i Diecimila esseri. / Questi portan sul dorso yin e
stringono al petto yang / E dal congiungersi dei soffi vitali all’armonia
giungono.
Importante è mettere l’accento sull’armonia perfetta delle due forze alla
quale si arriva grazie al soffio vitale, il qi, l’energia primordiale ed efficace
che tutto permea e completa. Vengono citate le forze complementari Yin e
Yang, i fondamenti della cosmologia cinese, i pilastri della speculazione
materialista legata al divenire della natura. Le prime correnti filosofiche
della Cina antica avevano definito i valori sovrapponendo al mondo
naturale delle modalità umanistiche (ritualismo estetico e utilitarismo
razionalistico), con la fine della ritualità e del cerimoniale antico e la fine
degli Zhou (epoca degli Stati combattenti) si fa riferimento al corso
naturale delle cose, nasce un vero e proprio pensiero cosmologico, in
questo periodo nascono i filoni di pensiero che cercano nella natura la
fonte di ogni saggezza, compreso il taoismo primitivo del Laozi e del
Zhuangzi.

I fangshi e le Cinque fasi


Intorno al 300 a. C. nacquero alcune correnti di pensiero che legavano il
naturalismo cosmologico alle pratiche volte a ottenere l’immortalità,
tipiche dei fangshi, gli esorcisti di epoca Zhou, specialisti venuti dai
“quattro orienti” detentori di un sapere tecnico, magico ed esoterico. Gli
scritti esoterici del taoismo e dei fangshi costituiscono l’ossatura del
corpus testuale raccolto nel Canone taoista, al quali si aggiunsero i testi
rivelati. Queste correnti ricercano il rapporto tra l’uomo e il cosmo, la loro
forma di pensiero correlativo che sottolinea i rapporti di analogia tra il
Cielo e l’Uomo (antropo-cosmologia), le origini sono oscure, e solo
nell’epoca degli Stati combattenti “Yin e Yang iniziano ad essere percepiti
come due soffi primordiali o prìncipi cosmici che con il loro alternarsi e la
loro interazione presiedono all’insorgenza e all’evoluzione dell’universo”.
Lo storico Sima Qian chiamò in epoca tarda questa fase: scuola dello
Yin/Yang e delle Cinque fasi (yinyang wuxing jia). Acqua (shui), fuoco
(huo), legno (mu), metallo (jin), terra (tu) vengono per la prima volta
definiti wuxing nella “Grande regola” del Libro dei documenti (Shujing),
un testo che dovrebbe risalire all’XI secolo ma che risulta essere del IV
secolo. Il termine wuxing viene tradotto in italiano con “Cinque elementi”,
xing più che elemento significa camminare/andare/agire, sarebbe meglio
dire “Cinque agenti o Cinque fasi”. L’acqua è lo Yin perfetto e lo Yang è il
fuoco perfetto, lo Yin nascente è il metallo, lo Yang nascente è il legno, la
terra riunisce gli altri 4 e agisce come fase intermedia in ogni tappa del
movimento ciclico. Le Cinque fasi costruiscono un sistema di
classificazione, un riordino del mondo, in cui trovano posto altri insiemi
come i punti cardinali, i colori, le note della scala pentatonica, i visceri, i
sapori e così via. Nel periodo degli Stati combattenti l’alternanza tra lo Yin
e lo Yang si combina perfettamente con le Cinque fasi, esse diventano
“fasi o porzioni di tempo (giornata, stagione, anno, dinastia) corrispondenti
a qualità determinate che si succedono ciclicamente a punti di riferimento
fissati nello spazio”.
Corrispondenza tra le diverse categorie (pag. 82)
Corrispondenza tra altri insiemi (pag. 83)

Il taoismo esoterico: la corrente Huanglao


La sintesi delle diverse correnti del pensiero operata in epoca pre-Han
viene chiamata “corrente Huanglao” / scuola Huanglao”, l’espressione
fonde i nomi di Huangdi, uno dei sovrani mitici, il patrono delle pratiche e
delle tecniche esoteriche e di Laozi, ovvero i due saggi principali sotto la
cui egida i pensatori dell’epoca avevano elaborato il loro sistema di
pensiero. Questa corrente elabora una visione di governo attraverso il non
agire, ma viene riconosciuto solo da pochi e isolati funzionari locali e da
alcuni aristocratici, come il principe Liu An (II secolo a. C.) di Huainan,
che riunisce intorno a sé un cenacolo di saggi taoisti con i quali compone
un’opera che porta il suo nome, Huainanzi. Il Tao si identifica con un
susseguirsi ciclico e con il sistema di corrispondenze, il Tao si raggiunge
assimilandosi completamente alla ragione naturale., si diventa santo
(shengren) attraverso la continua pratica di tecniche, il Tao si può
apprendere. Nella raccolta agiografica (culto dei santi) dell’epoca degli
Han orientali Biografie di Immortali (Liexianzhuan) ci sono le biografie
leggendarie dei santi taoisti, è un inventario di pratiche come la
respirazione embrionale, pratiche sessuali, alchimia interiore ed esteriore,
astinenza dai cereali, assunzione di droghe, autocremazione, ginnastica,
esercizi respiratori, calcoli astrologici e formule magiche. Queste pratiche
furono rifiutate dai confuciani ma ebbero fortuna presso le corti imperiali,
il sovrano seguiva i suoi funzionari confuciani per la politica e per
l’amministrazione, però cercava di ottenere dai fangshi e dai taoisti il
segreto della longevità, il potenziamento delle capacità sessuali per
mantenere le tante mogli e concubine che vivevano nel palazzo reale e per
preservare la sua immagine di superuomo e autentico Figlio del Cielo
(tianzi).

Il taoismo religioso
In questo clima nacque l’”ecclesia taoista”, nel 142 d.C. il Vecchio
maestro Laozi torna nel mondo per salvarlo dall’apocalisse imminente, si
rivela a Zhang Daoling, un immortale che risiede su una montagna nel
nord del Sichuan e assume il nome di “Vecchio signore” (Laojun), un
nome teologico, divino, la personificazione del Tao in quanto essenza
cosmica. La nuova comunità religiosa affonda le proprie radici nei culti
locali, Zhang Daoling è immortale leggendario di quelle regioni, le
comunità si radunavano in adunanze rituali (hui) intorno ai Maestri celesti.
Nel 166 con la comparsa delle scritture nasce il Canone della Grande pace
(Taipingjing), il taoismo si allontana sempre più dall’élite burocratica al
potere, in diverse regioni dell’impero scoppiano rivolte antidinastiche, nel
148 scoppia la ribellione dei Turbanti gialli e nel 220 d. C. crolla la
dinastia degli Han. I taoisti sperimentano la ricerca dell’evasione mistica
verso l’immortalità individuale. Lo “studio oscuro” (xuanxue) rimane per
alcuni secoli la dottrina metafisica dominante cinese, ispirerà il
buddhismo. Narra una leggenda che Laozi, dopo l’ultima notte trascorsa
nell’avamposto più occidentale del paese, durante la quale aveva scritto il
suo capolavoro in cinquemila parole (wuqianyan) (Daodejing), si
allontanò verso l’occidente in groppa a un bufalo; sarebbe l’Illuminato,
ovvero il Buddha. Nel IV secolo la Cina del nord fu invasa da popoli
dell’Asia centrale, buddhisti, nella Cina del sud si diffuse il taoismo, nel
437 Lu Xiujing, un patriarca scrisse un catalogo di opere, ritenute
autentiche, tra cui il Canone della Grande pace. Nasce il primo Canone
taoista (Daozang), raccolto nelle “Tre grotte” (sandong), il Canone è stato
arricchito fino ad arrivare a settemila rotoli, nel 1281 Kubilai Khan ordinò
di bruciare tutto tranne il Daodejing, tra il 1406 e il 1445 il Canone venne
ricostruito ed è arrivato nel XX secolo in un solo esemplare completo
ristampato nel 1926. Il Canone taoista si articola in tre parti: il culto degli
immortali, la liturgia della comunità e la mistica individuale, poi verrà
suddiviso in 7 parti (i 7 stadi del percorso di iniziazione degli adepti:
l’entrata nella comunità del Maestro celeste, lo studio del Daodejing, le
pratiche di lunga vita, la ricerca alchemica, meditazione, dieta e
ginnastica). Ancora una volta la parola scritta ufficializza la memoria e
l’appartenenza a una comunità religiosa e sociale.

Un testo: Libro dei mutamenti


Il Libro dei mutamenti (Yijing) fu redatto, secondo la tradizione, da uno dei
saggi sovrani dell’epoca Zhou, il re Wen, che ha il compito di decifrare e
tramandare ai posteri i magici segni della divinazione scoperti
dall’imperatore Fu Xi. La base di tale sistema sono gli “otto trigrammi”
(bagua), ognuno dei quali appare composto da una combinazione di tre
linee sovrapposte, intere o spezzate, la combinazione di due trigrammi
risulta in esagrammi, con 64 possibili varianti. In aggiunta ci sono
annotazioni e commenti (alcuni attribuiti a Confucio), la selezione
dell’esagramma intorno a cui si sviluppa il commento si serve di 49 steli
della pianta sacra, l’achillea, o mediante i lanci delle monete alle cui facce
viene dato un dato valore numerico.
Pag. 87-90.
Kai Vogelsang

Cina Una storia millenaria

Introduzione (pag. XVI-XXVI)

Verso il 1200 a.C. in primavera, nell’ottavo giorno del ciclo, Wu Ding,


sovrano della dinastia Shang, sta nel tempio regale degli antenati, intorno a
lui vasi di bronzo colmi di cereali, vino e miglio per gli spiriti degli
antenati, uno di loro deve essere adirato, perché Wu Ding ha mal di denti,
un sacerdote dell’oracolo prende un piastrone di carapace di tartaruga e
dice: “E’ il padre Jia!”, nel carapace si apre una lunga crepa, il sacerdote fa
bruciare un altro carapace, “E’ il padre Geng!”, un’altra crepa. Wu Ding fa
sacrificare una pecora e un cane, cerca nelle crepe una risposta alla sua
domanda su quale tra gli spiriti degli antenati sia la causa del suo mal di
denti.
Verso il 510 Confucio è nella sala, quando domanda a suo figlio, Li: “Hai
studiato le odi?” risponde: “Non ancora”, “Se non studi le odi, non avrai
niente da dire”, Li torna indietro e studia le odi. Il giorno seguente
Confucio ferma il figlio e gli chiede: “Hai studiato i riti?” “Non ancora”,
“Se non studi le antiche norme rituali, -lo richiama Confucio- non avrai
nulla con cui consolidarti”. Li torna indietro e studia i riti.
873 d. C. nell’ottavo giorno del quarto mese l’osso di un dito di Buddha
viene collocato su una portantina riccamente addobbata e trasferito
solennemente nella capitale dei Tang, l’aria è piena di incenso, i monaci
cantano e migliaia di fedeli si accalcano ai bordi delle strade per salutare la
reliquia, anche l’imperatore le rende omaggio, la gente è entusiasta e
l’osso giunge nel palazzo, dove viene posto su un cuscino adorno di frange
e precedentemente intiepidito
1852, anno del Ratto, nel nono giorno dell’ottavo mese, diecimila uomini
giovani e meno giovani sono giunti a Nanjing per sostenere l’esame
provinciale, hanno studiato dal loro quarto anno di vita, hanno imparato i
principi della scrittura cinese, il Testo dei mille caratteri, i Quattro libri e i
Cinque scritti canonici, (testi lunghi mezzo milione di caratteri). Hanno
fatto 3 esami ma questo è il più difficile, soltanto uno su 20 lo supererà.
Verso l’una di notte 3 colpi di cannone segnalano l’inizio delle prove, i
candidati per tre volte dovranno trascorrere tre giorni e due notti in celle
singole, sorvegliati rigidamente dovranno rispondere alle domande sugli
scritti canonici e scrivere temi su questioni amministrative e argomenti
politici, i vincitori avranno un impiego pubblico di basso livello oppure
potranno sostenere l’esame di grado superiore nella capitale.
Giovedì 18 agosto 1966, cinque di mattina Mao Zedong in uniforme verde
entra nella piazza della Pace Celeste, risuona l’inno L’Oriente è rosso, in
piazza ci sono più di un milione di persone, sono giunti da tutto il paese a
Beijing per vedere il loro idolo, tengono in mano il Libretto Rosso dei
pensieri di Mao, che recitano a memoria. Molti di loro hanno fatto la
Rivoluzione culturale proletaria. La piazza è piena di bandiere rosse,
“Lunga vita al glorioso Partito comunista cinese! lunga vita al grande
presidente Mao! 10.000 anni!” gridano e non dimenticheranno mai questa
esperienza.
Queste sono 5 scene tratte dalla storia della Cina, 5 scene che mostrano
come siano state diverse nel corso di 3 millenni le esperienze dei cinesi,
molte volte i Cinesi sono stati estranei a se stessi, Confucio non conosceva
più i riti degli Shang, i Cinesi del IX secolo d.C. erano molto diversi dalla
civiltà di Confucio, i saggi del mondo antico erano stati dimenticati e la
loro lingua era diventata incomprensibile. Gli eruditi dei libri della tarda
età imperiale avrebbero condannato i buddhisti, essi cercavano la salvezza
negli esami “confuciani”, talmente difficile che neanche Confucio sarebbe
stato in grado di superare. Alcuni intellettuali del XX secolo eliminano la
vecchia società e le Guardie Rosse estirpano le antiche consuetudini. La
storia tratta del mutamento delle cose e la coscienza storica è la visione
della fondamentale incostanza di tutte le forme. In Cina le cose vanno
diversamente, il vecchio luogo comune della “Cina eterna” è ancora in
voga: le dottrine del confucianesimo, del daoismo, la scrittura enigmatica,
l’astuzia degli “stratagemmi” sembrano intramontabili e sembrano non
avere una storia. Sia la storia che la storiografia riducono e poi avvicinano
eventi disparati, costruiscono tra essi un legame significativo. La
storiografia cinese da 2000 anni tramanda l’immagine di una civiltà
elevata e omogenea che si è sviluppata intorno ad un impero unitario, i
sovrani si alternavano e i confini si spostavano, ma l’unità della tradizione
resta ben salda. Le storie nazionali del XX e del XXI secolo narrano la
storia della Cina e l’ascesa del popolo cinese, del suo ritrovarsi nello stato
nazionale. La storia della Cina abbraccia 5000 anni, nel III millennio a.C. i
Cinesi avrebbero fondato lungo il medio corso del Fiume Giallo le tre
dinastie (Xia, Shang e Zhou), avrebbero esteso la loro influenza su quasi
l’intero continente, la nazione cinese è sempre stata unita e omogenea.
Perché la storia della Cina insiste sull’unità e sulla costanza? Forse perché
alla base c’è un problema di instabilità e di discontinuità?
L’autocomprensione della Cina come stato nazionale rese necessaria una
storia che legittimasse la sua identità.
Il sostantivo cinese che indica la Cina è Zhongguo era in origine un plurale
= “gli stati di mezzo” della pianura della Cina settentrionale, più tardi
divenne un singolare “il regno di mezzo”, dal XVII al XIX secolo il
termine indicava l’impero plurinazionale. Solo così furono chiamati
“Cinesi” i diversi gruppi etnici, religiosi e regionali che prima erano
definiti autonomi. Bisogna intendere la “Cina” come un singolare
collettivo, che lega in un solo concetto diversità molteplici: tanti luoghi
separati in un solo spazio, tanti modelli diversi di comportamento in una
sola civiltà, tante persone diverse in quanto individui in una sola nazione,
tanti dialetti locali in una sola lingua colta e tanti eventi in una sola storia.
La civiltà in Cina all’inizio non era caratterizzata dall’unitarietà ma dalla
molteplicità, le culture nel Neolitico e nell’età del Bronzo si formarono
l’una accanto all’altra e avevano usi e costumi propri, verso il IX secolo a.
C. si cominciò a parlare di legami tra le famiglie e le regioni. La “Cina” è
sorta in seguito ai contatti e alle mescolanze tra i gruppi diversi e “la
civiltà cinese” si è formata per far adattare reciprocamente le varie forme
di vita, per appianare le differenze tra le varie forme di civiltà (norme
rituali, burocrazia, morale, autocrazia, corruzione, totalitarismo ecc.). gli
studi recenti dimostrano che in Cina non si è diffusa una civiltà autoctona
capace di trarre ogni forza da se stessa, non la forza nazionale e
l’isolamento autosufficiente caratterizzano la storia della Cina, ma il
costante influsso del mondo circostante.
La Cina non ha mai accolto gli influssi dall’esterno lasciandoli intatti, ma
li ha sempre adattati ai propri rapporti interni trasformandoli in modo
creativo (il buddhismo si è mescolato alle dottrine daoiste, i gesuiti
diffusero il cristianesimo utilizzando concetti cinesi, il socialismo assunse
caratteristiche cinesi, la modernità cinese si può comprendere se non si
parte dal modello occidentale). La civiltà e la nazione cinese (una
comunità solidale e al di sopra delle classi) sono sorte in età moderna,
prima della diffusione della stampa la comunicazione era troppo limitata
nello spazio, c’erano troppe differenze tra città e campagna, tra élite e
popolo, per millenni un piccolo gruppo formato solo dal 10% della
popolazione dominava su una massa anonima e analfabeta, quest’élite era
separata per usi, costumi e linguaggio, creava la cultura, l’arte, praticava la
giustizia e faceva la politica. Il popolo viveva in comunità isolate in una
molteplicità di culture locali, parlava dialetti diversi e conservava usi e
costumi propri. La storia della Cina narra come sorse la società elitaria,
come si trasformò a contatto con la natura, con i popoli confinanti e con gli
strati inferiori del popolo, ed è diventata una società nazionale e mondiale.
Questo processo non è la formazione coerente di un’unica cultura, ma una
serie di trasformazioni diverse. L’élite ha cercato di sottomettere le tante
culture in un ordinamento unitario, senza riuscirci. La storia nazionale
cinese è un mosaico variopinto, spesso interrotto, percorso da crepe e
sottili sfumature. Le caratteristiche che lo storico vede sono: molteplicità,
mutamento e discontinuità. La storia della Cina non impressione per la sua
grandezza monumentale e compiutezza, ma affascina per la sua policromia
e i suoi contrasti.

1 Lo spazio
Oggi il territorio della Repubblica popolare cinese comprende 9.6 milioni
di km quadrati, poco meno dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, da ovest a
est ci sono 5000 km dal Pamir all’Oceano Pacifico, da nord a sud 3500 km
dalla Siberia meridionale fino ai Tropici, ci sono quasi tutti i tipi di clima e
paesaggio (tropicale nella costa minacciata dai tifoni, continentale della
steppa subpolare; coste rocciose delle isole del sud, spiagge sabbiose del
nord, bassopiano fluviale, arido deserto, cime ghiacciate dell’Himalaya).
In Cina c’è la montagna più alta del mondo (l’Everest 8848 m), la
depressione tra le più basse del mondo (Turfan 154 m sotto il livello del
mare). I Cinesi hanno bonificato paludi, scavato canali, terrazzato colline,
conquistato nuovi terreni fertili, hanno trasformato radicalmente il loro
ambiente naturale. Una costante della Cina sono i monti, si sono formati
molto prima dell’uomo e hanno posto una barriera alle sue forme di vita,
l’Himalaya, il Karakorum, il Pamir, il Tianshan e la catena dell’Altai
dividono l’Asia orientale da quella meridionale, centrale, e dalla Siberia
occidentale, a est delle catene montuose la regione scende su tre ampi
gradini: il primo è formato dagli altopiani, quello del Tibet-Qinghai, (4000
m = il tetto del mondo), il secondo gradino è formato a nord e a est dal
bacino del Tarim, l’altopiano mongolo, l’altopiano del loess della Cina
settentrionale, il bacino del Sichuan e l’altopiano dello Yunnan (1000-
2000 m) e il terzo gradino è formato dalle pianure, le colline orientali e
meridionali (500 m di altezza), è il cuore della Cina, la zona ad altissima
densità di popolazione. La civiltà cinese nacque e si sviluppò in questa
ultima regione di pianure e colline, fertile e favorita dal clima, vi scorrono
lo Huanghe (“Fiume Giallo”) e lo Yangzi (le arterie della Cina), entrambi
nascono dalle montagne del Qinghai, attraversano la regione centrale della
Cina da ovest a est, la più importante barriera tra nord e sud è la catena dei
monti Qinling (4000 m), essa si trova sul 33° di latitudine da ovest a est,
agisce da confine climatico e divide la Cina in due: i venti siberiani
portano aria fredda e secca nei mesi invernali a nord; i monsoni caldi e
umidi portano abbondanti precipitazioni a sud, la differenza di clima ha
fatto sorgere tra nord e sud due regioni culturalmente, economicamente e
socialmente diverse. Nella Cina settentrionale domina un clima
continentale, secco, con estati calde e inverni polverosi e molto freddi, nei
mesi estivi piove molto (50-60 cm annui), il periodo vegetativo dura 6
mesi, in queste zone si coltivano frumento e miglio (agricoltura a secco), la
coltivazione nelle regioni del nord è un’impresa precaria: le precipitazioni
irregolari provocano periodi di siccità, le inondazioni del Fiume Giallo
distruggono interi raccolti, gli alti argini costruiti dagli uomini dimostrano
la millenaria lotta dei contadini del nord contro le calamità naturali. A sud,
al di là della catena Qinling e del fiume Huai il monsone d’estate porta aria
calda e umida da sud-est, le precipitazioni sono abbondanti e regolari (100-
120 cm), lo Yangzi fornisce rifornimenti idrici, il bassopiano dello Yangzi
è il territorio più fertile della Cina, qui si produce il riso e il miglio, il
periodo vegetativo dura 9 mesi, ci sono 2 raccolti l’anno, il sud è il granaio
della Cina, il suo baricentro demografico da due mila anni, la maggior
parte dell’attuale miliardo e trecento milioni di Cinesi vive al sud (Al sud
la barca, al nord il cavallo), le aride pianure del nord non ostacolano il
movimento di uomini e beni, a sud le colline e i fiumi rendono difficili le
comunicazioni via terra. Queste differenze hanno sempre segnato la
divisione tra nord e sud e hanno frammentato e isolato le regioni del sud,
alcune delle quali chiedevano e chiedono l’autonomia politica (zona
costiera del Fujian). Fin dall’età della pietra le culture del nord e del sud si
sono formate diversamente, le unificazioni sono sempre partite dalle
grandi pianure del nord. Le regioni circostanti dell’Asia centrale hanno
sempre avuto contrasti con la Cina, alcuni sono stati integrati nell’impero
(per esempio la Manciuria dai Qing nel XVIII secolo) e oggi sono
autonomi, essi sono separati fisicamente dalla Cina: il confine montuoso
cinese-tibetano a ovest, la catena del Xing’an a est, la Grande Muraglia
(eretta dall’uomo) a nord dal Gansu fino al Golfo di Bohai. Il confine più
evidente è quello climatico-agricolo, a nord e a ovest della Cina
l’agricoltura è quasi impossibile perché le precipitazioni sono scarse
(meno di 400 mm l’anno), queste sono le zone delle foreste della
Manciuria (la patria dell’ultima dinastia imperiale), le steppe della
Mongolia, il deserto dei Gobi, il Turkestan orientale (600.000 km quadrati,
oggi si chiama Xinjiang), la Zungaria, il bacino del Tarim e la regione
desertica del Taklamakan, a sud gli aridi altipiani del Qinghai e del Tibet.
Nella regione cinese originaria vivevano i contadini sedentari, i cittadini, i
commercianti e si è sviluppata l’arte, la poesia e la filosofia; nelle regioni
del nord vivevano i “barbari”, allevatori seminomadi di pecore e cavalli, i
cavalieri cacciatori e guerrieri, le loro lingue (turco, mongolo e mancese)
non somigliano al cinese, non hanno conosciuto la scrittura per molto
tempo, sono stati definiti l’antitesi della cultura cinese, erano l’Altro, ma la
Cina, nonostante tutte le sue differenze interne, veniva rappresentata come
un’unità. I sovrani cinesi hanno però favorito una politica di matrimoni
con i popoli stranieri, gli Xiongnu vengono definiti lontani parenti dei
Cinesi, le grandi dinastie Zhou, Qin e Tang vengono dall’ovest, i Tuoba, i
Khitan, gli Jurchen, i Mongoli e i Manciù hanno dominato sia in Cina che
in molte parti dell’Asia, l’impero raggiunse le sue massime estensioni
territoriali durante il dominio di tali popoli. L’impero unitario cinese non
fu mai unitario né dal punto di vista etnico che da quello culturale, tanti
popoli vissero insieme alla popolazione cinese, portando guerre ma anche
arricchimenti per la civiltà.
2 Il tempo
La tavola delle dinastie è la prima fonte di legittimazione della storia
monolitica della Cina, le liste dei sovrani passano al di sopra di ogni
rivolgimento economico, sociale e culturale, ma ci sono molte crepe, molte
rotture e molte discontinuità.
Dopo le prime due dinastie, la cui storia è molto oscura, le dinastie degli
Zhou, degli Han, dei Jin si dividono in occidentali e orientali, poi ci sono
gli Stati Combattenti, i Tre regni, le dinastie meridionali e settentrionali, le
Cinque Dinastie, i Dieci Regni. Per molti secoli la storia della Cina è stata
politicamente divisa, dal 220 (la fine egli Han) al 1912 (la caduta dei Qing)
per 750 anni la Cina fu frazionata in stati diversi e di volta in volta soltanto
una delle dinastie in concorrenza rappresentava la linea giusta (zhengtong).
Le più grandi e potenti dinastie non dominarono quasi mai la regione
centrale, gli Han dovettero cedere i loro territori orientali ad altri re o ai
proprietari terrieri delle province; i Tang, dopo 150 anni, perdettero il
potere su vasti territori in favore dei generali; l’impero Song fu diviso in
settentrionale e meridionale; fino alla tarda età imperiale tutto il sud fu
popolato solo a tratti lungo le coste e i fiumi, nell’epoca Song furono
acquisiti il Fujian e lo Hunan, in epoca Qin il Guizhou e lo Yunnan.

3 Le fonti
Le fonti a disposizione sono varie, fino al XX secolo la storia della Cina è
basata sulla letteratura tramandata: i Cinque scritti canonici: il Classico
dei mutamenti (Yijing), il Classico dei documenti (Shujing), il Classico
delle odi (Shijng), gli Annali delle primavere e degli autunni (Chunqiu) e
le Memorie sui riti (Liji) e inoltre le 25 storie dinastiche. Le opere storiche,
le antiche opere canoniche e filosofiche non sono fonti in senso proprio,
perché sono state scritte più tardi, non sono state scritte dalla persona alla
quale sono state attribuite e non sono giunte a noi nella forma originaria.
Non esiste una fonte contemporanea alla vita di Confucio, i testi a nostra
disposizione hanno alle spalle mille anni di traduzioni orali e scritte, passi
corrotti, negligenze, cambiamenti e uniformazioni ortodosse. La maggior
parte delle fonti primarie sono andate perdute, un quarto della letteratura
più antica è arrivata a noi, le biblioteche spesso venivano bruciate, molti
documenti furono eliminati, molti testi, prima dell’invenzione della
stampa, non erano stati copiati. Ne l xx secolo divennero disponibili molte
fonti primarie e il quadro storico monolitico cominciò a vacillare: i
manoscritti di Dunhuang ci testimoniano la vita poliglotta e multiculturale
di un’oasi, le iscrizioni su ossi e bronzi ci raccontano le cerimonie
oracolari degli Shang, i documenti dei funzionari di epoca Qin ci danno un
quadro dettagliato dell’amministrazione di uno stato multietnico, i
manoscritti sepolcrali delle epoche Zhanguo e Han ci restituiscono le
dottrine eterodosse della tarda antichità, l’apertura di molti archivi ci
permette di studiare la storia moderna al di là della propaganda ufficiale.
Questi testi, se non sono falsi, ci offrono una prospettiva diversa e mettono
a fuoco la molteplicità della storia e ci dicono che il quadro storico
tramandato sia riduttivo e deviato. Le nuove fonti evidenziano il
soggettivismo della letteratura tradizionale, ma anche la sua visione
prospettica. Una storia della Cina deve spiegare come sia nata
l’autodescrizione di se stessa, come la Cina oggi intenda se stessa come
una grande nazione con 5000 anni di storia e come questa autodescrizione
possa sgretolarsi. Questo libro terrà conto di entrambe le descrizioni:
quella tradizionale (quella che ogni cinese sa della sua storia) e quella
critico-scientifica.
Miti e preistoria (VIII millennio-XIII secolo a.C.).
Culture regionali e dominazione per mezzo della violenza.
(pag. 3-141)
Le narrazioni dei fondatori delle civiltà e dei saggi imperatori preistorici
sono legate ai miti e grazie a loro si parla di 5 millenni di civiltà cinese.
Attorno al 1920 cominciò l’archeologia scientifica in Cina, furono ritrovati
resti delle civiltà agricole, sorte verso l’VIII millennio a.C. sulle sponde
dello Huanghe e dello Yangzi, queste civiltà sono le basi della preistoria
cinese. La preistoria ci pone la diversità della Cina: la vicinanza, la
contrapposizione, la mescolanza e l’influenza reciproca di diverse culture
regionali, non c’è un impero unitario e organizzato centralmente, ma una
pluralità frammentata di culture regionali. Nella preistoria non ci sono eroi,
non ci sono sovrani che tengono in pugno il destino dell’impero, ma ci
sono forze anonime e inconsce del mutamento sociale. Le culture
neolitiche formarono strutture differenziate, nel V millennio nelle
comunità di villaggio si separarono alcune famiglie che presero le
occupazioni di tutta la comunità, poi apparvero gli specialisti nel campo
dell’artigianato e della religione. Alcune sepolture riccamente adorne ci
dimostrano il prestigio di alcune persone. Poi sorsero delle società
stratificate con élite potenti, le fondamenta forse di palazzi e di templi e
imponenti mura del III millennio a. C. ci testimoniano la potenza di queste
élite, i ritrovamenti di armi e di scheletri fanno capire che i signori dell’età
neolitica, per rendere arrendevole il popolo, usavano la violenza. Alla fine
dell’età neolitica si giunse a principati strutturati gerarchicamente, la cui
potenza si estendeva su grandi centri. Nel II millennio apparvero principati
qualitativamente superiori: Erlitou ed Erligang sono le prime culture
progredite della Cina, i loro signori vivevano nei palazzi, disponevano di
preziosi vasi di bronzo, il dominio di queste culture si estese per centinaia
di chilometri, con esse cominciò l’età del Bronzo.

1 Miti unitari
Ogni anno, il 5 aprile, nel distretto di Huangling, nello Shaanxi, si svolge
una cerimonia, migliaia di uomini politici e rappresentanti di paesi
stranieri si riuniscono per la festa di Qingming sul piccolo monte Qiao,
davanti al mausoleo dell’Imperatore Giallo con bandiere, trombe e
tamburi, onorano l’antenato di tutti i Cinesi, 4500 anni fa Huangdi.
l’Imperatore Giallo avrebbe fondato la civiltà cinese, a lui viene attribuita
l’invenzione della ceramica, della scrittura, dell’architettura,
dell’astronomia, del calendario, della musica e dell’arte dell’amministrare.
I miti dell’inizio della storia della Cina descrivono gli inizi della storia e ne
condividono anche la nascita, essi affiorano quando fu scritta la storia, le
loro tracce più antiche risalgono al I millennio a.C., compaiono in alcune
odi che celebrano la storia delle dinastie Shang e Zhou, la loro origine è
leggendaria: si narra che un uccello nero fosse disceso per generare gli
Shang e il capostipite della dinastia Zhou fosse rimasta in cinta dopo aver
calpestato l’orma di un dio. In iscrizioni di bronzo della stessa epoca le
genealogie dinastiche venivano collegate alla figura mitica del regolatore
di corsi d’acqua Yu il Grande, colui che divise la regione e deviò i fiumi,
si dice che era nato dal ventre di suo padre, aveva inventato il carro,
ordinato la fusione di 9 tripodi (sostegno a tre piedi di un recipiente) di
bronzo come insegne del suo potere, aver fondato la prima dinastia cinese,
gli Xia e salvato l’intera regione dal diluvio universale. Gli augusti
predecessori di Yu, vissuti nel XXIV-XXIII secolo, erano gli imperatori
Yao e Shun, modelli di virtù e giustizia. Un intero pantheon di figure
mitiche antichissime popolò la letteratura della fine del I millennio a.C.
Nel II secolo a.C. questi miti di diversa origine furono organizzati in un
ordine sistematico, sotto la dinastia Han, nacque la mitologia, raccontata in
un’opera storica, le Memorie di uno storico (Shiji) di Sima Qian, è l’opera
più importante dell’intera storiografia cinese e inizia con una serie di miti.
Il primo capitolo è dedicato ai “Cinque Imperatori”, che avrebbero
governato nella pianura cinese settentrionale all’inizio del III millennio
a.C. prima delle dinastie dei Xia, degli Shang e Zhou (Huangdi, Zhuanxu,
Ku, Yao, Shun). Sono figure mitiche, che prima erano apparse accostate,
in quanto antenati di clan diversi e autonomi e nello Shiji vengono
rappresentati come sovrani che si succedono l’uno all’altro in una
prospettiva di impero unitario della Cina settentrionale. L’Imperatore
Giallo all’epoca Han fu venerato come un dio daoista, la sua figura è piena
di significati simbolici: l’appartenenza al clan degli imperatori degli Han,
il numero 5 aveva un significato cosmologico, il giallo era il colore della
dinastia, il culto di Huangdi raggiunse l’apice. Sembra che l’imperatore
Wu, degli Han, prima di una guerra pregasse l’Imperatore Giallo e che
abbia voluto il monumento funebre sul monte Qiao. Huangdi divenne la
figura dell’impero unitario e centralizzato, in quanto fondatore della civiltà
Han e antenato della storia cinese (ancora oggi il popolo cinese chiama se
stesso “Han”).

2 Prime culture neolitiche


Gli inizi neolitici mostrano come la natura sia stata la cornice della storia
della Cina e che l’abbia resa possibile, all’inizio della storia non ci fu
l’opera umana, ma un evento naturale. Dopo la fine dell’ultimo periodo
glaciale (10.000 anni fa) ci fu un mutamento del clima che cambiò
l’ambiente naturale dell’Asia orientale, le temperature salirono di 10°, il
livello del mare salì di oltre 100 m, le acque separarono Taiwan, il
Giappone e il continente americano da quello asiatico e trasformarono le
coste in paesaggi lacustri e piane alluvionali. La pianura cinese
settentrionale fu coperta di laghi, la penisola dello Shandong doveva essere
una grande isola e il medio corso dello Yangzi un vastissimo lago, le
attuali metropoli di Tianjin e Shanghai erano sotto il livello del mare, il
monsone si spostò a nord-ovest, la tundra si trasformò in terreni boscosi, il
sud venne coperto da foreste tropicali, grandi laghi e paludi ricche di
mangrovie, al nord arrivarono i bambù, le piante sempreverdi e
subtropicali, dove prima vivevano i mammut, le tigri dalla zanna a
sciabola e i rinoceronti indiani, si diffusero gli elefanti, le tigri, i bufali
d’acqua e gli alligatori. Il periodo postglaciale (= optimum climatico
olocenico) durò dall’VIII al IV millennio a.C. mutò la geografia della Cina
e produsse nuove forme sociali: la scomparsa delle specie dei grandi
animali dell’era glaciale potrebbe aver costretto i cacciatori dell’età della
pietra a cambiare il loro nutrimento, cominciarono a coltivare i cereali
selvatici lungo il Fiume Giallo e nella valle dello Yangzi. Alla fine del
VIII millennio a.C. il clima caldo e piovoso del sud permise la coltivazione
del riso in Zhejiang, il nord, al di là dei monti Qinling, offrì la possibilità
di coltivare il miglio sul fertile terreno di loss, grazie alle sufficienti
precipitazioni. Questo processo di passaggio da comunità di raccoglitori-
cacciatori ad agricoltori e allevatori di bestiame si chiama ”rivoluzione
neolitica”, sorsero le civiltà sedentarie, crebbe la produzione e la
popolazione, molta forza lavoro fu usata per altri lavori diversi da quello di
procurarsi il cibo, nacquero i ruoli religiosi, politici, militari, gli specialisti
dell’artigianato, della costruzione di città, ci fu l’invenzione della scrittura
e una stratificazione sociale molto netta, in pratica nacque quella che viene
chiamata civiltà cinese.

Archeologia
I ritrovamenti nelle tombe del periodo Han hanno portato alla luce testi
finora ignoti, le pitture parietali nelle tombe Tang ci offrono scorci della
storia dell’arte cinese, i recuperi di giunche (barche) affondate dell’epoca
Song ci hanno fatto conoscere il commercio marittimo, gli scavi della
regione centrale cinese ci hanno svelato le splendide civiltà delle
popolazioni vicine. Da secoli gli eruditi cinesi avevano condotto studi su
vasi bronzei, iscrizioni su pietra e altri beni culturali, ma l’archeologia
scientifica nacque in Cina nel XX secolo, grazie agli Europei, il geologo
svedese Johan Gunnar Andersson (1874-1960) negli anni ’20 scoprì lungo
il Fiume Giallo in primi insediamenti neolitici in Cina. In quel periodo la
Cina era stata conquistata da popolazioni straniere, la giovane Repubblica
era in crisi e alcuni storici avevano cominciato a demolire i miti e a
mettere in dubbio la vecchia tradizione, i ritrovamenti di Yangshao e di
Longshan rivelarono le radici preistoriche della civiltà cinese.
L’archeologia era un orgoglio nazionale, gli scavi ad Anyang (1928-1937)
sotto la direzione di Li, il padre dell’architettura cinese, scoprirono
l’esistenza della dinastia Shang, gli studi sulla civiltà neolitica lungo il
Fiume Giallo degli anni ’30 svelarono che fosse non solo antica, ma anche
autoctona, i ritrovamenti dell’età del Bronzo a Rrlitou ed Erligang negli
anni ’50 sostennero la storicità della più antica dinastia cinese, gli Xia,
dagli anni ’70 in poi furono fatte scoperte sensazionali: l’armata di
terracotta del Primo Imperatore, bronzi, mausolei di principi locali,
sepolcri corredati, biblioteche atti amministrativi e scritti su listarelle di
legno e di bambù. Grazie a questi scavi possiamo dire che la civiltà cinese
non è sorta da un solo centro presso il Fiume Giallo, ma da più centri, nella
Cina meridionale sono stati trovati resti di culture e civiltà diverse e
autonome rispetto a quelle del nord, l’archeologia degli ultimi decenni ha
definitivamente sepolto l’idea di una storia nazionale unitaria. I
ritrovamenti archeologici non dovrebbero essere interpretati alla luce dei
testi tradizionali, ma piuttosto analizzati indipendentemente da essi.
La culla della civiltà cinese non fu solo sul Fiume Giallo ma anche lungo i
fiumi Yangzi e Huanghe, in regioni autonome, distanti tra loro e diverse
tra loro: al sud c’erano i coltivatori di riso che vivevano in piccoli villaggi
di palafitte su terreni paludosi, nelle pianure del nord i coltivatori di miglio
che vivevano in grotte scavate nel loess o in capanne d’argilla
seminterrate, coperte di paglia. A partire dal 5000 a.C. emersero almeno 3
macroregioni:
1) la Cina settentrionale divisa in: lungo il medio corso del Fiume
Giallo, l’altopiano del loess; a est il bassopiano della Cina
settentrionale e la penisola dello Shandong;
2) la Cina meridionale con i territori lungo il medio corso dello Yangzi
(oggi Hubei e Hunan); il delta dello Yangzi (oggi Jiangsu e
Zhejiang);
3) il bacino del Sichuan.
Le altre regioni periferiche del nord-est, presso il fiume Liao, lungo la
costa meridionale, compresa Taiwan, e a nord-ovest, il territorio degli
odierni Gansu e Qinghai.
I confini tra le civiltà della Pietra rimasero stabili per millenni, anche dopo
l’unificazione dell’impero (221 a.C.) e segnavano le diversità del mondo
cinese. Verso la metà del Neolitico queste civiltà autonome erano in
contatto tra loro e si svilupparono parallelamente, tra il V e il IV millennio
si diffuse l’agricoltura, dopo i cambiamenti climatici, gli uomini della
cultura Yangshao, lungo il Fiume Giallo nel V millennio si nutrivano per il
50% di panico e miglio, nella cultura Longshan nel III millennio a.C. si
nutrivano degli stessi cereali per il 70%, negli insediamenti neolitici la
popolazione crebbe notevolmente e il loro aspetto mutò. I villaggi
Yangshao all’inizio erano divisi dal territorio circostante mediante fossati
difensivi, erano formati da piccole capanne disposte intorno a costruzioni
maggiori, usati per usi comunitari, piano piano cominciarono le differenze
sociali, le famiglie divennero segmenti sociali autonomi, alcuni compiti
(immagazzinamento dei cereali, cerimonie, costruzioni maggiori)
avvenivano affrontati dall’intera comunità, altri (economia quotidiana)
venivano svolti da alcuni nuclei familiari. Nel tardo Neolitico sorsero le
mura che circondavano le abitazioni private dove venivano custoditi gli
animali, le stoffe tessute e gli oggetti prodotti. Le famiglie producevano
vasi in terracotta per la conservazione dei cibi e le ceramiche. La cultura
Yangshao produceva brocche, ciotole colorate, dipinte con motivi
geometrici o zoomorfi, quella Dawenkou, nella penisola dello Shandong,
produceva ceramiche più raffinate, tripodi adorni e incisi, brocche dai
preziosi manici e beccucci (vedi foto pag. 13). Dopo un millennio, nacque
la ceramica della cultura Longshan, lavorata al tornio, con eleganti boccali
e alti basamenti, le tecniche erano molto progredite, fatte da artigiani
specializzati. Nacquero delle vere e proprie aziende artigianali, nella
cultura Dawenkou (III millennio a.C.) gli artigiani lavoravano con
l’argilla, pietre, ossi, avorio e costruivano piccoli oggetti tubolari, pettini e
con la giada facevano catenelle e bracciali. La cultura Hongshan, al nord-
est con la giada producevano figure di animali, la cultura Liangzhu, lungo
il delta dello Yangzi, fabbricavano anelli e maschere zoomorfe.

La giada
La giada in Cina è ammirata e venerata da sempre, il primo lessico cinese
dice:
“E’ la più bella di tutte le pietre preziose, perché possiede le 5 virtù: il suo
caldo splendore è espressione dell’umanità, la sua trasparenza, che lascia
riconoscere l’interno, è espressione della rettitudine; il suo suono, chiaro e
dotato di lunga eco, è espressione della saggezza; la sua mancanza di
cedevolezza è espressione del coraggio; il suo taglio netto è espressione
della purezza” (Shuowen jiezi I A).
La giada cinese, la nefrite (un minerale più tenero della giadeite), nel
Neolitico veniva estratta per fare i gioielli, il tardo Neolitico da alcuni
archeologi è stato chiamato “Età della Giada”. Nel tempo mitico dei primi
fondatori della civiltà, le armi venivano costruite con la pietra, al tempo
dell’Imperatore Giallo con la giada, al tempo di Yu il Grande col bronzo e
poi con il ferro. La giada simboleggia il mutamento sociale avvenuto nel
Neolitico, è la pietra della fascia superiore della società, la durezza, la
difficoltà di lavorazione, la durata e la bellezza la rendono il materiale
favorito per i gioielli e per gli oggetti di culto. I primi centri di produzione
della giada si trovano agli estremi limiti della regione centrale cinese, nella
cultura nord-orientale di Hongshan e in quella meridionale di Liangzhu.
Già nel IV e nel III millennio a.C. venivano prodotte figure zoomorfe,
oggetti rituali, anelli, lamine di volti umani, braccialetti, pendenti e altri
gioielli. I sepolcri dell’élite dell’età del Bronzo erano corredati da questi
”portafortuna”, in una tomba di un re Shang sono stati ritrovati più di 750
oggetti di giada, provenienti dal bacino del Tarim (4000 km distante).
Durante tutta l’antichità alla giada venne attribuita una potenza magica nel
culto dei morti, sono stati ritrovati nelle tombe dei re dell’epoca Han
“vestiti di giada”, migliaia di lamine cucite insieme con fili d’oro che
coprivano interamente il cadavere. Ancora oggi la giada è considerata la
materia dell’immortalità, l’anello di giada inserito nelle medaglie dei
Giochi olimpici di Beijing del 2008, simboleggia l’antichità della civiltà
cinese, la magia della gara sportiva e l’immortalità della fama dei vincitori.

Gli artigiani del tardo Neolitico erano specialisti nel loro settore, i loro
prodotti non servivano più per gli usi quotidiani, ma per usi straordinari
(alla religione: culti e riti). Gli uomini dell’età della neolitica sullo
Huanghe e lo Yangzi furono alle prese con le forze misteriose, la natura li
colmava di doni, ma era spaventosa, imprevedibile e onnipotente. Nella
cultura Hongshan e in quella Longshan (III millennio a.C.) si indagava
sulla volontà degli dèi mediante gli oracoli, riscaldando ossi di cervo e
maiale e interpretando le loro crepe. Anche nella religione nacquero gli
specialisti: mediatori degli dèi che avevano grande prestigio, l’uomo della
cultura Yangshao il cui cadavere fu sepolto tra la raffigurazione nelle
conchiglie di un drago e di una tigre, forse era uno sciamano. Nel tardo
Neolitico nel bassopiano della Cina settentrionale comparve la
stratificazione sociale, notevoli differenze di rango tra famiglie diverse,
tramite il commercio di beni preziosi che oltrepassava il confine, alcune
famiglie accrebbero il loro prestigio, alcune famiglie benestanti offrivano
suntuosi banchetti, durante i quali distribuivano cibo e bevande, per far
vedere la loro ricchezza e assicurarsi il favore dei partecipanti. Anche i
Cinesi del Neolitico affrontarono la morte con la fede e credevano nella
sopravvivenza dopo di essa, i sepolcri erano curati e lussuosi, alcune
tombe della cultura Dawenkou erano dotate di camere sepolcrali in legno,
arredi funebri, gioielli, oggetti di giada, carapaci di tartaruga, vasi di
ceramica, che accompagnavano il defunto. Alcuni sepolcri della cultura
Liangzhu, nello Zhejiang settentrionale contenevano centinaia di oggetti
preziosi: vasi di ceramica, asce di pietra, denti di squalo, oggetti rituali di
giada, nei cimiteri della cultura Longshan, nello Shanxi, le tombe comuni
erano a debita distanza dai sepolcri dell’élite delle civiltà regionali, dei
capi che godevano di grandi privilegi, di maggiori dimensioni, pieni di
ceramiche, strumenti musicali in legno, pelli di alligatore e campane di
rame.

3 Il tardo Neolitico
Le élite del tardo Neolitico non venivano più inumate in fosse, ma sepolte
in magnifici sepolcri, non vivevano più in villaggi, ma in città circondate
da mura. Nella seconda metà del III millennio a.C. nel periodo Longshan,
sorsero molte città (ne sono state ritrovate più di 50) di dimensioni
enormi (decine di ettari) in regioni diverse. Erano circondate da mura di
terra battuta (hangtu = sabbia, ghiaia, argilla pressate con le mazzeranghe
-mazze di legno o di ferro- in tanti strati duri e resistenti), oggi si sono
conservati resti di mura di 5-6 m. di altezza e più di 20 di larghezza
nell’insediamento neolitico di Chengtoushan, lungo il corso dello Yangzi,
e u fossato largo 35-50 m. I resti delle mura a Guchengzhai, nello Henan
sono alti fino a 16 m. e larghi 40, ecc. Queste città avevano fino a 10.000
abitanti, contenevano le case, alcune più alte delle altre, officine artigiane,
cimiteri, templi, palazzi, ne sono stati identificati almeno 8 di questi
insediamenti ad alta densità di popolazione, non sono più le società tribali
dell’inizio del Neolitico, ma principati con una struttura sociale
stratificata. Le loro élite avevano un potere considerevole, disponevano
della forza-lavoro che erigeva costruzioni monumentali, mura e palazzi, i
lavoratori erano migliaia, lavoravano duramente per decine di anni e
molti di essi perdevano la vita. Con i principati comparve la violenza
istituzionalizzata, le armi ritrovate sono la prova di guerre e violenze
(teschi scalpati, cadaveri mutilati, scheletri in fondo ai pozzi). Non
venivano più inumati né gli animali, né gli uomini, sono stati ritrovati
numerosi scheletri di adulti e bambini nelle fondamenta dei palazzi, erano
i sacrifici che i principi del tardo neolitico pretendevano dal loro popolo.
Il motivo di questa crudeltà non è solo la sete di sangue e la brutale sete
di potere delle nuove élite, ma piuttosto i mutamenti demografici
avvenuti nel III millennio a.C., quando molte culture regionali
abbandonarono i loro insediamenti (nel 2600 a.C. il Fiume Giallo aveva
mutato il suo basso corso da nord verso sud, aveva sommerso un vasto
territorio e dalle regioni costiere del Jiangsu avvenne un esodo verso
l’odierno Henan), la popolazione dell’Henan aumentò e ci furono dei
cambiamenti sociali nel periodo Longshan, ci furono guerre e sacrifici
cruenti. Il clima si fece più rigido, finì il periodo dell’optimum climatico
olocenico, le temperature scesero, la zona monsonica si spostò verso sud-
est, il clima divenne più secco, a nord tornarono le steppe, alcune culture
dell’estremo nord della regione centrale cinese passarono dall’agricoltura
al pascolo, a nord-ovest, dopo la fine della cultura Qijia, si diffuse
l’allevamento degli ovini e dove adesso c’è la Grande Muraglia sorsero
culture dedite all’agricoltura e al pascolo. In quell’epoca si formò il
confine tra il mondo cinese dedito all’agricoltura e gli allevatori di
bestiame dell’Asia centrale. Una catastrofe fluviale colpì la Cina
settentrionale alla fine del III millennio a.C. il Fiume Giallo spostò
nuovamente verso nord il suo corso per centinaia di km, distrusse un
vasto territorio e molte grandi culture regionali sorte lungo lo Yangzi e lo
Huanghe (la cultura Liangzhu) scomparvero nel 2300 a.C., poi anche la
cultura Hongshan a nord-est e nel 2000 a.C. tramontarono le città di Taosi
e Guchengzhai.

4 Gli inizi dell’età del bronzo


Nel II millennio a.C. il territorio dell’odierno Henan, lungo il corso medio
dello Huanghe conobbe un notevole sviluppo, intorno al 1800 a. C. attorno
all’odierna Erlitou, nei pressi di Luoyang si formò un sistema di più di 100
insediamenti grandi e piccoli molto più importanti dei principati del
Neolitico. Alcuni secoli più tardi, più a est, verso l’odierna Erligang (nei
pressi di Zhengzhou) sorse una città potente, Erlitou e Erligang sono le
prime culture progredite, a Erlitou tra il IXI e il XVI secolo a.C.
potrebbero esserci stati 30.ooo abitanti, sono state ritrovate abitazioni,
officine per la lavorazione di bronzi e ossi, forni, sepolture, oggetti rituali,
strutture dedicate ai culti e forse ampi palazzi. I suoi palazzi erano i
precursori dei periodi successivi, erano separati dagli altri, ci viveva l’élite
e c’erano le tombe all’interno dei palazzi, molto lontane da quelle del
popolo. L’élite di Erlitou controllava un territorio molto esteso, riceveva i
viveri, materiali di costruzione, beni di lusso come la giada, vasellame,
ceramica e bronzi da più di 100 km di distanza. Tra il 1600 e il 1300 a.C.
fiorì la cultura Erligang (odierna Zhengzhou), tra le colline dello Henan
occidentale e la piana a oriente, la città era circondata da 7 km di mura alte
9 m e larghe 40, 10 000 lavoratori avrebbero lavorato 8 anni per costruirle,
l’influenza della città si estendeva su un ampio territorio della Cina
settentrionale fino allo Yangzi (450 km), in entrambe le città la produzione
del bronzo raggiunse una qualità nuova, il bronzo veniva impiegato per gli
oggetti culturali (lame e placche per le cerimonie, caraffe, caldaie per i
sacrifici agli avi), servivano per scopi rituali e di rappresentanza, il bronzo
veniva non più lavorato con il martello, ma fuso con una tecnica molto
complessa (estrazione, trasporto, giusta lega di rame, stagno e piombo,
forni appositi, modelli di ceramica, getto preciso), la società complessa e
specializzata segnò l’inizio dell’età del Bronzo.

Il bronzo
Il bronzo nell’antica Cina veniva considerato il metallo per eccellenza, i
bronzi dell’antica Cina (caraffe, coppe, tripodi degli Shang con
decorazioni geometriche o zoomorfe) sono tra i prodotti più raffinati
dell’arte mondiale. La lavorazione del bronzo in Cina sorse intorno al 2000
a.C. nella cultura Qijia (odierno Gansu) e a Erlitou, nel II millennio a.C.
cominciò una grandiosa produzione. La tecnica era molto evoluta, si
basava sulla produzione delle ceramiche, che forniva i crogioli per la
fusione, le forme di terracotta e gli stampi, i bronzi antichi non si facevano
con il procedimento a cire perdue (modello di cera), ma con i modelli di
terracotta divisi in più parti che davano la forma per la colata, in questi
modelli veniva incisa la decorazione, i motivi erano zoomorfi su uno
sfondo di spirali e serpentine (periodo Shang e Zhou), draghi, serpenti,
uccelli, cicale e taotie (maschera mostruosa e aggressiva). Forse erano
totem o elementi di culti magico-religiosi, usati dagli sciamani per
prendere contatto con l’aldilà, questi motivi scomparvero nell’epoca Zhou.
Le iscrizioni erano all’inizio solo i nomi del donatore o dell’antenato al
quale l’oggetto era dedicato, dopo la dinastia Zhou le iscrizioni divennero
più lunghe (500 caratteri): la causa della donazione, una guerra,
un’investitura, un rito, liti giudiziarie, vendite di terre, genealogie e
disordini nel regno di Zhou. Oggi possediamo più di 10 000 iscrizioni di
bronzo, molte non sono chiare e non sono comprese, però sono fonti
uniche nel loro genere e la cosa più preziosa dell’età del “Bronzo”.
Le culture di Erlitou e di Erligang vengono identificate con le prime
dinastie cinesi, Erlitou è attribuita ai Xia (2205- 1766 a.C.), al mitico re Yu
il Grande, il quale avrebbe combattuto contro il diluvio universale, avrebbe
introdotto la fusione del bronzo, ma questi sono miti più tardi, la dinastia
Shang (1766-1123 a.C.) avrebbe la sua origine a Erligang, avrebbe
spostato la capitale a Zhengzhou, ma le informazioni risalgono ascritti di
1500 anni più tardi. Esistevano altre culture evolute nei territori
dell’odierno Shandong, nella Mongolia Interna, nello Shaanxi, nel Gansu,
nel Sichuan, nello Hubei e nel delta dello Yangzi, delle quali non
sappiamo nulla o molto poco, l’unica eccezione è la città di Anyang.
La nascita della Cina (XIII-VI secolo a.C.)
Stratificazione e ordinamento per mezzo delle norme di
comportamento

Nel 1250 a. C. comincia la storia, perché da tale periodo cominciano le


fonti scritte, ad Anyang (Henan) sono state ritrovate iscrizioni su ossi
oracolari della dinastia Shang, che ci riferiscono di divinità, guerre, cacce,
agricoltura, e di una cultura progredita, gli Shang produssero bronzi,
innalzarono sepolcri, avevano armi potenti, il calendario e conoscevano la
scrittura. Per molti studiosi, la storia della Cina inizia con gli Shang, un
evento importante fu la loro sconfitta da parte dei Zhou nel 1050 a.C., i
primi sovrani Zhou, Wen, Wu e il Duca di Zhou, avrebbero messo le basi
della filosofia e delle istituzioni, un sistema di uffici, riti e la dottrina del
“mandato celeste”. Forse queste istituzioni furono più tarde, i testi che si
presumeva fossero stati scritti all’inizio dell’epoca Zhou, risalgono ad
alcuni secoli dopo, le uniche fonti attendibili dell’epoca Shang e Zhou
sono i ritrovamenti archeologici: sepolcri, materiali e iscrizioni. Ci sono
pervenute 200 000 iscrizioni su ossi di epoca Shang e 10 000 dai vasi di
epoca Zhou. Né gli Shang né gli Zhou furono Cina, i primi furono una
cultura progredita, guidata da un clan su un piccolo territorio della Cina
settentrionale e accanto a loro c’erano altre culture nel Sichuan e lungo lo
Yangzi, splendide ma prive della scrittura. Sia gli Zhou che gli Shang non
avevano l’idea di che cosa fosse una civiltà o una società “cinese”.
Secondo questo testo la nascita della Cina non avvenne né con gli Shang
né con gli Zhou, ma con lo sviluppo contemporaneo dei principati della
Cina settentrionale, si formò una società stratificata, i cui confini non
erano segnati dai legami di parentela, ma da un’unità ad essi superiore: la
CINA, nel IX secolo a.C. questo processo di mutamento dell’arte del
bronzo, gli archeologi la chiamano, “rivoluzione rituale”. Il IX secolo non
conobbe (come molti indicano) il crollo di uno statalismo ordinato, ma la
nascita della società cinese, la perdita del potere dei re Zhou (841 a.C.) e il
loro crollo (771 a.C.) non significano la fine dell’età dell’oro, ma piuttosto
l’inizio della storia della Cina, il periodo seguente, quello delle “Primavere
e Autunni” (Chunqiu 722-481 a.C.), che la tradizione ritiene un periodo di
caos e declino, diede invece vita ai principati autonomi, ordinati, con una
nobiltà egemone, che dirigeva i principi regionali, ci fu la nascita dei primi
testi legislativi e la dottrina etica di Confucio. Forse in questo periodo
nacquero i testi canonici dei Zhou e nell’epoca Chunqiu vennero prodotti i
modelli classici per l’ordinamento della Cina.

I Gli Shang
Un aneddoto narra che nel 1899 il paleografo Wang Yirong, rettore
dell’Università imperiale di Beijing, si ammalò di malaria, si procurò in
farmacia gli “ossi di drago” (ossi di animale impiegati in medicina nel XIX
secolo), scoprì sugli ossi piccoli caratteri incisi (la prima forma di scrittura
cinese), da quel momento furono decifrate migliaia di iscrizioni. Gli “ossi
di drago” erano piastroni ventrali di carapaci di tartaruga, oppure scapole
di bovini utilizzati 3000 anni prima (dinastia Shang) per ricevere gli
oracoli, gli ossi venivano scaldati e poi dalle crepe traevano i pronostici e
protocollavano le cerimonie: ci sono i nomi dei partecipanti, le date delle
interrogazioni dell’oracolo, le domande, i responsi e l’esito delle
predizioni. Sugli ossi ci sono alcuni nomi della dinastia Shang, sulla cui
esistenza c’erano molti dubbi. Spesso venne scoperto il luogo di origine
degli “ossi di drago”, il villaggio di Xiaotun, vicino a Anyang, nello
Henan, la capitale della dinastia Shang. Nel 1928 cominciarono gli scavi
archeologici ad Anyang, furono portate alla luce decine di migliaia di ossi,
tombe, carri da guerra, sepolcri, oggetti di bronzo, mura, fondamenta di
palazzi, lavori intagliati su ossi, avorio, e giada. Le conchiglie di ciprea
(molluschi) e i carapaci di tartaruga venivano dallo Yangzi, la giada veniva
dal Khotan, nel Turkestan orientale (4000 km di distanza). Gli Shang,
secondo la tradizione, avrebbero spostato la capitale 5 volte, con l’ultima,
dovettero trovare il sito ideale: a nord della provincia dello Henan, sul
bordo occidentale della pianura del loess, il clima era temperato, la pianura
era fertile e bagnata dal fiume Huai, si coltivava il miglio e il riso, si
cacciavano orsi, elefanti, bufali, tigri e rinoceronti., a ovest i monti
Taihang e a sud-est il Fiume Giallo segnavano i confini, verso la metà del
XV secolo a.C. presso l’odierna Huanbei, sorse una grande città cinta di
mura, grande 470 ettari, era ricca di palazzi imponenti e fu abitata per 200
anni. Verso il 1250 sorse più a sud-ovest un altro centro della dinastia
Shang, Yinxu, le “rovine di Yin”, esteso 30 km quadrati, non aveva mura,
ma semplici abitazioni, officine, palazzi, piccole tombe e una necropoli
con 13 tombe, forse gli ultimi nove re degli Shang ebbero la loro residenza
a Yinxu, questi sepolcri sono regali: hanno la forma a croce, interrati per
10-13 m., e ampie camere sepolcrali. La maggior parte sono state
saccheggiate, solamente una è rimasta intatta, quella di una consorte
regale, la tomba di Hao, una delle mogli di un re Shang, è ricca di lavori ad
intaglio su osso e giada, avori, pietre preziose, monili, armi, 7000
conchiglie di ciprea, 755 oggetti di giada (la raccolta più ampia mai
trovata) e 468 manufatti di bronzo (1600 kg.). I bronzi avevano scopi
religiosi, gli Shang veneravano moltissime divinità: il vento, la pioggia, il
tuono, i lampi, il sole, la luna, i fiumi, i monti, la terra, i 4 punti cardinali e
un dio supremo, Di, che comandava sulle altre potenze. I sovrani Shang
adoravano anche i loro antenati, essi compivano molti rituali per più di 100
antenati, recenti e lontani. Durante le cerimonie venivano offerti in
sacrificio carne, sangue, cereali e vino (una brodaglia simile alla birra,
ottenuta dal miglio), lo sciamano, accompagnato dal suono delle campane
e circondato da animali magici, danzava e andava in trance per mettersi in
contatto con l’aldilà. Gli Shang cercavano il sostegno degli avi per: un
raccolto, un rito, una battuta di caccia, una guerra, una nascita, una
malattia, un sogno, un fenomeno celeste, un progetto di costruzione, la
pioggia e l’esito di una battaglia. Tali pratiche avvicinavano la religione
degli Shang alla magia, non si trattava di pregare umilmente, ma di
procurarsi dei favori e di influenzare gli spiriti per i propri scopi. Le
divinità degli Shang non erano considerate trascendenti, ma parte del
mondo umano, erano in grado di intervenire in esso e accettavano di essere
trattati in modo mondano, la religione non era considerata una sfera
autonoma della società, gli dèi erano onnipresenti e ogni azione aveva un
significato magico-religioso. Il mondo degli Shang non era ancora
razionale e disincantato, era magico. Gli Shang offrivano ai loro dèi atroci
sacrifici umani (nelle iscrizioni oracolari ce ne sono 13.000). gli Shang
non erano selvaggi assetati di sangue, le motivazioni di questi sacrifici
forse erano razionali, sociali, per esempio erano un modo efficace per
decimare la popolazione che continuava a crescere. La maggior parte dei
sacrifici umani erano prigionieri di guerra (la stirpe dei Qiang ad ovest). I
re Shang a Yinxu erano signori di un clan, conferivano titoli a principi, ai
comandanti valorosi, ai capi dei popoli vicini sottomessi, concedevano
loro i territori confinanti e contraevano matrimoni. I sovrani di questi
territori erano tutti parenti o affini degli Shang, si formò un “clan conico”,
un sistema gerarchico, di gruppi di discendenza. L’orizzonte di questa
civiltà era molto limitato, il territorio era grande qualche centinaio di km.
quadrati, gli Shang non furono la Cina, erano una potenza regionale,
intorno alla quale esistevano altre società autonome. A Sanxingdui, a nord
di Chengdu (Sichuan), intorno al 1980 furono ritrovati i resti di una civiltà
diversa, a 1000 km. di distanza da Anyang, questa città forse fu abitata
nello stesso periodo di Anyang, sono stati trovati due sepolcri ricchi di
oggetti di giada, d’oro, zanne di elefante, conchiglie di ciprea, bronzi (una
maschera antropomorfa di un dio coperta con foglia d’oro, grande 82 x 77,
una figura umana alta 2,6 m., che doveva tenere una zanna d’elefante e
alberi di bronzo alti 4 m.), il linguaggio formale di questi oggetti è diverso
rispetto agli Shang, non c’erano sacrifici umani, tale cultura fiorì in modo
autonomo e contemporaneamente agli Shang. I Cinesi li chiamavano
“barbari”, ma erano molto civili come i Cinesi. La posizione di
preminenza degli Shang è dovuta alla presenza della scrittura. Essa fu
inventata nel 1250 a.C., comparve per la prima volta sugli ossi oracolari di
Anyang, è diversa da quella odierna, è decifrabile solo dagli specialisti, ma
può essere definita scrittura cinese. Ci sono rimaste più di
200.000iscrizioni su carapaci di tartaruga, su scapole bovine e su bronzo, i
testi sono brevi, spesso indecifrabili e riferiti al culto degli antenati. Grazie
alla scrittura gli Shang sono la prima “dinastia” della storia. La scrittura
era limitata solo a pochi specialisti, non veniva usata in politica, in
letteratura, nell’amministrazione, erano geroglifici sacri, adibiti solo al
culto. Solo dopo un secolo la scrittura divenne un fenomeno sociale. Dopo
la metà del XII secolo a. C. gli oracoli si trasformarono, venivano
interrogati molto raramente e solo dai re, i pronostici erano stereotipati,
sempre felici e quindi divennero inaffidabili, erano diventati calcolabili,
non erano più spontanei e neanche imprevedibili. Si ridusse anche il
numero dei sacrifici, l’influenza dei morti sui vivi cominciò a perdere
importanza, gli ultimi re Shang assunsero il titolo “di”, i re cominciarono
ad unire il potere politico a quello religioso. Quest’ultima affermazione
possiamo solo supporla, non abbiamo iscrizioni in merito e il potere degli
Shang era ormai in declino, mentre l’ultimo re Shang stava facendo
scavare il suo sepolcro, ad ovest stava nascendo una nuova potenza: i
Zhou.
2 I Zhou
Verso il 1050 a. C. fu combattuta la più famosa battaglia dell’antica Cina,
il re Wu dei Zhou cona truppa di 800 “principi” e circa 50.000 soldati,
nella pianura di Muye, davanti alla capitale degli Shang, sconfisse l’ultimo
dispotico sovrano degli Shang, Zhouxin. Sembra che quest’ultimo fosse un
uomo depravato, beone, lascivo e crudele, insieme alla moglie Da Ji
celebrasse orge tra il vino e il cibo, torturando crudelmente le sue vittime.
Le truppe degli Shang disertarono e il loro re morì tra le fiamme del suo
palazzo, il re Wu prese il posto di Zhouxin. Non sappiamo se gli eventi si
svolsero così, la storiografia tradizionale 1000 più tardi ci parla di re
Shang crudeli e di re Zhou con un potere consolidato. Le caratteristiche dei
sovrani Zhou erano la saggezza, la moralità, la bontà e la cura del popolo,
essi furono legittimati dalla loro statura morale e per il “mandato dal
cielo”, era il cielo, la suprema divinità dei Zhou, a conferire il compito di
regnare. I Zhou si stanziarono sull’altopiano del loess, al centro
dell’odierno Shaanxi, l’altopiano Guanzhong = “in mezzo ai passi”, è
lungo 350 km., alto 300-600 m., è attraversato dal fiume Wei e dai suoi
affluenti, più di 10 dinastie ebbero la loro capitale in questo territorio, il
Guanzhong è il collegamento tra il mondo “cinese” e i lontani territori
occidentali. I Zhou ebbero più contatti con l’ovest che con il nord, erano
più arretrati degli Shang, secondo la retorica cinese, erano “barbari”. Resta
un enigma come abbiano fatto a vincere la battaglia di Muye e forse questo
evento non fu così importante come la tradizione ce lo tramanda. I Zhou
presero tutte le tecniche degli Shang: la scrittura, la fusione del bronzo e
l’architettura di sepolcri e palazzi. Essi veneravano un altro dio, il “cielo”
(tian), una divinità forse antropomorfa, non usavano i sacrifici umani e
neanche l’oracolo tramite gli ossi. Impiegavano un’altra tecnica
divinatoria: ramoscelli di achillea millefoglie combinati in 6 linee
sovrapposte intere o spezzate. I 64 esagrammi che ne risultavano
divennero un ordinamento sistematico nel Classico dei mutamenti (Yijing).
Storia climatica
Ciò che spinse i Zhou dal Guanzhong nella pianura della Cina
settentrionale non fu forse l’inumanità e la cultura particolare degli Shang,
ma il mutamento climatico, alla fine del II millennio a.C. il clima
dell’intera Eurasia si era fatto più freddo e secco e minacciava la
possibilità di sostentamento di molti popoli. Gli inizi della civiltà in Cina
coincisero con l’innalzamento delle temperature (2° superiori a quelle di
oggi), il caldo portò il bambù nello Shandong, tapiri, coccodrilli, ratti del
bambù e suini nello Henan, la coltivazione del miglio e della soia nella
Cina del nord. Sorsero alcune culture progredite, ma quando, verso a fine
del III millennio a.C. le temperature calarono, molte di queste culture
scomparvero, dopo mille anni ci fu una nuova ondata di freddo e gli Shang
furono sconfitti dai Zhou, il freddo durò molto, attorno al 900 a. C. lo
Yangzi gelò 2 volte e i Zhou furono sconfitti da un popolo delle steppe.
Nei secoli successivi cominciò a fare più caldo, i periodi vegetativi si
fecero più lunghi, nella Cina del nord la popolazione crebbe, aumentò
l’urbanizzazione e la mobilità sociale. Il periodo caldo durò durante
l’epoca Qin e Han e poi nel II secolo d. C. ritornò il freddo, la dinastia Han
cadde mentre il fiume Huai era ghiacciato, i Cinesi del nord si spostarono a
sud dello Yangzi e il nord venne occupato dai popoli della steppa, solo
dopo il 600 il clima riprese a scaldarsi, nel 589 la Cina fu riunificata dalla
dinastia Sui, nell’VIII secolo il clima divenne più secco, il monsone si
ridusse, la dinastia Tang decadde, tra il IX e l’XI secolo il clima era
ottimale e ci fu una rivoluzione economica premoderna. Nel XII secolo la
Cina settentrionale fu conquistata dai Jurchen e il clima scese nuovamente,
nel XIII secolo ci fu la “tempesta mongola” e un periodo di freddo, nel
1644, quando i Ming furono sconfitti dai Manciù, si ebbe una “piccola era
glaciale”. Le oscillazioni climatiche coincisero spesso con le ascese e i
crolli del regno unitario cinese.

Il nuovo governo dei Zhou fondato sulla morale non ha riscontri


archeologici e iscrizioni su bronzi, essi non avevano i mezzi per governare
dal centro, si ritirarono sull’altopiano del loess e lasciarono la cura dei
territori dell’est alla vecchia élite, ai loro parenti e vassalli. Sorse un
sistema di governo decentralizzato, basato su una gerarchia di relazioni
personali e di parentela. Essi tenevano unito il territorio con i viaggi,
interagivano direttamente, non convocavano i principi regionali nelle in
una delle loro capitali, andavano loro ad incontrarli. Il loro non era uno
stato territoriale, ma una rete di numerose città, intorno alle quali c’era la
popolazione rurale autoctona la cui lingua e civiltà ci sono ignote, i
principi regionali e i Zhou dovettero contrarre molti matrimoni con i
popoli vicini. Ci furono delle guerre: nel X secolo a.C. i re Zhao e Mu
combatterono contro gli Huai Yi a est e con i popoli del fiume Han. I Zhou
non andarono mai oltre il confine del fiume Yangzi, il successore del re
Zhao, il re Mu viaggiò molto, fece campagne di caccia e di conquista verso
ovest, manteneva contatti con i suoi alleati, questa mobilità viene spiegata
dal bisogno di avere prestigio e dalla paura di perdere il potere.
3 La rivoluzione rituale
La vittoria sugli Shang non fu il più importante evento della stori della
Cina antica, ma il più spettacolare, solo un secolo più tardi cominciò il
mutamento della struttura sociale, il crollo dei Zhou e la nascita di una
nuova società, non ci sono tracce di questi avvenimenti, solo vasi rituali di
bronzo. I Zhou avevano ripreso l’arte del bronzo degli Shang, poi nel IX
secolo comparvero nuove forme di decorazione, i vasi divennero più
massicci, lavorati in modo più rozzo, le forme divennero più uniformi, i
modelli divennero geometrici e ripetitivi. Gli archeologi pensano a una
trasformazione del culto degli antenati, una “rivoluzione rituale”, i riti
divennero più sobri e distaccati, la religione si stava trasformando e i morti
si allontanavano dai vivi. I vasi venivano costruiti per diventare oggetti di
famiglia, dedicati ai “figli dei figli e ai nipoti dei nipoti”. Al posto dei
morti, ora al centro dell’attenzione c’erano la comunità e i suoi rituali. La
società tra la fine del X secolo e l’inizio del IX secolo divenne più
complessa, più strutturata gerarchicamente (ciò si capisce, per esempio dai
nomi in cui c’è l’indicazione del rango di nascita = il più vecchio/il
secondogenito; dal numero dei vasi di bronzo = 9 tripodi e 8 caldaie agli
alti dignitari, 7 e 6 ai sottoposti, 5 e 4 ai signori dei principati regionali).
La società dei Zhou si è trasformata da società divisa in base alla parentela
a società stratificata, i nobili divennero proverbialmente “fratelli” e i loro
principati formarono un’unione di “stati fratelli”. Questa nuova società non
cadde a pezzi (come dice la storiografia tradizionale), ma crebbe e
oltrepassò la cornice dei clan. Da questo sentimento di appartenenza
reciproca sorse la Cina, la stratificazione della società fece aumentare la
differenza tra cultura alta e cultura popolare. Al di sopra dei principi c’era
solo il “cielo” (tian), il dio dei Zhou divenne meno vicino agli uomini e
più vicino al cielo, un dio trascendente, una cima inaccessibile
dell’ordinamento a strati. Il cielo non era di questo mondo e non
apparteneva a un solo clan, il dio divenne universale, non proteggeva solo
la dinastia dominante ma tutta la federazione dei principi, il dio passava da
una dinastia all’altra. Tra il X e il IX secolo a. C. nacquero le prime
parvenze di burocrazia, i Zhou si affidavano poco ai parenti e di più ai
funzionari, all’amministrazione e ai documenti scritti. forse fu ristrutturato
anche l’esercito, i territori vennero divisi, acquistabili ed esigibili. Questa
società era ancora piccola, apparteneva solo all’élite, il popolo viveva
ancora nell’età della Pietra abitava nelle caverne e buche, coltivava i campi
con attrezzi primitivi, di pietra e di legno e faceva fatica a sopravvivere.
Questi uomini rimangono invisibili, muti, avevano solo una funzione
economica, erano una risorsa. Accettato in società era colui che sapeva
usare la scrittura, la quale all’inizio era limitata ai re Zhou e poi, a poco a
poco agli specialisti di corte, ai principi regionali, durante la rivoluzione
rituale comparvero dei testi lunghi, di carattere genealogico, non erano più
decreti regali, come all’inizio dell’era Zhou, ma giuramenti di alleanze e
accordi tra i principi regionali. La civiltà cinese sorse con la scrittura, non
all’epoca Shang, ma dopo, la scrittura sorse nel XIII secolo a.C. e si
diffuse 4 secoli dopo, quando divenne il segno dell’identità cinese.
La scrittura
Fin dall’inizio si formarono dei miti sulla scrittura cinese, i caratteri
sarebbero cifre misteriose, pttogrammi, ideogrammi e cifre misteriose.
Dietro ad essi, c’è una lingua. La scrittura cinese si sviluppò come tutti gli
altri sistemi di scrittura: scrittura cuneiforme, i geroglifici, scrittura Maya,
all’inizio ad alcune immagini (il sole, un albero) fu collegato un
riferimento fonetico, poi le immagini stavano al posto di parole (non di
“idee”) e diventarono una scrittura. Per rappresentare le parole astratte i
Cinesi si servirono del principio dei rebus (un carattere poteva stare per
una parola e per altre parole che suonavano in modo uguale o simile), un
carattere poteva stare per molte parole, ai caratteri semplici vennero
aggiunti ulteriori elementi che rimandavano esattamente alla parola che si
intendeva, molti caratteri mutarono di significato, non servirono più a
scrivere le parole per le quali un tempo erano stati inventati. Più del 90%
dei caratteri cinesi sono formati secondo questo principio: un elemento
indica il valore fonetico e un altro, almeno, indica il significato, tutti i
caratteri rappresentano una figura di suono, gli elementi che indicano il
significato (detti radicali) sono secondari. La scrittura riproduce il
linguaggio anche per il cinese. La scrittura cinese ha avuto un lungo
sviluppo, è mutata a secondo del materiale scrittorio (bronzo, bambù,
legno, carta) e dei bisogni della società. La prima riforma della scrittura
ebbe luogo nel IX secolo a.C., quando era diffusa presso i nobili, la
seconda coincise con la nascita dell’impero unitario burocratico,
cambiarono le forme dei caratteri e la struttura, la terza ebbe luogo nel XX
secolo, quando fu semplificata radicalmente per essere usata dalle masse
della Repubblica popolare cinese. È rimasta comunque una molteplicità di
ortografie e calligrafie, un’intricata pluralità di stili calligrafici che
vengono continuamente studiate. Già nel I secolo d.C. si rese necessario un
lessico, lo Shuowen jiezi di Xu Shen (121 d.C.), il quale riporta 9353
caratteri, con indicazioni sulla forma e sulla pronuncia, offre una
sistemazione dei caratteri, ordinati secondo 540 elementi grafici. La
lessicografia cinese non ha rivali nel mondo: lessici calligrafici,
paleografici, etimologici e Thesauri sono ordinati secondo 214 “radicali”, i
maggiori di questi vocabolari indicano più di 50.000 caratteri, la maggior
parte oggi sono inservibili, per leggere i testi comuni bastano 3000
caratteri e per condurre una conversazione comune nemmeno uno.
Un altro bene culturale che nacque durante la rivoluzione rituale fu la
storia, gli Shang e i primi Zhou non conobbero la storia, non c’era il
mutamento nel tempo, c’era una tradizione considerata immutabile, dove
non c’era mutamento, ma soltanto continuità, non c’era un passato diverso
dall’attualità, ma soltanto un’eterna presenza. Tra il X e il IX secolo a.C.
cominciarono le prime rivolte sociali, attacchi dei popoli vicini contro i
Zhou. La storia di questo periodo non era scientifico-critica, ma mitica,
descriveva un passato che non era compiutamente passato, ma continuava
ad essere operante, era più vicina al mito perché non narrava lo sviluppo
verso il nuovo, ma suggeriva la continuità. Verso la metà del IX secolo
a.C. il potere dei re Zhou sui nobili diminuì, i nobili si mischiarono alla
successione al trono, nell’814 a.C. (dice la tradizione) ci fu un colpo di
stato da parte di alcuni nobili e il re Li dei Zhou fu mandato in esilio e il
governo di questi nobili durò 14 anni. L’841 a.C. è l’inizio dell’”interregno
Gonghe” ed è la prima data sicura della storia cinese, è testimoniata dagli
annali dei diversi principati regionali, nel IX secolo a.C. i popoli della
steppa con la cavalleria invasero i territori Zhou, erano popoli che non
appartenevano alla Cina, vivevano in tribù, erano definiti barbari, vivevano
diversamente, vestivano diversamente, parlavano diversamente non
conoscevano la scrittura. Si racconta che l’ultimo re Zhou, You (781-771
a.C.) subì l’influsso funesto di una donna bellissima, Bao Si, la quale lo
ammaliò talmente da fargli perdere il lume della ragione, ella non rideva
mai, per farla ridere il re provocò un falso allarme, ordinò di accendere i
fuochi per segnalare un attacco nemico, le truppe accorsero e si resero
conto di essere state prese in giro, Bao Si rise, ma quando poi i Rong, un
popolo di cavalieri occidentali, attaccarono davvero i Zhou, nessuno
intervenne all’accensione dei segnali di allarme. Nel 771 a.C. i Rong
conquistarono la capitale, uccisero You e cacciarono i Zhou dopo tre secoli
di dominio. La loro patria fu occupata da un principato regionale
occidentale, Qin, i Zhou mantennero la capitale orientale, ma non furono
più i sovrani di un regno, bensì soltanto i principi regionali nella zona di
Luoyang, nel 256 a.C. i re Zhou persero del tutto il loro potere, il loro
dominio finì nel 771 a. C.

4 Primavere e Autunni (722-481 a.C.)


Nella penisola dello Shandong, 80 km a sud del sacro monte Tai, c’è la
cittadina di Qufu, ci sono 650.000 abitanti ed è la patria di Confucio (Kong
Qiu in cinese), nato nel 551 e morto nel 479 a.C., nel 1994 il suo cimitero
nel bosco a nord della città, il suo tempio degli antenati e la residenza dei
suoi discendenti sono stati proclamati dall’Unesco patrimonio culturale
dell’umanità. Questo luogo è sacro per i Cinesi da 2000 anni, gli imperatori
andavano a offrire sacrifici a Confucio, a Taiwan il suo discendente in linea
diretta della 79^ generazione, Kong Chuichang, prosegue ancora i sacrifici.
Oggi la Cina riscopre le proprie origini nel confucianesimo, ci sono
centinaia di istituti intitolati a Confucio dove si studia la lingua e la cultura
cinese, Qufu è diventato un grande centro turistico, ogni anno il 28
settembre (presunta data di nascita di Confucio) si celebra una cerimonia
storica, con musiche antiche, campane, profumi di incenso e bandiere. La
società dell’epoca Chunqiu in cui visse Confucio era piena di violenza,
dissolutezza, dissipazione, ribellioni e sudditanza. Questa epoca chiamata
Chunqiu = Primavere e Autunni viene descritta come l’epoca dei bastardi,
dei traditori, degli intrighi e degli omicidi, non certo una primavera, ma
come l’autunno del mondo antico. Questi tempi di disgregazione politica
portarono, nella storia della Cina, impulsi spirituali e culturali, nacquero,
infatti, i massimi pensatori della storia cinese, l’epoca Chunqiu fu un tempo
di maturazione di un nuovo ordinamento.
4.I. I nuovi stati
Dopo la fine dei Zhou cominciò un fitto intreccio di relazioni reciproche tra
stati, pare che nell’epoca Chunqiu ci fossero più di 1500 principati, dei
quali pochi grandi e determinanti (Jin, Qi, Chu, Qin, Lu, Song, Wei, Chen,
Cai, Cao, Zheng, Yan), nell’epoca Chunqiu si può parlare di stati, infatti le
città-stato dell’epoca Zhou, adesso cominciarono ad espandersi e ad
imporre la propria sovranità su territori più grandi. All’inizio ciò accadde
grazie ai collegamenti stradali tra la capitale e alcuni punti fortificati, poi
nel VI secolo a.C. nacquero territori vasti che controllavano intere regioni.
I numeri
I numeri hanno una particolare magia, quello che può essere quantificato
appare scientifico, esatto e convincente, anche lo storico è affascinato dalla
cronologia e dalla precisione matematica. In Cina la magia dei numeri è
ancora più importante che altrove, essi vengono impiegati non per la
quantità che esprimono ma per la loro qualità e le date non hanno un valore
cronologico, ma cairologico (= considerare il tempo come momento
opportuno, istante delle occasioni). Il calendario degli Shang, per esempio,
non era lineare, ma ciclico, gli Shang contavano i giorni con un sistema per
cui una serie di 10 (i tronchi celesti = tiangan) veniva combinata con una di
12 (i rami terrestri = dizhi), ne risultava un ciclo di 60 (non 120, perché di
volta in volta venivano combinati soltanto tronchi pari con rami pari, e
dispari con dispari). Gli Shang interrogavano l’oracolo non su un vettore
temporale ma sulle loro qualità propiziatorie. Molte iscrizioni su bronzo dei
Zhou cadono nel giorno dinghai, il 24 del ciclo, questa era una data
simbolica, questo giorno era favorevole per determinate cose. Questo è il
motivo per il quale la cronologia nell’antica Cina è un problema spinoso, le
date, spesso, non si devono intendere in senso cronologico. Non sappiamo
se veramente Confucio visse 72 anni (9 volte 8 = il più alto numero Yang
per il più alto numero Yin), ebbe 72 discepoli, i daoisti, non sappiamo se ci
sono stati veramente 5 imperatori, 5 egemoni, 5 funzionari storiografi, 5 fasi
del mutamento, non sappiamo se nel 2009 l’economia è cresciuta realmente
dell’8%, il numero 10.000 vuol dire moltissimi, i numeri degli eserciti e dei
morti in guerra non sono storicamente controllabili. I dotti cinesi molto
spesso non contavano bene, facevano errori di calcolo. Anche se in Cina già
anticamente furono fatti dei censimenti (il primo risale al 2 d.C.) e furono
istituiti i catasti, i conteggi erano imprecisi, lacunosi e non omogenei, anche
le unità di misura, di peso, di prezzo, erano approssimative. L’irlandese
Robert Hart, il direttore delle dogane dei Qing, introdusse nel XIX secolo la
moderna statistica in Cina, la vera statistica sorse nel XX secolo, i primi
annuali statistici sorsero durante la Repubblica, nel 1952 fu fondato un
Ufficio statistico nazionale, che però fu chiuso alcuni anni dopo da Mao.
Ancora oggi i numeri in Cina sono da guardare con precauzione e non è
trasparente (non possiamo quantificare il numero delle vittime delle guerre
e dei genocidi nel XX secolo).
Gli stati dell’epoca Chunqiu cominciarono a intrattenere relazioni
diplomatiche, contraevano matrimoni, stringevano alleanze sotto la guida dei
cosiddetti “egemoni” = ba. La tradizione parla di “5 imperatori”, 5 egemoni
dell’epoca Chunqiu: il duca Huan di Qi (685-643 a.C.), il duca Xiang di
Song (650-637), il duca Wen di Jin, (635-628) il duca di Qin (659-621) e il
re Zhuang di Chu (613-591). Le rappresentazioni dell’impero unitario
ritengono questi egemoni sovrani illegittimi, probabilmente furono dei
garanti di un ordinamento di stati nuovo, decentrato, regolato da conferenze
e alleanze. La tradizione li descrive come difensori dei confini cinesi contro
gli stranieri del nord, essi non furono gli esponenti di un periodo di declino,
ma gli organi di un nuovo ordine che stava nascendo. Il racconto più famoso
della nascita di tale ordine dell’epoca Chunqiu è la storia del principe
Chong’er, il duca di Wen di Jin, egli era il figlio legittimo del duca Xian
dello stato di Jin, fu vittima di una donna, Li Ji, che suo padre aveva rapito
durante una guerra, la donna partorì un figlio del duca e voleva che questi
salisse al trono, Li Ji avvelenò il cibo del duca, Chong’er riuscì a salvarsi e a
fuggire, lo stato di Jin precipitò nella guerra civile, Chong’er viaggiò per 19
anni e fu accolto in diversi stati come Qi, Chu e Qin, ritornò a Jin, conquistò
il trono, prese il nome di duca Wen e divenne un potente egemone del
mondo cinese. Nell’epoca Chunqiu la comunicazione non passava attraverso
la corte del re, non si fermava ai confini dei singoli stati, ma si orientava
verso le strutture di una società più ampia (sotto il cielo = tianxia). La nuova
società si sviluppò in modo unitario, si espanse all’esterno, Chong’er si
spinse verso le pianure del nord, ma anche verso i Di, Chu e Qin. In questo
periodo non sono gli stati centrali della pianura cinese (Zhou, Zheng, Lu) a
avere la direzione politica, ma quelli esterni, dove nacquero nuove forme di
economia e sovranità. Qi, a nord della penisola dello Shandong, fu il primo
di questi stati limitrofi ad avere una posizione di supremazia, questa forza si
ebbe grazie al ministro del duca, Guan Zhong, il quale, si dice, propose lo
sfruttamento delle materie prime della zona, istituì i monopoli di stato per il
sale e il ferro, divise la regione in distretti amministrati centralmente. Qi
rappresentò un nuovo tipo di amministrazione razionale, impersonale e
fredda, la potenza non dipendeva più dall’ascendente personale di un capo
carismatico e le leggi, per la prima volta, erano scritte. Pare che Chu e Jin nel
VII secolo a.C. avessero codificato il diritto e che nel 536 a.C. a Zheng, il
ministro Zichan avesse ordinato di scrivere le leggi su metallo. Gli stati che
meglio rappresentarono questa nuova potenza furono Chu (a nord-ovest) e
Qin (a sud) del territorio Zhou, pare che i sovrani di Chu abbiano assunto già
nel IX secolo a.C. il titolo di “re” = wang, e nel VII secolo i duchi di Qin si
dicevano “mandati dal cielo”. Nel 644 a. C. caddero delle meteoriti sullo
stato Song, 6 aironi furono visti volare a ritroso sulla capitale e il duca Xiang
di Song, preoccupato, chiese il significato di questi fenomeni, lo scrivano
rispose che significavano potere e successo per il duca, ma poi lo derise e lo
prese in giro dicendo: “Fortuna e sfortuna dipendono dall’uomo”. Alcuni
anni dopo il duca era impegnato in una battaglia contro l’armata di Chu,
presso un fiume, il maresciallo di Song suggerì di attaccare, ma il duca
Xiang si rifiutò, perché un nobile, diceva, non tende agguati improvvisi,
l’armata di Song fu sconfitta e il duca fu ferito e perse il potere. Il duca
Xiang rappresenta un uomo del mondo antico, un cavaliere che credeva nel
significato malaugurante dei fenomeni naturali e nel codice d’onore. Il duca
Wen di Jin sconfisse, poco dopo, le truppe di Chu, presso Chengpu, nel 632
a.C. e con questa vittoria cominciò l’egemonia di Jin. Nel 598 a.C. Chu
sconfisse Jin, finì l’egemonia di quest’ultimo e cominciò quella dei
“barbari”. Tra gli stati “barbari” del sud ci sono i popoli Wu e Yue, essi
vivevano lungo il basso corso dello Yangzi, i primi nell’attuale Suzhou e, i
secondi, nell’attuale Hangzhou, vengono descritti come abili e coraggiosi
navigatori, ma anche selvaggi tutti tatuati, essi si coloravano i denti di nero e
parlavano strane lingue. Nel 506 a.C., re Helù di Wu (514-489 a.C.)
conquistò la capitale di Chu e ne cacciò il re, nel 493, suo figlio, il re Fuchai
(495-473 a.C.) vinse anche Yue. Neppure questo dominio durò a lungo, nel
473 Yue conquistò la capitale di Wu e si dichiarò potenza egemone. Le
epiche battaglie tra Chu, Wu e Yue sono molto conosciute in Cina, sono
famose la storia del re Goujian di Yue (496-464 a.C.), il quale, dopo 20 anni
di prigionia in Wu, si vendicò, la storia di Xi Shi, la donna che fece
innamorare al re Fuchai di Wu, il quale fece poi condannare a morte il suo
fido consigliere Wu Zixu, favorevole alla distruzione di Yue, questi, prima di
morire disse: “Strappate gli occhi al mio cadavere e metteteli sulla porta
orientale di Wu, in modo che possano vedere l’ingresso delle truppe di Yue”.
300 anni dopo la fine dei Zhou, il mondo cinese era completamente
cambiato, erano sorti grandi stati territoriali, estesi fino allo Yangzi, i
cambiamenti non furono solo geoterritoriali, ma anche sociali.
4.2. La nuova società
L’epoca Chunqiu, compresa tra l’800 e il 200 a.C. viene chiamata da Karl
Jaspers “l’era assiale”, l’epoca dei filosofi greci, dei profeti d’Israele, di
Buddha e Upanishad in India, dei filosofi classici in Cina, l’epoca in cui il
logos dissolse il mito. Le trasformazioni sociali e intellettuali di quell’epoca
possono essere riassunti nel concetto di trascendenza (rappresentazione di un
ordine nell’aldilà rigorosamente separato dall’ambito terreno), nell’epoca
“mitica” non c’era un confine chiaro tra terra e aldilà, i morti erano a fianco
ai vivi, il passato non era tanto diverso dal presente e non c’era una
separazione netta tra l’ordine terreno e quello trascendente. Nell’era assiale
tutto ciò cambiò. Il mutamento si intravede nelle iscrizioni in bronzo del IX
secolo a.C., con la scoperta della storia il passato cominciò a staccarsi dal
presente, l’ordine sociale apparve legato al tempo e non era più legato
all’ordine cosmico, atemporale, il cielo era separato dagli uomini e li
abbandonò a loro stessi, i vivi si staccarono sempre di più dai morti e gli
antenati non offrivano più alcun orientamento. Nelle iscrizioni dell’epoca
Chunqiu non venivano più citati gli avi. Ai vertici della società crescevano le
divisioni interne, dai ritrovamenti archeologici del VI secolo a.C. si vede
come i capi dei gruppi di parentela venivano seppelliti lontano dai cimiteri
dei loro parenti, in tombe a parte e spesso monumentali, le tombe erano
impreziosite da bronzi e spesso erano più grandi di quelle dei re Shang (la
sepoltura del re di Zhongshan -IV secolo a.C.- era grande 90 x 100 m, aveva
6 sepolcri vicini, 2 fosse con tiri di cavalli e altre fosse sacrificali, all’interno
c’erano migliaia di oggetti in oro, bronzo, vetro, lacca, argento, ossi e
ceramiche), le tombe della bassa nobiltà erano modeste, sembravano simili a
quelle del popolo. L’élite si era divisa in 2 strati separati, all’inizio i capi dei
gruppi di parentela al comando erano primi inter pares = primi tra i pari, ora
si erano distanziati, le élite inferiori si mescolavano con i non nobili,
all’inizio i sovrani erano legati al popolo, anche se indirettamente, attraverso
i gradi discendenti dei ranghi della nobiltà, adesso non c’era più posto per
egemoni che mediassero tra eguali, non c’era più il confine tra bassa nobiltà
e popolo, la vita sociale si aprì a strati molto più ampi, la società dell’epoca
Chunqiu fu molto più complessa e conobbe una mobilità sociale mai vista. Il
simbolo di questa nuova società è il ferro, la tecnica siderurgica apparve nel
VI secolo a.C. si diffuse nei secoli successivi in tutti gli stati, il ferro era il
metallo degli agricoltori, era disponibile in grande quantità, era adatto alla
fabbricazione di strumenti da lavoro (vanghe, zappe, falci, aratri). Gli
agricoltori usavano la rotazione sistematica delle colture, furono introdotte le
tasse sull’agricoltura forse nel 594 a.C. a Lu e nel 543 a Zheng, si
svilupparono l’economia monetaria, il commercio, nacquero i mercanti di
professione, furono costruite strade molto lunghe e sorsero grandi città
(Qufu, capitale di Lu, Xinzheng, capitale di Zheng, Handan, capitale di
Zhao, Ying, capitale di Chu), in queste città vivevano nobili, artigiani,
commercianti, guerrieri e pensatori, uomini che occupavano posizioni
elevate non per la loro origine, ma per la loro cultura. Ecco un testo del III
secolo a.C.:
Gli uomini (non le donne) poterono qualificarsi grazie alla loro competenza e
non per la loro origine nobile, comparvero uomini che pretendevano di
cambiare l’ordine del loro mondo, molti di questi uomini erano consiglieri
presso le corti dei principi (Guan Zhong di Qi e Zichan di Zheng), il
consigliere più famoso di questo periodo è Confucio. Kongzi (551-479 a.C.),
“maestro Kong”, o Confucio (il nome latino che gli diedero i gesuiti) è una
figura ambivalente, non ci sono fonti contemporanee sulla sua vita, ma c’è
una lunga tradizione su di lui, non fu un consigliere molto influente, neanche
la sua scuola fu molto importante, ma la sua divenne la dottrina dominante in
tutta l’Asia orientale, egli rappresenta l’epoca alla quale ha dato il nome:
Chunqiu, Primavere e autunni, questo è il titolo anche degli annali di Lu, che
gli vengono attribuiti. La biografia leggendaria di Confucio illustra i
rivolgimenti epocali del periodo in cui visse, era nato da una nobile famiglia
di Song, che si era rifugiata a Lu, rappresenta la nuova nobiltà sociale, sua
madre, si dice che, prima della sua nascita, avesse pregato una divinità
montana, era legata alla fede in divinità minori, aveva una religiosità magica,
dalla quale Confucio si distaccò, egli si orientò verso l’uomo, verso i saggi
della prima epoca Zhou, ai re Wen e Wu, al Duca di Zhou, Confucio creò la
prima tradizione (inventata) della storia cinese: infatti, come oggi ben
sappiamo, le condizioni sociali per tale ordinamento si presentarono per la
prima volta nel IX secolo a.C., Confucio e i suoi seguaci invece concepivano
se stessi come rappresentanti di una vecchia tradizione ormai dimenticata.
Confucio non riuscì nella carriera politica, ebbe un breve incarico a Lu, poi
abbandonò la sua patria e cominciò a viaggiare come un “cagnaccio
randagio”, diventando consigliere di diversi principi regionali, non ebbe mai
successo, ebbe un gran seguito, invece, come insegnante, si dice che abbia
avuto 3000 discepoli (è esagerato), appartenevano quasi tutti alla bassa
nobiltà e molti erano di origine umile (artigiani, contadini, commercianti),
uomini del popolo ai quali si dava la possibilità, grazie al mutamento
strutturale della società, di ascesa sociale e di diventare famosi e rispettati.
Confucio pose l’accento sulla necessità dello studio, anche per categorie di
persone più ampie rispetto all’élite del passato, si dice che egli sia stato il
primo maestro della Cina, che abbia redatto 5 libri contenenti dottrine
normative:
il Classico dei mutamenti (Yijing) = un manuale di divinazione per mezzo
dell’achillea millefoglie;
il Classico dei documenti (Shujing) = una raccolta di discorsi storici;
il Classico delle odi (Shijing) = un’antologia di 300 canti di corte e popolari;
gli Annali delle primavere e degli autunni (Chunqiu) = gli annali dello stato
di Lu;
le Memorie sui riti (Liji) = un compendio di antiche istituzioni, cerimonie,
regole della formazione della persona.

Il “Classico delle odi”


Il Classico delle odi (Shijing) per molti aspetti è il testo più importante di
Confucio e sotto tutti gli aspetti il più bello. Si dice che Confucio abbia
scelto 305 pezzi da un corpus di 3000 canti, che in origine venivano
accompagnati da musiche e, forse, danze, i canti provenivano da regioni e da
contesti sociali diversi, ci sono inni liturgici per il culto nei templi, canti
eroici per le corti, laudi dedicate a personaggi storici, melodie popolari
d’amore, della gioia, e dei dolori della vita campestre. Spesso le immagini
naturali fanno da preludio allo stato d’animo caratteristico del canto. Es.: la
coppia di aquile pescatrici, simbolo del desiderio erotico, nella celebre prima
ode dalla raccolta, Guanju:
Possiamo intuire che questo canto sia stato eseguito da un amante nostalgico
sulla sponda solitaria di un fiume oppure durante una festa nuziale, non lo
sappiamo. Quando le odi (certamente non di Confucio) furono messe per
iscritto, perdettero il loro posto originario nella vita, quando la società dei re
Zhou fu sostituita da una società nobiliare sovraregionale, tramontò la viva
tradizione dei canti. Nella scrittura i canti acquisirono un senso nuovo,
divennero un bene culturale universale, che ogni nobile doveva conoscere,
Confucio consigliava di imparare le sue odi, il Guanji “suscita gioia pur
senza essere immorale, suscita tristezza pur senza ferire”, diceva Confucio. I
suoi successori, oltre a recitare le odi, conferirono loro autorità, esse
divennero come una cava di pietre dalla quale estrarre messaggi morali. Il
Guanju fu considerato un canto d’amore, ma anche un elogio della promessa
sposa del re Wen dei Zhou. La ricchezza di significati e di interpretazioni
dallo Shijing un fascino intramontabile, anche se le melodie e le rime siano
vecchie e spente, le odi non hanno perduto il loro fascino, ancora oggi, ogni
cinese colto conosce a memoria il Guanju.
Anche se i Cinque scritti canonici non risalgono a Confucio, riflettono la
sua dottrina, forse Confucio istruì i suoi discepoli con scritti tramandati,
per lui furono importanti altri valori come la morale e la rettitudine, nei
Dialoghi (Lunyu) (la sua fonte principale), un allievo gli chiede se esiste
una parola secondo la quale si può indicare la vita dell’uomo e Confucio
risponde: il rispetto. La regola d’oro del Lunyu è coordinare le aspettative
di comportamento, bisognava avere nuove regole di comportamento
comuni. Confucio le sintetizza nei concetti centrali dell’umanità (ren) e dei
riti, ossia delle norme di comportamento (li). Quando un discepolo,
Zhonggong, gli domandò che cosa fosse l’umanità, il maestro rispose:
“Esci dalla porta di casa come se tu accogliessi un importante ospite,
guida il popolo come se tu compissi un grande sacrificio. Ciò che tu non
desidereresti per te stesso, non causarlo a nessun altro: in tal modo non ci
sarà nessun risentimento, né in famiglia né nello stato”. L’umanità è la
suprema virtù confuciana, è la capacità di trattare l’altro (lo straniero)
come un uomo di eguale valore (“Ciò che tu non desidereresti per te
stesso, non causarlo a nessun altro). La regola d’oro viene concretizzata
nelle norme etiche, il secondo concetto centrale di Confucio: un tempo li
(le norme di comportamento) avrebbe indicato alcuni riti religiosi durante
il sacrificio agli antenati, cioè alcune tecniche nei rapporti con forze
ignote, il li nel Lunyu divennero riti della vita quotidiana, Confucio ebbe a
che fare con stranieri , che non erano abituati ai suoi modelli di
comportamento, erano necessarie regole di relazione universali, le
consuetudini servono a limitare le opzioni di comportamento e c’era
bisogno di norme che garantissero la correttezza delle relazioni. Ai tempi
di Confucio il problema dell’integrazione divenne fondamentale, le nuove
élite appartenevano a strati sociali diversi e bisognava acquisire una virtù
personale: la morale. Essa divenne un elemento integrante della nuova
società, una qualità personale, intima, in opposizione al prestigio dei
nobili. Senza umanità e rispetto, secondo Confucio, le norme rituali non
avrebbero valore. Confucio dava importanza ai sacrifici per gli antenati e
alla coesione dei gruppi di parentela (“Il padre viene protetto dal figlio e il
figlio dal padre”). Applicò queste regole non solo in famiglia, ma anche
nel contesto sociale più ampio. Le norme di relazione superarono i gruppi
consanguinei e i clan. Inoltre, dalle qualità innate si giungeva a quelle
conquistate: il carisma della nobiltà (de), divenne la virtù morale valida per
tutti; il figlio del principe (junzi) divenne l’uomo nobile, l’uomo della vita
pubblica, una condizione sociale che tutti potevano raggiungere. Quello
che trasformò la Cina dell’epoca Chunqiu non furono le guerre della
pianura del nord e neanche le battaglie delle potenze ribelli del sud, ma i
lunghi processi vegetativi del mutamento sociale: la mobilità sociale,
l’ascesa degli strati inferiori, l’espansione territoriale l’integrazione di
culture marginali, l’aumento della produzione agricola, il commercio, la
crescita delle città, le nuove forme di amministrazione, i codici giuridici, la
razionalizzazione di tutte le sfere della vita e la crescente concorrenza tra
gli stati territoriali. Questi sviluppi proseguirono nei secoli successivi e
produssero nuovi modelli di ordinamento sociale: la burocrazia e l’impero.
L’antichità classica (V secolo a.C.- 23 d.C.)
Il centro, la periferia, e il dominio della cancelleria

L’antichità classica vide il passaggio da un’aristocrazia stratificata a una


società che differenziava il centro dalla periferia. Nell’epoca degli “Stati
Combattenti (Zhanguo 453-221 a.C.), l’antica nobiltà venne soppiantata e i
sovrani assunsero una posizione sempre più lontana, tra loro e il popolo si
inserì un nuovo strato elitario che, sotto l’impero unitario dei Qin (221-206
a.C.), si sviluppò fino a diventare una burocrazia, il centralismo burocratico
proseguì sotto gli Han (202 a.C. 9 d.C.), ma trovò dei limiti nelle ambizioni
di potere di alcuni sovrani locali: con le riforme di Wang Mang (9-23 d.C.)
ebbe fine il primo tentativo di creare un impero cinese unitario. Nell’epoca
Chunqiu la società era stratificata, c’erano almeno due gradi di rango
separati, ma da sola, l’alta nobiltà non era in grado di governare, essa faceva
affidamento economicamente e militarmente ai contadini, e politicamente
dipendeva dai consiglieri che non erano nobili. Stava nascendo il “ceto
medio”, un’élite colta, che caratterizzò la società. Nel periodo degli “Stati
Combattenti” i principati regionali erano in lotta tra loro e sorse una nuova
struttura sociale, il ferro e il clima caldo (3°C superiore a quello odierno)
portarono ad un aumento della produzione agricola, dell’artigianato e del
commercio, la popolazione aumentò, sorsero grandi città e il vecchio
ordinamento nobiliare fu cancellato. La scrittura venne applicata su listarelle
di legno e di bambù, sorsero opere di medicina, astrologia, magia,
amministrativi, di filosofia e di storia. Molti di questi testi sono stati
trascritti, riediti, stampati e giunti fino a noi. Gli archeologi hanno trovato
migliaia di listarelle di legno e bambù, e nell’antichità classica ebbe inizio la
cultura cinese manoscritta. La scrittura divenne il mezzo della filosofia
classica, le “Cento scuole” offrirono le loro dottrine, Mozi, Mencio, Xun
Kuang e Han Fei svilupparono loro concezioni e offrirono un nuovo
ordinamento alla società che aveva perduto la legittimazione tradizionale.
Essi rappresentano la filosofia classica cinese, la loro domanda principale era
come doveva essere organizzata la società cinese e la loro risposta era: un
impero unito, governato burocraticamente. Nel III secolo a.C. i Qin
sconfissero gli altri stati della pianura cinese settentrionale, lungo lo Yangzi
e per la prima volta formarono un impero. I Qin organizzarono il loro impero
che rimase di norma per i successivi 2000 anni:
1)un imperatore assoluto al vertice, che si appoggiava su
2)una burocrazia di professionisti, centralizzata e comunicante mediante
scritti e su
3)un diritto positivo unitario;
4)un impero suddiviso uniformemente in governatorati e distretti
amministrativi, nel quale
5)i contadini dovevano pagare le tasse e prestare servizi di lavoro e
nell’esercito.
L’impero dei Qin si basava sull’imposizione del potere centrale, che non si
basava su una classe nobiliare autonoma, ma su funzionari amministrativi
immediatamente dipendenti dal sovrano, gli antichi privilegi nobiliari furono
eliminati, le differenze locali furono appianate e l’unica differenza superiore
era quella tra centro e periferia. Il centro rappresentava la cultura alta, il
diritto e l’ordine di tutto l’impero; la periferia era l’umile cultura popolare.
Lo stato centrale non vinse così facilmente, la storia cinese non andava verso
la formazione di uno stato, ma c’erano resistenze contro i controlli centrali,
dopo 14 anni i Qin tramontarono, gli successe la dinastia Han, che dovette
dividere il potere con i “re” locali, i loro rivali più potenti furono i Xiongnu,
con i quali dovettero accordarsi, solo l’imperatore Wu (141-87 a C.) riuscì a
sconfiggere i principi territoriali e i Xiongnu e a prendere il potere centrale. I
letterati appoggiarono l’ideologia politica centralizzata e di Confucio, il
centro era, però, debole e crollò nel 9 d. C., quando un reggente imperiale,
Wang Mang usurpò il trono, fondò una nuova dinastia, che durò comunque
poco. La denominazione “Cina” potrebbe derivare dal nome Qin (non è
dimostrato), i Cinesi fino ad oggi si chiamano “Han”, anche se queste
dinastie fallirono politicamente, il loro ideale unitario è rimasto un’eredità
dell’antichità classica.

1 Gli Stati Combattenti


Sun Wu, un uomo di Qi, conoscitore dell’arte militare, fu ricevuto dal re di
Wu, il quale gli chiese se i suoi metodi di addestramento erano validi anche
per le donne, Sun rispose di si, il re convocò 180 dame di corte, Sun le divise
in due gruppi, nominò come comandanti le 2 favorite del re, spiegò loro gli
ordini da impartire, fece disporre le schiere, ordinò di voltare a destra, ma le
donne scoppiarono a ridere, per due volte l’ordine di Sun Wu non venne
preso sul serio ed egli disse: “Quando gli ordini sono chiari e non vengono
eseguiti, la colpa è da attribuire ai comandanti” e fece decapitare le due
donne.

I.I. Guerre e rivolgimenti


Sun Wu è l’autore del Sunzi bingfa (L’arte della guerra del maestro Sun), un
libro sulla teoria militare dell’epoca Zhanguo, l’arte militare raggiunse un
alto livello qualitativo durante l’epoca degli “Stati Combattenti”, in questa
epoca furono introdotte la balestra, un’arma di forte gittata e forza d’urto,
che sostituì l’arco e le truppe a cavallo, che sostituirono i carri da guerra, si
dice che il primo ad utilizzare la cavalleria, vestita con un abbigliamento
“barbaro” (pantaloni, giubba e stivali) fu il re Wuling di Zhao, nel IV secolo
a.C. fu sviluppata anche la fanteria, formata da migliaia di fanti, armati di
spade e alabarde di ferro, in molti sati fu introdotto il servizio militare
obbligatorio e si ebbe la militarizzazione dell’intero popolo. Le campagne di
guerra divennero grandi, gli assedi lunghi e le battaglie attrezzate, gli stati
regionali cominciarono a costruire mura, valli difensivi in argilla lunghi
centinaia di km. Nacque una forma di “guerra totale, le fonti dell’epoca
riferiscono di città ridotte alla fame, massacri, padri che divoravano i figli,
comandanti che bevevano dalla calotta cranica del nemico, scempi di
cadaveri e guerre in cui i morti riempivano campi e città (battaglia tra Qin e
Chu = 80 000 morti, battaglia tra Qin e Han/Wei = 240 000 morti, guerra tra
Qin e Zhao = 20 000 morti Zhao annegati nel fiume Huanghe e 450 000
soldati Zhao massacrati). Forse questi numeri sono esagerati, ma le guerre di
quell’epoca furono condotte con brutalità e mancanza di scrupoli. Molti
fattori portarono alla razionalizzazione e spersonalizzazione di parti della
società dell’epoca Zhanguo: le guerre crudeli, il disincanto filosofico sul
mondo, il tramonto del culto degli avi, la svalutazione dei legami familiari e
la crescita della produzione economica. La produzione agricola crebbe grazie
alla lavorazione del ferro, furono utilizzati gli aratri, il giogo per i buoi, il
concime organico, intere foreste furono disboscate per ottenere nuove terre
coltivabili, furono costruiti i canali per l’irrigazione regolare, fiorì il
commercio e si usava il denaro, crebbe la monetizzazione dell’economia, la
popolazione aumentò, le famiglie erano numerose, mettevano al mondo
almeno 5 figli, la maggior parte della popolazione viveva nelle grandi città,
le cui mura racchiudevano palazzi, manifatture, fonderie di bronzi, piazze del
mercato e case di abitazione. Sembra che Linzi, la capitale di Qi, abbia
avuto, nell’epoca Zhanguo, 210 000 abitanti. Nella Cina antica aveva 2
milioni di abitanti, nel 2 d.C., con il primo censimento, contava 57 milioni di
abitanti. Il popolo comune fu trasformato in un importante fattore politico, i
contadini diventarono la nuova base del potere dei sovrani, erano
contribuenti e reclute. Anche il ceto dominante mutò, molti vecchi principi
regionali non furono più in grado di controllare i loro territori e persero il
potere a vantaggio di dignitari locali e famiglie influenti, a Lu, nel VI secolo
a.C. presero il potere i “3 Huan”, a Qi nel 481 a.C. la famiglia Tian fece
uccidere il principe di Qi, nel 453 a. C. le 3 famiglie Han, Zhao e Wei si
divisero i territori Jin. I vasi di bronzo (simbolo della legittimazione
aristocratica) scomparvero, i nomi dei clan (xing) assunsero il significato di
nome della famiglia, le cento stirpi della nobiltà (baixing) ora indicavano i
cento nomi di famiglia, cioè il popolo. Il popolo divenne la base del potere
delle nuove élite, che scacciarono l’antica nobiltà, i Tian e i Qi ottennero
l’appoggio del popolo, a Jin sono state ritrovate migliaia di tavolette di pietra
e di giada con giuramenti di fedeltà di membri della bassa nobiltà e del
popolo ai capi delle élite emergenti, le baixing diventarono fondamento dello
stato. Con la divisione di Jin nel 453 iniziò un nuovo periodo degli “Stati
Combattenti” che culminò con l’espansione di pochi grandi stati e la perdita
del potere delle vecchie élite, dei 100 stati dell’epoca Chunqiu, ne rimasero
solo 7 importanti (Qin, Qi, Chu, Han, Zhao, Wei e Yan), i quali erano
governati da nuove élite, l’ascesa degli strati inferiori fu interpretato come un
fenomeno di decadenza, un involgarimento della società, anche le sepolture
mutarono, al posto dei bronzi rituali, ai defunti venivano offerti oggetti di
vita quotidiana, le camere sepolcrali erano decorate come le abitazioni
terrene e le tombe venivano costruite per accogliere i morti e per tenerceli, i
defunti non erano più dei soccorritori, ma venivano immaginati come
demoni capaci di ritornare sulla terra e portare malattie e sventure,

1. 2. Moisti e confuciani
L’epoca Zhanguo appare selvaggia e degenerata, e per questo fu un’epoca
classica, l’impero cadde in grande confusione e la decadenza del sapere era
in realtà l’inizio della storia dello spirito cinese, nel IX secolo si constatò che
il passato era diverso, ora divenne chiaro che anche il presente e il futuro
potevano essere pensati diversamente, l’uomo cominciò a pensare a nuovi
progetti per il futuro.
La lingua cinese

La lingua dal V al III secolo a.C., quella in cui fu scritta la letteratura


dell’epoca Zhanguo, è considerato il “cinese classico”, come il latino in
Europa, essa per più di 2000 anni restò alla base della lingua letteraria,
persino quando il cinese parlato era già molto diverso da essa, mantenne la
propria autorità fino all’inizio del XX secolo (chiunque vuole studiare
seriamente la tradizione cinese deve apprenderla). Già nell’epoca Han, la
lingua era cambiata e i testi più antichi avevano bisogno di commentari, il
più antico lessico cinese che ci sia giunto, lo Shuowen jiezi, spiega le forme
dei caratteri e dà indicazioni sulla pronuncia, nei secoli successivi, anche
sotto l’influsso della grammatica sanscrita, vennero sviluppati metodi di
analisi linguistica, poiché i caratteri cinesi riproducono ogni volta intere
sillabe, e non c’era una trascrizione fonetica alfabetica, lo Shuowen jiezi
indicava lettura di un segno soltanto mediante un altro segno che avesse
uguale suono. Nacque un metodo grazie al quale la pronuncia di un segno
viene data da due altri, uno per il suono iniziale e l’altro per il suono finale
(zhong tramite zh(i) + (g)ong). Venne individuata un’altra particolarità delle
sillabe cinesi: il tono, Shen Yue (441-513), storico e poeta della dinastia
Liang, individuò 4 toni: quello piano, quello ascendente, quello uscente e
quello entrante (a loro volta a 2 altezze, così che i toni che risultano sono 8),
stabilì delle norme per impiegare i suddetti toni in poesia per ottenere effetti
eufonici e armonici. Nel medioevo fu pubblicato il Qieyun (601) di Lu
Fayan, un rimario che ordina 12 000 caratteri secondo 193 gruppi di rime.
Non c’è mai stata una lingua cinese sola, ma sempre molti dialetti diversi tra
loro, all’inizio dell’era cristiana Yang Xiong (53 a.C.-18 d.C.), originario di
Sichuan, scrisse il primo vocabolario dialettale, il Fangyan, oggi si
distinguono 7 grandi gruppi di dialetti: mandarino, parlato nella Cina
settentrionale e nel sud-ovest, wu (Zhejiang, Shanghai), gan (Jiangxi), xiang
(Hunan), min (Fujian, Taiwan), yue (Guangdong, Guangxi, Hong Kong), e
hakka (regioni tra cui Fujian, Guangdong, Guangxi). Questi dialetti sono così
diversi, che potrebbero essere indicate come lingue differenti, tra di loro i
cinesi delle varie parti della nazione non sono in grado di conversare, nel XX
secolo lo stato nazionale unitario sovrappose ai “dialetti” una “lingua
universale” (putonghua) studiata nelle scuole. Recentemente è nata la
linguistica scientifica cinese, sono stati scritti vocabolari moderni,
grammatiche e manuali di retorica, il sinologo svedese Bernhard Karlgren
(1889-1978) fondò la fonologia storica del cinese, comparando i dati del
Qieyun e le pronunce dei dialetti cinesi moderni, ricostruì le pronunce del
cinese medio, la lingua del Qieyun. La lingua cinese è molto cambiata nel
corso dell’ultimo millennio, il cinese di 2000 anni fa è conosciuto solo in
modo approssimativo, è una ricostruzione di una ricostruzione, conosciamo
solo a grandi linee la lingua di Confucio e possiamo solo intuirla.
L’uso della scrittura si allargò, nell’epoca Zhanghuo sorse una vera cultura
manoscritta, del 300 a.C. ci rimangono testi su supporti teneri, listarelle, di
legno o di bambù tenute insieme da cordicelle, contengono discorsi, canti,
storie, esorcismi, formule magiche, dialoghi filosofici e dissertazioni,
nacquero i libri. La scrittura si allargò dalla corte a tutta la società, nacquero la
letteratura e la filosofia in Cina, ebbe inizio l’epoca classica e le “Cento
Scuole” della filosofia divennero i modelli della tradizione cinese. La prima
dottrina di questo nuovo ordinamento sociale fu quella di Confucio, però la
sua scuola fu divisa in 8 rami diversi, dei quali sappiamo poco. Un’altra
dottrina che ebbe un effetto maggiore fu quella di un altro pensatore: Mozi
(479-381 a.C.), sembra che abbia fatto parte della scuola confuciana, poi,
deluso, se ne allontanò, e abbia sviluppato una dottrina del tutto contraria, uno
dei testi a lui attribuiti s’intitola: Contro i confuciani, condanna la venerazione
per gli avi, condanna l’egoismo familiare, secondo il quale ai parenti
spetterebbero più amore e più doni che agli altri. Mozi pone al centro l’ideale
dell’”amore onnicomprensivo” (jian’ai), in base al quale si devono amare e
rispettare tutti gli esseri umani in egual misura. Questa dottrina egualitaria,
che non riconosce più limiti di famiglia o di ceto, rispecchia chiaramente la
struttura della società nuova. Mozi, forse era un artigiano, se non addirittura
un ex detenuto, aveva radunato una banda di compagni cenciosi e provenienti
da ambienti disonesti, l’ambiente sociale più appropriato per sviluppare nuove
idee sovversive. I seguaci di Mozi, i moisti, seguivano una disciplina quasi
militare e norme severe, egli insegnava loro però a porre in dubbio tutte le
regole, i moisti cercavano regole universalmente valide, si chiedevano anche
come queste regole si giustificassero, nella raccolta di scritti intitolata Mozi ci
sono molte riflessioni sulla logica, sia questa disciplina che la scuola moista
furono presto dimenticate. Lo scetticismo dei moisti riflette l’instabilità
dell’epoca Zhanguo, i dubbi del sistema dei valori, le discrepanze della
tradizione. Divenne importante sapere come fosse possibile un ordine sociale,
per i moisti non ci sono i costumi in quanto impalcatura normativa, ma l’utile,
al quale tutti tendono, non sono più i nobili a garantire l’ordine sociale ma i
più abili e i più capaci, Mozi spiegava la nascita dello stato allo stesso modo
di Thomas Hobbes. Queste riflessioni si affermarono quando nella vecchia
Cina sorse un Leviatano: uno stato onnipotente, che teneva sempre più in
pugno la società, la posizione assoluta del sovrano diventa ovunque visibile,
nella città in cui viveva, una seconda cerchia di mura interne isolava il suo
palazzo con i suoi portoni, le terrazze, le torri dal resto della città, i palazzi
del re erano veri grattaceli del mondo antico, simboleggiavano la supremazia
assoluta dello stato, i sepolcri dei sovrani erano sormontati da giganteschi
tumuli adorni di templi e ben visibili da lontano e rammentavano
l’onnipotenza dei sovrani, che troneggiavano su tutti i sudditi e che nel IV
secolo a.C. iniziarono a chiamarsi “re”(wang), lo stesso titolo dei sovrani
Zhou, lo stato apparve opposto rispetto alla società. Nell’epoca Zhanguo sorse
un nuovo strato sociale: gli shi, un’élite colta che, al servizio dei principi
regionali, determinò fortemente la politica del tempo, gli shi venivano dagli
strati inferiori della nobiltà, essi formarono un “ceto medio” (tra sovrano e
popolo), tra il IV e il III secolo a. C. ottennero una posizione decisiva, la
politica divenne una sfera autonoma, nacque il discorso politico (il re Hui di
Wei, nel IV secolo a: C. riunì presso la sua corte, nella capitale Qi, eminenti
pensatori e sorse l’Accademia Jixia, un centro intellettuale frequentato dai
migliori cervelli dell’epoca), questi pensatori rappresentavano la filosofia
pratica, si occupavano dei problemi della vita attiva: dell’economia (insegnata
dagli agronomi), della strategia militare e del governo dello stato. Meng Ke
(Mencio 372-289 a.C.), un pensatore confuciano, diede molta importanza alla
società, nell’opera a lui attribuita, Mengzi, dice che il sovrano ha la
responsabilità del suo popolo e il popolo deve resistere contro il sovrano, il
principe non viene legittimato dalle qualità innate, ma da quelle acquisite,
ogni uomo può diventare “un Yao, o uno Shun”, cioè un saggio sovrano, il
presupposto non è, come per Mozi, l’abilità, ma la bontà e la cura per il
popolo, ogni uomo porta con sé la disposizione al bene e per assicurare
l’ordine sociale è necessario chiarire le 5 relazioni umane (wulun): tra padre e
figlio, principe e suddito, marito e moglie, vecchi e giovani, tra amici. Mencio
fa cominciare l’ordine sociale con il popolo e non con il sovrano, il popolo
dice, è la cosa più importante, poi ci sono gli dèi della terra e del miglio e il
principe è la cosa meno importante. Mencio associa il popolo al cielo, il
popolo può togliere il suo mandato ad un cattivo sovrano e può ribellarsi
contro un tiranno, il sovrano deve governare in modo benevolo, giusto e in
sintonia con i bisogni del popolo, colui che non prova piacere nell’uccidere
esseri umani, è in grado di unificare l’impero. Mencio non cerca più nella
storia l’origine del presente, cioè le continuità genealogiche, ma soltanto dei
precedenti che possano essere riferiti al presente, la storia gli serve come una
miniera di exempla (esempi), dalla quale è possibile trarre insegnamenti
(historia magistra vitae = la storia maestra della vita). Questa storia
soddisfaceva i bisogni della nuova élite che non era in grado di legittimarsi
storicamente e che impiegava la storia per la critica del presente, gli shi non
avevano radici nella storia, negavano la continuità storica, secondo loro non si
poteva tracciare nessuna linea continua dal passato al futuro, ma soltanto
qualche linea parallela, perché il passato era il passato, solo la natura
dell’uomo si era mantenuta nel mutare del dei tempi, e per questo si poteva
imparare dalla storia e trarne conclusioni per il presente. I pensatori dell’epoca
Zhanguo comprendevano la storia a partire dal presente, se infatti il fattore
determinante, cioè la natura dell’uomo, veniva presupposto come immutabile,
le situazioni presenti potevano senz’altro venire proiettate nel passato, i
pensatori dell’epoca Zhanguo raccontavano la storia in modo plausibile senza
ricorrere alle fonti, creavano storie corrispondenti al loro presente, i numerosi
aneddoti sui sovrani benigni, accorti consiglieri e ribaldi privi di morale di
quell’epoca, erano sicuramente inventati, ma ciò non aveva un intento
truffaldino, non si dovevano trovare verità oggettive, ma dottrine utili la storia
doveva essere esemplare, ecco perché la storia cinese ci appare tanto continua:
questa continuità non è nel passato stesso, ma è il prodotto di una storiografia
che comprendeva il passato a partire dal presente. Mencio sosteneva che
l’essenza dell’uomo era buona di natura, l’uomo aveva un sapere intuitivo
(liangzhi) e una capacità intuitiva (liangneng) che lo dispongono al bene,
l’agire morale è in sintonia con l’ordine naturale, la sua era una dottrina
ingenua, in un’epoca piena di atrocità e disordine, ecco perché forse non riuscì
a convincere i sovrani del tempo. La dottrina di un altro pensatore dell’epoca
è totalmente diversa e risulta più realistica, quella di Xun Kuang (313-238 a.
C.), o Xunzi, “maestro Xun”, egli nel suo libro che porta il suo stesso nome
parla del concetto di differenza: differenza tra cielo e uomo, tra natura e
società, tra passato e presente, tra parole e cose, egli parte dall’idea
dell’”epoca assiale”, cioè la trascendenza, non cercò di superare la differenza
tra cielo e terra, ma ne fece il fondamento di tutte le sue riflessioni: il cielo
segue la propria legge eterna, senza conformarsi al bene e al male degli
uomini, i fenomeni della natura sono indipendenti dalle azioni umane, non c’è
continuità morale, anzi l’uomo stesso è amorale e cattivo, il bene non sta nella
natura dell’uomo, ma nella sua cultura, è “fatto” artificiale e non originario.
Xunzi riconobbe l’origine sociale della morale, per lui divennero importanti 2
cose, già insegnate da Confucio, i costumi e lo studio, i costumi danno agli
uomini la cornice per una convivenza ordinata e attraverso lo studio essi
trovano la via per il bene, il bene non esiste indipendentemente dalla
conoscenza, l’uomo non può conoscerlo quale propriamente è, egli distingue
le cose dalle parole, le definizioni non hanno una solida realtà, vengono unite
per indicare le realtà, la loro relazione è puramente convenzionale, priva di
necessità interna, furono i saggi re Zhou a fissare questi concetti. Xunzi, sul
piano temporale, sostituisce alla continuità la differenza: l’antichità non può
più prescrivere le regole al presente. Con Xunzi la filosofia cinese classica
raggiunse il suo punto più alto e insieme il suo termine ultimo, la separazione
tra cielo e uomo, il conseguente legame al proprio tempo, il riconoscimento
della contingenza dell’ordine sociale giunsero con Xunzi alle estreme
conseguenze e la sua filosofia ebbe più che un effetto teoretico, uno pratico e
politico.
1. 3. Daoisti e filosofi della natura
Nell’epoca Zhanguo sorse la dottrina più affascinante e radicale che la Cina
abbia mai avuto: il daoismo (taoismo), essa prende spunto dal libro Daode
jing, di 5000 caratteri, attribuito a Laozi, “maestro Lao” (detto anche Li Er). Il
concetto centrale è il Dao, non avrebbe dovuto essere nominato, è una
formulazione casuale, una soluzione di ripiego per indicare il principio del
mondo, che propriamente è innominabile (“Un Dao che può essere nominato
non è l’eterno Dao”), ogni indicazione acquista senso soltanto
differenziandola da un’altra, ma, essendo il Dao onnicomprensivo, non può
essere differenziato da nulla, non è afferrabile dal linguaggio, ma fa
riferimento alla sua natura, e la stessa cosa dovrebbero fare anche gli uomini.
Nel Daode jing viene proposta un’evoluzione alla rovescia della società verso
una condizione originaria “naturale”, indifferenziata. È una società
segmentaria, che non conosce comunicazione al di fuori del gruppo, né viaggi,
commercio e scrittura, la comunità di villaggio è autosufficiente, non ha
bisogno di costumi complessi e di regole per le relazioni con gli stranieri, tutte
le pretese virtù vengono definiti fenomeni patologici di un mondo in
decadimento. Ancora oggi i motti brillanti e ambigui del Daode jing
entusiasmano un vasto pubblico e ci sono centinaia di traduzioni, spesso
discordanti, nelle lingue occidentali di questo libro, che pretende di essere
l’eterna saggezza della Cina. Il Daode jing è contro tutti i caratteri della nuova
società: la mobilità sociale, il commercio, la distinzione sociale, il sapere e la
configurabilità del mondo da parte dell’agire umano. Uno degli ideali della
vita spontanea e non violenta, in sintonia con la natura è il “non fare” (wuwei),
cioè ottenere l’ordine sociale attraverso la limitazione delle possibilità di
azione. Il secondo caposaldo del daoismo è la raccolta di testi del Zhuangzi, il
suo presunto autore è Zhuang Zhou forse del IV secolo a. C., egli dichiara che
preferirebbe rotolarsi come una tartaruga nel fango piuttosto che accettare un
impiego, egli derise tutte le ambizioni mondane con ironia, lirismo, con
dialoghi spiritosi e con parabole fantasiose, ignora il potere, disprezza i libri,
deride i confuciani e gli altri pensatori, se si volesse ridurre con una sola
parola il suo pensiero, si potrebbe dire: scetticismo. Zhuangzi mette in dubbio
la possibilità della conoscenza, la quale è mediata dal linguaggio. Infatti, le
categorie del linguaggio e le sue differenze (questo e quello/vero e falso) sono
artificiali e legate a una prospettiva, il linguaggio rimanda solo a se stesso e
impedisce l’accesso alla realtà. Zhuangzi insegna a superare le categorie del
linguaggio, anzi di più, a smascherare tutte le opposizioni come illusorie (tra
vita e morte/ tra le diverse forme dell’essere). Secondo la dottrina del
Zhuangzi, solo chi ignora tutte le differenze, che vede dietro la facciata
dell’apparenza e del linguaggio, trova la via verso l’uno indifferenziato,
immobile, che sta alla base delle “diecimila cose”: al Dao. Il principio
universale del Dao presuppone un concetto di mondo, che in Cina non c’era
mai stato, nell’epoca Zhanguo l’orizzonte spirituale si aprì ad abbracciare
l’idea di un mondo, i concetti di qi, di yin e yang o delle 5 fasi del mutamento
spiegavano che cosa tenesse insieme il mondo e fondarono l’unità del mondo.
Qi = forza vitale immateriale che è in tutte le cose e sta alla base dell’essere,
questo essere ha però il movimento solo per le forze complementari; yin e
yang operano in tutti i fenomeni, yin = elemento femminile, oscuro, freddo,
debole; yang = maschile, chiaro, caldo, forte, sono il paradigma di tutte le
dualità pensabili, cioè del mondo. “Un yin, un yang, questo è il Dao”. Il
rapporto tra yin e yang determina sia le qualità che lo sviluppo delle cose,
determinato dall’ascesa o dal declino di uno dei due principi. Questa dottrina
è riunita nel Classico dei mutamenti (Yijing), un compendio cosmologico.
Un’altra teoria è quella delle 5 fasi del mutamento (terra, legno, metallo
fuoco, acqua), che con il loro alternarsi reciproco determinano il corso del
mondo e al tempo stesso la sua struttura, ad esse si collegò un sistema di
correlazioni, nelle quali tutte le sfere dell’essere furono associate a un
elemento: le stagioni, i punti cardinali, gli stati, i colori, gli organi, i gusti, gli
uffici, ecc.…Il mondo fu diviso in 5 categorie, la cosmologia correlata era una
reazione alla spartizione del mondo nell’epoca assiale, era netto il confine tra
immanenza e trascendenza e venivano definite le regole normative
ugualmente valide per tutti gli ambiti dell’essere. Tanto più era incerto
l’ordine del mondo, veniva ora stabilito quale posto spettasse, secondo natura,
a ogni cosa. La dottrina delle correlazioni divenne il fondamento della
medicina cinese, la ricerca dei rapporti regolativi stimolò la ricerca
naturalistica e portò a invenzioni uniche, nel mondo premoderno, e l’idea
dell’”universalismo”, dell’armonia cosmica, ha impegnato i pensatori cinesi
per più di 2 millenni.

Superstizione
I Cinesi da Confucio in poi non furono esseri perfettamente razionali, i testi
che accompagnano i defunti dei sepolcri delle epoche Zhanguo e Han trattano
di astrologia, divinazione, medicina, cosmologia, esorcismi, pratiche
occultistiche e magiche, anche i sovrani, in caso di malattie, si rivolgevano a
divinità naturali e speravano nell’aiuto degli spiriti. L’ordine razionale della
rivoluzione rituale nascose solamente dalla discussione pubblica e non sostituì
la visione magico-arcaica del mondo. La corte degli imperatori Han era piena
di indovini, alchimisti, geomanti ed esorcisti. In alcune opere di Dong
Zhongshu (179-104 a.C.), uno dei più influenti pensatori del tempo, ci sono
preghiere per attirare la pioggia e scongiurare un’eclissi solare. Nel medioevo
cinese le “annotazioni sul soprannaturale” (zhiguai) riferiscono di fenomeni
soprannaturali, maghi e demoni, anche Han Yu (768-824), un erudito che
aveva attaccato le dottrine erronee del buddhismo, come prefetto di
Chaozhou, scrisse in un monito ufficiale a un coccodrillo, chiedendogli di
andarsene per non sfuggire alle punizioni del Figlio del cielo. Anche negli
scritti di Zhu Xi (1130-1200) ci sono preghiere per la pioggia, invocazioni
agli spiriti dei defunti e autocritiche di fronte alle potenze ultraterrene. In altre
circostanze la visione razionale del mondo cedette di fronte ala superstizione
tradizionale, nel XX secolo il Partito comunista cinese di Mao combatté la
“superstizione feudale” diffusa tra il popolo, ma invano, con l’inizio della
liberalizzazione fecero ritorno gli dèi locali, gli almanacchi, gli indovini e i
geomanti e il razionalismo di Confucio e il socialismo scientifico non sono
riusciti a eliminare la superstizione.

1. 4. I legisti e l’ascesa di Qin


L’universismo risolveva il problema della molteplicità sociale e culturale, le
differenze con gli stati della Cina settentrionale facevano ricercare una
superiore unità, si manifestò l’idea di un nesso universale fra tutti i fenomeni
naturali e sociali, un nesso capace di trascendere ogni confine. Era nata l’idea
di impero, nella nuova società, che distingueva il vertice dalla base, lo stato
era il dominio di un centro al quale tutte le regioni erano sottomesse.
Bisognava capire chi avrebbe unificato l’impero. La risposta a questa
domanda fu data dai pensatori che unirono gli influssi delle scuole dei
confuciani e dei daoisti e formarono una nuova dottrina di estrema efficacia
politica: il legismo, essa fu formulata da Han Fei (280-233 a. C.), un
discepolo di Xunzi, e rielaborava due dottrine di Xunzi: quella del mutamento
dei tempi e quella della natura malvagia dell’uomo, Han Fei non riconosceva
come modelli i re Zhou, egli diceva che la storia non poteva fornire modelli,
perché i tempi erano cambiati, egli racconta l’aneddoto del contadino di Song
che una volta vide una lepre sbattere di corsa contro un albero e morire, il
contadino abbandonò l’aratro per andare ad aspettare altre lepri, che però non
si fecero mai vedere, secondo lui sarebbe altrettanto folle basarsi sul passato.
L’idea di storicità viene pensata fino in fondo, in modo più conseguente che in
tutte le altre scuole, e portata all’estreme conseguenze, non ci sono regole
eterne per governare il popolo, né l’erudizione né la benevolenza sono adatte
a questo compito, l’umanità e la rettitudine servivano nell’antichità e non
oggi, solo le leggi sono in grado di creare ordine, le leggi, però, mutano con i
tempi e si adattano alle circostanze. La filosofia del legismo si schierava dalla
parte del Leviatano e poneva al centro l’interesse di questo. Molte idee legiste
furono applicate in molti stati (il consigliere Guan Zhong avrebbe favorito
l’economia politica a Qi, Zichan promulgò le leggi a Zheng o a Sunzi e fu
l’autore di una riforma dell’esercito a Wu). Le idee legiste furono applicate
soprattutto a Qin, uno stato barbaro, i loro sepolcri, per esempio, erano simili
a quelli non cinesi dell’occidente, assomigliavano ai Zhou, nel VIII secolo i
Qin erano migrati nella valle del Wei, nello Shaanxi, nella vecchia capitale dei
Zhou, essi si sentivano i successori dei Zhou, nel VII secolo i loro sovrani si
riferivano al “mandato del cielo”, si fecero costruire sepolture di dimensioni
enormi, tali da oscurare quelle dei re Shang (il sepolcro di un re Qin del VI
secolo a.C. era profondo 24 m, aveva 280 m di rampe e celava 166 sacrifici
umani). L’introduzione delle leggi legiste fu attribuita al consigliere Shang
Yang (390-338 a.C.) (il Machiavelli dell’antica Cina), egli sarebbe arrivato a
Qin nel 361 a.C., espose al duca Xiao prima le dottrine di Confucio, ma il
duca, annoiato, si addormentò, poi gli parlò dell’arte di rafforzare lo stato in
un modo diverso, non servivano odi, riti, umanità, modestia, retorica e
accortezza per indurre qualcuno alla guerra e alla difesa, ma erano necessarie
ricompense, pene severe per rendere i sudditi produttivi e agguerriti.
Bisognava riformare le istituzioni per migliorare il mondo e non cambiare le
convinzioni della gente, la società doveva essere indipendente dalle
convinzioni e dalle motivazioni degli esseri umani, in questo modo Shang
Yang giustificò la burocrazia, quell’istituzione che libera chiunque dal peso
della riflessione, sottomettendo il mondo a un ordine indiscutibile, la
burocrazia offre la soluzione per la contingenza di qualsiasi ordinamento, essa
non ha bisogno di fondamenti ultimi, ma soltanto di una routine , per
raggiungere scopi che sono sempre già dati. Il duca Xiao adottò le riforme di
Shang Yiang, favorì l’agricoltura, garantì la proprietà privata ai contadini,
favorì l’immigrazione, divise la regione in governatorati (jun) e distretti
(xian), amministrati non più da nobili, ma da funzionari del centro, il popolo
pagava le tasse, faceva i servizi obbligatori da rendere allo stato e prestava il
servizio militare. I contadini erano anche soldati e tutto il popolo poteva
essere mobilitato per la guerra. La società era organizzata in modo militare,
gli abitanti erano divisi in gruppi di 5 o 10 famiglie, che lavoravano insieme e
si controllavano a vicenda, c’era un rigoroso sistema di sorveglianza, che
puniva ogni delitto con fermezza. Chi denunciava una mancanza veniva
ricompensato come un eroe di guerra, chi taceva veniva punito come un
disertore con la morte, era un vero regime di terrore. Il potere delle vecchie
nobiltà tramontò e la nuova gerarchia sociale si basava sui meriti di guerra, il
sistema del legismo non era aristocratico, ma burocratico, freddo, razionale e
amorale. L’essere umano non contava nulla di fronte alla legge, lo stesso
ideatore di questa legge, Shang Yang, dopo la morte del suo protettore, nel
338 a.C. fu accusato di aver organizzato una rivolta e venne squartato e la sua
famiglia sterminata. La politica di Shang Yang fu continuata dai Qin che
finirono per dominare l’intera Cina, nel 350 a.C. spostarono la capitale a
Xianyang (odierna Xi’an), vicino al bassopiano della Cina settentrionale, nel
325 a.C. i sovrani assunsero il titolo di re nei decenni successivi allargarono il
loro potere. Nel 316 a. C. Qin conquistò gli stati di Shu e Ba (attuale
Sichuan), un territorio circondato da alti monti, allora lontano dal mondo degli
stati cinesi, era un territorio produttivo per l’agricoltura, fu sfruttato, fu
fondata la città di Chengdu e costruita una rete di irrigazione, divenne il
granaio di Qin e del suo esercito, qin conquistò la pianura della Cina
settentrionale, occupò il corso superiore del fiume Han, verso la Cina
meridionale.
Nella Cina del sud si trovava uno stato, posto sul medio corso dello Yangzi, in
una regione che nel I millennio a.C. era ricoperta da foreste tropicali, lo stato
di Chu, i suoi abitanti erano più vicini ai popoli del sud-est asiatico che ai
Cinesi della pianura del loess, avevano un’altra lingua e una cultura
autonoma, i sovrani Chu tentarono di conquistare le zone del nord e
nell’epoca Chunqiu si spinsero verso la Cina settentrionale, nel 632 a.C.
furono sconfitti da Jin e nel 506 a.C. da Wu, ma nel IV secolo a. C.
raggiunsero il massimo livello della loro espansione, i Chu dominavano tutto
il corso medio e inferiore dello Yangzi fino al mare, nel 249 a. C.
cancellarono Lu, la patria di Confucio, alla fine del III secolo a.C. i Chu e i
Qin si scontrarono per il dominio dell’intera Cina, i due stati cercarono vari
alleati e i Qin furono sconfitti nelle battaglie contro Zhao e Chu, alla fine,
però, nel 256 e nel 249 Qin conquistò i territori di Zhou sia orientali che
occidentali.
I “Canti di Chu”
Una testimonianza eterna dell’autonomia della cultura meridionale sono i
Canti di Chu (Chuci), composti nel III secolo a.C., essi sono, accanto allo
Shijing, la seconda importante raccolta di testi poetici dell’antica Cina, ma
sono molto diversi rispetto allo Shijing, sia dal punto di vista formale che da
quello del contenuto, i lunghi testi rapsodici (opere non unitarie, ma
frammentarie), parlano della separazione del corpo dall’anima, del
superamento dei confini tra vita terrena e aldilà, essi testimoniano una
religiosità estatica, sciamanica, estranea ai canti settentrionali. Il canto di
“Invocazione all’anima perché ritorni” (Zhao hun), scongiura un’anima che ha
appena lasciato il corpo affinché faccia ritorno. (testo)
Questi canti avvincenti, con un linguaggio immaginifico, hanno influenzato
molto di più rispetto alle odi dello Shijing, la poesia successiva, uno degli
autori più famosi dei Chuci è Qu Yuan (340-278 a. C.), al quale ne vengono
attribuiti molti, Qu Yuan, principe di Chu, è considerato il maggiore poeta
dell’antichità, viene visto anche come un eroe tragico, era stato diffamato a
corte, poi venne esiliato e visse da allora come un eremita, la sua poesia è
ebbra (esaltata/eccitata), nel poemetto più celebre di tutta la raccolta, il Lisao,
egli descrisse il dolore della sua vita, sfociato in un viaggio da sciamano
attraverso le sfere degli dèi e degli spiriti. (testo)
Si dice che Qu Yuan, disilluso e colmo di dolore, si sia lasciato annegare in un
fiume, i Cinesi di oggi ne commemorano la morte con la festa delle barche dei
draghi, nel quinto giorno del quinto mese del calendario lunare, in quel
giorno, le gare delle barche dei draghi ricordano i pescatori che cercarono di
salvare Qu Yuan prima che annegasse, mentre gli involtini di riso
simboleggiano il cibo che buttarono in acqua per allontanare i pesci dal suo
cadavere.

La grande dinastia Zhou era finita e il potere passò ai Qin, nel III secolo a.C. il
loro territorio era vasto quasi come quello di tutti gli altri stati messi assieme,
ma la popolazione era molto più numerosa, i Qin presero il potere grazie al loro
arricchimento economico sistematico ( aneddoto: nel 246 a. C. il sovrano di
Han voleva, con l’inganno, fermare l’avanzata verso est dei Qin, aveva saputo
che il popolo Qin amava le grandi costruzioni, mandò loro l’ingegnere Zheng
Guo, per convincerli a costruire un grande canale di irrigazione tra i 2 affluenti
del Fiume Giallo, per far esaurire le loro forze, il canale fu costruito e poté
irrigare 250 000 ettari, la regione di Guanzhong divenne fertile, e la
costruzione del canale, invece di essere una sventura, fece accrescere la forza
di Qin). Nel 246 a.C. un nuovo re ascese al trono di Qin, Ying Zheng (259-210
a. C.), con il sostegno di due cancellieri, Lù Buwei e Li Si, completò
l’espansione territoriale e conquistò gli altri stati regionali (Han, Zhao, Wei tra
il 230 e il 225 a.C., nel 223 a.C. Chu, nei due anni seguenti gli stati nord-
orientali Yan e Qi), nel 221 a. C. tutto il mondo cinese era unificato sotto un
solo sovrano, che si fece chiamare Qin Shi Huangdi, “Primo Sublime
Imperatore di Qin”.

2. I Qin (221-206 a.C.)


Nel marzo del 1974, a Lintong nello Shaanxi, a 30 km a nord-est di Xi’an,
alcuni contadini che scavavano un pozzo scoprirono una camera sotterranea
che conteneva alcune statue raffiguranti soldati a grandezza naturale, gli
scienziati ritennero che si dovesse trattare dell’esercito di terracotta destinato
a proteggere nel sepolcro il Primo Imperatore della Cina, risalente a 2500 anni
prima, quel ritrovamento è stato il più sensazionale dai tempi della scoperta di
Anyang. Della sfarzosa sepoltura, che si trova a 1,5 km più a ovest ed è
coperta da un enorme tumulo (già da tempo saccheggiata), si sapeva dalla
letteratura storica, si narra che, subito dopo l’ascesa al trono nel 247 a. C.,
Ying Zheng, re di Qin, avesse cominciato la costruzione della sua tomba, poi
divenuto imperatore nel 221 a.C., vi avesse fatto lavorare 700 000 uomini, che
molte concubine lo avessero seguito nella morte e che fossero stati sepolti vivi
sotto il tumulo tutti gli artigiani che conoscevano il segreto di quei tesori, il
sepolcro era uno sfarzoso palazzo sotterraneo, pieno di statue di funzionari e
protetto da dispositivi automatici per chiudere le porte. Sul pavimento
scorrevano fiumi di mercurio, sul soffitto erano riprodotti gli astri, illuminati
da lampade a olio. A Lintong, oltre al sepolcro con il grande tumulo (50 m di
altezza), c’è una necropoli di 8 km quadrati, circondata da doppie mura,
composta da un palazzo, case di abitazione, luoghi per i sacrifici, 61 tombe,
fosse con cavalli offerti in sacrificio e 180 fosse colme di arredi funebri, al di
fuori di questa costruzione, in 4 grandi fosse ci sono sepolture di animali,
sculture in bronzo e circa 8000 guerrieri in terracotta: generali, soldati di
fanteria, cavalieri, aurighi, arcieri, carri da guerra -le truppe scelte del Primo
Imperatore- riprodotte in modo realistico e rispettando le diversità individuali.
Il sepolcro e l’esercito del Primo Imperatore della Cina segnano il culmine
della grandezza dell’impero, in senso politico, la storia della Cina ha inizio
soltanto con i Qin, essi nel 221 a.C. sottomisero un impero che era il più vasto
che la Cina avesse mai visto, doveva estendersi per 2 e fino a 3 milioni di km
quadrati, dal bacino di Sichuan fino al Mar Giallo, e dall’altopiano dell’Ordos
fino al bassopiano a sud dello Yangzi, le dimensioni dell’impero potevano
essere paragonate a quelle dell’impero romano. Nel III secolo a. C. l’unità di
questo impero non era affatto una cosa semplice, il compito più urgente dei
Qin fu di rendere sicuri e duraturi i territori acquisiti di recente, il cancelliere
di Qin, Li Si, abolì tutte le concessioni feudali e le strutture degli stati
dell’epoca Zhanguo, fece distruggere tutti i loro atti, per distruggere i poteri
locali, fece radere al suolo le mura cittadine, confiscò le armi, fece trasferire
120 000 famiglie nella capitale, Xianyang. L’impero venne diviso in 36
governatorati (jun) diretti dal centro, a loro volta divisi in distretti (xian),
amministrati da funzionari di professione, che riscuotevano le tasse e
imponevano il servizio militare. Il segno distintivo dell’impero Qin fu la
burocrazia, il dominio della cancelleria fu possibile grazie alla diffusione della
scrittura, che nell’epoca Zhanguo si era estesa agli atti amministrativi, la
burocrazia era organizzata in modo capillare, razionale ed era centralizzata,
sono state ritrovate migliaia di listarelle di legno e di bambù contenenti testi
amministrativi dei Qin, erano molto dettagliati ed esatti. Il compito principale
della burocrazia era la riscossione delle tasse, con le tasse veniva finanziato
l’esercito, che, a sua volta, serviva a sostenere la burocrazia, la quale, finché
durò, diede stabilità al potere centrale. I Qin imposero misure, pesi, il
calendario, la moneta, l’interasse (la distanza tra i 2 assi) dei carri, che erano
uguali in tutto l’impero, i Qin uniformarono pure la scrittura, il cancelliere Li
Si sostituì le varie forme di scrittura con una “scrittura cancelleresca”
standard. Si narra che nel 213 il Primo Imperatore, su consiglio di Li Si,
ordinò di bruciare tutti gli scritti dell’epoca Zhanguo, ad eccezione dei testi di
pronostici e di medicina, furono distrutti i testi della filosofia classica, il
Primo Imperatore, si dice, fece uccidere 460 eruditi che avevano protestato
contro la sua politica. I Qin, per evitare la minaccia dei popoli settentrionali
delle steppe e per difendere i territori che un tempo erano appartenuti alle
popolazioni delle steppe, costruirono la Grande Muraglia, congiunsero le
mura dell’epoca Zhanguo di Yan, Zhao e Qin e crearono un vallo difensivo di
10 000 miglia, che si estendeva dalla Manciuria fino all’odierno Lanzhou, si
dice che lavorarono 300 000 forzati alla sua costruzione, incatenati e con
l’abito rosso dei detenuti, molti di loro tatuati o mutilati per punizione, sono
sorte molte leggende intorno alla sua costruzione (la giovane Meng Jiang, il
cui marito morì durante la costruzione della Grande Muraglia, pianse finché il
muro crollò sotto le sue lacrime), la muraglia dei Qin è un monumento delle
sofferenze arrecate al popolo cinese dai suoi sovrani.

La Grande Muraglia
La costruzione della Grande Muraglia è piena di miti, conosciuti da tutti, si
dice che sia lunga più di 6000 km, alta 10 m e larga 5, che si estenda
ininterrottamente dal Passo di Shanhai, nella baia di Bohai, fino a quello di
Jiayu nel Gansu, la “muraglia di 10 000 miglia” secondo la denominazione
cinese, è la costruzione più imponente del mondo, anche se non è vero che è
visibile ad occhio nudo dalla Luna, come spesso si afferma. In genere si dice
che abbia 2000 anni, sicuramente già nel V secolo a. C. gli stati regionali della
Cina settentrionale costruirono valli di terra battuta lunghi centinaia di km, a
difesa dei loro confini, a nord furono costruite contro i barbari della steppa,
all’interno furono costruite tra Lu e Qi, Zhongshan e Zhao, Wei e Qin, Han e
Chu, nel 221 a. C. i Qin collegarono e prolungarono alcuni tratti di queste
mura, ma la muraglia cinese non è quella dei Qin, essa fu costruita tra il XV e
il XVI secolo d.C., sotto la dinastia Ming, la muraglia dei Qin, della quale
oggi si vedono pochi resti, proseguiva più verso nord e non andava verso
ovest, non era costruita in pietra, ma in terra battuta, questo “drago di terra”,
molto meno imponente della muraglia dei Ming, non era adatta a fermare gli
aggressori, serviva solo a rallentarne l’assalto. La muraglia dei Qin è stata
riparata ripetutamente, ma poi fu abbandonata, forse già all’epoca Tang e
Song aveva perso la sua importanza, forse fu distrutta dalla tempesta mongola
del XIII secolo d. C. e neanche Marco Polo ne fa parola, sembra che all’epoca
in cui il mercante veneziano si recò in Cina, non ci fosse alcuna fortificazione
chiamata “Grande Muraglia”, in generale non fu mai costruita una muraglia
continua, ma solo alcuni singoli tratti di essa, senza nessun piano
complessivo, forse non fu mai una costruzione continua, non esistono rilievi
cartografici persino della Grande Muraglia dei Ming. Nel 1988 è stato
scoperto un tratto fino ad allora ignoto, con il quale la lunghezza è salita a
7200 km. oggi, per la maggior parte, è in rovina, distrutta dalla natura, dallo
sfruttamento dei contadini locali, che la usarono come cava di pietra per
costruire le loro case e le strade, negli ultimi anni è stata rimessa a nuovo in
alcuni tratti per scopi turistici (soprattutto presso Beijing), oggi è un simbolo
dell’identità nazionale (ogni cinese autentico deve averla visitata una volta) e
da poco è stata indicata come una delle “nuove 7 meraviglie del mondo”, la
sua mitizzazione continua ancora.
I Qin delimitarono il loro impero verso l’esterno e lo collegarono verso
l’interno, crearono un’ampia rete di strade, non inferiore a quella dell’impero
romano, aveva forma di stella verso nord, nord-est, est e sud-est e doveva
essere lunga 6800 km, l’ultimo tratto, oltre il Fiume Giallo dovette superare i
900 km, a sud i Qin si aprirono la strada per via d’acqua, avevano scavato nello
Shaanxi, il canale Zheng-Guo (120 km), avevano costruito un grande sistema
di irrigazione del Dujiang, nel Sichuan, nel 214 a.C. costruirono il “canale
magico” Lingqu, nell’odierno Guangxi e collega i fiumi Xiang e Li (33 km), il
canale, un capolavoro della tecnica, offrì il collegamento che mancava tra lo
Yangzi e il Fiume Occidentale (Xi Jiang), nell’odierno Guangdong, il sistema
di vie d’acqua raggiunse i 4000 km, i Qin sottomisero gli odierni Fujian,
Guangxi, e Guangdong, dove fondarono la città di Panyu (Guangzhou), alla
fine il loro dominio era esteso per 3,5 milioni di km quadrati, il Primo
Imperatore, Qin Shi Huangdi, percorse in lungo e in largo il suo impero, in 11
anni di impero intraprese 5 lunghi viaggi, che duravano mesi, e faceva costruire
una mezza dozzina di grandi stele con iscrizioni che proclamavano la sua
gloria, queste iscrizioni testimoniano la sua grandezza , ma anche la sua
megalomania (huangdi = Tre sublimi- san huang-, i divini creatori della civiltà
della mitologia, e delle somme divinità dei Qin, che si chiamavano di), egli si
presentava come un dio, al di sopra di tutte le divinità locali e tutti dovevano
rispettare la sua autorità, era un uomo superstizioso, si circondava di maghi,
indovini e alchimisti, era oppresso dalla paura della morte, si dice che si fece
costruire 270 palazzi, collegati da passaggi segreti e che vi soggiornasse in
modo discontinuo, in modo da non fare sapere a nessuno dove si fermava,
cercò di impossessarsi per tutta la vita di un elisir dell’immortalità, pare che sia
morto, durante uno dei suoi viaggi, nel 210 a. C. a 500 km dalla capitale, nel
suo carro funebre furono ammucchiati dei pesci per sovrastare la puzza, mentre
il suo cadavere veniva trasportato verso il suo splendido sepolcro di
Xiangyang. Il suo successore si dimostrò incapace di governare, il cancelliere
Li Si fu ucciso e l’impero andò in rovina. Secondo un osservatore confuciano
(Jia Yi 201-169 a.C.) il motivo fu che i Qin avevano vietato la cultura e la
scrittura, davano pene severe e crudeli e avevano preferito l’astuzia e la
violenza all’umanità e alla giustizia, lo stato in quanto macchina militare aveva
avuto una grande espansione e per mantenersi doveva sempre continuare ad
espandersi, i Qin continuavano a fare guerre, avevano bisogno di nuove risorse
per fare le guerre, e avevano bisogno di sfruttare il popolo. I Qin furono
moderni nell’uso della burocrazia, ebbero la forza militare per conquistare un
intero subcontinente, ma non ebbero i mezzi tecnici, economici e di
comunicazione per controllarlo. (Aneddoto Chen Sheng, un uomo di Chu al
servizio dell’esercito Qin, a causa della pioggia, non poté raggiungere con le
sue truppe il punto di incontro, questo significava una condanna a morte, egli
non si rassegnò e scelse un’altra via d’uscita: si ribellò). Questo episodio
spiega, non tanto che i Qin sarebbero finiti a causa delle loro leggi dure, ma
come i Qin avevano esteso troppo il loro dominio e non erano più in grado di
controllarlo, il loro impero implodeva. Dalla ribellione di Chen Sheng (il re di
Chu), scoppiarono varie rivolte in molte parti del paese, nel 208 a.C. Chu
divenne indipendente sotto la guida del generale Xiang Yu e anche Qi, Yan,
Wei, Zhao e Han ristabilirono i vecchi stati dell’epoca Zhanguo, lo stato dei
Qin venne ora aggredito dal loro peggior nemico: Chu. Il crollo dei Qin si ebbe
grazie a due condottieri di Chu: Xiang Yu (232-202 a. C.), un colto
aristocratico, poeta e genio militare; Liu Bang (256-195 a.C.), una vecchia
volpe di umili origini, capitano della polizia di un paesino di provincia.
All’inizio i 2 erano alleati, ma poi divennero rivali nella lotta per l’impero, Liu
Bang espugnò la capitale dei Qin, poi fu cacciato da Xiang Yu, che uccise
l’ultimo sovrano Qin e la sua famiglia, rase al suolo i palazzi di Xianyang,
dopo 15 anni, nel 206 a.C. finiva il regime dei Qin. La guerra tra Xiang Yu e
Liu Bang è uno degli argomenti più popolari della letteratura cinese (Xiang Yu
aveva fatto prigioniero il padre di Liu Bang e minacciava di lessarlo vivo, Liu
Bang rispose che Xiang Yu poteva fargli arrivare un calice col brodo; Xiang
Yu, nell’udire che gli assediati cantavano i canti di Chu, pensò che la sua patria
era caduta nelle mani di Lui Bang; Xiang Yu si suicidò per far incassare ai suoi
sostenitori la taglia sulla sua testa). Liu Bang nel 202 a. C. sconfisse Xiang Yu,
ottenne il dominio dell’impero, divenne imperatore e “Sublime Antenato”
(Gaozu) di una nuova dinastia: gli Han.
3. Gli Han Anteriori (202 a.C. – 9 d.C.)
Con Liu Bang, per la prima volta un uomo del popolo era diventato
imperatore, gli Han posero davvero la prima pietra dell’impero cinese, i
consiglieri politici parteciparono all’ascesa degli Han, Lu Jia propose al suo
imperatore uno stato che non si doveva fare notare (minimalista), le istituzioni
degli Han divennero il modello per le dinastie successive, può darsi che la
denominazione occidentale di “Cina” derivi dal nome della dinastia dei Qin, i
Cinesi però tuttora chiamano se stessi “uomini Han”. La regione che gli Han
conquistarono era quella dell’impero Qin: il suo centro economico e
demografico era il Guanzhong; il fertile bacino del Sichuan; la grande
pianura, il secondo granaio dell’impero; le risaie lungo il corso medio e
inferiore dello Yangzi. I territori a sud (le odierne province del Fujian,
Guangdong, Guangxi, Guizhou, Yunnan) rimasero indipendenti. Gli Han
ripresero dai Qin anche l’amministrazione del loro impero, l’imperatore
Gaozu abolì la legislazione rigida dei Qin, tranne i tre paragrafi (omicidio,
ferimento, furto), ridusse le tasse a un quindicesimo del raccolto e si affidò
sempre ai saggi consiglieri, riprese dai Qin la suddivisione dei territorio in
governatorati e distretti, i rigidi controlli sulla popolazione, la disgregazione
delle grandi famiglie, le tassazioni pro capite (a persona), le corvè (servizi)
obbligatorie e una gerarchia di 20 ranghi diversi, nella quale veniva
classificato tutto il popolo. Gli Han non abolirono le leggi e le pene dei Qin,
ma le ripresero in blocco e proibirono i libri, Gaozu non fece uccidere i
letterati come il Primo Imperatore, accolse gli accademici dei Qin come
consiglieri, ma fece capire loro che li disprezzava.

3. 1. Centro e periferia
Il tema principale dell’epoca Han è il rapporto tra centro e periferia, questa
differenziazione era comparsa già in epoca Chunqiu e ora raggiunse la sua più
netta espressione, gli Han posero la loro capitale Chang’an, l’odierna Xi’an, e
la intesero come il centro del mondo, divenne la più importante città
dell’epoca (33 km quadrati e 250 000 abitanti), contava 12 porte, 8 viali
attraversavano la città, uno dei quali largo ben 50 m, si dice che il suo
perimetro rappresentasse le costellazioni del Gran Carro e del Sagittario, e che
il palazzo imperiale occupasse mezza città e corrispondesse alla sede
dell’imperatore celeste. I sepolcri degli Han erano collocati sotto possenti
tumuli, erano curati da schiere di addetti, intorno ai sepolcri si formarono città
satelliti con popolazioni fino a 300 000 abitanti. In ogni comando di presidio
dell’impero furono eretti templi dedicati a Gaozu e ai suoi successori, dove si
svolgevano i sacrifici per la casa imperiale, verso la metà del I secolo a. C.
c’erano circa 350 templi, curati da 45 000 guardiani e 12 000addetti ai
sacrifici, nel cosmo degli Han la posizione di ogni elemento era determinata
dalla sua collocazione in rapporto al centro, divamparono numerose guerre su
tre livelli: a corte, nella provincia e ai confini dell’impero. All’inizio il
rapporto tra l’imperatore e il suo seguito apparve buono, la burocrazia era
salda, era occupata dai vecchi funzionari dei Qin, che amministravano la
capitale e l’impero. Il rapporto tra il centro e il resto dell’impero fu più
difficile, all’inizio gli Han divisero una parte del territorio, quella occidentale,
di recente conquista, in governatorati e distretti e l’altra, comprendente i
vecchi stati regionali orientali, in 10 regni e più di 100 margraviati (territorio
sottoposto all’autorità), che furono dati ai parenti e ai condottieri meritevoli,
ne approfittarono i membri della casa di Liu, che divennero re solo per titolo,
non avevano autorità giuridica sui territori, ma riscuotevano le tasse e
lasciavano ai loro discendenti uffici e sovvenzioni statali. L’impero unitario
non era per niente unitario, lo stato centrale si era sovrapposto alle strutture
segmentarie che continuavano a dominare sul piano regionale, le regioni
remote del Sichuan, dello Yangzi e del lontano sud erano autonome
linguisticamente e culturalmente, anche le vecchie regioni originarie cinesi
erano divise in molte comunità definite da legami di parentela e in lotta tra
loro, in questi territori gli Han dovettero apparire come gli occupanti, gli Han
si trovarono ad affrontare il problema di come fermare il crescente potere dei
gruppi locali, nelle regioni dei vecchi stati territoriali erano rimaste le famiglie
degli antichi sovrani, che si opponevano al potere centrale, nel 198 a. C.
Gaozu fece trasferire 100 000 componenti delle famiglie del sud e dell’est
dell’impero a Chang’an. Il fondatore della dinastia dichiarò guerra ai re
“insubordinati”, per deporli e sostituirli con i propri parenti, i re dei Liu
venivano controllati, perché definiti depravati, furono esclusi dagli uffici
centrali, costretti a presentarsi a corte ogni anno, l’impero fu contrassegnato
dalla lotta tra il centro e la periferia, tra unità e molteplicità. Un altro
problema era la minaccia dei “barbari” presenti ai confini dell’impero, era un
problema vecchio, fin dal IX secolo a. C. i popoli stranieri venivano visti
come diversi, fu costruita la muraglia, i barbari venivano considerati un
difetto congenito della società cinese, che crebbe insieme ad essa. Le tribù
nomadi delle steppe meridionali della Siberia (gli Xiongnu), subito dopo
l’unificazione dell’impero cinese, si riunirono in una grande confederazione,
questi Xiongnu, probabilmente un popolo altaico, furono poi identificati con il
nome di Unni, che alcuni secoli dopo seminarono il terrore presso l’Impero
romano, ma non siamo sicuri di questo legame. Il termine barbari, che in
greco significa “chi balbetta in modo incomprensibile”, in cinese Xiongnu
può derivare da xiongxiong = “gridare suoni inarticolati”, i Xiongnu erano
quindi incomprensibili, incivili ed estranei. Nel 209 a. C. un uomo di nome
Mao Dun riunì in una sola famiglia tutte le tribù degli arcieri, si proclamò loro
comandante, shanyu, e cominciò a premere sul mondo cinese, i Xiongnu
controllavano un territorio immenso, dalla Mongolia all’Asia centrale, i Qin li
avevano cacciati ed esclusi dai commerci, essi reagirono formando una
confederazione e divennero molto pericolosi per gli Han. A partire dal 201
a.C. cominciarono gli assalti dei Xiongnu, ma gli imperatori Han evitarono la
guerra, allungarono la muraglia dei Qin, attuarono una politica di armonia e
parentela (heqin), stipularono con loro un trattato di pace, si impegnarono a
versare regolari tributi (seta, acquavite, riso), a dare in moglie allo shanyu una
principessa cinese. Il capo dei Xiongnu venne indicato come il fratello più
giovane dell’imperatore Han e suo pari livello diplomatico, gli Han e i
Xiongnu divennero “stati fratelli”, come i vecchi principati della pianura
cinese settentrionale, Sima Qian, il grande storico dell’epoca Han, indicò i
Xiongnu come discendenti dei Xia, dunque Cinesi, anche se di periferia. Gli
Han non si definivano uno stato accanto ad un altro, ma come un impero,
come il centro del mondo e unico impero sotto il cielo (l’impero romana si
trovava letteralmente in un altro mondo), e tale impero irradiava la luce su
tutte le regioni periferiche. Questo impero non conosceva veri confini, che lo
dividessero da stati giuridicamente allo stesso livello, ma solamente zone
marginali di minore influenza e penetrazione, l’ideologia imperiale aveva una
pretesa di universalità e si estendeva anche ai barbari, i Xiongnu costituivano
una parte dell’ordine cinese, non apparivano diversi e inumani, ma affini e
dunque parenti. Nell’epoca Han si impose una concezione del mondo
concentrica, per la quale al centro c’era la corte, circondata da anelli di civiltà
decrescente, e in tale concezione, i Xiongnu potevano rientrare senza sforzo. I
“barbari” furono ammessi nelle forze armate e i loro capi ebbero titoli ufficiali
cinesi, gli imperatori cinesi furono generosi nei confronti dei delegati tributari
provenienti da altri paesi, anche se pretendevano l’inchino previsto dal
cerimoniale di fronte alla loro potenza.
3.2. I primi anni: armonia e non fare.
I primi imperatori Han governarono in modo molto riservato, concedevano
pieni diritti ai funzionari, davano ai re titolati i privilegi regionali e pagavano i
tributi ai Xiongnu. Si dice che essi seguirono la regola daoista del “non fare”
(wuwei) e che l’impero fosse ordinato. Si dice che l’imperatore Jing (157-141
a. C.) e sua madre, l’imperatrice Dou, avrebbero studiato Huagdi e Laozi e
tenuto in onore i loro metodi, i primi imperatori Han non erano stati
confuciani, ma daoisti di Huang Lao e per loro l’arte del sovrano il non fare,
ammaestrare senza parole, il sovrano deve rimanere puro, quieto, immobile,
uniforme e imperturbato, così raggiunge i risultati senza affaticarsi. Questa
politica del laissez faire (lasciar fare) appare ingenua, ma era un ideale daoista
e legista: la legge funziona in modo automatico e certo e l’intervento del
sovrano diventa superfluo. Il non fare sembra invece il successo della
burocrazia che domina in modo anonimo l’impero. L’amministrazione
controllava la comunicazione tra centro e provincia e decideva che cosa
dovesse arrivare all’imperatore e che cosa partire da lui, i funzionari erano
“gli occhi e le orecchie” dell’imperatore, che senza di loro non avrebbe potuto
governare, però anche i funzionari avevano bisogno dell’imperatore per
legittimare il loro potere. I primi 50 anni degli Han furono un’epoca di pace e
prosperità, fino al periodo dell’imperatrice Lu Zhi, la vedova di Gaozu, la
quale, dopo la sua morte, uccise la sua rivale, avvelenò un fratello
dell’imperatore e poi mise sul trono, uno dopo l’altro, due suoi figli. Governò
lei dal 191 al 180 a. C, ella fu la prima imperatrice regnante della storia
cinese, l’impero proseguì, a prescindere da questo episodio di corte,
indisturbato e contemporaneamente prosperavano anche i piccoli principi
locali, nel 1972 furono scoperte 3 sepolture dei margravi di Dai, un misero
principato di 700 nuclei familiari, le tombe avevano corredi ricchi, vi si
trovano più di 1000 reperti (vesti di seta, contenitori di lacca, mobili,
stoviglie, cibi, strumenti musicali, oboli funerari, sculture lignee, una
biblioteca con scritti su seta). Nella dottrina contemporanea dei “4 ordini”
(simin) della società (eruditi, contadini, artigiani, commercianti), i contadini
erano al secondo posto, ma la realtà era molto diversa, erano poveri, vivevano
una vita miserabile e ai margini della società, per loro era indifferente sotto
quale imperatore curavano le terre.
L’imperatore

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