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Hanzi: “ideogramma/carattere/sinogramma”
Pochi dei caratteri cinesi sono ideogrammi, in base agli usi funzionali, essi
hanno assunto un valore fonologico e semantico, il termine ideogramma
come traduzione di hanziè entrato nell’uso corrente delle lingue
occidentali in epoche in cui si pensava che la lingua scritta cinese fosse
ideografica (senza nessun rapporto con i suoni delle lingue parlate in
Cina), ciò perché veniva associata a uno stadio primitivo della lingua, e nel
XIX secolo si pensava che gli alfabeti dell’area mediterranea sarebbero
stati prova della superiorità delle civiltà occidentali. Nel XX secolo hanzi
venne tradotto con “logogramma” e più recentemente “sinogramma” =
carattere cinese.
Il sinogramma (carattere cinese) ha tre aspetti importanti:
- aspetto grafico (grafia), ogni sinogramma è una forma semplice o
complessa, costituita da un numero preciso di tratti, indipendente, è
una forma invariabile, sempre centrata all’interno di uno spazio
predefinito. L’ortografia dei sinogrammi è standardizzata, rispetta
norme rigorose di ordine e direzione dei tratti. I cinesi hanno una
diffusa consapevolezza etimologica delle unità grafiche che le
scritture alfabetiche non hanno.
- aspetto semantico (senso) ogni carattere cinese non rappresenta
necessariamente una parola, ma è associato a un insieme di
significati (campo/rete semantica), anche lontani l’uno dall’altro,
costituito da tutte le parole che si scrivono con quel carattere, per
molti caratteri ci sono relazioni tra almeno un elemento del suo
campo semantico (seme) e le caratteristiche grafiche (la struttura
costitutiva) del carattere stesso.
- aspetto fonologico (suono) il sinogramma non analizza né
rappresenta i singoli foni (suoni) della lingua parlata, ma corrisponde
a una sillaba tonalizzata. Quasi il 10% dei caratteri ha almeno due
diverse pronunce (corrisponde a due sillabe diverse secondo i
contesti) e vi sono caratteri con ben 5 possibili pronunce, ci sono
anche varianti diacroniche (evoluzione della pronuncia nel tempo) e
diatopiche (pronunce dialettali che variano da luogo a luogo).
Un sistema forte
Dai trigrammi, ai pittogrammi, agli ideogrammi si perfeziona un sistema di
scrittura forte, compatto e che resiste per millenni pressoché invariato,
che viaggerà nei secoli in tutto l’Estremo Oriente. Ancora oggi in alcuni
caratteri permangono alcune implicazioni magiche e misteriose (fu =
prosperità, shou = longevità, xi = felicità) alcuni caratteri divengono
talismani, usati dagli sciamani e dai sacerdoti taoisti(fu). La scrittura
diventa una guida efficace per il futuro nella scansione ordinata della vita
della collettività, il testo scritto del passato viene continuamente letto,
imparato, interpretato e verificato. Ancora oggi il più antico testo
divinatorio, il Libro dei mutamenti, continua a svolgere il suo ruolo nella
vita quotidiana dell’Asia orientale. Nellaciviltà cinese il rispetto e la
venerazione per la parola scritta vennero codificati grazie al complesso e
articolato sistema dei Classici che divennero una vera e propria religione
del segno scritto (Kristofer Schipper “Il corpo taoista”1983). Il sistema
burocratico imperiale si basava costantemente sul testo scritto e la scrittura
sarà per secoli la detentrice del potere, dell’arte e dell’élite colta. Lo
sviluppo dell’esegesi testuale (interpretazione di un testo) a partire dalla
dinastia degli Han occidentali (II secolo a. C.) costruirà nel corso dei secoli
una grande tradizione ermeneutica (di interpretazione testuale). L’uso della
scrittura consolidò il consenso e l’obbedienza nei confronti dell’autorità
imperiale, il sistema burocratico ebbe come fondamento indispensabile un
corpus testuale e il saggio funzionario divenne l’interprete, grazie ai testi
canonici, privilegiato del potere politico e amministrativo.
La tradizione scritta
Il concetto di Tao (dao), la Via assume diverse interpretazioni, come
primo significato ha quello di via, strada, cammino, in senso figurato
significa metodo, principio. Confucianesimo e taoismo sono le due anime
della tradizione centrale (zhong) che si contrappone agli apporti esterni
(wai) che via via verranno assorbiti (buddhismo). Queste si alimentano a
vicenda o si contrappongono e propongono due modi di concepire il Tao:
il confucianesimo enfatizza l’importanza per l’individuo, in relazione con
gli altri, di seguire la Via morale in accordo con la Via della Natura; il
taoismo sottolinea l’importanza per l’individuo, in relazione con la Natura,
di apprendere il Tao e vivere in armonia con esso, di ritrovare l’armonia
che regnava in principio tra le cose e gli esseri. Per il confucianesimo il
Tao è la via degli antenati, dei saggi re dell’antichità, questa è la fonte del
pensiero di Confucio, che è un conservatore e un rivoluzionario, perché
nega il diritto di successione ereditaria del passato e il diritto della
sopraffazione della sua epoca.
Per la civiltà cinese il sistema di notazione scritta è sempre stato rilevante
nella registrazione del pensiero e della riflessione teorica. Fin dalle origini
la scrittura venne inclusa tra le “sei arti” (liuyi) (riti, musica, tiro con
l’arco, guida dei carri, scrittura, scienze dei numeri, astrologia), le
discipline indispensabili per il gentiluomo. La scrittura aveva (oltre alla
funzione più importante cioè essere lo strumento della comunicazione)
altre funzioni: la trasmissione del rituale, della riflessione, dell’estetica e
ancora la trasmissione delle scritture taoiste e il rapporto tra la letteratura,
la calligrafia e le arti visive. Il pensatore neoconfuciano Zhou Dunyi
diceva che la scrittura rendeva manifesto il Tao (“wenyizai dao”) cioè la
prosa era il tramite per veicolare il Tao. Le strutture portanti del pensiero
cinese sono radicate nelle vicende storiche della Cina, la sua unità, la
compattezza culturale, la tradizione del sistema imperiale dinastico, la
lingua scritta come fattore unificante, il senso di identità e la
consapevolezza di essere un “paese di mezzo”. Confucianesimo e taoismo
sono i due grandi filoni filosofici e religiosi, entrambi traggono origine da
dalle credenze legate alle trasformazioni climatiche, al divenire del tempo
e delle stagioni, al rapporto diretto con la natura (taoismo) e i culti locali
contadini, le feste stagionali, le abitudini, le usanze agricole
(confucianesimo). La varietà del pensiero cinese, le sue innovazioni, il
confucianesimo come dottrina di Stato eliminano il luogo comune che
vorrebbe la Cina come “l’impero dell’uniformità”.
Confucio
Al culto del sovrano, Figlio del cielo (tianzi), mediatore del rapporto tra
l’uomo e le forze della natura (tian = Cielo, di = terra, ren = uomo, che
danno origine alla formula sancai = tre poteri) è legata la nascita e lo
sviluppo del confucianesimo (rujia = scuola degli
eruditi/classicisti/letterati), fondato da Confucio. Il termine
confucianesimo deriva da Confucius, una latinizzazione del nome del
maestro Kong Qiu, Kong fuzi (Maestro Kong), fatta dai missionari gesuiti
in Cina nel XVI secolo. Confucio (551-479 a.C.) apparteneva alla classe
degli shi, letterati/funzionari delle sei arti e conoscitori dei rituali di corte e
funebri e dei Classici. Egli era un ru = erudito/classicista/letterato, ru
furono chiamati i suoi seguaci. Anche se molti testi della tradizione sono
stati attribuiti a Confucio, nulla di quanto ci è pervenuto è stato veramente
scritto da lui, anche l’opera più importante del suo pensiero, i Dialoghi
(Lunyu) del II secolo a.C. è una raccolta dei suoi discepoli e dei suoi
seguaci. Di Confucio sappiamo poco, sappiamo che girovagò per la Cina
in cerca di un principe che mettesse in pratica i suoi insegnamenti, la storia
di Confucio è quella di un fallimento, così come accadde a molti altri
pensatori e letterati che, delusi ed estromessi dalla politica, divennero
grandi pensatori, egli abbandonò lo stato di Lu, sua terra di origine, vi
ritornerà in vecchiaia e dopo aver superato molti ostacoli, per dedicarsi
all’insegnamento e morire nella convinzione della propria inutilità. Il testo
dei Dialoghi non è organico, accorpa detti del maestro, aneddoti, non c’è
un’esposizione coerente delle teorie di Confucio, ma è una raccolta di
massime e immagini esemplari, che insieme ai Classici e alle opere di
Mencio e Xunzi saranno la base della letteratura confuciana e dagli Han in
poi diventeranno il punto di riferimento per la politica dell’impero. Grazie
a Confucio, che ha fatto da collante e ha tenuto insieme per duemila anni
una società molto variegata e piena di differenze sociali, le classi colte
hanno imparato a leggere e il popolo analfabeta ha conosciuto la sua
visione del mondo.
La musica (yue = carattere che pronunciato le significa “gioia”) è uno
strumento politico, musica e rituale si compenetrano (ogni cerimonia era
accompagnata dalla musica), la musica è un’eco privilegiata dei suoni
della natura, i suoni riproducono l’armonia (he) del cosmo, che deve
riflettersi in quella della società. Alla scala delle note si equipara ai ruoli
sociali e per ogni cerimonia sono previsti ritmi e melodie prestabiliti, la
musica è un agente armonizzatore per i vari gruppi sociali che nel rito
trovano una rigida divisione dei ruoli. I letterati dovevano conoscere le
musiche dei rituali, nel cerimoniale gli strumenti a fiato erano i più
importanti, avevano una emissione regolata, garantivano l’equilibrio della
rappresentazione musicale, regolatrice simbolica delle festività, della vita
in società. L’emissione regolata degli strumenti si chiamava jie (i nodi del
bambù, misura/scansione temporale/festività). La musica garantisce
l’espressione misurata delle emozioni che si devono manifestare in
maniera opportuna tramite un linguaggio espressivo equilibrato che mimi
quello delle musiche rituali.
La “rettifica dei nomi” di Confucio sanciva il principio secondo il quale
la rettitudine morale dipende dall’ordine del linguaggio: la scrittura
diventa specchio dell’armonia cosmica e sociale, “l’uomo superiore”,
cioè colui che ha il potere (junzi), può conformare ai concetti, le parole e le
azioni. Si esprime la potenza del wen, il valore magico della scrittura,
come riflesso di ordine e armonia. La comunione tra uomo e natura è
sancita dalle caratteristiche degli esseri umani nei loro ruoli prestabiliti,
che richiamano quelli dell’ordine naturale, il ruolo può cambiare a secondo
del contesto, il figlio può diventare a sua volta padre e si comporterà in
base alla nuova posizione. È importante la suddivisione gerarchica della
società: al vertice c’è l’uomo dotato di virtù superiori ((junzi),
contrapposto all’uomo da poco (xiaoren), le virtù dello junzi sono la
benevolenza (ren) (ren = uomo + er = due) = gli esseri umani trovano la
loro cifra di umanità solo nella relazione con l’altro. Per Confucio “l’uomo
è un animale sociale”, per cui benevolenza potrebbe essere “senso
dell’umano. I missionari europei arrivati in Cina in epoca Ming fecero una
connessione tra ren e agape (affetto/amore) cristiano. Il concetto di ren è
indissociabile dal senso del rito, perché nel rituale gli uomini celebrano la
loro esatta posizione nel cosmo e legittimano il loro ruolo
nell’indispensabile rete dei rapporti sociali. Le altre virtù dello junzi sono:
il senso di giustizia (yi), la lealtà (zhong), intesa come fedeltà ai principi
della nostra natura, la reciprocità (shu), la fiducia (xin), e la devozione
filiale (rispetto per gli antenati, e per i saggi re dell’antichità) (xiao). Tutte
queste virtù rimandano a una concezione di società gerarchizzata che
funziona solo se tutti adempiono al loro ruolo in armonia.
Le Cento scuole
Nell’XI secolo – 221 a. C. la dinastia Zhou regnava solo di nome, di fatto
il potere era in mano ai signori dei vari principati e la Cina era
frammentata, dall’età del bronzo all’età del ferro si passò da un sistema
aristocratico alla formazione dell’idea di Stato centrale e della figura del
funzionario, si assistette alla crescita demografica, allo sviluppo delle città,
ai nuovi ceti mercantili, alle rivoluzioni nelle tecnologie agricole, militari,
nell’artigianato e nei mezzi di trasporto. Nel 221 Qin Shi Huangdi unificò
l’impero e in questo periodo nacquero le “Cento scuole” (baijia), questa
iperbole (esagerazione) indica la proliferazione intellettuale e la grande
libertà di orientamento e di movimento dei pensatori che hanno rapporti
non vincolanti con i regnanti, ai quali offrono i propri consigli e servizi. Il
pensiero filosofico in Cina affiora in un preciso contesto sociopolitico e ha
un orientamento pragmatico. Il dibattito era incentrato sulla natura e la
legittimazione dei regni emergenti, sulla formazione e sulla condotta
necessarie a legittimare la gestione del potere. Il pensiero filosofico non
era di tipo aristotelico ma di tipo esemplare e persuasivo e usava la
narrativa e la poesia. I cinesi danno molta importanza alla politica: la
storia del mondo comincia con l’inizio della civiltà, non c’è molto spazio
per le cosmogonie, gli inizi coincidono con la biografia dei sovrani mitici,
anche l’origine dei princìpi di Confucio è da ricercare nella politica, che
ribadisce una concezione feudale della subordinazione. Molti testi di
orientamenti filosofici che si sono poi estinti non sono mai giunti a noi,
abbiamo poche informazioni anche di filosofi importanti, come alcuni dei
padri del taoismo, Laozi, Zhuang Zhou e Confucio. Le informazioni ci
sono pervenute tramite gli storiografi, anche se spesso sono colorite o
accomodate. Le principali scuole di pensiero, registrate nell’opera
storiografica di Sima Qian Memorie di uno storico, sono 6, mentre lo
Hanshu (Storia degli Han) di Ban Gu ne cataloga 10: i confuciani, i taoisti,
la scuola dello Yin e dello Yang (yinyangjia), i moisti (mojia), la scuola
della legge (fajia), la scuola dei nomi (mingjia), la scuola dei politici
(zonghengjia), la scuola degli eclettici (zajia), la scuola dell’agricoltura
(nongjia), la scuola del “piccolo dire (xiaoshuojia). Alcuni di questi
orientamenti sono stati assorbiti dalle scuole sopravvissute (Yin e Yang),
altri sono scomparsi, come i moisti, i seguaci del Maestro Mo (Mozi/Mo
Di 479-381 a. C.), erano i principali antagonisti dei confuciani,
predicavano l’amore universale, un’organizzazione della società frugale e
tirannica. Sembra che il loro fondatore si fosse formato alla scuola
confuciana e avesse girovagato da un regno all’altro, i suoi discepoli
compilarono il Mozi, un testo oscuro, a noi giunto incompleto, ma molto
importante per la formalizzazione del discorso, in esso vengono
determinati 3 criteri di validità applicabili a qualsiasi teoria, che
propongono una visione del mondo pragmatica e uniformata all’esempio
degli antenati: conformità alla condotta dei santi re antichi, conformità a
quanto risulta evidente all’esperienza empirica e all’applicabilità pratica.
Anche per il Maestro Mo il potere deve essere amministrato da persone
valide e il popolo deve identificarsi con i propri superiori, a differenza di
Confucio, egli predica un’adesione al senso comune della gente modesta e
una politica imperniata sul risparmio economico, alla condanna della
musica, dell’etichetta e del rito, considerati inutili sperperi, del tutto
estranei alla vita del popolo. Lo sviluppo tecnologico agricolo e industriale
fece crescere le classi più ricche che decretarono la fine del moismo.
Nel trattato in 5 parti Maestro Gongsun Long (Gongsun Longzi)
dell’omonimo pensatore del III secolo a. C. si parla della controversia tra
confuciani e la scuola dei nomi, Gongsun Long riteneva ci fosse una
divergenza tra nomi e realtà, alcuni paradossi somigliano a quelli del
filosofo greco Zenone di Elea, si coglie una certa fatica e una
incompatibilità della lingua.
Una delle scuole più famose, tanto da diventare la base della dottrina di
Stato del primo imperatore della Cina è la scuola della legge, i cui teorici
principali sono Han Feizi (280-233 a. C.) e Li Si (280-208 a. C.), primo
ministro di Qin Shi Huangdi, furono allievi di Xunzi. L’espressione fajia
che identifica questa scuola, in italiano si traduce legalismo/legismo e
proponeva una concezione totalitaria dello Stato, che doveva essere diretto
autocraticamente dal sovrano con un sistema di norme e un apparato di
punizioni, non dettate dal sovrano ma da lui imparzialmente applicate. Il
consolidamento del potere fu fatto da Li Si contro il confucianesimo e
contro i pericoli per il potere della pagina scritta, nel 213 furono distrutti i
testi confuciani, ritenuti pericolosi, di cui rimase solo una copia nella
biblioteca imperiale a uso esclusiva della classe dirigente. Furono salvate
solo le opere di medicina, agricoltura, divinazione (il Libro dei mutamenti)
e storiografia. I letterati conoscevano a memoria i Classici e centinaia di
confuciani furono uccisi (sepolti vivi). L’approccio legalista dell’impero
cinese continuò nel sistema di leggi e di pene anche nelle epoche
successive.
Le origini
Con il termine Tao (dao = via, strada, cammino) veniva identificato il
principio regolatore dell’universo e il sistema assoluto della perfezione
insito in ogni cosa. Questo concetto fu un argomento di riflessione non
solo dei taoisti ma anche di tutti i pensatori della Cina antica. Gli scritti
che sanciscono le prime fasi dello sviluppo del taoismo sono: il Libro
della Via e della sua potenza (Daodejing) attribuito a Laozi, il “Vecchio
maestro” e il Zhuangzi (Maestro Zhuang) di Zhuang Zhou. Queste opere
sono state definite taoiste perché in esse il Principio primo e ultimo ha una
qualità specifica, lo ziran = ciò che è di per sé, ovvero la spontaneità, la
naturalezza di ciò che non viene imposto da altri. La libertà e l’armonia si
raggiungono soltanto seguendo totalmente il grande movimento naturale,
che avviene “di per sé”, dell’universo. È qui il vero Tao, inteso come
principio e via di salvezza. questa tesi è in contrasto con le strutture dello
Stato feudale e dei precetti morali del confucianesimo. Il taoismo si
concretizza all’inizio dell’era imperiale (II secolo a. C.), manifesta la sua
contrarietà al controllo esercitato dall’amministrazione centrale nei
confronti della vita locale e rurale, la sua ostilità nei confronti
dell’ortodossia confuciana e il suo rifiuto di assoggettarsi passivamente
alle norme ufficiali e alla gerarchia confuciana. Il Taoismo rifiutò la vita
pubblica, si isolò in una vita ascetica e in un’evasione mistica, causò
profonde ribellioni e rivolte popolari e sarà sempre una dottrina di libertà,
una dottrina originale e una eterna alternativa.
Zhuangzi
Il Zhuangzi è una miscellanea attribuita a Zhuang Zhou (IV secolo a. C.),
un pensatore dello stato di Song, nell’odierno Henan, vissuto nell’epoca
degli Stati combattenti, ma forse fu redatto in epoca successiva. Qui il
Santo, Immortale per definizione, vive una vita speciale, ha un corpo
sottile, più leggero, purificato attraverso una dieta, esercizi particolari,
beve la rugiada dei picchi montani, acquista poteri soprannaturali che gli
consentono di cavalcare le nuvole e di salire nei cieli. La sua non è una
vita post mortem, non una longevità terrena, ma una vita trascendentale,
attraverso una trasformazione corporea e un volo ascetico = immortalità. I
taoisti compirono pellegrinaggi verso le Montagne sacre (Immortale =
xian = uomo, ren, accanto alla montagna, shan), alla ricerca di foreste
incontaminate, animali straordinari, frutti rarissimi e succulenti, preziose
sostanze minerali per creare pozioni alchemiche che garantiscono loro
l’immortalità del corpo o “lunga vita” (changshou), per i taoisti zhi =
alcune sostanze di nature vegetale, minerale o animale che conferivano
longevità da diecimila anni in avanti. Nel Canone taoista (Daozang) ci
sono i racconti di questi percorsi, viaggi, ricette, pozioni, rituali, pratiche
segrete, l’opera è un’enciclopedia redatta in epoca Ming e raccoglie tutto il
sapere del taoismo. L’opera è dedicata a colui che aspira a una vita al di
fuori dell’ufficialità e delle convenzioni sociali. È una raccolta pervenutaci
tra il III e il IV secolo, ad opera dell’erudito Guo Xiang, in 33 capitoli,
divisa in tre parti: Sezione interna (l’unica originale di Zhuang Zhou),
Sezione esterna, Varia. Il libro contiene storie fantastiche, favole,
leggende, apologhi, invettive, massime e aforismi. Le sentenze appaiono a
volte lapidarie e oscure, ma la lettura è scorrevole e stimolante. L’opera è
in polemica con l’ordine costitutivo, con l’ortodossia confuciana e con il
sistema gerarchico del tempo, le storie sono paradossali, fantastiche,
(viaggi nel più alto dei cieli, nel paese del non luogo, in groppa a draghi
volanti, e a uccelli fatati). L’autore usa l’ironia e la satira e smaschera la
finzione, la falsità della politica e della morale dei confuciani e l’astuzia
retorica del potere costituito. L’opera appare scritta con completa libertà e
spregiudicatezza, è ricca di allusioni, metafore e citazioni e ha un’ampia
esposizione delle varie correnti di pensiero di quel tempo.
Il taoismo religioso
In questo clima nacque l’”ecclesia taoista”, nel 142 d.C. il Vecchio
maestro Laozi torna nel mondo per salvarlo dall’apocalisse imminente, si
rivela a Zhang Daoling, un immortale che risiede su una montagna nel
nord del Sichuan e assume il nome di “Vecchio signore” (Laojun), un
nome teologico, divino, la personificazione del Tao in quanto essenza
cosmica. La nuova comunità religiosa affonda le proprie radici nei culti
locali, Zhang Daoling è immortale leggendario di quelle regioni, le
comunità si radunavano in adunanze rituali (hui) intorno ai Maestri celesti.
Nel 166 con la comparsa delle scritture nasce il Canone della Grande pace
(Taipingjing), il taoismo si allontana sempre più dall’élite burocratica al
potere, in diverse regioni dell’impero scoppiano rivolte antidinastiche, nel
148 scoppia la ribellione dei Turbanti gialli e nel 220 d. C. crolla la
dinastia degli Han. I taoisti sperimentano la ricerca dell’evasione mistica
verso l’immortalità individuale. Lo “studio oscuro” (xuanxue) rimane per
alcuni secoli la dottrina metafisica dominante cinese, ispirerà il
buddhismo. Narra una leggenda che Laozi, dopo l’ultima notte trascorsa
nell’avamposto più occidentale del paese, durante la quale aveva scritto il
suo capolavoro in cinquemila parole (wuqianyan) (Daodejing), si
allontanò verso l’occidente in groppa a un bufalo; sarebbe l’Illuminato,
ovvero il Buddha. Nel IV secolo la Cina del nord fu invasa da popoli
dell’Asia centrale, buddhisti, nella Cina del sud si diffuse il taoismo, nel
437 Lu Xiujing, un patriarca scrisse un catalogo di opere, ritenute
autentiche, tra cui il Canone della Grande pace. Nasce il primo Canone
taoista (Daozang), raccolto nelle “Tre grotte” (sandong), il Canone è stato
arricchito fino ad arrivare a settemila rotoli, nel 1281 Kubilai Khan ordinò
di bruciare tutto tranne il Daodejing, tra il 1406 e il 1445 il Canone venne
ricostruito ed è arrivato nel XX secolo in un solo esemplare completo
ristampato nel 1926. Il Canone taoista si articola in tre parti: il culto degli
immortali, la liturgia della comunità e la mistica individuale, poi verrà
suddiviso in 7 parti (i 7 stadi del percorso di iniziazione degli adepti:
l’entrata nella comunità del Maestro celeste, lo studio del Daodejing, le
pratiche di lunga vita, la ricerca alchemica, meditazione, dieta e
ginnastica). Ancora una volta la parola scritta ufficializza la memoria e
l’appartenenza a una comunità religiosa e sociale.
1 Lo spazio
Oggi il territorio della Repubblica popolare cinese comprende 9.6 milioni
di km quadrati, poco meno dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, da ovest a
est ci sono 5000 km dal Pamir all’Oceano Pacifico, da nord a sud 3500 km
dalla Siberia meridionale fino ai Tropici, ci sono quasi tutti i tipi di clima e
paesaggio (tropicale nella costa minacciata dai tifoni, continentale della
steppa subpolare; coste rocciose delle isole del sud, spiagge sabbiose del
nord, bassopiano fluviale, arido deserto, cime ghiacciate dell’Himalaya).
In Cina c’è la montagna più alta del mondo (l’Everest 8848 m), la
depressione tra le più basse del mondo (Turfan 154 m sotto il livello del
mare). I Cinesi hanno bonificato paludi, scavato canali, terrazzato colline,
conquistato nuovi terreni fertili, hanno trasformato radicalmente il loro
ambiente naturale. Una costante della Cina sono i monti, si sono formati
molto prima dell’uomo e hanno posto una barriera alle sue forme di vita,
l’Himalaya, il Karakorum, il Pamir, il Tianshan e la catena dell’Altai
dividono l’Asia orientale da quella meridionale, centrale, e dalla Siberia
occidentale, a est delle catene montuose la regione scende su tre ampi
gradini: il primo è formato dagli altopiani, quello del Tibet-Qinghai, (4000
m = il tetto del mondo), il secondo gradino è formato a nord e a est dal
bacino del Tarim, l’altopiano mongolo, l’altopiano del loess della Cina
settentrionale, il bacino del Sichuan e l’altopiano dello Yunnan (1000-
2000 m) e il terzo gradino è formato dalle pianure, le colline orientali e
meridionali (500 m di altezza), è il cuore della Cina, la zona ad altissima
densità di popolazione. La civiltà cinese nacque e si sviluppò in questa
ultima regione di pianure e colline, fertile e favorita dal clima, vi scorrono
lo Huanghe (“Fiume Giallo”) e lo Yangzi (le arterie della Cina), entrambi
nascono dalle montagne del Qinghai, attraversano la regione centrale della
Cina da ovest a est, la più importante barriera tra nord e sud è la catena dei
monti Qinling (4000 m), essa si trova sul 33° di latitudine da ovest a est,
agisce da confine climatico e divide la Cina in due: i venti siberiani
portano aria fredda e secca nei mesi invernali a nord; i monsoni caldi e
umidi portano abbondanti precipitazioni a sud, la differenza di clima ha
fatto sorgere tra nord e sud due regioni culturalmente, economicamente e
socialmente diverse. Nella Cina settentrionale domina un clima
continentale, secco, con estati calde e inverni polverosi e molto freddi, nei
mesi estivi piove molto (50-60 cm annui), il periodo vegetativo dura 6
mesi, in queste zone si coltivano frumento e miglio (agricoltura a secco), la
coltivazione nelle regioni del nord è un’impresa precaria: le precipitazioni
irregolari provocano periodi di siccità, le inondazioni del Fiume Giallo
distruggono interi raccolti, gli alti argini costruiti dagli uomini dimostrano
la millenaria lotta dei contadini del nord contro le calamità naturali. A sud,
al di là della catena Qinling e del fiume Huai il monsone d’estate porta aria
calda e umida da sud-est, le precipitazioni sono abbondanti e regolari (100-
120 cm), lo Yangzi fornisce rifornimenti idrici, il bassopiano dello Yangzi
è il territorio più fertile della Cina, qui si produce il riso e il miglio, il
periodo vegetativo dura 9 mesi, ci sono 2 raccolti l’anno, il sud è il granaio
della Cina, il suo baricentro demografico da due mila anni, la maggior
parte dell’attuale miliardo e trecento milioni di Cinesi vive al sud (Al sud
la barca, al nord il cavallo), le aride pianure del nord non ostacolano il
movimento di uomini e beni, a sud le colline e i fiumi rendono difficili le
comunicazioni via terra. Queste differenze hanno sempre segnato la
divisione tra nord e sud e hanno frammentato e isolato le regioni del sud,
alcune delle quali chiedevano e chiedono l’autonomia politica (zona
costiera del Fujian). Fin dall’età della pietra le culture del nord e del sud si
sono formate diversamente, le unificazioni sono sempre partite dalle
grandi pianure del nord. Le regioni circostanti dell’Asia centrale hanno
sempre avuto contrasti con la Cina, alcuni sono stati integrati nell’impero
(per esempio la Manciuria dai Qing nel XVIII secolo) e oggi sono
autonomi, essi sono separati fisicamente dalla Cina: il confine montuoso
cinese-tibetano a ovest, la catena del Xing’an a est, la Grande Muraglia
(eretta dall’uomo) a nord dal Gansu fino al Golfo di Bohai. Il confine più
evidente è quello climatico-agricolo, a nord e a ovest della Cina
l’agricoltura è quasi impossibile perché le precipitazioni sono scarse
(meno di 400 mm l’anno), queste sono le zone delle foreste della
Manciuria (la patria dell’ultima dinastia imperiale), le steppe della
Mongolia, il deserto dei Gobi, il Turkestan orientale (600.000 km quadrati,
oggi si chiama Xinjiang), la Zungaria, il bacino del Tarim e la regione
desertica del Taklamakan, a sud gli aridi altipiani del Qinghai e del Tibet.
Nella regione cinese originaria vivevano i contadini sedentari, i cittadini, i
commercianti e si è sviluppata l’arte, la poesia e la filosofia; nelle regioni
del nord vivevano i “barbari”, allevatori seminomadi di pecore e cavalli, i
cavalieri cacciatori e guerrieri, le loro lingue (turco, mongolo e mancese)
non somigliano al cinese, non hanno conosciuto la scrittura per molto
tempo, sono stati definiti l’antitesi della cultura cinese, erano l’Altro, ma la
Cina, nonostante tutte le sue differenze interne, veniva rappresentata come
un’unità. I sovrani cinesi hanno però favorito una politica di matrimoni
con i popoli stranieri, gli Xiongnu vengono definiti lontani parenti dei
Cinesi, le grandi dinastie Zhou, Qin e Tang vengono dall’ovest, i Tuoba, i
Khitan, gli Jurchen, i Mongoli e i Manciù hanno dominato sia in Cina che
in molte parti dell’Asia, l’impero raggiunse le sue massime estensioni
territoriali durante il dominio di tali popoli. L’impero unitario cinese non
fu mai unitario né dal punto di vista etnico che da quello culturale, tanti
popoli vissero insieme alla popolazione cinese, portando guerre ma anche
arricchimenti per la civiltà.
2 Il tempo
La tavola delle dinastie è la prima fonte di legittimazione della storia
monolitica della Cina, le liste dei sovrani passano al di sopra di ogni
rivolgimento economico, sociale e culturale, ma ci sono molte crepe, molte
rotture e molte discontinuità.
Dopo le prime due dinastie, la cui storia è molto oscura, le dinastie degli
Zhou, degli Han, dei Jin si dividono in occidentali e orientali, poi ci sono
gli Stati Combattenti, i Tre regni, le dinastie meridionali e settentrionali, le
Cinque Dinastie, i Dieci Regni. Per molti secoli la storia della Cina è stata
politicamente divisa, dal 220 (la fine egli Han) al 1912 (la caduta dei Qing)
per 750 anni la Cina fu frazionata in stati diversi e di volta in volta soltanto
una delle dinastie in concorrenza rappresentava la linea giusta (zhengtong).
Le più grandi e potenti dinastie non dominarono quasi mai la regione
centrale, gli Han dovettero cedere i loro territori orientali ad altri re o ai
proprietari terrieri delle province; i Tang, dopo 150 anni, perdettero il
potere su vasti territori in favore dei generali; l’impero Song fu diviso in
settentrionale e meridionale; fino alla tarda età imperiale tutto il sud fu
popolato solo a tratti lungo le coste e i fiumi, nell’epoca Song furono
acquisiti il Fujian e lo Hunan, in epoca Qin il Guizhou e lo Yunnan.
3 Le fonti
Le fonti a disposizione sono varie, fino al XX secolo la storia della Cina è
basata sulla letteratura tramandata: i Cinque scritti canonici: il Classico
dei mutamenti (Yijing), il Classico dei documenti (Shujing), il Classico
delle odi (Shijng), gli Annali delle primavere e degli autunni (Chunqiu) e
le Memorie sui riti (Liji) e inoltre le 25 storie dinastiche. Le opere storiche,
le antiche opere canoniche e filosofiche non sono fonti in senso proprio,
perché sono state scritte più tardi, non sono state scritte dalla persona alla
quale sono state attribuite e non sono giunte a noi nella forma originaria.
Non esiste una fonte contemporanea alla vita di Confucio, i testi a nostra
disposizione hanno alle spalle mille anni di traduzioni orali e scritte, passi
corrotti, negligenze, cambiamenti e uniformazioni ortodosse. La maggior
parte delle fonti primarie sono andate perdute, un quarto della letteratura
più antica è arrivata a noi, le biblioteche spesso venivano bruciate, molti
documenti furono eliminati, molti testi, prima dell’invenzione della
stampa, non erano stati copiati. Ne l xx secolo divennero disponibili molte
fonti primarie e il quadro storico monolitico cominciò a vacillare: i
manoscritti di Dunhuang ci testimoniano la vita poliglotta e multiculturale
di un’oasi, le iscrizioni su ossi e bronzi ci raccontano le cerimonie
oracolari degli Shang, i documenti dei funzionari di epoca Qin ci danno un
quadro dettagliato dell’amministrazione di uno stato multietnico, i
manoscritti sepolcrali delle epoche Zhanguo e Han ci restituiscono le
dottrine eterodosse della tarda antichità, l’apertura di molti archivi ci
permette di studiare la storia moderna al di là della propaganda ufficiale.
Questi testi, se non sono falsi, ci offrono una prospettiva diversa e mettono
a fuoco la molteplicità della storia e ci dicono che il quadro storico
tramandato sia riduttivo e deviato. Le nuove fonti evidenziano il
soggettivismo della letteratura tradizionale, ma anche la sua visione
prospettica. Una storia della Cina deve spiegare come sia nata
l’autodescrizione di se stessa, come la Cina oggi intenda se stessa come
una grande nazione con 5000 anni di storia e come questa autodescrizione
possa sgretolarsi. Questo libro terrà conto di entrambe le descrizioni:
quella tradizionale (quella che ogni cinese sa della sua storia) e quella
critico-scientifica.
Miti e preistoria (VIII millennio-XIII secolo a.C.).
Culture regionali e dominazione per mezzo della violenza.
(pag. 3-141)
Le narrazioni dei fondatori delle civiltà e dei saggi imperatori preistorici
sono legate ai miti e grazie a loro si parla di 5 millenni di civiltà cinese.
Attorno al 1920 cominciò l’archeologia scientifica in Cina, furono ritrovati
resti delle civiltà agricole, sorte verso l’VIII millennio a.C. sulle sponde
dello Huanghe e dello Yangzi, queste civiltà sono le basi della preistoria
cinese. La preistoria ci pone la diversità della Cina: la vicinanza, la
contrapposizione, la mescolanza e l’influenza reciproca di diverse culture
regionali, non c’è un impero unitario e organizzato centralmente, ma una
pluralità frammentata di culture regionali. Nella preistoria non ci sono eroi,
non ci sono sovrani che tengono in pugno il destino dell’impero, ma ci
sono forze anonime e inconsce del mutamento sociale. Le culture
neolitiche formarono strutture differenziate, nel V millennio nelle
comunità di villaggio si separarono alcune famiglie che presero le
occupazioni di tutta la comunità, poi apparvero gli specialisti nel campo
dell’artigianato e della religione. Alcune sepolture riccamente adorne ci
dimostrano il prestigio di alcune persone. Poi sorsero delle società
stratificate con élite potenti, le fondamenta forse di palazzi e di templi e
imponenti mura del III millennio a. C. ci testimoniano la potenza di queste
élite, i ritrovamenti di armi e di scheletri fanno capire che i signori dell’età
neolitica, per rendere arrendevole il popolo, usavano la violenza. Alla fine
dell’età neolitica si giunse a principati strutturati gerarchicamente, la cui
potenza si estendeva su grandi centri. Nel II millennio apparvero principati
qualitativamente superiori: Erlitou ed Erligang sono le prime culture
progredite della Cina, i loro signori vivevano nei palazzi, disponevano di
preziosi vasi di bronzo, il dominio di queste culture si estese per centinaia
di chilometri, con esse cominciò l’età del Bronzo.
1 Miti unitari
Ogni anno, il 5 aprile, nel distretto di Huangling, nello Shaanxi, si svolge
una cerimonia, migliaia di uomini politici e rappresentanti di paesi
stranieri si riuniscono per la festa di Qingming sul piccolo monte Qiao,
davanti al mausoleo dell’Imperatore Giallo con bandiere, trombe e
tamburi, onorano l’antenato di tutti i Cinesi, 4500 anni fa Huangdi.
l’Imperatore Giallo avrebbe fondato la civiltà cinese, a lui viene attribuita
l’invenzione della ceramica, della scrittura, dell’architettura,
dell’astronomia, del calendario, della musica e dell’arte dell’amministrare.
I miti dell’inizio della storia della Cina descrivono gli inizi della storia e ne
condividono anche la nascita, essi affiorano quando fu scritta la storia, le
loro tracce più antiche risalgono al I millennio a.C., compaiono in alcune
odi che celebrano la storia delle dinastie Shang e Zhou, la loro origine è
leggendaria: si narra che un uccello nero fosse disceso per generare gli
Shang e il capostipite della dinastia Zhou fosse rimasta in cinta dopo aver
calpestato l’orma di un dio. In iscrizioni di bronzo della stessa epoca le
genealogie dinastiche venivano collegate alla figura mitica del regolatore
di corsi d’acqua Yu il Grande, colui che divise la regione e deviò i fiumi,
si dice che era nato dal ventre di suo padre, aveva inventato il carro,
ordinato la fusione di 9 tripodi (sostegno a tre piedi di un recipiente) di
bronzo come insegne del suo potere, aver fondato la prima dinastia cinese,
gli Xia e salvato l’intera regione dal diluvio universale. Gli augusti
predecessori di Yu, vissuti nel XXIV-XXIII secolo, erano gli imperatori
Yao e Shun, modelli di virtù e giustizia. Un intero pantheon di figure
mitiche antichissime popolò la letteratura della fine del I millennio a.C.
Nel II secolo a.C. questi miti di diversa origine furono organizzati in un
ordine sistematico, sotto la dinastia Han, nacque la mitologia, raccontata in
un’opera storica, le Memorie di uno storico (Shiji) di Sima Qian, è l’opera
più importante dell’intera storiografia cinese e inizia con una serie di miti.
Il primo capitolo è dedicato ai “Cinque Imperatori”, che avrebbero
governato nella pianura cinese settentrionale all’inizio del III millennio
a.C. prima delle dinastie dei Xia, degli Shang e Zhou (Huangdi, Zhuanxu,
Ku, Yao, Shun). Sono figure mitiche, che prima erano apparse accostate,
in quanto antenati di clan diversi e autonomi e nello Shiji vengono
rappresentati come sovrani che si succedono l’uno all’altro in una
prospettiva di impero unitario della Cina settentrionale. L’Imperatore
Giallo all’epoca Han fu venerato come un dio daoista, la sua figura è piena
di significati simbolici: l’appartenenza al clan degli imperatori degli Han,
il numero 5 aveva un significato cosmologico, il giallo era il colore della
dinastia, il culto di Huangdi raggiunse l’apice. Sembra che l’imperatore
Wu, degli Han, prima di una guerra pregasse l’Imperatore Giallo e che
abbia voluto il monumento funebre sul monte Qiao. Huangdi divenne la
figura dell’impero unitario e centralizzato, in quanto fondatore della civiltà
Han e antenato della storia cinese (ancora oggi il popolo cinese chiama se
stesso “Han”).
Archeologia
I ritrovamenti nelle tombe del periodo Han hanno portato alla luce testi
finora ignoti, le pitture parietali nelle tombe Tang ci offrono scorci della
storia dell’arte cinese, i recuperi di giunche (barche) affondate dell’epoca
Song ci hanno fatto conoscere il commercio marittimo, gli scavi della
regione centrale cinese ci hanno svelato le splendide civiltà delle
popolazioni vicine. Da secoli gli eruditi cinesi avevano condotto studi su
vasi bronzei, iscrizioni su pietra e altri beni culturali, ma l’archeologia
scientifica nacque in Cina nel XX secolo, grazie agli Europei, il geologo
svedese Johan Gunnar Andersson (1874-1960) negli anni ’20 scoprì lungo
il Fiume Giallo in primi insediamenti neolitici in Cina. In quel periodo la
Cina era stata conquistata da popolazioni straniere, la giovane Repubblica
era in crisi e alcuni storici avevano cominciato a demolire i miti e a
mettere in dubbio la vecchia tradizione, i ritrovamenti di Yangshao e di
Longshan rivelarono le radici preistoriche della civiltà cinese.
L’archeologia era un orgoglio nazionale, gli scavi ad Anyang (1928-1937)
sotto la direzione di Li, il padre dell’architettura cinese, scoprirono
l’esistenza della dinastia Shang, gli studi sulla civiltà neolitica lungo il
Fiume Giallo degli anni ’30 svelarono che fosse non solo antica, ma anche
autoctona, i ritrovamenti dell’età del Bronzo a Rrlitou ed Erligang negli
anni ’50 sostennero la storicità della più antica dinastia cinese, gli Xia,
dagli anni ’70 in poi furono fatte scoperte sensazionali: l’armata di
terracotta del Primo Imperatore, bronzi, mausolei di principi locali,
sepolcri corredati, biblioteche atti amministrativi e scritti su listarelle di
legno e di bambù. Grazie a questi scavi possiamo dire che la civiltà cinese
non è sorta da un solo centro presso il Fiume Giallo, ma da più centri, nella
Cina meridionale sono stati trovati resti di culture e civiltà diverse e
autonome rispetto a quelle del nord, l’archeologia degli ultimi decenni ha
definitivamente sepolto l’idea di una storia nazionale unitaria. I
ritrovamenti archeologici non dovrebbero essere interpretati alla luce dei
testi tradizionali, ma piuttosto analizzati indipendentemente da essi.
La culla della civiltà cinese non fu solo sul Fiume Giallo ma anche lungo i
fiumi Yangzi e Huanghe, in regioni autonome, distanti tra loro e diverse
tra loro: al sud c’erano i coltivatori di riso che vivevano in piccoli villaggi
di palafitte su terreni paludosi, nelle pianure del nord i coltivatori di miglio
che vivevano in grotte scavate nel loess o in capanne d’argilla
seminterrate, coperte di paglia. A partire dal 5000 a.C. emersero almeno 3
macroregioni:
1) la Cina settentrionale divisa in: lungo il medio corso del Fiume
Giallo, l’altopiano del loess; a est il bassopiano della Cina
settentrionale e la penisola dello Shandong;
2) la Cina meridionale con i territori lungo il medio corso dello Yangzi
(oggi Hubei e Hunan); il delta dello Yangzi (oggi Jiangsu e
Zhejiang);
3) il bacino del Sichuan.
Le altre regioni periferiche del nord-est, presso il fiume Liao, lungo la
costa meridionale, compresa Taiwan, e a nord-ovest, il territorio degli
odierni Gansu e Qinghai.
I confini tra le civiltà della Pietra rimasero stabili per millenni, anche dopo
l’unificazione dell’impero (221 a.C.) e segnavano le diversità del mondo
cinese. Verso la metà del Neolitico queste civiltà autonome erano in
contatto tra loro e si svilupparono parallelamente, tra il V e il IV millennio
si diffuse l’agricoltura, dopo i cambiamenti climatici, gli uomini della
cultura Yangshao, lungo il Fiume Giallo nel V millennio si nutrivano per il
50% di panico e miglio, nella cultura Longshan nel III millennio a.C. si
nutrivano degli stessi cereali per il 70%, negli insediamenti neolitici la
popolazione crebbe notevolmente e il loro aspetto mutò. I villaggi
Yangshao all’inizio erano divisi dal territorio circostante mediante fossati
difensivi, erano formati da piccole capanne disposte intorno a costruzioni
maggiori, usati per usi comunitari, piano piano cominciarono le differenze
sociali, le famiglie divennero segmenti sociali autonomi, alcuni compiti
(immagazzinamento dei cereali, cerimonie, costruzioni maggiori)
avvenivano affrontati dall’intera comunità, altri (economia quotidiana)
venivano svolti da alcuni nuclei familiari. Nel tardo Neolitico sorsero le
mura che circondavano le abitazioni private dove venivano custoditi gli
animali, le stoffe tessute e gli oggetti prodotti. Le famiglie producevano
vasi in terracotta per la conservazione dei cibi e le ceramiche. La cultura
Yangshao produceva brocche, ciotole colorate, dipinte con motivi
geometrici o zoomorfi, quella Dawenkou, nella penisola dello Shandong,
produceva ceramiche più raffinate, tripodi adorni e incisi, brocche dai
preziosi manici e beccucci (vedi foto pag. 13). Dopo un millennio, nacque
la ceramica della cultura Longshan, lavorata al tornio, con eleganti boccali
e alti basamenti, le tecniche erano molto progredite, fatte da artigiani
specializzati. Nacquero delle vere e proprie aziende artigianali, nella
cultura Dawenkou (III millennio a.C.) gli artigiani lavoravano con
l’argilla, pietre, ossi, avorio e costruivano piccoli oggetti tubolari, pettini e
con la giada facevano catenelle e bracciali. La cultura Hongshan, al nord-
est con la giada producevano figure di animali, la cultura Liangzhu, lungo
il delta dello Yangzi, fabbricavano anelli e maschere zoomorfe.
La giada
La giada in Cina è ammirata e venerata da sempre, il primo lessico cinese
dice:
“E’ la più bella di tutte le pietre preziose, perché possiede le 5 virtù: il suo
caldo splendore è espressione dell’umanità, la sua trasparenza, che lascia
riconoscere l’interno, è espressione della rettitudine; il suo suono, chiaro e
dotato di lunga eco, è espressione della saggezza; la sua mancanza di
cedevolezza è espressione del coraggio; il suo taglio netto è espressione
della purezza” (Shuowen jiezi I A).
La giada cinese, la nefrite (un minerale più tenero della giadeite), nel
Neolitico veniva estratta per fare i gioielli, il tardo Neolitico da alcuni
archeologi è stato chiamato “Età della Giada”. Nel tempo mitico dei primi
fondatori della civiltà, le armi venivano costruite con la pietra, al tempo
dell’Imperatore Giallo con la giada, al tempo di Yu il Grande col bronzo e
poi con il ferro. La giada simboleggia il mutamento sociale avvenuto nel
Neolitico, è la pietra della fascia superiore della società, la durezza, la
difficoltà di lavorazione, la durata e la bellezza la rendono il materiale
favorito per i gioielli e per gli oggetti di culto. I primi centri di produzione
della giada si trovano agli estremi limiti della regione centrale cinese, nella
cultura nord-orientale di Hongshan e in quella meridionale di Liangzhu.
Già nel IV e nel III millennio a.C. venivano prodotte figure zoomorfe,
oggetti rituali, anelli, lamine di volti umani, braccialetti, pendenti e altri
gioielli. I sepolcri dell’élite dell’età del Bronzo erano corredati da questi
”portafortuna”, in una tomba di un re Shang sono stati ritrovati più di 750
oggetti di giada, provenienti dal bacino del Tarim (4000 km distante).
Durante tutta l’antichità alla giada venne attribuita una potenza magica nel
culto dei morti, sono stati ritrovati nelle tombe dei re dell’epoca Han
“vestiti di giada”, migliaia di lamine cucite insieme con fili d’oro che
coprivano interamente il cadavere. Ancora oggi la giada è considerata la
materia dell’immortalità, l’anello di giada inserito nelle medaglie dei
Giochi olimpici di Beijing del 2008, simboleggia l’antichità della civiltà
cinese, la magia della gara sportiva e l’immortalità della fama dei vincitori.
Gli artigiani del tardo Neolitico erano specialisti nel loro settore, i loro
prodotti non servivano più per gli usi quotidiani, ma per usi straordinari
(alla religione: culti e riti). Gli uomini dell’età della neolitica sullo
Huanghe e lo Yangzi furono alle prese con le forze misteriose, la natura li
colmava di doni, ma era spaventosa, imprevedibile e onnipotente. Nella
cultura Hongshan e in quella Longshan (III millennio a.C.) si indagava
sulla volontà degli dèi mediante gli oracoli, riscaldando ossi di cervo e
maiale e interpretando le loro crepe. Anche nella religione nacquero gli
specialisti: mediatori degli dèi che avevano grande prestigio, l’uomo della
cultura Yangshao il cui cadavere fu sepolto tra la raffigurazione nelle
conchiglie di un drago e di una tigre, forse era uno sciamano. Nel tardo
Neolitico nel bassopiano della Cina settentrionale comparve la
stratificazione sociale, notevoli differenze di rango tra famiglie diverse,
tramite il commercio di beni preziosi che oltrepassava il confine, alcune
famiglie accrebbero il loro prestigio, alcune famiglie benestanti offrivano
suntuosi banchetti, durante i quali distribuivano cibo e bevande, per far
vedere la loro ricchezza e assicurarsi il favore dei partecipanti. Anche i
Cinesi del Neolitico affrontarono la morte con la fede e credevano nella
sopravvivenza dopo di essa, i sepolcri erano curati e lussuosi, alcune
tombe della cultura Dawenkou erano dotate di camere sepolcrali in legno,
arredi funebri, gioielli, oggetti di giada, carapaci di tartaruga, vasi di
ceramica, che accompagnavano il defunto. Alcuni sepolcri della cultura
Liangzhu, nello Zhejiang settentrionale contenevano centinaia di oggetti
preziosi: vasi di ceramica, asce di pietra, denti di squalo, oggetti rituali di
giada, nei cimiteri della cultura Longshan, nello Shanxi, le tombe comuni
erano a debita distanza dai sepolcri dell’élite delle civiltà regionali, dei
capi che godevano di grandi privilegi, di maggiori dimensioni, pieni di
ceramiche, strumenti musicali in legno, pelli di alligatore e campane di
rame.
3 Il tardo Neolitico
Le élite del tardo Neolitico non venivano più inumate in fosse, ma sepolte
in magnifici sepolcri, non vivevano più in villaggi, ma in città circondate
da mura. Nella seconda metà del III millennio a.C. nel periodo Longshan,
sorsero molte città (ne sono state ritrovate più di 50) di dimensioni
enormi (decine di ettari) in regioni diverse. Erano circondate da mura di
terra battuta (hangtu = sabbia, ghiaia, argilla pressate con le mazzeranghe
-mazze di legno o di ferro- in tanti strati duri e resistenti), oggi si sono
conservati resti di mura di 5-6 m. di altezza e più di 20 di larghezza
nell’insediamento neolitico di Chengtoushan, lungo il corso dello Yangzi,
e u fossato largo 35-50 m. I resti delle mura a Guchengzhai, nello Henan
sono alti fino a 16 m. e larghi 40, ecc. Queste città avevano fino a 10.000
abitanti, contenevano le case, alcune più alte delle altre, officine artigiane,
cimiteri, templi, palazzi, ne sono stati identificati almeno 8 di questi
insediamenti ad alta densità di popolazione, non sono più le società tribali
dell’inizio del Neolitico, ma principati con una struttura sociale
stratificata. Le loro élite avevano un potere considerevole, disponevano
della forza-lavoro che erigeva costruzioni monumentali, mura e palazzi, i
lavoratori erano migliaia, lavoravano duramente per decine di anni e
molti di essi perdevano la vita. Con i principati comparve la violenza
istituzionalizzata, le armi ritrovate sono la prova di guerre e violenze
(teschi scalpati, cadaveri mutilati, scheletri in fondo ai pozzi). Non
venivano più inumati né gli animali, né gli uomini, sono stati ritrovati
numerosi scheletri di adulti e bambini nelle fondamenta dei palazzi, erano
i sacrifici che i principi del tardo neolitico pretendevano dal loro popolo.
Il motivo di questa crudeltà non è solo la sete di sangue e la brutale sete
di potere delle nuove élite, ma piuttosto i mutamenti demografici
avvenuti nel III millennio a.C., quando molte culture regionali
abbandonarono i loro insediamenti (nel 2600 a.C. il Fiume Giallo aveva
mutato il suo basso corso da nord verso sud, aveva sommerso un vasto
territorio e dalle regioni costiere del Jiangsu avvenne un esodo verso
l’odierno Henan), la popolazione dell’Henan aumentò e ci furono dei
cambiamenti sociali nel periodo Longshan, ci furono guerre e sacrifici
cruenti. Il clima si fece più rigido, finì il periodo dell’optimum climatico
olocenico, le temperature scesero, la zona monsonica si spostò verso sud-
est, il clima divenne più secco, a nord tornarono le steppe, alcune culture
dell’estremo nord della regione centrale cinese passarono dall’agricoltura
al pascolo, a nord-ovest, dopo la fine della cultura Qijia, si diffuse
l’allevamento degli ovini e dove adesso c’è la Grande Muraglia sorsero
culture dedite all’agricoltura e al pascolo. In quell’epoca si formò il
confine tra il mondo cinese dedito all’agricoltura e gli allevatori di
bestiame dell’Asia centrale. Una catastrofe fluviale colpì la Cina
settentrionale alla fine del III millennio a.C. il Fiume Giallo spostò
nuovamente verso nord il suo corso per centinaia di km, distrusse un
vasto territorio e molte grandi culture regionali sorte lungo lo Yangzi e lo
Huanghe (la cultura Liangzhu) scomparvero nel 2300 a.C., poi anche la
cultura Hongshan a nord-est e nel 2000 a.C. tramontarono le città di Taosi
e Guchengzhai.
Il bronzo
Il bronzo nell’antica Cina veniva considerato il metallo per eccellenza, i
bronzi dell’antica Cina (caraffe, coppe, tripodi degli Shang con
decorazioni geometriche o zoomorfe) sono tra i prodotti più raffinati
dell’arte mondiale. La lavorazione del bronzo in Cina sorse intorno al 2000
a.C. nella cultura Qijia (odierno Gansu) e a Erlitou, nel II millennio a.C.
cominciò una grandiosa produzione. La tecnica era molto evoluta, si
basava sulla produzione delle ceramiche, che forniva i crogioli per la
fusione, le forme di terracotta e gli stampi, i bronzi antichi non si facevano
con il procedimento a cire perdue (modello di cera), ma con i modelli di
terracotta divisi in più parti che davano la forma per la colata, in questi
modelli veniva incisa la decorazione, i motivi erano zoomorfi su uno
sfondo di spirali e serpentine (periodo Shang e Zhou), draghi, serpenti,
uccelli, cicale e taotie (maschera mostruosa e aggressiva). Forse erano
totem o elementi di culti magico-religiosi, usati dagli sciamani per
prendere contatto con l’aldilà, questi motivi scomparvero nell’epoca Zhou.
Le iscrizioni erano all’inizio solo i nomi del donatore o dell’antenato al
quale l’oggetto era dedicato, dopo la dinastia Zhou le iscrizioni divennero
più lunghe (500 caratteri): la causa della donazione, una guerra,
un’investitura, un rito, liti giudiziarie, vendite di terre, genealogie e
disordini nel regno di Zhou. Oggi possediamo più di 10 000 iscrizioni di
bronzo, molte non sono chiare e non sono comprese, però sono fonti
uniche nel loro genere e la cosa più preziosa dell’età del “Bronzo”.
Le culture di Erlitou e di Erligang vengono identificate con le prime
dinastie cinesi, Erlitou è attribuita ai Xia (2205- 1766 a.C.), al mitico re Yu
il Grande, il quale avrebbe combattuto contro il diluvio universale, avrebbe
introdotto la fusione del bronzo, ma questi sono miti più tardi, la dinastia
Shang (1766-1123 a.C.) avrebbe la sua origine a Erligang, avrebbe
spostato la capitale a Zhengzhou, ma le informazioni risalgono ascritti di
1500 anni più tardi. Esistevano altre culture evolute nei territori
dell’odierno Shandong, nella Mongolia Interna, nello Shaanxi, nel Gansu,
nel Sichuan, nello Hubei e nel delta dello Yangzi, delle quali non
sappiamo nulla o molto poco, l’unica eccezione è la città di Anyang.
La nascita della Cina (XIII-VI secolo a.C.)
Stratificazione e ordinamento per mezzo delle norme di
comportamento
I Gli Shang
Un aneddoto narra che nel 1899 il paleografo Wang Yirong, rettore
dell’Università imperiale di Beijing, si ammalò di malaria, si procurò in
farmacia gli “ossi di drago” (ossi di animale impiegati in medicina nel XIX
secolo), scoprì sugli ossi piccoli caratteri incisi (la prima forma di scrittura
cinese), da quel momento furono decifrate migliaia di iscrizioni. Gli “ossi
di drago” erano piastroni ventrali di carapaci di tartaruga, oppure scapole
di bovini utilizzati 3000 anni prima (dinastia Shang) per ricevere gli
oracoli, gli ossi venivano scaldati e poi dalle crepe traevano i pronostici e
protocollavano le cerimonie: ci sono i nomi dei partecipanti, le date delle
interrogazioni dell’oracolo, le domande, i responsi e l’esito delle
predizioni. Sugli ossi ci sono alcuni nomi della dinastia Shang, sulla cui
esistenza c’erano molti dubbi. Spesso venne scoperto il luogo di origine
degli “ossi di drago”, il villaggio di Xiaotun, vicino a Anyang, nello
Henan, la capitale della dinastia Shang. Nel 1928 cominciarono gli scavi
archeologici ad Anyang, furono portate alla luce decine di migliaia di ossi,
tombe, carri da guerra, sepolcri, oggetti di bronzo, mura, fondamenta di
palazzi, lavori intagliati su ossi, avorio, e giada. Le conchiglie di ciprea
(molluschi) e i carapaci di tartaruga venivano dallo Yangzi, la giada veniva
dal Khotan, nel Turkestan orientale (4000 km di distanza). Gli Shang,
secondo la tradizione, avrebbero spostato la capitale 5 volte, con l’ultima,
dovettero trovare il sito ideale: a nord della provincia dello Henan, sul
bordo occidentale della pianura del loess, il clima era temperato, la pianura
era fertile e bagnata dal fiume Huai, si coltivava il miglio e il riso, si
cacciavano orsi, elefanti, bufali, tigri e rinoceronti., a ovest i monti
Taihang e a sud-est il Fiume Giallo segnavano i confini, verso la metà del
XV secolo a.C. presso l’odierna Huanbei, sorse una grande città cinta di
mura, grande 470 ettari, era ricca di palazzi imponenti e fu abitata per 200
anni. Verso il 1250 sorse più a sud-ovest un altro centro della dinastia
Shang, Yinxu, le “rovine di Yin”, esteso 30 km quadrati, non aveva mura,
ma semplici abitazioni, officine, palazzi, piccole tombe e una necropoli
con 13 tombe, forse gli ultimi nove re degli Shang ebbero la loro residenza
a Yinxu, questi sepolcri sono regali: hanno la forma a croce, interrati per
10-13 m., e ampie camere sepolcrali. La maggior parte sono state
saccheggiate, solamente una è rimasta intatta, quella di una consorte
regale, la tomba di Hao, una delle mogli di un re Shang, è ricca di lavori ad
intaglio su osso e giada, avori, pietre preziose, monili, armi, 7000
conchiglie di ciprea, 755 oggetti di giada (la raccolta più ampia mai
trovata) e 468 manufatti di bronzo (1600 kg.). I bronzi avevano scopi
religiosi, gli Shang veneravano moltissime divinità: il vento, la pioggia, il
tuono, i lampi, il sole, la luna, i fiumi, i monti, la terra, i 4 punti cardinali e
un dio supremo, Di, che comandava sulle altre potenze. I sovrani Shang
adoravano anche i loro antenati, essi compivano molti rituali per più di 100
antenati, recenti e lontani. Durante le cerimonie venivano offerti in
sacrificio carne, sangue, cereali e vino (una brodaglia simile alla birra,
ottenuta dal miglio), lo sciamano, accompagnato dal suono delle campane
e circondato da animali magici, danzava e andava in trance per mettersi in
contatto con l’aldilà. Gli Shang cercavano il sostegno degli avi per: un
raccolto, un rito, una battuta di caccia, una guerra, una nascita, una
malattia, un sogno, un fenomeno celeste, un progetto di costruzione, la
pioggia e l’esito di una battaglia. Tali pratiche avvicinavano la religione
degli Shang alla magia, non si trattava di pregare umilmente, ma di
procurarsi dei favori e di influenzare gli spiriti per i propri scopi. Le
divinità degli Shang non erano considerate trascendenti, ma parte del
mondo umano, erano in grado di intervenire in esso e accettavano di essere
trattati in modo mondano, la religione non era considerata una sfera
autonoma della società, gli dèi erano onnipresenti e ogni azione aveva un
significato magico-religioso. Il mondo degli Shang non era ancora
razionale e disincantato, era magico. Gli Shang offrivano ai loro dèi atroci
sacrifici umani (nelle iscrizioni oracolari ce ne sono 13.000). gli Shang
non erano selvaggi assetati di sangue, le motivazioni di questi sacrifici
forse erano razionali, sociali, per esempio erano un modo efficace per
decimare la popolazione che continuava a crescere. La maggior parte dei
sacrifici umani erano prigionieri di guerra (la stirpe dei Qiang ad ovest). I
re Shang a Yinxu erano signori di un clan, conferivano titoli a principi, ai
comandanti valorosi, ai capi dei popoli vicini sottomessi, concedevano
loro i territori confinanti e contraevano matrimoni. I sovrani di questi
territori erano tutti parenti o affini degli Shang, si formò un “clan conico”,
un sistema gerarchico, di gruppi di discendenza. L’orizzonte di questa
civiltà era molto limitato, il territorio era grande qualche centinaio di km.
quadrati, gli Shang non furono la Cina, erano una potenza regionale,
intorno alla quale esistevano altre società autonome. A Sanxingdui, a nord
di Chengdu (Sichuan), intorno al 1980 furono ritrovati i resti di una civiltà
diversa, a 1000 km. di distanza da Anyang, questa città forse fu abitata
nello stesso periodo di Anyang, sono stati trovati due sepolcri ricchi di
oggetti di giada, d’oro, zanne di elefante, conchiglie di ciprea, bronzi (una
maschera antropomorfa di un dio coperta con foglia d’oro, grande 82 x 77,
una figura umana alta 2,6 m., che doveva tenere una zanna d’elefante e
alberi di bronzo alti 4 m.), il linguaggio formale di questi oggetti è diverso
rispetto agli Shang, non c’erano sacrifici umani, tale cultura fiorì in modo
autonomo e contemporaneamente agli Shang. I Cinesi li chiamavano
“barbari”, ma erano molto civili come i Cinesi. La posizione di
preminenza degli Shang è dovuta alla presenza della scrittura. Essa fu
inventata nel 1250 a.C., comparve per la prima volta sugli ossi oracolari di
Anyang, è diversa da quella odierna, è decifrabile solo dagli specialisti, ma
può essere definita scrittura cinese. Ci sono rimaste più di
200.000iscrizioni su carapaci di tartaruga, su scapole bovine e su bronzo, i
testi sono brevi, spesso indecifrabili e riferiti al culto degli antenati. Grazie
alla scrittura gli Shang sono la prima “dinastia” della storia. La scrittura
era limitata solo a pochi specialisti, non veniva usata in politica, in
letteratura, nell’amministrazione, erano geroglifici sacri, adibiti solo al
culto. Solo dopo un secolo la scrittura divenne un fenomeno sociale. Dopo
la metà del XII secolo a. C. gli oracoli si trasformarono, venivano
interrogati molto raramente e solo dai re, i pronostici erano stereotipati,
sempre felici e quindi divennero inaffidabili, erano diventati calcolabili,
non erano più spontanei e neanche imprevedibili. Si ridusse anche il
numero dei sacrifici, l’influenza dei morti sui vivi cominciò a perdere
importanza, gli ultimi re Shang assunsero il titolo “di”, i re cominciarono
ad unire il potere politico a quello religioso. Quest’ultima affermazione
possiamo solo supporla, non abbiamo iscrizioni in merito e il potere degli
Shang era ormai in declino, mentre l’ultimo re Shang stava facendo
scavare il suo sepolcro, ad ovest stava nascendo una nuova potenza: i
Zhou.
2 I Zhou
Verso il 1050 a. C. fu combattuta la più famosa battaglia dell’antica Cina,
il re Wu dei Zhou cona truppa di 800 “principi” e circa 50.000 soldati,
nella pianura di Muye, davanti alla capitale degli Shang, sconfisse l’ultimo
dispotico sovrano degli Shang, Zhouxin. Sembra che quest’ultimo fosse un
uomo depravato, beone, lascivo e crudele, insieme alla moglie Da Ji
celebrasse orge tra il vino e il cibo, torturando crudelmente le sue vittime.
Le truppe degli Shang disertarono e il loro re morì tra le fiamme del suo
palazzo, il re Wu prese il posto di Zhouxin. Non sappiamo se gli eventi si
svolsero così, la storiografia tradizionale 1000 più tardi ci parla di re
Shang crudeli e di re Zhou con un potere consolidato. Le caratteristiche dei
sovrani Zhou erano la saggezza, la moralità, la bontà e la cura del popolo,
essi furono legittimati dalla loro statura morale e per il “mandato dal
cielo”, era il cielo, la suprema divinità dei Zhou, a conferire il compito di
regnare. I Zhou si stanziarono sull’altopiano del loess, al centro
dell’odierno Shaanxi, l’altopiano Guanzhong = “in mezzo ai passi”, è
lungo 350 km., alto 300-600 m., è attraversato dal fiume Wei e dai suoi
affluenti, più di 10 dinastie ebbero la loro capitale in questo territorio, il
Guanzhong è il collegamento tra il mondo “cinese” e i lontani territori
occidentali. I Zhou ebbero più contatti con l’ovest che con il nord, erano
più arretrati degli Shang, secondo la retorica cinese, erano “barbari”. Resta
un enigma come abbiano fatto a vincere la battaglia di Muye e forse questo
evento non fu così importante come la tradizione ce lo tramanda. I Zhou
presero tutte le tecniche degli Shang: la scrittura, la fusione del bronzo e
l’architettura di sepolcri e palazzi. Essi veneravano un altro dio, il “cielo”
(tian), una divinità forse antropomorfa, non usavano i sacrifici umani e
neanche l’oracolo tramite gli ossi. Impiegavano un’altra tecnica
divinatoria: ramoscelli di achillea millefoglie combinati in 6 linee
sovrapposte intere o spezzate. I 64 esagrammi che ne risultavano
divennero un ordinamento sistematico nel Classico dei mutamenti (Yijing).
Storia climatica
Ciò che spinse i Zhou dal Guanzhong nella pianura della Cina
settentrionale non fu forse l’inumanità e la cultura particolare degli Shang,
ma il mutamento climatico, alla fine del II millennio a.C. il clima
dell’intera Eurasia si era fatto più freddo e secco e minacciava la
possibilità di sostentamento di molti popoli. Gli inizi della civiltà in Cina
coincisero con l’innalzamento delle temperature (2° superiori a quelle di
oggi), il caldo portò il bambù nello Shandong, tapiri, coccodrilli, ratti del
bambù e suini nello Henan, la coltivazione del miglio e della soia nella
Cina del nord. Sorsero alcune culture progredite, ma quando, verso a fine
del III millennio a.C. le temperature calarono, molte di queste culture
scomparvero, dopo mille anni ci fu una nuova ondata di freddo e gli Shang
furono sconfitti dai Zhou, il freddo durò molto, attorno al 900 a. C. lo
Yangzi gelò 2 volte e i Zhou furono sconfitti da un popolo delle steppe.
Nei secoli successivi cominciò a fare più caldo, i periodi vegetativi si
fecero più lunghi, nella Cina del nord la popolazione crebbe, aumentò
l’urbanizzazione e la mobilità sociale. Il periodo caldo durò durante
l’epoca Qin e Han e poi nel II secolo d. C. ritornò il freddo, la dinastia Han
cadde mentre il fiume Huai era ghiacciato, i Cinesi del nord si spostarono a
sud dello Yangzi e il nord venne occupato dai popoli della steppa, solo
dopo il 600 il clima riprese a scaldarsi, nel 589 la Cina fu riunificata dalla
dinastia Sui, nell’VIII secolo il clima divenne più secco, il monsone si
ridusse, la dinastia Tang decadde, tra il IX e l’XI secolo il clima era
ottimale e ci fu una rivoluzione economica premoderna. Nel XII secolo la
Cina settentrionale fu conquistata dai Jurchen e il clima scese nuovamente,
nel XIII secolo ci fu la “tempesta mongola” e un periodo di freddo, nel
1644, quando i Ming furono sconfitti dai Manciù, si ebbe una “piccola era
glaciale”. Le oscillazioni climatiche coincisero spesso con le ascese e i
crolli del regno unitario cinese.
1. 2. Moisti e confuciani
L’epoca Zhanguo appare selvaggia e degenerata, e per questo fu un’epoca
classica, l’impero cadde in grande confusione e la decadenza del sapere era
in realtà l’inizio della storia dello spirito cinese, nel IX secolo si constatò che
il passato era diverso, ora divenne chiaro che anche il presente e il futuro
potevano essere pensati diversamente, l’uomo cominciò a pensare a nuovi
progetti per il futuro.
La lingua cinese
Superstizione
I Cinesi da Confucio in poi non furono esseri perfettamente razionali, i testi
che accompagnano i defunti dei sepolcri delle epoche Zhanguo e Han trattano
di astrologia, divinazione, medicina, cosmologia, esorcismi, pratiche
occultistiche e magiche, anche i sovrani, in caso di malattie, si rivolgevano a
divinità naturali e speravano nell’aiuto degli spiriti. L’ordine razionale della
rivoluzione rituale nascose solamente dalla discussione pubblica e non sostituì
la visione magico-arcaica del mondo. La corte degli imperatori Han era piena
di indovini, alchimisti, geomanti ed esorcisti. In alcune opere di Dong
Zhongshu (179-104 a.C.), uno dei più influenti pensatori del tempo, ci sono
preghiere per attirare la pioggia e scongiurare un’eclissi solare. Nel medioevo
cinese le “annotazioni sul soprannaturale” (zhiguai) riferiscono di fenomeni
soprannaturali, maghi e demoni, anche Han Yu (768-824), un erudito che
aveva attaccato le dottrine erronee del buddhismo, come prefetto di
Chaozhou, scrisse in un monito ufficiale a un coccodrillo, chiedendogli di
andarsene per non sfuggire alle punizioni del Figlio del cielo. Anche negli
scritti di Zhu Xi (1130-1200) ci sono preghiere per la pioggia, invocazioni
agli spiriti dei defunti e autocritiche di fronte alle potenze ultraterrene. In altre
circostanze la visione razionale del mondo cedette di fronte ala superstizione
tradizionale, nel XX secolo il Partito comunista cinese di Mao combatté la
“superstizione feudale” diffusa tra il popolo, ma invano, con l’inizio della
liberalizzazione fecero ritorno gli dèi locali, gli almanacchi, gli indovini e i
geomanti e il razionalismo di Confucio e il socialismo scientifico non sono
riusciti a eliminare la superstizione.
La grande dinastia Zhou era finita e il potere passò ai Qin, nel III secolo a.C. il
loro territorio era vasto quasi come quello di tutti gli altri stati messi assieme,
ma la popolazione era molto più numerosa, i Qin presero il potere grazie al loro
arricchimento economico sistematico ( aneddoto: nel 246 a. C. il sovrano di
Han voleva, con l’inganno, fermare l’avanzata verso est dei Qin, aveva saputo
che il popolo Qin amava le grandi costruzioni, mandò loro l’ingegnere Zheng
Guo, per convincerli a costruire un grande canale di irrigazione tra i 2 affluenti
del Fiume Giallo, per far esaurire le loro forze, il canale fu costruito e poté
irrigare 250 000 ettari, la regione di Guanzhong divenne fertile, e la
costruzione del canale, invece di essere una sventura, fece accrescere la forza
di Qin). Nel 246 a.C. un nuovo re ascese al trono di Qin, Ying Zheng (259-210
a. C.), con il sostegno di due cancellieri, Lù Buwei e Li Si, completò
l’espansione territoriale e conquistò gli altri stati regionali (Han, Zhao, Wei tra
il 230 e il 225 a.C., nel 223 a.C. Chu, nei due anni seguenti gli stati nord-
orientali Yan e Qi), nel 221 a. C. tutto il mondo cinese era unificato sotto un
solo sovrano, che si fece chiamare Qin Shi Huangdi, “Primo Sublime
Imperatore di Qin”.
La Grande Muraglia
La costruzione della Grande Muraglia è piena di miti, conosciuti da tutti, si
dice che sia lunga più di 6000 km, alta 10 m e larga 5, che si estenda
ininterrottamente dal Passo di Shanhai, nella baia di Bohai, fino a quello di
Jiayu nel Gansu, la “muraglia di 10 000 miglia” secondo la denominazione
cinese, è la costruzione più imponente del mondo, anche se non è vero che è
visibile ad occhio nudo dalla Luna, come spesso si afferma. In genere si dice
che abbia 2000 anni, sicuramente già nel V secolo a. C. gli stati regionali della
Cina settentrionale costruirono valli di terra battuta lunghi centinaia di km, a
difesa dei loro confini, a nord furono costruite contro i barbari della steppa,
all’interno furono costruite tra Lu e Qi, Zhongshan e Zhao, Wei e Qin, Han e
Chu, nel 221 a. C. i Qin collegarono e prolungarono alcuni tratti di queste
mura, ma la muraglia cinese non è quella dei Qin, essa fu costruita tra il XV e
il XVI secolo d.C., sotto la dinastia Ming, la muraglia dei Qin, della quale
oggi si vedono pochi resti, proseguiva più verso nord e non andava verso
ovest, non era costruita in pietra, ma in terra battuta, questo “drago di terra”,
molto meno imponente della muraglia dei Ming, non era adatta a fermare gli
aggressori, serviva solo a rallentarne l’assalto. La muraglia dei Qin è stata
riparata ripetutamente, ma poi fu abbandonata, forse già all’epoca Tang e
Song aveva perso la sua importanza, forse fu distrutta dalla tempesta mongola
del XIII secolo d. C. e neanche Marco Polo ne fa parola, sembra che all’epoca
in cui il mercante veneziano si recò in Cina, non ci fosse alcuna fortificazione
chiamata “Grande Muraglia”, in generale non fu mai costruita una muraglia
continua, ma solo alcuni singoli tratti di essa, senza nessun piano
complessivo, forse non fu mai una costruzione continua, non esistono rilievi
cartografici persino della Grande Muraglia dei Ming. Nel 1988 è stato
scoperto un tratto fino ad allora ignoto, con il quale la lunghezza è salita a
7200 km. oggi, per la maggior parte, è in rovina, distrutta dalla natura, dallo
sfruttamento dei contadini locali, che la usarono come cava di pietra per
costruire le loro case e le strade, negli ultimi anni è stata rimessa a nuovo in
alcuni tratti per scopi turistici (soprattutto presso Beijing), oggi è un simbolo
dell’identità nazionale (ogni cinese autentico deve averla visitata una volta) e
da poco è stata indicata come una delle “nuove 7 meraviglie del mondo”, la
sua mitizzazione continua ancora.
I Qin delimitarono il loro impero verso l’esterno e lo collegarono verso
l’interno, crearono un’ampia rete di strade, non inferiore a quella dell’impero
romano, aveva forma di stella verso nord, nord-est, est e sud-est e doveva
essere lunga 6800 km, l’ultimo tratto, oltre il Fiume Giallo dovette superare i
900 km, a sud i Qin si aprirono la strada per via d’acqua, avevano scavato nello
Shaanxi, il canale Zheng-Guo (120 km), avevano costruito un grande sistema
di irrigazione del Dujiang, nel Sichuan, nel 214 a.C. costruirono il “canale
magico” Lingqu, nell’odierno Guangxi e collega i fiumi Xiang e Li (33 km), il
canale, un capolavoro della tecnica, offrì il collegamento che mancava tra lo
Yangzi e il Fiume Occidentale (Xi Jiang), nell’odierno Guangdong, il sistema
di vie d’acqua raggiunse i 4000 km, i Qin sottomisero gli odierni Fujian,
Guangxi, e Guangdong, dove fondarono la città di Panyu (Guangzhou), alla
fine il loro dominio era esteso per 3,5 milioni di km quadrati, il Primo
Imperatore, Qin Shi Huangdi, percorse in lungo e in largo il suo impero, in 11
anni di impero intraprese 5 lunghi viaggi, che duravano mesi, e faceva costruire
una mezza dozzina di grandi stele con iscrizioni che proclamavano la sua
gloria, queste iscrizioni testimoniano la sua grandezza , ma anche la sua
megalomania (huangdi = Tre sublimi- san huang-, i divini creatori della civiltà
della mitologia, e delle somme divinità dei Qin, che si chiamavano di), egli si
presentava come un dio, al di sopra di tutte le divinità locali e tutti dovevano
rispettare la sua autorità, era un uomo superstizioso, si circondava di maghi,
indovini e alchimisti, era oppresso dalla paura della morte, si dice che si fece
costruire 270 palazzi, collegati da passaggi segreti e che vi soggiornasse in
modo discontinuo, in modo da non fare sapere a nessuno dove si fermava,
cercò di impossessarsi per tutta la vita di un elisir dell’immortalità, pare che sia
morto, durante uno dei suoi viaggi, nel 210 a. C. a 500 km dalla capitale, nel
suo carro funebre furono ammucchiati dei pesci per sovrastare la puzza, mentre
il suo cadavere veniva trasportato verso il suo splendido sepolcro di
Xiangyang. Il suo successore si dimostrò incapace di governare, il cancelliere
Li Si fu ucciso e l’impero andò in rovina. Secondo un osservatore confuciano
(Jia Yi 201-169 a.C.) il motivo fu che i Qin avevano vietato la cultura e la
scrittura, davano pene severe e crudeli e avevano preferito l’astuzia e la
violenza all’umanità e alla giustizia, lo stato in quanto macchina militare aveva
avuto una grande espansione e per mantenersi doveva sempre continuare ad
espandersi, i Qin continuavano a fare guerre, avevano bisogno di nuove risorse
per fare le guerre, e avevano bisogno di sfruttare il popolo. I Qin furono
moderni nell’uso della burocrazia, ebbero la forza militare per conquistare un
intero subcontinente, ma non ebbero i mezzi tecnici, economici e di
comunicazione per controllarlo. (Aneddoto Chen Sheng, un uomo di Chu al
servizio dell’esercito Qin, a causa della pioggia, non poté raggiungere con le
sue truppe il punto di incontro, questo significava una condanna a morte, egli
non si rassegnò e scelse un’altra via d’uscita: si ribellò). Questo episodio
spiega, non tanto che i Qin sarebbero finiti a causa delle loro leggi dure, ma
come i Qin avevano esteso troppo il loro dominio e non erano più in grado di
controllarlo, il loro impero implodeva. Dalla ribellione di Chen Sheng (il re di
Chu), scoppiarono varie rivolte in molte parti del paese, nel 208 a.C. Chu
divenne indipendente sotto la guida del generale Xiang Yu e anche Qi, Yan,
Wei, Zhao e Han ristabilirono i vecchi stati dell’epoca Zhanguo, lo stato dei
Qin venne ora aggredito dal loro peggior nemico: Chu. Il crollo dei Qin si ebbe
grazie a due condottieri di Chu: Xiang Yu (232-202 a. C.), un colto
aristocratico, poeta e genio militare; Liu Bang (256-195 a.C.), una vecchia
volpe di umili origini, capitano della polizia di un paesino di provincia.
All’inizio i 2 erano alleati, ma poi divennero rivali nella lotta per l’impero, Liu
Bang espugnò la capitale dei Qin, poi fu cacciato da Xiang Yu, che uccise
l’ultimo sovrano Qin e la sua famiglia, rase al suolo i palazzi di Xianyang,
dopo 15 anni, nel 206 a.C. finiva il regime dei Qin. La guerra tra Xiang Yu e
Liu Bang è uno degli argomenti più popolari della letteratura cinese (Xiang Yu
aveva fatto prigioniero il padre di Liu Bang e minacciava di lessarlo vivo, Liu
Bang rispose che Xiang Yu poteva fargli arrivare un calice col brodo; Xiang
Yu, nell’udire che gli assediati cantavano i canti di Chu, pensò che la sua patria
era caduta nelle mani di Lui Bang; Xiang Yu si suicidò per far incassare ai suoi
sostenitori la taglia sulla sua testa). Liu Bang nel 202 a. C. sconfisse Xiang Yu,
ottenne il dominio dell’impero, divenne imperatore e “Sublime Antenato”
(Gaozu) di una nuova dinastia: gli Han.
3. Gli Han Anteriori (202 a.C. – 9 d.C.)
Con Liu Bang, per la prima volta un uomo del popolo era diventato
imperatore, gli Han posero davvero la prima pietra dell’impero cinese, i
consiglieri politici parteciparono all’ascesa degli Han, Lu Jia propose al suo
imperatore uno stato che non si doveva fare notare (minimalista), le istituzioni
degli Han divennero il modello per le dinastie successive, può darsi che la
denominazione occidentale di “Cina” derivi dal nome della dinastia dei Qin, i
Cinesi però tuttora chiamano se stessi “uomini Han”. La regione che gli Han
conquistarono era quella dell’impero Qin: il suo centro economico e
demografico era il Guanzhong; il fertile bacino del Sichuan; la grande
pianura, il secondo granaio dell’impero; le risaie lungo il corso medio e
inferiore dello Yangzi. I territori a sud (le odierne province del Fujian,
Guangdong, Guangxi, Guizhou, Yunnan) rimasero indipendenti. Gli Han
ripresero dai Qin anche l’amministrazione del loro impero, l’imperatore
Gaozu abolì la legislazione rigida dei Qin, tranne i tre paragrafi (omicidio,
ferimento, furto), ridusse le tasse a un quindicesimo del raccolto e si affidò
sempre ai saggi consiglieri, riprese dai Qin la suddivisione dei territorio in
governatorati e distretti, i rigidi controlli sulla popolazione, la disgregazione
delle grandi famiglie, le tassazioni pro capite (a persona), le corvè (servizi)
obbligatorie e una gerarchia di 20 ranghi diversi, nella quale veniva
classificato tutto il popolo. Gli Han non abolirono le leggi e le pene dei Qin,
ma le ripresero in blocco e proibirono i libri, Gaozu non fece uccidere i
letterati come il Primo Imperatore, accolse gli accademici dei Qin come
consiglieri, ma fece capire loro che li disprezzava.
3. 1. Centro e periferia
Il tema principale dell’epoca Han è il rapporto tra centro e periferia, questa
differenziazione era comparsa già in epoca Chunqiu e ora raggiunse la sua più
netta espressione, gli Han posero la loro capitale Chang’an, l’odierna Xi’an, e
la intesero come il centro del mondo, divenne la più importante città
dell’epoca (33 km quadrati e 250 000 abitanti), contava 12 porte, 8 viali
attraversavano la città, uno dei quali largo ben 50 m, si dice che il suo
perimetro rappresentasse le costellazioni del Gran Carro e del Sagittario, e che
il palazzo imperiale occupasse mezza città e corrispondesse alla sede
dell’imperatore celeste. I sepolcri degli Han erano collocati sotto possenti
tumuli, erano curati da schiere di addetti, intorno ai sepolcri si formarono città
satelliti con popolazioni fino a 300 000 abitanti. In ogni comando di presidio
dell’impero furono eretti templi dedicati a Gaozu e ai suoi successori, dove si
svolgevano i sacrifici per la casa imperiale, verso la metà del I secolo a. C.
c’erano circa 350 templi, curati da 45 000 guardiani e 12 000addetti ai
sacrifici, nel cosmo degli Han la posizione di ogni elemento era determinata
dalla sua collocazione in rapporto al centro, divamparono numerose guerre su
tre livelli: a corte, nella provincia e ai confini dell’impero. All’inizio il
rapporto tra l’imperatore e il suo seguito apparve buono, la burocrazia era
salda, era occupata dai vecchi funzionari dei Qin, che amministravano la
capitale e l’impero. Il rapporto tra il centro e il resto dell’impero fu più
difficile, all’inizio gli Han divisero una parte del territorio, quella occidentale,
di recente conquista, in governatorati e distretti e l’altra, comprendente i
vecchi stati regionali orientali, in 10 regni e più di 100 margraviati (territorio
sottoposto all’autorità), che furono dati ai parenti e ai condottieri meritevoli,
ne approfittarono i membri della casa di Liu, che divennero re solo per titolo,
non avevano autorità giuridica sui territori, ma riscuotevano le tasse e
lasciavano ai loro discendenti uffici e sovvenzioni statali. L’impero unitario
non era per niente unitario, lo stato centrale si era sovrapposto alle strutture
segmentarie che continuavano a dominare sul piano regionale, le regioni
remote del Sichuan, dello Yangzi e del lontano sud erano autonome
linguisticamente e culturalmente, anche le vecchie regioni originarie cinesi
erano divise in molte comunità definite da legami di parentela e in lotta tra
loro, in questi territori gli Han dovettero apparire come gli occupanti, gli Han
si trovarono ad affrontare il problema di come fermare il crescente potere dei
gruppi locali, nelle regioni dei vecchi stati territoriali erano rimaste le famiglie
degli antichi sovrani, che si opponevano al potere centrale, nel 198 a. C.
Gaozu fece trasferire 100 000 componenti delle famiglie del sud e dell’est
dell’impero a Chang’an. Il fondatore della dinastia dichiarò guerra ai re
“insubordinati”, per deporli e sostituirli con i propri parenti, i re dei Liu
venivano controllati, perché definiti depravati, furono esclusi dagli uffici
centrali, costretti a presentarsi a corte ogni anno, l’impero fu contrassegnato
dalla lotta tra il centro e la periferia, tra unità e molteplicità. Un altro
problema era la minaccia dei “barbari” presenti ai confini dell’impero, era un
problema vecchio, fin dal IX secolo a. C. i popoli stranieri venivano visti
come diversi, fu costruita la muraglia, i barbari venivano considerati un
difetto congenito della società cinese, che crebbe insieme ad essa. Le tribù
nomadi delle steppe meridionali della Siberia (gli Xiongnu), subito dopo
l’unificazione dell’impero cinese, si riunirono in una grande confederazione,
questi Xiongnu, probabilmente un popolo altaico, furono poi identificati con il
nome di Unni, che alcuni secoli dopo seminarono il terrore presso l’Impero
romano, ma non siamo sicuri di questo legame. Il termine barbari, che in
greco significa “chi balbetta in modo incomprensibile”, in cinese Xiongnu
può derivare da xiongxiong = “gridare suoni inarticolati”, i Xiongnu erano
quindi incomprensibili, incivili ed estranei. Nel 209 a. C. un uomo di nome
Mao Dun riunì in una sola famiglia tutte le tribù degli arcieri, si proclamò loro
comandante, shanyu, e cominciò a premere sul mondo cinese, i Xiongnu
controllavano un territorio immenso, dalla Mongolia all’Asia centrale, i Qin li
avevano cacciati ed esclusi dai commerci, essi reagirono formando una
confederazione e divennero molto pericolosi per gli Han. A partire dal 201
a.C. cominciarono gli assalti dei Xiongnu, ma gli imperatori Han evitarono la
guerra, allungarono la muraglia dei Qin, attuarono una politica di armonia e
parentela (heqin), stipularono con loro un trattato di pace, si impegnarono a
versare regolari tributi (seta, acquavite, riso), a dare in moglie allo shanyu una
principessa cinese. Il capo dei Xiongnu venne indicato come il fratello più
giovane dell’imperatore Han e suo pari livello diplomatico, gli Han e i
Xiongnu divennero “stati fratelli”, come i vecchi principati della pianura
cinese settentrionale, Sima Qian, il grande storico dell’epoca Han, indicò i
Xiongnu come discendenti dei Xia, dunque Cinesi, anche se di periferia. Gli
Han non si definivano uno stato accanto ad un altro, ma come un impero,
come il centro del mondo e unico impero sotto il cielo (l’impero romana si
trovava letteralmente in un altro mondo), e tale impero irradiava la luce su
tutte le regioni periferiche. Questo impero non conosceva veri confini, che lo
dividessero da stati giuridicamente allo stesso livello, ma solamente zone
marginali di minore influenza e penetrazione, l’ideologia imperiale aveva una
pretesa di universalità e si estendeva anche ai barbari, i Xiongnu costituivano
una parte dell’ordine cinese, non apparivano diversi e inumani, ma affini e
dunque parenti. Nell’epoca Han si impose una concezione del mondo
concentrica, per la quale al centro c’era la corte, circondata da anelli di civiltà
decrescente, e in tale concezione, i Xiongnu potevano rientrare senza sforzo. I
“barbari” furono ammessi nelle forze armate e i loro capi ebbero titoli ufficiali
cinesi, gli imperatori cinesi furono generosi nei confronti dei delegati tributari
provenienti da altri paesi, anche se pretendevano l’inchino previsto dal
cerimoniale di fronte alla loro potenza.
3.2. I primi anni: armonia e non fare.
I primi imperatori Han governarono in modo molto riservato, concedevano
pieni diritti ai funzionari, davano ai re titolati i privilegi regionali e pagavano i
tributi ai Xiongnu. Si dice che essi seguirono la regola daoista del “non fare”
(wuwei) e che l’impero fosse ordinato. Si dice che l’imperatore Jing (157-141
a. C.) e sua madre, l’imperatrice Dou, avrebbero studiato Huagdi e Laozi e
tenuto in onore i loro metodi, i primi imperatori Han non erano stati
confuciani, ma daoisti di Huang Lao e per loro l’arte del sovrano il non fare,
ammaestrare senza parole, il sovrano deve rimanere puro, quieto, immobile,
uniforme e imperturbato, così raggiunge i risultati senza affaticarsi. Questa
politica del laissez faire (lasciar fare) appare ingenua, ma era un ideale daoista
e legista: la legge funziona in modo automatico e certo e l’intervento del
sovrano diventa superfluo. Il non fare sembra invece il successo della
burocrazia che domina in modo anonimo l’impero. L’amministrazione
controllava la comunicazione tra centro e provincia e decideva che cosa
dovesse arrivare all’imperatore e che cosa partire da lui, i funzionari erano
“gli occhi e le orecchie” dell’imperatore, che senza di loro non avrebbe potuto
governare, però anche i funzionari avevano bisogno dell’imperatore per
legittimare il loro potere. I primi 50 anni degli Han furono un’epoca di pace e
prosperità, fino al periodo dell’imperatrice Lu Zhi, la vedova di Gaozu, la
quale, dopo la sua morte, uccise la sua rivale, avvelenò un fratello
dell’imperatore e poi mise sul trono, uno dopo l’altro, due suoi figli. Governò
lei dal 191 al 180 a. C, ella fu la prima imperatrice regnante della storia
cinese, l’impero proseguì, a prescindere da questo episodio di corte,
indisturbato e contemporaneamente prosperavano anche i piccoli principi
locali, nel 1972 furono scoperte 3 sepolture dei margravi di Dai, un misero
principato di 700 nuclei familiari, le tombe avevano corredi ricchi, vi si
trovano più di 1000 reperti (vesti di seta, contenitori di lacca, mobili,
stoviglie, cibi, strumenti musicali, oboli funerari, sculture lignee, una
biblioteca con scritti su seta). Nella dottrina contemporanea dei “4 ordini”
(simin) della società (eruditi, contadini, artigiani, commercianti), i contadini
erano al secondo posto, ma la realtà era molto diversa, erano poveri, vivevano
una vita miserabile e ai margini della società, per loro era indifferente sotto
quale imperatore curavano le terre.
L’imperatore