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H E N RI K I B S E N
....................

Drammi moderni
....................

A cura di Roberto Alonge

Traduzioni di Roberto Alonge, Sandra Colella,


Giuliano D’Amico, Rita Maria Fabris, Franco Perrelli
Questo volume è pubblicato con il contributo
del Centro Regionale Universitario per il Teatro del Piemonte

© 2009 RCS Libri S.p.A., Milano

ISBN 978-88-58-64805-6

Titoli originali delle opere:


Samfundets støtter
Et dukkehjem
Gengangere
En folkfiende
Vildanden
Rosmersholm
Fruen fra havet
Hedda Gabler
Bygmester Solness
Lille Eyolf
John Gabriel Borkman
Når vi døde vågner

Prima edizione digitale 2013 da prima edizione radiciBUR maggio 2009

Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu


ISTRUZIONI PER L’USO
Roberto Alonge

C’era davvero bisogno di una nuova traduzione di Ibsen? Fran-


camente credo di sì, e anche il lettore potrà rendersene conto. La
maggior parte delle traduzioni, italiane ma anche straniere, sten-
tano a restituirci anche solo l’ossatura esteriore dell’opera ibse-
niana. Mancano cioè i corsivi, che sono numerosissimi e sempre
profondamente pungenti. Mi limito a un solo esempio, che è sem-
pre meglio di tante parole. Ne Il costruttore Solness una inquie-
tante fanciullina di ventidue-ventitré anni sta tentando uno char-
mant uomo di potere di mezza età, rinfacciandogli velatamente di
non essere capace di allungare gli artigli sulla giovane preda, co-
me avrebbero fatto i mitici Vichinghi, combattenti impavidi e stu-
pratori impietosi:

HILDE (guarda davanti a sé con uno sguardo a metà velato) Mi


sembra che questo dovesse essere eccitante.
SOLNESS (con una breve risata a mo’ di grugnito) Sì, catturare le
donne, sì?
HILDE Essere catturate.

Ecco, provate a togliere i due corsivi (questo e essere) e si azzera


l’audacia torbida (assai poco pre-femminista) con cui il personag-
gio femminile ibseniano confessa la segreta malia della violenza
(da subire ad opera del guerriero fascinoso). Anche traduzioni
attendibili come quella di Anita Rho per Einaudi (1959) o di
Alfhild Motzfeldt Tidemand-Johannessen per Mursia (1962-
1968) ignorano i corsivi in questione. Anzi, eliminano anche que-
sto, che probabilmente non torna bene, suona male. Certamente
vengono fuori traduzioni in un bell’italiano (e Anita Rho spesso è
anche poetica). Ma non è Ibsen, e non è comunque la poesia di
Ibsen.
Non meno interessanti sono i segni grafici. Ibsen dissemina i
suoi dialoghi di trattini lunghi, che servono a ritmare le battute, a
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scandire i tempi, a fissare delle pause. La soluzione solitamente


non piace, e viene sostituita (peraltro in modo saltuario) dai tre
puntini di sospensione, ma è un’altra cosa. Anche qui un solo
esempio, da Hedda Gabler, dove Tesman pensa male di un suo ri-
vale nella carriera universitaria, geniale ma un po’ sregolato, e tut-
tavia incaricato della delicata funzione di pedagogo: «Lui era
dunque abbastanza, – non so come devo esprimermi, – abbastan-
za – regolato nella vita e nel modo di vivere, da poter essere inca-
ricato di questo? Eh?». I tre trattini mostrano bene l’articolazio-
ne del pensiero del personaggio, le sue diffidenze, le sue riserve
mentali. Tesman è un tipo buffo, che sbaglia sistematicamente il
cognome di Thea (che chiama signora Rysing, nome da nubile,
anziché signora Elvsted, nome da sposata). Si tratta della sua an-
tica fiamma, che deve piacergli ancora un po’, e forse un po’ più
di un po’. Quando però si impegna – prendendo tempo, tratte-
nendo il fiato, ripetendo due volte «signora» – riesce anche a dire
il cognome giusto: «Gli scrivo sul momento. Lei ha il suo indiriz-
zo, signora – – signora Elvsted?». Avete notato il doppio trattino
(assai raro)? È una finezza di Ibsen per far capire – al lettore e al-
l’attore – che qui s’impone una pausa doppia.
Poi c’è la punteggiatura, che certamente è un po’ diversa dalla
nostra, nel senso che tutti gli scandinavi piazzano la virgola da-
vanti a hvad («cosa») e at (il nostro «che» non relativo). E tutta-
via vale la pena di auscultare il testo, per ritrovare talvolta qual-
che cripto-indicazione all’attore. Anche qui un esempio val più di
tante chiacchiere. Terzo atto di Una casa di bambola, quando No-
ra prende coscienza di essere stata una bambolina, prima nelle
mani di papà, e poi in quelle del marito, e dice una cosa terribile:
«Voi non mi avete mai amata. Vi è semplicemente sembrato, che
fosse piacevole innamorarvi di me». Una virgola (dopo «sembra-
to») che implica una lunga pausa, un silenzio intenso, polemico.
Ma anche una sospensione prolungata alla Ronconi, di quelle in-
naturali, che frantumano il dialogo, e ne mostrano inaspettata-
mente lati nuovi, enigmatici.
Ma fin qui siamo all’ossatura esteriore della lingua ibseniana.
Più complessa la questione dell’ossatura interiore. Sin dall’Otto-
cento il grande critico danese Georg Brandes ha evidenziato che
la ricorrenza di certe espressioni è la chiave di volta della costru-
zione della scrittura drammaturgica ibseniana. Su questa linea
però la critica non ha lavorato né molto né bene. Non ha capito
che quella del Nostro è, prima di tutto, una straordinaria lingua
strutturata su richiami, assonanze, riprese e variazioni sottilissi-
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me. C’è una rete, che è quasi una trama musicale, che va colta e
restituita. Nora ripete 15 volte l’aggettivo vidunderlig («meravi-
glioso»). Ben 15 su 19 volte, e le 19 di Una casa di bambola sono
19 di 47, totale dei 26 drammi ibseniani. La matematica non è
un’opinione. È chiaro che vidunderlig è parola-chiave di Una ca-
sa di bambola, ed è, in particolare, parola-chiave del personaggio
di Nora. Sono conteggi che oggi riescono facili, grazie alle Con-
cordanze ibseniane pubblicate alla fine del Novecento, ma l’intel-
ligenza non è acqua, e fa anche a meno dell’aiuto del computer.
In epoca non sospetta, anno del Signore 1910, Georg Groddeck
ha rivoltato come un calzino l’interpretazione tradizionale di No-
ra quale figurino dell’agiografia proto-femminista, mostrando
che in realtà la protagonista è dominata da un’ansia affabulatri-
ce, da una ininterrotta brama di meraviglioso. Ma ogni intuizione
si spegne se i traduttori – come accade ai nostri italici – si diverto-
no (per sciatteria o per sadica colpevolezza, poco importa) a va-
riare, rendendo vidunderlig una volta con meraviglioso, un’altra
con splendido, stupendo, oppure con i sostantivi miracolo, prodi-
gio o formule ancora più libere quali che cosa magnifica!
(Sia detto a mo’ di ideale parentesi, en passant, per il lettore un
po’ inesperto di Concordanze: nelle molte note a piè di pagina
dei testi tradotti utilizziamo sostantivi diversi – concordanze, fre-
quenze, ricorrenze, occorrenze – ma vogliono dire tutti la stessa
cosa, cioè quante volte una singola parola – sostantivo, aggettivo,
verbo, ecc. – ritorna nel vocabolario ibseniano. Quando invece è
registrato una sola volta, impieghiamo il termine hapax, vocabolo
dotto della filologia.)
Peraltro Ibsen non limita il suo gioco di richiami e di corrispon-
denze alle sole grandi parole-chiave. Talvolta lavora di cesello an-
che su semplici dettagli secondari. In Una casa di bambola il ter-
mine lune, «luna» torna 3 volte, due in bocca a Nora e una in boc-
ca a Torvald. In un caso Nora dice che avrebbe voluto vedere l’a-
mico di famiglia Rank «di buona luna» (anziché intristito perché
sa di dover morire prestissimo). Nell’altro caso è Torvald a osser-
vare che durante il ballo mascherato Rank è apparso invece «di
una luna così buona». Un traduttore esperto troverà certamente
le frasi infelici, e correggerà i due casi rispettivamente con «di
buon umore» e «così di buon umore». Peccato che nel terzo caso
sentiamo Nora spiegare all’amica Kristine che Torvald considera-
va come suo dovere di marito (alle prese con una moglie-bambo-
la) «non essere compiacente con i miei capricci e le mie lune –
come credo che le chiamasse». È qui che casca l’asino, cioè che
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casca il buon traduttore, incapace di comprendere che «lune» è


un modo gergale di parlare di Torvald, che Nora dice di aver col-
to vagamente («come credo che le chiamasse»), ma che in realtà
ha colto nel suo profondo, e che dunque tende a ripetere (così co-
me ripete parole di Krogstad e persino della balia). Non si può
dunque rinunciare alla traduzione «buona luna» (anziché «buon
umore»), e tanto più quando è Torvald a parlare, visto che quello
è un gergo caratteristico di Torvald, come ci ha spiegato Nora.
Certo, i traduttori vanno scusati. Non è facile ricordarsi – a di-
stanza di pagine e pagine – di tradurre la stessa espressione del-
l’originale con la corrispettiva voce italiana. Ma quando Ibsen
comprime in un’unica battuta fino a quattro riprese? Per esempio
in questo brano de L’anitra selvatica: «Ho amato quella bambina
in modo indicibile [usigelig]. Ero indicibilmente [usigelig] felice,
ogni volta che tornavo nel mio povero soggiorno, e lei mi correva
incontro con i suoi occhi dolci e un poco lucidi. Oh io folle credu-
lone! Le volevo un bene indicibile [usigelig]; – e mi illudevo che
fosse indicibile [usigelig] anche il bene che lei mi voleva». Sta par-
lando Hjalmar, un insopportabile trombone che si riempie la boc-
ca di parole, da quell’inetto che è. In ogni caso, non ci dovrebbero
essere dubbi. Se Ibsen martella per quattro volte, avrà le sue ra-
gioni, suvvia! Perché non rispettarle? E invece cosa fanno i nostri
amici? «Come ho indicibilmente amato quella bambina! Com’e-
ro felice ogni volta che rientravo nella mia povera stanza [...] L’a-
mavo da non dirsi... e mi son cullato nell’ingannevole sogno che
lei pure mi amasse infinitamente» (Einaudi); «L’ho amata indici-
bilmente quella figliola; mi sentivo felice, immensamente, ogni
volta che tornava a casa, nella mia povera casa. [...] Le volevo un
bene da non dire... e fantasticavo e sognavo che anch’essa mi ria-
masse d’un uguale amore» (Mursia). L’indicibile (usigelig), da
quattro, è sceso a uno solo, sia in Einaudi che in Mursia. Che di-
re? Per sciatteria o per sadica colpevolezza? Fate voi. È chiaro
ciò che Ibsen vuole significare: Hjalmar è unicamente interessato
alla musicalità di un aggettivo come usigelig che ha trovato (e che
ripete pertanto ben quattro volte), e poco o nulla alla figlia. To-
gliete l’iterazione insistita, e il senso del personaggio viene meno.
La traduttrice di Mursia, Alfhild Motzfeldt Tidemand-Johannes-
sen, è sicuramente scandinava, ma ciò non le impedisce di frain-
tendere, visto che non capisce nemmeno che è Hjalmar (e non la
bambina) a tornare a casa (scrive infatti «ogni volta che tornava
a casa», anziché «che tornavo a casa»).
Insomma, bisogna amare un testo, per tradurlo. E amare vuol
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dire rispettare il corpo dell’altro, riconoscerlo, accarezzarlo dol-


cemente – con lo sguardo e con le mani – non ferirlo, e non bru-
talizzarlo. Amare non è propriamente stuprare. Ma bisogna pri-
ma di tutto accettarlo, per come è, e per quello che è, con le sue
particolarità e i suoi difetti. Il corpo del testo non tollera chirur-
gie estetiche. Un testo deve conservare il suo sapore e il suo
odore, esattamente come il corpo dell’amato. Ibsen potrà anche
essere moderno (e persino modernissimo), per tante ragioni su
cui torneremo nella nostra Postfazione, ma appartiene comun-
que a una civiltà vittoriana che ha i suoi valori e i suoi pudori.
Per noi la casa è sempre la casa, ma Ibsen ricorre a due termini
diversi, hus e hjem (un po’ come in inglese house e home), che
vogliono dire cose diverse: la prima è la casa come luogo geo-
metrico-architettonico, asettico; la seconda è lo spazio familia-
re, della moglie e dei figli, e del calore della stufa di porcellana.
Allo stesso modo Ibsen distingue tra frue («signora») e dame
(«dama»). I numeri sono, a un di presso, l’uno la metà dell’altro
(hus 465, hjem 211; frue 358, dame 163), ma sono sempre nume-
ri troppo alti, tali da sconsigliare una scelta radicale. Abbiamo
optato dunque, sì, per l’opposizione casa/focolare e anche per
quella (un po’ più temeraria) signora/dama, ma senza essere si-
stematici, cioè furiosamente fedeli all’originale. Ci siamo limita-
ti a indicare delle linee, inserendo un numero ristretto (ma si-
gnificativo) di focolari e di dame. A cominciare dal primo testo,
I sostegni della società, imbottito com’è da più di una mezza
dozzina di probe signore che hanno proprio l’aria delle nostra-
ne dame di S. Vincenzo.
Laddove invece lo scarto numerico è molto forte, siamo stati ri-
gorosi e perseveranti. Le Concordanze registrano 511 kvinde
(«donna») ma solo 22 fruentimmer («femmina»). Chissà perché i
traduttori (anche stranieri) ignorano la specificità di fruentim-
mer, e rendono con lo stesso donna buono per kvinde, senza vo-
ler cogliere la sfumatura sessuale (o comunque leggermente peg-
giorativa) che c’è in fruentimmer, e che femmina riflette bene
(penso alle femminelle di boccacciana memoria o alla malafem-
mina dell’immaginario napoletano). D’altra parte Ibsen ha delle
acutezze assolutamente sorprendenti. A fronte di 263 brev («let-
tera») c’è un hapax, rappresentato da epistel, che ovviamente tut-
ti i traduttori (gli stranieri, non meno degli italiani!) traducono
tranquillamente come «lettera», senza porsi tanti problemi, e che
invece vale esattamente per quello che è, «epistola», termine col-
to, che il colto dottor Tesman (professore universitario in carrie-
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ra) tira fuori nel momento in cui sigilla, compiaciuto, la sua missi-
va inviata all’odiato rivale accademico.
Ibsen, si sa, è l’insuperato e geniale inventore del teatro del sa-
lotto borghese. Ma proprio per questo resta strategico lo sforzo di
individuare i vari tipi di impianto scenico. C’è un generico «salot-
to» (stue) per Una casa di bambola, un «salotto che dà sul giardi-
no» (havestue) per Spettri, La signora del mare e Il piccolo Eyolf,
una «sala che dà sul giardino» (havesal) per I sostegni della so-
cietà. In pochissimi casi Ibsen utilizza il termine francese salon
(dunque da noi lasciato in francese, evidenziato dal corsivo). Pra-
ticamente solo nella villa signorile di Hedda Gabler (dove è chia-
mato anche selskabsværelse, «sala di ricevimento»), mentre un
mindre salon, cioè un «piccolo salon», caratterizza uno degli in-
terni de Il costruttore Solness. C’è poi il dagligstue, che è il salotto
dei poveri, tradotto dunque giustamente con «stanza di soggior-
no» o «soggiorno». Compare non a caso negli ambienti più mo-
desti (Un nemico del popolo, L’anitra selvatica). Nella lussuosa
magione del John Gabriel Borkman sono presenti contempora-
neamente un havestue e un dagligstue (per non parlare di un «sa-
lone delle feste», pragtsal), ma si tratta di una grandezza passata
cui corrisponde una miseria presente. I coniugi vivono come sepa-
rati in casa: il marito nel piano di sopra, nel sontuoso «salone del-
le feste»; la moglie a piano terra, con l’avvertenza sparagnina di
stare rintanata nel «soggiorno», senza invadere il contiguo «salot-
to che dà sul giardino», che fa illuminare (e riscaldare) solo quan-
do arriva qualche ospite di riguardo. È una società borghese (pre-
consumistica) dove si mettono le fodere alle poltrone e ai sofà,
per risparmiosa previdenza. Di qui il commento scandalizzato
della zia Julle, stupita che Hedda Gabler tenga le poltrone della
«sala di ricevimento» senza fodere: «Fanno conto di stare qui den-
tro – in questo modo tutti i giorni [til daglig]?». Insomma, è evi-
dente che ci sono salotti e salotti. Salotti in cui poltrone e sofà so-
no messi in naftalina, e salotti dove – per quanto belli e preziosi –
si vive quotidianamente, tutti i giorni, e in cui quindi non è possi-
bile ricorrere alle benedette fodere. È il caso del salotto illustre
(ma austero) di Casa Rosmer, imponente con quella sfilza di ri-
tratti di antenati autorevoli – in uniforme – appesi alle pareti. Ma
Rosmer è un ex pastore luterano, intellettuale ombroso, poco
aperto alla socialità mondana, e dunque usa abitualmente del suo
salotto buono come fosse un modesto tinello, di cui disporre per
la quotidianità (sicché Ibsen lo definisce impassibilmente come
dagligstue, «stanza di soggiorno»).
PREFAZIONE 11

Naturalmente il salotto borghese – una volta messo a fuoco dal-


l’obiettivo del drammaturgo – si svela nella sua intrinseca com-
plessità, spazio privilegiato che confina con altri spazi, contigui,
separato da porte (che Ibsen scandaglia con metodo: porte vetra-
te, porte scorrevoli, porte a due battenti, controporte, porte tap-
pezzate, porte comuni: glasdør, skyvedør, fløjdør, dobbeltdør, ta-
petdør, almindelig dør), quasi sempre ricoperte da tende e ten-
daggi (nell’italiano antico chiamate, appunto, «portiere»), che
servono per decoro estetico e per riparo dal freddo, ma che ser-
vono anche, benissimo, alla bisogna dell’origliamento. D’altra
parte, di che stupirsi? Ibsen – ha scritto un regista geniale come
Massimo Castri – è il fratello gemello di Freud. Vivono entrambi
– decennio più, decennio meno – la grande stagione di fine Otto-
cento. Il complesso edipico nasce e cresce in quel labirinto clau-
strofobico di porte chiuse e di porte socchiuse, di scene primarie
scrutate dal buco della serratura e auscultate da muri non bene
insonorizzati della domus borghese europea dell’epoca. A ben
pensarci, Ibsen non è altro che l’equivalente teatrale di Freud. In
almeno due testi (Un nemico del popolo e Casa Rosmer) l’origlia-
mento è del tutto confesso; in un terzo (L’anitra selvatica) è facil-
mente ricavabile dalle battute; in un quarto (Spettri) è fondata-
mente plausibile. Peraltro è la stessa strutturazione domestica
che porta a una pulsione origliatrice. Nella casa del costruttore
Solness la «stanza da lavoro» (arbejdsværelse) è assolutamente
contigua al «piccolo salon» dove vive la moglie, che dunque apre
continuamente la porta per effettuare rapide incursioni nello stu-
dio, al fine di tenere sotto controllo la tresca fra il marito-padro-
ne e l’impiegata-innamorata del boss ammaliatore. Non sorpren-
de affatto, in conclusione, che accanto al verbo høre, «ascoltare»,
1429 frequenze, ci sia il verbo lytte, 168 frequenze, che vale «ori-
gliare». Curiosamente gli italici traduttori evitano di rendere con
«origliare» (che devono ritenere verbo sconcio, quasi osceno), e
uniformano con un generico «ascoltare» o «sentire». Ahimè, nel-
la notte nera, tutti i gatti sono neri. Per reazione polemica avrem-
mo voluto tradurre sistematicamente con «origliare» tutte le 168
ricorrenze di lytte, ma poi abbiamo scelto di vedere prudente-
mente caso per caso. Certo, nelle scene en plein air «origliare» è
problematico, e si è optato quindi per «tendere l’orecchio» o «re-
stare in ascolto».
Sulla base delle fitte e sempre assai precise didascalie offerte
da Ibsen, per comodità del lettore (e dei signori registi ibseniani),
abbiamo provato a ricostruire delle piantine di scena, limitata-
12 HENRIK IBSEN

mente agli spazi chiusi, che sono però prevalenti. Verso la fine
della sua lunga stagione di teatro borghese, in verità, Ibsen sem-
bra avvertire la necessità di sfuggire alla scatola scenica ottocen-
tesca, ma – ad essere onesti – senza una effettiva modificazione
sostanziale dell’impianto drammaturgico. I personaggi continua-
no a dilaniarsi in furiosi dialoghi testa a testa, tirando fuori gli
scheletri che stanno nei metaforici armadi: stando seduti in giar-
dino o su per i monti, esattamente come quando stavano sprofon-
dati nelle comode poltrone del salotto borghese. Le piantine – ri-
prodotte ad apertura di testo – sono state realizzate da Luca Are-
se, del Laboratorio Multimediale “Guido Quazza” dell’Univer-
sità di Torino, che qui ringrazio. Destra e sinistra si intendono
sempre dal punto di vista dello spettatore, come chiarito dallo
stesso Ibsen in una sua lettera del 22 novembre 1884 raccolta nel
volume Henrik Ibsen. Vita dalle lettere, a cura di Franco Perrelli.
L’enfasi è una componente fondamentale della scrittura ibse-
niana, benché nasconda sempre il veleno nella coda, o si sforzi di
marcare una differenza, una contrapposizione, uno scontro fra gli
individui. Il povero Rank, innamorato respinto da Nora, destina-
to a morte imminente, entra per l’ultima volta nel salotto della
coppia coniugale: «Che ambiente caldo e accogliente avete voi in
questo vostro interno, voi due». Ibsen scrive proprio così, con la
virgola che isola il finale voi due, come uno schiaffo sugli egoisti
che continueranno a vivere e ad amarsi, anche dopo la sua scom-
parsa. E c’è tutta quella triplice insistenza sul pronome di secon-
da persona plurale (voi... vostro...voi), sebbene vada detto che
nella lingua dano-norvegese (così chiamata perché la Norvegia
era stata per secoli dominio danese, e il danese – più o meno – è
la lingua in cui scrive propriamente Ibsen) il pronome è obbliga-
torio con la forma verbale, come in francese o in inglese (ma non
in italiano). Anche in questo caso non ci siamo spaventati a intro-
durre qualche io e qualche tu che in italiano potranno sembrare
un po’ retorici. Sentiamo Nora che si dichiara pronta a suicidarsi
per salvare il marito dallo scandalo: «Quando io sarò scomparsa
dal mondo, allora tu sarai libero». Certo, può stare anche senza io
e senza tu, ma è un’altra cosa. C’è uno slancio altisonante, in que-
sta Nora, che però si deve veder tracimare dalla concretezza del-
le parole che fuoriescono dalle sue labbra.
Insomma, ci è sembrato giusto e urgente restituire un Ibsen
molto vicino all’originale. Compresi alcuni punti esclamativi che
l’occhio nostro avrebbe volentieri trasformato in punti interroga-
tivi. E comprese talune fluttuazioni di registro (come gli anni dei
PREFAZIONE 13

personaggi, indicati talvolta con cifra, e talaltra con lettere). As-


sumendo in pieno il rischio di scrivere un brutto italiano. Tanto, si
sa, gli attori si adattano in bocca il testo, lo assimilano, modifican-
dolo – poco o tanto – per riuscire a dirlo. Facciano, non è reato.
Meglio che sappiano come è l’Ibsen autentico, ma liberissimi di
cambiare, poi, a modo loro. Tanto, comunque, hanno sempre ope-
rato in siffatta guisa, si sono sempre presi una simile libertà. Que-
sto vale anche per i piccoli restauri filologici cui sono stati sotto-
posti taluni titoli (per le ragioni che si diranno a tempo e luogo).
Non Le colonne della società, bensì I sostegni della società; non
Casa di bambola, bensì Una casa di bambola; non Rosmersholm,
bensì Casa Rosmer; non La donna del mare, bensì La signora del
mare. Voglio dire che attori e registi possono benissimo – se pre-
feriscono – continuare tranquillamente a mettere sulle locandine
Casa di bambola e Rosmersholm, La donna del mare e Le colon-
ne della società. L’importante è che ci siano le locandine, cioè che
lo mettano in scena (ma Casa Rosmer, chissà, potrebbe anche
piacere al vasto pubblico, per richiamo a Casa Vianello…).
In controtendenza rispetto a tanto zelo filologico, ci siamo per-
messi qualche regolarizzazione, per ragioni di chiarezza. Ibsen
scrive – fra virgolette – “grævlingen”, “il tasso”, soprannome di
un personaggio de Un nemico del popolo, ma in altri casi dimen-
tica le virgolette. Per esempio quando la signorina Tesman parla
alla cameriera di Hedda Gabler: «d’ora in poi tu non devi chia-
mare Jørgen il laureato. Tu devi dire il dottore». In questo caso
abbiamo preferito mettere fra virgolette sia “il laureato” che “il
dottore”. Si è poi posto in corsivo – sebbene Ibsen preferisca il
tondo – tutte le parole straniere cui Ibsen fa ricorso (per segno di
distinzione o per caratterizzare il gusto plurilinguistico del perso-
naggio), ma anche le parole di vistosa origine straniera, che ab-
biamo riproposto nella loro forma originaria (bouquet e non
buket, étagères e non etagèrer, ecc.). In qualche caso non abbiamo
esitato a essere più ibseniani di Ibsen, ponendo in maiuscolo Si-
gnore Iddio, Provvidenza, Cielo ed espressioni del genere. Ma tut-
to questo – speriamo – sarà considerato peccato veniale, che se ne
va con un po’ di acqua benedetta, come dice il fratacchione della
Mandragola.
Per la stesura delle note ho attinto a piene mani ai miei molti
studi ibseniani che ho prodotto in quasi un trentennio di attività
(per il cui elenco rinvio al mio sito www.personalweb.unito.it/ro-
berto.alonge/index.php), qualche volta pubblicati con simpatici
pseudonimi femminili. Talune note (non dello scrivente) risulta-
14 HENRIK IBSEN

no a firma di Sandra Colella, Giuliano D’Amico e Rita Maria Fa-


bris (cui si deve la traduzione di cinque dei dodici drammi). Sono
i nostri giovani di bottega, e confidiamo in loro per un secondo
volume, che raccolga le restanti opere ibseniane, quelle giovanili.
D’altra parte, dovendo principiare con un volume, era ovvio che
si cominciasse dalla fine, da i magnifici 12, come mi piace dire.
L’uomo spiega la scimmia, e non viceversa. L’Ibsen che resta (e
resterà) è quello dei drammi contemporanei, ambientati negli an-
ni del suo tempo, non certo quello dei drammoni romantici della
giovinezza. È l’Ibsen della famosa lettera del 9 dicembre 1867 a
Bjørnson: «Proverò a fare il fotografo, prenderò i miei contempo-
ranei lassù a uno a uno, persona per persona […], non rispar-
mierò né il bimbo nel grembo materno, né il pensiero o l’inten-
zione che si occultano dietro le parole di nessuna anima che me-
riti l’onore di essere considerata».
Un ringraziamento speciale – vero, autentico, profondo, non fit-
tizio, non accademicamente ipocrita – a Franco Perrelli, grande
scandinavista di statura internazionale, promotore del Centro
Studi sullo Spettacolo Nordico, costruito e abbarbicato tenace-
mente su una costola del DAMS torinese. Senza di lui questo li-
bro non sarebbe mai uscito.
Ma senza Annie, questo libro non sarebbe mai stato né pensato
né scritto: composto lentamente, traduzione dopo traduzione,
glossa dopo glossa, très longuement couvé pendant plus de trente
ans. E ora, dopo trent’anni e più, (quasi) tutto quello che resta.
Prima del lungo silenzio.

Seychelles, 20-27 dicembre 2008


CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

1828, 20 marzo Henrik Johan Ibsen nasce a Skien, nel Tele-


mark, Norvegia meridionale.
1835 Grave crisi economica del padre Knud, già ricco commer-
ciante; la famiglia è costretta a trasferirsi in periferia.
1843, dicembre Ibsen è a Grimstad, dove vivrà per sei anni, im-
piegato nella farmacia.
1846 Da un rapporto con una serva nasce il figlio Hans Jacob,
che Ibsen abbandonerà, ma dovrà mantenere, con pesanti sa-
crifici, negli anni a venire.
1849 Termina il dramma Catilina e pubblica su «Christiania-po-
sten» la poesia In autunno [I høsten], con lo pseudonimo di
Brynjolf Bjarme. Amore per Clara Ebbell, che gli ispira poesie.
1850, aprile Ibsen giunge a Kristiania (Oslo) per l’ammissione
all’università. Catilina, pubblicato da poco, gli dà qualche rino-
manza fra gli studenti; primi contatti con Bjørnstjerne Bjørn-
son e con il movimento dei lavoratori capeggiato da Marcus
Thrane. Il 26 settembre, debutta come drammaturgo al Kri-
stiania Theater con Il tumulo del guerriero [Kæmpehøjen].
1851 Collabora al giornale degli studenti, «Samfundsbladet» e
al foglio satirico «Manden» (in seguito «Andhrimner»). Sfugge
casualmente alla dura repressione del movimento dei lavorato-
ri. Dopo essere entrato in contatto con Ole Bull, fondatore del
Norske Theater di Bergen, viene ingaggiato nella nascente isti-
tuzione come «drammaturgo e istruttore».
1852, aprile Viaggio di studio sulle scene europee ad Amburgo,
Copenaghen e Dresda. Al ritorno a Bergen, in luglio, Ibsen ha
completato il dramma La notte di San Giovanni [Sancthansnat-
ten]. Amore contrastato per Rikke Holst.
1854 Scrive Donna Inger di Østråt [Fru Inger til Østråt].
1855 Scrive Festa a Solhaug [Gildet på Solhaug], in questa fase
d’affermazione, il suo dramma di maggior successo.
1856 Si fidanza con Susanna Thoresen.
16 HENRIK IBSEN

1857 Insuccesso del dramma Olaf Liljekrans rappresentato a


Bergen. In settembre, Ibsen diventa direttore artistico del Nor-
ske Theater di Kristiania in crisi. Scrive I condottieri a Helge-
land [Hærmændene på Helgeland].
1858, 18 giugno Matrimonio con Susanna Thoresen.
1859 Nasce il figlio Sigurd. Con Bjørnson, forma Det Norske
Selskab ed è assiduo di una cerchia d’intellettuali radicali, Hol-
lænderne. Pubblica il poema Sulle vette [På vidderne].
1862 Pubblica il poema Terje Vigen. Fallimento del Norske
Theater di Kristiania. Ibsen resta senza un regolare impiego e
pubblica La commedia dell’amore [Kærlighedens komedie], sol-
levando scandalo.
1863 Scrive il dramma I pretendenti alla corona [Kongs-em-
nerne].
1864 Aiutato da un contributo, ottenuto dopo anni di richieste,
e da una sottoscrizione, patrocinata da Bjørnson, Ibsen lascia
Kristiania per trasferirsi a Roma.
1866 Brand viene pubblicato a Copenaghen, suscitando interes-
se.
1867 Pubblicazione di Peer Gynt. Si diradano i rapporti con
Bjørnson.
1868 Ibsen si trasferisce a Dresda, dove vivrà per sei anni e
mezzo.
1869 Pubblicazione della Lega dei giovani [De unges forbund],
che viene considerata un attacco contro Bjørnson e i liberali.
Ibsen è in Egitto, invitato per l’inaugurazione del canale di
Suez.
1871 Scrive il poema Lettera in rima alla signora Heiberg [Rim-
brev til fru Heiberg]. Ha contatti con la scrittrice femminista
Camilla Collett e pubblica la raccolta delle sue Poesie [Digte].
1873 Termina un ponderoso dramma su Giuliano l’Apostata,
Cesare e Galileo [Kejser og Galilæer], che viene pubblicato in
ottobre.
1874, estate Dopo oltre dieci anni di lontananza, Ibsen visita con
la famiglia Kristiania, dove è festeggiato dagli studenti con una
fiaccolata.
1875 Si trasferisce da Dresda a Monaco. Scrive il poema Lettera
in rima [Et rimbrev].
1877 Riceve la laurea in lettere honoris causa a Uppsala; pub-
blica I sostegni della società [Samfundets støtter].
1878 Fa ritorno a Roma.
1879 Ad Amalfi, termina in estate Una casa di bambola [Et
CRONOLOGIA 17

dukkehjem]. In ottobre, si ristabilisce a Monaco. In dicembre,


viene pubblicata Una casa di bambola, con ampia risonanza in-
ternazionale, anche sulle scene.
1880, novembre Fa ritorno a Roma, dove si fermerà per circa
cinque anni.
1881, estate A Sorrento, scrive Spettri [Gengangere], che, pubbli-
cati in dicembre, suscitano scandalo e indignazione. È difeso da
Bjørnson.
1882 Pubblica Un nemico del popolo [En folkfiende].
1884 Pubblica L’anitra selvatica [Vildanden].
1885, giugno Ibsen fa ritorno in Norvegia, in una fase politica
turbolenta, nella quale sembra prendere posizione a favore dei
radicali. In ottobre, fa ritorno a Monaco, dove si fermerà altri
sei anni.
1886 Pubblica Casa Rosmer [Rosmersholm].
1888 Si celebra il sessantesimo compleanno di Ibsen, con festeg-
giamenti in Norvegia e in Germania. Pubblica in novembre La
signora del mare [Fruen fra havet].
1889 Durante le vacanze estive a Gossensass, incontra la venti-
settenne Emilie Bardach, con la quale ha una breve relazione.
Di nuovo a Monaco, intrattiene una calda amicizia con la venti-
quattrenne Helene Raff.
1890 André Antoine, con Spettri, introduce Ibsen a Parigi. Pub-
blicazione di Hedda Gabler.
1891 Importanti rappresentazioni ibseniane in tutta Europa;
Eleonora Duse interpreta Una casa di bambola a Milano. Ibsen
fa definitivamente ritorno in patria, a Kristiania, il 7 agosto. In-
tensa relazione con la giovane pianista Hildur Andersen.
1892 Pubblica Il costruttore Solness [Bygmester Solness].
1894 Pubblica Il piccolo Eyolf [Lille Eyolf].
1896 Pubblica John Gabriel Borkman.
1898 Si celebra con vasta risonanza internazionale il settantesi-
mo compleanno di Ibsen.
1899 Pubblica il suo ultimo dramma, Quando noi morti ci de-
stiamo [Når vi døde vågner].
1900 La salute dello scrittore comincia a declinare, dopo un col-
po apoplettico.
1906, 23 maggio Henrik Ibsen muore dopo lunga malattia.

(a cura di Franco Perrelli)


NOTA BIBLIOGRAFICA

Le traduzioni sono state esemplate sugli originali contenuti nei


volumi VIII-XIII della cosiddetta Edizione del Centenario: Hen-
rik Ibsen, Samlede Verke (Hundreårsutgave), Francis Bull, Halv-
dan Koht, Didrik Arup Seip (red.), Gyldendal Norsk Forlag,
Oslo, 1928-1957, 21 voll. (siglati nelle note ISV).
Sono stati tenuti presenti anche i manoscritti autografi di Ibsen
(Henrik Ibsens Manuskripter), ormai consultabili in rete, preziosi
soprattutto per i corsivi, presenti con sottolineatura, mentre l’E-
dizione del Centenario utilizza lo spaziato, decisamente meno vi-
sibile).
http://www.dokpro.uio.no/litteratur/ibsen/ms/skuesp.html

Per le Concordanze esistono due strumenti (da utilizzare in ma-


niera complementare):
– Henrik Ibsens Ordskatt, redigert av Harald Noreng, Knut Ho-
fland, Kristin Natvig, Universitetsforlaget, Oslo, 1987 (volune
agile, che offre sinteticamente i numeri delle concordanze, ma
non le esemplificazioni testuali).
– Konkordans over Henrik Ibsens dramaer og dikt, editors Ha-
rald Noreng, Knut Hofland, Kristin Natvig , Universitetsbiblio-
teket, Oslo, 1993, 6 voll. (i volumi offrono tutte le esemplifica-
zioni testuali, ma non i dati statistici sintetici).

Traduzioni italiane citate:


– Henrik Ibsen, I drammi, tr. di Anita Rho, Einaudi, Torino, 1959,
3 voll.
– Henrik Ibsen, Opere teatrali, a cura di Alfhild Motzfeldt Tide-
mand-Johannessen, Mursia, Milano, 1962, 2 voll.

Riproduciamo, in ordine alfabetico, unicamente i testi cui si fa ri-


ferimento nelle note a piè di pagina dei vari drammi ibseniani:
20 HENRIK IBSEN

Aarseth Asbjørn, 2005, Ibsen and Darwin: A Reading of “The


Wild Duck”, in «Drama», n. 1, vol. XLVIII, pp. 1-10.
Alonge Roberto, 1984a, Epopea borghese nel teatro di Ibsen, Gui-
da, Napoli.
Alonge Roberto, 1984b, Ronconi da Ibsen a Ibsen, in Dal testo al-
la scena. Studi sullo spettacolo teatrale, Tirrenia Stampatori, To-
rino.
Alonge Roberto (a cura di), 1985, Lungo viaggio verso il silenzio.
L’allestimento di Massimo Castri del “Piccolo Eyolf” di Ibsen,
Tirrenia Stampatori, Torino.
Alonge Roberto, 1988, Introduzione a Ibsen, Spettri, traduzione e
introduzione di Roberto Alonge, Oscar Mondadori, Milano.
Alonge Roberto, 1991, La Nora di Bergman: ardori, afrori, disgu-
sti e violenze, in «Il castello di Elsinore», 10, pp. 109-119.
Alonge Roberto, 1993, Note, chiose, concordanze (e traduzione) a
Henrik Ibsen, Una casa di bambola, Rosenberg & Sellier, Tori-
no.
Alonge Roberto, 1995a, Traduzione e note a Henrik Ibsen, La si-
gnora del mare, Rosenberg & Sellier, Torino.
Alonge Roberto, 1995b, Ibsen. L’opera e la fortuna scenica, Le
Lettere, Firenze.
Alonge Roberto, 2000, “Rosmersholm”, prologo, in «Studi Nordi-
ci», pp. 241-250.
Alonge Roberto, 2005a, Il teatro di Massimo Castri, Bulzoni, Ro-
ma.
Alonge Roberto, 2005b, From Ibsen to Balthus: The Case of “The
Master Builder”, in «North-West Passage», 2, pp. 93-105.
Alonge Roberto, 2006, Il teatro dei registi. Scopritori di enigmi e
poeti della scena, Laterza, Roma-Bari.
Alonge Roberto, 2007, “Spettri”, due immagini e qualche conside-
razione a volo d’uccello, in «Il castello di Elsinore», 55, pp. 71-
75.
Asbjørnsen Peder Christen e Jørgen Moe, 1962, Fiabe norvegesi,
Einaudi, Torino.
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Castri Massimo, 1984, Ibsen postborghese, a cura di Ettore Ca-
priolo, Ubulibri, Milano.
NOTA BIBLIOGRAFICA 21

Chevrel Yves, 1989, Henrik Ibsen, “Maison de poupéè”, PUF,


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Chiesa Isnardi Gianna, 1991, I miti nordici, Longanesi, Milano.
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Høst Else, 1967, Vilanden of Henrik Ibsen, Aschehoug, Oslo, 1967
(da cui sono state tradotte alcune pagine, cui faccio riferimen-
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vatica, Edizioni del Teatro di Genova, Genova, 1977, pp. 79-
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to Alonge, Rosenberg & Sellier, Torino.
22 HENRIK IBSEN

Franco Perrelli, 1999, Hilde, l’ingenua, in Henrik Ibsen, Il costrut-


tore Solness, a cura di Francesca Malara, Costa & Nolan, Anco-
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Perrelli Franco, 2006, Ibsen. Un profilo, Edizioni di Pagina, Bari
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(Jubilæumsudgave), Gyldendalske Boghandel, Nordisk Forlag,
Kristiania og København, 4 voll.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ1
(1877)
Dramma in quattro atti
Traduzione di Sandra Colella*

* Le note sono a cura di Roberto Alonge. Alcune note sono a cura del tra-
duttore e ne viene data indicazione.
1
In omaggio alla scelta della maggior coerenza possibile con il testo origina-
le abbiamo tradotto I sostegni della società, e non, come di consueto, Le co-
lonne della società. Questo perché, nel corso del dramma, Ibsen usa il sostan-
tivo støtter, «sostegni», e il relativo verbo støtte, «sostenere», che hanno, come
è evidente, radice comune. Da cui anche una serie di intrecci linguistici fra
støtter e støtte che non sarebbe stato possibile conservare con la scelta di co-
lonne. (Sandra Colella)
PERSONAGGI

IL CONSOLE BERNICK2
LA SIGNORA BERNICK, sua moglie
OLAF, lorofiglio, tredicenne
LA SIGNORINA BERNICK, sorella del console
JOHAN TØNNESEN, fratello minore della signora Bernick
LA SIGNORINA HESSEL,3 sorellastra maggiore della signora Bernick
HILMAR TØNNESEN, cugino della signora Bernick
IL PROFESSORE DI LICEO RØRLUND4
IL GROSSISTA RUMMEL
IL COMMERCIANTE VIGELAND
IL COMMERCIANTE SANDSTAD
DINA DORF, una ragazza in casa del console
L’AMMINISTRATORE KRAP5

2
«Console», titolo onorifico, «che si dà in provincia all’uomo più influente
del distretto: l’unico titolo, perché i nobiliari sono aboliti in Norvegia» (Sla-
taper 1916, p. 154). Nella particolarità del nostro testo è probabile un riferi-
mento ai viaggi giovanili all’estero – Parigi Londra – effettuati da Bernick,
per i quali è considerato da tutti un uomo di mondo, raffinato ed elegante.
Non essendo presumibilmente provvisto di una qualifica professionale cano-
nica (non è infatti né medico né avvocato né notaio, ma solo un generico uo-
mo d’affari), una volta divenuto potente, si compiace di un titolo altisonante,
sebbene vuoto. In coerenza con una società fondata sulle apparenze (e sulle
ipocrisie) come è quella in cui vive Bernick.
3
Si tratta di Lona, come è chiamato normalmente il personaggio.
4
Rørlund è definito adjunkt, un professore di liceo. Il personaggio – spesso
moraleggiante – viene chiamato da Lona per dileggio herr pastor, «signor pa-
store», ma la traduzione di Anita Rho (Einaudi) equivoca grossolanamente e
lo presenta, sin dalla tavola dei personaggi, come «il vicario» Rørlund, cioè
con una valenza chiaramente ecclesiastica.
5
Le traduzioni italiane più accreditate (Einaudi e Mursia) rendono con «pro-
curatore», ma fuldmaegtig etimologicamente rimanda a una persona che ha
«pieni poteri». Krap è l’uomo di fiducia, il delegato, il factotum del padrone.
Traduciamo con «amministratore».
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 25

IL CAPOCANTIERE NAVALE AUNE6


LA MOGLIE DEL GROSSISTA RUMMEL
LA MOGLIE DEL DIRETTORE DELLE POSTE HOLT
LA MOGLIE DEL DOTTOR LYNGE
LA SIGNORINA RUMMEL
LA SIGNORINA HOLT
Borghesi e altri abitanti della città, marinai forestieri, passeggeri di un
vapore, ecc.

L’azione si svolge in casa del console Bernick, in una città costiera minore
della Norvegia.

6
Le traduzioni di skibsbygger oscillano comicamente fra il livello basso di
«carpentiere» (Einaudi) e il livello alto di «ingegnere navale» (Mursia). Nel-
l’originale c’è un etimo che rinvia alla dimensione navale (skib), ma si tratta
di un capo-mastro, non già di un ingegnere. Rendiamo pertanto con «capo-
cantiere navale».
PRIMO ATTO

(Un’ampia sala che dà sul giardino7 in casa del console Bernick.


Sul proscenio a sinistra una porta si apre verso la stanza del con-
sole; molto più indietro, sulla stessa parete, c’è una porta simile. Al
centro della parete sul lato opposto c’è una porta d’ingresso più
grande. La parete in fondo è quasi tutta a vetri8 con una porta
aperta su una larga scalinata che dà sul giardino, sulla quale è fis-
sata una tenda da sole. Oltre la scalinata si vede una parte del giar-
dino, chiuso da un recinto con una piccola porta di ingresso. Al di
fuori e lungo il recinto corre una strada, che sul lato opposto è po-
polata di casette di legno variopinte. È estate e il sole è caldo. Alcu-
ne persone passano ogni tanto nella strada davanti alla porta d’in-
gresso; qualcuno si ferma a chiacchierare; altri comprano in una
bottega all’angolo, ecc.)
7
Havesal, «sala che dà sul giardino». Gli interni delle case ibseniane sono
sempre labirintici, e con molte porte che conducono in zone non subito iden-
tificabili. Sul lato sinistro abbiamo una porta in proscenio, più vicina al pub-
blico, che conduce nella stanza del console; la porta posteriore a sinistra con-
duce nelle stanze interne dell’abitazione; la porta grande a destra è quella di
ingresso; la porta sul fondo apre il passaggio verso il giardino. Le ville norve-
gesi presentano spesso un’ampia sala con vetrata e gradinata sul giardino, al
cui interno sono piante e fiori. La sensazione è di entrare in uno spazio che
continua senza soluzione all’esterno, con una visuale ampia e libera, ricca del
verde degli alberi e dei fiori del giardino. (Sandra Colella)
8
Spejlglas è il cosiddetto vetro riflettente, che ha una duplice proprietà: è tra-
sparente dal lato meno illuminato e riflette le immagini dal lato più illuminato.
Ciò si traduce nel fatto che di giorno, ad esempio, si può vedere dall’interno del-
la casa l’esterno, mentre non si vede, dall’esterno, ciò che è dentro.Viceversa, se,
di sera, si accendono le luci all’interno, dall’esterno, al buio, si potrà scorgere ciò
che accade in casa, mentre non si vedrà ciò che avviene fuori guardando dall’in-
terno. Il gioco della visibilità, ora permessa ora interdetta, simboleggia efficace-
mente l’alternarsi delle dinamiche di una famiglia borghese arcaica, tutta tesa a
selezionare con cura ciò che può essere mostrato all’esterno e a impedire il tra-
pelare di aspetti sconvenienti di sé stessa (cfr n. 57). (Sandra Colella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 27

(All’interno della sala che dà sul giardino, intorno ad un tavolo


siede in riunione un gruppo di signore. Al centro siede la signora
Bernick. Alla sua sinistra siede la signora Holt con la figlia; poi la
signora Rummel e la signorina Rummel. A destra della signora
Bernick siedono la signora Lynge, la signorina Bernick e Dina
Dorf. Tutte le signore sono intente a lavori di cucito. Sul tavolo ci
sono grossi mucchi di biancheria quasi pronta e tagliata, insieme
ad altri indumenti. Più indietro, ad un piccolo tavolo, su cui ci so-
no due vasi da fiori e un bicchiere di acqua e zucchero, siede il Pro-
fessor Rørlund, che legge ad alta voce da un libro dal taglio dorato
ma in modo tale che solo alcune parole siano udibili dagli astanti.
Fuori, in giardino, Olaf Bernick corre qua e là e tira al bersaglio
con un arco.)

(Dopo qualche momento, il capocantiere Aune entra senza far ru-


more dalla porta a destra. La lettura viene un po’ disturbata; la si-
gnora Bernick lo saluta con un cenno del capo e indica verso la
porta a sinistra. Aune va in silenzio verso di quella e bussa un paio
di volte cautamente e ad intervalli alla porta del console. L’ammi-
nistratore Krap, con il cappello in mano e delle carte sotto il brac-
cio, esce dalla stanza.)

AMMINISTRATORE KRAP Ah, è lei che bussa?


CAPOCANTIERE AUNE Il console mi ha mandato a chiamare.
AMMINISTRATORE KRAP L’ha chiamata, sì; ma non può ricever-
la; ha dato incarico a me di –
CAPOCANTIERE AUNE A lei? Io preferirei di sicuro –
AMMINISTRATORE KRAP – incarico a me di dirglielo. Lei la deve
smettere con queste arringhe del sabato agli operai.
CAPOCANTIERE AUNE È così? Pensavo, invece, che potessi uti-
lizzare il mio tempo libero –
AMMINISTRATORE KRAP Lei non deve utilizzare il suo tempo li-
bero per rendere la gente inutilizzabile durante l’orario di lavo-
ro. Sabato scorso lei ha parlato del danno che gli operai riceve-
ranno dai nostri nuovi macchinari e dal nuovo metodo di lavo-
ro nel cantiere navale. Perché fa questo?9

9
A partire dal 1850, cominciò in Norvegia un forte processo di industrializza-
zione, grazie all’introduzione di nuove tecnologie provenienti dalla vicina In-
ghilterra. I metodi di lavoro cambiarono e il numero degli operai diminuì
drasticamente, tanto che molti furono costretti a emigrare in America. (San-
dra Colella)
28 HENRIK IBSEN

CAPOCANTIERE AUNE Lo faccio per sostenere la società.


AMMINISTRATORE KRAP Strano! Il console dice che è un man-
dare in frantumi la società.
CAPOCANTIERE AUNE La mia società non è la società del conso-
le, signor amministratore! Come capo della società degli operai
io devo –
AMMINISTRATORE KRAP Lei è prima di tutto capo del cantiere
navale del console Bernick. Lei ha prima di tutto da svolgere il
suo dovere verso quella società che si chiama ditta del console
Bernick; perché è di questa che noi tutti viviamo. – Sì, adesso sa
che cosa aveva da dirle il console.
CAPOCANTIERE AUNE Il console non l’avrebbe detto in quel
modo, signor amministratore! Ma capisco bene chi ho da rin-
graziare per quest’affare. È quella maledetta nave americana
danneggiata. Quella gente vuole che il lavoro debba andare co-
sì come vi è abituata laggiù, e questo –
AMMINISTRATORE KRAP Sì, sì, sì; io non posso perdermi in lun-
gaggini. Adesso conosce il parere del console; dunque basta!
Vada pure giù al cantiere di nuovo; può essere necessario; io
stesso vengo laggiù tra poco. – Scusate, mie signore!

(Saluta ed esce attraverso il giardino e giù nella strada. Il capocan-


tiere Aune esce in silenzio a destra. Il professore, che ha continuato
la lettura durante la precedente conversazione a bassa voce, imme-
diatamente dopo finisce e chiude con forza il libro.)

PROFESSOR RØRLUND Ecco, dunque, mie care ascoltatrici, con


ciò è terminato.
SIGNORA RUMMEL Oh, che storia istruttiva!
SIGNORA HOLT E così morale!
SIGNORA BERNICK Un libro simile fa davvero riflettere.
PROFESSOR RØRLUND Ah sì; costituisce una benefica opposizio-
ne a ciò che purtroppo possiamo vedere ogni giorno, sia sui
giornali che sulle riviste. Questa facciata dorata e imbellettata,
di cui le grandi società fanno sfoggio, – che cosa cela in verità?
Vacuità e marciume, se così posso dire. Nessun fondamento
morale sotto i piedi. In una parola, – sono sepolcri imbiancati,
queste grandi società del nostro tempo.
SIGNORA HOLT Sì, veramente è così.
SIGNORA RUMMEL Basta solo dare uno sguardo all’equipaggio
della nave americana, che sta qui in questo periodo.
PROFESSOR RØRLUND Ah certo, di una tale feccia dell’umanità
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 29

non voglio proprio parlare. Ma perfino nelle alte sfere, – come


sono messe le cose lì? Dubbio e crescente inquietudine dapper-
tutto; discordia negli animi e insicurezza in tutte le relazioni.
Come potrebbe non essere minata la vita familiare lì fuori? Co-
me potrebbero non manifestarsi impudenti desideri di rivolta
contro le verità più profonde?
DINA (senza alzare gli occhi) Ma non avvengono, lì, anche molte
grandi azioni?
PROFESSOR RØRLUND Grandi azioni –? Non capisco –
SIGNORA HOLT (stupefatta) Ma, Dio mio, Dina –!
SIGNORA RUMMEL (allo stesso tempo) Ma, Dina, come puoi dav-
vero –?
PROFESSOR RØRLUND Io non credo che sarebbe sano se quel
genere di azioni si insinuasse presso di noi. No, qui a casa do-
vremmo veramente ringraziare il Signore, che stiamo così come
stiamo. È vero che, in mezzo al grano, cresce dell’erbaccia, pur-
troppo anche qui; ma quella, ci sforziamo onestamente di strap-
parla come meglio possiamo. Si tratta di mantenere pulita la so-
cietà, mie signore, – di mantenere fuori tutto ciò che non è spe-
rimentato, che un’epoca smaniosa vuole costringerci ad accet-
tare.
SIGNORA HOLT E di simili cose se ne trovano purtroppo più che
a sufficienza.
SIGNORA RUMMEL Sì, l’anno scorso è stato proprio per un ca-
pello che non abbiamo avuto la ferrovia in città.
SIGNORA BERNICK Già, ma Karsten è riuscito a impedirlo.
PROFESSOR RØRLUND La Provvidenza, signora Bernick. Può es-
sere certa che suo marito è stato uno strumento nelle mani di
Qualcuno più in alto, quando si è rifiutato di appoggiare quella
trovata.
SIGNORA BERNICK E comunque ha dovuto sentire così tante
cattiverie dai giornali. Ma noi ci siamo proprio dimenticate di
ringraziarla, signor professore. È davvero più che gentile, da
parte sua, sacrificare così tanto tempo per noi.
PROFESSOR RØRLUND Ah, macché; adesso che ci sono le vacan-
ze a scuola –
SIGNORA BERNICK Sì, certo, ma è comunque un sacrificio, signor
professore.
PROFESSOR RØRLUND (sposta la sua sedia più vicino) Non parli
mai così, amabilissima signora. Non fanno loro, tutte insieme,
un sacrificio in nome di una buona causa? E non lo fanno, loro,
di buon grado e con gioia? Questi individui moralmente cor-
30 HENRIK IBSEN

rotti, se noi lavoriamo al fine di un miglioramento, vanno consi-


derati alla stregua di soldati feriti su un campo di battaglia; lo-
ro, le mie dame, sono crocerossine, suore caritatevoli, che rac-
colgono filacce10 per questi feriti sventurati, mettono fasciature
di lino sulle ferite, le curano e le guariscono –
SIGNORA BERNICK Dev’essere un grande dono della Grazia di-
vina poter vedere tutto in una luce così bella.
PROFESSOR RØRLUND Molto è innato sotto questo aspetto; ma
molto si può anche acquisire. Si tratta solo di vedere le cose al-
la luce di un compito serio nella vita. Sì, cosa ne pensa, signori-
na Bernick? Non ritiene che lei abbia trovato per così dire un
fondamento più stabile su cui stare, da quando ha sacrificato sé
stessa per il lavoro a scuola?
SIGNORINA BERNICK Oh, non so cosa dire. Spesso, quando entro
laggiù in aula, desidero di trovarmi lontano in mezzo al mare in
tempesta.
PROFESSOR RØRLUND Ecco, vede, questi sono gli scrupoli, cara si-
gnorina. Ma contro tali inquieti ospiti si tratta di chiudere la por-
ta. Il mare in tempesta, – è ovvio che lei non lo intende alla lette-
ra; lei intende la grande fluttuante società umana, dove così tanti
vanno a fondo. E lei attribuisce davvero un così grande valore a
quella vita, di cui sente il mugghiare e il rimbombare fuori di qui?
Guardi solo giù nella strada. Lì le persone camminano sotto il so-
le e sudano e si affannano con le loro piccole faccende. No, allora
stiamo veramente meglio noi, che siamo seduti al fresco qui den-
tro e voltiamo le spalle a quella parte da cui arriva il turbamento.
SIGNORINA BERNICK Mio Dio, sì, lei ha così pienamente ragione –
PROFESSOR RØRLUND E in una casa come questa, – in un one-
sto e lindo focolare,11 dove la vita di famiglia si mostra nel suo
aspetto più bello, – dove pace e concordia regnano – – (Alla si-
gnora Bernick.) A cosa sta prestando ascolto, signora?
SIGNORA BERNICK (girata verso la porta anteriore a sinistra) Co-
me alzano la voce lì dentro.
10
«Filacce»: sfilature di tessuti consunti, utilizzate un tempo per medicazioni
di ferite.
11
Ibsen distingue fra hus, «casa», nel senso di edificio, e hjem, come luogo
geometrico degli affetti familiari e domestici (solitamente comprensivo an-
che di figli). Traduciamo con l’opposizione «casa» e «focolare» (ma non in
modo sistematico, utilizzando al minimo il termine «focolare», che in italiano
rischia di apparire un po’ ridicolo per la sua aria arcaica). Il termine ritorna
ossessivamente in questo testo, che mette a fuoco una società arretrata, in-
centrata appunto sull’esaltazione parossistica del «focolare».
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 31

PROFESSOR RØRLUND C’è qualcosa di particolare che sta succe-


dendo?
SIGNORA BERNICK Non lo so. Sento che c’è qualcuno dentro da
mio marito.

(Hilmar Tønnesen, con un sigaro in bocca, entra dalla porta a de-


stra, ma si ferma alla vista delle molte dame.)

HILMAR TØNNESEN Oh, chiedo scusa – (Vuole ritirarsi.)


SIGNORA BERNICK No, Hilmar, avvicinati pure; non dai fastidio.
C’era qualcosa che volevi?
HILMAR TØNNESEN No, volevo solo dare uno sguardo dentro. –
Buon giorno, mie signore. (Alla signora Bernick.) Be’, a che
punto siamo?
SIGNORA BERNICK Con che cosa?
HILMAR TØNNESEN Bernick ha giustappunto suonato un’adu-
nata collettiva.
SIGNORA BERNICK Ah sì? Ma di cosa si tratta esattamente?
HILMAR TØNNESEN Oh, è certamente di nuovo questa corbelle-
ria della ferrovia.
SIGNORA RUMMEL No, può essere possibile?
SIGNORA BERNICK Povero Karsten, deve avere ancora altre sec-
cature –
PROFESSOR RØRLUND Ma come mettiamo in rima queste cose,
signor Tønnesen? Il console Bernick ha dichiarato proprio l’an-
no scorso in modo così palese che lui non voleva avere nessuna
ferrovia.
HILMAR TØNNESEN È vero, sembra anche a me; ma ho incontra-
to l’amministratore Krap, e mi ha detto che la faccenda della
ferrovia è stata di nuovo presa in considerazione e che Bernick
è in riunione con tre uomini d’affari della città.
SIGNORA RUMMEL Allora era come pensavo, che ho sentito la
voce di Rummel.
HILMAR TØNNESEN Sicuro, c’è il signor Rummel, naturalmente,
e poi c’è Sandstad, il commerciante della strada che va su, e
Mikkel Vigeland, – “San-Mikkel”, come lo chiamano.
PROFESSOR RØRLUND Hm –
HILMAR TØNNESEN Chiedo scusa, signor professore.
SIGNORA BERNICK Proprio ora che si stava così bene e in
pace.
HILMAR TØNNESEN Be’, per parte mia, io non avrei nulla in con-
32 HENRIK IBSEN

trario se cominciassero di nuovo ad argomentare. Sarebbe in


ogni caso un diversivo.
PROFESSOR RØRLUND Ah, quel genere di diversivi, a mio pare-
re, deve poter essere evitato.
HILMAR TØNNESEN Dipende da come si è fatti. Certe nature
hanno bisogno di violente battaglie ogni tanto. Ma di cose si-
mili, purtroppo, la vita di un piccolo posto non ne ha molte
da offrire, e non è dato a tutti di – (sfoglia il libro del profes-
sore) La donna come ancella della società. Che stupidaggine
è questa?
SIGNORA BERNICK Mio Dio, Hilmar, questo non devi dirlo. Tu
non hai mica letto quel libro.
HILMAR TØNNESEN No; e non ho nemmeno intenzione di leg-
gerlo.
SIGNORA BERNICK Non sei per niente dell’umore giusto oggi.
HILMAR TØNNESEN No, non lo sono.
SIGNORA BERNICK Forse non hai dormito bene stanotte?
HILMAR TØNNESEN No, ho dormito molto male. Sono stato a fa-
re un giro, ieri sera, a causa della mia malattia. Poi mi sono al-
lungato su al circolo e ho letto un resoconto di viaggio al polo
nord. C’è qualcosa di temprante nel seguire gli uomini nella lo-
ro battaglia contro gli elementi.
SIGNORA RUMMEL Ma non le ha portato, però, alcun giovamen-
to, signor Tønnesen.
HILMAR TØNNESEN No, mi ha portato molto danno; sono stato
tutta la notte a rigirarmi nel letto mezzo addormentato e ho so-
gnato di essere inseguito da un mostruoso tricheco.
OLAF (che è venuto dalla scalinata del giardino) Sei stato inse-
guito da un tricheco, zio?12
HILMAR TØNNESEN L’ho sognato, allocco! Ma stai ancora qui a
giocare con quel ridicolo arco? Perché non cerchi di procurarti
un vero fucile?
OLAF Sì, lo vorrei tanto, ma –
HILMAR TØNNESEN Con un fucile vero, allora sì che c’è un sen-
so; c’è sempre una certa eccitazione nervosa, quando si sta per
sparare.
OLAF E così potrei sparare ad un orso, zio. Ma non ho il permes-
so da papà.

12
Hilmar è un cugino della signora Bernick, ma Olaf lo chiama «zio» per la
consuetudine norvegese di chiamare «zio» o «zia» tutti gli adulti più o meno
imparentati con i propri genitori. Per la malattia di Hilmar cfr. n. 32.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 33

SIGNORA BERNICK Non devi mettergli assolutamente cose del


genere in testa, Hilmar.
HILMAR TØNNESEN Hm, – bah, che generazione si educa ai gior-
ni nostri! Si parla di sport e sport – Dio mi guardi, – ma in fon-
do non si tratta che di un gioco; mai una seria attività per quel
rafforzamento, che sta nell’affrontare virilmente il pericolo sot-
to gli occhi. Non stare lì a puntarmi con l’arco, sciocco; puoi per-
dere il controllo.
OLAF No, zio, non c’è nessuna freccia.
HILMAR TØNNESEN Questo non lo puoi sapere; ci può essere co-
munque una freccia. Mettilo via, ti dico! – Perché diamine non
sei mai partito per Oltreoceano con una delle navi di tuo pa-
dre? Lì potresti avere l’opportunità di vedere una caccia al bu-
falo o una battaglia con i pellerossa.
SIGNORA BERNICK No, ma Hilmar –
OLAF Sì, mi piacerebbe, zio; e così forse potrei incontrare lo zio
Johan e la zia Lona.
HILMAR TØNNESEN Hm –; sciocchezze.
SIGNORA BERNICK Adesso puoi andare di nuovo in giardino,
Olaf.
OLAF Mamma, posso andare anche fuori in strada?
SIGNORA BERNICK Sì; ma assolutamente non troppo lontano.

(Olaf esce correndo dalla porta del recinto.)

PROFESSOR RØRLUND Non dovrebbe mettere grilli simili in te-


sta al bambino, signor Tønnesen.
HILMAR TØNNESEN No, naturalmente, deve starsene qui e di-
ventare uno che non si muove più da casa, così come tanti
altri.
PROFESSOR RØRLUND Ma perché non parte lei stesso per l’A-
merica?
HILMAR TØNNESEN Io? Con la mia malattia? Certo, si capisce,
non se ne ha un grande riguardo, qui in città. Eppure, tuttavia, –
si hanno certi doveri verso la società in cui si vive. Deve pur es-
serci qualcuno qui, che mantenga alto lo stendardo dell’idea.
Uff, adesso grida di nuovo!
LE SIGNORE Chi grida?
HILMAR TØNNESEN Oh no, non so. Parlano un po’ a voce alta lì
dentro, e questo mi rende così nervoso.
SIGNORA RUMMEL È ben mio marito, signor Tønnesen. Ma de-
vo dirle, è così abituato a parlare in grandi assemblee –
34 HENRIK IBSEN

PROFESSOR RØRLUND Neppure gli altri parlano a bassa voce, mi


sembra.
HILMAR TØNNESEN No, Dio mi guardi, quando si tratta di difen-
dere il portafogli, allora – tutto si dissolve in meschini calcoli
materiali qui. Uff!
SIGNORA BERNICK È comunque meglio di prima, quando tutto
si dissolveva in divertimenti.
SIGNORA LYNGE Era davvero così terribile, prima?
SIGNORA RUMMEL Sì, lo può credere, signora Lynge. Può rite-
nersi fortunata che non viveva qui allora.
SIGNORA HOLT Eh sì, qui ci sono davvero stati dei mutamenti!
Se penso indietro ai miei tempi da ragazza –
SIGNORA RUMMEL Ah, pensi solo a quattordici-quindici anni fa.
Che Dio ci liberi, che vita si faceva qui! C’era sia l’associazione
di ballo che l’associazione di musica allora –
SIGNORINA BERNICK E l’associazione drammatica. Quella me la
ricordo bene.
SIGNORA RUMMEL Sì, fu lì che la sua commedia fu rappresenta-
ta, signor Tønnesen.
HILMAR TØNNESEN (in piedi verso il fondo) Oh, cosa, che co-
sa –!
PROFESSOR RØRLUND Una commedia dello studente Tønne-
sen?
SIGNORA RUMMEL Sì, fu molto prima che lei venisse qui, signor
professore. Fu rappresentata, in effetti, solo una volta.
SIGNORA LYNGE Non era in quella commedia che lei mi ha raccon-
tato di aver impersonato il ruolo di amorosa, signora Rummel?
SIGNORA RUMMEL (guarda di sottecchi il professore) Io? Dav-
vero non lo ricordo, signora Lynge. Ma ricordo bene tutti quei
ricevimenti chiassosi nelle famiglie.13
13
Le «dame» si lasciano andare a ricordi dei tempi andati, quando partecipa-
vano alle associazioni di ballo, di musica e di teatro, diffuse nei primi decenni
dell’Ottocento in molte città in Norvegia, aperte solo alle élites cittadine, for-
mate dai potenti funzionari di Stato e dai commercianti benestanti. I membri
si riunivano nelle proprie case, dove organizzavano feste, balli e rappresenta-
zioni teatrali di cui erano essi stessi interpreti. I movimenti religiosi, però, le
osteggiavano fortemente (cfr. Lyche 1991, pp. 30-48). Prevalsero poi, in oppo-
sizione, associazioni di carattere religioso, come quella per i moralmente cor-
rotti, cui adesso le «dame» partecipano con devozione, stigmatizzando la vita
libertina che si faceva un tempo. Esse, naturalmente, temono il giudizio del
professor Rørlund, che si è stabilito tempo dopo in città, e negano pertanto di
aver partecipato ad alcuna di quelle immorali iniziative. (Sandra Colella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 35

SIGNORA HOLT Sì, conosco anch’io quelle case dove si davano


due grandi pranzi a settimana.
SIGNORA LYNGE E poi ci fu anche una compagnia teatrale di gi-
ro qui, ho sentito.14
SIGNORA RUMMEL Sì, quella fu proprio il peggio del peggio –!
SIGNORA HOLT (inquieta) Hm, hm –
SIGNORA RUMMEL Davvero, attori? No, questo non me lo ricor-
do affatto.
SIGNORA LYNGE Ma sì, quella gente deve aver fatto un bel po’
di imbrogli, si dice. Cosa c’è davvero sotto a quelle storie?
SIGNORA RUMMEL Oh, in fondo proprio nulla, signora Lynge.15
SIGNORA HOLT Dolce Dina, passami quella biancheria lì.
SIGNORA BERNICK (contemporaneamente) Cara Dina, vai fuori
e prega Katrine di portarci il caffè.
SIGNORINA BERNICK Vengo con te, Dina.

(Dina e la signorina Bernick escono dalla porta posteriore a sinistra.)

SIGNORA BERNICK (si alza) Vogliano scusarmi un momento, mie


signore; penso che prenderemo il caffè lì fuori.

(Esce dalla scalinata del giardino e apparecchia un tavolo; il pro-


fessore sta sulla porta e parla con lei. Hilmar Tønnesen siede lì fuo-
ri e fuma.)

SIGNORA RUMMEL (a bassa voce) Dio mio, signora Lynge, come


mi ha spaventato!
SIGNORA LYNGE Io?

14
Le compagnie teatrali di giro, per lo più danesi, si diffusero in Norvegia do-
po il 1830, quando si creò, come conseguenza del rafforzamento del potere
economico e politico della borghesia, un nuovo mercato per il teatro. Mentre
le associazioni drammatiche erano formate da amatori e dilettanti (cfr.
n. 13), nelle compagnie di giro, invece, c’erano attori professionisti. General-
mente ci fu sempre una grande diffidenza nei confronti dei membri delle
compagnie di giro. Andare a teatro era considerato piuttosto sconveniente e
gli attori erano spesso accusati di libertinaggio e alcoolismo (cfr. Lyche 1991,
pp. 49-54). (Sandra Colella)
15
La signora Rummel, dopo aver affermato che l’arrivo della compagnia tea-
trale di giro fu davvero «il peggio del peggio», fa improvvisamente marcia in-
dietro: si è resa conto che alla conversazione è presente Dina, orfana dell’at-
trice Dorf (che diede scandalo per una storia adulterina), ora accolta in casa
da Bernick. (Sandra Colella)
36 HENRIK IBSEN

SIGNORA HOLT Sì, ma è stata proprio lei, a cominciare, signora


Rummel.
SIGNORA RUMMEL Io? No, come può dirlo, signora Holt? Non è
venuta fuori una sola parola dalla mia bocca.
SIGNORA LYNGE Ma cos’è successo insomma?
SIGNORA RUMMEL Come ha potuto cominciare a parlare di –!
Pensi, – non ha visto che Dina era dentro?
SIGNORA LYNGE Dina? Ma, Dio mio, è successo qualcosa con –?
SIGNORA HOLT E poi qui in casa! Allora non sa che è stato il fra-
tello della signora Bernick –?
SIGNORA LYNGE A fare cosa? Io non so proprio nulla; sono del
tutto nuova –
SIGNORA RUMMEL Non ha sentito che? – Hm – (Alla figlia.)
Puoi scendere un po’ in giardino tu, Hilda.
SIGNORA HOLT Vai anche tu, Netta. E sii molto gentile con la
povera Dina, quando viene.

(La signorina Rummel e la signorina Holt vanno in giardino.)

SIGNORA LYNGE Allora, cos’è successo con il fratello della si-


gnora Bernick?
SIGNORA RUMMEL Non sa che fu lui ad avere quella brutta storia?
SIGNORA LYNGE Lo studente Tønnesen ebbe una brutta storia?
SIGNORA RUMMEL No, Signore Iddio, lo studente è il cugino di
lei, signora Lynge. Io sto parlando del fratello – –
SIGNORA HOLT – – Quel figliuol prodigo16 di Tønnesen – –
SIGNORA RUMMEL Johan si chiamava. Fuggì in America.
SIGNORA HOLT Dovette fuggire, si immagini.
SIGNORA LYNGE Fu lui, dunque, ad avere quella brutta storia?
SIGNORA RUMMEL Sì, qualcosa del genere –; come devo chia-
marla? Qualcosa del genere con la madre di Dina. Ah, me lo ri-
cordo come se fosse oggi. Johan Tønnesen era allora impiegato
nell’ufficio della vecchia signora Bernick; Karsten Bernick era
appena arrivato a casa da Parigi, – non si era ancora fidanzato –
SIGNORA LYNGE Sì, ma la brutta storia?
SIGNORA RUMMEL Ecco, vede, – quell’inverno la compagnia
teatrale Møller si trovava qui in città –
SIGNORA HOLT – e in quella compagnia c’erano l’attore Dorf e
sua moglie. Tutti i giovani avevano perso la testa per lei.
16
«Figliuol prodigo»: Ibsen – grande lettore della Bibbia – utilizza lo stesso
aggettivo forloren, «prodigo», che nella Bibbia della sua lingua connotava il
personaggio della parabola di Luca, 15, 11-32. Cfr. Biblia 1842, ad locum.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 37

SIGNORA RUMMEL Sì, Dio sa come potevano trovare bella quel-


la. Comunque, una sera l’attore Dorf arriva a casa tardi –
SIGNORA HOLT – del tutto inaspettato –
SIGNORA RUMMEL – e lo trova –; no, questo non è proprio possi-
bile raccontarlo.
SIGNORA HOLT No, signora Rummel, non trovò nulla, perché la
porta era chiusa dall’interno.
SIGNORA RUMMEL Sì, appunto questo sto dicendo; trovò la por-
ta chiusa. E si immagini, lui, che è dentro, deve saltare fuori dal-
la finestra.
SIGNORA HOLT Proprio su, da una finestra del tetto!
SIGNORA LYNGE Ed era il fratello della signora Bernick?
SIGNORA RUMMEL Certo che era lui.
SIGNORA LYNGE E perciò fuggì in America?
SIGNORA HOLT Sì, dovette proprio fuggire, capisce.
SIGNORA RUMMEL Perché subito dopo si scoprì qualche altra
cosa, quasi altrettanto brutta; si immagini, aveva rubato la
cassa –
SIGNORA HOLT Ma questo non si sa con certezza, signora Rum-
mel; forse erano solo voci.
SIGNORA RUMMEL No, ora devo dire –! Non era risaputo, que-
sto, in tutta la città? La vecchia signora Bernick non fu sull’orlo
del fallimento a causa di ciò? Io lo so da Rummel stesso. Ma
Dio guardi la mia bocca.
SIGNORA HOLT Be’, a madama Dorf 17 certo non arrivarono sol-
di, perché lei –
SIGNORA LYNGE Sì, cosa successe poi tra i genitori di Dina?
SIGNORA RUMMEL Ah sì, Dorf se ne andò via sia dalla moglie
che dalla bambina. Ma la madama fu abbastanza impudente
da rimanere qui per un anno intero. Certamente non osò più
mostrarsi a teatro; ma si mantenne lavando e cucendo per la
gente –
SIGNORA HOLT E tentò anche di aprire una scuola di danza.

17
Ibsen distingue tra due diverse connotazioni di «signora»: frue è la signora
borghese, protagonista largamente maggioritaria del suo teatro; madam è in-
vece la signora di livello sociale basso (governanti, ostesse, ostetriche, ecc.),
talvolta con connotazione misuratamente spregiativa (come in questo testo,
dove è riferito ad attrici o a donne eccentriche, considerate – a torto o a ra-
gione – di dubbia moralità). Abbiamo tradotto con il termine «madama», an-
che pensando alla celebre «Madama Pace» dei pirandelliani Sei personaggi
in cerca d’autore, di professione tenutaria di un bordello.
38 HENRIK IBSEN

SIGNORA RUMMEL Naturalmente non andò bene. Quali genitori


avrebbero affidato i propri figli ad una del genere? Ma non
durò neppure a lungo per lei; la bella madama non era certo
abituata a lavorare; ebbe una malattia di petto e morì.
SIGNORA LYNGE Uh, questa è proprio una brutta storia!
SIGNORA RUMMEL Sì, lo creda, è stata dura da sopportare per i
Bernick. È quella macchia nera sul loro sole di felicità, come
una volta si espresse Rummel. Perciò non parli mai della cosa
qui in casa, signora Lynge.
SIGNORA HOLT E, per l’amor di Dio, nemmeno della sorellastra!
SIGNORA LYNGE Ah, la signora Bernick ha anche una sorellastra?
SIGNORA RUMMEL Ha avuto – fortunatamente; perché adesso
la parentela è ben finita tra le due. Eh sì, era una proprio a mo-
do suo! Si immagini, si tagliò i capelli, e poi girava con stivali da
uomo quando pioveva.
SIGNORA HOLT E quando il fratellastro – quel figliuol prodigo –
fuggì, e tutta la città, ovviamente, si indignò contro di lui, – lo sa
cosa fa, lei? Parte per raggiungerlo!
SIGNORA RUMMEL Sì, ma lo scandalo che fece prima di partire,
signora Holt!
SIGNORA HOLT Zitta, non parli di questo.
SIGNORA LYNGE Dio mio, anche lei fece scandalo?
SIGNORA RUMMEL Oh sì, stia a sentire adesso, signora Lynge.
Bernick si era appena fidanzato con Betty Tønnesen; e proprio
quando la porta sotto braccio dalla zia di lei, per annunciarlo –
SIGNORA HOLT I Tønnesen erano infatti senza genitori, deve sa-
pere –
SIGNORA RUMMEL – ecco che Lona Hessel si alza dalla sedia su
cui sta seduta e dà a quell’elegante e beneducato di Karsten
Bernick uno schiaffo, così da farglielo rimbombare dentro.
SIGNORA LYNGE No, davvero non ho mai –!
SIGNORA HOLT Sì, è assolutamente vero.
SIGNORA RUMMEL E poi si è preparata la valigia ed è partita per
l’America.
SIGNORA LYNGE Ma allora lei stessa deve avere certamente
avuto del tenero per lui.
SIGNORA RUMMEL Sì che lo ebbe, può crederci. Veniva qui a
fantasticare che sarebbero diventati una coppia, quando lui fos-
se tornato a casa da Parigi.
SIGNORA HOLT Sì, pensi, lei poter credere una cosa simile! Ber-
nick, – quel giovane elegante uomo di mondo, – un perfetto ca-
valiere, – il beniamino di tutte le dame –
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 39

SIGNORA RUMMEL – e così perbene tuttavia, signora Holt; e così


morigerato.
SIGNORA LYNGE Ma che cosa ha fatto questa signorina Hessel
in America?
SIGNORA RUMMEL Be’, vede, sulla cosa, come una volta si
espresse Rummel, è steso un velo, che non bisognerebbe solle-
vare.
SIGNORA LYNGE Che cosa significa?
SIGNORA RUMMEL Lei non è più in contatto con la famiglia, ca-
pisce; ma tutta la città sa bene che ha cantato per soldi nelle lo-
cande, laggiù –
SIGNORA HOLT – e che ha tenuto delle conferenze –
SIGNORA RUMMEL – e che ha pubblicato un libro del tutto in-
sensato.
SIGNORA LYNGE No, pensi –!
SIGNORA RUMMEL Oh sì, Lona Hessel è anche lei un’altra mac-
chia sul sole della felicità della famiglia Bernick. Ma adesso è al
corrente della cosa, signora Lynge. Io ne ho parlato, Dio lo sa,
soltanto perché lei possa controllarsi.
SIGNORA LYNGE Certamente, può stare tranquilla che lo farò. –
Ma quella povera Dina Dorf! Mi dispiace proprio per lei.
SIGNORA RUMMEL Al contrario, per lei è stata davvero una for-
tuna. Pensi se fosse rimasta nelle mani dei genitori! Noi natu-
ralmente ci siamo presi cura di lei, tutti insieme, e l’abbiamo
esortata come meglio abbiamo potuto. Poi la signorina Bernick
ebbe il permesso di farla venire qui in casa.
SIGNORA HOLT Ma è sempre stata una bambina difficile. Si im-
magini, – tutti quei cattivi esempi. Una di quel genere non è
certo come una dei nostri; si deve prendere con le buone, signo-
ra Lynge.
SIGNORA RUMMEL Zitte, – ecco che viene. (Ad alta voce.) Sì,
quella Dina, è proprio una ragazza capace. Oh, sei tu lì, Dina?
Noi siamo sedute qui a trascurare il lavoro.
SIGNORA HOLT Ah, il tuo caffè ha un aroma delizioso, dolce Di-
na. Una tazza di caffè del genere a metà mattinata –
SIGNORA BERNICK (fuori sulla scalinata del giardino) Accomo-
datevi, mie signore!

(La signorina Bernick e Dina, nel frattempo, hanno aiutato la do-


mestica a portare l’occorrente per il caffè. Tutte le dame prendono
posto fuori; parlano in modo eccessivamente gentile a Dina. Dopo
poco lei entra nella sala e cerca il suo lavoro di cucito.)
40 HENRIK IBSEN

SIGNORA BERNICK (fuori, vicino al tavolo del caffè) Dina, non


vuoi anche tu –?
DINA No grazie; non voglio.

(Sta accanto al suo lavoro di cucito. La signora Bernick e il pro-


fessore si scambiano alcune parole; un attimo dopo lui entra nella
sala.)

PROFESSOR RØRLUND (finge di andare a fare qualcosa sul tavo-


lo e dice a bassa voce) Dina.
DINA Sì.
PROFESSOR RØRLUND Perché non vuole stare fuori?
DINA Quando sono entrata con il caffè, ho potuto vedere dall’e-
spressione della dama straniera che avevano parlato di me.
PROFESSOR RØRLUND E non ha visto, pure, quanto gentile sia
stata con lei lì fuori.
DINA Ma questo non lo sopporto!
PROFESSOR RØRLUND Lei ha un animo ribelle, Dina.
DINA Sì.
PROFESSOR RØRLUND Ma perché ce l’ha?
DINA Io non sono diversamente.
PROFESSOR RØRLUND Non potrebbe provare a diventare diver-
samente?
DINA No.
PROFESSOR RØRLUND Perché no?
DINA (lo guarda) Io appartengo a quelli moralmente corrotti.
PROFESSOR RØRLUND Vergogna, Dina!
DINA Anche mia madre apparteneva a quelli moralmente cor-
rotti.
PROFESSOR RØRLUND Chi le ha parlato di simili cose?
DINA Nessuno; non parlano mai. Perché non lo fanno! Tutti
quanti mi trattano con così tanta cautela, come se potessi anda-
re in pezzi, se –. Oh, quanto odio tutta questa bontà di cuore.
PROFESSOR RØRLUND Cara Dina, capisco bene che lei si senta
oppressa qui, ma –
DINA Sì, magari potessi andare molto lontano. Riuscirei certo a
farmi la mia strada, se soltanto non vivessi tra persone che sono
così – così –
PROFESSOR RØRLUND Così come?
DINA Così perbene e così morigerate.
PROFESSOR RØRLUND Ma, Dina, lei non vuol intendere questo.
DINA Ah, lei sa bene quanto io lo voglia intendere. Ogni giorno
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 41

arrivano qui Hilda e Netta perché le prenda a modello. Io non


potrò mai diventare così perbene come loro. Io non voglio di-
ventarlo. Ah, se fossi molto lontano, allora sì che diventerei
brava.
PROFESSOR RØRLUND Ma lei è brava, cara Dina.
DINA A cosa mi serve qui?
PROFESSOR RØRLUND Dunque partire –. Pensa seriamente a
questo?
DINA Non rimarrei un giorno di più qui, se non ci fosse lei.
PROFESSOR RØRLUND Mi dica sul serio, Dina, – perché sta così
volentieri insieme a me.
DINA Perché mi insegna così tante cose belle.18
PROFESSOR RØRLUND Cose belle? Lei definisce qualcosa di bel-
lo, ciò che io posso insegnarle?
DINA Sì. Oppure in realtà – lei non mi insegna nulla; ma quando
la sento parlare, mi succede di vedere così tante cose belle.
PROFESSOR RØRLUND Cosa intende lei, precisamente, per una
cosa bella?
DINA Non ci ho mai pensato.
PROFESSOR RØRLUND Allora ci pensi adesso. Cosa intende lei
per una cosa bella?
DINA Una cosa bella è qualcosa di grande – e molto lontana.
PROFESSOR RØRLUND Hm. – Cara Dina, sono così profonda-
mente preoccupato per lei.
DINA Solo questo?
PROFESSOR RØRLUND Lei sa bene quanto mi sia infinitamente
cara.
DINA Se io fossi Hilda o Netta, non avrebbe timore di lasciare
che qualcuno lo notasse.
PROFESSOR RØRLUND Oh, Dina, lei può giudicare così poco i
mille riguardi –. Quando ad un uomo si richiede di essere un
sostegno morale per la società in cui vive, allora –; non si può
essere mai abbastanza prudenti. Se io avessi la certezza che gli
altri sapessero interpretare correttamente le mie ragioni –. Ma
non importa; lei deve essere e sarà aiutata a sollevarsi. Dina, mi

18
I sostegni della società non è un capolavoro, ma è il prologo di molti capo-
lavori. Ibsen vi sperimenta, come in nuce, personaggi e situazioni che ritrove-
remo, più tardi, artisticamente realizzati. Questa Dina pronta a sposare un
professore che non ama, ma che le insegna delle cose, che soddisfa parzial-
mente la sua esigenza di emancipazione, prepara la Bolette de La signora del
mare.
42 HENRIK IBSEN

fa la promessa che, quando io verrò – quando le circostanze mi


consentiranno di venire – e dirò: qui è la mia mano, – allora lei
la prenderà e sarà mia moglie? – Mi promette questo, Dina?
DINA Sì.
PROFESSOR RØRLUND Grazie, grazie! Perché anche per me –.
Oh, Dina, lei mi è davvero così cara –. Zitti; arriva qualcuno.
Dina, lo faccia per me, – vada fuori dagli altri.

(Lei esce in direzione del tavolo del caffè. Nello stesso momento il
grossista Rummel, il commerciante Sandstad e il commerciante Vi-
geland escono dalla stanza anteriore a sinistra, seguiti dal console
Bernick, che ha un fascio di carte in mano.)

CONSOLE BERNICK D’accordo, la cosa dunque è fatta.


COMMERCIANTE VIGELAND Sì, in nome di Dio, speriamo che sia
così.
GROSSISTA RUMMEL È fatta, Bernick! La parola di un norman-
no è solida come una roccia del Dovrefjeld,19 tu lo sai!
CONSOLE BERNICK E nessun ripensamento; nessuna rinuncia,
qualsiasi siano le resistenze che incontreremo.
GROSSISTA RUMMEL Noi vinciamo e perdiamo insieme, Bernick!
HILMAR TØNNESEN (che si è affacciato dalla porta che dà sul
giardino) Perdete? Con permesso, non è la ferrovia, che perde?
CONSOLE BERNICK No, al contrario; è in procinto di partire –
GROSSISTA RUMMEL – a vapore, signor Tønnesen
HILMAR TØNNESEN (più vicino) Davvero?
PROFESSOR RØRLUND Come?
SIGNORA BERNICK (sulla porta sul giardino) Ma, caro Karsten,
cos’è che davvero –?
CONSOLE BERNICK Ah, cara Betty, ma come può interessare a te
questa faccenda? (Ai tre uomini.) Adesso, però, dobbiamo com-
pilare le liste, il più presto possibile. Noi quattro le sottoscrivia-
mo per primi, è ovvio. La posizione che occupiamo nella società
ci obbliga a spingerci il più lontano possibile.
COMMERCIANTE SANDSTAD Si capisce, signor console.
GROSSISTA RUMMEL Deve andare, Bernick; è giurato.
CONSOLE BERNICK Ah sicuro, non sono affatto timoroso del ri-

19
Famoso massiccio montuoso, nella regione a sud della città di Trondheim.
Qui viene localizzata da Ibsen la reggia del vecchio di Dovre, dove si riuni-
scono i trold e gli spiriti della montagna nel giovanile Peer Gynt. (Sandra Co-
lella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 43

sultato. Dobbiamo metterci in azione, ognuno nella propria cer-


chia di conoscenze; e se riusciremo a dimostrare una partecipa-
zione entusiasta di tutte le componenti sociali, verrà da sé, poi,
che anche il comune dovrà dare il suo contributo.
SIGNORA BERNICK Ma, Karsten, devi pur venire fuori a raccon-
tarci –
CONSOLE BERNICK Ah, cara Betty, è qualcosa in cui le signore
non possono mettersi in mezzo.
HILMAR TØNNESEN Ma tu vuoi davvero occuparti della faccen-
da della ferrovia nonostante tutto?
CONSOLE BERNICK Sì, naturalmente.
PROFESSOR RØRLUND Ma l’anno scorso, signor console –?
CONSOLE BERNICK L’anno scorso era tutta un’altra cosa. Allora
si parlava di una linea costiera –
COMMERCIANTE VIGELAND – che sarebbe stata del tutto super-
flua, signor professore; perché noi abbiamo già dei vapori –
COMMERCIANTE SANDSTAD – e che sarebbe stata così irragio-
nevolmente costosa –
GROSSISTA RUMMEL – sì, e che francamente avrebbe danneggia-
to interessi capitali qui in città.
CONSOLE BERNICK Il motivo principale è che non sarebbe stata
vantaggiosa per la società in senso lato. Perciò mi sono oppo-
sto, e di conseguenza è stata stabilita una linea interna.
HILMAR TØNNESEN Sì, ma non toccherà però le città qui intorno.
CONSOLE BERNICK Toccherà la nostra città, mio caro Hilmar;
perché adesso costruiamo una linea secondaria fin qui.20
HILMAR TØNNESEN Aha; una nuova trovata dunque.
GROSSISTA RUMMEL Sì, non è una eccellente trovata? Eh?
PROFESSOR RØRLUND Hm –
COMMERCIANTE VIGELAND Non si può negare che è come se la
Provvidenza avesse preparato il terreno per una linea secondaria.
PROFESSOR RØRLUND Dice davvero, signor Vigeland?

20
Se fino all’anno precedente il console e i suoi amici erano stati d’accordo nel-
l’osteggiare la linea ferroviaria costiera, essendo i loro interessi economici lega-
ti allo sviluppo del trasporto marittimo, adesso, evidentemente, grazie alla tro-
vata della linea secondaria, sono tutti presi dal grande affare della ferrovia. Ne I
sostegni della società si trovano un po’ tutte le novità della società norvegese di
metà secolo: la linea ferroviaria; lo sviluppo delle città costiere grazie al com-
mercio marittimo con l’Inghilterra e il conseguente rafforzamento della classe
borghese imprenditoriale; l’arrivo dei nuovi macchinari industriali inglesi e le
conseguenti agitazioni politiche dei lavoratori (cfr n. 9); l’ideale degli Stati Uni-
ti d’America, terra di emigrazione ma anche di libertà. (Sandra Colella)
44 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK Sì, devo confessare che anch’io considero co-


me un segno del destino il fatto che in primavera mi sia recato
su per affari e così, per caso, sia arrivato in una valle dove non
ero mai stato prima. Come un lampo mi è balenato che doveva
essere possibile, lì, costruire una linea secondaria fin giù da noi.
Ho fatto in modo che un ingegnere ispezionasse il territorio; qui
ho i calcoli preliminari e i preventivi; non c’è nessun ostacolo.
SIGNORA BERNICK (ancora, insieme alle dame di cui sopra, sulla
porta che dà sul giardino) Ma, caro Karsten, ci hai tenuto tutto
questo nascosto.
CONSOLE BERNICK Ah, mia buona Betty, non avreste potuto
comprendere la questione nel suo complesso. Peraltro non ne
ho parlato con anima viva prima di oggi. Ma adesso è arrivato il
momento decisivo; adesso bisogna agire apertamente, qui, e
con tutta la forza. Sì, anche se devo impegnare tutta la mia esi-
stenza in questa faccenda, ebbene la porterò a termine.
GROSSISTA RUMMEL E noi con te, Bernick; ci puoi contare.
PROFESSOR RØRLUND Si ripromettono davvero così tanto da
questo progetto, miei signori?
CONSOLE BERNICK Sì, sono sicuro. Quale leva non diventerebbe
per l’intera nostra società? Pensi solo alle grandi distese boschi-
ve, che saranno rese accessibili; pensi ai ricchi giacimenti metal-
liferi, che possono essere sfruttati; pensi al fiume con una casca-
ta sull’altra! Quale attività industriale non si potrà sviluppare lì?
PROFESSOR RØRLUND E non ha timore che una frequentazione
più assidua con un corrotto mondo esterno –?
CONSOLE BERNICK No, stia del tutto tranquillo, signor professo-
re. Il nostro piccolo laborioso luogo si fonda, Dio sia lodato, su
un sano terreno morale ai nostri giorni; noi tutti abbiamo aiuta-
to a bonificarlo, se così posso dire; e questo continueremo a fa-
re, ognuno a suo modo. Lei, signor professore, continuerà la sua
benefica attività nella scuola e nella famiglia. Noi, uomini di la-
voro pratico, sosteniamo la società diffondendo benessere nella
più ampia cerchia possibile di persone; – e le nostre donne, – sì,
vengano più vicino, le mie dame; possono ben sentire ciò –; le
nostre donne, io dico, le nostre mogli e figlie, – sì, lavorino indi-
sturbate nel servizio della beneficenza, le mie dame, e siano
inoltre un aiuto e un conforto per i loro cari, così come la mia
cara Betty e Marta sono per me e Olaf – (Si guarda in giro.) Sì,
dov’è finito Olaf, oggi?
SIGNORA BERNICK Oh, in vacanza adesso non è possibile tratte-
nerlo a casa.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 45

CONSOLE BERNICK Allora è sicuramente di nuovo giù vicino al


mare! Vedrai, non la smetterà prima che accada una disgrazia.
HILMAR TØNNESEN Bah – un piccolo gioco con le forze della na-
tura –
SIGNORA RUMMEL Quanto è bello da parte sua che abbia un co-
sì forte senso della famiglia, signor Bernick.
CONSOLE BERNICK Eh, la famiglia è proprio il nucleo della so-
cietà. Un sano focolare, amici leali e fedeli, una piccola cerchia
ben chiusa, dove nessun elemento di disturbo entri a gettare la
sua ombra –

(L’amministratore Krap entra con lettere e giornali da destra.)

AMMINISTRATORE KRAP Posta dall’estero, signor console; – e un


telegramma da New York.
CONSOLE BERNICK (lo prende) Ah, dalla compagnia armatrice
dell’“Indian Girl”.
GROSSISTA RUMMEL È arrivata la posta, dunque? Be’, allora de-
vo accomiatarmi.
COMMERCIANTE VIGELAND Sì, anch’io.
COMMERCIANTE SANDSTAD Arrivederla, signor console.
CONSOLE BERNICK Arrivederci, arrivederci, miei signori. E si ri-
cordino, abbiamo appuntamento nel pomeriggio alle cinque.
I TRE SIGNORI Sì; sì certo; si capisce.

(Escono a destra.)

CONSOLE BERNICK (che ha letto il telegramma) No, questo è pro-


prio tipicamente americano! Assolutamente sconvolgente –
SIGNORA BERNICK Dio mio, Karsten, che c’è?
CONSOLE BERNICK Guardi qui, signor Krap; legga!
AMMINISTRATORE KRAP (legge) «Fare il minimo indispensabile
per la riparazione; mandare l’“Indian Girl” indietro non appe-
na sia pronta a salpare; buona stagione; nel peggiore dei casi
mantenerla a galla con il peso.» Be’, devo dire che –
CONSOLE BERNICK Mantenerla a galla con il peso! Quei signori
sanno bene che con quel peso la nave va a picco come una pie-
tra, se succede qualcosa.21

21
Si allude, qui, alla questione delle coffin ships, «bare galleggianti», corri-
spondenti alle odierne carrette del mare. Contro le coffin ships Samuel Plim-
soll (1824-1898), uomo politico inglese, portò avanti una violenta battaglia
46 HENRIK IBSEN

PROFESSOR RØRLUND Sì, qui si vede come vanno le cose in que-


ste elogiate grandi società.
CONSOLE BERNICK Ha proprio ragione; nessun rispetto per la
vita umana, non appena entra in gioco il profitto. (A Krap.) Può
andare per mare l’“Indian Girl” tra quattro-cinque giorni?
AMMINISTRATORE KRAP Sì, a patto che il commerciante Vige-
land accetti che fermiamo il lavoro sul “Palma” nel frattempo.
CONSOLE BERNICK Hm, non lo farà. Intanto, guardi un po’ la po-
sta. Senta, non ha visto Olaf giù al molo?
AMMINISTRATORE KRAP No, signor console.

(Entra nella stanza anteriore a sinistra.)

CONSOLE BERNICK (guarda di nuovo il telegramma) Diciotto vi-


te umane, che quei signori non si preoccupano di mettere in
gioco –
HILMAR TØNNESEN Ma sì, è la propensione del marinaio sfidare
gli elementi; ci dev’essere una certa eccitazione nervosa in una
tale condizione, con un sottile legno tra sé e l’abisso –
CONSOLE BERNICK Sì, vorrei vedere un armatore, da noi, che ac-
consentisse a qualcosa del genere! Non uno, non uno solo –
(Adocchia Olaf.) Ah, Dio sia lodato, è sano e salvo.

(Olaf, con una lenza in mano, è arrivato di corsa dalla strada ed è


entrato dalla porta del giardino.)

OLAF (ancora in giardino) Zio Hilmar, sono stato giù e ho visto


il vapore.
CONSOLE BERNICK Sei stato di nuovo al molo?
OLAF No, ero soltanto fuori in barca. Ma pensa, zio Hilmar, è
sbarcata un’intera compagnia di cavallerizzi con cavalli e ani-
mali; e c’erano anche tantissimi passeggeri.
SIGNORA RUMMEL No, davvero vedremo i cavallerizzi!
PROFESSOR RØRLUND Noi? Non lo credo affatto.
SIGNORA RUMMEL No, naturalmente non noi, ma –
DINA Io vedrei volentieri dei cavallerizzi.
OLAF Sì, anch’io.
HILMAR TØNNESEN Tu sei un allocco. Che è questo da vedere?
È un puro addestramento. No, è una cosa ben diversa vedere i

politica e sociale, volta a migliorare le condizioni di vita dei marinai. (Sandra


Colella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 47

Gaucho andare a caccia attraverso le Pampas sui loro sbuffanti


mustang.22 Ma, Dio mi guardi, qui, in un piccolo posto –
OLAF (tira la signorina Bernick) Zia Marta, guarda, guarda – ar-
rivano!
SIGNORA HOLT Sì, mio Dio, sono qui.
SIGNORA LYNGE Uff, che uomini orribili!

(Molti passeggeri e un folto gruppo di gente della città arrivano su


per la strada.)

SIGNORA RUMMEL Sì, sono veri e propri saltimbanchi. Guardi


quella con il vestito grigio, signora Holt; porta la sacca da viag-
gio sulle spalle.
SIGNORA HOLT Sì, pensi, la porta sul manico del parasole! È di
sicuro la madama del direttore.
SIGNORA RUMMEL E quello lì sarà proprio il direttore; quello
con la barba. Sì, sembra proprio un brigante. Non guardarlo,
Hilda!
SIGNORA HOLT Nemmeno tu, Netta!
OLAF Mamma, il direttore ci saluta.
CONSOLE BERNICK Che cosa?
SIGNORA BERNICK Che dici, piccolo?
SIGNORA RUMMEL Sì, mio Dio, saluta anche la femmina!23
CONSOLE BERNICK No, questo è troppo volgare!
SIGNORINA BERNICK (con un’esclamazione involontaria) Ah –!
SIGNORA BERNICK Che c’è, Marta?
SIGNORINA BERNICK Oh no, nulla; mi era sembrato proprio –
OLAF (grida di gioia) Guarda, guarda, arrivano gli altri con i ca-
valli e gli animali! E lì ci sono anche gli americani! Tutti i mari-
nai dell’“Indian Girl” –

22
Mustang, piccoli e resistenti cavalli selvatici di razza spagnola, importati in
Messico e nel sud-ovest degli Stati Uniti, dove venivano lasciati liberi di pa-
scolare autonomamente in inverno, salvo essere ricatturati in primavera. Il
termine è inglese, derivato da una parola messicana, calco, a sua volta, di una
parola spagnola. (Sandra Colella)
23
Fruentimmer, «femmina», solo 22 ricorrenze in tutto Ibsen, con un valore
sempre leggermente più negativo rispetto a kvinde, «donna», 511 frequenze.
Naturalmente i traduttori (italiani ma anche stranieri) nemmeno si accorgo-
no di questa differenza.
48 HENRIK IBSEN

(Si sente «Yankee Doodle»24 accompagnata da clarinetto e tam-


buro.)

HILMAR TØNNESEN (si tura le orecchie) Uff, uff, uff!


PROFESSOR RØRLUND Credo che dovremmo isolarci un pochet-
tino, le mie dame; questo non fa per noi. Torniamo di nuovo al
nostro lavoro.
SIGNORA BERNICK Dovremmo forse accostare le tende?
PROFESSOR RØRLUND Sì, era proprio quello che pensavo.

(Le dame riprendono il proprio posto al tavolo; il professore chiu-


de la porta che dà sul giardino e accosta le tende di questa e delle
finestre; nella sala c’è semioscurità.)

OLAF (che sbircia fuori) Mamma, adesso la madama del diretto-


re sta vicino alla fontana e si lava il viso.
SIGNORA BERNICK Cosa? In mezzo alla piazza!
SIGNORA RUMMEL E in pieno giorno!
HILMAR TØNNESEN Be’, se mi trovassi ad attraversare il deserto
e mi imbattessi in una cisterna, io non ci penserei due volte a –.
Uff, quel terribile clarinetto!
PROFESSOR RØRLUND È un vero e proprio invito a far interve-
nire la polizia.
CONSOLE BERNICK Macché; con gli stranieri non bisogna essere
così rigidi; è gente che non ha certo quel ben radicato senso di
decenza che fa restar noi nei giusti limiti. Lasciamoli pure an-
dare fuori strada. Che ci importa? Tutto questo disordine, che si
erge contro la tradizione e i buoni costumi, fortunatamente non
ha nulla a che fare con la nostra società, se così posso dire. – Ma
che succede!

(La dama straniera si introduce rapidamente in casa attraverso la


porta a destra.)25
24
Yankee Doodle (più precisamente Yankee Doodle Dandy) è una canzone
popolare che negli Stati Uniti è assurta quasi a dignità di inno nazionale. Ma
la melodia era impiegata dagli Inglesi, per insultare gli Americani, prima del-
la guerra di indipendenza americana. (Sandra Colella)
25
La misteriosa «dama» è la «signorina Hessel», sorellastra della moglie di
Bernick. Si tratta di un uso drammaturgico un po’ antiquato. Ibsen la presen-
ta inizialmente come una anonima «dama», ma, a partire dal momento in cui
viene riconosciuta, la introduce come «signorina Hessel»: dalla formula più
generica a quella individualizzante.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 49

SIGNORE (spaventate ma a bassa voce) La cavallerizza! La ma-


dama del direttore!
SIGNORA BERNICK Mio Dio, che significa!
SIGNORINA BERNICK (sobbalza) Ah –!
LA DAMA Buon giorno, cara Betty! Buon giorno Marta! Buon
giorno cognato!
SIGNORA BERNICK (con un grido) Lona –!
CONSOLE BERNICK (barcollando fa un passo indietro) Quanto è
vero che sono vivo –!
SIGNORA HOLT Ma, misericordia –!
SIGNORA RUMMEL Non può essere possibile –!
HILMAR TØNNESEN Oh; uff!
SIGNORA BERNICK Lona –! È proprio vero –?
SIGNORINA HESSEL Se sono io? Sì, sull’anima mia è così; potre-
ste anche gettarmi le braccia al collo per questo motivo.
HILMAR TØNNESEN Uff; uff!
SIGNORA BERNICK E tu vieni qui come –?
CONSOLE BERNICK – e vuoi davvero esibirti –?
SIGNORINA HESSEL Esibirmi? Come esibirmi?
CONSOLE BERNICK Sì, intendo – con i cavallerizzi –
SIGNORINA HESSEL Hahaha! Sei pazzo, cognato? Tu credi che io
faccia parte dei cavallerizzi? No; è vero che ho praticato molte
arti e mi sono resa ridicola in molti modi –
SIGNORA RUMMEL Hm –
SIGNORINA HESSEL – ma l’arte di cavalcare non l’ho mai impa-
rata.
CONSOLE BERNICK Dunque, allora non –
SIGNORA BERNICK Ah, Dio sia lodato!
SIGNORINA HESSEL No, noi siamo venuti proprio come altra
gente perbene, – è vero, in seconda classe, ma a questo siamo
abituati.
SIGNORA BERNICK Noi, tu dici?
CONSOLE BERNICK (un passo più vicino) Quali noi?
SIGNORINA HESSEL Io e il bambino, naturalmente.
SIGNORE (con un grido) Il bambino!
HILMAR TØNNESEN Cosa!
PROFESSOR RØRLUND Ora, devo dire che –!
SIGNORA BERNICK Ma cosa intendi dire, Lona?
SIGNORINA HESSEL Intendo dire naturalmente John; io non ho
nessun altro figlio se non John, per quanto ne sappia, – o Johan,
come lo chiamavate.
SIGNORA BERNICK Johan –!
50 HENRIK IBSEN

SIGNORA RUMMEL (sottovoce alla signora Lynge) Quel figliuol


prodigo del fratello!
CONSOLE BERNICK (esitando) Johan è con te?
SIGNORINA HESSEL Certamente; certamente; io non mi muovo
senza di lui. Ma voi avete un’aria così triste. E poi siete seduti
qui nella penombra a cucire qualcosa di bianco. Non è che c’è
un lutto in famiglia?26
PROFESSOR RØRLUND Mia signorina, lei si trova, qui, nell’asso-
ciazione per i moralmente corrotti –27
SIGNORINA HESSEL (a mezza voce) Ma cosa dice? Queste belle
tranquille dame dovrebbero essere –?
SIGNORA RUMMEL No, ora devo dire –!
SIGNORINA HESSEL Ah, capisco, capisco! Ma diamine, è proprio
la signora Rummel! E lì è seduta anche la signora Holt! Be’,
noi tre non siamo diventate più giovani dall’ultima volta. Ma
adesso ascoltatemi, buona gente; lasciamo che i moralmente
corrotti aspettino un giorno; non peggioreranno certo. Un mo-
mento di gioia come questo –
PROFESSOR RØRLUND Un ritorno a casa non è sempre un mo-
mento di gioia.
SIGNORINA HESSEL Ah sì? Come legge lei la sua Bibbia, signor
pastore?
PROFESSOR RØRLUND Io non sono un pastore.
SIGNORINA HESSEL Be’, lo diventerà di sicuro. – Ma vergogna,
vergogna, vergogna, – questa biancheria morale ha un odore
così corrotto, – proprio come un sudario. Sono abituata all’aria
delle praterie, io, devo dire.
CONSOLE BERNICK (si asciuga la fronte) Sì, c’è davvero qualcosa
di soffocante qui dentro.
SIGNORINA HESSEL Aspetta, aspetta; possiamo ben venir fuori
dal sotterraneo della tomba. (Scosta le tende a lato.) Ci deve es-

26
Anche in Norvegia, come in tutto il mondo occidentale, il colore del lutto è
il nero. Unica eccezione è la morte dei bambini, circostanza in cui il colore
bianco assume tale triste connotazione. Si potrebbe spiegare, in tal modo,
l’associazione mentale che Lona Hessel fa nel vedere le signore intente a cu-
cire «qualcosa di bianco». (Sandra Colella)
27
Una delle tante associazioni di stampo religioso che si svilupparono intor-
no alla metà del secolo in Norvegia, a difesa della moralità e per venire in
aiuto agli indigenti e a coloro che, per vari motivi, erano emarginati dalla so-
cietà. (Sandra Colella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 51

sere piena luce qui, quando il ragazzo arriva. Sì, vedrete un ra-
gazzo che si è lavato –28
HILMAR TØNNESEN Uff!
SIGNORINA HESSEL (apre la porta e le finestre) – Sì, vale a dire
quando si sarà lavato – su in albergo; perché sul vapore si è
sporcato come un maiale.
HILMAR TØNNESEN Uff, uff!
SIGNORINA HESSEL Uff? Ma sì, non può essere vero –! (Indica
Hilmar e chiede agli altri.) Lui sta ancora qui ad oziare e a dire
uff?
HILMAR TØNNESEN Io non ozio; sto qui a causa della mia ma-
lattia.29
PROFESSOR RØRLUND Hm, mie signore, io non credo –
SIGNORINA HESSEL (che ha adocchiato Olaf) È tuo, Betty, que-
sto? – Dammi la zampa, ragazzo! Oppure hai forse paura della
tua vecchia brutta zia?
PROFESSOR RØRLUND (mentre prende il suo libro sotto il brac-
cio) Le mie dame, non credo che ci sia l’atmosfera per lavorare
oltre, oggi. Ma domani, certo, ci incontriamo?
SIGNORINA HESSEL (mentre le dame estranee alla famiglia si al-
zano per salutare) Sì, facciamolo. Sarò puntuale.
PROFESSOR RØRLUND Lei? Con permesso, signorina, cosa vuol
fare lei nella nostra associazione?
SIGNORINA HESSEL Voglio cambiare l’aria, signor pastore.

28
Ibsen allude qui all’antica usanza dei Vichinghi di sottoporre i bambini a
una prova di forza, consistente nel lavarsi in una pozza d’acqua fra i ghiacci.
Il suo superamento era indice di coraggio virile. (Sandra Colella)
29
Nel personaggio secondario di Hilmar Tønnesen, che si trascina la sua ma-
lattia, abbiamo un altro incunabolo de La signora del mare, la figura del gio-
vane scultore tisico Lyngstrand.
SECONDO ATTO

(Sala sul giardino in casa del console Bernick.)

(La signora Bernick siede da sola al tavolo da lavoro con il suo


cucito. Poco dopo entra da destra il console Bernick con cappello
in testa, guanti e bastone.)

SIGNORA BERNICK Rientri a casa, Karsten?


CONSOLE BERNICK Sì. C’è qualcuno che devo incontrare.
SIGNORA BERNICK (con un sospiro) Oh sì, Johan viene certa-
mente quaggiù di nuovo, immagino.
CONSOLE BERNICK Si tratta di un tale, invece. (Si toglie il cap-
pello.) Dove sono finite tutte le signore oggi?
SIGNORA BERNICK La signora Rummel e Hilda non avevano
tempo.
CONSOLE BERNICK Ah sì? Hanno avvisato?
SIGNORA BERNICK Sì; avevano così tanto da fare a casa.
CONSOLE BERNICK Si capisce. E naturalmente neppure le altre
vengono?
SIGNORA BERNICK No, anche loro sono assenti oggi.
CONSOLE BERNICK L’avrei potuto dire in anticipo. Che fine ha
fatto Olaf?
SIGNORA BERNICK L’ho lasciato andare un po’ fuori con Dina.
CONSOLE BERNICK Hm; Dina, quella spudorata di una sgual-
drina –. Che potesse subito familiarizzare tanto con Johan,
ieri –!
SIGNORA BERNICK Ma, caro Karsten, Dina non sa affatto –
CONSOLE BERNICK Sì, ma almeno Johan avrebbe dovuto avere
il tatto di non mostrarle alcuna attenzione. Ho visto bene che
occhiate ha dato, il commerciante Vigeland.
SIGNORA BERNICK (con il lavoro di cucito in grembo) Karsten,
riesci a capire cosa vogliono qui in casa?
CONSOLE BERNICK Hm; lui ha una fattoria laggiù, che di certo
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 53

non va troppo bene; e lei ha ben accennato ieri che hanno do-
vuto viaggiare in seconda classe –
SIGNORA BERNICK Sì, purtroppo, deve proprio essere qualcosa
del genere. Ma che lei lo abbia seguito! Lei! Dopo quella bruta-
le offesa che ti ha fatto –!
CONSOLE BERNICK Ah, non pensare a queste vecchie storie.
SIGNORA BERNICK Come posso pensare ad altro in questo mo-
mento? Lui è pur sempre mio fratello; – sì, ma non è per lui;
piuttosto tutto il fastidio che potrebbe causare a te –. Karsten,
io sono così mortalmente angosciata dal fatto che –
CONSOLE BERNICK Per che cosa sei angosciata?
SIGNORA BERNICK E se a qualcuno venisse l’idea di metterlo in
prigione per quei soldi che sparirono a tua madre?
CONSOLE BERNICK Ah, che sciocchezze! Chi può dimostrare
che quei soldi sparirono?
SIGNORA BERNICK Oh, Dio mio, questo lo sa tutta la città, pur-
troppo; e tu stesso hai detto –
CONSOLE BERNICK Io non ho detto nulla. La città non ha alcuna
informazione su quelle vicende; erano tutte quante voci senza
fondamento.
SIGNORA BERNICK Oh, come sei magnanimo, Karsten!
CONSOLE BERNICK Lascia perdere questi ricordi, ti dico! Non
sai quanto mi tormenti nel rivangare tutto ciò. (Va su e giù per
la stanza; quindi getta via il bastone.) Che dovessero anche ve-
nire a casa proprio adesso, – adesso, quando ho bisogno di un
atteggiamento assolutamente positivo sia in città che sulla
stampa. Si invieranno corrispondenze ai giornali nelle città vi-
cine. Sia che io li accolga bene, o che li accolga male, comunque
si discuterà e si investigherà. Si scaverà in tutta questa vecchia
faccenda, – come fai tu. In una società come la nostra –. (Butta i
guanti sul piano del tavolo.) E non ho una persona, qui, con cui
poter parlare e in cui poter trovare un sostegno.
SIGNORA BERNICK Proprio nessuna, Karsten?
CONSOLE BERNICK No, chi dovrebbe essere costei? – Averli alla
gola proprio adesso! Non c’è dubbio che faranno scandalo in
un modo o in un altro, – soprattutto lei. Non è una sciagura an-
che questa, avere tali persone nella propria famiglia!
SIGNORA BERNICK Sì, capisco, io non posso far nulla per –
CONSOLE BERNICK Per che cosa tu non puoi far nulla? Per il fat-
to che sei in parentela con loro? No, questo è del tutto certo.
SIGNORA BERNICK E non li ho nemmeno pregati di tornare a
casa.
54 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK Ecco qui; ci risiamo! Non li ho pregati di tor-


nare a casa; non ho scritto loro; non li ho tirati a casa per i ca-
pelli! Oh, so tutto l’elenco a memoria.
SIGNORA BERNICK (scoppia in lacrime) Ma tu sei pure così cat-
tivo –
CONSOLE BERNICK Sì, bene; mettiti a piangere, così la città avrà
anche questo su cui parlare. Lascia perdere con queste insensa-
tezze, Betty. Vai a sederti fuori; qui può venire qualcuno. Devo-
no vedere forse la madama con gli occhi rossi?30 Certo, sarebbe
delizioso se tra la gente si venisse a sapere che –. No, sento
qualcuno nell’ingresso. (Bussano.) Avanti!

(La signora Bernick esce attraverso la scalinata del giardino con il


suo lavoro da cucito. Il capocantiere Aune entra da destra.)

CAPOCANTIERE AUNE Buon giorno, signor console.


CONSOLE BERNICK Buon giorno. Be’, certo può indovinare, qual
è il motivo per cui l’ho fatta chiamare?
CAPOCANTIERE AUNE Ieri l’amministratore mi ha detto che il
console non sarebbe soddisfatto del –
CONSOLE BERNICK Io sono insoddisfatto dell’intera organizza-
zione del cantiere, Aune. Lei non sta concludendo nulla con le
navi danneggiate. Il “Palma” avrebbe dovuto salpare già molto
tempo fa. Il commerciante Vigeland viene qui ogni giorno ad
assillarmi; è un uomo difficile da avere come socio armatore.
CAPOCANTIERE AUNE Il “Palma” può salpare dopodomani.
CONSOLE BERNICK Finalmente. Ma l’americana, l’“Indian Girl”,
che è stata ferma qui per cinque settimane e –
CAPOCANTIERE AUNE L’americana? Mi è parso di capire che do-
vessimo prima di tutto concentrare tutte le energie sulla sua nave.
CONSOLE BERNICK Io non le ho dato nessun motivo di crederlo.
Bisognerebbe agire con la massima sollecitudine anche con l’a-
mericana; ma questo non succede.
CAPOCANTIERE AUNE L’imbarcazione è completamente marcia
nel fondo, signor console; quanto più la rattoppiamo tanto più
la roviniamo.
30
Abbiamo visto finora (e vedremo ancora) il sostantivo madam riferito al
personaggio della madre di Dina, che era una donna indubbiamente equivo-
ca, oppure a Lona, che appare molto trasgressiva agli occhi bigotti del paese
(cfr. n. 17). Qui il termine è indirizzato invece alla molto rispettabile signora
Bernick, ma – non casualmente – in un punto in cui la signora Bernick risulta
molto meno rispettabile, per via dei suoi familiari un po’ trasgressivi (o me-
glio, ingiustamente considerati tali).
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 55

CONSOLE BERNICK Non è da questo che dipende. L’amministra-


tore Krap mi ha detto tutta la verità. Lei non sa lavorare con i
nuovi macchinari che ho acquistato, – o, più precisamente, lei
non vuole lavorare con quelli.
CAPOCANTIERE AUNE Signor console, io sono ormai sui cin-
quant’anni; fin da ragazzo sono stato abituato al vecchio modo
di lavorare –
CONSOLE BERNICK Non possiamo usarlo al giorno d’oggi. Non
deve credere che sia per profitto, Aune; di quello fortunatamen-
te non ho bisogno; ma devo avere riguardo per la società in cui
vivo e per l’impresa di cui sono al vertice. È da me che devono
venire i progressi, altrimenti non verranno mai.
CAPOCANTIERE AUNE Anch’io desidero il progresso, signor
console.
CONSOLE BERNICK Sì, per la sua cerchia limitata, per il ceto de-
gli operai. Oh, conosco bene le sue agitazioni; lei tiene discorsi;
lei istiga la gente alla rivolta; ma quando si offre un concreto
progresso, come adesso con i nostri macchinari, lei non vuole
partecipare; diventa timoroso.
CAPOCANTIERE AUNE Sì, divento davvero timoroso, signor con-
sole; divento timoroso per quei molti cui i macchinari tolgono il
pane. Il console parla così spesso di avere riguardo per la so-
cietà; ma io penso che la società abbia anche i suoi doveri. Co-
me possono, la scienza e il capitale, introdurre nuove invenzio-
ni nel lavoro, prima che la società abbia formato una genera-
zione in grado di usarle?
CONSOLE BERNICK Lei legge e rimugina troppo, Aune; non ne
riceve nessun bene; è questo, che la rende insoddisfatto della
sua posizione.
CAPOCANTIERE AUNE Non è questo, signor console; ma io non
posso sopportare di vedere licenziati l’uno dietro l’altro e ri-
dotti senza pane dei bravi operai a causa di questi macchinari.
CONSOLE BERNICK Hm; quando fu inventata l’arte della stam-
pa, molti copisti rimasero senza pane.
CAPOCANTIERE AUNE Il console sarebbe stato così contento di
quell’invenzione, se in quel tempo fosse stato copista?
CONSOLE BERNICK Non le ho chiesto di venire a discutere. L’ho
fatta chiamare per dirle che la nostra danneggiata “Indian Girl”
dev’essere pronta a salpare dopodomani.
CAPOCANTIERE AUNE Ma, signor console –
CONSOLE BERNICK Dopodomani, ha sentito; nello stesso mo-
mento della nostra nave; non un’ora dopo. Ho i miei buoni moti-
56 HENRIK IBSEN

vi per affrettare la cosa. Ha letto il giornale di stamattina? Ecco,


allora sa che gli americani hanno di nuovo fatto trambusto. Que-
sta gentaglia depravata mette sottosopra tutta la città; non passa
notte, ormai, senza che qui ci siano risse nelle locande e per le
strade; delle ulteriori indecenze non voglio neppure parlare.
CAPOCANTIERE AUNE Sì, è chiaro che è brutta gente.
CONSOLE BERNICK E chi è che si prende la colpa per questo di-
sordine? Sono io! Sì, sono io che ci rimetto. Questi giornalisti
insinuano in maniera velata che noi impieghiamo tutta la ma-
nodopera per il “Palma”. Io, che ho il compito di influire con la
forza dell’esempio sui miei concittadini, devo lasciarmi gettare
in faccia offese simili. Questo non lo tollero. Non ci guadagno
nulla a far infangare in questo modo il mio nome.
CAPOCANTIERE AUNE Oh, il nome del console è così rispettabi-
le che può sopportare questo e altro.
CONSOLE BERNICK Non adesso; proprio in questo momento ho
bisogno di tutta la stima e la benevolenza che i miei concittadi-
ni possono concedermi. Ho in corso un grande progetto, come
lei ha ben sentito; ma se quei perfidi uomini riescono a far va-
cillare l’incondizionata fiducia nella mia persona, allora posso
incappare nelle più grandi difficoltà. Perciò voglio ad ogni prez-
zo evitare questi articoli malevoli e pettegoli, e perciò ho fissa-
to il termine a dopodomani.
CAPOCANTIERE AUNE Signor console, lei poteva benissimo fis-
sare il termine a oggi pomeriggio.
CONSOLE BERNICK Intende dire che pretendo cose impossibili?
CAPOCANTIERE AUNE Sì, con la manodopera che abbiamo
adesso –
CONSOLE BERNICK Bene; bene; – allora vedremo di rivolgerci
altrove.
CAPOCANTIERE AUNE Lei vuole davvero licenziare ancora altri
dei vecchi operai?
CONSOLE BERNICK No, non lo penso.
CAPOCANTIERE AUNE Perché credo proprio che questo semine-
rebbe zizzania sia in città che sui giornali, se lei lo facesse.
CONSOLE BERNICK Non improbabile; perciò lasciamo perdere.
Ma se l’“Indian Girl” non sarà pronta dopodomani, allora io li-
cenzio lei.
CAPOCANTIERE AUNE (con un soprassalto) Me! (Ride.) Ma lei
scherza, signor console.
CONSOLE BERNICK Non dovrebbe esserne così sicuro.
CAPOCANTIERE AUNE Lei potrebbe pensare di licenziare me?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 57

Me, quando mio padre e mio nonno hanno lavorato per una vi-
ta intera nel cantiere navale, e io stesso come loro –
CONSOLE BERNICK Chi è che mi costringe a questo?
CAPOCANTIERE AUNE Lei pretende cose impossibili, signor con-
sole.
CONSOLE BERNICK Oh, una forte volontà non conosce nessuna
impossibilità. Sì o no; mi risponda senza esitazione, altrimenti
lei ha il suo licenziamento su due piedi.
CAPOCANTIERE AUNE (un passo più vicino) Signor console, lei
ha riflettuto bene su cosa significhi licenziare un vecchio ope-
raio. Intende dire che egli dovrà trovarsi qualcos’altro? Oh sì,
certo che può; ma è tutto qui? Lei dovrebbe essere presente in
casa di un operaio licenziato in tal modo la sera in cui ritorna al
focolare e posa la cassetta degli attrezzi sulla soglia.
CONSOLE BERNICK Pensa che io la licenzi a cuor leggero? Non
sono sempre stato un padrone ragionevole?
CAPOCANTIERE AUNE Ancora peggio, signor console. Appunto
per questo a casa mia non daranno a lei la colpa; non mi diran-
no niente, perché non osano; ma mi guarderanno senza che io
me ne accorga e penseranno così: se lo dev’essere proprio me-
ritato. Lei capisce bene, questo – questo non lo posso sopporta-
re. Per quanto modesto io sia, sono sempre stato abituato ad
essere considerato il primo tra i miei. Anche la mia umile fami-
glia è una piccola società, signor console. Questa piccola società
l’ho potuta sostenere e tenere in piedi perché mia moglie ha
creduto in me, e perché i miei figli hanno creduto in me. E ades-
so tutto questo crollerà.
CONSOLE BERNICK Sì, se non si può fare in altro modo, allora ciò
che è di minore importanza deve cedere a ciò che è di maggiore
importanza; il singolo deve essere sacrificato in nome di Dio per
la collettività. Altro non so risponderle, e diversamente non va
di certo qui nel mondo. Ma lei è un uomo ostinato, Aune! Lei è
contro di me non perché non può fare altro, ma perché non vuo-
le riconoscere la superiorità dei macchinari sul lavoro manuale.
CAPOCANTIERE AUNE E lei persiste nel suo intento, signor con-
sole, perché sa che, se mi caccia via, convincerà se non altro la
stampa della sua buona volontà.
CONSOLE BERNICK E se pure fosse? Ha sentito in quale situa-
zione mi trovo, – o avere addosso la stampa oppure renderla
ben disposta verso di me proprio nel momento in cui lavoro per
qualcosa di grande a favore del bene pubblico. E allora cosa?
Posso comportarmi diversamente da come faccio? Posso dirle
58 HENRIK IBSEN

che qui si tratta di questo, o tenere in piedi la sua famiglia, co-


me lei dice, o abbandonare forse centinaia di nuove famiglie,
centinaia di famiglie che non si potranno mai fondare, non po-
tranno mai avere un comignolo fumante, se io non riesco a rea-
lizzare ciò per cui adesso mi sto dando da fare. Questo è il mo-
tivo, dunque, per cui io le ho dato la scelta.31
CAPOCANTIERE AUNE Certo, quando è così, allora non ho più
nulla da dire.
CONSOLE BERNICK Hm –; mio caro Aune, mi fa sinceramente
male che dobbiamo separarci.
CAPOCANTIERE AUNE Noi non ci separiamo, signor console.
CONSOLE BERNICK Come?
CAPOCANTIERE AUNE Anche un uomo semplice ha qualcosa da
far valere qui nel mondo.
CONSOLE BERNICK Certo, certo; – e lei crede, dunque, di poter
assicurare –?
CAPOCANTIERE AUNE L’“Indian Girl” potrà essere pronta do-
podomani.

(Saluta ed esce a destra.)

CONSOLE BERNICK Aha, finalmente sono riuscito a piegare quel


caparbio. Lo prendo come un buon auspicio –

(Hilmar Tønnesen, con un sigaro in bocca, arriva attraverso la


porta del giardino.)

HILMAR TØNNESEN (sulla scalinata del giardino) Buon giorno,


Betty! Buon giorno, Bernick!
SIGNORA BERNICK Buon giorno.
HILMAR TØNNESEN Sì, hai pianto, lo vedo. Allora lo sai?
SIGNORA BERNICK Cosa so?
HILMAR TØNNESEN Che lo scandalo è scoppiato? Uff!
CONSOLE BERNICK Che cosa significa?
HILMAR TØNNESEN (entra) Sì, i due americani vanno in giro per
le strade a mostrarsi in compagnia di Dina Dorf.
SIGNORA BERNICK (lo segue) Ma, Hilmar, può essere possibile –?
31
Bernick individua le leggi generali del funzionamento dell’assetto capitali-
stico: il più debole si piega al più forte. Ma la sua violenza è fertile, produce
nuovi posti di lavoro, investe il sociale di una dinamica di progresso. Per que-
sto aspetto Bernick anticipa il titanismo del protagonista eponimo del John
Gabriel Borkman.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 59

HILMAR TØNNESEN Sì, purtroppo, è la pura verità. Lona anzi è


stata così indiscreta da chiamarmi addirittura; ma io natural-
mente ho fatto finta di non aver sentito.
CONSOLE BERNICK E la cosa non è certo passata inosservata.
HILMAR TØNNESEN No, ti puoi ben immaginare. La gente sta-
va in silenzio a guardarli. Sembrava che la notizia si fosse
propagata per la città con la rapidità del fuoco, – quasi come
un incendio delle praterie dell’Ovest. In tutte le case le per-
sone stavano alle finestre ad aspettare che passassero davan-
ti; testa a testa dietro le tende – uff! Sì, devi scusarmi, Betty;
dico uff; perché questa cosa mi rende nervoso; – dovesse du-
rare, sarò costretto a pensare di intraprendere un viaggio
piuttosto lungo.
SIGNORA BERNICK Ma avresti dovuto parlare con lui e prospet-
targli –
HILMAR TØNNESEN In mezzo alla strada? No, davvero, scusami.
Ma che quella persona insomma osi mostrarsi qui in città! Be’,
vedremo se la stampa non gli metterà un freno; sì, scusa, Betty;
ma –
CONSOLE BERNICK La stampa, dici? Hai sentito accenni a qual-
cosa del genere?
HILMAR TØNNESEN Be’, non ne mancano di certo. Quando sono
uscito di qui ieri sera, mi sono spinto fino al circolo, a causa della
mia malattia.32 Ho notato bene, dal silenzio che si è fatto, che i
due americani erano stati oggetto di conversazione. Allora arriva
quello sfacciato del redattore Hammer e si congratula con me a
voce alquanto alta per il ritorno a casa del mio ricco cugino.
CONSOLE BERNICK Ricco –?
HILMAR TØNNESEN Sì, così si è espresso. Io naturalmente gli ho
gettato un’occhiata ben meritata e gli ho fatto capire che non
sapevo niente della ricchezza di Johan Tønnesen. «Ah è così»,
fa lui, «certo che è strano; in America di solito si fa fortuna, se si
ha qualcosa con cui cominciare, e suo cugino non andò certo a
mani vuote laggiù.»
CONSOLE BERNICK Hm, fammi il piacere –
SIGNORA BERNICK (preoccupata) Lo vedi, Karsten –
HILMAR TØNNESEN Sì, in ogni caso io ho avuto una notte inson-
ne a causa di quella persona. E lui se ne va ancora in giro per
strada con una faccia, come se non avesse nessun problema.

32
La battuta è ellittica: vuol dire che, a causa della sua malattia, cioè per non
pensare alla sua malattia, ha bisogno di socializzare, di distrarsi.
60 HENRIK IBSEN

Perché non è sparito subito? È insopportabile come alcune per-


sone possano essere dure a morire.
SIGNORA BERNICK Mio Dio, Hilmar, ma che dici?
HILMAR TØNNESEN Oh, io non dico niente. Ma laggiù la scampa
bella dagli incidenti ferroviari e dagli attacchi degli orsi califor-
niani e degli Indiani-Piedineri; nemmeno scotennato –. Uff, ec-
coli che arrivano.
CONSOLE BERNICK (guarda sulla strada) Anche Olaf è con loro!
HILMAR TØNNESEN Naturalmente; vogliono ricordare alla gente
che appartengono alla prima famiglia della città. Guarda, guar-
da, tutti quei perdigiorno escono fuori dalla farmacia per osser-
varli ad occhi sgranati e per fare i loro commenti. Questo dav-
vero non fa bene ai miei nervi; come un uomo possa in tali con-
dizioni mantenere alto lo stendardo dell’idea, questo –
CONSOLE BERNICK Si dirigono proprio qui. Ascolta adesso,
Betty, è mio preciso desiderio che tu mostri loro tutta la corte-
sia possibile.
SIGNORA BERNICK Tu lo consenti, Karsten?
CONSOLE BERNICK Sicuro; sicuro; e anche tu, Hilmar. Non ri-
marranno qui a lungo, spero; e quando siamo tra noi e noi –;
nessuna allusione; non dobbiamo in nessun modo offenderli.
SIGNORA BERNICK Oh, Karsten, come sei magnanimo.
CONSOLE BERNICK Su, su, lascia perdere.
SIGNORA BERNICK No, lascia che ti ringrazi; e perdonami, se pri-
ma sono stata così violenta.33 Oh, avevi proprio tutte le buone
ragioni per –
CONSOLE BERNICK Lascia perdere; lascia perdere, ti dico!
HILMAR TØNNESEN Uff!

(Johan Tønnesen e Dina, e quindi la signorina Hessel e Olaf, arri-


vano attraverso il giardino.)

SIGNORINA HESSEL Buon giorno, buon giorno a tutti voi, cari.


JOHAN TØNNESEN Siamo stati fuori a vedere i vecchi posti, Kar-
sten.
CONSOLE BERNICK Sì, ho sentito. Molti mutamenti; vero?
SIGNORINA HESSEL Grandi e belle opere del console Bernick
dappertutto. Siamo stati su ai giardini che hai donato alla città –

33
La signora Bernick non è stata affatto violenta, ma, in preda all’angoscia e
al senso di colpa nei confronti del marito, cui è totalmente sottomessa, ritie-
ne (a torto) di esserlo stata. (Sandra Colella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 61

CONSOLE BERNICK Fin lassù?


SIGNORINA HESSEL «Donazione di Karsten Bernick», come sta
scritto sopra l’ingresso. Be’, sei quello che ha fatto tutto qui.
JOHAN TØNNESEN E possiedi anche splendide navi. Ho incon-
trato il capitano del “Palma”, il mio vecchio compagno di
scuola –
SIGNORINA HESSEL Sì, hai costruito pure un nuovo edificio sco-
lastico; e sia il gasdotto che l’acquedotto si devono a te, ho sen-
tito.
CONSOLE BERNICK Be’, bisogna pur darsi da fare per la società
in cui si vive.
SIGNORINA HESSEL Sì, è bello, cognato; ma è anche un piacere
vedere come la gente te lo riconosca. Io non sono vanitosa,
credo; ma non ho potuto fare a meno di ricordare all’uno e al-
l’altro con cui ci intrattenevamo che noi apparteniamo alla fa-
miglia.
HILMAR TØNNESEN Uff –!
SIGNORINA HESSEL Dici uff a questo?
HILMAR TØNNESEN No, ho detto hm –
SIGNORINA HESSEL Va bene, dillo pure, poveraccio. Ma oggi sie-
te proprio soli.
SIGNORA BERNICK Sì, oggi siamo soli.
SIGNORINA HESSEL E già, difatti abbiamo incontrato un paio di
quelle moraliste su in piazza; sembravano avere molta fretta.
Ma non abbiamo ancora avuto il tempo di parlare insieme co-
me si deve; ieri c’erano quei tre pionieri qui, e poi avevamo il
pastore –
HILMAR TØNNESEN Il professore.
SIGNORINA HESSEL Io lo chiamo pastore. Ma che ne pensate del
mio lavoro di questi quindici anni? Non è diventato un bel pez-
zo di ragazzo? Chi riconoscerebbe quello scriteriato che scappò
di casa?
HILMAR TØNNESEN Hm –!
JOHAN TØNNESEN Oh, Lona, non pavoneggiarti troppo.
SIGNORINA HESSEL Sì invece, di questo sono proprio fiera. Si-
gnore Iddio, questa è l’unica cosa che ho fatto qui nel mondo;
ma mi dà una specie di diritto ad esistere. Sì, Johan, quando
penso a come noi due abbiamo iniziato laggiù con le nostre
quattro zampe nude –
HILMAR TØNNESEN Mani.
SIGNORINA HESSEL Io dico zampe; perché erano sporche –
HILMAR TØNNESEN Uff!
62 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL – ed erano anche vuote.


HILMAR TØNNESEN Vuote? No, devo dire –!
SIGNORINA HESSEL Che cosa devi dire?
CONSOLE BERNICK Hm!
HILMAR TØNNESEN Devo dire – uff!

(Va fuori sulla scalinata del giardino.)

SIGNORINA HESSEL Ma che gli prende?


CONSOLE BERNICK Non preoccuparti di lui; è un po’ nervoso in
questo periodo. Ma non vuoi vedere un po’ il giardino? Laggiù
non sei ancora stata, e io ho giusto un’ora libera.
SIGNORINA HESSEL Certo, volentieri; potete credermi, con i miei
pensieri ho curiosato e sono stata spesso qui nel giardino ac-
canto a voi.
SIGNORA BERNICK Ci sono stati grandi mutamenti anche lì, ve-
drai.

(Il console, la signora e la signorina Hessel vanno fuori in giardi-


no, dove si vedono ogni tanto durante il seguente dialogo.)

OLAF (sulla porta che dà sul giardino) Zio Hilmar, lo sai, tu, che
cosa mi ha chiesto lo zio Johan? Mi ha chiesto se voglio andare
con lui in America.
HILMAR TØNNESEN Tu, allocco, che stai appeso alle gonne di tua
mamma –
OLAF Sì, ma non voglio più farlo. Vedrai quando divento grande –
HILMAR TØNNESEN Ah, tutte sciocchezze; tu non hai nessun se-
rio bisogno per quella fortificazione, che sta nel –

(Vanno giù insieme in giardino.)

JOHAN TØNNESEN (a Dina, che si è tolta il cappello e sta sulla


porta a destra e scuote la polvere dal vestito) Si è accaldata mol-
to per la passeggiata.
DINA Sì, era una deliziosa passeggiata; una passeggiata così deli-
ziosa non l’ho mai fatta prima.
JOHAN TØNNESEN In genere, forse, non va spesso a passeggiare
di mattina?
DINA Certo; ma soltanto con Olaf.
JOHAN TØNNESEN Ah. – Forse ha più voglia di andare in giardi-
no piuttosto che rimanere qui?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 63

DINA No, ho più voglia di rimanere qui.


JOHAN TØNNESEN Anch’io. E allora è inteso che ogni mattina
andremo insieme a passeggiare come oggi.
DINA No, signor Tønnesen, questo non lo dovrebbe fare.
JOHAN TØNNESEN Che cosa non dovrei? L’ha promesso.
DINA Sì, ma se ci rifletto su, allora –. Lei non deve uscire con me.
JOHAN TØNNESEN Ma perché no?
DINA Sicuro, lei è straniero; non può capirlo; ma io devo dirle –
JOHAN TØNNESEN Be’?
DINA No, preferisco davvero non parlare di questo.
HILMAR TØNNESEN Ma sì; a me può dirlo, qualsiasi cosa sia.
DINA D’accordo, glielo dico, io non sono come le altre ragazze;
c’è qualcosa – qualcosa così sul mio conto. Perciò non deve
farlo.
JOHAN TØNNESEN Ma non capisco proprio tutto ciò. Non ha mi-
ca fatto qualcosa di male?
DINA No, non io, ma –; no, adesso non voglio più parlare di que-
sto. Tanto verrà di certo a saperlo dagli altri.
JOHAN TØNNESEN Hm.
DINA Ma c’era un’altra cosa, che volevo tanto chiederle.
JOHAN TØNNESEN E che cos’era?
DINA È davvero così facile diventare bravi in qualche cosa, lag-
giù in America?
JOHAN TØNNESEN Be’, non è precisamente sempre così facile;
spesso bisogna sgobbare terribilmente e lavorare duro all’i-
nizio.
DINA Sì, questo lo farei volentieri –
JOHAN TØNNESEN Lei?
DINA Posso ben lavorare io; sono forte e sana, e zia Marta mi ha
insegnato tante cose.
JOHAN TØNNESEN Ma diamine, venga e parta con noi allora.
DINA Oh, adesso mi prende in giro; l’ha detto anche ad Olaf. Ma
volevo sapere questo, se le persone sono tanto – così tanto mo-
rigerate laggiù?
JOHAN TØNNESEN Morigerate?
DINA Sì, intendo dire se sono così – perbene e rispettabili, come
qui.
JOHAN TØNNESEN Be’, di certo non sono così cattive come qui si
pensa. Non deve aver paura di questo.
DINA Lei non ha capito. Io vorrei proprio che non fossero così
tanto perbene e morigerate.
JOHAN TØNNESEN Ah no? Come vorrebbe, allora, che fossero?
64 HENRIK IBSEN

DINA Io vorrei che fossero naturali.


JOHAN TØNNESEN Sì, sì, è forse proprio questo che sono.
DINA Perché in questo caso sarebbe un bene per me, se potessi
venire laggiù.
JOHAN TØNNESEN Certo che lo sarebbe; perciò lei partirà con noi.
DINA No, con lei non vorrei partire; dovrei partire da sola. Oh,
dovrei pur riuscire in qualcosa; dovrei pur diventare brava –
CONSOLE BERNICK (in fondo alla scalinata del giardino accanto
ad entrambe le dame) Stai, stai; vado a prenderlo io, cara Betty.
Ti potresti raffreddare facilmente.

(Entra nella sala e cerca lo scialle della signora.)

SIGNORA BERNICK (fuori in giardino) Anche tu devi venire,


Johan; andiamo giù nella grotta.
CONSOLE BERNICK No, adesso Johan deve rimanere qui. Ecco,
Dina; prendi lo scialle di mia moglie e vai con loro. Johan rima-
ne qui con me, cara Betty. Devo pur sentire qualcosa sulla vita
laggiù.
SIGNORA BERNICK Sì, sì; ma vieni, dopo; tanto sai dove devi tro-
varci.

(La signora Bernick, la signorina Hessel e Dina vanno giù attra-


verso il giardino a sinistra.)

CONSOLE BERNICK (le segue per un attimo con lo sguardo, ritor-


na indietro e chiude la porta posteriore a sinistra, poi va verso
Johan, gli prende entrambe le mani, le scuote e le stringe) Johan,
adesso siamo soli; devo avere il permesso di ringraziarti.
JOHAN TØNNESEN Macché!
CONSOLE BERNICK La mia casa e il mio focolare, la mia felicità
familiare, l’intera mia posizione borghese nella società, – tutto
questo lo devo a te.
JOHAN TØNNESEN Be’, mi fa piacere, caro Karsten; almeno è ve-
nuto fuori qualcosa di buono da quella brutta storia.
CONSOLE BERNICK (scuote di nuovo le sue mani) Grazie, grazie
lo stesso! Non uno tra diecimila avrebbe fatto ciò che tu hai fat-
to quella volta per me.
JOHAN TØNNESEN Non dirlo proprio! Non eravamo entrambi
giovani e faciloni? Uno di noi doveva pur prendersi la colpa. –
CONSOLE BERNICK Ma chi era più vicino a questo, se non il col-
pevole?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 65

JOHAN TØNNESEN Basta! Quella volta fu l’incolpevole ad esser-


vi più vicino. Io ero assolutamente libero, senza genitori; fu una
vera fortuna svignarmela da quel logorio dell’ufficio. Tu, al con-
trario, avevi in vita la tua vecchia madre, e proprio allora inco-
minciasti il tuo fidanzamento segreto con Betty, che ti voleva
così bene. Come sarebbe finita con lei, se avesse avuto modo di
sapere –?
CONSOLE BERNICK Vero, vero, vero; ma –
JOHAN TØNNESEN E non fu proprio per Betty che rompesti
quell’intesa con madama Dorf? Fu proprio per rompere defini-
tivamente che ti trovasti lassù da lei quella sera –
CONSOLE BERNICK Sì, quella maledetta sera, quando quell’u-
briacone torna a casa –! Sì, Johan, fu per Betty; ma davvero, –
che tu così generosamente potessi volgere le apparenze contro
te stesso e andare via –
JOHAN TØNNESEN Nessuno scrupolo, caro Karsten. Noi ci met-
temmo ben d’accordo che così doveva essere; di sicuro era ne-
cessario che tu fossi salvato, ed eri pur mio amico. Eh sì, di quel-
l’amicizia io ero proprio fiero! Qui stavo a consumarmi come
un poveraccio che non ha mai messo piede fuori casa; e all’im-
provviso ritorni tu, elegante e raffinato, dal tuo grande viaggio
all’estero; eri stato sia a Londra che a Parigi. Così mi scegli co-
me tuo amico abituale, sebbene io avessi quattro anni meno di
te; – sì, questo perché venivi a fare la corte a Betty; adesso lo
capisco bene. Ma quanto fiero ero di questo! E chi non lo sa-
rebbe stato? Chi non avrebbe sacrificato volentieri sé stesso
per te, specialmente quando non si trattava d’altro che di un
mese di chiacchiere e nello stesso tempo si poteva correre fuori
nel vasto mondo.
CONSOLE BERNICK Hm, mio caro Johan, volevo appunto dirti
che la storia ancora adesso non è del tutto dimenticata.
JOHAN TØNNESEN Ah no? Be’, che mi importa, quando io me ne
sto laggiù nella mia fattoria –
CONSOLE BERNICK Allora te ne andrai?
JOHAN TØNNESEN Si capisce.
CONSOLE BERNICK Ma non così presto, spero?
JOHAN TØNNESEN Il più presto possibile. È stato solo per accon-
tentare Lona che anch’io sono venuto quassù.
CONSOLE BERNICK Ah sì? E come?
JOHAN TØNNESEN Insomma, vedi, Lona certo non è più giovane
e negli ultimi tempi la nostalgia di casa ha cominciato a pren-
derla e a tirarla; ma lei non l’avrebbe mai ammesso; (sorride)
66 HENRIK IBSEN

come avrebbe osato lasciare solo me, creatura sventata, me, che
alla tenera età di diciannove anni mi ero lasciato andare a –
CONSOLE BERNICK E allora?
JOHAN TØNNESEN Sì, Karsten, adesso arrivo alla confessione di
cui mi vergogno.
CONSOLE BERNICK Non le hai mica confidato la cosa?
JOHAN TØNNESEN Sì invece. È stato scorretto da parte mia; ma
non potevo fare altro. Non puoi proprio immaginare che cos’è
stata Lona per me. Tu non hai mai potuto soffrirla; ma per me è
stata come una madre. Nei primi anni, quando è stata così dura
per noi laggiù, – quali lavori non ha fatto? E quando sono stato
malato per un lungo periodo, e non ho potuto guadagnare nul-
la, e non potevo fare altrimenti, si è messa a cantare canzoni nei
caffè, – a tenere conferenze che la gente prendeva in giro; e ha
scritto perfino un libro, di cui poi lei stessa ha riso e pianto in-
sieme, – tutto questo per tenermi in vita. Potevo rimanere a
guardare che stesse a struggersi in quel modo in inverno, lei,
che aveva fatto tanti sacrifici per me? No, non potevo, Karsten.
E allora dissi: vai tu, Lona; non temere per me; io non sono così
sventato come pensi. E così – così finì per saperlo.
CONSOLE BERNICK E come l’ha presa?
JOHAN TØNNESEN Be’, disse che giacché sapevo di essere inno-
cente, come era vero, non poteva causarmi alcun danno fare un
viaggio con lei quassù. Ma stai tranquillo; Lona non parla, e io
saprò ben controllare la mia bocca un’altra volta.
CONSOLE BERNICK D’accordo, sì, conto su questo.
JOHAN TØNNESEN Qua la mano. E non parliamo più di quella
vecchia storia; fortunatamente è l’unica sciocchezza di cui uno
di noi si è reso colpevole, penso. Adesso voglio davvero goder-
mi quei pochi giorni in cui sto qui. Non puoi credere quale
splendido giro abbiamo fatto stamattina. Chi poteva pensare
che quella piccola monella che correva qui e faceva l’angelo a
teatro –!34 Ma dimmi, tu, – come andò poi con i suoi genitori?
CONSOLE BERNICK Oh, caro, io non ho null’altro da raccontare
se non ciò che ti scrissi subito dopo che partisti. Sì, ricevesti, in-
fatti, le due lettere?

34
È un altro tema che ritroveremo ne La signora del mare: l’uomo adulto che
rivede dopo molto tempo – ormai cresciuta – una antica bambinetta, con un
sentimento di turbamento erotico del tutto palese. Dalla battuta non è affat-
to evidente il riferimento a Dina, ma il commento sorge istintivamente sulla
bocca dell’adulto proprio perché turbato.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 67

JOHAN TØNNESEN Certo, certo; le ho entrambe. Quell’ubriaco-


ne, quindi, scappò via da lei?
CONSOLE BERNICK E poi si uccise completamente ubriaco.
JOHAN TØNNESEN Anche lei, immagino, morì poco dopo? Ma tu
hai fatto in silenzio ciò che potevi per lei, no?
CONSOLE BERNICK Lei era orgogliosa; non svelò nulla e non
volle accettare nulla.
JOHAN TØNNESEN Be’, in ogni caso è stato giusto da parte tua
prendere in casa Dina.
CONSOLE BERNICK Certo che lo è stato. D’altra parte è stata
proprio Marta35 che ha portato la cosa a buon fine.
JOHAN TØNNESEN Allora è stata Marta? Sì, Marta – è vero –
dov’è lei, oggi?
CONSOLE BERNICK Oh, lei – quando non ha la scuola a cui bada-
re, ha i suoi malati.
JOHAN TØNNESEN Dunque è Marta, che si è presa cura di lei.
CONSOLE BERNICK Sì, Marta ha sempre avuto un certo debole
per il valore dell’educazione. Perciò ha accettato anche un im-
piego alla scuola elementare.36 È stata un’enorme sciocchezza
da parte sua.
JOHAN TØNNESEN Sì, era completamente esausta ieri; io temo
anche che non abbia la salute per questo.
CONSOLE BERNICK Oh, per quanto riguarda la salute, potrebbe
certo rimanere sempre lì. Ma è spiacevole per me; sembra come
se io, suo fratello, non volessi mantenerla.
JOHAN TØNNESEN Mantenerla? Credevo che avesse lei stessa
un certo patrimonio –
CONSOLE BERNICK Neppure uno scellino. Ricordi bene che pe-
riodo difficile attraversava mia madre, quando tu partisti. Per
un po’ continuò aiutata da me; ma alla lunga, naturalmente, non
potevo averne nessun tornaconto. Così lasciai che mi prendes-
sero nella ditta; ma non andò neppure in quel modo. Dovetti
perciò prendere possesso di tutto e, quando rimettemmo a po-
sto la nostra situazione, fu chiaro che da parte di mia madre non
avanzava nulla. Quando dopo poco morì, naturalmente anche
Marta si trovò sul lastrico.
JOHAN TØNNESEN Povera Marta!
CONSOLE BERNICK Povera? Perché? Non credi mica che io le la-

35
Marta è la sorella del console, chiamata normalmente «Signorina Bernick».
36
Almueskole, letteralmente «scuola per il popolo», vale a dire gratuita e
aperta a tutti gli strati sociali. (Sandra Colella)
68 HENRIK IBSEN

sci mancare qualcosa? Oh no, questo proprio non temo di dirlo,


che sono un buon fratello. Lei vive insieme a noi, naturalmente, e
mangia alla nostra tavola; uno stipendio di insegnante le può ba-
stare abbondantemente, e una femmina sola, – che le serve di
più?37
JOHAN TØNNESEN Hm; non la pensiamo in questo modo in
America.
CONSOLE BERNICK No, lo credo bene; in una società convulsa, co-
me quella americana. Ma qui nella nostra piccola cerchia, dove,
Dio sia lodato, la corruzione, almeno fino ad oggi, non si è insinua-
ta, qui le donne si accontentano di avere una posizione decorosa
se pur modesta. Del resto è proprio colpa di Marta; in verità pote-
va essere mantenuta da un bel pezzo, se lei stessa avesse voluto.
JOHAN TØNNESEN Intendi dire che si sarebbe potuta sposare?
CONSOLE BERNICK Sì, poteva essere perfino sistemata molto fa-
vorevolmente; ha avuto molte buone offerte; cosa direi singola-
re; una ragazza senza mezzi, non più giovane, e per di più abba-
stanza insignificante.
JOHAN TØNNESEN Insignificante?
CONSOLE BERNICK Insomma, non le muovo assolutamente al-
cun rimprovero. Non la voglio niente affatto diversa. Puoi capi-
re, – in una casa grande come la nostra, – è sempre bene avere
una persona del genere, modesta, che si può adoperare per ogni
cosa che succede.38
JOHAN TØNNESEN Sì, ma lei –?
CONSOLE BERNICK Lei? Come sarebbe? Ah sì, lei naturalmente
ha di che interessarsi a sufficienza; ha di certo me e Betty e Olaf
e me.39 Le persone non dovrebbero pensare a sé stesse in primo

37
Ancora un passaggio non troppo chiaro: Bernick ha aiutato per un po’ la
madre nella gestione della ditta, a titolo gratuito; poi, in un secondo tempo,
ha preteso di essere coinvolto come socio nella ditta stessa; e in un terzo tem-
po ne è diventato proprietario unico. Nel calcolo dei soldi la povera sorella è
rimasta però senza un quattrino. Si osservino i tre saporosi naturligvis («na-
turalmente») che costellano il discorso un po’ canagliesco (e molto maschili-
sta) del personaggio. Un poco avanti un quarto naturligvis.
38
Un vero mostro questo prototipo dei grandi eroi ibseniani: lucidi, calcola-
tori, privi di sentimento, con le mogli, ma anche con i parenti stretti, sangue
del loro sangue. Quasi disgustoso il cinismo con cui rende conto che in una
grande casa c’è sempre bisogno di una sorella, anche squattrinata.
39
L’egoismo sconfinato del personaggio emerge perfettamente dalla ridon-
danza dei complementi oggetto: me, Betty, Olaf e me (con il me che apre e
chiude la serie).
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 69

luogo, e soprattutto le donne. Tutti, infatti, abbiamo una grande


o piccola società da sostenere e per cui impegnarci. Così almeno
faccio io. (Indica l’amministratore Krap, che arriva da destra.) Sì,
qui ne hai subito una prova. Credi che siano i miei propri affari
a tenermi occupato? In nessun modo. (Rapido a Krap.) Allora?
AMMINISTRATORE KRAP (sottovoce, mostra un fascio di carte)
Tutti i contratti di acquisto in ordine.
CONSOLE BERNICK Magnifico! Eccellente! – E allora, cognato,
devi proprio scusarmi per il momento. (A voce bassa e con una
stretta di mano.) Grazie, grazie, Johan; e sta’ sicuro che tutto ciò
in cui posso esserti utile, – insomma, mi hai capito. – Venga, si-
gnor Krap.

(Entrano nella stanza del console.)

JOHAN TØNNESEN (lo segue per un momento con lo sguardo)


Hm –

(Vuole uscire in giardino. Nello stesso momento la signorina Ber-


nick con un piccolo cesto al braccio entra da destra.)

JOHAN TØNNESEN Ah, sei tu, Marta!


SIGNORINA BERNICK Oh – Johan, – sei tu?
JOHAN TØNNESEN Così presto in movimento anche tu.
SIGNORINA BERNICK Sì. Aspetta un po’; sicuramente arrivano
subito anche gli altri. (Vuole uscire a sinistra.)
JOHAN TØNNESEN Senti, Marta, hai sempre questa fretta?
SIGNORINA BERNICK Io?
JOHAN TØNNESEN Ieri è come se fossi scomparsa dalla strada,
cosicché non sono riuscito a scambiare una parola con te, e
oggi –
SIGNORINA BERNICK Sì, ma –
JOHAN TØNNESEN Eppure prima stavamo sempre insieme, – noi
due vecchi compagni di gioco.
SIGNORINA BERNICK Oh, Johan, sono tanti, tanti anni fa.
JOHAN TØNNESEN Be’, Dio mio, sono quindici anni fa, né più né
meno. Pensi forse che io sia cambiato così tanto?
SIGNORINA BERNICK Tu? Oh sì, anche tu, sebbene –
JOHAN TØNNESEN Che intendi dire?
SIGNORINA BERNICK Oh, non è nulla.
JOHAN TØNNESEN Non hai l’aria di esserti rallegrata molto nel-
l’avermi rivisto.
70 HENRIK IBSEN

SIGNORINA BERNICK Ho aspettato così a lungo, Johan, – troppo


a lungo.
JOHAN TØNNESEN Aspettato? Che io venissi?
SIGNORINA BERNICK Sì.
JOHAN TØNNESEN E perché pensavi che io venissi?
SIGNORINA BERNICK Per espiare il male che hai commesso.
JOHAN TØNNESEN Io?
SIGNORINA BERNICK Hai dimenticato che una donna è morta
nella miseria e nella vergogna per colpa tua? Hai dimenticato
che per colpa tua i migliori anni di una bambina che cresceva
sono stati amareggiati?
JOHAN TØNNESEN E questo devo sentire da te? Marta, allora
tuo fratello non ha mai –?
SIGNORINA BERNICK Lui cosa?
JOHAN TØNNESEN Lui non ha mai –; insomma, sì, voglio dire,
non ha mai avuto neppure una parola di giustificazione per
me?
SIGNORINA BERNICK Oh, Johan, tu conosci bene i rigidi principi
di Karsten.
JOHAN TØNNESEN Hm –, certo, certo, conosco bene i rigidi prin-
cipi del mio vecchio amico Karsten. – Ma questo è davvero –!
Eh già. Ho appena parlato con lui. Penso che sia cambiato pa-
recchio.
SIGNORINA BERNICK Come puoi dire questo? Karsten è sempre
stato un uomo eccellente.
JOHAN TØNNESEN Sì, era proprio questo che non intendevo; ma
lasciamo perdere. – Hm; adesso capisco anche in che luce mi
hai visto; era il ritorno a casa del figliuol prodigo che tu stavi ad
aspettare.
SIGNORINA BERNICK Senti, Johan, te lo voglio dire in che luce ti
ho visto. (Indica il giardino.) La vedi quella che gioca laggiù sul-
l’erba con Olaf? È Dina. Ti ricordi di quella lettera confusa che
mi hai scritto quando partisti? Scrivesti che dovevo avere fidu-
cia in te. Io ho avuto fiducia in te, Johan. Tutte le cattive azioni,
su cui qui, in seguito, si sparsero voci, devono essere accadute
nella disperazione, senza pensare, senza premeditazione –
JOHAN TØNNESEN Che intendi dire?
SIGNORINA BERNICK Oh, mi hai capito bene; – non una parola in
più su questo. Ma dovevi certo andare via, cominciare da capo –
una nuova vita. Vedi Johan, qui a casa io sono stata la tua sostitu-
ta, io, la tua vecchia compagna di giochi. Quei doveri, che qui non
ricordasti di compiere, o che non potesti compiere, quelli li ho
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 71

compiuti io per te. Te lo dico affinché tu non abbia anche questo


da rimproverarti. Per quella bambina a cui si è fatto torto io sono
stata una madre, l’ho fatta crescere come meglio ho potuto –
JOHAN TØNNESEN E hai sciupato tutta la tua vita per questa fac-
cenda –
SIGNORINA BERNICK Non è stata sciupata. Ma tu sei arrivato
tardi, Johan.
JOHAN TØNNESEN Marta, – se potessi spiegarti –. Beh, lasciami
almeno ringraziarti per la tua leale amicizia.
SIGNORINA BERNICK (sorride tristemente) Hm –. Sì, adesso, dun-
que, abbiamo parlato, Johan. Zitti; viene qualcuno. Addio; non
posso ora –

(Esce attraverso la porta posteriore a sinistra. La signorina Hessel


viene dal giardino, seguita dalla signora Bernick.)

SIGNORA BERNICK (ancora in giardino) Ma, per la carità di Dio,


Lona, a cosa pensi!
SIGNORINA HESSEL Lasciami stare, ti dico; voglio e devo parlare
con lui.
SIGNORA BERNICK Ma sarebbe il più grande scandalo! Ah,
Johan, sei ancora qui?
SIGNORINA HESSEL Forza ragazzo, fuori; non stare qui impalato
nell’aria di chiuso; vai giù in giardino a parlare con Dina.
JOHAN TØNNESEN Sì, giusto a questo pensavo.
SIGNORA BERNICK Ma –
SIGNORINA HESSEL Senti un po’, John, hai guardato bene Dina?40
JOHAN TØNNESEN Sì, credo proprio di sì.
SIGNORINA HESSEL Bene, allora dovresti guardarla una volta
ancora, ragazzo. Questo è qualcosa che fa per te!
SIGNORA BERNICK Ma, Lona –!
JOHAN TØNNESEN Qualcosa per me?
SIGNORINA HESSEL Sì, da guardare, voglio dire. Ma adesso vai!
JOHAN TØNNESEN Sì, certo, vado più che volentieri.

(Va giù in giardino.)

40
Si osservi come la norvegese signora Bernick e la norvegese signorina Ber-
nick chiamino il personaggio «Johan», alla norvegese, mentre l’americana si-
gnorina Lona Hessel lo chiami, all’americana, «John». Da parte di Lona si
tratta di una voluta provocazione: più avanti lo chiamerà anche lei alla ma-
niera norvegese.
72 HENRIK IBSEN

SIGNORA BERNICK Lona, sono allibita dal tuo comportamento.


È assolutamente impossibile che tu faccia sul serio.
SIGNORINA HESSEL Sull’anima mia, è così. Non è sana e fresca e
sincera? È per l’appunto una moglie per John. È proprio il tipo
di cui John ha bisogno laggiù; sarà ben altro che una vecchia so-
rellastra.
SIGNORA BERNICK Dina! Dina Dorf! Rifletti bene –
SIGNORINA HESSEL Io rifletto prima di tutto sulla felicità del ra-
gazzo. Perché aiutarlo, io devo; lui stesso non è troppo sveglio
in cose del genere; non ha mai avuto l’occhio giusto per le ra-
gazzine e per le femmine.
SIGNORA BERNICK Lui? Johan! No, io ritengo, in verità, che ab-
biamo avuto tristi prove di –
SIGNORINA HESSEL Oh diamine quella stupida storia! Dov’è
Bernick? Voglio parlargli.
SIGNORA BERNICK Lona, tu non lo farai, ti dico!
SIGNORINA HESSEL Io lo faccio. Se lei gli piace, – e lui le piace, –
che si prendano dunque l’un l’altra. Bernick è un uomo talmen-
te saggio; deve trovare una via d’uscita –
SIGNORA BERNICK E tu puoi pensare che queste sconcezze
americane sarebbero tollerate qui –
SIGNORINA HESSEL Sciocchezze, Betty –
SIGNORA BERNICK – Che un uomo, come Karsten, con il suo
modo di pensare rigidamente morale –
SIGNORINA HESSEL Uh, non è poi così irragionevolmente rigido.
SIGNORA BERNICK Cos’è che ti permetti di dire?
SIGNORINA HESSEL Mi permetto di dire che Bernick non è poi
tanto più morigerato di altri uomini.
SIGNORA BERNICK Così profondamente dunque è ancora radi-
cato l’odio verso di lui! Ma che cosa sei venuta a fare qui, se
non hai mai potuto dimenticare che –? Io non concepisco come
tu abbia potuto guardarlo negli occhi dopo l’offesa vergognosa
che gli hai fatto quella volta.
SIGNORINA HESSEL Sì, Betty, quella volta mi sono comportata
male.
SIGNORA BERNICK E quanto generosamente ti ha perdonato,
lui, che non aveva mai fatto nulla di male! Lui non poteva certo
impedire che tu avessi delle speranze. Ma fin da allora tu hai
odiato anche me. (Scoppia a piangere.) Non ti sei mai augurata
la mia felicità. E adesso vieni qui per rovesciarmi tutto quanto
addosso, – per mostrare alla città in quale famiglia ho portato
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 73

Karsten. Sì, sono io che ci rimetto, ed è questo che tu vuoi. Oh, è


detestabile da parte tua!

(Esce piangendo attraverso la porta posteriore a sinistra.)

SIGNORINA HESSEL (la segue con gli occhi) Povera Betty.

(Il console Bernick esce dalla sua stanza.)

CONSOLE BERNICK (ancora sulla porta) Sì, d’accordo, va bene,


signor Krap; perfetto. Mandi 400 corone per il vitto dei pove-
ri. (Si gira.) Lona! (Più vicino.) Sei sola? Betty non viene
qui?
SIGNORINA HESSEL No. Forse devo andare a prenderla?
CONSOLE BERNICK No, no, no, lascia stare! Oh, Lona, tu non sai
come ho desiderato ardentemente di parlare apertamente con
te, – di implorare il tuo perdono.
SIGNORINA HESSEL Senti un po’, Karsten, cerchiamo di non di-
ventare sentimentali; non ci si addice.
CONSOLE BERNICK Tu devi ascoltarmi, Lona. So bene come le
apparenze siano state contro di me, quando sei venuta a sapere
di questa storia con la madre di Dina. Ma ti giuro, è stato solo
un errore momentaneo; io ti ho voluto bene una volta, vera-
mente e sinceramente.
SIGNORINA HESSEL Perché pensi che io sia tornata qui a casa?
CONSOLE BERNICK Quale che sia la tua collera, ti supplico tutta-
via di non fare nulla prima che mi sia discolpato. Io lo posso,
Lona; posso almeno scusarmi.
SIGNORINA HESSEL Adesso hai paura. – Mi hai voluto bene una
volta, dici. Sì, me l’assicuravi abbastanza spesso nelle tue lette-
re; e forse era anche vero – in un certo senso, fin quando hai
vissuto lì fuori, nel grande ed emancipato mondo, che ti dava il
coraggio di pensare da te stesso in modo libero e grande. In me
trovasti forse un po’ più di carattere, volontà e indipendenza,
rispetto alla maggior parte, qui da noi. E poi questo era ben un
segreto fra noi due; non c’era nessuno che poteva burlarsi del
tuo cattivo gusto.
CONSOLE BERNICK Lona, come puoi pensare davvero –?
SIGNORINA HESSEL Ma quando poi ritornasti; quando udisti le
parole sarcastiche che grandinavano sopra di me; quando notasti
lo scherno per tutte quelle che qui chiamavano le mie pazzie –
CONSOLE BERNICK In quel tempo tu eri senza riguardi.
74 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL Soprattutto per irritare quei bigotti in sotta-


na e in pantaloni, che giravano per la città. E così, quando in-
contrasti quella giovane affascinante attrice –
CONSOLE BERNICK Fu una scappatella; nulla di più; te lo giuro,
non era vero nemmeno un decimo delle voci e dei pettegolezzi
che si sparsero in giro.
SIGNORINA HESSEL Lasciamo andare; ma quando Betty venne a
casa, bella come un fiore che sboccia, adorata da tutti, – e quan-
do si seppe che avrebbe ereditato tutto il patrimonio da parte
della zia e che io non avrei avuto nulla –
CONSOLE BERNICK Sì, questo è il punto, Lona; e adesso devi
ascoltare, senza giri di parole. Allora non amavo Betty; non rup-
pi con te per qualche nuova inclinazione. Francamente fu per
una questione di denaro; vi fui costretto; io dovevo procurar-
melo.
SIGNORINA HESSEL E questo me lo dici guardandomi negli occhi.
CONSOLE BERNICK Sì, lo faccio. Ascoltami, Lona –
SIGNORINA HESSEL Eppure mi scrivesti che un incoercibile
amore per Betty ti aveva preso, invocasti la mia generosità, mi
assillasti per il bene di Betty di tacere su ciò che c’era stato tra
noi –
CONSOLE BERNICK Dovevo far ciò, ti dico.
SIGNORINA HESSEL E allora, vivaddio, non mi pento di essermi
comportata, quella volta, come ho fatto.
CONSOLE BERNICK Lascia che ti dica freddamente e tranquilla-
mente qual era la situazione in quei giorni. Mia madre era, co-
me ricordi, a capo dell’impresa; ma era completamente priva di
senso del commercio. Io fui frettolosamente richiamato a casa
da Parigi; i tempi erano critici; dovevo rimettere in sesto gli af-
fari. Che cosa trovai? Trovai qualcosa che si doveva mantenere
nel più profondo segreto, un’azienda familiare per così dire ro-
vinata. Sì, era per così dire rovinata, questa antica stimata
azienda di famiglia, che durava da tre generazioni. Cos’altro
avevo da fare io, il figlio, l’unico figlio, se non cercare un mezzo
di salvezza?41

41
Dunque Bernick lascia Lona, che pure ama, ma sposa la di lei sorellastra
Betty, perché la prima non ha un quattrino e la seconda eredita una grossa
fortuna. Ancora un tratto che anticipa il John Gabriel Borkman, dove il pro-
tagonista rinuncia a sposare Ella, pur amandola, e sposa la di lei sorella ge-
mella Gunhild, per pure questioni di interesse economico-carrieristico. Da
notare che i grandi eroi del ciclo finale (Il costruttore Solness, John Gabriel
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 75

SIGNORINA HESSEL E così tu salvasti l’azienda Bernick a spese


di una donna.
CONSOLE BERNICK Sai bene che Betty mi amava.
SIGNORINA HESSEL Ma io?
CONSOLE BERNICK Credimi, Lona, – tu non saresti mai stata fe-
lice con me.
SIGNORINA HESSEL È stato in nome della mia felicità che mi hai
dato il benservito?
CONSOLE BERNICK Pensi forse che abbia agito come ho fatto
per motivi di utilità personale? Se allora fossi stato solo, avrei
ricominciato da capo con fiducia e coraggio. Ma tu non capisci
come un uomo d’affari, con la sua responsabilità immensa, sia
attaccato a quell’impresa che prende in eredità. Lo sai che cen-
tinaia, anzi, migliaia di persone dipendono da lui? Non pensi
che l’intera società, che sia tu sia io chiamiamo la nostra casa,
sarebbe stata colpita in modo molto concreto, se l’azienda Ber-
nick fosse andata a fondo?
SIGNORINA HESSEL È anche per il bene della società che in que-
sti quindici anni hai vissuto nella menzogna?
CONSOLE BERNICK Nella menzogna?
SIGNORINA HESSEL Che cosa sa Betty di tutto ciò che sta sotto e
che precede il suo legame con te?
CONSOLE BERNICK Puoi pensare che io l’avrei ferita senza alcu-
na utilità rivelandole quelle cose?
SIGNORINA HESSEL Senza alcuna utilità, dici? Sì, certo, tu sei un
uomo d’affari; te ne devi ben intendere dell’utile. – Ma ora
ascoltami, Karsten, ora voglio anche io parlare freddamente e
tranquillamente. Dimmi, – sei proprio felice adesso?
CONSOLE BERNICK In famiglia, intendi dire?
SIGNORINA HESSEL Esatto.
CONSOLE BERNICK Lo sono, Lona. Oh, non inutilmente sei stata
un’amica così pronta a sacrificarsi per me. Oso dire di essere di-
ventato più felice anno dopo anno. Betty è buona e remissiva.
E come ha imparato a piegare la sua indole nel corso degli anni
a quella che è la mia propria –

Borkman, Quando noi morti ci destiamo) si caratterizzano per la loro condi-


zione di self-made man, mentre Bernick, almeno apparentemente, è l’erede
di una dinastia di imprenditori, il continuatore di una ditta che dura da tre
generazioni. In realtà, alla morte della madre, l’azienda è sull’orlo del falli-
mento. Grazie a questo artificio narrativo Bernick è dunque un’altra imma-
gine di self-made man, il primo di una lunga serie.
76 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL Hm.


CONSOLE BERNICK Prima aveva infatti un bel po’ di aspettative
esagerate sull’amore; non poteva accettare l’idea che a poco a
poco si sarebbe trasformato in una tranquilla fiammella d’ami-
cizia.
SIGNORINA HESSEL Ma ora si è certo rassegnata a questo?
CONSOLE BERNICK Completamente. Puoi immaginarti come il
rapporto quotidiano con me non sia stato privo di influenze che
l’hanno fatta maturare. Le persone devono imparare a conte-
nere reciprocamente le proprie esigenze, se è necessario dare il
massimo nella società in cui si è inseriti. Di questo Betty ha im-
parato a rendersi conto, e perciò la nostra casa è adesso un mo-
dello per i nostri concittadini.42
SIGNORINA HESSEL Ma questi concittadini non sanno nulla del-
la menzogna?
CONSOLE BERNICK Della menzogna?
SIGNORINA HESSEL Sì, della menzogna nella quale sei stato per
quindici anni.
CONSOLE BERNICK E tu la chiami –?
SIGNORINA HESSEL Menzogna io la chiamo. Una triplice men-
zogna. Innanzitutto menzogna nei miei confronti; poi menzo-
gna nei confronti di Betty; infine menzogna nei confronti di
Johan.
CONSOLE BERNICK Betty non ha mai preteso che io parlassi.
SIGNORINA HESSEL Perché non ha saputo nulla.
CONSOLE BERNICK E tu non lo pretenderai; – per riguardo a lei
non lo farai.
SIGNORINA HESSEL Oh no, posso ben sopportare gli scoppi di ri-
sa; ho le spalle larghe.
CONSOLE BERNICK E Johan nemmeno lo pretenderà; me l’ha
promesso.
SIGNORINA HESSEL Ma tu stesso, Karsten? Non c’è nulla nel tuo
intimo che pretenda di liberarsi dalla menzogna?
CONSOLE BERNICK Dovrei volontariamente sacrificare la mia
felicità familiare e la mia posizione nella società!

42
Bernick anticipa i tratti dei protagonisti sopra ricordati, per i quali non esi-
ste il cuore, e nemmeno il sesso (se non come sfogo fisiologico), tutti proiet-
tati nella tensione del lavoro, della carriera, del successo. Questa pagina che
rende conto di come Betty abbia dovuto abituarsi a poco a poco a una pro-
spettiva di vita coniugale fondata sull’astinenza (o quasi) è splendidamente
crudele.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 77

SIGNORINA HESSEL Quale diritto hai di stare lì dove stai?


CONSOLE BERNICK In quindici anni mi sono acquistato giorno
dopo giorno un briciolo di diritto – con la mia condotta, e con
ciò che ho fatto e portato avanti.
SIGNORINA HESSEL Sì, tu hai fatto e portato avanti molto, sia
per te stesso che per gli altri. Tu sei l’uomo più ricco e potente
della città; al tuo volere non osano altro che piegarsi, tutti,
perché ti credono senza macchia e senza errore; il tuo focola-
re passa per un modello di focolare, il tuo comportamento per
un modello di comportamento. Ma tutta questa magnificenza,
e tu insieme ad essa, poggia su un terreno pericoloso. Può ar-
rivare un attimo, può essere pronunciata una parola, – e sia tu
che tutta la magnificenza andate a fondo, se non ti salvi in
tempo.
CONSOLE BERNICK Lona, – cos’è che sei venuta a cercare
quassù?
SIGNORINA HESSEL Io voglio aiutarti a cercare un terreno soli-
do sotto i piedi, Karsten.
CONSOLE BERNICK La vendetta! Tu vuoi vendicarti? L’avevo
supposto. Ma non ci riuscirai! Qui c’è solo uno che può parlare
con autorità, e lui sta zitto.
SIGNORINA HESSEL Johan?
CONSOLE BERNICK Sì, Johan. Se qualcun altro mi accuserà, io
negherò tutto. Se qualcuno vorrà rovinarmi, lotterò per la vita.
Ma non ci riuscirai mai, te lo dico! Lui, che potrebbe distrug-
germi, lui sta zitto – e se ne va.

(Il grossista Rummel e il commerciante Vigeland entrano da destra.)

GROSSISTA RUMMEL Buon giorno, buon giorno, caro Bernick;


devi venire con noi su alla camera di commercio; abbiamo un
appuntamento per l’affare della ferrovia, capisci.
CONSOLE BERNICK Non posso. Impossibile ora.
COMMERCIANTE VIGELAND Lei per la verità deve, signor con-
sole –
GROSSISTA RUMMEL Tu devi, Bernick. Lì c’è gente che lavora
contro di noi. Il redattore Hammer e gli altri, che erano a favo-
re della linea costiera, sostengono che dietro la nuova proposta
si nascondano interessi privati.
CONSOLE BERNICK Ebbene, allora spiegate loro –
COMMERCIANTE VIGELAND Non serve a nulla, qualsiasi cosa
noi spieghiamo, signor console –
78 HENRIK IBSEN

GROSSISTA RUMMEL No, no, devi venire tu in persona; natural-


mente a te nessuno oserà muovere sospetti del genere.
SIGNORINA HESSEL No, sono sicura.
CONSOLE BERNICK Non posso, vi dico; sto male; – o almeno
aspettate – lasciatemi riprendere.

(Il professor Rørlund entra da destra.)

PROFESSOR RØRLUND Mi scusi, signor console; lei mi vede qui


in preda al più profondo turbamento –
CONSOLE BERNICK Sì, sì, qual è il problema?
PROFESSOR RØRLUND Le devo fare una domanda, signor con-
sole. È con il suo permesso che una ragazza, che ha trovato un
asilo sotto il suo tetto, si mostra pubblicamente in strada in
compagnia di una persona la quale –
SIGNORINA HESSEL Quale persona, signor pastore?
PROFESSOR RØRLUND Con quella persona dalla quale lei, tra tut-
te le persone al mondo, dovrebbe tenersi il più lontano possibile.
SIGNORINA HESSEL Aha, aha!
PROFESSOR RØRLUND È con il suo permesso, signor console?
CONSOLE BERNICK (che cerca cappello e guanti) Io non so nulla.
Scusatemi; ho fretta; devo andare su alla camera di commercio.
HILMAR TØNNESEN (proviene dal giardino e va dritto verso la
porta posteriore a sinistra) Betty, Betty, stai a sentire!
SIGNORA BERNICK (sulla porta) Che c’è?
HILMAR TØNNESEN Dovresti andare giù in giardino a porre fine
ai corteggiamenti che una certa persona sta facendo con questa
Dina Dorf. Mi sono innervosito molto nell’ascoltarli.
SIGNORINA HESSEL Ah sì? E che cosa ha detto quella persona?
HILMAR TØNNESEN Oh, null’altro se non che vuole che lei lo se-
gua in America. Uff!
PROFESSOR RØRLUND Può essere possibile una cosa del genere!
SIGNORA BERNICK Che stai dicendo!
SIGNORINA HESSEL Ma questo sarebbe splendido.
CONSOLE BERNICK Impossibile! Hai sentito male.
HILMAR TØNNESEN Allora chiediglielo tu stesso. Ecco che arri-
va la coppia. Non mi mettere in mezzo, però.
CONSOLE BERNICK (a Rummel e Vigeland) Vi seguo, – tra un
momento –

(Il grossista Rummel e il commerciante Vigeland escono a destra.


Johan Tønnesen e Dina entrano dal giardino.)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 79

JOHAN TØNNESEN Urrà, Lona, lei viene con noi!


SIGNORA BERNICK Ma, Johan, – tu dissennato –!
PROFESSOR RØRLUND Dunque è vero! Uno scandalo enorme!
Con quali arti da seduttore lei ha –?
JOHAN TØNNESEN Eh eh, uomo; cos’è che dice?
PROFESSOR RØRLUND Mi risponda, Dina; è questa la sua inten-
zione, – è questa la sua decisione pienamente libera?
DINA Io devo andare via di qui.
PROFESSOR RØRLUND Ma con lui – con lui!
DINA Mi faccia il nome di qualcun altro qui, che abbia il corag-
gio di prendermi con sé.43
PROFESSOR RØRLUND Ebbene, a questo punto deve sapere chi
è colui.
JOHAN TØNNESEN Non parli!
CONSOLE BERNICK Non una parola di più!
PROFESSOR RØRLUND Allora servirei male questa società, sulla
cui morale e sui cui principi sono preposto a vigilare; e mi com-
porterei in maniera irresponsabile verso questa ragazza, nella
cui educazione anch’io ho avuto una parte importante e che
mi è –
JOHAN TØNNESEN Stia attento a quel che fa!
PROFESSOR RØRLUND Lei deve saperlo! Dina, questo è l’uomo
che ha causato tutta l’infelicità e la vergogna di sua madre.
CONSOLE BERNICK Signor professore –!
DINA Lui! (A Johan Tønnesen.) È vero?
JOHAN TØNNESEN Karsten, rispondi tu.
CONSOLE BERNICK Non una parola di più! Oggi si deve tacere
qui.
DINA Dunque è vero.
PROFESSOR RØRLUND Vero, vero. E c’è di più. Quest’uomo, nel
quale lei ripone la sua fiducia, non se ne scappò da casa a mani
vuote; – la cassa della vedova Bernick –; il console può testimo-
niarlo!
43
Esattamente come per la Bolette de La signora del mare, il problema di
Dina è di sottrarsi, grazie a un qualche uomo (non importa chi), a una situa-
zione soffocante. Pronta per questo anche a vendersi a un uomo che non
ama, come sarebbe Rørlund. Il che non significa che ami Johan: quest’ultimo
è soltanto più giovane e meno noioso. Da notare che Dina era una bambinet-
ta quando Johan è partito per gli Stati Uniti. Si possono calcolare tranquilla-
mente quindici/venti anni di differenza. Sin da questo primo testo si impone
il tema segreto del fantasma incestuoso padre/figlia (anche se qui senza nes-
suna risonanza poetica).
80 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL Menzogne!


CONSOLE BERNICK Ah –!
SIGNORA BERNICK Oh Dio, oh Dio!
JOHAN TØNNESEN (verso di lui con il braccio alzato) E questo tu
osi –!
SIGNORINA HESSEL (contrastando) Non lo picchiare, Johan!
PROFESSOR RØRLUND Faccia pure, mi metta le mani addosso.
Ma la verità dev’essere rivelata; e questa è la verità; l’ha detta il
console Bernick in persona, e lo sa tutta la città. – Ecco, Dina,
adesso lo conosce.

(Breve silenzio.)

JOHAN TØNNESEN (a bassa voce, afferra Bernick per il braccio)


Karsten, Karsten, che hai fatto!
SIGNORA BERNICK (a voce bassa e piangendo) Oh, Karsten, do-
vevo portarti io in questa vergogna.
COMMERCIANTE SANDSTAD (arriva rapido da destra e, con la
mano sul pomo della porta, grida) Adesso deve assolutamente
venire, signor console! La ferrovia intera è appesa ad un filo.
CONSOLE BERNICK (assente) Che c’è? Che devo –?
SIGNORINA HESSEL (seria e con enfasi) Devi andar su a sostene-
re la società, cognato.
COMMERCIANTE SANDSTAD Sì, venga, venga; abbiamo bisogno
di tutta la sua autorità morale.
JOHAN TØNNESEN (vicino a lui) Bernick, – noi due parliamo do-
mani.

(Esce attraverso il giardino; il console Bernick, come senza voglia,


esce a destra con il commerciante Sandstad.)
TERZO ATTO

(Sala che dà sul giardino in casa del console Bernick.)

(Il console Bernick, con in mano una canna d’India, esce in acces-
so di violenta collera dalla stanza posteriore a sinistra e lascia la
porta semi-aperta dietro di sé.)

CONSOLE BERNICK Vediamo un po’; finalmente si è fatto sul se-


rio una volta per tutte; questa bastonata credo che se la ricor-
derà. (A qualcuno nella stanza.) Che stai dicendo? – E io ti dico
che sei una madre insensata! Lo difendi, lo approvi in tutte le
sue mascalzonate. – Non sono mascalzonate? Come le chiami
allora? Sgattaiolare fuori di casa durante la notte, andare per
mare con le barche dei pescatori, rimanere fuori fino a giorno
inoltrato e gettare me in una tale angoscia mortale, me, che ho
così tanto altro cui pensare. E quel furfante osa minacciare che
se ne vuole andare per la sua strada! Sì, lasciaglielo provare! –
Tu? No, lo credo bene; non è che ti preoccupi molto di ciò che
può accadergli. Io credo proprio che, se morisse –! – Ah sì? Cer-
to, ma io ho un’eredità da lasciare dietro di me qui nel mondo;
non ho nessun tornaconto a rimanere senza figli. – Nessuna
obiezione, Betty; dev’essere così come ho detto; è in consegna a
casa – (Origlia.) Silenzio; che nessuno si accorga di niente.

(L’amministratore Krap entra da destra.)

AMMINISTRATORE KRAP Ha un attimo di tempo, signor console?


CONSOLE BERNICK (getta via la canna d’India)44 Certamente,
certamente. Viene dal cantiere?
44
Sapienza pedagogica di una civiltà ottocentesca che non conosce il lassi-
smo post-sessantottesco: al figlio discolo giova qualche bastonata con la can-
na di bambù (detta «canna d’India»), che prontamente il personaggio «getta
via», appena espletato il servizio repressivo.
82 HENRIK IBSEN

AMMINISTRATORE KRAP Proprio adesso. Hm –


CONSOLE BERNICK Allora? Non c’è mica qualcosa che non va
con il “Palma”?
AMMINISTRATORE KRAP Il “Palma” può salpare domani, ma –
CONSOLE BERNICK L’“Indian Girl”, dunque? Non sospettavo
che quel testardo –
AMMINISTRATORE KRAP Anche l’“Indian Girl” può salpare do-
mani; ma – non arriverà certo lontano.
CONSOLE BERNICK Che cosa intende dire?
AMMINISTRATORE KRAP Mi scusi, signor console; quella porta è
semi-chiusa e credo che ci sia qualcuno lì dentro –45
CONSOLE BERNICK (chiude la porta) Ecco qui. Ma, insomma,
che cosa c’è che nessuno deve sentire?
AMMINISTRATORE KRAP C’è questo, che il capocantiere Aune
ha veramente l’intenzione di lasciar andare a picco l’“Indian
Girl”, uomini e topi compresi.
CONSOLE BERNICK Ma, misericordia di Dio, come può crede-
re –?
AMMINISTRATORE KRAP Non posso spiegarmelo in altro modo,
signor console.
CONSOLE BERNICK Avanti, mi dica in poche parole. –
AMMINISTRATORE KRAP Subito. Lei stesso sa come si sia rallen-
tata l’attività al cantiere da quando abbiamo introdotto i nuovi
macchinari e i nuovi operai inesperti.
CONSOLE BERNICK Certo, certo.
AMMINISTRATORE KRAP Ma stamattina, quando sono andato
laggiù, ho notato che la riparazione della nave americana era
andata sorprendentemente avanti; quella grande falla sul fon-
do, – ha capito, quel punto marcio fino in fondo –
CONSOLE BERNICK Certo, certo, e allora?
AMMINISTRATORE KRAP Completamente riparato, – almeno al-
l’apparenza; lo scafo era stato rinforzato; così bello come nuo-
vo; ho sentito che lo stesso Aune ha lavorato con la luce accesa
lì sotto tutta la notte.

45
Nel teatro di Ibsen della seconda fase (quella contemporanea, che inizia
appunto con I sostegni della società) si origlia molto, e questa è solo la prima
avvisaglia. La porta in questione comunica con le stanze dell’interno dell’a-
bitazione. Si noti la finezza del dettaglio verbale: il padrone di casa ha lascia-
to la porta «semi-aperta» (halvt åben), ma per il suo interlocutore – che la
vorrebbe chiusa – quella porta è «semi-chiusa» (på klem).
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 83

CONSOLE BERNICK Sì sì, e quindi –?


AMMINISTRATORE KRAP Sono andato ad esaminarlo; in quel
momento gli operai si riposavano per la colazione, e così ho
avuto l’occasione di girare a bordo inosservato sia fuori che
dentro; ho avuto difficoltà ad arrivare giù, all’interno dell’im-
barcazione già carica; ma mi sono ritrovato in un colabrodo. Si
stanno facendo degli imbrogli, signor console.
CONSOLE BERNICK Non posso crederle, signor Krap. Non posso,
non voglio credere cose simili su Aune.
AMMINISTRATORE KRAP Mi dispiace, – ma è la pura verità. Si
stanno facendo degli imbrogli, le dico. Nessuna sostituzione con
legname nuovo, per quanto abbia potuto capire; si è soltanto
tappato e inchiodato e ricoperto con tavole e pannelli di com-
pensato e roba del genere. Pura rabberciatura! L’“Indian Girl”
non raggiungerà mai New York; andrà a fondo come una pen-
tola scoppiata.
CONSOLE BERNICK Questo è veramente tremendo! Ma quale
può essere il suo scopo, secondo lei?
AMMINISTRATORE KRAP Probabilmente vuole gettare discredi-
to sui macchinari; vuole vendicarsi; vuole che la vecchia mano-
dopera ritorni in auge.
CONSOLE BERNICK E così sacrifica probabilmente tante vite
umane tutte insieme.
AMMINISTRATORE KRAP Un po’ di tempo fa ha detto: non ci so-
no uomini a bordo dell’“Indian Girl”, – solo bruti.
CONSOLE BERNICK Sì, d’accordo, sarà anche così; ma non pensa
al grande capitale che va perduto?
AMMINISTRATORE KRAP Aune non vede certo di buon occhio il
grande capitale, signor console.
CONSOLE BERNICK È proprio vero; è un sobillatore e un agita-
tore; ma un atto così, senza coscienza –. Senta, signor Krap; que-
sta faccenda dev’essere indagata due volte. Non una parola su
questo a nessuno. Il nostro cantiere è compromesso, se la gente
viene a saperlo.
AMMINISTRATORE KRAP Si capisce, ma –
CONSOLE BERNICK Durante la pausa del pranzo faccia in modo
di andare di nuovo lì sotto; devo avere l’assoluta certezza.
AMMINISTRATORE KRAP L’avrà, signor console; ma, mi permet-
ta, cosa ha intenzione di fare poi?
CONSOLE BERNICK Naturalmente, denunciare la faccenda. Non
possiamo renderci complici di un crimine evidente. La mia co-
84 HENRIK IBSEN

scienza dev’essere pulita.46 Farà inoltre una buona impressione


sia sulla stampa che sulla società in generale, quando vedranno
che io metto da parte tutti gli interessi personali e lascio fare il
suo corso alla giustizia.
AMMINISTRATORE KRAP Proprio vero, signor console.
CONSOLE BERNICK Prima di ogni cosa, però, l’assoluta certezza.
E silenzio fino ad allora –
AMMINISTRATORE KRAP Non una parola, signor console; e la
certezza, quella l’avrà.

(Esce attraverso il giardino e giù nella strada.)

CONSOLE BERNICK (a mezza voce) Sconvolgente! Ma no,


dev’essere impossibile, – impensabile!

(Mentre vuole andare nella sua stanza entra da destra Hilmar Tøn-
nesen.)

HILMAR TØNNESEN Buon giorno, Bernick! Dunque, congratula-


zioni per la vittoria alla camera di commercio ieri.
CONSOLE BERNICK Oh, grazie.
HILMAR TØNNESEN È stata proprio una vittoria brillante, ho
sentito, la vittoria dell’intelligente civismo sull’interesse perso-
nale e sul pregiudizio, – quasi come una razzia francese in Ca-
bilia.47 Strano che tu, dopo quei fatti spiacevoli qui –
CONSOLE BERNICK Sì, sì, lasciamo stare.
HILMAR TØNNESEN Ma il colpo decisivo non è stato ancora sfer-
rato.
CONSOLE BERNICK Nella faccenda della ferrovia, intendi dire?
HILMAR TØNNESEN Sì, lo sai, no, che cosa sta complottando il
redattore Hammer?
CONSOLE BERNICK (ansioso) No! Di cosa si tratta?
HILMAR TØNNESEN Si è attaccato a quella voce che si sente in
giro e ne vuole fare un articolo.
46
Altra finezza di linguaggio: il console rivendica come «pulita» la propria «co-
scienza» (samvittighed), ma il rivale sindacalista è stato definito poco sopra quale
persona «senza coscienza» (samvittighedsløs). Ovviamente si perde tutto a tra-
durre con «atto così mostruoso» (Einaudi) o «azione così snaturata» (Mursia).
47
«Razzia»: termine d’origine araba – che i francesi ricavano dalla esperien-
za delle loro guerre coloniali ottocentesche in Algeria, passato tale e quale
nella lingua dano-norvegese – che vale incursione. La Cabilia è regione del-
l’Algeria abitata dai Berberi.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 85

CONSOLE BERNICK Quale voce?


HILMAR TØNNESEN È ovvio, quella sugli acquisti di terreni lun-
go la linea ferroviaria secondaria.
CONSOLE BERNICK Che cosa? Si sente in giro una simile voce?
HILMAR TØNNESEN Sì, si è diffusa in tutta la città. Io l’ho sentita
al circolo, dove mi ero fermato. Uno dei nostri avvocati deve
aver comprato in segreto per conto di qualcuno tutti i fondi bo-
schivi, tutti i terreni ricchi di minerali, tutte le cascate –
CONSOLE BERNICK E non si dice per conto di chi?
HILMAR TØNNESEN Al circolo si vocifera che dev’essere per
conto di una compagnia fuori città, che ha fiutato quello che
stai facendo e che si è affrettata prima che i prezzi dei terreni
salgano –. Non è ignobile – uff!
CONSOLE BERNICK Ignobile?
HILMAR TØNNESEN Sì, che dei forestieri si intromettano in que-
sto modo nelle nostre proprie terre. E che uno dei nostri avvo-
cati della città si possa prestare ad affari del genere! Adesso,
dunque, sarà la gente di fuori a prendersi i vantaggi.
CONSOLE BERNICK Ma se è soltanto una voce senza fondamento.
HILMAR TØNNESEN Intanto ci si crede, e domani o dopodomani il
redattore Hammer naturalmente l’inchioderà come un fatto.
C’era già un generale malcontento lassù. Ho sentito molti dire
che, se questa voce viene confermata, si cancelleranno dalle liste.
CONSOLE BERNICK Impossibile!
HILMAR TØNNESEN Davvero? Perché pensi che queste anime
bottegaie fossero così desiderose di partecipare al tuo proget-
to? Non credi che loro stesse avessero fiutato che –?
CONSOLE BERNICK Impossibile, ti dico; c’è così tanto civismo
qui nella nostra piccola società –
HILMAR TØNNESEN Qui? Già, tu sei un ottimista, e giudichi gli
altri in base a te stesso. Ma io, che sono un osservatore abba-
stanza esperto –. Qui non ce n’è uno, – certo, ad eccezione di
noi, naturalmente, – non uno, ti dico, che tenga alto lo stendar-
do dell’idea. (In piedi, rivolto verso il fondo.) Uff, eccoli là!
CONSOLE BERNICK Chi?
HILMAR TØNNESEN I due americani. (Guarda fuori a destra.) E
chi è quello con cui vanno insieme? Sì, per Dio, il capitano
dell’“Indian Girl”. Uff!
CONSOLE BERNICK Che possono volere da lui?
HILMAR TØNNESEN Ah, è proprio la giusta appropriata compa-
gnia. Lui può benissimo essere stato trafficante di schiavi o pi-
rata; e chi lo sa che cosa hanno fatto gli altri in tutti questi anni.
86 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK Te lo dico, è assolutamente sbagliato pensa-


re simili cose di loro.
HILMAR TØNNESEN Già, tu sei un ottimista. Ma ora naturalmen-
te ci saltano di nuovo alla gola; perciò voglio per tempo –

(Risale verso la porta a sinistra.)

(La signorina Hessel arriva da destra.)

SIGNORINA HESSEL Be’, Hilmar, sono io che ti faccio scappare


dal salotto?
HILMAR TØNNESEN Niente affatto; stavo qui in procinto di an-
darmene; dovrei dire una parola a Betty.

(Entra nella stanza posteriore a sinistra.)

CONSOLE BERNICK (dopo un breve silenzio) Allora, Lona?


SIGNORINA HESSEL Sì.
CONSOLE BERNICK Qual è il tuo parere su di me oggi?
SIGNORINA HESSEL Come ieri. Una menzogna in più o in meno –
CONSOLE BERNICK Bisogna che tu faccia luce sulle cose. Che ne
è di Johan?
SIGNORINA HESSEL Viene; doveva parlare con qualcuno.
CONSOLE BERNICK Dopo quello che hai sentito ieri, capirai che
tutta la mia esistenza è distrutta, se la verità viene alla luce.
SIGNORINA HESSEL Lo capisco.
CONSOLE BERNICK È ovvio, naturalmente, che io non mi sono
reso colpevole di quel crimine su cui qui sono girate voci.
SIGNORINA HESSEL Si capisce da sé. Ma chi fu il ladro?
CONSOLE BERNICK Non ci fu nessun ladro. Non ci fu nessun fur-
to di denaro; non uno scellino è scomparso.
SIGNORINA HESSEL Come sarebbe a dire?
CONSOLE BERNICK Non uno scellino, ti dico.
SIGNORINA HESSEL Ma le voci? Come è venuta fuori quella ver-
gognosa voce che Johan –?
CONSOLE BERNICK Lona, con te penso di poter parlare come
con nessun altro; non voglio nasconderti nulla. Io ho contribui-
to a diffondere quella voce.
SIGNORINA HESSEL Tu? E hai potuto fare questo contro di lui,
che per causa tua –!
CONSOLE BERNICK Non puoi giudicare senza considerare come
stavano le cose allora. Te l’ho già raccontato ieri. Tornai a casa
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 87

e trovai mia madre coinvolta in una lunga serie di iniziative po-


co prudenti; disgrazie di ogni genere ci piombarono addosso;
era come se tutto il male infuriasse contro di noi; la nostra
azienda di famiglia era sul punto di andare in rovina. Io ero per
metà sventato e per metà disperato. Lona, io credo che proprio
per soffocare i pensieri mi impegolai in quel legame che portò
Johan a partire.
SIGNORINA HESSEL Hm –
CONSOLE BERNICK Ti puoi ben immaginare come si sparsero in
giro dicerie di ogni genere, quando lui era lontano insieme a te.
Questa non era la sua prima sventatezza, si disse. Si sospettò
che Dorf avesse ottenuto una grossa somma di denaro da lui
per tacere e andarsene via; altri sostennero, invece, che lei lo
aveva ricevuto. Nello stesso tempo non si riuscì a nascondere
che la nostra azienda familiare aveva difficoltà nel far fronte ai
propri impegni. Che cosa c’era di più verosimile per i pettegoli
che mettere in relazione queste due voci? Dal momento che lei
rimase qui e visse nell’indigenza, si sostenne che lui si era por-
tato il denaro con sé in America, e la voce rese la somma sem-
pre più grande.
SIGNORINA HESSEL E tu, Karsten –?
CONSOLE BERNICK Io mi aggrappai a questa voce come ad una
tavola di salvataggio.
SIGNORINA HESSEL La diffondesti ulteriormente?
CONSOLE BERNICK Non la contrastai. I creditori avevano co-
minciato a toglierci la vita; era necessario che li rassicurassi; si
trattava di non far avere sospetti sulla solidità dell’azienda; una
disgrazia momentanea ci aveva colpito; bastava non pressarci;
bastava darci tempo; ognuno avrebbe avuto il suo.
SIGNORINA HESSEL E ognuno ebbe il suo?
CONSOLE BERNICK Sì, Lona, questa voce ha salvato la nostra
azienda e ha fatto di me l’uomo che adesso sono.
SIGNORINA HESSEL Una menzogna, dunque, ha fatto di te l’uo-
mo che adesso sei.
CONSOLE BERNICK A chi ha fatto danno in quel tempo? Era in-
tenzione di Johan non ritornare mai più.
SIGNORINA HESSEL Tu chiedi a chi ha fatto danno. Guarda den-
tro te stesso e dimmi se non hai ricevuto danno.
CONSOLE BERNICK Guarda dentro qualsiasi persona tu voglia, e
troverai in ognuna almeno un punto nero che deve essere co-
perto.
SIGNORINA HESSEL E voi vi proclamate i sostegni della società!
88 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK La società non ne ha di migliori.


SIGNORINA HESSEL E che necessità c’è che una simile società
sia sostenuta o meno? Che cos’è che vale qui? Apparenza e
menzogna – e null’altro. Qui vivi tu, primo cittadino, in magnifi-
cenza e letizia, in onore e potere, tu che hai marchiato come cri-
minale un innocente.
CONSOLE BERNICK Non credi che nel mio profondo senta abba-
stanza il mio torto nei suoi confronti? E non credi che sia pron-
to a fare del bene di nuovo?
SIGNORINA HESSEL In che modo? Parlando?
CONSOLE BERNICK E tu potresti esigere questo?
SIGNORINA HESSEL In che altro modo potresti riparare un simi-
le torto?
CONSOLE BERNICK Io sono ricco, Lona; Johan può chiedermi
qualsiasi cosa egli desideri –
SIGNORINA HESSEL Sì, offrigli denaro, e sentirai che cosa ti ri-
sponde.
CONSOLE BERNICK Sai quali sono i suoi piani?
SIGNORINA HESSEL No. Da ieri non dice una parola. È come se
tutto questo l’avesse trasformato di colpo in un uomo maturo.
CONSOLE BERNICK Devo parlare con lui.
SIGNORINA HESSEL È tutto tuo.

(Johan Tønnesen entra da destra.)

CONSOLE BERNICK (verso di lui) Johan –!


JOHAN TØNNESEN (prevenendolo) Prima io. Ieri mattina ti ho
dato la mia parola che avrei taciuto.
CONSOLE BERNICK L’hai fatto.
JOHAN TØNNESEN Ma allora non sapevo ancora –
CONSOLE BERNICK Johan, lascia solo che ti chiarisca in due pa-
role la situazione –
JOHAN TØNNESEN Non c’è bisogno; capisco la situazione molto
bene. L’azienda di famiglia era allora in una condizione diffici-
le; e, dal momento che io ero assente, e tu avevi un nome indi-
feso e delle voci di cui disporre –.48 Ebbene, non voglio addos-

48
Bernick ha scaricato strumentalmente su Johan sia la colpa della relazione
adulterina con l’attrice, sia le voci sugli ammanchi di cassa della ditta. La par-
tenza per gli Stati Uniti di Johan ha messo infatti Bernick in condizione di
«disporre» tanto di «un nome indifeso» (la reputazione di Johan) che «delle
voci» relative all’ammanco.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 89

sarti tutto il peso; eravamo giovani e sventati in quel tempo. Ma


adesso io ho bisogno della verità e perciò tu devi parlare.
CONSOLE BERNICK E proprio ora io ho bisogno di tutta la mia
autorità morale e perciò ora non posso parlare.
JOHAN TØNNESEN Non m’importa tanto delle fandonie che hai
messo in giro su di me; è di quell’altra faccenda che devi pren-
dere la colpa tu stesso. Dina diventerà mia moglie, e qui, qui in
città voglio vivere e abitare e costruire con lei.
SIGNORINA HESSEL Vuoi questo?
CONSOLE BERNICK Con Dina! Come tua moglie? Qui in città!
JOHAN TØNNESEN Sì, proprio qui; voglio rimanere qui per af-
frontare tutte queste menzogne e calunnie. Ma è necessario che
tu mi discolpi, perché io possa conquistarla.
CONSOLE BERNICK Hai pensato che, se io ammetto una colpa,
nello stesso tempo, insieme a quella, mi prendo anche l’altra?
Credi, forse, che in base ai nostri rendiconti io possa dimostrare
che non ha avuto luogo nessuna disonestà? Ma non posso farlo;
i nostri rendiconti non furono redatti in modo così preciso allo-
ra. E poi, anche se potessi, – che cosa ci guadagnerei? Non ri-
marrei, comunque, un uomo che una volta si è salvato grazie ad
una bugia e che in quindici anni ha lasciato che questa bugia e
tutto il resto si consolidasse senza aver mosso un passo contro di
essa? Tu non conosci più la nostra società, altrimenti dovresti sa-
pere che questo significherebbe schiacciarmi in tutto e per tutto.
JOHAN TØNNESEN Io posso solo dirti che voglio prendere la fi-
glia di madama Dorf in moglie e vivere con lei qui in città.
CONSOLE BERNICK (si asciuga il sudore dalla fronte) Ascoltami,
Johan, – e anche tu, Lona. Non sono facili circostanze quelle in
cui mi trovo proprio in questi giorni. Sono nella situazione in
cui, se mi sferrate questo colpo, allora mi distruggete, e non di-
struggete solo me, ma anche un grande e benedetto avvenire per
questa società, che è nondimeno la casa della vostra infanzia.
JOHAN TØNNESEN E se non ti sferro questo colpo, allora distrug-
go io stesso tutta la mia felicità futura.
SIGNORINA HESSEL Continua a parlare, Karsten.
CONSOLE BERNICK Dunque ascoltatemi. Tutto è legato alla fac-
cenda della ferrovia, che non è così semplice come voi pensate.
Avete sentito parlare, sicuro, del fatto che l’anno scorso qui si
negoziava per una linea costiera? C’erano molte e influenti po-
sizioni a suo favore, qui in città e nei dintorni, e in particolare
sulla stampa; ma io riuscii a impedirla, perché avrebbe danneg-
giato il nostro traffico di vapori lungo la costa.
90 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL Hai interessi personali in questo traffico di


vapori?
CONSOLE BERNICK Sì. Ma nessuno osò sospettare di me a tale
riguardo; il mio onorato nome mi faceva da scudo e da scher-
mo. D’altra parte io avrei anche potuto sopportare la perdita;
ma la città non avrebbe potuto sopportarla. Così venne decisa
la linea interna. Quando avvenne ciò, mi assicurai in segreto
che si potesse costruire una diramazione fin quaggiù in città.
SIGNORINA HESSEL Perché in segreto, Karsten?
CONSOLE BERNICK Avete sentito parlare dei grandi acquisti di
terreni boschivi, di miniere e di cascate –?
JOHAN TØNNESEN Sì, si tratta di una compagnia di fuori –
CONSOLE BERNICK Così come sono divisi tra i vari proprietari,
questi terreni sono praticamente senza valore al momento; per-
ciò sono stati venduti relativamente a buon prezzo. Se si aspet-
tava fino a che la diramazione fosse stata decisa, i proprietari
avrebbero imposto prezzi folli.
SIGNORINA HESSEL Bene, bene; ma allora?
CONSOLE BERNICK Adesso viene la cosa che si può interpretare
in modi diversi, – la cosa che un uomo nella nostra società può
confessare solo qualora abbia un nome senza macchia e onora-
to su cui sostenersi.
SIGNORINA HESSEL Cioè?
CONSOLE BERNICK Sono io che ho acquistato tutto quanto.
SIGNORINA HESSEL Tu?
JOHAN TØNNESEN Per conto tuo?
CONSOLE BERNICK Per conto mio. Si fa la diramazione, divento
milionario; non si fa, sono rovinato.
SIGNORINA HESSEL Questo è azzardato, Karsten.
CONSOLE BERNICK Ho rischiato tutto il mio patrimonio in questo.
SIGNORINA HESSEL Io non penso al patrimonio; quando si verrà
a sapere che –
CONSOLE BERNICK Sì, eccoci al punto cruciale. Con il nome sen-
za macchia, che finora ho portato, posso prendere questo ri-
schio sulle mie spalle e portarlo avanti, e dire ai miei concitta-
dini: guardate, ho rischiato questo per il bene della società.
SIGNORINA HESSEL Della società?
CONSOLE BERNICK Sì; e nemmeno uno metterà in dubbio le mie
intenzioni.
SIGNORINA HESSEL Ma ci sono degli uomini, qui, che hanno agi-
to più apertamente di te, senza secondi fini, senza sottintesi.
CONSOLE BERNICK Chi?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 91

SIGNORINA HESSEL Naturalmente, sia Rummel che Sandstad e


Vigeland.
CONSOLE BERNICK Per tirarli dalla mia parte sono stato costret-
to a raccontare loro la cosa.
SIGNORINA HESSEL E allora?
CONSOLE BERNICK Hanno posto la condizione di spartire un
quinto del profitto.
SIGNORINA HESSEL Però, questi sostegni della società!
CONSOLE BERNICK E non è la società stessa che ci costringe ad
agire per vie traverse? Che cosa sarebbe accaduto qui, se non
avessi agito in segreto? Tutti si sarebbero gettati nel progetto,
per dividere, dissipare, guastare e raffazzonare tutto quanto. In
città non c’è un solo uomo, ad eccezione di me, che sappia diri-
gere un’impresa così grande come diventerà questa; qui da noi
sono generalmente solo le famiglie di immigrati che hanno atti-
tudine per l’attività commerciale di un certo livello.49 Ecco per-
ché la mia coscienza mi assolve in questa commedia. Soltanto
nelle mie mani questi terreni possono diventare una benedizio-
ne duratura per quei molti che vi troveranno il pane.
SIGNORINA HESSEL In questo credo che hai ragione, Karsten.50
JOHAN TØNNESEN Ma io non conosco questi molti, ed è in gioco
la felicità della mia vita.
CONSOLE BERNICK Anche il benessere del tuo paese natale è in
gioco. Se viene a galla qualcosa che getti ombra sul mio com-
portamento precedente, tutti i miei oppositori si scaglieranno
contro di me come un solo uomo. Una leggerezza di gioventù
non si cancella mai nella nostra società. Indagheranno su tutta
la mia vita passata, tireranno fuori mille piccoli fatti, li interpre-
teranno e decifreranno alla luce di ciò che si è saputo; mi
schiacceranno sotto il peso delle voci e delle calunnie. Dalla
ferrovia dovrò tirarmi indietro; e, se levo la mia mano da lì, la

49
La maggior parte degli imprenditori, e degli artigiani, provenivano dalla
Danimarca e dal nord della Germania. (Sandra Colella)
50
Bernick può sembrare odioso, ma è solo il frutto del condizionamento di
un ambiente esteriore arretrato, che lo costringe a mentire, che gli dà l’aria
antipatica dell’ipocrita, del maneggione fariseo e farisaico. È la fatale distor-
sione indotta da questo milieu gretto, che finisce per attribuire un significato
meschino a quello che è legittimo profitto capitalistico, ricompensa di una in-
telligenza e di una energia, rischio d’impresa. Che Lona gli dia ragione con-
ferma la correttezza di questa immagine sostanzialmente positiva del perso-
naggio.
92 HENRIK IBSEN

faccenda andrà alla deriva e per me di colpo ci sarà la rovina e


la morte civile.
SIGNORINA HESSEL Johan, dopo questo che hai sentito adesso,
devi partire e tacere.
CONSOLE BERNICK Sì, sì, Johan, devi farlo!
JOHAN TØNNESEN D’accordo, partirò e starò anche zitto; ma
tornerò di nuovo e, allora, parlerò.
CONSOLE BERNICK Rimani laggiù, Johan; taci, e io sono dispo-
sto a dividere con te –
JOHAN TØNNESEN Tieniti il tuo denaro, ma dammi indietro il
mio nome e la mia reputazione.
CONSOLE BERNICK E sacrificare il mio!
JOHAN TØNNESEN Veditela tu e la tua società su come venir fuo-
ri da questa faccenda. Io devo e voglio conquistare Dina per
me, e lo farò. Perciò parto non più tardi di domani con l’“In-
dian Girl” –
CONSOLE BERNICK Con l’“Indian Girl”?
JOHAN TØNNESEN Sì. Il capitano ha promesso di prendermi a
bordo. Parto, ti dico; vendo la mia fattoria e sistemo i miei affa-
ri. In due mesi sarò qui di nuovo.
CONSOLE BERNICK E allora parlerai?
JOHAN TØNNESEN Allora il colpevole prenderà su di sé la sua
colpa.
CONSOLE BERNICK Dimentichi che in questo modo dovrò pren-
dermi anche la colpa di ciò di cui non sono colpevole?
JOHAN TØNNESEN Chi è che quindici anni fa ha approfittato di
voci vergognose?
CONSOLE BERNICK Tu mi riduci alla disperazione! Ma negherò
tutto, se parli! Dirò che è un complotto contro di me; una ven-
detta; che tu sei venuto quassù per estorcermi denaro!
SIGNORINA HESSEL Vergognati, Karsten!
CONSOLE BERNICK Sono disperato, ti dico; e combatto per la vi-
ta.51 Negherò tutto, tutto!
JOHAN TØNNESEN Ho entrambe le tue lettere. Nella mia valigia
le ho trovate tra le altre carte. Stamattina vi ho dato uno sguar-
do; sono chiare abbastanza.
CONSOLE BERNICK E tu le vuoi mostrare?

51
Jeg kæmper for livet, «combatto per la vita». Emblema di quel personaggio
di grande combattente che è Bernick. Vedremo altri personaggi ibseniani
esprimersi con la stessa espressione (e la stessa determinazione psicologica):
cfr. ad esempio Una casa di bambola, n. 56.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 93

JOHAN TØNNESEN In caso di necessità.


CONSOLE BERNICK E tra due mesi sarai qui di nuovo?
JOHAN TØNNESEN Così spero. Il vento è favorevole. Fra tre set-
timane sarò a New York – se l’“Indian Girl” non affonda.
CONSOLE BERNICK (sussultando) Affonda? Perché l’“Indian
Girl” dovrebbe affondare?
JOHAN TØNNESEN No, nemmeno io lo penso.
CONSOLE BERNICK (appena percettibile) Affondare?
JOHAN TØNNESEN Perfetto, Bernick, adesso dunque sai che cosa
si prepara; vedi come regolarti nel frattempo. Arrivederci! Sa-
lutami pure Betty, nonostante che non mi abbia ricevuto come
una sorella. Ma Marta voglio vederla. Deve dire a Dina –; deve
promettermi –

(Esce attraverso la porta posteriore a sinistra.)

CONSOLE BERNICK (fra sé e sé) L’“Indian Girl” –? (Rapido.) Lo-


na, tu devi impedire questo!
SIGNORINA HESSEL Lo vedi da te stesso, Karsten, – non ho più
nessuna influenza su di lui.

(Segue Johan nella stanza a sinistra.)

CONSOLE BERNICK (preso da inquieti pensieri) Affondare –?

(Il capocantiere Aune arriva da destra.)

CAPOCANTIERE AUNE Con permesso, sarebbe disponibile il con-


sole –?
CONSOLE BERNICK (si gira con violenza) Cosa vuole?
CAPOCANTIERE AUNE Pregare di poter rivolgere una domanda
al console.
CONSOLE BERNICK D’accordo; faccia in fretta. Cosa vuole chie-
dere?
CAPOCANTIERE AUNE Vorrei chiedere se è cosa certa, – assolu-
tamente certa, – che sarei licenziato dal cantiere, se l’“Indian
Girl” non potesse salpare domani?
CONSOLE BERNICK A che proposito? La nave sicuramente sarà
pronta per navigare.
CAPOCANTIERE AUNE Be’, – è così. Ma se non lo fosse, – sarei
dunque licenziato?
CONSOLE BERNICK Per quale motivo tali inutili domande?
94 HENRIK IBSEN

CAPOCANTIERE AUNE Vorrei tanto saperlo, signor console. Mi


risponda su questo: sarei dunque licenziato?
CONSOLE BERNICK La mia parola è solita essere certa o no?
CAPOCANTIERE AUNE Domani dunque perderei la posizione
che rivesto a casa mia e tra coloro cui appartengo più da vicino,
– perderei la mia autorità nella cerchia degli operai, – perderei
ogni occasione per portare aiuto tra coloro che sono deboli e
miserabili nella società.
CONSOLE BERNICK Aune, con questo punto abbiamo finito.
CAPOCANTIERE AUNE Sì, allora l’“Indian Girl” prenderà il mare.

(Breve silenzio.)

CONSOLE BERNICK Adesso ascolti; io non posso avere i miei oc-


chi ovunque; non posso essere responsabile per tutto; – lei può
assicurarmi, con certezza, che la riparazione è stata portata a
termine in maniera irreprensibile?
CAPOCANTIERE AUNE Lei mi ha dato un termine stretto, signor
console.
CONSOLE BERNICK Ma la riparazione è fatta responsabilmente,
lei dice?
CAPOCANTIERE AUNE Abbiamo tempo buono e di mezza
estate.

(Di nuovo silenzio.)

CONSOLE BERNICK Non ha altro da dirmi?


CAPOCANTIERE AUNE Non so altro, signor console.
CONSOLE BERNICK Dunque, – l’“Indian Girl” prenderà il mare –
CAPOCANTIERE AUNE Domani?
CONSOLE BERNICK Sì.
CAPOCANTIERE AUNE D’accordo.

(Saluta ed esce.)

(Il console Bernick rimane un momento incerto; quindi va svelto ver-


so la porta d’ingresso, come se volesse chiamare indietro Aune, ma si
ferma irrequieto con la mano sul pomo della porta. Nello stesso mo-
mento si apre la porta dall’esterno ed entra l’amministratore Krap.)

AMMINISTRATORE KRAP (a voce bassa) Aha, è stato qui. Ha


confessato?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 95

CONSOLE BERNICK Hm –; lei ha scoperto qualcosa?


AMMINISTRATORE KRAP Ce n’è bisogno? Il console non ha no-
tato come guardava intorno con cattiva coscienza?
CONSOLE BERNICK Ah, insomma; – non si vede mica. Le ho do-
mandato, ha scoperto qualcosa lei?
AMMINISTRATORE KRAP Non ce l’ho fatta; sono arrivato troppo
tardi; stavano già tirando fuori la nave dal bacino di carenag-
gio. Ma proprio questa fretta mostra chiaramente che –
CONSOLE BERNICK Non mostra niente. L’ispezione quindi ha
avuto luogo?
AMMINISTRATORE KRAP Si capisce; ma –
CONSOLE BERNICK Lo vede. E, naturalmente, non si è trovato
nulla contro cui reclamare?
AMMINISTRATORE KRAP Signor console, lei sa benissimo come
vanno queste ispezioni, soprattutto in un cantiere che ha una
reputazione così buona come la nostra.
CONSOLE BERNICK Fa lo stesso; non abbiamo nulla da rimpro-
verarci, quindi.
AMMINISTRATORE KRAP Signor console, davvero non ha potuto
notare che Aune –?
CONSOLE BERNICK Aune mi ha completamente tranquillizzato,
le dico.
AMMINISTRATORE KRAP E io le dico che sono moralmente con-
vinto che –
CONSOLE BERNICK Cosa significa questo, signor Krap? Vedo be-
ne che quell’uomo, per lei, è una spina nel fianco; ma se vuole
perseguitarlo, allora dovrebbe scegliere un’altra occasione. Lei
sa quanto io ci tenga – o più propriamente la compagnia arma-
trice – che l’“Indian Girl” prenda il mare domani.
AMMINISTRATORE KRAP D’accordo, certamente; che sia così;
ma se e quando avremo notizie di quella nave – hm!

(Il commerciante Vigeland entra da destra.)

COMMERCIANTE VIGELAND Un rispettoso buon giorno, signor


console. Forse ha un momento di tempo.
CONSOLE BERNICK Al suo servizio, signor Vigeland.
COMMERCIANTE VIGELAND Bene, volevo solo sapere, anche lei
è d’accordo che il “Palma” parta domani?
CONSOLE BERNICK Certo; è stabilito ormai.
COMMERCIANTE VIGELAND Ma adesso è venuto da me il capi-
tano per avvertire che hanno dato segnali di tempesta.
96 HENRIK IBSEN

AMMINISTRATORE KRAP Il barometro è sceso notevolmente da


stamattina.
CONSOLE BERNICK E allora? Possiamo aspettarci una tempesta?
COMMERCIANTE VIGELAND Di sicuro un vento forte; ma non
vento contrario; anzi –
CONSOLE BERNICK Hm; sì, cosa ne dice lei?
COMMERCIANTE VIGELAND Io dico, come ho detto al capitano,
che il “Palma” è nelle mani della Provvidenza. Inoltre, all’inizio
deve attraversare soltanto il mare del Nord; e in Inghilterra i
noli, adesso, sono abbastanza alti, cosicché –
CONSOLE BERNICK Sì, probabilmente avremmo una perdita, se
aspettassimo.
COMMERCIANTE VIGELAND La nave, oltretutto, è anche solida,
e per di più completamente assicurata. No, in effetti è decisa-
mente più rischioso per l’“Indian Girl” –
CONSOLE BERNICK In che modo, intende dire?
COMMERCIANTE VIGELAND Anche quella parte domani.
CONSOLE BERNICK Sì, la compagnia armatrice ha sollecitato for-
temente e, inoltre –
COMMERCIANTE VIGELAND Be’, se quella vecchia carretta si az-
zarda fuori, – e per giunta con un tale equipaggio, – allora sa-
rebbe una vergogna se noi non –
CONSOLE BERNICK Giusto, giusto. Lei, certo, ha con sé i docu-
menti della nave?
COMMERCIANTE VIGELAND Eccoli.
CONSOLE BERNICK Bene; si accomodi dentro, allora, con il si-
gnor Krap.
AMMINISTRATORE KRAP Prego; sarà presto fatto.
COMMERCIANTE VIGELAND Grazie. – E l’esito lo mettiamo nel-
le mani dell’Onnipotente, signor console.

(Entra con l’amministratore Krap nella stanza anteriore a sinistra.


Il professor Rørlund viene attraverso il giardino.)

PROFESSOR RØRLUND Oh, la incontro a casa a quest’ora del


giorno, signor console?
CONSOLE BERNICK (pensieroso) Come vede.
PROFESSOR RØRLUND Ecco, veramente è per sua moglie che so-
no passato di qui. Ho pensato che potesse avere bisogno di una
parola di conforto.
CONSOLE BERNICK Di sicuro può averne. Ma anche io parlerei
volentieri un po’ con lei.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 97

PROFESSOR RØRLUND Con piacere, signor console. Ma cos’ha?


Sembra piuttosto pallido e turbato.
CONSOLE BERNICK Ah sì? Così sembro? Certo, come può esse-
re diversamente, – se c’è così tanto, in questo periodo, che si ag-
groviglia intorno a me? Tutta la mia grande impresa, – e poi la
costruzione della ferrovia –. Senta; mi dica una parola, signor
professore; permetta che le faccia una domanda.
PROFESSOR RØRLUND Molto volentieri, signor console.
CONSOLE BERNICK C’è un pensiero che mi passa per la mente.
Quando ci si trova di fronte ad un progetto di così grande por-
tata, che mira a promuovere il benessere di migliaia –. Se que-
sto dovesse però richiedere un sacrificio individuale –?
PROFESSOR RØRLUND Che cosa intende dire?
CONSOLE BERNICK Le faccio un esempio, un uomo pensa di co-
struire una grande fabbrica. Egli sa con sicurezza – questo almeno
gli ha insegnato tutta la sua esperienza – che presto o tardi saran-
no in gioco delle vite umane durante l’attività di questa fabbrica.
PROFESSOR RØRLUND Certo, è fin troppo probabile.
CONSOLE BERNICK Oppure c’è uno che si lancia in un’impresa
mineraria. Egli prende al suo servizio sia padri di famiglia che
giovani uomini pieni di vita. Si può dire con sicurezza che non
tutti riusciranno a scamparsela?
PROFESSOR RØRLUND Eh sì, purtroppo, è proprio così.
CONSOLE BERNICK Ebbene. Un tale uomo sa dunque in antici-
po che il progetto che sta per mettere in atto senza dubbio ri-
chiederà un giorno il costo di vite umane. Ma questo progetto è
vantaggioso per la collettività; per ogni vita umana, di cui ri-
chiederà il costo, altrettanto senza dubbio promuoverà il be-
nessere di molte centinaia.
PROFESSOR RØRLUND Aha, lei pensa alla ferrovia, – a tutti quei
pericolosi lavori di scavo e di disintegrazione delle rocce e a
tutto il resto –
CONSOLE BERNICK Sì, sì, infatti; penso alla ferrovia. Inoltre, –
grazie alla ferrovia, di sicuro si svilupperanno sia fabbriche che
miniere. Ma lei non crede, ciononostante –?
PROFESSOR RØRLUND Caro signor console, lei è fin troppo co-
scienzioso.52 Io credo che, quando mette la cosa nelle mani del-
la Provvidenza –

52
Samvittighedsfuld, letteralmente «pieno di coscienza», dunque «coscien-
zioso»: altra variazione sull’opposizione samvittighed/samvittighedsløs di cui
alla n. 46.
98 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK Sì; sì, certo; la Provvidenza –


PROFESSOR RØRLUND – allora non ha nulla da rimproverarsi.
Costruisca pure fiducioso la ferrovia.
CONSOLE BERNICK Sì, ma adesso le sottopongo un caso speci-
fico. Mettiamo, per esempio, che ci sia un foro di trivellazione
da far esplodere in un luogo pericoloso; ma senza l’esplosio-
ne di questo foro la ferrovia non potrebbe essere realizzata.
Mettiamo, per esempio, che l’ingegnere sappia che l’innesco
della mina costerà la vita di un operaio; ma la mina dev’esse-
re innescata, ed è dovere dell’ingegnere mandare un operaio
a farlo.
PROFESSOR RØRLUND Hm –
CONSOLE BERNICK So quello che vuole dire. Sarebbe bello se
l’ingegnere stesso prendesse la miccia e andasse a innescarla
nel foro di trivellazione. Ma questo non accade. Egli dunque
deve sacrificare un operaio.
PROFESSOR RØRLUND Questo non lo farebbe mai un ingegnere
qui da noi.
CONSOLE BERNICK Nessun ingegnere nei grandi paesi avrebbe
dubbi nel farlo.
PROFESSOR RØRLUND Nei grandi paesi? No, credo proprio così.
Nelle loro società corrotte e senza coscienza –
CONSOLE BERNICK Oh, si sta piuttosto bene in quelle società.
PROFESSOR RØRLUND E lei dice questo, proprio lei, che –?
CONSOLE BERNICK Dico che nelle grandi società c’è lo spazio
per promuovere un progetto vantaggioso; lì si ha il coraggio di
sacrificare qualcosa per una grande causa; ma qui ci si immise-
risce in ogni sorta di scrupoli e riguardi meschini.
PROFESSOR RØRLUND La vita di un uomo è un riguardo me-
schino?
CONSOLE BERNICK Se questa vita rappresenta una minaccia
contro il benessere di migliaia.
PROFESSOR RØRLUND Ma lei prende proprio dei casi assolu-
tamente impensabili, signor console! Oggi proprio non la ca-
pisco. E poi si riferisce alle grandi società. Certo, lì fuori, –
che importa una vita umana? Lì le vite umane sono valutate
come i capitali – Ma noi ci basiamo su una ben diversa con-
vinzione morale, sono sicuro. Guardi all’onestà della nostra
compagnia armatoriale! Mi nomini un solo armatore, qui da
noi, che per un miserabile guadagno sacrificherebbe una vita
umana! E pensi invece a quei furfanti delle grandi società
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 99

che, a causa del profitto,53 noleggiano carrette del mare una


dietro l’altra –
CONSOLE BERNICK Non sto parlando di navi rovinate!
PROFESSOR RØRLUND Ma io parlo di quelle, signor console.
CONSOLE BERNICK Sì, ma a che fine? Non si tratta di questo. –
Ah, questi piccoli timorosi riguardi! Se un generale, qui da noi,
dovesse portare la sua gente sotto il fuoco a farla fucilare, non
chiuderebbe occhio in seguito. Così non è altrove. Dovrebbe
sentire che cosa racconta lui lì dentro –
PROFESSOR RØRLUND Lui? Chi? L’americano –?
CONSOLE BERNICK Certo. Dovrebbe sentire come si fa in Ame-
rica –
PROFESSOR RØRLUND Lui è lì dentro? E lei non me lo dice. Vo-
glio subito –
CONSOLE BERNICK Non le conviene; non arriva da nessuna par-
te con lui.
PROFESSOR RØRLUND Questo è da vedere. Eccolo, sta arrivando.

(Johan Tønnesen arriva dalla stanza a sinistra.)

JOHAN TØNNESEN (parla voltato verso l’indietro, attraverso la


porta aperta) Sì, sì, Dina, lasciamo perdere; ma in ogni caso non
rinuncerò a lei. Verrò di nuovo, e allora andrà bene tra di noi.
PROFESSOR RØRLUND Con permesso, a cosa mira con quelle pa-
role? Cos’è che vuole?
JOHAN TØNNESEN Voglio che quella ragazza, presso la quale ie-
ri lei mi ha dipinto di nero, diventi mia moglie.
PROFESSOR RØRLUND Sua –? E lei può pensare che –?
JOHAN TØNNESEN Voglio che sia mia moglie.
PROFESSOR RØRLUND Ebbene, allora deve anche venire a sape-
re – (Va verso la porta che è semi-aperta.) Signora Bernick, ab-
bia la bontà di essere testimone –. E anche lei, signorina Marta.
E facciano venire Dina. (Vede la signorina Hessel.) Ah, anche
lei è qui?
SIGNORINA HESSEL (sulla porta) Devo venire anch’io?
PROFESSOR RØRLUND Tutti quelli che vogliono; più ce ne sono,
meglio è.

53
Fordel, «profitto», termine che ritorna solo 9 volte nei magnifici 12, ma ben
6 di queste 9 volte proprio ne I sostegni della società: a conferma che si tratta
di un testo di fondazione della figura del capitano d’industria dell’epopea ca-
pitalistica.
100 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK Che cosa ha in mente?

(La signorina Hessel, la signora Bernick, la signorina Bernick, Di-


na e Hilmar Tønnesen escono dalla stanza.)

SIGNORA BERNICK Signor professore, con tutta la mia buona vo-


lontà non sono riuscita ad impedirgli –
PROFESSOR RØRLUND Glielo impedisco io, signora. – Dina, lei è
una ragazza irriflessiva. Ma non la rimprovero così tanto. È sta-
ta qui per troppo tempo senza quel punto di sostegno morale
che avrebbe dovuto sorreggerla. Io rimprovero me stesso, che
non le ho offerto prima questo punto di sostegno.
DINA Non parli adesso!
SIGNORA BERNICK Ma che succede?
PROFESSOR RØRLUND Proprio adesso devo parlare, Dina, seb-
bene il suo comportamento, sia ieri che oggi, me l’abbia reso
dieci volte più difficile. Ma per la sua salvezza tutti gli altri ri-
guardi devono essere messi da parte. Lei si ricorda della parola
che le ho dato. Lei si ricorda cosa ha promesso di rispondermi,
quando io avessi ritenuto che il tempo era giunto. Adesso non
oso più esitare e, perciò – (a Johan Tønnesen) questa ragazza, a
cui lei aspira, è la mia fidanzata.
SIGNORA BERNICK Cosa sta dicendo!
CONSOLE BERNICK Dina!
JOHAN TØNNESEN Lei! La sua –?
SIGNORINA BERNICK No, no, Dina!
SIGNORINA HESSEL Menzogna!
JOHAN TØNNESEN Dina, – dice la verità quest’uomo?
DINA (dopo una breve pausa) Sì.
PROFESSOR RØRLUND Con questo spero che tutte le arti della
seduzione siano rese impotenti. Il passo, che per il bene di Dina
mi sono deciso a fare, può ben essere reso noto a tutta la nostra
società. Nutro la sicura speranza che non sarà interpretato ma-
le. Ma adesso, signora, credo che sia meglio condurla via di qui
e fare in modo di riportare pace ed equilibrio nel suo animo.
SIGNORA BERNICK Sì, vieni. Oh, Dina, che felicità per te!

(Conduce Dina fuori a sinistra; il professor Rørlund le segue.)

SIGNORINA BERNICK Addio, Johan!

(Esce.)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 101

HILMAR TØNNESEN (sulla porta che dà sul giardino) Hm – que-


sto è proprio –
SIGNORINA HESSEL (che ha seguito Dina con gli occhi) Non ti
scoraggiare, ragazzo! Io rimango qui e tengo d’occhio il pa-
store.

(Esce a destra.)

CONSOLE BERNICK Johan, adesso non partirai con l’“Indian Girl”!


JOHAN TØNNESEN Proprio adesso.
CONSOLE BERNICK Ma certo non ritornerai qui?
JOHAN TØNNESEN Ritornerò.
CONSOLE BERNICK Dopo quello che è successo? Che verrai a
fare, qui, dopo quello che è successo?
JOHAN TØNNESEN Vendicarmi di voi tutti; distruggervi, quanti
più ne potrò.

(Esce a destra. Il commerciante Vigeland e l’amministratore Krap


arrivano dalla stanza del console.)

COMMERCIANTE VIGELAND Ecco qui, adesso i documenti sono


a posto, signor console.
CONSOLE BERNICK Bene, bene –
AMMINISTRATORE KRAP (a voce bassa) Allora è confermato che
l’“Indian Girl” parte domani?
CONSOLE BERNICK Parte.

(Entra nella sua stanza. Il commerciante Vigeland e l’amministra-


tore Krap escono a destra. Hilmar Tønnesen vuole seguirli ma, nel-
lo stesso tempo, Olaf affaccia cautamente la testa attraverso la por-
ta a sinistra.)

OLAF Zio! Zio Hilmar!


HILMAR TØNNESEN Uff, sei tu? Perché non sei rimasto di sopra?
Ricordati che sei in consegna.
OLAF (un paio di passi avanti) Zitto! Zio Hilmar, sai la novità?
HILMAR TØNNESEN Sì, so che oggi sei stato picchiato.
OLAF (guarda minaccioso verso la stanza del padre) Non mi bat-
terà mai più. Ma lo sai che zio Johan domani parte con gli ame-
ricani?
HILMAR TØNNESEN Di che ti immischi? Vedi di ritornartene di
sopra.
102 HENRIK IBSEN

OLAF Forse una volta potrò anche andare a caccia di bufali, zio.
HILMAR TØNNESEN Stupidaggini; un tale codardo, come tu –
OLAF Sì, aspetta solo; vedrai domani!
HILMAR TØNNESEN Allocco!

(Esce attraverso il giardino. Olaf riattraversa di corsa la stanza e


chiude la porta, quando vede l’amministratore Krap, che viene da
destra.)54

AMMINISTRATORE KRAP (va verso la porta del console e la apre


a metà) Mi scusi se vengo di nuovo, signor console; ma c’è aria
di una violenta burrasca. (Aspetta un momento; nessuna rispo-
sta.) L’“Indian Girl” deve partire comunque?

(Dopo una breve pausa.)

CONSOLE BERNICK (dentro la stanza) L’“Indian Girl” parte co-


munque.

(L’amministratore Krap chiude la porta ed esce nuovamente a


destra.)

54
Olaf vuole scappare di casa, sottraendosi agli arresti domiciliari impostigli
dal padre; trovando la via sbarrata dall’arrivo di Krap, per il momento ritor-
na all’interno dell’abitazione, passando per la porta posteriore a sinistra (cfr.
la piantina di scena).
QUARTO ATTO

(Sala che dà sul giardino presso il Console Bernick. Il tavolo da


lavoro è stato portato via. È un pomeriggio burrascoso ed è già il
crepuscolo, man mano diventa sempre più buio.)

(Un cameriere accende il candelabro grande; un paio di cameriere


portano vasi di fiori, lampade e candele, che vengono collocate sul
tavolo e sulle mensole lungo le pareti. Il grossista Rummel, in abito
da cerimonia, con guanti e un foulard bianco al collo, sta in mezzo
alla sala e dà istruzioni.)

GROSSISTA RUMMEL (al cameriere) Solo ogni due candele,


Jakob. Non deve sembrare troppo festoso; altrimenti non sarà
una sorpresa. E tutti quei fiori –? Ma sì; lasciali pure; può anche
sembrare che stiano lì abitualmente –

(Il console Bernick esce dalla sua stanza.)

CONSOLE BERNICK (sulla porta) Che sta succedendo?


GROSSISTA RUMMEL Ahi, ahi, sei tu? (Ai camerieri.) Bene, per il
momento potete andare.

(Il cameriere e le cameriere escono attraverso la porta posteriore a


sinistra.)

CONSOLE BERNICK (si avvicina) Ma, Rummel, che significa


questo?
GROSSISTA RUMMEL Significa che è arrivato il tuo momento più
glorioso. Stasera la città renderà omaggio al suo primo cittadi-
no con un corteo con gli stendardi.
CONSOLE BERNICK Ma cosa dici!
GROSSISTA RUMMEL Corteo con gli stendardi e con la musica!
Avremmo dovuto avere anche le fiaccole; ma non abbiamo osa-
104 HENRIK IBSEN

to rischiare con questo tempo burrascoso. Comunque, l’illumi-


nazione non mancherà; e questo farà di sicuro un grande effet-
to, quando ne parleranno i giornali.
CONSOLE BERNICK Senti, Rummel, non voglio sapere nulla di
tutto questo.
GROSSISTA RUMMEL Be’, adesso è troppo tardi; tra mezz’ora sa-
ranno qui.
CONSOLE BERNICK Ma perché non me l’hai detto prima?
GROSSISTA RUMMEL Perché avevo timore, appunto, che tu fa-
cessi obiezioni. Ma mi sono messo d’accordo con la tua signora;
mi ha dato il permesso di preparare qualcosa e lei stessa pen-
serà ai rinfreschi.
CONSOLE BERNICK (tende l’orecchio) Che succede? Arrivano
già? Mi sembra di sentir cantare.
GROSSISTA RUMMEL (sulla porta del giardino) Cantare? Ah, so-
no solo gli americani. È l’“Indian Girl”, che si prepara a pren-
dere il largo.
CONSOLE BERNICK Prendere il largo! Sì –; no, non posso far
questo stasera, Rummel; sono malato.
GROSSISTA RUMMEL Be’, non hai davvero un buon aspetto. Ma
ti devi tirare su. Sangue di Cristo,55 ti devi tirare su! Sia io che
Sandstad e Vigeland abbiamo considerato della massima im-
portanza organizzare questo intrattenimento. I nostri opposito-
ri devono essere schiacciati sotto il peso di una quanto più am-
pia possibile manifestazione pubblica. Le voci in città si propa-
gano; la comunicazione degli acquisti dei terreni non può esse-
re più taciuta. È necessario che già stasera, durante i canti e i
discorsi, durante il tintinnare dei bicchieri, in poche parole, in
una travolgente atmosfera di festa tu li metta a conoscenza di
cosa hai rischiato per il bene della società. In una tale atmosfe-
ra travolgente, come ti ho appena detto, si può ottenere sor-
prendentemente molto qui da noi. Ma la cosa va fatta, altri-
menti non funziona.

55
L’espressione død og pine ricorre in questo testo soltanto una volta ma è
molto frequente in altri drammi ibseniani. Letteralmente significa «morte e
supplizio», con riferimento implicito alla morte di Cristo e relativa connota-
zione blasfema. La traduzione «sangue di Cristo», utilizzata sistematicamen-
te in tutti i drammi, riflette l’intenzione di mantenere tale connotazione,
esplicitando il riferimento a Cristo. Una variazione dell’espressione è død og
plage, letteralmente «morte e tribolazione», altrettanto sistematicamente tra-
dotta come «Cristo morto». (Sandra Colella)
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 105

CONSOLE BERNICK Sì, sì, sì –


GROSSISTA RUMMEL Soprattutto quando bisogna rivelare un
punto così delicato e cruciale. Ora, Dio sia lodato, tu hai un no-
me, Bernick, che può farsi carico di questo. Ma sta’ a sentire
ora; dovremmo almeno metterci un po’ d’accordo. Tønnesen, lo
studente, ha scritto una canzone per te. Comincia molto bene,
con le parole: “Solleviamo in alto lo stendardo dell’idea”. E il
professor Rørlund ha ricevuto l’incarico di pronunciare il di-
scorso dei festeggiamenti. A questo, naturalmente, tu devi ri-
spondere.
CONSOLE BERNICK Non posso stasera, Rummel. Non potresti
tu –?
GROSSISTA RUMMEL Impossibile, se pure volessi. Il discorso, co-
me puoi immaginare, sarà rivolto in special modo a te. Certo,
qualche parola, forse, sarà diretta anche a noi altri. Ho parlato
con Vigeland e Sandstad di questo. Avevamo pensato che tu po-
tresti rispondere inneggiando al benessere della nostra società;
Sandstad parlerà un po’ sulla concordia tra le varie componen-
ti sociali;56 Vigeland di sicuro dirà qualcosa sull’auspicio che il
nuovo progetto non corrompa il fondamento morale sul quale
ora poggiamo e io, con qualche parola conveniente, probabil-
mente menzionerò la donna, la cui attività, seppur modesta,
non è priva di significato per la società. Ma tu non mi ascolti –
CONSOLE BERNICK Sì – sì certamente. Ma, dimmi, credi che ci
sia un mare così burrascoso lì fuori?
GROSSISTA RUMMEL Oh, hai paura per il “Palma”? Ma è ben as-
sicurato.
CONSOLE BERNICK Sì, assicurato, ma –
GROSSISTA RUMMEL E in buono stato; e questa è la cosa più im-
portante.
CONSOLE BERNICK Hm –. Se succede qualcosa allo scafo, non è
nemmeno detto che siano in gioco le vite umane. Possono
affondare la nave e il carico, – e possono andar perse valigie e
carte –

56
Samfundslag, «componenti sociali», e non «classi sociali» (Einaudi), che ha
una pregnanza troppo forte, da lotta di classe. Ibsen non ignora il termine
klasser, «classi» (che usa anche in questo testo, all’interno di una didascalia),
ma per il grossista Rummel (politicamente molto conservatore) non esisto-
no, ovviamente, attriti fra classi, e bisognerà, piuttosto, attenuare ogni sinto-
mo di lotta di classe, e parlare solo e sempre di «concordia» fra ceti, gruppi,
strati, ecc. della società.
106 HENRIK IBSEN

GROSSISTA RUMMEL Diamine, valigie e carte non hanno certo


un gran valore.
CONSOLE BERNICK Non ce l’hanno! No, no, intendevo solo di-
re–. Silenzio; – cantano di nuovo.
GROSSISTA RUMMEL È a bordo del “Palma”.

(Il commerciante Vigeland entra da destra.)

COMMERCIANTE VIGELAND Sì, adesso il “Palma” prende il lar-


go. Buona sera, signor console.
CONSOLE BERNICK E lei, come esperto di mare, ancora continua
a credere che –?
COMMERCIANTE VIGELAND Continuo a credere nella Provvi-
denza, io, signor console; inoltre, sono salito io stesso a bordo e
ho distribuito alcuni opuscoli che, ho questa speranza, serviran-
no da benedizione.

(Il commerciante Sandstad e l’amministratore Krap entrano da


destra.)

COMMERCIANTE SANDSTAD (ancora sulla porta) Sì, se questa va


bene, allora tutto andrà bene. Oh, guarda, buona sera, buona sera!
CONSOLE BERNICK Qualche problema, signor Krap?
AMMINISTRATORE KRAP Non dico nulla, signor console.
COMMERCIANTE SANDSTAD L’intero equipaggio dell’“Indian
Girl” è ubriaco; che io non sia più un uomo onorato, se quei
bruti ne usciranno vivi.

(La signorina Hessel entra da destra.)

SIGNORINA HESSEL (al console Bernick) Bene, adesso posso


mandarti i saluti da parte sua.
CONSOLE BERNICK Già a bordo?
SIGNORINA HESSEL Presto in ogni caso. Ci siamo separati fuori
dall’albergo.
CONSOLE BERNICK Ed è fermo nelle sue intenzioni?
SIGNORINA HESSEL Fermo come una roccia.
GROSSISTA RUMMEL (indietro presso le finestre) Diamine, questi
meccanismi all’ultima moda; non riesco ad abbassare le tende.
SIGNORINA HESSEL Si devono abbassare? Pensavo il contrario –
GROSSISTA RUMMEL Prima abbassarle, signorina. Sì, lei sa, vero,
che cosa sta per accadere?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 107

SIGNORINA HESSEL Certamente. Mi lasci aiutare; (prende le cor-


dicelle) abbasserò le tende per il cognato, – sebbene io le avrei
piuttosto alzate.57
GROSSISTA RUMMEL Dopo potrà fare anche questo. Quando il
giardino sarà pieno zeppo di gente, le tende si alzeranno e si
scorgerà all’interno una famiglia sorpresa e felice; – un focolare
borghese dovrebbe essere come un armadio a vetri.
CONSOLE BERNICK (sembra voler dire qualcosa, ma si gira di
scatto ed entra nella sua stanza)
GROSSISTA RUMMEL Be’, facciamo l’ultimo consulto. Ci segua,
signor Krap; lei ci può essere d’aiuto con un paio di concrete
informazioni.

(Tutti gli uomini vanno nella stanza del console. La signorina Hes-
sel ha accostato le tende delle finestre e sta appunto per fare la stes-
sa cosa con la tenda della porta a vetri aperta, quando Olaf da so-
pra salta giù sulla scalinata del giardino; ha una coperta da viaggio
sulle spalle e un fagotto in mano.)

SIGNORINA HESSEL Oh, che Dio ti perdoni, ragazzo, per come


mi hai spaventato!
OLAF (nasconde il fagotto) Zitta, zia!
SIGNORINA HESSEL Salti giù dalla finestra? Dove vuoi andare?
OLAF Zitta; non dire niente. Voglio andare dallo zio Johan; – so-
lo giù al molo, capisci; – solo per dirgli addio. Buona notte, zia!

(Corre fuori attraverso il giardino.)

SIGNORINA HESSEL No, rimani! Olaf – Olaf!

(Johan Tønnesen, in panni da viaggio, con una borsa sulle spalle,


entra cauto attraverso la porta a destra.)
57
Forhængene significa letteralmente «tende pesanti». La loro funzione è
quella di far entrare o meno la luce del sole in casa giacché, durante le lun-
ghe notti estive, in Norvegia non fa quasi mai buio. In casa Bernick le tende
della parete a vetri che dà sul giardino rivestono una grande importanza, per-
ché hanno il preciso scopo di nascondere o mostrare all’esterno ciò che av-
viene all’interno, come un sipario a teatro (cfr. n. 8). Si tratta di un sistema di
doppie tende, così che sia possibile non solo accostarle o scostarle lateral-
mente, come abbiamo visto prima, ma anche alzarle o abbassarle, a seconda
delle circostanze. Tende all’ultima moda e non facili da manovrare, come si
lamenta il grossista Rummel. (Sandra Colella)
108 HENRIK IBSEN

JOHAN TØNNESEN Lona!


SIGNORINA HESSEL (si gira) Cosa! Di nuovo qui?
JOHAN TØNNESEN C’è ancora qualche minuto di tempo. Devo
vederla ancora una volta. Non possiamo lasciarci così.

(La signorina Bernick e Dina, entrambe con la cappa e l’ultima


con una piccola sacca da viaggio in mano, vengono dalla porta po-
steriore a sinistra.)

DINA Da lui; da lui!


SIGNORINA BERNICK Sì, andrai da lui, Dina!
DINA Ma eccolo lì!
JOHAN TØNNESEN Dina!
DINA Mi prenda con sé!
JOHAN TØNNESEN Cosa –!
SIGNORINA HESSEL Tu vuoi?
DINA Sì, mi prenda con sé! Quell’altro mi ha scritto, ha detto che
stasera sarà reso pubblico davanti a tutte le persone –
JOHAN TØNNESEN Dina, – lei non lo ama?
DINA Non ho mai amato quell’uomo. Mi butto nel fondo del
fiordo, se divento la sua fidanzata! Oh, come mi ha piegato in
ginocchio ieri con le sue parole altezzose! Come mi ha fatto
sentire, per aver sollevato una creatura disprezzata fino alla sua
altezza! Non voglio più essere disprezzata. Voglio andarmene.
Posso seguirla?
JOHAN TØNNESEN Sì, sì – e mille volte sì!
DINA Non le sarò di peso a lungo. Mi aiuti giusto nella traversa-
ta; mi aiuti un po’ ad orientarmi all’inizio –
JOHAN TØNNESEN Urrà, si troverà certo una soluzione, Dina!
SIGNORINA HESSEL (indica la porta del console) Zitto; sottovo-
ce, sottovoce!
JOHAN TØNNESEN Dina, io la porterò in palmo di mano!
DINA Non glielo permetterò. Voglio andare avanti da me stessa;
e laggiù posso farcela. Devo solo andar via di qui. Ah, queste si-
gnore, – lei non può immaginare, – anche loro mi hanno scritto
oggi; mi hanno avvertita di comprendere la mia fortuna, mi
hanno fatto notare quale grande generosità lui mi abbia mo-
strato. Domani e tutti i giorni vigileranno su di me, per vedere
se mi rendo degna di tutto questo. Mi fa orrore tutta questa ri-
spettabilità!
JOHAN TØNNESEN Mi dica, Dina, è solo per questo che parte? Io
non sono nulla per lei?
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 109

DINA Sì, Johan, lei è per me più di tutte le altre persone.


JOHAN TØNNESEN Oh, Dina –!
DINA Tutti quanti, qui, dicono che io devo odiarla e disprezzar-
la; che è mio dovere; ma io non comprendo questa cosa del do-
vere; non la comprenderò mai.
SIGNORINA HESSEL Nemmeno devi farlo, bambina!
SIGNORINA BERNICK No, non devi farlo; e perciò devi anche se-
guirlo come sua moglie.
JOHAN TØNNESEN Sì, sì!
SIGNORINA HESSEL Cosa? Adesso devo baciarti, Marta! Da te
non mi sarei mai aspettata questo.
SIGNORINA BERNICK No, lo credo bene; neppure io me lo sarei
aspettato. Ma prima o poi doveva pur esplodere dentro di me.
Oh, come soffriamo sotto i maltrattamenti di abitudini e usan-
ze, qui! Ribellati a tutto questo, Dina. Diventa sua moglie. Fai
succedere qualcosa che si opponga a tutti questi usi e costumi.
JOHAN TØNNESEN Cosa risponde, Dina?
DINA Sì, voglio essere sua moglie.
JOHAN TØNNESEN Dina!
DINA Ma prima voglio lavorare, diventare qualcosa io stessa, co-
sì come lo è lei. Non voglio essere un oggetto che viene preso.58
SIGNORINA HESSEL Sì, giusto; così dev’essere.
JOHAN TØNNESEN Bene; aspetterò e spero –
SIGNORINA HESSEL – e la conquisterai, ragazzo! Ma ora a bordo!
JOHAN TØNNESEN Sì, a bordo! Ah, Lona, cara sorella, solo una
parola; senti qui –

(La conduce su verso il fondo e parla molto rapidamente con lei.)

SIGNORINA BERNICK Dina, oh, te felice, – lascia che ti guardi, la-


scia che ti baci ancora una volta, – l’ultima.
DINA Non l’ultima; no, cara amata zia, ci vedremo ancora, sicuro.
SIGNORINA BERNICK Mai! Promettimelo, Dina, non tornare mai
più. (Le afferra entrambe le mani e la guarda.) Adesso vai verso
la felicità, amata bambina; – oltre il mare. Oh, quanto spesso in
aula di scuola ho desiderato attraversarlo! Laggiù dev’essere

58
Abbiamo detto che Dina anticipa la Bolette de La signora del mare, che
sceglieva il matrimonio come soluzione per sfuggire alla chiusa comunità ori-
ginaria. Ma Dina ha in sé anche un po’ della Nora di Una casa di bambola,
che comprende, alla fine, che solo attraverso il lavoro la donna può emanci-
parsi dalla schiavitù al marito.
110 HENRIK IBSEN

bello; un cielo più grande; le nuvole camminano più in alto che


qui, l’aria soffia più libera sulle teste degli uomini.
DINA Oh, zia Marta, un giorno ci seguirai.
SIGNORINA BERNICK Io? Mai; mai. Qui ho la mia piccola missio-
ne di vita59 e, adesso, penso proprio di poter diventare piena-
mente ciò che devo essere.
DINA Non posso pensare di dovermi separare da te.
SIGNORINA BERNICK Ahimè, una persona si può separare da
molte cose, Dina. (La bacia.) Ma tu non devi provarlo mai, dol-
ce bambina. Promettimi di farlo felice.
DINA Non voglio promettere nulla; odio promettere; tutto deve
venire come può.
SIGNORINA BERNICK Sì, sì, è così; tu devi solo essere come sei, –
libera e fedele verso te stessa.
DINA Questo voglio, zia.
SIGNORINA HESSEL (nasconde nella tasca alcune carte, che Johan
le ha dato) Bravo, bravo, mio caro ragazzo. Ma adesso è ora di
andare.
JOHAN TØNNESEN Sì, adesso non c’è più tempo da perdere. Ad-
dio, Lona; grazie per tutto il tuo amore. Addio, Marta, e grazie
anche a te, per la tua fedele amicizia.
SIGNORINA BERNICK Addio, Johan! Addio, Dina! E la felicità
accompagni tutti i vostri giorni!

(Lei e la signorina Hessel li spingono verso la porta in fondo.


Johan Tønnesen e Dina vanno rapidamente giù attraverso il giar-
dino. La signorina Hessel chiude la porta e accosta la tenda.)

SIGNORINA HESSEL Adesso siamo sole, Marta. Tu hai perso lei e


io lui.
SIGNORINA BERNICK Tu – lui?
SIGNORINA HESSEL Oh, io l’avevo già perso per metà, laggiù. Il
ragazzo anelava a poter stare sulle proprie gambe; perciò gli ho
fatto immaginare che fossi presa dalla nostalgia.
SIGNORINA BERNICK Perciò? Sì, capisco, ora, perché sei venuta.
Ma lui ti reclamerà indietro, Lona.
SIGNORINA HESSEL Una vecchia sorellastra, – che deve farsene,
ora? – Gli uomini fanno a pezzi molte cose intorno a sé, per
raggiungere la felicità.
59
Livgerning, «missione di vita»: per gli uomini è sempre il lavoro, la carrie-
ra; per le donne è l’educazione dei figli, l’insegnamento, la costruzione di ani-
me, anziché di imprese sociali (cfr. Il costruttore Solness, n. 59).
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 111

SIGNORINA BERNICK Talora succede.


SIGNORINA HESSEL Ma noi ci sosterremo a vicenda, Marta.
SIGNORINA BERNICK Posso essere qualcosa per te?
SIGNORINA HESSEL Chi di più? Noi due, madri adottive, – non
abbiamo entrambe perso i nostri figli? Adesso siamo sole.
SIGNORINA BERNICK Sì, sole. E perciò devi sapere anche questo,
– io l’ho amato sopra ogni cosa al mondo.
SIGNORINA HESSEL Marta! (L’afferra per il braccio.) È la verità
questa?
SIGNORINA BERNICK Tutta la sostanza della mia vita sta in que-
ste parole. Io l’ho amato e l’ho aspettato. Ogni estate ho aspet-
tato che venisse. E poi è venuto; – ma non mi ha vista.
SIGNORINA HESSEL L’hai amato! E, nonostante ciò, sei tu quella
che gli ha messo la felicità nelle mani.
SIGNORINA BERNICK Non avrei dovuto mettergli la felicità nelle
mani, quando l’amavo? Sì, l’ho amato. Tutta la mia vita è stata
una vita per lui, fin dal momento in cui partì. Tu chiederai che
motivo avevo per sperare? Oh, credo proprio che avevo qual-
che motivo per farlo. Ma quando poi è tornato, – era come se
tutto fosse cancellato dai suoi ricordi. Non mi ha vista.60
SIGNORINA HESSEL È stata Dina che ti ha messo in ombra, Marta.
SIGNORINA BERNICK È stato un bene che l’abbia fatto. In quel
tempo, quando partì, eravamo della stessa età; quando l’ho rivisto,
– oh, quel momento tremendo, – ho capito che avevo dieci anni
più di lui, adesso.61 Lui se ne era andato in giro nella luce tersa e
brillante del sole e aveva succhiato la giovinezza e la salute ad
ogni respiro; e io qui dentro sedevo nel frattempo a filare e filare –
SIGNORINA HESSEL – il filo della sua felicità, Marta.
SIGNORINA BERNICK Sì, era oro, quel che filavo. Nessuna ama-
rezza! Lona, siamo state per lui due buone sorelle, non è vero?
SIGNORINA HESSEL (la cinge con le braccia) Marta!

(Il console Bernick esce dalla sua stanza.)


60
Il linguaggio di Ibsen, per quanto controllato, non esclude il termine elske,
«amare», che ritorna 11 volte in questo testo, ma ben 5 in questa pagina, a
esprimere bene (anche con qualche forza poetica) il senso maschile (e un
po’ maschilista) del verbo «amare»: una donna che aspetta fedelmente il
proprio uomo, il quale può anche decidere di non tornare. Il topos è già nel
Peer Gynt.
61
Altra piccola grande sapienza ottocentesca, che vuole almeno dieci anni di
differenza fra marito e moglie, perché le donne invecchiano prima (e Ibsen, a
ogni buon conto, si era scelto una moglie più giovane di otto anni).
112 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK (agli uomini lì dentro) Sì, sì, gestite tutto co-
me volete. Quando verrà il momento, farò certo – (Chiude la
porta.) Ah, c’è qualcuno qui? Senti, Marta, ti devi abbigliare un
po’. E di’ a Betty che faccia lo stesso. Non desidero alcun lusso,
naturalmente; solo un grazioso abitino da casa. Ma dovete sbri-
garvi.
SIGNORINA HESSEL E un’aria felice, gioiosa, Marta; dovete met-
tere su facce allegre.
CONSOLE BERNICK Anche Olaf deve venire giù; voglio averlo
vicino a me.
SIGNORINA HESSEL Hm; Olaf –
SIGNORINA BERNICK Vado a dare istruzioni a Betty.

(Esce attraverso la porta posteriore a sinistra.)

SIGNORINA HESSEL Sì, adesso è arrivato il grande solenne mo-


mento.
CONSOLE BERNICK (cammina inquieto avanti e dietro) Sì, è così.
SIGNORINA HESSEL In un tale momento un uomo deve sentirsi
orgoglioso e felice, immagino.
CONSOLE BERNICK (la guarda) Hm!
SIGNORINA HESSEL Ho sentito che l’intera città sarà illuminata.
CONSOLE BERNICK Sì, si sono inventati qualcosa del genere.
SIGNORINA HESSEL Tutte le associazioni verranno avanti con i
loro stendardi. Il tuo nome infine risplenderà a caratteri di fuo-
co. Questa notte sarà telegrafato a tutti gli angoli della terra
«Attorniato dalla sua felice famiglia il console Bernick ha rice-
vuto l’omaggio dei suoi concittadini come uno dei sostegni del-
la società».
CONSOLE BERNICK Questo accadrà; e si griderà urrà fuori, e la
folla mi acclamerà davanti alla porta, e io sarò costretto a inchi-
narmi e a ringraziare.
SIGNORINA HESSEL Oh, costretto a questo –
CONSOLE BERNICK Tu credi che io mi senta felice in questo mo-
mento?
SIGNORINA HESSEL No, io non credo che tu possa sentirti così
completamente felice.
CONSOLE BERNICK Lona, tu mi disprezzi.
SIGNORINA HESSEL Non ancora.
CONSOLE BERNICK Non hai nemmeno il diritto di farlo. Non
di disprezzare me! – Lona, tu non puoi capire quanto infini-
tamente solo io stia qui, in questa società imbavagliata e rat-
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 113

trappita, – come anno per anno abbia dovuto ridimensionare


la mia esigenza di una missione di vita pienamente appagan-
te. Che cosa ho realizzato, per quanto varia possa essere con-
siderata la mia attività? Frammenti di opere, – misere scioc-
chezze. Ma altro o di più, qui, non è tollerato. Se volessi fare
un passo oltre quella mentalità e quella disposizione di spiri-
to da tutti condivisa oggi, allora sarebbe la fine del mio pote-
re. Lo sai che cosa siamo, noi che veniamo considerati i soste-
gni della società? Noi siamo gli strumenti della società, né più
né meno.62
SIGNORINA HESSEL Perché te ne accorgi solo adesso?
CONSOLE BERNICK Perché ho pensato molto nell’ultimo perio-
do, – da quando sei tornata, – e soprattutto questa sera. Oh, Lo-
na, perché non ti ho conosciuto meglio allora – ai vecchi tempi.
SIGNORINA HESSEL E cioè cosa?
CONSOLE BERNICK Non ti avrei mai lasciato andare; se ti avessi
avuto, non mi troverei dove adesso mi trovo.
SIGNORINA HESSEL E non pensi a ciò che lei poteva diventare
per te, lei, che tu hai scelto al mio posto?
CONSOLE BERNICK In ogni caso so che non è diventata, per me,
ciò di cui avevo bisogno.
SIGNORINA HESSEL Perché non hai mai condiviso con lei la tua
missione di vita; perché non l’hai mai messa in condizione di
essere libera e vera63 nella sua relazione con te; perché la lasci
soccombere sotto l’oltraggio del disonore che hai rovesciato sui
suoi familiari.
CONSOLE BERNICK Sì, sì, sì; proviene tutto quanto dalla menzo-
gna e dal vuoto.

62
Tra le virtù di Bernick c’è anche quella del realismo. Ama gli States ma sa
bene che la Norvegia non è l’America. Adora Lona, ma solo finché lui sta a
Parigi; tornato in patria, si accorge che quella donna è troppo emancipata:
non per lui, ma per il paese. Lui vuole fare il capitalista ma è costretto a ope-
rare in quell’ambiente, e a quella latitudine non può cambiare la testa della
gente. Personalmente ha larghe vedute (va con un’attrice mentre sta per fi-
danzarsi con Betty, e forse non ha ancora rotto con Lona), ma la città è quel-
la che è, moralistica, bottegaia, ancora tutta pre-capitalistica. L’intero suo
contegno – pubblico e privato – è dettato da questa attenzione perspicace al-
la concreta realtà storico-sociale.
63
Fri og sand, «libera e vera». In queste parole si sintetizza l’ideale radicale
di Lona, che lo riprenderà in finale di dramma: sandhedens og frihedens ånd,
– det er samfundets støtter, «lo spirito di verità e di libertà, – questi sono i so-
stegni della società». (Sandra Colella)
114 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL E perché, allora, non rompi con tutte queste


menzogne e questo vuoto?
CONSOLE BERNICK Adesso? Adesso è troppo tardi, Lona.
SIGNORINA HESSEL Karsten, dimmi quale soddisfazione ti offre
quest’apparenza e quest’inganno.
CONSOLE BERNICK A me non offre niente. Io devo affondare
come questa miserabile società. Ma cresce una generazione do-
po di noi; è per mio figlio che io lavoro; è per lui che predispon-
go l’opera della mia vita. Verrà un tempo in cui la verità si ca-
lerà nella vita della società, e su di essa lui costruirà un’esisten-
za più felice di quella di suo padre.64
SIGNORINA HESSEL Con una menzogna per fondamento? Ri-
fletti bene su cosa lasci in eredità a tuo figlio.
CONSOLE BERNICK (in disperazione repressa) Io gli lascio un’e-
redità mille volte peggiore di quanto pensi. Ma una volta la ma-
ledizione dovrà pur cedere. E poi – comunque – (Esplodendo.)
Come avete potuto rovesciare tutto questo sulla mia testa! Ma
adesso è accaduto. Adesso devo andare avanti. Non riuscirete a
spezzarmi!

(Hilmar Tønnesen, con un biglietto aperto nella mano, arriva mol-


to rapidamente e turbato da destra.)

HILMAR TØNNESEN Ma questo è proprio –. Betty, Betty!


CONSOLE BERNICK Che c’è adesso? Stanno già arrivando?
HILMAR TØNNESEN No, no; ma devo assolutamente parlare con
qualcuno –

(Esce dalla porta posteriore a sinistra.)

SIGNORINA HESSEL Karsten; hai detto che noi siamo venuti per
spezzarti. Allora lascia che ti dica di quale metallo è fatto que-
sto figliuol prodigo che la vostra morigerata società fugge come
se fosse un appestato. Lui può fare a meno di voi, perché ades-
so è partito.

64
Sarà il tormentone di Allmers de Il piccolo Eyolf: il protagonista rinuncia a
compiere la grande impresa che ha sognato, delegandola al figlio. È solo un
miserabile trucco, un escamotage per non confessare il proprio fallimento, ti-
pico di una figura ignobile quale è appunto Allmers. Per Bernick è la tenta-
zione momentanea di una battuta di arresto, quando gli sembra di non riusci-
re a sfondare, prima che Lona lo sferzi, costringendolo a dare il meglio di sé.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 115

CONSOLE BERNICK Ma vorrebbe ritornare –


SIGNORINA HESSEL Johan non ritornerà mai. È partito per sem-
pre, e Dina è partita con lui.
CONSOLE BERNICK Non ritorna? E Dina è partita con lui?
SIGNORINA HESSEL Sì, per diventare sua moglie. Così quei due
prendono a schiaffi in faccia la vostra virtuosa società, come io
una volta – eh via!
CONSOLE BERNICK Partiti; – anche lei – con l’ “Indian Girl” –!
SIGNORINA HESSEL No; non ha osato affidare un carico così pre-
zioso a quella banda di depravati. Johan e Dina sono partiti con
il “Palma”.
CONSOLE BERNICK Ah! E dunque – invano – (Si muove rapido,
spalanca la porta della sua stanza e grida all’interno.) Krap, fer-
ma l’“Indian Girl”; non deve salpare stasera!
AMMINISTRATORE KRAP (all’interno) L’“Indian Girl” è già in
mare, signor console.
CONSOLE BERNICK (chiude la porta e dice spossato) Troppo tar-
di, – e senza utilità –65
SIGNORINA HESSEL Cosa intendi dire?
CONSOLE BERNICK Niente, niente. Lasciami –!
SIGNORINA HESSEL Hm; guarda qui, Karsten. Johan ti lascia det-
to che affida a me quel nome e quella reputazione che una vol-
ta ti ha dato in prestito e parimenti quello di cui l’hai derubato,
quando era lontano. Johan non parlerà; e io posso fare e disfare
ciò che voglio, in questa faccenda. Guarda, qui ho le tue due let-
tere in mano.
CONSOLE BERNICK Le hai tu! E adesso – adesso farai – già sta-
sera, – forse quando il corteo con gli stendardi –
SIGNORINA HESSEL Io non sono venuta quassù per tradirti, ma
per darti una scossa tale da farti parlare volontariamente. Non
ci sono riuscita. Allora rimani pure nella menzogna. Guarda
qui; qui faccio a pezzi le tue due lettere. Raccogli i frammenti;
eccoli lì. Adesso non c’è nulla che testimoni contro di te, Kar-
sten. Adesso sei al sicuro; sii anche felice allora, – se ci riesci.
CONSOLE BERNICK (fortemente scosso) Lona, – perché non l’hai
fatto prima! Adesso è troppo tardi; adesso tutta la mia vita è
persa per me; non posso vivere la mia vita dopo questo giorno.

65
Uden nytte, «senza utilità». L’affondamento dell’«Indian Girl» è utile se an-
nega tra i flutti il pericoloso rivale. Bernick appartiene a una razza padrona,
spietata e feroce, pronta a tutto, anche all’omicidio, pur di realizzare il pro-
prio fine.
116 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL Cosa è successo?


CONSOLE BERNICK Non domandarmelo. – Ma io devo vivere lo
stesso! Io voglio vivere – per Olaf. Lui sistemerà tutto ed
espierà tutto –
SIGNORINA HESSEL Karsten –!

(Hilmar Tønnesen ritorna molto rapidamente.)

HILMAR TØNNESEN Non ho trovato nessuno; via; neppure


Betty!
CONSOLE BERNICK Che cos’hai ?
HILMAR TØNNESEN Non oso dirtelo.
CONSOLE BERNICK Cosa c’è? Tu devi dirmelo e subito!
HILMAR TØNNESEN E va bene; Olaf è fuggito con l’“Indian
Girl”.
CONSOLE BERNICK (barcolla all’indietro) Olaf – con l’“Indian
Girl”! No, no!
SIGNORINA HESSEL Sì, sicuro! Adesso capisco –; l’ho visto, è sal-
tato fuori dalla finestra.
CONSOLE BERNICK (sulla porta della sua stanza, grida disperato)
Krap, ferma l’“Indian Girl” ad ogni costo!
AMMINISTRATORE KRAP (esce) Impossibile, signor console. Co-
me può immaginare –?
CONSOLE BERNICK Dobbiamo fermarla; Olaf è a bordo!
AMMINISTRATORE KRAP Cosa dice!
GROSSISTA RUMMEL (esce) Olaf è scappato? Non è possibile!
COMMERCIANTE SANDSTAD (arriva) Verrà mandato indietro
con il pilota, signor console.
HILMAR TØNNESEN No, no; mi ha scritto; (mostra il biglietto) dice
che si nasconderà nella stiva finché non saranno in mare aperto.
CONSOLE BERNICK Non lo rivedrò mai più!
GROSSISTA RUMMEL Oh, ma no; una solida buona nave, appena
riparata –
COMMERCIANTE VIGELAND (che parimenti è uscito) – nel suo
stesso cantiere, signor console!
CONSOLE BERNICK Non lo rivedrò mai più, vi dico. L’ho perso,
Lona, e – adesso me ne accorgo – non l’ho mai posseduto. (Ten-
de l’orecchio.) Che cos’è?
GROSSISTA RUMMEL Musica. Sta arrivando il corteo con gli sten-
dardi.
CONSOLE BERNICK Non posso, non voglio ricevere nessuno!
GROSSISTA RUMMEL Che ti viene in mente? È impossibile.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 117

COMMERCIANTE SANDSTAD È impossibile, signor console; ri-


fletta su cosa è in gioco per lei.
CONSOLE BERNICK Che mi importa di tutto questo, adesso! Chi
ho io, adesso, per cui lavorare?
GROSSISTA RUMMEL Puoi domandare cose del genere? Ma tu
hai noi stessi e la società.
COMMERCIANTE VIGELAND Sì, ben detto.
COMMERCIANTE SANDSTAD E il console non dimentica certo
che noi –

(La signorina Bernick entra attraverso la porta posteriore a sinistra.


La musica si sente in sottofondo, giù nella strada in lontananza.)

SIGNORINA BERNICK Ecco che arriva il corteo; ma Betty non è a


casa; non capisco dove può –
CONSOLE BERNICK Non è a casa! Lo vedi, Lona; nessun soste-
gno, né nella gioia né nel dolore.
GROSSISTA RUMMEL Via le tende! Venga ad aiutarmi, signor
Krap. Venga anche lei, signor Sandstad. È proprio una sventura
che la famiglia debba essere così dispersa proprio adesso; tutto
il contrario del programma.

(Le tende vengono scostate dalle finestre e dalla porta. Si vede tutta
la strada illuminata. Proprio sulla casa di fronte c’è una grande scrit-
ta luminosa: «Viva Karsten Bernick, sostegno della nostra società!».)

CONSOLE BERNICK (indietreggia corrucciato) Via con tutto que-


sto! Non voglio vederlo! Spegnete, spegnete!
GROSSISTA RUMMEL Con rispetto parlando, sei impazzito?
SIGNORINA BERNICK Che ha, Lona?
SIGNORINA HESSEL Zitta! (Parla sottovoce con lei.)
CONSOLE BERNICK Via questa scritta irridente, vi dico! Non ve-
dete che tutte queste luci ci fanno le linguacce?
GROSSISTA RUMMEL No, adesso devo confessare –
CONSOLE BERNICK Ah, che capite voi –! Ma io, io –! Tutte que-
ste sono luci di una camera ardente!
AMMINISTRATORE KRAP Hm –
GROSSISTA RUMMEL No, sai cosa, – te la stai prendendo troppo.
COMMERCIANTE SANDSTAD Il ragazzo si farà un giro sull’Atlan-
tico, e così lei l’avrà di nuovo.
COMMERCIANTE VIGELAND Solo fede nella mano dell’Onnipo-
tente, signor console.
118 HENRIK IBSEN

GROSSISTA RUMMEL E nell’imbarcazione, Bernick; non sta cer-


to per affondare, a quanto mi risulta.
AMMINISTRATORE KRAP Hm –
GROSSISTA RUMMEL Sì, se fosse stata una di quelle bare galleg-
gianti, di cui si sente parlare nelle grandi società –
CONSOLE BERNICK Sento che i miei capelli diventano grigi in
questo momento.

(La signora Bernick, con un grande scialle sulla testa, arriva attra-
verso la porta del giardino.)

SIGNORA BERNICK Karsten, Karsten, sai che –?


CONSOLE BERNICK Sì, lo so –; ma tu, – tu, che nulla vedi, – tu,
che non hai occhi di madre per lui –!
SIGNORA BERNICK Oh ascoltami, però –!
CONSOLE BERNICK Perché non l’hai sorvegliato? Adesso l’ho
perso. Dammelo di nuovo, se puoi!
SIGNORA BERNICK Sì, posso; ce l’ho io!
CONSOLE BERNICK Ce l’hai tu!
SIGNORI Ah!
HILMAR TØNNESEN Me l’ero immaginato.
SIGNORINA BERNICK L’hai riavuto, Karsten!
SIGNORINA HESSEL Sì, ora devi però conquistarlo.
CONSOLE BERNICK Ce l’hai tu! È vero quel che dici? Dov’è?
SIGNORA BERNICK Non lo saprai, se prima non l’avrai perdonato.
CONSOLE BERNICK Cosa, perdonato –! Ma come hai potuto sa-
pere –?
SIGNORA BERNICK Tu non credi che una madre veda? Avevo
un’angoscia mortale che tu ti accorgessi di qualcosa. Un paio di
parole che lui ieri si è lasciato sfuggire –; e quando ho visto la
sua stanza vuota, e lo zaino e i vestiti via –
CONSOLE BERNICK Sì, sì –?
SIGNORA BERNICK Mi sono messa a correre; sono riuscita a tro-
vare Aune; siamo usciti con la sua barca a vela; la nave america-
na era sul punto di salpare. Dio sia lodato, siamo arrivati in tem-
po, – siamo saliti a bordo, – abbiamo fatto ispezionare l’interno,
– l’abbiamo trovato. – Oh, Karsten, non devi punirlo!
CONSOLE BERNICK Betty!
SIGNORA BERNICK E nemmeno Aune!
CONSOLE BERNICK Aune? Che cosa sai di lui? È ripartita l’“In-
dian Girl”?
SIGNORA BERNICK No, è precisamente la cosa –
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 119

CONSOLE BERNICK Parla, parla!


SIGNORA BERNICK Aune era sconvolto al pari di me; l’ispezione
ha preso tempo; è scesa l’oscurità, così il pilota faceva difficoltà;
e allora Aune ha osato – in tuo nome –
CONSOLE BERNICK Dunque?
SIGNORA BERNICK Fermare la nave fino a domani.
AMMINISTRATORE KRAP Hm –
CONSOLE BERNICK Oh, che fortuna indicibile!
SIGNORA BERNICK Non sei in collera?
CONSOLE BERNICK Oh, che sovrabbondanza di felicità, Betty!
GROSSISTA RUMMEL Tu sei veramente troppo coscienzioso.
HILMAR TØNNESEN Ma sì, non appena si tratta di una piccola
battaglia con gli elementi, ecco che – uff!
AMMINISTRATORE KRAP (indietro presso le finestre) Adesso il
corteo sta attraversando la porta del giardino, signor console.
CONSOLE BERNICK Sì, adesso possono venire.
GROSSISTA RUMMEL Tutto il giardino si riempie di persone.
COMMERCIANTE SANDSTAD Tutta la strada è piena zeppa.
GROSSISTA RUMMEL C’è l’intera città, Bernick. Questo è davve-
ro un momento sfolgorante.
COMMERCIANTE VIGELAND Riceviamolo con uno spirito umile,
signor Rummel.
GROSSISTA RUMMEL Tutti gli stendardi sono fuori. Che corteo!
Lì c’è il comitato dei festeggiamenti con a capo il professor
Rørlund.
CONSOLE BERNICK Lasciateli venire, ho detto!
GROSSISTA RUMMEL Ma ascolta; nello stato mentale turbato, in
cui sei –
CONSOLE BERNICK E allora?
GROSSISTA RUMMEL Non sarò indisponibile a prendere la paro-
la in tua vece.
CONSOLE BERNICK No grazie; stasera voglio parlare io stesso.
GROSSISTA RUMMEL Ma sai anche che cosa devi dire?
CONSOLE BERNICK Sì, sta’ tranquillo, Rummel, – adesso so che
cosa devo dire.

(La musica nel frattempo si è fermata. La porta del giardino viene


aperta. Si introduce il professor Rørlund in testa al comitato dei fe-
steggiamenti, seguito da un paio di camerieri aggiunti, che portano
un cesto coperto. Dopo di loro arrivano cittadini di tutte le classi,
tanti, quanti ne può contenere la sala. Un’immensa folla con sten-
dardi e bandiere si intravede fuori nel giardino e nella strada.)
120 HENRIK IBSEN

PROFESSOR RØRLUND Illustrissimo signor console! Mi accorgo,


dalla sorpresa che si dipinge sul suo volto, che facciamo intru-
sione come ospiti inaspettati qui presso di lei, nella sua felice
cerchia familiare, nel suo tranquillo nido,66 circondato da amici
e concittadini onesti e operosi. Ma è stata per noi una necessità
del cuore portarle il nostro omaggio. Non è la prima volta che
succede una cosa del genere, ma la prima volta, tuttavia, in così
estesa misura. Molte volte le abbiamo portato il nostro ringra-
ziamento per l’ampio fondamento morale sul quale lei, per così
dire, ha costruito la nostra società. Questa volta67 rendiamo
omaggio precisamente al concittadino lungimirante, tenace, di-
sinteressato, sì, pronto a sacrificarsi, che ha preso l’iniziativa di
un progetto che, secondo il parere di tutti gli esperti, darà una
potente spinta alla prosperità e al benessere mondano68 di que-
sta società.
VOCI TRA LA FOLLA Bravo, bravo!
PROFESSOR RØRLUND Signor console, per anni lei ha dato alla
nostra città un luminoso esempio. Non parlo qui della sua
esemplare vita familiare, nemmeno della sua condotta morale
del tutto immacolata. Siffatte cose appartengono alla stanza
dell’intimità e non al salone dei festeggiamenti! Ma io parlo
della sua attività civica, quale si presenta apertamente agli oc-
chi di tutti. Navi ben equipaggiate escono dai suoi cantieri e
mostrano la bandiera nei mari più lontani. Una numerosa e fe-
lice manodopera la rispetta come un padre. Nel creare nuovi
settori economici lei ha fondato il benessere di centinaia di fa-
miglie. In altre parole – lei è, in un senso eminente, il pilastro su
cui poggia questa società.
VOCI Sentite, sentite, bravo!
PROFESSOR RØRLUND E proprio questa luce di disinteresse, che

66
Arne, sostantivo rarissimo, con 3 sole ricorrenze, di cui 2 in opere giovanili;
vale «focolare», ma utilizziamo il termine «nido» per non sovrapporlo al fon-
damentale hjem (cfr. n. 11).
67
Ikke første gang, «non la prima volta», dog første gang, «ma la prima vol-
ta», mangen gang, «molte volte» e, infine, dennegang, «questa volta»: lascia-
mo la ripetizione ibseniana del termine gang, «volta», adoperata probabil-
mente dal professor Rørlund per mettere in evidenza, scandendole, le nume-
rose circostanze in cui il console Bernick si è meritato l’omaggio dei cittadi-
ni. (Sandra Colella)
68
Timelig, un hapax. È Rørlund che sta parlando, sempre un po’ ecclesiastico
nel suo linguaggio, e dunque «mondano» – con la patina religiosa che ha – ci
sembra aggettivo adeguato.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 121

si spande su tutta la sua condotta, è ciò che opera in modo così


infinitamente benefico, specialmente in questi tempi. Lei ades-
so è in procinto di procurarci una – sì, non mi faccio scrupoli di
nominare la parola in modo franco e prosaico – una ferrovia.
MOLTE VOCI Bravo! Bravo!
PROFESSOR RØRLUND Ma pare che questo progetto debba im-
battersi in difficoltà dettate essenzialmente da gretti riguardi
egoistici.
VOCI Sentite; sentite!
PROFESSOR RØRLUND Non si ignora infatti che certi individui,
che non appartengono alla nostra società, hanno preceduto i
laboriosi cittadini di questo posto e si sono impossessati di certi
profitti che correttamente sarebbero dovuti tornare a vantag-
gio della nostra città.
VOCI Sì, sì! Sentite!
PROFESSOR RØRLUND Questo deplorevole fatto è venuto natu-
ralmente anche in sua conoscenza, signor console. Ma ciò non-
dimeno lei persegue irremovibile il suo proposito, ben sapendo
che un cittadino di uno Stato non deve avere solo la propria co-
munità davanti agli occhi.
DIVERSE VOCI Hm! No; no! Certo; certo!
PROFESSOR RØRLUND A tale uomo, dunque, quale cittadino che
fa parte di uno Stato, – all’uomo come deve giustamente essere,
– noi portiamo stasera il nostro omaggio. Che il suo progetto
sviluppi un progresso vero e duraturo per questa società! È ve-
ro che la ferrovia può diventare una via attraverso la quale ri-
schiamo di far affluire dall’esterno elementi pericolosi, ma an-
che una via che ce ne fa disfare rapidamente. E dai cattivi ele-
menti provenienti dall’esterno noi, perfino adesso, non possia-
mo evidentemente essere liberi. Ma che proprio in questa sera-
ta di festa, secondo le voci che girano, ci siamo sbarazzati felice-
mente e più rapidamente di quanto ci aspettassimo di certi sif-
fatti elementi –
VOCI Zitti! Zitti!
PROFESSOR RØRLUND – questo io lo prendo come un buon au-
spicio per il progetto. E se tocco qui questo punto, ciò dimostra
che ci troviamo in una casa dove l’esigenza etica è posta più in
alto dei legami familiari.
VOCI Sentite! Bravo!
CONSOLE BERNICK (contemporaneamente) Mi permetta –
PROFESSOR RØRLUND Solo poche parole ancora, signor conso-
le. Ciò che lei ha fatto per questa comunità, sicuramente non
122 HENRIK IBSEN

l’ha fatto con il secondo fine di poterne ricavare qualche profit-


to tangibile per sé. Ma non osi respingere un piccolo segno di
stima da parte di riconoscenti concittadini, tanto meno in que-
sto momento così ricco di significato, dal momento che ci tro-
viamo, secondo l’assicurazione di uomini pratici, di fronte all’i-
nizio di una nuova era.
MOLTE VOCI Bravo! Sentite! Sentite!

(Fa un cenno ai camerieri aggiunti; questi portano più vicino il ce-


sto; membri del comitato dei festeggiamenti si fanno avanti e pre-
sentano, durante il discorso che segue, gli oggetti di cui si parla vol-
ta per volta.)

PROFESSOR RØRLUND Dunque, signor console, abbiamo qui da


porgerle un servizio da caffè in argento. Che adorni il suo ta-
volo quando in futuro, come così spesso in passato, avremo il
piacere di riunirci in questa casa ospitale. E preghiamo anche
loro, miei signori, che così premurosamente sono stati vicini al
primo cittadino della nostra società, di accettare un piccolo do-
no in ricordo. Questa coppa d’argento è per lei, signor grossi-
sta Rummel. Lei ha sostenuto tante volte, con eloquenti parole
durante il tintinnare delle coppe, gli interessi civici della so-
cietà; possa avere altrettanto frequenti e degne occasioni per
sollevare e svuotare questa coppa. – A lei, signor commercian-
te Sandstad, porgo questo album di fotografie di concittadini.
La sua famosa e riconosciuta umanità l’ha messa nella piace-
vole posizione di contare amici all’interno di tutte le compo-
nenti della società. – E a lei, signor commerciante Vigeland,
come ornamento per la sua stanza riservata, ho da offrirle que-
sta raccolta di prediche con velina e in rilegatura di lusso. Sot-
to l’influenza matura degli anni ha raggiunto un’austera con-
cezione di vita; la sua attività nell’ininterrotto lavoro quotidia-
no è stata purificata e nobilitata, attraverso gli anni, dal pen-
siero verso ciò che si trova al di là e più in alto. (Si gira verso la
folla.) E con questo, miei amici, un applauso per il console Ber-
nick e coloro che combattono insieme a lui! Un urrà per i so-
stegni della nostra società!
TUTTA LA SCHIERA Evviva il console Bernick! Evviva i sostegni
della società! Urrà, urrà, urrà!
SIGNORINA HESSEL Auguri, cognato!

(Silenzio gravido di attesa.)


I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 123

CONSOLE BERNICK (comincia seriamente e lentamente) Miei


concittadini, –69 attraverso il vostro portavoce si è detto che sta-
sera ci troviamo di fronte all’inizio di una nuova era, – e così
spero che sia. Ma perché questo possa accadere, ci dobbiamo
appropriare della verità, – la verità, che fino a stasera è stata
generalmente e in tutte le relazioni senza diritto di cittadinanza
nella nostra società.

(Sorpresa tra gli astanti.)

CONSOLE BERNICK Devo cominciare, allora, con il respingere le


parole encomiabili di cui lei, signor professore, secondo gli usi e
i costumi in siffatte circostanze, mi ha colmato. Io non le meri-
to; perché fino ad oggi non sono stato un uomo disinteressato.
Se pure non ho sempre mirato a vantaggi economici, sono tut-
tavia consapevole, adesso, che la forza motrice della maggior
parte delle mie azioni è stata un’ardente brama di potere,70 di
influenza, di notorietà.
GROSSISTA RUMMEL (a mezza voce) E allora?
CONSOLE BERNICK Di fronte ai miei concittadini non mi faccio
nessun rimprovero per questo; perché ancora credo di potermi
mettere in prima fila tra quelli capaci, qui da noi.
MOLTE VOCI Sì, sì, sì!71
CONSOLE BERNICK Ma ciò di cui rimprovero me stesso è il fatto
che sono stato spesso così debole da piegare per vie traverse,
perché conoscevo e temevo la propensione della nostra società
a intravedere motivazioni disoneste dietro tutto ciò che un uo-
mo intraprende qui. E adesso arrivo alla questione che tocca
l’argomento.

69
Comincia il grande monologo finale davanti a una sorta di assemblea tu-
multuante, che tornerà come struttura portante nell’epilogo de Un nemico
del popolo: ma là a segnare la sconfitta del protagonista, qui la sua vittoria.
70
Magt è «forza», «violenza», in conclusione «potere»: ciò che inseguono sem-
pre gli eroi ibseniani, in primo luogo i self-made men, mai veramente interes-
sati al denaro, per i quali, piuttosto, il denaro è semplice contrassegno del po-
tere acquisito. Anche alcune eroine femminili sono ossessionate dal potere:
Hedda Gabler sogna di avere in mano – almeno una volta – il destino di un
uomo, e invidia molto l’amica Thea, che ha magt sul proprio uomo, Løvborg.
71
Interessato al potere, ma a buon diritto, perché capace. Le doti professiona-
li fondano e giustificano e legittimano la detenzione del potere. Il popolo è
talmente subalterno che risponde assentendo all’unisono. Questo primo con-
senso spinge Bernick all’attacco risolutivo.
124 HENRIK IBSEN

GROSSISTA RUMMEL (inquieto) Hm – hm!


CONSOLE BERNICK Girano voci su grandi acquisti di terreni las-
sù. Questi terreni li ho comprati io, tutti quanti, io solo.
VOCI SMORZATE Che sta dicendo? Il console? Il console Ber-
nick?
CONSOLE BERNICK Al momento sono nelle mie mani. Natural-
mente mi sono confidato con i miei collaboratori, i signori
Rummel, Vigeland e Sandstad, e ci siamo messi d’accordo su –
GROSSISTA RUMMEL Non è vero! Dimostralo – dimostralo!
COMMERCIANTE VIGELAND Non ci siamo messi d’accordo su
nulla!
COMMERCIANTE SANDSTAD No, devo dire –
CONSOLE BERNICK È proprio così; non ci siamo ancora messi
d’accordo su ciò che stavo per comunicare. Ma io spero senz’al-
tro che i tre signori mi approveranno, se dico che stasera ho
preso la decisione con me stesso di offrire questi terreni ad una
sottoscrizione pubblica di azioni; ciascuno, che lo voglia, può
parteciparvi.
MOLTE VOCI Urrà! Evviva il console Bernick!
GROSSISTA RUMMEL (sottovoce al console Bernick) Un tradi-
mento così infame –!
COMMERCIANTE SANDSTAD (allo stesso modo) Dunque, si è
preso gioco di noi –!
COMMERCIANTE VIGELAND Che il diavolo se lo porti –! Per la
croce, ma che sto dicendo?
FOLLA (da fuori) Urrà, urrà, urrà!
CONSOLE BERNICK Silenzio, miei signori. Non ho nessun diritto
a questo omaggio; perché ciò che adesso ho deciso non era, al-
l’inizio, nelle mie intenzioni. La mia intenzione era di tenere
tutto io stesso, e sono ancora del parere che questi terreni pos-
sano essere sfruttati nel modo migliore se rimangono tutti in-
sieme nelle mani di uno solo. Ma si può scegliere. Se lo si desi-
dera, sono pronto a gestirli nel miglior modo possibile.
VOCI Sì! Sì! Sì!72

72
Straordinario capovolgimento dei ruoli. Bernick doveva essere l’accusato,
e diventa l’accusatore. La folla, da giudice, si trasforma in imputato (e in col-
pevole). Bernick ha acquistato personalmente i terreni della ferrovia, non
tanto per ricavarci una speculazione colossale, ma perché era l’unica manie-
ra di far funzionare il progetto, in un paese moralisticamente spaventato dal-
l’idea del guadagno capitalistico. La confessione diventa l’occasione di una
nuova investitura. Attraverso l’offerta all’azionariato popolare Bernick cede
quello che gli ha costantemente interessato meno, il valore economico del
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 125

CONSOLE BERNICK Ma prima i miei concittadini devono cono-


scermi fino in fondo. Facciamo sì che ognuno scruti dentro sé
stesso, allora, e diamo per certo che da stasera cominciamo una
nuova era. Quella vecchia, con i suoi belletti, con la sua ipocri-
sia e il suo vuoto, con il suo perbenismo approssimativo e i suoi
miserabili riguardi, rimarrà per noi come un museo, utile all’i-
struzione; a questo museo noi concediamo, – non è vero, miei
signori? – sia il servizio da caffè sia la coppa sia l’album e la rac-
colta di prediche con velina e rilegatura di lusso.
GROSSISTA RUMMEL Sì naturalmente.
COMMERCIANTE VIGELAND (mormora) Dal momento che ha
preso tutto il resto –
COMMERCIANTE SANDSTAD Faccia pure.
CONSOLE BERNICK Ed ora la principale resa dei conti73 con la
mia società. È stato detto che cattivi elementi ci avevano lascia-
to stasera. Posso aggiungere ciò che non si sa: quell’uomo, a cui
si alludeva, non è partito solo; l’ha accompagnato per diventare
sua moglie –
SIGNORINA HESSEL (a voce alta) Dina Dorf!
PROFESSOR RØRLUND Cosa!
SIGNORA BERNICK Cosa dici!

(Grande movimento.)

PROFESSOR RØRLUND Fuggita? Scappata via – con lui! Impossi-


bile!
CONSOLE BERNICK Per diventare sua moglie, signor professore.
E aggiungo di più. (Sottovoce.) Betty, sta’ calma, e sopporta ciò
che viene adesso. (Ad alta voce.) Io dico: giù il cappello davanti
a quell’uomo; perché ha generosamente preso su di sé la colpa
di un altro. Miei concittadini, voglio uscire dalla falsità; per po-
co questa non è riuscita ad avvelenare ogni mia fibra. Saprete
tutto. Io ero il colpevole quindici anni fa.
SIGNORA BERNICK (a bassa voce e tremando) Karsten!
SIGNORINA BERNICK (allo stesso modo) Ah, Johan –!

denaro, la ricchezza, e mantiene saldo in pugno ciò che lo ha sempre affasci-


nato maggiormente, il comando, l’autorità politica, il consenso dei governati,
la leadership, in una parola.
73
Hovedopgør, «principale resa dei conti». Nel finale di Una casa di bambola
Nora inviterà parimenti il marito a una «resa dei conti», opgør (cfr. Una casa
di bambola, n. 89).
126 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL Qui hai finalmente ritrovato te stesso!

(Muto stupore tra i presenti.)

CONSOLE BERNICK Sì, miei concittadini, io ero il colpevole, e lui


partì. Non c’è più alcun modo al mondo per confutare le voci
false e perfide che si diffusero in seguito. Ma di questo non oso
lamentarmi. Quindici anni fa sono salito in alto grazie a queste
voci; se adesso cadrò a causa loro, questo ognuno lo valuti tra
sé e sé.
PROFESSOR RØRLUND Che fulmine a ciel sereno! Il primo citta-
dino della città –! (A voce bassa alla signora Bernick.) Oh,
quanto mi dispiace, signora!
HILMAR TØNNESEN Una tale confessione! Be’, devo dire –!
CONSOLE BERNICK Ma nessuna decisione stasera. Invito ognu-
no ad andare a casa propria, – a raccogliersi, – a guardare den-
tro sé stesso. Quando la calma sarà scesa negli animi, si vedrà
se ho perso oppure ho vinto nel parlare. Addio! Ho ancora mol-
to, molto di cui pentirmi; ma questo attiene solo alla mia co-
scienza. Buona notte! Via tutti gli splendori della festa. Sentia-
mo tutti che qui sono fuori posto.74
PROFESSOR RØRLUND È evidente. (A bassa voce alla signora
Bernick.) Scappata via! Allora era proprio assolutamente inde-
gna di me. (A mezza voce al comitato dei festeggiamenti.) Sì,
miei signori, a questo punto penso che la cosa migliore sia al-
lontanarci in totale silenzio.
74
Accortamente Bernick ha tenuto per la fine la rivelazione più ostica, la sto-
ria con l’attrice e le calunnie sui soldi rubati da Johan. Prima si è conquistato
il pubblico sul terreno più agevole dell’interesse economico, attraverso la sot-
toscrizione pubblica di azioni. Nel vuotare il sacco si rivela peraltro un attore
superbo, capace di alternare battute «sottovoce» (alla moglie: «Betty, sta’ cal-
ma, e sopporta ciò che viene adesso») e battute «ad alta voce» (alla moltitudi-
ne accalcata: «Io dico: giù il cappello davanti a quell’uomo»). Ma soprattutto
abilissimo nell’infilzare in contropiede la sua platea. Intuisce bene che non si
leveranno più degli Evviva!, come durante la prima parte della sua rivelazio-
ne, e inchioda gli astanti terroristicamente con il minaccioso richiamo evange-
lico Chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Ma delibera anche – da abile
presidente di assemblea – sulla tempistica della seduta, decidendo di tagliar
corto, e chiudere alla svelta l’assemblea, casomai ci fosse qualche sconsidera-
to presuntuosamente convinto di essere senza peccato. Stabilisce lui per tutti,
autoritariamente, che non è proprio il caso di emettere sentenze quella sera
stessa, a caldo, quando i presenti sono ancora visibilmente scossi dalla confes-
sione, e li congeda tutti, rapidamente e anche un po’ bruscamente.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 127

HILMAR TØNNESEN In che modo da ora in poi si potrà tenere al-


to lo stendardo dell’idea, questo –. Uff!

(La comunicazione è stata sussurrata nel frattempo di bocca in


bocca. Tutti i partecipanti al corteo con gli stendardi si allontanano
attraverso il giardino. Rummel, Sandstad e Vigeland se ne vanno
nel corso di un diverbio violento ma a bassa voce. Hilmar Tønne-
sen esce in punta di piedi a destra. Durante il silenzio restano in-
dietro nella sala il console Bernick, la signora Bernick, la signori-
na Bernick, la signorina Hessel e l’amministratore Krap.)

CONSOLE BERNICK Betty, hai misericordia per me?


SIGNORA BERNICK (lo guarda sorridendo) Lo sai, Karsten, che
in tanti anni ora mi hai aperto la prospettiva più felice?
CONSOLE BERNICK In che modo –?
SIGNORA BERNICK In tanti anni ho creduto di averti posseduto
una volta e di averti perso di nuovo. Adesso so che non ti ho
mai posseduto; ma ti conquisterò.75
CONSOLE BERNICK (la cinge con le braccia) Oh, Betty, tu mi hai
conquistato! È soltanto grazie a Lona che ho imparato a cono-
scerti davvero. Ma facciamo venire Olaf, adesso.
SIGNORA BERNICK Sì, adesso lo avrai. – Signor Krap –!

(Parla a bassa voce con lui in fondo. Egli, quindi, esce attraverso la
porta del giardino. Durante il dialogo seguente si spengono gra-
dualmente tutte le scritte luminose e le luci nelle case.)

CONSOLE BERNICK (a bassa voce) Grazie, Lona, hai salvato il


meglio di me – e per me.76
SIGNORINA HESSEL C’era qualcos’altro che volevo?

75
Betty anticipa il marito di Nora, che all’ultimo spera di riuscire a riconqui-
stare il coniuge.
76
Il realismo di Bernick è la sua virtù ma è anche, al tempo stesso, il suo limi-
te. Il personaggio è troppo realista, e quindi eccessivamente prudente. Non
ha mai osato spingere in avanti la situazione, incalzare la società arretrata in
cui si è trovato a vivere. Solo mezzo passo avanti; troppo poco per determi-
nare la modernizzazione di quella comunità. Però Bernick ha prontezza di ri-
flessi, sa sfruttare le occasioni che gli si offrono. Lona si è messa in testa di
operare un cambiamento nell’uomo che ha amato (anche lei, un po’ come
Hedda Gabler, ha bisogno di tenere fra le mani il destino di un uomo). E
Bernick ha l’intelligenza (e l’umiltà) di raccogliere quella provocazione,
quello stimolo che viene dall’esterno.
128 HENRIK IBSEN

CONSOLE BERNICK Sì, c’era – oppure non c’era? Non riesco a


capirti.
SIGNORINA HESSEL Hm –
CONSOLE BERNICK Insomma, niente odio? Nessuna vendetta?
Perché, allora, sei venuta quassù?
SIGNORINA HESSEL Amicizia vecchia non fa ruggine.
CONSOLE BERNICK Lona!
SIGNORINA HESSEL Quando Johan mi ha parlato di questa fac-
cenda della menzogna, allora ho giurato a me stessa: l’eroe del-
la mia giovinezza deve rimanere libero e vero.
CONSOLE BERNICK Oh, quanto poco ho meritato questo da te,
io misero uomo!
SIGNORINA HESSEL Be’, se noi donne ricercassimo il merito,
Karsten –!

(Il capocantiere Aune viene dal giardino con Olaf.)

CONSOLE BERNICK (verso di lui) Olaf!


OLAF Papà, ti prometto, mai più io –
CONSOLE BERNICK Scapperai via?
OLAF Sì, sì, te lo prometto, papà.
CONSOLE BERNICK E io ti prometto che non ne avrai mai moti-
vo. Da ora in poi avrai il permesso di crescere non come l’erede
della mia missione di vita ma come colui che ha la propria mis-
sione di vita che lo aspetta.
OLAF E avrò anche il permesso di diventare ciò che voglio?
CONSOLE BERNICK Sì, l’avrai.
OLAF Grazie. Allora non voglio diventare un sostegno della so-
cietà.
CONSOLE BERNICK Ah sì? Perché no?
OLAF Be’, credo che sia così noioso.
CONSOLE BERNICK Tu devi diventare te stesso, Olaf; il resto poi
andrà come potrà. – E lei, Aune –
CAPOCANTIERE AUNE Lo so, signor console; io sono licenziato.
CONSOLE BERNICK Noi rimaniamo insieme, Aune; e mi perdo-
ni –
CAPOCANTIERE AUNE Come? La nave non salpa stasera.
CONSOLE BERNICK Non salperà nemmeno domani. Le ho dato
un termine troppo stretto. Dev’essere esaminata più a fondo.
CAPOCANTIERE AUNE Sarà fatto, signor console, – e con i nuovi
macchinari!
CONSOLE BERNICK Così dev’essere. Ma a fondo e onestamente.
I SOSTEGNI DELLA SOCIETÀ 129

C’è molto, qui da noi, che necessita di una riparazione fatta a


fondo e onestamente. Ora, buona notte, Aune.
CAPOCANTIERE AUNE Buona notte, signor console; – e grazie,
grazie, grazie!77

(Esce a destra.)

SIGNORA BERNICK Adesso sono andati tutti via.


CONSOLE BERNICK E noi siamo soli. Il mio nome non risplende
più a caratteri di fuoco; tutte le luci si sono spente alle finestre.
SIGNORINA HESSEL Vorresti che fossero accese di nuovo?
CONSOLE BERNICK Neanche per tutto l’oro del mondo. Dov’ero
finito! Sarete terrorizzate, quando lo saprete. Adesso è come se
avessi ripreso i miei sensi dopo un avvelenamento. Ma lo sento, –
io posso diventare giovane e sano di nuovo. Oh, avvicinatevi, –
più stretti intorno a me. Vieni, Betty! Vieni, Olaf, ragazzo mio! E
tu, Marta; – è come se non ti avessi vista in tutti questi anni.
SIGNORINA HESSEL No, lo credo bene; la vostra società è una so-
cietà di vecchi scapoli; voi non vedete la donna.
CONSOLE BERNICK Vero, vero; e proprio per questo, – sì, questo
è irrevocabile, Lona, – tu non te ne andrai da Betty e me.
SIGNORA BERNICK No, Lona, non devi!

77
Anche la doppia improvvisa notizia – che Olaf è sulla nave, e poi che non è
sulla nave; che Olaf è perduto e che Olaf è salvo – funziona un po’ per Ber-
nick come la provocazione esterna di Lona. È solo dopo questo shock che il
console decide di confessare. Sente di non poter ammodernare il contesto
sociale e immagina pertanto che la sua azione debba essere proseguita dal fi-
glio, in tempi futuri che saranno più aperti allo spirito del capitale. La morte-
risurrezione di Olaf è una frustata che aiuta Bernick a liberarsi del rapporto
strumentale con il figlio. Olaf non è più al servizio del padre; il figlio è il fi-
glio, e il padre è il padre. Bernick sente che la sua grande impresa la può con-
durre fino in fondo in prima persona. Si noti come tutto precipiti all’interno
di un’unica battuta: Bernick ha appena finito di esaurire le tenerezze paterne
(«Tu devi diventare te stesso, Olaf; il resto poi andrà come potrà. –»), e subi-
to, al di là della pausa rappresentata dal trattino, si volge alle sollecitudini
per lui più motivanti, quelle professionali, apostrofando il capocantiere na-
vale («E lei, Aune –»). Da padre a padrone. La vittoria di Bernick è totale,
schiacciante. I bigotti concittadini si accingono – dopo attento esame interio-
re – ad aprirsi alla nuova età, a una morale più tollerante; e la classe operaia
un po’ luddista (rappresentata da Aune) capitola, e si accinge ad accettare le
macchine. L’unica cosa che non è chiara e prevedibile, è ciò che farà Olaf
(sintomatico il sigillo «il resto poi andrà come potrà»). Il fatto è che il padro-
ne è più importante del padre, come sempre in Ibsen.
130 HENRIK IBSEN

SIGNORINA HESSEL No, come potrei prendere la responsabilità


di andarmene da voi, novella gioventù, che dovete cominciare a
sistemarvi? Non sono una madre adottiva? Io e te, Marta, noi
due vecchie zie –. Che cosa guardi?
SIGNORINA BERNICK Come il cielo si rischiara. Come si illumina
il mare. Il “Palma” ha la fortuna con sé.
SIGNORINA HESSEL E la felicità a bordo.78
CONSOLE BERNICK E noi, – noi abbiamo un lungo e impegnati-
vo giorno di lavoro che ci aspetta; soprattutto io. Ma facciamo-
lo venire; rimanete soltanto strette intorno a me, voi donne fe-
deli e sincere. Questo anche ho imparato negli ultimi giorni: sie-
te voi donne i sostegni della società.
SIGNORINA HESSEL Allora hai imparato una fragile saggezza,
cognato. (Appoggia con forza le mani sulle sue spalle.) No, caro;
lo spirito di verità e di libertà, – questi sono i sostegni della so-
cietà.

78
«Palmetræet» har lykken med sig, «Il “Palma” ha la fortuna con sé», dice
la signorina Bernick. Og lykken ombord, «E la felicità a bordo», risponde la
signorina Hessel. Per la seconda volta (la prima qualche pagina indietro,
quando il console Bernick, saputo che l’«Indian Girl» non è partita più, di-
ce: O, hvilken usigelig lykke!, «Oh, che fortuna indicibile!», e poi aggiunge:
O, hvilket overmål af lykke, Betty!, «Oh, che sovrabbondanza di felicità,
Betty!») Ibsen usa 2 volte in modo ravvicinato il termine lykke, che nella
lingua norvegese ha una doppia accezione, di «fortuna» e di «felicità». (San-
dra Colella)
Giardino

Stanze interne

Sala Ingresso
che dà sul giardino dall’esterno

Stanza
console

Spettatori
I sostegni della società
UNA CASA DI BAMBOLA1
(1879)
Dramma in tre atti
Traduzione e note di Roberto Alonge

1
Et dukkehejm, «Una casa di bambola», con l’articolo indeterminativo (et),
una fra le tante: il dramma è l’exemplum di una vasta fenomenologia della vi-
ta familiare a fine Ottocento.
PERSONAGGI

L’AVVOCATO HELMER
NORA, sua moglie
IL DOTTOR RANK
LA SIGNORA LINDE
IL PROCURATORE LEGALE KROGSTAD
I TRE PICCOLI BAMBINI DEGLI HELMER
ANNE-MARIE, bambinaia presso gli Helmer
LA CAMERIERA presso gli stessi
UN FATTORINO

L’azione si svolge nell’abitazione degli Helmer.


PRIMO ATTO

(Un salotto accogliente e pieno di gusto, ma arredato senza lusso.


Una porta, sul fondo a destra, conduce fuori in anticamera; un’al-
tra porta, sul fondo a sinistra, conduce dentro la stanza da lavoro
di Helmer. Fra queste due porte un pianoforte. A metà della parete
di sinistra una porta e, un po’ più avanti, una finestra. Accanto alla
finestra un tavolo rotondo con poltrone e un piccolo sofà. Sul lato
della parete di destra, un po’ indietro, una porta, e sulla stessa pa-
rete, verso il proscenio, una stufa di maiolica con davanti un paio
di poltrone e una poltrona a dondolo. Fra la stufa e la porta latera-
le un tavolinetto. Sulle pareti incisioni in rame. Una étagère con
oggetti di porcellana e altri ninnoli artistici; una piccola biblioteca
con libri rilegati splendidamente. Tappeto sul pavimento; fuoco
nella stufa. Giornata d’inverno.)2

(Suona il campanello fuori in anticamera; poco dopo si sente apri-


re. Nora entra nel salotto contenta canticchiando; è vestita con il
mantello e porta molti pacchetti che depone sul tavolo a destra. La-
scia la porta verso l’anticamera aperta dietro di sé, e si vede un fat-
torino che porta un abete di Natale e un canestro che consegna al-
la cameriera, la quale era andata ad aprire.)

2
Lunga didascalia introduttiva, con la solita ossessione delle porte che carat-
terizza Ibsen: qui ne abbiamo ben quattro. Di due si precisa dove introduco-
no (nello studio di Helmer e nell’anticamera). Delle altre due non sappiamo,
secondo lo stile di Ibsen, che dice alcune cose, altre le nasconde, con voluta
perfidia. Come piantina riproduciamo il disegno (quasi perfetto) consultabi-
le in Chevrel 1989, p. 37, con la sola modifica dello studio di Helmer di cui al-
le nn. 44 e 55. Da notare che tutti i mobili sono addossati alle pareti, in modo
da lasciare libero il centro, come un ring in cui i personaggi si affrontano.
Certo, un teatro di parola, ma in cui sono decisivi i movimenti dei personaggi,
i loro spostamenti nello spazio, che velano/svelano i movimenti psicologici,
come mostrano le didascalie, spesso più importanti delle battute.
136 HENRIK IBSEN

NORA Nascondi bene l’albero di Natale, Helene. I bambini non


devono assolutamente vederlo prima di sera, quando sarà de-
corato. (Al fattorino, tirando fuori il portamonete.) Quant’è –?
IL FATTORINO Cinquanta centesimi.
NORA Questa è una corona. No, tenga tutto.

(Il fattorino ringrazia e va. Nora chiude la porta. Continua a ride-


re tranquillamente contenta mentre si toglie il mantello.)

NORA (cava dalla tasca un sacchetto di amaretti e ne mangia un


paio; poi va cautamente ad origliare3 alla porta del marito) Sì, è
in casa.

(Canticchia di nuovo mentre va al tavolo di destra.)

HELMER (da dentro la sua stanza) È l’allodola, che cinguetta lì


fuori?
NORA (mentre si muove e apre una paio di pacchetti) Sì, proprio
così.
HELMER È lo scoiattolo, che armeggia lì?
NORA Sì!
HELMER Quando è arrivato al focolare lo scoiattolo?
NORA Proprio adesso. (Ripone in tasca il sacchetto di amaretti e
si pulisce la bocca.) Vieni qua, Torvald, così vedrai ciò che ho
comperato.
HELMER Non disturbare! (Dopo un po’ apre la porta e guarda
dentro, con una penna in mano.) Comperato, hai detto? Tutta
questa roba? Il piccolo uccello spendaccione è uscito di nuovo
a dissipare soldi?
3
Forsigtigt, aggettivo usato avverbialmente, «cautamente», che compare solo
2 volte in Una casa di bambola: la seconda volta riferito a Kristine, anche lei
intenta a origliare l’arrivo di Krogstad all’inizio del III atto. Si origlia molto,
nelle case ibseniane, di proprietà del maschio-padrone, dove dunque il sesso
debole si difende con le armi dei deboli, con l’inganno e l’astuzia, appunto
forsigtigt. Quando invece, in via eccezionale, è il maschio a origliare, allora
questo denota immediatamente uno spirito maligno, in qualche modo crimi-
nale (vedremo il giovane Osvald di Spettri). Come fa Nora a capire che il ma-
rito è in casa? Forse sente il rumore tenuissimo di Torvald che scrive (il mari-
to infatti uscirà dallo studio «con una penna in mano»). Misteri delle case ib-
seniane, dove l’esercizio sviluppa l’organo, il molto origliare potenzia l’udito.
Anche Torvald ha fortemente sviluppato il senso dell’udito. Non solo sente
Nora che canticchia (il che è normale), ma anche Nora «che armeggia», cioè
che apre i pacchetti natalizi.
UNA CASA DI BAMBOLA 137

NORA Sì, ma Torvald, quest’anno possiamo anche lasciarci un


po’ andare. Questo è il primo Natale che non abbiamo bisogno
di risparmiare.
HELMER Oh, sai, non possiamo fare degli sprechi.
NORA Sì, Torvald, un po’ di sprechi li possiamo fare ora. Non è
vero? Solo un pochino. Ora che stai per avere un grosso stipen-
dio e guadagnerai molto molto denaro.
HELMER Sì, con il nuovo anno; ma dovrà passare un intero tri-
mestre prima che lo stipendio sia pagato.
NORA Uff; nell’attesa possiamo prendere a prestito.
HELMER Nora! (Si avvicina a lei e le prende un orecchio scher-
zosamente.) È di nuovo la sventatezza che viene fuori? Met-
tiamo che io prenda a prestito mille corone oggi, e che tu le dis-
sipi nella settimana di Natale, e poi, la vigilia di Capodanno, mi
cade una tegola in testa e resti lì –
NORA (gli mette la mano sulla bocca) Oh, puah; non dire delle
cose così brutte.
HELMER Sì, metti ora che capiti una cosa simile, – e poi?
NORA Se dovesse capitare qualcosa di così odioso, allora sareb-
be per me assolutamente lo stesso avere dei debiti oppure no.
HELMER Bene, ma la gente, dalla quale io avessi preso a prestito?
NORA Quelli? Chi se ne preoccupa! Sono degli estranei.
HELMER Nora, Nora, tu sei una donna! No, ma seriamente, No-
ra; tu sai come la penso su questo punto. Nessun debito! Mai
prendere a prestito!4 C’è una sorta di schiavitù, e dunque an-
che qualcosa di laido, che scende su un focolare fondato sui
prestiti e sui debiti. Ora noi due abbiamo tenuto duro sino ad
oggi; e così faremo anche per il breve tempo di cui ci sarà an-
cora bisogno.
NORA (va verso la stufa) Sì, sì, come vuoi tu, Torvald.
HELMER (seguendola) Su, su; ora però la piccola allodola cante-
rina non deve trascinare le ali. Come? Lo scoiattolo è lì che fa il
broncio. (Tirando fuori il portamonete.) Nora, cosa pensi che
abbia qui?
NORA (voltandosi rapidamente) Denaro!

4
C’è un tono biblico in Torvald, qui sul modello delle Tavole della Legge,
giocate sulla negazione ad incipit (Non uccidere, Non rubare, ecc.). Ma anche
nelle battute precedenti (la «sventatezza», l’insistenza sul verbo «dissipare»,
sætte over styr). Torvald ha qualcosa di luterano, è il portatore dei valori mo-
rali tradizionali; non è solo un marito sciocco e grigio, come spesso è inter-
pretato.
138 HENRIK IBSEN

HELMER Guarda. (Le dà qualche banconota.) Signore Iddio, lo


so bene, che ce ne vuole molto in una casa nel periodo di Na-
tale.
NORA (conta) Dieci – venti – trenta – quaranta. Oh, grazie, gra-
zie, Torvald; questo ora mi aiuterà per un pezzo.
HELMER Sì, in verità devi proprio fare così.
NORA Sì, sì, ce la farò bene. Ma vieni qui, che ti voglio mostrare
tutto ciò che ho comperato. E così a buon mercato! Guarda, qui
ci sono dei vestiti nuovi per Ivar – e anche una sciabola. Qui c’è
un cavallo e una tromba per Bob. E qui una bambola con il suo
lettino per Emmy; è proprio modesta; ma lei tanto riduce pre-
sto tutto in mille pezzi. E qui ci sono delle stoffe per vestiti e
degli scialletti per le domestiche; la vecchia Anne-Marie avreb-
be dovuto avere però molto di più.
HELMER E cosa c’è in quel pacco là?
NORA (grida) No, Torvald, quello non lo vedrai prima di sera!
HELMER Va bene. Ma adesso dimmi, tu, piccola sprecona, a cosa
hai pensato ora proprio per te?
NORA Uff; per me? Non me ne preoccupo per niente.
HELMER Ma sì, invece, di sicuro. Dimmi qualcosa di ragione-
vole, di cui potresti aver voglia.
NORA No, io non so veramente. Sì, ascolta, Torvald –
HELMER Ebbene?
NORA (palpando i suoi bottoni, senza guardarlo) Se volessi rega-
larmi qualcosa, bene, potresti in fondo –; potresti –
HELMER Via, via; fuori questa cosa.
NORA (rapidamente) Potresti regalarmi dei soldi, Torvald. Sol-
tanto quel tanto che ti sembra che ti avanzi; così io poi, uno di
questi giorni, ci comprerò qualcosa.
HELMER No, ma Nora –
NORA Oh, sì, fallo, caro Torvald; te ne prego. Così appenderò i
soldi, avvolti in una bella carta dorata, sull’albero di Natale.
Questo non sarà divertente?
HELMER Come si chiamano quegli uccelli che dissipano i soldi?
NORA Sì, sì, uccelli spendaccioni; lo so bene io. Ma lascia che fac-
ciamo come ho detto, Torvald; così avrò il tempo per riflettere
su ciò di cui ho più bisogno. Non è molto giudizioso? Eh?
HELMER (sorridendo) Sì, certo che lo è; voglio dire, se tu
veramente potessi tenere i soldi che io ti do, e comperassi ve-
ramente qualcosa per te stessa con questi. Ma poi finiscono
nella casa e in molte cose inutili, e così io devo cacciarne fuori
di nuovo.
UNA CASA DI BAMBOLA 139

NORA Oh, ma Torvald –


HELMER Non puoi negarlo, mia cara piccola Nora. (Passa il
braccio intorno alla sua vita.) L’uccello spendaccione è carino
ma consuma un’enorme quantità di denaro. È incredibile, che
lusso sia per un uomo mantenere un uccello spendaccione.
NORA Oh, puah, come puoi dire questo? Io tuttavia risparmio
proprio tutto quello che posso.
HELMER (ride) Sì, hai detto una cosa verissima. Tutto quello che
puoi. Ma tu non puoi proprio niente.
NORA (canticchia e sorride tranquillamente, contenta) Hm, se tu
soltanto sapessi, quante spese abbiamo, noi allodole e scoiatto-
li, Torvald.
HELMER Sei uno strano piccolo essere. Assolutamente com’era
tuo padre. Ti dai da fare in tutti gli angoli per trovare le strade
del denaro; ma appena ce l’hai, è come se ti sparisse tra le mani;
non sai mai cosa ne hai fatto. Eh, ma bisogna prenderti come
sei. L’hai nel sangue. Sì, sì, sì, una simile cosa è ereditaria, Nora.
NORA Ah, io avrei desiderato ereditare molte delle qualità di
papà.
HELMER E io non ti desidero diversamente da come sei, mia pic-
cola dolce allodola canterina. Ma ascolta; mi viene in mente
qualcosa. Hai l’aria così – così – come dovrei chiamarla? – così
equivoca oggi –
NORA Io, davvero?
HELMER Sì, certo, tu davvero. Guardami fissa negli occhi.
NORA (lo guarda) Ebbene?
HELMER (minacciandola con il dito) La ghiottona non avrebbe
mica fatto una capatina in città, oggi?
NORA No, che idea che ti viene in mente.
HELMER La ghiottona non l’ha proprio fatta una scappata dal
pasticciere?
NORA No, te lo assicuro, Torvald –
HELMER Non ha assaporato un piccolo dolce?
NORA No, niente affatto.
HELMER Nemmeno mordicchiato un amaretto o due?
NORA No, Torvald, io ti assicuro veramente –
HELMER Eh, eh, eh; sì, naturalmente ho detto solo per scherzo –
NORA (va al tavolo di destra) Non potrebbe venirmi in mente di
contrariarti.
HELMER No, questo lo so bene; e tu in fondo mi hai dato la tua
parola –. (Andando verso di lei.) Eh via, tieniti per te i tuoi pic-
coli segreti di Natale, mia benedetta Nora. Verranno alla luce
140 HENRIK IBSEN

stasera, quando saranno accese le candeline sull’albero di Na-


tale, immagino.
NORA Ti sei ricordato di invitare il dottor Rank?
HELMER No. Ma non c’è bisogno; va da sé che mangerà con noi.
Del resto lo inviterò quando verrà qui questa mattina. Ho or-
dinato del buon vino. Nora, tu non puoi credere quanto mi pre-
gusti questa serata.5
NORA Anch’io. E come saranno allegri i bambini, Torvald!
HELMER Ah, come è magnifico, intanto, pensare di aver ottenu-
to una posizione sicura e garantita; avere uno stipendio che dà
da vivere in maniera abbondante. Non è vero; non è un grande
godimento solo a pensarci?
NORA Oh, è meraviglioso!6
HELMER Puoi ricordarti il Natale passato? Durante tutte le tre
settimane precedenti ti chiudevi ogni sera fino ben oltre mez-
zanotte a fare fiori per l’albero di Natale e tutte le altre ma-
gnificenze, in modo che noi potessimo avere delle sorprese. Uh,
quello è il periodo più noioso che abbia vissuto.
NORA Per me non è stato niente affatto noioso.
HELMER (sorridendo) Ma il risultato, tuttavia, è stato piuttosto
modesto, Nora.
NORA Oh, ora non continuare a prendermi ancora in giro per
questo. Che cosa ci potevo fare io, se il gatto è entrato e ha ri-
dotto tutto in pezzi?
HELMER No, certo, tu non potevi farci nulla, mia povera piccola
Nora. Tu avevi la migliore volontà di far piacere a noi tutti, e
questa è la cosa essenziale. Ma è bene tuttavia che quel tempo
difficile sia finito.
5
Torvald appartiene alla razza degli antichi borghesi che sanno apprezzare il
buon vino e la buona tavola: da assaporare una volta ogni tanto (come il ses-
so, che si coniuga strettamente ai piaceri della tavola). Nora è meno interes-
sata (come vedremo meglio più avanti). E qui sembra appunto inserire l’im-
magine dei figli proprio per imbrigliare un po’ la fantasia troppo marcata-
mente erotica del marito.
6
Vidunderligt, «meraviglioso», 47 ricorrenze in tutto Ibsen, ma 19 nel nostro
testo (il secondo in ordine di presenze ne registra solo 8). Peraltro 15 delle 19
di Una casa di bambola si riferiscono a dialoghi di Nora. Si tratta dunque del-
la parola-chiave del personaggio, che ne rivela l’ansia affabulatrice, il biso-
gno di meraviglioso, come aveva intuito per tempo, senza bisogno delle Con-
cordanze, Groddeck, nel suo geniale saggio sull’opera (cfr. Groddeck 1910).
Naturalmente è essenziale tradurre ogni volta l’aggettivo nello stesso modo,
evitando sinonimi che distruggono la caratteristica della lingua ibseniana,
martellante e maniacale.
UNA CASA DI BAMBOLA 141

NORA Sì, è veramente meraviglioso.


HELMER Ora non ho bisogno di stare seduto qui, solo e annoia-
to; e tu non hai bisogno di tormentare i tuoi occhi benedetti e le
tue piccole morbide fini mani –
NORA (batte le mani) No, non è vero, Torvald, che non ce n’è più
bisogno? Oh, com’è meraviglioso, delizioso, da ascoltare! (Lo
prende sotto braccio.) Ora ti dirò come ho pensato di sistemar-
ci, Torvald. Appena il Natale sarà passato – (Suonano in
anticamera.) Oh, suonano. (Mette un po’ in ordine nel salotto.)
Arriva certo qualcuno. Quant’è noioso.
HELMER Per le visite non sono in casa; ricordalo.
LA CAMERIERA (sulla porta dell’entrata) Signora, c’è qui una da-
ma sconosciuta –
NORA Sì, lasciala entrare.
LA CAMERIERA (a Helmer) E insieme è arrivato il dottore.
HELMER È andato direttamente da me?7
LA CAMERIERA Sì, è andato.

(Helmer entra nella sua stanza. La domestica fa entrare nel salotto


la signora Linde, che è in abito da viaggio, e chiude dietro di lei.)

LA SIGNORA LINDE (intimidita e un po’ esitante) Buon giorno,


Nora.
NORA (incerta) Buon giorno –
LA SIGNORA LINDE Tu non mi riconosci proprio.
NORA No; io non so –; ma certo, mi sembra proprio – (Con una
esclamazione.) Cosa! Kristine! Sei davvero tu?
LA SIGNORA LINDE Sì, sono io.
NORA Kristine! E io, che non ti ho riconosciuta! Ma come po-
tevo io pure –. (A voce più bassa.) Come sei cambiata, Kristine!
LA SIGNORA LINDE Sì, lo sono senza dubbio. In nove – dieci lun-
ghi anni –
NORA È così tanto tempo che non ci siamo viste? Sì, dev’essere
proprio così. Oh, questi ultimi otto anni sono stati un periodo
felice, puoi ben crederlo. E così ora sei arrivata qui, in città? Hai
fatto questo lungo viaggio, in inverno. È stato coraggioso.
LA SIGNORA LINDE Sono arrivata giusto questa mattina con il
vapore.

7
C’è dunque un doppio accesso allo studio di Helmer, dal salotto ma anche
dall’anticamera. Ibsen – si è detto – lascia cadere in maniera un po’ clandesti-
na le informazioni sulla geografia della casa. Cfr. n. 2.
142 HENRIK IBSEN

NORA Per spassartela durante il Natale, naturalmente. Oh,


com’è delizioso! Sì, ce la spasseremo, questo lo faremo vera-
mente. Ma togliti il mantello. Non hai mica freddo? (La aiu-
ta.) Ecco; ora sediamoci comodamente, qui, vicino alla stufa.
No, là, sulla poltrona! Qui, sulla poltrona a dondolo, siederò
io. (Le prende le mani.) Sì, ora hai di nuovo, sì, il tuo viso di
una volta; è stato soltanto nel primo momento –. Sei diventa-
ta un poco più pallida, tuttavia, Kristine, – e forse un poco più
magra.
LA SIGNORA LINDE E molto, molto più vecchia, Nora.
NORA Sì, forse un po’ invecchiata; un poco, poco; ma non molto.
(Si arresta all’improvviso, gravemente.) Oh, ma che sventata che
sono, che sto qui seduta a chiacchierare! Dolce, benedetta, Kri-
stine, puoi perdonarmi?
LA SIGNORA LINDE Cosa vuoi dire, Nora?
NORA (a voce bassa) Povera Kristine, tu sei rimasta vedova.
LA SIGNORA LINDE Sì, da tre anni.
NORA Oh, l’ho saputo, sì, certamente; l’ho letto sui giornali. Oh,
Kristine, devi credermi, io ho pensato spesso di scriverti in quel
periodo; ma sempre rimandavo, e sempre interveniva qualche
contrattempo.
LA SIGNORA LINDE Cara Nora, lo capisco benissimo.
NORA No, è stato brutto da parte mia, Kristine. Oh, tu, povera,
certo che hai sofferto molte pene. – E lui non ti ha lasciato pro-
prio nulla per vivere?
LA SIGNORA LINDE No.
NORA E nessun bambino?
LA SIGNORA LINDE No.
NORA Assolutamente niente, dunque?
LA SIGNORA LINDE Neanche un dolore o un rimpianto di cui nu-
trirmi.
NORA (la guarda incredula) Sì, ma, Kristine, come può essere
possibile?
LA SIGNORA LINDE (sorride tristemente e l’accarezza sui capelli)
Oh, questo capita talvolta, Nora.
NORA Così completamente sola. Come dev’essere stato terribil-
mente duro per te. Io ho tre deliziosi bambini. Sì, ora non puoi
vederli perché sono fuori con la domestica. Ma ora devi raccon-
tarmi tutto –
LA SIGNORA LINDE No, no, no, racconta tu, piuttosto.
NORA No, devi incominciare tu. Oggi non voglio essere egoista.
Oggi voglio pensare soltanto ai tuoi problemi. Ma una tuttavia
UNA CASA DI BAMBOLA 143

devo dirtela. Tu sai la grande felicità che ci è capitata in questi


giorni?
LA SIGNORA LINDE No. Cos’è questo?
NORA Pensa, mio marito è diventato direttore della Banca Azio-
naria!
LA SIGNORA LINDE Tuo marito? Oh, che fortuna –!
NORA Sì, immensa! Essere avvocato, in fondo, è un vivere incer-
to, specialmente quando non ci si vuole occupare di altri affari
che non siano quelli fini e belli. E altro naturalmente Torvald
non l’ha mai voluto; e in questo sono assolutamente d’accordo
con lui. Oh, puoi credere, quanto siamo contenti! Lui entrerà in
carica nella banca già con il nuovo anno, e allora riceverà un
grande stipendio e molte percentuali. Di conseguenza potremo
vivere in modo assolutamente diverso da prima, – assolutamen-
te come noi vogliamo. Oh, Kristine, come mi sento leggera e fe-
lice! Sì, perché è comunque delizioso avere grandi quantità di
denaro e non aver bisogno di darsi pensiero. Non è vero?
LA SIGNORA LINDE Sì, dev’essere proprio delizioso avere il ne-
cessario.
NORA No, non solo il necessario, ma grandi, grandi, quantità di
denaro!
LA SIGNORA LINDE (sorride) Nora, Nora, non sei ancora diven-
tata giudiziosa? Ai tempi della scuola eri una grande sprecona.
NORA (ride tranquillamente) Sì, questo Torvald lo dice ancora.
(Minacciandola con un dito.) Ma «Nora, Nora» non è così paz-
za come credete voi. – Oh, in verità non siamo stati in condizio-
ni tali che potessi fare tanti sprechi. Abbiamo dovuto lavorare
tutt’e due.
LA SIGNORA LINDE Anche tu?
NORA Sì, inezie, lavori d’ago, lavori ad uncinetto e ricamo e
qualcosa del genere; (con sufficienza) e anche altre cose. Tu sai
bene che Torvald andò via dal Ministero quando ci sposammo?
Non c’era nessuna prospettiva di avanzamento nel suo ufficio,
e poi in fondo doveva guadagnare più denaro di prima. Ma nel
primo anno lui lavorò eccessivamente, in modo davvero ter-
ribile. Doveva procacciarsi guadagni supplementari d’ogni ge-
nere, puoi crederci, e lavorava dalla mattina alla sera. Ma non
poté reggere, e s’ammalò mortalmente. Così i medici dichiara-
rono che era necessario che andasse al sud.
LA SIGNORA LINDE Sì, avete soggiornato un intero anno in Ita-
lia?
NORA Sì, certo. Non era facile partire, puoi crederci. Ivar allora
144 HENRIK IBSEN

era appena nato. Ma naturalmente partire dovevamo. Oh, quel-


lo fu un meraviglioso delizioso viaggio. E salvò la vita di Tor-
vald. Ma è costato molto denaro, Kristine.
LA SIGNORA LINDE Posso immaginarlo senz’altro.
NORA Milleduecento talleri è costato. Quattromilaottocento co-
rone. È molto denaro, lo vedi.
LA SIGNORA LINDE Sì, ma in un simile accidente è proprio una
grande fortuna averlo.
NORA Sì, ti dirò, lo abbiamo avuto da papà.
LA SIGNORA LINDE Proprio così. Fu giusto in quel tempo che
tuo padre morì, credo.
NORA Sì, Kristine, fu giusto allora. E pensa, non ho potuto anda-
re da lui a curarlo. Ero qui ad aspettare giorno dopo giorno che
il piccolo Ivar venisse al mondo. E poi in fondo avevo il mio po-
vero Torvald malato a morte da accudire. Mio caro gentile
papà! Non l’ho visto mai più, Kristine. Oh, questa è stata la co-
sa più dura che abbia vissuto da quando mi sono sposata.
LA SIGNORA LINDE Sì, lo so che gli volevi molto bene. Ma così,
dunque, partiste per l’Italia?
NORA Sì; alla fine avevamo il denaro; e i medici ci facevano fret-
ta. Così partimmo un mese dopo.
LA SIGNORA LINDE E tuo marito è tornato del tutto guarito?
NORA Sano come un pesce!
LA SIGNORA LINDE Ma – il dottore?
NORA Come?
LA SIGNORA LINDE Mi sembra che la domestica abbia detto che
c’era il dottore, quel signore che è arrivato insieme a me.
NORA Sì, era il dottor Rank; ma lui non viene in visita medica; è
il nostro più intimo amico, e passa a vederci almeno una volta
al giorno. No, Torvald non è mai più stato malato dopo di allo-
ra. E i bambini sono belli sani, e io pure. (Balza in piedi e batte
le mani.) Oh Dio, oh Dio, Kristine, è meraviglioso, delizioso,
vivere ed essere felici! – – Oh, ma è tuttavia schifoso da parte
mia –; io parlo unicamente dei miei problemi. (Si siede su uno
sgabello vicino a lei e mette le braccia intorno alle sue ginoc-
chia.) Oh, non devi essere in collera con me! – Dimmi, è pro-
prio vero, che non volevi bene a tuo marito? Perché l’hai pre-
so, allora?
LA SIGNORA LINDE Mia madre viveva ancora; ed era costretta a
letto e senza aiuto. E poi avevo i miei due fratelli più giovani di
cui prendermi cura. Mi sembrava che non fossi scusabile a re-
spingere la sua offerta.
UNA CASA DI BAMBOLA 145

NORA No, no, in questo puoi aver ragione. Sarà stato ricco, allora?
LA SIGNORA LINDE Era piuttosto benestante, credo. Ma affari
incerti, Nora. Quando lui morì, tutto è andato in fumo e non è
rimasto più niente.
NORA E così –?
LA SIGNORA LINDE Sì, così io ho dovuto darmi da fare con un
piccolo commercio e una piccola scuola e altro che potevo in-
ventarmi. Gli ultimi tre anni sono stati per me un unico, lungo
giorno di lavoro senza riposo. Ora è finita, Nora. La mia povera
madre non ha più bisogno di me, perché se n’è andata. E i ra-
gazzi nemmeno; ora si sono sistemati e possono prendersi cura
di loro stessi.
NORA Come devi sentirti leggera –
LA SIGNORA LINDE No, vedi; soltanto così indicibilmente vuota.
Nessuno più per cui vivere. (Si alza inquieta.) Per questo non
ho potuto sopportare più a lungo di restare laggiù, in quel pic-
colo luogo remoto. Qui dev’essere comunque più facile trovare
qualcosa che possa tenerti assorbita e che occupi i tuoi pensie-
ri. Soltanto potessi essere così fortunata da ottenere un posto,
un qualche lavoro d’ufficio –
NORA Oh, ma, Kristine, è così terribilmente stancante; e tu hai
già adesso l’aria così stanca. Sarebbe molto meglio per te se po-
tessi andartene alle acque termali.
LA SIGNORA LINDE (va verso la finestra) Io non ho nessun papà,
che mi possa dare in regalo il denaro per il viaggio, Nora.
NORA (si alza) Oh, non essere arrabbiata con me!
LA SIGNORA LINDE (andando verso di lei) Cara Nora, non esse-
re tu arrabbiata con me. La cosa peggiore in una situazione co-
me la mia è che si deposita nell’animo tanta asprezza. Non si ha
nessuno per cui lavorare; e intanto si è costretti a trafficare da
tutte le parti. Bisogna pur vivere; e così si diventa egoisti. Quan-
do mi raccontavi del fortunato cambiamento della vostra situa-
zione – crederesti? – ero contenta più per me che per te.
NORA Come, questo? Oh, ti capisco. Vuoi dire che Torvald po-
trebbe forse fare qualcosa per te.
LA SIGNORA LINDE Sì, è questo che pensavo.
NORA Lo farà difatti, Kristine. Lascia solo fare a me; presenterò
la cosa così finemente, così finemente, – inventerò qualcosa di
amabile, in modo che gli vada assolutamente a genio. Oh, vor-
rei volentieri renderti servizio.
LA SIGNORA LINDE Com’è bello da parte tua, Nora, che tu sia
così premurosa per i miei problemi, – doppiamente bello da
146 HENRIK IBSEN

parte di una come te, che conosce così poco i fardelli e i fastidi
della vita.
NORA Io –? Io conosco così poco i –?
LA SIGNORA LINDE (sorridendo) Eh via, Signore Iddio, quel po-
chino di lavoro d’ago e cose di questo genere –. Tu sei una bam-
bina, Nora.
NORA (rovescia la nuca e cammina per la stanza) Non dovresti
parlarmi con quest’aria di superiorità.
LA SIGNORA LINDE Ah sì?
NORA Tu sei uguale agli altri. Tutti quanti voi credete che io non
sia in grado di fare nulla di veramente serio –
LA SIGNORA LINDE Eh, eh –
NORA – e che io non abbia subìto delle prove in questo difficile
mondo.
LA SIGNORA LINDE Cara Nora, tu stessa poco fa mi hai raccon-
tato tutte le tue avversità.
NORA Uff, – bazzecole! (A voce bassa.) Non ti ho raccontato la
cosa grande.
LA SIGNORA LINDE Quale, grande? Che cosa vuoi dire?
NORA Tu mi guardi proprio dall’alto in basso, Kristine; ma non
dovresti farlo. Tu sei fiera di aver lavorato così duramente e co-
sì a lungo per tua madre.
LA SIGNORA LINDE Io non guardo sicuramente nessuno dall’al-
to in basso. Ma questo è vero: sono e fiera e compiaciuta quan-
do penso che mi è stato possibile rendere sereni gli ultimi anni
di vita di mia madre.
NORA E sei anche fiera quando pensi a ciò che hai fatto per i
tuoi fratelli.
LA SIGNORA LINDE Sembra a me di averne il diritto.
NORA Sembra a me pure. Ma ora devi ascoltare una cosa, Kristi-
ne. Anch’io ho qualcosa di cui essere fiera e compiaciuta.
LA SIGNORA LINDE Non ne dubito. Ma cosa vuoi dire?
NORA Parla a voce bassa. Pensa, se Torvald ascoltasse questo!
Lui non deve, per nessun prezzo al mondo –; nessuno lo deve
sapere, Kristine; nessuno all’infuori di te.
LA SIGNORA LINDE Ma che cos’è mai?
NORA Vieni qui vicino. (L’attira sul sofà accanto a sé.) Sì, vedi –
anch’io ho qualcosa di cui essere fiera e compiaciuta. Sono io,
che ho salvato la vita di Torvald.
LA SIGNORA LINDE Salvato –? Come, salvato?
NORA Ti ho appena raccontato del viaggio in Italia. Torvald non
avrebbe potuto uscirne fuori, se non fosse andato laggiù –
UNA CASA DI BAMBOLA 147

LA SIGNORA LINDE Eh sì; tuo padre vi regalò il denaro ne-


cessario –
NORA (sorride) Sì, questo credono e Torvald e tutti gli altri; ma –
LA SIGNORA LINDE Ma –?
NORA Papà non ci regalò un solo scellino. Sono stata io, che ho
procurato il denaro.
LA SIGNORA LINDE Tu? Tutta quella grande somma?
NORA Milleduecento talleri. Quattromilaottocento corone. Co-
sa ne dici di questo?
LA SIGNORA LINDE Sì, ma, Nora, com’è stato possibile? Avevi
vinto al lotto allora?
NORA (con disprezzo) Al lotto? (Soffiando.) Che arte sarebbe
stata, allora?
LA SIGNORA LINDE Ma, allora, dove l’avevi trovato?
NORA (canticchia e sorride misteriosamente) Hm; tra la la la!
LA SIGNORA LINDE Perché prenderlo in prestito, certo, tu non
potevi.
NORA Ah sì? Perché no?
LA SIGNORA LINDE No, una moglie, certo, non può prendere in
prestito senza l’autorizzazione di suo marito.
NORA (rovescia la nuca) Oh, quando si tratta di una moglie che
è un pochino abile negli affari, – una moglie, che sappia
comportarsi con un poco d’intelligenza, allora –
LA SIGNORA LINDE Ma, Nora, io non ci capisco niente –
NORA Tu, certo, non ne hai nemmeno bisogno. Certo non è pro-
prio detto che il denaro l’abbia preso in prestito. Posso pure
averlo ottenuto in un altro modo. (Abbandonandosi sul sofà.)
Posso pure averlo ottenuto da qualche ammiratore. Quando si
ha un’aria seducente come la mia –
LA SIGNORA LINDE Tu sei una pazzerella.
NORA Ora sei proprio assai curiosa, Kristine.
LA SIGNORA LINDE Sì, ascoltami, ora, cara Nora, – non avrai agi-
to in modo sconsiderato?
NORA (sedendosi di nuovo ritta)8 È sconsiderato salvare la vita
del proprio marito?

8
Le didascalie pesano molto nella scrittura drammaturgica di Ibsen. «Ab-
bandonandosi sul sofà», Nora si abbandona a segreti compiaciuti vagheggia-
menti della propria capacità seduttiva. Quando finisce il momento della fan-
tasticheria, riconquista la posizione eretta sul divano, «sedendosi di nuovo
ritta». In questo teatro ibseniano fondato sulla parola, in realtà è il corpo che
parla, che dice le cose più coinvolgenti.
148 HENRIK IBSEN

LA SIGNORA LINDE Mi sembra sconsiderato che tu a sua insaputa –


NORA Ma lui appunto non doveva sapere nulla! Signore Iddio,
non puoi capire questo? Lui non doveva neanche sapere, quan-
to pericoloso fosse il suo stato. Era a me che i medici erano ve-
nuti a dire che la sua vita era in pericolo; che nient’altro poteva
salvarlo, se non un soggiorno al sud. Non credi che prima non
abbia tentato di muovermi con prudenza? Gli parlai, di come
sarebbe stato delizioso per me fare un viaggio all’estero come
le altre giovani mogli; piangevo e pregavo; dicevo che si ricor-
dasse, per carità, dello stato in cui io ero, e che doveva essere
gentile e compiacente con me; e così insinuavo che avrebbe ma-
gari potuto prendere un prestito. Ma allora quasi s’arrabbiava,
Kristine. Diceva che ero sventata, e che era suo dovere, in quan-
to marito, di non essere compiacente con i miei capricci e le mie
lune – come credo che le chiamasse. Sì, sì, io pensavo, ora biso-
gna salvarti; e così trovai la via d’uscita –
LA SIGNORA LINDE E tuo marito non ha saputo da tuo padre
che il denaro non proveniva da lui?
NORA No, mai. Papà morì proprio in quegli stessi giorni. Io ave-
vo pensato di metterlo a parte del problema e pregarlo che non
rivelasse nulla. Ma dal momento che era così malato –. Sfortu-
natamente, non fu necessario.
LA SIGNORA LINDE E tu, dopo, non ti sei mai confidata con tuo
marito?
NORA No, in nome del cielo, come puoi pensare questo? Lui,
che è così severo su questo punto! E per di più – Torvald con il
suo amor proprio maschile, – come sarebbe stato imbarazzante
e umiliante per lui sapere che mi era in debito di qualcosa. Que-
sto avrebbe assolutamente guastato i rapporti fra di noi; il no-
stro felice bel focolare non sarebbe rimasto quello che è ora.9
LA SIGNORA LINDE Non glielo dirai mai?
NORA (pensierosa, con un mezzo sorriso) Sì – un giorno, forse; –
fra molti anni, quando non sarò più bella come ora. Non devi
ridere di questo! Voglio dire, naturalmente: quando a Torvald
non piacerò più così tanto come ora; quando lui non troverà più
diletto che io danzi per lui e mi travesta e reciti. Allora sarà be-
ne avere qualcosa di riserva –10 (Interrompendosi.) Sciocchez-

9
Sulla distinzione fra hus e hjem, fra «casa» e «focolare» cfr. I sostegni della
società, n. 11.
10
Perché Kristine ride? Per il compiacimento vanitoso di Nora che si consi-
dera «bella», e che infatti attenua subito la sua dichiarazione. Ma si noti l’im-
UNA CASA DI BAMBOLA 149

ze, sciocchezze, sciocchezze! Quel tempo non arriverà mai. –


Ebbene, cosa dici del mio grande segreto, Kristine? Non sono
anch’io in grado di fare qualcosa? – Puoi ben credere che que-
sto problema mi ha dato molte preoccupazioni. Non è stato mi-
ca facile per me far fronte ai miei impegni a tempo debito. De-
vo dirti che nel mondo degli affari c’è qualcosa che si chiama
interessi trimestrali e qualcosa che si chiama rata; ed è sempre
così terribilmente difficile essere puntuali. Così dovevo rispar-
miare un poco qua e là, come potevo, vedi. Del denaro del go-
verno della casa non potevo in fondo mettere da parte granché,
perché Torvald doveva pur vivere bene. I bambini in fondo non
potevo lasciarli andare mal vestiti; quello che ricevevo per loro,
mi sembrava dovessi utilizzarlo tutto quanto. Dolci benedetti
piccoli!
LA SIGNORA LINDE Così dunque ne sono andati di mezzo pro-
prio i tuoi bisogni, povera Nora?
NORA Sì, naturalmente. Ero pur sempre quella più interessata
alla cosa. Ogni volta che Torvald mi dava del denaro per un
nuovo vestito e qualcosa del genere, io non utilizzavo mai più
della metà; compravo immancabilmente le merci più semplici e
più a buon mercato. Grazie a Dio, vesto tutto così bene, che
Torvald non ha mai notato ciò. Ma molte volte mi è risultato
pesante, Kristine; perché comunque è delizioso andare vestiti
finemente.11 Non è vero?
LA SIGNORA LINDE Oh, sì, certamente.

magine di Torvald sposo-pascià di terra nordica, che vuole una moglie al suo
servizio: buona a danzare (la danza dei sette veli?), a travestirsi, a recitare. Il
verbo forklæde, «travestirsi», compare solo in Una casa di bambola (2 ricor-
renze). Il sostantivo forklædning, «travestimento», ha parimenti 2 sole ricor-
renze (una nel nostro testo). E un hapax è il sostantivo forklædningsscene,
«scena di travestimento» (detto da Torvald). Che questa triade di attività
(danzare travestirsi recitare) abbia complessivamente valenza erotica, risulta
chiaramente dal contesto, in cui si allude alla vecchiaia di Nora. Per quella
stagione occorrerà «avere qualcosa di riserva», cioè la rivelazione del segre-
to. La grande azione di Nora, sommandosi a giovinezza e bellezza, rischia di
schiacciare Torvald, di umiliare la sua presunzione maschilista. Se invece bi-
lanciata da un’età matura, senza il fascino della bellezza e della gioventù, po-
trà risultare accettabile a Torvald.
11
Dejlig e fin, «delizioso» e «fine», altri due aggettivi che appartengono pre-
valentemente a Nora, donna borghese di classe, un po’ bamboleggiante, per-
ché trattata come una bambola. Su 23 ricorrenze (nel testo) del primo, 17 so-
no di Nora; e 6 su 11 del secondo.
150 HENRIK IBSEN

NORA Bene, in fondo io avevo anche altre fonti di guadagno.


L’inverno scorso fui così fortunata da trovare un bel po’ di la-
voro di copiatura. Così mi rinchiudevo e mi sedevo a scrivere
ogni sera fino a notte avanzata. Ah, molte volte ero così stanca,
così stanca. Ma era tuttavia enormemente divertente lo stesso,
stare così seduta a lavorare e a guadagnare denaro. Era quasi,
come se fossi un uomo.
LA SIGNORA LINDE Ma finora quanto hai potuto rimborsare a
rate, in questo modo?
NORA Sì, non posso dirtelo con precisione. In affari del genere,
vedi, è molto difficile tenere un ordine. Io so solo che ho pagato
tutto quello che ho potuto raggranellare. Molte volte non sape-
vo dove battere la testa. (Sorride.) Allora mi sedevo qui e
immaginavo, che un vecchio ricco signore si fosse innamorato
di me –
LA SIGNORA LINDE Cosa! Quale signore?
NORA Oh, sciocchezze! – e che lui era appena morto, e quando
si apriva il suo testamento, dentro c’era a grandi lettere «Tutto
il mio denaro sia sborsato all’amabile signora Nora Helmer su-
bito in contanti».
LA SIGNORA LINDE Ma, cara Nora, – chi era questo signore?
NORA Signore Iddio, non riesci a capirlo? Quel vecchio signore
non esisteva affatto; era soltanto qualche cosa che mi mettevo
a pensare qui, sempre e ancora sempre, quando non vedevo
nessuna via d’uscita per procurare il denaro. Ma ormai fa lo
stesso; quel vecchio noioso individuo per me può restare dov’è;
non mi preoccupo né di lui né del suo testamento, perché ora
sono serena. (Balza in piedi.) Oh Dio, è comunque delizioso da
pensare, Kristine! Serena! Poter essere serena, assolutamente
serena; poter giocare e trastullarsi con i bambini; poter avere
una casa bella e graziosa, proprio come Torvald apprezza! E
pensa, ben presto verrà la primavera con il suo grande cielo az-
zurro. Così forse potremo viaggiare un poco. Forse potrò rive-
dere il mare.12 Oh, sì, sì, è veramente meraviglioso vivere ed es-
sere felici!

12
Forse Nora è nata in una città di mare, sulla costa. Certo suo padre è morto
lontano da lei, e a lui avrebbe dovuto «spedire per posta» il documento per il
prestito di denaro. Nora come una sorta di Ellida de La signora del mare? Il
mare come fonte del gusto del meraviglioso di Nora, contrapposto alla terre-
streità del prosaico Torvald?
UNA CASA DI BAMBOLA 151

(Si sente il campanello nell’anticamera.)

LA SIGNORA LINDE (si alza) Suonano; è forse meglio che vada.


NORA No, resta; qui non verrà proprio nessuno; sarà certo per
Torvald –
LA CAMERIERA (sulla porta dell’anticamera) Scusi, signora, –
qui c’è un signore che vuole parlare con l’avvocato –
NORA Con il direttore della banca, vuoi dire.
LA CAMERIERA Sì, con il direttore della banca; ma io non sape-
vo – poiché il dottore è là dentro –
NORA Chi è questo signore?
IL PROCURATORE LEGALE KROGSTAD (sulla porta dell’antica-
mera) Sono io, signora.
LA SIGNORA LINDE (rimane sorpresa, trasalisce e si volta verso la
finestra)
NORA (un passo verso di lui, tesa, a mezza voce) Lei? Cosa c’è?
Di cosa vuole parlare con mio marito?
KROGSTAD Problemi di banca – in qualche modo. Ho un piccolo
impiego alla Banca Azionaria, e suo marito per l’appunto ora
diventerà il nostro capo, ho sentito dire –
NORA È dunque –
KROGSTAD Solo aridi affari, signora; assolutamente nient’altro.
NORA Sì, voglia essere così gentile da dirigersi alla porta dello
studio. (Saluta indifferente mentre chiude la porta dell’anticame-
ra; poi si reca a vedere come va la stufa.)
LA SIGNORA LINDE Nora – chi era quell’uomo?
NORA Era un certo procuratore legale Krogstad.
LA SIGNORA LINDE Dunque era proprio lui.
NORA Tu conosci quell’individuo?
LA SIGNORA LINDE L’ho conosciuto – un bel po’ d’anni fa. È sta-
to procuratore delegato, là, dalle nostre parti.
NORA Sì, è proprio lui.
LA SIGNORA LINDE Com’è cambiato.
NORA Pare che abbia avuto un matrimonio molto infelice.
LA SIGNORA LINDE Ora sarà vedovo?
NORA Con molti bambini. Ecco; ora c’è fuoco. (Chiude lo spor-
tello della stufa e sposta la poltrona a dondolo un po’ di lato.)
LA SIGNORA LINDE Si occupa di molte specie di affari, si dice?
NORA Ah sì? Sì, può darsi; io non ne so proprio niente –. Ma
smettiamo di pensare agli affari; è così noioso.

(Il dottor Rank arriva dalla stanza di Helmer.)


152 HENRIK IBSEN

IL DOTTOR RANK (ancora sulla porta) No no, vedi; non voglio


disturbare; andrò piuttosto un po’ da tua moglie. (Chiude la
porta e si accorge della signora Linde.) Oh, scusi; disturbo
probabilmente anche qui.
NORA No, in nessun modo. (Presentando.) Il dottor Rank. La si-
gnora Linde.
RANK Ah, bene. Un nome che si sente spesso in questa casa.
Credo di essere passato davanti alla signora sulle scale, quando
sono arrivato.
LA SIGNORA LINDE Sì; io salgo molto lentamente; questo mi af-
fatica molto.
RANK Aha, un pochino tarata dentro?
LA SIGNORA LINDE Direi piuttosto, lavoro eccessivo.
RANK Niente altro? Così è venuta in città per riposare facendo
il giro di tutti i banchetti natalizi?
LA SIGNORA LINDE Sono arrivata qui per cercare lavoro.
RANK E questo sarebbe un rimedio sicuro contro il lavoro
eccessivo?
LA SIGNORA LINDE Si deve vivere, signor dottore.
RANK Sì, è proprio un’opinione generale, che vivere sia necessa-
rio.
NORA Oh, senta un po’, dottor Rank, – anche lei certamente
vuole vivere volentieri.
RANK Sì, certamente lo voglio. Malandato come sono, voglio tut-
tavia volentieri soffrire il più a lungo possibile. Tutti i miei pa-
zienti hanno la medesima reazione. E parimenti avviene anche
con quelli colpiti moralmente. Là, da Helmer, c’è ora, proprio in
questo momento, un povero infermo morale del genere –
LA SIGNORA LINDE (con voce soffocata) Ah!
NORA Cosa vuole dire?
RANK Oh, è un certo procuratore legale Krogstad, un individuo
che lei non conosce affatto. È tarato fino alle radici del caratte-
re, signora.13 Ma perfino lui ha incominciato a blaterare, come
se fosse qualcosa di molto importante, che doveva vivere.

13
Bedærvet, «tarato». Il tema della «tara» è tipico della cultura del Positivi-
smo, e Ibsen la riprende con forza, per esempio in Spettri, in cui il giovane
Osvald muore per le tare ereditarie di suo padre. Proprio il dottor Rank anti-
cipa Osvald; anche lui muore giovane perché figlio di un padre dissoluto. Il
verbo ritorna solo 2 volte in Una casa di bambola, e sempre in bocca a Rank,
entrambe in questa scena: all’inizio ha chiesto alla signora Linde se faceva le
scale lentamente perché «un pochino tarata dentro»: espressione scherzosa
UNA CASA DI BAMBOLA 153

NORA Ah sì? Allora di che cosa voleva parlare a Torvald?


RANK In verità non so; ho sentito unicamente che era qualcosa
che riguardava la Banca Azionaria.
NORA Io non sapevo che Krog – che quel procuratore legale
Krogstad avesse qualcosa a che fare con la Banca Azionaria.
RANK Sì, là ha ottenuto una specie d’impiego. (Alla signora Lin-
de.) Io non so se anche dalle sue parti sia presente questo gene-
re d’individui che se ne vanno girando, di qua e di là, di fretta e
di furia, per rintracciare i più marci moralmente e fare in modo
poi che queste persone siano ricoverate in osservazione in una
qualche vantaggiosa situazione. Quelli sani devono accettare di
starsene fuori.
LA SIGNORA LINDE Sono tuttavia proprio i malati, che hanno
più bisogno di essere accolti.
RANK (alza le spalle) Sì, eccoci qua. È questa considerazione che
fa della società un ospedale.
NORA (nei propri pensieri, scoppia in una risata a mezza voce e
batte le mani)
RANK Perché ride di questo? Sa cosa sia propriamente, la so-
cietà lei?
NORA Cosa mi preoccupo io di questa noiosa società? Ridevo
per qualcosa di assolutamente diverso, – qualcosa di enorme-
mente divertente. – Mi dica, dottor Rank, – tutti quelli che sono
impiegati nella Banca Azionaria ora diventeranno proprio
dipendenti di Torvald?
RANK Davvero è questo, che lei trova così enormemente diver-
tente?
NORA (sorride e canticchia) Lasci fare a me! Lasci fare a me!
(Passeggia all’intorno per la stanza.) Sì, è davvero immensa-
mente piacevole pensare che noi – che Torvald abbia tanta
influenza su tanti individui.14 (Cava dalla tasca un sacchetto.)
Dottor Rank, favorisca un piccolo amaretto.

per indicare una qualche piccola patologia. Tare fisiche e tare morali, forse
un po’ troppo esibite per non sospettare che Ibsen faccia solo finta di credere
alla ereditarietà delle tare (ma su questo torneremo a proposito di Spettri).
14
Nora dice «noi» e poi si corregge, dicendo «Torvald». Nasconde a fatica il
compiacimento per l’ascesa sociale del marito. Prima aveva rimproverato la
cameriera, che aveva chiamato il padrone «avvocato» e non «direttore della
banca». Ma c’è anche il fantasma della donna che vuole tenere fra le mani il
destino degli altri, come sarà in Hedda Gabler. Ibsen opera continuamente
una serie di piccole variazioni rispetto a poche figure di base.
154 HENRIK IBSEN

RANK Guarda guarda; amaretti. Credevo che qui fosse una mer-
ce proibita.
NORA Sì, ma questi sono quelli che mi ha regalato Kristine.
LA SIGNORA LINDE Cosa? Io –?
NORA Eh, eh, eh; non spaventarti. In fondo non potevi sapere
che Torvald li avesse proibiti. Devo dirti che ha paura che mi
facciano i denti brutti. Ma, uff, – una volta tanto –! Non è vero,
dottor Rank? Prego! (Gli mette in bocca un amaretto.) E anche
tu, Kristine. E anch’io ne prenderò uno; solo uno piccolo – o al
massimo due. (Passeggia di nuovo.) Sì, ora sono veramente, im-
mensamente, felice. Ora c’è soltanto un’unica cosa al mondo di
cui avrei un’immensa voglia.
RANK Davvero? E che cos’è?
NORA È qualcosa, che avrei un’immensa voglia di dire in modo
che Torvald l’ascoltasse.
RANK E dunque perché non può dirla?
NORA No, non oso, perché è così brutto.
LA SIGNORA LINDE Brutto?
RANK Sì, allora non è raccomandabile. Ma a noi in fondo lei
senz’altro può – Cos’è, che ha tanta voglia di dire in modo che
Helmer l’ascolti?
NORA Io ho così tanta, immensa, voglia di dire: sangue di Cristo.15
RANK Lei è pazza!
LA SIGNORA LINDE Ma no, Nora –!
RANK Lo dica. Eccolo!
NORA (nascondendo il sacchetto di amaretti) Zitti, zitti, zitti!

(Helmer, con il cappotto sul braccio e il cappello in mano, arriva


dalla sua stanza.)

NORA (andando verso di lui) Ebbene, caro Torvald, ti sei sbaraz-


zato di lui?
HELMER Sì, è andato via ora.
NORA Devo presentarti –; ecco Kristine, che è venuta in città.
HELMER Kristine –? Scusi, ma non conosco –
NORA La signora Linde, caro Torvald; la signora Kristine Linde.
HELMER Ah, bene. Presumibilmente un’amica d’infanzia di mia
moglie?
LA SIGNORA LINDE Sì, ci siamo conosciute in passato.

15
Død og pine: per la traduzione «sangue di Cristo» cfr. I sostegni della so-
cietà, n. 55.
UNA CASA DI BAMBOLA 155

NORA E pensa, lei ora ha fatto questo lungo viaggio fin qua per
poter parlare con te.
HELMER Cosa vuoi dire?
LA SIGNORA LINDE Sì, non proprio –
NORA Kristine è infatti così immensamente in gamba nel lavoro
d’ufficio, e ha una così grande, enorme, voglia di mettersi sotto la
guida di un valentuomo per imparare più di quello che già sa –
HELMER Molto ragionevole, signora.
NORA E quando ha sentito dire che tu eri diventato direttore di
banca – là è arrivato un dispaccio a questo proposito – si è mes-
sa in viaggio per venire qua, non appena ha potuto e –. Non è
vero, Torvald, che tu, per me, potresti senz’altro fare qualcosina
per Kristine? Eh?
HELMER Sì, non è proprio impossibile. La signora presu-
mibilmente è vedova?16
LA SIGNORA LINDE Sì.
HELMER Ed ha pratica negli affari d’ufficio?
LA SIGNORA LINDE Sì, passabilmente.
HELMER Bene, allora è assai ragionevole che possa procurarle
un impiego –
NORA (batte le mani) Vedi, vedi!
HELMER Lei è arrivata in un momento felice, signora –
LA SIGNORA LINDE Oh, come potrò ringraziarla –?
HELMER Non ce n’è affatto bisogno. (S’infila il cappotto.) Ma
oggi deve scusarmi –
RANK Aspetta; vengo con te.

(Va a prendere nell’entrata la sua pelliccia e la scalda vicino alla


stufa.)

NORA Non restare molto tempo fuori, caro Torvald.

16
Formodentlig, «presumibilmente». Lo stesso avverbio poche righe prima,
in analogo contesto para-interrogativo («Presumibilmente un’amica d’infan-
zia di mia moglie?»). Solo 2 ricorrenze in questo testo, ed entrambe in bocca
a Torvald, a denotarne il carattere, di chi parla ponendo domande di cui co-
nosce già la risposta. Immagina facilmente che Kristine sia vedova perché in
cerca di lavoro. Nell’Ottocento una donna borghese sposata non cerca lavo-
ro. Caratteristico di Torvald anche l’aggettivo rimelig, «ragionevole», che tro-
viamo poche battute avanti («Bene, allora è assai ragionevole che possa pro-
curarle un impiego –»), anch’esso solo 2 volte in Una casa di bambola, en-
trambe in bocca a Torvald. La prima nella scena iniziale con Nora, quando
vuole farle un regalo («Dimmi qualcosa di ragionevole, di cui potresti aver
voglia»). Tic verbali di un noiosissimo ragioniere molto «ragionevole».
156 HENRIK IBSEN

HELMER Il tempo di un’ora; non di più.


NORA Vai anche tu, Kristine?
LA SIGNORA LINDE (prende il mantello) Sì, ora devo andarmene
a cercare una stanza per me.
HELMER Così, magari, scendiamo insieme in strada.
NORA (la aiuta) Com’è noioso, che dobbiamo abitare così nello
stretto; ma ci è impossibile di –
LA SIGNORA LINDE Oh, a cosa stai a pensare! Arrivederci, cara
Nora, e grazie di tutto.
NORA Arrivederci intanto. Sì, ritorni questa sera, naturalmente.
E lei anche, dottor Rank. Cosa? Se starà bene? Oh, sì certa-
mente che starà bene; soltanto si copra con cura.

(Conversazione generale mentre escono nell’entrata. Si sentono le


voci dei bambini fuori, sulle scale.)

NORA Eccoli! Eccoli!

(Corre ad aprire. La bambinaia Anne-Marie arriva con i bambini.)

NORA Entrate, entrate! (Si china a baciarli.) Oh, voi, dolci, be-
nedetti –! Li vedi, Kristine? Non sono deliziosi!
RANK Non chiaccherate qui, nella corrente d’aria!
HELMER Venga, signora Linde; ora qui è una noia per tutti tran-
ne che per le madri.

(Il dottor Rank, Helmer e la signora Linde scendono le scale. La


bambinaia entra nel salotto con i bambini, parimenti Nora, mentre
chiude la porta dell’anticamera.)

NORA Che aria fresca e baldanzosa che avete. No, che guance
rosse che avete fatto! Come delle mele e delle rose. (I bambini
le troncano le parole in bocca durante ciò che segue.) Vi siete di-
vertiti tanto? Questo, sì, è splendido. Sì, bene; tu hai tirato sullo
slittino sia Emmy che Bob? No, pensa, insieme! Sì, sei un ragaz-
zo in gamba, Ivar. Oh, lasciamela tenere un po’, Anne-Marie.
Mia dolce, piccola bambina-bambola! (Prende la più piccola al-
la bambinaia e danza con lei.) Sì, sì, mamma danzerà anche con
Bob. Cosa? Avete lanciato delle palle di neve? Oh, come avrei
voluto esserci! No, questo no; voglio svestirli io, Anne-Marie.
Oh, sì, lasciami fare; è così divertente. Va’ dentro nell’attesa; hai
l’aria così infreddolita. Là c’è del caffè caldo per te sulla stufa.
UNA CASA DI BAMBOLA 157

(La bambinaia entra nella stanza di sinistra. Nora toglie i mantelli dei
bambini e li getta all’intorno mentre li lascia raccontare tutti insieme.)

NORA Sì, bene? Così c’era un grande cane che vi è corso dietro?
Ma non mordeva? No, i cani non mordono i piccoli deliziosi
bambini-bamboli. Non guardare dentro i pacchetti, Ivar! Cosa
c’è? Sì, se soltanto sapeste. Oh, no, no; questo è qualcosa di
brutto. Ah sì? Vogliamo giocare? A cosa vogliamo giocare? A
nascondino. Sì, giochiamo a nascondino. Bob si nasconderà per
primo. Devo essere io? Sì, vado a nascondermi io per prima.

(Lei e i bambini giocano tra le risate e il giubilo nel salotto e nella


stanza contigua a destra.17 Alla fine Nora si nasconde sotto il tavo-
lo; i bambini entrano tumultuando, vanno in cerca di lei, ma non
riescono a trovarla, sentono le sue risate soffocate, si precipitano
verso il tavolo, alzano il tappeto, la vedono. Giubilo tumultuante.
Lei avanza strisciando come per spaventarli. Nuovo giubilo. Nel
frattempo hanno picchiato alla porta d’entrata; nessuno se n’è ac-
corto. Ora si dischiude la porta e appare il procuratore legale
Krogstad; egli aspetta un po’; il gioco continua.)

KROGSTAD Scusi, signora Helmer –


NORA (con un grido soffocato, si volta e si rialza ritta a metà)
Ah! Cosa vuole lei?
KROGSTAD Abbia pazienza; la porta d’ingresso era socchiusa;
qualcuno deve aver dimenticato di chiuderla –
NORA (si alza) Mio marito non è in casa, signor Krogstad.
KROGSTAD Lo so.
NORA Sì – cosa vuole dunque, qui?
KROGSTAD Parlare con lei.
NORA Con –? (Ai bambini, a voce bassa.) Andate dentro da An-
ne-Marie. Cosa? No, quell’uomo sconosciuto non vuole far
niente di male alla mamma.18 Quando sarà andato via gioche-
remo di nuovo.
17
Ibsen non ci dice ancora che stanza sia questa cui conduce la porta sul lato
della parete di destra (lo scopriremo in parte nel II e in parte nel III atto),
ma ci fa capire che i bambini, nei loro giochi, godono di libero accesso, men-
tre invece – per sana educazione repressiva dell’Ottocento – non hanno di-
ritto a invadere lo studio di papà.
18
Traduciamo qui con «signore sconosciuto», ma fremmede mand sarebbe
letteralmente «uomo estraneo» o «straniero». L’aggettivo fremmed ha 11 ri-
correnze nel testo, di cui 7 sono di Nora, che lo usa non solo per adeguarsi al
158 HENRIK IBSEN

(Lei conduce i bambini nella stanza a sinistra e chiude la porta die-


tro di loro.)

NORA (inquieta, tesa) Lei vuole parlare con me?


KROGSTAD Sì, lo voglio.
NORA Oggi –? Ma non siamo ancora al primo del mese –
KROGSTAD No, siamo alla vigilia di Natale. Dipenderà da lei se
questo Natale sarà gioioso.
NORA Cos’è che lei vuole? Proprio non posso, oggi –
KROGSTAD Fino a nuovo ordine non chiacchiereremo di questo.
Si tratta di qualcos’altro. Lei, comunque, ha un momento di
tempo?
NORA Oh sì; sì, certo, ce l’ho senz’altro, benché –
KROGSTAD Bene. Stavo all’osteria Olsen e ho visto suo marito
che scendeva per la strada –
NORA Sì, bene.
KROGSTAD – con una dama.
NORA E con questo?
KROGSTAD Mi prendo la libertà di chiedere: non era quella da-
ma una certa signora Linde?
NORA Sì.
KROGSTAD Appena arrivata in città?
NORA Sì, oggi.
KROGSTAD È una buona amica sua?
NORA Sì, lo è. Ma non comprendo –
KROGSTAD Anch’io l’ho conosciuta un tempo.
NORA Lo so.
KROGSTAD Ah sì? È al corrente della questione. Era ciò che
senz’altro pensavo. Sì, posso chiedere così, a farla corta:19 la si-
gnora Linde avrà qualche impiego nella Banca Azionaria?
NORA Come si permette lei di interrogare me, signor Krogstad, lei,

linguaggio infantile. Nel III atto – nel grande scontro con il marito – anche
Torvald diventerà per Nora en fremmed mand, «un uomo estraneo».
19
Kort og godt, «a farla corta», letteramente «breve e bene». Anche una doz-
zina di battute più avanti Krogstad userà la stessa espressione. Alterna ma-
niere formalmente deferenti a impuntature brusche, come si addice al perso-
naggio del cattivo, che deve spaventare l’eroina, terrorizzarla. Ma Nora è
molto dura. Si notino i di lei tre corsivi, quando gli rinfaccia di essere sempli-
cemente uno dei subordinati di suo marito, underordnede (participio passato
del verbo underordne, costruito su under, sotto, e ordne, ordinare, verbo ra-
rissimo in Ibsen, 4 sole frequenze, di cui 3 in Una casa di bambola, tutte in
questa sequenza).
UNA CASA DI BAMBOLA 159

uno dei subordinati di mio marito? Ma dal momento che lo chie-


de, allora lo saprà: sì, la signora Linde avrà un impiego. E sono io,
che ho perorato la sua causa, signor Krogstad. Ora lei lo sa.20
KROGSTAD Avevo dunque collegato bene.
NORA (va su e giù per la stanza) Oh, si ha pur sempre una picco-
la piccola influenza, vorrei credere. Perché si è una donna, non
è affatto detto per questo che –. Quando si è in un rapporto su-
bordinato, signor Krogstad, ci si dovrebbe proprio guardare
dall’urtare qualcuno, che – hm –
KROGSTAD – che ha dell’influenza?
NORA Sì, precisamente.
KROGSTAD (cambiando tono) Signora Helmer, voglia avere la
bontà di adoperare la sua influenza a mio vantaggio.
NORA Che cosa, ora? Che cosa vuole dire?
KROGSTAD Voglia essere così buona da prendersi cura che io
conservi la mia posizione di subordinato alla banca.21
NORA Cosa significa? Chi pensa a toglierle la sua posizione?
KROGSTAD Oh, lei non ha bisogno di recitar la parte dell’ignara
di fronte a me. Mi rendo ben conto che alla sua amica non pia-
cerebbe esporsi in uno scontro con me; e mi rendo conto anche,
ora, a chi posso dir grazie se sarò cacciato via.
NORA Ma le assicuro –
KROGSTAD Sì, sì, sì, a farla corta: c’è ancora tempo e io le con-
siglio di adoperare la sua influenza per impedire ciò.
NORA Ma, signor Krogstad, io non ho assolutamente nessuna
influenza.

20
Nu ved De det, «Ora lei lo sa»: frase canonica (e frequente) negli scontri
dialogici di Ibsen.
21
Nella sua perorazione Nora «va su e giù per la stanza»: la didascalia ibse-
niana sottolinea sempre l’importanza del passaggio dialogico. Gioca come il
gatto con il topo. Con finta umiltà dichiara di essere solo «una donna», ma
prosegue precisando che ha comunque una qualche «influenza» sul marito,
per quanto «piccola piccola». E passa quindi a ribadire con asprezza quasi
brutale la condizione di «subordinato» di Krogstad, con un corteggio di mi-
nacce reticenti, fatte di pause (che Ibsen traduce con un trattino, corrispon-
dente ai nostri tre puntini di sospensione) e di un mellifluo «hm». Krogstad,
per nulla ingenuo, capisce e risponde riprendendo lo stesso termine usato da
lei, indflydelse, «influenza», chiedendole di usarla a suo vantaggio. Così come
riprende («cambiando tono» avverte la puntuale didascalia) il termine unde-
rordnet, «subordinato», che Nora gli aveva gettato in faccia, come un guanto
di sfida. Anche il sostantivo indflydelse appartiene a Nora (4 ricorrenze su 8,
mentre le 3 di Krogstad sono semplici riprese del di lei linguaggio).
160 HENRIK IBSEN

KROGSTAD No? Mi sembra che poco fa lei stessa dicesse –


NORA Non era naturalmente da intendere in questo modo. Io!
Come può credere che io abbia qualche influenza di questo ge-
nere su mio marito?
KROGSTAD Oh, conosco suo marito dai tempi della scuola. Non
penso che il signor direttore di banca sia più fermo degli altri
mariti.
NORA Se parla in modo sprezzante di mio marito, allora le mo-
stro la porta.
KROGSTAD La signora è coraggiosa.
NORA Io non ho più paura di lei. Quando il nuovo anno sarà fi-
nito, sarò presto fuori da tutto questo.
KROGSTAD (dominandosi maggiormente) Ora mi ascolti, signo-
ra. Se necessario, io arriverò a combattere come per la vita, pur
di conservare il mio piccolo posto alla banca.
NORA Sì, sembra proprio.
KROGSTAD Non è semplicemente a causa del reddito; questo
per me è perfino il meno. Ma c’è qualcosa d’altro –. Eh via, sì,
buttiamola fuori! Si tratta di questo, vede. Lei sa naturalmente,
bene quanto tutti gli altri, che una volta, un bel po’ di anni fa,
mi resi colpevole di una sconsideratezza.22
NORA Credo di aver sentito dire qualcosa del genere.
KROGSTAD La questione non andò in tribunale; ma subito per
me si chiusero tutte le strade. Così m’iniziai agli affari che lei sa
bene. A qualcosa dovevo pur appigliarmi; e oso dire, non sono
stato tra i peggiori. Ma ora devo uscire fuori da tutto questo. I
miei figli crescono; a causa loro devo cercare di procurarmi
nuovamente, fra i concittadini, il maggior rispetto possibile.
Questo posto in banca era per me come il primo scalino. E ora
suo marito vuole buttarmi giù dalla scala a calci, in modo che io
ritorni a scendere nel fango.
NORA Ma per l’amor di Dio, signor Krogstad, non è affatto in
mio potere aiutarla.

22
Ubesindighed, «sconsideratezza»: 2 sole ricorrenze nel testo (la seconda
usata da Torvald, sempre a proposito delle firme false operate da Krogstad).
Affine l’aggettivo ubesindig, «sconsiderato», 3 ricorrenze, 2 di Kristine e 1 di
Nora (che si limita a ripetere il termine usato dall’amica). Kristine trova
«sconsiderato» quello che Nora ha fatto per salvare il marito, perché all’insa-
puta del marito. Ibsen fissa così, a livello di comuni scelte linguistiche, la
stretta analogia fra Krogstad e Nora, entrambi autori di sconsideratezze, en-
trambi in qualche modo criminali, eversori della legalità.
UNA CASA DI BAMBOLA 161

KROGSTAD Perché lei non ne ha la volontà; ma io ho i mezzi per


costringerla.
NORA Non vorrà proprio raccontare a mio marito che le devo
del denaro?
KROGSTAD Hm; se ora glielo raccontassi?
NORA Sarebbe da parte sua un agire vergognoso. (Con il pianto
in gola.) Questo segreto, che è il mio piacere e la mia fierezza,
lui dovrebbe venire a saperlo in una maniera così brutta e vol-
gare, – venire a saperlo da lei. Lei vuole espormi ai più terrifi-
canti fastidi –
KROGSTAD Solo fastidi?
NORA (violentemente) Ma lo faccia soltanto; sarà peggio per lei;
perché allora mio marito potrà veramente vedere, quale malva-
gio individuo sia lei, e allora quel posto non lo conserverà pro-
prio più.
KROGSTAD Io ho chiesto, se erano solo fastidi domestici, quelli
di cui lei aveva paura?
NORA Se mio marito verrà a saperlo, pagherà naturalmente su-
bito ciò che resta come residuo; e così non avremo più niente a
che fare con lei.
KROGSTAD (un passo più vicino) Ascolti, signora Helmer; – o lei
non ha una forte memoria, oppure non ha un grande discer-
nimento negli affari. Dovrò senz’altro metterla al corrente del
problema in modo un poco più approfondito.
NORA Come sarebbe?
KROGSTAD Quando suo marito era malato, lei venne da me per
prendere in prestito milleduecento talleri.
NORA Non conoscevo nessun altro.
KROGSTAD Promisi allora di procurarle l’ammontare –
NORA E me lo procurò.
KROGSTAD Promisi di procurarle l’ammontare a certe condi-
zioni. Lei era allora così occupata dalla malattia di suo marito,
e aveva così premura di ottenere il denaro per il viaggio, che
non pensò molto a tutte le circostanze accessorie. Non è perciò
inopportuno rammentargliele. Bene; promisi di procurarle il
denaro in cambio di una ricevuta debitoria, che stesi io.
NORA Sì, e che io firmai.
KROGSTAD Bene. Ma in basso io aggiunsi alcune righe, in cui
suo padre garantiva per il debito. Queste righe avrebbe dovuto
firmarle suo padre.
NORA Avrebbe dovuto –? Lui firmò eccome.
KROGSTAD Io avevo lasciato la data in bianco; ciò voleva dire
162 HENRIK IBSEN

che suo padre doveva indicare lui stesso il giorno in cui avreb-
be firmato il documento. Si ricorda di questo, signora?
NORA Sì, credo, probabilmente –
KROGSTAD Io le consegnai poi la ricevuta debitoria, perché lei
doveva spedirla per posta a suo padre. Non è così?
NORA Sì.
KROGSTAD Ed è ciò che lei, naturalmente, fece anche subito;
perché già cinque-sei giorni dopo mi portò la ricevuta con la
firma di suo padre. Così dunque le fu sborsato l’ammontare.
NORA Sì, allora; non ho rimborsato a rate regolarmente?
KROGSTAD Più o meno, sì. Ma – per ritornare a ciò di cui stava-
mo parlando, – fu probabilmente un momento duro per lei,
quello, signora?
NORA Sì, lo fu.
KROGSTAD Suo padre era probabilmente molto malato, credo.
NORA Era all’estremo.
KROGSTAD Morì probabilmente23 poco dopo?
NORA Sì.
KROGSTAD Mi dica, signora Helmer, potrebbe ricordare per ca-
so il giorno della morte di suo padre? Quale giorno del mese,
voglio dire.
NORA Papà morì il 29 settembre.
KROGSTAD È del tutto esatto; ho preso delle informazioni. È per
questo che c’è una stranezza, (tira fuori un documento) che non
riesco affatto spiegarmi.
NORA Quale stranezza? Io non so –
KROGSTAD La stranezza, signora, è che suo padre firmò questa
ricevuta debitoria tre giorni dopo la sua morte.
NORA Come? Io non capisco –
KROGSTAD Suo padre morì il 29 settembre. Ma guardi qui. Qui
suo padre ha datato la sua firma il 2 ottobre. Non è una stranez-
za, signora?
NORA (tace)
KROGSTAD Lei può spiegarmelo?
NORA (tace ancora)
KROGSTAD Sorprendente è anche che la parola 2 ottobre e la
data dell’anno non siano scritte con la grafia di suo padre, ma
con una grafia che mi sembra di dover conoscere. Eh via, que-

23
Nok, «probabilmente»: Krogstad ne infila tre di seguito. Questa volta è lui
che gioca come il gatto con il topo, e il gioco si realizza a livello di iterazione
dell’avverbio.
UNA CASA DI BAMBOLA 163

sto in fondo si spiega; suo padre può aver dimenticato di datare


la sua firma, e così qualcuno l’ha fatto a caso, qui, prima che si
sapesse ancora del suo decesso. Non c’è niente di male in que-
sto. È la firma del nome ciò che conta. E questa è autentica, si-
gnora Helmer? È proprio suo padre, che ha scritto personal-
mente il suo nome, qui?
NORA (dopo un breve silenzio, rovescia la testa indietro e lo guar-
da con insolenza)24 No, non lo è. Sono io, che ho scritto il nome
di papà.
KROGSTAD Ascolti, signora, – lei sa bene che questa è una con-
fessione pericolosa?
NORA Perché questo? Lei avrà presto il suo denaro.
KROGSTAD Posso farle una domanda, – perché non spedì il do-
cumento a suo padre?
NORA Era impossibile. Papà era proprio malato. Se avessi do-
mandato la sua firma, allora avrei dovuto anche dirgli a cosa
serviva il denaro. Ma io non potevo in fondo dirgli, così mala-
to com’era, che la vita di mio marito era in pericolo. Era im-
possibile.
KROGSTAD Allora sarebbe stato meglio, per lei, rinunciare al
viaggio all’estero.
NORA No, era impossibile. Quel viaggio doveva salvare la vita di
mio marito. Io non potevo rinunciarvi.
KROGSTAD Ma lei non ha pensato, che era un inganno contro di
me –?
NORA Io non potevo assolutamente aver riguardo di nulla. Io
non mi preoccupavo affatto di lei. Io non potevo soffrirla per

24
Kaster hovedet tilbage, «rovescia la testa indietro». Stesso verbo, prima,
quando Kristine le dà della «bambina», e lei protesta, kaster på nakken, «ro-
vescia la nuca». Ibsen sottolinea con lo stesso verbo le reazioni forti di Nora.
Ma perché Nora confessa? Fra la sua parola e quella di Krogstad (con i pre-
cedenti che ha) potrebbe spuntarla la rispettata signora borghese di un ri-
spettato direttore di banca. Continuo a pensare che Nora sceglie che Torvald
venga a sapere, afferrando l’accidente offerto dal caso per modificare par-
zialmente il suo rapporto con Torvald, senza per questo contraddire quanto
indicato alla n. 10. La rivelazione non umilierà l’orgoglio maschile di Torvald
perché sarà bilanciata dalla contemporanea richiesta di aiuto contro il catti-
vo. Il progetto di Nora è rinnovamento nella continuità. Nora persiste nel ruo-
lo della moglie-bambina (che in questo caso ricorre al marito-eroe che deve
liberarla dall’orco-Krogstad), ma la rivelazione del passato glorioso renderà
Nora, agli occhi di Torvald, un po’ meno bambolina del solito. Cfr. Alonge
1984a, pp. 267-270.
164 HENRIK IBSEN

tutte quelle gelide difficoltà che mi faceva, benché lei sapesse


in che pericolo fosse mio marito.
KROGSTAD Signora Helmer, lei non ha evidentemente una
qualche chiara nozione di cosa sia propriamente ciò di cui lei
si è resa colpevole. Ma io posso raccontarle che, questo, non è
né qualcosa di meglio né qualcosa di peggio di ciò che commi-
si io una volta, e che distrusse tutta la mia posizione fra i
concittadini.
NORA Lei? Vuole che m’immagini che lei ha intrapreso qualco-
sa di coraggioso per salvare la vita di sua moglie?
KROGSTAD Le leggi non chiedono le motivazioni.
NORA Allora devono essere delle leggi molto cattive.
KROGSTAD Cattive o no, – se io produco in tribunale questo do-
cumento, lei sarà condannata secondo le leggi.
NORA Non ci credo per niente. Una figlia non avrebbe il diritto
di risparmiare al proprio vecchio padre malato a morte preoc-
cupazioni e angosce? Non avrebbe il diritto una moglie di sal-
vare la vita del proprio marito? Io non conosco così precisa-
mente le leggi; ma sono certa che in esse è detto, da qualche
parte, che cose di questo genere sono permesse. E lei non è al
corrente di ciò, lei che è procuratore legale? Lei dev’essere un
cattivo giurista, signor Krogstad.
KROGSTAD Può ben essere. Ma gli affari, – gli affari del tipo che
noi due abbiamo tra di noi, – di questi lei crede, in qualche mo-
do, che io me ne intenda? Bene. Faccia ora ciò che le piace. Ma
io le dico questo: se sono cacciato via per la seconda volta, lei
mi farà compagnia.

(Saluta ed esce attraverso l’anticamera.)

NORA (un momento pensierosa; rovescia la nuca) Oh, cosa! –


Volermi fare paura! Così ingenua non lo sono. (Si mette a rac-
cogliere i vestiti dei bambini; presto smette.) Ma –? – – No, ma
questo è impossibile! Io l’ho fatto proprio per amore.
I BAMBINI (sulla porta di sinistra) Mamma, quell’uomo scono-
sciuto è uscito adesso dal portone.25
NORA Sì, sì, lo so. Ma non parlate a nessuno dell’uomo scono-
sciuto. Avete sentito? Nemmeno a papà!
I BAMBINI No, mamma; ma tu certo vuoi giocare di nuovo?

25
Nel teatro di Ibsen anche i bambini origliano e guardano dal buco della
serratura (o dalla finestra).
UNA CASA DI BAMBOLA 165

NORA No, no; ora no.


I BAMBINI Oh, ma mamma, lo avevi promesso.
NORA Sì, ma ora non posso. Entrate; ho tanto da fare. Entrate,
entrate, cari, dolci, bambini.

(Li costringe con circospezione dentro la stanza e chiude la porta


dietro di loro.)

NORA (si siede sul sofà, prende il ricamo e fa alcuni punti, ma si


arresta presto) No! (Getta il ricamo, si alza, va in anticamera e
grida.) Helene! Portami l’albero. (Va al tavolo di sinistra e apre
il cassetto del tavolo; si ferma di nuovo.) No, ma questo è del
tutto impossibile!
LA CAMERIERA (con l’albero di abete) Dove devo metterlo, si-
gnora?
NORA Là, in mezzo alla stanza.
LA CAMERIERA Devo andare a prendere qualcosa d’altro?
NORA No, grazie; ho io quello che mi serve.

(Avendo deposto l’albero, la domestica esce di nuovo.)

NORA (in procinto di decorare l’albero di Natale) Qui occorrono


delle candeline – e qui occorrono dei fiori. – Quel ripugnante
individuo! Sciocchezze, sciocchezze, sciocchezze! Non c’è nien-
te che non vada. L’albero di Natale risulterà delizioso. Io farò
tutto ciò di cui tu avrai voglia, Torvald; – potrò cantare per te,
danzare per te –26

(Helmer arriva da fuori con un pacco di documenti sotto il braccio.)

NORA Ah, – sei già tornato?


HELMER Sì. Qui è venuto qualcuno?
NORA Qui? No.
HELMER È strano. Ho visto Krogstad uscire dal portone.
NORA Sì? Oh, sì, è vero, Krogstad è stato qui un momento.
HELMER Nora, posso leggertelo in faccia, è stato qui a pregarti
di mettere una buona parola per lui.
NORA Sì.
HELMER E tu dovevi fare come se fosse di tua propria iniziati-

26
Si riconferma l’immagine della donna dell’harem (cfr. n. 10), ma qui emer-
ge un’altra abilità di Nora: quella del canto.
166 HENRIK IBSEN

va? Tu dovevi tacermi che lui era stato qui. Non ti ha pregato
anche di questo?
NORA Sì, Torvald; ma –
HELMER Nora, Nora, e tu hai potuto impegnarti per questo? In-
trattenere una conversazione con un individuo del genere, e
promettergli qualcosa! E per di più dirmi una menzogna!
NORA Una menzogna –?
HELMER Non mi hai detto, che qui non era venuto nessuno?
(Minacciandola con il dito.) Questo non lo deve fare mai più il
mio piccolo uccello canterino. Un uccello canterino deve avere
un becco pulito per cinguettare; mai note false. (La prende per
la vita.) Non è così che dev’essere? Sì, lo sapevo bene. (La la-
scia.) E adesso basta con questo. (Si siede davanti alla stufa.)
Ah, com’è caldo e accogliente qui.27 (Sfoglia un poco i suoi do-
cumenti.)
NORA (occupata all’albero di Natale, dopo una breve pausa) Tor-
vald!
HELMER Sì.
NORA Mi pregusto così immensamente il ballo in costume dagli
Stenborg, dopodomani.28
HELMER E io sono immensamente curioso di vedere con che co-
sa vorrai sorprendermi.
NORA Ah, che idea stupida.
HELMER Ebbene?
NORA Non riesco a trovare niente che vada bene; tutto quanto
così insulso, così banale.
HELMER La piccola Nora si è ridotta a confessare questo?
NORA (dietro la sua sedia, con le braccia sullo schienale della se-
dia) Sei molto occupato, Torvald?
HELMER Oh –
NORA Cosa sono quei documenti?
HELMER Problemi di banca.

27
Lunt og hyggeligt, letteralmente «riparato (o tiepido) e accogliente», ma in
italiano meglio «caldo», in senso letterale e metaforico. È una endiadi che ca-
ratterizza sempre il focolare dei bravi borghesi ibseniani.
28
Jeg glæder mig, «Mi pregusto»: formula con sole 3 ricorrenze nel testo, let-
teralmente «Io mi pregusto la gioia». Costrutto analogo in Torvald, prece-
dentemente, quando si pregusta i piaceri gastronomico-erotici della vigilia di
Natale (cfr. n. 5). Il maschio è soggetto di piacere; il piacere della donna è in-
vece di essere oggetto di piacere degli sguardi maschili, quando si esibirà du-
rante il ballo mascherato, nel fulgore della sua grazia femminile.
UNA CASA DI BAMBOLA 167

NORA Di già?
HELMER Mi sono fatto dare dalla direzione dimissionaria i pieni
poteri per intraprendere i cambiamenti necessari nel personale
e nel piano generale degli affari. Bisogna che utilizzi per questo
la settimana di Natale. Voglio avere tutto in ordine per il nuovo
anno.
NORA È per questo dunque che quel povero Krogstad –
HELMER Hm.
NORA (sempre appoggiandosi allo schienale della sedia, gli
scompiglia lentamente i capelli della nuca)29 Se tu non fossi sta-
to così occupato, io ti avrei pregato di un immenso grande ser-
vizio, Torvald.
HELMER Sentiamo. Di che si tratterebbe?
NORA Non c’è nessuno che abbia un gusto così fine come il
tuo. Ora vorrei proprio fare bella figura al ballo in costume.
Torvald, non potresti prenderti cura di me e decidere co-
sa devo essere, e come dev’essere sistemato il mio abbiglia-
mento?30
HELMER Aha, la piccola ostinata va in cerca di un salvatore?
NORA Sì, Torvald, io non posso arrivare da nessuna parte senza
il tuo aiuto.
HELMER Bene, bene; penserò al problema; troveremo senza
dubbio un ripiego.
NORA Oh, com’è gentile da parte tua. (Va di nuovo all’albero di

29
È sempre Torvald che va verso Nora (che si avvicina, le passa un braccio
intorno alla vita, ecc.), mentre i movimenti di lei sono di allontanamento da
lui (verso la stufa, verso il tavolo, ecc.). Normale, perché lui desidera lei, ma
lei non desidera lui, eroticamente parlando. Ma, allora, sono molto interes-
santi le poche eccezioni a questa regola generale, che evidenziano l’arte della
seduzione di Nora, ogni volta che lei ha bisogno di farsi perdonare qualcosa
o di ottenere qualcosa. Quando gli chiede soldi (quale suo personale regalo
di Natale) la vediamo palpare i bottoni della sua giacca, «senza guardarlo»:
straordinario ritratto di malizioso pudore. Nel nostro brano c’è invece tutto
un graduato processo di avvicinamento, che culmina nel gesto sottilmente
sensuale di scompigliargli lentamente i capelli.
30
Torvald deve «decidere», bestemme, non solo i particolari del costume, ma
anche propriamente il tipo di costume, cioè chi dovrà essere Nora, abituale
statua di carne nelle mani di un Torvald-Pigmalione, il quale apprezza che la
mogliettina-odalisca si travesta per lui. Con astuzia volpina, Nora utilizza il
verbo bestemme (2 sole ricorrenze nel testo), che Torvald ama molto, attra-
verso il quale esibisce il suo potere. Nel II atto lo userà quando Nora tornerà
alla carica per salvare il posto a Krogstad: «Mia cara Nora, io ho deciso che il
suo posto sia per la signora Linde».
168 HENRIK IBSEN

Natale; pausa.) Come stanno bene questi fiori rossi. – Ma dim-


mi, è proprio così grave ciò di cui quel Krogstad si è reso colpe-
vole?
HELMER Ha falsificato delle firme. Hai una qualche nozione di
cosa voglia dire questo?
NORA Non può averlo fatto per necessità?
HELMER Sì, oppure, come tanti, per sconsideratezza. Io non so-
no così senza cuore da condannare in maniera assoluta un uo-
mo a causa d’una azione isolata di questo tipo.
NORA No, certo che no, Torvald!
HELMER Taluni possono rialzarsi moralmente se confessano
apertamente la loro colpa e soffrono il loro castigo.
NORA Castigo –?
HELMER Ma Krogstad non ha seguito questa strada; si è aiutato
con stratagemmi e artifici; ed è questo che lo ha distrutto mo-
ralmente.
NORA Tu credi che sarebbe –?
HELMER Pensa semplicemente come un individuo del genere,
cosciente della propria colpa, debba mentire e fingere e camuf-
farsi dappertutto, debba andare con una maschera di fronte ai
propri intimi, persino di fronte alla propria moglie e ai propri
bambini. E questo con i bambini, che è precisamente la cosa più
terribile, Nora.
NORA Perché?
HELMER Perché una simile atmosfera di menzogna porta l’infe-
zione e la sostanza del morbo dentro l’intera vita della casa.
Ogni soffio che i bambini respirano in una casa del genere è sa-
turo di germi di qualche male.
NORA (più vicina dietro di lui) Ne sei certo?
HELMER Oh cara, ne ho fatta l’esperienza molto spesso, come
avvocato. Quasi tutti gli individui precocemente depravati han-
no avuto delle madri menzognere.
NORA Perché precisamente – delle madri?
HELMER Questo viene più frequentemente dalle madri; ma i
padri fanno effetto naturalmente nello stesso senso; ogni le-
gale lo sa molto bene. E comunque quel Krogstad, per anni
interi, là, nel suo focolare, ha continuato ad avvelenare i pro-
pri bambini con la menzogna e con la dissimulazione; è per
questo che lo chiamo moralmente finito. (Stende le mani ver-
so di lei.) Per questo la mia dolce piccola Nora deve pro-
mettermi che non perorerà la sua causa. La tua mano su que-
sto. Be’, be’, cosa c’è? Tendimi la mano. Ecco. È deciso, dun-
UNA CASA DI BAMBOLA 169

que. 31 Ti assicuro che sarebbe stato impossibile per me la-


vorare insieme a lui; sento letteralmente un malessere fisico
nella vicinanza con individui del genere.
NORA (ritira la mano e passa dall’altra parte dell’albero di Nata-
le) Com’è caldo qui. E io ho così tanto da fare.
HELMER (si alza e raccoglie i suoi documenti) Sì, devo anche da-
re un’occhiata un po’ a questa roba, prima di andare a tavola.
Al tuo abbigliamento, anche, devo pensare. E qualcosa in una
carta dorata da appendere all’albero di Natale, forse ce l’ho an-
che pronta. (Mette una mano sulla testa di lei.) Oh, tu, mio be-
nedetto piccolo uccello canterino.

(Egli entra nella sua stanza e chiude la porta dietro di sé.)

NORA (a voce bassa, dopo un silenzio) Oh, cosa! Non è così. È


impossibile. Dev’essere impossibile.
LA BAMBINAIA (sulla porta di sinistra) I piccoli domandano per
favore di poter entrare dalla mamma.
NORA No, no, no; non lasciarli entrare da me! Sta’ tu con loro,
Anne-Marie.
LA BAMBINAIA Sì, sì, signora. (Chiude la porta.)
NORA (pallida dal terrore) Corrompere i miei piccoli bambini –!
Avvelenare il focolare? (Breve pausa; solleva la nuca.) Questo
non è vero. Mai per l’eternità, questo non è vero.

31
Il «Be’, be’, cosa c’è?» ci fa capire che Nora non ha steso la mano per sigil-
lare la promessa di non perorare più la causa di Krogstad. Torvald è assai
sorpreso da questa insolita insubordinazione della sua moglie-bambola.
SECONDO ATTO

(Stesso salotto. In un angolo, vicino al pianoforte, sta ritto l’albero


di Natale, spoglio, spiumato e con i moccoli di candeline brucia-
te.32 Il mantello di Nora giace sul sofà.)

(Nora, sola nel salotto, si aggira all’intorno inquieta; alla fine si fer-
ma vicino al sofà e prende la sua cappa.)

NORA (lascia di nuovo la cappa) Ora arriva qualcuno! (Verso la


porta; origlia.) No, – non c’è nessuno. Naturalmente – qui non
arriva nessuno oggi, il primo giorno di Natale; –33 e nemmeno
domani. – Ma forse – (Apre la porta e guarda fuori.) No; niente
nella cassetta delle lettere; completamente vuota. (Percorre in
avanti la stanza.) Oh, stupidaggini! Lui naturalmente non lo
metterà in esecuzione. In fondo non può accadere nulla del ge-
nere. È impossibile. Io in fondo ho tre bambini piccoli.

(La bambinaia, con una grande scatola di cartone, arriva dalla


stanza di sinistra.)

LA BAMBINAIA Sì, alla fine ho trovato la scatola con i vestiti da


mascherata.34
32
Già collocato nel I atto «in mezzo alla stanza», l’albero di Natale è adesso
emarginato in un angolo, spoglio e spiumato. La festa è finita, perché la vera
festa è la Vigilia, la sera in cui si aprono i regali.
33
Secondo la terminologia norvegese, che prevede il primo, il secondo e il
terzo giorno di Natale: corrisponde con una piccola sfasatura a quella sorta
di triduo della Passione di Nora ricattata da Krogstad (Vigilia, Natale e S.
Stefano).
34
Maskeradeklærne, «vestiti da mascherata», è un plurale. La grande scatola
di cartone forse non contiene solo l’occorrente per danzare la tarantella, ma
più costumi. In coerenza con il gusto di Torvald di vedere la moglie travestir-
si (non sempre con lo stesso abito, ovviamente).
UNA CASA DI BAMBOLA 171

NORA Grazie; posala sul tavolo.


LA BAMBINAIA (esegue) Ma probabilmente sono molto male in
arnese.
NORA Oh, se potessi ridurli in centomila pezzi!
LA BAMBINAIA Ma no; si può aggiustare per bene; solo un po’ di
pazienza.
NORA Sì, andrò a trovare la signora Linde perché mi aiuti.
LA BAMBINAIA Di nuovo fuori, ora? Con questo brutto tempo?
La signora Nora si prenderà il raffreddore, – si ammalerà.
NORA Oh, questo non sarebbe il peggio. – Come stanno i bambini?
LA BAMBINAIA Quei poveri cucciolotti giocano con i regali di
Natale, ma –
NORA Chiedono spesso di me?
LA BAMBINAIA Sono così tanto abituati ad avere la mamma con
loro.
NORA Sì, ma, Anne-Marie, io d’ora in avanti posso non essere
più così tanto con loro come prima.
LA BAMBINAIA Eh via, i bambini piccoli si abituano a tutto.
NORA Lo credi? Tu credi che potrebbero dimenticare la loro
mamma, se lei andasse via del tutto?
LA BAMBINAIA Ma no; – via del tutto!
NORA Ascolta, dimmi, Anne-Marie, – così spesso ho pensato a
questo, – a come ha potuto reggere il tuo cuore nel sistemare la
tua bambina fuori, presso estranei?
LA BAMBINAIA Ma io ho dovuto farlo per forza, quando dovevo
essere la balia della piccola Nora.
NORA Sì, ma tu volevi questo?
LA BAMBINAIA Quando potevo avere una collocazione così
buona? Una povera ragazza, che si è cacciata nei guai, deve es-
serne contenta. Perché quel malvagio individuo non faceva
proprio niente per me.
NORA Ma tua figlia, allora, ti avrà dimenticata.
LA BAMBINAIA Oh no, non l’ha fatto davvero. Mi ha scritto, sia
quando andò al catechismo, sia quando si sposò.35
NORA (l’afferra per il collo) Tu, vecchia Anne-Marie, tu sei stata
una buona madre per me, quand’ero piccola.
LA BAMBINAIA La piccola Nora, poverina, non aveva proprio al-
tra madre che me.

35
Ibsen è anche questo, un impietoso notaio della situazione di classe nella
fase imperialistica dello sviluppo capitalistico: qui è una impassibile pennel-
lata sulla dura vita delle ragazze-madri del proletariato.
172 HENRIK IBSEN

NORA E se i piccoli non ne avessero altra, so bene che tu saresti –.


Sciocchezze, sciocchezze, sciocchezze. (Apre la scatola.) Entra
da loro. Ora devo –. Domani potrai vedere quanto sarò deli-
ziosa.
LA BAMBINAIA Sì, non ci sarà certamente nessuna in tutto il bal-
lo deliziosa come la signora Nora.

(Entra nella stanza di sinistra.)

NORA (incomincia a disfare la scatola ma presto getta tutto lonta-


no da sé) Oh, se osassi uscire. Se soltanto non arrivasse nessu-
no. Se soltanto, nel frattempo, non capitasse niente qui, in casa.
Sciocchezze assurde; non verrà nessuno. Soltanto non pensarci.
Dare una ripulita al manicotto. Dei guanti deliziosi, dei guanti
deliziosi. Non tenerne conto; non tenerne conto! Uno, due, tre,
quattro, cinque, sei – (Grida.) Ah, eccoli che arrivano –36 (Vuo-
le andare verso la porta, ma sta ferma, indecisa.)

(La signora Linde arriva dall’anticamera, dove si è sbarazzata del


mantello.)

NORA Oh, sei tu, Kristine. Non c’è proprio nessun altro là fuori?
– Com’è bello che tu sia venuta.
LA SIGNORA LINDE Ho saputo che tu eri venuta su a chiedere di
me.
NORA Sì, passavo precisamente lì davanti. C’è una cosa, se in-
somma tu potessi aiutarmi. Sediamoci qui, sul sofà. Guarda qui.
Domani sera ci sarà un ballo in costume, sopra, presso il conso-
le Stenborg, e ora Torvald vuole che io sia una pescivendola na-
poletana e che danzi la tarantella, perché l’ho imparata a Capri.
LA SIGNORA LINDE Guarda, guarda; darai un vero spettacolo?
NORA Sì, Torvald dice che dovrei farlo. Guarda, qui ho l’abbi-
gliamento; Torvald me lo fece fare laggiù; ma ora è tutto quanto
così strappato, e non so proprio –
LA SIGNORA LINDE Oh, faremo presto a metterlo in buono sta-
to; in fondo c’è solo la guarnizione che si è un po’ staccata qua
e là. Ago e filo? Bene, qui abbiamo proprio ciò che ci serve.
NORA Oh, com’è gentile da parte tua.

36
Chi arriva? Passaggio enigmatico. Nora ha un attacco di panico, scatenato
dal rumore reale che sente, di qualcuno che è entrato (ma si tratta di Kristi-
ne), e forse pensa che siano arrivati i poliziotti per arrestarla.
UNA CASA DI BAMBOLA 173

LA SIGNORA LINDE (cuce) Così dunque domani ti travestirai,


Nora? Sai cosa, – io verrò qui un momento a vederti abbigliata.
Ma ho completamente dimenticato di ringraziarti per la simpa-
tica serata di ieri.
NORA (si alza e cammina lungo la stanza) Oh, mi sembra che ie-
ri non sia stato così simpatico come è di solito. – Tu avresti do-
vuto venire in città un po’ prima, Kristine. – Sì, Torvald sa dav-
vero rendere l’ambiente familiare fine e delizioso.
LA SIGNORA LINDE Tu non sei da meno, penso; non per nulla sei
proprio la figlia di tuo padre. Ma dimmi, il dottor Rank è sem-
pre così depresso come ieri?
NORA No, ieri era davvero sorprendente. Ma lui del resto por-
ta in sé il germe di una malattia molto pericolosa. Ha una tisi
al midollo spinale,37 poverino. Ti dirò, suo padre era un indivi-
duo schifoso, che manteneva delle amanti, e cose del genere;
ed è per questo che il figlio è stato malaticcio sin dall’infanzia,
capisci.
LA SIGNORA LINDE (lascia cadere il lavoro di cucito) Ma carissi-
ma, buonissima Nora, come fai a sapere cose simili?
NORA (passeggiando) Uff, – quando si hanno tre bambini, si ri-
ceve talvolta la visita di – di signore che sono a metà esperte in
medicina; e queste raccontano ora una cosa ora un’altra.
LA SIGNORA LINDE (cuce di nuovo; breve silenzio) Il dottor
Rank viene ogni giorno in questa casa?
NORA Tutti i santi giorni. Lui è il miglior amico di gioventù di
Torvald, ed è anche mio buon amico. Il dottor Rank è come se
appartenesse alla casa.
LA SIGNORA LINDE Ma dimmi: quell’uomo è proprio sincero?
Voglio dire, lui non ha tendenza a far volentieri complimenti al-
la gente?
NORA No, al contrario. Come ti viene in mente questo?
LA SIGNORA LINDE Quando ieri mi hai presentato a lui, assicu-
rava che aveva sentito spesso il mio nome in questa casa; ma
dopo ho notato che tuo marito non aveva proprio nessuna idea
di chi fossi. Dunque come poteva il dottor Rank –?
NORA Sì, è assolutamente giusto, Kristine. Torvald mi vuole un

37
Nora impiega una espressione medicalmente impropria. La localizzazione
della tubercolosi (di cui la parola «tisi» è sinonimo) è propria della colonna
vertebrale, e non del midollo spinale. Invece la localizzazione al midollo spi-
nale è caratteristica della sifilide terziaria (detta in tal caso tabe dorsale).
(Sandra Colella)
174 HENRIK IBSEN

bene indescrivibile; e per questo vuole possedermi lui solo as-


solutamente, come dice. Nei primi tempi era quasi geloso solo
che nominassi qualcuna delle persone che mi erano state care lì
a casa. Così naturalmente io lasciavo stare. Ma con il dottor
Rank io parlo spesso di cose del genere; perché lui ha tendenza
ad ascoltare volentieri queste cose, sai.38
LA SIGNORA LINDE Ascolta, Nora; in molte cose tu sei ancora
come una bambina; io sono in fondo molto più vecchia di te, e
ho un po’ più di esperienza. Voglio dirti qualcosa: dovresti ve-
dere di uscir fuori da questa faccenda qui con il dottor Rank.
NORA Da che cosa dovrei vedere di uscir fuori?
LA SIGNORA LINDE Sia da questa faccenda sia da quell’altra, mi
sembra. Ieri chiacchieravi di qualcosa, circa un ricco ammirato-
re che potrebbe procurarti il denaro –
NORA Sì, uno che non esiste – sfortunatamente. Ma con questo?
LA SIGNORA LINDE Il dottor Rank ha mezzi?
NORA Sì, ne ha.
LA SIGNORA LINDE E nessuno di cui prendersi cura?
NORA No, nessuno; ma –?
LA SIGNORA LINDE E lui viene ogni giorno in questa casa?
NORA Sì, l’hai ben sentito.
LA SIGNORA LINDE Ma come può quell’uomo fine essere così
importuno?
NORA Non ti capisco affatto.
LA SIGNORA LINDE Non dissimulare adesso, Nora. Tu credi che
non capisca da chi hai preso in prestito i milleduecento talleri?
NORA Sei fuori di testa? Puoi pensare qualcosa di simile! Un
amico nostro, che viene qui tutti i giorni! Quale situazione ter-
rificante, imbarazzante, sarebbe?
LA SIGNORA LINDE Dunque, proprio non è lui?
NORA No, te lo assicuro io. Non mi è mai venuto in mente un
momento –. Allora non aveva nemmeno del denaro da dare in
prestito; ha ereditato soltanto più tardi.

38
Han vil gerne høre, «lui ha tendenza ad ascoltare volentieri», è la risposta
sottilmente polemica di Nora a Kristine, che aveva usato poche battute pri-
ma la stessa espressione, vil han ikke gerne sige behageligheder, letteralmente
«lui non ha tendenza a dire volentieri complimenti», cioè a «fare complimen-
ti». Kristine insinua forse che Rank sia un seduttore, ma Nora – contrappo-
nendo «ascoltare» a «dire» – fa subito capire che per lei Rank è importante,
semmai, nella misura in cui, a differenza del marito, sa ascoltarla (ma vedre-
mo meglio più avanti).
UNA CASA DI BAMBOLA 175

LA SIGNORA LINDE Bene, credo che è stata una fortuna per te,
mia cara Nora.
NORA No, non mi sarebbe mai potuto venire in mente di prega-
re il dottor Rank –. Del resto sono assolutamente certa che, ca-
so mai glielo domandassi –
LA SIGNORA LINDE Ma naturalmente non lo farai.39
NORA No, naturalmente. Non mi sembra di poter pensare che
questo debba essere necessario. Ma sono assolutamente sicura
che, caso mai parlassi al dottor Rank –
LA SIGNORA LINDE Dietro le spalle di tuo marito?
NORA Io devo uscire da quell’altra faccenda là; anche quella è
stata fatta dietro le sue spalle. Io devo uscire da questa faccen-
da qui.
LA SIGNORA LINDE Sì, sì, è anche quello che dicevo io ieri, ma –
NORA (va su e giù) Un uomo, in cose di questo genere, può sbri-
garsela molto meglio di una femmina –
LA SIGNORA LINDE Il proprio uomo, sì.40
NORA Fandonie. (Si ferma.) Quando uno paga tutto ciò che do-
veva, allora si recupera la ricevuta debitoria?
LA SIGNORA LINDE Sì, s’intende.
NORA E si può ridurlo in centomila pezzi e bruciarlo, – quel di-
sgustoso sudicio documento!
LA SIGNORA LINDE (la guarda fissa, depone il lavoro di cucito e
si alza lentamente) Nora, tu mi nascondi qualcosa.
NORA Tu puoi leggermi in faccia questo?
LA SIGNORA LINDE Ti è capitato qualcosa dopo ieri mattina.
Nora, cosa c’è?
NORA (andando verso di lei) Kristine! (Origlia.) Zitta! Torvald è
arrivato ora a casa. Guarda qua; va di là dai bambini nel frat-
tempo. Torvald non sopporta di vedere lavori di sartoria. La-
sciati aiutare da Anne-Marie.
LA SIGNORA LINDE (raccoglie una parte delle robe) Sì, sì, ma io
non andrò via di qui prima di aver parlato con te sinceramente.

39
Kristine pensa alla sua storia personale, a lei che si è venduta a un uomo
che non amava, sposandolo, per risolvere dei problemi materiali. Ibsen – in
Kristine – non ha costruito una semplice spalla di Nora, ma un personaggio
autonomo, che, anzi, nel III atto entrerà in conflitto con Nora.
40
En mand, «un uomo» dice Nora, e Kristine replica ens egen mand, letteral-
mente «il suo proprio uomo», ma mand vale sia «uomo» che «marito». Kri-
stine vorrebbe che Nora mettesse di mezzo il proprio marito, non un generi-
co «uomo», cioè Rank.
176 HENRIK IBSEN

(Lei entra a sinistra; nello stesso istante arriva Helmer dall’antica-


mera.)

NORA (va incontro a lui) Oh, come ti ho aspettato, caro Torvald.


HELMER C’era la sarta –?
NORA No, era Kristine; mi aiuta lei a mettere in ordine il mio
abbigliamento. Puoi immaginare che riuscirò a fare bella fi-
gura.
HELMER Sì, non è stata da parte mia una trovata assolutamente
felice?
NORA Splendida! Ma non sono gentile anch’io ad essere stata
compiacente con te?
HELMER (la prende sotto il mento) Gentile – perché sei stata
compiacente con tuo marito? Eh, eh, tu, piccola pazzerella, so
senz’altro che non è questo che volevi dire.41 Ma non voglio di-
sturbarti; dovrai fare delle prove, credo.
NORA E tu dovrai lavorare?
HELMER Sì; (mostra un pacco di documenti) – Guarda qua. So-
no già stato alla banca –

(Vuole entrare nella sua stanza.)

NORA Torvald.
HELMER (si ferma) Sì.
NORA Se ora il tuo piccolo scoiattolo ti pregasse molto ardente-
mente, gentilmente, di una cosa –?
HELMER Che cosa, dunque?
NORA Allora la faresti?
HELMER Prima naturalmente devo sapere che cos’è.
NORA Lo scoiattolo correrebbe da ogni parte e farebbe buf-
fonerie, se tu volessi essere gentile e compiacente.
HELMER Parla allora.
NORA L’allodola cinguetterebbe per tutte le stanze, in tutte le
tonalità –
HELMER Oh, in fondo questo l’allodola lo fa lo stesso.

41
L’apparenza bonaria di Torvald nasconde un fondo brutale, da maschio pa-
drone. Con odiosa condiscendenza afferra Nora per il mento, ricordandole
che compiacere al marito non è un merito bensì un dovere. Vedremo nel III
atto come Torvald sia molto puntiglioso a rivendicare i suoi diritti maritali.
Cfr. n. 78.
UNA CASA DI BAMBOLA 177

NORA Giocherei alla ragazza-elfo e danzerei per te al chiaro di


luna, Torvald.42
HELMER Nora, – non sarà comunque ciò che hai insinuato que-
sta mattina?43
NORA (più vicina) Sì, Torvald, ti prego, ti supplico!
HELMER E hai davvero il coraggio di ritornare ancora su questo
problema?
NORA Sì, sì, tu devi essere compiacente con me; tu devi consenti-
re che Krogstad conservi il suo posto in banca.
HELMER Mia cara Nora, io ho deciso che il suo posto sia per la
signora Linde.
NORA Sì, è immensamente gentile da parte tua; ma in fondo
puoi semplicemente licenziare un altro impiegato dell’ufficio al
posto di Krogstad.
HELMER Questa nondimeno è un’incredibile ostinazione! Per-
ché tu sei andata a fare la promessa sconsiderata di parlare in
suo favore, così io dovrei –!
NORA Non è per questo, Torvald. È nel tuo interesse. Quell’indi-
viduo scrive sui più brutti giornali; lo hai detto tu stesso. Così
può farti un male indicibilmente grande. Io ho una paura mor-
tale di lui –
HELMER Aha, capisco; sono i vecchi ricordi che ti spaventano.
NORA Cosa vuoi dire con questo?
HELMER Tu pensi naturalmente a tuo padre.
NORA Sì; sì, certo. Ricordati soltanto di come gente malevola
scrisse sui giornali di papà e lo calunniarono in modo orrendo.
Credo che l’avrebbero fatto destituire se il Ministero non aves-
se inviato te, là, a fare l’inchiesta, e se tu non fossi stato così be-
nevolo verso di lui e così pronto ad aiutarlo.
HELMER Mia piccola Nora, c’è una considerevole differenza fra
tuo padre e me. Tuo padre non era un funzionario inattaccabile.
Ma io lo sono; e spero di continuare ad esserlo fino a che sarò
nella mia posizione.
42
Nei magnifici 12 mancano gli elfi, le donne-elfo e le ragazze-elfo, con l’ec-
cezione di questa alfepige, «ragazza-elfo», a conferma che Nora respira vera-
mente in uno spazio mentale fatto di tremori fiabeschi e di climi onirici. Ra-
rissimo anche måneskin, «chiaro di luna», fermo restando che la danza al
chiaro di luna fa parte della consueta strategia seduttiva di Nora.
43
Il II atto (che finisce alle ore diciassette, come si vedrà) si svolge dunque
nel pomeriggio del giorno di Natale. Nella «mattina» dello stesso giorno No-
ra aveva già perorato la causa di Krogstad, e la vigilia di Natale (I atto) idem.
Nora è martellante.
178 HENRIK IBSEN

NORA Oh, nessuno sa che cosa la gente malvagia possa inven-


tarsi. Ora potremmo stare così bene, così tranquilli e felici qui,
nel nostro pacifico e sereno focolare, – tu e io e i bambini, Tor-
vald! Per questo io ti prego così ardentemente –
HELMER E proprio intercedendo per lui tu mi rendi impossibile
di conservarlo al suo posto. È già noto alla banca che voglio li-
cenziare Krogstad. Se ora si spargesse la voce che il nuovo di-
rettore della banca ha cambiato parere a causa di sua moglie –
NORA Sì, e dunque –?
HELMER No, naturalmente; se soltanto la piccola ostinata potes-
se realizzare la sua volontà –. Io dovrei andare a rendermi ridi-
colo davanti a tutto il personale, – portare la gente a pensare
che sono dipendente da ogni genere di influenze estranee? Sì,
puoi credere che arriverei presto a risentirne le conseguenze! E
inoltre, – c’è una circostanza che rende Krogstad del tutto im-
possibile in banca, fino a che io sarò direttore.
NORA Che cos’è?
HELMER Il suo vizio morale, all’occorrenza, avrei potuto forse
far finta di non vederlo –
NORA Sì, non è vero, Torvald?
HELMER E di lui ho sentito dire che dovrebbe essere anche as-
sai efficiente. Ma è un mio conoscente di gioventù. Una di quel-
le conoscenze affrettate per le quali tante volte, più tardi, nella
vita, ci si sente a disagio. Sì, io posso proprio parlarti chiaro: noi
ci diamo del tu. E quell’individuo privo di tatto non lo nascon-
de per niente quando altri sono presenti. Al contrario, – lui cre-
de che questo lo autorizzi a un tono familiare verso di me; e co-
sì, a ogni momento, gioca il suo: tu, tu, Helmer. Ti assicuro che
questo fa su di me un effetto sommamente imbarazzante. Lui
renderebbe insopportabile la mia posizione nella banca.
NORA Torvald, tutte queste cose non le dici sul serio.
HELMER Ah sì? Perché no?
NORA No, perché queste in fondo sono soltanto meschini ri-
guardi.
HELMER Cosa dici? Meschino? Ti sembra che io sia meschino!
NORA No, al contrario, caro Torvald; e precisamente per questo –
HELMER Fa lo stesso; tu chiami le mie motivazioni meschine; al-
lora devo esserlo anch’io. Meschino! Sì, così! – Ebbene, questa
faccenda certamente deve finire. (Va alla porta dell’anticamera
e grida.) Helene!
NORA Cosa vuoi?
HELMER (cerca in mezzo ai suoi documenti) Una decisione.
UNA CASA DI BAMBOLA 179

(Entra la cameriera.)

HELMER Guardi qua; prenda questa lettera; con questa scenda


subito giù. Trovi un fattorino e lasci a lui provvedere. Ma pre-
sto. L’indirizzo è sulla busta. Guardi, qui c’è del denaro.
LA CAMERIERA Bene.

(Lei se ne va con la lettera.)

HELMER (raccoglie i documenti) Ecco, la mia piccola signora te-


starda.
NORA (senza fiato) Torvald, – cos’era quella lettera?
HELMER Il licenziamento di Krogstad.
NORA Richiamala, Torvald! C’è ancora tempo. Oh, Torvald, ri-
chiamala! Fa’ questo per me; – per te stesso; per i bambini!
Ascolta, Torvald; fallo! Non sai che cosa questo può rovesciare
su tutti noi.
HELMER Troppo tardi.
NORA Sì, troppo tardi.
HELMER Cara Nora, ti perdono questa paura che c’è in te, ben-
ché, in fin dei conti, sia un’offesa verso di me. Sì, lo è! Non è
forse un’offesa credere che io avrei paura della vendetta di un
miserabile avvocatuccio? Ma ti perdono lo stesso, perché è una
bella testimonianza del tuo grande amore per me. (La prende
fra le sue braccia.) Così dev’essere, mia amata Nora. Lasciamo
andare come vorrà. In una situazione veramente critica, credi
pure, io ho sia coraggio che forza. Vedrai che io sono uomo da
prendere tutto su di me.
NORA (terrorizzata) Che cosa vuoi dire con questo?
HELMER Tutto, dico –
NORA (calma) Mai per l’eternità tu farai questo.
HELMER Bene; allora divideremo, Nora, – come marito e mo-
glie. È così che dev’essere. (L’accarezza.) Ora sei contenta? Su,
su, su; basta questi occhi da colomba spaventata. Tutte quelle
cose, in fondo, non sono altro che fantasie assolutamente vuote.
– Ora dovresti danzare la tarantella ed esercitarti con il tambu-
rello. Io mi sistemerò nella parte più interna dello studio44 e

44
Inde kontor, letteralmente «l’ufficio interno», probabilmente un angolo in-
terno allo stesso ufficio, una stanzina dentro la stanza (si veda la piantina di
scena), sicché Torvald, chiudendosi due porte alle spalle (quella che dal sa-
lotto conduce nello studio; e quella – chiamata mellemdøren, «porta in mez-
180 HENRIK IBSEN

chiuderò la porta di mezzo, così non sentirò nulla; tu puoi fare


tutto il chiasso che vuoi. (Sulla porta si volta.) E quando arriva
Rank, digli dove mi può trovare.

(Lui le fa un cenno con la testa, entra con i suoi documenti nella


sua stanza e chiude dietro di sé.)

NORA (smarrita dalla paura, sta come inchiodata, sussurra) Lui


sarebbe capace di farlo. Lui lo farà. Lo farà, a dispetto di tutto
al mondo. – No, mai per l’eternità questo! Piuttosto, qualunque
altra cosa! La salvezza –! Una via d’uscita – (Suonano nell’anti-
camera.) Il dottor Rank –! Piuttosto, qualunque altra cosa!
Piuttosto, tutto ciò che dev’essere!

(Si passa la mano sul volto, si scuote e va ad aprire la porta del-


l’anticamera. Il dottor Rank sta là fuori e appende il suo cappotto
di pelliccia. Durante ciò che segue incomincia a fare notte.)45

NORA Buon giorno, dottor Rank. L’ho riconosciuta dal modo di


suonare. Ma ora lei non può entrare da Torvald; perché credo
che abbia da fare.
RANK E lei?
NORA (mentre lui entra nel salotto e lei chiude la porta dietro di
lui)46 Oh, lo sa bene, – per lei io ho sempre un momento dispo-
nibile.
RANK Grazie per questo. Ne farò uso più a lungo che potrò.
NORA Cosa vuol dire con questo? Più a lungo che potrà?
RANK Sì. La spaventa questo?
NORA Eh via, è un’espressione così singolare. Deve succedere
qualcosa?
RANK Succederà ciò cui sono preparato da molto tempo. Ma ve-
ramente non credevo che dovesse arrivare così presto.
NORA (cerca di prenderlo per il braccio) Cos’è che è venuto a
sapere? Dottor Rank, me lo deve dire!

zo» – che dallo studio conduce nell’ufficetto interno), non sentirà nulla del
rumore che farà Nora. La ragione di questa insolita dislocazione emergerà
più avanti (cfr. n. 55).
45
La grande scena di seduzione che qui comincia, fra Nora e Rank, si svolge
opportunamente in una luce decrescente.
46
Il marito aveva detto di mandargli subito Rank nello studio, ma Nora se ne
guarda bene. E chiude la porta dietro di lui a evitare origliamenti dei domestici.
UNA CASA DI BAMBOLA 181

RANK (si siede vicino alla stufa) Le mie forze precipitano. Non
c’è niente da fare.
NORA (respira sollevata) Si tratta di lei –?
RANK Di chi altrimenti? Non può servire mentire a sé stessi. So-
no il più miserabile di tutti i miei pazienti, signora Helmer. In
questi giorni ho fatto una resa dei conti generale del mio stato
interno. Bancarotta. Entro un mese mi troverò forse a marcire
al cimitero.
NORA Oh, puah, com’è brutto ciò che dice.
RANK La cosa in sé, anche, è maledettamente brutta. Ma il peg-
gio sono le molte altre brutture che la precederanno. Mi rima-
ne ora giusto un unico esame; quando sarà pronto, allora saprò
all’incirca, in che momento incomincerà il disfacimento. C’è
una cosa che voglio dirle. Helmer, con il suo temperamento fi-
ne, ha una così spiccata repulsione per tutto ciò che è laido. Non
voglio averlo nella mia stanza di malato –
NORA Oh, ma, dottor Rank –
RANK Non voglio averlo lì. In nessuna maniera. Sprangherò la
mia porta per lui. – Appena avrò acquisito la certezza piena del
peggio, le invierò il mio biglietto da visita con una croce nera
sopra, e allora lei saprà che l’abominio della distruzione è in-
cominciato.
NORA No, oggi è completamente assurdo. E io che così vo-
lentieri l’avrei voluta di buona luna.
RANK Con la morte tra le mani? – Ed espiare in questo modo la
colpa di un altro. C’è giustizia in questo? E in ogni singola fa-
miglia regna, in una maniera o nell’altra, un simile inesorabile
contrappasso –
NORA (si tura le orecchie) Fandonie! Allegri, allegri!
RANK Sì, per l’anima mia, non c’è altro da fare che riderne, di
tutta questa cosa. La mia povera, incolpevole, spina dorsale de-
ve soffrire per gli allegri giorni da tenente di mio padre.
NORA (vicino al tavolo a sinistra) Era uno che si abbandonava
ad asparagi e a pasticci di fegato d’oca. Non era così?
RANK Sì; e ai tartufi.
NORA Sì, tartufi, sì. E poi alle ostriche, credo?
RANK Sì, ostriche, ostriche, s’intende.
NORA E poi a tutto quel porto e champagne. È triste che tutte
quelle cose gustose debbano colpire le ossa.
RANK Specialmente che debbano colpire delle ossa infelici che
non ne hanno ricevuto il minimo vantaggio.
NORA Ah sì, questa è la cosa più triste.
182 HENRIK IBSEN

RANK (la guarda scrutandola) Hm –


NORA (poco dopo) Perché ha sorriso?
RANK No, era lei, che ha riso.
NORA No, era lei che ha sorriso, dottor Rank!
RANK (si alza) Lei è più birichina di quanto avessi pensato.47
NORA Sono così vogliosa di fare delle follie, oggi.
RANK Sembra.
NORA (con entrambe le mani sulle sue spalle) Caro, caro dottor
Rank, lei non deve morire a Torvald e a me.
RANK Oh, lei si rimetterà certo facilmente di questa perdita. Chi
se ne va, è presto dimenticato.
NORA (lo guarda con paura) Lei lo crede?48
RANK Si stabiliscono nuove relazioni, e così –
NORA Chi, stabiliscono nuove relazioni?
RANK Lo farete, sia lei sia Torvald, quando io sarò partito. Lei
stessa è già sulla buona strada, mi sembra. Cosa c’entrava quel-
la signora Linde, qui, ieri sera?
NORA Aha, – lei non sarà geloso della povera Kristine?
RANK Sì, lo sono. Diventerà il mio successore, in questa casa.
Quando io sarò finito, sarà forse quella femmina –49
NORA Zitto, non parli così a voce alta; lei è laggiù.
RANK Anche oggi? Vede bene.
NORA Soltanto per cucire il mio abbigliamento. Signore Iddio,
com’è assurdo lei. (Si siede sul sofà.) Sia gentile ora, dottor
Rank; domani potrà vedere come sarò bella a danzare; e allora
immaginerà che lo faccio unicamente per lei, – sì, e natural-

47
Solita estrema finezza di Ibsen, che distingue fra «sorriso» e «riso», fra
smile e le: per il linguaggio di una donna di classe solo la levità di un sorri-
so, per un uomo anche la misura più fragorosa del riso. Ma perché Nora
sorride e poi nega? Di cosa ha sorriso? Del paradosso che le cose buone
rovinano la spina dorsale, e soprattutto quella di un innocente, che non ha
goduto della vita. Forse c’è anche la consapevolezza dell’amore segreto
(questo pure insoddisfatto) che Rank nutre per Nora. Sorriso di tristezza
ma anche ambiguo, come se Nora volesse lusingare il maschio infelice che
ha di fronte a sé.
48
Nora lo guarda «con paura», ma in realtà pensa a sé, e non già a Rank. Ha
in mente di suicidarsi, ma non vorrebbe essere dimenticata. C’è un fondo
egoistico molto forte in Nora, che dialoga con un uomo sull’orlo dell’abisso,
ma pensa essenzialmente a sé.
49
Ancora fruentimmer (cfr. I sostegni della società, n. 23), solo 2 ricorrenze
nel presente testo, e questa è la seconda. Che il termine abbia un senso un
po’ peggiorativo è confermato dalla reazione di Nora, che zittisce Rank.
UNA CASA DI BAMBOLA 183

mente per Torvald; – s’intende. (Prende dalla scatola diverse ro-


be.) Dottor Rank, si sieda qui, così le mostrerò qualcosa.
RANK (si siede) Cos’è?
NORA Guardi qua. Guardi!
RANK Calze di seta.
NORA Color carne. Queste, non sono deliziose? Sì, ora qui è così
buio; ma domani –. No, no, no; lei deve vedere soltanto la pian-
ta del piede. Oh, sì, se vuole, lei può certo vedere anche la parte
superiore.
RANK Hm –
NORA Perché ha l’aria così critica? Crede forse che non calzino
bene?
RANK Per me è impossibile avere una qualche fondata opinione
su questo punto.
NORA (lo guarda un momento) Puah, vergogna a lei. (Lo colpi-
sce leggermente sull’orecchio con le calze.) Ecco cosa si merita.
(Le impacchetta di nuovo.)
RANK E quali sono le altre magnificenze che dovrei vedere?
NORA Lei non dovrà vedere neanche un pochino di più; perché
lei è cattivo.50 (Ella canticchia un poco e cerca tra le robe.)
RANK (dopo un breve silenzio) Quando sto qua, insieme a lei, in
maniera così assolutamente confidenziale, non capisco – no,
non concepisco – che cosa sarebbe stato di me, se non fossi mai
venuto in questa casa.
NORA (sorride) Sì, credo davvero che, in fondo, si senta assolu-
tamente bene accolto da noi.
50
Scena di seduzione audacissima. Abbiamo detto dei costanti movimenti di
allontanamento di Nora dal marito (cfr. n. 29). Tutto l’opposto con Rank. È
lei che lo cerca, che lo tocca a più riprese, che lo invita a sedersi sul divano ac-
canto a lei. Poi la prima provocazione: di immaginare che lei danzi unicamen-
te per lui, ma anche per il marito (e l’aggiunta, dopo la pausa di sospensione,
è tanto più provocante). E quindi lo srotolamento delle calze di seta «color
carne», che svela gradatamente con infinita malizia (prima solo la pianta del
piede, poi – visto che si tratta di lui – anche «la parte superiore»). Il tutto in
una luce di tramonto che tende rapidamente all’oscurità, e che lei stessa sot-
tolinea con intenzione («Sì, ora qui è così buio; ma domani –»). Si noti che le
calze non sono nere o rosse, bensì «color carne», perché rimandano alle gam-
be reali di Nora, ne sono un simulacro, un feticcio sostitutivo. Ed è questo
che spiega la battuta di Rank, il quale non può dire se le «calzino bene», per-
ché non ha mai avuto il piacere di contemplare le gambe di Nora. Dichiara-
zione quasi spudorata per la moralità ottocentesca, che fonda la reazione di
Nora, peraltro ancora intrisa di volontà seduttiva (lo frusta infatti sull’orec-
chio con le calze stesse).
184 HENRIK IBSEN

RANK (a voce più bassa, guardando davanti a sé) E dover lascia-


re tutto quanto –
NORA Fandonie; lei non lo lascerà.
RANK (come prima) – e non poter lasciare dietro di sé neanche
un povero segno di ringraziamento; a mala pena, probabilmen-
te, un rimpianto fuggitivo, – niente altro che uno spazio libero
che può essere riempito dal primo venuto.
NORA E se io ora la pregassi di –? No –
RANK Di che cosa?
NORA Di una grande prova della sua amicizia –
RANK Sì, sì?
NORA No, voglio dire, – di un immenso grande servizio –
RANK Vorrebbe proprio, una volta tanto, farmi così felice?
NORA Oh, in fondo lei non sa proprio di che si tratti.
RANK Orbene, lo dica allora.
NORA No, ma non posso, dottor Rank; è qualcosa di così as-
surdamente grande, – al tempo stesso un consiglio e un aiuto e
un servizio –
RANK Tanto meglio. Mi sfugge ciò che lei può voler dire. Ma in-
tanto parli. Non ho forse la sua confidenza?
NORA Sì, ce l’ha come nessun altro. Lei è il mio più fedele e mi-
gliore amico, lo so bene. Anche per questo voglio dirglielo.
Dunque, dottor Rank; c’è qualcosa che mi deve aiutare a impe-
dire. Lei sa, con quanta ardente, con quanta indescrivibile for-
za, Torvald mi ami;51 mai un momento egli potrebbe esitare a
dare la sua vita per me.
RANK (piegato verso di lei) Nora, – lei crede allora che lui sia
l’unico –?
NORA (con una leggera scossa) Che –?
RANK Che gioiosamente darebbe la sua vita per lei.
NORA (tristemente) Sì, già.
RANK Avevo giurato a me stesso che lei doveva sapere questo,
prima che io me ne andassi. Una migliore occasione non avrei
mai potuto trovarla. – Sì, Nora, ora lo sa. E ora sa anche che con
me può confidarsi come con nessun altro.

51
Elske mig, «mi ami». Il verbo elske non è raro in Ibsen, 214 frequenze, ma
è meno della metà della più tenue espressione holde af ham, «tenere a qual-
cuno», «voler bene». Qui è la prima volta che Nora usa questo verbo impe-
gnativo, ma per dichiarare che Torvald ama Nora, e non già che Nora ama
Torvald.
UNA CASA DI BAMBOLA 185

NORA (si alza; normale e tranquilla) Mi lasci passare.52


RANK (fa spazio per lei, ma rimane seduto) Nora –
NORA (sulla porta verso l’anticamera) Helene, porta dentro la
lampada. – (Va verso la stufa.) Ah, caro dottor Rank, questo è
stato proprio brutto da parte sua.
RANK (si alza) Che io l’abbia amata pienamente, così ardente-
mente, come nessun altro? È questo, brutto?
NORA No, ma che lei sia venuto a dirmelo. Non era affatto ne-
cessario –
RANK Che cosa vuol dire? Lei sapeva allora –?

(La cameriera arriva con la lampada, la posa sul tavolo ed esce di


nuovo.)

RANK Nora – signora Helmer –, le chiedo, sapeva qualcosa?


NORA Oh, cosa so io, di cosa sapevo oppure non sapevo? Non
posso proprio dirglielo –. Che lei abbia potuto essere così ma-
laccorto, dottor Rank! Tutto andava così bene.
RANK Eh via, lei ora, in ogni caso, ha la certezza che sono a sua
disposizione anima e corpo. E voglia dunque finire il discorso.
NORA (lo guarda) Dopo questo?
RANK La prego, mi faccia sapere di che si tratta.

52
Era stata Nora a chiedere a Rank di sedersi sul sofà accanto a lei, ed è lei a
rompere una vicinanza diventata troppo pericolosa. Si comporta come fa so-
litamente con Torvald, mette della distanza, e chiede inoltre alla cameriera di
portare la lampada, svelando così di conoscere bene il valore erotico della
penombra (e più avanti domanderà scopertamente a Rank se non si vergo-
gna, «ora che la lampada è arrivata»). Rank oppone però una sottile resisten-
za, la fa passare ma resta seduto. Spera che la partita non sia finita, e che lei
torni a sedersi accanto a lui. Rimane da capire il perché di questa seduzione
interrotta. Certo non vuole soldi da Rank, anche perché Krogstad non punta
al denaro. Forse intende rivelargli il suo segreto, per chiedergli consiglio (a
Kristine aveva detto che in queste cose un uomo «può sbrigarsela molto me-
glio di una femmina»), forse per averlo testimone se la tentazione del suici-
dio andrà avanti. In ogni caso si interrompe quando Rank si dichiara inna-
morato. Naturalmente Nora ha sempre saputo dell’amore di Rank, ma è im-
barazzata a ricorrere a Rank nel momento in cui lui dichiara esplicitamente
di avere delle aspettative nei suoi confronti. Nora appartiene alla borghesia
seria che è di Ibsen, che non è quella frivola del teatro francese ottocentesco
e dei suoi imitatori: l’adulterio è una rêverie, al massimo una tentazione, ma
non si passa mai all’atto. La seduzione è solo un gioco, ma delicato, senza ci-
nismo e senza brutalità.
186 HENRIK IBSEN

NORA Niente può più sapere, lei, ora.


RANK Sì, sì. Lei non può punirmi così. Mi permetta di fare per
lei ciò che un uomo può fare.
NORA Ora, lei, non può fare più niente per me –.53 Del resto non
ho bisogno certo di nessun aiuto. Vedrà, erano soltanto fantasie
tutte quelle cose. Sì, certo, è così. Naturalmente! (Si siede nella
poltrona a dondolo, lo guarda, sorride.) Sì, lei è veramente un
gentiluomo, dottor Rank. Non le sembra di vergognarsi, ora che
la lampada è arrivata?
RANK No; per dir la verità, no. Ma forse devo andarmene – per
sempre?
NORA No, veramente non lo faccia. Naturalmente verrà qui come
prima. In fondo sa bene che Torvald non può fare a meno di lei.
RANK Sì, ma lei?
NORA Oh, mi sembra che qui l’atmosfera diventi sempre enor-
memente piacevole quando arriva lei.
RANK È precisamente questo che mi ha attirato su una falsa pi-
sta. Lei è per me un enigma. Molte volte mi è parso che volesse
quasi altrettanto di buon grado stare insieme con me come con
Helmer.
NORA Sì, vede, in fondo ci sono alcune persone alle quali si vuo-
le davvero bene, e altre persone con le quali quasi si preferisce
stare insieme.
RANK Oh sì, c’è del vero in questo.
NORA Quand’ero sotto il tetto paterno, naturalmente volevo
davvero bene a papà. Ma trovavo fosse sempre così immensa-
mente divertente, quando potevo infilarmi di nascosto nelle ca-
mere delle domestiche; perché loro non cercavano di guidarmi
neanche un poco; e parlavano sempre tra di loro in modo assai
piacevole.
RANK Aha; dunque sono loro, che ho rimpiazzato.
NORA (balza in piedi e va verso di lui) Oh, caro, gentile dottor
Rank, non è affatto questo che volevo dire. Ma può ben com-
prendere che con Torvald è come con papà –54
53
Per sottolineare i momenti drammatici Nora ricorre a figure retoricamente
solenni, come il chiasmo. La richiesta di perdono del povero Rank («Lei non
può punirmi così») è incastrata a tenaglia fra due battute di Nora – prima e
dopo – che disegnano l’immagine visibilissima del chiasmo: nella prima bat-
tuta di Nora abbiamo, agli estremi, «Niente» (Ingenting) e «ora» (nu); e nella
seconda battuta di Nora «Ora» (Nu) e «niente» (ingenting).
54
Solitamente si vuole bene al papà, ma si ama il marito. Nora usa invece per
due volte l’espressione holde mest af, «volere davvero bene», la seconda
UNA CASA DI BAMBOLA 187

(La cameriera arriva dall’anticamera.)

LA CAMERIERA Signora! (Sussurra e le tende un biglietto.)


NORA (getta un’occhiata al biglietto) Ah! (Lo infila in tasca.)
RANK Succede qualcosa di spiacevole?
NORA No, no, in nessun modo; è soltanto qualcosa –; è il mio
nuovo abbigliamento –
RANK Come? È là il suo costume.
NORA Oh, sì, quello; ma ce n’è un altro; io l’ho ordinato –; Tor-
vald non deve saperlo –
RANK Aha, ecco dunque che abbiamo il grande segreto.
NORA Sì, certo; entri solo da lui; è seduto nella parte più interna
della stanza; lo trattenga nel frattempo –
RANK Stia tranquilla; non lo lascerò passare. (Egli entra nella
stanza di Helmer.)
NORA (alla domestica) E lui sta ad aspettare in cucina?
LA CAMERIERA Sì, è salito dalla scala di servizio –
NORA Ma tu non gli hai detto che qui c’era qualcuno?
LA CAMERIERA Sì, ma non è servito.
NORA Non vuole andarsene?
LA CAMERIERA No, non se ne andrà prima di aver potuto parla-
re con la signora.
NORA Bene, lascialo entrare; ma piano. Helene, non lo dirai a
nessuno; è una sorpresa per mio marito.
LA CAMERIERA Sì, sì, capisco bene – (Esce.)
NORA La cosa terribile accade. Arriva ugualmente. No, no, no,

esplicitamente indirizzata al padre, la prima velatamente indirizzata al mari-


to (e comunque alla fine Nora dice chiaramente «che con Torvald è come
con papà»). Torvald sta a papà come Rank sta alle domestiche, e tanto peg-
gio per Rank che non capisce e un po’ si offende. Egli è per Nora, appunto, il
cavalier servente, quello capace di ascoltarla, con cui Nora parla, si confessa,
si esprime, mentre Torvald la reprime. Sin dal Settecento il cavalier servente è
una libera scelta della dama, mentre il marito era imposto, subìto (come subì-
to è il padre). Naturalmente per il suo immaginario Nora si compiace molto
di avere un cavalier servente, cui chiede servizi . Proprio in questa sequenza
chiede ripetutamente a Rank en umådelig stor tjeneste, «un immenso grande
servizio», en hjælp og en tjeneste, «un aiuto e un servizio». In qualche misura
riesce a modellare persino il rapporto con Torvald su questo schema. Nel I
atto usa con Torvald la stessa espressione che userà con Rank, gli chiede en
umådelig stor tjeneste. E in finale del II atto Torvald si dichiarerà til din tjene-
ste, tutto «al tuo servizio». Inutile dire che delle 5 occorrenze di tjeneste, 4 ri-
guardano Nora.
188 HENRIK IBSEN

non può accadere; non deve accadere. (Va a spingere il ferro


della porta di Helmer.)55

(La cameriera apre la porta dell’anticamera per il procuratore le-


gale Krogstad e richiude dietro di lui. È vestito in pelliccia da viag-
gio, stivaloni e berretto di pelliccia.)

NORA (andando verso di lui) Parli piano; mio marito è di là.


KROGSTAD Ebbene, che ci stia.
NORA Cosa vuole da me?
KROGSTAD Avere qualche informazione.
NORA Bene, faccia in fretta. Cos’è?
KROGSTAD Lei sa bene che ho ricevuto il mio licenziamento.
NORA Non ho potuto impedirlo, signor Krogstad. Ho combat-
tuto fino all’estremo per la sua causa;56 ma non è servito a
niente.
KROGSTAD Suo marito ha così poco amore per lei? Sa a cosa
posso esporre lei, ed ugualmente lui osa –
NORA Come può pensare che egli sappia?
KROGSTAD Oh no, ora non lo pensavo minimamente. Non si ad-
direbbe affatto al carattere del mio buon Torvald Helmer mo-
strare così tanto coraggio virile –
NORA Signor Krogstad, pretendo rispetto per mio marito.
KROGSTAD Ma no, tutto il rispetto dovuto. Ma dal momento che
la signora tiene tutto questo così ansiosamente nascosto, allora
oso supporre che abbia anche avuto qualche delucidazione in
più, rispetto a ieri, su ciò che ha commesso propriamente?
NORA Più di quanto lei non avrebbe mai potuto insegnarmi.

55
Anche se Ibsen non lo specifica, è chiaro che Nora chiude non già la prima
porta (che dal salotto conduce nello studio) bensì la seconda che isola l’an-
golo segreto dello studio (cfr. la piantina di scena e n. 44). Diversamente Tor-
vald potrebbe comunque uscire, perché il suo studio comunica sia con il sa-
lotto, sia con l’anticamera (cfr. n. 7). L’invenzione del curioso studio dentro lo
studio nasce da questa esigenza di artificio drammaturgico (per evitare cioè
che Nora sia costretta a chiudere a chiave ben due porte).
56
Nora usa il verbo kæmpe, «combattere», che aveva usato proprio Krogstad
nel I atto («Se necessario, io arriverò a combattere come per la vita, pur di
conservare il mio piccolo posto alla banca»). Solo 4 concordanze nel testo,
divise a metà fra Nora e Krogstad. È il modo di Nora di essere subalterna al
mondo maschile: ripete le espressioni del marito ma anche quelle di Krog-
stad. Ma è anche vero che sono loro due, Krogstad e Nora, i due grandi per-
sonaggi combattenti.
UNA CASA DI BAMBOLA 189

KROGSTAD Sì, un cattivo giurista come me –57


NORA Cosa vuole lei da me?
KROGSTAD Semplicemente vedere, come lei sta, signora Hel-
mer. Ho pensato a lei tutto il giorno. Un esattore, un avvocatuc-
cio, un – eh via, uno come me, ha anche un po’ di ciò che si chia-
ma buon cuore, vede.
NORA Allora lo mostri; pensi ai miei bambini piccoli.
KROGSTAD Lei e suo marito hanno pensato ai miei? Ma ormai
fa lo stesso. È questo, semplicemente, che volevo dirle, lei non
ha bisogno di prendere la questione troppo seriamente. Per pri-
ma cosa non ci sarà nessuna denuncia da parte mia.
NORA Oh no, certo che no; lo sapevo bene.
KROGSTAD Si può in fondo ricomporre tutto quanto in via ami-
chevole; non c’è affatto bisogno di divulgarlo fra la gente; ri-
marrà soltanto fra noi tre.
NORA Mio marito non dovrà mai sapere niente di questo.
KROGSTAD Come potrà impedirlo? Può forse pagare ciò che re-
sta come residuo?
NORA No, non subito ora.
KROGSTAD Oppure ha forse una via d’uscita per procurarsi il
denaro, uno di questi giorni?
NORA Nessuna via d’uscita di cui voglia fare uso.
KROGSTAD Sì, questo ora non le sarebbe servito a nulla lo stes-
so. Se anche stesse qui, con in mano tutto il contante del mon-
do, non riuscirebbe, per questo, ad ottenere da me la sua cam-
biale.
NORA Mi spieghi allora per che cosa vuole usarla.
KROGSTAD Voglio semplicemente conservarla, – custodirla io.
Nessuna persona estranea ne avrà notizia. Qualora lei dovesse
avere in mente qualche risoluzione disperata –
NORA Ci ho pensato.
KROGSTAD – se dovesse meditare di piantare casa e focolare –
NORA Ci ho pensato!
KROGSTAD – oppure se lei dovesse meditare qualcosa di peggio –
NORA Come può saperlo, lei?
KROGSTAD – bene, lasci perdere queste cose.
NORA Come può sapere che meditavo questo?

57
Slig en dårlig jurist som jeg, «Un cattivo giurista come me»: è la risposta a
quanto gli aveva detto Nora nel I atto, De må være en dårlig jurist, «Lei
dev’essere un cattivo giurista». I dialoghi di Ibsen sono sempre fatti di queste
riprese, anche a venticinque pagine di distanza.
190 HENRIK IBSEN

KROGSTAD La maggior parte di noi medita questo, in principio.


Anch’io ho meditato questo; ma, per l’anima mia, non ho avuto
il coraggio –
NORA (senza tono) Io nemmeno.
KROGSTAD (sollevato) No, certo che no; non ne ha il coraggio,
nemmeno lei?
NORA Io non ce l’ho; io non ce l’ho.
KROGSTAD Sarebbe anche una grande stupidaggine. Appena
passata l’iniziale tempesta domestica –. Ho qui in tasca una let-
tera per suo marito –
NORA E lì è detto tutto quanto?
KROGSTAD Nella forma più delicata che mi è stata possibile.
NORA (rapidamente) Quella lettera lui non deve riceverla. La ri-
duca in pezzi. Io troverò ugualmente una via d’uscita per il de-
naro.
KROGSTAD Scusi, signora, ma credo di averle detto poco fa –
NORA Oh, non parlo del denaro che le devo. Mi faccia sapere
quant’è la somma che pretende da mio marito, così io procu-
rerò il denaro.
KROGSTAD Non pretendo un soldo da suo marito.
NORA Cosa pretende allora, lei?
KROGSTAD Lo saprà. Io voglio rimettermi in piedi, signora; vo-
glio elevarmi; e suo marito deve aiutarmi. Da un anno e mezzo
non mi sono reso colpevole di nulla di disonesto; in tutto que-
sto tempo ho combattuto contro le condizioni più dure; ero
contento di riuscire a risalire passo dopo passo. Ora sono cac-
ciato via e non mi accontenterò di essere semplicemente ri-
preso per misericordia. Voglio elevarmi, le dico. Voglio rientra-
re alla banca, – avere una posizione più alta; suo marito creerà
un posto per me –
NORA Questo non farà mai lui!
KROGSTAD Lui farà questo;58 lo conosco; lui non oserà aprir
bocca. E appena sarò là dentro insieme a lui, allora lei potrà ve-
dere! Entro un anno sarò il braccio destro del direttore. Sarà
Nils Krogstad e non Torvald Helmer che guiderà la Banca
Azionaria.
NORA Questo lei non riuscirà a vederlo!
KROGSTAD Vuole forse –?

58
Dichiarazione solenne di Nora, convinta che suo marito sia un eroe. Ibsen
impreziosisce il linguaggio con un altro chiasmo: Det gør han aldrig! / Han
gør det, «Questo non farà mai lui! / Lui farà questo».
UNA CASA DI BAMBOLA 191

NORA Ora ho il coraggio per questo.59


KROGSTAD Oh, lei non mi spaventa. Una fine dama viziata, co-
me lei –
NORA Vedrà, vedrà!
KROGSTAD Sotto il ghiaccio forse? Giù, nell’acqua gelida, nera
come il carbone? E così a primavera risalire in superficie, brut-
ta, irriconoscibile, senza capelli –
NORA Lei non mi spaventa.60
KROGSTAD Nemmeno lei mi spaventa. Cose del genere non si
fanno, signora Helmer. A cosa servirebbe inoltre? Io lo tengo
in pugno comunque.
NORA Dopo? Quando io non ci sarò più –?
KROGSTAD Lei dimentica che, allora, disporrò io della sua me-
moria?
NORA (resta attonita e lo guarda.)
KROGSTAD Sì, ora l’ho avvertita. Non faccia dunque stupidaggi-
ni. Quando Helmer avrà ricevuto la mia lettera, aspetterò l’of-
ferta da parte sua. E ricordi che è stato proprio suo marito che
mi ha costretto a rimettermi per questo tipo di strada. Questo
non glielo perdonerò mai. Arrivederci, signora.

(Esce attraverso l’anticamera.)

NORA (va verso la porta dell’anticamera, l’apre tenendola soc-


chiusa e origlia) Se ne va. Non mette la lettera. Oh no, no, sa-
rebbe proprio impossibile! (Apre la porta sempre di più.) Co-
s’è? Resta là fuori. Non scende le scale. Esita? Lui sarebbe –?

(Una lettera cade nella cassetta delle lettere; poi si sente il passo di
Krogstad che si perde al fondo degli scalini.)

NORA (con un grido soffocato, corre in avanti per la stanza e verso


il tavolo vicino al sofà; breve pausa) Nella cassetta delle lettere.

59
Nora trova a questo punto («Ora» precisa infatti) il coraggio di suicidarsi,
che prima confessava di non avere. Si è inventata che il marito è un eroe, ed è
pronta a sacrificarsi per non vederlo umiliato (nell’inconscio sa che il marito
non è affatto tutto d’un pezzo: inviato dal Ministero come inquisitore, ha sal-
vato il padre di Nora, per amore di lei, come già accertato).
60
Tre battute prima Krogstad aveva detto De skræmmer mig ikke, «Lei non
mi spaventa», e Nora ripete ora la stessa medesima battuta. Altro esempio
dei tic imitativi di Nora (cfr. n. 56).
192 HENRIK IBSEN

(Va pian piano, timidamente, alla porta dell’anticamera.) È là. –


Torvald, Torvald, – ora noi siamo senza speranza di salvezza!
LA SIGNORA LINDE (arriva con il costume dalla stanza di sini-
stra) Sì, ora, a quanto pare, non c’è altro da correggere. Potrem-
mo forse fare delle prove –?
NORA (a voce bassa e roca) Kristine, vieni qua.
LA SIGNORA LINDE (getta l’abito sul sofà) Che cos’hai? Hai l’a-
ria turbata.
NORA Vieni qua. Vedi quella lettera? Là; guarda, – attraverso il
vetro della cassetta delle lettere.
LA SIGNORA LINDE Sì, sì; la vedo bene.
NORA Quella lettera è di Krogstad –
LA SIGNORA LINDE Nora, – è Krogstad che ti ha dato in prestito
il denaro!
NORA Sì; e ora Torvald finirà per sapere tutto.
LA SIGNORA LINDE Oh, credimi, Nora, è la cosa migliore per
tutt’e due voialtri.
NORA C’è più di quanto tu sappia. Ho falsificato una firma –
LA SIGNORA LINDE Ma in nome del Cielo –?
NORA Ora è soltanto questo che voglio dire, Kristine, che tu de-
vi essere mio testimone.
LA SIGNORA LINDE Come, testimone? Che cosa devo io –?
NORA Caso mai arrivassi a uscire di senno, – e questo in fondo
potrebbe ben capitare –
LA SIGNORA LINDE Nora!
NORA Oppure se dovesse succedermi qualcos’altro, – qualcosa
per cui non potessi essere presente qui –
LA SIGNORA LINDE Nora, Nora, sei completamente fuori di te!
NORA Se ci dovesse essere qualcuno, che volesse prendere tutto
su di sé, tutta la colpa, capisci –61
LA SIGNORA LINDE Sì, sì; ma come puoi pensare –?

61
Tage alt på sig, «prendere tutto su di sé». Nora pensa a Torvald, che a metà
del II atto aveva assicurato: jeg er mand for at tage alt på mig, «io sono uomo
da prendere tutto su di me». Nora ripete la stessa frase del marito, che – po-
veruomo – dice le frasi che Nora vuole sentirsi dire. È chiaro che è Nora che
ha inventato il gioco degli eroi, perché, lei, il suo gesto eroico lo ha effettiva-
mente realizzato, salvando la vita del marito. Il guaio è che Torvald è stato
plagiato da Nora, parla come un eroe, pur non avendone la stoffa. Peraltro
Nora ha plagiato anche i pubblici di tutti i tempi, che non vedono mai questa
violenza che Nora ha fatto al buon Torvald. Con la sola eccezione di Grod-
deck, si è detto.
UNA CASA DI BAMBOLA 193

NORA Allora tu testimonierai che non è vero, Kristine. Non so-


no affatto fuori di me; conservo pienamente il mio senno, ora; e
ti dico: nessun altro sa di questa cosa; io da sola ho fatto tutto
quanto. Ricordalo.
LA SIGNORA LINDE Lo farò senza dubbio. Ma tutto ciò proprio
non lo capisco.
NORA Oh, come potresti comprenderlo? È proprio il meravi-
glioso che ora accadrà.
LA SIGNORA LINDE Il meraviglioso?
NORA Sì, il meraviglioso. Ma è così terribile, Kristine, – ciò non
deve accadere, no, per nessun prezzo al mondo.62
LA SIGNORA LINDE Andrò direttamente a parlare a Krogstad.
NORA Non andare da lui; ti farà qualcosa di cattivo!
LA SIGNORA LINDE C’è stato un tempo in cui avrebbe fatto vo-
lentieri qualunque cosa, per me.
NORA Lui?
LA SIGNORA LINDE Dove abita?
NORA Oh, cosa so io –? Sì, (prende nella tasca) qui c’è il suo bi-
glietto. Ma la lettera, la lettera –!
HELMER (da dentro la sua stanza, picchia alla porta) Nora!
NORA (con un grido di paura) Oh, cosa c’è? Cosa vuoi da me?
HELMER Eh, eh, non essere così spaventata. Non entriamo; hai
sprangato per bene la porta; stai facendo delle prove, forse?
NORA Sì, sì; sto facendo delle prove. Sarò così bella, Torvald.63

62
Dunque Nora è pronta a suicidarsi, per salvare il marito, che però sarà pron-
tissimo ad assumersi, lui, tutte le colpe di lei, anche post mortem (di lei); e per
questo è essenziale che Kristine testimoni della verità (che è poi probabilmente
ciò che Nora intendeva chiedere a Rank, prima che lui si dichiarasse innamora-
to). Tutto questo rappresenta det vidunderlige, «il meraviglioso», un doppio me-
raviglioso: quello di lei che si uccide, ma anche quello di lui. Quest’ultimo è il
«terribile», che «non deve accadere, no, per nessun prezzo al mondo», for nogen
pris i verden. Linguaggio alato, come sempre nei momenti sublimi. Nora aveva
già usato la stessa formula, svelando a Kristine il suo segreto nel primo atto:
«Parla a voce bassa. Pensa, se Torvald ascoltasse questo! Lui non deve, per nes-
sun prezzo al mondo [for nogen pris i verden] –». Nora ripete le parole degli al-
tri personaggi – abbiamo detto –, ma anche Nora ripete Nora. Si è inventata un
mondo fantasmatico (fatto di una moglie-eroina e di un marito-eroe), il quale
vive grazie a un linguaggio rituale che lo ri-anima continuamente.
63
Nora ha «un grido di paura» quando Torvald picchia e urla; è terrorizzata
dalla lettera infilata da Krogstad nella buca, ma, in mezzo a tanta agitazione,
trova la freddezza per dire una battuta di una straordinaria levità: «Sarò così
bella, Torvald». Conosce il suo uomo, e sa come prenderlo.
194 HENRIK IBSEN

LA SIGNORA LINDE (che ha letto sul biglietto) Abita proprio qui


vicino, voltato l’angolo.
NORA Sì, ma questo non servirà. Siamo senza speranza di sal-
vezza. La lettera è ormai nella cassetta.
LA SIGNORA LINDE E tuo marito ha la chiave?
NORA Sì, sempre.
LA SIGNORA LINDE Krogstad deve pretendere indietro la sua
lettera senza che sia stata letta, deve trovare un pretesto –
NORA Ma proprio a quest’ora Torvald ha l’abitudine di –
LA SIGNORA LINDE Prendi tempo; entra da lui intanto. Io ri-
tornerò più presto che potrò.

(Esce rapidamente attraverso la porta dell’anticamera.)

NORA (va alla porta di Helmer, la apre e fa capolino) Torvald!


HELMER (dalla stanza di fondo) Eh via, alla buon’ora posso ten-
tare di accedere ancora nel mio proprio salotto? Vieni, Rank,
adesso possiamo assistere – (Sulla porta.) Ma cos’è?
NORA Che cosa, caro Torvald?
HELMER Rank mi aveva preparato a una grandiosa scena di tra-
vestimento.
RANK (sulla porta) Io l’avevo capita così, ma avrò preso un ab-
baglio.
NORA Sì, nessuno potrà ammirarmi64 nel mio splendore prima
di domani.
HELMER Ma, cara Nora, tu hai l’aria così affaticata. Ti sei eser-
citata troppo?
NORA No, non mi sono ancora esercitata per niente.
HELMER Sarebbe necessario però –
NORA Sì, sarebbe proprio necessario, Torvald. Ma io non posso
arrivare da nessuna parte senza il tuo aiuto;65 ho dimenticato
tutto completamente.
TORVALD Oh, lo rinfrescheremo presto daccapo.
NORA Sì, prenditi finalmente cura di me, Torvald. Me lo vuoi
promettere? Oh, sono così ansiosa. Quella grande serata –. De-

64
Beundre mig, letteralmente «ammirare me». A Kristine diceva nel I atto
che i soldi forse glieli aveva dati «qualche ammiratore», beundrer. È il lessico
di Nora.
65
Jeg kan ingen vej komme uden din hjælp, «io non posso arrivare da nessuna
parte senza il tuo aiuto». E alla fine del I atto aveva detto similmente al ma-
rito Jeg kan ikke komme nogen vej uden din hjælp.
UNA CASA DI BAMBOLA 195

vi sacrificarti totalmente per me questa sera. Neanche un po-


chino di affari, nemmeno una penna in mano. Eh? Non è vero,
caro Torvald?
HELMER Te lo prometto; questa sera sarò tutto e interamente al
tuo servizio, – tu, piccola cosina senza aiuto. – Hm, è vero, però
una cosa voglio prima –

(Va verso la porta dell’anticamera.)

NORA Cosa vuoi vedere là fuori?


HELMER Semplicemente vedere se sono arrivate delle lettere.
NORA No, no, non farlo, Torvald!
HELMER Cosa, ora?
NORA Torvald, ti prego; non c’è niente.
HELMER Lasciami vedere però. (Vuole andare.)
NORA (al piano suona le prime battute della tarantella)
HELMER (presso la porta, si ferma) Aha!66
NORA Non potrò danzare domani se non faccio delle prove con te.
HELMER (va verso di lei) Hai proprio tanta paura, cara Nora?
NORA Sì, immensamente paura. Lasciami fare le prove subito;
c’è ancora tempo, prima che andiamo a tavola. Oh, siediti a suo-
nare per me, caro Torvald; correggimi; guidami, come tu hai l’a-
bitudine.67
HELMER Volentieri, molto volentieri, dal momento che lo desi-
deri.

(Si siede al piano.)

NORA (afferra dalla scatola il tamburello e parimenti un lungo


scialle multicolore con il quale si drappeggia rapidamente; poi
avanza con uno scatto nella stanza e grida) Suona per me ora!
Ora voglio danzare!
66
Torvald si ferma improvvisamente, bloccato in una esclamazione inartico-
lata, alle prime note di Nora: potenza della musica e dei rituali segreti della
vita di coppia, quando c’è una splendida donna dell’harem che canta suona
danza.
67
Il verbo vejlede, «guidare» è assai raro, 7 concordanze in tutto Ibsen, 5 del-
le quali nel nostro testo (3 in bocca a Nora e 2 a Torvald), che si pone dunque
come la storia di una educazione, per quanto ovviamente sbrindellata e vel-
leitaria. S’intende che Torvald è un educatore molto compiaciuto, anche nel
suo ruolo di maestro di danza («Ebbene, qui c’è bisogno veramente di una
guida», dice usando un sostantivo, vejledning, dalla stessa radice del verbo).
196 HENRIK IBSEN

(Helmer suona, e Nora danza; il dottor Rank sta vicino al piano,


dietro Helmer a guardare.)

HELMER (suonando) Più adagio, – più adagio.


NORA Non posso diversamente.
HELMER Non così violenta, Nora!
NORA Proprio così deve essere.
HELMER (smette) No, no, questo non va per niente.
NORA (ride e agita il tamburello) Non era quello che ti avevo
detto?
RANK Lascia che suoni io per lei.
HELMER (si alza) Sì, fallo; così potrò guidarla meglio.

(Rank si siede al piano e suona; Nora danza con frenesia crescen-


te. Helmer si è posto presso la stufa e si rivolge sovente a lei, du-
rante la danza, correggendola con osservazioni; lei sembra non
ascoltarle; i capelli le si sciolgono e ricadono sulle spalle; lei non se
ne preoccupa, ma continua a danzare. Entra la signora Linde.)

LA SIGNORA LINDE (resta a bocca aperta presso la porta) Ah –!


NORA (durante la danza) Qui ne vedi di buffonerie, Kristine.
HELMER Ma carissima, ottima Nora, tu danzi come se ne andas-
se della vita.
NORA È proprio così.
HELMER Rank, smettila; questa è davvero follia pura. Smettila,
dico.

(Rank smette di suonare, e Nora si ferma di colpo.)

HELMER (andando verso di lei) Questo non avrei mai potuto


crederlo. Hai proprio dimenticato tutto ciò che ti ho insegnato.
NORA (getta il tamburello lontano da sé) Vedi tu stesso.
HELMER Ebbene, qui c’è bisogno veramente di una guida.
NORA Sì, vedi com’è necessario. Mi devi guidare fino all’ultimo.
Me lo prometti, Torvald?
HELMER Puoi contarci sicuramente.
NORA Non devi pensare a niente altro se non a me, né oggi né
domani; non devi aprire nessuna lettera, – non aprire la casset-
ta delle lettere –
HELMER Aha, è ancora la paura per quell’individuo –
NORA Oh, sì, sì, anche quella.
HELMER Nora, te lo leggo in faccia, c’è già una sua lettera.
UNA CASA DI BAMBOLA 197

NORA Non so; credo di sì; ma tu non devi leggere niente di nien-
te, ora; niente di brutto deve intervenire fra di noi prima che
tutto sia finito.
RANK (a voce bassa a Helmer) Non devi contraddirla.
HELMER (passa le braccia intorno a lei) La bambina vedrà soddi-
sfatta la sua volontà. Ma domani notte, quando avrai danzato –
NORA Allora sarai libero.
LA CAMERIERA (sulla porta di destra) Signora, la tavola è
apparecchiata.
NORA Vogliamo dello champagne, Helene.
LA CAMERIERA Bene, signora. (Esce.)
HELMER Eh, eh, – festa grande dunque?
NORA Festa allo champagne fino alla luce del mattino. (Grida.)
E un po’ di amaretti, Helene, molti, – una volta tanto.
HELMER (le prende le mani) Su, su, su; non questa frenesia
spaventata. Sii ora la mia piccola allodola, come sei solita.
NORA Oh sì, senza dubbio. Ma entra intanto; e lei pure, dottor
Rank. Kristine, devi aiutarmi a tirarmi su i capelli.68
RANK (a bassa voce mentre se ne vanno) C’è mica qualcosa –
qualcosa da aspettare?
HELMER Oh, neanche lontanamente, caro; non è niente altro
che quella infantile paura di cui ti ho raccontato. (Essi entrano
a destra.)
NORA Allora!?
LA SIGNORA LINDE Partito per la campagna.69
NORA Te l’ho letto in faccia.
LA SIGNORA LINDE Tornerà domani sera. Gli ho scritto un bi-
glietto.
NORA Avresti dovuto lasciar stare. Tu non impedirai nulla. Co-
munque, tutto sommato, è una gioia, questo aspettare il meravi-
glioso.

68
I capelli sciolti sulle spalle hanno una evidente valenza erotica, e tutta la
sequenza è un po’ trasgressiva rispetto alla chiusa moralità vittoriana. Ben vi-
sibile è anche l’eccitazione di Rank, che suona freneticamente, a stento re-
presso da Torvald, il quale deve richiamarlo due volte per fermarlo. Nora è
consapevole, e chiede subito a Kristine di aiutarla a rimettere i capelli com-
me il faut.
69
All’incontro con Nora, non per nulla, Krogstad è arrivato «vestito in pellic-
cia da viaggio» e «stivaloni»: già pronto per andare in campagna. Ibsen è
sempre straordinario per la cura di questi minuti dettagli, sempre allusivi, in-
diretti, mai troppo brutalmente espliciti.
198 HENRIK IBSEN

LA SIGNORA LINDE Che cosa è che aspetti?70


NORA Oh, non puoi capirlo. Va’ da loro; arrivo in un istante.

(La signora Linde entra nella sala da pranzo)

NORA (sta un momento come a raccogliersi; poi guarda il suo


orologio) Le cinque. Sette ore a mezzanotte. Quindi ventiquat-
tro ore alla prossima mezzanotte. Allora la tarantella sarà fini-
ta. Ventiquattro e sette? Trentuno ore da vivere.
HELMER (sulla porta di destra) Ma che fa dunque la piccola allo-
dola?
NORA (verso di lui con le braccia aperte) Eccola l’allodola!

70
Insistenza sul verbo vente, «aspettare», da parte di Nora che «aspetta» il
meraviglioso e Kristine che non capisce. Ma poco prima Rank (che ha scam-
biato l’eccitazione psichica di Nora per un sintomo di gravidanza) ha chiesto
a Torvald se c’era qualcosa ivente (avverbio con la stessa radice del verbo
vente: abbiamo tradotto «qualcosa da aspettare»). La lingua di Ibsen gioca
anche su questi richiami interni, su queste sovrapposizioni ironiche: Rank
crede che Nora stia aspettando un bambino, ma in realtà Nora aspetta il me-
raviglioso.
TERZO ATTO

(Stessa stanza. Il tavolo vicino al sofà, con le seggiole intorno, è


spostato nel centro della stanza.71 Una lampada brucia sul tavolo.
La porta verso l’anticamera è aperta. Si sente una musica di danza
dal piano di sopra.)

(La signora Linde è seduta presso il tavolo e sfoglia distrattamente


un libro; tenta di leggere, ma sembra non poter mantenere la con-
centrazione; un paio di volte origlia, tesa, verso la porta d’ingresso.)

LA SIGNORA LINDE (guarda il suo orologio) Non ancora. E il


tempo stringe. Se lui soltanto non – (Origlia ancora.) Ah, ecco-
lo. (Esce nell’anticamera e apre cautamente la porta d’ingresso;
si sente un passo leggero sulle scale; sussurra) Entri. Non c’è
nessuno.
KROGSTAD (sulla porta) A casa ho trovato un biglietto da parte
sua. Che cosa significa?
LA SIGNORA LINDE Io devo assolutamente parlare con lei.
KROGSTAD Ah sì? E questo deve necessariamente accadere in
questa casa?
LA SIGNORA LINDE Da me era impossibile; la mia stanza non ha
un proprio ingresso. Entri; siamo completamente soli; la do-
mestica dorme e gli Helmer sono a un ballo di sopra.
KROGSTAD (entra nel salotto) Guarda, guarda; gli Helmer dan-
zano questa sera? Davvero?
LA SIGNORA LINDE Sì, perché no?
KROGSTAD Oh, no, è giusto.

71
Sempre piccoli cambiamenti scenografici fra un atto e l’altro. Abbiamo vi-
sto l’albero di Natale spostato in un angolo, a significare che la festa è finita
(cfr. n. 32). Adesso il tavolo spostato in centro: un modo di preparare la scena
finale, la resa dei conti fra i coniugi, seduti al tavolo uno di fronte all’altra, in
posizione centrale per il pubblico.
200 HENRIK IBSEN

LA SIGNORA LINDE Sì, Krogstad, lasci che siamo noi a parlarci.


KROGSTAD Allora noi due abbiamo ancora qualcosa di cui par-
lare?
LA SIGNORA LINDE Noi abbiamo molto di cui parlare.
KROGSTAD Credevo di no.
LA SIGNORA LINDE No, perché lei non mi ha mai capito esatta-
mente.
KROGSTAD Cos’altro c’era da capire, se non la cosa più semplice
del mondo? Una donna senza cuore manda a spasso un uomo,
quando le si offre qualcosa di più vantaggioso.
LA SIGNORA LINDE Crede lei che io sia così completamente sen-
za cuore? E crede lei che io abbia rotto a cuor leggero?
KROGSTAD No?
LA SIGNORA LINDE Krogstad, lei lo ha proprio creduto?
KROGSTAD Se non era così, perché quella volta mi scrisse in
quel modo?
LA SIGNORA LINDE Non potevo fare altro. Se dovevo rompere
con lei, allora era anche mio dovere sradicare da lei tutto ciò
che lei sentiva per me.
KROGSTAD (torcendo le sue mani) Così, dunque. E questo – que-
sto semplicemente a causa del denaro!
LA SIGNORA LINDE Lei non deve dimenticare che avevo una ma-
dre senza aiuto e due fratelli piccoli. Noi non potevamo aspettar-
la, Krogstad; lei aveva delle prospettive molto lontane, allora.
KROGSTAD Lasciamo pure stare; ma lei non aveva il diritto di ri-
pudiare me a causa di un altro individuo.
LA SIGNORA LINDE Sì, non so. Molte volte mi son chiesta io stes-
sa, se ne avevo il diritto.
KROGSTAD (a voce più bassa) Quando la persi, fu come se tutta
la terra mi scivolasse sotto i piedi. Mi guardi; ora sono un uomo
naufrago, sopra un relitto.
LA SIGNORA LINDE Il salvataggio potrebbe essere vicino.
KROGSTAD Era vicino; ma è arrivata lei e si è posta in mezzo.
LA SIGNORA LINDE A mia insaputa, Krogstad. È soltanto oggi
che ho saputo che è lei che rimpiazzerò in banca.
KROGSTAD Le credo, se lo dice lei. Ma ora, dal momento che lo
sa, non si tira indietro?
LA SIGNORA LINDE No; perché comunque lei non ne trarrebbe
il minimo profitto.
KROGSTAD Oh, profitto, profitto –; io lo farei lo stesso.
LA SIGNORA LINDE Ho imparato ad agire in modo ragionevole.
La vita e la dura, l’amara, necessità me l’hanno insegnato.
UNA CASA DI BAMBOLA 201

KROGSTAD E la vita mi ha insegnato a non credere alle belle pa-


role.
LA SIGNORA LINDE Allora la vita le ha insegnato una cosa mol-
to ragionevole. Ma alle azioni può credere comunque?
KROGSTAD Cosa vuole dire con questo?
LA SIGNORA LINDE Lei ha detto che sta come un uomo naufra-
go, sopra un relitto.
KROGSTAD Avevo un buon motivo per dirlo.
LA SIGNORA LINDE Anch’io sono come una donna naufraga, so-
pra un relitto. Nessuno per cui affliggersi, e nessuno di cui pren-
dersi cura.
KROGSTAD Lei stessa ha fatto la scelta.
LA SIGNORA LINDE Non c’era nessun’altra scelta, allora.
KROGSTAD Ebbene, ma che cosa, in conclusione?
LA SIGNORA LINDE Krogstad, se ora noi due naufraghi potessi-
mo andare l’uno verso l’altro.
KROGSTAD Cosa dice?
LA SIGNORA LINDE Due sopra un relitto stanno comunque me-
glio che ognuno sopra il suo.72
KROGSTAD Kristine!
LA SIGNORA LINDE Perché crede che sia venuta qui, in città?
KROGSTAD Avrebbe pensato a me?
LA SIGNORA LINDE Bisogna che lavori, se devo reggere la vita.
Tutti i giorni della mia vita, per lontano che vada con la memo-
ria, ho lavorato, e questo è stato il mio migliore e unico piacere.
Ma ora sono assolutamente sola al mondo, così terribilmente
vuota e abbandonata. A lavorare per sé stessi, in fondo non c’è
nessun piacere. Krogstad, mi procuri qualcuno e qualcosa per
cui lavorare.
KROGSTAD Non ci credo. Non è altro che l’esaltata generosità di
una donna che va a sacrificare sé stessa.
LA SIGNORA LINDE Che io fossi esaltata, lo aveva mai notato?
KROGSTAD Allora potrebbe davvero? Mi dica, – lei è davvero al
corrente del mio passato?
72
In questo testo 4 ricorrenze di skibbruden, «naufrago», e altrettante di
vrag, «relitto», tutte in questa sequenza, a evidenziare che la condizione del
naufrago abbarbicato sopra un relitto caratterizza unicamente la coppia Kri-
stine-Krogstad, che comunque avrà un futuro meno amaro della coppia No-
ra-Torvald. Anche Kristine ha il suo risvolto cinico-lungimirante. Credevamo
che fosse venuta in città a cercare lavoro, ma in realtà scopriamo adesso che
aveva già programmato tutto: posto di lavoro ma anche sistemazione matri-
moniale.
202 HENRIK IBSEN

LA SIGNORA LINDE Sì.


KROGSTAD E sa come mi considerano qui?
LA SIGNORA LINDE Lei ha lasciato intendere, prima, che con me
sarebbe potuto diventare un altro.
KROGSTAD Questo lo so con sicurezza.
LA SIGNORA LINDE Non potrebbe ancora accadere?
KROGSTAD Kristine; – questo, lei, l’ha detto con piena consape-
volezza! Sì, davvero. Glielo leggo in faccia. Lei avrebbe dunque
proprio il coraggio –?
LA SIGNORA LINDE Ho bisogno di qualcuno cui fare da madre; e
i suoi bambini hanno bisogno di una madre. Noi due abbiamo
bisogno l’uno dell’altra. Krogstad, ho fiducia in ciò che di
profondo c’è in lei; – posso osare tutto insieme a lei.
KROGSTAD (le afferra le mani) Grazie, grazie, Kristine; – ora an-
ch’io saprò sollevarmi agli occhi degli altri. – Ah, ma di-
menticavo –
LA SIGNORA LINDE (origliando) Zitto! La tarantella! Vada,
vada!
KROGSTAD Perché? Cosa c’è?
LA SIGNORA LINDE Sente questa danza lassù? Quando sarà fini-
ta, possiamo aspettarceli.
KROGSTAD Oh, sì, me ne vado. Questo, in fondo, è tutto inutile.
Naturalmente lei non conosce il passo che ho intrapreso contro
gli Helmer.
LA SIGNORA LINDE Sì, Krogstad, lo conosco.
KROGSTAD Ed ugualmente avrebbe il coraggio di –?
LA SIGNORA LINDE Capisco bene dove la disperazione può con-
durre un uomo come lei.
KROGSTAD Oh, se potessi far sì che questa cosa non fosse stata
fatta!
LA SIGNORA LINDE Lo può senza dubbio; perché la sua lettera è
ancora nella cassetta.
KROGSTAD È sicura di questo?
LA SIGNORA LINDE Assolutamente sicura; ma –
KROGSTAD (la guarda scrutandola) È questo che dovrei capire?
Lei vuole salvare la sua amica a ogni prezzo. Lo dica con altret-
tanta chiarezza. È così?
LA SIGNORA LINDE Krogstad, chi, una volta, ha venduto sé stes-
sa a causa di un altro, non fa di nuovo la stessa cosa.
KROGSTAD Richiederò indietro la mia lettera.
LA SIGNORA LINDE No, no.
KROGSTAD Sì naturalmente; attendo qui finché Torvald non
UNA CASA DI BAMBOLA 203

scende; gli dico che deve ridarmi la mia lettera, – che si tratta
semplicemente del mio licenziamento, – che non deve leggerla –
LA SIGNORA LINDE No, Krogstad, lei non deve riprendersi la let-
tera.
KROGSTAD Ma mi dica, non era proprio per questo che lei mi ha
dato appuntamento qui?
LA SIGNORA LINDE Sì, in quel primo spavento; ma ora sono in-
tercorse ventiquattro ore, e, in questo tempo, sono stata te-
stimone, qui in casa, di cose incredibili. Helmer deve sapere tut-
to quanto; questo sciagurato segreto deve venire alla luce; si de-
ve arrivare ad una piena spiegazione fra loro due; è impossibile
continuare con tutte queste dissimulazioni e sotterfugi.73
KROGSTAD Orbene; se lei dunque osa questo –. Ma una cosa po-
trei fare in ogni caso, e sarà fatta subito –
LA SIGNORA LINDE (origlia) Faccia in fretta! Vada, vada! La
danza è finita; da questo momento non siamo più al sicuro.
KROGSTAD L’aspetto giù.
LA SIGNORA LINDE Sì, d’accordo; mi accompagnerà fino al por-
tone.74

73
Curioso: Kristine doveva salvare Nora, e invece la affonda. Un cambia-
mento repentino, che ha cause lontane e una vicina. Il casus belli è dato dal
sospetto di Krogstad che lei voglia «salvare la sua amica a ogni prezzo». Solo
scaricando immediatamente Nora, Kristine può essere credibile agli occhi di
Krogstad. Peraltro, vendersi per la madre e i fratelli ha un senso, vendersi per
un’amica, e per di più socialmente superiore a lei, ha un altro senso. Scatta
così un risentimento finora represso e celato ma di lunga durata nei confron-
ti di Nora, l’amica fortunata, che ha sposato uno che è diventato direttore di
banca, e che ha una condizione familiare invidiabile. Per non dire dei piccoli
avvilimenti che Nora le ha inflitto, sia pure involontariamente, nei tre giorni:
usata come sarta, ma anche cacciata all’arrivo di Torvald che non sopporta di
vedere lavori di sartoria; spedita a nascondersi nella camera dei bimbi; poi
usata come postina, portatrice di messaggi da Krogstad; infine lasciata su una
sedia per tutta una serata, in attesa che i coniugi Helmer ritornassero dal bal-
lo. Insomma, c’è una resa dei conti anche fra le due antiche compagne di
scuola. D’altra parte Una casa di bambola è anche la storia di due coppie in-
crociate: gli infelici, gli emarginati, che però si ritrovano, si rimettono insieme
e si salvano; e i felici, gli agiati, che sono travolti dalle prove della vita e si di-
sperdono. I separati si uniscono, e gli uniti si separano.
74
Grande amore, quello di Kristine, ma prudentemente controllato. Krog-
stad l’accompagnerà a casa, ma non salirà in casa, si fermerà davanti al por-
tone. Solita moralità vittoriana. Nella battuta precedente anche Krogstad ha
usato il verbo vente, per dire che «l’aspetta» in strada. Rank crede che Nora
aspetti un figlio, e Nora aspetta il meraviglioso (cfr. n. 70), e Krogstad, più ba-
204 HENRIK IBSEN

KROGSTAD Così incredibilmente felice non lo sono mai stato


prima.

(Esce attraverso la porta d’ingresso; la porta fra la stanza e l’anti-


camera resta aperta.)

LA SIGNORA LINDE (mette un po’ d’ordine e prepara il suo man-


tello) Quale svolta! Sì, quale svolta! Delle persone per cui lavo-
rare, – e per cui vivere; un focolare in cui portare conforto. Eb-
bene, bisogna veramente cominciare –. Se solo arrivassero –
(Origlia.) Aha, eccoli qua. La mia roba. (Prende il cappello e la
cappa.)

(Si sentono le voci di Helmer e di Nora all’esterno; una chiave gira


e Helmer introduce nell’anticamera Nora quasi con forza. Ella è
vestita con il costume italiano con un grande scialle nero su di sé;
lui è in abito da società con, sopra, un nero domino aperto.)

NORA (ancora sulla porta, riluttante) No no no; non qui dentro!


Voglio risalire. Non voglio andar via così presto.
HELMER Ma carissima Nora –
NORA Oh, ti prego, ti supplico, Torvald;75 ti prego così ardente-
mente, gentilmente, – solo un’ora ancora!
HELMER Non un solo minuto, mia dolce Nora. Tu sai che era in-
teso. Ecco; entra in salotto; qui ti prenderai un raffreddore.

(La introduce dolcemente nel salotto, a dispetto della sua resistenza.)

LA SIGNORA LINDE Buona sera.


NORA Kristine!
HELMER Eh, signora Linde, lei è qui così tardi?

nalmente, aspetta Kristine al fondo delle scale. A fronte di aspettazioni fan-


tasiose e infondate, la concretezza semplice di un uomo che aspetta la pro-
pria donna per fare un tratto di strada insieme, in senso letterale e figurato,
nella città e nella vita, dentro il legame istituzionale di un matrimonio prossi-
mo a essere celebrato. Un altro modo – questo gioco di varianti intorno a
vente – di contrapporre la coppia dei vincenti a quella dei perdenti.
75
Å jeg be’er dig så bønligt, Torvald, letteralmente «Oh io ti prego così implo-
rante, Torvald». Ma meno di trenta pagine prima, all’inizio del II atto, non di-
versamente Nora aveva implorato Torvald di non licenziare Krogstad, Jo,
Torvald, jeg beer dig så bønligt. Osserviamo che bønligt ha queste 2 sole oc-
correnze nel testo.
UNA CASA DI BAMBOLA 205

LA SIGNORA LINDE Sì, abbia pazienza; avevo tanta voglia di ve-


dere Nora abbigliata.
NORA Sei stata qui ad aspettarmi?
LA SIGNORA LINDE Sì; sfortunatamente non sono arrivata in
tempo; tu eri già di sopra; e così mi sembrava di non potermene
andare prima di averti vista.
HELMER (toglie lo scialle di Nora) Sì, la guardi bene. Credo che
sia degna senza dubbio di essere guardata. Non è deliziosa, si-
gnora Linde?76
LA SIGNORA LINDE Sì, devo dirlo –
HELMER Non è sorprendentemente deliziosa? Era anche
l’opinione generale durante la serata. Ma lei è spaventosamen-
te ostinata, – la dolce piccola cosina. Cosa possiamo farci? Si fi-
guri, ho dovuto quasi usare la forza per portarla via.
NORA Oh, Torvald, arriverai a rimpiangere di non avermi con-
cesso anche soltanto una mezz’ora di più.
HELMER La sente, signora. Danza la sua tarantella, – ha un suc-
cesso strepitoso, – che era ben meritato, – quantunque
nell’esecuzione, forse, ci fosse un po’ troppo di naturalezza; vo-
glio dire, – un poco più di quanto, a stretto rigore, si osi associa-
re alle esigenze dell’arte. Ma lasciamo andare! La cosa essen-
ziale è, – che lei ha successo; lei ha un successo strepitoso. Dopo
di che, potevo lasciarla lì? Attenuare l’effetto? No, grazie; ho
preso sotto braccio la mia piccola deliziosa ragazza di Capri –
capricciosa piccola ragazza di Capri, potrei dire –; un rapido gi-
ro attraverso la sala; un inchino in tutte le direzioni e – come si
dice nel linguaggio dei romanzi – la bella visione è svanita. Una
conclusione deve sempre essere piena d’effetto, signora Linde;
ma questo non mi è possibile renderlo comprensibile a Nora.
Puh, fa caldo qui dentro. (Getta il domino su una sedia e apre la
porta della sua stanza.) Che cosa? Qui è proprio buio. Oh, sì,
naturalmente. Abbia pazienza – (Entra là dentro e accende un
paio di luci.)
NORA (sussurra rapida e affannata) Allora?!

76
C’è un risvolto brutale (quasi da stupratore) in Torvald, che vedremo me-
glio più avanti, ma già palese nella didascalia con cui introduce Nora in casa,
strappandola al ballo, næsten med magt, «quasi con forza». E confesserà sco-
pertamente a Kristine: «Si figuri, ho dovuto quasi usare la forza [magt] per
portarla via». Ma il gusto della violenza si accompagna sempre, in ogni buon
stupratore, a un certo gusto di vedere e di far vedere. Qui Torvald spoglia la
moglie, le toglie lo scialle, per esibirla agli occhi di Kristine.
206 HENRIK IBSEN

LA SIGNORA LINDE (a voce bassa) Ho parlato con lui.


NORA E così –?
LA SIGNORA LINDE Nora, – devi dire a tuo marito tutto quanto.
NORA (senza tono) Lo sapevo.
LA SIGNORA LINDE Non hai niente da temere da parte di Krog-
stad; ma tu devi parlare.
NORA Io non parlerò.
LA SIGNORA LINDE Allora parlerà la lettera.
NORA Grazie, Kristine; ora so, che cosa c’è da fare. Zitta –!
HELMER (rientra) Ebbene, signora, l’ha dunque ammirata?
LA SIGNORA LINDE Sì; e ora voglio dare la buona notte.
HELMER Oh, cosa, di già? È suo quel lavoro a maglia?
LA SIGNORA LINDE (lo prende) Sì, grazie; l’avevo quasi dimenti-
cato.
HELMER Lei lavora a maglia, dunque?
LA SIGNORA LINDE Oh sì.
HELMER Senta un po’, dovrebbe fare del ricamo piuttosto.
LA SIGNORA LINDE Ah sì? Perché?
HELMER Sì, perché è molto più bello. Guardi; si tiene il ricamo
così, con la mano sinistra, e così, con la destra, si fa uscire l’ago
– in questo modo – con una leggera, estesa curva; non è vero –?
LA SIGNORA LINDE Sì, può anche essere –
HELMER Mentre, al contrario, lavorare a maglia – non può esse-
re che sgraziato; guardi qua; le braccia strette insieme, – i ferri
da maglia che salgono e che scendono; – questo ha in sé qualco-
sa di cinese. – Ah, era davvero uno splendido champagne che ci
hanno servito.
LA SIGNORA LINDE Sì, buona notte Nora, e ora non essere più
ostinata.
HELMER Ben detto, signora Linde!
LA SIGNORA LINDE Buona notte, signor direttore.
HELMER (l’accompagna alla porta) Buona notte, buona notte;
se la caverà ad arrivare a casa, spero? Io vorrei volentieri; – ma
in fondo non è un lungo tragitto che ha da percorrere. Buona
notte, buona notte. (Lei esce; lui chiude la porta dietro di lei e
rientra.) Ecco; alla buon’ora l’abbiamo messa alla porta. È spa-
ventosamente noiosa quella creatura.77

77
Torvald ha bevuto molto champagne (come risulterà chiaro più avanti, dal
dialogo a tre con Rank), e questo spiega l’emergere in Torvald di aspetti fi-
nora segreti, perché tenuti sotto controllo: l’impazienza brutale di liberarsi
della presenza di Kristine, accoppiata bruscamente a una cortesia scoperta-
UNA CASA DI BAMBOLA 207

NORA Non sei molto stanco, Torvald?


HELMER No, proprio per niente.
NORA Nemmeno assonnato?
HELMER Niente affatto; io mi sento, al contrario, immensamen-
te vivace. Ma tu? Sì, tu hai proprio l’aria di chi è stanca e asson-
nata.
NORA Sì, sono molto stanca. Ora ho voglia di andare presto a
dormire.
HELMER Vedi, vedi! Era dunque giusto da parte mia, nondime-
no, che non restassimo più a lungo.
NORA Oh, è tutto giusto ciò che fai.
HELMER (la bacia sulla fronte) Ora l’allodola parla come un es-
sere ragionevole. Ma ti sei accorta di come Rank fosse allegro
questa sera?
NORA Ah sì? Lo era? Non ho avuto l’occasione di parlargli.
HELMER Quasi nemmeno io; ma è da molto tempo che non lo
vedevo di una luna così buona. (La guarda un momento; poi
s’avvicina.) Hm, – è nondimeno magnifico essere ritornato al
proprio focolare; essere completamente solo con te. – Oh tu
seducente deliziosa giovane donna!
NORA Non mi guardare così, Torvald!
HELMER Io non dovrei guardare la mia più cara proprietà? Tut-
ta la magnificenza, che è mia, mia solamente, tutta interamente
mia.
NORA (va dall’altro lato del tavolo) Tu non devi parlarmi così
questa notte.
HELMER (seguendola) Tu hai ancora la tarantella nel sangue, a
quanto noto. E questo ti fa ancora più attraente. Ascolta! Ora
gli invitati cominciano ad andarsene. (A voce più bassa.) Nora,
– ben presto ci sarà silenzio in tutta la casa.
NORA Sì, lo spero.
HELMER Sì, non è vero, mia amata Nora? Oh, tu sai bene, –
quando sono fuori con te, così, in società, – sai perché ti parlo
così poco, mi tengo così lontano da te, ti lancio unicamente
un’occhiata furtiva, qualche volta, – sai perché faccio questo?

mente ipocrita. Ma anche una certa vena ironico-buffonesca (si pensi allo
sproloquio sulla differenza fra ricamo e lavoro a maglia, o al gioco di parole
sulla «capricciosa piccola ragazza di Capri», capriciøse lille Capripige), non-
ché la dimensione estroversa del piccolo regista domestico della performance
danzante di Nora, con il senso tutto teatrale della opportunità dei colpi di
scena.
208 HENRIK IBSEN

È perché mi figuro che sei la mia amata segreta, la mia giovane


fidanzata segreta, e che nessuno sospetta che c’è qualcosa fra
noi due.
NORA Oh, sì, sì, sì; so bene che tutti i tuoi pensieri sono per me.
HELMER E quando poi dobbiamo partire, e io avvolgo lo scialle
intorno alle tue fini spalle piene di giovinezza – intorno alla me-
ravigliosa curva di questa nuca, – allora m’immagino che sei la
mia sposina, che siamo appena arrivati dalla benedizione nu-
ziale, che io per la prima volta ti introduco nella mia abitazione,
– che io per la prima volta sono solo con te, – assolutamente so-
lo con te, tu, giovane, palpitante delizia! Per tutta questa serata
non ho avuto nessun altro desiderio che te. Quando ti ho visto
rapinosa e provocante nella tarantella, – il mio sangue è ribolli-
to; non ho resistito più a lungo; – è per questo, che ti ho portato
quaggiù, con me, così presto –
NORA Vattene ora, Torvald! Tu devi lasciarmi. Io non voglio tut-
to questo.
HELMER Cosa significa? Tu giochi, senza dubbio, a far la burlona
con me, piccola Nora.Voglio, voglio? Non sono io tuo marito –?78

78
Eccezionale pagina di erotismo, con note anche morbose. Torvald, per en-
trare in contatto con Nora, ha bisogno di inserirla in un triangolo malsano, in
cui il terzo vertice è rappresentato dallo sguardo dell’altro (di Rank o – nella
scena del ballo mascherato – di tutti i maschi che guardano eccitati la danza
troppo realistica di Nora). È come dire che in fondo Torvald si eccita osser-
vando l’eccitazione degli altri maschi per sua moglie. Gode narcisisticamente
di essere invidiato per il suo monopolio delle grazie di Nora. Il movimento
di avvicinamento (segnalato dalla didascalia) è quello del predatore verso la
sua vittima. Un occhio concupiscente, questo di Torvald, di vecchio laido (o
diciamo di uomo maturo), che apprezza compiaciuto il corpo «giovane» (un-
ge) di Nora. Torvald è ossessionato dalla dimensione della giovinezza: l’ag-
gettivo ung ha 7 ricorrenze nel testo, ma 5 sono di Torvald, e 4 delle 5 di Tor-
vald in questa sequenza capitale, oltre a un hapax, ungdomsfuld, «piene di
giovinezza» (detto delle «fini spalle» di Nora). C’è una violenza dello sguar-
do che Nora percepisce e cui tenta di ribellarsi («Non mi guardare così, Tor-
vald!»). E c’è una violenza della parola, che di nuovo suscita la resistenza di
Nora («Tu non devi parlarmi così questa notte»), colta in movimento di fu-
ga, di allontanamento (didascalia: «va dall’altro lato del tavolo»), inseguita
però prontamente dal marito sempre più voglioso (didascalia riferita a Tor-
vald: «seguendola»). In Ibsen le didascalie pesano come macigni: compren-
diamo a questo punto perché era importante spostare nel centro del palco-
scenico il tavolo, luogo geometrico delle brame e dei terrori (cfr. n. 71). Ma
si osservi che la cupidigia sessuale di Torvald si radica nella esaltazione bor-
ghese della proprietà privata, del possesso. Nora è il suo ejendom, che vale
UNA CASA DI BAMBOLA 209

(Picchiano alla porta d’ingresso.)

NORA (trasalisce) Hai sentito –?


HELMER (andando verso l’anticamera) Chi è?
RANK (all’esterno) Sono io. Posso avere il permesso di entrare
un momento?
HELMER (a voce bassa, seccato) Oh, cosa vuole quello, adesso?
(A voce alta.) Aspetta un po’. (Va ad aprire.) Eh via, è ben gen-
tile che tu ti sia fermato alla nostra porta.
RANK Mi è sembrato di sentire la tua voce, e così mi è venuta vo-
glia di venire a salutare. (Lascia l’occhio errare fuggevole all’in-
torno.) Ah sì; questi cari luoghi ben conosciuti. Che ambiente
caldo e accogliente avete voi in questo vostro interno, voi due.
HELMER Sembrava che tu ti sentissi bene accolto anche di sopra.
RANK Eccellentemente. Perché non avrei dovuto esserlo? Per-
ché non si dovrebbe prendere ogni cosa in questo mondo? Al-
meno il tanto che si può, e per il tempo che si può. Il vino era
squisito –
HELMER Lo champagne specialmente.

appunto «proprietà». Dobbiamo riconoscere che la dispiegata confessione


delle fantasie erotiche di Torvald è quasi imbarazzante. Il primum è sempre
costituito da una scena allargata, Nora all’interno di un quadro più vasto di
sguardi, e Torvald che finge di non avere rapporti con Nora, per lasciarla so-
la alla brama degli altri maschi. Qui è il punto francamente più torbido e
malsano della sessualità di Torvald (ma anche di più sconcertante moder-
nità, tale da renderlo personaggio assai intrigante, lontanissimo dal figurino
scialbo e ridicolo di tante messinscene). Egli è rimasto fissato al piacere del-
la prima notte di nozze. Dopo otto anni di vita matrimoniale, ritorna inces-
santemente a quella scena, fondata sul gusto del sangue, della deflorazione.
Avevamo ragione a parlare di marito-pascià e di donna dell’harem. Il culto
della verginità (deflorata) è molto musulmana e poco norvegese. Il sostanti-
vo blod, «sangue», ha 4 ricorrenze nel testo, ma tutte in bocca a Torvald, e 1
sola frequenza registra skælvende, «palpitante», termine naturalmente di
Torvald, affascinato dall’idea della sposina «palpitante», cioè spaventata dal
rito di sangue che l’attende nella prima notte di nozze. E così pure molto
musulmano è anche l’utilizzo dello «scialle», schavl, 18 frequenze nel corpus
ibseniano (comprendendo anche la variante grafica sjal), di cui ben 7 in Una
casa di bambola: cfr. Alonge 1993, pp. 124-126. Alla fine Nora grida il suo
estremo rifiuto («Torvald! Tu devi lasciarmi. Io non voglio tutto questo»), e
Torvald si spinge sull’orlo dello stupro coniugale («Voglio, voglio? Non sono
io tuo marito –?»). Non per nulla Ingmar Bergman ha immaginato un vero e
proprio stupro, tagliando la scena a questo punto (sullo spettacolo di Berg-
man cfr. Alonge 1991, pp. 111-112).
210 HENRIK IBSEN

RANK Te ne sei accorto anche tu? È quasi incredibile quanto io


abbia potuto tracannarne.
NORA Anche Torvald ha bevuto molto champagne questa sera.
RANK Ah sì?
NORA Sì; e allora è sempre così piacevole, dopo.
RANK Eh via, perché non ci si dovrebbe prendere un piacere se-
rale dopo una giornata ben impiegata?
HELMER Ben impiegata; sfortunatamente non posso vantarmene.
RANK (lo batte sulla spalla) Ma io posso, vedi!
NORA Dottor Rank, lei ha certamente fatto un esame scientifi-
co, oggi.
RANK Sì, giustappunto.
HELMER Guarda, guarda; la piccola Nora parla di esami scienti-
fici!
NORA E posso congratularmi con lei per l’esito?
RANK Sì, veramente lei lo può.
NORA Dunque era buono?
RANK Il migliore possibile sia per il medico che per il paziente, –
la certezza.
NORA (rapidamente e scrutandolo) La certezza?
RANK La piena certezza. Non dovevo prendermi un’allegra se-
rata, dopo?
NORA Sì, lei ha fatto bene, dottor Rank.
HELMER Quello che dico anch’io; purché tu non debba arrivare
a soffrirne domani.
RANK Eh via, in fondo non si ha niente per niente in questa vita.
NORA Dottor Rank, – a lei piacciono certamente molto le ma-
scherate?
RANK Sì, quando ci sono numerosi travestimenti bizzarri –
NORA Ascolti; come saremo, noi due, nella prossima masche-
rata?
HELMER Tu, piccola sventata, – già ora pensi alla prossima!
RANK Noi due? Sì, glielo dirò; lei sarà la beniamina della fortu-
na –
HELMER Sì, ma trova un costume che possa indicare questo.
RANK Lascia che tua moglie si presenti così com’è nella vita –
HELMER È davvero ben detto. Ma sai come vorrai essere tu stes-
so?
RANK Sì, mio caro amico, su questo ho le idee perfettamente
chiare.
HELMER Ebbene?
RANK Alla prossima mascherata sarò invisibile.
UNA CASA DI BAMBOLA 211

HELMER Questa è una trovata bizzarra.


RANK Si trova un grande cappello nero –; non hai sentito parla-
re del cappello dell’invisibilità? Lo si mette addosso, e così non
c’è nessuno che ti veda.
HELMER (con un sorriso trattenuto) Hai ragione.
RANK Ma dimenticavo completamente perché sono venuto.
Helmer, dammi un sigaro, uno di quegli Avana scuri.
HELMER Con il più gran piacere. (Offre l’astuccio.)
RANK (ne prende uno e taglia la punta) Grazie.
NORA (sfrega un cerino) Lasci che io le accenda.
RANK Grazie, per questo. (Lei tiene il fiammifero per lui; egli ac-
cende.) E allora, addio!
HELMER Addio, addio, caro amico!
NORA Dorma bene, dottor Rank.
RANK Grazie per questo augurio.
NORA Àuguri a me lo stesso.
RANK A lei? Ebbene sì, se lei lo vuole –. Dorma bene. E grazie
per il fuoco.79 (Fa un cenno con la testa a entrambi e va.)

79
L’intervento di Rank è stato spesso frainteso, còlto come la malinconica e
romantica passerella finale del gentile che perde sempre. Non è così. Rank ha
fatto gli ultimi esami medici e sa che deve morire. Alla festa ha bevuto, e dun-
que anche lui è un po’ ubriaco, forse anche più di Torvald. I freni inibitori si
sono rilassati, e il personaggio rivela dunque il fondo brutale che è anche in
lui. Non esita a turbare l’intimità domestica a un’ora avanzata della notte. È
stato lui pure (come Torvald, e come tutti) ammaliato dalla tarantella di No-
ra. Bussa alla porta per vedere un’ultima volta l’amata, ma anche per una
piccola estrema vendetta contro l’amico più fortunato, per impedirgli la not-
te d’amore tanto desiderata. Lascia infatti nella cassetta delle lettere l’an-
nuncio della sua morte come una spada destinata a vanificare la prevedibile
gioia notturna della coppia. Soffermiamoci sulla prima battuta di Rank: «Che
ambiente caldo e accogliente avete voi in questo vostro interno, voi due»
(corsivi nostri). Triplice insistenza sul voi, cui si contrappone la solitudine
dell’io morituro di Rank. Canonica la formula per indicare il focolare, lunt og
hyggeligt, già usata da Torvald (cfr. n. 27). Rank parla come Torvald, perché
vorrebbe essere al posto di Torvald, godere del suo focolare, e della padrona
del focolare. Torvald legge nel pensiero di Rank, ne percepisce la carica ag-
gressiva, e si difende con gli artigli: «Sembrava che tu ti sentissi bene accolto
[hygged] anche di sopra». Usa il verbo hygge, con la stessa radice dell’agget-
tivo hyggeligt. Se voleva qualcosa di «accogliente», non aveva che da conti-
nuare a stare a casa degli Stenborg, senza invadere casa Helmer, a quell’ora
inopportuna e in quel momento inopportuno. Altre volte Torvald alterna
(come già con Kristine, cfr. n. 77), ipocrisia e brutalità. A voce bassa, «secca-
to», dice a Nora «Oh, cosa vuole quello, adesso?», ma subito dopo, aperta la
212 HENRIK IBSEN

HELMER (con voce soffocata) Lui aveva bevuto parecchio.


NORA (assente) Forse.

(Helmer prende dalla tasca il suo mazzo di chiavi ed esce nell’antica-


mera.)

NORA Torvald – cosa vuoi là?


HELMER Devo svuotare la cassetta delle lettere; è completa-
mente piena; non ci sarà spazio per i giornali domani mattina –
NORA Vuoi lavorare, questa notte?
HELMER Sai bene che non voglio. – Cos’è? Qui c’è stato qualco-
sa alla serratura.
NORA Alla serratura –?
HELMER Sì certo, è così. Cosa può essere? Non potrei comun-
que mai credere che le domestiche –? Qui c’è una forcina di ca-
pelli rotta. Nora, è tua –
NORA (rapidamente) Allora devono essere i bambini –
HELMER Dovresti veramente far perdere loro l’abitudine. Hm,
hm; – bene, ci sono riuscito lo stesso. (Leva il contenuto e grida
verso la cucina.) Helene? – Helene; spenga la lampada nell’en-
trata.

(Egli rientra nella stanza e chiude la porta dell’anticamera.)

HELMER (con le lettere in mano) Guarda qui. Vedi cosa si è accu-


mulato. (Sfoglia in mezzo.) Cos’è questo?
NORA (presso la finestra) La lettera! Oh no, no, Torvald!
HELMER Due biglietti da visita – da parte di Rank.

porta: «Eh via, è ben gentile che tu ti sia fermato alla nostra porta». Insom-
ma, una scena dura, al di là delle apparenze, cui partecipa attivamente anche
Nora, che accende il sigaro chiesto da Rank a Torvald. Nora si propone al po-
sto del marito: Lad mig gi’e Dem ild, letteralmente «Mi lasci darle fuoco»
(tradotto «Lasci che io le accenda»). Nora è consapevole di avere messo il
fuoco addosso a Rank (i francesi direbbero che Nora è une allumeuse, una
donna che accende i sensi). E Rank replica sulla stessa lunghezza d’onda: an-
dandosene, non ringrazia Torvald del «sigaro», ma solo Nora del «fuoco». E
nella buca delle lettere getterà due biglietti da visita: non uno solo, per la
coppia Helmer, ma due, come amico di Torvald e come innamorato di Nora.
Ma già Nora, nel II atto, non aveva definito Rank a Kristine come un generi-
co amico di famiglia, bensì con una frase più impegnativa: «Lui è il miglior
amico di gioventù di Torvald, ed è anche mio buon amico» (corsivo, assai si-
gnificativo, tutto di Ibsen).
UNA CASA DI BAMBOLA 213

NORA Da parte del dottor Rank?


HELMER (li guarda) Dottore in medicina Rank. Erano in cima;
deve averli infilati quando è andato via.
NORA C’è qualcosa sopra?
HELMER C’è una croce nera sopra il nome. Guarda. È proprio
un’idea macabra. È come se annunziasse il proprio decesso.
NORA Questo ha fatto, in effetti.
HELMER Eh? Tu sai qualcosa? Lui ti ha detto qualcosa?
NORA Sì. Se quei biglietti sono arrivati, vuol dire che ha preso
congedo da noi. Si chiuderà in casa e morirà.
HELMER Mio povero amico. Sapevo che non l’avrei conservato
a lungo. Ma così presto –. E va a nascondersi così, come un ani-
male ferito.
NORA Se deve accadere, allora è meglio che accada senza paro-
le. Non è vero, Torvald?
HELMER (andando su e giù) Era così intimamente unito a noi.
Non mi sembra di poter pensare a lui sparito. Lui, con le sue
sofferenze e con la sua solitudine, forniva come uno sfondo nu-
voloso alla nostra felicità soleggiata. – Eh via, forse è meglio
così. Per lui in ogni caso. (Si ferma.) E può darsi anche per noi,
Nora. Adesso noi due siamo assolutamente costretti a contare
solo l’uno sull’altra. (Passa le braccia intorno a lei.) Oh, tu, mia
amata moglie; mi sembra di non poterti stringere abbastanza.
Tu sai bene, Nora, – molte volte io mi auguro, che un pericolo
imminente ti minacci, per poter rischiare la vita e il sangue e
tutto, tutto, per te.
NORA (si stacca e dice forte e risolutamente) Ora devi leggere le
tue lettere, Torvald.
HELMER No, no; non questa notte. Voglio stare con te, mia ama-
ta moglie.
NORA Con il pensiero della morte del tuo amico –?
HELMER Hai ragione. Questo ci ha scossi entrambi; qualcosa di
brutto si è insinuato fra di noi; i pensieri della morte e del disfa-
cimento. Dobbiamo cercare di liberarcene. Fino ad allora –. An-
diamo ciascuno per sé.80

80
Nemmeno la notizia della morte dell’amico spegne la libidine di Torvald.
D’altra parte è terribile la teorizzazione – cinica e spietata – del terzo esclu-
so. Le sofferenze di Rank fornivano «come uno sfondo nuvoloso alla nostra
felicità soleggiata». Rank svolge la funzione del perfetto cavalier servente,
copre i buchi che Torvald lascia aperti nel ménage, perché troppo occupato
del suo lavoro e del proprio egoismo (parla con Nora, sa ascoltarla, ecc.).
214 HENRIK IBSEN

NORA (le braccia al collo di lui) Torvald, – buona notte! Buona


notte!
HELMER (la bacia sulla fronte) Buona notte, tu, mio piccolo uc-
cello canterino. Dormi bene, Nora. Ora darò un’occhiata alle
lettere.

(Egli entra nella sua stanza con il pacchetto e chiude la porta die-
tro di sé.)

NORA (con gli occhi smarriti, tasta a tentoni all’intorno, afferra il


domino di Helmer, se lo pone addosso e sussurra rapidamente,
con voce roca e scandendo) Mai più vederlo. Mai. Mai. Mai.
(Getta il suo scialle sopra la testa.) Mai più vedere i bambini.
Nemmeno loro. Mai, mai. – Oh, quell’acqua nera, gelata. Oh,
quell’infinito –; quel –. Oh, se soltanto fosse passato. – Ora lui
ce l’ha; ora la legge. Oh no, no; non ancora. Torvald, addio, tu e i
bambini –

(Vuole precipitarsi fuori attraverso l’anticamera; nello stesso tem-


po Helmer spalanca con forza la sua porta e sta là con una lettera
aperta in mano.)

HELMER Nora!
NORA (grida forte) Ah –!
HELMER Cos’è? Sai cosa c’è in questa lettera?
NORA Sì, lo so. Lasciami andare! Lasciami uscir fuori!
HELMER (la trattiene) Dove vuoi andare?
NORA (tenta di staccarsi) Tu non devi salvarmi, Torvald!
HELMER (vacilla all’indietro) Vero! È vero ciò che scrive? Terri-
bile! No, no; è proprio impossibile che possa essere vero.
NORA È vero. Io ti ho amato sopra ogni altra cosa del creato.

Rafforza il matrimonio senza minacciarlo con un adulterio (di cui Nora è


comunque incapace, per meritoria scelta etica). Comunque, ha una sua fur-
bizia, una sua destrezza, il perfido Torvald. Forse intuisce che Nora opporrà
qualche resistenza, per via di quella inaspettata nota funebre, e la prende da
lontano, subdolamente, riproponendo uno dei tanti numeri del loro piccolo
circo privato, il gioco degli eroi («molte volte io mi auguro, che un pericolo
imminente ti minacci, per poter rischiare la vita e il sangue e tutto, tutto, per
te»). Cullata da questa rassicurante cantilena, forse la moglie-bambina ac-
cetterà di offrirsi per il riposo del guerriero, anche sul cadavere caldo dell’a-
mico. Ma Nora coglie la palla al balzo e gli impone di leggere la lettera di
Krogstad.
UNA CASA DI BAMBOLA 215

HELMER Oh, non venir qui con insulsi sotterfugi.


NORA (un passo verso di lui) Torvald –!
HELMER Tu, sciagurata, – cos’è che hai fatto!
NORA Lasciami sparire. Tu non devi sopportare questo per me.
Tu non devi prendere questo su di te.
HELMER Non fare la commedia. (Chiude a chiave la porta del-
l’anticamera.) Tu resterai qui e farai i conti con me. Hai capito,
tu, ciò che hai fatto? Rispondimi! L’hai capito?
NORA (lo guarda fissamente e dice con espressione indurita) Sì,
ora incomincio a capirlo a fondo.81
HELMER (va all’intorno per la stanza) Oh, quale terribile risve-
glio per me. In tutti questi otto anni, – lei, che era il mio deside-
rio e il mio orgoglio, – un’ipocrita, una bugiarda, – peggio, peg-
gio, – una criminale! – Oh, quale infinita bruttezza che c’è in
tutto questo! Puah, puah!
NORA (tace e lo guarda sempre fissamente)
HELMER (si ferma davanti a lei) Avrei dovuto sospettare che
qualcosa del genere sarebbe accaduto. Avrei dovuto preveder-
lo. Tutti i princìpi sventati di tuo padre –. Taci! Tutti i princìpi
sventati di tuo padre tu li hai ereditati. Nessuna religione, nes-
suna morale, nessun sentimento del dovere –. Oh, come sono
stato castigato per aver chiuso un occhio con lui. Per te l’ho fat-
to; e in questo modo tu mi ripaghi.82
81
Avvio comicissimo, con Nora che continua a recitare il copione collaudato
(«Tu non devi salvarmi», «Tu non devi prendere questo su di te», Du skal
ikke tage det på mig, che riprende il giuramento di Torvald del II atto, jeg er
mand for at tage alt på mig: cfr. n. 61), senza rendersi conto che Torvald ha
smesso di giocare. Dice infatti Ikke noget komediespil, letteralmente «Niente
commedia», con riferimento all’eterno gioco teatrale fra i due coniugi.
82
Princìpi «sventati», letsindige, 5 ricorrenze nel testo, 4 di Torvald (3 in que-
sta sequenza, e 1 prima, quando dichiara che Nora è «sventata» a pensare già
alla prossima mascherata), e 1 di Nora, la quale cita il linguaggio di Torvald
(nel I atto racconta a Kristine che Torvald la chiamava «sventata» per il suo
desiderio di fare un viaggio al Sud). Insomma, si tratta di un aggettivo esclu-
sivo di Torvald, sempre piegato con valore repressivo nei confronti della am-
bigua moralità di Nora (o del suo degno padre). Ovviamente pertiene pro-
prio a Torvald anche l’unica ricorrenza di letsindighed, riferita ancora e sem-
pre a Nora (nel I atto, quando ne rimprovera gli sprechi: «È di nuovo la sven-
tatezza che viene fuori?»). Si deve immaginare un qualche movimento di
protesta di Nora, per tacitare Torvald, quando sente attaccare suo padre, ma
Torvald la zittisce, e ricomincia la frase. La moralità di Torvald è naturalmen-
te a corrente alternata. Confessa qui esplicitamente di aver coperto le maga-
gne del padre (come funzionario ministeriale nell’esercizio di un’inchiesta),
216 HENRIK IBSEN

NORA Sì, in questo modo.


HELMER Ora hai distrutto tutta la mia felicità. Tutto il mio avve-
nire me l’hai distrutto. Oh, è terribile pensarci. Io sono sotto il
potere di un individuo senza scrupoli; lui può fare con me ciò
che vuole, esigere da parte mia qualunque cosa, ordinarmi e co-
mandarmi, come gli piacerà; – io non oserò aprir bocca. E così
miserabilmente devo cadere e andare a fondo per colpa di una
donna sventata!
NORA Quando io sarò scomparsa dal mondo, allora tu sarai li-
bero.
HELMER Oh, nessuna scena.83 Belle parole di questo genere le
teneva pronte anche tuo padre. A che cosa mi servirebbe, se tu
scomparissi dal mondo, come dici? A niente mi servirebbe. Lui
può egualmente render nota la storia, e se lo fa, allora mi si po-
trebbe sospettare di essere stato consapevole della tua azione
criminale. Si crederà, forse, che io stavo dietro, – che ero io, che
ti ho incitata! E per tutto questo posso ringraziare te, te che ho
portato in palmo di mano per tutto il nostro matrimonio. Capi-
sci ora che cosa hai fatto contro di me?
NORA (con gelida calma) Sì.
HELMER È così incredibile che non posso accettarlo. Ma dob-
biamo vedere di metterci d’accordo. Togliti lo scialle. Toglilo, di-
co! Devo vedere di soddisfarlo in un modo o nell’altro. La storia
dev’essere soffocata a qualunque prezzo. – Per quanto concerne
te e me, dobbiamo far finta che tutto sia come prima. Ma natu-
ralmente soltanto agli occhi del mondo. Tu dunque resterai in
questa casa; è sottinteso. Ma i bambini non avrai il permesso di
educarli; io non oso affidarli a te –. Oh, dover dire questo a colei

lamentandosi per il premio ricevuto («e in questo modo tu mi ripaghi»). No-


ra dovrebbre ribattere che, per parte sua, ha già pagato, sposando appunto
Torvald. Nel duro mondo ibseniano spesso le donne si vendono, sposano per
ragioni materiali. Si veda La signora del mare. Ma basta già la storia di Kri-
stine. Nora, forse, non si è venduta, ma è stata venduta, dal padre appunto, cui
Nora non ha saputo opporsi, legata com’era a lui fortissimamente, figlia uni-
ca, orfana dalla nascita.
83
Probabilmente Nora ha accompagnato la sua battuta altisonante
(«Quando io sarò scomparsa dal mondo, allora tu sarai libero») con qual-
che gesto delle mani o delle braccia egualmente solenne. Torvald biasima
immediatamente quanto definisce fagter, sostantivo plurale presente nel
testo solo in questo caso, che vale appunto «gesti», «gesticolazioni». Si po-
trebbe tradurre con qualche forzatura «Non fare la tragica», ma preferia-
mo «Nessuna scena».
UNA CASA DI BAMBOLA 217

che ho amato così fortemente, e che ancora –! Ebbene, bisogna


farla finita. D’ora in poi non si tratta più della felicità; si tratta
unicamente di salvare i resti, i rottami, l’apparenza –

(Suonano al campanello d’entrata.)

HELMER (trasalisce) Cos’è? È talmente tardi. Sarebbe la cosa


più terribile –! Sarebbe lui –? Nasconditi, Nora. Dì che sei ma-
lata.

(Nora rimane in piedi, immobile. Helmer va ad aprire la porta del-


l’anticamera.)

LA CAMERIERA (mezza spogliata, nell’anticamera.) È arrivata


una lettera per la signora.
HELMER La dia a me. (Afferra la lettera e chiude la porta.) Sì, è
di lui. Tu non l’avrai; voglio leggerla io stesso.84
NORA Leggi tu.
HELMER (vicino alla lampada) Ne ho appena il coraggio. Forse
siamo perduti, sia tu che io. No; io devo saperlo. (Strappa la bu-
sta precipitosamente; dà una scorsa ad alcune righe; guarda un
documento accluso; un grido di gioia.) Nora!
NORA (lo guarda interrogativa)
HELMER Nora! – No; devo leggerla ancora una volta. – Sì, sì; è
così. Io sono salvo! Nora, io sono salvo!
NORA E io?
HELMER Anche tu, naturalmente; noi siamo salvi tutt’e due, sia
tu che io. Guarda qua. Lui ti spedisce indietro la tua ricevuta
debitoria. Scrive che si pente e rimpiange –; che un felice cam-
biamento nella sua vita –; oh, non importa ciò che scrive. Siamo
salvi, Nora! Non c’è nessuno che possa farti alcunché. Oh, No-
ra, Nora –; no, prima di tutto facciamo scomparire dal mondo
questa cosa ripugnante. Lasciami vedere – (Getta uno sguardo
sulla cambiale.) No, non voglio vederla; non sarà per me altro
che un sogno, tutto questo. (Riduce in pezzi la ricevuta e tutt’e
due le lettere, getta il tutto nella stufa e lo guarda mentre brucia.)
Ecco; ora non esiste più. – Scriveva che dalla vigilia di Natale tu
–. Oh, devono essere stati tre giorni terribili per te, Nora.
NORA Ho combattuto una dura guerra, io, in questi tre giorni.

84
Ci sono alcune controscene in questa sequenza. Nora si fa avanti per pren-
dere la lettera (indirizzata a lei), ma Torvald la reprime.
218 HENRIK IBSEN

HELMER E ti dolevi, e non scorgevi altra via d’uscita che –. No;


non vogliamo rammentare tutti questi orrori. Vogliamo solo
rallegrarci e ripetere: è finita, è finita! Ascoltami dunque, Nora;
tu non sembri capirlo: è finita. Cos’è dunque – questa espres-
sione indurita? Oh, povera piccola Nora, lo comprendo bene;
sembri non poter credere che ti ho perdonata. Ma io ho perdo-
nato, Nora; te lo giuro: ti ho perdonato tutto. So bene che ciò
che hai fatto, l’hai fatto per amor mio.
NORA È vero.
HELMER Tu mi hai amato come una moglie deve amare suo ma-
rito. Sono solo i mezzi, che tu non hai saputo giudicare proba-
bilmente. Ma credi di essermi meno cara perché non sei capace
di agire secondo il tuo cervello? No, no; appoggiati semplice-
mente a me; io ti consiglierò; io ti guiderò. Non dovrei essere
un uomo se appunto questo femminile stato d’abbandono non
ti facesse doppiamente seducente ai miei occhi. Non devi fer-
mare l’attenzione sulle parole dure che ti ho detto nel primo
spavento, quando mi sembrava che tutto dovesse crollare su di
me. Ti ho perdonata, Nora; te lo giuro, ti ho perdonata.
NORA Io ti ringrazio per il tuo perdono. (Esce attraverso la porta
di destra.)
HELMER No, resta –. (Guarda dentro.) Cosa vuoi là, nell’alcova?
NORA (da dentro) Gettare l’abbigliamento da mascherata.85
HELMER (vicino alla porta aperta) Sì, fallo; cerca di calmarti e
di ritrovare l’equilibrio del tuo animo, tu, mio piccolo spaven-
tato uccellino canterino. Riposati e sta’ sicura; ho delle larghe
ali per coprirti. (Gira all’intorno nei pressi della porta.) Oh,
com’è caldo e bello il nostro focolare, Nora. Qui c’è il rifugio
per te; qui io ti terrò come una colomba inseguita, che sono riu-
scito a salvare, illesa, dagli artigli del falco; porterò la calma al
tuo povero cuore che batte.86 Questo accadrà a poco a poco,
Nora; credimi. Domani tutto questo ti apparirà completamen-
85
Kaste maskeradedragten. Il verbo è equivoco: per Torvald kaste vale «ri-
porre»; per Nora ha significato letterale, forte, «farla finita», «gettar via». No-
ra comincia a ritrovare la propria identità, negandosi prima di tutto quale
eterna attrice e performer fra le mani del marito-regista.
86
Assai buffo il ritorno all’ordine. Torvald riprende tranquillamente, come se
niente fosse, il gioco degli eroi, con il solito sistema delle metafore tratte dal
mondo degli uccelli (Nora è «una colomba inseguita» dal «falco», Torvald è
l’uccello dalle «larghe ali» che la salva, ecc.). Le Concordanze registrano tut-
ta una serie di termini che nel testo compaiono solo in questo punto, in boc-
ca a Torvald (due, «colomba»; brede, «larghe»; uskadt, «illesa»; høg, «falco»;
UNA CASA DI BAMBOLA 219

te diverso; ben presto tutto sarà come prima; io non avrò biso-
gno per molto di ripeterti che ti ho perdonata; tu stessa senti-
rai con sicurezza che l’ho fatto. Come puoi pensare che mi fos-
se potuto venire in mente di volerti ripudiare, oppure sempli-
cemente di rimproverarti qualcosa? Oh, tu non conosci il buon
cuore di un vero uomo, Nora. C’è per un uomo qualcosa di in-
descrivibilmente dolce e appagante in questo, nella consape-
volezza che ha perdonato sua moglie, – che lui l’ha perdonata
con cuore colmo e sincero. Lei diventa per questo sua pro-
prietà quasi in doppio senso; lui l’ha quasi messa al mondo di
bel nuovo; lei è diventata in qualche modo e sua moglie e sua
figlia nello stesso tempo.87 Così sarai tu per me d’ora in poi, tu,
piccolo essere confuso, senza aiuto. Non inquietarti per nulla,
Nora; sii semplicemente di cuore aperto con me, così sarò e la
tua volontà e la tua coscienza. – Cos’è questo? Non vai a letto?
Hai cambiato abito?
NORA (nel suo abito di tutti i giorni) Sì, Torvald, ora ho cambiato
abito.88
HELMER Ma, come, ora, così tardi –?
NORA Questa notte non dormirò.
HELMER Ma, cara Nora –
NORA (guarda il suo orologio) Non è ancora troppo tardi. Siedi-
ti qui, Torvald; noi due dobbiamo parlare molto insieme.

(Lei si siede da una parte del tavolo.)

klør, «artiglio»), a denotare il linguaggio tipico di Torvald, il suo sistema ver-


bale e fantasmatico. Interessante la fenomenologia di redde, «salvare», 13 ri-
correnze nel testo, 9 di Nora, 2 di Kristine (che ripete il termine impiegato
dall’amica), e 2 di Torvald. Nora si riempie naturalmente la bocca di redde,
ma lei comunque ha effettivamente salvato la vita di suo marito. Torvald usa
la prima volta il verbo in una accezione di bassissimo profilo (pronto ad ac-
cettare il ricatto di Krogstad, pur di «salvare i resti, i rottami»). Ma dopo la
seconda lettera di Krogstad, adesso che tutto è di nuovo a posto, ritorna il
linguaggio alato, con Torvald prontissimo a «salvare» la colomba-Nora dagli
artigli del falco.
87
Både hans hustru og hans barn tillige, «e sua moglie e sua figlia nello stes-
so tempo». Quale altra confessione più confessata di questa, circa il fanta-
sma dell’incesto fra un marito-padre e una moglie-figlia? Cfr. Alonge 1984a,
pp. 254-339.
88
Ancora un verbo equivoco, come alla n. 85. Nora intende il cambiamento
in senso letterale e metaforico. Non è vestita più con l’abito della mascherata
perché ha deciso di rinnegare la subalternità al marito-regista.
220 HENRIK IBSEN

HELMER Nora, – cosa significa questo? Questa espressione


indurita –
NORA Siediti. Sarà lunga. Devo parlare molto con te.
HELMER (si siede al tavolo di fronte a lei) Tu mi inquieti, Nora. E
io non ti capisco.
NORA No, è precisamente questo. Tu non mi capisci. E nemme-
no io non ti ho mai capito – prima di questa sera. No, tu non de-
vi interrompermi. Tu devi semplicemente ascoltare ciò che di-
co. – Questa è una resa dei conti, Torvald.89
HELMER Che cosa vuoi dire con questo?
NORA (dopo un breve silenzio) Non è una cosa per te sorpren-
dente, che noi siamo seduti qui in questo modo?
HELMER Cosa dovrebbe essere?
NORA Ora sono otto anni che noi siamo sposati. Non ti viene in
mente che questa è la prima volta che noi due, tu ed io, marito e
moglie, parliamo insieme seriamente?
HELMER Sì, seriamente, – cosa significa?
NORA Per otto anni interi, – sì, più a lungo, – precisamente dalla
nostra prima conoscenza, noi non abbiamo mai scambiato una
parola seria su una cosa seria.
HELMER Avrei dovuto, allora, continuamente e sempre, metterti
a parte di preoccupazioni che tu comunque non avresti potuto
aiutarmi a reggere?
NORA Non parlo di preoccupazioni. Io dico che non ci siamo
mai messi insieme sul serio, per cercare di arrivare a fondo di
qualche cosa.

89
Opgør, «resa dei conti», termine raro, solo 6 concordanze nei magnifici 12.
A distanza di cinque pagine, Nora replica a Torvald, che, dopo la prima let-
tera di Krogstad, aveva dichiarato minacciosamente: «Tu resterai qui e farai
i conti con me». Il sostantivo regnskab, «conto», è un unicum in Una casa di
bambola, ma in tutte le 12 opere registra soltanto un totale di 7 frequenze.
Analogamente per il verbo regne, «contare», «calcolare»: 20 ricorrenze nei
12 testi, 1 in Una casa di bambola. Possono stupire questi numeri bassi pro-
prio nei testi contemporanei, quelli più consoni alla capitalistica arte del cal-
colo, del dare e dell’avere. Ma Ibsen è un perfetto borghese ottocentesco: di
soldi e di sesso non si parla apertamente. Si osservi, nel dettaglio, che Tor-
vald aveva iniziato mimando il direttore di banca che apre un’inchiesta sul-
la ragioniera infedele, e Nora ribatte adesso mimando la ragioniera che
chiede ragione al direttore di banca dei suoi misfatti. Il linguaggio di Nora
riecheggia quello di Torvald, ma anche quello del dottor Rank che informa-
va di avere intrapreso un generalopgør (un hapax), «resa dei conti genera-
le», del suo stato di salute.
UNA CASA DI BAMBOLA 221

HELMER Ma, carissima Nora, sarebbe stata una cosa per te?
NORA Eccoci al problema. Tu non mi hai mai capita. – È stato
fatto un grande torto contro di me, Torvald. Prima da parte di
papà e dopo da parte tua.
HELMER Come! Da parte di noi due, – da parte di noi due, che ti
abbiamo amata più fortemente di ogni altra persona?
NORA (scuote la testa) Voi non mi avete mai amata. Vi è sempli-
cemente sembrato, che fosse piacevole innamorarvi di me.
HELMER Ma, Nora, che cos’è questo parlare?
NORA Sì, è così ora, Torvald. Quand’ero da papà, lui mi raccon-
tava tutte le sue opinioni, e così io avevo le stesse opinioni; e se
ne avevo altre, le nascondevo; perché lui non avrebbe apprez-
zato. Lui mi chiamava la sua bambina-bambola, e giocava con
me, come io giocavo con le mie bambole. Quindi sono arrivata
in questa casa, da te –90
HELMER Cos’è questa espressione che usi per il nostro matri-
monio?
NORA (imperturbabile) Voglio dire, che dalle mani di papà sono
passata nelle tue. Tu sistemasti tutto secondo il tuo gusto, e così
io ebbi lo stesso gusto che avevi tu; ovvero lasciavo soltanto
credere; non so esattamente –; penso che ci fossero entrambe le
cose; ora l’una e ora l’altra. Quando mi guardo indietro, ora, mi
sembra di aver vissuto qui come una poveraccia, – giusto alla
giornata. Ho vissuto per i giochi di destrezza che facevo per te,
Torvald.91 Ma è proprio questo che tu volevi avere. Tu e papà
avete commesso un grande peccato contro di me. La colpa è vo-
stra, se di me non ho fatto nulla.
HELMER Nora, come sei assurda e ingrata! Non sei stata felice
qui?
90
Nora distingue puntigliosamente (suscitando non per nulla la protesta di Tor-
vald) fra hjemme hos pappa, letteralmente «al focolare presso papà», e i huset til
dig, letteralmente «nella casa da te». Per la differenza hjem/hus cfr. I sostegni
della società, n. 11. Il sostantivo dukkebarn, «bambina-bambola», compare nel
vocabolario ibseniano solo in questo testo, 4 ricorrenze, tutte di Nora, come è
giusto: 2 in questa scena, in cui ricorda che il papà giocava con lei quale sua
bambina-bambola; e 2 nel I atto, quando era lei a giocare con i figli, chiamando-
li in modo identico, per corrispondenza perfetta e significativa.Anche dukkehu-
stru, «moglie-bambola», è termine esclusivo del testo, anzi è un hapax.
91
Gøre kunster, «fare giochi di destrezza», ma la radice kunst vale «arte».
Nora insiste sempre sulla sua professionalità di artista polivalente (attrice,
danzatrice, cantante, ecc.). Anche quando Kristine pensa che abbia salvato il
marito con dei soldi vinti al lotto, lei ribatte: «Che arte [kunst] sarebbe stata,
allora?».
222 HENRIK IBSEN

NORA No, non lo sono mai stata. L’ho creduto; ma non lo sono
mai stata.
HELMER Non – non felice!
NORA No; soltanto allegra. E tu sei sempre stato così gentile con
me. Ma la nostra casa non è stata altro che una stanza dei gio-
chi. Qui io sono stata la tua moglie-bambola, come a casa di
papà ero la sua bambina-bambola. E i bambini, a loro volta, so-
no stati le mie bambole. Mi sembrava piacevole, quando comin-
ciavi a giocare con me, così come a loro sembrava piacevole
quando prendevo a giocare con loro. Questo è stato il nostro
matrimonio, Torvald.
HELMER C’è qualcosa di vero, in ciò che dici, – per quanto esa-
gerato ed esaltato. Ma d’ora in poi sarà diversamente. Il tempo
del gioco è finito; ora arriva quello dell’educazione.92
NORA L’educazione di chi? Mia, oppure dei bambini?
HELMER Sia tua che dei bambini, mia amata Nora.
NORA Ah, Torvald, tu non sei uomo da educarmi a diventare la
moglie giusta per te.
HELMER E tu dici questo?
NORA E io, – come sono preparata a educare i bambini?
HELMER Nora!
NORA L’hai detto tu stesso un momento fa, – non oseresti affi-
darmi questo compito.
HELMER In un attimo di irritazione! Come puoi dare importan-
za a questo?
NORA Sì; è stato detto molto giustamente da parte tua. Io non
ho la forza per questo compito. C’è un altro compito, che deve
essere disimpegnato, prima. Io devo cercare di educare me stes-
sa. In questo non sei l’uomo che possa aiutarmi. In questo devo
essere sola. E perciò ora ti lascio.

92
Leg, «gioco», sostantivo con 2 ricorrenze nel testo, che insieme alle 14 del
verbo lege (di cui 10 in bocca a Nora) e all’hapax legestue, «stanza dei giochi»,
evoca il grande tema fantastico della pièce. Tutti giocano in casa Helmer: i fi-
gli, ma soprattutto i genitori. Bisogna evitare però di colpevolizzare solo Tor-
vald, come Nora tenta di fare in questa sua arringa. Infatti, nell’inventare e
portare avanti il loro sistema ludico (o romanzesco, come anche l’ho defini-
to), c’è stata una complicità solidale dei coniugi. Certo, in questo dichiarare
solennemente, in maniera così ridicolmente pomposa, che «il tempo del gioco
è finito; ora arriva quello dell’educazione», è chiaro che Torvald non fa altro
che tentare di avviare un nuovo gioco, appunto il gioco dell’educazione. Ma
resta da vedere se anche Nora, andandosene di casa, non attivi anche lei un
diverso nuovo gioco, il gioco della protofemminista. Cfr. Groddeck 1910.
UNA CASA DI BAMBOLA 223

HELMER (balza in piedi) Che cos’è, che hai detto?


NORA Devo restare assolutamente sola, se devo fare chiarezza
dentro me stessa e in tutto ciò che è al di fuori. Perciò non pos-
so restare più a lungo con te.
HELMER Nora, Nora!
NORA Me ne vado di qua ora, subito. Kristine mi accoglierà, per
questa notte –
HELMER Tu sei pazza! Tu non otterrai il permesso! Io te lo proi-
bisco!93
NORA Non può servirmi a nulla proibirmi qualcosa, dopo quan-
to è accaduto. Prendo con me ciò che mi appartiene. Da parte
tua non voglio avere nulla, né ora né più tardi.
HELMER Che delirio è mai questo!
NORA Domani me ne vado a casa mia, – voglio dire, al mio vec-
chio tetto natale. Là sarà più facile per me trovarmi qualcosa
da fare.
HELMER Oh tu accecata, inesperta creatura!
NORA Devo cercare di ottenere esperienza, Torvald.94
HELMER Abbandonare il tuo focolare, tuo marito e i tuoi bam-
bini! E non pensi a ciò che dirà la gente.
NORA Non posso avere alcun riguardo di nulla. So soltanto che
questo è necessario per me.
HELMER Oh, è rivoltante. In questo modo puoi venir meno ai
tuoi più sacri doveri.
NORA Che cosa calcoli, allora, tra i miei più sacri doveri?
HELMER E ho bisogno di dirtelo! Non sono i doveri verso tuo
marito e i tuoi bambini?
93
Non è una battuta comica: siamo in una società patriarcale, dove la donna
non può firmare cambiali senza la controfirma del padre o del marito, e dove
il marito è possessore in esclusiva delle chiavi della cassetta della posta.
94
Jeg må se at få erfaring, Torvald. Ma perché Ibsen pone in corsivo «få», «ot-
tenere»? Perché poche battute prima Torvald aveva proclamato Du får ikke
lov!, «Tu non otterrai il permesso!». Solito gioco delle puntigliose riprese ib-
seniane: se non può ottenere dal marito il permesso di andarsene, Nora deve
però ottenere esperienza. Ma la polemica (a distanza maggiore) è anche con
Kristine, che nel II atto aveva dichiarato con sufficienza: «in molte cose tu sei
ancora come una bambina; io sono in fondo molto più vecchia di te, e ho un
po’ più di esperienza [erfaring]». Nora – in procinto di régler ses comptes non
solo con il marito ma anche con l’amata-odiata amica – riprende l’erfaring
usato da Kristine. Giova aggiungere che sulla radice di erfaring è costruito
l’aggettivo u-erfaren, come forma privativa, «privo di esperienza», un’unica
ricorrenza nel testo, ma proprio in bocca a Torvald che proclama: «Oh tu ac-
cecata, inesperta [uerfarne] creatura!».
224 HENRIK IBSEN

NORA Ho altri doveri altrettanto sacri.


HELMER Tu non ne hai. Quali doveri dovrebbero essere, questi?
NORA I doveri verso me stessa.
HELMER Tu sei prima di tutto e soprattutto moglie e madre.
NORA Questo non lo credo più. Io credo di essere prima di tutto
e soprattutto una persona, io, esattamente come te, – o, almeno,
quale devo provarmi di diventare. Io so bene che la maggioran-
za ti darà ragione, Torvald, e che nei libri si trova qualcosa dello
stesso genere. Ma non posso accontentarmi più a lungo di ciò
che dice la maggioranza e di ciò che si trova nei libri. Devo pen-
sare io stessa a queste cose e vedere di venirne in chiaro.
HELMER Non potresti venirne in chiaro stando a casa tua? Non
hai tu, in questioni del genere, una guida sicura? Non hai la re-
ligione?
NORA Ah, Torvald, non so affatto cosa sia con esattezza la reli-
gione.
HELMER Che cos’è che dici!
NORA Io non so altro che ciò che il reverendo Hansen diceva
quando ebbi la confermazione.95 Lui raccontava che la religione
era questo e quello. Quando avrò lasciato tutto ciò che è qui e
sarò sola, esaminerò anche questa questione. Vedrò se era esatto
ciò che diceva il reverendo Hansen o, almeno, se è esatto per me.
HELMER Oh, una cosa simile è comunque inaudita da parte di
una donna così giovane! Ma se la religione non può guidarti
rettamente, lasciami almeno scuotere la tua coscienza. Perché
tu hai, almeno, un sentimento morale? Oppure, rispondimi, –
tu, forse, non ne hai alcuno?
NORA Sì, Torvald, non è facile rispondere a questo. Non lo so af-
fatto. Sono assolutamente incerta in queste cose. So soltanto
che ho, su questioni di questo genere, un’opinione assoluta-
mente diversa da te. Sento anche dire, ora, che le leggi sono dif-
ferenti da quello che pensavo; ma che queste leggi siano giuste,
è impossibile farmelo entrare in testa. Una donna dunque non
avrebbe il diritto di risparmiare il suo vecchio padre moribon-
do, oppure di salvare la vita del proprio marito! Non credo a
cose simili.
HELMER Tu parli come una bambina. Non capisci la società nel-
la quale vivi.

95
La confermazione è la cresima, sacramento che conferma il cristiano nella
propria fede. L’età della confermazione – in ambiente luterano – è sui sedici-
diciassette anni, più tardi di quanto avvenga in area cattolica.
UNA CASA DI BAMBOLA 225

NORA No, non la capisco. Ma ora voglio mettermi al corrente.


Devo cercare di scoprire chi ha ragione, se la società oppure io.
HELMER Sei malata, Nora; hai la febbre; credo quasi che tu sia
fuori di testa.
NORA Non mi sono mai sentita così lucida e sicura come questa
notte.
HELMER E lucida e sicura tu abbandoni tuo marito e i tuoi bam-
bini?
NORA Sì; lo faccio.
HELMER Allora c’è soltanto una spiegazione possibile.
NORA Quale?
HELMER Tu non mi ami più.
NORA No, il punto è proprio questo.
HELMER Nora! – E dici questo!
NORA Oh, mi fa così male, Torvald; perché sei sempre stato così
gentile verso di me. Ma io non ci posso far niente. Io non ti amo
più.
HELMER (combatte per contenersi) È anche questa una convin-
zione lucida e sicura?
NORA Sì, perfettamente lucida e sicura. È per ciò che non starò
qui più a lungo.
HELMER E potresti anche spiegarmi come ho perduto il tuo
amore?
NORA Sì, certo lo posso. È stato questa sera, quando il meravi-
glioso non è arrivato; ché allora ho visto che non eri l’uomo che
m’ero pensato.
HELMER Spiegati più precisamente; non ti capisco.
NORA Ho aspettato pazientemente per otto anni; perché, Si-
gnore Iddio, comprendevo bene che il meraviglioso non arriva
così, ogni giorno. Poi è piombata su di me questa cosa schiac-
ciante; e allora sono stata così assolutamente certa: ora arriva il
meraviglioso. Quando la lettera di Krogstad stava là fuori, –
mai mi è venuto in mente il pensiero che tu potessi piegarti alle
condizioni di quell’individuo. Ero così assolutamente certa che
gli avresti detto: metta al corrente della questione l’intero mon-
do. E quando questo fosse accaduto –
HELMER Sì, cosa, allora? Quando avessi dato in preda mia mo-
glie alla vergogna e al disonore –!
NORA Quando questo fosse accaduto, allora pensavo, così as-
solutamente sicura, che tu ti saresti fatto avanti per prendere
tutto su di te e dire: sono io il colpevole.
HELMER Nora –!
226 HENRIK IBSEN

NORA Tu vuoi dire che io non avrei accettato un simile sacrificio


da parte tua? No, s’intende. Ma a cosa sarebbe valsa la mia af-
fermazione di fronte alla tua? – Questo era il meraviglioso che
io speravo con terrore. E per impedire questo, io volevo farla fi-
nita con la vita.96
HELMER Gioiosamente potrei lavorare giorno e notte per te,
Nora, – potrei sopportare dolore e sacrificio per causa tua.
Ma non c’è nessuno che sacrifichi il suo onore per la persona
amata.
NORA Centinaia di migliaia di donne l’hanno fatto.
HELMER Oh, tu pensi e parli come una bambina incosciente.
NORA Lascia andare. Ma tu né pensi né parli come l’uomo, cui io
potrei unirmi. Quando il tuo spavento è finito, – non per quello
che minacciava me, ma per quello cui tu stesso eri esposto, e
quando tutto il pericolo è passato, – allora per te, è stato come
se niente fosse accaduto. Io ero precisamente come prima la tua
piccola allodola canterina, la tua bambola, che, dopo di ciò, tu
avresti portato due volte più prudentemente in palmo di mano,
essendo così fragile e debole. (Si alza.) Torvald, – in quel mo-
mento ho cominciato a capire che per otto anni avevo vissuto

96
Dopo aver imperversato contro il marito, contro il padre, contro la religio-
ne, contro le leggi, contro la società intera, Nora è ancora qui che rimpiange
il suo romanzo mancato, la bella fiaba del marito che avrebbe dovuto arriva-
re al galoppo, lancia in resta, bello come un San Giorgio, a liberarla dal Dra-
go-Krogstad. Per ben 4 volte in poche righe ritorna la parola magica vidun-
derlig, «il meraviglioso». E ritorna il tage alt på dig, «prendere tutto su di te»,
che abbiamo già visto (cfr. n. 81). Tutto questo c’entra visibilmente poco
(quasi nulla) con la nuova coscienza protofemminista che la critica ibseniana
riconosce a questo punto al personaggio. D’altra parte Nora non può forgiar-
si una sensibilità nuova, da donna emancipata, nei dieci minuti in cui resta
fuori scena a cambiarsi d’abito. Più semplice pensare a una nuova invenzione
romanzesca, quella della protofemminista. Qualche informazione ce l’ha;
Nora sa molte più cose di quanto possiamo sospettare. Sa tutto sulle malattie
veneree trasmissibili per via ereditaria. Ricordiamoci dello stupore di Kristi-
ne, e della spiegazione di Nora: «Uff, – quando si hanno tre bambini, si riceve
talvolta la visita di – di signore che sono a metà esperte in medicina; e queste
raccontano ora una cosa ora un’altra». Chissà quante strane «signore» parla-
no con Nora, e quante strane idee le comunicano. Insomma, la grande allocu-
zione di Nora non è altro che un abilissimo montaggio di spezzoni di discorsi
altrui, più o meno felicemente assimilati. Ma intrecciandosi (e confondendo-
si) con il rimpianto del vecchio mondo fiabesco incentrato sul «meraviglio-
so». Certo, Nora lavora spesso di ricalco: fa il verso, imita, parafrasa (il mari-
to, Rank, Krogstad, ecc.).
UNA CASA DI BAMBOLA 227

qui insieme con un estraneo e avevo fatto tre bambini –. Oh, non
sopporto di pensarlo! Vorrei ridurmi in mille pezzi.
HELMER (triste) Lo vedo; lo vedo. Certamente un abisso si è spa-
lancato fra di noi. – Oh, ma, Nora, non potrebbe essere riem-
pito?
NORA Così, come sono ora, non sono la moglie per te.
HELMER Io ho la forza per diventare un altro.97
NORA Può darsi, – se ti viene tolta la bambola.
HELMER Separarmi – separarmi da te! No, no, Nora, io non pos-
so concepire questo pensiero.
NORA (entra a destra) A maggior ragione bisogna che accada.

(Lei ritorna con il suo mantello e una piccola valigia, che posa su
una sedia vicino al tavolo.)

HELMER Nora, Nora, non adesso! Aspetta fino a domani.


NORA (si mette la cappa) Non posso passare la notte nell’appar-
tamento di un estraneo.
HELMER Ma non possiamo magari abitare qui come fratello e
sorella –?
NORA (sistema il cappello) Tu sai molto bene, che non durereb-
be a lungo –. (Si avviluppa nello scialle.) Addio, Torvald. Non
voglio vedere i piccoli. Io so, che sono in mani migliori delle
mie. Così come sono ora, non posso essere nulla per loro.
HELMER Ma un giorno, Nora, – un giorno, –?
NORA Come posso saperlo? Io non so affatto, che cosa diven-
terò.
HELMER Ma tu sei mia moglie, quale sei adesso e quale diventerai.
NORA Ascolta, Torvald; – quando una moglie abbandona la casa
di suo marito, come faccio io ora, ho sentito dire che, secondo la
legge, lui è sciolto da tutti gli obblighi verso di lei. In ogni caso
io ti sciolgo da ogni obbligo. Non devi sentirti legato da niente,
e così voglio che sia per me. Deve esserci piena libertà da en-
trambe le parti. Guarda, ecco qui indietro il tuo anello. Dammi
il mio.
HELMER Anche questo?

97
«Io ho la forza [kraft ] per diventare un altro». Solito linguaggio di Torvald,
che già all’inizio del II atto aveva proclamato: «In una situazione veramente
critica, credi pure, io ho sia coraggio che forza [kræfter]». Il sostantivo kraft
ha 2 sole occorrenze nel testo, queste, appunto, di cui si riempie la bocca Tor-
vald nei momenti sbagliati, prima o dopo la battaglia.
228 HENRIK IBSEN

NORA Questo anche.98


HELMER Eccolo.
NORA Bene. Sì, ora dunque è finita. Io metto qui le chiavi. Per
tutte le questioni della casa, le domestiche sono al corrente –
meglio di me. Domani, quando sarò partita, Kristine verrà qui
per impacchettare le cose che sono di mia proprietà da quando
ero ragazza. Me le farò spedire.99
HELMER Finito, finito! Nora, non penserai mai più a me?
NORA Mi verrà certo spesso da pensare a te e ai bambini e a
questa casa.
HELMER Potrò scriverti, Nora?
NORA No, – mai. Per questo tu non otterrai il permesso.100
HELMER Oh, ma potrò almeno spedirti –
NORA Nulla; nulla.
HELMER – aiutarti, se tu ne avessi bisogno.
NORA No, dico io. Non accetto niente da estranei.
HELMER Nora, – potrò mai diventare qualcosa di più di un
estraneo per te?
NORA (prende la sua valigia) Ah, Torvald, dovrebbe accadere
allora la cosa più meravigliosa. –
HELMER Dimmi che nome ha questa cosa più meravigliosa!
NORA Dovremmo proprio, sia tu che io, trasformare noi in mo-
do che –. Oh, Torvald, non credo più alla cosa meravigliosa.

98
Også dette? / Dette også, «Anche questo? // Questo anche». Preziosa forma
di chiasmo, a nobilitare l’implacabilità del parlare sentenzioso di Nora.
99
Nora vuole le cose che sono di sua proprietà, min ejendom hjemmefra, let-
teralmente «di mia proprietà dal focolare», cioè dal suo focolare d’origine,
della casa paterna (ho tradotto «da quando ero ragazza»). Nora distingue
puntigliosamente in questa battuta hjem e hus, il focolare (paterno) e la casa
(maritale). Il sostantivo ejendom ha solo 3 occorrenze nel testo, e le prime
due erano in bocca a Torvald, precedentemente, in questo stesso III atto («Io
non dovrei guardare la mia più cara proprietà?», «lui l’ha perdonata con cuo-
re colmo e sincero. Lei diventa per questo sua proprietà quasi in doppio sen-
so»). Nora ritrova sé stessa (sottraendosi come proprietà di Torvald) ritrovan-
do le proprie radici, gli oggetti della casa paterna che si è portata nella casa
maritale (come la protagonista eponima di Hedda Gabler che ha condotto
nella casa del marito alcuni segni della sua vita precedente: un pianoforte, il
ritratto e le pistole del padre).
100
Det får du ikke lov til, «Per questo tu non otterrai il permesso». Alla prima
notizia che Nora andava via di casa, Torvald aveva ingiunto: Du får ikke lov!,
«Tu non otterrai il permesso!». Nora gli replica a distanza. Forse gli fa il ver-
so, irridente.
UNA CASA DI BAMBOLA 229

HELMER Ma io voglio crederci. Dimmi che nome ha! Trasfor-


mare noi in modo che –?
NORA Che la vita in comune fra noi due possa diventare un ma-
trimonio. Addio. (Esce attraverso l’anticamera.)
HELMER (sprofonda in una sedia vicino alla porta e si copre il vi-
so con le mani) Nora! Nora! (Getta gli occhi attorno.) Vuoto.
Lei non è più qui. (Una speranza sorge in lui.) La cosa più
meravigliosa –?!101

(Si sente sotto il rimbombo di un portone che si richiude.)

101
Vidunderlig ha 19 ricorrenze nel testo, ma ben 4 riunite in questa pagina
ultima della pièce. Inoltre in 16 l’aggettivo ha il grado positivo, e in 3 ha il
grado superlativo (vidunderligste, tutt’e tre qui). Un’insistenza eccessiva su
una parola-chiave; un modo di suggerire che la diabolica coppia Helmer sta
ricominciando a tessere la sua ragnatela romanzesca. Dopo il gioco degli eroi
(finito malamente), e dopo la sceneggiata della donna emancipata (che du-
rerà quindici giorni, come ipotizza Groddeck), ci sarà il meraviglioso realiz-
zato. Ed è sempre Nora a menare la danza. È lei a imporre per prima non so-
lo l’aggettivo fatale, ma anche il grado superlativo del medesimo: «Ah, Tor-
vald, dovrebbe accadere allora la cosa più meravigliosa [vidunderligste] –».
Dopo tante dichiarazioni laiche e raziocinanti, ecco insinuarsi la consueta ci-
fra dell’irrazionale e del fantastico. E Torvald scende subito in campo: Nævn
mig dette vidunderligste!, letteralmente «Nominami questa cosa più meravi-
gliosa!». Esattamente come nel mondo magico, basta dire il nome perché la
cosa sia. S’intende che il ritorno di Nora è solo adombrato, ma la didascalia
concernente Torvald («Una speranza sorge in lui») significa pur qualcosa;
non avrebbe senso, se davvero Torvald fosse sconfitto per sempre.
Studio di Helmer Anticamera Ingresso dall’esterno Cucina
pianoforte

verso
la Sala
Camera Salotto pranzo
bambini e
Camere
da
letto

Spettatori
Una casa di bambola
SPETTRI
(1881)
Un dramma familiare in tre atti1
Traduzione di Roberto Alonge e Franco Perrelli*

*
Le note sono a cura di Roberto Alonge.
1
Et familjedrama, «un dramma familiare», con l’articolo indeterminativo, co-
me già nel titolo di Una casa di bambola: anche qui a sottolineare un singolo
esempio, fra tanti possibili, della generale fenomenologia della famiglia otto-
centesca.
PERSONAGGI

SIGNORA HELENE ALVING, vedova del capitano e ciambellano2 Alving


OSVALD ALVING, suo figlio, pittore
PASTORE MANDERS
FALEGNAME ENGSTRAND
REGINE ENGSTRAND, a servizio in casa della signora Alving

L’azione si svolge nella tenuta di campagna della signora Alving presso


un grande fiordo della Norvegia occidentale.

2
Ciambellano è Kammerherre, letteralmente «signore della camera», in ori-
gine dignitario di corte, addetto agli appartamenti del sovrano. Al tempo di
Ibsen indica genericamente un titolo onorifico.
PRIMO ATTO

(Un ampio salotto che dà sul giardino3 con una porta sulla parete
sinistra e due porte sulla parete di destra. In mezzo al salotto un
tavolo rotondo con delle sedie intorno; sul tavolo, libri, riviste e
giornali. Verso il proscenio a sinistra una finestra e vicino ad essa
un piccolo sofà con davanti un tavolino per il cucito. In fondo il
salotto si prolunga in un vano-serra4 aperto e un po’ più stretto,
chiuso all’esterno da vetrate a grossi riquadri. Nel vano-serra, sul-
la parete di destra, c’è una porta che dà sul giardino. Attraverso le
vetrate si scorge un tetro paesaggio di fiordo, velato da una piog-
gia insistente.)

(Il falegname Engstrand in piedi vicino alla porta del giardino.5


Ha la gamba sinistra lievemente storpia; sotto la suola dello stivale
un rialzo di legno. Regine con in mano un annaffiatoio vuoto gli
impedisce di venire avanti.)

REGINE (a voce bassa) Che vuoi? Fermati dove sei. Sgoccioli.


ENGSTRAND È la pioggia di Nostro Signore, questa, bambina mia.
REGINE È la pioggia del demonio, questa.
ENGSTRAND Cristo che risposte, Regine. (Zoppicando, fa qual-
che passo nel salotto.) Ma era questo, che volevo dirti –

3
«Salotto che dà sul giardino», havestue, non molto diverso da havesal de I
sostegni della società, di cui cfr. n. 7.
4
Blomsterværelse è, letteralmente, «stanza dei fiori», ma abbiamo tradotto –
con l’eccezione di cui si dirà alla n. 33 – con «vano-serra», perché si tratta
della parte estrema del salotto, che apre sul giardino, e che è caratterizzata
dalla presenza di piante e di fiori.
5
Havedør, «porta del giardino», è quella collocata nella parete destra del va-
no-serra, che conduce al giardino attraverso una serie di gradini. Di qui, il ri-
cordo della signora Alving, che sentì la serva che «veniva su [kom op] dal
giardino con l’acqua per i fiori», mentre sentì semplicemente «venire [kom]
anche Alving», che dunque proveniva dall’interno della casa.
234 HENRIK IBSEN

REGINE Non battere così con quel piede, uomo! Il giovane si-
gnore sopra sta dormendo.
ENGSTRAND Dorme ancora? In pieno giorno?
REGINE Questo non ti riguarda.
ENGSTRAND Io sono stato a far baldoria ieri sera –
REGINE Questo lo credo senza difficoltà.
ENGSTRAND Sì, perché noi uomini siamo deboli, bambina mia –
REGINE Sì, che lo siamo.
ENGSTRAND – e le tentazioni sono svariate a questo mondo, sai –;
e tuttavia stamattina presto alle cinque e mezzo, sì per Dio, ero al
lavoro.
REGINE Sì, sì, ma adesso vattene. Qui rendez-vous con te non
voglio averne.
ENGSTRAND Che cos’è che non vuoi?
REGINE Non voglio che qualcuno t’incontri qui. E dai; vattene
via.
ENGSTRAND (avvicinandosi di qualche passo) No per Dio prima
devo farmi una chiacchierata con te. Oggi pomeriggio finisco il
lavoro giù alla scuola, e stasera me ne ritorno in città con il bat-
tello.
REGINE (mormora) Buon viaggio!
ENGSTRAND Grazie, bambina mia. Domani s’inaugura il convit-
to,6 e qui c’è da aspettarsi una bella sbornia generale, capisci. E
nessuno dovrà dire di Jakob Engstrand, che non sa dominarsi,
quando la tentazione si presenta.
REGINE Oh!
ENGSTRAND Già, perché domani qui ci sarà tanta gente fine. Si
aspetta dalla città anche il reverendo Manders.
REGINE Arriva proprio oggi.
ENGSTRAND Lo vedi. E diavolo, non voglio che abbia da ridire
sul mio conto, comprendi.
REGINE Oho, è così!
ENGSTRAND Che cosa è così?
REGINE (lo guarda fisso) In quale trappola, vuoi di nuovo attira-
re il reverendo Manders?
ENGSTRAND Zitta, zitta; sei matta? Io attirare il reverendo Man-
ders in una trappola? Oh, il reverendo Manders è stato troppo
buono con me per quella cosa. Ma era quello, su cui volevo fare
due chiacchiere, vedi, io stasera me ne ritorno a casa.

6
Asyl, che abbiamo tradotto sistematicamente con «convitto», per le ragioni
esposte alla n. 18.
SPETTRI 235

REGINE Per me prima te ne vai e meglio è.


ENGSTRAND Sì, ma io voglio che tu venga con me, Regine.
REGINE (a bocca aperta) Tu vuoi che venga –? Ma, che stai di-
cendo?
ENGSTRAND Voglio che venga a casa con me, dico.
REGINE (sprezzante) Mai e poi mai mi avrai a casa con te.
ENGSTRAND Oh, lo vedremo.
REGINE Sì, puoi star sicuro che lo vedremo. Io, che sono cresciu-
ta dalla moglie del ciambellano Alving –? Io, che qui sono trat-
tata quasi come una figlia –? Io dovrei trasferirmi a casa tua? In
quella casa lì? Ma va’!
ENGSTRAND Che diavolo è questo? Ti ribelli a tuo padre, ragaz-
zetta?7
REGINE (mormora senza guardarlo) Quante volte non hai detto
che non avevo niente da spartire con te.
ENGSTRAND Uff; che t’importa di ciò –
REGINE Non mi hai strapazzata un sacco di volte e dato della –?
Fi donc! 8
ENGSTRAND Dio-no una parola sporca come quella non l’ho
mai usata.
REGINE Oh, me le ricordo io, le parole che usavi tu.
ENGSTRAND Sì, ma solo quando ero sbronzo – hm. Le tentazio-
ni sono svariate a questo mondo, Regine.
REGINE Uh!
ENGSTRAND E poi era, quando tua madre faceva la bisbetica.
Dovevo pur trovare qualcosa per provocarla, bambina mia.
Sempre suscettibile era su queste cose. (Imitandola.) «Lasciami
Engstrand! Lasciami stare! Ho servito tre anni dal ciambellano
Alving di Rosenvold, io!» (Ride.) Cristo mi guardi; mai che di-
menticasse che il capitano era diventato ciambellano, mentre
lei era al suo servizio.
REGINE Povera mamma; – l’hai fatta fuori presto a forza di tor-
menti.

7
Tøs, solo 8 ricorrenze nel teatro ibseniano, che abbiamo tradotto (quasi) si-
stematicamente con «ragazzetta», per differenziare da «fruentimmer», «fem-
mina» (cfr. I sostegni della società, n. 23). In Spettri 3 frequenze, tutte di Eng-
strand, con una sfumatura spesso un po’ picaresca (con qualche forzatura
avremmo potuto tradurre anche con «squinzia»). Ne I sostegni della società c’è
un tøsunge (riferito a Dina bambina) che abbiamo tradotto con «monella».
8
Interiezione che vale vergogna! Regine usa spesso espressioni francesi per-
ché studia la lingua nella speranza di andare a Parigi con Osvald: cfr. n. 29.
236 HENRIK IBSEN

ENGSTRAND (con una giravolta) Si capisce; la colpa di tutto è mia.


REGINE (si volta, a mezza voce) Uff –! E quella gamba.
ENGSTRAND Che dici, bambina mia?
REGINE Pied de mouton.
ENGSTRAND È inglese, questo?
REGINE Sì.
ENGSTRAND Sì-sì; un’istruzione quassù l’hai ricevuta, e, questa,
può tornare utile adesso, Regine.
REGINE (dopo un breve silenzio) E cos’era che volevi fare di me
in città?
ENGSTRAND Chiedi cosa un padre voglia fare della sua unica
bambina? Non sono un vedovo solo e abbandonato?
REGINE Oh, non venirtene con queste chiacchiere. Perché mi
vuoi con te?
ENGSTRAND Be’, ti dirò, adesso avrei pensato di metter su qual-
cosa di nuovo.
REGINE (sbuffa) Ci hai provato un sacco di volte; e t’è sempre
andata storta.
ENGSTRAND Sì, ma stavolta vedrai, Regine! – Che il diavolo mi
porti –
REGINE (battendo i piedi) Piantala con le bestemmie!9
ENGSTRAND Zitta, zitta; su questo hai proprio ragione, bambina
mia! Solo questo, volevo dire, – ho messo da parte un po’ di sol-
di lavorando a questo nuovo convitto.
REGINE Davvero? Buon per te, questo.

9
Il realismo di Ibsen ci regala, nella figura di Engstrand, l’immagine di un
proletario ubriacone, senza scrupoli, e persino un poco criminale. Come ri-
sulta dal finale, è lui che mette a fuoco il convitto, per dare la colpa a Man-
ders, salvo, immediatamente dopo, assumersene la colpa e ricattare così Man-
ders, che lo aiuterà finanziariamente nel suo progetto originario: mettere su
un locale-bordello per marinai di alto bordo (capitani e timonieri). Da perso-
naggio diabolico quale è, non può non avere una zoppia alla gamba sinistra
(quella del maligno appunto). Regine gli grida Pied de mouton, cogliendo co-
sì involontariamente la natura animalesca di lui, caprina, e cioè diabolica, se-
condo una nota iconografia del diavolo, mezzo uomo e mezzo caprone. In
questo quadro, non stupisce che nomini continuamente il diavolo e che be-
stemmi. Il suo linguaggio è però un impasto gustosissimo di accenti canaglie-
sco-infernali saporosamente mescolati con cadenze scritturali, sì da risultare
una splendida figura di «Tartufo operaio», come è stato detto. S’intende che,
anche quando nomina Dio, è come se bestemmiasse. I suoi insistenti Jøss
(letteramente «Gesù») hanno l’ambiguità dei nostri «Cristo!», che sono cioè
un po’ invocazione e un po’ bestemmia.
SPETTRI 237

ENGSTRAND E perché mai spenderli qui in campagna i quattrini?


REGINE Be’, dunque?
ENGSTRAND Già, vedi, avevo pensato d’investire i soldi in qual-
cosa, che potesse rendere. Si tratterebbe di una specie di locale
per la gente di mare –
REGINE Uff!
ENGSTRAND Un locale proprio fine, sai; – mica quelle schifezze
per la ciurma. No, sangue di Cristo, – roba per capitani e timo-
nieri e – e gente proprio fine, sai.
REGINE E così io dovrei –?
ENGSTRAND Tu potresti dare una mano, sì. Solo per rappresen-
tanza, si capisce. Diavolo, non c’è da faticare, bambina mia. Fa-
resti quello che ti pare.
REGINE Sì-sì, proprio!
ENGSTRAND Ma femmine ce ne devono essere per casa, questo
è chiaro come il sole, questo. Perché la sera ci divertiremo un
po’ con canzoni e balli e roba del genere. Devi capire, sono ma-
rinai che vagano per i mari del mondo. (Più vicino.) Non fare la
stupida e non sbarrarti la strada da sola, Regine. Che cosa puoi
combinare da queste parti? A che ti serve che la signora a sue
spese t’ha dato un’istruzione? Ti occuperai dei bambini nel con-
vitto nuovo, ho sentito. È roba per te questa? Ci hai una voglia
matta di rovinarti la salute per quei luridi mocciosi?
REGINE No, se le cose andassero come voglio io, allora – Ma,
può succedere. Può succedere!10
ENGSTRAND Che cos’è che può succedere?
REGINE Non t’interessa. – È molto il denaro che hai messo da
parte qui?
ENGSTRAND Saranno in tutto sette – ottocento corone.
REGINE Mica male.
ENGSTRAND È quanto basta per cominciare, questo, bambina
mia.
REGINE E non pensi di regalarmi un po’ di quel denaro?
ENGSTRAND No per Dio, non ci penso, no.
REGINE Non pensi neanche di passarmi qualche stoffa per un
vestitino?
ENGSTRAND Basta che vieni a stabilirti con me in città, tu, e ne
avrai di stoffe per vestirti.

10
Regine – che è una proletaria spregiudicata, non meno di Engstrand – va-
gheggia di poter sposare il padroncino Osvald, secondo una progettualità
che risale a due anni prima (cfr. n. 29).
238 HENRIK IBSEN

REGINE Uff, per questo posso fare con le mie mani, se ne ho voglia.
ENGSTRAND No, con la mano guida di un padre, è meglio, Regi-
ne. Ora posso comprare una casetta al Vicolo del Porto. Non
serviranno molti contanti; e lì potrebbe sorgere una specie di
casa del marinaio, comprendi.
REGINE Ma io non voglio stare con te! Io non ho niente a che fa-
re con te. Vattene!
ENGSTRAND Diavolo non ci staresti a lungo con me, bambina
mia. Mica tanto. Se capisci come ti devi muovere. Bella ragaz-
zetta, come ti sei fatta negli ultimi due anni –
REGINE Be’ –?
ENGSTRAND Non passa molto che si presenta un timoniere, – sì,
magari un capitano –
REGINE Non vorrei sposarmi con nessuno di questi. I marinai
non hanno savoir vivre.
ENGSTRAND Cos’è che non hanno?
REGINE Li conosco i marinai, ti dico. E non è gente da sposare.
ENGSTRAND E non sposarteli. Ci si può guadagnare lo stesso. (Più
confidenziale.) Lui – l’inglese – quello con la barca da diporto –
diede trecento talleri, quello; – e lei non era più bella, lei, di te.
REGINE (contro di lui) Fuori!
ENGSTRAND (indietreggia) Be’, be’; non vorrai mica picchiarmi, no.
REGINE Sì! Se fai chiacchiere su mamma, ti picchio. Fuori, t’ho
detto! (Lo spinge verso la porta del giardino.) E non sbattere le
porte; il giovane signor Alving –
ENGSTRAND Quello dorme, sì. Strano quanto ti preoccupi del
giovane signor Alving. – (Più piano.) Ohoh; sarebbe mai possi-
bile che lui –?
REGINE Fuori, e alla svelta! Sei uno stordito, uomo! No, non per
di là. Sta arrivando il pastore Manders. Scendi per la scala della
cucina.
ENGSTRAND (verso destra) Sì, sì, scendo. Ma scambiale due
chiacchiere con quello, che sta arrivando là. Lui è la persona
che ti può spiegare quel che una figlia deve al proprio padre.
Perché io resto comunque tuo padre, sai. E te lo posso dimo-
strare con il registro della chiesa. (Esce dalla seconda porta che
Regine ha aperto e gli richiude dietro.)
REGINE (si guarda velocemente allo specchio, si sventola con il
fazzoletto e si aggiusta il cravattino; quindi si dedica ai fiori)11

11
Formidabile il cinismo della nostra graziosa arrampicatrice sociale, che gioca
su due tavoli, Osvald ma anche Manders. Si noti come controlli la sua grazia
SPETTRI 239

(Il pastore Manders, con il soprabito e l’ombrello, una piccola


borsa da viaggio a tracolla, entra nel vano-serra dalla porta del
giardino.)

PASTORE MANDERS Buon giorno, signorina Engstrand.


REGINE (si volta felicemente sorpresa) Oh, buon giorno, signor
pastore! È già arrivato il vapore?
PASTORE MANDERS È appena arrivato. (Entra nel salotto che dà
sul giardino.) Fastidioso davvero questo tempo di pioggia che
stiamo avendo di questi giorni.
REGINE (seguendolo) È un tempo benedetto per i contadini, si-
gnor pastore.12
PASTORE MANDERS Sì, in questo lei ha ragione. Noi di città non
ci pensiamo. (Fa per togliersi il soprabito.)
REGINE Oh, posso aiutare? – Così. No, quant’è bagnato! Adesso
vado ad appenderlo in anticamera. E l’ombrello anche –; glielo
apro, così si asciuga.

(Esce con quelle cose dalla seconda porta a destra. Il pastore Man-
ders prende la borsa da viaggio e la depone con il cappello su una
sedia. Intanto rientra Regine.)

PASTORE MANDERS Ah, è un vero piacere arrivare in una casa.


Be’, tutto a posto qui nella proprietà?
REGINE Sì, molte grazie.
PASTORE MANDERS Ma gran daffare, suppongo, per domani?
REGINE Oh sì, ce n’è di lavoro.
PASTORE MANDERS E la signora Alving spero sia in casa?
REGINE Sì per la croce; sta di sopra a preparare la cioccolata per
il giovane signore.

personale allo specchio e si metta poi a lavorare, facendo finta di essere sorpre-
sa dall’ingresso del pastore (che invece ha visto arrivare dalla vetrata del vano-
serra): piccola sceneggiata per far colpo su Manders, esibendogli un profilo di
lavoratrice zelante e inappuntabile (ma anche femminilmente seducente).
12
Regine realizza uno spregiudicato rovesciamento sul tema della pioggia ri-
spetto a quanto aveva detto a Engstrand, ad apertura di sipario. Per il falegna-
me si trattava della «pioggia di Nostro Signore», ma per Regine era «la pioggia
del demonio» (in giusta coerenza con la natura demoniaca di Engstrand).
Adesso, con Manders, assume improvvisamente il punto di vista tartufesco del
patrigno, mettendo in imbarazzo il pastore che ha detto che la pioggia è fasti-
diosa («È un tempo benedetto per i contadini, signor pastore»). Regine ha im-
parato bene, da Engstrand, come si raggirano gli uomini di chiesa.
240 HENRIK IBSEN

PASTORE MANDERS Già, a proposito –, all’imbarco, ho sentito


che era arrivato Osvald.
REGINE Sì, è arrivato l’altro ieri. Noi non lo aspettavamo prima
di oggi.
PASTORE MANDERS E sano e salvo, voglio sperare?13
REGINE Sì grazie, abbastanza. Ma orribilmente sfinito dal viag-
gio. Ha fatto tutta una tirata da Parigi –; voglio dire, tutto il tra-
gitto con un solo treno. Credo che stia dormendo un po’ ades-
so, e dobbiamo parlare un pochino più sottovoce.
PASTORE MANDERS Zitti, ce ne staremo buoni buoni.
REGINE (collocando una poltrona vicino al tavolo) Prego si sie-
da, signor pastore, si metta comodo. (Lui si siede; lei gli mette
uno sgabello sotto i piedi.) Ecco! Va bene adesso, signor pa-
store?
PASTORE MANDERS Grazie, grazie; sto ottimamente. (La squa-
dra.) Senta, sa una cosa, signorina Engstrand, mi pare proprio
cresciuta dall’ultima volta che l’ho vista.
REGINE Davvero, signor pastore? La signora dice, che ho preso
un po’ di forme.
PASTORE MANDERS Lei preso un po’ di forme? – Già, forse un
po’; – quanto basta. (Breve silenzio.)14
REGINE Forse devo avvertire la signora?
PASTORE MANDERS Grazie, grazie, non c’è fretta, mia cara bam-
bina. – Piuttosto, mi dica un po’, mia buona Regine, come se la
passa suo padre da queste parti?
REGINE Oh grazie, signor pastore, abbastanza bene.
PASTORE MANDERS È stato da me, l’ultima volta che è venuto in
città.

13
Non è una frase di circostanza, come sembra credere la critica ibseniana. Il
buon senso del severo e lungimirante pastore luterano sa bene che Parigi è
luogo peccaminoso, da cui non è facile uscire «sano e salvo», spiritualmente e
fisicamente.
14
Dopo le minute espressioni di sollecitudine (gli prende il soprabito, apre
l’ombrello perché asciughi, sistema lo sgabello sotto i piedi) e di compita pro-
fessionalità servile (sul molto lavoro che c’è in casa, sulla opportunità di par-
lare sottovoce per non disturbare il padroncino che dorme), Regine non
manca, al momento opportuno, di schiudere sotto gli occhi del reverendo la
sua esplosa bellezza di fanciulla in fiore e bene in carne, che «ha preso un po’
di forme». Manders dice pudicamente che è «cresciuta» da quando l’aveva
vista l’ultima volta, in occasione della cresima, cioè che si è sviluppata. L’età
della cresima – in ambiente luterano – è sui sedici-diciassette anni. Cfr. anche
n. 41. Per l’abituale congruità aritmetica dei calcoli ibseniani cfr. n. 29.
SPETTRI 241

REGINE Ah, davvero? È sempre così contento d’incontrare il


pastore.
PASTORE MANDERS E lei scende spesso a fargli visita durante la
giornata?
REGINE Io? Sì, certo; appena ho un momento libero, allora –
PASTORE MANDERS Suo padre non ha un carattere forte, signorina
Engstrand. Ha assolutamente bisogno di una mano che lo guidi.
REGINE Oh sì, questo può essere, questo.
PASTORE MANDERS Ha bisogno di avere vicino a sé, qualcuno
cui possa voler bene, e il cui consiglio possa ascoltare. Lui stesso
l’ha riconosciuto sinceramente, l’ultima volta che è stato da me.
REGINE Sì, mi ha parlato di qualcosa del genere. Ma io non so,
se la signora Alving intenda fare a meno di me, – specie adesso,
che c’è da governare il nuovo convitto. E poi mi dispiacerebbe
orribilmente separarmi dalla signora Alving, che è sempre stata
così gentile con me.
PASTORE MANDERS Ma il dovere di una figlia, mia cara ragaz-
za –. Naturalmente dovremo prima ottenere il consenso della
sua padrona.
REGINE Ma io non so però, se sia conveniente, alla mia età, an-
dare a governare la casa di un uomo solo.
PASTORE MANDERS Cosa! Ma cara signorina Engstrand, è di suo
padre che stiamo parlando!
REGINE Be’, può darsi, eppure –. Be’, se si trattasse di una buo-
na casa e di un signore davvero perbene –
PASTORE MANDERS Ma, mia cara Regine –
REGINE – uno, cui potessi affezionarmi e stimare e che mi tenes-
se come una figlia –
PASTORE MANDERS Sì, ma mia cara buona bambina –
REGINE Allora ci andrei volentieri in città. Qui si è così infinita-
mente soli, – e il signor pastore, lui sa, cosa vuol dire essere soli
al mondo. E oso affermare che sono svelta e volenterosa. Non è
che il signor pastore sa di qualche servizio del genere per me?
PASTORE MANDERS Io? No, davvero non so.
REGINE Ma caro, caro signor pastore, – pensi a me, se mai –
PASTORE MANDERS (si alza) Sì, lo farò, signorina Engstrand.
REGINE Sì, perché se io –
PASTORE MANDERS Vorrebbe essere così gentile da chiamarmi
la signora?15
15
È una piccola ma gustosa scena di seduzione. Regine si autocandida co-
me cameriera del pastore, facendo valere al tempo stesso le proprie doti di
efficienza professionale («E oso affermare che sono svelta e volenterosa»)
242 HENRIK IBSEN

REGINE Verrà subito, signor pastore. (Esce a sinistra.)


PASTORE MANDERS (va un po’ su e giù per il salotto, si ferma un
attimo sul fondo con le mani dietro la schiena a guardare fuori
nel giardino. Quindi si riavvicina al tavolo, prende un libro e dà
un’occhiata al titolo, è stupefatto e ne esamina parecchi altri)
Hm, – ma guarda!

(La signora Alving entra dalla porta della parete di sinistra.


È seguita da Regine, che subito esce dalla porta anteriore sulla
destra.)

SIGNORA ALVING (gli porge la mano) Benvenuto, signor pastore.


PASTORE MANDERS Buon giorno, signora. Eccomi qui, come
promesso.
SIGNORA ALVING Sempre puntuale lei.
PASTORE MANDERS Ma deve credermi, non è stato facile libe-
rarmi. Tutte quelle benedette commissioni e comitati di gestio-
ne, di cui faccio parte –
SIGNORA ALVING Tanto più gentile da parte sua, essere venuto
così puntualmente. Dunque potremo sistemare i nostri affari
prima di pranzo. Ma dov’è il suo bagaglio?
PASTORE MANDERS (rapido) Le mie cose stanno giù all’empo-
rio. Passo lì la notte.
SIGNORA ALVING (reprime un sorriso) Davvero non vuol farsi
persuadere a pernottare in casa mia neanche questa volta?
PASTORE MANDERS No, no, signora; con tanti ringraziamenti; re-
sterò giù, come al solito. È così comodo, per reimbarcarsi.
SIGNORA ALVING Bene, faccia come vuole. Ma a me pare dopo
tutto, che noi due anziani –16
PASTORE MANDERS Oh Dio mi guardi, scherza lei. Già, natural-
mente oggi è molto contenta. Domani c’è la festa, e poi c’è
Osvald a casa.
SIGNORA ALVING Sì, ci pensa, che felicità per me! Erano oltre

e le più sfumate qualità di consolatrice rispetto alla dimensione di solitudi-


ne che deve pesare pure, in qualche modo, anche allo stesso Manders («Qui
si è così infinitamente soli»), il quale si sottrae a fatica a quell’assedio: che
dobbiamo immaginare in termini teatrali, come conturbante avvicinamen-
to di corpi, quasi una Regine che gli sbatta sotto il naso il suo seno prorom-
pente.
16
In passato si sono amati, Manders e Helene Alving, ma lei è stata spinta dai
suoi familiari a un matrimonio di interesse. La rivelazione avviene più avan-
ti, ma Ibsen, al solito, prepara il gioco scoprendo per tempo qualche carta.
SPETTRI 243

due anni che non tornava. Ma ha promesso che starà con me


tutto l’inverno.
PASTORE MANDERS No, lui farà questo? Bello e filiale da parte
sua. Perché dev’essere molto più attraente vivere a Roma e a
Parigi, suppongo.
SIGNORA ALVING Sì, ma qui a casa c’è la sua mamma, sa. Oh,
mio caro benedetto ragazzo, – lui ce l’ha ancora il cuore per la
sua mamma, lui!17
PASTORE MANDERS Sarebbe ben spiacevole, se la distanza e
l’occuparsi di roba come l’arte attenuassero sentimenti così na-
turali.
SIGNORA ALVING Già, lo può ben dire. Ma non c’è proprio peri-
colo con lui, no. Be’, ora mi divertirò davvero a vedere se lo ri-
conosce. Scende a momenti; adesso è di sopra a riposare un po’
sul sofà. – Ma si sieda, mio caro signor pastore.
PASTORE MANDERS Grazie. Dunque è pronta –?
SIGNORA ALVING Sì certo. (Si siede vicino al tavolo.)
PASTORE MANDERS Bene; allora vede – (Si dirige verso la sedia,
su cui giace la sua borsa da viaggio, ne tira fuori un fascio di car-
te, si siede al capo opposto del tavolo e cerca uno spazio libero
per le carte.) Ecco per prima cosa – (S’interrompe.) Mi dica, si-
gnora Alving, come sono arrivati questi libri qui?
SIGNORA ALVING Questi libri? Sono i libri, che io leggo.
PASTORE MANDERS Lei legge questo genere di scritti?
SIGNORA ALVING Sì certamente.
PASTORE MANDERS E lei sente, di diventare migliore o più feli-
ce con questo genere di letture?
SIGNORA ALVING Mi pare, di essere più sicura.
PASTORE MANDERS È singolare. E in che modo?
SIGNORA ALVING Sì, è come se ci trovassi la spiegazione e la
conferma di tante cose, su cui vado riflettendo. Sì, perché lo
strano è questo, pastore Manders, – in effetti non c’è niente di
nuovo in questi libri; non c’è altro che quello che la maggior
parte degli uomini pensa e crede. Solo che la maggior parte de-
gli uomini non se ne rende conto o non vuole riconoscerlo.
PASTORE MANDERS Oh mio Dio! Lei crede sul serio, che la mag-
gior parte degli uomini –?

17
Il raddoppiamento del «lui» è della lingua di Ibsen, e ha un valore allusivo:
lui, il figlio, vuole bene a Helene Alving, a differenza dell’altro lui, il pastore
Manders, che non accetta nemmeno ora – in vecchiaia – di dormire sotto lo
stesso tetto della donna.
244 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Sì, che lo credo.


PASTORE MANDERS Già, ma non in questo paese? Non qui da
noi?
SIGNORA ALVING Ma sì, anche qui da noi.
PASTORE MANDERS Eh no, in verità devo dire –!
SIGNORA ALVING Ma poi che cosa ci ha da obiettare su questi
libri?
PASTORE MANDERS Obiettare? Non crederà mica, che io mi de-
dichi a studiare certi prodotti?
SIGNORA ALVING Vuol dire che, lei non conosce affatto quel che
condanna?
PASTORE MANDERS Ho letto a sufficienza su questi scritti per
disapprovarli.
SIGNORA ALVING Sì ma la sua opinione personale –
PASTORE MANDERS Cara signora, sono molti i casi della vita, nei
quali bisogna affidarsi agli altri. Così va il mondo; ed è un bene.
Altrimenti la società come andrebbe avanti?
SIGNORA ALVING No-no; su questo può aver ragione.
PASTORE MANDERS Del resto naturalmente non nego, che ci
possa essere qualcosa di attraente in scritti come questi. E
neanche mi sentirei di biasimarla, per il suo desiderio d’istruirsi
sulle correnti spirituali, che a quanto si dice sorgono fuori nel
vasto mondo, – dove lei ha fatto girare suo figlio così a lungo.
Ma –
SIGNORA ALVING Ma –?
PASTORE MANDERS (abbassa la voce) Ma non si parla di queste
cose, signora Alving. Non c’è affatto bisogno di render conto a
chiunque di quel che si legge e si pensa fra le proprie quattro
mura.
SIGNORA ALVING No, naturalmente; sono d’accordo anch’io.
PASTORE MANDERS Pensi soltanto quali riguardi deve a questo
convitto, che lei ha deciso di fondare in un’epoca, in cui le sue
opinioni sulle cose spirituali erano molto divergenti da quelle
odierne; – da quanto io posso giudicare.
SIGNORA ALVING Sì sì, lo riconosco completamente. Ma era del
convitto –
PASTORE MANDERS Era del convitto che dovevamo parlare, già.
Così – cautela, cara signora! E ora veniamo ai nostri affari.
(Apre una cartellina e tira fuori dei fogli.) Vede?
SIGNORA ALVING I documenti?
PASTORE MANDERS Tutti quanti. E in perfetto ordine. Creda, s’è
penato per averli in tempo. Ho dovuto fare vere e proprie pres-
SPETTRI 245

sioni. Le autorità hanno scrupoli quasi schiaccianti quando si


tratta di decidere. Ma eccoli qua. (Sfoglia l’incartamento.) Ecco
l’atto di cessione registrato della proprietà di Solvik, dipenden-
te dalla tenuta di Rosenvold, con gli stabili recentemente co-
struiti, i locali scolastici, l’alloggio per gli insegnanti e la cappel-
la. E qui c’è l’approvazione del legato e degli statuti della fon-
dazione. Prego – (Legge) Statuti dalla casa per l’infanzia “in
memoria del Capitano Alving”.
SIGNORA ALVING (fissa a lungo il foglio) Eccoli finalmente.
PASTORE MANDERS Ho scelto il titolo di capitano e non di ciam-
bellano. Capitano suona più modesto.
SIGNORA ALVING Sì sì, come pare a lei.
PASTORE MANDERS E qui c’è il libretto di risparmio con il capi-
tale fruttifero, che è stato depositato a copertura delle spese di
gestione del convitto.
SIGNORA ALVING Grazie; ma gentilmente lo tenga lei per como-
dità.
PASTORE MANDERS Ben volentieri. Io penso, che per comincia-
re dobbiamo lasciare in banca il denaro. Il tasso non è molto al-
lettante; quattro per cento con sei mesi di vincolo. Se in seguito
si potesse trovare una buona ipoteca, – naturalmente dovrebbe
trattarsi di un’ipoteca di primo grado e assolutamente sicura, –
allora potremmo riprendere il discorso.
SIGNORA ALVING Sì, sì, caro pastore Manders, lei queste cose le
capisce meglio.
PASTORE MANDERS Comunque terrò gli occhi aperti. – Ma c’è
una cosa ancora, che avevo pensato di chiederle tante volte.
SIGNORA ALVING E quale sarebbe?
PASTORE MANDERS Dobbiamo assicurarli o no gli edifici del
convitto?
SIGNORA ALVING Sì naturalmente vanno assicurati.
PASTORE MANDERS Sì, piano, signora. Consideriamo un po’ da
vicino la faccenda.
SIGNORA ALVING Io ho tutto assicurato, sia gli edifici che i beni
mobili e il raccolto e il bestiame.
PASTORE MANDERS Va da sé. I suoi beni personali. E anch’io
faccio lo stesso, – naturalmente. Ma qui, vede, è tutt’altra cosa.
Il convitto è come se fosse consacrato a un più alto fine.
SIGNORA ALVING Sì ma caso mai –
PASTORE MANDERS Per quanto mi concerne in verità non trove-
rei proprio nulla di disgustoso ad assicurarci contro ogni even-
tualità –
246 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Infatti, anch’io sarei del parere.


PASTORE MANDERS – ma che opinione si farebbe la gente da
queste parti? Lei la conosce meglio di me.
SIGNORA ALVING Hm, l’opinione –
PASTORE MANDERS C’è un ragguardevole numero di esponenti,
– di autentici esponenti della pubblica opinione, – che potrebbe
disgustarsi per questo?
SIGNORA ALVING Sì, ma che cosa intende per autentici esponen-
ti della pubblica opinione?
PASTORE MANDERS Ecco, penso soprattutto a uomini che abbia-
no una posizione indipendente e autorevole, alle cui opinioni
non si possa non attribuire un certo peso.
SIGNORA ALVING Di questi ce ne sono parecchi, che forse po-
trebbero disgustarsi, nel caso –
PASTORE MANDERS Be’, vede! Anche in città ce ne sono molti.
Pensi solo a tutti i seguaci del mio confratello! In effetti molto
facilmente si potrebbe arrivare a considerare la cosa, come se
né lei né io confidassimo davvero nella divina provvidenza.
SIGNORA ALVING Ma da parte sua, caro signor pastore, sarà pur
convinto che –
PASTORE MANDERS Sì lo so; lo so; – io ho la mia buona coscien-
za, è vero. Eppure non riusciremo a impedire un’interpretazio-
ne errata e negativa. E ciò potrebbe esercitare un’influenza fre-
nante sulla attività del convitto.
SIGNORA ALVING Sì, questo potrebbe essere il caso, in cui –
PASTORE MANDERS Né posso del tutto prescindere dalla scabro-
sa, – sì, direi meglio penosa posizione, nella quale verrei proba-
bilmente a trovarmi io. Nei circoli dirigenti della città ci s’inte-
ressa molto a questa faccenda del convitto. Il convitto è in par-
te istituito anche a beneficio della città, e si spera che alleggeri-
sca in misura notevole l’onere del nostro comune per l’assisten-
za ai poveri. Ma essendo stato suo consigliere e avendo gover-
nato io la parte amministrativa dell’impresa, devo temere che i
censori si scaglino soprattutto contro di me –18

18
Il testo parla di asyl, destinato a una generica «assistenza ai poveri». Forse
non propriamente un «orfanotrofio», ma nemmeno un «asilo» (che farebbe
pensare all’«asilo elementare»). Abbiamo reso con «convitto», tenendo con-
to che si parla di «locali scolastici» e di «alloggio per gli insegnanti». In
quanto al tormentone sulla assicurazione, è uno degli elementi più datati
del testo ibseniano, a sottolineare le ipocrisie di un chiuso cosmo di religio-
sità tartufesca.
SPETTRI 247

SIGNORA ALVING Già, lei non deve esporsi.


PASTORE MANDERS Per non parlare degli attacchi che senza
dubbio mi indirizzerebbero su certi giornali e riviste, come –
SIGNORA ALVING Basta, caro pastore Manders; questa conside-
razione è assolutamente decisiva.
PASTORE MANDERS Così non vuole che si stipuli l’assicurazione?
SIGNORA ALVING No; lasciamo stare.
PASTORE MANDERS (si abbandona all’indietro sulla sedia) Ma se
un giorno capitasse una disgrazia? Non si può mai sapere –. Sa-
rebbe in grado di ripianare il danno?
SIGNORA ALVING No, glielo dico chiaro, non potrei in nessun
modo.
PASTORE MANDERS Sì ma comprende, signora Alving, – allora ci
assumiamo una grossa responsabilità.
SIGNORA ALVING Ma le pare, che possiamo fare altrimenti?
PASTORE MANDERS No, questo è il punto; non possiamo proprio
fare altrimenti. Non dobbiamo esporci a un falso giudizio; e non
abbiamo alcun diritto di dare scandalo alla comunità.
SIGNORA ALVING Lei, come sacerdote, in ogni caso no.
PASTORE MANDERS E in effetti io credo pure, che dobbiamo
confidare, che un’istituzione del genere debba avere la fortuna
dalla sua, – già, che stia sotto una protezione particolare.
SIGNORA ALVING Speriamo, pastore Manders.
PASTORE MANDERS Allora lasciamo le cose come stanno?
SIGNORA ALVING Certo facciamo così.
PASTORE MANDERS Bene. Come vuole lei. (Prende nota.) Allora
– niente assicurazione.
SIGNORA ALVING È strano però, che lei me ne parli proprio oggi –
PASTORE MANDERS Ho pensato spesso di chiederle in merito –
SIGNORA ALVING – perché ieri per poco non è scoppiato un in-
cendio laggiù.
PASTORE MANDERS Che cosa!
SIGNORA ALVING Be’, in fondo non è successo niente. Avevano
preso fuoco dei trucioli nella falegnameria.
PASTORE MANDERS Dove lavora Engstrand?
SIGNORA ALVING Sì. Pare che sia piuttosto sbadato con i fiam-
miferi, dicono.
PASTORE MANDERS Ha un sacco di grattacapi, quell’uomo, – un
sacco di preoccupazioni d’ogni genere. Grazie a Dio, ora cerca
di tenere una condotta di vita regolata, sento.
SIGNORA ALVING Davvero? E chi lo dice?
PASTORE MANDERS Lui stesso me l’ha garantito. E poi è un gran
lavoratore.
248 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Oh sì, finché non ha bevuto –


PASTORE MANDERS Già, quella spiacevole debolezza! Ma tante
volte vi è costretto a causa della sua gamba malata, dice lui.
L’ultima volta che è stato in città, mi ha davvero commosso. È
venuto da me e mi ha ringraziato con tanto calore per avergli
procurato il lavoro qui, così poteva stare insieme a Regine.
SIGNORA ALVING Non viene mica tanto a visitarla.
PASTORE MANDERS Be’, parla ogni giorno con lei, così m’ha ri-
ferito lui stesso.
SIGNORA ALVING Sì sì, può essere.
PASTORE MANDERS Lui capisce bene, di aver bisogno di qualcu-
no, che lo trattenga, quando s’avvicina la tentazione. Questo è il
lato amabile in Jakob Engstrand, questo, che si presenta del tutto
indifeso, accusandosi e riconoscendo le proprie debolezze. Ulti-
mamente è venuto a parlare da me –. Senta, signora Alving, se
per lui fosse una necessità del cuore riprendersi in casa Regine –
SIGNORA ALVING (si alza di scatto) Regine!
PASTORE MANDERS – lei non dovrebbe opporsi.
SIGNORA ALVING Invece, mi opporrò di sicuro. E inoltre, – Regi-
ne avrà un posto al convitto.
PASTORE MANDERS Ma rifletta, quello è comunque suo padre –
SIGNORA ALVING Oh, so molto bene, che razza di padre è stato
per lei. No, non tornerà mai da lui con il mio consenso.
PASTORE MANDERS (si alza) Ma cara signora, non sia così vio-
lenta. È proprio spiacevole, tutto questo disprezzo per il fale-
gname Engstrand. È come se lei ne fosse proprio spaventata –
SIGNORA ALVING (più calma) Lasci perdere. Io ho preso Regine
con me, e da me resterà. (Origlia.) Silenzio, caro pastore, non
ne parliamo più. (Raggiante di gioia.) Ascolti! È Osvald che sta
scendendo la scala. Ora pensiamo solo a lui.

(Osvald Alving, con un soprabito leggero, il cappello in mano men-


tre fuma una grossa pipa di schiuma, entra dalla porta di sinistra.)

OSVALD (resta sulla porta) Oh scusate – credevo foste nello stu-


dio. (Si avvicina.) Buon giorno, signor pastore.
PASTORE MANDERS (lo fissa) Ah –! È proprio curioso –
SIGNORA ALVING Già, cosa ne dice qua, pastore Manders.
PASTORE MANDERS Dico, – dico –. No, ma allora è davvero –?
OSVALD Sì, è davvero il figliuol prodigo,19 signor pastore.

19
Sul «figliuol prodigo» cfr. I sostegni della società, n. 16.
SPETTRI 249

PASTORE MANDERS Ma mio caro giovane amico –


OSVALD Allora, diciamo il figlio ritornato a casa.
SIGNORA ALVING Osvald allude ai tempi in cui lei era tanto con-
trario che diventasse pittore.
PASTORE MANDERS All’occhio umano può apparire preoccu-
pante un passo, che magari dopo – (Gli stringe la mano.) Su,
benvenuto, benvenuto! No, mio caro Osvald –. Già, potrò chia-
marla per nome?
OSVALD Certo, e come mi dovrebbe chiamare?
PASTORE MANDERS Bene. Questo volevo dire, mio caro
Osvald, – Non deve credere, che io condanni in maniera asso-
luta la condizione dell’artista. Io suppongo, che ce ne siano
molti, capaci di conservare il proprio essere interiore inconta-
minato anche in quella condizione.20
OSVALD È sperabile.
SIGNORA ALVING (raggiante di soddisfazione) Ne conosco uno
io, che ha conservato incontaminati tanto il suo essere interiore
quanto quello esteriore. Lo guardi, pastore Manders.
OSVALD (muove verso il fondo della stanza) Sì sì, cara mamma,
lascia stare.
PASTORE MANDERS Ma sicuro – è innegabile. E poi ha comin-
ciato a farsi un nome. I giornali hanno parlato spesso di lei, e in
termini oltremodo favorevoli. Be’, volevo dire – negli ultimi
tempi mi pare che si sia fatto un po’ di silenzio.
OSVALD (indietro vicino ai fiori) Non ho potuto dipingere molto
negli ultimi tempi.
SIGNORA ALVING Un pittore deve pur riposarsi ogni tanto.
PASTORE MANDERS M’immagino. E così ci si prepara e si raccol-
gono le forze per qualcosa di grande.
OSVALD Sì. – Mamma, si mangia tra poco?
SIGNORA ALVING Fra una mezz’oretta. Appetito ne ha, grazie a
Dio.
PASTORE MANDERS E gli piace pure fumare.21

20
Manders non condanna «in maniera assoluta» (ubetinget), ma in maniera
relativa sì, e in relazione al caso specifico di Osvald, ha alcuni dubbi. I pittori
moralmente integri sono «molti», mange, ma Manders lo suppone soltanto
(Jeg antager, «Io suppongo»), non ne è affatto certo. Manders si è fermamen-
te opposto, a suo tempo, alla scelta pittorico-parigina di Osvald, come ricor-
da la signora Alving. Sacrosanta diffidenza, vorremmo dire.
21
Piccola divertente schermaglia. La madre si compiace che il figlio ami il ci-
bo; il pastore osserva che ama anche il tabacco.
250 HENRIK IBSEN

OSVALD Ho trovato la pipa di papà su in camera e così –


PASTORE MANDERS Aha, allora era questo!
SIGNORA ALVING Cosa?
PASTORE MANDERS Quando Osvald è apparso là sulla porta con
la pipa in bocca, era come vedere suo padre in carne e ossa.
OSVALD No davvero?
SIGNORA ALVING Oh, come può dire questo! Osvald ha preso
da me.
PASTORE MANDERS Sì; ma c’è un tratto all’angolo della bocca,
qualcosa vicino alle labbra, che ricorda esattamente Alving –
almeno adesso che sta fumando.
SIGNORA ALVING Per niente. Osvald ha se mai qualcosa di sa-
cerdotale intorno alla bocca, mi pare.22
PASTORE MANDERS Oh sì, oh sì; più d’uno dei miei confratelli
ha un tratto simile.
SIGNORA ALVING Ma metti via quella pipa, mio caro ragazzo;
non voglio che si fumi qui.
OSVALD (obbedisce) Volentieri. Volevo solo provarla; perché
l’ho fumata una volta da bambino.
SIGNORA ALVING Tu?
OSVALD Sì. Ero piccolino allora. E ricordo che salii nella came-
ra di papà una sera, lui era così allegro e burlone.
SIGNORA ALVING Oh, tu non ricordi nulla di quegli anni.
OSVALD No, io ricordo distintamente, lui mi prese e mi fece se-
dere sulle ginocchia e mi fece fumare la pipa. Fuma, ragazzo,
disse, – fuma per bene, ragazzo! E io fumai quanto riuscii, fin-
ché mi sentii sbiancare e la fronte sudare a goccioloni. E allora
lui rise di cuore –
22
Passo dei più misteriosi. Per Helene, Osvald assomiglia al pastore Man-
ders, perché lei ha amato solo il pastore Manders. Le forze dello spirito ope-
rano miracoli sulla vita del corpo, e una donna innamorata riesce a partorire
figli che assomigliano all’amato, per spirituale capacità generativa. La riprova
ne La signora del mare, in cui Ellida, sposata senza amore a un vedovo, par-
torisce un bambino che ha gli stessi occhi del suo antico fidanzato. In una
chiave interpretativa meno spiritualistica, si potrebbe invece vedere in que-
sta rassomiglianza di Osvald con Manders la conferma del sospetto avanzato
da James Joyce in una sua gustosa e irridente poesia, Epilogue to Ibsen’s
«Ghosts», in cui – dopo aver sottolineato l’enigma di un padre malato che ge-
nera un figlio malato ma anche una figlia sana come un pesce – ipotizza che
Osvald sia figlio di Manders. In realtà il paradosso evidenziato da Joyce di-
mostra semplicemente che Ibsen si faceva segretamente beffe della teoria
delle tare ereditarie. A differenza della sua sorellastra, Osvald è malato come
il padre, ma perché fa la stessa vita dissoluta del padre.
SPETTRI 251

PASTORE MANDERS Davvero assai curioso.


SIGNORA ALVING Caro, è solo qualcosa che Osvald ha sognato.
OSVALD No, mamma, non l’ho affatto sognato. Perché – lo avrai
presente – tu entrasti e mi portasti in camera mia. Là mi sentii
male e vidi che tu piangevi. – Papà ne faceva spesso di questi
scherzi?23
PASTORE MANDERS In gioventù era un uomo oltremodo allegro –
OSVALD Eppure ha realizzato tanto a questo mondo. Tanto di
buono e di utile; e non è arrivato neanche alla vecchiaia.
PASTORE MANDERS Sì, invero lei ha ricevuto in eredità il nome
di un uomo industrioso e degno, mio caro Osvald Alving. Be’,
che le sia di sprone –
OSVALD Così dovrebbe essere, certo.
PASTORE MANDERS In ogni caso è stato bello da parte sua, ritor-
nare per il giorno della sua commemorazione.
OSVALD Era il minimo che potessi fare per mio padre.
SIGNORA ALVING E io che lo terrò con me così a lungo; – questa
è la cosa più bella ora da parte sua.
PASTORE MANDERS Sì, starà a casa tutto l’inverno, sento.
OSVALD Ci starò per un periodo indeterminato, signor pastore. –
Oh, è delizioso essere di nuovo a casa!
SIGNORA ALVING (raggiante) Sì, non è vero, eh?
PASTORE MANDERS (lo osserva partecipe) Lei se n’è andato pre-
sto per il mondo, mio caro Osvald.
OSVALD Così. E qualche volta mi domando, se non sia stato
troppo presto.24
SIGNORA ALVING Oh per niente. A un ragazzo in gamba fa solo
bene. E in particolare, se si è figli unici. Allora non si deve stare
a casa con mamma e papà a farsi viziare.
PASTORE MANDERS È una questione assai opinabile, signora Al-

23
Tra i ricordi infantili di Osvald, questo fermo-immagine un po’ laido di un
padre molto laido. Solita tecnica di Ibsen, che anticipa via via piccoli partico-
lari, in attesa di arrivare all’affondo decisivo, alla rivelazione, allo svelamento
dello scheletro che sta dentro l’armadio.
24
Forse Osvald non ha ereditato la sifilide dal padre; forse se l’è procurata
per colpa sua, nella gioiosa vita parigina, ma gli tocca comunque qualche
attenuante. Ha fatto del male, ma in qualche modo del male è stato fatto a
lui. Si è sentito allontanato dalla famiglia, spedito a vivere lontano, in una
città straniera, in collegio. Per vent’anni ha vissuto lontano dalla sua casa, e
conserva paradossalmente una patetica nostalgia del focolare domestico,
consuonando in questo con il pastore, e contrapponendosi velatamente alla
madre.
252 HENRIK IBSEN

ving. Il focolare paterno è e rimane comunque il giusto domici-


lio dei figli.
OSVALD In questo, a dire il vero, devo dichiararmi d’accordo con
il pastore.
PASTORE MANDERS Consideri appunto suo figlio. Sì, possiamo
parlarne in sua presenza. Qual è per lui il risultato? Ha venti-
sei-ventisette anni e non ha mai avuto la possibilità di conosce-
re un ordinato focolare.
OSVALD Scusi, signor pastore, – è completamente in errore.
PASTORE MANDERS Davvero? Credevo, che avesse frequentato
quasi esclusivamente i circoli degli artisti.
OSVALD Infatti.
PASTORE MANDERS E soprattutto dei giovani artisti.
OSVALD Ma certo.
PASTORE MANDERS Ma io credevo, che la maggior parte di quel-
la gente non avesse mezzi per metter su una famiglia e fondare
un focolare.
OSVALD Ce ne sono parecchi, che non hanno i mezzi per sposar-
si, signor pastore.
PASTORE MANDERS Appunto, è questo, che sto dicendo.
OSVALD Ma possono lo stesso avere un focolare. E c’è qualcuno
che ce l’ha; ed è un focolare molto ordinato e molto accogliente.
SIGNORA ALVING (segue attenta, approva con il capo ma non di-
ce nulla)
PASTORE MANDERS Ma non è delle case degli scapoli, che sto
parlando io. Per focolare intendo la dimora di una famiglia, do-
ve un uomo vive con sua moglie e i suoi figli.
OSVALD Sì; oppure con i suoi figli e con la madre dei suoi figli.
PASTORE MANDERS (stupefatto; giunge le mani) Ma per miseri-
cordia –!
OSVALD Be’?
PASTORE MANDERS Vive insieme con – la madre dei suoi figli!
OSVALD Sì, preferirebbe, che ripudiasse la madre dei suoi fi-
gli?
PASTORE MANDERS Ma sono relazioni illegittime, quelle di cui
sta parlando! Dei cosiddetti matrimoni anomali!
OSVALD Io non ho mai notato niente di particolarmente anoma-
lo nella vita in comune di quella gente.
PASTORE MANDERS Ma come è possibile, che un – un uomo con
appena un po’ di educazione o una giovane donna possano de-
cidere di vivere in quel modo – sotto gli occhi di tutti!
OSVALD E che cosa dovrebbero fare? Un povero giovane arti-
SPETTRI 253

sta, – una povera giovane ragazza –. Sposarsi costa soldi. Che


dovrebbero fare?
PASTORE MANDERS Che dovrebbero fare? Be’, signor Alving,
glielo dirò io, che cosa dovrebbero fare. Avrebbero dovuto te-
nersi distanti dal principio, – avrebbero dovuto!
OSVALD Non ne farebbe di strada con questi discorsi fra perso-
ne giovani, dal sangue caldo, innamorate.
SIGNORA ALVING No, che non ne farebbe!
PASTORE MANDERS (persistendo) E le autorità che tollerano
roba del genere! Che ciò possa avvenire alla luce del sole! (Da-
vanti alla signora Alving.) Allora avevo proprio ragione di es-
sere intimamente inquieto per suo figlio. In ambienti, nei quali
l’immoralità senza veli è diffusa ed è pressoché riconosciuta –
OSVALD Vorrei dirle qualcosa, signor pastore. Io sono stato la
domenica ospite fisso in qualcuna di queste case sregolate –
PASTORE MANDERS E di domenica pure!
OSVALD Sì, è il giorno della festa. Ma non ho mai udito una pa-
rola disgustosa, e tanto meno sono stato testimone di qualcosa
che potesse definirsi immorale. No; sa quando e come io ho tro-
vato l’immoralità nei circoli degli artisti?
PASTORE MANDERS No, Dio sia lodato!
OSVALD Be’, allora mi permetterò di dirglielo. L’ho trovata,
quando qualcuno dei nostri mariti e padri di famiglia esemplari
veniva laggiù per spassarsela un pochino solo soletto – e allora
agli artisti faceva l’onore d’una visita nelle loro volgari bettole.
In quelle occasioni ci s’istruiva. I signori ci sapevano raccontare
di luoghi e cose, che non ci saremmo mai sognati.
PASTORE MANDERS Che? Vorrebbe sostenere che uomini ri-
spettabili di questo paese avrebbero –?
OSVALD Non li ha uditi mai, questi uomini rispettabili quando
tornano in patria, mai uditi biasimare la crescente immoralità
all’estero?
PASTORE MANDERS Sì, naturalmente –
SIGNORA ALVING Li ho uditi anch’io.
OSVALD Già, li si può prendere in parola. Tra loro c’è gente che
se ne intende.25 (Si afferra la testa.) Oh – la bella, magnifica, vi-
ta di libertà laggiù, – così insudiciata.

25
La stesura originaria del dramma insisteva maggiormente, a questo punto,
sulle scandalose modelle parigine che posano nude per i giovani artisti: cfr. Per-
relli 2008, p. 13. Certo, rimane sintomatico che la tavola dei personaggi si preoc-
cupi di definire la professione del nostro: «Osvald Alving, suo figlio, pittore».
254 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Non devi infervorarti, Osvald; non ti fa bene.


OSVALD No, hai ragione, mamma. No che non mi giova. È quel-
la maledetta spossatezza, sai. Sì, mi faccio un giretto prima di
mettermi a tavola. Perdoni, signor pastore; lei non può capire;
ma mi ha preso così tanto. (Esce dalla seconda porta di destra.)
SIGNORA ALVING Il mio povero ragazzo –!
PASTORE MANDERS Sì, può ben dirlo. A che punto è arrivato!
SIGNORA ALVING (lo guarda e tace)
PASTORE MANDERS (cammina su e giù) Lui s’è chiamato il fi-
gliuol prodigo. Sì, disgraziatamente, – disgraziatamente!
SIGNORA ALVING (continua a guardarlo)
PASTORE MANDERS E lei che ne dice di tutto questo?
SIGNORA ALVING Dico che Osvald aveva ragione parola per pa-
rola.
PASTORE MANDERS (si ferma) Ragione? Ragione! Con quei
principi!
SIGNORA ALVING Qui nella mia solitudine sono giunta a pensar-
la allo stesso modo, signor pastore. Ma non mi sono mai azzar-
data a toccare l’argomento. Adesso, tanto meglio; il mio ragaz-
zo parlerà per me.
PASTORE MANDERS Lei è una donna da compatire, signora Al-
ving. Ma ora io voglio farle la morale. Non è più il suo delegato
e consigliere, né l’amico di gioventù suo e del suo defunto mari-
to, che le sta di fronte. È il sacerdote, proprio, come le è stato di
fronte nell’ora di maggior smarrimento della sua vita.
SIGNORA ALVING E che cosa, avrebbe da dirmi il sacerdote?
PASTORE MANDERS In primo luogo dare uno scossone alla sua
memoria, signora. Il momento è ben scelto. Domani è il decimo
anniversario della morte di suo marito; domani si scopre il mo-
numento in onore dello scomparso; domani io parlerò alla folla
adunata; – ma oggi io voglio parlare a lei sola.
SIGNORA ALVING Bene, signor pastore; parli!
PASTORE MANDERS Ricorda, che dopo appena un anno di matri-
monio lei era sull’estremo orlo dell’abisso? Che ha abbandona-
to la sua casa e il suo focolare, – che è fuggita da suo marito; – sì,
signora Alving, fuggita, fuggita, e che si rifiutava di ritornare da
lui, nonostante lui la pregasse e la implorasse?
SIGNORA ALVING Lei ha dimenticato quanto infinitamente infe-
lice io mi sentissi in quel primo anno?
PASTORE MANDERS Ecco il vero spirito di rivolta, pretendere la
felicità qui nella vita. Che diritto abbiamo noi umani alla feli-
cità? No, noi dobbiamo fare il nostro dovere, signora! E il suo
SPETTRI 255

dovere era rimanere con l’uomo, che aveva scelto e con il quale
aveva stretto il sacro vincolo.
SIGNORA ALVING Lei sa bene che genere di vita menasse Alving
all’epoca; di quali disordini si rendesse colpevole.
PASTORE MANDERS Conosco molto bene le voci che correvano
sul suo conto; ed io, meno d’ogni altro approverei la sua con-
dotta negli anni giovanili, se le voci avessero un fondamento.
Ma una moglie non deve ergersi a giudice del proprio capofa-
miglia. Con spirito di sottomissione lei avrebbe avuto l’obbligo
di portare quella croce, che una volontà superiore aveva consi-
derato adatta a lei. E invece lei quella croce la rigetta in un im-
peto di rivolta, abbandona quell’uomo vacillante, che avrebbe
dovuto sorreggere, mette a repentaglio il suo buon nome e la
reputazione, e – quasi quasi stava persino per rovinare la repu-
tazione di altri.
SIGNORA ALVING Di altri? Di un altro, intende forse?
PASTORE MANDERS Fu una cosa oltremodo senza riguardi da
parte sua cercare rifugio da me.26
SIGNORA ALVING Dal nostro sacerdote? Dal nostro amico di
casa?

26
Una scelta «senza riguardi», hensynsløst, quella di Helene di abbandonare
la casa del marito per andare a gettarsi fra le braccia dell’amato pastore. Sen-
za riguardi per l’onorabilità del pastore – uomo di chiesa e uomo di potere –,
che sarebbe stata travolta dallo scandalo. Solo 3 ricorrenze dell’aggettivo nel
testo, ma la seconda è ancora di Manders che, qualche riga più avanti, conti-
nua a martellare: «Tutto, ciò che la disturbava nella vita, lei l’ha rigettato sen-
za riguardi e senza scrupoli». Resta da precisare che Manders non è una cari-
catura di religioso. È un conservatore, uomo delle gerarchie, del principio di
autorità, che parla con un linguaggio severo non privo di charme. Semmai so-
no le traduzioni correnti che gli fanno torto, perché Manders è un uomo in-
trepido, che ha il coraggio delle proprie affermazioni risolute, reazionarie.
Quando decide di fare la morale alla signora Alving, non dice – come si tra-
duce solitamente – «Ma ora voglio parlarle seriamente», sibbene, appunto,
«Ma ora io voglio farle la morale» (tale et alvorsord, espressione idiomatica
che vale fare la lezione, fare la morale). E quando dice che Helene, come mo-
glie, non aveva diritto di giudicare il marito, dice, propriamente, sin husbond,
«il suo capofamiglia», termine più forte di «marito» (perché implica, nel com-
portamento di Helene, una insubordinazione anche sociale, un rinnegamento
della disciplina gerarchica). Manders è un personaggio unico, nel teatro ibse-
niano, che dunque non a caso utilizza spesso termini unici, hapax: oprør-
skhed, «impeto di rivolta»; selvrådighed, «spirito di ostinazione»; tvangløs,
«senza costrizione»; lovløs, «senza legge»; ungdomsvildfarelse, «traviamenti
di gioventù»; fritænkersk, «libero pensatore»; lovlighed, «legalità».
256 HENRIK IBSEN

PASTORE MANDERS Soprattutto per questo. – Sì, ringrazi il suo


Signore Iddio, che ho mostrato la giusta fermezza, – che l’ho di-
stolta dai suoi propositi esaltati e che mi è stato concesso di ri-
condurla sulla strada del dovere e al focolare del suo legittimo
capofamiglia.
SIGNORA ALVING Sì, pastore Manders, quella fu sicuramente
opera sua.
PASTORE MANDERS Io fui solo umile strumento di una mano più
alta. E allora, l’averla piegata al dovere e all’ubbidienza, non ha
maturato una grande benedizione per tutto il resto della sua vi-
ta? Non è andata, poi, come io le avevo predetto? Alving non
ha voltato le spalle ai suoi smarrimenti, come si conviene a un
uomo? Non ha vissuto tutti i giorni suoi con lei amorevolmente
e irreprensibilmente? Non è diventato il benefattore di questa
regione, e allora non ha elevato lei, tanto ch’è divenuta un po’
alla volta la collaboratrice di tutte le sue attività? E una colla-
boratrice capace; – oh, lo so, signora Alving; questo è l’elogio
che posso farle. – Ma adesso vengo al successivo grande passo
falso della sua vita .
SIGNORA ALVING Che cosa vuol dire?
PASTORE MANDERS Come una volta ha rinnegato i doveri di
moglie, così in seguito ha rinnegato quelli di madre.
SIGNORA ALVING Ah –!
PASTORE MANDERS Lei è stata dominata da un sinistro spirito
di ostinazione tutta la vita. Tutte le sue aspirazioni si sono indi-
rizzate verso ciò che è senza costrizione e senza legge. Mai ha
voluto sopportare su di sé un vincolo qualsiasi. Tutto, ciò che la
disturbava nella vita, lei l’ha rigettato senza riguardi e senza
scrupoli, come un fardello, di cui potesse disporre a piacimen-
to. Non le piacque più di fare la moglie, e abbandonò suo mari-
to. Trovò oneroso di fare la madre, e affidò il suo bambino a
estranei.
SIGNORA ALVING Sì, è vero; l’ho fatto.
PASTORE MANDERS Ma è per questo che per lui è diventata ad-
dirittura un’estranea.
SIGNORA ALVING No, no; non lo sono!
PASTORE MANDERS Lo è; lo deve essere. E come le è ritornato!
Ci rifletta bene, signora Alving. Lei ha molto mancato nei con-
fronti di suo marito; – questo lo riconosce erigendogli laggiù
quel memoriale. Ora riconosca anche che ha mancato nei con-
fronti di suo figlio; forse si farà ancora in tempo a richiamarlo
dai sentieri dello smarrimento. Anche lei torni indietro; e rico-
SPETTRI 257

struisca ciò che forse si può ancora ricostruire in lui. Perché


(con l’indice sollevato) in verità, signora Alving, lei è una ma-
dre carica di colpe! – Questo ho ritenuto mio dovere dirle. (Si-
lenzio.)
SIGNORA ALVING (lentamente e padrona di sé) Ora ha parlato,
signor pastore; e domani parlerà in pubblico in memoria di mio
marito. Io domani non parlerò. Adesso vorrei un po’ parlarle
io, come ha parlato lei con me.
PASTORE MANDERS Naturalmente; vuole scusarsi per i suoi
comportamenti –
SIGNORA ALVING No. Voglio solo raccontare.
PASTORE MANDERS Adesso –?
SIGNORA ALVING Tutto ciò, che lei ha appena detto su me e mio
marito e la nostra vita in comune, dopo che lei, come s’è espres-
so, mi ricondusse sulla strada del dovere, – tutto ciò è qualcosa
che lei non conosce per esperienza diretta. Da quel momento
lei – il nostro amico di tutti i giorni – non ha più messo piede in
casa nostra.
PASTORE MANDERS Lei e suo marito subito dopo lasciaste la
città.
SIGNORA ALVING Già; e lei non è mai venuto quaggiù da noi fin-
ché è vissuto mio marito. Sono stati gli affari a costringerla a
farmi visita, quando s’è interessata alla faccenda del convitto.
PASTORE MANDERS (sottovoce e incerto) Helene – se questa deve
essere una recriminazione, allora la prego di tenere presente –
SIGNORA ALVING – i riguardi, che doveva alla sua posizione; sì.
E che io ero una moglie che era scappata. Non si è mai abba-
stanza riservati di fronte a simili femmine senza riguardi.27
PASTORE MANDERS Cara – signora Alving, questa è un’esagera-
zione così grossolana –
SIGNORA ALVING Sì, sì, sì, lasciamo perdere. Solo questo, volevo

27
Hensynsløse fruentimmer, «femmine senza riguardi». Helene replica a cor-
ta distanza, riprendendo l’aggettivo hensynsløs che abbiamo visto usato per
due volte da Manders. Ma Helene riprende per sé, in via autoironica, anche
lo stesso termine spregiativo (fruentimmer, «femmina») che il diabolico Eng-
strad utilizzava parlando del suo locale-bordello, ovviamente bisognoso di
fruentimmer, per attirare i clienti danarosi. Sono le due uniche ricorrenze del
sostantivo in Spettri. È la consueta tecnica di Ibsen, che opera richiami a di-
stanza, per suggerire accostamenti inaspettati (e sempre polemici). Per la
chiusa moralità di Manders, il comportamento di Helene – che ha abbando-
nato il marito ed è venuta a cercare rifugio nelle braccia del pastore – è quel-
lo di una donnaccia, di una fruentimmer.
258 HENRIK IBSEN

dire, che quando lei giudica la mia relazione coniugale, lei si ba-
sa soltanto su un’opinione che circola.
PASTORE MANDERS Certo; e con ciò?
SIGNORA ALVING Adesso però, Manders, adesso voglio dirle la
verità. Io ho giurato a me stessa che un giorno lei l’avrebbe sa-
puta. Lei solo!
PASTORE MANDERS E quale sarebbe la verità?
SIGNORA ALVING La verità è questa, che mio marito morì da de-
pravato, come aveva vissuto tutti i suoi giorni.
PASTORE MANDERS (cerca a tentoni una sedia) Ma che dice?
SIGNORA ALVING Dopo diciannove anni di matrimonio, un de-
pravato, – almeno nelle sue voglie, – come prima che lei ci spo-
sasse.
PASTORE MANDERS E quei traviamenti di gioventù, – quelle sre-
golatezze, – disordini, se vuole, lei li chiama condotta di vita de-
pravata!
SIGNORA ALVING Il nostro medico di famiglia usava quel termine.
PASTORE MANDERS Ora non la capisco.
SIGNORA ALVING Neanche serve.
PASTORE MANDERS Quasi mi gira la testa. Tutto il suo matrimo-
nio, – tutta la vita in comune di anni con suo marito non sareb-
be stata altro che un abisso coperto!
SIGNORA ALVING Null’altro. Ora lei lo sa.28
PASTORE MANDERS In questo – io non mi ci ritrovo. Non posso
capacitarmi! Non afferro! Ma com’era possibile che –? Com’è
potuta una roba del genere restare nascosta?
SIGNORA ALVING È stato anche il mio combattimento senza tre-
gua giorno dopo giorno. Quando nacque Osvald, mi sembrò
che andasse un po’ meglio con Alving. Ma non durò a lungo. E
allora dovetti combattere doppiamente, combattere per la vita
e la morte perché a nessuno trasparisse che uomo fosse il padre
di mio figlio. E poi lei lo sa, come Alving sapesse conquistarsi i
cuori. Sembrava che di lui non si potesse pensare altro che be-
ne. Apparteneva a quel genere di persone la cui condotta di vi-
ta non intacca la reputazione. Ma dopo, Manders, – anche que-
sto deve sapere, – dopo capitò la cosa più abominevole di tutte.
PASTORE MANDERS Più abominevole di questo!
SIGNORA ALVING Lo sopportavo, pur sapendo bene che cosa
combinava in segreto fuori casa. Ma quando lo scandalo s’insi-
nuò all’interno delle nostre quattro mura –
28
Nu ved De det, «Ora lei lo sa». Frase canonica.
SPETTRI 259

PASTORE MANDERS Che cosa dice! Qui!


SIGNORA ALVING Sì, qui nel nostro proprio focolare. Là dentro
fu (indica la prima porta a destra) in sala da pranzo che ebbi la
prima rivelazione. Avevo qualcosa da fare là dentro, e la porta
era socchiusa. Poi sentii che la nostra cameriera veniva su dal
giardino con l’acqua per i fiori.
PASTORE MANDERS E allora –?
SIGNORA ALVING Poco dopo sentii venire anche Alving. Sentii
che le diceva qualcosa sottovoce. E poi sentii – (Con una breve
risata.) Oh, mi risuona ancora dentro insieme così straziante e
così ridicolo; – sentii la mia propria ragazza di servizio sussur-
rare: Mi lasci, signor ciambellano! Mi lasci stare!
PASTORE MANDERS Che sconcia leggerezza da parte di lui. Oh,
ma non più che d’una leggerezza s’è trattato, signora Alving. Mi
creda.
SIGNORA ALVING Presto venni a sapere ciò che dovevo credere.
Il ciambellano aveva ottenuto ciò che voleva con la ragazza, – e
la relazione ebbe delle conseguenze, pastore Manders.
PASTORE MANDERS (come impietrito) E tutto in questa casa! In
questa casa!
SIGNORA ALVING Ho sopportato molto in questa casa. Per te-
nerlo qui la sera – e la notte ho dovuto farmi compagna dei suoi
reconditi festini su in camera. Là ho dovuto stare a quattrocchi
con lui, ho dovuto brindare e bere con lui, ascoltare le sue
chiacchiere impudiche e senza senso, ho dovuto combattere a
colpi di pugni per trascinarlo a letto –
PASTORE MANDERS (scosso) Lei ha potuto reggere tutto questo.
SIGNORA ALVING Io avevo il mio piccolo ragazzo per reggere
questo. Ma quando s’aggiunse quell’ultimo sfregio; quando la
mia propria ragazza di servizio –; allora giurai a me stessa: que-
sto deve finire! E così presi il potere nella casa – tutto il potere –
sia su lui che su tutto il resto. Perché ora avevo un’arma contro
di lui, vede; non osava aprire bocca. Fu allora che allontanai
Osvald. Era nel settimo anno,29 e cominciava a osservare e a fa-
29
È sempre utile tener conto dei piccoli dati cronologici forniti da quel gran-
de ragioniere che è Ibsen: Osvald ha sette anni quando la madre di Regine re-
sta incinta. Dunque fra Osvald e Regine ci sono, sostanzialmente, otto anni di
differenza. E siccome Manders, qualche pagina prima, ha detto che Osvald
«ha ventisei-ventisette anni», è chiaro che Regine ne ha diciotto-diciannove.
Ricordiamo che nell’avvio del dialogo Helene-Manders la madre ha detto
che sono passati «oltre due anni» dall’ultimo ritorno a casa di Osvald. Il qua-
le, nel II atto, dirà alla madre di aver proposto a Regine di portarla a Parigi
260 HENRIK IBSEN

re domande, come usano i bambini. Tutto questo non potevo


tollerarlo, Manders. Mi sembrava, che il bambino dovesse avve-
lenarsi solo a respirare in questo focolare insudiciato. Ecco per-
ché l’ho allontanato. E adesso comprende anche, perché non ha
più rimesso piede qui in casa, finché è vissuto suo padre. Non
c’è nessuno che sappia quanto m’è costato.
PASTORE MANDERS In verità lei ha fatto la prova della vita.
SIGNORA ALVING Non ce l’avrei fatta mai, se non avessi avuto il
mio lavoro. Già, perché posso dirlo, io ho lavorato! Tutto que-
sto ampliamento dei beni, tutte le migliorie, tutti gli adegua-
menti proficui, per cui Alving è stato lodato ed è famoso, – cre-
de che lui ne fosse capace? Lui, che passava l’intera giornata
steso sul sofà a leggersi un vecchio annuario statale! No; le dirò
anche questo adesso: ero io, che lo mettevo in sesto, nei suoi in-
tervalli più lucidi; ed ero io, che dovevo trascinarmi tutto il cari-
co quando riattaccava con i suoi disordini o sprofondava nelle
lamentazioni e nell’autocommiserazione.30
PASTORE MANDERS E a quest’uomo lei eleva un monumento.
SIGNORA ALVING Lei vede il potere della cattiva coscienza.
PASTORE MANDERS Della cattiva –? Cosa intende?
SIGNORA ALVING Sono sempre stata convinta, che fosse impos-
sibile che la verità non dovesse venir fuori, e trovare credito.
Perciò il convitto avrebbe dovuto spazzare tutte le voci e sgom-
brare tutti i sospetti.
PASTORE MANDERS Certo non ha mancato l’obiettivo, signora
Alving.
SIGNORA ALVING E inoltre avevo ancora una ragione. Io non
volevo che Osvald, il mio proprio ragazzo, ricevesse qualcosa
dell’eredità di suo padre.
PASTORE MANDERS Così è con il patrimonio di Alving, che –?
SIGNORA ALVING Sì. La somma, che ogni anno ho accantonato
per il convitto, ne costituisce la cifra, – l’ho calcolato con preci-
sione – la cifra, che all’epoca faceva del tenente Alving un buon
partito.
PASTORE MANDERS La comprendo –

proprio in occasione della sua ultima venuta. Osvald ha dunque cominciato a


gettare un occhio cupido sulla fanciulla poco più che sedicenne (o diciasset-
tenne), cioè all’inizio della sua pubertà (ma sul ritardo del menarca cfr. n. 41).
30
Pagina di grande esaltazione del valore del lavoro, in un’ottica di piena ac-
cettazione dell’ideologia della società capitalistica. Anche la donna (e non
solo l’uomo) si realizza nel lavoro, che compensa le frustrazioni personali.
SPETTRI 261

SIGNORA ALVING Era la somma d’acquisto –. Non voglio che


quel denaro finisca nelle mani di Osvald. Mio figlio deve avere
tutto da me, deve.

(Osvald Alving entra attraverso la seconda porta a destra; cappello


e soprabito li ha lasciati fuori.)

SIGNORA ALVING (incontro a lui) Già tornato? Mio caro, caro


ragazzo!
OSVALD Già; che fare là fuori sotto questo eterno tempo di
pioggia? Ma sento, che si mangia. È splendido!
REGINE (con un pacchetto, venendo dalla sala da pranzo) È arri-
vato un pacchetto per la signora. (Glielo porge.)
SIGNORA ALVING (con un’occhiata al pastore Manders) I canti
per la festa di domani probabilmente.
PASTORE MANDERS Hm –
REGINE E il pranzo è servito.
SIGNORA ALVING Bene; veniamo subito; voglio solo – (Comin-
cia ad aprire il pacchetto.)
REGINE (a Osvald) Il signor Alving desidera del Porto bianco o
rosso?
OSVALD Tutt’e due, signorina Engstrand.31
REGINE Bien –; molto bene, signor Alving. (Entra in sala da
pranzo.)
OSVALD L’aiuterò a stappare le bottiglie – (Entra anche lui in
sala da pranzo, la cui porta resta socchiusa alle sue spalle.)
SIGNORA ALVING (che ha aperto il pacchetto) Sì, esattamente;
sono i canti per la festa, pastore Manders.
PASTORE MANDERS (a mani giunte) Come farò domani a parla-
re con spirito sereno, e –!
SIGNORA ALVING Oh, se la caverà.
PASTORE MANDERS (sottovoce, per non farsi sentire in sala da
pranzo) Già, non è che possiamo sollevare uno scandalo.
31
Osvald non si rifiuta nulla, né Porto bianco, né Porto rosso. Se si offre pron-
tamente di aiutare la cameriera a stappare le bottiglie, lo fa certamente per
avere l’occasione di appartarsi con lei, di approfittare un po’ della servetta,
ma anche perché, evidentissimamente, è assai più esperto della povera giovi-
ne a sturare bottiglie. S’intende che i vizi – come sempre succede – viaggiano
tutti insieme, Bacco, tabacco e Venere (che, naturalmente, riducono l’uomo
in cenere). Osvald ama tutto: il Porto bianco e il Porto rosso, il liquore dopo
pranzo, ma anche lo champagne (come vedremo nel II atto); il fumo da pipa,
ma anche quello da sigaro (anche quest’ultimo nel II atto).
262 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING (a voce bassa ma decisa) No. Ma così anche


questa lunga sporca commedia finisce. Da dopodomani sarà,
per me, come se il morto non fosse mai vissuto in questa casa.
Qui non ci saranno altri che il mio ragazzo e sua madre.

(Nella sala da pranzo si sente il rumore d’una sedia, che si rove-


scia; contemporaneamente si sente)

LA VOCE DI REGINE (severa ma sussurrando) Osvald dài! Sei


pazzo? Lasciami!32
SIGNORA ALVING (trasalisce in orrore) Ah –!

(Fissa come in delirio in direzione della porta semi-aperta. Si sente


là dentro Osvald tossire e canticchiare. Si stappa una bottiglia.)

32
Osvald da! Er du gal? Slip mig!, «Osvald dài! Sei pazzo? Lasciami!». È la
ripetizione puntuale di una scena del passato, evocata da Helene, quella del
padre di Osvald in procinto di fare le sue avances alla madre di Regine: Slip
mig, herr kammerherre! Lad mig være!, «Mi lasci, signor ciambellano! Mi
lasci stare!». Gli spazi sono invertiti: adesso Helene, in salotto, origlia i due
che stanno in sala da pranzo; nel passato Helene, in sala da pranzo, origlia-
va i due che stavano in salotto. Per il resto, stessi verbi, stessi costrutti lessi-
cali, che mettono però in rilievo la differenza capitale: Regine dà del tu (du)
a Osvald, la madre dava del lei. La scena antica fotografa una situazione
iniziale. Ciò che il ciambellano «sussurra» (hviske, stesso verbo che ritro-
viamo nella didascalia della scena finale del I atto) alla cameriera sono ap-
punto delle prime avances. Osvald pretende invece di rinnovare con la do-
mestica manifestazioni di intimità già sperimentata. Il figlio è più avanti del
padre. Forse Osvald non ha molto tempo, perché sa di dover morire presto,
ma certo è uno che non perde tempo. Dopo un giorno che è arrivato, si è già
portato a letto la servetta, e il secondo giorno non può neanche aspettare
che cali la tenebra propiziatrice per avere la sua soddisfazione. O, forse, ciò
che lo eccita maggiormente è appunto l’idea di ottenere il proprio piacere
hic et nunc, con la mamma e il pastore nella stanza accanto. Un doppio sfre-
gio ai valori familiari e spirituali. Non per nulla il sottotitolo di Spettri suo-
na propriamente et familjedrama i tre akter, «un dramma familiare in tre at-
ti». Da aggiungere ancora che il finale di questo I atto è straordinariamen-
te sarcastico: Helene ha appena detto che, con la costruzione del convitto,
si è liberata della presenza ossessiva del marito, che da dopodomani in
quella casa non ci saranno che lei e suo figlio, e immediatamente si scopre
che il duetto è un triangolo, per la presenza invasiva di un’altra serva, a con-
tendere l’uomo della povera padrona di casa (non più il marito, questa vol-
ta, bensì il figlio).
SPETTRI 263

PASTORE MANDERS (turbato) Ma che roba è questa! Che è, si-


gnora Alving?
SIGNORA ALVING (rauca) Spettri. La coppia della serra – ritorna.33
PASTORE MANDERS Che dice! Regine –? È lei –?
SIGNORA ALVING Sì. Venga. Non una parola –!

(Afferra il braccio del pastore Manders e si avvia vacillante verso


la sala da pranzo.)

33
Avremmo dovuto tradurre, per coerenza, con «la coppia del vano-serra»
(cfr. n. 4), ma ci è sembrato assai poco poetico e dunque, per una volta, ab-
biamo reso con «la coppia della serra». In ogni caso la serra è soltanto un
dettaglio, ma Luca Ronconi, allestendo Spettri nel 1982, dilata il particolare a
struttura portante di tutto lo spettacolo, costruendo una gigantesca serra che
ingloba scena e platea, attori e spettatori. Cfr. Alonge 1984b, pp. 61-66.
SECONDO ATTO

(Stesso salotto. Una nebbia piovigginosa continua a gravare sul


paesaggio.)

(Il pastore Manders e la signora Alving escono dalla sala da pranzo.)

SIGNORA ALVING (ancora sulla porta) Bene allora, signor pastore.


(Rivolta verso l’interno della sala da pranzo.) Non vieni, Osvald?
OSVALD (dall’interno) No grazie; penso di uscire un po’.
SIGNORA ALVING Sì vai; perché adesso s’è un po’ rasserenato.
(Chiude la porta della sala da pranzo e si dirige verso la porta
dell’anticamera e chiama) Regine!
REGINE (da fuori) Sì, signora?
SIGNORA ALVING Scendi alla stireria a dare una mano con le
ghirlande.
REGINE Va bene, signora.
SIGNORA ALVING (si accerta che Regine sia andata; quindi chiu-
de la porta)
PASTORE MANDERS Lui non può ascoltare da là dentro?
SIGNORA ALVING No quando la porta è chiusa. E poi sta per uscire.
PASTORE MANDERS Sono ancora sbalordito. Non so come, abbia
potuto mandar giù un boccone di quel benedetto cibo.
SIGNORA ALVING (dominando l’inquietudine, va su e giù) Io
neanche. Ma cosa fare?
PASTORE MANDERS Già, cosa fare? In fede mia, non lo so, pro-
prio; mi sento così sprovveduto in circostanze come queste.
SIGNORA ALVING Sono convinta che non è ancora accaduta nes-
suna disgrazia.
PASTORE MANDERS No, il cielo non voglia! Comunque è una re-
lazione sconcia.34

34
Usømmeligt forhold, «sconcia relazione». Ci sono solo 2 ricorrenze dell’ag-
gettivo usømmelig (presente solo in Spettri di tutti i magnifici 12), usate sem-
SPETTRI 265

SIGNORA ALVING Non è che un colpo di testa di Osvald; può es-


serne certo.
PASTORE MANDERS Già, io, come dicevo, non m’intendo di que-
sto genere di cose; però mi sembra indubbio –
SIGNORA ALVING Lei deve andare fuori di casa. E subito. È chia-
ro come il sole –
PASTORE MANDERS Si capisce.
SIGNORA ALVING Ma dove? Non possiamo prenderci la respon-
sabilità di –
PASTORE MANDERS Dove? Naturalmente a casa di suo padre.
SIGNORA ALVING Da chi, dice?
PASTORE MANDERS Da suo – No, ma Engstrand non è –. Ma, Si-
gnore Iddio, com’è possibile, signora? Lei si sarà senz’altro sba-
gliata.
SIGNORA ALVING Purtroppo; non mi sono sbagliata affatto.
Johanne fu costretta a confessarmelo, – e Alving non poté ne-
gare. Così non restava altro, che insabbiare la cosa.
PASTORE MANDERS Già, era l’unica possibilità.
SIGNORA ALVING La ragazza lasciò subito il servizio, ed ebbe
una discreta somma per tacere fino a nuovo ordine. Al resto
provvide da sola, quando si recò in città. Rinverdì una vecchia
amicizia con il falegname Engstrand, posso ritenere che gli fa-
cesse capire quanti soldi aveva, e gli avrà raccontato qualche
storia su un forestiero, che l’estate sarebbe stato qui con la sua
imbarcazione da diporto. Così lei ed Engstrand si sposarono in
fretta e furia. Sì, li ha sposati proprio lei.
PASTORE MANDERS Ma come spiegami –? Ricordo chiaramen-
te, quando Engstrand venne per stabilire le nozze. Era così con-
trito, e si rimproverava amaramente la leggerezza, di cui lui e la
sua fidanzata s’erano resi colpevoli.
SIGNORA ALVING Già, doveva prendere la colpa su di sé.
PASTORE MANDERS Ma che ipocrisia da parte sua! E di fronte a
me! Non ne avrei mai creduto capace Jakob Engstrand. Be’,
glielo rinfaccerò duramente; che si prepari. – E poi l’immoralità
di una simile unione! Per soldi –! Quant’era la cifra, a disposi-
zione della ragazza?
SIGNORA ALVING Trecento talleri.

pre da Manders, in contesti perfettamente speculari: in riferimento, la prima


volta, alle avances di Alving senior con la cameriera Johanne («Che sconcia
leggerezza da parte di lui») e, questa seconda volta, in riferimento alle avan-
ces di Alving junior con la cameriera Regine.
266 HENRIK IBSEN

PASTORE MANDERS Sì, pensi, – per trecento miseri talleri con-


trarre il matrimonio con una donna caduta!
SIGNORA ALVING E che dire di me allora, che ho contratto ma-
trimonio con un uomo caduto!
PASTORE MANDERS Ma Dio ci guardi; – che cosa, dice? Un uo-
mo caduto!
SIGNORA ALVING Crede forse che Alving fosse più immacolato,
quando mi recai con lui all’altare, di quanto lo fosse Johanne il
giorno che sposò Engstrand?
PASTORE MANDERS Comunque sono cose completamente diffe-
renti –
SIGNORA ALVING Mica tanto differenti. Certo la grande differen-
za era nel prezzo; – trecento miseri talleri e un intero patrimonio.
PASTORE MANDERS Ma non si possono mettere insieme cose
tanto dissimili. Lei avrà pure consultato il suo cuore e i suoi fa-
miliari.
SIGNORA ALVING (senza guardarlo) Credevo che avesse capito,
dove, quello che lei chiama il mio cuore, s’era smarrito allora.
PASTORE MANDERS (estraneo) Se avessi capito qualcosa del gene-
re, non sarei diventato un ospite assiduo in casa di suo marito.35
SIGNORA ALVING Già, una cosa è certa almeno, che con me stes-
sa non mi sono consultata per davvero.
PASTORE MANDERS Sia pure ma con i suoi parenti più stretti al-
lora; com’è d’obbligo; con sua madre e le sue due zie.
SIGNORA ALVING Sì, è vero. Quelle tre hanno risolto per me il
problema d’aritmetica. Oh, è incredibile, come conclusero che
sarebbe stata pura follia respingere un’offerta simile. Se mia
madre potesse vedere e sapere, che fine ha fatto tutta quella
magnificenza!
PASTORE MANDERS Nessuno può essere responsabile di come è
andata. Va da sé comunque che il suo matrimonio fu contratto
in piena conformità con l’ordine legale.
SIGNORA ALVING (alla finestra) Sì, con l’ordine e la legge! Tan-
te volte credo, che sia questo, a creare tutte le infelicità del
mondo.

35
Manders ospite abituale nella casa dei coniugi Alving, esattamente come
Rank nella casa dei coniugi Helmer. Ibsen recepisce perfettamente la tenta-
zione del triangolo adulterino, ma lo lascia nel sottotesto, non ne fa mai argo-
mento delle sue trame drammaturgiche, a differenza del restante teatro eu-
ropeo, egemonizzato dagli autori francesi, decisamente ossessionati da simile
problematica.
SPETTRI 267

PASTORE MANDERS Signora Alving, ora lei commette peccato.


SIGNORA ALVING Già, sarà così; ma io non resisto più fra tanti
vincoli e riguardi. Non ce la faccio! Devo farmi strada verso la
libertà.
PASTORE MANDERS Che cosa intende?
SIGNORA ALVING (tamburella sul davanzale della finestra) Non
avrei mai dovuto tenere nascosta la condotta di vita di Alving.
Ma allora io non osavo fare altro, – e neppure per me stessa.
Tanto ero vile.
PASTORE MANDERS Vile?
SIGNORA ALVING Se si fosse venuto a sapere, la gente avrebbe
detto: poveruomo, è naturale che se la spassi, lui, con una mo-
glie che l’abbandona.
PASTORE MANDERS Lo si sarebbe detto con una certa ragione.
SIGNORA ALVING (lo fissa) Se io fossi quella che dovrei essere,
dovrei prendere Osvald e dirgli: ascoltami, figlio mio, tuo padre
era un debosciato –
PASTORE MANDERS Ma per misericordia –
SIGNORA ALVING – e raccontargli tutto, quello che ho racconta-
to a lei, – per filo e per segno.
PASTORE MANDERS Sono quasi indignato con lei, signora.
SIGNORA ALVING Sì lo so. Lo so! Io stessa m’indigno all’idea. (Si
stacca dalla finestra.) Tanto sono vile.
PASTORE MANDERS E lei chiama viltà adempiere né più né me-
no al proprio dovere e ai propri obblighi. Ha dimenticato che
un figlio deve onorare e amare il padre e la madre?
SIGNORA ALVING Lasciamo perdere i princìpi. Chiediamoci:
Osvald deve onorare e amare il ciambellano Alving?
PASTORE MANDERS Nel suo cuore di madre non c’è una voce,
che le proibisce di distruggere gli ideali di suo figlio?
SIGNORA ALVING Sì ma la verità allora?
PASTORE MANDERS Sì ma gli ideali allora?
SIGNORA ALVING Oh – gli ideali, gli ideali! Se solo non fossi tan-
to vile, come sono!
PASTORE MANDERS Non li rigetti gli ideali, signora, – perché si
vendicano duramente. E proprio con Osvald poi. Osvald non
ha molti ideali, purtroppo. Ma per quel che ho potuto giudica-
re, suo padre è comunque una specie di ideale per lui.
SIGNORA ALVING In questo lei ha ragione.
PASTORE MANDERS E queste immagini di lui gliele ha inculcate
e le ha nutrite proprio lei con le sue lettere.
SIGNORA ALVING Già; io ero soggiogata al dovere e ai riguardi;
268 HENRIK IBSEN

per questo ho mentito al mio ragazzo anno dopo anno. Oh, tan-
to vile, – tanto vile sono stata!
PASTORE MANDERS Lei ha consolidato una felice illusione in
suo figlio, signora Alving, – e non deve reputarla davvero cosa
da poco.
SIGNORA ALVING Hm; chi sa, se questo adesso sia proprio un be-
ne. – Ma di tresche con Regine non voglio assolutamente sa-
perne. Non deve rendere infelice quella povera ragazza.
PASTORE MANDERS No, buon Dio, sarebbe tremendo!
SIGNORA ALVING Se sapessi che lui ha intenzioni serie e se ciò
fosse per la sua felicità –
PASTORE MANDERS Come? Che?
SIGNORA ALVING Ma così non è; purtroppo Regine non è quella
giusta.
PASTORE MANDERS Allora, che cosa? Cosa vuol dire?
SIGNORA ALVING Se non fossi cosi pietosamente vile, come so-
no, gli direi: sposatela, o mettetevi d’accordo fra di voi; niente
menzogne però.
PASTORE MANDERS Ma per misericordia –! Un matrimonio
in forma legale per di più! È spaventoso –! Qualcosa d’inau-
dito –!
SIGNORA ALVING Sì, dice inaudito lei? Mano sul cuore, pastore
Manders; ma crede che in giro nel paese non ci siano diverse
coppie di sposi, imparentate altrettanto strettamente?36
PASTORE MANDERS Io non la capisco affatto.
SIGNORA ALVING Oh sì che mi capisce.
PASTORE MANDERS Be’, lei pensa all’eventualità che –. Sì, di-
sgraziatamente, la vita familiare non è certo sempre pura, come
dovrebbe essere. Ma quello, cui si riferisce lei, non lo si può mai
sapere, – almeno non con sicurezza. Qui invece –; che lei, una
madre, possa voler accettare che suo –!
SIGNORA ALVING Ma io non lo voglio. Non vorrei accettarlo per
nessun prezzo al mondo; è proprio quello che sto dicendo.
PASTORE MANDERS No, perché è vile, secondo la sua espressio-
ne. Ma se vile non fosse –! Oh mio Creatore – una unione così
rivoltante!
SIGNORA ALVING Sì, del resto discendiamo tutti da unioni del

36
Il teatro di Ibsen è un grande scandaglio sui vizi privati e le pubbliche virtù
della borghesia capitalistica di fine Ottocento, una messa a fuoco implacabile
delle pulsioni più inconfessate e inconfessabili che allignano all’interno del
nucleo familiare: e il tema dell’incesto resta centrale.
SPETTRI 269

genere, si dice. E chi, poi, ha ordinato così le cose di questo


mondo, pastore Manders?37
PASTORE MANDERS Sono problemi che con lei non discuto, si-
gnora; lei non ha affatto lo spirito giusto. Ma spingersi ad affer-
mare, che sia vile da parte sua –!
SIGNORA ALVING Ora deve ascoltare, come io intendo. Io sono
pavida e timida, perché c’è dentro di me qualcosa di quegli
spettri, di cui non riesco mai del tutto a liberarmi.
PASTORE MANDERS Che cosa chiama lei in questo modo?
SIGNORA ALVING Qualcosa di quegli spettri. Quando ho sentito
Regine e Osvald là dentro, è stato come vedere degli spettri da-
vanti a me. Ma io credo quasi, che noi tutti siamo spettri, pasto-
re Manders. Non è solo ciò che abbiamo ereditato da padre e
madre, che ritorna in noi. È ogni specie di vecchie morte opi-
nioni e ogni genere di vecchie morte credenze e cose simili. Es-
se non vivono in noi; ma intanto sussistono e non riusciamo a
sbarazzarcene. Basta prendere un giornale e leggerlo, ed è co-
me se gli spettri strisciassero fra le righe. Devono esistere spet-
tri per tutto il paese. Devono essere fitti come la rena, mi sem-
bra. E per questo abbiamo tutti così pietosamente paura della
luce.
PASTORE MANDERS Aha, – eccolo qui il risultato delle sue lettu-
re. Bei frutti davvero! Oh, quegli scritti abominevoli, sovversivi,
dei liberi pensatori!
SIGNORA ALVING Si sbaglia, caro pastore. È proprio lei quell’uo-
mo, che m’ha incitato a pensare; e per questo le devo ringrazia-
menti e gratitudine.
PASTORE MANDERS Io!
SIGNORA ALVING Sì, quando lei mi ha costretta a sottometter-
mi a ciò che chiama il dovere e l’obbligo; quando ha esaltato
come buono e giusto tutto ciò a cui il mio spirito si rivoltava,
come fosse qualcosa di orripilante. Fu allora che cominciai a
esaminare i suoi insegnamenti in tutti i loro risvolti. Io vole-
vo solo tirare un unico filo; ma sciolto quello, si sfilò ogni co-
sa. E allora mi sono resa conto che questi punti erano fatti a
macchina.38

37
Allusione ai vari punti del Vecchio Testamento in cui compaiono storie di
incesto, per esempio le figlie di Lot che si uniscono al padre perché credono
di dover garantire la continuità della specie.
38
Il cucito fatto a macchina presenta la caratteristica di essere fermato alla
fine da un unico nodo. Sciolto il quale, tirando un capo, si sfila tutto.
270 HENRIK IBSEN

PASTORE MANDERS (piano, scosso) Sarebbe questa la ricompen-


sa della lotta più grave della mia vita?
SIGNORA ALVING La chiami piuttosto la sua più penosa disfatta.
PASTORE MANDERS Fu la più grande vittoria della mia vita, He-
lene; la vittoria su me stesso.
SIGNORA ALVING Fu un delitto contro noi due.
PASTORE MANDERS Che io le abbia detto e comandato: donna,
va’ al focolare dal tuo legittimo capofamiglia, quando lei venne
da me smarrita a gridarmi: sono qui; prendimi! Questo fu un de-
litto?39
SIGNORA ALVING Sì, a me sembra.
PASTORE MANDERS Noi due non ci capiamo.
SIGNORA ALVING Quantomeno non ci capiamo più.
PASTORE MANDERS Mai, – mai neanche nei più reconditi pen-
sieri, l’ho considerata altrimenti che la sposa di un altro.
SIGNORA ALVING Sì – lo crede?
PASTORE MANDERS Helene –!
SIGNORA ALVING È così facile perdere il ricordo di sé stessi.
PASTORE MANDERS Io no. Io sono quello che sono sempre stato.
SIGNORA ALVING (cambia tono) Sì, sì, sì, – non parliamo più del
passato. Ora lei è immerso fino alle orecchie in commissioni e
comitati di gestione;40 e io sto qui a combattere con gli spettri
di dentro e di fuori.
PASTORE MANDERS Quelli di fuori l’aiuterò io a sconfiggerli.

39
C’è una dimensione passionale, nel passato della signora Alving. La tradi-
zione scenica ha teso però, sin dall’inizio, a rimuovere questo aspetto, privile-
giando piuttosto il dramma della madre (anziché quello della donna innamo-
rata). A cominciare da Antoine, che portò al successo Spettri in Francia, e
quindi praticamente in tutta Europa, nel 1890. Sui tagli di Antoine su questo
punto cfr. Alonge 2006, pp. 58-65.
40
Manders non è affatto quel pesce bollito che la tradizione scenica ci ha con-
segnato (personaggio ipocrita, reazionario, sciocco, a seconda delle varie ac-
centuazioni, ma comunque figura secondaria, trascurabile): cfr. n. 26. Se è
stato amato da una donna sensibile e intelligente come Helene Alving, in
realtà non può essere né uno stolido né un uomo privo di fascino. Poiché i
parenti di Helene l’hanno spinta a sposare, senza amore, Alving, è evidente
che Manders non era un partito altrettanto buono. La carriera ecclesiastica è
stata per Manders il risarcimento di un’origine sociale probabilmente mode-
sta. Di qui il compiacimento di Manders per il peso che è riuscito a conqui-
starsi nella comunità, la soddisfazione di stare in molteplici «commissioni e
comitati di gestione». C’è, insomma, un risvolto manageriale di Manders che
va sottolineato, e che costituisce un altro lato del suo charme.
SPETTRI 271

Dopo tutto quello che con spavento ho sentito da lei oggi, non
posso consentire in coscienza che una giovane ragazza indifesa
resti in casa sua.
SIGNORA ALVING Non crede che sarebbe meglio se potessimo
trovarle una sistemazione? Voglio dire – un buon matrimonio.
PASTORE MANDERS Senz’altro. Ritengo che sotto ogni aspetto
sarebbe augurabile per la ragazza. Regine è appunto in quel-
l’età, in cui –; già, io non me ne intendo, ma –
SIGNORA ALVING Regine si è sviluppata precocemente.
PASTORE MANDERS Sì, non è vero? Credo di rammentare che il
suo fisico fosse sorprendentemente sviluppato, quando la pre-
paravo per la confermazione.41 Comunque per ora deve ritor-
narsene a casa: sotto la sorveglianza di suo padre –. No, ma
Engstrand non è –. Che lui – che lui abbia potuto nascondermi
così la verità!

(Bussano alla porta dell’anticamera.)

SIGNORA ALVING Chi sarà questo adesso? Avanti!


IL FALEGNAME ENGSTRAND (vestito a festa, sulla porta) Chiedo
infinitamente scusa, ma –
PASTORE MANDERS Aha! Hm –
SIGNORA ALVING È lei, Engstrand?
ENGSTRAND – non c’erano le domestiche, e così ho avuto l’au-
dace libertà di bussare.
SIGNORA ALVING Bene sì, sì. Entri. Vuole dirmi qualcosa?
ENGSTRAND (entra) No, tante grazie. È con il pastore che vorrei
parlare un attimo.
PASTORE MANDERS (va su e giù) Hm; davvero? Lei vuol parlare
con me? Lei lo vuole?
ENGSTRAND Sì, vorrei proprio –
PASTORE MANDERS (si ferma di fronte a lui) Be’; posso chiedere,
di che si tratta?
41
Se Regine ha fra i diciotto e i diciannove anni, come abbiamo detto (cfr. n.
29), può sembrare strano parlare di sviluppo «precoce» per una pubertà ini-
ziata due anni prima, cioè sui sedici-diciassette anni (come ricordano tutti –
Engstrand, Manders, Helene Alving – e basti la battuta di Engstrand nel I at-
to: «Bella ragazzetta, come ti sei fatta negli ultimi due anni –»). Il fatto però è
che il menarca varia storicamente e geograficamente: le prime mestruazioni
erano più tarde nell’Ottocento, in particolare nei paesi più freddi del Nord
Europa, dove iniziavano intorno ai diciotto anni. Per la «confermazione» cfr.
Una casa di bambola, n. 95.
272 HENRIK IBSEN

ENGSTRAND Sì, è questo, signor pastore, ora laggiù stanno pa-


gando. Moltissime grazie signora. – E adesso è pronto tutto; e
così mi sembra che sarebbe davvero carino e opportuno se noi,
che abbiamo lavorato così amichevolmente insieme tutto que-
sto tempo, – mi sembra, che dovremmo concludere stasera con
un atto di devozione.
PASTORE MANDERS Un atto di devozione? Giù al convitto?
ENGSTRAND Sì, ma se al pastore magari non sembra opportuno,
allora –
PASTORE MANDERS Sì certo che mi sembra, ma – hm –
ENGSTRAND Io stesso avevo l’abitudine di tenere un piccolo at-
to di devozione laggiù la sera –
SIGNORA ALVING Lei?
ENGSTRAND Sì, ogni tanto; giusto un piccolo atto di edificazione
per dir così. Ma io non sono che un debole, misero individuo e
non ho i doni necessari, che Dio m’assista, – e così ho pensato,
visto che il signor pastore Manders era qui, allora –
PASTORE MANDERS Sì, vede, falegname Engstrand, dovrei pri-
ma farle una domanda. Lei è nella giusta disposizione per que-
sta cerimonia? Sente la sua coscienza netta e leggera?
ENGSTRAND Oh Dio ci aiuti, non è proprio il caso di parlare di
coscienza, signor pastore.
PASTORE MANDERS No, è invece di quella, che dobbiamo parla-
re. Cosa mi risponde allora?
ENGSTRAND Sì, la coscienza – può essere sporca, quella, a volte.
PASTORE MANDERS Be’, almeno lo riconosce. Ma vuol dirmi sin-
ceramente, – come stanno le cose con Regine?
SIGNORA ALVING (di scatto) Pastore Manders!
PASTORE MANDERS (rassicurante) Mi lasci –
ENGSTRAND Con Regine! Cristo, lei mi fa paura! (Guarda la signo-
ra Alving.) Non sarà mica successo qualcosa di male a Regine?
PASTORE MANDERS Si spera di no. Ma io voglio dire, come stan-
no le cose fra lei e Regine? Lei passa per essere suo padre. Be’?
ENGSTRAND (incerto) Sì – hm – il signor pastore la conosce la
storia fra me e la buon’anima di Johanne.
PASTORE MANDERS Più nessuna distorsione della verità. La sua
defunta moglie ha raccontato alla signora Alving precisamente
la situazione prima di lasciare il servizio.
ENGSTRAND Oh, allora avrebbe –! Davvero l’ha fatto?
PASTORE MANDERS Adesso è smascherato, Engstrand.
ENGSTRAND E quella, che giurava e imprecava per tutti i san-
ti su –
SPETTRI 273

PASTORE MANDERS Imprecava!42


ENGSTRAND No, giurava solamente, ma con una convinzione in-
teriore.
PASTORE MANDERS E in tutti questi anni lei mi ha nascosto la
verità. L’ha nascosta a me, che le ho prestato fede assolutamen-
te in tutto e per tutto.
ENGSTRAND Sì, purtroppo, l’ho fatto.
PASTORE MANDERS Mi meritavo questo da lei, Engstrand? Non
sono sempre stato disponibile ad aiutarla con parole e fatti, per
quanto stava in mio potere? Risponda! Non è così?
ENGSTRAND Tante volte si sarebbe messa male per me, se non
ci fosse stato il pastore Manders.
PASTORE MANDERS E mi ricompensa in questo modo lei. Mi fa
compilare un falso nel registro della chiesa e per anni e anni
mi occulta quelle notizie, di cui era debitore sia nei confronti
miei che della verità. Il suo comportamento è stato assoluta-
mente imperdonabile, Engstrand; e d’ora in poi lei con me ha
chiuso.
ENGSTRAND (con un sospiro) Sì, è proprio così, me ne rendo
conto.
PASTORE MANDERS Già, perché poi come potrebbe mai difen-
dersi?
ENGSTRAND Ma lei doveva proprio andare in giro ad avvilirsi
ancora di più raccontando queste cose? Ora signor pastore im-
magini di essere lei nella stessa condizione, della buon’anima di
Johanne –
PASTORE MANDERS Io!
ENGSTRAND Cristo, Cristo, mica intendo proprio la stessa. Ma
intendo, se il pastore avesse qualcosa di cui vergognarsi agli oc-
chi dell’umanità, come si dice. Noi uomini non dobbiamo giudi-
care troppo duramente una povera donna, signor pastore.
PASTORE MANDERS Ma io non lo sto facendo. È a lei che io indi-
rizzo le recriminazioni.
ENGSTRAND Posso avere il permesso di fare al signor pastore
una piccolissima domanda?
PASTORE MANDERS Su, chieda.
ENGSTRAND Non è cosa buona e giusta, per un uomo, risolleva-
re chi è caduto?
PASTORE MANDERS Sì, ovviamente.

42
Ogni tanto il blasfemo Engstrand perde il controllo, rispetto alla sua più
prudente dimensione tartufesca.
274 HENRIK IBSEN

ENGSTRAND E un uomo non ha il dovere di mantenere la paro-


la data?
PASTORE MANDERS Sì, certamente; ma –
ENGSTRAND Quella volta, che a Johanne era capitata quella di-
sgrazia a causa dell’Inglese – o forse Americano o Russo, come
lo chiamano, – sì, lei venne in città. Poveraccia, mi aveva già ri-
fiutato una o due volte; perché lei ci teneva al bello, lei; e io ci
avevo questa gamba inferma. Sì, il pastore si ricorda che mi ero
spinto in una sala da ballo, dove una ciurma di marinai si ab-
bandonava all’ubriachezza e alle gozzoviglie, come si dice. E al-
lora io che li volevo ammonire a indirizzarsi verso una nuova
condotta di vita –
SIGNORA ALVING (vicino alla finestra) Hm –
PASTORE MANDERS Lo so, Engstrand; quei bruti l’hanno buttata
giù dalle scale. Quell’episodio me l’ha già raccontato. La sua in-
fermità la porta con onore.
ENGSTRAND Non me ne vanto, signor pastore. Ma era questo
che volevo dire, che lei allora venne e si confidò con me con
gran pianto e stridor di denti.43 Debbo dirlo al signor pastore
che ad ascoltarla mi si stringeva il cuore.
PASTORE MANDERS Così davvero, Engstrand. Be’; e poi?
ENGSTRAND Già, poi le dissi: l’Americano vagabonda per i mari
del mondo, lui. E tu, Johanne, le dissi, tu hai fatto una caduta
nel peccato e sei una creatura caduta. Ma Jakob Engstrand, dis-
si, sta dritto su due solide gambe, lui; – sì, la intendevo come
una sorta di similitudine, signor pastore.
PASTORE MANDERS C’ero arrivato; continui pure.
ENGSTRAND Già, così fu che la risollevai e lealmente la sposai
perché la gente non venisse a sapere come s’era traviata con i
forestieri.
PASTORE MANDERS Tutto ciò fu ben fatto da parte sua. Non rie-
sco però ad approvare che lei abbia acconsentito ad accettare
del denaro –
ENGSTRAND Denaro? Io? Neanche un centesimo.
PASTORE MANDERS (interrogativo verso la signora Alving) Ma –!

43
Esempio fulgido del linguaggio tartufesco di Engstrand, denso di caden-
ze scritturali. «Pianto e stridor di denti» è una espressione che ritorna fre-
quentemente in Matteo, 8, 12; 13, 42; 13, 50; 22, 13; 24, 51; 25, 30. Ibsen ri-
prende la traduzione della Bibbia danese, Graad og Tænders Gnidsel, e
rende con tårer og tænders gnidsel, «pianto e stridor di denti». Cfr. Biblia
1842, ad locum.
SPETTRI 275

ENGSTRAND Oh sì, – un attimo; ora mi ricordo. Johanne qualche


scellino ce l’aveva. Ma di quello io non ne volli sapere. Puh, io
dissi, Mammona,44 la mercede del peccato, ecco; l’infame oro –
o le banconote di carta, quello che sia – glielo sbatteremo sul
muso all’Americano, io dissi. Ma quello era lontano e disperso
sul mare selvaggio, signor pastore.
PASTORE MANDERS Fu così, mio buon Engstrand?
ENGSTRAND Sicuro. E così io e Johanne fummo d’accordo che i
soldi sarebbero andati per educare la bambina, e così fu; ed io
posso fare il rendiconto meticoloso d’ogni singolo scellino.
PASTORE MANDERS Ma questo cambia sostanzialmente le cose.
ENGSTRAND Così è andata, signor pastore. E io credo di poter
dire che sono stato un vero padre per Regine, – finché le forze
mi sostenevano – perché io sono un uomo debole, purtroppo.
PASTORE MANDERS Su su, mio caro Engstrand –
ENGSTRAND Ma posso affermare che ho allevato la bambina e
vissuto amorevolmente con la buon’anima di Johanne, e ho eser-
citato la disciplina sulla casa, come sta scritto.45 Eppure mai mi
sarebbe venuto in mente di salire dal pastore Manders a gonfiar-
mi e a vantarmi, di aver fatto una volta tanto a questo mondo
una buona azione, anch’io. No, quando roba del genere capita a
Jakob Engstrand, lui tiene la bocca chiusa. Purtroppo, non capita
spesso, lo so bene. E quando vengo dal pastore Manders, ci ho
sempre da raccontare, di mancanze e di debolezze. Perché dico,
come dicevo poco fa, – la coscienza può essere sporca alle volte.

44
«Mammona», demone tentatore della ricchezza, citato da Cristo (Matteo, 6,
24). Engstrand si compiace di espressioni attinte al linguaggio religioso: syn-
dens sold, «la paga del peccato», la «mercede del peccato». E qualche battuta
prima, non meno gustosamente: du har begåt et syndefald og er en falden skab-
ning, «tu hai fatto una caduta nel peccato e sei una creatura caduta», con una
precisa assonanza fra «caduta nel peccato» (syndefald) e «caduta» (falden).
45
Cfr. Paolo, Lettera agli Efesini, 6, 4, in cui i padri sono invitati ad allevare i fi-
gli «nella disciplina e negli ammonimenti del Signore». Anche in questo caso
il drammaturgo utilizza parzialmente la Bibbia danese, che parla di Tugt («di-
sciplina»), che Ibsen rende con hustugt («disciplina sulla casa»), hapax. Cfr.
Biblia 1842, ad locum. Sono i soliti piccoli trucchi di Engstrand per mettersi in
tasca il pastore luterano. Da notare l’aggettivo usato avverbialmente kærligt,
«amorevolmente», 2 sole ricorrenze: qui Engstrand dice di essere vissuto
«amorevolmente» con Johanne; e nel I atto Manders diceva similmente che
Helene aveva vissuto «amorevolmente» con il ciambellano Alving. La sottile
ironia smaschera l’ipocrisia di due coppie coniugali assai sbrindellate, mesco-
lando l’alto e il basso, gli agiati borghesi e i miserabili proletari.
276 HENRIK IBSEN

PASTORE MANDERS Mi dia la mano, Jakob Engstrand.


ENGSTRAND Oh Cristo, signor pastore –
PASTORE MANDERS Niente complimenti. (Gli stringe la mano.)
Ecco!
ENGSTRAND E se potessi chiedere in tutta umiltà perdono al pa-
store –
PASTORE MANDERS Lei? Al contrario; sono io, che debbo chie-
derle perdono –
ENGSTRAND Oh no per la croce.
PASTORE MANDERS Già, senz’altro. E lo faccio con tutto il cuo-
re. Chiedo venia, per aver pensato così male di lei. E potessi di-
mostrarle qualche segno del mio sincero pentimento e della
mia benevolenza nei suoi confronti –
ENGSTRAND Il signor pastore vorrebbe?
PASTORE MANDERS Con immenso piacere –
ENGSTRAND Be’, perché adesso si darebbe proprio l’occasione
per questo. Con i soldi benedetti, che ho messo da parte quag-
giù, penso di aprire in città una specie di casa del marinaio.
SIGNORA ALVING Lei?
ENGSTRAND Sì, sarebbe come dire una sorta di convitto. Le ten-
tazioni sono svariate per il marinaio, che mette piede sulla terra
ferma. Ma in questa mia casa potrebbe stare come sotto la sor-
veglianza di un padre, ho pensato.
PASTORE MANDERS Che ne dice, signora Alving!
ENGSTRAND Non è molto quello che ho per partire, Dio mi assi-
sta; ma se soltanto ci fosse la mano di un benefattore, allora –
PASTORE MANDERS Sì, sì, rifletteremo per bene sulla cosa. Il suo
progetto mi piace straordinariamente. Ma vada adesso, metta
tutto in ordine e faccia accendere le candele, che ci sia un po’
aria di festa. Avremo il nostro momento edificante, mio caro
Engstrand; perché ora credo che lei sia nel giusto spirito.
ENGSTRAND Pare anche a me, proprio. E allora arrivederla, si-
gnora, e tante grazie; e abbia cura di Regine da parte mia. (S’a-
sciuga una lacrima dagli occhi.) La bambina della buon’anima di
Johanne – hm, è strano – ma è come se fosse cresciuta radicata
nel mio cuore. È proprio così, sì. (Saluta ed esce dall’anticamera.)
PASTORE MANDERS Be’, che ne dice di quest’uomo, signora Al-
ving! Questa è un’altra spiegazione, questa, che abbiamo avuto.
SIGNORA ALVING Sì, è proprio vero.
PASTORE MANDERS Vede, quanto cauti si deve essere nel con-
dannare il prossimo. Ma è anche un’intima gioia persuadersi
che ci si è sbagliati. Cosa ne dice lei?
SPETTRI 277

SIGNORA ALVING Io dico che lei è e sarà sempre un grande bam-


bino, Manders.
PASTORE MANDERS Io?
SIGNORA ALVING (gli appoggia le mani sulle spalle) E dico che
avrei tanto il desiderio di buttarle le braccia al collo.46
PASTORE MANDERS (si ritrae di scatto) No, no, Dio la benedica –;
che razza di desideri –
SIGNORA ALVING (con un sorriso) Oh, non abbia paura di me.
PASTORE MANDERS (vicino al tavolo) Lei ha talvolta un modo di
esprimersi così esagerato. Adesso raccoglierò i documenti e li
metterò nella mia borsa. (Fa ciò che ha detto.) Bene. Arrivederci
allora. E stia in guardia, quando torna Osvald. Ci rivediamo più
tardi. (Prende il cappello ed esce dalla porta dell’anticamera.)
SIGNORA ALVING (sospira, guarda un attimo dalla finestra, rior-
dina un po’ nel salotto e sta per entrare nella sala da pranzo ma
si blocca sulla porta con una esclamazione soffocata) Osvald,
sei ancora a tavola!47

46
La donna Helene (anziché la madre) non rinuncia a prendere a pretesto
l’ingenuità di Manders per tentare di buttargli le braccia al collo: ma anche
questa volta è repressa nel suo slancio dal severo uomo di chiesa.
47
Perché mai una «esclamazione soffocata»? Cosa c’è di così drammatico
nel fatto che Osvald non sia andato a passeggio, e sia rimasto in sala da pran-
zo, a finire il suo liquore e a fumare il suo sigaro? Dobbiamo ritornare all’i-
nizio del II atto, osservando l’insistenza delle didascalie, che registrano per
ben 2 volte che la signora Alving lukker døren, «chiude la porta» (prima
quella che dal salotto conduce in sala da pranzo, e poi quella che dal salotto
conduce in anticamera). Manders capisce subito che l’ospite sta predispo-
nendo perché Osvald non possa origliare il discorso importante che si va ad
aprire, e chiede non casualmente: Han kan dog ikke høre noget derinde?,
«Lui non può ascoltare da là dentro?». La risposta della signora Alving è
appoggiata a due condizioni: Ikke når døren er lukket. Desuden så går han jo
ud, «No quando la porta è chiusa. E poi sta per uscire». In realtà Osvald non
è uscito a passeggio. Ma è assai probabile che anche la prima condizione
non si sia realizzata. La porta è stata chiusa dalla signora Alving, ma è stata
segretamente aperta da Osvald, che ha dunque origliato tutto il tenebroso e
inquietante dialogo fra la madre e il pastore. Curiosamente Ibsen, in questo
snodo che stiamo esaminando (dopo l’uscita di scena di Engstrand), prima
dimentica di precisare che la signora Alving apre la porta, e, poi, registra – in
una didascalia stupefacente – che la signora Alving «lascia la porta aperta»
(lar døren stå åben), senza però dirci chi l’ha aperta. Si tratta comunque – a
essere onesti – di una ipotesi interpretativa, non di una certezza, ma è una
ipotesi fondata sull’esame contestuale di tutto Ibsen. In Casa Rosmer l’ori-
gliamento di Rebekka dietro la porta è assolutamente esplicito e confessa-
278 HENRIK IBSEN

OSVALD (in sala da pranzo) Finisco di fumare il mio sigaro.


SIGNORA ALVING Credevo, fossi uscito un po’.
OSVALD Con questo tempo?

(Tintinna un bicchiere. La signora Alving lascia la porta aperta e si


siede con il lavoro a maglia sul sofà vicino alla finestra.)

OSVALD (dall’interno) Non era il pastore Manders, che se n’è


andato adesso?
SIGNORA ALVING Sì, è sceso al convitto.
OSVALD Hm. (Bicchiere e caraffa tintinnano ancora.)
SIGNORA ALVING (con un’occhiata apprensiva) Caro Osvald,
dovresti andarci piano con quel liquore. È forte.
OSVALD Fa bene contro l’umidità.
SIGNORA ALVING Qui da me non vuoi venire?
OSVALD Io lì dentro non posso fumare.
SIGNORA ALVING Il sigaro sai bene che lo puoi fumare.
OSVALD Sì sì, allora vengo. Un altro goccetto soltanto. – Così.

(Entra nel salotto con il sigaro e chiude la porta dietro di sé. Breve
silenzio.)

OSVALD Dov’è andato il pastore?


SIGNORA ALVING Te l’ho detto, giù al convitto.
OSVALD Oh sì, è vero.48
SIGNORA ALVING Non dovresti startene tanto seduto a tavola,
Osvald.
OSVALD (con il sigaro dietro la schiena) Ma a me sembra così
piacevole, mamma. (La vezzeggia e l’accarezza.) Pensa, – per

to; e così pure avviene ne Il nemico del popolo. Nella tradizione scenica ita-
liana qualche regista ha accolto questa ipotesi, mostrando Osvald che ori-
glia: Franco Branciaroli in un suo spettacolo del 1987, e, più recentemente,
Massimo Castri in un suo allestimento del 2004 (su quest’ultima realizzazio-
ne cfr. Alonge 2007, pp. 71-75).
48
Osvald chiede una cosa che ha già chiesto poche battute prima e alla quale
la madre ha già risposto: è il primo segno concreto dell’affievolimento della
lucidità mentale di Osvald sotto l’effetto congiunto della malattia e del molto
alcol ingollato fin qui. Quando dunque Ermete Zacconi, attore di cultura po-
sitivista, costruiva il suo spettacolo sul progressivo decadimento fisico del per-
sonaggio di Osvald, in fondo non era per nulla arbitrario (come è sembrato
alla critica idealistica e spiritualistica) e non faceva altro che leggere attenta-
mente dei particolari del testo come questo. Cfr. Alonge 1995b, pp. 89-92.
SPETTRI 279

me, che sono tornato a casa, star seduto alla tavola della mam-
ma, nella sala della mamma, a mangiare il delizioso cibo della
mamma.
SIGNORA ALVING Mio caro, caro ragazzo!
OSVALD (un po’ insofferente, passeggia e fuma) E che altro po-
trei fare qui? Non riesco a combinare niente –
SIGNORA ALVING Già, come niente?
OSVALD Con questo tempo plumbeo? Senza che cada un raggio
di sole in tutta la giornata? (Camminando.) Oh, ecco, non riu-
scire a lavorare –!
SIGNORA ALVING Forse non è stata proprio una buona idea, da
parte tua, questo ritorno a casa.
OSVALD No, mamma; dovevo farlo.
SIGNORA ALVING Sì, perché dieci volte rinuncerei alla felicità di
averti qui con me, se tu dovessi –
OSVALD (si ferma vicino al tavolo) Ma ora dimmi, mamma, – per
te è davvero una felicità tanto grande avermi a casa?
SIGNORA ALVING Se questa è una felicità per me!
OSVALD (sgualcisce un giornale) Credo che per te debba essere
la stessa cosa, che io ci sia o meno.
SIGNORA ALVING E hai cuore di dire questo a tua madre,
Osvald?
OSVALD Ma tu finora hai potuto vivere bene senza di me.49
SIGNORA ALVING Sì; ho vissuto senza di te; – questo è vero.

(Silenzio. Comincia lentamente a calare il crepuscolo. Osvald cam-


mina avanti e indietro per la stanza. Ha posato il sigaro.)

OSVALD (si ferma vicino alla signora Alving) Mamma, posso


avere il permesso di sedermi sul sofà vicino a te?
SIGNORA ALVING (gli fa spazio) Certo, vieni, mio caro ragazzo.
OSVALD (si siede) Adesso devo dirti una cosa, mamma.
SIGNORA ALVING (ansiosa) Su!
OSVALD (guarda fisso davanti a sé) Perché non ce la faccio più a
tenermela.
SIGNORA ALVING Di che si tratta? Che cos’è?

49
È la conferma che c’è una sofferenza in Osvald, il quale si è sentito abban-
donato dalla famiglia, in sostanza dalla madre (essendo il padre morto pre-
cocemente): cfr. n. 24. Sebbene sia chiaro che Osvald usa strumentalmente la
cosa per colpevolizzare la madre ed estorcere il suo consenso al di lui matri-
monio (o concubinaggio) con la domestica.
280 HENRIK IBSEN

OSVALD (come prima) Non mi sono mai deciso a scrivertene; e


da quando sono ritornato a casa –
SIGNORA ALVING (lo afferra per un braccio) Osvald, di che cosa
si tratta!
OSVALD Ieri e oggi ho tentato di allontanare da me questi pen-
sieri, – di staccarmene. Ma non è possibile.
SIGNORA ALVING (si alza) Ora devi parlar chiaro, Osvald!
OSVALD (la attira a sedere di nuovo sul sofà) Siediti, ché provo a
dirtela. – Mi sono lamentato tanto della stanchezza del viaggio –
SIGNORA ALVING Be’! E allora?
OSVALD Ma non è quella, che avverto; non è una stanchezza na-
turale –
SIGNORA ALVING (sul punto di scattare in piedi) Non sarai am-
malato, Osvald!
OSVALD (la attira di nuovo giù) Rimani seduta, mamma. Stai
tranquilla. Io non sono propriamente ammalato; non ho quella
che si chiama di solito una malattia. (Si stringe la testa fra le ma-
ni.) Mamma, io sono spiritualmente distrutto, – devastato, – io
non potrò lavorare mai più!

(Coprendosi la faccia con le mani si nasconde in grembo alla ma-


dre e scoppia in singhiozzi.)

SIGNORA ALVING (pallida e tremante) Osvald! Guardami! No,


no, non è vero.
OSVALD (la guarda con occhi disperati) Non poter lavorare mai
più! Mai – mai! Essere come un morto vivente! Mamma, puoi
immaginarti una cosa tanto tremenda?
SIGNORA ALVING Mio infelice ragazzo! Come ti è capitata que-
sta cosa tremenda?
OSVALD (mettendosi di nuovo a sedere ritto) Sì, è proprio que-
sto, che per me è impossibile da afferrare e da capire. Non ho
mai condotto una vita tempestosa. No da nessun punto di vi-
sta. Non devi credere questo di me, mamma! Non l’ho mai
fatto.
SIGNORA ALVING Non lo credo proprio, Osvald.
OSVALD E tuttavia è capitata a me! Questa tremenda disgrazia!
SIGNORA ALVING Oh, ma si risolverà, mio caro, benedetto ra-
gazzo. Non è altro che lavoro eccessivo. Dammi retta.
OSVALD (gravemente) Al principio lo credevo anch’io; ma non è
così.
SIGNORA ALVING Raccontami tutto dal principio alla fine.
SPETTRI 281

OSVALD È quello che voglio fare.


SIGNORA ALVING Quando te ne sei accorto la prima volta?
OSVALD Fu subito dopo che ero stato a casa ultimamente ed ero
ritornato a Parigi. Cominciai a provare delle violentissime fitte
alla testa – soprattutto qua dietro, mi pareva. Era come se aves-
si avvitato stretto un cerchio di ferro attorno alla nuca e sopra.
SIGNORA ALVING E poi?
OSVALD Al principio pensai che non fosse altro che quel comu-
ne mal di testa, che mi aveva tanto afflitto durante la crescita.
SIGNORA ALVING Sì, sì –
OSVALD Ma non era così; me ne accorsi presto. Io non riuscivo
più a lavorare. Volevo cominciare un nuovo grande quadro; ma
era come se le forze mi avessero abbandonato; tutta la mia
energia era come paralizzata, non riuscivo a concentrarmi sulle
immagini; mi girava la testa, – turbinava. Oh, era una condizio-
ne tremenda! Alla fine mandai a chiamare il medico, – e da lui
venni a sapere il verdetto.
SIGNORA ALVING Come, cosa vuoi dire?
OSVALD Era uno dei migliori medici laggiù. Gli dovetti raccon-
tare, quello che avvertivo; e lui cominciò a farmi tutta una serie
di domande, che mi sembravano senza un nesso con la cosa;
non capivo dove volesse arrivare quell’uomo –
SIGNORA ALVING Allora!
OSVALD Alla fine disse: c’è in lei dalla nascita qualche cosa di
bacato; – usò precisamente l’espressione “vermoulu”.
SIGNORA ALVING (ansiosa) Cosa intendeva con ciò?
OSVALD Neanch’io lo capii, e lo pregai di essere più chiaro. E al-
lora quel vecchio cinico – (Stringe il pugno.) Oh –!
SIGNORA ALVING Che ha detto?
OSVALD Disse: i peccati dei padri ricadono sui figli.
SIGNORA ALVING (si alza lentamente) I peccati dei padri –!
OSVALD L’avrei preso a schiaffi –
SIGNORA ALVING (camminando per la stanza) I peccati dei padri –
OSVALD (sorride gravemente) Già, che te ne pare? Naturalmen-
te gli ho dato assicurazioni che non poteva assolutamente esse-
re il caso. Ma credi che si convincesse per questo? No, restava
della sua opinione; e fu solo dopo che gli tirai fuori tutte le tue
lettere e gli tradussi quei passi, che parlavano di papà –
SIGNORA ALVING Ma allora –?
OSVALD Sì, allora dovette ovviamente riconoscere di essere fuo-
ri strada; e così venni a sapere la verità. La verità inconcepibile!
Quella esultante beata vita di gioventù insieme ai miei compa-
282 HENRIK IBSEN

gni, avrei dovuto evitarla. Aveva troppo fiaccato le mie forze.


Era colpa mia, allora!
SIGNORA ALVING Osvald! Oh no; non devi crederlo!
OSVALD Altra spiegazione non poteva esserci, egli disse. Questa
era la cosa più tremenda. Irrimediabilmente devastato per tut-
ta la vita – per colpa della mia sconsideratezza. Tutto ciò che
volevo realizzare al mondo, – neanche a pensarci, neanche a
provare a pensarci. Oh, se potessi rivivere, – annullare tutto
questo! (Egli si butta con il viso sul sofà.)
SIGNORA ALVING (si torce le mani e va avanti e indietro, combat-
tendo silenziosamente)
OSVALD (dopo un po’, solleva lo sguardo e resta semidisteso sul
gomito) Fosse stato almeno qualcosa di trasmesso per via ere-
ditaria, – qualcosa, contro cui non si può far nulla. Ma questo!
In modo così vergognoso, avventato, leggero aver dissipato la
sua propria felicità, la sua propria salute, ogni cosa al mondo, –
il suo futuro, la sua vita –!
SIGNORA ALVING No, no, mio caro, benedetto ragazzo; questo è
impossibile. (Si china su di lui.) Il tuo caso non è così disperato,
come credi tu.
OSVALD Oh, tu non sai –. (Salta in piedi.) E poi, mamma, darti
un dolore così grande! Talvolta quasi ho desiderato e sperato
che tu non ti preoccupassi così tanto di me.
SIGNORA ALVING Io, Osvald; il mio unico ragazzo! L’unico, che
io possegga ed abbia al mondo; l’unico, di cui io mi preoccupi.
OSVALD (le prende le mani e gliele bacia) Sì, sì, lo vedo bene.
Quando sono a casa, lo vedo. Ed è la cosa più penosa per me. –
Ma ora così tu lo sai. E ora per oggi non ne parliamo più. Non
ce la faccio a pensarci tanto a lungo. (Attraversa la stanza.) Fa’
portare qualcosa da bere, mamma!
SIGNORA ALVING Bere? Cosa vuoi bere adesso?
OSVALD Oh, una cosa qualunque. Ce l’avrai del punch freddo in
casa.
SIGNORA ALVING Sì, ma mio caro Osvald –!
OSVALD Non rifiutarmelo, mamma. Sii gentile! Dovrò pure an-
negare in qualche cosa tutti questi pensieri assillanti. (Entra nel
vano-serra.) E come – come è buio, qui!
SIGNORA ALVING (tira il cordone del campanello a destra)
OSVALD E questa pioggia senza fine. Settimane e settimane può
continuare; mesi interi. Non poter mai vedere un raggio di sole.
Le volte che sono tornato in patria, non ricordo di aver mai vi-
sto brillare il sole.
SPETTRI 283

SIGNORA ALVING Osvald, – tu stai pensando di lasciarmi!


OSVALD Hm – (Tira un pesante sospiro.) Io non penso a niente.
Non posso pensare a niente! (Sommessamente.) Ci rinuncio.
REGINE (venendo dalla sala da pranzo) La signora ha suonato?
SIGNORA ALVING Sì, portaci la lampada.
REGINE Subito, signora. È già accesa. (Esce.)
SIGNORA ALVING (s’avvicina a Osvald) Osvald, non essere reti-
cente con me.
OSVALD Non lo sono, mamma. (Si avvicina al tavolo) Mi sem-
bra, di averti già detto tanto.
REGINE (porta la lampada e l’appoggia sul tavolo.)
SIGNORA ALVING Senti, Regine, portaci una mezza bottiglia di
champagne.
REGINE Bene, signora. (Esce di nuovo.)
OSVALD (prende il capo della signora Alving) Così, così dev’es-
sere. Lo sapevo, la mamma non avrebbe lasciato che il suo ra-
gazzo avesse sete.
SIGNORA ALVING Mio povero caro Osvald; come potrei negarti
qualcosa adesso?
OSVALD (vivamente) È vero questo, mamma? Lo dici sul serio?
SIGNORA ALVING Come? Cosa?
OSVALD Che non mi potresti negare nulla?
SIGNORA ALVING Ma caro Osvald –
OSVALD Silenzio!
REGINE (porta un vassoio con una mezza bottiglia di champa-
gne e due bicchieri, che appoggia sul tavolo) Devo aprirla –?
OSVALD No grazie, faccio da solo. (Regine esce di nuovo.)
SIGNORA ALVING (siede vicino al tavolo) Cos’era che volevi dire –
che io non ti potrei negare?
OSVALD (occupato a stappare la bottiglia) Prima un bicchiere –
o due.

(Salta il tappo; versa in un bicchiere e sta per versare nell’altro.)

SIGNORA ALVING (copre con la mano il bicchiere) Grazie, – non


per me.
OSVALD Be’, per me allora! (Vuota il bicchiere, lo riempie e lo
vuota di nuovo; quindi siede al tavolo.)
SIGNORA ALVING (in attesa) E allora?
OSVALD (senza guardarla) Ascolta, dimmi un po’, – m’è parso
che tu e il pastore Manders aveste un’aria strana – hm, eravate
taciturni a tavola.
284 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Hai notato questo?


OSVALD Sì. Hm – (Dopo un breve silenzio.) Dimmi, – che te ne
pare di Regine?
SIGNORA ALVING Che me ne pare?
OSVALD Sì, non è splendida?
SIGNORA ALVING Caro Osvald, tu non la conosci a fondo come
me –
OSVALD Ebbene?
SIGNORA ALVING Sfortunatamente Regine è stata per troppo
tempo a casa sua. Avrei dovuto prenderla prima con me.
OSVALD Sì, ma non è splendida a vedere, mamma? (Si riempie il
bicchiere.)
SIGNORA ALVING Regine ha molti e grandi difetti –
OSVALD Oh sì, che fa? (Beve ancora.)
SIGNORA ALVING Comunque io le voglio bene; e rispondo per
lei. Non vorrei per nulla al mondo che le capitasse qualcosa.
OSVALD (scatta in piedi) Mamma, Regine è la mia unica salvezza!
SIGNORA ALVING (si alza) Che vuoi dire con questo?
OSVALD Non ce la faccio a sopportare tutto questo tormento
spirituale da solo.
SIGNORA ALVING Non hai tua madre al fianco per sopportarlo?
OSVALD Sì, l’ho pensato; e anche per questo sono tornato a casa
da te. Ma così non va. Lo vedo; non va. Non la reggo la mia vita
qui!
SIGNORA ALVING Osvald!
OSVALD Io devo vivere diversamente, mamma. Perciò devo al-
lontanarmi da te. Non voglio, che tu debba avere questo davan-
ti agli occhi.
SIGNORA ALVING Mio infelice ragazzo! Oh, però, Osvald, fin-
tanto che starai male come ora –
OSVALD Fosse la malattia soltanto, io resterei con te, mamma.
Perché tu al mondo sei il mio miglior amico.
SIGNORA ALVING Sì, non è vero, Osvald; lo sono io!
OSVALD (si aggira irrequieto) Ma sono tutti questi tormenti, ran-
cori, rimorsi, – e poi la grande mortale angoscia. Oh – questa
angoscia tremenda!
SIGNORA ALVING (gli si avvicina) Angoscia? Quale angoscia?
Che vuoi dire?
OSVALD Oh, non farmi più domande. Non lo so. Non posso de-
scrivertela.
SIGNORA ALVING (va verso destra e tira il cordone del campanello.)
OSVALD Cos’è che vuoi?
SPETTRI 285

SIGNORA ALVING Voglio che il mio ragazzo sia contento, ecco


quello che voglio. Non deve starsene qui a rimuginare. (A Regi-
ne, che si affaccia sulla porta.) Ancora champagne. Una botti-
glia intera.

(Regine esce.)

OSVALD Mamma!
SIGNORA ALVING Credi che anche qui in campagna non sappia-
mo vivere?
OSVALD Non è splendida da vedere?50 Così, com’è ben fatta! E
così sana fino al midollo.
SIGNORA ALVING (si siede vicino al tavolo) Siediti, Osvald, e
parliamo un po’ tranquillamente.
OSVALD (si siede) Tu non sai, mamma, che ho un torto da ripara-
re nei confronti di Regine.
SIGNORA ALVING Tu!
OSVALD O una piccola piccola leggerezza – se vuoi chiamarla così.
Del resto molto innocente. L’ultima volta che sono stato a casa –
SIGNORA ALVING Sì?
OSVALD – mi domandava molto spesso di Parigi, e io allora le
raccontavo ora una cosa ora l’altra. E mi ricordo che un giorno
mi spinsi a chiederle: non le piacerebbe venirci?
SIGNORA ALVING Dunque?
OSVALD Notai che si fece rossa come il fuoco, e disse: sì, mi pia-
cerebbe proprio. Sì sì, risposi io, faremo in modo che accada – o
qualcosa del genere.
SIGNORA ALVING E dunque?
OSVALD Naturalmente io avevo dimenticato tutto; ma quando
l’altro ieri le ho chiesto se era contenta che mi fermassi così a
lungo a casa –
SIGNORA ALVING Sì?
OSVALD – mi ha guardato in modo strano, e poi mi ha risposto:
ma che ne sarà del mio viaggio a Parigi?
SIGNORA ALVING Il suo viaggio!
OSVALD E allora mi è stato chiaro che aveva preso la cosa sul
serio, e che qui aveva continuato a pensare sempre a me, e che
s’era messa a imparare il francese –

50
Prægtig, «splendida»: aggettivo con 6 ricorrenze nel testo, tutte in bocca a
Osvald, e tutte con accezione molto carnale (5 riferite a Regine, e la sesta di
compiacimento per il fatto che è pronto in tavola).
286 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Per questo dunque –


OSVALD Mamma, – quando mi sono visto davanti quella ragaz-
za splendida, formosa, sana fino al midollo – prima io non le
avevo mai fatto caso – ora però, che me la ritrovavo come a
braccia aperte pronta ad accogliermi –
SIGNORA ALVING Osvald!
OSVALD – allora ho compreso che in lei c’era la salvezza; perché
in lei ho visto la gioia di vivere.51
SIGNORA ALVING (stupefatta) La gioia di vivere –? Ci può esse-
re salvezza in essa?
REGINE (venendo dalla sala da pranzo con una bottiglia di
champagne) Chiedo scusa se ci ho messo tanto; ma sono dovuta
scendere in cantina – (Appoggia la bottiglia sul tavolo.)
OSVALD E va’ a prendere un altro bicchiere.
REGINE (lo guarda sorpresa) Il bicchiere della signora è lì, si-
gnor Alving.
OSVALD Sì, ma devi prenderne uno per te, Regine.
REGINE (trasalisce e getta una fugace timida occhiata alla signo-
ra Alving)
OSVALD Allora?

51
Livsglæde, «la gioia di vivere»: espressione presente soltanto in Spettri, con
12 frequenze, e questa inaugura la serie. L’elogio della parigina «gioia di vi-
vere» è una delle trovate più mistificanti di quel solenne mistificatore che è
Osvald: ciò che a Parigi è sana felicità esistenziale, alla latitudine della Nor-
vegia degenera – chissà perché – in «laidezza». Osvald tira fuori l’espressione
proprio mentre è al culmine del suo elogio fisico di una Regine che gli appa-
re – come sempre – prægtige (cfr. n. 50), ma soprattutto smukke, «formosa»,
pronta ad accoglierlo «a braccia aperte». Al solito, solo il geniale Castri met-
te in chiaro come stanno veramente le cose. Il regista accelera il processo di
ubriacatura di Osvald: dopo Porto bianco e Porto rosso servito a pranzo, e il
molto liquore bevuto dopo pranzo (come gli rinfaccia la madre), giunto al
termine della prima mezza bottiglia di champagne (che si è scolato peraltro
tutto da solo), l’Osvald di Castri è ormai già completamente brillo: parla con
la voce impastata degli ebbri e si muove barcollando. La storia della gioia di
vivere, che tira fuori a questo punto, è dunque una vistosissima bufala, un
modo subdolo di nascondere la propria invereconda pulsione alla dissipazio-
ne erotico-viziosa. In ogni caso è assai dubbio che Helene creda davvero alle
contorte affermazioni di Osvald, ma certo fa finta di crederci, e assume pron-
tamente come suo quel discorso, soltanto per usarlo contro il figlio stesso. È
infatti a questo punto, e a questo punto unicamente, che decide di parlare, di
confessare la verità sul padre. Sa bene che la rivelazione creerà una barriera
insormontabile fra i due giovani. Per il momento la cosa risulta però bloccata
dall’arrivo del pastore.
SPETTRI 287

REGINE (sottovoce ed esitante) È con il permesso della signora –?


SIGNORA ALVING Prenditi il bicchiere, Regine. (Regine va in sa-
la da pranzo.)
OSVALD (la segue con lo sguardo) Hai fatto caso a come cammi-
na? Così sicura e disinvolta.52
SIGNORA ALVING Questo non deve accadere, Osvald!
OSVALD È cosa fatta. Lo vedi. Non serve opporsi.
REGINE (rientra con un bicchiere vuoto, che tiene in mano)
OSVALD Siediti, Regine.
REGINE (guarda interrogativa la signora Alving)
SIGNORA ALVING Siediti.
REGINE (siede su una sedia vicino alla porta della sala da pranzo
e continua a tenere in mano il bicchiere vuoto)53
52
La grande scena fra madre e figlio del II atto è un capolavoro di perfidia e di
raggiro da parte del giovane, che in qualche modo non è nemmeno troppo im-
pudente. In fondo è vero che per lui Helene è quasi una estranea, una madre
che si è sbarazzata del figlio alla tenera età di sette anni. La prima mossa di
Osvald è quindi di colpevolizzarla (cfr. n. 49). La seconda – tanto maggiormen-
te devastante perché inaspettata – è la dolcezza, quando chiede molto urbana-
mente il permesso di sedersi sul sofà accanto alla madre. Ma – più delle battute –
sono importanti le didascalie (come sempre in Ibsen): quando confessa di esse-
re intellettualmente distrutto, si getta sul grembo di lei scoppiando in singhioz-
zi. Ma la madre resiste, non confessa le colpe del padre, e Osvald cambia tattica:
abbandona la posizione melodrammatica, «salta in piedi» (altra didascalia si-
gnificativa), e comincia a esigere qualche primo risarcimento, chiedendo da be-
re, e costringendo la madre a cedimenti progressivi (prima mezza bottiglia di
champagne, poi una bottiglia intera, ed è Osvald che beve per tutt’e due). Natu-
ralmente Osvald appare subito animato dalle concessioni materne; chiede infat-
ti «vivamente» (didascalia): «È vero questo, mamma? Lo dici sul serio? [...] Che
non mi potresti negare nulla?». Punta ad avere il consenso a tornarsene a Parigi
con Regine, ma capisce che non sarà così facile come ottenere champagne. Sic-
ché il discorso su Regine non decolla subito; Osvald prende tempo, indugia a
bere, mentre lei è sempre più «in attesa» (altra didascalia) di conoscere la ri-
chiesta del figlio, il quale sferra il colpo gobbo a tradimento, «senza guardarla»
(Ibsen non spreca mai le sue preziose didascalie): «Ascolta, dimmi un po’, – m’è
parso che tu e il pastore Manders aveste un’aria strana – hm, eravate taciturni a
tavola». I nervi di Helene saltano, non riesce a negare («Hai notato questo?»).
Ma ogni metro ceduto da Helene è un metro conquistato da Osvald, che ne ap-
profitta, insiste pesantemente («Sì. Hm –»), e scopre le carte con impudica bru-
talità: «Dimmi, – che te ne pare di Regine?». Parla di lei, come potrebbe parlare
di un animale («Hai fatto caso a come cammina? Così sicura e disinvolta»).
53
La crudele fotografia ibseniana registra impassibile che Regine «conti-
nua a tenere in mano il bicchiere vuoto» (beholder fremdeles det tomme
glas i hånden): nessuno versa da bere alla povera serva, che in finale del III
288 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Osvald, – che cosa dicevi della gioia di vivere?


OSVALD Sì, la gioia di vivere, mamma, – voi non la conoscete mi-
ca quassù. Io qui non l’ho mai avvertita.
SIGNORA ALVING Neanche quando sei da me?
OSVALD Neanche a casa. Ma tu non comprendi.
SIGNORA ALVING No, no, credo quasi di comprendere – adesso.
OSVALD Quella – e poi la gioia di lavorare. Sì, in fondo è la me-
desima cosa. Ma voi non conoscete affatto neanche quella.
SIGNORA ALVING In questo puoi aver ragione. Osvald, parlame-
ne ancora.
OSVALD Sì, è solo questo che voglio dire, che qui s’insegna alla
gente a credere che il lavoro è una maledizione e una punizio-
ne del peccato, e che la vita è qualcosa di lacrimevole – qualco-
sa che prima si lascia e meglio è.
SIGNORA ALVING Una valle di lacrime, già. E noi la conservia-
mo tale con onestà e diligenza.
OSVALD Ma laggiù le persone non ne vogliono sapere di cose
del genere. Là non c’è nessuno, che creda più a questo genere
d’insegnamenti. Laggiù considerano una sorta di esultante bea-
titudine il solo fatto di essere al mondo. Mamma, hai notato che
tutto ciò che ho dipinto ruota intorno a questa gioia di vivere?
Sempre e insistentemente la gioia di vivere. Lì c’è la luce e il so-
le che brilla e un’aria di festa – e volti umani raggianti di letizia.
Per questo ho paura di restare qui a casa da te.
SIGNORA ALVING Paura? Di che cosa hai paura qui da me?
OSVALD Ho paura che tutto ciò, che in me è elevato, qui si de-
gradi in laidezza.
SIGNORA ALVING (lo fissa) Credi, che questo accadrebbe?
OSVALD Lo so per certo. Anche a vivere qui la stessa vita, di lag-
giù, non sarebbe mai la stessa vita.

atto, abbandonando casa Alving, dirà con qualche ragione: «Ne avrò anco-
ra occasioni di bere champagne con gente di alta condizione, io». La critica
non ha saputo cogliere l’ambiguità della signora Alving, donna evoluta, ma
anche donna pienamente inserita nel proprio contesto sociale, ben ferma
nei suoi pregiudizi di casta: disposta forse ad accettare che il figlio si porti a
letto la sorellastra, ma disgustata e sconvolta all’idea di ritrovarsi per nuo-
ra una proletaria, volgare, ignorante (e anche un po’ sgualdrina). Solo Ca-
stri ha colto i limiti di classe della signora Alving: Regine, per Castri, non
bagna delicatamente i fiori (come propone solitamente la tradizione sceni-
ca), ma pulisce i vetri e spazza per terra. Helene si è tenuta in casa la ba-
stardella del marito, ma per farle fare la serva, e non già come dama di com-
pagnia.
SPETTRI 289

SIGNORA ALVING (che l’ha ascoltato con ansia, si alza in piedi,


gli occhi grandi e pensosi e dice) Ora vedo il nesso.
OSVALD Cos’è che vedi?
SIGNORA ALVING Ora lo vedo per la prima volta. E ora posso
parlare.
OSVALD (si alza) Mamma, non ti capisco.
REGINE (che si è ugualmente alzata) Forse è meglio che vada?
SIGNORA ALVING No, resta qui. Ora posso parlare. Ora, ragazzo
mio, devi sapere ogni cosa. E poi potrai scegliere. Osvald! Re-
gine!
OSVALD Zitta. Il pastore –
PASTORE MANDERS (entra dalla porta dell’anticamera) Bene,
abbiamo avuto un momento di commovente raccoglimento
laggiù.
OSVALD Anche noi.
PASTORE MANDERS Engstrand dobbiamo aiutarlo con quella
casa del marinaio. Regine deve trasferirsi da lui e sostenerlo –
REGINE No grazie, signor pastore.
PASTORE MANDERS (la nota solo adesso) Che –? Qui, – e con un
bicchiere in mano!
REGINE (posa prontamente il bicchiere) Pardon –!
OSVALD Regine parte con me, signor pastore.
PASTORE MANDERS Parte! Con lei!
OSVALD Già, come mia sposa, – se lei lo richiede.
PASTORE MANDERS Ma per misericordia –!
REGINE Non so che farci, signor pastore.
OSVALD Oppure resta qui, se resto io.
REGINE (suo malgrado) Qui!
PASTORE MANDERS Sto impietrito innanzi a lei, signora Alving.
SIGNORA ALVING Non accadrà nulla di questo; perché ora posso
parlare apertamente.
PASTORE MANDERS Ma lei non lo farà! No, no, no!
SIGNORA ALVING Sì, io posso e voglio farlo. E tuttavia nessun
ideale cadrà.54
54
Di fronte all’affondo del figlio (che non esita a dichiarare sfrontatamente
– persino davanti al pastore – la sua decisione di vivere con Regine), Helene
rilancia: è pronta a raccontare anche dinanzi al pastore, sicura di poter vince-
re su due fronti (di impedire il matrimonio, ma anche di evitare il crollo del-
l’ideale paterno), mentre prima era più possibilista («E poi potrai scegliere»,
diceva al figlio). Ancora una volta Helene è impedita (dallo scoppio dell’in-
cendio), ma la partita è solo rinviata al III atto, quando finalmente riuscirà a
parlare, dividendo per sempre Regine da Osvald.
290 HENRIK IBSEN

OSVALD Mamma, che cos’è che mi state nascondendo!


REGINE (tendendo l’orecchio) Signora! Ascolti! C’è gente, che
grida là fuori. (Va nel vano-serra e guarda fuori.)
OSVALD (alla finestra di sinistra) Che succede? Da dove provie-
ne quel bagliore?
REGINE (grida) Il convitto brucia!
SIGNORA ALVING (alla finestra) Brucia!
PASTORE MANDERS Brucia? Impossibile. Ci sono stato io poco fa.
OSVALD Dov’è il mio cappello? Oh, fa lo stesso –. Il convitto di
papà –! (Corre fuori per la porta del giardino.)
SIGNORA ALVING Il mio scialle, Regine! È tutto fuoco e fiamme.
PASTORE MANDERS Tremendo! Signora Alving, qui fiammeggia
la punizione di Dio su questa casa di perdizione!
SIGNORA ALVING Sì, sì certo. Vieni, Regine. (Si affretta con Regi-
ne attraverso l’anticamera.)
PASTORE MANDERS (giunge le mani) E per giunta non è assicu-
rato!55

(Esce dalla stessa parte.)

55
Spesso in Ibsen una nota comica si mescola agli accenti più drammatici,
quasi tragici: come in questo rammarico del pastore di non aver provveduto
all’assicurazione. Brucia il convitto, brucia il corpo malato di Osvald, ma il
pastore pensa all’assicurazione, e il sipario del II atto si chiude su una franca
risata del pubblico.
TERZO ATTO

(Stesso salotto di prima. Tutte le porte sono aperte. La lampada


continua a bruciare sul tavolo. Fuori buio; solo un debole bagliore
di fiamme in fondo a sinistra.)

(La Signora Alving, con un grande scialle sul capo, sta in piedi nel
vano-serra e guarda fuori. Regine, pure avvolta in uno scialle, sta
un po’ dietro di lei.)

SIGNORA ALVING Tutto bruciato. Dalle fondamenta.


REGINE Brucia ancora nello scantinato.
SIGNORA ALVING E Osvald non rientra. Lì non c’è proprio nulla
da salvare.
REGINE Forse devo andare giù a portargli il cappello?
SIGNORA ALVING Non ha nemmeno il cappello?
REGINE (indica l’anticamera) No, sta appeso lì.
SIGNORA ALVING Lascialo appeso. Adesso rientrerà. Voglio an-
dare a vedere io stessa. (Esce dalla porta del giardino.)
PASTORE MANDERS (entra dall’anticamera) Non c’è la signora
Alving qui?
REGINE È scesa adesso in giardino.
PASTORE MANDERS Questa è la notte più spaventosa, che ho
vissuto.
REGINE Sì, non è una disgrazia orribile, signor pastore?56
PASTORE MANDERS Oh, non parliamone! Quasi non riesco a
pensarci.
56
«Una disgrazia orribile» dice Regine, en gruelig ulykke. L’aggettivo grue-
lig ha solo 3 ricorrenze, e tutt’e tre in bocca a Regine, e sempre in conversa-
zione con Manders, quasi una sorta di tic che ne caratterizza il parlato, come
per rendersi interessante agli occhi di un interlocutore socialmente impor-
tante: nel I atto dice che Osvald è arrivato «orribilmente sfinito dal viag-
gio», e, poco dopo, che le «dispiacerebbe orribilmente» separarsi dalla si-
gnora Alving.
292 HENRIK IBSEN

REGINE Ma come può essere successo –?


PASTORE MANDERS Non mi chieda, signorina Engstrand! Cosa
posso saperne io? Non vorrà pure lei –? Non basta, che suo pa-
dre –?
REGINE Che fa?
PASTORE MANDERS Oh, mi ha così confuso le idee.
FALEGNAME ENGSTRAND (entra dall’anticamera) Signor pasto-
re –!
PASTORE MANDERS (si gira spaventato) Anche qui mi sta addosso!
ENGSTRAND Sì, che Iddio mi uccida –! Oh, Cristo dài! Ma è così
atroce, signor pastore!
PASTORE MANDERS (va avanti e indietro) Purtroppo, purtroppo!
REGINE Che c’è?
ENGSTRAND Oh, tutto a causa di quell’atto di devozione, capi-
sci. (Sottovoce.) Adesso l’abbiamo il merlo, bambina mia!57 (Ad
alta voce.) E io ho colpa, se il pastore è stato colpevole di tutto
questo!
PASTORE MANDERS Ma io le garantisco, Engstrand –
ENGSTRAND Ma nessun altro che il pastore, ha maneggiato le
candele laggiù.
PASTORE MANDERS (si ferma) Già, lo sostiene lei. Ma io catego-
ricamente non ricordo di aver avuto candele per le mani.
ENGSTRAND E io, invece ho visto precisamente che il pastore ha
preso la candela e l’ha smoccolata con le dita e ha buttato il
moccolo fra i trucioli.
PASTORE MANDERS E lei ha visto questo?
ENGSTRAND Sì, l’ho visto molto bene, questo.
PASTORE MANDERS Per me è incomprensibile. Non è mai mia
abitudine spegnere le candele con le dita.
ENGSTRAND Sì, è stata una atroce sbadataggine, davvero. Ma è
proprio così grave, signor pastore?
PASTORE MANDERS (va irrequieto su e giù) Oh, non me lo chieda!
ENGSTRAND (accompagnandolo) E così il pastore non l’aveva
neppure assicurato?
PASTORE MANDERS (continuando a camminare) No, no, no; l’ha
sentito.
ENGSTRAND (seguendolo) Non assicurato. E quindi mettersi a
dar fuoco a tutta quella roba. Cristo, Cristo, che disgrazia!

57
Il testo dice propriamente gøk, il «cùculo», ma abbiamo preferito tradur-
re con «merlo», che rende meglio l’allusione sprezzante nei confronti di
Manders.
SPETTRI 293

PASTORE MANDERS (s’asciuga il sudore sulla fronte) Sì, lo può


ben dire, Engstrand.
ENGSTRAND E che una cosa del genere sia accaduta con un’isti-
tuzione di beneficenza, che doveva servire città e provincia, co-
me si dice. I giornali non saranno teneri con il pastore, debbo
credere.
PASTORE MANDERS No, ed è proprio a questo, che sto pensan-
do. È quasi la cosa peggiore di tutte. Tutti gli attacchi astiosi e le
insinuazioni –! Oh, è spaventoso pensarci!
SIGNORA ALVING (viene dal giardino) Non riesce a staccarsi dal-
lo spegnimento.
PASTORE MANDERS Ah, è lei, signora.
SIGNORA ALVING E così può evitare di tenere la sua commemo-
razione, pastore Manders.
PASTORE MANDERS Oh, l’avrei fatta così volentieri –
SIGNORA ALVING (a voce bassa) È meglio che sia andata, com’è
andata. Quel convitto non sarebbe mai diventato una benedi-
zione.
PASTORE MANDERS Non crede?
SIGNORA ALVING Lei crede?
PASTORE MANDERS Ma è pur sempre una grande disgrazia.
SIGNORA ALVING Parliamone alla svelta, come d’una questione
d’affari. – Lei aspetta il pastore, Engstrand?
ENGSTRAND (sulla porta dell’anticamera) Sì, io aspetto.
SIGNORA ALVING Si sieda intanto.
ENGSTRAND Grazie, sto bene in piedi.
SIGNORA ALVING (al pastore Manders) Prenderà senz’altro il
vapore?
PASTORE MANDERS Sì. Parte fra un’ora.
SIGNORA ALVING Allora sia gentile e si riporti via tutte le carte.
Non voglio sentire più una parola su questa faccenda. Ho altre
cose cui pensare –
PASTORE MANDERS Signora Alving –
SIGNORA ALVING In seguito le invierò la procura per sistemare
tutto come meglio crede.
PASTORE MANDERS Me ne occuperò molto volentieri. La dispo-
sizione originale del legato purtroppo dovrà essere completa-
mente modificata.
SIGNORA ALVING Si capisce.
PASTORE MANDERS Be’, provvisoriamente penserei di sistemare
così le cose, cedendo al distretto la proprietà di Solvik. Non si
può affatto definire quel terreno senza valore. Lo si utilizzerà
294 HENRIK IBSEN

sempre per qualche cosa. Le rendite del contante, depositato in


banca, potrei forse impiegarle convenientemente per sostenere
qualche opera, che possa definirsi a vantaggio della città.
SIGNORA ALVING Come vuole. Ora per me ogni cosa è del tutto
indifferente.
ENGSTRAND Pensi alla mia casa del marinaio, signor pastore!
PASTORE MANDERS Già, sicuro, quella. Be’, andrà ben ponde-
rata.
ENGSTRAND Ma che diavolo ponderare –. Oh Cristo!
PASTORE MANDERS (con un sospiro) E non so purtroppo, per
quanto ancora potrò decidere su queste cose. Se l’opinione
pubblica non mi costringerà alle dimissioni. Tutto dipende dal-
l’esito dell’inchiesta sull’incendio.
SIGNORA ALVING Che dice?
PASTORE MANDERS E l’esito non lo si può proprio prevedere.
ENGSTRAND (più vicino) Oh sì che si può. Perché qui ci sta
Jakob Engstrand in persona, cioè io.
PASTORE MANDERS Sì, sì, ma –?
ENGSTRAND (a voce più bassa) E Jakob Engstrand non è uomo
che abbandoni un degno benefattore nel momento del bisogno,
come si dice.
PASTORE MANDERS Sì ma caro, – come –?
ENGSTRAND Jakob Engstrand è giusto come se fosse l’angelo
della salvezza, lui, signor pastore!
PASTORE MANDERS No, no, questo di sicuro non posso accettarlo.
ENGSTRAND Oh, ora non si preoccupi. Conosco uno, che si è già
preso una volta la colpa di altri, io.58
PASTORE MANDERS Jakob! (Gli stringe la mano.) Lei è una per-
sona rara. Ebbene, l’avrà l’aiuto per il suo convitto del mari-
naio; ci conti.

58
In prima approssimazione Engstrand si riferisce a sé stesso che, in passato,
accettò di prendersi la responsabilità della gravidanza della madre di Regi-
ne, Johanne, sposandola. Adesso ripete la stessa buona azione, assumendosi
la colpa dell’incendio. Entrambe le buone azioni, peraltro, in cambio di dena-
ro. Da un punto di vista grammaticale il testo è comunque chiarissimo, for
andre, «di altri», al plurale, e non già «di un altro». In effetti Engstrand allu-
de, in seconda approssimazione, a Cristo, venuto in terra per farsi carico del-
le colpe dell’umanità. Ovviamente il falegname risulta, come sempre, empio
e blasfemo. Non si può peraltro negare una carica iconoclasta in Ibsen che
sceglie per Engstrand – padre putativo – la stessa qualifica professionale di S.
Giuseppe (rimandando poi, in maniera ancora più sulfurea, a una Johanne-
Madonna e a un Alving senior-Dio Padre).
SPETTRI 295

ENGSTRAND (vuole ringraziare, ma non ci riesce per la commo-


zione)
PASTORE MANDERS (mette a tracolla la borsa da viaggio) E ades-
so si parte. Noi due viaggiamo insieme.
ENGSTRAND (sulla porta della sala da pranzo, sottovoce a Regi-
ne) Vieni con me, ragazzetta! Vivrai come il tuorlo dentro un
uovo.59
REGINE (tira indietro la nuca) Merci!

(Va in anticamera a prendere il bagaglio del pastore.)

PASTORE MANDERS Stia bene, signora Alving! E che lo spirito


dell’ordine e della legalità possa presto fare ingresso in questa
dimora.
SIGNORA ALVING Addio, Manders!

(Ella si dirige verso il vano-serra, mentre vede Osvald entrare at-


traverso la porta del giardino.)

ENGSTRAND (mentre lui e Regine aiutano il pastore con il sopra-


bito) Addio, bambina mia. E se ti dovesse mai capitare qualco-
sa, tu sai dove trovare Jakob Engstrand. (Sottovoce.) Vicolo del
Porto, hm –! (Alla Signora Alving e a Osvald.) E la casa per i
marinai in transito, s’intitolerà “Casa del Ciambellano Alving”,
proprio. E se me la faranno governare secondo i miei princìpi,
posso promettere, che sarà degna della buon’anima del ciam-
bellano.60
PASTORE MANDERS (sulla porta) Hm – hm! Andiamo, mio caro
Engstrand. Addio; addio!

(Lui ed Engstrand escono dalla porta dell’anticamera.)

OSVALD (va verso il tavolo) Di quale casa, stava parlando?


59
Som guld i et æg, che abbiamo tradotto letteralmente, conservando la gu-
stosa immagine del popolano Engstrand, «come il tuorlo dentro un uovo».
Gli attori potrebbero preferire, per un pubblico italiano, «Vivrai nella bam-
bagia».
60
Consueta ironia ibseniana, che questa volta contagia anche il pastore Man-
ders. Engstrand è il solo a utilizzare l’aggettivo salig, «buon’anima», 5 ricor-
renze, 4 per indicare Johanne, e la quinta, qui, per indicare il ciambellano.
Ancora una volta Ibsen si diverte a disegnare sottili convergenze fra i due
antichi amanti a partire da simmetrie lessicali: cfr. n. 45.
296 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Una specie di convitto, che lui e il pastore vor-


rebbero aprire.
OSVALD Brucerà come tutto questo qui.
SIGNORA ALVING Come ti viene in mente questo?
OSVALD Tutto brucerà. Non resterà niente, che ricordi papà. An-
ch’io qui sto bruciando.
REGINE (lo osserva stupefatta)
SIGNORA ALVING Osvald! Non avresti dovuto star tanto laggiù,
mio povero ragazzo.
OSVALD (siede vicino al tavolo) Credo quasi, che in questo tu
abbia ragione.
SIGNORA ALVING Ti asciugo il volto, Osvald; sei tutto fradicio.
(Lo asciuga con il suo fazzoletto.)
OSVALD (fissa indifferente davanti a sé) Grazie, mamma.
SIGNORA ALVING Non ti senti stanco, Osvald? Vuoi dormire?
OSVALD (angosciato) No, no, – dormire no! Io non dormo mai;
faccio solo finta. (Gravemente.) Presto ci sarà tempo.
SIGNORA ALVING (lo guarda preoccupata) Sì sei malato sul se-
rio, mio benedetto ragazzo.
REGINE (tesa) Il signor Alving è malato?
OSVALD (insofferente) E chiudete tutte le porte! Quest’angoscia
mortale –
SIGNORA ALVING Chiudi, Regine.

(Regine chiude e resta in piedi vicino alla porta dell’anticamera.


La signora Alving si toglie lo scialle; Regine fa lo stesso.)

SIGNORA ALVING (avvicina la sedia a quella di Osvald e si siede


accanto a lui) Ecco; voglio star seduta vicino a te –
OSVALD Sì, vieni. E anche Regine deve restare. Regine deve sta-
re sempre con me. Devi darmi una mano, Regine. Non vuoi?
REGINE Non capisco –
SIGNORA ALVING Una mano?
OSVALD Sì, – quando sarà necessario.
SIGNORA ALVING Osvald, non hai tua madre per darti una mano?
OSVALD Tu? (Sorride.) No, mamma, tu quella mano non me la
daresti. (Ride gravemente.) Tu! Ah-ah! (La guarda serio.) Del
resto spetterebbe a te. (Violentemente.) Perché non mi dai del
tu, Regine? Perché non mi chiami Osvald?61

61
In realtà, in privato (o quando crede di non essere sentita da altri, come in
finale di I atto), Regine dà del tu a Osvald (cfr. n. 32). Ma non di fronte alla
SPETTRI 297

REGINE (sottovoce) Non credo che la signora approverebbe.


SIGNORA ALVING Fra poco ne avrai il permesso. E siediti qui vi-
cino a noi, pure tu.
REGINE (siede compassata ed esitante all’altro capo del tavolo)
SIGNORA ALVING E adesso, mio povero tormentato ragazzo,
adesso io alleggerirò il peso della tua anima –
OSVALD Tu, mamma?
SIGNORA ALVING – tutto ciò che tu chiami rancori e rimorsi e
recriminazioni –
OSVALD E credi tu, di poterlo fare?
SIGNORA ALVING Sì, ora posso, Osvald. Tu prima hai parlato di
gioia di vivere; e così s’è accesa in me come una luce nuova su
ogni cosa della mia intera vita.
OSVALD (scuote il capo) Non ci capisco niente.
SIGNORA ALVING Dovresti aver conosciuto tuo padre, quand’e-
ra ancora un giovane tenente. In lui traboccava la gioia di vive-
re, sai!
OSVALD Sì, lo so.
SIGNORA ALVING Era una festa solo guardarlo. E che forza in-
domabile e pienezza di vita, c’era in lui!
OSVALD E poi –?
SIGNORA ALVING E poi quella creatura della gioia di vivere, –
perché era come una creatura, allora, – doveva muoversi qui da
noi in questa cittadina, che non aveva gioie da offrire, ma solo
distrazioni. Dovette starsene qui senza uno scopo nella vita; so-
lo con un impiego. Non un lavoro, sul quale potersi buttare con
tutta l’anima; – aveva solo degli affari. Non un amico, che fosse
all’altezza di sentire che cosa sia la gioia di vivere; solo sciope-
rati e crapuloni –
OSVALD Mamma –!
SIGNORA ALVING E così accadde, ciò che doveva accadere.
OSVALD E che cosa doveva accadere?
SIGNORA ALVING L’hai detto tu stesso ieri sera,62 quello che ti
accadrebbe, se tu rimanessi a casa.
OSVALD Vorresti dire con ciò che papà –?

signora Alving, che percepisce come la vera autorità, come il vero padrone
della casa. Si ricordino – in finale di II atto – le sue esitazioni a sedersi con i
padroni e a bere champagne con loro, nonostante gli incitamenti di Osvald
(ogni volta era la signora Alving a dover riconfermare l’ordine del figlio).
62
«Ieri sera»: il dramma si svolge in meno di ventiquattro ore, ma il III atto è
ambientato di notte.
298 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING Il tuo povero papà non trovò mai uno sfogo
per quella esuberante gioia di vivere, che c’era in lui. Neanch’io
ho portato un’aria di festa in casa sua.
OSVALD Neanche tu?
SIGNORA ALVING Mi avevano impartito certi insegnamenti sul
dovere e cose simili, nei quali ho continuato a credere a lungo.
Tutto finiva in dovere, – nei miei doveri e nei suoi doveri e –.
Ho paura, di aver reso questa casa insopportabile al tuo povero
papà, Osvald.63
OSVALD Perché non mi hai mai scritto di questo?
SIGNORA ALVING Prima le cose non le avevo mai viste in modo
che potessi parlarne con te, che eri suo figlio.
OSVALD E come le vedevi invece?
SIGNORA ALVING (lentamente) Vedevo solo una cosa, che tuo
padre era un uomo distrutto prima che tu nascessi.
OSVALD (con voce soffocata) Ah –! (Si alza e si avvicina alla fi-
nestra.)
SIGNORA ALVING E poi pensavo giorno dopo giorno a una cosa
sola, che in fondo Regine apparteneva a questa casa – come il
mio ragazzo.
OSVALD (si volta di scatto) Regine –!
REGINE (sussulta raddrizzandosi e chiede con voce soffocata) Io –!
SIGNORA ALVING Sì, ora lo sapete tutt’e due.
OSVALD Regine!
REGINE (a se stessa) Allora mia madre era una di quelle.
SIGNORA ALVING Tua madre era brava per molti aspetti, Regine.
REGINE Sì, ma intanto era una di quelle. Sì, io l’ho pensato qual-
che volta; ma –. Sì, signora, potrei avere il permesso di partire
immediatamente?

63
Finalmente Helene riesce a esternare la rivelazione, che è stata per ben
due volte impedita in finale di II atto: cfr. nn. 51, 54. Recupera interamente il
mistificante discorso sulla «gioia di vivere» introdotto precedentemente da
Osvald. Assistiamo così a una incredibile redenzione del ciambellano, pre-
sentato quale improbabilissima vittima di una moglie repressiva. In realtà
Helene mente sapendo di mentire, perché vuole salvare l’idea positiva che il
figlio ha del proprio padre (così almeno pensa la donna). In effetti Helene
non è per nulla immagine di donna frigida, bensì passionale (per esempio
nella sua relazione con Manders). Ma anche con il marito non esita a giocare
il ruolo di compagna di bagordi domestici, pur di trattenerlo in casa, di limi-
tarne le devastanti scappatelle fuori casa. Ricordiamo come rievoca al pasto-
re: «Per tenerlo qui la sera – e la notte ho dovuto farmi compagna dei suoi
reconditi festini su in camera».
SPETTRI 299

SIGNORA ALVING Lo vuoi davvero, Regine?


REGINE Sì, lo voglio proprio.
SIGNORA ALVING Tu puoi fare naturalmente come vuoi, ma –
OSVALD (va verso Regine) Parti adesso? Tu appartieni a questa
casa.
REGINE Merci, signor Alving; – già, ora posso ben dire Osvald.
Ma non era propriamente questo il modo, che avevo pensato io.
SIGNORA ALVING Regine io non sono stata sincera con te –
REGINE No, sarebbe un peccato affermarlo! Se avessi saputo
che Osvald era così malato –. E adesso, che non ci può essere
niente di serio tra di noi –. No, io non posso davvero stare qui
in campagna a penare con gli ammalati.
OSVALD Neanche con uno, che ti è così vicino?
REGINE No non posso assolutamente. Una ragazza povera deve
mettere a frutto la propria giovinezza; sennò un bel giorno si ri-
trova seduta per terra. E anch’io sento la gioia di vivere dentro
di me, signora!
SIGNORA ALVING Sì, purtroppo, ma non perderti, Regine.
REGINE Oh, se capitasse, doveva essere così. Se Osvald assomi-
glia a suo padre, io assomiglierò a mia madre, m’immagino. –
Posso chiedere alla signora se il pastore Manders è al corrente
di questa mia cosa?
SIGNORA ALVING Il pastore Manders sa tutto.
REGINE (intenta a serrarsi lo scialle) Be’, vedrò di prendere il
battello il più presto possibile. Il pastore è anche così gentile
che ci si mette d’accordo; e mi pare che spetti pure a me un po’
di quel denaro, come a lui – quell’orrendo falegname.64
SIGNORA ALVING Certo che l’avrai, Regine.
REGINE (la fissa duramente) La signora avrebbe potuto farmi
crescere come la figlia di un uomo di alta condizione; sarebbe
stato più adeguato per me. (Tira indietro la nuca.) Ma me ne
frego, – fa lo stesso! (Con un’occhiata amara alla bottiglia tap-
pata.) Ne avrò ancora occasioni di bere champagne con gente
di alta condizione, io.
SIGNORA ALVING E se hai bisogno di una casa, Regine, torna da
me.
REGINE No, tante grazie, signora. Il pastore Manders avrà cura

64
Si tratta del denaro frutto dell’eredità del ciambellano, destinato dalla si-
gnora Alving alle spese di gestione del convitto, e che in parte finirà per fi-
nanziare il locale-bordello dell’orrendo falegname. Regine rivendica giusta-
mente una quota sui soldi del suo padre naturale.
300 HENRIK IBSEN

di me, lui. E dovesse andarmi proprio storta, lo conosco un po-


sto, dove mi sentirei a casa.
SIGNORA ALVING Dove?
REGINE Al convitto del Ciambellano Alving.
SIGNORA ALVING Regine, – ora vedo, – tu ti perdi!
REGINE Oh uff! Adieu. (Saluta ed esce dall’anticamera.)65
OSVALD (alla finestra e guarda fuori) Se n’è andata?
SIGNORA ALVING Sì.
OSVALD (mormora tra sé) Credo che sia una pazzia, questa.
SIGNORA ALVING (gli va dietro e gli appoggia le mani sulle spal-
le) Osvald, mio caro ragazzo, – sei molto scosso?
OSVALD (gira il volto verso di lei) Da tutte queste cose su papà,
dici?
SIGNORA ALVING Sì, sul tuo infelice padre. Io ho tanta paura che
ti sia troppo impressionato –
OSVALD Come ti viene in mente questo? Naturalmente sono ri-
masto molto sorpreso; ma in fondo mi può essere abbastanza
indifferente.
SIGNORA ALVING (ritrae le mani) Indifferente! Che tuo padre
fosse così infinitamente infelice!
OSVALD Certo posso provare compassione per lui, come per
chiunque altro, ma –
SIGNORA ALVING Niente altro! Per il tuo proprio padre!
OSVALD (insofferente) Sì, padre – padre. Io non ho conosciuto
nessun padre. Non mi ricordo niente di lui, tranne che una vol-
ta m’ha fatto vomitare.66
SIGNORA ALVING È tremendo a pensarci! Un figlio non dovreb-
be provare amore per il proprio padre nonostante tutto?
OSVALD Quando un figlio non ha nulla di cui ringraziare il pro-
prio padre? Non l’ha mai conosciuto? Sei ancora tanto attacca-
ta a questa vecchia superstizione, tu, che per il resto sei tanto il-
luminata?
65
Nel finale Regine prende coscienza della durezza della lotta di classe: ha
sognato di integrarsi nella società altolocata, ma scopre adesso di essere sta-
ta maltrattata, usata, e forse perfino infettata (dalla sifilide che Osvald può
averle rifilato). Per la prima volta usa parole forti, da proletaria, e se ne parte
sbattendo la porta (metaforicamente parlando). Nello spettacolo di Antoine,
però, forse sbatteva la porta anche letteralmente: cfr. Alonge 2006, pp. 62-63.
66
Nonostante gli sforzi di beatificare la buon’anima, Osvald resta molto fred-
do nei confronti del padre. È la prova provata che Helene, con la storia della
gioia di vivere, ha portato avanti solo una mistificante farneticazione, utile
soltanto a staccare Regine da Osvald.
SPETTRI 301

SIGNORA ALVING E questa sarebbe solo una superstizione –!


OSVALD Sì, puoi rendertene conto, mamma. È una di quelle cre-
denze, che girano per il mondo e così –
SIGNORA ALVING (scossa) Spettri!
OSVALD (si muove per la stanza) Sì, puoi chiamarli spettri.
SIGNORA ALVING (esplode) Osvald, – allora tu non ami neppure
me!
OSVALD Te almeno io ti conosco –
SIGNORA ALVING Sì, mi conosci; ma è tutto!
OSVALD E so quanto mi vuoi bene; e di quanto posso esserti gra-
to. E che puoi aiutarmi infinitamente, adesso, che sono malato.
SIGNORA ALVING Sì, e come non potrei, Osvald! Oh, quasi
vorrei benedirla questa tua malattia, che ti ha riportato a ca-
sa da me. Perché m’accorgo; io non ti ho; tu devi essere con-
quistato.
OSVALD (insofferente) Sì, sì, sì; tutti questi sono modi di dire. De-
vi ricordarti, che sono un uomo malato, mamma. Non posso cu-
rarmi molto degli altri; ho anche troppo da pensare a me stesso.
SIGNORA ALVING (sommessamente) Mi accontenterò e avrò pa-
zienza.
OSVALD E allegria, mamma!
SIGNORA ALVING Sì, mio caro ragazzo, in questo hai ragione. (Si
avvicina a lui.) Non ti ho forse tolto tutti i rancori e le recrimi-
nazioni?
OSVALD Sì, certamente. Ma chi mi toglie adesso l’angoscia?
SIGNORA ALVING L’angoscia?
OSVALD (camminando per la stanza) Regine a una parola l’a-
vrebbe fatto.
SIGNORA ALVING Non ti capisco. Che cosa è questa storia del-
l’angoscia – e di Regine?
OSVALD È molto fonda la notte, mamma?
SIGNORA ALVING Sarà presto giorno. (Guarda fuori nel vano-
serra.) Comincia ad albeggiare lassù sulle vette. E arriva il bel
tempo, Osvald! Tra poco potrai vedere il sole.
OSVALD Sono contento. Oh, avrei ancora tantissimo di cui ralle-
grarmi e vivere –
SIGNORA ALVING Credo bene!
OSVALD Se non posso lavorare, almeno –
SIGNORA ALVING Oh, presto tornerai di nuovo al lavoro, mio ca-
ro ragazzo. Ora non devi più rimuginare tutti questi pensieri as-
sillanti e opprimenti.
OSVALD Già, è stato un bene, che tu mi abbia sollevato da tutte
302 HENRIK IBSEN

quelle fantasie. E se solo venissi a capo di quest’unica – (Siede


sul sofà.) Chiacchieriamo un po’, mamma –
SIGNORA ALVING Sì, chiacchieriamo. (Avvicina una poltrona al
sofà e si siede accanto a lui.)
OSVALD – e intanto spunterà il sole. E tu la saprai. E io non pro-
verò più quest’angoscia.
SIGNORA ALVING Cos’è che devo sapere, dì?
OSVALD (senza ascoltarla) Mamma, non hai detto ieri sera che
non c’era cosa al mondo, che non potresti fare per me, se io ti
pregassi?
SIGNORA ALVING Sì, ho detto proprio così!
OSVALD E lo ripeti, mamma?
SIGNORA ALVING Puoi esserne certo, tu mio caro unico ragazzo.
Io non vivo per altri, unicamente per te solo.
OSVALD Sì, sì, allora devi ascoltarmi –. Tu, mamma, tu hai un ani-
mo estremamente forte, lo so. Ora dovrai restare assolutamen-
te tranquilla, per quanto ascolterai.
SIGNORA ALVING Ma che c’è di tanto tremendo –!
OSVALD Non devi gridare. Mi ascolti? Me lo prometti? Restia-
mo seduti e discutiamone calmi. Me lo prometti, mamma?
SIGNORA ALVING Sì, sì, te lo prometto; ma parla adesso!
OSVALD Già, devi sapere, che questa stanchezza, – e il fatto, che
io non riesca a dedicarmi al lavoro, – tutto questo non è pro-
priamente la malattia in sé –
SIGNORA ALVING E quale sarebbe la malattia in sé?
OSVALD Quella malattia che io ho ricevuto come parte dell’ere-
dità, quella – (si indica la fronte e continua sottovoce) sta qui
dentro.
SIGNORA ALVING (quasi senza parole) Osvald! No – no!
OSVALD Niente grida. Non le sopporto. Già, ecco, sta qui dentro
e aspetta al varco. E può esplodere da un momento all’altro.
SIGNORA ALVING Oh, che orrore –!
OSVALD Adesso stai tranquilla. Così stanno le cose –
SIGNORA ALVING (scatta in piedi) Non è vero, Osvald! È impos-
sibile! Non può essere così!
OSVALD Io ho avuto un attacco laggiù. È passato presto. Ma
quando venni a sapere che cosa mi era capitato, allora fui colto
da quest’angoscia così furiosa e lancinante; e sono tornato a ca-
sa da te più presto che potevo.
SIGNORA ALVING Ecco qua l’angoscia –!
OSVALD Sì, perché è indescrivibilmente abominevole, sai. Oh,
fosse stata solo una comune malattia mortale –. Perché io
SPETTRI 303

non ho paura di morire; anche se vivrei volentieri il più possi-


bile.
SIGNORA ALVING Sì, sì, Osvald, tu lo devi!
OSVALD Ma, è così tremendamente abominevole. Essere ridotti
di nuovo come un neonato; essere imboccati, essere –. Oh, –
non si può descrivere!
SIGNORA ALVING Il bambino ha la sua mamma che se ne pren-
de cura.67
OSVALD (scatta in piedi) No, mai; è appunto questo, che non
voglio! Non tollero il pensiero, di rimanere così forse per mol-
ti anni, – diventare vecchio e grigio. E intanto tu potresti mo-
67
Osvald dice la sua angoscia (di regredire a neonato, spædt barn, che necessi-
ta di essere imboccato, pulito), ma Helene, per tutta risposta, lo rassicura con
questa battuta assai significativa: «Il bambino [barn] ha la sua mamma che se
ne prende cura». Potremmo dire che in Helene c’è la madre che non ha potu-
to essere e che sembra spingerla al delirio di accettare come una sorta di prov-
videnziale beneficio ciò che pure è disgrazia e sventura; è sedotta dalla possi-
bilità di ritrovare quell’Osvald bambino che non ha mai avuto, di recuperare
una dimensione perduta del passato. Torna utile la sottigliezza dei termini
usati, barn contro spædt barn. Per Helene il figlio handicappato regredirà, sì, a
uno stadio infantile, ma non necessariamente a quello del neonato. Perché
Osvald è stato inviato all’estero all’età di sette anni. Ciò che Helene ha perdu-
to dunque, come madre, e che forse vuole riconquistare in questo tragico e
folle progetto presente, non è l’esperienza di Osvald neonato bensì quella di
Osvald bambino. Cfr. Alonge 1988, pp. 21-22. Castri fa sua questa proposta, e
immagina un finale – solo mimico, molto stilizzato – che sta oltre l’epilogo
previsto da Ibsen. Il dramma non si chiude sulla invocazione ebete del sole da
parte del figlio, cui risponde la tragica incertezza della madre, che strappando-
si i capelli si interroga sul da farsi (ucciderlo o non ucciderlo). Osvald è sedu-
to inizialmente in poltrona, con un cappello militare in testa e una sciabola in
mano (segni del padre capitano, ma in realtà sorta di giocattoli, tipici di un
bambino che gioca ai soldatini). Ripete «Il sole. – Il sole», specie di cantilena
infantile, e l’accompagna con dei movimenti della mano, come a cercar di ac-
chiappare le farfalle, quasi un voler afferrare i raggi del sole. Mentre la madre
si sistema placidamente al tavolo, e comincia a fare il solitario con le carte (ci-
fra stilistica castriana, che esprime la chiusa sofferenza di queste mogli ibse-
niane, abbandonate dai mariti e dai figli, tradite dagli uni e dagli altri), il ritro-
vato piccolo Osvald lascia la poltrona e si mette a camminare carponi per il
salotto, agitando la spada-giocattolo e canticchiando la sua nenia. La madre,
da parte sua, replica il monologo di una pagina prima, esposto con le cadenze
di una fiaba («È stata una tremenda fantasia la tua, Osvald. Tutta una fantasia
[...]»). La vita si riassesta, dolcemente pacificata, in questa fotografia di inter-
no di famiglia: con una madre finalmente sola e padrona della propria mater-
nità, e un figlio handicappato ma tutto suo. Cfr. Alonge 2007, pp. 73-75.
304 HENRIK IBSEN

rire lasciandomi. (Si siede sulla sedia della signora Alving.)68


Perché non è sicuro che si muoia subito, ha detto il medico.
Lui l’ha chiamata una specie di rammollimento cerebrale – o
qualcosa del genere. (Sorride gravemente.) Mi sembra che
questa espressione suoni così delicata! Mi fa pensare sempre
a delle tende di velluto color ciliegia, – qualcosa, di carezzevo-
le al tatto.
SIGNORA ALVING (grida) Osvald!
OSVALD (scatta daccapo in piedi e cammina per la stanza) E
adesso mi hai tolto Regine! Se solo l’avessi avuta. Lei m’avreb-
be dato una mano, lei.
SIGNORA ALVING (va verso di lui) Che vuoi dire con questo,
mio amato ragazzo? C’è una mano al mondo, che io non possa
darti?69
OSVALD Dopo che mi sono ripreso da quell’attacco laggiù, il
medico mi ha detto, che quando si sarebbe ripresentato, – e si
sarebbe ripresentato, – allora non avrei avuto più speranze.
SIGNORA ALVING Ed è stato così senza cuore da –
OSVALD Io l’ho preteso. Gli ho detto che avevo delle precauzio-
ni da prendere –. (Sorride maliziosamente.) E l’ho fatto. (Tira
fuori una scatoletta dalla tasca interna sul petto della giacca.)
Mamma, vedi questa?
SIGNORA ALVING Che cos’è?
OSVALD Polvere di morfina.
SIGNORA ALVING (lo guarda spaventata) Osvald, – ragazzo mio?
OSVALD Dodici capsule ho raccolto –
SIGNORA ALVING (fa per prenderla) Dammi la scatola, Osvald!
OSVALD Non ancora, mamma. (Rimette la scatola nel taschino.)
SIGNORA ALVING Non sopravvivrò a questo!
OSVALD Sopravvivere si deve. Se avessi avuto Regine qui, le avrei

68
Stol, letteralmente «sedia», che però difficilmente può contenere due per-
sone. È da intendere quale forma contratta di lænestol, «poltrona», come ri-
sulta chiaro dall’incrocio di due didascalie: una, precedente, in cui si dice che
Helene «avvicina una poltrona [lænestol] al sofà e si siede accanto a lui»; e
una, posteriore, in cui si dice che Osvald «si siede sulla poltrona [lænestol],
che la signora Alving aveva accostato al sofà».
69
Abbiamo tradotto sistematicamente con «mano» le 9 ricorrenze di hånd-
srækning, che vale «mano» ma anche, metaforicamente, «aiuto», conservan-
do invece l’accezione «aiuto» per il verbo hjælpe, in un punto di questo stes-
so III atto in cui le due valenze risultano accostate: «avrei implorato da lei
quest’ultima mano [håndsrækning]. Lei mi avrebbe aiutato [Hun havde hjul-
pet mig]; ne sono sicuro».
SPETTRI 305

spiegato, quali erano le mie condizioni – e avrei implorato da lei


quest’ultima mano. Lei mi avrebbe aiutato; ne sono sicuro.
SIGNORA ALVING Mai!
OSVALD Quando la cosa tremenda fosse piombata su di me e lei
mi avesse visto perduto, come un piccolo neonato, senza rime-
dio, spacciato, senza speranza, – più nessuna salvezza –
SIGNORA ALVING Regine non l’avrebbe fatto per nulla al mondo!
OSVALD Regine l’avrebbe fatto. Regine era di cuore così splen-
didamente leggero. E si sarebbe presto stufata di accudire un
malato, come me.
SIGNORA ALVING Allora grazie al cielo, che Regine non c’è!
OSVALD Già, ma ora sei tu che mi devi dare una mano, mamma.
SIGNORA ALVING (grida forte) Io!
OSVALD Chi per questo meglio di te?
SIGNORA ALVING Io! Tua madre!
OSVALD Proprio per questo.
SIGNORA ALVING Io, che ti ho dato la vita!
OSVALD Non te l’ho chiesta la vita. E che vita è, questa che tu
m’hai dato? Io non la voglio! Riprenditela!
SIGNORA ALVING Aiuto! Aiuto! (Corre fuori in anticamera.)
OSVALD (dietro di lei) Non lasciarmi! Dove vuoi andare?
SIGNORA ALVING (in anticamera) A chiamarti un medico,
Osvald! Fammi uscire!
OSVALD (nello stesso posto) Tu non esci. E qui non entra nessu-
no. (Si sente girare una chiave.)
SIGNORA ALVING (rientra) Osvald! Osvald, – bambino mio!
OSVALD (la segue) Se hai cuore di madre per me, – tu, come puoi
vedermi soffrire tutta questa indicibile angoscia!
SIGNORA ALVING (dopo un attimo di silenzio, dice controllando-
si) Qui hai la mia mano.
OSVALD Vuoi tu –?
SIGNORA ALVING Se fosse indispensabile. Ma non sarà indispen-
sabile. No, no, non sarà mai possibile!
OSVALD Sì, speriamo. E viviamo insieme il più a lungo che pos-
siamo. Grazie, mamma.

(Si siede sulla poltrona, che la signora Alving aveva accostato al


sofà. Si fa giorno; la lampada continua a bruciare sul tavolo.)

SIGNORA ALVING (si avvicina con cautela) Ti senti tranquillo


adesso?
OSVALD Sì.
306 HENRIK IBSEN

SIGNORA ALVING (china su di lui) È stata una tremenda fantasia


la tua, Osvald. Tutta una fantasia. Tu non hai sopportato tutto
questo strazio. Ma ora devi riposarti per bene. A casa vicino a
tua madre, tu mio benedetto ragazzo. Tutto, quello che mi mo-
strerai, lo avrai, come quando eri un piccolo bambino. – Vedi.
Adesso l’attacco è passato. Vedi, com’è stato facile! Oh, lo sa-
pevo – E vedi, Osvald, che deliziosa giornata avremo? Tempo
di sole radioso. E ora la potrai vedere davvero la tua patria.

(Lei si avvicina al tavolo, e spegne la lampada. Sorge il sole. Il


ghiacciaio e le vette sul fondo sono inondate dalla radiosa luce del
mattino.)

OSVALD (seduto in poltrona con le spalle verso il fondo, senza


muoversi; dice all’improvviso) Mamma, dammi il sole.
SIGNORA ALVING (vicino al tavolo, lo guarda stupefatta) Che dici?
OSVALD (ripete ottusamente e senza tono) Il sole. Il sole.
SIGNORA ALVING (s’avvicina a lui) Osvald, come stai?
OSVALD (sembra rannicchiarsi sulla poltrona; tutti i muscoli si ri-
lassano; il viso è senza espressione; gli occhi fissano apatici)
SIGNORA ALVING (freme di orrore) Cos’è questo? (Grida forte.)
Osvald! Come ti senti! (Si butta in ginocchio vicino a lui e lo
scuote.) Osvald! Osvald! Guardami! Mi riconosci?
OSVALD (senza tono come prima) Il sole. – Il sole.
SIGNORA ALVING (scatta in piedi disperata, si tormenta i capelli
con le mani e grida) Non ce la faccio! (Sussurra come agghiac-
ciata.) Non ce la farò! Mai! (Improvvisamente.) Dove l’ha mes-
sa? (Gli fruga freneticamente in petto.) Qui! (Indietreggia di due
o tre passi e grida) No; no; no! – Sì! – No; no!

(Resta a due o tre passi da lui, con le mani avvinghiate ai capelli, e


lo fissa in un orrore attonito.)

OSVALD (sta seduto immobile come prima e dice) Il sole. – Il sole.


Giardino Giardino
Vano serra

Anticamera
Stanze interne

Uscita
esterna
Salotto
che dà sul giardino

Sala
da
pranzo

Spettatori
Spettri
UN NEMICO DEL POPOLO
(1882)
Dramma in cinque atti
Traduzione di Sandra Colella*

* Le note sono a cura di Roberto Alonge. Alcune note sono a cura del tra-
duttore e ne viene data indicazione.
PERSONAGGI

DOTTOR TOMAS STOCKMANN, medico delle terme


LA SIGNORA STOCKMANN, sua moglie
PETRA, loro figlia, maestra
EJLIF
MORTEN } loro figli, di 13 e 10 anni
PETER STOCKMANN, fratello maggiore del dottore, sindaco e capo della
polizia, presidente dell’amministrazione delle terme, ecc.
MORTEN KIIL, mastro conciatore, padre adottivo della signora Stockmann
HOVSTAD, direttore dell’«Araldo del Popolo»
BILLING, collaboratore del giornale
IL CAPITANO DI NAVE HORSTER
IL TIPOGRAFO ASLAKSEN
Partecipanti ad una assemblea cittadina, uomini di ogni classe sociale, al-
cune donne e un gruppo di scolari

L’azione si svolge in una cittadina costiera della Norvegia del Sud.


PRIMO ATTO

(È sera. Soggiorno del dottore, arredato e ammobiliato in maniera


semplice ma con cura. Sulla parete di destra ci sono due porte, di cui
la più lontana immette nell’anticamera e la più vicina nella stanza da
lavoro del dottore. Sulla parete opposta, di fronte alla porta dell’anti-
camera, una porta dà accesso alle altre camere della famiglia. Al cen-
tro della stessa parete si trova la stufa e più avanti, verso il proscenio,
un sofà con uno specchio al di sopra e davanti al sofà un tavolo ova-
le con un tappeto. Sul tavolo è accesa una lampada con paralume. In
fondo una porta è aperta verso la stanza da pranzo. Al suo interno
c’è un tavolo apparecchiato per la cena con una lampada sopra.)

(Billing, all’interno, siede a tavola con un tovagliolo sotto il mento.


La signora Stockmann è in piedi accanto al tavolo e gli porge un
piatto con un grosso pezzo di arrosto di manzo. Gli altri posti a ta-
vola sono vuoti, le stoviglie sono in disordine, come al termine di
un pasto.)

SIGNORA STOCKMANN Certo che, se lei arriva con un’ora di ri-


tardo, signor Billing, dovrà accontentarsi di una cena fredda.
BILLING (mangiando) È veramente ottimo, – direi eccellente.
SIGNORA STOCKMANN Lei sa quanto sia preciso Stockmann per
l’orario dei suoi pasti –
BILLING Per me non significa proprio nulla. Anzi, forse me lo
gusto ancora di più, se mi posso accomodare e mangiare in que-
sto modo, del tutto solo e indisturbato.
SIGNORA STOCKMANN Va bene, va bene, se le piace così, allora –
(Origlia in direzione dell’anticamera.) Sta arrivando di certo
anche Hovstad.
BILLING Sì, forse.

(Entra il sindaco Stockmann, in soprabito, con berretto di unifor-


me e bastone.)
312 HENRIK IBSEN

SINDACO Buona sera, cognata, i miei ossequi.


SIGNORA STOCKMANN (va nel soggiorno) Ah, è lei? Buona sera!
È gentile da parte sua farci visita.
SINDACO Passavo proprio qui davanti e così – (Con un’occhiata
verso la stanza da pranzo.) Ah, ma è in compagnia, a quanto pa-
re.
SIGNORA STOCKMANN (un po’ imbarazzata) No, no, affatto; è
un puro caso. (Rapidamente.) Non vuole entrare a mangiare un
boccone?
SINDACO Io! No, molte grazie. Che Dio mi guardi; un piatto cal-
do di sera; non è per la mia digestione.
SIGNORA STOCKMANN Oh, ma per una volta –.
SINDACO No, no, Dio la benedica; io non vado oltre il mio tè e il
mio pane e burro. È di sicuro più sano alla lunga, – e anche un
po’ più economico.
SIGNORA STOCKMANN (sorride) Non crederà, però, che Tomas e
io siamo due spendaccioni.
SINDACO Non lei, cognata; lungi da me. (Indica verso la stanza
da lavoro del dottore.) Forse non è in casa?
SIGNORA STOCKMANN No, è andato a fare un giretto dopo cena, –
lui e i ragazzi.
SINDACO Ma guarda, forse fa bene alla salute? (Origlia.) Eccolo
che arriva.
SIGNORA STOCKMANN No, non credo proprio. (Bussano.) Avanti!

(Il direttore Hovstad entra dall’anticamera.)

SIGNORA STOCKMANN Oh, è il signor Hovstad, che –?


HOVSTAD Sì, mi deve scusare; ma sono stato trattenuto giù in ti-
pografia. Buona sera, signor sindaco.
SINDACO (saluta con un po’ di tensione) Signor direttore. Viene
per affari, presumo?
HOVSTAD In parte. C’è qualcosa da inserire nel giornale.
SINDACO Me l’immagino. Mio fratello dev’essere una penna
particolarmente feconda sull’«Araldo del Popolo», da ciò che
sento.
HOVSTAD Be’, acconsente a scrivere sull’«Araldo del Popolo»
quando ha una parola di verità da dire su questo e quello.
SIGNORA STOCKMANN (a Hovstad) Ma non vuole –? (Indica la
stanza da pranzo.)
SINDACO Faccia pure; io non gli rimprovero affatto di scrivere
per quella cerchia di lettori da cui si illude di ottenere maggiore
UN NEMICO DEL POPOLO 313

successo. Inoltre, non ho nessun motivo personale di nutrire


malevolenza verso il suo giornale, signor Hovstad.
HOVSTAD Certo, lo penso anch’io.
SINDACO In generale, nella nostra città regna un encomiabile
spirito di tolleranza; – un robusto, sano senso civico. E questo
deriva dal fatto che abbiamo un importante interesse in comu-
ne intorno a cui raccoglierci, – un interesse fortissimo, che ri-
guarda nella stessa misura tutti i concittadini onesti.
HOVSTAD Lo stabilimento delle terme, sì.
SINDACO Appunto. Abbiamo il nostro grande, nuovo, splendido
stabilimento delle terme. Si badi bene! Le terme sono destinate
a diventare la principale fonte di sostentamento della città, si-
gnor Hovstad. Senza ombra di dubbio!
SIGNORA STOCKMANN Lo stesso dice anche Tomas.
SINDACO Quali grandi, straordinari progressi non ha fatto la
città in quest’ultimo paio d’anni! Qui, tra la gente, sono arrivati
soldi; vita e movimento. Le proprietà immobiliari e fondiarie
aumentano di valore ogni giorno!
HOVSTAD E la disoccupazione se ne va.
SINDACO Anche questo, sì. Il peso dei poveri è stato ridotto in
misura confortante per le classi abbienti e lo sarà ancora di più,
visto che già quest’anno dovremmo avere un’estate proprio
buona; – davvero un afflusso numeroso di forestieri, – un cospi-
cuo numero di malati, che daranno fama allo stabilimento.
HOVSTAD E queste sono davvero delle prospettive, da quel che
sento.
SINDACO La cosa si delinea in maniera molto promettente. Ogni
giorno arrivano richieste di appartamenti e cose simili.
HOVSTAD Be’, allora l’articolo del dottore arriva proprio a pro-
posito.
SINDACO Perché, ha scritto di nuovo qualcosa?
HOVSTAD Questo qui l’ha scritto in inverno; vi consiglia le ter-
me, e illustra le favorevoli condizioni di salubrità dei nostri luo-
ghi. Ma allora misi l’articolo da parte.
SINDACO Aha, presentava un qualche intoppo, presumo?
HOVSTAD No, no; pensavo, piuttosto, che sarebbe stato meglio
aspettare fino ad oggi, facendo passare la primavera; è adesso,
infatti, che la gente comincia a prepararsi e a pensare alle va-
canze estive –
SINDACO Molto giusto; oltremodo giusto, signor Hovstad.
SIGNORA STOCKMANN Sì, Tomas è proprio instancabile, quando
si tratta delle terme.
314 HENRIK IBSEN

SINDACO Be’, d’altra parte presta servizio presso le terme.


HOVSTAD Già, e d’altra parte è lui che le ha create, all’inizio.
SINDACO Lui? Ma davvero? Effettivamente ho sentito, di tanto
in tanto, che certe persone la pensano così. Eppure credevo, a
buon diritto, che anche io avessi una modesta parte in questa
iniziativa.
SIGNORA STOCKMANN Certo, Tomas lo dice sempre.
HOVSTAD E chi lo nega, signor sindaco? Lei ha messo la faccen-
da in moto e l’ha realizzata nella pratica; e questo lo sappiamo
tutti. Ma io intendevo dire che l’idea, all’inizio, è venuta al dot-
tore.
SINDACO Sì, mio fratello ha avuto sicuramente un bel po’ di idee
a suo tempo – purtroppo. Ma quando bisogna mettere in atto
qualcosa, allora si richiede un altro genere di uomini, signor
Hovstad. E, sinceramente, non mi aspettavo che proprio in que-
sta casa –
SIGNORA STOCKMANN Ma, caro cognato –
HOVSTAD Ma come può, il sindaco –
SIGNORA STOCKMANN Vada pure dentro a mangiare qualcosa,
signor Hovstad; mio marito arriverà di sicuro, nel frattempo.
HOVSTAD Grazie; un assaggino, forse.

(Va nella stanza da pranzo.)

IL SINDACO (un po’ a bassa voce) È curiosa la gente di diretta


origine contadina; non riusciranno mai a liberarsi dalla roz-
zezza.
SIGNORA STOCKMANN Ma vale la pena di prendersela, adesso?
Non possono, lei e Tomas, condividere l’onore come fratelli?
SINDACO Già, si dovrebbe proprio pensar così; ma non tutti si
accontentano di dividere, almeno così sembra.
SIGNORA STOCKMANN Sciocchezze! Lei e Tomas vanno così
d’accordo tra di loro. (Origlia.) Ora credo che arrivi.

(Va ad aprire la porta dell’anticamera.)

DOTTOR STOCKMANN (ride e fa chiasso fuori) Ecco, Katrine, hai


un altro ospite. Che dici, non è divertente? Prego, capitano
Horster; metta il soprabito sulla gruccia. Ah già, lei non va con
il soprabito, possibile? Pensa un po’, Katrine, l’ho acciuffato per
la strada; quasi non voleva venire con me quassù.
UN NEMICO DEL POPOLO 315

(Il capitano Horster entra e saluta la signora.)

DOTTOR STOCKMANN (sulla porta) Dentro, voi, ragazzi. Sono di


nuovo affamati come lupi, ci puoi credere! Venga qui, capitano
Horster; adesso assaggerà un arrosto di manzo –

(Sospinge Horster nella stanza da pranzo. Anche Ejlif e Morten


vanno dentro.)

SIGNORA STOCKMANN Ma, Tomas, non vedi che –?1


DOTTOR STOCKMANN (si volta sulla porta) Ah, sei tu, Peter! (Ri-
torna e gli dà la mano.) No, c’era veramente da ridere.
SINDACO Devo purtroppo andar via tra un attimo –
DOTTOR STOCKMANN Macché; sta per arrivare il grog a tavola.
Non ti dimentichi mica del grog, Katrine?
SIGNORA STOCKMANN Certo che no; l’acqua è sul fuoco e bolle.

(Va nella stanza da pranzo.)

SINDACO Anche il grog –!


DOTTOR STOCKMANN Naturalmente, ma siediti, ché stiamo un
po’ in compagnia.
1
L’avvertimento della moglie segnala che Tomas, entrando, non ha visto il fra-
tello. Modo sottile, da parte di Ibsen, per farci capire che il marito non può ve-
dere il fratello maggiore, lo detesta. Una lunga tradizione scenica (ma anche
critica, con poche eccezioni: cfr. Magris 1976, pp. XVI-XX; Alonge 1984a,
pp. 99-115) tende a interpretare il personaggio in chiave positiva, come una
sorta di eroe, ma sin da queste prime battute Ibsen si preoccupa di rivelarne i
risvolti eccessivi: il piacere ostentato di avere ospiti a casa, che va quasi a rac-
cattare per via («Ecco, Katrine, hai un altro ospite. Che dici, non è divertente?
[...] Pensa un po’, Katrine, l’ho acciuffato per strada; quasi non voleva venire
con me quassù»), di cui poi deve occuparsi ovviamente la moglie-serva, la
quale peraltro dovrà anche trovare la cosa particolarmente «divertente». Il
plot poteva svolgersi tranquillamente – senza nessuna modificazione sostan-
ziale – anche se Tomas e Peter non erano immaginati come fratelli, ma Ibsen
ha voluto – in questo modo – marcare il contrasto con un segno più forte, a
cominciare dalla aspra sottolineatura della tavola dei personaggi che contrap-
pone il semplice «dottor Tomas Stockmann, medico delle terme» a «Peter
Stockmann, fratello maggiore del dottore, sindaco e capo della polizia, presi-
dente dell’amministrazione delle terme, ecc.». Bellissima l’indicazione «ecc.»,
che mette a fuoco una storia di fratelli rivali, in cui il fratello maggiore fa la
parte del leone, alimentando invidia e frustrazione nel fratello minore, che si
considera ingiustamente misconosciuto e negletto, come vedremo fra poco.
316 HENRIK IBSEN

SINDACO Grazie, io non partecipo mai a festini da grog.


DOTTOR STOCKMANN Ma questo non è nessun festino.
SINDACO Per me lo è – (Guarda verso la stanza da pranzo) È
stupefacente quanto possano divorare.
DOTTOR STOCKMANN (fregandosi le mani) Già, non è una bene-
dizione veder mangiare i giovani? Sempre voglia di mangiare,
pensa! È così che dev’essere. Cibo in abbondanza! Energia!
Toccherà a loro smuovere la materia ancora in germe del futu-
ro, Peter.
SINDACO Posso chiedere che cosa ci sarebbe da “smuovere” qui,
come tu ti esprimi?
DOTTOR STOCKMANN Be’, questo lo devi chiedere alla gioventù, –
quando verrà il tempo. Noi, naturalmente, non lo vedremo. È ov-
vio. Due vecchi rottami, come me e te –
SINDACO No, aspetta un momento! È una definizione veramen-
te sconcertante –
DOTTOR STOCKMANN Ma sì, non dare troppo peso alle mie pa-
role, Peter. È che nel mio intimo sono davvero contento e sod-
disfatto, te lo voglio dire. Mi sento così indescrivibilmente feli-
ce, in mezzo a tutto questo germogliare e prorompere di vita. È
proprio un momento magnifico quello che stiamo vivendo! È
come se un mondo completamente nuovo stesse per nascere in-
torno a noi.
SINDACO Hai davvero questa impressione?
DOTTOR STOCKMANN Sì. Tu non puoi vedere le cose bene come
me, è ovvio. Hai sempre vissuto in questo posto, capisci; ecco
perché la tua percezione è sfocata. Ma io, che sono stato co-
stretto a languire per tutti questi anni in un angolo sperduto,
lassù nel nord, senza vedere mai un estraneo che mi svegliasse
dal torpore, – per me è come se mi fossi trasferito nel bel mezzo
di un’affollata metropoli –
SINDACO Hm; una metropoli –
DOTTOR STOCKMANN Sì, so bene che l’ambiente è angusto ri-
spetto a molti altri luoghi. Ma qui c’è vita, – promesse, innume-
revoli cose per cui darsi da fare e lottare; e questo è ciò che con-
ta. (Grida.) Katrine, non è venuto il postino?
SIGNORA STOCKMANN (nella stanza da pranzo) No, non è venu-
to nessuno.
DOTTOR STOCKMANN E poi lo stipendio buono, Peter! È qual-
cosa che si impara ad apprezzare, quando si è fatta la fame, co-
me noi –
SINDACO Dio mi guardi –
UN NEMICO DEL POPOLO 317

DOTTOR STOCKMANN Oh sì, puoi ben immaginare che molte vol-


te ci siamo trovati in ristrettezze, lassù. E, adesso, poter vivere
come un signore! Oggi, per esempio, abbiamo avuto arrosto di
manzo a pranzo; e poi ne abbiamo avuto anche a cena. Non vuoi
assaggiarne un pezzo? Te lo posso almeno far vedere? Vieni –2
SINDACO No, no, assolutamente –
DOTTOR STOCKMANN D’accordo, vieni qui, allora. Hai visto che
abbiamo un tappeto sul tavolo?
SINDACO Sì, l’ho notato.
DOTTOR STOCKMANN E abbiamo anche un paralume. L’hai vi-
sto? Tutto questo grazie ai risparmi fatti da Katrine. E la stanza
è diventata così accogliente. Non ti sembra? Mettiti qui un mo-
mento; – no, no, no; non così. Così, ecco! Guarda; quando la lu-
ce scende giù in questo modo, raccolta in un fascio –. Trovo che
sia veramente elegante. Che ne pensi?
SINDACO Be’, quando ci si può permettere un simile lusso –
DOTTOR STOCKMANN Ma sì, direi proprio che adesso me lo pos-
so permettere. Katrine dice che guadagno quasi quanto spen-
diamo.
SINDACO Quasi, appunto –!
DOTTOR STOCKMANN Ma un uomo di scienze dovrebbe pur vi-
vere con un po’ di raffinatezza. Sono sicuro che un qualsiasi
prefetto spende molto più di me, in un anno.
SINDACO E lo credo bene! Un prefetto, un’altissima autorità –
DOTTOR STOCKMANN E un semplice grossista, allora! Uno così
spende molto, molto di più –
SINDACO Già, ma è nello stato delle cose.
2
Affiora per la prima volta uno spazio geografico che ritroveremo spesso in
Ibsen: il Nord della Norvegia come luogo un po’ selvaggio, di emarginazione
e di sofferenza (da cui possono peraltro provenire personaggi selvaggi). To-
mas ha vissuto gli anni trascorsi al Nord come una iniqua mancata valorizza-
zione delle sue qualità, cui ha corrisposto un iniquo basso stipendio. Di qui,
nel presente (che è condizione migliore di quella passata, sebbene ancora in-
feriore a quella cui aspira), il suo bisogno di spendere, di mangiare la carne,
di avere ospiti cui offrire pranzi succulenti, di esibire liquori in abbondanza.
Stupendo il particolare circa l’arrosto di manzo che vuole almeno far vedere
al fratello. Tomas è un piccolo borghese che sogna di diventare alto borghese.
È già contento del grado di benessere raggiunto (in rapporto alla trascorsa
povertà), ma amareggiato di non poter essere alla pari di «un qualsiasi pre-
fetto» o di «un semplice grossista». Il suo «soggiorno» è arredato «in manie-
ra semplice» (precisa la didascalia d’apertura del I atto), ma Tomas si preoc-
cupa di segnalare al fratello che il tavolo si è arricchito di un tappeto e di un
paralume che prima non c’erano.
318 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Del resto, io non sperpero davvero nulla


per cose inutili, Peter. Ma non me la sento proprio di negarmi
l’intima gioia di ricevere persone a casa mia. Ne ho bisogno, ca-
pisci. Io, che ho vissuto così a lungo escluso, – per me è una ne-
cessità vitale stare insieme a persone giovani, audaci, fiduciose,
persone dallo spirito libero e intraprendente –; così sono quelli,
tutti quelli che stanno seduti a mangiare di gusto lì dentro. Mi
farebbe piacere se volessi conoscere un po’ meglio Hovstad –
SINDACO Hovstad, sì, è vero, mi ha detto che ora vuole stampare
un altro articolo tuo.
DOTTOR STOCKMANN Un articolo mio?
SINDACO Sì, sulle terme. Un articolo che hai scritto in inverno.
DOTTOR STOCKMANN Ah quello, sì! – No, per ora non voglio che
me lo stampi.
SINDACO No? Io trovo che proprio ora sarebbe il momento più
opportuno.
DOTTOR STOCKMANN Certo, puoi aver ragione; in una situazio-
ne normale –

(Va su e giù per la stanza.)

SINDACO (lo segue con lo sguardo) E cosa ci sarebbe di anorma-


le, ora, nella situazione?
DOTTOR STOCKMANN (si ferma) Be’, sull’anima mia, Peter, que-
sto non te lo posso dire al momento; almeno non stasera. Ci
può essere un bel po’ di anormale nella situazione; oppure, for-
se, proprio niente. Magari è solo una fantasia.
SINDACO Devo ammettere che la cosa mi suona veramente mi-
steriosa. C’è qualcosa che sta succedendo? Qualcosa da cui de-
vo rimanere fuori? Forse dovrei supporre che io, in qualità di
presidente dell’amministrazione delle terme –3
3
Tomas fa deliberatamente il misterioso, per negare il potere gerarchico del
fratello, che reagisce giustappunto evocando la sua superiorità gerarchica di
«presidente dell’amministrazione delle terme». Cominciamo a capire che To-
mas non vuole solo lo status dell’agiato borghese: anela anche alla suprema-
zia, al prestigio dell’uomo preminente. Brama gli onori che si devono allo
scienziato, all’inventore. Su cosa ruota tutta la vicenda, in fin dei conti? Sulla
storia delle terme, che è stata giustappunto un’idea di Tomas, però realizzata
da Peter. Proprio qui è un altro elemento di afflizione per Tomas, che non ha
potuto trarre la giusta gloria che si attendeva (e che è stata attribuita invece
al fratello). Per colmo d’ironia si trova a essere un semplice dipendente di
quelle stesse terme di cui il fratello è presidente.
UN NEMICO DEL POPOLO 319

DOTTOR STOCKMANN E allora io dovrei supporre che –; insom-


ma, Peter, cerchiamo di non accapigliarci l’un l’altro.
SINDACO Dio mi guardi; non è mia abitudine accapigliarmi, come
dici tu. Ma devo richiedere con la massima risolutezza che tutte
le disposizioni vengano prese e attuate secondo i termini del re-
golamento e attraverso le autorità preposte dalla legge. Non pos-
so permettere che si proceda per sotterfugi e vie traverse.
DOTTOR STOCKMANN Quando mai mi servo, io, di sotterfugi e
vie traverse!
SINDACO In ogni caso hai una radicata inclinazione ad andare per
la tua via. E questo, in una società ben ordinata, è quasi altrettan-
to inammissibile. L’individuo, in verità, deve accettare di sotto-
mettersi alla comunità, o, più precisamente, alle autorità, che
hanno il compito di provvedere al benessere della comunità.
DOTTOR STOCKMANN Sarà anche così. Ma che diamine c’entra
questo con me?
SINDACO C’entra, mio buon Tomas, perché è questo che tu non
hai mai pensato di dover imparare. Ma stai attento; perché arri-
verà il momento in cui dovrai piegarti a farlo, – presto o tardi.
Ora te l’ho detto. Arrivederci.
DOTTOR STOCKMANN Ma sei proprio impazzito? Sei completa-
mente fuori strada –
SINDACO Non sono solito esserlo. D’altronde, che mi siano ri-
sparmiati – (Saluta nella stanza da pranzo.) Arrivederci, cogna-
ta. Arrivederci, miei signori.

(Se ne va.)

SIGNORA STOCKMANN (entra nel soggiorno) Se n’è andato?


DOTTOR STOCKMANN Già, hai visto, e in piena collera.
SIGNORA STOCKMANN Ma, caro Tomas, cos’è che gli hai fatto
ancora?4
DOTTOR STOCKMANN Nulla al mondo. Non può pretendere,
però, che debba dargli conto prima del tempo.
SIGNORA STOCKMANN Di che cosa dovresti dargli conto?
DOTTOR STOCKMANN Hm; lasciami stare, Katrine. – È strano
che il postino non venga.

4
Anche in questo caso (come già prima: cfr. n. 1) è la moglie – con il suo niti-
do «ancora» – a svelare il lato notturno di Tomas, che ha consuetudine a fare
provocazioni contro il fratello. Il sindaco sarà pure una canaglia, ma il fratel-
lo minore non è uno stinco di santo.
320 HENRIK IBSEN

(Hovstad, Billing e Horster si sono alzati da tavola ed entrano nel


soggiorno. Ejlif e Morten arrivano dopo poco.)

BILLING (stira le braccia) Ah, dopo una cena del genere, che Dio
mi danni, uno si sente come nuovo.
HOVSTAD Il sindaco non era dell’umore migliore, stasera.
DOTTOR STOCKMANN Dipende dallo stomaco; ha una cattiva di-
gestione.
HOVSTAD Era soprattutto noi dell’«Araldo del Popolo» che non
poteva digerire.
SIGNORA STOCKMANN Mi sembra, comunque, che se la sia cava-
ta discretamente con lui.
HOVSTAD Oh sì; ma non è altro che una specie di tregua armata.
BILLING Eccola qui! Questa parola descrive perfettamente la si-
tuazione.
DOTTOR STOCKMANN Dobbiamo ricordarci che Peter è un uo-
mo solo, poverino. Non ha una famiglia che lo accolga a casa;
solo affari, affari. E poi, quel maledetto tè annacquato, che non
finisce mai di ingollarsi. Be’, forza ragazzi, mettete le sedie in-
torno al tavolo! Katrine, non ce lo porti il grog?
SIGNORA STOCKMANN (mentre va verso la stanza da pranzo)
Adesso lo porto.
DOTTOR STOCKMANN E lei si sieda sul sofà, qui, vicino a me, ca-
pitano Horster. Un raro ospite, come lei –. Prego; sedetevi pu-
re, amici miei.

(I signori si siedono intorno al tavolo. La signora Stockmann por-


ta un vassoio con il bricco dell’acqua calda, bicchieri, caraffe e tut-
to l’occorrente.)

SIGNORA STOCKMANN Dunque; qui c’è l’arak, questo è il rhum;


e qui sta il cognac. Ognuno si serva pure da sé.
DOTTOR STOCKMANN (prende un bicchiere) Oh, non c’è proble-
ma. (Mentre miscela il grog.) Ci vogliono anche i sigari. Ejlif, tu
sai certamente dov’è la scatola. E tu, Morten, prendimi la pipa,
per favore. (I ragazzi entrano nella stanza a destra.) Ho il so-
spetto che Ejlif sgraffigni un sigaro di tanto in tanto; ma faccio
finta di niente. (Grida.) E il mio berretto, Morten! Katrine, fam-
mi il piacere, digli dove l’ho messo. Aspetta, l’ha trovato! (I ra-
gazzi portano le cose richieste.) Prego, amici miei. Io non mi
stacco dalla mia pipa, è bene che lo sappiate; questa qui si è fat-
ta un bel po’ di giri, con me, sotto il cattivo tempo, lassù nel
UN NEMICO DEL POPOLO 321

nord. (Fa un brindisi.) Salute! Ah, è proprio un’altra cosa star-


sene qui a sedere al caldo e senza preoccupazioni.5
SIGNORA STOCKMANN (seduta mentre lavora a maglia) Ripren-
derà presto il mare, capitano Horster?
HORSTER Penso di esser pronto la prossima settimana.
SIGNORA STOCKMANN E così andrà in America, vero?
HORSTER Sì, questa è l’idea.
BILLING Ma, allora, lei non potrà partecipare alle nuove elezio-
ni comunali.
HORSTER Ci saranno delle nuove elezioni?
BILLING Non lo sapeva?
HORSTER No, non mi occupo di queste cose
BILLING Certamente, però, seguirà gli affari pubblici?
HORSTER No, non ne capisco.
BILLING Fa lo stesso; uno deve votare comunque.
HORSTER Anche quelli che non se ne intendono?
BILLING Non se ne intendono? Be’, ma che vuol dire? La so-
cietà è come una nave; tutti devono aiutare a tenere il timone.
HORSTER Può darsi che vada bene sulla terraferma; ma a bordo
funzionerebbe male in questo modo.6
HOVSTAD È singolare che la maggior parte dei marinai si occupi
così poco delle cose di terra.
5
Tomas ha molto sofferto, negli anni di esilio nel mitico Nord, e il suo valore
non è stato adeguatamente riconosciuto, ma certamente le sue amarezze pub-
bliche sono compensate nel territorio del privato, nello spazio domestico, dove
si svela un autentico tirannello, con moglie e figli tutti devotamente al suo ser-
vizio, come risulta perfettamente da questa scena. Si noti come ritorni, puntua-
le, il ricordo del passato, della dura vita trascorsa nel Nord, ma per rassicurarsi
sulla bontà del presente. E si osservi il compiacimento nel sottolineare che il
fratello sindaco non ha famiglia («Non ha una famiglia che lo accolga a casa;
solo affari, affari. E poi, quel maledetto tè annacquato, che non finisce mai di
ingollarsi»). In verità proprio queste osservazioni confermano il distacco criti-
co di Ibsen, i cui eroi sono sempre eroi del potere, posseduti da un solo affetto,
quello del dominio, pronti per questo a passare sopra l’amore della moglie e
dei figli. E comunque sicuramente poco interessati al piacere del cibo, perché il
loro unico cibo è il potere. S’intende che il sindaco non ha ancora la dignità sta-
tuaria che sarà dei Solness, dei Borkman, dei Rubek delle ultime opere ibse-
niane; è personaggio ancora comico, ma assai meno di Tomas, e comunque – al
di là di questi limiti – c’è in lui un primo nucleo di quell’eroe futuro.
6
Il capitano di nave Horster è l’unico personaggio a mostrare simpatia per il
nemico del popolo. Proprio questa battuta sembra spiegare il senso ideologico
(e molto anti-popolare) della pièce: la società deve avere un solo timoniere, e
senza nessuno che cerchi di aiutarlo, se vuole funzionare bene come una nave.
322 HENRIK IBSEN

BILLING Davvero singolare.


DOTTOR STOCKMANN I marinai sono come uccelli di bosco; si sen-
tono a casa sia a sud che a nord. Ma proprio per questo noi altri
dobbiamo essere ancora più attivi, signor Hovstad. Ci sarà qual-
cosa di pubblico interesse sull’«Araldo del popolo» di domani?
HOVSTAD Niente sugli affari cittadini. Ma dopodomani pensavo
di pubblicare il suo articolo –
DOTTOR STOCKMANN Ah, l’articolo, Cristo morto!7 No, senta,
con quello deve aspettare.
HOVSTAD Ma come? Adesso c’era proprio lo spazio giusto, e
questo, poi, mi sembrava davvero il momento più opportuno –
DOTTOR STOCKMANN Sì, sì, lei ha assolutamente ragione; ma de-
ve aspettare comunque. Poi le spiegherò –

(Petra, con cappello e cappa e con un mucchio di quaderni sotto il


braccio, entra dall’anticamera.)

PETRA Buona sera.


DOTTOR STOCKMANN Buona sera, Petra; sei qui?

(Saluti reciproci; Petra appoggia indumenti e quaderni su una se-


dia vicino alla porta.)

PETRA Eccolo qui, seduto a deliziarsi mentre io sono stata fuori


a sgobbare.
DOTTOR STOCKMANN Be’, vieni a deliziarti un po’ anche tu,
adesso.
BILLING Le preparo un bicchierino?
PETRA (si avvicina al tavolo) Grazie, preferisco far da me; lei lo
prepara sempre troppo forte. A proposito, papà, ho una lettera
per te.

(Va verso la sedia dove stanno gli indumenti.)

DOTTOR STOCKMANN Una lettera! Da parte di chi?


PETRA (cerca nella tasca del cappotto) Me l’ha datail postino
proprio mentre uscivo –
DOTTOR STOCKMANN (si alza e va verso di lei) E me la dai solo
adesso?

7
Per l’espressione død og plage, che ricorre frequentemente in questo come
in altri drammi ibseniani, cfr. I sostegni della società, n. 55. (Sandra Colella)
UN NEMICO DEL POPOLO 323

PETRA Non avevo proprio il tempo di correre su di nuovo. Tie-


ni, eccola qui.
DOTTOR STOCKMANN (afferra la lettera) Fammi vedere; fammi
vedere, figliola. (Guarda l’intestazione.) Sì, proprio così –!
SIGNORA STOCKMANN È questa che aspettavi da tanto tempo,
Tomas?
DOTTOR STOCKMANN Sì, esatto; devo andare subito di là –. Do-
ve la trovo una candela, Katrine? Nella mia stanza manca di
nuovo la lampada!
SIGNORA STOCKMANN Ma sì che c’è, la lampada è accesa sullo
scrittoio.
DOTTOR STOCKMANN Bene, bene. Mi scuseranno un momento –

(Entra nella stanza a destra.)

PETRA Che può essere mai, mamma?


SIGNORA STOCKMANN Non lo so; negli ultimi giorni non ha fat-
to altro che chiedere del postino.
BILLING Probabilmente un paziente di fuori –
PETRA Povero papà; ben presto sarà sommerso dal lavoro. (Si
prepara il bicchiere.) Ah, che buono che dev’essere questo!
HOVSTAD Anche oggi ha fatto lezione alla scuola serale?
PETRA (sorseggia) Due ore.
BILLING E stamattina quattro ore all’istituto –
PETRA (si siede vicino al tavolo) Cinque ore.
SIGNORA STOCKMANN E stasera hai da correggere compiti, a
quanto vedo.
PETRA Un pacco intero, sì.
HORSTER Mi sembra che anche lei sia abbastanza sommersa di
cose da fare.
PETRA Direi di sì; ma va bene ugualmente. Si prova una bella
sensazione di stanchezza, dopo.
BILLING Così la pensa?
PETRA Ma sì, perché si dorme benissimo.
MORTEN Tu devi avere commesso proprio tanti peccati, Petra.
PETRA Peccati?
MORTEN Sì, perché lavori così tanto. Il signor Rørlund dice che
il lavoro è una punizione per i nostri peccati.8
EJLIF (sbuffa) Uff, quanto sei stupido a credere a queste cose.

8
Rørlund è probabilmente l’insegnante di Morten. Ne I sostegni della società
compare un professor Rørlund, conservatore e bigotto. (Sandra Colella)
324 HENRIK IBSEN

SIGNORA STOCKMANN Ehi, ehi, Ejlif!


BILLING (ride) No, è splendido.
HOVSTAD Tu non vorresti lavorare così tanto, Morten?
MORTEN No, non vorrei.
HOVSTAD E che cosa vuoi fare da grande, allora?
MORTEN La cosa che mi piacerebbe di più è diventare un vichingo.
EJLIF Eh, ma allora dovevi essere un pagano.
MORTEN Be’, potrei sempre diventarlo.
BILLING Giusto, Morten, sono d’accordo con te! Io dico la stes-
sa cosa.
SIGNORA STOCKMANN (fa segno) No, signor Billing, non faccia
così.
BILLING Ma sì, che Dio mi danni –! Io sono un pagano, e ne so-
no orgoglioso. E vedrete se presto non diventeremo tutti quan-
ti pagani.
MORTEN E allora avremo il permesso di fare tutto quello che
vogliamo?
BILLING Be’, vedi, Morten –
SIGNORA STOCKMANN Adesso è ora di andare, ragazzi; avrete
sicuramente dei compiti da fare per domani.
EJLIF Io potrei pure rimanere ancora un po’ –
SIGNORA STOCKMANN No, nemmeno tu; avanti, muovetevi tutti
e due.

(I ragazzi danno la buona notte e vanno nella stanza a sinistra.)

HOVSTAD Lei pensa davvero che questi discorsi possano nuoce-


re ai ragazzi?
SIGNORA STOCKMANN Ma’, non lo so; però non mi piacciono.
PETRA Dai, mamma, mi sembra proprio assurdo da parte tua.
SIGNORA STOCKMANN Forse è vero; ma questi discorsi non mi
piacciono; non qui a casa.
PETRA C’è così tanta falsità, sia a casa che a scuola. A casa biso-
gna stare zitti, a scuola dobbiamo mentire ai bambini.
HORSTER Deve mentire?
PETRA Sì, non pensa che dobbiamo recitare un bel po’ di cose a
cui noi stessi non crediamo?
BILLING Ah certo, lo si sa fin troppo bene.
PETRA Se soltanto avessi i mezzi, aprirei io una scuola, e lì sì che
andrebbe diversamente.9
9
Ibsen era molto critico verso il sistema scolastico norvegese, con particolare
riguardo alla scuola elementare, fortemente influenzata da una morale reli-
UN NEMICO DEL POPOLO 325

BILLING E già, i mezzi –


HORSTER Be’, se lei ha intenzione di far questo, signorina
Stockmann, può volentieri usufruire di un locale presso di me.
La vecchia e grande casa di mio padre, buon’anima, sta lì, in-
fatti, quasi vuota; c’è una sala da pranzo bella ampia giù, a
pianterreno –
PETRA (ride) Sì, sì, la ringrazio; ma non credo proprio che se ne
farà nulla.
HOVSTAD Oh no, la signorina Petra, sono certo, passerà piutto-
sto nella schiera dei giornalisti. A proposito, ha avuto tempo di
dare uno sguardo a quel racconto inglese che aveva promesso
di tradurre per noi?
PETRA No, non ancora; ma le assicuro, lo riceverà in tempo.

(Il dottor Stockmann viene dalla sua stanza con la lettera aperta in
mano.)

DOTTOR STOCKMANN (sventola la lettera) Ebbene, credetemi,


ora sì che è venuto il momento di diffondere novità in città!
BILLING Novità?
SIGNORA STOCKMANN Ma di quali novità stai parlando?
DOTTOR STOCKMANN Una grande scoperta, Katrine!
HOVSTAD Cioè?
SIGNORA STOCKMANN Che hai fatto tu?
DOTTOR STOCKMANN Sì, proprio io. (Cammina avanti e dietro.)
E adesso vengano pure a dire, come al solito, che sono tutti gril-
li e trovate di un pazzo. Eh, ma staranno ben attenti! Ah ah,
penso proprio che staranno attenti!
PETRA Insomma, papà, che cos’è, parla.
DOTTOR STOCKMANN Certo, dammi solo tempo, e saprete tutto.
Magari avessi avuto Peter qui, adesso! Sì, questo dimostra che
noi uomini possiamo andare in giro a dare giudizi come le più
cieche delle talpe –
HOVSTAD Cosa intende con queste parole, signor dottore?
DOTTOR STOCKMANN (si ferma accanto al tavolo) Non è forse
l’opinione di tutti che la nostra città sia un luogo salubre?
HOVSTAD Be’, questo è ovvio.
DOTTOR STOCKMANN Anzi, un luogo straordinariamente salu-

giosa di stampo quasi ancora medievale. Si imponeva, dunque, una riforma


dell’istruzione in senso moderno (cfr. lettera di Ibsen a B. Bjørnson del 12 lu-
glio 1879, ISV, XVII, pp. 355-356). (Sandra Colella)
326 HENRIK IBSEN

bre, – un luogo che merita di essere fervidamente raccomanda-


to sia ai malati che ai sani –
SIGNORA STOCKMANN Sì, ma, caro Tomas –
DOTTOR STOCKMANN E anche noi l’abbiamo raccomandato ed
elogiato. Io ho scritto e scritto sia sull’«Araldo del Popolo» che
sui volantini –
HOVSTAD Ma sì, e dunque?
DOTTOR STOCKMANN Questo stabilimento delle terme, che vie-
ne definito come l’arteria della città, il suo sistema nervoso e –
e come diavolo10 è stato chiamato tutto quanto –
BILLING «Il cuore pulsante della città», come una volta, in
un’occasione solenne, mi sono permesso di –
DOTTOR STOCKMANN Ecco, appunto, proprio così. Ma lo sa, in-
vece, che cos’è, in realtà, questo grande, splendido, elogiato
impianto delle terme, che è costato somme enormi, – lo sa che
cos’è?
HOVSTAD No, che cos’è?
SIGNORA STOCKMANN Allora, che cos’è?
DOTTOR STOCKMANN Tutto l’impianto delle terme è un tugurio
infetto.
PETRA Le terme, papà!
SIGNORA STOCKMANN (contemporaneamente) Le nostre terme!
HOVSTAD (parimenti) Ma, signor dottore –
BILLING Assolutamente incredibile!
DOTTOR STOCKMANN Vi dico che l’intero stabilimento delle ter-
me è un venefico sepolcro imbiancato. Pericolosissimo per la
salute! Tutte quelle immondizie, lassù, nella valle di Mølle, –11
tutta quella roba che emana un tanfo così repellente, – infetta-
no l’acqua nelle condutture a monte del serbatoio delle acque

10
Fand, «demonio»: il termine ricorre massicciamente nel corso del dramma,
31 volte (il secondo testo per frequenza, L’anitra selvatica, ne conta 11), a
conferma del carattere apertamente blasfemo di non poche delle esaltate de-
clamazioni del dottor Stockmann. Abbiamo però quasi sempre dovuto tra-
durre con «diavolo» (che per Ibsen invece è piuttosto dævel), perché in con-
testi che in italiano risultano nettamente connotati a «diavolo» (per il diavo-
lo, che il diavolo mi porti, cosa diavolo, dove diavolo, ecc.). Cfr. Il costruttore
Solness, n. 30. (Sandra Colella)
11
Mølle significa letteralmente «mulino» e Mølledal corrisponde quindi a
«valle dei mulini». Nella regione dell’Akershus, dove è situata anche Oslo,
capitale della Norvegia, c’è un luogo geografico denominato Mølledal, nei
pressi della cittadina di Eidsvold, ma non possiamo sapere se Ibsen si riferi-
sca precisamente a esso. (Sandra Colella)
UN NEMICO DEL POPOLO 327

sorgive; e questo stesso dannato marciume tossico arriva fin


sulla spiaggia –
HORSTER Lì, dove sono le terme d’acqua di mare?
DOTTOR STOCKMANN Proprio lì.
HOVSTAD Ma da dove ha ottenuto queste informazioni così pre-
cise, signor dottore?
DOTTOR STOCKMANN Ho analizzato la situazione nel modo più
coscienzioso che si possa immaginare. Oh, per lungo tempo so-
no stato con un sospetto del genere. L’anno scorso si è verifica-
to, qui, un certo numero di sorprendenti casi di malattia tra gli
ospiti delle terme, – sia di tifo che di natura gastrica –
SIGNORA STOCKMANN Sì, è proprio così.
DOTTOR STOCKMANN Quella volta abbiamo creduto che i fore-
stieri avessero portato con sé l’infezione; ma dopo di allora, – in
inverno, – sono arrivato ad altre conclusioni; e mi sono messo
ad analizzare l’acqua nel migliore dei modi.
SIGNORA STOCKMANN È per questo che sei stato così tanto in-
daffarato!
DOTTOR STOCKMANN È vero, puoi ben dire che sono stato tanto
indaffarato, Katrine. Ma qui, purtroppo, non avevo i mezzi
scientifici necessari; perciò ho mandato dei campioni sia di ac-
qua potabile che di acqua di mare all’università, per avere un’a-
nalisi esatta da parte di un chimico.
HOVSTAD Ed è quella, che ha ricevuto adesso?
DOTTOR STOCKMANN (mostra la lettera) Eccola qui! È dimo-
strata la presenza di materiale organico putrefatto nell’acqua, –
infusori in quantità. È assolutamente nociva alla salute, sia per
uso interno che esterno.
SIGNORA STOCKMANN È stata una vera fortuna che tu l’abbia
scoperto in tempo.
DOTTOR STOCKMANN Giusto, puoi proprio dirlo.
HOVSTAD E adesso cosa ha intenzione di fare, signor dottore?
DOTTOR STOCKMANN Vedere di mettere a posto la cosa, natu-
ralmente.
HOVSTAD Sarà possibile?
DOTTOR STOCKMANN Dev’essere possibile. Altrimenti tutto lo
stabilimento delle terme non sarà utilizzabile, – sarà distrutto.
Ma non c’è pericolo. Mi sono reso conto, ormai, di ciò che biso-
gna fare.
SIGNORA STOCKMANN Ma, caro Tomas, hai mantenuto tutto
questo segreto.
DOTTOR STOCKMANN È logico, o forse mi sarei dovuto precipi-
328 HENRIK IBSEN

tare in città a parlarne, prima di essere completamente sicuro?


No, grazie; non sono così pazzo.
PETRA Sì, ma qui a casa, con noi –
DOTTOR STOCKMANN Con nessun’anima viva. Domani, però,
potrai correre dal “tasso” –
SIGNORA STOCKMANN No, ma, Tomas –!
DOTTOR STOCKMANN Già, già, volevo dire dal nonno. Adesso sì
che avrà qualcosa di cui stupirsi, il vecchio; è convinto che io
abbia la testa fuori posto; oh sì, ce ne sono molti, infatti, che la
pensano allo stesso modo, me ne sono accorto. Ma adesso ve-
drà, la brava gente –; adesso starà proprio a vedere –! (Cammi-
na intorno alla stanza, fregandosi le mani.) Succederà un bel pu-
tiferio in città, Katrine! Non te lo puoi nemmeno immaginare.
Sono da rifare tutte le condutture dell’acqua.
HOVSTAD (si alza) Tutte le condutture dell’acqua –?
DOTTOR STOCKMANN Sì, si capisce. Il bacino di raccolta è situa-
to troppo in basso; dev’essere spostato molto più su.
PETRA Ma allora, dunque, avevi proprio ragione tu.
DOTTOR STOCKMANN Sì, ti ricordi, Petra? Quando dovevano
cominciare a costruire, scrissi contro di loro. Ma quella volta
non ci fu nessuno che volle ascoltarmi. Adesso, però, credete-
mi, gli sparo una raffica; – sì, perché ovviamente ho steso un
rapporto per l’amministrazione delle terme; è già pronto da
una settimana; non aspettavo altro che questa. (Mostra la lette-
ra.) Ma adesso deve partire immediatamente. (Va nella sua
stanza e ritorna con un pacco di carte.) Guardate qui! Quattro
fogli interi scritti fitti fitti! E devo allegare la lettera. Un gior-
nale, Katrine! Trovami qualcosa per chiudere. Bene; allora, sen-
ti; consegnalo a, – a –; (batte il piede a terra) come diavolo si
chiama? Be’, insomma, consegnalo alla ragazza; dille che deve
portarlo immediatamente giù dal sindaco.

(La signora Stockmann esce con il pacco attraverso la stanza da


pranzo.)

PETRA Che cosa pensi che dirà lo zio Peter, papà?


DOTTOR STOCKMANN E che dovrebbe dire? Sarà ben conten-
to che sia venuta a galla una verità così importante, sono si-
curo.
HOVSTAD Potrei inserire nell’«Araldo del Popolo» un trafiletto
sulla sua scoperta?
DOTTOR STOCKMANN Sicuro, la ringrazio molto.
UN NEMICO DEL POPOLO 329

HOVSTAD È auspicabile, infatti, che la collettività sia messa al


corrente della cosa quanto prima possibile.
DOTTOR STOCKMANN Assolutamente d’accordo.
SIGNORA STOCKMANN (ritorna) È andata ora.
BILLING Che Dio mi danni, lei diventerà il primo cittadino, si-
gnor dottore!
DOTTOR STOCKMANN (cammina soddisfatto intorno alla stanza)
Oh, non esageriamo; in fondo non ho fatto altro che il mio do-
vere. Sono stato un investigatore fortunato; tutto qui; ma, cio-
nonostante –
BILLING Hovstad, non crede che la città dovrebbe organizzare
un corteo con gli stendardi in onore del dottor Stockmann?
HOVSTAD Da parte mia, senz’altro appoggerò l’idea.
BILLING E io ne parlerò con Aslaksen.
DOTTOR STOCKMANN No, cari amici, lasciate stare queste pa-
gliacciate; non voglio saperne di questo genere di intratteni-
menti. E se all’amministrazione delle terme dovesse venire in
mente di concedermi un aumento di stipendio, non l’accetterò.
Katrine, te lo dico, – io non l’accetterò.12
SIGNORA STOCKMANN Fai bene, Tomas.
PETRA (solleva il bicchiere) Alla tua, papà!
HOVSTAD e BILLING Alla sua salute, dottore, alla sua salute.
HORSTER (fa un brindisi con il dottore) Le auguro di avere tutta
la felicità possibile.
DOTTOR STOCKMANN Grazie, grazie, miei cari amici! Sono così
felice nel mio intimo –; oh, è davvero una benedizione sapere
dentro di sé di aver fatto qualcosa di meritevole per la propria
città natale e per i propri concittadini. Urrà, Katrine!

(Le getta le braccia al collo e gira su sé stesso con lei. La signora


Stockmann grida e si dibatte. Risate, applausi e grida di urrà per il
dottore. I ragazzi sporgono il capo dalla porta.)

12
Solo falsa modestia, che rende più ridicolo il personaggio di Tomas, il qua-
le ci tiene moltissimo sia agli onori che agli aumenti salariali. Da notare che
Tomas è così compiaciuto della propria scoperta («Una grande scoperta, Ka-
trine!»), da non rendersi conto che per la città sarà una tegola. Capisce che
«sono da rifare tutte le condutture dell’acqua», ma non si preoccupa di pre-
parare un preventivo dei costi e della tempistica. È un po’ un corvo della
sconfitta e della catastrofe universale, pronto a sguazzare sui cadaveri dei
propri concittadini se questo gli può dare finalmente gloria e successo.
SECONDO ATTO

(Soggiorno del dottore. La porta della sala da pranzo è chiusa. È


mattina.)

SIGNORA STOCKMANN (arriva dalla sala da pranzo con una let-


tera sigillata in mano, va verso la porta anteriore a destra e dà
un’occhiata all’interno) Sei a casa, Tomas?
DOTTOR STOCKMANN (all’interno) Sì, sono appena arrivato.
(Entra dentro.) C’è qualcosa?
SIGNORA STOCKMANN Una lettera da parte di tuo fratello.

(Gliela porge.)

DOTTOR STOCKMANN Aha, vediamo un po’. (Apre la busta e leg-


ge.) «Con la presente si rispedisce il manoscritto inviato –»
(Legge oltre, mormorando.) Hm –
SIGNORA STOCKMANN Insomma, che dice?
DOTTOR STOCKMANN (infila le carte in tasca) No, scrive solo che
verrà lui stesso quassù verso ora di pranzo.
SIGNORA STOCKMANN Mi raccomando, allora, ricordati di rima-
nere in casa.
DOTTOR STOCKMANN Non è un problema; ho finito le mie visite
mattutine.
SIGNORA STOCKMANN Sono proprio curiosa di sapere come la
prende.
DOTTOR STOCKMANN Vedrai, non gli sembrerà giusto che sia
stato io e non lui ad aver fatto questa scoperta.
SIGNORA STOCKMANN Infatti, ma non hai paura di questo?
DOTTOR STOCKMANN Be’, in fondo sarà ben contento, capisci.
Però, ugualmente –; Peter è così maledettamente timoroso che
sia altra gente, piuttosto che lui, a fare qualcosa per il bene del-
la città.
SIGNORA STOCKMANN Sì, ma, sai cosa, Tomas, – tu dovresti esse-
UN NEMICO DEL POPOLO 331

re gentile e dividere l’onore con lui. Non si potrebbe dire che è


stato lui a metterti sulla traccia –?
DOTTOR STOCKMANN Ma certo, per me va benissimo. Se solo
metto a posto le cose, allora –
IL VECCHIO MORTEN KIIL13 (allunga la testa dentro attraverso la
porta dell’anticamera, si guarda intorno con occhio scrutatore,
ride fra sé e sé e chiede maliziosamente) È – è vero?
SIGNORA STOCKMANN (verso di lui) Papà, – sei tu!
DOTTOR STOCKMANN Guarda chi arriva, il suocero; buon gior-
no, buon giorno!
SIGNORA STOCKMANN Dai, vieni dentro.
MORTEN KIIL Sì, se è vero; altrimenti me ne vado.
DOTTOR STOCKMANN Che cosa è vero?
MORTEN KIIL Questo affare balordo dell’acquedotto. È proprio
vero?
DOTTOR STOCKMANN Certo che è vero. Ma lei come l’ha saputo,
questo?
MORTEN KIIL (entra dentro) Petra è passata da me quando è an-
data a scuola –
DOTTOR STOCKMANN No, davvero?
MORTEN KIIL Sì-sì; e mi ha raccontato –. Ho pensato che voles-
se solo prendersi gioco di me; ma non è il modo di fare di Petra.
DOTTOR STOCKMANN Come poteva pensare una cosa del genere!
MORTEN KIIL Be’, non bisogna mai fidarsi di nessuno; uno può
essere preso in giro in men che non si dica. Ma insomma, allora
è vero?
DOTTOR STOCKMANN Sì, in verità è così. Ma si sieda pure, suo-
cero. (Lo obbliga a sedersi sul sofà.) E non è una vera fortuna
per la città –?
MORTEN KIIL (combatte per non ridere) Fortuna per la città?
DOTTOR STOCKMANN Sì, che ho fatto questa scoperta giusto in
tempo –
MORTEN KIIL (come prima) Certo, certo, certamente! – Ma non
avrei mai pensato che lei volesse farsi beffe di suo fratello carnale.
DOTTOR STOCKMANN Farmi beffe?
SIGNORA STOCKMANN Ma, caro papà –

13
Poi chiamato sempre e solo MORTEN KIIL. Nel presentarlo per la prima vol-
ta, Ibsen vuole forse distinguerlo dal nipote, cui è stato dato il suo stesso no-
me. Si noterà – poco avanti – un tratto di avarizia vistoso nel personaggio:
prima promette cento corone («all’istante»), ma subito dopo le dimezza a
cinquanta («a Natale»).
332 HENRIK IBSEN

MORTEN KIIL (appoggia le mani e il mento al pomo del bastone e


ammicca maliziosamente al dottore) Dunque, com’è andata?
Sarebbe arrivato qualche animale nelle condutture, è così?
DOTTOR STOCKMANN Proprio così, degli infusori.
MORTEN KIIL E di questi animali, lì dentro, potrebbero esserne
arrivati molti, ha detto Petra. Una quantità veramente enorme.
DOTTOR STOCKMANN Esatto; ce ne possono essere centinaia di
migliaia.
MORTEN KIIL Ma non c’è nessuno, lì, che può vederli – non è così?
DOTTOR STOCKMANN È logico; non si possono vedere.
MORTEN KIIL (ride gorgogliando silenziosamente) Questa qui,
che il diavolo mi porti, è la migliore che ho sentito da lei, finora.
DOTTOR STOCKMANN Che intende dire?
MORTEN KIIL Mai al mondo riuscirà a far credere qualcosa del
genere al sindaco.
DOTTOR STOCKMANN Be’, questo non è affatto detto.
MORTEN KIIL Pensa che sarebbe così pazzo?
DOTTOR STOCKMANN Spero che tutta la città sia così pazza.
MORTEN KIIL Tutta la città! Sì, magari, per Dio, può anche suc-
cedere. Ma se lo sono meritato; gli sta bene. Volevano essere
più furbi di noi vecchi. Mi hanno cacciato come un cane dal
consiglio comunale. Sì, proprio così; perché come un cane mi
hanno cacciato, l’hanno fatto. Ma adesso tocca a loro. Si faccia
beffe di loro, Stockmann.
DOTTOR STOCKMANN Be’, ma, suocero –
MORTEN KIIL Si faccia beffe, le ho detto. (Si alza.) Se riesce a
farlo, a far piangere il sindaco e i suoi amici, all’istante darò
cento corone ai poveri.
DOTTOR STOCKMANN Però, è gentile da parte sua.
MORTEN KIIL Certo, non ho molto da spendere, io, lo sa; ma se
riesce a farlo, regalerò cinquanta corone ai poveri a Natale.

(Il direttore Hovstad arriva dall’anticamera.)

HOVSTAD Buon giorno! (Si ferma.) Oh, scusate –


DOTTOR STOCKMANN No, entri pure; entri pure.
MORTEN KIIL (gorgoglia di nuovo) Lui! Anche lui partecipa?
HOVSTAD Che intende dire?
DOTTOR STOCKMANN Certo che partecipa.
MORTEN KIIL Come ho fatto a non pensarlo! La cosa deve an-
dare sui giornali. Sì, lei è proprio quello giusto, Stockmann. Ma
faccia pure i suoi conti, adesso; io vado via.
UN NEMICO DEL POPOLO 333

DOTTOR STOCKMANN Ma no, suocero, rimanga ancora un po’.


MORTEN KIIL No, vado via. E si concentri sulle beffe, tutte quel-
le possibili; per il diavolo, non avrà fatto tutto questo per nulla.

(Esce; la signora Stockmann lo accompagna fuori.)

DOTTOR STOCKMANN (ride) Pensi un po’, – il vecchio non crede


ad una sola parola della questione dell’acquedotto.
HOVSTAD Ah, si trattava di quella questione –?
DOTTOR STOCKMANN Sì, era di quello che parlavamo. Forse è
per lo stesso motivo che anche lei viene qui?
HOVSTAD Sì, appunto. Ha un momento di tempo, signor dottore?
DOTTOR STOCKMANN Tutto il tempo che vuole, mio caro.
HOVSTAD Ha avuto notizie dal sindaco?
DOTTOR STOCKMANN Non ancora. Verrà qui più tardi.
HOVSTAD È da ieri sera che rifletto su questa faccenda.
DOTTOR STOCKMANN Ah sì?
HOVSTAD Per lei, che è un dottore e un uomo di scienza, questo
frangente dell’acquedotto è una cosa a sé stante. Voglio dire,
non le è venuto in mente che è collegato ad un mucchio di altre
cose.
DOTTOR STOCKMANN Ah, come sarebbe –? Sediamoci, caro. –
No, lì, sul sofà.

(Hovstad si siede sul sofà, il dottore su una poltrona dall’altro lato


del tavolo.)

DOTTOR STOCKMANN Allora? Lei, dunque, pensa –?


HOVSTAD Ieri lei ha detto che l’acqua infetta proviene da im-
mondizie nel terreno.
DOTTOR STOCKMANN Giusto, proviene senza dubbio da quel
pantano velenoso lassù, nella valle di Mølle.
HOVSTAD Mi scusi, signor dottore, ma io credo che provenga da
un ben altro pantano.
DOTTOR STOCKMANN E di quale pantano si tratterebbe?
HOVSTAD Di quel pantano su cui poggia e marcisce la nostra in-
tera vita comunale.
DOTTOR STOCKMANN No, ma, diamine, signor Hovstad, che co-
sa vuole dire con questo?
HOVSTAD Tutte le questioni cittadine sono passate poco alla
volta nelle mani di un branco di funzionari pubblici –
DOTTOR STOCKMANN Aspetti, non tutti sono funzionari pubblici.
334 HENRIK IBSEN

HOVSTAD Be’, se non sono funzionari pubblici, sono comunque


amici e sostenitori dei funzionari; si tratta di tutti quei ricchi,
tutti quelli con nomi antichi e stimati in città; sono loro che go-
vernano e comandano su di noi.
DOTTOR STOCKMANN D’accordo, ma quella gente, in effetti, ha
competenze e conoscenze.
HOVSTAD Avevano competenze e conoscenze quando hanno
costruito le tubature dell’acqua lì dove si trovano ora?
DOTTOR STOCKMANN No, questa è stata una grande sciocchezza
da parte loro, è ovvio. Ma ora si rimetteranno le cose a posto.
HOVSTAD Crede che andrà tutto liscio?
DOTTOR STOCKMANN Liscio o non liscio, – dovrà comunque an-
dare.
HOVSTAD Sì, se potrà intervenire la stampa.
DOTTOR STOCKMANN Non sarà mai necessario, caro. Sono sicu-
ro che mio fratello –
HOVSTAD Mi scusi, signor dottore, ma le voglio dire che ho in-
tenzione di seguire la faccenda.
DOTTOR STOCKMANN Sul giornale?
HOVSTAD Sì. Quando ho preso l’«Araldo del Popolo», la mia
idea era di far saltare quella cerchia di vecchi anchilosati e pre-
suntuosi che deteneva tutto il potere.14
DOTTOR STOCKMANN Ma lei stesso mi ha raccontato come è an-
data a finire; ha quasi distrutto il giornale in quel modo.
HOVSTAD Be’, quella volta abbiamo dovuto abbassare la cresta,
è proprio così. Perché c’era il pericolo che, se quegli uomini fos-
sero caduti, non si sarebbe realizzato lo stabilimento delle ter-
me. Ma adesso sta lì, e adesso si può fare a meno di quegli uo-
mini altolocati.
DOTTOR STOCKMANN Se ne può fare a meno, è vero; tuttavia
dobbiamo loro una grande riconoscenza.
HOVSTAD E va anche dichiarata, con ogni abbellimento. Ma un
giornalista di orientamento popolare, quale io sono, non può

14
La cerchia di «vecchi anchilosati e presuntuosi» cui si riferisce Hovstad è
quella degli embetsmenn, gli alti funzionari pubblici che detenevano il potere
in Norvegia fin dal 1814. A partire dalla metà del secolo, con l’industrializza-
zione e la nascita della classe borghese, il loro potere divenne sempre più ac-
centratore e conservatore, e, parallelamente, si intensificò il conflitto con le
nuove forze liberali e democratiche. Nel 1884 il governo degli embetsmenn
cadde e tale cambiamento coincise con la nascita del moderno stato partitico
parlamentare (cfr. Seip 2002, pp. 239-254). (Sandra Colella)
UN NEMICO DEL POPOLO 335

lasciare che una simile occasione, come appunto questa, gli


sfugga dalle mani. Bisogna volgere le spalle alla favola dell’in-
fallibilità dei governanti. Roba del genere va distrutta, così co-
me ogni altra sorta di credenza.
DOTTOR STOCKMANN In questo sono pienamente d’accordo con
lei, con tutto il cuore, signor Hovstad; se si tratta di una creden-
za, allora dobbiamo sbarazzarcene!
HOVSTAD Il sindaco lo toccherei veramente a malincuore, visto
che è suo fratello. Ma lei la pensa di sicuro come me, la verità
viene prima di ogni altro riguardo.
DOTTOR STOCKMANN Si capisce da sé, certamente – (Esploden-
do.) Sì, ma –! Sì, ma –!
HOVSTAD Non deve pensar male di me. Non sono né più egoista
né più desideroso di potere della maggior parte degli uomini.
DOTTOR STOCKMANN Ma caro, – chi pensa a questo?
HOVSTAD Io provengo da gente semplice, come lei sa; e ho
avuto più volte occasione di vedere cosa sia maggiormente
necessario tra gli strati sociali più bassi. Vale a dire partecipa-
re all’amministrazione degli affari pubblici, signor dottore.
Questo è ciò che sviluppa le capacità, le conoscenze e l’auto-
stima –
DOTTOR STOCKMANN Capisco perfettamente –
HOVSTAD Sì, – e poi, a mio parere, un giornalista si assume una
grande responsabilità, se trascura un’occasione propizia alla li-
berazione dei molti, dei deboli, degli oppressi. Lo so bene, – nel-
la cerchia dei grandi questa la chiameranno istigazione e altro
ancora; ma facciano pure come vogliono. Se la mia coscienza è
limpida, allora –
DOTTOR STOCKMANN Ecco, appunto, giusto! Giusto, caro signor
Hovstad. Tuttavia – per il diavolo –! (Bussano.) Avanti!

(Il tipografo Aslaksen sulla soglia dell’anticamera. È vestito sem-


plicemente ma decorosamente, in nero, con un foulard bianco, un
po’ sgualcito, guanti e cappello a cilindro in mano.)

ASLAKSEN (si inchina) Scusi, signor dottore, se ho l’ardire –


DOTTOR STOCKMANN (si alza) Guarda, guarda, – abbiamo con
noi il tipografo Aslaksen!
ASLAKSEN Proprio così, signor dottore.
HOVSTAD (si alza) È me che cercava, Aslaksen?
ASLAKSEN No, non è per questo; non sapevo che ci saremmo in-
contrati qui. No, era proprio il dottore in persona –
336 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Allora, in cosa posso servirla?


ASLAKSEN È vero, come ho sentito dal signor Billing, che il dot-
tore pensa di procurarci un acquedotto migliore?
DOTTOR STOCKMANN Sì, per lo stabilimento delle terme.
ASLAKSEN Bene; mi rendo conto. Dunque, vengo per dire che
sosterrò questa causa con tutte le mie forze.
HOVSTAD (al dottore) Lo vede!
DOTTOR STOCKMANN La ringrazio di cuore per questo; ma –
ASLAKSEN Perché forse potrebbe essere necessario avere pro-
prio noi piccoli borghesi alle spalle. Qui in città costituiamo, per
così dire, una maggioranza compatta, – quando veramente lo
vogliamo. Ed è sempre bene avere la maggioranza dalla pro-
pria parte, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Questo è innegabilmente vero; solo che
non riesco a concepire che ci sia bisogno, in questa circostanza,
di un’organizzazione speciale. Io credo che una faccenda così
chiara e semplice –
ASLAKSEN Oh sì, invece, potrebbe comunque essere un bene; io
conosco a fondo le autorità locali; chi detiene il potere non ac-
cetta così volentieri proposte che vengano da altra gente. Per-
ciò, ritengo che non sarebbe fuori luogo se facessimo un po’ di
dimostrazioni.
HOVSTAD Giusto, sono d’accordo.
DOTTOR STOCKMANN Dimostrazioni, lei dice? Be’, come vor-
rebbe farle esattamente?
ASLAKSEN Con grande temperanza, signor dottore, è naturale;
io mi attengo sempre alla temperanza; perché la temperanza,
questa è la prima virtù di un cittadino, – secondo la mia opinio-
ne, certo.
DOTTOR STOCKMANN Lei, infatti, è noto per questo, signor
Aslaksen.
ASLAKSEN Sì, credo di poter affermare una cosa del genere. E
questa faccenda dell’acquedotto, davvero, è proprio impor-
tante per noi piccoli borghesi. Le terme si profilano per il fu-
turo quasi come una piccola miniera d’oro per la città. È del-
le terme che vivremo tutti quanti, soprattutto noi proprietari
di case. Ecco perché vogliamo assolutamente appoggiare l’or-
ganizzazione, facendo tutto ciò che possiamo. E dal momento
che io sono presidente dell’associazione dei proprietari di ca-
se –
DOTTOR STOCKMANN Ah sì –?
ASLAKSEN – e sono inoltre rappresentante dell’associazione per
UN NEMICO DEL POPOLO 337

la temperanza, –15 sì, lei certamente sa, dottore, che io mi impe-


gno a favore della temperanza?
DOTTOR STOCKMANN Certo, si capisce.
ASLAKSEN Appunto, – allora è facile arguire che io frequenti
una considerevole quantità di persone. E dal momento che so-
no noto per essere un cittadino equilibrato e ligio alle leggi, co-
me il dottore stesso ha detto, è chiaro che ho una certa influen-
za in città, – una sorta di piccola posizione di potere, – se così
posso permettermi di dire.
DOTTOR STOCKMANN Questo lo so molto bene, signor Aslaksen.
ASLAKSEN Ecco, vede – per me, perciò, sarebbe una piccola co-
sa organizzare un indirizzo, se ci dovessero essere impicci.
DOTTOR STOCKMANN Un indirizzo, dice?
ASLAKSEN Sì, una specie di indirizzo di riconoscenza, da parte
dei borghesi, per il fatto che lei ha portato alla luce quest’im-
portante faccenda per la società. È ovvio che dovrebbe essere
redatto con l’opportuna temperanza, così da non urtare le au-
torità e quelli che comunque hanno il potere. E se stiamo ben
attenti a questo, allora nessuno potrà considerarci male, dico
bene?
HOVSTAD Be’, se anche non l’apprezzassero tanto, ugualmente –
ASLAKSEN No, no, no; nulla di inopportuno verso le autorità, si-
gnor Hovstad. Nessuna opposizione contro gente che ci sta ad-
dosso a oltranza. Ne ho avuto abbastanza per il passato; e co-
munque non ne viene mai niente di buono fuori. Ma le espres-
sioni equilibrate e schiette di un cittadino non possono essere
impedite a nessuno.
DOTTOR STOCKMANN (gli stringe la mano) Non riesco ad espri-
merle, caro signor Aslaksen, quanto mi faccia piacere trovare
una così grande adesione tra i miei concittadini. Sono proprio
contento, – proprio contento! Senta; non ci vorrebbe un bic-
chierino di sherry? Eh?
ASLAKSEN No, molte grazie; non prendo mai questo tipo di al-
colici.
DOTTOR STOCKMANN Allora, almeno una birra; che ne dice?
ASLAKSEN Grazie, nemmeno quella, signor dottore; non prendo

15
Verso la metà dell’Ottocento, in Norvegia si svilupparono moltissime asso-
ciazioni in ogni campo, da quello economico a quello culturale e religioso. In
quest’ultimo va collocata molto probabilmente l’associazione per la tempe-
ranza, così come l’associazione per i moralmente corrotti, oggetto delle battu-
te sarcastiche di Lona Hessel ne I sostegni della società. (Sandra Colella)
338 HENRIK IBSEN

niente così presto. Piuttosto, adesso voglio andare in città a par-


lare con alcuni proprietari di case e preparare l’atmosfera.
DOTTOR STOCKMANN Davvero, è oltremodo gentile da parte
sua, signor Aslaksen; ma è impossibile far entrare nella mia te-
sta che sia necessaria tutta questa organizzazione; secondo me
la cosa dovrebbe andare del tutto da sé.
ASLAKSEN Le autorità lavorano con una certa lentezza, signor
dottore. Sì, Dio mi guardi, non lo dico per parlarne male –
HOVSTAD Domani, sul giornale, le metteremo in moto, Aslaksen.
ASLAKSEN Ma non in modo violento, signor Hovstad. Si muova
con temperanza, altrimenti non riuscirà a spostarle di un milli-
metro; abbia fiducia nel mio consiglio; perché io ho accumulato
esperienza alla scuola della vita. – Be’, è venuto il momento di
salutare il dottore. Adesso lei sa che noi, piccoli borghesi, sare-
mo in ogni caso dietro di lei, come un muro. Ha la maggioranza
compatta dalla sua parte, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Grazie, mio caro signor Aslaksen. (Gli dà
la mano.) Arrivederci, arrivederci!
ASLAKSEN Viene con me in tipografia, signor Hovstad?
HOVSTAD Vengo più tardi; ho ancora qualche piccola cosa da
definire.
ASLAKSEN Bene, bene.

(Saluta e va via; il dottor Stockmann lo accompagna nell’antica-


mera.)

HOVSTAD (mentre il dottore rientra) Allora, che ne dice, signor


dottore? Non crede che sia giunto il momento di cambiare aria
e di scuotere tutta questa inerzia e inefficienza e codardia?
DOTTOR STOCKMANN Allude al tipografo Aslaksen?
HOVSTAD Sì, certo. È uno di quelli che stanno nel pantano – per
quanto possa essere un brav’uomo per il resto. Qui da noi la
maggior parte è così; stanno ad oscillare e a passare da una par-
te all’altra; presi solo da scrupoli e riguardi, non osano mai fare
un passo decisivo.
DOTTOR STOCKMANN Sì, ma Aslaksen era così sinceramente
ben disposto, mi sembra.
HOVSTAD C’è una cosa, che io stimo di più; e cioè quella di esse-
re sicuri di sé e senza paura.
DOTTOR STOCKMANN In questo le do pienamente ragione.
HOVSTAD Ecco perché adesso voglio afferrare al volo l’occasio-
ne e provare se non riesca una buona volta a far prender corag-
UN NEMICO DEL POPOLO 339

gio a chi è ben disposto. Il culto dell’autorità dev’essere estirpa-


to qui in città. Questo grosso e irresponsabile errore dell’ac-
quedotto dev’essere reso noto a tutti i cittadini che votano.
DOTTOR STOCKMANN Bene; se lei ritiene che sia per il bene
pubblico, faccia pure; ma non prima che io abbia parlato con
mio fratello.
HOVSTAD Nel frattempo, in tutti i casi, preparo un articolo di fon-
do. Cosicché, se il sindaco non vorrà affrontare la questione –
DOTTOR STOCKMANN Oh, ma come può pensare una cosa si-
mile?
HOVSTAD Si potrebbe pensare benissimo. E allora –?
DOTTOR STOCKMANN Sì, allora le prometto –; senta, – allora po-
trà stampare la mia relazione, – potrà inserirla per intero.
HOVSTAD Potrò farlo? Mi dà la sua parola?
DOTTOR STOCKMANN (gli porge il manoscritto) Eccola qui; la
prenda con sé; non può certo far male a nessuno se lei le dà
un’occhiata; poi me la restituirà.
HOVSTAD Bene, bene; certamente lo farò. Arrivederci, dunque,
signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Arrivederci, arrivederci. Ma sì, vedrà, tut-
to andrà liscio, signor Hovstad, – liscio come l’olio!
HOVSTAD Hm, – staremo a vedere.

(Saluta ed esce attraverso l’anticamera.)

DOTTOR STOCKMANN (va verso la stanza da pranzo e guarda al


suo interno) Katrine –! Ah, sei tornata a casa, Petra?
PETRA (entra) Sì, sono appena arrivata da scuola.
SIGNORA STOCKMANN (arriva) Non è ancora venuto?
DOTTOR STOCKMANN Peter? No. Ma ho parlato un bel po’ con
Hovstad. È praticamente entusiasta della scoperta che ho fatto.
E sì, perché ha una portata ben più ampia di quel che pensavo
all’inizio, capisci. E poi ha messo il suo giornale a mia disposi-
zione, se dovesse essere necessario.
SIGNORA STOCKMANN Ma tu credi che sia necessario?
DOTTOR STOCKMANN Oh, assolutamente no. Ma in ogni caso è
una orgogliosa consapevolezza, per un uomo, avere dalla pro-
pria parte la stampa liberale e indipendente. E poi, pensa, – ho
anche avuto la visita del presidente dell’associazione dei pro-
prietari di case.
SIGNORA STOCKMANN Ah sì? E che voleva?
DOTTOR STOCKMANN Anche lui sostenermi. Vogliono sostener-
340 HENRIK IBSEN

mi tutti quanti, nel caso in cui dovessero esserci pasticci. Katri-


ne, – lo sai, tu, che cosa c’è dietro di me?
SIGNORA STOCKMANN Dietro di te? No; che cosa c’è dietro di te?
DOTTOR STOCKMANN La maggioranza compatta.
SIGNORA STOCKMANN Ah. È una cosa buona per te, questa, To-
mas?
DOTTOR STOCKMANN Se è una cosa buona, certo che lo è! (Si
frega le mani e va su e giù.) Sì, Dio mio, quanto è piacevole sta-
re così, in fraterna unione con i propri concittadini!
PETRA E poi fare così tanto di buono e di utile, papà!
DOTTOR STOCKMANN Sì, e per giunta per la propria città natale,
capisci!
SIGNORA STOCKMANN Ecco che bussano.
DOTTOR STOCKMANN Certamente è lui. – – (Bussano.) Avanti!
SINDACO STOCKMANN (arriva dall’anticamera) Buon giorno.
DOTTOR STOCKMANN Benvenuto, Peter!
SIGNORA STOCKMANN Buon giorno, cognato. Come va?
SINDACO Grazie; così così. (Al dottore.) Ieri, dopo l’orario di uf-
ficio, ho ricevuto una relazione da parte tua sulla condizione
delle acque presso lo stabilimento delle terme.
DOTTOR STOCKMANN Sì. L’hai letta?
SINDACO Certo che l’ho letta.
DOTTOR STOCKMANN E allora, che pensi della faccenda?
SINDACO (con un’occhiata di sbieco) Hm –
SIGNORA STOCKMANN Vieni, Petra.

(Lei e Petra entrano nella stanza a sinistra.)

SINDACO (dopo una pausa) Era necessario condurre tutte que-


ste indagini dietro le mie spalle?
DOTTOR STOCKMANN Be’, fin quando non avevo la certezza as-
soluta, allora –
SINDACO Intendi dire, dunque, che quella, adesso, ce l’hai?
DOTTOR STOCKMANN Certo, immagino che tu stesso te ne sia re-
so conto.
SINDACO È tua intenzione presentare questo documento all’am-
ministrazione delle terme, come una specie di atto ufficiale?
DOTTOR STOCKMANN Sicuro. Qualcosa bisognerà pur fare; e ve-
locemente.
SINDACO Come al solito, usi toni forti nella tua relazione. Dici,
tra l’altro, che ciò che offriamo ai nostri ospiti delle terme è un
avvelenamento permanente.
UN NEMICO DEL POPOLO 341

DOTTOR STOCKMANN Sì, ma, Peter, lo si può definire diversa-


mente? Pensa solo, – acqua infetta per uso interno ed esterno!
E questo nei confronti di povere persone ammalate, che si ri-
volgono a noi in buona fede, e che pagano un caro prezzo per
riottenere la propria salute!
SINDACO E quindi, nella tua deduzione, arrivi al risultato che
dobbiamo costruire una cloaca che possa ricevere le postulate
immondizie dalla valle di Mølle e che vanno rifatte le condut-
ture dell’acqua.
DOTTOR STOCKMANN Perché, tu vedi qualche altra via d’uscita?
Io no.
SINDACO Stamattina ho fatto una commissione dall’ingegnere
comunale. E ho portato il discorso – quasi per gioco – su questi
provvedimenti, come qualcosa che forse bisognerebbe prende-
re in considerazione una volta o l’altra in futuro.
DOTTOR STOCKMANN Una volta o l’altra in futuro!
SINDACO Ha sorriso della mia presunta extravagance16 – natu-
ralmente. Ti sei dato pena di pensare a quanto verrebbero a co-
stare i cambiamenti da te consigliati? Secondo le informazioni
che ho ricevuto, le spese ammonterebbero probabilmente a pa-
recchie centinaia di migliaia di corone.
DOTTOR STOCKMANN Sarebbe così costoso?
SINDACO Sì. E ora viene il peggio. I lavori richiederebbero un
lasso di tempo di almeno due anni.
DOTTOR STOCKMANN Due anni, dici? Due anni interi?17
SINDACO Almeno. E che facciamo, nel frattempo, con le terme?
Le chiudiamo? Certo, saremmo obbligati a farlo. Oppure, forse,
pensi che qualcuno verrebbe qui da noi, se si spargesse la voce
che l’acqua è pericolosa per la salute?
DOTTOR STOCKMANN Sì, ma, Peter, così è.
SINDACO E poi, tutto questo adesso, – proprio adesso che lo sta-
bilimento sta crescendo. Anche le città vicine hanno i requisiti
necessari per essere frequentate come luoghi termali. Non cre-
16
Termine francese entrato nel vocabolario norvegese, «stravaganza».
17
Le repliche di Tomas sono smorte, deboli, a conferma che davvero ha la
mentalità dell’avvoltoio: non si è fatto nemmeno due stracci di conti su quan-
to costerà la ristrutturazione, e non ha neanche compreso che ci vorranno
comunque due anni di chiusura degli impianti per eseguire le opportune mo-
difiche. Non ha infine nessuna capacità politica: non lo sfiora il sospetto che
non solo la grande proprietà azionaria delle terme, ma anche i ceti medi, pic-
coli proprietari di case, e persino gli strati operai traggono vantaggio da que-
sta risorsa turistica.
342 HENRIK IBSEN

di che si metterebbero subito all’opera per convogliare verso di


sé tutto il flusso dei forestieri? È chiaro, senza ombra di dub-
bio. E noi staremmo lì a guardare; dovremmo verosimilmente
chiudere l’intero e costoso impianto; e così avresti rovinato la
tua città natale.
DOTTOR STOCKMANN Io – rovinato –!
SINDACO È solamente e unicamente grazie alle terme che la
città ha per sé qualche futuro promettente. Questo tu lo capisci
bene esattamente come me.
DOTTOR STOCKMANN Ma allora cosa pensi che bisognerebbe
fare?
SINDACO La tua relazione non è riuscita a convincermi che la
condizione delle acque termali sia così critica come tu la pre-
senti.
DOTTOR STOCKMANN È anche peggiore, credimi! O comunque
lo diventerà in estate, quando arriverà il caldo.
SINDACO Come già detto, credo che esageri notevolmente. Un
medico fattivo deve saper prendere le sue misure, – deve saper
prevenire gli effetti nocivi e porre rimedio ad essi, nel caso in
cui dovessero diventare del tutto palesemente tangibili.
DOTTOR STOCKMANN E poi –? Che più –?
SINDACO Il rifornimento d’acqua delle terme, così come è stato
messo in opera, è ormai un fatto assodato e dev’essere conside-
rato come tale, è ovvio. Ma ragionevolmente la direzione, a suo
tempo, non sarà indisponibile a prendere in considerazione se,
con accessibili sacrifici pecuniari, sia possibile apportare deter-
minati miglioramenti.
DOTTOR STOCKMANN E tu credi che io possa mai accettare una
simile astuzia!
SINDACO Astuzia?
DOTTOR STOCKMANN Certo, sarebbe un’astuzia, – una frode, un
vero atto criminale contro la collettività, contro l’intera società!
SINDACO Come ho già osservato, non sono riuscito ad acquisire
la convinzione che si stia concretizzando sul serio qualche peri-
colo imminente.
DOTTOR STOCKMANN Invece sì che ce l’hai! Non può essere di-
versamente. La mia presentazione è perfettamente vera e pre-
cisa, io lo so! E tu lo capisci benissimo, Peter; semplicemente
non vuoi riconoscerlo. Sei stato tu a far sì che sia gli edifici del-
le terme che l’acquedotto fossero costruiti lì dove ora si trova-
no; ed è questo, – è questo maledetto errore che tu non vuoi am-
mettere. Uh, – credi che non sappia vedere dentro di te?
UN NEMICO DEL POPOLO 343

SINDACO E se anche fosse così? Se mi preoccupo forse con una


certa ansia della mia reputazione, questo succede a vantaggio
della città. Senza l’autorità morale non posso amministrare e
governare le cose nel modo che ritengo più utile al benessere di
tutti. Perciò, – e per molte altre ragioni, – mi sta molto a cuore
che la tua presentazione non sia consegnata alla direzione delle
terme. Dev’essere tenuta da parte per il bene della collettività.
Più in là, poi, farò discutere la cosa e vedremo di fare del nostro
meglio in silenzio; ma nulla, – nemmeno una parola di questa
fatale faccenda deve arrivare a conoscenza del pubblico.
DOTTOR STOCKMANN Be’, mio caro Peter, non è più possibile
impedirlo.
SINDACO Dev’essere impedito, e così sarà.
DOTTOR STOCKMANN Non è così, ti dico; sono in troppi a saperlo.
SINDACO A saperlo! Chi? Non saranno mica quei signori
dell’«Araldo del popolo», che –
DOTTOR STOCKMANN Eh sì; anche loro. La stampa liberale e
indipendente si darà certo da fare perché facciate il vostro do-
vere.
SINDACO (dopo una breve pausa) Sei una persona oltremodo
sconsiderata, Tomas. Non hai pensato alle conseguenze che po-
tranno derivare per te stesso da questa faccenda?
DOTTOR STOCKMANN Conseguenze? Conseguenze per me?
SINDACO Per te e per i tuoi, chiaro.
DOTTOR STOCKMANN Che diavolo significa questo?
SINDACO Io credo di essermi comportato in tutta la mia vita co-
me un fratello premuroso e sollecito verso di te.
DOTTOR STOCKMANN Sì, l’hai fatto; e io ti ringrazio per questo.
SINDACO Non ti è richiesto. Perché in parte sono stato anche co-
stretto a farlo – nel mio interesse. Ho sempre avuto la speranza
di poter riuscire a mantenerti tranquillo, aiutandoti a migliora-
re la tua posizione economica.
DOTTOR STOCKMANN Che stai dicendo? Allora è stato solo nel
tuo interesse –!
SINDACO In parte, ho detto. È imbarazzante, per un funzionario
pubblico, che i suoi più stretti parenti vadano in giro a compro-
mettersi di continuo.
DOTTOR STOCKMANN E tu pensi che io lo faccia?
SINDACO Sì, tu lo fai, purtroppo, e non te ne rendi neppure con-
to. Hai un’indole irrequieta, litigiosa, ribelle. E poi, la tua dan-
nata tendenza a scrivere pubblicamente su tutto il possibile e
l’impossibile. Non fai nemmeno a tempo ad avere un’idea – che
344 HENRIK IBSEN

immediatamente devi scrivere un articolo di giornale o un’inte-


ra brochure.
DOTTOR STOCKMANN Sì, ma allora, se un cittadino afferra una
nuova idea, non è suo dovere renderne partecipe la collettività!
SINDACO Oh, la collettività non ha affatto bisogno di nuove
idee. La collettività è servita nel modo migliore con le vecchie,
buone, note idee, che già possiede.
DOTTOR STOCKMANN E tu dici questo in maniera così esplicita!
SINDACO Sì, una buona volta devo pur parlare in maniera espli-
cita con te. Finora ho cercato di evitarlo, dal momento che so
quanto tu sia irritabile; ma adesso devo dirti la verità, Tomas.
Non capisci affatto quanto danno tu faccia a te stesso con la tua
irruenza. Ti lamenti delle autorità, sì, dello stesso governo, – lo
rinneghi perfino, – asserisci di essere stato messo da parte, di
essere perseguitato. Ma credi di poterti aspettare altro, – una
persona così scomoda, come sei tu.
DOTTOR STOCKMANN Pure questo, – sono anche scomodo?
SINDACO Sì, Tomas, sei una persona molto scomoda con cui la-
vorare. Me ne sono accorto personalmente. Tu non hai riguar-
do per nulla e nessuno; sembri dimenticare completamente
che è me che puoi ringraziare per il posto qui come medico
delle terme –
DOTTOR STOCKMANN Avevo le qualifiche giuste! Io e nessun al-
tro! Sono stato il primo a rendersi conto che la città poteva di-
ventare una fiorente stazione termale. E sono stato l’unico,
quella volta, a rendersene conto. Da solo ho lottato per molti
anni per quell’idea; e ho scritto e scritto –
SINDACO Innegabile. Quella volta, però, non era ancora esatta-
mente il momento giusto; ma questo, tu, lassù nel tuo angolo
sperduto, non potevi certo valutarlo. Quando, invece, giunse
l’ora propizia, allora io – e gli altri – prendemmo la cosa nelle
nostre mani –
DOTTOR STOCKMANN Appunto, e ingarbugliaste tutto il mio
magnifico piano. Eh sì, si vede chiaramente, adesso, che indivi-
dui intelligenti siete stati!
SINDACO A mio parere si vede soltanto che tu hai ancora biso-
gno di dar sfogo alla tua voglia di confliggere. Vuoi perseguitare
i tuoi superiori; – questa, d’altra parte, è una tua vecchia abitudi-
ne. Non riesci a sopportare nessuna autorità al di sopra di te;
guardi di traverso chiunque ricopra una posizione amministrati-
va superiore; lo consideri un nemico personale, – e subito ti va
bene qualsiasi arma offensiva, una come un’altra. Ma ora ti ho
UN NEMICO DEL POPOLO 345

fatto capire quali interessi siano in gioco per tutta la città, – e di


conseguenza anche per me. Perciò ti avverto, Tomas, la richiesta
che sto per farti è inesorabile.
DOTTOR STOCKMANN E quale sarebbe questa richiesta?
SINDACO Dal momento che sei stato così indiscreto da parlare
di questa delicata faccenda con estranei, quantunque dovesse
essere riguardata come un segreto della direzione, a questo
punto la cosa, è ovvio, non può essere soffocata. Dicerie pic-
canti si spargeranno ampiamente in giro e i malpensanti tra
noi alimenteranno queste dicerie con aggiunte di ogni sorta.
Sarà necessario, pertanto, che tu respinga tali dicerie pubblica-
mente.
DOTTOR STOCKMANN Io! In che modo? Non ti capisco.
SINDACO Ci si aspetta, evidentemente, che tu, attraverso nuove
indagini, arrivi al risultato che la cosa è di gran lunga meno pe-
ricolosa o preoccupante di quanto ti fossi immaginato in un pri-
mo momento.
DOTTOR STOCKMANN Aha, – questo, dunque, ti aspetti, tu!
SINDACO Inoltre ci si aspetta che ti pieghi e dichiari pubblica-
mente la fiducia nell’amministrazione, che provvederà in ma-
niera approfondita e coscienziosa a rimediare con tutto il ne-
cessario ai possibili inconvenienti.
DOTTOR STOCKMANN È chiaro che, fin quando procederete con
inganni e rappezzature, non riuscirete mai e poi mai a farlo. È
bene che tu lo sappia, Peter; ne ho la più piena e assoluta con-
vinzione –!
SINDACO Come funzionario non hai il diritto di contribuire con
alcuna convinzione autonoma.
DOTTOR STOCKMANN (sobbalza) Non ho il diritto di –?
SINDACO Come funzionario, ho detto. Come persona privata, –
Dio mi guardi, è un’altra cosa. Ma come impiegato subalterno
delle terme non hai il diritto di esprimere alcuna convinzione
che sia in contrasto con i tuoi superiori.
DOTTOR STOCKMANN Questo è troppo! Io, un medico, un uomo
di scienze, non avrei il diritto di –!
SINDACO La faccenda di cui si sta discutendo non è precisamen-
te scientifica; è una faccenda mista; una faccenda che ha dei lati
sia tecnici che economici.
DOTTOR STOCKMANN Be’, per me può essere quel che diavolo si
vuole! Ma io voglio avere la libertà di esprimermi su tutte le
possibili faccende di questo mondo!
SINDACO Fai pure. Ma non sulle terme – Questo te lo proibiamo.
346 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN (grida) Me lo proibite –! Voi! Una cosa


simile –!
SINDACO Io te lo proibisco, – io, il più alto dei tuoi superiori; e se
io ti proibisco qualcosa, tu devi obbedire.
DOTTOR STOCKMANN (si reprime) Peter, – giuro che se non fossi
mio fratello –
PETRA (spalanca la porta) Papà, questo non devi accettarlo!
SIGNORA STOCKMANN (dietro di lei) Petra, Petra!
SINDACO Ah, si stava a spiare.
SIGNORA STOCKMANN Il tono era così alto; non potevamo evi-
tare di –
PETRA Invece sì, io stavo lì ad ascoltare.18
SINDACO Be’, in fondo mi fa piacere –
DOTTOR STOCKMANN (si avvicina) Tu hai parlato con me di
proibire e di obbedire –?
SINDACO Mi hai costretto tu a parlare in questi termini.
DOTTOR STOCKMANN E così, in una dichiarazione ufficiale, do-
vrei rimangiarmi quel che ho detto?
SINDACO Noi riteniamo indispensabile che tu faccia una dichia-
razione pubblica esattamente nei termini che ti ho richiesto.
DOTTOR STOCKMANN E se invece io non – obbedissi?
SINDACO Allora rilasceremo noi stessi una dichiarazione per
rassicurare il pubblico.
DOTTOR STOCKMANN Molto bene; ma in tal caso io scriverò
contro di voi. Rimarrò sulle mie posizioni; dimostrerò che io ho
ragione e voi avete torto. Che farete a quel punto?
SINDACO A quel punto non potrò impedire che tu sia licenziato.
18
È la prima aperta confessione di origliamento (la seconda sarà in Casa Ro-
smer): quanto basta per autorizzare il sospetto sull’origliamento di Osvald
(cfr. Spettri, n. 47). Ibsen distingue fra høre («ascoltare», «sentire»), verbo di
larghissimo impiego, quasi 1500 frequenze; lytte, 168 frequenze, che traducia-
mo preferibilmente con «origliare» (e, là dove non è possibile, con «tendere
l’orecchio» o «restare in ascolto»); e lure, «spiare», solo 10 frequenze. Cui si
aggiunge un’unica frequenza di stå på lur, «stare a spiare», che è il punto che
abbiamo sotto gli occhi. Si osservi che l’irruzione di Petra è decisiva. Nono-
stante le umiliazioni pesantissime subìte, Tomas non arriva ancora alla rottu-
ra; la didascalia lo fotografa nel momento in cui «si reprime». È solo l’ingres-
so della figlia – che crede nella dignità del padre più di quanto in fondo non
ci creda lui stesso – a costringerlo allo scontro radicale. E di qui in avanti, in
effetti, Tomas procederà senza più esitazioni. Da segnalare comunque – per
intanto – questo legame affettivo forte fra figlia e padre, assai più forte di
quello fra marito e moglie. È solo uno spunto, ma destinato a lunga strada
nella drammaturgia ibseniana, come si vedrà.
UN NEMICO DEL POPOLO 347

DOTTOR STOCKMANN Cosa –!


PETRA Papà, – licenziato!
SIGNORA STOCKMANN Licenziato!
SINDACO Licenziato come medico delle terme. Mi vedrò costret-
to a sollecitare un licenziamento immediato, ad allontanarti da
ogni mansione relativa alla gestione delle terme.
DOTTOR STOCKMANN E voi avreste questo ardire!
SINDACO Sei tu che stai giocando un gioco ardito.
PETRA Zio, questo è un modo di agire rivoltante nei confronti di
un uomo come papà!
SIGNORA STOCKMANN Sta’ zitta tu, Petra!
SINDACO (guarda Petra) Aha, ci si lancia già nell’espressione delle
proprie opinioni. Certo, naturalmente. (Alla signora.) Cognata, a
quanto pare lei è la più assennata qui in casa. Ricorra all’influenza
che dovrebbe avere su suo marito; gli faccia capire le conseguenze
che deriveranno da questa vicenda, sia per la sua famiglia –
DOTTOR STOCKMANN Nessuno deve intromettersi nelle faccen-
de della mia famiglia!
SINDACO – sia per la sua famiglia, ho detto, che per la città in cui
vive.
DOTTOR STOCKMANN Sono io, che voglio il vero benessere per la
città! Io voglio svelare le pecche che presto o tardi verranno alla
luce del sole. Oh, si vedrà, allora, se non amo la mia città natale.
SINDACO Tu, che con la tua cieca ostinazione ti stai dando da fa-
re per inaridire la principale fonte di nutrimento della città.
DOTTOR STOCKMANN Quella fonte è infetta, uomo! Tu sei paz-
zo! Qui viviamo della rivendita al dettaglio di immondizia e
marciume! Tutta la nostra fiorente vita di società succhia il suo
nutrimento da una menzogna!
SINDACO Insensatezze – o qualcosa di peggio. Un uomo che lan-
cia insinuazioni così offensive contro il proprio luogo di appar-
tenenza, quello dev’essere un nemico della società.
DOTTOR STOCKMANN (verso di lui) E tu hai l’ardire di –!
SIGNORA STOCKMANN (si getta fra loro) Tomas!
PETRA (prende il padre per il braccio) Sta’ calmo, papà!
SINDACO Non voglio espormi a violenze. Adesso sei stato avver-
tito. Rifletti su ciò che devi a te stesso e ai tuoi. Arrivederci.

(Esce.)

DOTTOR STOCKMANN (cammina su e giù) E devo sopportare un


tale trattamento! A casa mia, Katrine! Ti rendi conto!
348 HENRIK IBSEN

SIGNORA STOCKMANN Sicuro, è una vergogna e un’umiliazione,


Tomas –
PETRA Se solo potessi colpire lo zio, davvero –!
DOTTOR STOCKMANN È colpa mia; avrei dovuto cacciare le un-
ghie da molto tempo, – mostrare i denti, – morderli! E poi, chia-
marmi nemico della società! Io! Sull’anima mia, questa non la
lascerò passare!
SIGNORA STOCKMANN Ma, caro Tomas, tuo fratello, purtroppo,
ha il potere –
DOTTOR STOCKMANN Sì, ma io ho la ragione, accidenti!
SIGNORA STOCKMANN Oh sì, la ragione, la ragione; a cosa serve
che tu abbia ragione, se non hai nessun potere?
PETRA Insomma, mamma, – come puoi parlare in questo modo?
DOTTOR STOCKMANN E così, allora, non servirebbe a nulla, in
una libera società, avere la ragione dalla propria parte? Sei ri-
dicola, Katrine. E poi, – non ho la stampa liberale e indipen-
dente davanti a me, – e la maggioranza compatta dietro di me?
È un potere più che sufficiente, questo, mi pare!
SIGNORA STOCKMANN Ma, Signore Iddio, Tomas, non penserai
mica –?
DOTTOR STOCKMANN Che cosa non dovrei pensare?
SIGNORA STOCKMANN – di metterti contro tuo fratello, dico.
DOTTOR STOCKMANN Che diavolo vorresti che facessi, altrimen-
ti, se non rimanere attaccato a ciò che è giusto e vero?
PETRA Sì, vorrei saperlo anch’io, che dovrebbe fare?
SIGNORA STOCKMANN Ma niente al mondo potrà aiutarti; se lo-
ro non vogliono, significa che non vogliono.
DOTTOR STOCKMANN Oh oh, Katrine, dammi solo tempo, e poi
vedrai se non porterò a buon fine la mia guerra.
SIGNORA STOCKMANN Sì, oppure porterai a buon fine il tuo li-
cenziamento, – questo farai.
DOTTOR STOCKMANN Be’, almeno avrò fatto il mio dovere ver-
so la collettività, – verso la società. Io, che sono stato definito
un nemico della società.
SIGNORA STOCKMANN Ma verso la tua famiglia, Tomas? Verso
di noi qui a casa? Pensi che questo sia fare il tuo dovere verso
coloro a cui devi provvedere?
PETRA Oh, non pensare sempre a noi prima di tutto, mamma.
SIGNORA STOCKMANN Sì, per te è facile parlare; in caso di biso-
gno, tu puoi stare sulle tue gambe. – Ma ricordati dei ragazzi,
Tomas; e pensa un po’ anche a te stesso, e a me –
DOTTOR STOCKMANN Ma io credo che tu sia completamente
UN NEMICO DEL POPOLO 349

pazza, Katrine! Se io mi sottomettessi così miseramente e co-


dardamente a questo Peter e alla sua dannata combriccola, –
potrei mai più avere un momento felice nella mia vita?
SIGNORA STOCKMANN Non lo so; ma nostro Signore ci protegga
per la fortuna che avremo, tutti quanti, se tu ti ostini nella tua
ribellione. Ti troverai di nuovo senza il pane quotidiano, senza
entrate fisse. Credo che ne abbiamo avuto abbastanza per il
passato; ricordalo, Tomas; pensa che cosa comporta.
DOTTOR STOCKMANN (si torce come se combattesse e serra le
mani) Che questi schiavi di burocrati possano buttare cose si-
mili addosso ad un uomo libero e onesto! Non è terribile, Ka-
trine?
SIGNORA STOCKMANN Sì, si è agito in maniera empia contro di
te, questo è assolutamente vero. Ma, Signore Iddio, nel mondo
c’è così tanta ingiustizia cui bisogna piegarsi. – Ecco che arriva-
no i ragazzi, Tomas! Guardali! Che ne sarà di loro? Oh no, no,
non potrai mai avere il cuore di –

(Ejlif e Morten, nel frattempo, sono entrati con i libri di scuola.)

DOTTOR STOCKMANN I ragazzi –! (Immediatamente si ferma e si


calma.) No, se pure tutto il mondo crollasse, non piegherò il col-
lo sotto il giogo.

(Va verso la sua stanza.)

SIGNORA STOCKMANN (dietro di lui) Tomas, – che vuoi fare!


DOTTOR STOCKMANN (sulla soglia) Voglio avere il diritto di
guardare i miei figli negli occhi una volta che saranno cresciuti
e saranno uomini liberi.

(Entra dentro.)

SIGNORA STOCKMANN (scoppia in lacrime) Oh, che Dio ci aiuti


e ci sostenga tutti quanti!
PETRA Papà sì che fa bene! Lui non si arrende.

(I ragazzi chiedono stupiti che cosa stia succedendo; Petra fa loro


segno di tacere.)
TERZO ATTO

(Ufficio di redazione dell’«Araldo del Popolo». A sinistra, in


fondo, c’è la porta d’ingresso; a destra, sulla stessa parete, c’è
un’altra porta a vetri, attraverso la quale si vede l’interno della
stamperia. Sulla parete di destra una porta. In mezzo alla stanza
un grande tavolo ricoperto da carte, giornali e libri. Avanti a sini-
stra una finestra e, presso di questa, una scrivania con una sedia
alta. Vicino al tavolo un paio di poltrone, alcune sedie lungo le
pareti. La stanza è tetra e poco accogliente, il mobilio è vecchio,
le poltrone sono sporche e stracciate. Nella stamperia si vedono
lavorare un paio di tipografi; molto più in là è in funzione un tor-
chio.)

(Il direttore Hovstad siede alla scrivania e scrive. Dopo poco entra
Billing da destra, con il manoscritto del dottore in mano.)

BILLING No, questo è proprio –!


HOVSTAD (mentre scrive) L’ha letto?
BILLING (poggia il manoscritto sulla scrivania) Eccome, certo
che l’ho letto.
HOVSTAD Non è male il dottore, eh, che ne pensa?
BILLING Non è male? Che Dio mi danni, è schiacciante, ecco co-
s’è. Ogni parola si abbatte pesante come – direi – come un col-
po di scure.
HOVSTAD Sì, ma quella gente non cade, però, al primo colpo.
BILLING È vero; ma noi continueremo a battere, – colpo su col-
po, fin quando non crollerà l’intero regno dei potenti. Mentre
ero lì dentro a leggerlo, era come se scorgessi a distanza l’avan-
zata della rivoluzione.
HOVSTAD (si gira) Zitto; sta’ attento a non farti sentire da
Aslaksen.
BILLING (abbassa la voce) Aslaksen è un debole, un pusillanime;
non ha alcun coraggio virile. Ma questa volta lei la spunterà,
UN NEMICO DEL POPOLO 351

non è così? Che dice? L’articolo del dottore verrà certamente


pubblicato, vero?
HOVSTAD Sì, se solo il sindaco non si arrende con le buone, allo-
ra –
BILLING Diavolo, sarebbe davvero seccante.
HOVSTAD Be’, fortunatamente possiamo mettere a frutto la no-
stra posizione, comunque vadano le cose. Se il sindaco non ac-
cetta la proposta del dottore, gli salteranno al collo tutti i picco-
li borghesi, – l’intera associazione dei proprietari di case e gli
altri. Se accetta, invece, si metterà in urto con tutta la schiera
dei grandi azionisti delle terme, che fino ad oggi sono stati il
suo miglior sostegno –
BILLING Giusto, giustissimo; perché di sicuro finiranno con lo
sganciare una bella somma di denaro –
HOVSTAD Sì, ci può giurare. E così si spezza il cerchio, vede, e
tutti i santi giorni sul giornale dovremo far capire alla colletti-
vità che il sindaco è incompetente su questo e su quello e che
tutti i posti di fiducia in città, tutta l’amministrazione comunale
deve passare nelle mani dei liberali.
BILLING È vero, che Dio mi danni, magnifico! Lo vedo, – lo ve-
do; siamo proprio alla vigilia di una rivoluzione!

(Bussano.)

HOVSTAD Zitti! (Grida.) Avanti!

(Il dottor Stockmann entra attraverso la porta a sinistra in fondo.)

HOVSTAD (va verso di lui) Ah, ecco il dottore. Allora?


DOTTOR STOCKMANN Proceda con la stampa, signor Hovstad!
HOVSTAD È successo qualcosa, dunque?
BILLING Evviva!
DOTTOR STOCKMANN Proceda con la stampa, ho detto. Certo
che è successo qualcosa. Ma adesso l’avranno come se la sono
cercata. Adesso ci sarà la guerra in città, signor Billing!
BILLING Guerra con i coltelli, spero! Coltelli alla gola, signor
dottore!
DOTTOR STOCKMANN La relazione è solo l’inizio. Ho già la testa
piena di idee per altri quattro-cinque articoli. Dov’è finito il si-
gnor Aslaksen?
BILLING (grida nella stamperia) Aslaksen, oh, venga qui un mo-
mento!
352 HENRIK IBSEN

HOVSTAD Altri quattro-cinque articoli, ha detto? Sullo stesso


argomento?
DOTTOR STOCKMANN No, – lungi da me, caro. Su ben altre cose.
Ma tutte in relazione all’acquedotto e alla cloaca. L’una si tira
dietro l’altra, capisce. È come quando si comincia a buttare giù
un vecchio edificio, – proprio così.
BILLING È vero, che Dio mi danni; uno non pensa mai di aver fi-
nito se non ha buttato giù tutta la baracca.
ASLAKSEN (dalla stamperia) Buttato giù! Non penserà mica, il
dottore, di buttare giù l’edificio delle terme?
HOVSTAD Niente affatto; non abbia paura.
DOTTOR STOCKMANN No, si tratta di ben altro. Allora, che pen-
sa della mia relazione, signor Hovstad?
HOVSTAD Penso che sia un vero e proprio capolavoro –
DOTTOR STOCKMANN Sì, non è vero –? Ah, come sono conten-
to; come sono contento.
HOVSTAD È così semplice e chiara; non c’è bisogno di essere un
esperto per capire il contesto. Oso dire che avrà dalla sua parte
ogni mente illuminata.
ASLAKSEN E anche tutti quelli assennati, giusto?
BILLING Sia gli assennati che i dissennati, – sì, io penso quasi tut-
ta la città.
ASLAKSEN Be’, allora possiamo pure stamparla.
DOTTOR STOCKMANN Lo credo bene!
HOVSTAD Sarà pubblicata domani mattina.
DOTTOR STOCKMANN Sì, Cristo morto, non bisogna perdere
neppure un giorno. Ascolti, signor Aslaksen, era questo, di cui
volevo pregarla: deve occuparsi personalmente del mano-
scritto.
ASLAKSEN Ma certamente.
DOTTOR STOCKMANN Stia ben attento, come se fosse oro. Nes-
sun errore di battitura; ogni parola è importante. In ogni caso
passerò di qui più tardi; magari darò uno sguardo alle bozze. –
Sì, non posso dire quanto sia ansioso di vederlo stampato; – sca-
gliato fuori –
BILLING Scagliato, – proprio così, come un fulmine!
DOTTOR STOCKMANN – sottoposto al giudizio di tutti i concitta-
dini capaci. Oh, lei non potrà mai immaginare di cosa sia stato
accusato oggi. Sono stato minacciato di questo e di quello; si
voleva togliermi i miei fondamentali diritti umani –
BILLING Cosa! I suoi diritti umani!
DOTTOR STOCKMANN – si voleva umiliarmi, fare di me un mise-
UN NEMICO DEL POPOLO 353

rabile, si pretendeva che io mettessi il mio profitto personale al


di sopra del mio più intimo, sacro convincimento –
BILLING Questo, che Dio mi danni, è veramente troppo grave.
HOVSTAD Oh sì, invece, uno si può aspettare un po’ di tutto da
quella gente.
DOTTOR STOCKMANN Ma con me avranno la peggio; lo vedran-
no nero su bianco. Da ora in poi, ogni santo giorno mi ancorerò,
per così dire, all’«Araldo del Popolo» e li bombarderò con i
miei articoli esplosivi, uno dietro l’altro –
ASLAKSEN Be’, ma ascolti ora –
BILLING Evviva; sarà guerra, sarà guerra!
DOTTOR STOCKMANN – Li atterrerò, li schiaccerò, raderò al suo-
lo le loro fortificazioni sotto gli occhi di tutta l’onesta colletti-
vità! Questo farò!
ASLAKSEN Ma lo faccia assolutamente in modo moderato, si-
gnor dottore; spari con temperanza –
BILLING Macché; macché! Non risparmi la dinamite!
DOTTOR STOCKMANN (continua impassibile) Perché adesso non
si tratta solo dell’acquedotto e della cloaca in sé e per sé, vede-
te. No, è tutta la società che va ripulita, disinfettata –
BILLING Ecco la parola giusta al momento giusto!
DOTTOR STOCKMANN Tutti quei vecchioni che non sanno far al-
tro che mettere pezze devono essere cacciati via, capisce. E
questo in ogni campo possibile! Si sono aperti infiniti orizzonti
per me, oggi. Le cose non mi sono ancora del tutto chiare; ma
ne verrò a capo. Ci sono forze giovani, fresche e pronte a porta-
re alto lo stendardo, dobbiamo uscire a cercarle, amici miei;
dobbiamo avere nuovi ufficiali in tutti gli avamposti.
BILLING Sentite, sentite!
DOTTOR STOCKMANN E purché rimaniamo insieme, andrà tutto
liscio, tutto liscio! Il sovvertimento avverrà come il varo di una
nave.19 Sì, non credono che sarà così?
HOVSTAD Per conto mio credo che adesso abbiamo ogni proba-
bilità di mettere l’amministrazione comunale lì dove giusta-
mente dovrebbe stare.
ASLAKSEN Basta che procediamo con temperanza, allora non
posso proprio pensare che tutto questo sia pericoloso.
DOTTOR STOCKMANN Chi diavolo si preoccupa se sarà pericolo-

19
La nave viene varata grazie a un binario che la conduce in mare. È un per-
corso inevitabile. Tomas pensa che anche il sovvertimento politico della sua
città sarà un processo inarrestabile, fatalmente necessario.
354 HENRIK IBSEN

so o meno! Quello che faccio, lo faccio in nome della verità e


per la mia coscienza.
HOVSTAD Lei è un uomo che merita di essere sostenuto, signor
dottore.
ASLAKSEN Sì, questo è sicuro, il dottore è il vero amico della
città; un autentico amico della società, ecco cos’è.
BILLING Il dottor Stockmann, che Dio mi danni, è un amico del
popolo, Aslaksen!
ASLAKSEN Credo che l’associazione dei proprietari di case pre-
sto farà uso di questa espressione.
DOTTOR STOCKMANN (commosso, stringe loro la mano) Gra-
zie, grazie, miei cari, fedeli amici; – mi incoraggia così tanto
sentire queste parole; – il mio signor fratello mi ha chiamato
in ben altro modo. Ma, sull’anima mia, glielo renderò con gli
interessi! Ora, però, devo andar su a visitare un povero diavo-
lo –. Vengo dopo, come ho detto. Mi raccomando di aver cura
del manoscritto, signor Aslaksen; – e non tolga neppure un
punto esclamativo, per niente al mondo! Piuttosto ne aggiun-
ga un paio! Bene, bene; arrivederci a dopo; arrivederci, arrive-
derci!

(Saluti reciproci mentre viene accompagnato alla porta ed esce.)

HOVSTAD Può essere un uomo impagabilmente utile per noi.


ASLAKSEN Sì, fin quando si attiene a quest’affare dello stabili-
mento delle terme. Ma se va oltre, non è conveniente unirsi a
lui.
HOVSTAD Hm, dipende tutto da –
BILLING Ma anche lei, Aslaksen, ha così maledettamente paura.
ASLAKSEN Paura? Sì, per quanto riguarda le autorità locali, ho
paura, signor Billing; è qualcosa che ho imparato alla scuola
dell’esperienza, le dirò. Ma mi metta nella grande politica, an-
che di fronte al governo stesso, e vedrà se ho paura.
BILLING No, certamente non l’avrebbe; ma è proprio questa la
contraddizione in lei.
ASLAKSEN Io sono un uomo che ha coscienza, questo è il fatto.
Se uno se la prende con il governo, comunque non fa nessun
danno alla società; perché quegli uomini non se ne curano af-
fatto, capisce; – tanto rimangono lì, loro. Le autorità locali, in-
vece, quelle si possono rovesciare, e allora c’è il rischio di vede-
re al timone un incompetente, con danni irrimediabili sia per i
proprietari di case che per gli altri.
UN NEMICO DEL POPOLO 355

HOVSTAD Ma l’educazione dei cittadini attraverso un autogo-


verno, allora – non pensa a questo?
ASLAKSEN Quando un uomo ha qualcosa tra le mani, che
dev’essere ben custodito, non si può pensare a tutto, signor
Hovstad.
HOVSTAD Spero di non avere mai nulla tra le mani, allora!
BILLING Sentite, – sentite!
ASLAKSEN (sorride) Hm. (Indica la scrivania.) Su quello sgabel-
lo lì di direttore sedeva il prefetto diocesano Stensgård20 prima
di lei.
BILLING (sputa) Puah! Un traditore del genere.
HOVSTAD Io non sono una banderuola – e non lo sarò mai.
ASLAKSEN Un politico non dovrebbe mai giurare alcuna cosa al
mondo, signor Hovstad. E anche lei, signor Billing, dovrebbe
abbassare un po’ le vele in questo periodo, credo; visto che aspi-
ra al posto di segretario nell’amministrazione comunale.
BILLING Io –!
HOVSTAD Lei, Billing!
BILLING Sì, in effetti, – si renderà conto, diavolo, che è solo per
fare un dispetto a quei sapientoni dei signori.
ASLAKSEN Be’, a me non importa proprio nulla. Ma quando sono
accusato di vigliaccheria e contraddizioni nel mio comportamen-
to, allora è questo, che voglio mettere in risalto: il passato politico
del tipografo Aslaksen è un libro aperto a tutti. Io non ho subito
altra trasformazione se non quella di essere diventato più tem-
perante, capisce. Il mio cuore è ancora presso il popolo; ma non
nego che la mia ragione inclini un po’ verso le autorità, – sì, le au-
torità locali, ovviamente.

(Entra nella stamperia.)

BILLING Non sarebbe il caso di liberarci di lui, Hovstad?


HOVSTAD Lei conosce qualcun altro che coprirebbe in anticipo
le spese per la carta e la stampa?
BILLING Che maledizione non poter avere il capitale necessario
all’attività.
HOVSTAD (si siede alla scrivania) Sì, se solo avessimo quello, al-
lora –
BILLING E se si rivolgesse al dottor Stockmann?

20
Lo stiftsamtmand, « prefetto diocesano», era una figura di vertice di una
diocesi, corrispondente al vescovo. (Sandra Colella)
356 HENRIK IBSEN

HOVSTAD (sfoglia le carte) Oh, a che può servire? Lui non pos-
siede nulla.
BILLING No; ma ha un uomo solido dietro di sé, il vecchio Mor-
ten Kiil, – il “tasso”, come lo chiamano.
HOVSTAD (mentre scrive) È proprio sicuro che lui possieda qual-
cosa?
BILLING Sì, che Dio mi danni, certo che è così! E una parte do-
vrà pur toccare alla famiglia di Stockmann. Dovrà pur pensare
a provvedere – almeno ai ragazzi.
HOVSTAD (si gira a metà) Lei conta su questo?
BILLING Se ci conto? Io non conto su nulla, è ovvio.
HOVSTAD Fa bene. E non dovrebbe nemmeno contare su quel
posto nell’amministrazione comunale; perché le posso assicura-
re, – non lo avrà.
BILLING Certo, crede che io non lo sappia molto bene? Ma a me
fa proprio piacere che non lo avrò. Una mortificazione del ge-
nere infiamma chi ha voglia di combattere; – uno riceve, per co-
sì dire, un’affluenza di sana bile, di cui in effetti può esserci bi-
sogno in un buco come questo, dove così raramente succede
qualcosa di veramente eccitante.
HOVSTAD (scrivendo) Eh già; eh già.
BILLING Be’, – avranno presto mie notizie! – Ora vado dentro a
scrivere un appello all’associazione dei proprietari di case.

(Entra nella stanza a destra.)

HOVSTAD (siede alla scrivania, mordicchia la cannuccia della


penna e dice lentamente) Hm. – Sì, proprio così. – (Bussano.)
Avanti!

(Petra entra attraverso la porta a sinistra in fondo.)

HOVSTAD (si alza) Ma no, è lei? Lei viene qui?


PETRA Sì, mi deve scusare –
HOVSTAD (avvicina una poltrona) Non vuole accomodarsi?
PETRA No grazie; vado via subito.
HOVSTAD Forse è qualcosa da parte di suo padre, che –?
PETRA No, è da parte mia. (Tira fuori un libro dalla tasca del
cappotto.) Qui c’è il racconto inglese.
HOVSTAD Perché me lo riporta?
PETRA Ecco, perché non voglio tradurlo.
HOVSTAD Ma mi aveva promesso che sicuramente –
UN NEMICO DEL POPOLO 357

PETRA Sì, ma allora non l’avevo letto. E nemmeno lei l’ha letto,
è così?
HOVSTAD È così; lei lo sa, non capisco l’inglese; ma –
PETRA Ecco, appunto; perciò volevo dirle che deve cercare
qualcos’altro. (Mette il libro sul tavolo.) Questo non si può pro-
prio utilizzare per l’«Araldo del Popolo».
HOVSTAD Perché no?
PETRA Perché è del tutto in contrasto con le sue opinioni.
HOVSTAD Ah, è per questo motivo –
PETRA Lei non ha capito. Tratta di un potere soprannaturale che
si prende cura dei cosiddetti uomini buoni qui nel mondo e
conduce ogni cosa a buon fine per loro, – e tutti i cosiddetti uo-
mini cattivi ricevono la loro punizione.
HOVSTAD Sì, ma allora è perfetto. È proprio roba del genere che
il popolo vuole avere.
PETRA E vuole essere proprio lei, dunque, a dare roba del gene-
re al popolo? Lei, che non crede a una parola di tutto ciò. Sa
benissimo che non va così nella realtà.
HOVSTAD Ha pienamente ragione; ma un direttore di un giorna-
le non può sempre agire come vorrebbe. Occorre spesso pie-
garsi all’opinione comune nelle cose meno importanti. Sicura-
mente la politica è ciò che conta di più nella vita – o almeno per
un giornale; e se voglio condurre il popolo con me verso la li-
bertà e il progresso, allora non devo spaventarlo proprio io.
Quando trovano un racconto morale del genere giù nella canti-
na del giornale, accettano poi più volentieri quello che stampia-
mo ai piani alti; – diventano, per così dire, più sicuri.
PETRA Vergogna; lei non è così subdolo da tendere lacci ai suoi
lettori; lei non è un ragno.
HOVSTAD (sorride) Grazie, lei pensa così bene di me. No, que-
sto, in verità, è il modo di pensare di Billing e non il mio.
PETRA Di Billing!
HOVSTAD Sì, almeno così si è espresso uno di questi giorni. È
Billing, d’altra parte, che è tanto desideroso di pubblicare il rac-
conto; io, infatti, non conosco il libro.
PETRA Ma come può, Billing, con le sue vedute anticonformiste –?
HOVSTAD Oh, Billing è un essere multiforme. Adesso aspira an-
che al posto di segretario nell’amministrazione comunale, ho
sentito.
PETRA Non le credo, Hovstad. Come potrebbe accettare una co-
sa del genere?
HOVSTAD Be’, lo chieda a lui.
358 HENRIK IBSEN

PETRA Non avrei mai potuto pensare questo di Billing.


HOVSTAD (la guarda fissamente) No? La cosa le arriva così del
tutto inaspettata?
PETRA Sì. Oppure forse nemmeno tanto. Oh, in fondo non so –.
HOVSTAD Noi scrittori di giornali non valiamo molto, signorina.
PETRA Davvero lo dice?
HOVSTAD Ogni tanto lo penso.
PETRA Sì, nelle solite meschinità giornaliere; me lo posso imma-
ginare. Ma adesso che ha cominciato ad occuparsi di una gran-
de cosa –.
HOVSTAD Quella con suo padre, intende dire?
PETRA Sì, appunto. Adesso credo che lei si senta un uomo che
vale più della maggior parte.
HOVSTAD Sì, oggi mi sento qualcosa del genere.
PETRA Sì, vero; non ha questa sensazione? Oh, è una vocazione
magnifica, quella che lei ha scelto. Spianare la via a verità mi-
sconosciute e a nuovi e coraggiosi modi di vedere –; ecco, solo il
fatto di farsi avanti senza paura e prendere la parola in favore
di un uomo che è stato oltraggiato – –
HOVSTAD Soprattutto quando quest’uomo oltraggiato è –, hm, –
non so bene come devo –
PETRA Quando è così onesto e coscienzioso, vuol dire?
HOVSTAD (a voce più bassa) Soprattutto quando è suo padre,
volevo dire.
PETRA (improvvisamente colpita) Questo?
HOVSTAD Sì, Petra, – signorina Petra.
PETRA È questo, che per lei è al di sopra di tutto? Non la cosa in
sé e per sé? Non la verità; non il grande e fervido cuore di papà?
HOVSTAD Certo, – certo, evidentemente, anche questo.
PETRA No grazie; adesso ha parlato troppo, Hovstad; e adesso
non le crederò mai più in nulla.
HOVSTAD Può prendersela così tanto con me per il fatto che è
soprattutto per causa sua –
PETRA Il motivo per cui sono in collera nei suoi confronti, il mo-
tivo è che lei non è stato onesto nei riguardi di mio padre. Gli
ha parlato come se la verità e il benessere della società fossero
la cosa che più le stava a cuore; ha preso in giro sia mio padre
che me; lei non è l’uomo che voleva far credere. E questo non
glielo perdonerò mai – mai!21

21
Si intuisce un corteggiamento di Hovstad nei confronti di Petra, ma si in-
tuisce soltanto, e con molta fatica. Ibsen solitamente è molto attento a non
UN NEMICO DEL POPOLO 359

HOVSTAD Non dovrebbe parlare così aspramente, signorina Pe-


tra; men che mai adesso.
PETRA Perché non altrettanto adesso?
HOVSTAD Perché suo padre non può fare a meno del mio aiuto.
PETRA (lo guarda dall’alto in basso) Lei è anche un tipo del ge-
nere? Vergogna!
HOVSTAD No, no, non lo sono; mi ha colto così alla sprovvista;
non deve crederlo.
PETRA So io a cosa devo credere. Arrivederci.
ASLAKSEN (dalla stamperia, rapido e con fare segreto) Cristo
morto, signor Hovstad – (Vede Petra.) Accidenti, che errore –
PETRA Lì sta il libro; lo dia ad un altro.

(Va verso la porta di ingresso.)

HOVSTAD (la segue) Ma, signorina –


PETRA Arrivederci.

(Esce.)

ASLAKSEN Signor Hovstad, senta!


HOVSTAD Eccomi, eccomi qui; che c’è?
ASLAKSEN Il sindaco sta lì fuori, in stamperia.
HOVSTAD Il sindaco, ha detto?
ASLAKSEN Sì, vuol parlare con lei; è entrato dall’ingresso secon-
dario, – non voleva essere visto, capisce.
HOVSTAD Che può essere successo? No, aspetti, vado io stesso –

(Va verso la porta della stamperia, l’apre, saluta e invita il sindaco


ad entrare.)

HOVSTAD Sta’ in guardia, Aslaksen, così che nessuno –


ASLAKSEN Ho capito –

(Va fuori in stamperia.)

SINDACO Di sicuro il signor Hovstad non si aspettava di veder-


mi qui.
HOVSTAD No, sinceramente no.

lasciare nei suoi testi degli spunti che non siano poi ripresi e sviluppati orga-
nicamente.
360 HENRIK IBSEN

SINDACO (si guarda in giro) Ha arredato in maniera proprio ac-


cogliente; davvero grazioso.
HOVSTAD Oh –
SINDACO E adesso vengo senza altri complimenti al punto, e le
rubo un po’ di tempo.
HOVSTAD Prego, signor sindaco; sono al suo servizio. Ma posso
separarla da – (Appoggia il cappello e il bastone del sindaco su
una sedia.) Il sindaco non vuole accomodarsi?
SINDACO (si siede vicino al tavolo) Grazie.

(Anche Hovstad si siede vicino al tavolo.)

SINDACO Oggi ho avuto una – veramente una grossa seccatura,


signor Hovstad.
HOVSTAD Davvero? Oh, immagino; così tanti impegni, che il sin-
daco ha, dunque –
SINDACO Quella di oggi è dipesa dal medico delle terme.
HOVSTAD Ah, capisco; dal dottore?
SINDACO Ha scritto una specie di presentazione all’amministra-
zione delle terme relativa ad alcune carenze da lui presunte
presso lo stabilimento termale.
HOVSTAD Ma no, davvero?
SINDACO Sì, non le ha detto –? Pensavo che gliene avesse parla-
to –
HOVSTAD Oh, sì, è vero, si è lasciato sfuggire qualche parola –
ASLAKSEN (dalla stamperia) Avrei bisogno del manoscritto –
HOVSTAD (arrabbiato) Hm; sta proprio lì sulla scrivania.
ASLAKSEN (lo trova) Bene.
SINDACO Ma guarda, è proprio quello –
ASLAKSEN Sì, è l’articolo del dottore, signor sindaco.
HOVSTAD Ah, è di quello, che parlava?
SINDACO Proprio di quello. Cosa ne pensa?
HOVSTAD Io non sono un esperto, e gli ho dato solo un rapido
sguardo.
SINDACO Ma lo fa pubblicare?
HOVSTAD Non posso certo negare ad un uomo con un tale no-
me –
ASLAKSEN Io non ho voce in capitolo nel giornale, signor sinda-
co –
SINDACO Si capisce.
ASLAKSEN Devo solo stampare quel che mi viene consegnato.
SINDACO Certamente, è logico.
UN NEMICO DEL POPOLO 361

ASLAKSEN Perciò, devo –

(Va verso la stamperia.)

SINDACO No, aspetti un momento, signor Aslaksen. Con il suo


permesso, signor Hovstad –
HOVSTAD La prego, signor sindaco –
SINDACO Lei è un uomo assennato e riflessivo, signor Aslaksen.
ASLAKSEN Mi fa piacere che il sindaco pensi questo.
SINDACO E un uomo con influenza in ampie cerchie.
ASLAKSEN Be’, questo soprattutto tra il popolino.
SINDACO I piccoli contribuenti sono i più numerosi – qui come
dappertutto.
ASLAKSEN Lo sono, invero.
SINDACO E non dubito che lei conosca l’ambiente della maggior
parte di loro. Non è così, forse?
ASLAKSEN È vero, oso dire che è proprio così, signor sindaco.
SINDACO Bene, – se presso i cittadini meno agiati, dunque, do-
mina una così ammirevole volontà di sacrificio, allora –
ASLAKSEN In che modo?
HOVSTAD Volontà di sacrificio?
SINDACO È un bel segno di solidarietà; un segno oltremodo bel-
lo. Avrei quasi detto che non me l’aspettavo. Ma di sicuro lei
conosce l’ambiente più a fondo di me.
ASLAKSEN Sì, ma, signor sindaco –
SINDACO E in verità non è un piccolo sacrificio, quello che la
città dovrà offrire.
HOVSTAD La città?
ASLAKSEN Ma non capisco –. Si tratta delle terme –!
SINDACO Secondo un primo preventivo, i cambiamenti che, a pa-
rere del medico delle terme, sarebbero opportuni, ammonte-
ranno ad un paio di centinaia di migliaia di corone.
ASLAKSEN È una somma enorme; ma –
SINDACO Naturalmente sarà necessario per noi fare un prestito
comunale.
HOVSTAD (si alza) Non si avrà mica l’idea che la città –?
ASLAKSEN Si attingerebbe alle casse della città! Alle povere ta-
sche dei piccoli borghesi!
SINDACO Sì, egregio signor Aslaksen, da dove dovrebbero arri-
vare i mezzi, altrimenti?
ASLAKSEN A questo provvederanno i signori che sono proprie-
tari delle terme.
362 HENRIK IBSEN

SINDACO I proprietari delle terme non ritengono di poter anda-


re al di là di quello che hanno fatto.
ASLAKSEN È proprio sicuro, questo, signor sindaco?
SINDACO Mi sono accertato della cosa. Se si desiderano questi
ampi cambiamenti, allora la città dovrà essa stessa far fronte al-
le spese.
ASLAKSEN Ma sangue di Cristo Dio – mi scusi! – questa, allora,
è una cosa completamente diversa, signor Hovstad!
HOVSTAD Sì, proprio diversa.
SINDACO La cosa più brutta è che saremo costretti a chiudere le
terme per un paio d’anni.
HOVSTAD Chiudere? Chiudere completamente!
ASLAKSEN Per due anni!
SINDACO Sì, per tutto il tempo della durata dei lavori – almeno.
ASLAKSEN No ma, Cristo morto, non ne usciremo mai fuori, si-
gnor sindaco! Di cosa vivremo, nel frattempo, noi proprietari di
case?
SINDACO Purtroppo è oltremodo difficile rispondere, signor
Aslaksen. Ma cosa vuole che facciamo? Crede che qui avremo
un solo ospite delle terme, se si farà loro immaginare che l’ac-
qua è infetta, che viviamo su un terreno appestato, che tutta la
città –
ASLAKSEN E l’intera faccenda non è che una fantasia?
SINDACO Con tutta la mia buona volontà non sono riuscito a
convincermi d’altro.
ASLAKSEN Be’, ma allora è del tutto irresponsabile da parte del
dottor Stockmann –; la prego di scusarmi, signor sindaco, ma –
SINDACO È una spiacevole verità, quella che lei pronuncia, si-
gnor Aslaksen. Mio fratello è sempre stato un uomo precipi-
toso.
ASLAKSEN E ancora stiamo a sostenerlo con cose del genere, si-
gnor Hovstad!
HOVSTAD Ma chi poteva mai immaginare che –?
SINDACO Ho redatto un breve rapporto sullo stato delle cose,
così come si dovrebbero intendere da un punto di vista mode-
rato; e ho indicato come si potrebbe pensare di rimediare agli
eventuali inconvenienti in maniera sostenibile per le casse del-
le terme.
HOVSTAD Ha con lei questo articolo, signor sindaco?
SINDACO (fruga nella tasca) Sì; l’avevo portato con me nel caso
in cui lei –
ASLAKSEN (di scatto) Cristo morto, è lui!
UN NEMICO DEL POPOLO 363

SINDACO Chi? Mio fratello?


HOVSTAD Dove, – dove!
ASLAKSEN Sta attraversando la stamperia.
SINDACO Fatale. Non volevo scontrarmi con lui qui, e avevo an-
cora tanto di cui parlare con lei.
HOVSTAD (indica la porta a destra) Vada lì dentro nel frattempo.
SINDACO Ma –?
HOVSTAD S’incontrerà solo con Billing.
ASLAKSEN Presto, presto, signor sindaco; sta arrivando.
SINDACO Sì, d’accordo; ma veda di farlo andar via presto.

(Esce attraverso la porta a destra, che Aslaksen apre e chiude per


lui.)

HOVSTAD Si metta a far qualcosa, Aslaksen.

(Lui si siede e scrive. Aslaksen rovista in un mucchio di giornali su


una sedia a destra.)

DOTTOR STOCKMANN (arriva dalla stamperia) Eccomi di nuovo


qui.

(Posa cappello e bastone.)

HOVSTAD (mentre scrive) Già qui, signor dottore? Aslaksen, si


spicci con ciò di cui abbiamo parlato. Il tempo per noi è conta-
to, oggi.
DOTTOR STOCKMANN (ad Aslaksen) Ancora nessuna bozza da
correggere, a quanto pare.
ASLAKSEN (senza girarsi) No, come poteva pensarlo, il dottore?
DOTTOR STOCKMANN No, no; è che sono impaziente, può ben
capirlo. Non avrò pace finché non lo vedrò stampato.
HOVSTAD Hm; ci vorrà di sicuro ancora un bel po’. Non crede,
Aslaksen?
ASLAKSEN Eh sì, temo di sì.
DOTTOR STOCKMANN D’accordo, d’accordo, miei cari amici;
vuol dire che ritornerò; vengo anche due volte, se è necessario.
Una cosa così grande, – il benessere dell’intera città –; per l’ani-
ma mia, questo non è tempo di oziare. (Vuole andare, ma si fer-
ma e torna indietro.) Ah senta, – c’è ancora una cosa di cui vole-
vo parlarle.
HOVSTAD Mi scusi; ma non potremmo un’altra volta –?
364 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Si tratta di due parole. È solo questo, ve-


de, – quando domani si leggerà il mio articolo sul giornale e si
saprà, quindi, che per tutto l’inverno sono stato in silenzio a la-
vorare per il bene della città –
HOVSTAD Sì ma, signor dottore –
DOTTOR STOCKMANN So cosa mi vuole dire. Lei pensa che non
ho fatto altro che il mio maledetto dovere, – semplice dovere di
cittadino. Certo, naturalmente; lo so bene quanto lei. Ma i miei
concittadini, capisce –; Signore Iddio, quegli uomini benedetti,
che mi vogliono così tanto bene –
ASLAKSEN Sì, i cittadini le hanno voluto davvero bene fino ad
oggi, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Ecco, ed è appunto perciò che ho paura
che –; era questo, che volevo dire: quando l’articolo raggiungerà
i cittadini – e soprattutto le classi nullatenenti – come un appel-
lo e un’esortazione per il futuro a prendere le redini della città
nelle proprie mani –
HOVSTAD (si alza) Hm, signor dottore, non voglio nasconderle –
DOTTOR STOCKMANN Aha, dovevo immaginare che bollisse
qualcosa in pentola! Ma non ne voglio sapere niente. Se si sta
andando in giro a preparare qualcosa del genere –
HOVSTAD Ma cosa?
DOTTOR STOCKMANN Non so, questo o quell’altro, – un corteo
con gli stendardi o un banchetto o una sottoscrizione per un do-
no di onorificenza – o chissà che di simile, allora deve promet-
termi su quanto ha di sacro e caro che lo impedirà. E anche lei,
signor Aslaksen; ha capito!22
HOVSTAD Mi scusi, signor dottore; tanto vale che le diciamo su-
bito tutta la verità –

(La signora Stockmann, in cappello e soprabito, entra attraverso


la porta a sinistra in fondo.)

SIGNORA STOCKMANN (vede il dottore) Eccolo qui, lo sapevo!


HOVSTAD (le va incontro) Ma guarda, è venuta anche la signora?
DOTTOR STOCKMANN Katrine, che diavolo ci fai tu, qui?
SIGNORA STOCKMANN Puoi ben immaginare cosa ci faccio.
HOVSTAD Non vuole sedersi? Oppure forse –
SIGNORA STOCKMANN Grazie; non si disturbi. E non deve irri-

22
Tomas è davvero un pallone gonfiato, e insiste nei suoi sogni di gloria,
quando ormai è già stato scaricato da tutti.
UN NEMICO DEL POPOLO 365

tarsi se vengo a prendere Stockmann; perché, devo dirle, io so-


no madre di tre figli.
DOTTOR STOCKMANN Chiacchiere, chiacchiere; lo sappiamo tutti.
SIGNORA STOCKMANN Eppure non sembra che ti preoccupi
molto di tua moglie e dei tuoi figli oggi; altrimenti non saresti
certo venuto qui a farci precipitare tutti insieme nella sventura.
DOTTOR STOCKMANN Ma tu sei completamente pazza, Katrine!
Un uomo con moglie e figli non dovrebbe, forse, avere il per-
messo di proclamare la verità, – di essere un cittadino utile e at-
tivo, – di servire la città in cui vive!
SIGNORA STOCKMANN Tutto con misura, Tomas!
ASLAKSEN Lo dico anch’io. Temperanza in tutto.
SIGNORA STOCKMANN E perciò è immorale nei nostri confronti,
signor Hovstad, che lei attiri mio marito lontano dalla casa e
dalla famiglia e lo trascini in tutto questo.
HOVSTAD Io non trascino proprio nessuno –
DOTTOR STOCKMANN Trascinare! Tu credi che io mi lasci trasci-
nare!
SIGNORA STOCKMANN Sì, è così. So bene che sei l’uomo più in-
telligente della città; ma è così facile trascinarti, Tomas. (A Hov-
stad.) E pensi solo che perderà il suo posto alle terme, se lei
pubblica quello che ha scritto –
ASLAKSEN Cosa!
HOVSTAD Sì, ma stia a sentire, signor dottore –
DOTTOR STOCKMANN (ride) Ah ah, lascia solo che ci provino –!
Ma no, sta’ tranquilla – staranno ben attenti a farlo. Perché io
ho la maggioranza compatta dietro di me, capisci!
SIGNORA STOCKMANN Sì, proprio questa è la sventura, che hai
dietro di te una tale schifezza.
DOTTOR STOCKMANN Sciocchezze, Katrine; – vai a casa e pren-
diti cura della tua casa, e lascia che io mi prenda cura della so-
cietà. Come puoi essere così timorosa, quando io sono così si-
curo e felice? (Si frega le mani e va avanti e dietro.) La verità e
il popolo vinceranno la battaglia, ci puoi giurare. Oh, vedo tutta
la borghesia liberale schierarsi in un’armata vittoriosa –! (Si
ferma presso una sedia.) Che – diavolo è questo qui?
ASLAKSEN (guarda in quella direzione) Accidenti!
HOVSTAD (allo stesso modo) Hm –
DOTTOR STOCKMANN Qui c’è il vertice dell’autorità.

(Prende cautamente il berretto del sindaco con la punta delle dita e


lo tiene in aria.)
366 HENRIK IBSEN

SIGNORA STOCKMANN Il berretto del sindaco!


DOTTOR STOCKMANN E qui c’è anche il bastone del comando.
Per il maligno in carne e ossa, come mai –?
HOVSTAD Ecco, veramente –
DOTTOR STOCKMANN Ah, capisco! È stato qui per corromper-
la. Ah ah, è venuto dalla persona giusta! E quando mi ha visto
nella stamperia –. (Scoppia a ridere.) È scappato, signor
Aslaksen?
ASLAKSEN (rapido) Per Dio se è scappato, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Ha lasciato sia il bastone che –. Storie;
Peter non ha mai lasciato nulla. Ma dove diavolo l’avete mes-
so? Ah, – lì dentro, naturalmente. Adesso vedrai, Katrine!
SIGNORA STOCKMANN Tomas, – ti prego –!
ASLAKSEN Stia attento a quel che fa, signor dottore!

(Il dottor Stockmann si è messo il berretto del sindaco in testa e ha


preso il suo bastone; quindi procede, apre la porta e saluta con la
mano alla visiera.)

(Il sindaco entra, rosso per la collera. Dietro di lui arriva Billing.)

SINDACO Che significano queste insolenze?


DOTTOR STOCKMANN Rispetto, mio caro Peter. Adesso sono io,
l’autorità in città.

(Passeggia avanti e dietro.)

SIGNORA STOCKMANN (quasi piangendo) Insomma Tomas, per


favore!
SINDACO (lo segue) Dammi il mio berretto e il mio bastone!
DOTTOR STOCKMANN (come prima) Se tu sei il capo dei poli-
ziotti, io sono il capo dei cittadini, – sono il capo di tutta la città,
io, non lo vedi!
SINDACO Togliti il berretto, ti ho detto. Bada che è il berretto
dell’uniforme di ordinanza!
DOTTOR STOCKMANN Uff; credi che il leone popolare che si sta
risvegliando si lascerà impaurire dai berretti di ordinanza? Già,
perché noi, domani, faremo la rivoluzione in città, devi saperlo.
Tu hai minacciato di destituirmi; ma adesso destituisco io te, – ti
destituisco da tutti i tuoi incarichi di fiducia –. Pensi che non
possa farlo? Sì, invece; ho con me le forze vincenti della società.
Hovstad e Billing tuoneranno sull’«Araldo del Popolo» e il ti-
UN NEMICO DEL POPOLO 367

pografo Aslaksen si metterà in marcia alla testa dell’intera as-


sociazione dei proprietari di case –23
ASLAKSEN Non lo farò, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Ma certo che lo farà –
SINDACO Aha; ma il signor Hovstad sceglierà, forse, di parteg-
giare per l’agitazione?
HOVSTAD No, signor sindaco.
ASLAKSEN No, il signor Hovstad non è così pazzo da andare
avanti e distruggere sia sé stesso che il giornale per colpa di una
fantasia.
DOTTOR STOCKMANN (si guarda intorno) Che vuol dire questo?
HOVSTAD Lei ha presentato la sua faccenda in una falsa luce, si-
gnor dottore; e perciò, dunque, io non posso appoggiarla.
BILLING No, dopo quello che il sindaco mi ha raccontato così
chiaramente lì dentro, allora –
DOTTOR STOCKMANN In una falsa luce! Non si intrometta su
questo punto. Mi stampi solo l’articolo; saprò ben essere all’al-
tezza di difenderlo.
HOVSTAD Non lo stamperò. Non posso e non voglio e non oso
stamparlo.
DOTTOR STOCKMANN Non osa? Che modo di parlare è questo?
Lei è il direttore; e credevo che fossero i direttori a dirigere la
stampa!
ASLAKSEN No, sono gli abbonati, signor dottore.
SINDACO Fortunatamente, sì.
ASLAKSEN È l’opinione pubblica, la comunità illuminata, i pro-
prietari di case e tutti gli altri; sono loro a dirigere i giornali.
DOTTOR STOCKMANN (calmo) E io ho contro di me tutte queste
forze?
ASLAKSEN Sì, tutte. Sarebbe la rovina totale della borghesia, se
il suo articolo fosse stampato.
DOTTOR STOCKMANN Addirittura –
SINDACO Il mio berretto e il mio bastone!

(Il dottor Stockmann si toglie il berretto e lo mette sul tavolo insie-


me al bastone.)

23
Il ridicolo balletto delle insegne del potere mostra bene quanto sia stretta-
mente collegato il piano pubblico con il piano privato. Tomas dà corpo al suo
sogno di essere la massima autorità cittadina ma, al tempo stesso, gioisce
profondamente di aver rubato qualcosa al fratello maggiore.
368 HENRIK IBSEN

SINDACO (li prende entrambi) La tua carica di sindaco ha avuto


una fine repentina.
DOTTOR STOCKMANN La fine non è ancora arrivata. (A Hov-
stad.) È assolutamente impossibile, dunque, che il mio articolo
venga pubblicato sull’«Araldo del Popolo»?
HOVSTAD Assolutamente impossibile; anche per riguardo alla
sua famiglia.
SIGNORA STOCKMANN Oh, non si disturbi affatto per la fami-
glia, signor Hovstad.
SINDACO (prende un foglio dalla tasca) Come guida per il pub-
blico sarà sufficiente, se sarà pubblicato; è un autentico chiari-
mento. Prego.
HOVSTAD (prende il foglio) Bene; si provvederà a stamparlo.
DOTTOR STOCKMANN Ma non il mio. Ci si illude di poter seppel-
lire me e la verità! Ma non sarà così facile come pensate. Signor
Aslaksen, voglia prendere subito il mio manoscritto e stampar-
lo come volantino – a mie spese, – sono l’editore di me stesso.
Voglio averne quattrocento esemplari; no, cinque – seicento vo-
glio averne.
ASLAKSEN Neppure se mi offrisse dell’oro, oserei mettere la mia
officina a disposizione per roba del genere, signor dottore. Non
oso farlo per riguardo all’opinione pubblica. Non riuscirà a far-
lo stampare da nessuna parte.
DOTTOR STOCKMANN Me lo ridia, allora.
HOVSTAD (gli porge il manoscritto) Prego.
DOTTOR STOCKMANN (prende cappello e bastone) Uscirà co-
munque. Lo leggerò in una grande assemblea popolare; tutti i
miei concittadini devono sentire la voce della verità!
SINDACO Nessuna associazione in tutta la città ti metterà a di-
sposizione un locale per tale uso.
ASLAKSEN Non una; ne sono certo.
BILLING Che Dio mi danni se non è così!
SIGNORA STOCKMANN Sarebbe veramente vergognosa una cosa
simile! Ma perché sono così contro di te, tutti insieme?
DOTTOR STOCKMANN (stizzito) Te lo dico subito. Perché qui in
città sono tutti donnicciole – come te; tutti pensano solo alla fa-
miglia e non alla società.
SIGNORA STOCKMANN (lo prende per il braccio) Allora dimo-
strerò loro come una volta tanto una – una donnicciola possa di-
ventare un uomo –. Perché adesso sarò dalla tua parte, Tomas!
DOTTOR STOCKMANN Ben detto, Katrine. E l’articolo uscirà, sul-
l’anima mia! Se non potrò affittare nessun locale, ingaggerò un
UN NEMICO DEL POPOLO 369

tamburino che andrà in giro con me per tutta la città mentre io


lo leggerò a voce alta in tutti gli angoli.
SINDACO Non sarai pazzo fino a questo punto!
DOTTOR STOCKMANN Certo che lo sono!
ASLAKSEN Non avrà neppure un uomo dalla sua parte in tutta
la città.
BILLING Nessuno, che Dio mi danni!
SIGNORA STOCKMANN Non darti per vinto, Tomas. Dirò ai ra-
gazzi di venire con te.
DOTTOR STOCKMANN È una trovata geniale!
SIGNORA STOCKMANN Morten lo farà volentieri; ed Ejlif, non
c’è dubbio che verrà anche lui.
DOTTOR STOCKMANN Sì, e Petra! E tu stessa, Katrine!
SIGNORA STOCKMANN No, no, io no; ma starò dietro i vetri a
guardarti; questo farò.
DOTTOR STOCKMANN (l’abbraccia e la bacia) Grazie! Avanti al-
lora, entriamo in lizza, prodi signori! Voglio proprio vedere se
la meschinità ha il potere di imbavagliare un patriota che vuole
ripulire la società!

(Lui e la signora escono attraverso la porta a sinistra in fondo.)

SINDACO (scuote pensieroso il capo) Adesso ha reso pazza an-


che lei.
QUARTO ATTO

(Una grande e antiquata sala in casa del capitano di marina Hor-


ster. In fondo una porta a due battenti aperta conduce in un’antica-
mera. Sulla parete lunga di sinistra ci sono tre finestre; a metà della
parete opposta è stata sistemata una pedana e su quella un tavoli-
no con due candele, una caraffa d’acqua, un bicchiere e un campa-
nello. Il resto della sala è illuminato da lampade a muro tra le fine-
stre. A sinistra, in proscenio, c’è un tavolo con candele e una sedia.
Più avanti, a destra, c’è una porta e presso di quella un paio di se-
die.)

(Grande adunanza di cittadini di ogni ceto. Tra la folla si vede


qualche donna e alcuni scolari. Le persone seguitano ad affluire
sempre più numerose all’interno dal fondo, finché la sala non si
riempie.)

UN CITTADINO (ad un altro che incontra) Anche tu qui, stasera,


Lamstad?
IL CITTADINO APOSTROFATO Sono sempre presente agli incontri
popolari, io.
UN VICINO Avete portato con voi il fischietto, vero?
L’ALTRO CITTADINO Per Dio, se ce l’ho. Lei no?
IL TERZO Ma sì. Evensen, il comandante, voleva portarsi un cor-
no enorme, ha detto.24
L’ALTRO CITTADINO È in gamba, Evensen.

24
Il lur corrisponde precisamente al corno alpino, utilizzato dai pastori per
attirare e tranquillizzare il bestiame o per la comunicazione. Se il modo di
suonarlo, nel corso dei secoli, è cambiato, è invece rimasta immutata la sua
forma, costituita da un lungo tubo conico, tradizionalmente in legno di abete,
ricurvo verso la fine, con la tradizionale «campana» che ricorda un corno di
mucca. (Sandra Colella)
UN NEMICO DEL POPOLO 371

(Risate nel gruppo.)

UN QUARTO CITTADINO (si fa avanti) Sentite, ditemi un po’, che


si sta organizzando qui, per stasera?
L’ALTRO CITTADINO Ci sarà il dottor Stockmann, terrà una con-
ferenza contro il sindaco.
IL NUOVO ARRIVATO Ma il sindaco è suo fratello.
IL PRIMO CITTADINO Fa lo stesso; il dottor Stockmann non ha
paura, lui.
IL TERZO CITTADINO Sì, ma ha torto; stava scritto sull’«Araldo
del Popolo».
L’ALTRO CITTADINO Eh sì, questa volta deve proprio avere tor-
to, se non gli hanno voluto affittare una sala né all’associazione
dei proprietari di case né al circolo sociale.
IL PRIMO CITTADINO Non è riuscito ad avere neppure la sala
delle terme.
L’ALTRO È chiaro, te lo puoi immaginare.
UN UOMO (in un altro gruppo) Chi dobbiamo appoggiare in
questa faccenda, qualcuno me lo sa dire?
UN ALTRO UOMO (nello stesso gruppo) Basta che tenga d’occhio
il tipografo Aslaksen e faccia come fa lui.
BILLING (con una cartella sotto il braccio, si fa strada attraverso
la folla) Permesso, miei signori! Potrei farmi largo, per favore?
Sono il cronista dell’«Araldo del Popolo». Grazie!

(Si siede al tavolo sulla sinistra.)

UN OPERAIO Chi è quello lì?


UN ALTRO OPERAIO Non sai chi è quello? Ma è quel Billing che
lavora per il giornale di Aslaksen.

(Il capitano di marina Horster fa entrare la signora Stockmann e


Petra attraverso la porta a destra in proscenio. Li seguono Ejlif e
Morten.)

HORSTER Pensavo che la famiglia potrebbe sistemarsi qui; è fa-


cile uscire, se dovesse succedere qualcosa.
SIGNORA STOCKMANN Crede che ci sarà pericolo?
HORSTER Non si sa mai –; in mezzo a tante persone –. Ma si sie-
da il più tranquilla possibile.
SIGNORA STOCKMANN (si siede) È stato davvero gentile ad of-
frire la sala a Stockmann.
372 HENRIK IBSEN

HORSTER Dal momento che nessun altro voleva, allora –


PETRA (che intanto si è seduta) Ed è stato anche coraggioso,
Horster.
HORSTER Oh, non ci voleva poi un così gran coraggio, a mio pa-
rere.

(Il direttore Hovstad e il tipografo Aslaksen vengono contempora-


neamente avanti, ma separatamente, facendosi spazio tra la folla.)

ASLAKSEN (va verso Horster) Non è ancora arrivato il dottore?


HORSTER Sta aspettando lì dentro.

(Movimento indietro, presso la porta in fondo.)

HOVSTAD (a Billing) È arrivato il sindaco. Guardi!


BILLING Sì, ma, che Dio mi danni, non parteciperà mica!

(Il sindaco Stockmann si fa strada con cautela tra le persone adu-


nate, saluta cortesemente e si posiziona contro la parete sinistra.
Dopo poco il dottor Stockmann entra attraverso la porta a destra
in proscenio. È vestito di nero, con il soprabito, con un foulard
bianco. Qualcuno applaude in modo incerto, ma viene fermato da
uno smorzato cenno di tacere. Si fa silenzio.)

DOTTOR STOCKMANN (a mezza voce) Come stai, Katrine?


SIGNORA STOCKMANN Ma sì, sto bene. (A voce più bassa.) Mi
raccomando, non essere impetuoso, Tomas.
DOTTOR STOCKMANN Oh, saprò controllarmi, sta’ tranquilla.
(Guarda il suo orologio, sale sulla pedana e si inchina.) È passa-
to un quarto d’ora, – e dunque inizierò –

(Prende il suo manoscritto.)

ASLAKSEN Prima bisogna scegliere un moderatore.


DOTTOR STOCKMANN No; non è affatto necessario.
ALCUNI SIGNORI (gridano) Certo, certo!
SINDACO Anche a mio parere sarebbe opportuno scegliere un
presidente.
DOTTOR STOCKMANN Ma io ho organizzato questo incontro per
tenere una conferenza, Peter!
SINDACO La conferenza del medico delle terme potrebbe dar
adito ad esprimere opinioni divergenti.
UN NEMICO DEL POPOLO 373

DIVERSE VOCI (dalla folla) Un moderatore! Un presidente!


HOVSTAD La volontà generale dei cittadini sembra esigere un
moderatore.
DOTTOR STOCKMANN (dominandosi) D’accordo, allora; che sia
fatta la volontà del popolo.
ASLAKSEN Vorrebbe assumersi, il signor sindaco, questo incarico?
TRE SIGNORI (applaudono) Bravo! Bravo!
SINDACO Per molti motivi, facilmente comprensibili, devo rifiu-
tare. Ma fortunatamente abbiamo tra noi un uomo che, a mio
parere, tutti possono accettare. Mi riferisco al presidente dell’as-
sociazione dei proprietari di case, il signor Aslaksen, tipografo.
MOLTE VOCI Sì, sì! Evviva Aslaksen! Urrà per Aslaksen!

(Il dottor Stockmann prende il suo manoscritto e scende dalla pe-


dana.)

ASLAKSEN Se la fiducia dei miei concittadini mi chiama, non op-


pongo certo resistenza –

(Applausi e grida di consenso. Aslaksen sale sulla pedana.)

BILLING (scrive) Dunque – «Il signor Aslaksen, tipografo, eletto


per acclamazione –»
ASLAKSEN Dal momento che mi trovo in questo posto, vorrei
avere il permesso di dire poche e concise parole. Io sono un uo-
mo mite e conciliante, che si attiene ad una ragionevole mode-
razione e ad una – e ad una ragionevolezza moderata; questo lo
sanno tutti quelli che mi conoscono.
MOLTE VOCI Sì, sì, vero, Aslaksen!
ASLAKSEN Nella scuola della vita e dell’esperienza ho imparato
che la temperanza è quella virtù che giova più di tutte al citta-
dino –
SINDACO Sentite!
ASLAKSEN – e che l’assennatezza e la temperanza sono anche la
cosa con cui si serve meglio la società. Perciò, vorrei invitare lo
stimato cittadino che ci ha chiamato tutti in adunanza ad impe-
gnarsi a mantenersi nei limiti della temperanza.
UN UOMO (indietro, presso la porta in fondo) Un brindisi all’as-
sociazione per la temperanza!
UNA VOCE Vergogna, per il diavolo!
MOLTI Zitti, zitti!
ASLAKSEN Nessuna interruzione, miei signori! – C’è qualcuno
che chiede la parola?
374 HENRIK IBSEN

SINDACO Signor presidente!


ASLAKSEN Il signor sindaco Stockmann ha la parola.
SINDACO In considerazione dello stretto rapporto di parentela
in cui io, come presumibilmente è noto, mi trovo con il medico
in servizio presso le terme, avrei di gran lunga preferito non
esprimermi qui, stasera. Ma la mia posizione nei confronti dello
stabilimento delle terme e il riguardo verso gli interessi in asso-
luto più importanti della città mi costringono ad avanzare una
proposta. Oso supporre che non uno dei qui presenti cittadini
trovi desiderabile che presentazioni inattendibili ed esagerate
delle condizioni sanitarie delle terme e della città siano diffuse
in più ampie cerchie.
MOLTE VOCI No, no, no! Questo no! Protestiamo!
SINDACO Voglio perciò proporre che l’assemblea non autorizzi
il medico delle terme a leggere o ad esporre la sua presentazio-
ne della questione.
DOTTOR STOCKMANN (esplodendo) Non autorizzi –! Ma che
cosa!
SIGNORA STOCKMANN (tossisce) Hm – hm!
DOTTOR STOCKMANN (si calma) Bene; non autorizzi, dunque.
SINDACO Nel mio rapporto sull’«Araldo del Popolo» ho infor-
mato la collettività dei fatti più importanti, di modo che tutti i
cittadini ben disposti possano facilmente rendersi conto da sé.
Si vedrà che la proposta del medico delle terme, – oltre che un
voto di sfiducia nei confronti dei governanti del luogo, – consi-
ste in sostanza nel gravare i contribuenti della città di una spesa
inutile di almeno centomila corone.25

(Sdegno e alcuni fischi.)

ASLAKSEN (agita il campanello) Silenzio, miei signori! Mi si per-


metta di appoggiare la proposta del sindaco. È anche mia opi-
nione che l’agitazione del dottore abbia un secondo fine. Egli
parla delle terme; ma è una rivoluzione ciò a cui mira; vuole
mettere l’amministrazione in altre mani. Nessuno dubita delle
oneste intenzioni del dottore; su di esse, Dio mi guardi, non

25
Il discorso del sindaco resta misurato. Parlando con Tomas, in privato, ave-
va ipotizzato una spesa di duecentomila corone; qui dimezza l’importo. An-
che Aslaksen e Hovstad tentano di sdrammatizzare lo scontro con Tomas, di
ridurre tutto a un suo errore tecnico, rendendo onore ai suoi buoni intendi-
menti. Ma Tomas non accetta compromessi e va fino in fondo.
UN NEMICO DEL POPOLO 375

possono esserci due pareri. Anche io sono un sostenitore del-


l’autogoverno popolare, se però non ha ricadute troppo pesanti
sui contribuenti. Ma questo succederebbe adesso; e perciò, dun-
que –; no, morte di Dio – con permesso – questa volta non pos-
so stare con il dottor Stockmann. Anche l’oro può essere com-
prato ad un prezzo troppo alto; questa è la mia opinione.

(Viva adesione da tutte le parti.)

HOVSTAD Anch’io mi sento invitato a dare conto della mia posi-


zione. L’agitazione del dottor Stockmann pareva ottenere, all’i-
nizio, un grande consenso, e io l’ho appoggiata in modo così im-
parziale come potevo. Ma poi, strada facendo, abbiamo capito
di esserci lasciati traviare da una falsa presentazione –
DOTTOR STOCKMANN Falsa –!
HOVSTAD Una presentazione meno attendibile, ecco. Il rappor-
to del sindaco l’ha dimostrato. Spero che nessuno, in questo
luogo, metta in dubbio il mio modo di vedere liberale; l’atteg-
giamento dell’«Araldo del Popolo» nelle grandi questioni poli-
tiche è certamente noto a tutti. Ma ho imparato da uomini di
esperienza e giudizio che negli affari strettamente locali un
giornale deve procedere con grande cautela.
ASLAKSEN Assolutamente d’accordo con l’oratore.
HOVSTAD E in questo caso specifico è del tutto fuori dubbio che
il dottor Stockmann ha la volontà generale contro di sé. Ma
qual è il primo e principale dovere di un direttore di un giorna-
le, miei signori? Non è agire in accordo con i suoi lettori? Non
ha ricevuto, per così dire, il tacito mandato di favorire in modo
solerte e assiduo il benessere dei suoi sostenitori? O forse fac-
cio un errore a pensarla così?
MOLTE VOCI No, no, no! Il direttore Hovstad ha ragione!
HOVSTAD Mi è costato una pesante battaglia rompere con un
uomo nella cui casa sono stato ultimamente un ospite frequen-
te, – un uomo che, fino a questo giorno, ha potuto godere della
benevolenza unanime dei suoi concittadini, – un uomo il cui
unico – o almeno principale errore è di chiedere consiglio più
al suo cuore che alla sua testa.
ALCUNE VOCI SPARSE È vero! Urrà per il dottor Stockmann!
HOVSTAD Ma il mio dovere nei confronti della società mi ha co-
stretto a rompere con lui. E c’è ancora un’altra considerazione,
poi, che mi spinge a combatterlo e, se possibile, a fermarlo sulla
via fatale che ha intrapreso; è il riguardo per la sua famiglia –
376 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Si attenga alle condutture d’acqua e alla


cloaca!
HOVSTAD – il riguardo per la sua consorte e i suoi figli senza
mezzi di sussistenza.
MORTEN Siamo noi, questi, mamma?
SIGNORA STOCKMANN Zitto!
ASLAKSEN Metterò ai voti, dunque, la proposta del signor sindaco.
DOTTOR STOCKMANN Non è necessario! Stasera non ho inten-
zione di parlare di tutte quelle porcherie laggiù all’edificio del-
le terme. No; avrete qualcosa di completamente diverso da
sentire.
SINDACO (a mezza voce) Che cosa c’è ancora, adesso?
UN UOMO UBRIACO (indietro, presso la porta di ingresso) Io so-
no un contribuente! E se posso pagare le tasse, posso anche
avere un’opinione! E ho la piena – ferma – incomprensibile
opinione che –
DIVERSE VOCI Silenzio, lì fuori!
ALTRI È ubriaco! Buttatelo fuori!

(L’uomo ubriaco viene espulso.)

DOTTOR STOCKMANN Posso prendere la parola?


ASLAKSEN (agita il campanello) Il signor dottor Stockmann ha
la parola!
DOTTOR STOCKMANN Se solo pochi giorni fa qualcuno avesse
avuto l’ardire di un tentativo del genere, come qui stasera, di
imbavagliarmi! Come un leone avrei difeso i miei sacri diritti
umani! Ma adesso per me fa lo stesso; perché adesso ho cose
più importanti su cui esprimermi.

(La folla si stringe intorno a lui. Morten Kiil è visibile tra quelli
che gli sono accanto.)

DOTTOR STOCKMANN (continua) Ho pensato e ho meditato


molto in questi ultimi giorni, – ho meditato così intensamente
che alla fine ho cominciato, per così dire, a fare confusione nel-
la mia testa –
SINDACO (tossisce) Hm –!
DOTTOR STOCKMANN – ma poi mi sono chiarito le idee; allora
tutto l’insieme dei fatti è apparso davanti ai miei occhi in modo
assolutamente evidente. Ecco perché sono qui stasera. Farò
grandi rivelazioni, miei concittadini! Vi comunicherò una sco-
UN NEMICO DEL POPOLO 377

perta di ben altra portata rispetto alla bazzecola che le condut-


ture d’acqua sono avvelenate e che le nostre terme della salute
si trovano su un terreno appestato.
MOLTE VOCI (urlando) Nemmeno una parola sulle terme! Non
ne vogliamo sentir nulla. Proprio niente.
DOTTOR STOCKMANN Ho detto che voglio parlare della grande
scoperta che ho fatto in questi ultimi giorni, – la scoperta che
tutte le nostre fonti di vita spirituale sono infette e che l’intera
nostra società borghese poggia sul terreno appestato della
menzogna.
VOCI STRABILIATE (a mezza voce) Ma che sta dicendo?
SINDACO Una tale insinuazione –!
ASLAKSEN (con la mano sul campanello) Si invita l’oratore a
moderarsi.
DOTTOR STOCKMANN Così tanto ho amato la mia città natale
quanto un uomo può amare il luogo della sua giovinezza. Non
ero vecchio quando me ne sono andato via di qui, e la distanza,
la nostalgia e il ricordo hanno proiettato come un maggiore ful-
gore sul posto e sulle persone.

(Si sentono alcuni applausi e grida di consenso.)

DOTTOR STOCKMANN Ho vissuto, quindi, per anni e anni in uno


spaventoso e lontano recesso, lassù nel nord. Quando mi sono
trovato insieme a quella gente, rada e sparsa qua e là tra muc-
chi di pietre, ho pensato molte volte che sarebbe stato più utile
per quelle povere creature morte di freddo se avessero avuto
un veterinario, lassù, invece di un uomo come me.

(Mormorio in sala.)

BILLING (posa la penna) Che Dio mi danni, non ho mai sentito –!


HOVSTAD Questi sono insulti verso un popolo rispettabile!
DOTTOR STOCKMANN Ancora un momento! – Io credo che nes-
suno possa dirmi che ho dimenticato la mia città natale lassù.
Stavo a covare come un’anitra; e quello che covavo – era il pro-
getto dello stabilimento delle terme qui.

(Applausi e proteste.)

DOTTOR STOCKMANN E quando finalmente il destino, dopo tan-


ti anni, si tramutò in favorevole e benedetto per me, a tal punto
378 HENRIK IBSEN

da permettermi di ritornare a casa, – ebbene, miei concittadini,


allora pensai di non avere più nulla da desiderare al mondo.
Anzi no, avevo un desiderio, fervido, costante, bruciante, quello
di fare qualcosa di utile per il bene della mia città e della collet-
tività.
SINDACO (guarda in aria) Un modo alquanto singolare – Hm.
DOTTOR STOCKMANN Da allora, dunque, sono stato qui a goder-
mi la felicità dell’accecamento. Ma ieri mattina – no, precisa-
mente l’altro ieri sera – gli occhi del mio spirito si sono spalan-
cati e la prima cosa che ho visto è stata l’indescrivibile stupidità
delle autorità –

(Strepito, grida e risate. La signora Stockmann tossisce vigorosa-


mente.)

SINDACO Signor presidente!


ASLAKSEN (scampanella) In forza del mio mandato –!
DOTTOR STOCKMANN È meschino attaccarsi ad una parola, si-
gnor Aslaksen! Voglio solo dire che lungo la strada mi sono im-
battuto in quell’indescrivibile porcheria di cui i dirigenti si sono
resi colpevoli laggiù alle terme. Sulla vita mia, non li posso sof-
frire i dirigenti; – ne ho avuto abbastanza di questo genere di
gente finora. Sono come caproni in una piantagione di giovani
alberi; fanno danni dappertutto; sbarrano la strada a un uomo
libero, e lui deve arrangiarsi e rassegnarsi, – e la cosa migliore
sarebbe quella di riuscire a sterminarli, come si fa con gli altri
animali nocivi –

(Agitazione in sala.)

SINDACO Signor presidente, sono ammesse tali espressioni?


ASLAKSEN (con la mano sul campanello) Signor dottore –!
DOTTOR STOCKMANN Non capisco come mai soltanto adesso mi
sia fatto un’idea chiara e lucida di quei signori; perché quasi
tutti i giorni ho avuto davanti agli occhi un così magnifico
esemplare qui in città, – mio fratello Peter, – un uomo lento e
tenace nel pregiudizio –

(Risate, chiasso e fischi. La signora Stockmann continua a tossire.)

(Aslaksen agita violentemente il campanello.)


UN NEMICO DEL POPOLO 379

L’UOMO UBRIACO (che è rientrato) È a me che allude? Sì, per-


ché io mi chiamo Pettersen;26 ma che il diavolo mi porti –
VOCI ARRABBIATE Fuori quell’ubriaco! Mettetelo alla porta!

(L’uomo è gettato fuori un’altra volta.)

SINDACO Chi è quell’individuo?


UN VICINO Non lo conosco, signor sindaco.
UN ALTRO Non è della città.
UN TERZO Sarà sicuramente uno di fuori che ha a che fare con i
carichi navali – (Il resto non si sente.)
ASLAKSEN Quell’uomo si è ovviamente ubriacato con della bir-
ra forte. – Continui, signor dottore; ma con temperanza, mi rac-
comando.
DOTTOR STOCKMANN Bene, miei concittadini; non mi esprimerò
oltre sui nostri dirigenti. Se qualcuno, da quanto or ora ho det-
to, dovesse pensare che stasera, qui, io voglia perseguitare quel-
le persone, si sbaglia – si sbaglia di grosso. Perché io nutro la
provvidenziale fiducia che tutti i retrogradi, questi vecchi dal
modo di pensare ormai agonizzante, facciano del loro meglio
per scomparire; non occorre nessun aiuto medico per affrettare
la loro fatale dipartita. E non è nemmeno questa gente ad esse-
re il pericolo che maggiormente incombe sulla società; non so-
no loro i più attivi nell’avvelenare le nostre fonti di vita spiri-
tuale e nell’appestare il terreno sotto di noi; non sono loro ad
essere i nemici più pericolosi della verità e della libertà nella
nostra società.
GRIDA DA TUTTE LE PARTI Chi allora? Chi sono? Fai i nomi!
DOTTOR STOCKMANN Certo, potete star certi che farò i nomi!
Perché questa è appunto la grande scoperta che ho fatto ieri.
(Alza la voce.) I nemici in mezzo a noi più pericolosi della ve-
rità e della libertà, i nemici sono la maggioranza compatta. Sì,
la dannata, compatta, liberale maggioranza, – è lei il peggior ne-
mico! Ora voi lo sapete.

26
È possibile ipotizzare che Ibsen faccia qui una perfida allusione al critico
letterario C. Petersen, la cui recensione negativa del Peer Gynt suscitò le ire
di Ibsen, come si legge nelle lettere del 9 e del 10 dicembre 1867 a B. Bjørn-
son (cfr. ISV, XVI, pp. 197-200). Va ricordato che un personaggio di nome
Pettersen si ritrova, nel ruolo di cameriere del grossista Werle, ne L’anitra
selvatica. (Sandra Colella)
380 HENRIK IBSEN

(Indescrivibile chiasso nella sala. I più urlano, pestano i piedi e fi-


schiano. Alcuni vecchi signori si scambiano occhiate furtive e han-
no l’aria di divertirsi. La signora Stockmann si alza inquieta; Ejlif
e Morten vanno minacciosi verso gli scolari, che fanno trambusto.
Aslaksen agita il campanello ed esorta alla calma. Hovstad e Bil-
ling parlano entrambi, ma non si riesce a sentire. Finalmente si fa
silenzio.)

ASLAKSEN Il moderatore si aspetta che l’oratore ritiri le sue


sconsiderate espressioni.
DOTTOR STOCKMANN Mai al mondo, signor Aslaksen. È la gran-
de maggioranza, nella nostra società, che mi priva della mia li-
bertà e che mi impedisce di pronunciare la verità.
HOVSTAD La maggioranza ha sempre la ragione dalla propria
parte.
BILLING E anche la verità, che Dio mi danni!
DOTTOR STOCKMANN La maggioranza non ha mai la ragione
dalla propria parte. Mai, vi dico! È una delle menzogne della
società, contro cui un uomo libero e pensante deve ribellarsi.
Chi è che costituisce la maggioranza degli abitanti di un paese?
È la gente intelligente o la gente stupida? Io credo che possia-
mo trovarci d’accordo sul fatto che gli stupidi siano presenti in
una spaventevole schiacciante maggioranza dappertutto, sul-
l’intera terra. Ma mai, per il diavolo, sarà giusto che gli stupidi
spadroneggino sugli intelligenti!

(Chiasso e urla.)

DOTTOR STOCKMANN Certo, certo; potete ben urlare più di me;


ma non potete contraddirmi. La maggioranza ha il potere – pur-
troppo –; ma non ha la ragione. La ragione ce l’ho io e pochi al-
tri, quelli che sono isolati. La minoranza ha sempre ragione.

(Grande chiasso di nuovo.)

HOVSTAD Aha; il dottor Stockmann, dunque, dall’altro ieri è di-


ventato aristocratico!
DOTTOR STOCKMANN Ho detto che non voglio spendere nem-
meno una parola su quella sparuta, fiacca e asmatica schiera
che giace a poppa. Con loro la vita pulsante non ha più nulla a
che fare. Ma io penso a quei pochi e isolati in mezzo a noi, che
hanno assimilato le fresche e germinanti verità. Questi uomini
UN NEMICO DEL POPOLO 381

si fanno strada, per così dire, tra gli avamposti, in posizione così
avanzata che la compatta maggioranza ancora non è riuscita a
raggiungerli, – e lì combattono per le verità che ancora sono
troppo recenti nel mondo della conoscenza per avere dalla loro
parte alcuna maggioranza.
HOVSTAD Bene, adesso il dottore è diventato un rivoluzionario!
DOTTOR STOCKMANN Sì, sangue di Cristo, lo sono, signor Hov-
stad! Sono pronto a fare la rivoluzione contro la menzogna che
la maggioranza possieda la verità. Quali sono le verità intorno
alle quali la maggioranza di solito si raduna? Sono le verità che
hanno un’età talmente avanzata che stanno per diventare ob-
solete. Ma quando una verità diventa così vecchia, è anche
prossima a diventare una menzogna, miei signori.

(Risate ed espressioni di scherno.)

DOTTOR STOCKMANN Sì sì, mi creda chi vuole; ma le verità non


sono affatto come dei Matusalemme duri a morire, come la
gente immagina. Una verità normalmente costruita vive – di-
ciamo – un 17-18 anni di regola, massimo 20; raramente più a
lungo. Ma tali attempate verità sono sempre spaventosamente
magre. E tuttavia è solo allora che la maggioranza le accetta e
le raccomanda alla società come sano nutrimento spirituale. Ma
non c’è un grande valore nutritivo in questo tipo di cibo, vi pos-
so assicurare; e, come medico, me ne intendo. Tutte queste ve-
rità di maggioranza si possono paragonare alla carne affumica-
ta vecchia di un anno; sono come prosciutti rancidi, mezzi mar-
ci, rinsecchiti. E da lì proviene lo scorbuto morale che imper-
versa dappertutto nelle società.
ASLAKSEN Mi sembra che l’egregio oratore vada parecchio fuo-
ri strada rispetto al testo.
SINDACO Devo associarmi, in sostanza, all’opinione del presi-
dente.
DOTTOR STOCKMANN No, invece, io credo che tu sia completa-
mente pazzo, Peter! Mi attengo al testo il più strettamente pos-
sibile. Perché quello che voglio dire è appunto questo, che è la
massa, la maggioranza, la compatta maggioranza del demonio,
– che è lei, dico, ad avvelenare le nostre fonti di vita spirituale e
ad appestare il terreno sotto di noi.
HOVSTAD E la grande maggioranza liberale del popolo farebbe
questo solo perché plaude, in modo del tutto assennato, alle ve-
rità sicure e riconosciute?
382 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Oh, mio gentile signor Hovstad, non parli


di verità sicure! Le verità che la massa e la folla riconoscono
sono quelle verità che teneva per certe chi stava a combattere
negli avamposti ai tempi dei nostri nonni. Ma noi, che siamo
combattenti negli avamposti di oggi, noi non le riconosciamo
più; e non credo affatto che ci sia altra sicura verità se non quel-
la che nessuna società possa vivere una vita sana basandosi su
verità vecchie e senza midollo.
HOVSTAD Invece di stare lì a parlare in modo così vago, sarebbe
divertente sentire in cosa consistono queste verità vecchie sen-
za midollo, sulle quali viviamo.

(Adesione da diverse parti.)

DOTTOR STOCKMANN Oh, potrei enumerare un cumulo intero


di idiozie; ma per prima cosa voglio attenermi ad una tra le ve-
rità riconosciute, che in sostanza è un’orribile menzogna ma
sulla quale vivono, ciononostante, sia il signor Hovstad che
l’«Araldo del Popolo» e tutti i sostenitori dell’«Araldo del Po-
polo».
HOVSTAD E sarebbe –?
DOTTOR STOCKMANN È quella dottrina che avete ereditato da-
gli avi e che senza pensare proclamate in lungo e in largo, –
quella dottrina secondo cui il volgo, la moltitudine, la massa sia
il nocciolo del popolo, – sia il popolo stesso, – e secondo cui
l’uomo qualunque e gli ignoranti e gli incapaci abbiano lo stes-
so diritto, nella società, di approvare e condannare, di consiglia-
re e governare che hanno quei singoli individui d’eccezione spi-
ritualmente nobili.
BILLING Adesso voglio veramente, che Dio mi danni –
HOVSTAD (contemporaneamente, grida) Cittadini, fate attenzio-
ne a tutto ciò!
VOCI INDIGNATE Ooh, non siamo noi il popolo? Sono solo i no-
bili che devono governare!
UN OPERAIO Fuori quell’uomo, che sta a parlare in questo mo-
do!
ALTRI Gettatelo fuori dalla porta!
UN CITTADINO (grida) Suona il corno, Evensen!

(Si sentono possenti suoni di corno; fischi e furibondo chiasso in


sala.)
UN NEMICO DEL POPOLO 383

DOTTOR STOCKMANN (quando il baccano si è un po’ calmato)


Ma siate ragionevoli! Non potete sopportare di sentire la voce
della verità per una volta? Non pretendo affatto che siate tutti
quanti immediatamente d’accordo con me. Ma di certo mi sarei
aspettato che il signor Hovstad, se solo ci avesse pensato un
momento, mi avrebbe dato ragione. Il signor Hovstad ha la pre-
tesa, infatti, di essere un libero pensatore –
DOMANDE STUPITE (a voce bassa) Libero pensatore, ha detto?
Cosa? Il direttore Hovstad libero pensatore?
HOVSTAD (grida) Lo dimostri, dottor Stockmann! Quando l’ho
detto sulla stampa?
DOTTOR STOCKMANN (riflette) No, Cristo morto, ha ragione in
questo; – la franchezza lei non l’ha mai avuta. E io non voglio
neppure metterla in imbarazzo, signor Hovstad. Lasciamo che
sia io, dunque, il libero pensatore. Perché adesso, in base alla
scienza naturale, voglio rendere evidente a tutti quanti voi che
l’«Araldo del Popolo» vi prende impudentemente per il naso,
quando dice che voi, che il volgo, che la massa e la folla siete il
vero nocciolo del popolo. È solo una menzogna giornalistica,
capite! Il volgo non è altro che materia prima, da cui viene pla-
smato il popolo.

(Brontolio, risate e agitazione in sala.)

DOTTOR STOCKMANN Be’, non è così che va in tutto il resto del-


l’universo vivente? C’è forse una qualche somiglianza tra una
famiglia di animali allevati e una di animali non allevati? Si
guardi solo ad una comune gallina da pollaio. Che valore ha la
carne di una tale carcassa rachitica di pollo? Non grande, direi!
E che tipo di uova depone? Una qualsiasi cornacchia ordinaria
o un corvo può deporre uova quasi altrettanto buone. Ma pren-
dete, invece, una gallina di allevamento spagnola o giapponese,
oppure prendete un raffinato fagiano o un tacchino; – eh, allora
sì che vedrete la differenza! E voglio, poi, menzionare i cani, al
cui genere noi uomini siamo così affini. Pensate prima ad un
cane plebeo senza valore, – intendo dire uno di quei bastardi
sporchi, irsuti e grossolani, che non fanno altro che correre su e
giù per la strada e insudiciare i muri delle case. Confrontate,
adesso, il bastardo con un barboncino di razza che, da più gene-
razioni, proviene da una casa signorile, dove ha ricevuto una fi-
ne educazione e ha avuto l’opportunità di sentire musica e voci
armoniose. Non pensate che il cranio del barboncino si sia svi-
384 HENRIK IBSEN

luppato in modo ben diverso rispetto a quello del bastardo? Ma


sì, potete esserne certi! Sono i cuccioli di questi barboncini alle-
vati che i saltimbanchi ammaestrano a fare i numeri di destrez-
za più incredibili. Un comune bastardo di strada non potrà mai
imparare cose simili, anche se si mettesse a testa in giù.

(Chiasso e burla si sentono tutt’intorno.)

UN CITTADINO (grida) Adesso vuole anche trasformarci in cani?


UN ALTRO UOMO Noi non siamo animali, signor dottore!
DOTTOR STOCKMANN Oh sì, sull’anima mia noi siamo animali,
caro il mio vecchio! Siamo dei perfetti animali, tutti quanti, co-
me qualcuno vuole rivendicare. Ma di animali raffinati se ne tro-
vano ben pochi in mezzo a noi. Oh, c’è davvero una spaventosa
distanza tra uomini-bastardi e uomini-barboncini. E la cosa più
comica è questa, che il direttore Hovstad la pensa assolutamen-
te come me, fin quando parlo di animali a quattro zampe –
HOVSTAD D’accordo, ma quelli lasciali andare.
DOTTOR STOCKMANN Bene; ma non appena estendo la legge
agli animali a due zampe, il signor Hovstad si arresta; non osa
più avere idee proprie, non osa pensare i propri pensieri fino in
fondo; capovolge tutta la dottrina e proclama sull’«Araldo del
Popolo» che la gallina da pollaio e il bastardo di strada – sono
proprio loro gli esemplari più splendidi del serraglio. Ma va
sempre così quando si rimane attaccati alla radice plebea che è
in noi e non ci si impegna a sbarazzarsene per conquistare la
nobiltà spirituale.
HOVSTAD Io non ho alcuna pretesa di nobiltà. Provengo da sem-
plici contadini, io; e sono orgoglioso che le mie radici affondino
giù nella plebe, che qui si schernisce.
MOLTI OPERAI Urrà per Hovstad! Urrà, urrà!
DOTTOR STOCKMANN La plebe di cui io parlo, questo tipo di
plebe non si trova solo giù nel fondo; si propaga e pullula
tutt’intorno a noi, – fino ad arrivare su, in alto, nella società.
Guardate solo il vostro sindaco, bello e decoroso! Mio fratello
Peter è un perfetto plebeo, senza alcuna differenza –

(Risate e zittio.)

SINDACO Protesto contro tali riferimenti personali.


DOTTOR STOCKMANN (impassibile) – e non lo è perché, come
me, discende da un vecchio, orribile pirata laggiù nella Pomera-
UN NEMICO DEL POPOLO 385

nia o qualche posto lì intorno, – eh sì, questa infatti è la nostra


origine –
SINDACO Credenze assurde. Smentite!
DOTTOR STOCKMANN – ma lo è perché pensa i pensieri dei suoi
superiori e perché ha le idee dei suoi superiori. Sono le persone
che fanno questo, sono loro i plebei spirituali, capite; ecco per-
ché il mio elegante fratello Peter è così spaventosamente poco
nobile nel fondo, – e di conseguenza così poco liberale.
SINDACO Signor presidente –!
HOVSTAD Sarebbero, dunque, i nobili ad essere liberali qui sulla
terra? Questa è un’informazione assolutamente nuova.

(Risate nell’assemblea.)

DOTTOR STOCKMANN Sì, anche questo dipende dalla mia recen-


te scoperta. E dalla mia scoperta dipende ancora questo, che lo
spirito liberale è quasi precisamente la stessa cosa dello spirito
etico. E perciò vi dico che è assolutamente irresponsabile, da
parte dell’«Araldo del Popolo», stare a proclamare ogni giorno
la falsa dottrina che sia la massa e la folla, la compatta maggio-
ranza, a possedere tale spirito liberale ed etico, – e che i vizi e la
corruzione e ogni altra porcheria spirituale siano qualcosa che
derivi dalla cultura, allo stesso modo di come tutte le immondi-
zie derivano, fin giù alle terme, dalle concerie lassù nella valle
di Mølle!

(Chiasso e interruzioni.)

DOTTOR STOCKMANN (impassibile, ride nel suo fervore) E anco-


ra può questo stesso «Araldo del Popolo» predicare che la mas-
sa e la folla debbano essere elevate a più alte condizioni di vita!
Ma per il maligno in carne e ossa, – se la dottrina dell’«Araldo
del Popolo» fosse valida, allora questa elevazione della massa
sarebbe proprio un precipitarla diritto diritto nella corruzione!
Ma, fortunatamente, è solo una vecchia menzogna popolare
ereditata, quella che la cultura distrugga l’etica. No, sono l’istu-
pidimento, la povertà, la miseria delle condizioni di vita che
compiono questo lavoro del demonio! In una casa dove non si
cambia aria e non si scopa il pavimento ogni giorno –; mia mo-
glie Katrine sostiene che il pavimento dovrebbe anche essere
lavato; ma di questo si può poi discutere; – bene, – in una tale
casa, io dico, in 2-3 anni la gente perde la capacità di pensare e
386 HENRIK IBSEN

di comportarsi in maniera etica. La mancanza di ossigeno inde-


bolisce la coscienza. E dev’esserci davvero pochissimo ossigeno
in molte, molte case qui da noi, a quanto sembra, se tutta la
compatta maggioranza può essere così senza coscienza da voler
costruire l’avvenire della città sulle sabbie mobili della menzo-
gna e dell’inganno.
ASLAKSEN Non si può scagliare un’accusa così grossolana con-
tro un’intera cittadinanza.
UN SIGNORE Invito il presidente a togliere la parola all’oratore.
VOCI CRESCENTI Sì, sì! Giusto! Gli si tolga la parola!
DOTTOR STOCKMANN (impetuoso) E io urlerò la verità in ogni
angolo di strada! Scriverò sui giornali di fuori! Tutto il paese
dovrà sapere come stanno le cose qui!
HOVSTAD Sembra quasi che il dottore abbia come scopo la di-
struzione della città.
DOTTOR STOCKMANN Sì, amo così tanto la mia città natale che
preferisco distruggerla piuttosto che vederla fiorire su una
menzogna.
ASLAKSEN Queste sono parole forti.

(Chiasso e fischi. La signora Stockmann tossisce inutilmente; il


dottore non l’ascolta più.)

HOVSTAD (grida nel chiasso) Quest’uomo dev’essere un nemico


dei cittadini, se può desiderare la distruzione di un’intera so-
cietà!
DOTTOR STOCKMANN (in crescente eccitazione) Una società
menzognera merita di essere distrutta! Dovrebbe essere rasa al
suolo, vi dico! Quelli che vivono nella menzogna dovrebbero es-
sere sterminati come animali nocivi, tutti! Alla fine appesterete
tutto il paese; vi spingerete a tal punto che tutto il paese meri-
terà di essere annientato. E se si arriverà così lontano, allora vi
dico dal più profondo del mio cuore: che venga pure annientato
l’intero paese; che venga pure sterminato l’intero popolo!
UN UOMO (nella folla) Questo è un parlare da vero e proprio ne-
mico del popolo!
BILLING Che Dio mi danni, ecco la voce del popolo!
TUTTA LA FOLLA (urla) Sì, sì, sì! È un nemico del popolo! Odia
il suo paese! Odia il popolo intero!
ASLAKSEN Sia come cittadino sia come uomo sono profonda-
mente scosso da ciò che ho dovuto sentire adesso. Il dottor
Stockmann si è rivelato in un modo che non avrei mai immagi-
UN NEMICO DEL POPOLO 387

nato. Devo purtroppo associarmi al giudizio che or ora è stato


espresso da rispettabili cittadini; e ritengo che dovremmo dare
a questo giudizio forma di deliberazione. Propongo il seguente
testo: «L’assemblea dichiara di considerare il medico delle ter-
me, dottor Tomas Stockmann, un nemico del popolo».

(Fragorose grida di urrà e di consenso. Molti fanno cerchia intor-


no al dottore e gli fischiano contro. La signora Stockmann e Petra
sono in piedi. Morten ed Ejlif si azzuffano con altri scolari, che
hanno fischiato anch’essi. Alcuni adulti li separano.)

DOTTOR STOCKMANN (verso chi fischia) Oh folli, che siete, – vi


dico che –
ASLAKSEN (scampanella) Il dottore non ha più la parola. Biso-
gnerebbe procedere con una regolare votazione; ma, per ri-
guardo ai sentimenti personali, sarebbe conveniente che fosse
scritta e anonima. Ha sufficiente carta, signor Billing?
BILLING Sia carta blu che carta bianca –
ASLAKSEN (scende giù) Bene; in questo modo si farà più veloce-
mente. Tagli dei pezzetti –; ecco, così. (All’assemblea.) Blu signi-
fica no; bianco significa sì. Io stesso andrò in giro a raccogliere i
voti.

(Il sindaco lascia la sala. Aslaksen e un paio di altri cittadini vanno


in giro per l’assemblea con i pezzetti di carta nel cappello.)

UN SIGNORE (a Hovstad) Ma che è successo al dottore, a suo pa-


rere? Cosa bisogna pensare di tutto questo?
HOVSTAD Lei sa quanto sia impetuoso.
UN ALTRO SIGNORE (a Billing) Senta; lei è di casa, lì. Ha mai no-
tato che beva?
BILLING Che Dio mi danni, non so che dire. Il grog è sempre sul-
la tavola quando arriva qualcuno.
UN TERZO UOMO No, secondo me, piuttosto, ogni tanto va fuori
di testa.
IL PRIMO SIGNORE Non è che ci sia qualche pazzia ereditaria in
famiglia?
BILLING Per Dio, può ben essere così.
UN QUARTO UOMO Macché, è soltanto pura cattiveria, questo è;
vendetta verso chissà che cosa.
BILLING In effetti uno di questi giorni parlava di un aumento di
stipendio; ma non l’ha avuto.
388 HENRIK IBSEN

TUTTI I SIGNORI (ad una voce) Aha; ma allora è facile da capire!


L’UOMO UBRIACO (nella folla) Io voglio averne uno blu, io! E
poi ne voglio anche uno bianco!
GRIDA Di nuovo quell’uomo ubriaco! Cacciatelo fuori!
MORTEN KIIL (si avvicina al dottore) Allora, Stockmann, vede,
adesso, che cosa succede quando ci si fa beffe degli altri?
DOTTOR STOCKMANN Io ho fatto il mio dovere.
MORTEN KIIL Che cos’è che ha detto sulle concerie nella valle di
Mølle?
DOTTOR STOCKMANN Ha sentito bene; ho detto che è da lì che è
arrivata tutta quella porcheria.
MORTEN KIIL Anche dalla mia conceria?
DOTTOR STOCKMANN Purtroppo la sua conceria è proprio la
peggiore.
MORTEN KIIL E lei farà stampare questo sui giornali?
DOTTOR STOCKMANN Io non nasconderò nulla.
MORTEN KIIL Le può costar caro, questo, Stockmann.

(Esce.)

UN UOMO GRASSO (va diritto verso Horster, non saluta le signo-


re) Bene, capitano, lei dunque presta la sua casa ai nemici del
popolo?
HORSTER Penso di poter fare ciò che voglio della mia proprietà,
signor grossista.
IL GROSSISTA Allora non avrà nulla in contrario se io faccio lo
stesso con la mia.27
HORSTER Che cosa intende dire il grossista?
IL GROSSISTA Domani avrà notizie da parte mia.

(Si gira e se ne va.)

PETRA Non era il suo armatore, Horster?


HORSTER Sì, era il grossista Vik.
ASLAKSEN (con i foglietti della votazione in mano, sale sulla pe-

27
L’Uomo grasso e il Grossista sono la medesima persona. Si tratta dello
stesso uso drammaturgico un po’ antiquato di cui a I sostegni della società,
n. 25. L’anonimo Uomo grasso viene identificato dalla battuta del Capitano
come Grossista, cioè commerciante all’ingrosso (che investe anche nelle na-
vi, come armatore): e solo da quel momento in avanti cambia la denomina-
zione del personaggio.
UN NEMICO DEL POPOLO 389

dana e scampanella) Miei signori, voglio loro rendere noto il ri-


sultato. Con tutti i voti contro uno –
UN SIGNORE PIÙ GIOVANE È il voto di quell’uomo ubriaco!
ASLAKSEN Con tutti i voti contro uno di un uomo ebbro, questa
assemblea ha dichiarato il medico delle terme, dottor Tomas
Stockmann, un nemico del popolo. (Grida e segni di consenso.)
Evviva la nostra vecchia onorata cittadinanza! Evviva il nostro
bravo e attivo sindaco, che in maniera così leale ha messo a ta-
cere la voce del sangue! (Urrà.) La seduta è sciolta.

(Scende.)

BILLING Evviva il presidente!


TUTTA LA FOLLA Urrà per il tipografo Aslaksen!
DOTTOR STOCKMANN Il mio cappello e il mio spolverino, Petra!
Capitano, ha posto per dei passeggeri per il nuovo mondo?
HORSTER Per lei e i suoi si troverà posto, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN (mentre Petra lo aiuta a mettersi lo spolve-
rino) Bene. Forza, Katrine! Forza, ragazzi!

(Prende sua moglie sotto il braccio.)

SIGNORA STOCKMANN (sottovoce) Caro Tomas, usciamo dal re-


tro.
DOTTOR STOCKMANN Nessuna uscita dal retro, Katrine. (Con
voce più alta.) Avrete notizie da parte del nemico del popolo,
prima che egli scuota la polvere dai suoi piedi! Io non sono co-
sì benevolo come una certa persona; non dico: io vi perdono;
perché non sapete quello che fate.28
ASLAKSEN (grida) Questo è un paragone blasfemo, dottor
Stockmann!
BILLING Ma questo, che Dio mi – –. Questa è dura da sopporta-
re per un uomo serio.
UNA VOCE VOLGARE Adesso minaccia pure!
GRIDA ECCITATE Andiamo a fracassargli i vetri! Anneghiamolo
nel fiordo!
UN UOMO (nella folla) Suona il corno, Evensen! Soffia, soffia!

28
Evidente allusione a Cristo (Luca, 23, 34), che giustamente viene percepita
come «un paragone blasfemo». Peraltro Ibsen ne ha inventati di più terribili
(cfr. Spettri, n. 58). L’immagine di scuotere la polvere dai piedi discende da
Matteo, 10, 14.
390 HENRIK IBSEN

(Suoni di corno, fischi e grida selvagge. Il dottore va con i suoi ver-


so l’uscita. Horster fa loro strada.)

TUTTA LA FOLLA (urla dietro di loro, che stanno uscendo) Nemi-


co del popolo! Nemico del popolo! Nemico del popolo!
BILLING (mentre riordina le sue note) Che Dio mi danni se berrò
il grog da Stockmann stasera!

(Le persone riunite si accalcano all’uscita; il chiasso si propaga al-


l’esterno; dalla strada si sente il grido: «Nemico del popolo! Nemi-
co del popolo!».)
QUINTO ATTO

(Stanza da lavoro del dottor Stockmann. Lungo le pareti scaffali e


armadi con diversi preparati. In fondo c’è l’uscita verso l’antica-
mera. In proscenio a sinistra una porta dà sul soggiorno.29 Sulla
parete a destra ci sono due finestre, dove tutti i vetri sono rotti. In
mezzo alla stanza c’è lo scrittoio del dottore, ricoperto da libri e
carte. La stanza è in disordine. È mattina.)

(Il dottor Stockmann, in vestaglia e pantofole e con berretta, sta


curvo a frugare con un ombrello sotto uno degli armadi; alla fine
tira fuori una pietra.)

DOTTOR STOCKMANN (parla attraverso la porta aperta del sog-


giorno) Katrine, eccone qui un’altra.
SIGNORA STOCKMANN (dentro il soggiorno) Oh, ne troverai di
sicuro ancora un bel po’.
DOTTOR STOCKMANN (mette la pietra su un mucchio già raccolto
sul tavolo) Conserverò queste pietre come una reliquia. Ejlif e
Morten dovranno vederle ogni giorno e quando saranno adulti
le avranno in eredità da me. (Fruga sotto uno scaffale.) Ma lei, –
come diavolo si chiama – lei, la ragazzetta,30 – non è ancora pas-
sata dal vetraio?
SIGNORA STOCKMANN (entra) Certo, ma ha risposto che non sa-
peva se sarebbe potuto venire oggi.
DOTTOR STOCKMANN Vedrai, non oserà farlo.
SIGNORA STOCKMANN No, anche Randine pensava che non
29
C’è perfetta corrispondenza – tipicamente ibseniana – fra l’impianto sce-
nografico delineato in apertura del I atto (cfr. la piantina di scena) e questo,
salvo che, là, la casa era orientata a partire dal «soggiorno», e qui, invece, a
partire dalla «stanza da lavoro» del dottore.
30
Per tøs, «ragazzetta», cfr. Spettri, n. 7. Si tratta di Randine, la cameriera, di
cui Tomas ha difficoltà a ricordare il nome, e che talvolta indica come colei
che ha il naso sporco di fuliggine.
392 HENRIK IBSEN

avrebbe osato per via dei vicini. (Parla nel soggiorno.) Ma che
c’è, Randine? Sì, eccomi. (Va dentro e ritorna immediatamente.)
Qui c’è una lettera per te, Tomas.
DOTTOR STOCKMANN Fammi vedere. (La apre e la legge.) Ah,
bene.
SIGNORA STOCKMANN Di chi è?
DOTTOR STOCKMANN Del padrone di casa. Ci sfratta.
SIGNORA STOCKMANN Stai dicendo davvero? Lui, una persona
così perbene –
DOTTOR STOCKMANN (guarda nella lettera) Non osa fare altro.
Lo fa perché costretto; ma non osa fare altro – per colpa dei
suoi concittadini – per riguardo all’opinione pubblica – è dipen-
dente – non osa scontrarsi31 con certe persone potenti –
SIGNORA STOCKMANN Ecco, Tomas, lo vedi.
DOTTOR STOCKMANN Certo, certo, lo vedo bene; sono vigliacchi,
tutti quanti, qui in città; nessuno osa fare alcunché per riguardo
agli altri. (Getta la lettera sul tavolo.) Ma per noi fa proprio lo
stesso, Katrine. Noi partiamo per il nuovo mondo,32 e allora –
SIGNORA STOCKMANN Sì, ma, Tomas, hai davvero riflettuto be-
ne su quest’idea di partire?
DOTTOR STOCKMANN Dovrei forse rimanere qui, dove mi han-
no messo alla berlina come un nemico del popolo, mi hanno
marchiato a fuoco, mi hanno fracassato le finestre! Guarda qui,
Katrine; mi hanno anche strappato i miei pantaloni neri.
SIGNORA STOCKMANN Oh no; sono i migliori che hai!
DOTTOR STOCKMANN Uno non dovrebbe mai avere i suoi mi-
gliori pantaloni quando sta fuori a combattere per la libertà e la
verità. Be’, non m’importa tanto dei pantaloni, capisci; perché tu
me li puoi sempre rattoppare. Ma è questo, che la plebaglia e la
massa hanno l’ardire di minacciare la mia vita, come se fossero
miei pari, – è questo, che non posso digerire, sulla vita mia!
31
Da questo momento in poi il verbo turde, «osare», viene adoperato da Ibsen
volutamente in maniera ripetitiva, quasi ossessiva (ben 29 volte nel V atto – su
un totale di 44 ricorrenze in tutto il testo – e talora il termine è perfino in corsivo
nel testo originale), per mettere in evidenza la codardia della massa, della «com-
patta maggioranza» così disprezzata dal dottor Stockmann. Nella traduzione si
è lasciato ovviamente lo stesso verbo «osare» in tutte le sue ricorrenze, anche e
proprio per rispettare la scelta enfatica del drammaturgo. (Sandra Colella)
32
Il «nuovo mondo» rappresentava un ideale di vita libera, una possibilità,
per chi non aveva mezzi, di riscatto sociale e di realizzazione dei propri so-
gni. Già ne I sostegni della società Ibsen si riferisce a esso in contrapposizione
all’ambiente soffocante e chiuso della Norvegia. (Sandra Colella)
UN NEMICO DEL POPOLO 393

SIGNORA STOCKMANN Certo, sono stati terribilmente villani


verso di te qui in città, Tomas; ma c’è bisogno che ce ne andia-
mo addirittura via dal paese per questo?
DOTTOR STOCKMANN Pensi forse che nelle altre città i plebei non
siano ugualmente arroganti come qui? Certo, cosa credi, sarà al-
l’incirca la stessa cosa. Ma sì, merda;33 si avventino pure, quei cani
bastardi; non è questo il peggio; il peggio è che tutti gli uomini so-
no servi di partito, dovunque, in tutto il paese. Ma se per questo,
nemmeno – forse nemmeno nel libero occidente è meglio; anche
lì imperversano la maggioranza compatta e l’opinione pubblica
liberale e ogni altra diavoleria. Ma lì le proporzioni sono su scala
molto più ampia, capisci; possono uccidere, ma non torturano;
non imbrigliano un’anima libera in una morsa come qui da noi. E,
nel peggiore dei casi, uno se ne può stare appartato. (Cammina su
e giù per la stanza.) Se solo sapessi dove poter comprare a poco
prezzo una foresta vergine o un’isoletta nei mari del sud –
SIGNORA STOCKMANN Sì, ma i ragazzi, Tomas?
DOTTOR STOCKMANN (si ferma) Come sei strana, Katrine! Pre-
feriresti che i ragazzi crescessero in una società così come la no-
stra? Tu stessa, ieri sera, ti sei resa conto che la metà della po-
polazione è pazza da legare; e se l’altra metà non ha perso l’in-
telletto, è perché sono dei cani da guardia che non hanno alcun
intelletto da perdere.
SIGNORA STOCKMANN Sì, ma, caro Tomas, sei davvero molto po-
co prudente nel tuo modo di parlare.
DOTTOR STOCKMANN E allora! Forse non è vero ciò che dico?
Non capovolgono tutti i concetti? Non mescolano insieme, in
un’unica broda, ciò che è giusto e ingiusto? Non chiamano
menzogna tutto ciò che io so essere verità? Ma la cosa più as-
surda di tutte è che persone adulte di fede liberale vadano in
giro in massa a far credere a sé stessi e agli altri di avere uno
spirito libero! Avresti dovuti sentirli, Katrine!
SIGNORA STOCKMANN Sì, sì, certo, è veramente pazzesco, ma –

(Petra entra dal soggiorno.)

33
Skidt significa letteralmente «merda» e compare 2 sole volta nell’opera ib-
seniana. Per la seconda volta cfr. Il costruttore Solness, n. 27. Sono gli unici
due casi di un tono sopra le righe di un scrittore controllatissimo come è Ib-
sen, ma entrambi perfettamente giustificati: là sarà l’irruenza di una fanciulla
un po’ alternativa; qui è l’umana reazione di un individuo stressato, in guerra
con il mondo. (Sandra Colella)
394 HENRIK IBSEN

SIGNORA STOCKMANN Hai già finito a scuola, oggi?


PETRA Sì; sono stata licenziata.
SIGNORA STOCKMANN Licenziata!
DOTTOR STOCKMANN Anche tu!
PETRA La signora Busk mi ha licenziato; e così ho pensato che
la cosa migliore fosse andar subito via.
DOTTOR STOCKMANN Hai fatto bene, sull’anima mia!
SIGNORA STOCKMANN Chi avrebbe mai pensato che la signora
Busk fosse una persona così cattiva!
PETRA Oh, mamma, la signora Busk non è cattiva, davvero; ho
visto chiaramente quanto le sia pesato. Ma non osava fare al-
tro, ha detto; e così sono stata licenziata.
DOTTOR STOCKMANN (ride e si frega le mani) Non osava fare al-
tro, nemmeno lei! Ah, che cosa deliziosa.
SIGNORA STOCKMANN Oh no, dopo quegli orribili spettacoli di
ieri sera, allora –
PETRA Non si tratta solo di questo. Stammi a sentire, papà!
DOTTOR STOCKMANN Allora?
PETRA La signora Busk mi ha mostrato ben tre lettere, che ha
ricevuto stamattina –
DOTTOR STOCKMANN Senza nome, vero?
PETRA Sì.
DOTTOR STOCKMANN E sì, perché non osano rischiare il proprio
nome, Katrine!
PETRA E in due lettere sta scritto che un signore, che è di casa
qui da noi, stanotte al circolo ha detto che io ho delle opinioni
oltremodo libere riguardo a diverse questioni –
DOTTOR STOCKMANN Non l’hai mica negato?
PETRA Certo che no, tu mi conosci. La stessa signora Busk ha opi-
nioni molto libere, quando siamo a quattr’occhi; ma ora che la co-
sa si è saputa a mio riguardo, non ha osato di tenermi con sé.
SIGNORA STOCKMANN E pensa, – è uno di casa, qui da noi!
Adesso capisci, Tomas, qual è il risultato della tua ospitalità.
DOTTOR STOCKMANN Non vivremo più in un tale immondezzaio.
Fai le valigie al più presto, Katrine; prima ce ne andiamo, meglio è.
SIGNORA STOCKMANN Silenzio. Mi sembra che ci sia qualcuno
fuori, all’ingresso. Vai a vedere, Petra.
PETRA (apre la porta) Oh, è lei, capitano Horster? Prego, entri.
CAPITANO HORSTER (dall’anticamera) Buon giorno. Pensavo di
passare di qui per sapere come va.
DOTTOR STOCKMANN (gli stringe la mano) Grazie; è proprio
gentile da parte sua.
UN NEMICO DEL POPOLO 395

SIGNORA STOCKMANN E grazie per averci aiutato in mezzo alla


folla, capitano Horster.
PETRA Ma come è riuscito a ritornare a casa, lei?
HORSTER Ah be’, me la sono cavata; ho molte forze, io; quella
gente, invece, usa soprattutto la bocca.
DOTTOR STOCKMANN Sì, è strana questa sordida vigliaccheria,
non pensa? Venga, le devo mostrare qualcosa! Guardi, qui ci
sono tutte le pietre che ci hanno gettato contro. Le guardi! Sul-
l’anima mia, non ci sono più di due belle grosse pietre, così co-
me devono essere, in tutto il mucchio; il resto non è altro che
pietrisco, – pura minutaglia. Eppure stavano lì fuori a sbraitare
e a giurare che volevano farmi la pelle; ma l’azione – l’azione –
niente, non se ne vede granché qui in città!
HORSTER Be’, questa volta è stato meglio per lei, signor dottore.
DOTTOR STOCKMANN Sicuro. Ma è ugualmente insopportabile;
perché se una volta si arriverà ad una rissa seria, d’importanza
nazionale, allora vedrà, capitano Horster, l’opinione pubblica
sarà del parere di darsela a gambe, e la compatta maggioranza
andrà a nascondersi nel bosco come un gregge di pecore. È que-
sto che è così triste da pensare; mi fa così male dentro –. Ma no,
per il diavolo, – in fondo non sono che stupidaggini, queste.
Hanno detto che sono un nemico del popolo, che sia un nemico
del popolo, dunque.
SIGNORA STOCKMANN Non lo diventerai mai, Tomas.
DOTTOR STOCKMANN Non ci giurare affatto, Katrine. Una paro-
la cattiva può agire come una punta di spillo nel polmone. E
questa dannata parola –; non riesco a liberarmene; si è messa
qui, sotto l’epigastrio; non si muove e scava e spreme, come i
succhi gastrici. Ma in questo caso non c’è magnesia che aiuti.
PETRA Uff; devi solo riderne, papà.
HORSTER Prima o poi la gente cambierà idea, signor dottore.
SIGNORA STOCKMANN Ma sì, Tomas, puoi esserne certo, così co-
me il fatto che stai qui.
DOTTOR STOCKMANN Sì, magari quando sarà troppo tardi. Ma
allora, buon pro gli faccia! 34 Che stiano nel loro immondezzaio
a rimpiangere di aver cacciato un patriota in esilio. Quando sal-
pa, capitano Horster, mi dica.
HORSTER Hm, – era questo, appunto, il motivo per cui ero venu-
to qui a parlarle.
34
L’espressione Men så kan de ha’ det så godt!, che ricorre anche più sotto, si-
gnifica letteralmente «Ma allora, che ne abbiano bene», corrispondente in
italiano al nostro «buon pro gli faccia». (Sandra Colella)
396 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Forse è sorto qualche problema con la


nave?
HORSTER No; ma pare proprio che io non partirò.
PETRA Non sarà mica stato licenziato?
HORSTER (sorride) Eh sì, invece.
PETRA Anche lei.
SIGNORA STOCKMANN Ecco, Tomas, lo vedi.
DOTTOR STOCKMANN E questo a causa della verità! Oh, se aves-
si potuto immaginare una cosa del genere –
HORSTER Non deve prendersela troppo a cuore; troverò certo
un posto presso una qualche compagnia armatrice fuori città.
DOTTOR STOCKMANN Questo grossista Vik, – un uomo ricco,
completamente indipendente dagli altri –! Puah, per il diavolo!
HORSTER Al contrario, è molto retto; e lui stesso ha detto che
mi avrebbe volentieri tenuto con sé, se solo avesse osato –
DOTTOR STOCKMANN Ma non ha osato? No, si capisce!
HORSTER Non è così semplice, ha detto, quando si appartiene
ad un partito – –
DOTTOR STOCKMANN Ha detto bene, questo galantuomo! Un
partito è come un tritacarne, ecco cos’è; macina insieme tutte le
teste in una poltiglia; e perciò diventano teste di poltiglia e te-
ste di carne, tutte quante in massa!
SIGNORA STOCKMANN Ma Tomas, insomma!
PETRA (a Horster) Se lei non ci avesse accompagnato a casa,
forse non si troverebbe adesso in questa situazione.
HORSTER Non me ne pento.
PETRA (gli dà la mano) Grazie!
HORSTER (al dottore) E poi c’era questo, che volevo dire, che se
infine decide di partire, allora ho pensato ad un altro modo –
DOTTOR STOCKMANN Bene; la cosa importante è andarcene al
più presto da qui –
SIGNORA STOCKMANN Zitti; non hanno bussato?
PETRA È di sicuro lo zio.
DOTTOR STOCKMANN Aha! (Grida.) Avanti!
SIGNORA STOCKMANN Caro Tomas, mi raccomando, prometti-
mi di –

(Il sindaco Stockmann entra dall’anticamera.)

SINDACO (sulla porta) Ah, sei occupato. Be’, preferirei –


DOTTOR STOCKMANN No, no; entra pure.
SINDACO Ma desideravo parlarti a quattr’occhi.
UN NEMICO DEL POPOLO 397

SIGNORA STOCKMANN Noi andiamo dentro in soggiorno, nel


frattempo.
HORSTER E io ritornerò più tardi.
DOTTOR STOCKMANN No, vada anche lei dentro, capitano Hor-
ster; mi deve dare ulteriori informazioni –
HORSTER D’accordo, d’accordo, allora aspetto.

(Segue la signora Stockmann e Petra nel soggiorno.)

(Il sindaco non dice nulla ma guarda di sottecchi verso le finestre.)

DOTTOR STOCKMANN Trovi, forse, che qui sia un po’ ventilato


oggi? Mettiti il berretto.
SINDACO Grazie, se posso. (Lo fa.) Credo di essermi raffreddato
ieri; stavo lì a gelarmi –
DOTTOR STOCKMANN Ah sì? Per Dio, a me sembrava che faces-
se abbastanza caldo.
SINDACO Mi dispiace che non sia stato in mio potere impedire
questi eccessi notturni.
DOTTOR STOCKMANN Hai altrimenti qualcos’altro da dirmi?
SINDACO (tira fuori una grossa lettera) Ho questo documento
per te da parte della direzione delle terme.
DOTTOR STOCKMANN Sono licenziato?
SINDACO Sì, da oggi. (Mette la lettera sul tavolo.) Ci dispiace; ma
– per dirla tutta – non abbiamo osato fare altro a causa dell’o-
pinione pubblica.
DOTTOR STOCKMANN (sorride) Non avete osato? Questa parola
l’ho sentita già, oggi.
SINDACO Ti invito a renderti conto chiaramente della tua posi-
zione. Non potrai contare, in futuro, su alcuna attività profes-
sionale qui in città.
DOTTOR STOCKMANN Al diavolo l’attività professionale! Ma da
dove hai saputo queste cose con tanta sicurezza?
SINDACO L’associazione dei proprietari di case ha messo in cir-
colazione una lista, che sta passando di casa in casa. Si invitano
tutti i cittadini ben disposti a non usufruire di te; e io oso garan-
tirti che non un solo padre di famiglia avrà l’ardire di negare la
sua firma; semplicemente non oserà farlo, tutto qui.
DOTTOR STOCKMANN Certo, certo, non ho dubbi. Qualcos’altro?
SINDACO Se potessi darti un consiglio, sarebbe questo, che te ne
andassi da qui per un po’ di tempo –.
DOTTOR STOCKMANN Esatto, mi sono ridotto a pensare a come
andarmene da questo posto.
398 HENRIK IBSEN

SINDACO Bene. E se tu ti prendessi un mezzo anno circa per


pensare e, dopo una matura riflessione, acconsentissi a ricono-
scere con un paio di parole di scusa il tuo errore –
DOTTOR STOCKMANN Allora forse potrei avere di nuovo il mio
posto, intendi dire?
SINDACO Forse; niente affatto impossibile.
DOTTOR STOCKMANN Sì, ma l’opinione pubblica, allora? Non
osereste, infatti, per via dell’opinione pubblica.
SINDACO L’opinione è una cosa oltremodo variabile. E, detto
sinceramente, per noi è di estrema importanza avere una tale
ammissione scritta di tuo pugno.
DOTTOR STOCKMANN Ci credo, arrivereste perfino a pulirvi il
naso con la lingua per ottenerla! Ma ti ricordi, no, per il diavo-
lo, che cosa ti ho detto a proposito di questo genere di astuzie!
SINDACO Quella volta la tua posizione era ben diversamente fa-
vorevole; quella volta hai osato supporre di avere l’intera città
alle spalle –
DOTTOR STOCKMANN E già, mentre adesso devo capire che ho
l’intera città sul collo –. (Si indigna.) Ma niente, nemmeno se
avessi il demonio in persona e tutta la combriccola sul collo –!
Mai, – mai, ti dico!
SINDACO Uno che mantiene la famiglia non osa comportarsi co-
sì come fai tu. Non oserai farlo, Tomas.
DOTTOR STOCKMANN Io non oserò farlo! C’è una sola cosa che
un uomo libero non osa fare; e sai qual è?
SINDACO No.
DOTTOR STOCKMANN Naturalmente; ma io te la dirò. Un uomo
libero non osa insudiciarsi come un cencioso; non osa arrivare
a tanto da doversi sputare in faccia!
SINDACO Questo suona oltremodo plausibile, certo; e se non ci
fosse un’altra spiegazione per la tua testardaggine –; invece c’è,
eccome se c’è –
DOTTOR STOCKMANN Che cosa intendi dire con questo?
SINDACO Lo sai benissimo. Ma come tuo fratello e come uomo
assennato ti consiglio di non fare troppo affidamento su spe-
ranze e prospettive che forse, facilmente, potrebbero dolorosa-
mente fallire.
DOTTOR STOCKMANN Ma per l’universo a cosa vuoi alludere
con questo?
SINDACO Vuoi veramente farmi credere che tu saresti all’oscuro
delle disposizioni testamentarie che ha preso il mastro concia-
tore Kiil?
UN NEMICO DEL POPOLO 399

DOTTOR STOCKMANN So che quella briciola che possiede andrà


ad una fondazione per artigiani vecchi e bisognosi di aiuto. Ma
io cosa c’entro?
SINDACO Per prima cosa, qui non si parla di briciole. Il mastro
conciatore Kiil è un uomo molto ricco.
DOTTOR STOCKMANN Non ne ho mai avuto il minimo sospetto –!
SINDACO Hm, – davvero? Dunque non hai nemmeno il minimo
sospetto che una parte non insignificante del suo patrimonio
andrà in eredità ai tuoi figli, mentre tu e tua moglie godrete de-
gli interessi fin quando sarete in vita. Non ti ha detto questo?
DOTTOR STOCKMANN No, sull’anima mia non me l’ha detto! Al
contrario; si è sempre indignato e infuriato per il fatto di essere
tassato in modo così ingiustamente alto. Ma sei proprio sicuro
di questo, Peter?
SINDACO Lo so da una fonte assolutamente attendibile.
DOTTOR STOCKMANN No, Signore Iddio, allora Katrine è al si-
curo, – e anche i ragazzi! Glielo devo dire subito – (Grida.) Ka-
trine, Katrine!
SINDACO (lo trattiene) Zitto, non dire ancora una parola!
SIGNORA STOCKMANN (apre la porta) Che cosa c’è?
DOTTOR STOCKMANN Ah, niente; torna pure dentro.

(La signora Stockmann chiude.)

DOTTOR STOCKMANN (vaga per la stanza) Al sicuro! Ti rendi


conto, – sono tutti insieme al sicuro! E per tutta la vita! È vera-
mente un sentimento benedetto sentirsi al sicuro!
SINDACO Eh sì, ma è proprio questo, che tu non sei. Il mastro
conciatore Kiil può annullare il testamento in qualsiasi giorno
e ora egli voglia.
DOTTOR STOCKMANN Ma non lo farà, mio buon Peter. Il tasso è
veramente contento come una Pasqua che io sia in rotta con te
e i sapientoni dei tuoi amici.
SINDACO (è interdetto e lo guarda scrutandolo) Aha, questo fa
luce su molte cose.
DOTTOR STOCKMANN Quali molte cose?
SINDACO È stata tutta una manovra combinata, dunque. Questi
attentati violenti, senza riguardi, che tu – in nome della verità –
hai diretto contro i governanti di questo posto –
DOTTOR STOCKMANN E allora; e allora?
SINDACO Non erano altro, dunque, che un compenso pattuito
per il testamento di questo vecchio malato di vendetta che è
Morten Kiil.
400 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN (quasi senza parole) Peter, – tu sei il più


vile plebeo che ho conosciuto in tutta la mia vita.
SINDACO Tra di noi è finita. Il tuo licenziamento è irrevocabile;
– perché adesso abbiamo un’arma contro di te.

(Se ne va.)

DOTTOR STOCKMANN Puah, puah, puah! (Grida.) Katrine! Bi-


sogna lavare il pavimento dietro di lui! Falla venire con un sec-
chio, lei, – lei – come diavolo –, lei, che ha sempre il naso spor-
co di fuliggine –
SIGNORA STOCKMANN (sulla soglia del soggiorno) Zitto, zitto
per favore, Tomas!
PETRA (anche lei sulla soglia) Papà, il nonno è qui e vuol sapere
se può parlare con te da solo.
DOTTOR STOCKMANN Certo che può. (Presso la porta.) Entri
pure, suocero.

(Morten Kiil entra. Il dottore chiude la porta dietro di lui.)

DOTTOR STOCKMANN Ebbene, che c’è? Si accomodi.


MORTEN KIIL Nessun accomodarsi. (Si guarda intorno.) Bello
qui da lei oggi, Stockmann.
DOTTOR STOCKMANN Sì, non crede?
MORTEN KIIL Veramente bello; e c’è anche aria fresca; oggi ha
un bel po’ di quell’ossigeno di cui parlava ieri. Suppongo che
abbia la coscienza assolutamente leggera, oggi.
DOTTOR STOCKMANN Sì, ce l’ho.
MORTEN KIIL Me l’immaginavo. (Si batte il petto.) Ma lo sa che
cos’è che io ho qui?
DOTTOR STOCKMANN Anche lei una coscienza leggera, spero.
MORTEN KIIL Uff! No, è qualcosa di meglio.

(Tira fuori un portafoglio gonfio, lo apre e mostra un mucchio di


carte.)

DOTTOR STOCKMANN (lo guarda stupito) Azioni dello stabili-


mento delle terme?
MORTEN KIIL Non è stato difficile procurarsele oggi.
DOTTOR STOCKMANN E lei è andato a comprarle apposta –?
MORTEN KIIL Tante per quanti soldi avevo.
DOTTOR STOCKMANN Ma, caro suocero, – in un momento così
disperato come quello in cui adesso versano le terme –!
UN NEMICO DEL POPOLO 401

MORTEN KIIL Se si comporta come una persona ragionevole, lei


rimetterà certo in piedi le terme!
DOTTOR STOCKMANN Sì, lei stesso vede che sto facendo tutto
ciò che posso; ma –. La gente è pazza qui in città!
MORTEN KIIL Ieri lei ha detto che le peggiori immondizie sono
arrivate dalla mia conceria. Ma se e qualora questo fosse vero,
allora mio nonno, e mio padre prima di me, e io stesso sarem-
mo stati ad appestare la città per moltissimi anni, quasi fossimo
tre angeli della morte. Lei crede che io lascerò pesare su di me
una vergogna simile?
DOTTOR STOCKMANN Mi dispiace, ma lei, per Dio, sarà costretto
a questo.
MORTEN KIIL No, grazie. Ci tengo al mio buon nome e alla mia
reputazione. La gente mi chiama “il tasso”, ho sentito dire. Un
tasso, una specie di maiale,35 ecco che significa; ma non permet-
terò mai e poi mai che abbiano ragione. Io voglio vivere e mori-
re come un uomo pulito.
DOTTOR STOCKMANN E cosa pensa di fare per questo?
MORTEN KIIL Lei mi renderà pulito, Stockmann.
DOTTOR STOCKMANN Io!
MORTEN KIIL Lo sa, lei, con quali soldi ho comprato queste azio-
ni? No, non può saperlo; ma adesso glielo dirò io. Sono i soldi
che Katrine e Petra e i ragazzini avranno in eredità da me. Sì,
perché così ho messo qualcosina a frutto anche per me, capisce.
DOTTOR STOCKMANN (si indigna) E lei è andato a prendere i
soldi di Katrine per far questo!
MORTEN KIIL Sì, quei soldi sono ormai tutti investiti nelle terme.
E adesso voglio proprio vedere se lei è veramente così irrefre-
nabilmente – furiosamente – pazzo, Stockmann. Se lei lascerà
che arrivino ancora animali e robaccia del genere dalla mia
conceria, sarà esattamente la stessa cosa come tagliare larghe
strisce dalla pelle di Katrine, e anche di Petra e dei ragazzini;
ma questo non lo fa nessun buon padre di famiglia, – a meno
che non sia un pazzo, appunto.
DOTTOR STOCKMANN (che cammina su e giù) Sì, ma io sono un
pazzo; io sono un pazzo!
MORTEN KIIL Non può essere così del tutto ciecamente pazzo,
quando si tratta della moglie e dei figli.
35
Può stupire l’avvicinamento del tasso al maiale (sebbene esista un partico-
lare tipo di tasso, che vive in India, detto «tasso maiale maggiore»), ma la
connessione, probabilmente, è da trovare nelle abitudini dei due animali che,
usando similmente razzolare nella terra, finiscono per assumere la connota-
zione di animali sporchi. (Sandra Colella)
402 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN (si ferma davanti a lui) Perché non ha par-


lato con me, prima di andar lì a comprare tutto quel ciarpame!
MORTEN KIIL Ciò che è fatto è quel che conta di più.
DOTTOR STOCKMANN (gira inquieto intorno) Se io non fossi an-
cora sicuro del fatto mio –! Ma sono così profondamente con-
vinto di aver ragione.
MORTEN KIIL (soppesa il portafoglio in mano) Se lei continua
con la sua pazzia, allora non hanno un gran valore, queste qui.

(Mette il portafogli in tasca.)

DOTTOR STOCKMANN Ma, per il diavolo, la scienza dovrebbe


pur poter trovare dei mezzi di prevenzione, mi pare; una forma
di protezione qualunque –
MORTEN KIIL Intende qualche cosa con cui uccidere gli animali?
DOTTOR STOCKMANN Sì, o almeno con cui renderli innocui.
MORTEN KIIL Non potrebbe provare con qualche veleno per topi?
DOTTOR STOCKMANN Oh, parole, parole! – Ma tanto, tutti quanti
dicono che è soltanto una fantasia. E allora, non potrebbe essere
proprio una fantasia! Gli faccia pure buon pro! Non mi hanno
ingiuriato, quei bastardi ignoranti e gretti, come un nemico del
popolo; – e per poco non mi hanno strappato i vestiti di dosso!
MORTEN KIIL E tutte le vetrate che le hanno fracassato, allora!
DOTTOR STOCKMANN Sì, e poi questa storia con i doveri verso la
famiglia! Devo parlarne con Katrine; è così precisa in queste cose.
MORTEN KIIL Bene; ascolti il consiglio di una moglie saggia.
DOTTOR STOCKMANN (si scaglia contro di lui) Ma che lei potes-
se fare tutto alla rovescia! Rischiare i soldi di Katrine; metter-
mi in questa penosa, tormentosa angustia! Quando la guardo è
come se vedessi il demonio in persona –!
MORTEN KIIL È meglio che me ne vada, a questo punto. Ma en-
tro le due voglio una risposta da parte sua. Sì o no. Se è no, al-
lora le azioni andranno alla fondazione, – e questo oggi stesso.
DOTTOR STOCKMANN E cosa avrà Katrine?
MORTEN KIIL Nemmeno una briciola.36
36
Morten Kiil pensa che Tomas debba cedere al ricatto in nome del proprio
cuore di padre, per non ridurre in miseria i propri figli. La stessa logica dovreb-
be però impedire a Morten Kiil di fare altrettanto con la propria figlia Katrine.
Ibsen – sempre attentissimo ai minimi dettagli – immagina pertanto che Mor-
ten Kiil sia solo un «padre adottivo» di Katrine, come indica la tavola dei per-
sonaggi. Il motivo non è però minimamente svolto e articolato. Si intuisce ap-
pena che la famiglia Stockmann ha chiamato uno dei figli Morten, cioè con lo
UN NEMICO DEL POPOLO 403

(La porta dell’anticamera viene aperta. Fuori si vedono il direttore


Hovstad e il tipografo Aslaksen.)

MORTEN KIIL Guarda guarda, quei due lì?


DOTTOR STOCKMANN (li fissa) Cosa! E loro si azzardano ancora
a venire qui da me!
HOVSTAD Ebbene sì, lo facciamo.
ASLAKSEN Abbiamo qualcosa di cui parlare con lei, capisce.
MORTEN KIIL (sussurra) Sì o no – entro le due.
ASLAKSEN (con un’occhiata a Hovstad) Aha!

(Morten Kiil se ne va.)

DOTTOR STOCKMANN Allora, cosa vogliono da me? Facciamo in


fretta.
HOVSTAD Posso ben capire che lei è contro di noi per il nostro
atteggiamento durante l’incontro di ieri –
DOTTOR STOCKMANN E lei lo chiama atteggiamento? Certo, un
atteggiamento delizioso! Io lo chiamo mancanza di atteggia-
mento, roba da effeminati –. Vergogna, per il diavolo!
HOVSTAD Lo chiami come vuole; ma noi non potevamo fare altro.
DOTTOR STOCKMANN Non osavamo far altro, vuol dire? Non è
così?
HOVSTAD Ma sì, se vuole.
ASLAKSEN Ma perché non fare un accenno prima? Solo un pic-
colo avvertimento al signor Hovstad o a me.
DOTTOR STOCKMANN Un avvertimento? Su cosa?
ASLAKSEN Su ciò che c’era sotto.
DOTTOR STOCKMANN Non la capisco affatto.
ASLAKSEN (annuisce confidenzialmente) Oh sì, per Dio, certo
che capisce, dottor Stockmann.
HOVSTAD Ora non c’è più nulla da mantenere nascosto.
DOTTOR STOCKMANN (guarda ora all’uno ora all’altro) Insom-
ma, per il maligno in carne e ossa –!
ASLAKSEN Posso chiederle, – suo suocero non è in città a com-
prare tutte le azioni delle terme?
DOTTOR STOCKMANN Sì, è uscito per comprare delle azioni del-
le terme oggi; ma –?
ASLAKSEN Sarebbe stato più intelligente se l’avesse fatto fare
ad un altro, questo, – uno che non le fosse così vicino.
stesso nome del padre adottivo (per affetto o per calcolo sulla futura eredità),
ma anche questo resta un filo drammaturgico per nulla annodato.
404 HENRIK IBSEN

HOVSTAD E poi non avrebbe dovuto esporre il suo nome. A nes-


suno occorreva sapere che l’attacco allo stabilimento delle ter-
me venisse da parte sua. Avrebbe dovuto chieder consiglio a
me, dottor Stockmann.
DOTTOR STOCKMANN (guarda fisso davanti a sé; una luce sembra
illuminargli la mente e dice, come cadendo dalle nuvole) È possi-
bile pensare a qualcosa del genere? Si può fare una cosa simile?
ASLAKSEN (sorride) Sembra di sì, che si possa fare. Ma sarebbe
raccomandabile farla bene, capisce.
HOVSTAD E poi sarebbe preferibile essere in più persone a far-
la; perché va sempre così, la responsabilità diminuisce per il sin-
golo se ci sono altri con lui.
DOTTOR STOCKMANN (calmo) In poche parole, miei signori, –
cos’è che vogliono?
ASLAKSEN Questo lo può, nel modo migliore, il signor Hovstad –
HOVSTAD Ma no, lo dica lei, Aslaksen.
ASLAKSEN Be’, insomma, si tratta di questo, che adesso, dal mo-
mento che sappiamo come stanno le cose, riflettendoci, osiamo
mettere l’«Araldo del Popolo» a sua disposizione.
DOTTOR STOCKMANN Adesso osano farlo? Ma l’opinione pub-
blica, allora? Non temono che si scatenerà una tempesta contro
di noi?
HOVSTAD Vedremo di cavalcarla.
ASLAKSEN E il dottore cercherà di agire con rapidità. Non ap-
pena il suo attacco avrà avuto il suo effetto –
DOTTOR STOCKMANN Non appena mio suocero ed io avremo le
azioni in mano a poco prezzo, intende dire –?
HOVSTAD È chiaro che sono soprattutto considerazioni di natu-
ra scientifica a spingerla a diventare azionista di maggioranza
delle terme.
DOTTOR STOCKMANN Si capisce; è stato per considerazioni di
natura scientifica che ho convinto il vecchio tasso a partecipare
alla cosa. In seguito vedremo di fare qualche rattoppo alle con-
dutture d’acqua e di ripulire un po’ la spiaggia, senza che costi
mezza corona alle casse della città. Potrebbe andar bene così,
che ne pensano? Allora?
HOVSTAD Penso di sì, – se ha con lei l’«Araldo del popolo».
ASLAKSEN In una società libera la stampa è un potere, signor
dottore.
DOTTOR STOCKMANN Come no; e lo è anche l’opinione pubbli-
ca; e lei, signor Aslaksen, lei si prenderà certamente la respon-
sabilità per l’associazione dei proprietari di case?
UN NEMICO DEL POPOLO 405

ASLAKSEN Sia per l’associazione dei proprietari di case che per


gli amici della temperanza. Stia tranquillo su questo.
DOTTOR STOCKMANN Ma, miei signori –; sì, mi vergogno di do-
mandarlo; ma, – quale compenso –?
HOVSTAD Veramente preferiremmo aiutarla senza alcun com-
penso, può comprendere. Ma l’«Araldo del popolo» poggia su
un terreno instabile; non va proprio bene; e fermare il giornale
adesso, quando c’è così tanto da fare, qui, nell’ambito della
grande politica, mi dispiacerebbe profondamente.
DOTTOR STOCKMANN Comprendo; sarebbe un duro colpo per
un amico del popolo quale lei è. (Esplode.) Ma io sono un ne-
mico del popolo, io! (Corre intorno alla stanza.) Dov’è il mio
bastone? Dove diavolo è il mio bastone?
HOVSTAD Che cosa significa?
ASLAKSEN Non vorrà mica –?
DOTTOR STOCKMANN (si ferma) E se non dessi loro nemmeno
un centesimo di tutte le mie azioni? La gente ricca non ama
spendere soldi, dovrebbero ricordarlo.
HOVSTAD E lei dovrebbe ricordare che la faccenda delle azioni
può essere presentata in due modi.
DOTTOR STOCKMANN Sì, lei è proprio uomo da far questo; se
non vengo in aiuto all’«Araldo del popolo», allora lei presen-
terà la cosa di sicuro in una brutta luce; mi darà certamente la
caccia, me l’immagino, – mi perseguiterà, – proverà a saltarmi
alla gola, come un cane salta alla gola di una lepre!
HOVSTAD È nelle leggi della natura; ogni animale vuole nutrirsi.
ASLAKSEN Bisogna prendere il cibo là dove lo si può trovare,
capisce.
DOTTOR STOCKMANN Allora vedete di trovarvi qualcosa là fuo-
ri nella melma; (corre intorno alla stanza) perché adesso si ve-
drà, sangue di Cristo, chi è l’animale più forte di noi tre. (Trova
l’ombrello e lo agita.) Olà, guardate qui –!
HOVSTAD Non vorrà metterci le mani addosso!
ASLAKSEN Faccia attenzione a quell’ombrello!
DOTTOR STOCKMANN Fuori dalla finestra, signor Hovstad!37
HOVSTAD (presso la porta dell’anticamera) Ma è completamen-
te fuori di senno!
DOTTOR STOCKMANN Fuori dalla finestra, signor Aslaksen! Sal-
ti, le dico! Prima o poi deve saltare.

37
Se Tomas vuole far saltare Hovstad «fuori dalla finestra» è perché lo stu-
dio è situato a piano terra.
406 HENRIK IBSEN

ASLAKSEN (corre intorno allo scrittoio) Temperanza, signor dot-


tore; io sono un uomo delicato; sopporto così poco – (Grida.)
Aiuto, aiuto!

(La signora Stockmann, Petra e Horster arrivano dal soggiorno.)

SIGNORA STOCKMANN Che Dio mi guardi, Tomas, che sta succe-


dendo qui!
DOTTOR STOCKMANN (agita l’ombrello) Salti fuori, le dico! Giù
nella melma!
HOVSTAD Un assalto contro un uomo innocente! Lei mi farà da
testimone, capitano Horster.

(Si affretta fuori attraverso l’anticamera.)

ASLAKSEN (perplesso) Se uno conoscesse almeno la pianta del-


l’abitazione –

(Se la svigna attraverso il soggiorno.)

SIGNORA STOCKMANN (trattiene il dottore) Insomma, Tomas,


controllati!
DOTTOR STOCKMANN (getta l’ombrello) Eppure ce l’hanno fatta
a sfuggirmi, per l’anima mia.
SIGNORA STOCKMANN Ma che cos’era che volevano da te?
DOTTOR STOCKMANN Lo saprai più tardi; adesso ho altre cose
cui pensare.38 (Va verso il tavolo e scrive su un biglietto da visi-
ta.) Guarda qui, Katrine; che c’è scritto?
SIGNORA STOCKMANN Tre grandi No; che significa?
DOTTOR STOCKMANN Anche questo lo saprai più tardi. (Porge il
biglietto.) Ecco, Petra; dì a quella sporca di fuliggine di recapi-
tarlo di corsa al tasso, il più in fretta che può. Muoviti!

(Petra esce con il biglietto attraverso l’anticamera.)

DOTTOR STOCKMANN Be’, se oggi non ho avuto la visita di tutti i


messaggeri del demonio, non saprei proprio dire. Adesso, però,

38
Consueto dispotismo maschile di Tomas (cfr. n. 5). Poco prima, parlando
con il suocero, aveva detto che avrebbe parlato della cosa con la moglie, che
si sarebbe consigliato con lei, ma poi, in definitiva, decide tutto da solo per la
soluzione intransigente, che pure coinvolge pesantemente l’intera famiglia.
UN NEMICO DEL POPOLO 407

appuntirò la mia penna contro di loro, la farò diventare uno sti-


letto; l’intingerò nel veleno e nel fiele; scaglierò il calamaio drit-
to sulla loro zucca!
SIGNORA STOCKMANN Sì, ma noi partiamo, Tomas.

(Ritorna Petra.)

DOTTOR STOCKMANN E allora?


PETRA Eseguito.
DOTTOR STOCKMANN Bene. – Partiamo, dicevi? No, sangue di
Cristo, non lo faremo; rimaniamo dove siamo, Katrine!
PETRA Rimaniamo!
SIGNORA STOCKMANN Qui in città?
DOTTOR STOCKMANN Sì, proprio qui; qui è il campo di battaglia;
qui si deve combattere; qui voglio ottenere la vittoria! Non ap-
pena avrò i miei pantaloni ricuciti, andrò in città a cercare casa;
dobbiamo pur avere un tetto sulla testa per l’inverno.
HORSTER Può trovarlo presso di me.
DOTTOR STOCKMANN Dice davvero?
HORSTER Sì, con molto piacere; ho abbastanza spazio, e io non
sono quasi mai a casa.
SIGNORA STOCKMANN Oh, com’è gentile da parte sua, Horster.
PETRA Grazie!
DOTTOR STOCKMANN (gli stringe la mano) Grazie, grazie! Dun-
que, anche questa preoccupazione è svanita. Allora posso co-
minciare sul serio già da oggi. Oh, qui ci vorrà un’infinità per ri-
pulire, Katrine! Ma è un bene che in questo periodo avrò così
tanto tempo a mia disposizione; sì perché, guarda qui; sono li-
cenziato dalle terme, devi saperlo –
SIGNORA STOCKMANN (sospira) Oh, me l’aspettavo.
DOTTOR STOCKMANN – e vogliono anche togliermi l’attività
professionale. Ma che facciano pure! Manterrò comunque la
povera gente, – quelli che non pagano niente; e, Signore Iddio,
sono loro ad avere maggiormente bisogno di me. Ma, sangue di
Cristo, il permesso di ascoltarmi, quello l’avranno; predicherò
per loro a tempo opportuno e non opportuno, come sta scritto
da qualche parte.39

39
I tide og i utide, «a tempo opportuno e non opportuno». Altro riferimento
blasfemo di Stockmann alle Scritture (S. Paolo, Seconda Lettera a Timoteo, 4,
2). (Sandra Colella)
408 HENRIK IBSEN

SIGNORA STOCKMANN Ma, caro Tomas, credo che tu abbia visto


a cosa serva predicare.
DOTTOR STOCKMANN Sei proprio ridicola, Katrine. Forse dovrei
lasciarmi mettere fuori combattimento dall’opinione pubblica
e dalla maggioranza compatta e da qualche altra diavoleria del
genere? No, grazie, stanne pur certa! E poi, quel che voglio è
così semplice, chiaro e facile. Voglio cacciare in testa ai bastardi
che i liberali sono i nemici più subdoli degli uomini liberi, – che
i programmi di partito strozzano tutte le verità giovani e vitali,
– che le considerazioni opportunistiche capovolgono l’etica e la
giustizia e così, alla fine, diventa veramente orribile vivere qui.
Ecco, non pensa, capitano Horster, che dovrei riuscire a far ca-
pire questo alla gente?
HORSTER Può essere; non capisco granché di cose del genere.
DOTTOR STOCKMANN Ma sì, vede, – mi stia a sentire! Sono i
capi di partito che devono essere tolti di mezzo. Perché un
capo di partito è come un lupo, capisce, – come un ingordo
lupo; – ogni anno ha bisogno di tante e tante bestiole, se vuo-
le vivere. Guardi soltanto Hovstad e Aslaksen! Quante be-
stiole non si fanno specie di ammazzare, quelli; oppure le sfi-
gurano e le lacerano a tal punto da ridurle a non essere
nient’altro che proprietari di case e abbonati all’«Araldo del
popolo»! (Si siede a metà sul tavolo.) No, vieni qui, Katrine, ti
prego, – guarda quanto è bello il sole che entra qui dentro,
oggi. E poi l’aria primaverile, che mi riempie, fresca e bene-
detta.
SIGNORA STOCKMANN Sì, se soltanto potessimo vivere della lu-
ce del sole e dell’aria di primavera, Tomas.
DOTTOR STOCKMANN Certo, dal canto tuo dovrai risparmiare fi-
no all’ultimo centesimo, – ma andrà bene. È la mia minore
preoccupazione, questa. No, la cosa peggiore è un’altra, questa
che non conosco nessun uomo così libero e nobile che oserà
continuare la mia opera dopo di me.
PETRA Oh, non pensarci, papà; hai tempo davanti a te. – Guar-
da, ecco qui i ragazzi.

(Ejlif e Morten entrano dal soggiorno.)

SIGNORA STOCKMANN Avete avuto un permesso oggi?


MORTEN No; ma abbiamo fatto a botte con gli altri durante la ri-
creazione –
EJLIF Non è vero; sono stati gli altri a fare a botte con noi.
UN NEMICO DEL POPOLO 409

MORTEN Sì, e così il signor Rørlund ha detto che sarebbe stato


meglio rimanere qualche giorno a casa.40
DOTTOR STOCKMANN (schiocca le dita e salta giù dal tavolo) Ec-
co l’idea! Ecco l’idea, per l’anima mia! Non metterete mai più
piede a scuola, voi!
RAGAZZI Mai più a scuola!
SIGNORA STOCKMANN No, ma, Tomas –
DOTTOR STOCKMANN Mai, ho detto! Sarò io stesso il vostro in-
segnante; – sì, significa che non dovrete imparare più niente di
ciò che Dio ha creato –
MORTEN Urrà!
DOTTOR STOCKMANN – Ma io vi renderò liberi, nobili uomini. –
E tu, Petra, mi aiuterai a farlo.
PETRA Sì, papà, ci puoi contare.
DOTTOR STOCKMANN E la scuola, la si può organizzare nella sa-
la dove mi hanno ingiuriato come nemico del popolo. Ma dob-
biamo essere più numerosi; devo avere almeno dodici ragazzi
per cominciare.41
SIGNORA STOCKMANN Ma non riuscirai a trovarli qui in città.
DOTTOR STOCKMANN Questo è da vedere. (Ai ragazzi.) Non co-
noscete nessuno zotico di strada, – nessun accattone vero e pro-
prio –?
MORTEN Come no, papà, io ne conosco molti!
DOTTOR STOCKMANN Ecco, benissimo; portamene qualche
esemplare. Per una volta tanto voglio sperimentare con i bastar-
di; talora possono esserci teste straordinarie in mezzo a loro.
MORTEN Ma che faremo quando saremo diventati liberi e nobili
uomini?
DOTTOR STOCKMANN Dovrete cacciare via tutti i lupi, lontano,
nel lontano Ovest, ragazzi!

(Ejlif guarda un po’ preoccupato; Morten salta e grida urrà.)

SIGNORA STOCKMANN Oh, speriamo che non siano i lupi a cac-


ciare via te, Tomas.
40
Licenziato Tomas, licenziata Petra, licenziato il capitano, annullato il con-
tratto di affitto per l’alloggio, e alla fine licenziati anche i figli che vanno a
scuola. In verità troppi licenziamenti per essere veri. La visione di questa so-
cietà così compattamente ipocrita e crudele è caricaturale. I voltagabbana
Hovstad e Aslaksen sono troppo scopertamente voltagabbana. È un’altra
spia che si tratta di un testo minore.
41
Allusione blasfema ai dodici apostoli. A partire dal termine del IV atto
(cioè dalla sua sconfitta), Stockmann si paragona alla figura di Cristo: cfr. n.
28. (Sandra Colella)
410 HENRIK IBSEN

DOTTOR STOCKMANN Katrine, tu sei completamente pazza! Cac-


ciare via me! Adesso, quando sono l’uomo più forte della città!
SIGNORA STOCKMANN Il più forte – adesso?
DOTTOR STOCKMANN Sì, oso dire una parola così grossa, che
adesso sono uno degli uomini più forti di tutto il mondo.
MORTEN Davvero!
DOTTOR STOCKMANN (abbassa la voce) Zitti; non dovete ancora
parlarne; ma ho fatto una grande scoperta.
SIGNORA STOCKMANN Ancora un’altra?
DOTTOR STOCKMANN Sicuro, sicuro! (Li raccoglie intorno a sé e
dice confidenzialmente:) La cosa è questa, vedete, che l’uomo
più forte al mondo, è quello, che sta più solo.42
SIGNORA STOCKMANN (sorride e scuote il capo) Oh, Tomas –!
PETRA (fiduciosa, afferra le sue mani) Papà!43

42
La frase den stærkeste mand i verden, det er han, som står mest alene, «l’uo-
mo più forte al mondo, è quello, che sta più solo», riecheggia una frase che si
trova nella lettera che Ibsen spedisce a G. Brandes il 4 aprile 1872: den ensom-
me er den stærkeste, «il più solo è il più forte». Nella lettera Ibsen si schiera a
favore della battaglia culturale condotta dal critico danese per l’affermazione
di una letteratura moderna, osteggiata sia dalla stampa liberale che dagli am-
bienti accademici del tempo (cfr. ISV, XVII, pp. 30-33). (Sandra Colella)
43
La megalomania del personaggio sfiora la pazzia, ma il sigillo finale con-
trappone una moglie sempre più distante a una figlia appassionata (fanta-
smaticamente incestuosa: cfr. n. 18). Ma è solo uno spunto, che non riscatta
un testo confuso, che procede per accumulo di materiali. Il V atto è del tutto
appiccicato dall’esterno, posticcio. La vicenda è finita con la grande scena-
madre del IV, dello scontro nel corso dell’assemblea popolare. Ibsen ha re-
plicato l’invenzione fantastica de I sostegni della società, ma con esiti diversi:
là il contrasto con la folla è il trampolino di lancio per il trionfo del protago-
nista; qui è l’occasione della sua sconfitta. Ma Ibsen sembra incapace di chiu-
dere la vicenda sullo scacco finale, e aggiunge un V atto – appunto posticcio,
artificioso – in cui ricomincia da capo. Con un nuovo colpo di scena, il quasi
suocero Morten Kiil ha comperato le azioni delle Terme a prezzi stracciati.
Tomas è stato messo nell’angolo ma le sue critiche hanno comunque convin-
to il mercato azionario, che si è disfato rapidamente dei titoli. In questo mo-
do Tomas è sottoposto a una seconda prova (di cui drammaturgicamente non
c’era bisogno). Se Tomas rinnega le sue critiche, quelle azioni riacquistano
valore, e diventano sue (meglio, dei suoi figli); se tiene duro, di fatto condan-
na alla miseria l’intera famiglia. Tomas resta fedele a sé stesso, ma, così fa-
cendo, il nemico del popolo risulta anche il nemico della propria famiglia.
Andranno ad abitare nella casa di proprietà del Capitano, ma non è chiaro
come vivranno. Per di più Tomas vuole anche prendersi cura dei bambini de-
relitti, come avverrà similmente ai coniugi Allmers de Il piccolo Eyolf. Ma
quelli sono agiati possidenti, mentre il dottor Stockmann è povero in canna.
Sala da pranzo

Anticamera

Stanza
di
Stanze interne soggiorno
Stanza
da
lavoro

Spettatori
Un nemico del popolo - I°, II° atto

Ingresso dall’esterno Interno stamperia

Porta a vetri

Redazione Ufficio
Billing
del
giornale

Spettatori
Un nemico del popolo - III° atto
Anticamera
Uscita esterna

Grande sala

Uscita
secondaria

Spettatori
Un nemico del popolo - IV° atto

Anticamera

Stanza
Stanza
di
da
soggiorno lavoro

Spettatori
Un nemico del popolo - V° atto
L’ANITRA SELVATICA
(1884)
Dramma in cinque atti
Traduzione di Giuliano D’Amico*

* Le note sono a cura di Roberto Alonge. Alcune note sono a cura del tra-
duttore e ne viene data indicazione.
PERSONAGGI

IL GROSSISTA WERLE, imprenditore ecc.


GREGERS WERLE, suo figlio
IL VECCHIO EKDAL
HJALMAR EKDAL, figlio del vecchio, fotografo
GINA EKDAL, moglie di Hjalmar
HEDVIG, loro figlia, 14 anni
LA SIGNORA SØRBY, governante del grossista
RELLING, medico
MOLVIK, ex studente di teologia
IL CONTABILE GRÅBERG
PETTERSEN, cameriere del grossista
IL CAMERIERE AGGIUNTO JENSEN
UN SIGNORE GRASSO
UN SIGNORE CALVO
UN SIGNORE MIOPE
ALTRI SEI SIGNORI, ospiti a pranzo in casa del grossista
ALTRI CAMERIERI AGGIUNTI

Il primo atto si svolge in casa del grossista Werle, i quattro successivi in ca-
sa del fotografo Ekdal.
PRIMO ATTO

(In casa del grossista Werle. Una stanza da lavoro arredata in


modo lussuoso e confortevole; librerie e mobili1 imbottiti; uno
scrittoio con carte e documenti al centro della stanza; lampade
accese con paralumi verdi, che illuminano la stanza con luce
soffusa. In fondo una porta a due battenti 2 aperta, con tende
scostate. Oltre la porta si vede un grande salotto elegante, forte-
mente illuminato da lampade e candelabri. In proscenio, a de-
stra nella stanza da lavoro, una piccola porta tappezzata immet-
te negli uffici. In proscenio, a sinistra, un caminetto con carboni
accesi e più verso il fondo una controporta che immette nella
sala da pranzo.)

(Il cameriere del grossista, Pettersen, in livrea, e il cameriere ag-


giunto Jensen, in nero,3 mettono in ordine la stanza da lavoro. Nel-
la sala più grande altri due o tre camerieri riordinano e accendono
parecchie candele. Dalla sala da pranzo si sentono discorsi confusi
e risate di molte persone; si sente battere un coltello contro un bic-
chiere; si fa silenzio; si tiene un discorso di brindisi; urla di “bravo”
e di nuovo conversazioni indistinte.)

1
Per «mobili» sono qui da intendersi essenzialmente poltrone e sofà.
2
Ibsen distingue tra fløjdør, «porta a due battenti», ovviamente più lussuosa,
che apre sul grande salotto, e la dobbeltdør, letteralmente «doppia porta»,
cioè «controporta», porta aggiunta a riparo dal freddo e dai rumori, che met-
te in comunicazione con la sala da pranzo. Il termine è raro perché indica un
livello di magnificenza che è solo di questo ambiente (3 frequenze, una quar-
ta ne Il piccolo Eyolf). Una sorta di doppia porta è presente però anche nello
spazio mansardato di Hjalmar, a proteggere dal freddo del contiguo solaio
dove abita l’anitra.
3
«In nero», in abito nero, cioè in marsina.
416 HENRIK IBSEN

PETTERSEN (accende una lampada sul caminetto e vi pone sopra


il paralume) No senta solo, lei, Jensen; il vecchio si è alzato da
tavola e proppone4 un lungo brindisi alla signora Sørby.
CAMERIERE AGGIUNTO JENSEN (sposta in avanti una poltrona)
È forse vero, come la gente dice, che c’è qualcosa tra loro due?
PETTERSEN Lo sa il demonio.
JENSEN Perché sembra che lui sia stato un bel caprone5 ai suoi
tempi.
PETTERSEN Forse.
JENSEN È ben per suo figlio che ha organizzato questo pranzo,6
dicono.
PETTERSEN Sì. Il figlio è arrivato ieri.
JENSEN Non ho mai saputo che il grossista Werle avesse figli.
PETTERSEN Certo, ha un figlio. Ma è sempre rintanato lassù allo
stabilimento di Højdal.7 Non è mai stato in città in tutti gli anni
che ho servito in questa casa.
UN CAMERIERE AGGIUNTO (sull’uscio dell’altra stanza) Senta,
Pettersen, qui c’è un vecchio tipo, che –
PETTERSEN (borbotta) Ma che diavolo, arriva qualcuno proprio
ora?

4
I due camerieri storpiano diverse parole, soprattutto verbi di origine stra-
niera, e parlano con inflessione dialettale. In questo caso il verbo proponere,
cioè «proporre (un brindisi)» è pronunciato come proppenere. Si tratta di
uno spostamento di accento sulla prima sillaba delle parole (legato, in questo
caso, al raddoppiamento della p), tipico del dialetto urbano di Oslo e in ge-
nerale della Norvegia sud-orientale. Più tardi i due personaggi utilizzeranno
il participio passato contratto vær’t invece di været («stato»), la variante dia-
lettale kantor invece di kontor («ufficio»), la variante popolare spandere per
spendere («offrire») e lo storpiamento dell’aggettivo gentil («gentile»), la cui
grafia imita la parlata delle classi basse del luogo: sjangtil. (Cfr. Henrik Ibsens
Ordskatt 1987, p. 33.) Abbiamo cercato di trovare un equivalente italiano uti-
lizzando diverse scorrettezze grammaticali. (Giuliano D’Amico)
5
Metafora norvegese per «libertino». D’altra parte a partire dal’immagina-
rio della mitologia greca il caprone è animale dalla intensa vita sessuale, con-
nesso con i satiri stupratori di ninfe, e poi – in era cristiana – anche personifi-
cazione del Diavolo.
6
Si tratta del middag nordico, solitamente l’unico pasto caldo della giornata
che si consuma nel pomeriggio. (Giuliano D’Amico)
7
Højdal: regione immaginaria, montagnosa e boscosa (Boyer 2006, p. 1830),
del solito mitico Nord della Norvegia che abbiamo già visto ne Un nemico
del popolo. Gregers, il figlio dell’industriale Werle, vi vive come in una sorta
di esilio, non troppo diversamente da Tomas Stockmann.
L’ANITRA SELVATICA 417

(Il vecchio Ekdal appare a destra nel salotto. Indossa un cappotto


sgualcito con il colletto alto; guanti di lana; ha in mano un bastone
e un cappello di pelliccia; sotto l’ascella un pacco di carta grezza.
Porta una parrucca sporca di colore rosso scuro e baffi grigi.)

PETTERSEN (va verso di lui) Cristo, – che vuole lei qui?


EKDAL (sull’uscio) Devo proprio andarci in ufficio, Pettersen.8
PETTERSEN L’ufficio sta chiuso da un’ora, e –
EKDAL Me l’han detto all’ingresso, vecchio mio. Ma Gråberg è
ancora là dentro. Sia gentile, Pettersen, e mi lasci passare di lì.
(Indica la porta tappezzata.) Ci son già passato altre volte.
PETTERSEN E va bene, vada. (Apre la porta.) Ma quando ha fini-
to, si ricordi di uscire dalla porta giusta, perché abbiamo ospiti.
EKDAL Ma sì, lo so, – hm! Grazie, vecchio Pettersen! Buon vec-
chio amico. Grazie. (Mormora sottovoce.) Imbecille! (Entra nel-
l’ufficio; Pettersen chiude la porta dietro di lui.)
JENSEN Anche lui sta impiegato qui?
PETTERSEN No, fa solo qualche lavoro di copiatura, quando ne
hanno bisogno. Ma da giovane era un tipo davvero distinto, il
vecchio Ekdal.
JENSEN Sì, dà l’idea di essere stato una persona importante.
PETTERSEN Certo; è stato tenente, pensi.
JENSEN Oh diavolo, – tenente!
PETTERSEN Sì perdio. Ma poi si è ficcato nel commercio di le-
gname o qualcosa del genere. D