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Riassunto

Ho scelto tale argomento in quanto, oltre al mio interesse per il suddetto, la cura delle

lesioni da decubito ha avuto un’evoluzione dal punto di vista terapeutico, in più ha

anche cambiato la posizione dell’infermiere nei confronti del paziente ed accresciuto

la sua responsabilità legislativa. Il mio lavoro è volto in primis a descrivere

dettagliatamente la malattia attraverso le sue fasi evolutive, in secundis a mostrare

l’infermiere come terapeuta del paziente e anche come sostegno per la famiglia di

quest’ultimo. Infine, ho sviluppato il tema delle lesioni da pressione, nello specifico

sulla cura e sulla prevenzione di queste.

La Lesione da decubito (L.d.D.) definita anche Ulcera da Pressione o

Compressione, è una lesione dei tessuti, caratterizzata da una evoluzione necrotica,

che interessa la cute, il derma e gli strati sottocutanei, fino a raggiungere, nei casi più

gravi, la muscolatura e le ossa. La Lesione da decubito è la conseguenza di una

elevata e/o prolungata compressione dei tessuti determinante la lacerazione del

derma nonché la compressione completa dei vasi sanguinei. Concorrono alla

formazione delle lesioni anche altri fattori come le patologie debilitanti, oppure

quelle croniche, la malnutrizione, e la disidratazione. La presenza delle lesioni da

pressione (LdP) rappresenta nella popolazione un problema sanitario di notevole

rilevanza: la sua diffusione è provata da un’incidenza e una prevalenza in costante

crescita dovute all’invecchiamento della popolazione stessa, all’elevato numero di

persone affette da malattie croniche - degenerative e all’aumento della sopravvivenza

ad eventi acuti che esitano in situazioni cliniche invalidanti. La definizione

Internazionale NPUAP-EPUAP di Lesione da Pressione è la seguente: “Lesione


localizzata alla cute e/o agli strati sottostanti, generalmente in corrispondenza di una

prominenza ossea, quale risultato di pressione, o pressione in combinazione con

forze di taglio”. La presenza delle lesioni da pressione (LdP) rappresenta nella

popolazione un problema sanitario di notevole rilevanza: la sua diffusione è provata

da un’incidenza e una prevalenza in costante crescita dovute all’invecchiamento

della popolazione stessa, all’elevato numero di persone affette da malattie croniche -

degenerative e all’aumento della sopravvivenza ad eventi acuti che esitano in

situazioni cliniche invalidanti. Per tale motivo, l’incidenza delle lesioni da pressione

è stato oggetto di uno studio approfondito attraverso varie indagini condotte in

ambito ospedaliero e territoriale. Naturalmente, l’identificazione precoce delle

persone a rischio di sviluppare LdP e la tempestiva messa in atto d’interventi

risolutivi, restano i cardini fondamentali per la prevenzione. Gli operatori sanitari

hanno l'obbligo morale e deontologico di fornire benessere, alleviare sintomi

dolorosi, e promuovere la cura bilanciando le migliori pratiche di prevenzione e

gestione delle ferite, promuovendo al contempo la dignità del paziente, l'autostima e

la qualità della vita. A tal fine risultano determinanti dei programmi di cura delle

lesioni , posti in essere da un team interdisciplinare specializzato nelle strutture di

assistenza preposte alla cura di questi individui, non dimenticando che è necessario

valutare i fattori di rischio intrinseci ed estrinseci che sono associati allo sviluppo

delle lesioni da pressione, le quali caratteristiche peculiari delle stesse lesioni variano

da soggetto a soggetto e da caso a caso, quindi occorre analizzare i fattori di rischio

che concorrono nella formazione di una LdP e che vengono comunemente suddivisi

in tre tipologie: 1. fattori locali; 2. fattori generali; 3. fattori ambientali.


Per pressione si intende una forza applicata perpendicolarmente ad una unità di

superficie. Il punto critico dello sviluppo di una ulcera da pressione si raggiunge

quando la forza comprimente esistente tra la superficie corporea ed il piano di

appoggio è più intensa della pressione del sangue nel distretto arteriolo-capillare, per

cui viene a crearsi una condizione di ischemia persistente. Nella normalità dei casi

l’ipoperfusione tissutale è tollerata dal corpo per un breve periodo di tempo, ergo,

se prolungata può sviluppare diversi episodi degenerativi quali: ipossia, acidosi,

occlusione dello sbocco articolare nel capillare e la zona diventa ischemica, compare

emorragia interstiziale con eritema fisso, accumulo di cataboliti tossici e necrosi

cellulare. In tali situazioni si determinano chiusura dei vasi sanguigni, danno

endoteliale, edema interstiziale, autolisi e necrosi cellulare; l’occlusione dei vasi

linfatici aggrava l’accumulo dei cataboliti tossici, l’anaerobiosi e l’acidosi tessutale.

Le alterazioni infiammatorie che si verificano sono mediate da neutrofili ed

eosinofili; l’aggregazione piastrinica nei vasi compressi, il cui endotelio è

danneggiato, determina la formazione di microtrombi e la diminuzione dell’attività

fibrinolitica favorendo la deposizione di fibrina. Nella formazione dell’ulcera da

pressione è fondamentale il fattore tempo, in quanto l’applicazione di una bassa

pressione per un periodo prolungato di tempo è maggiormente dannoso rispetto

all’applicazione di una pressione elevata per un periodo breve. Il danno tessutale

compare quando viene superata una soglia data dal prodotto della pressione per il

tempo. Va sottolineato che accreditati studi sulla cura delle lesioni concordano sul

fatto che le ulcere da pressione che si verificano a fine vita sono spesso inevitabili e

in gran parte attribuibili a fragilità e condizioni compromesse dell'individuo e

inoltre, non è inaspettato vedere qualche deterioramento delle condizioni della ferita,
nonostante la cura. Accanto alle modificazioni della cute spesso nel paziente anziano

si associano più fattori di rischio, in particolare la riduzione della mobilità, che

facilitano la comparsa di lesioni. I pazienti con malattie arteriose o comunque

circolatorie e i pazienti con ipotensione, presentano alta probabilità di sviluppare una

lesione da decubito anche a seguito di una ridotta perfusione tissutale. Anche le

malattie croniche, quali il diabete e l’insufficienza renale, o malattie neurologiche e

neuromuscolari, condizioni di ipossia tissutale e di incontinenza urinaria sono

associate ad incremento dell’incidenza di sviluppo di lesioni da decubito. Ogni

malattia o condizione che riduca nel paziente l’abilità a muoversi liberamente

aggrava il rischio di insorgenza di lesione da decubito. La compromissione dello

stato mentale, le malattie neurologiche, la sedazione farmacologica, il dolore, le

fratture ossee, in particolare quella del femore, diminuendo la mobilità del soggetto

costituiscono fattori di rischio per la comparsa di lesione. I pazienti anziani

immobilizzati a seguito di ictus, i pazienti anziani terminali allettati sono

particolarmente a rischio.

Le lesioni da decubito compaiono potenzialmente in tutti i punti in cui si realizza la

frizione del corpo con i piani di appoggio, anche se più del 95% delle lesioni si

localizzano sulle prominenze ossee. Tale premessa è importante al fine di conoscere

e trattare e distinguere la gravità delle lesioni da decubito utilizzando una

classificazione a valenza internazionale, pertanto la classificazione adottata in questo

protocollo aziendale è conforme alle indicazioni fornite dal E.P.U.A.P. (European

Pressure Ulcer Advisory Panel), tratte a loro volta dal N.P.U.A.P. National Pressure

Ulcer Advisory Panel.

La lesione viene suddivisa in 4 stadi sotto elencati:


Anche la misurazione della lesione da pressione è fondamentale per preparare un

piano d’intervento e si devono rilevare anche la Lunghezza, ampiezza e profondità.

Per quanto riguarda i cambiamenti che hanno investito il SSN hanno portato grandi

modifiche sul piano organizzativo e professionale infermieristico, questo non solo

nella gestione generale del paziente, ma soprattutto nella gestione e cura delle piaghe

da decubito. La responsabilità assegnata all’infermiere per legge riguarda nello

specifico la valutazione, pianificazione, monitoraggio dell’assistenza alla persona e

comporta che, se necessario, al momento dell’attribuzione di un compito-attività ad

un operatore di supporto, l’infermiere valuti la sua capacità tecnico professionale

mantenendo le funzioni di controllo e la possibilità di intervenire sull’operato.

Questo significa che quando l’infermiere si avvale di operatori di supporto, deve

costantemente e preventivamente verificare il livello di competenza di tali figure,


discernere attentamente se e quali mansioni affidare e garantire sistematica e

adeguata supervisione su quanto in via di effettuazione, mantenendo comunque la

responsabilità dei risultati. Nel caso del trattamento delle lesioni da pressione,

l’infermiere ha la responsabilità del caso, della pianificazione dell’assistenza, e

l’OSS ha la responsabilità esecutiva. In dettaglio, l’infermiere esegue la valutazione

della lesione, pianifica il trattamento locale sulla base della valutazione complessiva

dell’individuo e degli obiettivi di trattamento. L’OSS può eseguire delle medicazioni

semplici (a piatto) come ad esempio la medicazione delle lesioni di

categoria/grado/stadio 1, sulla base delle indicazioni derivate dalla pianificazione

infermieristica, può assistere l’infermiere nell’esecuzione delle medicazioni

complesse, ma non può effettuare le stesse se non nel caso della sostituzione della

medicazione qualora questa si presenti sporca o staccata e l’infermiere è impegnato

in maniera inderogabile/assente. La prevenzione ed il trattamento delle lesioni da

pressione (LdP) rappresentano, in tutti i setting di cura, a partire dall’ambito

ospedaliero fino all’assistenza domiciliare o alle Strutture Residenziali, un problema

rilevante, che richiede un notevole impegno gestionale in termini di risorse umane,

materiali e tecnologiche. Uno dei primi obiettivi che il professionista deve perseguire

al momento della presa in carico della persona è un’accurata valutazione clinica.

Questa valutazione deve orientarsi in special modo alla identificazione dei soggetti a

rischio di sviluppare lesioni da pressione: si definisce a rischio quel soggetto che a

causa di uno stato patologico presenta fattori generali, quali l’ipomobilità o la ridotta

capacità motoria, o locali tali da esporlo maggiormente all’insorgenza delle lesioni

da pressione. Particolare attenzione deve essere posta quindi nell’identificazione dei

principali fattori di rischio locali quali ad esempio frizione, scivolamento, umidità,


ipoperfusione sanguigna, edema, ecc. ed alle seguenti patologie/sintomi che possono

favorirne l’insorgenza e/o rallentarne/ostacolare la guarigione quindi, bisogna attuare

una scala di valutazione del rischio che garantisce una situazione globale della

situazione di salute del soggetto. I fattori di rischio identificati durante la fase di

valutazione costituiscono la base per lo sviluppo del piano di prevenzione che

dovrebbe coinvolgere l’assistito e la sua famiglia allo scopo di stabilire obbiettivi

comuni ed ottenere l’adesione al piano di cura. Le ulcere da pressione si sviluppano

solitamente in corrispondenza delle prominenze ossee per cui si raccomanda di

concentrare la propria attenzione su queste aree durante l’esame del paziente:

l’ispezione cutanea infatti, dovrebbe essere basata su un esame da cima a fondo delle

aree note per essere più vulnerabili in ogni paziente. Queste aree includono

tipicamente la regione temporale e occipitale del cranio, le orecchie, le scapole, i

malleoli, le aree metatarsali, le caviglie, le dita dei piedi e i talloni. In aggiunta, sono

considerate vulnerabili anche le aree del corpo coperte da calze antitrombo o da

abbigliamento stretto, aree dove pressione, frizione e taglio siano esercitate durante

le attività di vita quotidiana e parti del corpo in contatto con attrezzature e/o presidi

medico/chirurgici. Aree aggiuntive dovrebbero essere ispezionate e determinate in

base alle condizioni individuali.

Durante gli ultimi anni, si sono avuti molteplici e continui miglioramenti dal punto di

vista sanitario, mentre si hanno ancora difficoltà per quanto riguarda l’adattamento

degli operatori. Oggi, l’infermiere italiano è un professionista con una preparazione

universitaria e con funzioni fondamentali all’interno delle diverse articolazioni del

Servizio sanitario nazionale, che vanno dalla pianificazione, sviluppo ed applicazione

dell’assistenza, alla docenza, sia “sul campo” come tutor di tirocinio e/o di
inserimento dei nuovi assunti che nelle aule, fino alla dirigenza dei servizi. Per

quanto riguarda il concetto di responsabilità professionale in riferimento al campo

giuridico, questo sicuramente rappresenta l’ambito più conosciuto e tradizionale.

Come già rilevato, si articola in tre ambiti. Per responsabilità penale in relazione

all’esercizio professionale, si intende che l’infermiere mette in atto comportamenti

che costituiscono un reato contemplato dal Codice penale o da altre leggi

dell’Ordinamento giuridico. Essendo il diritto penale una branca del diritto pubblico

che determina in modo tassativo quali sono i comportamenti che sono puniti dalla

società, chi pone in essere questi comportamenti, chiaramente incorre

nell’assegnazione di una pena che corrisponde ad una azione sanzionatoria ed

affittiva sul colpevole. I punti sostanziali che riguardano il reato conseguente alla

condotta professionale, sono: il dolo, la colpa, la negligenza, l’imperizia,

l’imprudenza. Il passaggio storico che ha determinato il cambiamento dell’approccio

all’assistenza infermieristica, è rappresentato dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42.

Questa legge, abolendo il mansionario ha definitivamente portato al superamento del

carattere di ausiliarietà della professione infermieristica, indicando che il “campo

proprio di attività e di responsabilità” è determinato dai contenuti.

• dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali (DM 14 settembre

1994, n. 739);

• degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario (da

intendere ora come “laurea universitaria” e dei rispettivi corsi di formazione post-

base;

• dello specifico Codice deontologico.


Il professionista che opera nel wound care, oltre chiaramente ad essere tenuto sia per

motivi etico-deontologici che per motivi giuridici, ad ottemperare a quanto detto

precedentemente, deve focalizzare la sua attenzione ad ambiti precisi che riguardano

in primo luogo le competenze che permettono il giusto approccio al mondo delle

lesioni cutanee. È chiaro che con una precisa e specifica preparazione personale, si

rispetta anche il mandato del Codice deontologico.

Secondo quanto disposto dal (D.M. 739/94) l’Infermiere è “responsabile

dell’assistenza generale infermieristica”, ergo ha un ruolo importante

nell’individuazione delle azioni di prevenzione e cura delle piaghe da decubito.

Molto importanti, al fine di scongiurare le lesioni da pressione (piaghe da decubito)

sono le linee guida, queste si propongono di fornire agli operatori sanitari le più

aggiornate raccomandazioni, basate sulle evidenze scientifiche recuperate dalla

revisione della letteratura internazionale e sul consenso del team di progetto. La

prevenzione e la cura prevedono tutte le misure destinate a ridurre l’insorgere di una

malattia e/o le eventuali complicanze nella popolazione, ed è proprio questo il ruolo

dell’infermiere ridurre l’insorgere delle lesioni da pressione, ricordando che ogni

strategia preventiva deve avere origine da una corretta informazione e conoscenza

delle modalità di insorgenza della lesione. La persona assistita, la sua famiglia, il

personale di assistenza, sia medico che infermieristico che tecnico, deve essere

istruito sui meccanismi che portano all’instaurarsi della lesione da pressione e sulle

conseguenze che questo ha sui processi di guarigione e di recupero della patologia di

base.

E’ stato riscontrato in vari studi che le medicazioni nei soggetti affetti da ulcere

croniche, sono cambiate spesso, esacerbando il dolore sofferto. É stato rilevato che il
cambio della medicazione è considerato dagli infermieri l’operazione più dolorosa

nella cura delle lesioni; il dolore viene inoltre ulteriormente aggravato quando la

medicazione rimane attaccata alla lesione e quando la rimozione della medicazione

provoca lacerazione della cute. Attualmente nella pratica clinica le ulcere da

pressione sono monitorate tramite il giudizio clinico del personale sanitario, con il

supporto di strumenti di valutazione dell’ulcera da pressione e fotografie digitali. In

alcuni contesti clinici cominciano a essere disponibili dispositivi per la raccolta

digitale dei dati. La gestione del dolore include che si eseguano prestazioni

assistenziali dopo la somministrazione di farmaci antidolorifici per ridurre al minimo

il dolore percepito e le interruzioni, per il confort del soggetto. Nella gestione di

ulcere da pressione dolorose si dovrebbero considerare le medicazioni a base di

idrocolloidi, idrogel, alginati, schiume con membrane polimeriche, schiume e

silicone morbido. È raccomandata una medicazione che consenta cambi meno

frequenti. Nella gestione delle ulcere da pressione si sono studiati una quantità di

agenti biofisici. Tutti forniscono qualche forma di energia biofisica con l’obiettivo di

promuovere la riparazione. E’ importante implementare interventi preventivi e di

trattamento nel rispetto dei desideri del soggetto e in considerazione dello stato di

salute generale. Gli obiettivi della cura delle lesioni in area palliativa sono il comfort

del soggetto e la riduzione dell’impatto della ferita sulla qualità della vita, senza il

fine manifesto della guarigione.

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