Sei sulla pagina 1di 656

Just A Boy

knuttie93

1
2
CAPITOLO 1

Un uomo brizzolato e sulla quarantina guardava


imbarazzato la donna davanti a sé: in ginocchio sul
pavimento in marmo, le tendeva una scatoletta di velluto
rosso che racchiudeva al suo interno un anello,
calamitando l'attenzione di tutti i presenti.

L'intera sala del Criterion si ammutolì improvvisamente


davanti a quella scena e, soltanto quando la donna squittì
un «sì» alle fatidiche parole «Sandra, vuoi
sposarmi?», scoppiò in un fragoroso applauso. E mentre
le congratulazioni rimbalzavano da un angolo all'altro del
lussuoso ristorante e la coppia di futuri sposi si guardava
intorno soddisfatta, Louis non poté far altro che alzare gli
occhi al cielo. Secondo sua nonna Margot prima o poi
- più prima che poi, sottolineava nonno Robert - avrebbe
avuto bisogno di un controllo oculistico e di un paio di
occhi nuovi di zecca per quanto soleva abusare di quel
gesto.

A Louis, però, non importava.

Anzi, si era trattenuto quella sera! Aveva evitato di farlo


anche quando l'uomo si era inginocchiato facendo quasi
inciampare un cameriere che portava degli antipasti.
Quando, poi, aveva pronunciato quella proposta così
banale e senza neanche un preambolo che la
introducesse non aveva proprio potuto evitarlo. Era stato
tutto così ordinario, così noioso e così poco personale.
Non le aveva neanche detto quanto l'amasse o ricordato
con tenerezza come si fossero conosciuti. Quell'uomo non
conosceva affatto le basi del romanticismo e,
evidentemente, non aveva mai visto il riadattamento
cinematografico di un libro di Nicholas Sparks.

3
Cosa c'era di più noioso di una proposta di matrimonio in
uno dei ristoranti più lussuosi di Londra, dove una
cinquantina di estranei assistevano curiosi a un evento
così intimo?

Nulla, si rispose trattenendo uno sbadiglio. Forse,


aspettare l'arrivo del proprio fidanzato al suddetto
ristorante.

Mentre i camerieri attraversavano indaffarati la grande


sala e non gli risparmiavano occhiate piene di
compassione per la sua solitudine, Louis si chiese cosa ci
facesse ancora lì. La camicia bianca e abbottonata fino al
collo cominciava a dargli fastidio, i pantaloni eleganti e
grigi gli prudevano sulle cosce tornite e le scarpe
stringate che indossava ai piedi erano fin troppo rigide.
Un colletto inamidato e scarpe non italiane: una giusta
punizione per lui dal momento che aveva accettato
quell'invito per scappare dal suo appartamento e
dall'accesa discussione avuta con il suo coinquilino. In
quel momento, con le urla di Julian ancora a rimbombare
nelle sue orecchie, gli era sembrata una buona idea
andare a cena fuori, ma alla luce dei fatti poteva
affermare con sicurezza che non lo fosse stata.

Sinceramente, Louis aveva buone idee raramente.

Ora il karma faceva il suo dovere, punendolo non solo


fisicamente – dannata camicia e dannate scarpe! – ma
anche sentimentalmente dal momento che aveva assistito
a una proposta di matrimonio seduto da solo a un tavolo
per due. Agli occhi dei presenti doveva sembrare proprio
uno sfigato. E, in realtà, era lui stesso a sentirsi in quel
modo perché aveva impiegato un'intera ora a rendersi
presentabile e a vestirsi da adulto soltanto per Lui,
soltanto per vedere il suo sorriso e quella particolare
scintilla nei suoi occhi color caramello. Ogni sforzo per
sembrare più uomo e abbandonare quell'aspetto da
ragazzo scapestrato si era rivelato vano perché la
4
poltroncina davanti alla sua era ancora vuota e il cellulare
non aveva mai squillato. Louis non era un grande esperto
di tirocini presso gli studi legali più importanti di Londra -
le sue nozioni in giurisprudenza si fermavano a ciò che
apprendeva nelle serie legal drama che guardava - ma
dubitava che le riunioni si protraessero fino alle nove
inoltrate della sera.

Tuttavia, quei dubbi li teneva per sé.

Non poteva esprimerli davanti all'instancabile Ian


Graham, laureatosi con il massimo dei voti in legge
soltanto un anno prima e paladino del diritto inglese: a lui
piaceva essere sfruttato dal signor Johnson o dai suoi soci
ed era felice così. «È uno degli studi più importanti di
Londra e devo fare qualche sacrificio ora per essere
ripagato tra qualche anno!» era la frase più gettonata
degli ultimi mesi. Nell'anno precedente Louis aveva
imparato a non ribattere quando usava quel tono solenne
e a non intromettersi nel suo lavoro: così come gli diceva
sempre Ian, non avrebbe mai capito i meccanismi che si
celavano dietro il suo tirocinio o lo studio legale per il
quale lavorava.

Osservava in silenzio, però. Louis osservava tutto.

Notava che Ian si trasformasse in una scimmia


ammaestrata durante le cene di lavoro quando era il
signor Johnson in persona a chiedergli di occuparsi di
scartoffie noiose. Louis non lo sopportava, ma il suo
compito era semplicemente stargli accanto, stringergli la
mano e metter su un sorriso finto. Lo stesso sorriso che
aveva anche in quel momento, mentre guardava
distrattamente la carta da parati sontuosa che ricopriva le
pareti del Criterion.

Un bip lo ridestò all'improvviso dai suoi pensieri e lo


schermo del suo cellulare si illuminò per un messaggio
proveniente dalla persona sbagliata.
5
Lou, lascia stare quel damerino e vieni alla mia festa!

Louis affondò gli incisivi nel suo sottile labbro inferiore,


mentre cercava di trattenere a stento un sorriso: Niall
non sarebbe mai cambiato, dopotutto. Non lo vedeva da
due interi mesi, da quando, dopo la sua laurea in
medicina e il test per entrare a Medicina d'emergenza,
era tornato nei sobborghi di Manchester per la nascita di
suo nipote: non avevano mai trascorso così tanti giorni
distanti e gli era mancato terribilmente. In tre anni era
diventato la sua roccia, il suo punto fermo e ciò che si
avvicinava di più all'idea di famiglia a Londra. Aspirante
medico di giorno e animale da festa di notte, c'era
sempre stato per lui, forse anche più di Ian: c'era quando
un esame andava male e lo consolava con delle patatine
fritte e un hamburger, c'era quando il suo coinquilino gli
faceva saltare i nervi, c'era quando era felice. Anzi, nella
maggior parte dei casi, era proprio Niall a renderlo felice.
Non andavano sempre d'accordo: Louis era un sognatore
mentre Niall era decisamente più pragmatico, ma non
aveva mai trovato un'altra persona così diversa da lui e
che al contempo gli piacesse così tanto. Lo completava, lo
migliorava e gli faceva credere che prima o poi avrebbe
smesso di alzare gli occhi al cielo così spesso.

Dopo quel messaggio ne arrivò un altro, poi un altro


ancora, uno più sgrammaticato dell'altro e significava
soltanto una cosa: la festa di bentornato organizzata a
casa sua soltanto un'ora prima stava procedendo a gonfie
vele. Louis sperò soltanto che Lisa, la ragazza di Niall,
riuscisse a trattenerlo dal fare stupidaggini: anni prima, a
causa delle cinque birre che aveva ingollato, era salito su
un tavolo ed era balzato giù finendo sul pavimento con il
mento rotto. Niall non ricordava nulla di quella serata -
eppure, il suo sangue irlandese avrebbe dovuto renderlo
più resistente alle sbronze - ma la piccola cicatrice che
aveva sotto il mento lo avrebbe fatto per lui per tutta la
vita. Louis non capì molto leggendo quei messaggi,

6
soltanto che si stava divertendo e che aveva portato una
sorpresa da Manchester.

Escludendo qualcosa di illegale perché aveva dovuto


superare i controlli dell'aeroporto e non si addiceva alla
sua nuova immagine di specializzando rispettabile, Louis
non riuscì proprio a immaginare quale fosse quella
sorpresa. Pensò allo stufato di agnello di sua madre,
Maura, e già sentiva l'acquolina in bocca. Pensò a un
gatto o a un cane e già moriva dalla voglia di coccolarli.
Pensò persino a un possibile matrimonio tra Niall e Lisa o
all'arrivo di un marmocchio. A quell'eventualità il suo
cuore cominciò a battere in modo erratico.

Alcuni istanti dopo, lanciando un'occhiata ai presenti che


ignoravano del tutto la sua confusione, decise di scoprirlo
da sé.

Quando Louis uscì dal Criterion, fu felice di respirare l'aria


fresca settembrina di Londra.

Si strinse nel suo trench color sabbia, quello delle grandi


occasioni, che Ian gli aveva regalato lo scorso Natale e
che era costato più di una rata della sua retta
universitaria, e si incamminò verso casa di Niall. Lesse i
messaggi di Ian che lo informavano di essere ancora
bloccato in ufficio e di non averlo potuto avvertire prima e
sistemò il cellulare in tasca. E grazie tanto, mugugnò:
quella volta non lo avrebbe perdonato molto facilmente.
Non si sarebbe lasciato convincere dal suo sguardo
intenso o dal sorriso malizioso ai quali non sapeva proprio
resistere abitualmente, né dal suo fisico statuario o da
quel fondoschiena che tanto amava. Le sue guance si
scaldarono al solo pensiero, ma recuperò la sua
compostezza non appena uscì dalla metro e respirò l'aria
di Brick Lane.

7
Gli era sempre piaciuta quella zona di Londra, anche
perché il suo palazzo e quello di Niall erano a pochi isolati
di distanza tra loro. Gli piaceva anche camminare in
quelle strade piene di vita, dove il giorno e la notte non
mostravano poi grandi differenze: Brick Lane era
diventata un calderone di culture diverse che si
intrecciavano tra loro, di studenti, di artisti e di mercati
all'aperto, dove lui si perdeva ogni mattina prima di
frequentare le sue lezioni universitarie. La giovialità di
quel quartiere gli ricordava leggermente Eastbourne, la
sua città natale. Tuttavia, quest'ultima scoppiava di vita
soltanto nel periodo estivo prima di prepararsi al lungo
letargo invernale. Brick Lane, invece, non si fermava
neanche per un istante: ogni mattina le sue strade si
affollavano per il mercato o per i tanti progetti che
miravano a riqualificare l'area, mentre la sera una
moltitudine di locali accoglieva i suoi avventori fino
all'alba. Brick Lane e le persone che la frequentavano
erano alla mano, in netto contrasto con la Londra per
bene e altezzosa che imparava a conoscere alle noiose
cene di Ian.

Giunto al palazzo di Niall, spinse il portone principale


socchiuso ed entrò senza troppi complimenti prima di
intrufolarsi nel vecchio ascensore. Man mano che saliva,
Louis sentiva la musica proveniente dall'appartamento
farsi sempre più forte e si chiese come i vicini non si
lamentassero mai di quel fracasso. E li invidiava al suo
migliore amico perché lui non aveva il permesso di
ascoltare neanche la televisione ad alto volume: quel
mostro del suo coinquilino soffriva persino di emicranie
improvvise. Scuotendo la testa al pensiero di Julian,
decise di concentrarsi sul presente e sulla figura che lo
specchio dell'ascensore rifletteva.

Passò le mani tra i capelli sapientemente modellati in un


ciuffo portato all'indietro per scompigliarli e con un
fazzoletto ripulì il correttore che nascondeva tre piccoli
nei, somiglianti tanto a delle lentiggini, presenti sotto il

8
suo zigomo sinistro. Niall diceva sempre che lo rendevano
più affascinante o intellettuale, Louis non faceva altro che
alzare gli occhi al cielo in risposta: per lui erano soltanto
la dimostrazione tangibile del fatto che non fosse
perfetto. Si spogliò del trench, arrotolò frettolosamente i
polsini della camicia bianca per scoprire i suoi avambracci
e ne sbottonò il colletto: fu come tornare a respirare dopo
una lunga apnea, fu come ritornare se stesso con i suoi
pregi e i suoi difetti.

Quando arrivò al quarto piano dello stabile, non dovette


neanche suonare il campanello perché il portone era
semplicemente accostato: lo spinse con cautela e in un
istante fu inglobato da una nube di fumo. Ridusse gli
occhi in due fessure per mettere a fuoco la ventina di
persone che ballavano e chiacchieravano distrattamente
nella zona giorno, mentre l'appartamento non sembrava
mai essere stato così piccolo prima d'ora. Alla sua sinistra
un tavolo bianco era pieno di alcolici e snack, mentre sui
mobili della parete attrezzata della cucina c'erano
soltanto delle confezioni vuote, la televisione era accesa
senza volume e il divano era occupato da un gruppetto di
persone che chiacchieravano a voce alta. Oltre il corridoio
si intravedevano tre porte chiuse, quelle di un bagno e
due camere da letto: Louis sperò ardentemente che Niall
non avrebbe avuto un coinquilino quell'anno dal momento
che spesso e volentieri occupava quella seconda stanza.
Non era un granché, così come non lo era qualsiasi
appartamento che si affittava agli studenti, ma la sua
posizione era comoda. Non era ben arredato come nelle
riviste d'architettura patinate, ma era ciò che più si
avvicinava a una casa per loro due: c'erano Niall e Louis e
questo bastava.

Riuscì a compiere soltanto qualche passo prima di


ricevere un bicchiere da Nick, un collega d'università di
Niall, che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare in
quegli anni. Era molto socievole con chiunque -
soprattutto con Louis, nonostante conoscesse il suo

9
fidanzato - ma non oltrepassava mai i limiti. Non lo
infastidiva quell'atteggiamento, anzi. Era simpatico e le
tecniche stereotipate che utilizzava per rimorchiare
qualcuno nei bar e nei club lo facevano sempre sorridere.
Era certo che, se non avesse usato così tanti cliché,
avrebbe sicuramente fatto colpo su qualcuno un giorno:
dopotutto, i capelli castani modellati in un ciuffo che
sfidava la gravità e il fisico statuario lo aiutavano la
maggior parte delle volte.

«Guarda, guarda. Tomlinson ha rispolverato il suo abito


migliore per l'occasione ed è diventato un adulto.» lo
canzonò, squadrandolo dalla testa ai piedi e facendo un
veloce cenno al trench che stringeva tra le mani.

«Prima o poi dobbiamo crescere tutti, Nick.» ribatté, poi


alzò il bicchiere nella sua direzione e lo buttò giù tutto
d'un sorso, accorgendosi che fosse rum liscio soltanto
quando la sua gola bruciò.

«E chi l'ha detto?»

«La società?» azzardò sbrigativo: non aveva molto tempo


per Nick quella sera, l'importante era trovare il suo
migliore amico, abbracciarlo e dirgli quanto gli fosse
mancato. «Dov'è Niall?»

«Non lo so.» Nick fece spallucce per poi guardarsi


intorno. «Se non è qui, è in bagno o nelle camere da
letto. Non ci sono molte alternative!»

Louis lo ringraziò e, evitando i numerosi drink che gli


furono offerti nel tragitto, si infilò nel corridoio per
entrare nella stanza degli ospiti e lasciare il trench.
Sapeva che Ian si sarebbe infastidito se lo avesse
sporcato in qualche modo e lasciarlo tra le persone
ubriache che affollavano la zona giorno non gli sembrava
una buona idea. Non servì accendere la luce, né guardarsi
intorno: conosceva a memoria quella stanza dal momento
10
che passava lì la maggior parte della settimana a
studiare, ascoltare musica o semplicemente riposarsi.
C'era il letto a una piazza e mezza sempre in disordine, la
scrivania piena di fogli e carte e il piccolo armadio a
muro, che non avrebbe mai aperto per non essere
sommerso dagli indumenti che Niall aveva ammucchiato
lì. Tuttavia, la luce dei lampioni che filtrava dall'unica
finestra presente lo aiutò a riconoscere il letto, dove
poggiò i suoi averi e abbandonò persino il cellulare. A
quel punto si guardò intorno distrattamente e il suo cuore
saltò un battito quando notò una figura maschile che
sostava davanti alla finestra. Louis era abituato a trovare
persone ubriache o addormentate per metà in camera di
Niall durante le loro feste, ma quel ragazzo non sembrava
né ubriaco, né addormentato. Doveva avere più o meno
la sua età, non aveva mosso neanche un muscolo e
probabilmente non si era accorto neanche della sua
presenza.

Dalla sua posizione Louis non riuscì a vedere bene il suo


volto: soltanto grazie alla luce biancastra dei lampioni
scorse dei ricci castani sfiorargli a malapena le spalle e
ammorbidirgli la linea tagliente della mandibola e il naso
dritto. Era alto e le sue spalle larghe venivano
armonizzate da una vita sottile: a mettere in evidenza il
fisico slanciato c'erano una camicia rossa a quadri e un
pantalone nero e aderente. Le maniche della camicia
arrotolate fino ai gomiti lasciavano intravedere alcuni
tatuaggi sul braccio sinistro, mentre gli anelli che portava
sulle dita riflettevano la poca luce che entrava nella
stanza.

«Ehi» si azzardò a dire, dopo essersi schiarito la voce.


«Stai bene?»

«Non dovresti essere in questa stanza.» L'altro suonò così


roco da farlo rabbrividire. «È del proprietario
dell'appartamento.»

11
«Io sono un amico di Niall.» affermò quasi per
rassicurarlo. «Di solito uso spesso questa stanza per
poggiare le mie cose durante una festa.»

«Oh, allora suppongo che vada bene.» ribatté prima di


voltarsi nella sua direzione e fare spallucce.

C'era qualcosa di strano in quel ragazzo, qualcosa che lo


spaventava, ma anche qualcosa che lo attirava a tal
punto da accendere la luce fioca dell'abat-jour sul
comodino per scrutarlo meglio. E finalmente lo vide. Ciò
che lo colpì non fu la perfezione del suo viso o la camicia
leggermente sbottonata che lasciava scoperta un lembo
del suo petto glabro o, addirittura, quei tatuaggi che ora
vedeva con chiarezza: i suoi occhi, di un verde
impolverato, risultavano spenti e vuoti. Quella
malinconica tristezza era presente anche sul suo volto,
persino gli angoli della sua bocca carnosa sembravano
virare verso il basso. Sembrava perso, a disagio,
disorientato e quasi non sapere come fosse finito lì, in
quella stanza. Quella sensazione di disagio la comunicava
anche con il suo corpo: era rigido, teso e le dita delle sue
mani si distendevano e si arricciavano lentamente.

«Sei sicuro di stare bene?» chiese, avanzando di qualche


passo. «Non vuoi prendere una boccata d'aria?»

«No.» rispose lui categorico. «No, grazie.» si corresse


subito dopo, portando lo sguardo sul pavimento. «È
che...è che non mi piacciono molto le feste.»

«Beh, allora è strano che tu sia proprio qui stasera.»


ridacchiò Louis. «Niall adora organizzare feste a casa sua
e, sinceramente, non so come abbia fatto a farlo dal
momento che è tornato a Londra neanche tre ore fa.
Scommetto che ci ha pensato in aereo.»

Per un istante, uno soltanto, Louis pensò di aver detto


qualcosa di divertente o interessante perché quel ragazzo
12
si animò improvvisamente: fece un passo in avanti e,
addirittura, sorrise svelando delle fossette a ornargli le
guance. Louis non poté evitare di pensare quanto quel
piccolo particolare lo rendesse più giovane e più umano ai
suoi occhi.

«Sai che uno studioso di Harvard ha calcolato che le


probabilità di morire in un incidente aereo sono una su
undici milioni?»

Lo disse tutto d'un fiato e Louis sollevò le sopracciglia


sorpreso. Capì allora che le sue parole non avessero nulla
di divertente e che il ragazzo si fosse rianimato soltanto
grazie alla parola «aereo». Era forse un amante delle
statistiche? Louis rabbrividì dal momento che lui le
odiava. O forse era un amante delle tragedie? Rabbrividì
ancora una volta all'idea che fosse una di quelle persone
fissate con la cronaca nera. O forse, cosa più plausibile,
era soltanto ubriaco o fatto e Louis non se ne era
neanche accorto fino a quel momento.

«È più facile morire per l'attacco di uno squalo...sai, hai


una probabilità su tre milioni.» lo informò orgoglioso e
quasi divertito dalle sue stesse parole.

Louis fece spallucce e annuì, assottigliando le labbra in un


sorriso di circostanza. Non era quel tipico sorriso che
indossava durante le cene di Ian, era molto più inquieto.
Non sapeva nulla di statistiche, di aerei o di squali e,
sinceramente, non voleva parlarne con uno sconosciuto in
una stanza vuota e poco illuminata. Continuò a guardarlo
e riuscì quasi a scorgere nei suoi occhi una piccola luce
che rese quel verde più vibrante e vivido, mentre sulle
labbra aveva ancora quel sorriso da bambino. Sembrava
quasi essere in attesa di una risposta per continuare la
loro conversazione e questa arrivò, ma Louis capì presto
che non fosse quella che l'altro aspettava.

13
«Beh, per fortuna qui non ci sono squali.» ridacchiò
nervoso.

Il sorriso dello sconosciuto scemò a poco a poco per poi


scomparire del tutto e anche quella flebile luce
abbandonò i suoi occhi che tornarono a essere più scuri e
spenti. Recuperò la posizione iniziale e tornò a guardare
al di fuori della finestra, senza curarsi della sua presenza.
Louis non si meravigliò della sua indifferenza e si diresse
verso l'uscita in punta di piedi, pregando che l'altro non
sciorinasse ancora statistiche sulle loro eventuali morti.
Prima di chiudere la porta della stanza, lo vide appoggiare
la fronte sul vetro freddo della finestra, chiudere gli occhi
e rilasciare un profondo respiro. Le sue dita continuarono
a distendersi e ad arricciarsi e Louis sentì le sue viscere
annodarsi: forse, quella conversazione aveva provato lo
sconosciuto più di quanto avesse provato lui. Scosse la
testa per scrollarsi di dosso la stranezza di quell'incontro
e si chiuse la porta alle spalle, certo che non avrebbe
rivisto mai più quel ragazzo in vita sua.

Attirato dalle voci e dalla musica, percorse il corridoio con


un solo obiettivo: trovare il suo migliore amico.

«Lou!»

Louis si guardò intorno, cercando di capire da dove


provenisse quella voce familiare. All'improvviso la sua
attenzione venne catturata da due occhi azzurri ridenti e
a quel punto non poté non affrettare il passo nella loro
direzione e ritrovarsi in un istante stretto da due braccia
forti: poco importava se fossero circondati da una ventina
di persone, Louis cominciò a lasciargli piccoli baci
affettuosi sulle guance, sulla fossetta del mento e sulla
punta del naso, che l'altro arricciò infastidito. Soltanto
quando Niall cominciò a lamentarsi, Louis lo lasciò andare
e gli sorride soddisfatto. Finalmente, era davanti ai suoi
14
occhi, poteva abbracciarlo e sentirlo sotto i palmi delle
mani. Lo guardava come a cercare in lui qualche
cambiamento, ma Niall era sempre Niall: i suoi occhi
azzurri erano ancora vispi, il suo sorriso furbo, i suoi
capelli castani sempre disordinati. Era sempre lui, la sua
roccia.

«Se questo è il bentornato che mi riservi, partirò più


spesso.»

«Non ci pensare neanche.» ridacchiò Louis, prima di


abbracciarlo ancora una volta. «Mi sei mancato da
morire.»

«Anche tu, Lou.»

Si scambiarono un sorriso complice, uno di quelli che


sostituivano mille parole, che rimandavano le loro
conversazioni a quando sarebbero stati finalmente soli,
prima di essere ridestati dal saluto di una voce femminile.

«Scusa per averlo consumato.» mormorò Louis quando


abbracciò Lisa, un concentrato di vitalità in un metro e
sessanta di altezza e di ricci castani.

Lei, rivolgendogli un sorriso raggiante, ribatté «per me, lo


puoi anche tenere tu per tutta la sera!» prima di lasciare
un bacio sulla guancia del fidanzato e raggiungere un
gruppo di amici.

A Louis piacevano Lisa e anche il suo rapporto con Niall:


non erano una di quelle coppie smielate che non riusciva
a trascorrere neanche un istante senza l'altro. Lisa era
indipendente, simpatica, dolce e paziente: quest'ultima
caratteristica, poi, l'aiutava a contenere l'esuberanza di
Niall, oltre che a tornarle utile nel suo lavoro di psicologa.
L'aveva conosciuta un paio di anni prima tra i corridoi
della sua facoltà, quando lo aveva fermato per fargli delle
domande a proposito di uno studio che stava conducendo
15
per un suo esame. Qualche settimana dopo, si erano
incontrati di nuovo e lei gli aveva avanzato candidamente
una richiesta: «mi piace il tuo amico irlandese...me lo
presenti?». Ad oggi quei due erano ancora felici e lo era
anche Louis, che aveva anche il diritto di prelazione sulla
scelta del nome del loro primogenito: dopotutto, aveva
fatto loro da cupido.

«Dovrei mollarla quando dice queste cose.» affermò Niall


con tono scherzoso.

«Non ci pensare neanche, Horan.» lo ammonì, dandogli


una pacca sulla schiena. «Un'altra così non la trovi da
nessuna parte.»

«Credo che tu abbia ragione.» sospirò lui, prima di


trascinare Louis al tavolo degli alcolici.

Cominciò a soppesare ogni bottiglia per capire se fosse


vuota o meno e, una volta trovata quella giusta, ne versò
il contenuto in due bicchieri di plastica.

«Allora, come mai non c'è anche l'avvocato delle cause


perse?» chiese con nonchalance, porgendogli il bicchiere.

«La cena è finita prima del solito ed era troppo stanco per
venire qui.» mentì su due piedi.

«Beh, per fortuna.» si fece scappare Niall, ridacchiando


un attimo dopo. «Alle cene che finiscono prima!»

Fecero sbattere poco elegantemente i loro bicchieri e si


affrettarono a mandarne giù il contenuto, ignorando il
bruciore alla bocca dello stomaco o i brividi che
incresparono la loro pelle a causa del saporaccio del rum.
Louis voleva soltanto divertirsi, non pensare e
dimenticare l'indifferenza di Ian soltanto per una serata.
Era con Niall, era con i suoi amici ed era a una festa.

16
Per alcune ore sarebbe stato felice: ora la serata avrebbe
potuto cominciare per davvero.

«Quindi, novità?»

«Non proprio.» rispose Louis, stringendosi nella felpa


nera che Niall gli aveva prestato e inalando il suo
profumo dolce.

Erano quasi le cinque del mattino o della notte - Louis


non lo aveva mai capito - e l'appartamento si era ormai
svuotato: un'ora prima, tutti gli ospiti erano andati via,
tranne Lisa che dormiva nella stanza di Niall. Era bastato
soltanto un suo sguardo per convincere l'altro a salire sul
tetto del palazzo, il loro tetto, quello che aveva ascoltato
in silenzio tutti i loro sogni e le loro paure. Con i gomiti
appoggiati al parapetto in mattoncini, ora guardavano i
locali della strada abbassare le loro serrande metalliche e
i soliti irriducibili cercare un altro posto per concludere la
serata: Louis sorrise nel pensare che quegli irriducibili
sarebbero stati proprio loro due tempo prima. Rigirò tra
le dita l'ennesima sigaretta valutando se fumarla o meno,
mentre Niall fissava un punto davanti a sé e socchiudeva
gli occhi di tanto in tanto quando il venticello settembrino
si faceva più fresco. Nonostante le palpebre pesassero più
del dovuto, nessuno dei due voleva ritornare
all'appartamento e addormentarsi: piaceva ad entrambi
stare sul tetto, con la mente ancora annebbiata dall'alcol
e in compagnia. Spesso, in quelle condizioni, erano soliti
avere le migliori chiacchierate.

«Se riesco a dare quell'esame, posso laurearmi a


gennaio.»

«Ancora statistica?» gli chiese Niall, ricambiando il suo


sguardo preoccupato.

17
«Sempre e solo lei.» sbuffò, pensando che l'indomani
avrebbe dovuto dedicarsi allo studio, nonostante i
postumi della sbronza.

Era un completo disastro e, forse, Ian non aveva tutti i


torti a definirlo così a volte.

«È la materia che hai dato cinque volte, vero?»

«Sei, se includiamo la volta in cui sono scappato prima


dell'inizio dell'esame e sono andato a sbattere contro il
professore mentre lui entrava in aula.»

Niall si lasciò andare a una candida risata e, seppur si


sentisse ancora un po' in colpa, si convinse a farlo anche
Louis. Inizialmente si era disperato, aveva contemplato
l'idea di lasciare Scienze Politiche e abbandonare per
sempre il suo sogno - quello di lavorare in una
organizzazione no-profit - per allevare un branco di
alpaca. Poi, i suoi nonni e i suoi genitori lo avevano
costretto a ragionare: non avrebbe dovuto arrendersi alle
prime difficoltà. La laurea gli sembrava sempre più vicina
ad ogni esame che superava e, allo stesso tempo, sempre
più lontana ogni qual volta leggeva un voto negativo
accanto al suo nome tra i risultati di quell'esame:
statistica era il suo incubo peggiore e aveva
monopolizzato tutte le sue notti.

«Cosa ci è successo?» sbuffò, prima di scivolare sul


pavimento e appoggiare la schiena al duro parapetto.

«Che intendi?» Niall lo imitò, mentre Louis accendeva la


sigaretta che stringeva tra le dita e la portava alle labbra.

«Soltanto un paio di mesi fa, saremmo stati ancora in


giro a quest'ora ubriachi e felici. Ora siamo sul tetto del
tuo palazzo, ubriachi ma tristi.»

18
«Tu sei triste.» lo corresse l'altro, prima di prendergli la
sigaretta dalla mano e spegnerla sul battuto in cemento.
«Io mi sto adattando al tuo umore nero, ma
credimi...sono molto felice.»

«Che migliore amico premuroso che sei!»

«Sempre, Lou. Allora, vuoi dirmi cosa c'è per davvero?»

«C'è che tu sei un adulto ormai.» scosse la testa,


arrendendosi alla realtà. «Guardati! Tra pochi giorni farai
venticinque anni e da lunedì andrai a salvare vite in
ospedale.»

«Non salverò alcuna vita, Lou. Sono soltanto uno


specializzando del primo anno, l'ultima ruota del carro.
Non mi faranno fare nulla se non ricucire qualche ferita o
calmare qualche bambino isterico che ha paura degli
aghi.»

«Non è questo il punto. Sei laureato, lavori e magari tra


un po' di tempo vorrai anche sposarti.»

«E qual è il problema? Toccherà anche a te presto o


tardi.» Niall raccolse le ginocchia al petto, prima di
guardarlo preoccupato. «Non è colpa tua se hai scelto di
frequentare l'università con qualche anno di ritardo per
andare ad Haiti...»

«Non capisci, non dipende dall'età.» lo interruppe prima


che i ricordi malinconici di Haiti potessero riaffiorare nella
sua mente. «A volte, da quando sono tornato qui, mi
sembra quasi di vivere al cinquanta per cento. Questi
anni, quelli che ho sprecato cercando di superare uno
stupido esame o pensando a quanto sia stronzo il mio
fidanzato, non torneranno mai più. È come se anche
questa vita cominciasse a starmi un po' stretta.»

19
«Non lo so, Lou. A me piace la mia vita. Ho la mia
famiglia, ho Lisa e ho un lavoro per il momento. Mi
manca un po' casa mia, ma ho anche te per quanto tu sia
un rompipalle e faccia questi discorsi così complicati da
ubriaco.» Gli fece cenno di staccarsi dal parapetto così da
poter avvolgere le sue spalle con un braccio, Louis lo
lasciò fare perché accadeva spesso che avesse bisogno di
contatto fisico, di qualcuno che lo stringesse e gli dicesse
che sarebbe andato tutto bene. «Se non ti piace la tua
vita, cambiala. Compirai venticinque anni a dicembre, sei
ancora giovane. Quindi, agisci e non lamentarti, no?»

«Non è che non mi piaccia tutta la mia vita.» precisò


Louis. «A volte, però, tutto diventa troppo.»

«Elimina ciò che fa diventare tutto troppo, allora.»

«Dovrei lasciare l'università.»

«Lou!» lo ammonì Niall, non comprendendo il suo tono


ironico. «Impegnati nello studio e passa questo esame.
Non appena ci riuscirai, la vita ti farà meno schifo. Ne
sono sicuro.»

«E se non dovessi passarlo neanche questa volta?» chiese


con voce tremante, mentre poggiava la testa sulla sua
spalla: studiava molto, ma c'era sempre una variabile che
gli sfuggiva e rimescolava le carte in tavola quando si
sedeva davanti a quel foglio bianco.

«Penseremo insieme al prossimo appello, okay?» Niall gli


lasciò un bacio tra i capelli scompigliati. «Non lasciare che
uno stupido esame ti definisca. Sei e rimani Louis
Tomlinson, anche se fai schifo in statistica.»

Louis ridacchiò e provò a divincolarsi dalla sua presa, ma


Niall glielo impedì abbracciandolo ancora. Era e rimaneva
Louis Tomlinson anche se faceva schifo in statistica, il suo
migliore amico aveva ragione. Si accoccolò sulla sua
20
spalla e chiuse gli occhi per un istante, lasciandosi cullare
dalle sue braccia e dalla serenità che li avvolgeva. Forse,
avere qualcuno che si sforzava di capirlo era meglio delle
ripetizioni che Ian gli aveva consigliato.

«Il problema non è soltanto quell'esame, vero?»

«Potrebbe o non potrebbe essere.»

«Ian si è comportato di nuovo da stronzo?» gli chiese,


senza girarci troppo attorno. «Non mi sono bevuto
neanche per un istante il tuo "la cena è durata meno del
solito".»

«Ottima imitazione, davvero.»

«Andiamo, dimmi la verità.»

«Non importa quello che ha fatto Ian.»

«Importa a me.»

Louis sentì il palmo caldo della sua mano sfiorargli la


guancia e applicare una leggera pressione affinché
alzasse lo sguardo per incrociare il suo.

«Oggi mi ha chiesto di andare a cena al Criterion.» Niall si


fece scappare un fischio. «Pensavo fosse una serata
speciale. Ho indossato i pantaloni eleganti e quel trench
che mi ha regalato a Natale. Ho perso un quarto d'ora
davanti allo specchio per sistemarmi i capelli.»

«Saresti stato bellissimo anche senza tutti questi


accorgimenti, Lou.»

«Volevo soltanto essere all'altezza di quel locale e delle


sue aspettative, immagino.» ribatté con un filo di voce.
«Tuttavia, lui non si è mai presentato all'appuntamento.»
21
«Non ti ha avvertito?»

«Lo ha fatto, ma ormai avevo aspettato già troppo ed ero


già andato via.» sospirò, rivolgendo gli occhi al cielo.
«Non credo che mi stia tradendo, ma che sia il lavoro a
impegnarlo per davvero. A volte, però, vorrei venire
prima del suo lavoro, del suo studio o del signor
Johnson.»

Avrebbe voluto dirlo con tono piatto, apatico, quasi


indifferente, ma fallì miseramente perché la sua voce
tremò e per poco non si spezzò. A quel punto Niall si
sporse verso di lui e gli prese la mano nella sua,
stringendola forte.

«Se ti fa soffrire, perché stai ancora con lui?»

Non lo stava giudicando, gli stava soltanto chiedendo di


essere onesto, almeno con lui. I suoi occhi, non più lucidi
dall'alcol ma dal dispiacere, lo imploravano di dargli una
risposta che al momento Louis non aveva.

«È soltanto un periodo.»

«Un periodo che dura da un anno.» lo corresse Niall. «Il


vecchio Louis non sarebbe mai diventato lo zerbino di uno
stronzo qualunque.»

Forse aveva ragione, forse il vecchio Louis non avrebbe


sopportato le sue dimenticanze, né perdonato le sue
assenze o ceduto ad ogni sua richiesta. Forse, con il
passare degli anni, si era indebolito e si era
semplicemente arreso. Una cosa, però, la sapeva con
certezza: il Louis attuale non era altro che una copia
sbiadita dell'originale. Abitare a Londra da solo aveva
messo in luce le sue fragilità, quelle che neanche il suo
volontariato ad Haiti aveva svelato: lo stress degli esami,
la mancanza della sua famiglia, le diverse responsabilità
non avevano fatto altro che accrescerle. Si era rifugiato in
22
Niall, poi in Ian, e l'affetto in qualche modo aveva
rimarginato quelle crepe. Ora che Niall aveva i suoi
impegni e che Ian non c'era più molto per lui, quelle
crepe si erano aperte di nuovo e le sue insicurezze
avevano messo in dubbio ogni suo punto fermo:
l'università, la sua solarità e anche l'amore per il suo
fidanzato. Louis non era più quello di un tempo e aveva
paura che non sarebbe mai tornato quella persona se
avesse continuato a vivere - o meglio, esistere - in quel
modo. Niall aveva ragione, ma quella verità lo aveva
ferito in qualche modo tanto che dovette rimandare
indietro le lacrime.

«Quando il tirocinio finirà e lo assumeranno, le cose


andranno meglio.» disse, anche per rassicurare se stesso.
«Sto bene con lui.»

«Stai bene con lui.» ripeté Niall prima di alzarsi in piedi e


spolverarsi i pantaloni che indossava. «Ma ne sei ancora
innamorato?»

Louis distolse lo sguardo dal suo, portò le ginocchia al


petto e si strinse nella sua felpa. Niall gli aveva già posto
quella domanda tempo prima ed era così testardo. E la
testardaggine purtroppo era un tratto caratteriale che i
due avevano in comune: potevano trascorrere giorni e
giorni senza parlarsi per poi riappacificarsi all'improvviso
con un bacio sulla guancia e senza chiedersi scusa. Quella
volta, Louis non rispose. La sua visuale presto venne
occupata dalle gambe magre e slanciate dell'altro: Niall si
accucciò al suo cospetto, poggiando le mani sulle sue
ginocchia, prima di sporgersi e lasciargli un bacio sulla
guancia. Rimase immobile fino a quando non sentì le
labbra di Louis scontrarsi sulla sua guancia e poi gli
sorrise. Si erano appena chiesti scusa a vicenda senza
pronunciare alcuna parola.

23
Louis si specchiò nei suoi occhi chiari con un sorriso
accennato sulle labbra e gli chiese flebilmente «posso
rimanere a dormire qui?».

«Certo, non devi neanche chiedermelo.» E lo aiutò ad


alzarsi da terra, per poi guidarlo di nuovo
nell'appartamento con l'alba che sorgeva sulla città.

«Grazie, Niall. Per tutto.»

«Buonanotte, Lou.»

Una scrollata di spalle e un sorriso dopo, Niall scomparve


oltre il corridoio e Louis fu solo di nuovo. Si stropicciò gli
occhi e si gettò a peso morto sul divano, troppo stanco
persino per raggiungere il letto nella stanza degli ospiti.
Dopo qualche istante trascorso a guardare le ombre e le
luci rincorrersi sul pavimento, si addormentò e sperò che
al mattino non avrebbe ricordato nulla di quella serata.

Il mattino seguente, Louis ricordava tutto.

La cena andata a monte, la festa di Niall e l'incontro nella


camera degli ospiti, la chiacchierata sul tetto.
Soprattutto, ricordava l'ultima domanda che il suo
migliore amico gli aveva posto perché continuava a
ripetersi in un loop fastidioso nella sua testa anche in quel
momento. Si stropicciò il viso con i palmi delle mani per
cacciarla via, ma la domanda era ancora lì e vi rimase
fino a quando non decise di aprire gli occhi e tornare alla
realtà. Dovette sbattere le palpebre più volte prima di
riacquistare una visione nitida della stanza e ciò che vide
gli fece desiderare di non averlo mai fatto.

Due occhi color giada lo osservavano a meno di una


ventina di centimetri dal suo viso e si specchiavano nei

24
suoi ancora spenti e vuoti, esattamente come lo erano
stati la sera precedente.

Louis si immobilizzò, mentre lo sconosciuto continuava a


osservarlo con attenzione. Sentì un brivido percorrere la
sua schiena e non seppe neanche spiegarsi il motivo:
forse perché quegli occhi lo scrutavano curiosi, forse
perché alla luce del giorno sembravano più belli, forse
perché erano ancora velati dalla tristezza. In un istante
Louis poté cogliere alcuni dettagli del suo viso che al buio
non era riuscito a scorgere: la forma allungata dei suoi
occhi e le ciglia lunghe e castane, le labbra rosse come
fragole mature arricciate in un broncio, il solco profondo
tra le sopracciglia aggrottate o il neo al di sopra della
mandibola affilata. Nonostante la sua espressione
accigliata, risultava incredibilmente bello senza troppi
sforzi.

Tuttavia, questo non gli impedì di urlare con quanta più


forza aveva per scrollarsi di dosso quella paura che lo
aveva quasi paralizzato.

Balzò a sedere sul divano, tirando su la coperta che


qualcuno doveva avergli adagiato sul corpo durante la
notte, e non si dispiacque quando lo sconosciuto si
spaventò a sua volta e fece un passo indietro. Cominciò a
dirgli di calmarsi e di fare silenzio, ma le sue urla erano
così squillanti da sovrastare quella voce più roca e
profonda. Quando vide Niall precipitarsi nel soggiorno,
dopo aver rischiato di scivolare sul tappeto, Louis tirò un
sospiro di sollievo e smise di gridare. E mentre
recuperava il fiato, Niall non fece altro che alternare il suo
sguardo assonnato tra il suo migliore amico e quel
ragazzo che indossava abiti diversi dalla sera precedente:
la camicia a quadri era stata sostituita da una bianca ed
elegante, le cui maniche erano arrotolate sui gomiti,
mentre il jeans nero e aderente da un pantalone grigio
più ampio.

25
Louis non avrebbe dovuto guardarlo.

Semplicemente, avrebbe dovuto chiedersi chi fosse e


perché nessuno lo avesse cacciato dall'appartamento fino
a quel momento. Eppure, non riusciva a smettere di
guardarlo e di notare ogni suo piccolo dettaglio, come i
tatuaggi che portava fiero sulla sua pelle, quella sirena
grottesca e la rosa sull'avambraccio sinistro, quell'ancora
sul polso e la croce sul dorso della mano.

«Cos'è tutto questo fracasso?» esordì Lisa, sbucando dal


corridoio con i ricci tutti ingarbugliati e il viso assonnato.
«Oh.» sussultò, guardando la scena. «Buongiorno Lou
e...buongiorno Harry!»

Louis boccheggiò, mentre quell'Harry alzava la mano


destra per salutarla e le rivolgeva quasi un sorriso.

«Buongiorno Harry?» esclamò esasperato. «Buongiorno


Harry?!» Niall si passò una mano sul viso stanco, Lisa lo
guardò confusa e quell'Harry ignorò completamente le
sue parole rivolgendo l'attenzione all'orologio di pelle che
aveva al polso. «Niall!» E quest'ultimo sobbalzò. «Chi è
questo qui? E perché è in questa casa? E, soprattutto,
perché mi guardava dormire?»

«In realtà, stavo valutando se chiamare o meno


un'ambulanza dal momento che non ti muovevi.» affermò
Harry infastidito, mentre passava una mano tra i morbidi
boccoli che gli cadevano sulle spalle.

«Tu sta' zitto, maniaco.»

«Che ne dite di sederci a tavola e fare una bella


colazione?» propose Niall.

Entrambi si fissarono in cagnesco, con la mascella serrata


e le braccia incrociate al petto. Prima che Louis potesse

26
dire di fare a meno della colazione e di andare
direttamente alle spiegazioni che gli spettavano,
quell'Harry si incamminò verso la porta e prese una
valigetta di pelle nera.

«Non ho tempo da perdere.» affermò stizzito per poi


ammorbidire il suo tono quando si rivolse a Niall. «Devo
andare in ufficio a firmare i documenti per l'assunzione.»

Niall annuì e si diresse a passo lento verso i fornelli, dove


Lisa armeggiava già con un paio di padelle, non
stupendosi affatto che Harry fosse andato via sbattendo
la porta e senza alcun saluto.

Louis, ancora incredulo, mormorò soltanto un «ciao anche


a te, Harry» prima di far scontrare la sua schiena con il
cuscino morbido del divano e sbuffare.

Harry Styles è la mia sorpresa.

Louis era ancora stupito. Il tè che Lisa aveva preparato


era ormai freddo nella tazza che lui passava da una mano
all'altra, mentre nel piatto c'era qualche rimasuglio dei
suoi pancake. Aveva ascoltato attentamente le
spiegazioni di Niall, ma non sapeva proprio da dove
iniziare. Gli aveva riferito che Harry aveva accettato il
posto di analista finanziario in una delle più importanti
aziende tecnologiche di Londra e, a detta sua e della
laurea conseguita con lode, quel ragazzo era un asso con
i numeri e le probabilità. Avendo vissuto in un piccolo
sobborgo di Manchester per tutta la vita, Harry non era
abituato molto alle grandi città e per questo - sotto
suggerimento della madre, Anne - Niall lo aveva invitato
a condividere il suo appartamento. In qualche modo,
grazie alla loro amicizia, Niall gli avrebbe ricordato casa e
Louis non poté ignorare un sordo senso di gelosia che
cominciò a diffondersi nel suo petto.
27
«Non pensavo che la tua sorpresa sarebbe stata un
cucciolo di umano.»

«Cosa ti aspettavi?»

«Non lo so.» Ridusse gli occhi in due fessure. «Forse,


qualcosa di illegale?»

«So che è stata una sorpresa, ma Lisa avrebbe dovuto


parlarne con te una settimana fa.» Niall guardò di
sottecchi la ragazza all'altro capo del tavolo, impegnata a
spalmare la marmellata su una fetta biscottata, che si
fermò con il coltello a mezz'aria quando sentì il suo nome.
«Anzi, Lisa mi aveva detto di averti già accennato
qualcosa.»

«Scusate...l'ho dimenticato, ma ho avuto tanto da fare a


lavoro!»

Louis agitò una mano, quasi a dirle che ormai non avesse
più importanza. Dopo aver appurato che Harry non fosse
un maniaco, cominciava quasi ad accettare la sua
presenza nell'appartamento. Quasi, però, perché i
Tomlinson erano possessivi da morire e Louis non
sarebbe stato disposto a dividere il suo migliore amico
con quell'usurpatore.

«Non mi hai mai parlato di lui, vi conoscete da molto?»

«Dal liceo, da quando mi sono trasferito in Inghilterra. Lui


frequentava il primo anno quando sono arrivato alla
Rosemary e mi sono iscritto al quarto. Nonostante la
differenza d'età, siamo diventati subito amici anche
perché le nostre case non distavano molto.»

«E poi?»

28
«E poi, io mi sono trasferito a Londra per l'università e lui
è rimasto a Manchester per finire il liceo. Siamo rimasti in
buoni rapporti e negli ultimi due mesi ci siamo visti
spesso...è come se questi anni non fossero mai passati
del tutto.»

«Strano che non sia mai venuto a trovarti qui a Londra


prima d'ora.»

«Diciamo che Harry non lascia troppo spesso casa sua.»


si giustificò. «Anzi, non credo che l'abbia mai lasciata
prima d'ora.»

«Ed è per questo che sua madre ti ha chiesto di fargli da


baby-sitter?» domandò scettico. «È un adulto ormai.»

«Harry è...» Niall esitò qualche istante prima di scegliere


l'aggettivo esatto. «...particolare.»

«Che intendi con "particolare"?»

«Beh, mettiamola così: è molto timido e non si apre


facilmente con le persone che conosce da poco.»
intervenne Lisa, mentre cominciava a sparecchiare. «Ha
ventidue anni, sì, ma non vuol dire che non abbia bisogno
di qualcuno che pensi a lui.»

«Un conto è aver bisogno di un sostegno, un altro è aver


bisogno di un baby-sitter, Lisa.»

«Chi ti ha detto che debba fargli da baby-sitter?» gli


chiese accigliato Niall. «Harry è autonomo e ha un lavoro
che paga bene, ma ha bisogno di ambientarsi. Senza le
sue abitudini o i suoi punti fermi, potrebbe perdersi qui. E
se avrà degli amici al suo fianco, riuscirà a farlo più
velocemente.»

«Perché allora è così stronzo?»

29
«Non lo è affatto, Lou.»

«Oh Lisa, tu sei stata fortunata: ti ha anche salutato con


la mano oggi.» ribatté. «Con me è stato uno stronzo
patentato per tutto il tempo.»

«Beh, tu lo hai chiamato "maniaco".»

«Beh, scusami tanto se mi sono risvegliato con due occhi


inquietanti che mi fissavano!»

«Si comporta in questo modo soltanto perché non ti


conosce. Dagli tempo e saluterà anche te, arriverà
persino a parlarti di sua spontanea volontà prima o poi.»

Non si pronunciò su quel prima o poi perché credeva


fortemente che non sarebbero mai arrivati a quel livello.
Inoltre, Louis non voleva ampliare la sua cerchia di amici,
ne aveva a sufficienza.

«Ieri sera, durante la festa, l'ho incontrato nella mia


camera di riserva. Guardava fuori dalla finestra e, quando
si è accorto di me, ha elencato tutte le probabilità che ho
di morire su un aereo o grazie all'attacco di uno squalo.»

«Tipico di Harry.» sghignazzò Niall. «Diciamo che non è


un amante delle feste.»

«Già, me ne sono accorto.» rispose Louis, abbarbicandosi


sulla sedia con le ginocchia al petto. «Quindi, dovrò
trovarmelo spesso tra i piedi?»

«Fin quando abiterà qui sì.»

«E uscirà anche con noi qualche volta.» precisò Lisa con


un sorriso. «Sai, per farlo ambientare in città.»

«Sembra che tu non abbia scelta, Lou.»


30
Louis li guardò imbronciato e neanche la proposta di Niall
di guardare le ultime puntate di Stranger Things - quel
traditore era andato avanti senza di lui - gli tirarono su il
morale. Oggi Harry gli aveva soffiato la sua camera di
riserva, domani gli avrebbe rubato il migliore amico.
Eppure, non poteva fare nulla a riguardo: sembrava non
avere altra scelta che ritrovarsi quell'Harry tra i piedi.

Quando Louis uscì dal palazzo in mattoncini rossi, erano


quasi le undici del mattino e Brick Lane brulicava di
avventori: dovette prendere qualche scorciatoia per
raggiungere il suo appartamento perché con quelle
occhiaie nere, il viso pallido e i capelli tutti scompigliati
preferiva non incontrare nessuno delle sue conoscenze. Si
definì salvo soltanto quando arrivò nell'androne del suo
palazzo e alzò gli occhi al cielo notando la scritta "rotto"
sull'ascensore. Gradino dopo gradino, arrancò fino al
quinto piano con lo sguardo basso, l'affanno e il pensiero
che volava fin troppo spesso all'usurpatore, grazie al
quale avrebbe dovuto accontentarsi del divano scomodo e
del mal di schiena d'ora in avanti.

«Nottata impegnativa?»

«Non immagini quanto.» mugugnò, riconoscendo quella


voce melliflua e non avendo bisogno di alzare lo sguardo
per capire chi si trovasse sul suo pianerottolo.

Eccolo, l'avvocato delle cause perse.

Ian sostava sul suo pianerottolo con la schiena poggiata


al muro e un'espressione severa sul volto e a Louis
sembrò già di sentire la sua ramanzina. Si vergognò per il
suo aspetto disordinato quando notò i suoi capelli scuri
perfettamente modellati in un ciuffo, la barba curata e i
suoi abiti eleganti: il maglione di cashmere nero abbinato
a un pantalone dello stesso colore non faceva altro che
31
mettere in risalto il suo fisico longilineo e la sua pelle
ambrata. Al contrario, Louis sembrava un disastro con la
felpa nera indosso e il suo trench stretto tra le mani.

«Ti ho chiamato mille volte da ieri sera.» affermò,


avanzando verso di lui. «Come mai non hai risposto?»

«Avevo il silenzioso.»

«Sei rimasto a dormire da Niall?»

Louis annuì lentamente.

«Potevi dirmelo, non credi? Mi sono preoccupato.»

«Ti sei preoccupato prima o dopo avermi dato buca?»

«Louis, lo sai...»

«Stavi lavorando, lo so.» concluse, infilando le chiavi


nella toppa del portone e assicurandosi che quella volta
Ian rimanesse sul pianerottolo.

«Ti ho portato la colazione, Lou.» Sventolò la busta


bianca nella sua mano prima che l'altro si apprestasse a
chiudergli la porta in faccia. «Muffin alla vaniglia e gocce
di cioccolato, i tuoi preferiti.»

Un istante e Ian sfoderò quel sorriso. E non era un sorriso


qualunque, ma il sorriso, quello che soleva abbattere ogni
muro di Louis, capace di sciogliere il suo cuore come neve
al sole, capace di scusare tutte le sue mancanze.
Funzionò anche quella volta con gande rammarico della
parte razionale di Louis, al quale non restò che
permettergli di entrare.

32
«Hai provato a suonare? O sei rimasto qui fuori come una
guardia svizzera volutamente?» chiese, sfilandosi la felpa
e gettandola insieme al trench sul divano.

Il suo appartamento era molto simile a quello di Niall,


niente di più, niente di meno. La cucina e il soggiorno
confluivano in un open space rettangolare, un piccolo
bagno e due camere da letto si affacciavano sul corridoio
oltre l'arco del soggiorno. L'arredo era semplice,
geometrico e dai toni tenui: non sarebbe mai finita tra le
pagine di una rivista d'architettura patinata, eppure era
casa.

«Ho suonato più volte, ma il tuo coinquilino non mi ha


fatto entrare neanche quando è uscito per andare a
lavoro. Mi ha lasciato fuori come un cane per un paio
d'ore prima che arrivassi tu.»

Louis sorrise beffardo: insomma, almeno per una volta, il


carattere brusco di Julian gli era tornato utile. Per questo,
certo che Ian fosse già stato punito abbastanza per quella
mattina, sbottonò lentamente la sua camicia bianca e gli
chiese «devo farmi una doccia, vieni con me?»,
sollevando malizioso il mento oltre la spalla destra.

Quell'invito era il suo modo di seppellire eventuali


discussioni e il sesso avrebbe accantonato i loro problemi
almeno per un istante. Louis sapeva che non li avrebbe
risolti, ma non importava, perché voleva soltanto averlo
vicino. Voleva provare a Niall, o forse più a se stesso, che
in un certo senso funzionavano ancora insieme.

«E la colazione?»

Louis si sfilò la camicia e la gettò sul pavimento incurante


dei suoi muffin.

33
«A chi importa della colazione, Ian.» sbuffò, liberandosi
dei pantaloni e dei boxer insieme e incamminandosi verso
la porta del bagno.

Non appena regolò la temperatura dell'acqua nella doccia,


sentì il rumore sordo di qualcosa che cadde sul pavimento
- probabilmente la sua colazione - e poi dei passi
affrettati.

Ian non impiegò molto a raggiungerlo e a spogliarsi, il


suo sguardo era più scuro del solito e in un istante le sue
mani furono ovunque su Louis. Sul petto, sulle clavicole,
sull'addome, sulle natiche a stringerle forte, mentre le
labbra succhiavano un lembo di pelle sul suo collo. Si
fermò quando Louis gemette rumorosamente nel suo
orecchio e inarcò la schiena per far scontrare i loro bacini
e le loro erezioni. Presto finirono sotto l'acqua calda della
doccia e Louis cercò le labbra dell'altro per incontrarle in
un bacio, ma quest'ultimo gliele negò spingendolo verso
la parete fredda del box e sollevandogli le braccia sulla
testa. Soltanto allora Ian lo baciò e fu un incontro sporco,
fatto di denti che cozzavano, morsi e saliva, non un bacio
per chiedere scusa.

«Voltati, Lou.»

«I-ian.» ansimò Louis sulle sue labbra: dopo la nottata


trascorsa e i postumi della sbronza addosso, aveva in
mente del dolce sesso nella doccia, con l'acqua a cullarli e
le braccia forti dell'altro a sorreggerlo, non una rozza
sveltina. «Più piano, per favore.»

«Farò piano.» ribatté lui, prima di mordere la pelle


candida della sua clavicola destra e farlo gemere con un
verso osceno. «Ora voltati.»

I suoi occhi non erano più color caramello, ma neri dal


piacere. Nero, come ciò che Louis vide chiudendo gli occhi
e seguendo i suoi ordini, voltandosi e beandosi dei baci
34
sul collo e delle mani che scendevano sul suo
fondoschiena bagnato. Aspettava soltanto che Ian lo
preparasse con cura per prenderlo lì, sotto l'acqua calda
che gli increspava la pelle di brividi e contro il box doccia:
non importava quanto fosse ancora adirato con lui, lo
voleva dentro di sé e voleva sentire i suoi gemiti nelle
orecchie e i suoi respiri affannati sul collo. Tuttavia, Ian
era di un'altra opinione perché non si inginocchiò per
prepararlo con la lingua, né con le sue dita. Con le mani
separò le sue natiche e stuzzicò il solco che le divideva
con la sua erezione lubrificata soltanto dall'acqua e dal
bagnoschiuma prima di penetrarlo. Louis trattenne il
respiro ad ogni suo affondo iniziale, ma pian piano si
sforzò di rilassare i muscoli e assecondare i suoi
movimenti. Non sentiva quell'abituale piacere montare
nel suo bassoventre a causa dei movimenti rudi dell'altro
e delle fitte alle tempie che questi causavano, nonostante
i baci e i morsi passionali che Ian lasciava sulla sua
spalla. In un'altra occasione li avrebbe trovati eccitanti,
ma in quel momento non poté che sentirsi un oggetto, un
antro caldo usato per il piacere dell'altro: il suo di piacere
era stato dimenticato da entrambi. Non si era mai sentito
così sporco prima di quel momento e voleva soltanto
velocizzare quell'atto per portare entrambi all'orgasmo e
dimenticarsi anche di quel buongiorno.

«Così, Lou.» mormorò Ian, facendo vagare le mani sul


suo bacino e prendendo la sua erezione nel palmo caldo.

Grazie alle sue stoccate decise, Louis si riversò in un


gemito strozzato sulle mattonelle fredde del box
desiderando che Ian facesse altrettanto. Per la prima
volta, desiderò avere un preservativo tra loro, un misero
strato di lattice che serviva a separali, a non farli
confondere, anche se l'amore avrebbe dovuto fare
tutt'altro. Quando Ian lo seguì pochi istanti dopo, Louis
finalmente si voltò e lo vide ancora scosso dal suo
orgasmo. Le lunghe ciglia sfarfallavano velocemente, il
petto si alzava e si abbassava e le mani erano ancora

35
ferme alla parete alle sue spalle. A corto di respiro e di
spiegazioni, perché il sesso era l'ultima cosa che entrambi
si sarebbero aspettati di fare quella mattina, Ian gli lasciò
un bacio sulle labbra, un bacio diverso da tutti i
precedenti.

Era morbido, dolce, sapeva di affetto.

Eppure, quando uscì dalla doccia, Louis non si mosse dal


getto di acqua calda, ancora incredulo per le emozioni
contrastanti provate, per le spinte rudi e per quel dolce
bacio arrivato troppo tardi. Ian si era preso tutto ancora
una volta e lui non aveva fatto nulla per impedirlo. Uscì
soltanto mezz'ora dopo dal bagno con un solo obiettivo,
oltre a quello di studiare per bene statistica: cercare tra i
ricordi sbiaditi il vecchio Louis e riportarlo alla luce dopo
mesi di tenebre.

36
CAPITOLO 2

Louis conosceva Niall da tre lunghi anni e non gli aveva


mai dato ragione su qualcosa, neanche quando
effettivamente avrebbe dovuto concedergliela perché «la
ragione si dà agli stupidi per farli tacere» si giustificava.

E per fortuna che da piccolo ascoltava sempre le lezioni di


vita di nonno Robert.

Tuttavia, nelle ultime settimane, aveva dovuto ricredersi


su tutta la linea perché Niall aveva avuto ragione
ripetendogli di non avere altra scelta che ritrovarsi
quell'Harry tra i piedi da quel momento in poi. Harry era
ovunque nell'appartamento: era nel frigorifero con le sue
verdure biologiche, era nel loro account Netflix con quegli
assurdi documentari che guardava, era sul tavolino da
caffè in soggiorno con quello scarabeo di legno. Harry era
ovunque, eppure rimaneva quasi sempre confinato nella
sua stanza. E questo più lo infastidiva, che la sua
presenza aleggiasse in quell'appartamento come quella di
un vecchio fantasma, persino nelle conversazioni con
Niall: Harry mi ha detto, Harry ha fatto, Harry mi ha
consigliato. E Louis stentava a credere che quel ragazzo
fosse così produttivo dal momento che trascorreva la
maggior parte delle sue giornate a lavoro o nella sua
stanza. Forse, dava il meglio di sé non in sua presenza.

D'altra parte, Louis non era stato molto presente nel loro
appartamento ultimamente e la causa non andava
ricercata in Harry, ma nella statistica e nell'ansia che essa
gli aveva causato. Trascorreva intere giornate con il capo
chino su quel tomo e il fondoschiena ben piantato alla
sedia, abbandonava la sua stanza soltanto per mangiare -
cibo spazzatura, possibilmente - o andare in bagno o far
sapere alla sua famiglia che fosse ancora vivo. Durante le
sessioni d'esame era solito nascondere il suo cellulare tra
i cuscini del divano per distrarsi di meno e non finire a
cercare su Google le cose più strampalate. Da poco aveva
37
scoperto che per poco più di mille sterline poteva
comprare un alpaca e rimpiazzare il suo coinquilino:
sfortunatamente non aveva quei soldi da spendere, né
una stalla con del fieno, né lo spazio per ospitare un
intero gregge visto che quegli animali vivevano bene solo
in compagnia. Eppure, nascondere il suo cellulare o
studiare senza pause non erano serviti a molto perché, a
meno di due settimane dal suo esame, Louis aveva
scoperto dei nuovi esercizi che non sapeva risolvere e il
mondo gli era crollato addosso all'improvviso. A niente
servì piangere o digitare strane funzioni sulla sua
calcolatrice perché lui quegli esercizi non li avrebbe mai
capiti, non senza il supporto di qualcuno che se ne
intendeva.

Un pomeriggio, disteso a pancia in su sul letto, si ritrovò


a guardare combattuto un numero presente sul display
del suo cellulare. Quelle dieci cifre rappresentavano la sua
ultima possibilità di passare l'esame e laurearsi,
significavano chiamare l'amico snob di Ian e chiedergli
delle ripetizioni dell'ultimo minuto. Louis sospirò,
imbronciando le labbra, e gettò il cellulare sul letto per
prendere il quaderno e ripassare i suoi appunti. Non gli
avrebbe mai dato quella soddisfazione, ma, allo stesso
tempo, doveva passare il suo esame. Per questo, lo
recuperò e chiamò un numero tra i preferiti.

«Tommo, hai interrotto l'astinenza tecnologica?» lo


canzonò Niall, dopo qualche squillo.

«Ma tu non hai vite da salvare, invece di fare battute che


non fanno ridere?»

«Le avrei, ma sei tu che mi hai chiamato!»

«Giusto, volevo dirti che accetto la tua proposta.»


affermò con voce sottile. «Insomma, se lui è ancora
disponibile.»

38
«Ma di quale proposta parli?»

«Le ripetizioni di statistica.» ribatté tutto d'un fiato,


ripensando a quando Niall lo aveva invitato a chiedere
aiuto al suo coinquilino, un asso nel campo della
statistica, e Louis aveva reagito pacatamente sbattendo
la porta e andando via. «Mi chiedevo se Harry fosse
ancora disponibile per darmi quelle ripetizioni.»

«Ah.»

«Non ti emozionare troppo, Niall. Non ci faremo le


treccine a vicenda, né cavalcheremo insieme su un
unicorno arcobaleno incontro al tramonto. Sono solo delle
ripetizioni, brevi e professionali e di cui
ho disperatamente bisogno.»

Pensò che fosse meglio metterlo in chiaro perché Niall


sembrava decisamente volere che Harry e Louis
diventassero amici, non capendo che nessuno dei due
avesse davvero voglia o bisogno di intraprendere un
qualsiasi rapporto di conoscenza – o peggio, di amicizia –
spontaneamente. Louis non odiava l'usurpatore, anzi:
pensava che fosse piuttosto piacevole da osservare con
quei boccoli castani a incorniciargli il viso, quelle labbra
rosse o quelle spalle muscolose, ma non aveva nulla in
comune con lui e non voleva sprecare tempo a cercarlo.

«E va bene, lo contatto e ti faccio sapere se è


disponibile.»

E a Louis, che nel frattempo aveva nascosto il viso tra


due cuscini, non restò che aspettare.

Louis giunse sul pianerottolo dell'appartamento alle


cinque in punto.

39
Niall gli aveva ripetuto più volte che Harry non amasse
particolarmente i ritardatari e Louis non avrebbe detto
altrimenti. C'era qualcosa che quel ragazzo sopportava
oltre Niall, Lisa o il suo lavoro? Non lo sapeva e neanche
gli interessava. Per questo, quando le lancette
dell'orologio segnarono l'orario esatto, Louis premette il
campanello e prese un profondo respiro.

«Ehi.» lo salutò Harry, invitandolo ad entrare. «Sei in


perfetto orario.»

Louis accennò soltanto un sorriso e si strinse nelle spalle


perché non aveva voglia di rivelargli che fosse arrivato lì
in anticipo per paura di essere in ritardo e indisporlo. Si
guardò intorno e per la prima volta si sentì un estraneo in
quell'appartamento, pensando che quest'ultimo rimaneva
soltanto un insieme di pareti senza il suo migliore amico
all'interno perché era Niall a renderlo casa. A disagio, si
liberò dello zaino e del giubbetto di jeans rivelando la sua
tuta preferita, quella che indossava durante le sessioni
d'esame perché era calda, confortante e nera,
esattamente come il suo umore. In quel momento si
accorse, invece, di quanto fosse elegante Harry con il suo
maglione beige lavorato e i pantaloni Tartan blu. Non gli
piaceva affatto quella formalità, neanche quando era Ian
a ostentarla, ma doveva ammettere che a Harry donasse:
su di lui si confondeva quasi con l'eleganza. E non
bastavano soltanto dei determinati abiti per essere
eleganti, Harry lo sarebbe stato in qualunque modo
perché a essere eleganti erano i lineamenti del suo viso, i
riccioli che portava delicatamente dietro le orecchie e i
suoi modi di fare.

«Cominciamo?» gli chiese, accomodandosi al tavolo in


legno della zona giorno.

Louis annuì, pronto a tutto. Presto si accorse che quel


tutto fosse esattamente ciò di cui aveva bisogno quando
riuscì a risolvere uno di quegli esercizi impossibili con
40
l'aiuto di Harry. Quest'ultimo si rivelò un buon
insegnante, era diretto e spiegava con chiarezza gli
argomenti più ostili. Il suo unico difetto era, forse,
l'impazienza. A dire la verità era un difetto di entrambi,
insieme all'orgoglio. Quando Louis non terminava un
esercizio o afferrava un argomento nei tempi prestabiliti,
Harry cominciava a picchiettare la penna sul tavolo.
Quando, invece, quest'ultimo lo correggeva per ogni
piccola imprecisione, Louis finiva per innervosirsi e
lanciargli occhiate di fuoco. Tuttavia, si impose di non
lamentarsi perché se ora aveva una piccola chance di
superare l'esame era tutto merito di Harry. Harry con la
sua impazienza, Harry che arricciava spesso la punta del
naso e che torturava i suoi ricci, Harry che metteva
sempre in ordine la confusione che Louis generava con i
suoi appunti sul tavolo.

Quando gli comunicò di aver terminato il suo ripasso quel


giorno, Louis si concesse una pausa sigaretta sul balcone.

I tetti di Brick Lane avevano assunto una sfumatura


ambrata, tipica del tramonto, mentre le strade
cominciavano ad affollarsi e i locali a riempirsi di
avventori. Louis inspirò il fumo della sua sigaretta e
svuotò la mente soltanto per un istante. Era soddisfatto
per i risultati ottenuti, ma i ritmi di Harry erano
decisamente diversi dai suoi: era stanco, quel tipo di
stanchezza che gli faceva desiderare di essere già nel suo
letto con le tapparelle semi-abbassate per far entrare
giusto uno spiraglio di luce.

«Sei sicuro di non volere niente in cambio?» chiese, una


volta rientrato dentro, mentre raccoglieva i suoi libri e li
riponeva nello zaino. «Non avrei problemi a pagarti.»

«No, non preoccuparti. Per me è un piacere rispolverare


vecchie formule di statistica e poi sto facendo un favore a
un amico...» Accompagnò quelle parole con una risatina
nervosa. «Niall, intendo.»
41
«Certo. Allora, se non c'è altro, io andrei.»

«In realtà, una cosa ci sarebbe.» ribatté Harry, con gli


occhi verdi rivolti al parquet e le dita a giocherellare con
l'orlo del maglione. «Insomma, se non hai impegni per la
prossima ora...»

«Non ho niente da fare.» lo rassicurò perché, dopotutto,


non gli costava affatto essere gentile. «Dimmi.»

«Mi stavo chiedendo...» Harry tentennò ancora, prima di


alzare lo sguardo colorato di una nuova luce. «...se
volessi giocare a scarabeo con me.»

«A scarabeo?» chiese sorpreso. «Non ci gioco da anni


ormai.»

«Da quando sono a Londra non ci ho mai giocato ed è


uno dei miei passatempi preferiti.» E arrossì. «Però, se
hai da fare non fa nulla.»

Louis non seppe spiegarsi il perché, ma in quel momento


provo molta tenerezza per Harry, per quel ragazzo che
ora sembrava fragile come un cristallo.

«Ti ho già detto che non ho programmi per stasera.»


ripeté con una scrollata di spalle. «Allora, fammi vedere
che sai fare.» aggiunse con un occhiolino, mentre si
sistemava la frangia sulla fronte.

Harry boccheggiò incredulo per qualche istante, prima di


muoversi goffamente verso il tavolino da caffè e agitare il
sacchetto contenente le tesserine del gioco con
l'entusiasmo di un bambino. Dov'era finita tutta la serietà
che solitamente ostentava? Forse, cominciava pian piano
a sciogliersi e Louis lo capì quando, a partita terminata e
vinta proprio da Harry, quest'ultimo gli sorrise raggiante.

42
Nei giorni successivi non parlarono molto durante le
ripetizioni, ma Harry cominciò a salutarlo senza il suo
solito cipiglio e a uscire più spesso dalla sua stanza
quando Louis si presentava nel loro appartamento. Le
partite a scarabeo procedevano speditamente e Harry
non faceva altro che accumulare vittorie su vittorie, ma
Louis non si infastidiva.

Per come erano iniziate le cose tra loro non era molto, ma
era abbastanza.

Quel giorno l'ansia divorava Louis come non era mai


accaduto prima.

L'esame si sarebbe tenuto in poco meno di un'ora e lui


sfogliava le pagine dei suoi appunti frettolosamente,
sperando che quell'ultimo ripasso non gli avrebbe fatto
dimenticare ciò che aveva imparato faticosamente nelle
settimane precedenti. A mezz'ora dall'inizio della prova, si
incamminò verso l'aula, evitando accuratamente di
guardare il suo riflesso nelle porte vetrate della sua
università perché quella mattina era un disastro, più del
solito. Era stato soltanto capace di infilarsi una t-shirt
bianca e un jeans nero prima di uscire dall'appartamento
con la sua fedele giacca di jeans e il suo zaino: non era il
massimo dell'eleganza, ma ero certo che al professor
Smith non sarebbe importato. Quando si sedette al suo
solito posto, si sentì meno solo nel constatare quante
facce familiari lo circondassero. Lanciò uno sguardo carico
di speranza a Steven, un collega che era stato scoperto a
copiare più volte, e un altro a Lauren, che versava nella
sua stessa condizione da un anno. Non appena il
professor Smith fece il suo ingresso nell'aula con i suoi
occhialetti a mezzaluna sul naso adunco e i test freschi di
stampa sotto il braccio destro, Louis si sistemò meglio
sulla sedia in legno o forse si preparò ad alzarsi e
scappare via.
43
La paura di fallire ancora una volta si impossessò di lui e
gli sembrò di non ricordare più nulla, neanche il suo
nome.

Tuttavia, il professor Smith mise sul suo banco il test e


decise per lui: sarebbe rimasto e avrebbe svolto l'esame
al meglio delle sue possibilità. Deglutì, quindi, prima di
posare gli occhi sulle tracce degli esercizi, e sperò che
quella finalmente sarebbe stata l'ultima volta.

«Non sta scherzando, vero?»

«No, signor Tomlinson.» Il professor Smith rispose con la


calma solenne che caratterizzava ogni sua affermazione.
«Ha appena passato l'esame.»

Louis poggiò una mano sul suo petto, proprio lì dove il


cuore cominciò a battere erratico, e dovette trattenersi -
non si vergognava a precisarlo - dal piangere o dall'urlare
a squarciagola. Non importava che il professore glielo
avesse ripetuto già tre volte e che lui si era mostrato
incredulo altrettante volte, semplicemente voleva
accertarsi che quello non fosse un sogno ad occhi aperti,
ma la realtà concreta. Dopotutto, aveva trascorso le ore
precedenti al di fuori del suo ufficio con la speranza di
avere subito i risultati e, quando il professore lo aveva
visto seduto sul pavimento del corridoio, aveva scosso la
testa esasperato invitandolo a entrare. Il cuore di Louis
aveva saltato qualche battito ogni volta in cui la sua
penna rossa aveva corretto un numero, una parola o un
risultato: eppure, quando aveva visto la sufficienza,
sottolineata per ben tre volte, gli erano tremate le gambe
dall'emozione.

«Firmi qui, per favore. E poi vada a godersi questo


pomeriggio di sole perché non voglio vederla mai più,
Louis.»
44
Louis annuì, gli strinse la mano e andò via dal suo ufficio
con un sorriso che difficilmente sarebbe scomparso presto
dalle sue labbra. Si rifugiò sotto l'ombra di un albero nel
cortile interno dell'università e si godette gli ultimi raggi
di sole della stagione, prima di chiamare sua madre.
Informarla che non avrebbe più dovuto preoccuparsi degli
alpaca nel giardino della loro villetta a Eastbourne lo fece
sentire molto orgoglioso insieme a quel «siamo tutti fieri
di te, Louis». Chiamò anche Ian, la cui reazione fu molto
più contenuta e misurata perché «sono in ufficio, amore».
E Louis avrebbe voluto urlargli contro, ma lo aveva
chiamato "amore" e non succedeva molto spesso. Ian non
era mai stato molto romantico, alzava gli occhi al cielo
ogni qual volta Louis lo vezzeggiava con qualche parolina
in francese, lingua che conosceva grazie a sua nonna
Margot, e raramente si presentava ai loro appuntamenti
con un mazzo di fiori: per chiamarlo in quel modo doveva
essere davvero orgoglioso di lui. Inoltre, gli aveva
promesso una sorpresa e che lo avrebbe aspettato nel
suo appartamento per festeggiare. Prima di riporre il
cellulare in tasca, quest'ultimo suonò.

«Louis.» esordì Niall, non dandogli neanche il tempo di


salutarlo. «Dammi una buona notizia, per favore.»

«Non ci crederai mai, Niall.»

«Non dirmi che sei scappato anche questa volta!» ribatté


scandalizzato. «Lo sapevo che avrei dovuto prendere un
giorno libero e accompagnarti in aula!»

Continuò a parlare di quanto fosse stato stupido gettare


la spugna perché quella fuga non lo avrebbe ripagato, lo
minacciò anche di andare a Eastbourne a piedi se fosse
stato necessario per rivelare tutto ai suoi genitori, persino
di chiamare nonno Robert per una ramanzina che lo
avrebbe rimesso in riga. Louis, semplicemente, smise di
ascoltare dopo il primo minuto.

45
«Hai finito?»

«Sì!» affermò minaccioso. «Per ora.»

«Beh, dovrai rivedere le tue priorità e, soprattutto,


chiedermi scusa quando mi vedrai perché ho passato quel
dannato esame.»

«Cristo santo, Louis!» esclamò. «Non sai quanto sono


contento per te, mi hai fatto davvero preoccupare con
questa statistica del cazzo.»

Louis ridacchiò per la sua reazione, ma la capiva del tutto


perché sopportare ogni suo sbalzo d'umore e ogni crisi
avuta era stato difficile. «Ti capisco, ma dove sei?» chiese
curioso, quando sentì un gran vociare sovrastare la voce
dell'altro.

«Sono appena uscito dalla National Gallery con


Harry. L'ho portato a fare un giro per la città, ci
raggiungi?»

«Ne sei sicuro?» Lo domandò perché, nonostante si


fossero avvicinati, non aveva la presunzione di affermare
che lui e Harry fossero diventati amici. «Magari vuole
stare da solo con te e non vuole avermi tra i piedi.»

«Ti aspettiamo qui, alla Colonna di Nelson.» ribatté senza


esitazione. «Sbrigati, asso della statistica.»

Louis si convinse e si intrufolò nella prima stazione della


metro che incontrò. Durante il tragitto cercò di non
pensare a quanto sarebbe stato strano condividere il suo
migliore amico con Harry. Forse, insieme, si sarebbero
divertiti per davvero. Magari, pensò, quel giorno avrebbe
portato con sé più sorprese del previsto.

46
Louis si aggirava per Trafalgar Square da qualche minuto
cercando di individuare Niall e Harry tra le tante persone
che l'affollavano: quel clima mite aveva fatto sì che
migliaia di turisti e londinesi si riversassero per le strade
della città e a lui non dispiaceva perché Londra era bella
con i nuvoloni grigi a farle da sfondo, ma quando il sole la
baciava lo era ancora di più.

Quando individuò le loro figure su un lato della colonna di


Nelson, cominciò presto a correre nella loro direzione
ignorando le strigliate di chi si trovava sul suo cammino.
Saltò tra le braccia di Niall, che gli schioccò un bacio
umido sulla fronte, e si sentì bruciare di felicità perché si
accorse di essere finalmente libero. Dopo aver
riacquistato la sua compostezza, notò la presenza
silenziosa di Harry e apprezzò la sua informalità quel
pomeriggio, soprattutto quel beanie azzurro e il maglione
comodo e grigio che indossava nonostante la temperatura
gradevole: sembrava molto più giovane e umano in quel
modo, insieme agli occhi verdi così limpidi. Louis lo
salutò, sventolando una mano nella sua direzione e non
preoccupandosi se la dimostrazione d'affetto tra lui e Niall
avrebbe potuto infastidire un tipo distaccato come lui.
Louis abbracciava, Louis baciava, Louis sorrideva e
nessuno avrebbe potuto impedirglielo, non più.

«Ora che sei tornato a vivere, pensa a tutte le cose che


puoi fare!» esclamò Niall, prendendolo sottobraccio e
incamminandosi verso Parliament Street, con Harry alle
loro calcagna.

«Ora come ora voglio soltanto dormire.»

«Baggianate! Stasera dobbiamo festeggiare con una bella


bevuta, come ai vecchi tempi.»

«Stasera sono già occupato con Ian.»

«Non ti molla mai questo avvocato delle cause perse!»


47
Louis alzò gli occhi al cielo e non riuscì a far a meno di
precisare «veramente è l'esatto contrario!».

Niall storse il naso e, proprio quando stava per elencare i


vantaggi di uscire con lui quella sera, il suo cellulare
squillò portandolo ad allontanarsi dagli altri due e cercare
un luogo meno rumoroso in cui parlare. Louis lanciò
un'occhiata a Harry, che quel pomeriggio sembrava più
silenzioso e inquieto del solito con il solco profondo tra le
sopracciglia ordinate, la mascella contratta e le labbra
assottigliate in una linea dritta. Non capiva come finisse
per avere così spesso quell'espressione sul suo volto,
come i suoi occhi brillassero soltanto per pochi. Harry
sembrava essere sempre perso nel suo mondo, un mondo
accessibile a pochi. E, allora, Louis gli accarezzò
delicatamente l'avambraccio per richiamare la sua
attenzione.

«Grazie per avermi aiutato con il mio esame, Harry.» I


suoi occhi verdi si concentrarono sulla sua mano e poi sul
viso. «È anche grazie a te se sono riuscito a superarlo.»

«L'avrebbe fatto chiunque.» rispose, scrollando le spalle e


nascondendo le mani nelle tasche posteriori dei suoi
jeans. «Tu, invece, sei stato piuttosto bravo.»

No, non l'avrebbe fatto chiunque: nessuno avrebbe


occupato i suoi pomeriggi, al ritorno dal lavoro, per dare
delle ripetizioni senza chiedere qualcosa in cambio.
Tuttavia, Louis non glielo fece notare perché Harry non
sembrava in grado di accettare ringraziamenti o
complimenti.

«Allora, che ne pensi di Londra?»

«Uhm, Londra è abbastanza grande...puoi perdertici


facilmente.»

48
Di tutto ciò che avrebbe potuto dire sulla città, Harry
scelse l'unica cosa che Louis non si sarebbe mai
aspettato. In tanti avevano parlato della capitale nei modi
più disparati, Samuel Johnson aveva persino detto che un
uomo stanco di Londra fosse stanco della vita stessa.
Eppure, per Harry Styles Londra era "abbastanza grande"
e la sua preoccupazione maggiore era "perdersi" al suo
interno. Louis si disse che non avrebbe mai capito quel
ragazzo, prima di continuare la loro conversazione.

«Eri già stato qui prima d'ora?»

«No, mai.»

«E ti stai trovando bene?»

«Più o meno.»

«Sai, anche per me lasciare Eastbourne per trasferirmi


qui è stato un bel cambiamento. Dopo la prima settimana
trascorsa all'università e in un ambiente completamente
diverso dal mio, volevo soltanto tornare a casa...anche se
l'ho sempre sentita stretta.»

«Ma non l'hai fatto, sei ancora qui.»

«Già, sono ancora qui.»

«E cosa ti ha spinto a rimanere?»

«Ho conosciuto Niall e più tardi altre persone che sono


diventate molto importanti per me. Non appena
conoscerai qualcuno che ti farà sentire a casa nonostante
tu sia a chilometri e chilometri di distanza da essa, non
avrai più problemi.» Louis notò Harry abbassare lo
sguardo a terra e sospirare mestamente a quelle parole.
«Questo ti piacerà!» esclamò un istante dopo,
distraendolo.

49
Indicò un angolo della strada in cui un musicista stava
cantando e suonando la sua chitarra. Era questo ciò che
amava maggiormente di Londra, la sua capacità di
sorprenderlo sempre, anche in una semplice passeggiata.
L'artista era piuttosto bravo e radunò presto una cospicua
folla intorno a sé che batteva le mani a tempo e cantava
al suo seguito, persino Harry sorrideva in quel momento.
Quando la folla li spinse sempre più vicini e le loro mani si
sfiorarono gentilmente, Louis percepì una leggera scarica
elettrica percorrergli l'intero corpo e fece un passo
indietro per allontanarsi, ma finì soltanto per pestargli il
piede. Si ritrovò a scusarsi per la sua goffaggine e, se
fosse stato tutto come un istante prima, Harry gli avrebbe
sorriso scrollando le spalle.

Tuttavia, non fu così. Il petto di Harry si alzava e si


abbassava affannosamente, il suo volto era pallido così
come le sue labbra e i suoi occhi cupi.

«Harry, va tutto bene?»

Nel chiederglielo, si spose verso di lui e lo scoprì a


tremare come una fogliolina la vento. Non sembrò
neanche ascoltare la sua domanda perché gli occhi
spaventati continuavano a rimbalzare da un angolo
all'altro della strada e non incontravano mai i suoi.
Soltanto quando Harry gli afferrò la mano con vigore,
come se avesse paura di rimanere da solo, Louis capì che
l'altro lo avesse ascoltato, ma che fosse immobilizzato
dalla paura. Cercò Niall invano e con un respiro profondo
si convinse di poter gestire quella situazione da solo:
sfiorò la guancia di Harry con la mano libera e soltanto in
quel momento gli occhi dell'altro si soffermarono sul suo
volto. Fu allora che cominciò a muovere il pollice
lentamente per accarezzargli la pelle ancora pallida e
fredda.

«I-io...» boccheggiò Harry, prima di mormorare «...voglio


andare a casa».
50
Louis annuì senza esitazione e, quando fece per
allontanare la mano dalla sua guancia, Harry usò la sua
per trattenerla sulla pelle fredda ancora per un po'. Quel
gesto, così spontaneo, diverso da ogni azione calcolata
che lui compieva, spiazzò Louis completamente.

«Harry, non vado da nessuna parte.» lo rassicurò. «Devi


lasciare andare la mia mano così posso portarti via da qui
e cercare Niall.»

Utilizzò il tono più dolce e accomodante possibile e, dopo


un istante, Harry lasciò andare la sua mano, quella sulla
guancia, stringendo maggiormente l'altra, piccola e
racchiusa nella sua. Entrambi tornarono a respirare
quando furono fuori dalla folla e lontano dalla musica, per
poi correre incontro a Niall che, appoggiato a un
parapetto, li guardava confuso.

«Non so cosa sia successo, ma Harry non si è sentito


bene.»

Harry scivolò dalla stretta di Louis e si rifugiò tra le


braccia di Niall non appena lo vide. Quest'ultimo gli
mormorò qualcosa che non riuscì a capire, ma che l'altro
non esitò a ripetere. Pian piano il suo respiro si calmò e il
viso riacquisì il suo usuale colorito, così come le labbra.
Niall gli diede un'ultima pacca sulla schiena, prima di
chiamare un taxi e rivolgere a Louis un'occhiata
indecifrabile.

Louis non ebbe il coraggio di avvicinarsi a Harry, mentre


cercava ancora di capire cosa fosse realmente successo.

Il silenzio all'interno del taxi era insopportabile.

51
Louis guardava il panorama oltre il finestrino per non
concentrare l'attenzione su Harry, impegnato a torturarsi
le mani e ad avere un'espressione dispiaciuta sul viso.
Non riusciva a non sentirsi in colpa per ciò che era
successo, per la reazione di Harry e la sua incapacità di
calmarlo così come aveva fatto Niall. Quel silenzio venne
spezzato soltanto mezz'ora dopo, quando i tre arrivarono
all'appartamento e Harry si rinchiuse nella sua stanza
prima che Louis potesse chiedergli come si sentisse.

«È stata tutta colpa mia.» ammise, accasciandosi sul


divano.

«Non è stata colpa tua, Lou.» lo rassicurò Niall, mentre


metteva a bollire un po' di acqua secondo quella
concezione per cui una tazza di tè poteva curare tutti i
mali del mondo. «Non lo sapevi. Io, invece, non avrei
dovuto allontanarmi per quella telefonata.»

«Non sapevo che fosse agorafobico, altrimenti non l'avrei


mai trascinato con me. Un istante prima era felice e un
istante dopo era spaventato a morte.»

«Harry ha spesso attacchi di panico quando affronta una


nuova esperienza e quel concerto improvvisato e affollato
è stato decisamente qualcosa di nuovo per lui.»

«È per questo che durante la tua festa di bentornato è


rimasto in camera sua?» Niall annuì, mentre riempiva tre
tazze con l'acqua calda e metteva il tè in infusione. «Sai,
oggi noi due abbiamo avuto quasi una conversazione
decente. Non abbiamo parlato delle ripetizioni, di
percentuali o degli esercizi e mi ha persino sorriso.»

«Un passo alla volta, Lou.»

Annuì perché doveva ammettere che Harry non fosse poi


così antipatico e che quella fosse la strategia giusta da
percorrere per avvicinarsi a lui. Inoltre, l'episodio
52
accaduto poco prima lo aveva reso più umano ai suoi
occhi: Harry era fatto anche di paure e insicurezze, forse
più di qualunque altra persona. Così, Louis si offrì persino
di portargli la tazza di tè in stanza.

«Sei sicuro?»

«Oggi mi sento fortunato.»

Giunto davanti alla sua stanza, bussò alla porta senza


ricevere alcuna risposta e non ne fu molto sorpreso.
Comunque, ignorò quel silenzio ed entrò, individuando
presto Harry nel letto a pancia in giù e con il viso sepolto
tra i cuscini.

«Harry?»

Non gli rispose e Louis si guardò intorno a disagio.


Constatò che la stanza non fosse cambiata molto,
escludendo le pareti bianche che la rendevano più
luminosa e ampia e l'odine che la caratterizzava. Harry
non l'aveva personalizzata molto, se non per qualche libro
sulla scrivania o qualche aeroplano di balsa sistemato
nella libreria. Sul comodino, invece, c'era una foto
incorniciata che ritraeva una famiglia di quattro persone.
Un uomo alto e con una divisa della RAF indosso - l'aveva
riconosciuta dalle medaglie sul suo petto e perché nonno
Robert ne era un appassionato - stringeva tra le braccia
una donna più minuta, il cui viso era incorniciato da
lunghi capelli scuri e due occhi blu. Al loro fianco c'erano
due ragazzini e Louis non impiegò molto a capire quale
fosse Harry grazie agli occhi verdi, ai ricci ribelli e a quel
solito broncio che gli arricciava le labbra. L'altro, forse
suo fratello, aveva ereditato gli occhi blu della madre, ma
in qualche modo gli somigliava ugualmente per i
lineamenti spigolosi del viso, marchio di fabbrica della
famiglia. Guardò quella foto ancora un istante, prima di
sentirsi di troppo, persino a osservare qualcosa che gli

53
rivelava molto più di ciò che Harry aveva condiviso con lui
fino a quel momento.

«Harry, ho portato una tazza di tè anche per te.» riprovò,


poggiandola sul suo comodino, accanto alla foto.

Scrutandolo meglio, pensò che Harry si fosse


addormentato. Tra i ricci e i cuscini si intravedeva
un'espressione rilassata, tipica del sonno. Si accucciò al
suo fianco e avvicinò la mano al suo volto per liberarlo dai
capelli ed ecco come Harry avrebbe dovuto essere
sempre. Rilassato, tranquillo, in pace. Soltanto dopo aver
sfiorato la sua pelle, ancora fredda al tatto, lo vide
irrigidirsi e sbattere più volte le palpebre prima di aprirle
propriamente.

«Ehi.» sussurrò Louis. «Sono entrato per vedere come


stavi.»

«Sto bene.»

«Ti va di fare una partita a scarabeo? Oggi potrai


schiacciarmi più del solito.»

«No.»

«Sei sicuro? Non ti farò molto spesso questa richiesta di


mia spontanea volontà, ti conviene accettarla prima che
possa rimangiarmela.»

«Non voglio fare nulla, voglio soltanto stare da solo. Per


favore Louis, vattene.»

Si voltò sul lato opposto e gli diede le spalle.

E Louis aveva tanti difetti, ma non era stupido. Capiva


quando la sua presenza non fosse gradita e, forse, Harry
non l'avrebbe mai apprezzata fino in fondo. In quel

54
momento, rimpianse il momento esatto in cui aveva
deciso di entrare nella stanza e porgergli il suo aiuto.
Sembrava persino che Harry si fosse dimenticato
dell'attacco di panico o del fatto che fosse stato Louis ad
aiutarlo, che poi fosse stato proprio lui a scatenarlo era
decisamente un'altra storia. Così uscì dalla stanza
sbattendo la porta alle sue spalle e si precipitò in
soggiorno, dove Niall lo aspettava con un'espressione
furba sul viso.

«Allora...ti senti ancora fortunato?»

«Ma vaffanculo!» sbraitò, prima di recuperare il suo zaino


e chiudere il portone dietro di sé.

Mentre si precipitava per le scale, si ritrovò a sperare che


quella giornata e Ian non avessero più in serbo per lui
alcuna sorpresa.

55
CAPITOLO 3

«Andiamo, Ian!»

Louis cercò di allontanarlo, poggiando una mano sul suo


petto, ma fu del tutto inutile perché Ian catturò ancora
una volta le sue labbra e le baciò con trasporto. In altre
occasioni avrebbe prolungato quel contatto il più a lungo
possibile, perché erano piuttosto rari quei momenti di
spensierata tenerezza tra loro, ma la lunga fila di
automobili che seguiva la loro Audi non la pensava allo
stesso modo. All'ennesimo clacson Louis premette un
ultimo bacio sulla bocca di Ian e quest'ultimo alzò le mani
in segno di resa, prima di lasciarlo andare e parcheggiare
l'automobile non molto lontano. Louis si affrettò a
intrufolarsi nel Mayflower, uno dei pub più caratteristici a
sud di Londra, sperando di non essere troppo in ritardo.

Era stato in quel pub poche volte, vivendo maggiormente


la parte nord della città, ma non gli dispiaceva la movida
di South Bank, soprattutto a confronto dei locali patinati
che frequentava durante le cene di lavoro di Ian. Il
Mayflower era perfetto per una serata informale tra
amici: i pannelli in legno scuro che ricoprivano il
pavimento e gran parte delle pareti, i quadri a tema
nautico, le luci soffuse e le lunghe tavolate permettevano
di godere di una convivialità che spesso veniva
sottovalutata nella Londra per bene. E quando entrò nel
pub fu felice di notare che non fosse cambiato nulla al suo
interno, né la sua atmosfera. Individuò presto la sua
tavolata molto rumorosa e già piena di caraffe di birra,
bicchieri vuoti e vari stuzzichini e sorrise davanti a quella
confusione, prima di raggiungerla.

«Wow, Tomlinson!» esclamò Nick, facendo voltare tutto il


locale nella loro direzione.

Louis nascose il volto dietro i palmi delle mani per la


vergogna, soprattutto perché non aveva nulla di
56
particolare indosso, escludendo i suoi jeans più belli. Con
questi ultimi, ovunque andasse, riceveva complimenti:
non sapeva proprio se quel suo fondoschiena perfetto,
ottenuto senza alcuno sforzo, fosse una maledizione o
una benedizione. Spesso protendeva per la prima
opzione. Non poté far a meno di tirare uno scappellotto
giocoso a Nick, che rispose divertito con un inchino,
prima di accomodarsi al tavolo.

«Dacci un taglio, Nick.» lo ammonì Niall. «Sta arrivando


Ian.»

Louis non fece caso alla sua entrata, perché la sua


attenzione venne catturata da Harry, già intento a
guardarlo. Quella sera aveva un sorriso accennato sulle
labbra e i riccioli più arruffati del solito. E si stupì di
vederlo così a suo agio nel pub, soprattutto perché era
circondato da persone che non conosceva molto. Forse,
Londra stava smussando i lati spigolosi del suo carattere.
Ultimamente Harry era ben determinato a ignorare
qualunque cosa fosse successa a Parliament Street e lui
non se ne lamentava: la sera dopo, aveva persino finito
per guardare un film con lui e Niall sgranocchiando pop-
corn e non avevano più parlato della loro discussione.
Louis si accorse dell'arrivo di Ian al suo fianco soltanto
grazie all'espressione confusa e un po' imbarazzata
presente sul viso di Harry.

«Piacere.» affermò Ian, tendendogli la mano. «Ian


Graham, il fidanzato di Louis e tirocinante dello studio
legale Johnson.»

«Harry.» ribatté lui, limitandosi a sventolare la mano e a


sollevare le sopracciglia sorpreso. «Solo Harry.»

Ian sembrava in attesa di altro, ma dovette desistere


quando Harry abbassò lo sguardo sul menu e si concentrò
su esso. Niall soffocò una risata, perché non aveva mai
amato la sua pomposità o la sua attenzione esagerata
57
alle etichette. Sinceramente, Niall non aveva mai
apprezzato niente di Ian. Louis capiva il suo punto di vista
in parte, alcuni atteggiamenti troppo formali erano inutili
nel suo giro di amicizie: Niall era appena entrato in una
scuola di specializzazione, Nick doveva ancora laurearsi,
Lisa era alle prese con il suo tirocinio per esercitare la
professione di psicologa e Louis sperava di cavarsela.
Forse, soltanto Harry avrebbe potuto vantare una
posizione lavorativa di spicco, ma non l'avrebbe mai
fatto.

Harry era semplice, era genuino: si notava dagli occhi


limpidi quando era rilassato, dalle sopracciglia corrucciate
quando era infastidito e dalle fossette che spuntavano
sulle sue guance quando era felice. Era molto simile a un
bambino da quel punto di vista e quella sera sembrava
più giovane del solito con quei riccioli morbidi a creargli
ombre sul viso e la camicia dalla strana fantasia che
lasciava intravedere i suoi tatuaggi. Quelli, poi, Louis non
riusciva proprio a spiegarseli. Spesso si chiedeva come un
ragazzo così rigido e serio fosse arrivato a tatuarsi in quel
modo, ma non avrebbe dovuto meravigliarsi considerando
i suoi di tatuaggi. Alcuni erano sciocchi, ma altri
raccontavano la sua storia, fatta di vittorie e sconfitte,
inevitabilmente sulla sua pelle affinché non la
dimenticasse. Si domandò quale fosse la storia di Harry,
perché avesse a volte quegli strani comportamenti e quei
particolari interessi, ma si ridestò presto dai suoi pensieri.

Una cameriera cominciò a prendere le loro ordinazioni e


lui si accorse di essersi concentrato sull'altro per molto,
forse troppo, tempo perché era lì da più di un quarto
d'ora e non aveva dato neanche uno sguardo al menu.

Presto i bicchieri vuoti si moltiplicarono, così come le


risate, le battute e le chiacchiere che affollavano la
tavolata.
58
Persino Ian abbassò le difese, capendo di non dover
impressionare nessuno a quel tavolo, e spesso si
avvicinava a Louis per lasciargli un bacio sulla guancia o
una carezza sulle spalle. Louis non si sentiva così sereno
da tempo e sembrò realizzarlo soltanto in quel momento,
tra le risate dei suoi amici e i gesti affettuosi del suo
fidanzato. Per questo, si accigliò nel notare l'espressione
di Harry rabbuiarsi all'improvviso quando la cameriera
portò il suo ordine. Mentre i presenti addentavano
soddisfatti il loro hamburger, lui guardava con diffidenza
il pollo nel suo piatto e storceva il naso. Louis sapeva di
non doverlo fare, perché Harry aveva dimostrato più volte
di non volere l'aiuto altrui, ma non poteva combattere la
sua natura: poteva soltanto assecondarla.

«Harry.» lo richiamò. «È tutto okay?»

Lui alzò lo sguardo nella sua direzione e scosse la testa


mesto.

«Cosa c'è?»

«Avevo ordinato il pollo fritto, non il pollo alla birra. Non


mi piace la birra, non mi piacciono gli alcolici in
generale.»

E, prima di poter offrirgli una soluzione, Ian si intromise


nella loro conversazione. «Lo sai che l'alcol evapora in
cottura?» sghignazzò. «C'è soltanto il sapore della birra,
ma quel pollo non è alcolico.»

Non fu sbagliato quello che disse, ma il tono che utilizzò,


un tono saccente, quasi di derisione. E a Louis dispiacque
che Harry avesse dovuto conoscere quel lato caratteriale
del suo fidanzato, lui stesso non sopportava quando Ian
si credeva superiore agli altri. Gli lanciò uno sguardo
velenoso, prima di concentrarsi su Harry, le cui guance
erano già rosse per l'imbarazzo. D'istinto gli coprì la
mano, ferma sul tavolo, con la sua per attirare la sua
59
attenzione e Harry non impiegò molto a incontrare il suo
sguardo preoccupato.

«Che ne dici se chiamo la cameriera e le chiedo di portarti


la tua vera ordinazione?»

«Perché dovresti chiederlo tu? Non è abbastanza grande


per farlo da sé?»

«Ian, per favore.» sbuffò Louis. «Stanne fuori per una


volta.»

Non lo ascoltò, perché un istante dopo Ian chiamò la


cameriera sotto lo sguardo atterrito di Harry. «Il ragazzo
vorrebbe mandare indietro il piatto.» disse, non appena
lei arrivò.

«Oh.» La cameriera guardò prima Harry e poi il suo piatto


confusa. «Cosa c'è che non va?»

«I-io...»

Harry balbettava e le sue mani tremavano vistosamente,


il suo viso era paonazzo e gli occhi lucidi. A Louis sembrò
di trovarsi ancora una volta a Parliament Street e volle
mettere fine a quel supplizio: lasciò la mano di Harry e la
poggiò sull'avambraccio di Ian, quasi a intimargli di
finirla. Tuttavia, non poté compiere scelta peggiore
perché la sua stretta era tutto ciò che ancorava Harry a
quel tavolo. Non appena lo liberò, quest'ultimo si alzò e si
precipitò verso l'uscita, lasciandosi alle spalle soltanto
delle espressioni confuse e una adirata, quella di Louis.

«Sei proprio uno stronzo, Ian.» disse, prima di seguirlo.

L'unica cosa che gli importava era trovare Harry e


assicurarsi che stesse bene o per lo meno che prima o poi
sarebbe stato meglio.

60
*

Louis girovagava nei dintorni del pub da diversi minuti


ormai e dovette raggiungere la strada parallela al Tamigi
per riuscire a scorgere Harry.

Era appoggiato al parapetto e sembrava essere più


calmo, mentre il fresco venticello di ottobre gli
scompigliava i capelli e i lampioni illuminavano il suo
profilo dolcemente. I suoi occhi erano chiusi e le lunghe
ciglia castane proiettavano la loro ombra sugli zigomi.
Sapeva di non doverlo pensare, ma non aveva mai visto
nulla di più bello e fragile allo stesso tempo prima di quel
momento.

«Harry.»

Lui rilasciò un brusco sospiro, prima di rivolgergli


un'occhiata torva.

«Il tuo fidanzato e tirocinante dello studio Johnson Ian


Graham è un coglione.»

«Dimmi qualcosa che non so.»

«Allora perché stai insieme a lui?»

Louis sussultò davanti a quella domanda così diretta, gli


sembrò di ascoltare Niall. Avrebbe potuto rispondere in
tanti modi, perché lo amava, perché lo faceva stare bene,
perché lo completava: tuttavia, in quel momento,
nessuna tra quelle risposte rispecchiava la realtà.

«È complicato.» Harry scosse la testa e tornò a guardare


il fiume, dove le stelle e la luna si riflettevano. «Perché
non torniamo dentro? Non rovinarti la serata.» affermò,
stringendosi nel suo giubbetto scamosciato ad ogni folata

61
di vento. «Sono certo che Niall abbia già chiesto la tua
vera ordinazione.»

«Non so se mi va.»

«Ma il pollo fritto è buono e il fritto in generale batte


tutto, persino gli stronzi. Lo dice anche mia nonna
Margot.»

Finalmente Louis lo sentì ridacchiare e il suo petto si


scaldò al suono di quella melodiosa risata, soprattutto
spontanea per uno come Harry, una persona che
solitamente misurava ogni suo gesto. Nonostante tutto,
entrambi rimasero fermi accanto al parapetto a guardare
il fiume.

«Non è che non mi piaccia la birra.» spiegò Harry dopo


poco. «È che io non bevo alcolici in generale e mi sono
infastidito per quel pollo, ma so che nella cottura dei cibi
l'alcol evapora. Insomma, non sono un idiota.» Allargò le
braccia e mise su un broncio che fece sorridere l'altro.
«Ho un quoziente intellettivo più alto della media, una
laurea e un master.»

«Nessuno pensa che tu sia un idiota, Harry. E non devi


giustificarti con me o altre persone delle tue scelte, sono
soltanto tue.»

Harry lo guardò diffidente prima di chiedergli «se entro,


dovrò scusarmi con qualcuno per essermi allontanato
così?».

«No, se non vuoi.»

«Neanche con il tuo fidanzato?»

«Soprattutto con lui.»

62
Louis gli tese una mano e Harry la accettò, stringendola
forte. Era convinto che la serata non fosse ancora del
tutto perduta, che Harry potesse divertirsi in compagnia e
facendo nuove esperienze, che fosse bello vivere senza
quel velo di tristezza a oscurargli lo sguardo.
Camminarono mano nella mano fino all'entrata del pub,
dove incontrarono Niall. Il suo sguardo preoccupato si
soffermò prima sulle loro mani intrecciate e poi sui loro
volti. Si assicurò che Harry stesse bene e poi li invitò ad
entrare, intimando loro di sciogliere quell'intreccio e
lanciando a Louis un'occhiata che non seppe decifrare. E
non fu capace di decifrare neanche le parole che Harry
sussurrò al suo orecchio prima di allontanarsi.

«E comunque non capisco perché Nick ti abbia fatto i


complimenti soltanto stasera. Per me sei bello sempre,
anche con una semplice tuta indosso.»

Non era una novità con Harry nei paraggi, ma Louis si


sentì confuso dalla scelta di quelle parole e dal tono
rassicurante con cui erano state dette. I battiti del suo
cuore accelerarono e un calore improvviso si diffuse sulle
guance e non gli capitava spesso, per lo meno non era
capitato prima con Nick. Louis riceveva spesso dei
complimenti da parte di conoscenti e del suo fidanzato,
ma in pochi gli dicevano che fosse bello in quel modo
puro e onesto, tipico di Harry. Si sedette al tavolo, ancora
meravigliato da quelle parole, e ascoltò Harry scusarsi per
essersi allontanato bruscamente. Nessuno glielo fece
pesare, neanche la cameriera che gli portò con un sorriso
la sua giusta ordinazione.

Quando il battito del suo cuore tornò regolare, ignorò


molti sguardi curiosi e uno infastidito, quello di Ian, per il
resto della serata.

63
«Sei sicuro di non voler tornare con noi a casa?» chiese
Niall, mentre lo stringeva in un abbraccio veloce.
«Possiamo ospitarti, il nostro divano è sempre libero per
te.»

«No, tranquillo.» rispose Louis, comunque grato per


l'offerta. «Gli avevo promesso di dormire insieme questo
venerdì e poi voglio chiarire con lui alcune cose.»

«Va bene, ma se si comporta male...chiamami.»

«Sai che so cavarmela anche da solo.»

«Lo so.» Niall fece spallucce. «A volte, però, mi illudo


ancora che tu possa aver bisogno di me.»

Si convinse ad abbracciarlo di nuovo, perché Niall era


come un fratello, era la sua roccia. Prima di incontrarlo
Louis era più dell'idea mi salvo da solo e vediamo che
succede, ma Niall lo aveva portato velocemente a
cambiare idea non lasciandogli molta scelta: per una
volta, si diceva, era bello lasciarsi aiutare soprattutto se
era Niall a farlo. Tuttavia, quella volta non era necessario
perché Louis avrebbe dovuto cavarsela da solo con Ian e
il suo caratteraccio. E, a proposito di quest'ultimo, presto
ascoltarono il suono sgradevole di un clacson e videro i
fari di un Audi grigia lampeggiare insistentemente.

«Sarà meglio sbrigarsi, altrimenti Ian si arrabbierà e il


tuo amico ti soffierà la ragazza.»

Si riferiva a Harry e a Lisa che, qualche metro più in là,


parlavano fitto fitto tra loro.

«Impossibile.» affermò Niall solennemente. «Sono


irlandese, sono esotico e sono irresistibile. E poi credo
che il mio amico faccia gli occhi dolci a qualcun altro.»

64
Un occhiolino e una pacca sulla spalla dopo, Niall andò via
e Louis si rifugiò nell'automobile di Ian, non incontrando i
suoi occhi color caramello neanche per errore.

Continuò a ignorarlo anche nel suo appartamento, non


molto lontano dal pub in cui avevano cenato. Si spogliò
del giubbetto e attraversò il grande e minimal open space
della zona giorno, arredato con mobili moderni e
geometrici che non avevano niente a che fare con quelli
del suo appartamento di Brick Lane. Dopotutto, la signora
Graham non aveva assunto un famoso interior designer
per arredarlo e per fortuna: Louis doveva ancora abituarsi
allo stile di vita di Ian, così diverso dal suo. La sua
famiglia non aveva mai avuto problemi economici, ma
non possedeva uno yacht, né una villetta a Saint Moritz o
vari appartamenti sparsi nella Gran Bretagna. Aveva
soltanto una piccola casa a Saint Paul de Vence, ma
quella era decisamente un'altra storia. Nonostante la
grande disparità economica tra i due, Ian riusciva a non
farglielo mai pesare e Louis gliene era grato. Si spostò
velocemente in camera da letto e si chiuse nel suo bagno
privato più tempo del dovuto per prepararsi per la notte.
All'uscita, stanco e avvolto nel suo pigiama, sperò di
trovare sul viso di Ian un'espressione pentita, ma non fu
così.

«Non ci posso credere che tu sia ancora arrabbiato per


poco fa.»

«Continuerò a esserlo fino a quando non ammetterai di


esserti comportato male, Ian.»

«Non ho fatto nulla di sbagliato. Tu, piuttosto!»

«Cosa avrei fatto?»

«Hai preso le sue difese e gli sei corso dietro come un


cagnolino. E non pensare che non abbia visto come gli
tenevi la mano sul tavolo.»
65
«Ho dovuto farlo perché tu lo hai ridicolizzato e lo hai
umiliato.»

«Non è colpa mia se quel ragazzo a ventidue anni non ha


il coraggio di parlare con una semplice cameriera.»

«È soltanto particolarmente timido e non spettava a te


farlo notare a tutto il pub!»

«Quello lì è strano.» Come se quel solo aggettivo potesse


davvero racchiudere l'essenza di Harry. «Avrà anche
qualche rotella fuori posto.»

Ian giudicava, giudicava sempre. Etichettava qualunque


persona incontrasse con la sua professione o con un
aggettivo scelto alla leggera pensando così di poter
definirla. E non c'era niente di più sbagliato perché Harry
non era la sua timidezza, Harry non era le sue stranezze.
Harry era Harry, così come Louis era Louis, due esseri
umani troppo complessi per essere definiti da una
semplice etichetta.

«Harry a raison, tu es un connard!»

«In inglese, Louis.» Odiava quando le origini francesi di


Louis prendevano il sopravvento. «Abbi almeno il
coraggio di dirmelo in una lingua che posso
comprendere!»

«Sei veramente un coglione.»

«Io? Quello cerca soltanto di entrarti nelle mutande con la


storiella della timidezza.»

«Ora sei addirittura geloso di lui.» sbuffò. «Tutto questo è


assurdo.»

66
«Non è assurdo, sto cercando di proteggere soltanto ciò
che mi appartiene.»

«Io non appartengo a nessuno, Ian. E poi, quale è il


problema di tenere la mano a Harry? Abbraccio Niall ogni
giorno e non ti ha mai infastidito.»

Sfinito dagli eventi di quella sera, Louis si infilò sotto le


coperte e ignorò l'espressione furente di Ian. Era stanco e
non aveva più forze per discutere, non per la sua gelosia
insensata.

«Il problema è che quel tipo non è Niall.»

Ian sbatté la porta del bagno alle sue spalle e Louis


sussultò per quel tonfo. Chiuse gli occhi e sospirò,
ripensando alla serata appena trascorsa. Aveva
immaginato un'uscita divertente con i suoi amici, di
tornare a casa con il suo fidanzato e fare lentamente
l'amore con lui perché l'indomani Ian non avrebbe dovuto
lavorare e avrebbe potuto dedicargli le sue attenzioni per
l'intera notte. La realtà, invece, si era rivelata ben diversa
e Louis ne era molto dispiaciuto.

Gli dispiaceva soprattutto l'idea che Ian si era fatto di


Harry. Perché Harry non era machiavellico, né un
calcolatore. Era sincero, fragile, ma non aveva nulla di
sbagliato, soltanto un'indole particolare e degli interessi
inusuali per un ragazzo della sua età. Non poteva
immaginare che ci fosse altro sotto, non senza alcun
indizio da parte di qualcuno che lo conosceva alla
perfezione, qualcuno come Niall. D'un tratto pensò che
avrebbe dovuto chiedergli spiegazioni a riguardo un
giorno. Nel frattempo, Ian uscì dal bagno e si posizionò
sul letto, dietro il suo corpo, facendo aderire il petto alla
sua schiena. Lentamente portò la mano destra sul suo
fianco, intrufolando le dita al di sotto della t-shirt che
indossava e accarezzando la pelle morbida del suo bacino
prima di cercare l'elastico dei boxer.
67
«Non oggi, non mi va.» mormorò Louis contro il cuscino,
allontanando la sua mano e poggiandola di nuovo sul
fianco.

Non avrebbe più usato il sesso per riappacificarsi con Ian


semplicemente perché a volte il sesso non bastava e lui
non voleva più sentirsi sporco.

«Che palle.» ribatté l'altro. «Posso almeno abbracciarti?»

Non rispose perché a quel punto era totalmente


indifferente. Soltanto un istante dopo, capì che non lo
fosse per davvero: le sue braccia erano una prigione, il
suo fiato caldo sul collo sembrava marchiargli
indelebilmente la pelle e d'un tratto non lo sentiva più
giusto, neanche quel bacio che Ian gli lasciò sulla spalla.

Con dei pensieri confusi a rincorrersi fastidiosamente


nella sua testa, Louis quella notte non dormì affatto.

A Louis non era mai piaciuta in generale quella zona di


Londra, a maggior ragione alle sette in punto del mattino.

Whitechapel, pur essendo il cuore vittoriano dell'East End,


appariva vuota e quasi cristallizzata nel tempo. Non
c'erano turisti a occupare ogni angolo di strada, ma
qualche uomo con la propria valigetta che si dirigeva a
lavoro, madri che accompagnavano i propri bambini a
scuola e studenti in anticipo per le lezioni universitarie.
Abituato ai colori e ai rumori di Brick Lane, quella calma
che aleggiava tra le strade che percorreva lo inquietava,
quella e il fatto che anni prima lì Jack lo Squartatore
avesse mietuto le sue vittime. Evitava le pozzanghere a
passo svelto, mentre vecchie canzoni pop si diffondevano
nei suoi auricolari e rendevano meno noioso il tragitto. Il
clima era rigido, essendo ottobre inoltrato, e Louis aveva
rispolverato il vecchio parka verde di suo padre e un
68
cappellino bordeaux che teneva al caldo le sue orecchie
sempre infreddolite. Arrivato a destinazione, si sedette su
un muretto e si accese annoiato una sigaretta prima di
fissare lo sguardo sull'entrata del Royal London Hospital,
grande edificio dalla superficie vetrata che spiccava sugli
altri vittoriani della zona. Niall spuntò fuori dalle porte
automatiche dell'ospedale poco dopo, tra il via vai di
medici, infermieri e pazienti: sembrava stanco e piuttosto
infreddolito, ma soprattutto confuso per la presenza di
Louis sul suo posto di lavoro.

«Ehi, che ci fai qui?» chiese Niall, stringendolo in un


abbraccio.

«Ieri Lisa mi ha detto che avevi il turno di notte e che


avresti staccato alle sette.» rispose lui, facendo spallucce.
«Hai salvato qualcuno stanotte?»

«Non proprio. Ho retto la bacinella a una ragazzina che


non smetteva di vomitare, ho medicato un taglio a un
uomo e ho dovuto fare una puntura di cortisone a una
donna gonfia come una mongolfiera.»

Louis ridacchiò per il tono annoiato che Niall aveva usato


e, quando lo vide stropicciarsi gli occhi stanchi con il
dorso delle mani e trattenere uno sbadiglio a fatica, lo
prese a braccetto e propose «vieni con me, ti porto a fare
una bella colazione».

«Non possiamo farla a casa mia? Dovrei prima farmi una


doccia.»

«No.»

«No?»

A Louis dispiaceva vederlo così stanco, ma doveva parlare


con Niall a quattr'occhi, senza facce familiari intorno.

69
«Non possiamo perché c'è Harry a casa tua.»

«È vero, oggi è il suo giorno libero. Ma perché non vuoi


vederlo? Avete discusso ancora? Mi sembrava che le cose
stessero andando bene tra voi.»

«Ed è così, tranquillo. È che...insomma, vorrei parlarti


proprio di lui.»

Niall si accigliò, ignorando genuinamente le sue


intenzioni: a dire la verità, fino a poche ore prima, le
ignorava anche Louis. Non aveva le idee molto chiare, ma
voleva quietare i dubbi che Ian pian piano quella sera
aveva insinuato in lui riguardo Harry. Non sapeva
neanche come giustificare quell'interesse al suo migliore
amico, né a se stesso, ma si disse che avrebbe
improvvisato.

«Andiamo, allora.»

La caffetteria in cui erano entrati era accogliente, le pareti


blu e il legno scuro trasmettevano una particolare calma
che era ben apprezzata dai suoi avventori.

Niall e Louis stonavano visibilmente con quell'atmosfera


così ordinata e serafica a causa dei loro capelli
scompigliati, delle profonde occhiaie e dei numerosi
sbadigli che non riuscivano a trattenere. Si animarono
soltanto con l'arrivo delle loro colazioni, Niall sorseggiò
lentamente il suo tè, Louis addentò il suo muffin alla
vaniglia credendo di non averne mai mangiato uno
migliore e si lasciò scappare un mugolio di piacere.

«Vedo che qualcuno non si dà molto da fare a letto se si


emoziona così tanto per un muffin.» lo canzonò Niall con
un sorriso furbo sulle labbra.

70
Louis bofonchiò qualche insulto, ma dovette riconoscere
che l'amico avesse ragione. Ultimamente le cose tra lui e
Ian erano peggiorate e viveva con la costante
preoccupazione che potessero lasciarsi da un momento
all'altro, nonostante lui provasse a stargli vicino e ad
assecondare le sue esigenze. Capitava che Louis
giungesse a sorpresa nel suo appartamento soltanto per
fargli compagnia e con del cibo d'asporto, ma che Ian non
distogliesse quasi mai l'attenzione dalle scartoffie che
aveva tra le mani. Tuttavia, non c'era bisogno che lo
sapesse anche Niall.

«Allora, perché vuoi parlarmi di Harry?»

«Ci sono delle cose che non capisco di lui.»

«Cosa non capisci?»

«Non credo che il suo comportamento sia dovuto soltanto


alla sua timidezza, penso che ci sia qualcos'altro sotto.»

«E secondo te cosa c'è sotto?»

Diversi scenari, uno più improbabile dell'altro, avevano


monopolizzato i pensieri di Louis. Aveva pensato che la
timidezza di Harry fosse dovuta alla fine di una grande
storia d'amore, che quegli attacchi di panico derivassero
da un trauma che lo condizionava ancora oggi, che non
bevesse alcolici a causa di una dipendenza. Eppure,
quegli scenari non spiegavano i suoi interessi così limitati
e la difficoltà a socializzare con i suoi coetanei.

«Questo non lo so, dimmelo tu.»

«Non capisco cosa debba dirti, Lou.»

«Vorrei soltanto essere d'aiuto, capire maggiormente


Harry e se dovessi chiederlo a lui...beh, si chiuderebbe a

71
riccio.» spiegò. «Perché lui è così...» esitò per trovare le
parole giuste, ma non ci riuscì. «...così strano?»

Odiava quell'aggettivo, lo odiava perché anni prima anche


lui era stato etichettato in quel modo: da bambino perché
i suoi genitori non erano sposati come i genitori dei suoi
compagni di classe, da adolescente per la sua sessualità o
per il corso di teatro che frequentava, da adulto perché
era andato ad Haiti e non all'università dopo il liceo. Ad
oggi non gli importava, era fiero di essere se stesso e si
dispiaceva di aver utilizzato quello stesso aggettivo per
Harry.

«Non dovrei dirtelo io.» disse Niall combattuto. «E se


decidessi di dirtelo, dovrai promettermi di non riferirlo a
nessuno.»

«Non lo dirò a nessuno.»

«Nemmeno a Ian.»

«Soprattutto a Ian.»

«Se deciderò di dirtelo, non dovrai usarlo contro di lui per


ferirlo quando ti tratterà male o ti ignorerà. Me lo devi
promettere.»

«Te lo prometto, Niall.»

Le mani cominciarono a sudargli e allo stesso tempo a


tremare, mentre Niall cercava di trovare le parole giuste
per non tradire il suo coinquilino.

«Harry ha l'Asperger.» disse solennemente. «Una forma


non molto grave, ma che condiziona ugualmente la sua
vita.»

72
Louis si mostrò confuso, non era la prima volta in cui
ascoltava quella parola, ma non riusciva a ricordarne il
significato. Per questo, ammessa la sua ignoranza in
materia, gli chiese in cosa consistesse.

«È un disturbo dello spettro autistico.» spiegò. «Non


compromette le sue capacità cognitive o la sua
autonomia, anzi. Per questo motivo l'Asperger è
considerato un disturbo dello spettro autistico ad alto
funzionamento.»

«A-autistico?» chiese Louis incredulo. «Ma Harry è...lui


è...»

«Lui è Harry, ma è anche un Asperger, Lou.» ribatté


pacato. «Sono sicuro che avrai notato le sue scarse
capacità di socializzazione, i suoi comportamenti ripetitivi
e gli interessi limitati.»

«Intendi gli aerei? Le statistiche? O quello maledetto


scarabeo?» Niall annuì e accennò un sorriso, Louis si
chiese come potesse farlo. «Ma lui è anche molto
intelligente, giusto? L'ho visto fare calcoli assurdi a mente
e risolvere i miei esercizi di statistica in pochi secondi.»

«Gli Asperger solitamente hanno un quoziente intellettivo


superiore alla media e memorizzano molte informazioni
senza far troppo fatica. Mentre le sue capacità di stabilire
un'interazione sociale con qualcuno sono piuttosto
ridotte, a volte non ha alcun filtro nelle sue conversazioni,
a volte ne ha troppi.» Louis annuì, pensando a quando
Harry aveva definito Ian un coglione o quando non era
riuscito neanche a parlare con la cameriera. «Per questo,
per lui è più difficile stringere amicizie.»

Louis aveva delle conoscenze generali sull'autismo, ma


raramente aveva sentito parlare di Asperger. Niente,
neanche uno dei suoi scenari immaginari, avrebbe potuto
prepararlo a quella scoperta. E il fatto che quei
73
comportamenti non fossero dovuti a un capriccio, ma alla
sua sindrome metteva tutto in discussione.

«Quindi, è per questo che preferisce rintanarsi in camera


sua durante una festa. E la sua agorafobia?»

«Non è abituato ad avere molte persone intorno perché è


cresciuto in un ambiente molto protetto. Inoltre, Harry è
molto abitudinario e quando viene catapultato in una
realtà nuova può sentirsi perso e disorientato senza dei
punti fissi.»

Londra è abbastanza grande, puoi perdertici facilmente.

Ora Louis capiva. «È per questo che abita con te, vero?
Tu sei uno dei suoi punti fissi.»

Si pentì subito di aver ridicolizzato quel bisogno un mese


prima, quando Niall gli aveva parlato di Harry dopo il loro
primo incontro.

«Il suo psicologo ha pensato che trasferirsi e accettare


questo importante lavoro lo avrebbe aiutato a uscire dal
guscio. Ma se non ci fossi stato io qui, Harry non avrebbe
mai compiuto questo passo.»

«Eppure, insomma, non sembra che...»

«...che tenga molto a me?» concluse al suo posto. «Gli


Asperger non sono molto affettuosi e non dimostrano il
bene che ti vogliono in baci o abbracci, ma so che in
qualche modo, in un modo tutto suo, Harry tiene a me.»

«Quindi, questo esperimento sta funzionando?»

«Direi di sì. In poco più di un mese ha fatto molti passi


avanti: ha un lavoro, ha delle responsabilità, ha

74
conosciuto nuove persone e mi ha promesso di uscire
dalla sua stanza alla nostra festa di Halloween.»

«E se fosse troppo per lui?»

«Lo aiuteremo a calmarsi, anche se ormai potresti farlo


anche da solo dopo l'attacco di panico al pub.»

«Non posso crederci. Pensavo che la sua timidezza fosse


dovuta a un trauma, a problemi di fiducia o alla fine di
una relazione. Invece, convive con tutto questo da una
vita intera.»

«Quando eravamo al liceo era tutto più difficile, Harry era


molto testardo, pungente e un so-tutto-io. Non avere gli
interessi di un tipico adolescente, poi, non lo aiutava
molto.»

«Lo hanno preso molto in giro?»

«Soprattutto durante il suo primo anno.» rispose. «Non


eccelleva negli sport, ma solo nella scuola e in ciò che
catturava momentaneamente la sua attenzione. Io
stesso, non appena l'ho conosciuto, non riuscivo a
comprenderlo la maggior parte delle volte. Poi, pian
piano, è riuscito a crearsi un posto tutto suo a scuola e ad
ambientarsi.»

Louis pensò a un Harry più giovane, forse più ingenuo e


meno consapevole di ciò che l'Asperger significava per se
stesso e per le persone che lo circondavano. Lo immaginò
con i ricci castani scompigliati e quella sua espressione
sempre imbronciata sul volto a chiedersi perché fosse
diverso dai suoi coetanei, perché venisse escluso, perché
il mondo sembrasse sempre così lontano da lui a causa
dei suoi muri. Eppure, c'era l'immagine di un altro Harry
tra i suoi pensieri, quello che sorrideva soddisfatto dopo
una vittoria a scarabeo, quello che gli faceva un

75
complimento o che gli stringeva la mano nel momento del
bisogno.

«Hai detto che non ama il contatto fisico. Allora, perché


durante le sue crisi mi afferra sempre la mano? Basta che
io gliela porga e lui la prende di sua spontanea volontà.»

«L'ho notato anche io e Lisa ha ipotizzato che lo faccia


perché si sente al sicuro con te.»

«Anche Lisa lo sa?»

«Il suo tirocinio è presso lo psicologo che sta seguendo


Harry a Londra. È stata proprio lei a consigliargli quello
studio, ma non assiste alle sue sedute per questioni
deontologiche.»

Louis annuì, capendo quanto fosse importante che uno


psicologo lo seguisse anche nella sua nuova esperienza
londinese. E il fatto che in quello studio lavorasse anche
Lisa, pur non partecipando alle sue sedute, lo confortava
in un certo senso. Ora capiva perché la ragazza lo avesse
guardato incuriosita e a lungo quella sera al pub.
Probabilmente si era chiesta come Louis avesse fatto a
conquistare la fiducia di Harry, il problema era che
neanche lui lo sapeva. Era successo e basta.

«Lou?»

«Sì?»

«È tutto okay, vero?»

«Tutto okay.» ripeté, nonostante la sua voce risultasse un


po' incerta. «Questa confessione mi ha spiazzato.»

«Quello che ti ho detto non deve cambiare il tuo modo di


vedere Harry.» gli raccomandò Niall. «E non farne parola

76
con lui: non vuole che le persone lo sappiano perché
cominciano a comportarsi diversamente.»

«Cercherò di fare del mio meglio.» rispose, ma non poté


ignorare il suo petto appesantirsi a quella promessa.

«Vuoi salire?» chiese Niall, cercando le chiavi nella tasca


del suo cappotto.

«No.» E forse fu troppo veloce nel rispondergli. «Devo


cominciare a studiare per gli esami finali di dicembre se
voglio laurearmi a gennaio.»

«Non sono neanche le dieci del mattino.» ridacchiò l'altro,


un po' sorpreso. «Sei diventato proprio un secchione.»

Quella sua aria a metà tra il divertimento e l'incredulità lo


fece sorridere, ma anche riflettere. Era così difficile
credere che Louis Tomlinson volesse porre fine alla sua
carriera universitaria il prima possibile? Non aveva mai
eccelso nello studio al liceo o all'università, i suoi voti
erano sempre stati nella media, ma ultimamente aveva
deciso di studiare maggiormente così da laurearsi e
dimostrare di che pasta fosse fatto sul lavoro, sul campo.

«Prima o poi doveva succedere, no?»

«Meglio tardi che mai.» Niall gli stampò un bacio sulla


fronte e aprì il portone. «Ricordati quello che ho detto in
caffetteria, okay? È solo Harry.»

Louis accennò un sorriso incerto e sventolò una mano per


salutarlo, gli diede le spalle e cominciò a incamminarsi
verso il suo palazzo. Era convinto che Niall avesse
percepito la sua incertezza, ma non avesse indagato oltre
per non metterlo a disagio. La verità era che Louis non

77
sapeva come comportarsi con Harry dopo le rivelazioni
del suo migliore amico. Tuttavia, si ripeteva che Harry
fosse Harry e che quei comportamenti così inusuali
facessero parte di lui: forse, erano proprio loro a renderlo
così speciale si suoi occhi. E un mese e mezzo prima lo
avrebbe negato a tutti costi, ma ora a Louis piaceva quel
legame nato tra loro.

Non sapeva se potesse definire quel legame come una


semplice amicizia, ma gli piaceva anche troppo quel
qualcosa che avevano.

78
CAPITOLO 4

Louis raramente metteva piede in biblioteca.

Non riusciva proprio a studiare lì con i suoi colleghi di


corso perché si distraeva facilmente in quel silenzio
assordante o senza sgranocchiare qualche cibo
spazzatura. Quel pomeriggio, quando era entrato nella
biblioteca della facoltà di Medicina, si era sentito come un
pesce fuor d'acqua, forse perché tutti lo fissavano, forse
perché non aveva l'aspetto di uno studente di Medicina
e per fortuna. Aveva impiegato poco a sentirsi sopraffatto
dai libri e dalle pubblicazioni di vari luminari che aveva
sfogliato e poi a prendersi una pausa perché tutto era
diventato troppo.

Aveva letto che dall'Asperger non si guariva.

Fino a quel momento non erano state documentate


remissioni, ma soltanto miglioramenti con il passare del
tempo e dell'età. E questi ultimi non dipendevano tanto
dall'uso di farmaci, ma dal supporto psicologico adeguato
e dalla volontà dell'interessato di migliorare, credendo in
sé e non scoraggiandosi. Non aveva letto di alcun metodo
universale da adottare per rapportarsi con gli Asperger e
presto aveva capito che ogni persona necessitasse di cure
e attenzioni diverse. Giocare con Harry a scarabeo e
renderlo felice momentaneamente potevano essere tra
queste, ma a Louis non bastavano. Voleva aiutarlo a
superare ogni sua difficoltà, quell'ordine che troppo
spesso lo ingabbiava, quella timidezza che riduceva le sue
interazioni sociali, ma quei libri non lo avevano aiutato
granché.

Stanco e affranto, allora, uscì dalla biblioteca con dei libri


presi in prestito nello zaino. La pioggia cadeva fitta e lo
bagnava dal momento che non aveva un ombrello con sé.
Per questo, Louis impiegò poco a decidere di rifugiarsi

79
nell'appartamento di Niall, a pochi minuti di distanza
dall'edificio.

«Disturbo?» chiese, non appena giunse sul pianerottolo e


Niall gli aprì la porta.

«Entra subito, sembri un pulcino bagnato.» rispose Niall


preoccupato prima di aggiungere «e poi non mi disturbi
mai, lo sai».

Louis si liberò del parka e delle scarpe, avvicinandoli al


termosifone per farli asciugare, e lasciò il suo zaino sul
tavolo in legno della zona giorno.

«Perché non vai ad asciugarti in bagno? Prendi anche una


mia felpa dall'asciugatrice.» propose Niall. «Ora torno in
stanza a finire di sistemare le cartelle cliniche dei miei
pazienti, fai come se fossi a casa tua nel frattempo.»

Louis apprezzò le sue premure e annuì, dirigendosi in


bagno e asciugandosi per bene con il phon fino a
eliminare ogni brivido o goccia di pioggia. Indossò la
calda e comoda felpa di Niall, inspirando il profumo
familiare del suo ammorbidente, e sobbalzò all'improvviso
quando sentì il tonfo di un portone sbattuto. Dopo aver
sistemato la sua frangia scompigliata, fece capolino nel
corridoio per capire cosa fosse stato: fu sorpreso di
vedere Harry con un'espressione assorta fissare a sua
volta qualcosa sul tavolo, qualcosa vicino al suo zaino. E
fu allora che ricordò e si maledisse per il suo disordine. Si
avvicinò cautamente a lui, mentre quest'ultimo
continuava a osservare quei libri, quelli che sporgevano
dal suo zaino e che avrebbero vanificato tutti i suoi sforzi.

«Sono tuoi?» Harry lo chiese senza incontrare il suo


sguardo, con la mano ferma sulla copertina di un libro
che tremava visibilmente.

80
Louis era imbarazzato e mortificato, ma incapace di
mentire. «Sì.» affermò con un filo di voce.

«E cosa ci faresti tu con questi?»

Soltanto allora alzò lo sguardo e Louis rabbrividì perché


non aveva mai visto i suoi occhi così scuri e accecati
dall'ira.

«Cultura generale.»

«Cultura generale?» ripeté scettico. «Niall...lui ti ha detto


tutto, vero?»

«Sono stato io a chiedergli spiegazioni, lui non ha


nessuna colpa.»

«Non mi interessa chi ha la colpa.» tuonò, avvicinandosi a


lui. «Non avevi alcun diritto di chiedere spiegazioni su di
me.»

«Lo so, ma io volevo saperne di più p-per...»

«Per cosa?» lo incalzò. «Per studiarmi come una cavia di


laboratorio?»

«No, io...»

«Lascia stare, Louis.» sbottò. «Hai già fatto abbastanza.»


Poi, si allontanò e si sbatté la porta della sua stanza alle
spalle.

Io volevo soltanto aiutarti, pensò. Eppure, non lo disse


con il giusto tempismo. Lo seguì, bussò alla porta e
scongiurò il suo perdono più volte prima di arrendersi,
scivolare sul pavimento del corridoio e chiedersi perché
continuasse a sbagliare con Harry.

81
«Non riuscite proprio a non discutere voi due, eh?»
sospirò Niall, quando lo raggiunse. «Oggi avete battuto
ogni record: Harry non era entrato in casa neanche da
venti secondi e già ti stava urlando addosso.»

«Ha scoperto i miei libri, quelli che parlano


dell'Asperger.»

Li indicò sul tavolo in legno della zona giorno e Niall si


avvicinò ad essi per scrutarli meglio. «A Harry
decisamente non piace chi mette il naso nel suo
Asperger.» lo rimproverò, non appena Louis fu al suo
fianco.

«Non stavo ficcanasando, volevo soltanto capire come


comportarmi con lui.»

«Perché non hai chiesto a me o a Lisa? E poi, sei davvero


andato in biblioteca?»

«Sono andato in biblioteca per capire che non ci tornerò


mai più.» sbuffò. «Non vi ho chiesto aiuto perché volevo
documentarmi da solo a riguardo e cercare un modo per
aiutarlo.»

«Non lo troverai in quei libri, Lou.»

«Già.» concordò frustrato. «Ora dimmi come farmi


perdonare da Harry.»

«Per caso nel tuo zaino nascondi anche il modellino in


balsa di un aeroplano?»

«No.»

«Un disco dei Fleetwood Mac?»

«Qualcosa di fattibile?»
82
Niall gli diede le spalle e si diresse in cucina in silenzio, si
alzò sulle punte dei piedi e aprì lo sportello più in alto
della dispensa. Infine, lanciò un pacchetto di orsetti
gommosi nella sua direzione.

«Sono i suoi preferiti.» affermò con un sorriso. «Per


questa volta dovrebbero bastare.»

Louis sperò che Niall, nonostante gli costasse molto


ammetterlo, avesse ragione anche quella volta.

Bussò un paio di volte alla sua porta soltanto un'ora dopo


la loro discussione affinché Harry sbollisse per bene la
rabbia.

Poi, armato degli orsetti gommosi e di tanta pazienza,


entrò senza esitazione e soprattutto senza il suo
permesso nella stanza. A mali estremi...estremi rimedi,
pensò. E a quel punto si sarebbe aspettato delle urla, dei
cuscini volare nella sua direzione e la porta di legno
sbattere sul suo naso all'insù, ma non accade nulla
perché Harry rimase sul suo letto a leggere un libro.
Indossava ancora gli abiti eleganti del lavoro e aveva
racchiuso i suoi lunghi ricci in uno chignon. Ed era bello,
anche con quell'espressione concentrata sul suo volto.

«Harry?»

Ovviamente l'altro lo ignorò, preferendo il suo libro, ma


Louis non si arrese.

«Harry, non volevo ficcanasare nella tua vita, ma soltanto


capire qualcosa in più su di te.»

Non si scompose neanche davanti a quella sincera


spiegazione e la sua indifferenza gli fece male, persino

83
più della delusione o della rabbia provate nei suoi
confronti poco prima.

«Il protagonista muore.» improvvisò Louis, indicando il


suo libro. «Viene ucciso da uno squalo: aveva una
possibilità su tre milioni di morire così.» E continuò
perché notò le labbra di Harry incresparsi in un flebile
sorriso. «Tuttavia, se è davvero sfortunato, nulla lo
risparmierà dal morire in un incidente aereo: sai, la
probabilità è una su undici milioni.»

«La storia è ambientata nel Settecento, non c'erano gli


aerei.» ribatté Harry. «E nemmeno gli squali dal
momento che la vicenda si svolge a Parigi.»

«Sarebbe stato un bel colpo di scena, però.»

Harry gli fece un cenno, quasi a dargli ragione, e Louis


pensò che fosse disposto a perdonarlo a quel punto.
Allora, per smorzare la tensione, si sporse verso di lui e
gli rubò il libro dalle mani, guastandosi quell'espressione
scandalizzata sul suo viso delicato. Lo nascose dietro la
schiena, insieme agli orsetti gommosi, mentre Harry
tentava di riprenderlo invano: in pochi istanti, Louis
scontrò la schiena al materasso e l'altro gli cadde
addosso, solleticandogli il viso con i riccioli sfuggiti allo
chignon.

È piacevole, pensò. I suoi capelli a sfiorargli il viso, il suo


respiro caldo a infrangersi sulle labbra, il suo corpo a
pesare sul proprio, quella pennellata di blu che scorgeva
nei suoi occhi verdi.

Gli bastò perdersi al loro interno per distrarsi e regalare


l'ennesima vittoria a Harry, che gli sfilò dalle mani sia il
libro che gli orsetti gommosi. Quest'ultimo tornò nella sua
posizione iniziale e osservò stupito il suo bottino, mentre
Louis ancora si meravigliava dei suoi stessi pensieri.

84
«E questi?» chiese Harry, sventolando il pacchetto
davanti al suo viso.

«Ero venuto in pace.» spiegò, sistemandosi sul letto a


gambe incrociate. «Volevo farmi perdonare.»

«E come facevi a sapere che sono i miei preferiti?»

«Niall.»

«Niall parla un po' troppo.»

Il suo sguardo si fece più duro e Louis capì che non fosse
stato ancora perdonato del tutto.

«Scusami ancora, Harry.» affermò serio, stringendosi


nella felpa e nascondendo i palmi delle mani nei suoi
polsini. «Non volevo mancarti di rispetto, volevo cercare
soltanto qualche informazione autorevole sull'Asperger.»

«E cosa hai scoperto?»

«Che non si può guarire.»

«No, non si può.»

Harry rivolse la sua attenzione al pacchetto di caramelle


che aveva tra le mani, aprendolo del tutto e separando gli
orsetti gommosi rossi dal resto.

«Si può migliorare o tenere sotto controllo, però.»

«Prendo già delle medicine e vengo seguito da uno


psicologo.»

«Non intendevo quello, Harry.» sospirò. «Ecco, vorrei


aiutarti a modo mio.»

85
«Perché vorresti aiutarmi?» gli chiese scettico. «Tutti
provano ad aggiustarmi, ma io non sono rotto. Io sono
semplicemente me stesso.»

«Non penso che tu sia rotto, ma noto i muri che ti sei


costruito intorno e vorrei aiutarti ad abbatterli, l'uno dopo
l'altro.» Gli sfiorò la mano con la sua e la sentì tremare a
quel contatto. «Guardami, Harry. Guardami negli occhi
quando ti parlo perché non devi aver paura e,
soprattutto, non ti sto giudicando.» Lui liberò un sospiro,
ma lo guardò. «Voglio solo aiutarti.»

«Cosa ti fa credere che abbia bisogno del tuo aiuto o di


te?»

«Ognuno di noi ha bisogno di qualcuno.»

«E tu? Tu di chi hai bisogno?»

«Della mia famiglia, di Niall e persino di quel coglione del


mio fidanzato.»

Harry sottrasse la mano dalla sua presa e puntò lo


sguardo sulla finestra alla sua destra, prima di
mormorare «non voglio essere il tuo progetto di
beneficienza, non voglio essere la tua Haiti».

Louis sussultò perché in pochi sapevano di Haiti e forse


doveva averglielo accennato Niall. Solitamente
proteggeva con cura quella esperienza così che il giudizio
altrui non la inficiasse. Cercava sempre di salvaguardarla
perché in quel luogo, tra la miseria del terremoto e i
sorrisi mai dimenticati dei suoi abitanti, c'era un pezzo di
sé, forse quello più vulnerabile. Haiti non era stato il suo
progetto di beneficienza, ma un'esigenza, quella di
portare il sorriso a persone che un motivo per sorridere
non lo avevano più, quella di tirarle fuori dalla povertà e
dalla sofferenza. E allo stesso modo Louis avrebbe aiutato
Harry a vivere, non soltanto a esistere.
86
«Non accadrà. Permettimi di farlo, di essere realmente
tuo amico e tu sarai il mio, Harry.»

«Non voglio essere l'amico strano, però.»

«Non lo sarai.»

«Sono solo un ragazzo. Sono solo Harry.»

Tuttavia, Louis non era d'accordo completamente perché


Harry non era solo Harry. Perché aveva un intero
universo in quegli occhi verdi e lui ancora non riusciva a
capirlo. Perché aveva infinite possibilità davanti a sé e lui
neanche lo sapeva. Perché nessuno avrebbe potuto
definirsi in quel modo così riduttivo, ma capì in parte il
suo punto di vista.

«Sei e sarai solo Harry.»

E ripetere ad alta voce quella frase aiutò anche lui, che si


scrollò di dosso ogni esitazione e incertezza avuta nei
giorni precedenti. Avrebbe dovuto trattare Harry come
Harry, come un amico, un semplice ragazzo, e tanto
valeva iniziare fin da subito. Non importava che Harry
mangiasse soltanto gli orsetti gommosi rossi, Louis
avrebbe mangiato gli altri per fargli compagnia. Non
importava che si isolasse nella maggior parte delle loro
uscite di gruppo, Louis avrebbe trovato il modo di
integrarlo. Non importava neanche che volesse sempre
giocare a scarabeo, Louis lo avrebbe assecondato solo per
vederlo sorridere. Esattamente come in quel momento.

«Che c'è?»

Harry scosse la testa. «Niente, è che sembri così minuto


in questa felpa.»

87
Louis arrossì e lui odiava arrossire. Odiava anche i
commenti sulla sua statura e sulla sua prestanza fisica,
ma quella volta non si infastidì. Dopotutto, Harry aveva
ragione: quella felpa di Niall era veramente abbondante
su di lui e si ritrovò presto a ridacchiare.

«È il bello di uscire senza un ombrello, trovarti sotto il


temporale più brutto che Londra abbia visto nell'ultimo
anno e prendere in prestito gli abiti del tuo migliore
amico.»

«È stupido non credi? Intendo, girovagare per Londra


senza ombrello.»

«Lo è. Per fortuna, non avevo dei vestiti belli ed eleganti


come i tuoi.»

«Mia madre mi ha costretto a comprarli per il nuovo


lavoro.» ribatté, guardando quei pantaloni in Tartan
grigio che indossava e la morbida camicia di seta nera.
«Mio fratello ha detto che tutta questa eleganza è
ridicola.»

«Non è vero, fa molto "uomo d'affari"...quindi, hai un


fratello?»

Lo sapeva già, ma colse quell'occasione per conoscere


meglio Harry. Quest'ultimo annuì e gli porse persino la
fotografia incorniciata che aveva sul comodino.

«William.» affermò orgoglioso, indicandolo nella foto.


«Will per noi. Ha ventotto anni e un ristorante tutto suo a
Manchester.»

«Tu sei questo, invece.» Louis indicò il bambino


imbronciato e ridacchiò. «Tua madre è molto bella.»

«Anne, lei si chiama Anne.»

88
E proprio quando l'indice di Louis stava per posizionarsi
sulla figura in divisa che quasi monopolizzava l'intera
fotografia, Harry la prese dalle sue mani e la ripose sul
comodino. Dopo averlo fatto, gli sorrise, quasi a volersi
scusare. Forse non era ancora pronto ad aprirsi
completamente e Louis non gliene faceva una colpa.
Ricambiò il suo sorriso con uno più radioso, lo stesso che
un giorno avrebbe voluto vedere sulle sue labbra piene e
rosse.

Louis non aveva mai amato travestirsi a Halloween.

Quando era un bambino e sua nonna Margot lo


accompagnava a fare dolcetto o scherzetto tra le strade
del loro quartiere, non si curava molto del suo
travestimento perché le caramelle e i dolci che racimolava
erano decisamente più interessanti. Da adolescente, poi,
anche questi ultimi erano passati in secondo piano:
Halloween era semplicemente un'occasione per
partecipare all'ennesima festa, per bere e divertirsi
insieme. Per la festa di quella sera Louis aveva indossato
un pantalone nero e un dolcevita dello stesso colore,
aveva disegnato finti rivoli di sangue agli angoli della sua
bocca con un lucidalabbra al lampone e messo in risalto i
suoi occhi azzurri con una matita nera. Non aveva avuto
molta fantasia, ma poteva dirsi un bel vampiro e questo
bastava. Inoltre, non doveva stupire nessuno perché Ian
non avrebbe neanche partecipato alla festa essendo
invitato a una cena di lavoro.

E che novità.

Cercò di ignorare quel pensiero, mentre attraversava le


strade di Brick Lane e raggiungeva svelto l'appartamento
di Niall, felice di potersi distrarre con una festa. Non
appena giunse sul pianerottolo e l'amico gli aprì il
portone, mise su un'espressione confusa per il suo
89
travestimento. Niall aveva un colorito verdognolo, diversi
punti di sutura disegnati con una matita sul viso e dei
vestiti sbrindellati addosso.

«Saresti uno spaventapasseri?» gli chiese, indicando il


suo cappello di paglia.

«Uno zombie!» ribatté l'amico indignato. «Si capisce,


no?»

Louis si affrettò ad annuire, perché amava troppo Niall


per spegnere il suo entusiasmo, ed entrò
nell'appartamento. All'improvviso gli sembrò di essere
tornato bambino alla vista degli addobbi a forma di zucca
e fantasma che affollavano la stanza o dei cupcakes a
tema disposti sul tavolo insieme agli alcolici.

«Siamo tornati alle elementari?» domandò divertito,


mentre la musica rimbombava tra le pareti.

Niall fece una smorfia e un cenno a Lisa, ferma in un


angolo a parlare con Nick e altri amici. «Mi ha detto di
rendere l'atmosfera più festosa per Harry, per farlo
sentire a suo agio.»

Louis sorrise, felice del fatto che Harry avesse deciso di


uscire dalla sua stanza e partecipare alla festa. Scrutò la
zona giorno per cercarlo, ma tra streghe, vampiri e
licantropi non sarebbe stato molto semplice trovarlo.
Soltanto quando Niall gli indicò un angolo della cucina,
riuscì a individuarlo e non poté fare a meno di accigliarsi.
Harry indossava un aderente paio di pantaloni e una
camicia, entrambi a strisce verticali bianche e nere, e si
trovava al fianco di una vecchia conoscenza di Lisa, che
Louis non sopportava affatto. Non sapeva con precisione
quando lui e Caroline Leed avevano cominciato ad odiarsi,
forse quando lei ci aveva provato con Ian un paio di anni
prima ad una festa, dopo aver saputo che lui fosse
bisessuale. Da quel momento in poi, Louis le aveva
90
dichiarato guerra, una guerra che si esplicitava in molte
occhiatacce e insulti velenosi. Alzò gli occhi al cielo
quando vide la ragazza scuotere i suoi lunghi capelli
biondi e sfiorare l'avambraccio di Harry con le sue unghie
laccate di rosso. Quest'ultimo, poi, non sembrava molto a
suo agio e Louis pensò di andare a salvarlo.

«Harry!» lo salutò, dandogli un abbraccio veloce che lui


non ricambiò, preso alla sprovvista. «Caroline...» Fece
scorrere i suoi occhi sul vestito rosso e sul frontino con le
corna da diavolo che la ragazza indossava. «...finalmente
questo Halloween non ti sei travestita. Ottima scelta!»

E sapeva che forse averle dato del "diavolo" fosse stato


un po' eccessivo, ma in guerra e in amore tutto era
concesso e Louis non era bravo a dimenticare i torti
subiti. Caroline gli rivolse un'occhiataccia prima di fingere
una risata e andare via infastidita. Louis le fece una
smorfia e si voltò verso Harry, già impegnato a fissarlo
con un broncio sulle labbra e un solco profondo tra le
sopracciglia.

«Perché sei stato così cattivo con lei?»

«Non sono stato cattivo, ma onesto. E poi ci stava


provando con te: ti ho salvato da una sanguisuga,
mostrati riconoscente per lo meno.»

«Grazie?» rispose, per poi riavviarsi nervosamente i


riccioli all'indietro. «Mi stavo annoiando a morte, ma non
sapevo come andare via.»

Louis non esitò a tendere una mano verso i ricci che


Harry aveva messo in disordine con quel gesto e sistemò
una ciocca castana dietro il suo orecchio, sfiorandogli
casualmente il collo con le punte delle dita e percependo
un brivido percorrergli la schiena. Distolse lo sguardo dal
suo, imbarazzato, e fece un passo indietro.

91
«Allora, spiegami perché sei vestito da zebra!»

«Non sono vestito da zebra!»

«Da strisce pedonali? O da televisione che non si vede?»

«Da effetto doppler, Louis!»

«Da effetto che?»

«Doppler.» ripeté, scandendo bene la parola. «È il


cambiamento apparente, rispetto al valore originario,
della frequenza o della lunghezza d'onda percepita da un
osservatore raggiunto da un'onda emessa da una
sorgente che si trovi in movimento rispetto
all'osservatore stesso. Cambia la frequenza e cambia
l'acutezza del suono percepito.»

Louis lo osservò diffidente, non amava la fisica ed era


stato felice di abbandonare quella branca del sapere una
volta terminato il liceo.

«Fammi un esempio.»

«Hai presente il suono dell'ambulanza?» Louis annuì.


«Noi, gli osservatori, percepiamo il suono della sirena più
acuto del suono originale quando l'ambulanza, ossia la
sorgente, si avvicina, mentre quando si allontana lo
sentiamo meno acuto. Questo è l'effetto doppler.»

«Davvero originale, Harry.» E lui si aprì in un sorriso che


gli scaldò il cuore. «Ma non fa paura.»

«Perché? Pensi che il tuo costume faccia paura? Sei il


terzo vampiro che vedo stasera, ma almeno il tuo sangue
sembra vero.»

92
«Il trucco sta tutto nel lucidalabbra al lampone, Harry.
Allora, come mai eri qui? La vera festa è in soggiorno.»

«Non conosco nessuno.»

«Non è vero. Conosci Niall, Lisa e Nick e scommetto che


anche gli altri saranno felici di conoscerti.»

«Anche Caroline!»

«Meglio dimenticare Caroline, okay?» lo ammonì e lui


annuì vigorosamente. «Bene, quindi, vieni con me?»

Louis gli porse la mano, sperando che Harry l'accettasse


quasi a fidarsi di lui ancora una volta. Esitò per un
istante, si morse il labbro inferiore e guardò con
attenzione il suo palmo prima di convincersi a prenderlo.
Fu allora che Louis si accorse di aver trattenuto il fiato
fino a quel momento e lo rilasciò con un sospiro di
sollievo. Gli strinse la mano nella sua, pensando che la
sensazione dell'argento dei suoi anelli contro la propria
pelle gli piacesse più del dovuto, e lo trascinò a ballare.

Louis si lasciava trascinare spesso dagli amici durante le


feste.

A quindici anni, durante la sua prima sbronza, il suo


amico Lucas lo aveva convinto a baciare il ragazzo che gli
piaceva e Louis aveva finito soltanto per vomitargli sulle
scarpe prima ancora di poterlo baciare. A diciotto, invece,
per una scommessa persa e con una dose massiccia di
alcol in circolo nel suo corpo, si era lasciato tatuare un
omino stilizzato su uno skateboard sull'avambraccio e non
c'era molto altro da aggiungere. A quasi venticinque anni,
la situazione non era cambiata molto: Louis non era
arrivato alla festa con l'intenzione di ubriacarsi, ma non

93
era riuscito a rifiutare i bicchieri che Niall e Nick gli
avevano offerto e da quel momento in poi non aveva
capito granché.

Più tardi, disteso su un letto familiare, aprì gli occhi


lentamente e vide la stanza di Harry in penombra, non
ricordando come fosse finito lì e perché il suo proprietario
fosse, invece, a rigirarsi senza tregua sulla poltrona posta
all'angolo. Dispiaciuto, accese l'abat-jour al suo fianco e
lo chiamò più volte fino a svegliarlo dal suo dormiveglia.
Harry si stropicciò gli occhi con il dorso della mano e si
mise dritto sulla poltrona, stringendosi nella sua t-shirt
bianca.

«Lou.» mormorò. «Sei sveglio.»

Non era mai stato chiamato in quel modo da Harry e


dovette ammettere che gli piaceva, gli piaceva il modo in
cui la sua voce profonda pronunciava dolcemente quel
"Lou".

«Mi dispiace averti rubato il letto, non so neanche come


sono arrivato fino a qui.»

«Non lo so neanche io.» Fece spallucce. «Quando la festa


è finita, ho aperto la porta e ti ho trovato sul letto. Ti ho
messo una coperta addosso e poi mi sono seduto qui.»

Louis annuì, forse troppo velocemente perché la testa


cominciò a pulsare, e arrossì notando la coperta blu che
lo scaldava e immaginando l'altro che si prendeva cura di
lui.

«Perché non fate altro che bere a queste feste?»


domandò Harry, portando le ginocchia al petto.

«Non lo so, suppongo sia divertente.»

94
«E cosa si prova?»

«Per un po' non senti nulla, anzi, ti senti leggero. È come


non avere pensieri e fluttuare nel vuoto.»

«E tu lo fai perché non vuoi pensare?»

«A volte.»

«Io penso sempre, a volte anche troppo.» ribatté Harry.


«Ultimamente, però, penso di meno.»

«E ti senti meglio?»

«Un po'.»

Louis avrebbe voluto chiedergli tante cose, quali pensieri


avesse, cosa lo facesse sentire meglio, ma non se la sentì
di affrontare questioni così intime con i postumi di una
sbornia.

«E tu? Ti senti meglio?» lo incalzò Harry.

«Ora decisamente no, ma domani mattina starò ancora


peggio.»

«Dovresti dormire allora.»

«Sì, vado sul divano.»

«Non andare su quello scomodo divano.» si affrettò a dire


Harry. «Puoi rimanere qui, insomma, se vuoi.»

Notando la sua insicurezza, Louis suppose che Harry non


avesse mai condiviso i suoi spazi con altri prima di quel
momento, ma accettò la sua proposta per rassicurarlo.
«Vieni anche tu qui, però. Questo letto è troppo grande
per me e quella poltrona è troppo piccola per te.»
95
Non c'era malizia nelle sue parole e per Louis non era una
novità condividere un letto con un amico nei momenti
d'emergenza, ma non insisté perché Harry aveva bisogno
dei suoi tempi. Harry era Harry e il cuore di Louis batteva
furiosamente in attesa della sua risposta.

«Meglio di no.» rispose lui, dopo aver esitato qualche


istante.

«Grazie ancora per avermi prestato il letto, allora.» Louis


spense la luce e si raggomitolò sotto la coperta blu.
«Buonanotte, Harry.»

«Notte, Lou.»

Non riuscì a trattenere un sorriso quando ascoltò ancora


una volta quel diminutivo liberarsi dalle sue labbra e si
addormentò con quel suono a ripetersi nella sua testa,
quasi come una ninna nanna.

Harry non era soltanto quel suo strano travestimento da


effetto doppler, né il ragazzo insicuro che faticava a
stringere amicizie, era anche colui che lo copriva con una
coperta per non fargli sentire freddo, che stringeva la sua
mano in cerca di sostegno e che lo chiamava "Lou" nel
più dolce dei modi. Allora, era facile capire che Harry non
fosse soltanto il suo Asperger, ma molto di più.

Louis non era mai stato un asso in cucina, proprio come


sua madre.

Suo padre, infatti, sosteneva che entrambi dovessero


tenersi alla larga dai fornelli e non aveva tutti i torti. Le
capacità culinarie di nonna Margot avevano saltato
decisamente ben due generazioni e, per questo, Louis
aveva sempre lodato la scelta dei suoi genitori di abitare

96
con i nonni nella grande casa di Eastbourne: non aveva
mai avuto molta privacy, ma almeno si era garantito pasti
più che dignitosi con i manicaretti cucinati dalla nonna.
Ultimamente era migliorato e provvedeva alla sua
sopravvivenza da solo cucinando pochi piatti elementari,
ma non poteva propinare quelle ricette così semplici a Ian
quella sera di metà novembre, non in quell'occasione così
speciale.

Dopo aver trascorso il pomeriggio a cucinare l'arrosto con


l'assistenza di nonna Margot, pregandola di non chiudere
la telefonata a causa delle sue continue ed esasperanti
domande, la portata principale della cena riposava in
forno, i contorni erano già in tavola e Louis era seduto sul
divano con una compostezza che non gli apparteneva.
Stretto nella camicia di Burberry che Ian gli aveva
regalato lo scorso Natale, disegnava con le dita cerchi
immaginari sulla pelle bianca del divano e aspettava
pazientemente che il suo fidanzato entrasse dal portone.
Ian gli avrebbe detto di essere stato assunto allo studio
legale, lo avrebbe baciato e lo avrebbe stretto a sé
sussurrandogli di amarlo. Si augurò che quella fantasia
diventasse presto realtà, ma dovette incassare la
delusione quando Ian entrò nell'appartamento di South
Bank con un'espressione funerea sul volto.

«Come è andata?» gli chiese, notando i gesti stizziti con


cui l'altro si liberò del cappotto e della sua valigetta.

Si avvicinò lentamente a Ian, impegnato a stropicciarsi il


volto con i palmi delle mani. Le prese nelle sue per
scoprire i suoi lineamenti morbidi e incontrare i suoi occhi
color caramello e si meravigliò quando li vide molto lucidi.
Non lo aveva mai visto piangere prima di quel momento:
dopotutto, la sua vita era stata costellata di successi e
vittorie fin dalla nascita.

«Perché non ci sediamo e mi spieghi tutto?»

97
Lo portò sul divano dolcemente e si sedette al suo fianco,
pronto alle sue spiegazioni. A sorpresa era saltato fuori
un testimone che aveva stravolto le sorti del processo di
cui Ian si era occupato facendo crollare la sua difesa e il
signor Johnson non l'aveva presa bene: preoccupato per
la credibilità del suo studio, gli aveva negato l'assunzione
e il suo tirocinio era finito nel peggiore dei modi. Ian
continuava a ripetere di essere un fallimento e soltanto
un motivo di vergogna per i suoi genitori e a Louis si
stringeva il petto in una morsa dolorosa vedendolo
soffrire in quel modo.

«Non sei un fallimento, Ian.» ribatté comprensivo,


mentre lo rassicurava con dolci carezze sul viso. «È stata
soltanto una battuta d'arresto momentanea, è stato un
semplice sbaglio che non definisce te o la tua intera
carriera.»

«Non ho mai commesso uno sbaglio nella mia vita. Come


ho potuto farlo proprio ora?»

«Non è uno sbaglio dovuto all'inesperienza a definire chi


sei.» La sua mano si posò sul petto, all'altezza del cuore.
«È questo ciò che conta, ciò che hai nel cuore, e la
passione che metti nel tuo lavoro ti porterà lontano un
giorno.» Gli prese il mento tra l'indice e il pollice per
alzare il suo viso e incontrare i suoi occhi. «Hai fatto un
errore, ma passerà. Benvenuto tra i comuni mortali, Ian.»
disse, per strappargli un sorriso.

Non lo fece, però, perché «io non sono come voi,


come te. Io non fallisco e non farò in modo che questo
diventi la regola» affermò stizzito. «Soltanto perché i tuoi
standard sono bassi, non vuol dire che debbano esserlo
anche i miei.»

Louis boccheggiò. Come era passato dal consolare il suo


fidanzato al ricevere insulti? Non lo sapeva, ma sapeva
che la delusione e la rabbia che provava Ian li avrebbe
98
portati a ripetere il solito schema: discussione, insulti,
urla, sesso, pace. Quella volta, però, si decise a spezzarlo
perché Louis era stanco, stanco di incassare colpi da Ian,
stanco di fingersi paziente e sperare in un miglioramento,
stanco di stare in silenzio.

«Scusa?»

«Hai capito bene, Louis. Chiudiamola qui e non farmelo


ripetere.»

In uno scatto nervoso Ian si allontanò da lui e raggiunse


la grande vetrata che guardava le sponde del Tamigi.

«Hai ragione, è meglio finirla qui.»

Louis stesso non sapeva classificare le sue intenzioni, ma


sapeva di voler andare via da quelle quattro pareti che lo
opprimevano. Prese il cappotto e si incamminò verso
l'uscita, ma Ian gli catturò il polso in una stretta forte per
fermarlo.

«Dove vai?»

«Me ne vado, Ian. Ho passato tutto il pomeriggio cucinare


questa cena, ho provato anche a consolarti e a starti
vicino...e tu? Tu mi hai appena insultato e ora pretendi
anche che stia ai tuoi ordini?» Solo in quel momento
Louis riuscì a divincolarsi dalla sua presa. «Mi hai appena
insultato e neanche te ne sei accorto.»

«Lo sai che straparlo quando sono nervoso.»

«Lo so, sì, ma forse questa cosa a me non sta più bene.»

Nell'ultimo anno Louis aveva sopportato fin troppo le sue


assenze, i ritardi, le disdette, il suo cattivo umore e la sua
frustrazione. Aveva anteposto il loro rapporto a se stesso,

99
alla sua dignità e al suo benessere soltanto perché
sperava di salvare quello che rimaneva del loro amore.
Tuttavia, non era bastato.

«Ultimamente non ti sta bene nulla di me, nulla di ciò che


faccio va bene.»

«E non ti sei chiesto il perché? Come siamo arrivati a


tutto questo? Non fai altro che rispondermi male,
ignorarmi o sfogare la tua frustrazione su di me.»

«Sono sempre lo stesso, Louis.» Ian allargò le braccia


esasperato. «Forse sei tu a essere cambiato.»

«Ti sbagli, prima non eri così. Non avrei mai potuto
innamorarmi della persona che sei ora.»

«Davvero parli di un sentimento stupido come l'amore in


questo momento?» chiese incredulo. «Sono appena stato
umiliato dal signor Johnson, dovrò rinunciare allo studio
dei miei sogni e tu parli di amore?»

«Ci sarà un altro studio, un'altra occasione, un altro


lavoro. Ma è l'amore a essere importante, Ian.» Louis
scosse la testa perché era sempre stato circondato
dall'amore, l'amore in tutte le sue forme: quello più mite
dei suoi nonni, quello più passionale dei suoi genitori e
quello fraterno dei suoi amici era un sentimento troppo
totalizzante per essere ignorato o messo da parte. «Come
puoi dirlo? È tutto ciò che rimane quando perdiamo tutto
il resto!»

«Cosa me ne faccio dell'amore se ho perso tutto il resto?»

Qualcosa si ruppe, forse l'immagine di Ian che Louis


aveva costruito nella sua testa negli ultimi anni. Gli
sembrò soltanto in quel momento di capire che i mondi ai
quali appartenevano, così diversi tra loro, non si fossero

100
mai incontrati per davvero: si erano attratti, sfiorati per
alcuni istanti e poi allontanati.

«Ma io sono il tuo fidanzato, devo pur contare qualcosa


per te.»

«E io? Conto per te? Nulla di ciò che faccio o dico ti va


bene ultimamente. Perché stai con me allora?»

«Me lo chiedo anche io, Ian.» affermò sconfitto,


percependo quella parte della sua vita sgretolarsi,
cadergli addosso come calcinacci e poi lasciarlo a terra
ferito. «Non riesco più a capirti, non riesco a più a guarire
il tuo malumore con i baci o con le parole, non riesco più
a vedermi al tuo fianco.»

«Allora, non credo ci sia altro da aggiungere.» Ian si


mosse velocemente verso la porta e la aprì, invitandolo
ad andare via, a compiere la sua scelta. «Non dovrai più
stare al mio fianco d'ora in poi.»

Louis annuì mesto, sapendo che non ci fosse più nulla da


fare. Voleva essere al fianco dell'uomo che amava per
accompagnarlo in ogni successo e in ogni sconfitta e
sapeva che Ian lo avrebbe escluso ancora in entrambi i
casi se fosse rimasto. Aveva sempre guardato la vita del
suo fidanzato da spettatore, ma non ne aveva mai fatto
parte. Voleva vivere la sua vita e quella del suo fidanzato,
voleva che le loro esistenze si intrecciassero e no che
procedessero parallelamente, voleva vivere quell'amore
fino a consumarsi il cuore.

«Non ci hai lasciato altra scelta.»

Ian chiuse il portone, non ascoltando neanche le sue


ultime parole, né vedendogli le lacrime che rigavano il
suo viso, e forse fu meglio così. Quel portone sbattuto
alle sue spalle era soltanto la prova che il loro non fosse
stato un grande amore, uno di quelli che laceravano
101
l'anima o che valevano la pena di essere vissuti sempre.
Louis uscì dal palazzo di South Bank con la
consapevolezza di aver vanificato l'ultimo anno della sua
vita, l'anno in cui il suo rapporto con Ian si era incrinato
fino a distruggersi in mille pezzi.

In ogni caso, lasciò South Bank con una certezza: non si


sarebbe voltato più indietro.

Nei momenti di crisi, di panico o semplicemente quando


era triste, Louis soleva rifugiarsi nell'appartamento di
Niall.

In quel momento, si trovava sul pianerottolo e suonava il


campanello con impazienza sperando che le braccia forti
del suo migliore amico lenissero il suo dolore e
spazzassero via anche le lacrime. Tuttavia, quando l'uscio
si aprì, Louis boccheggiò per la sorpresa: un Harry
avvolto in una morbida tuta e con i capelli tutti
scompigliati comparve e lo guardò confuso con una mano
poggiata al telaio del portone e l'altra nella tasca del
pantalone.

«Lou?»

«C'è Niall?»

«No, oggi ha la notte in ospedale. Ti serve qualcosa?


Sembri sconvolto.»

«Lascia stare, volevo solo parlare con lui.»

Indietreggiò di qualche passo e gli diede le spalle per


scendere le scale. All'improvviso sentì ancora una presa
stringersi intorno al suo polso, ma completamente diversa
dalla precedente. Era delicata, sfiorava la sua pelle e

102
sembrava quasi impalpabile, era un invito e non un
ordine.

«So che non sembra, ma sono un buon ascoltatore.»


disse Harry, avvicinandolo a sé. «Resta.»

Incrociando il suo sguardo comprensivo e così sincero,


Louis non ebbe altra scelta che rimanere e annuì. Entrò al
suo seguito e si liberò del cappotto, poi si lasciò cadere
sul divano al suo fianco e osservò apaticamente la
televisione trasmettere qualcosa al quale lui non prestò
attenzione.

«Io e Ian ci siamo lasciati.»

«Oh.» Gli occhi di Harry si tinsero di sorpresa e la sua


mandibola sembrò contrarsi. «Mi dispiace.» Non
sembrava, ma Louis apprezzò ugualmente il suo tentativo
di creare empatia. «E come ti senti?»

Era arrabbiato con se stesso per aver rincorso Ian


nell'ultimo anno trascurando anche se stesso e i suoi
obiettivi. Era ferito perché doveva ancora realizzare che
fosse bastato così poco per mettere fine a una relazione
di tre anni. Era anche sollevato perché non avrebbe più
dovuto fingere. E provava tanto altro ancora, delusione,
libertà, sconforto, serenità. Tutto e niente. E tutte quelle
sensazioni agli antipodi sembravano così potenti da
annullarsi l'un l'altra fino a creare il vuoto in lui.

Così rispose «svuotato».

Harry lo guardò per molto, come a leggergli l'anima e a


tentare di comprendere tutte quelle emozioni, prima di
scuotere la testa.

«Che c'è?» gli chiese Louis, portandosi le ginocchia al


petto.

103
«Mi chiedevo come avesse fatto a lasciar andare uno
come te.»

Percepì le sue guance accaldarsi davanti alla spontaneità


improvvisa di Harry. E gli piacque quella spontaneità,
quell'onestà che gli leggeva negli occhi, ma non riuscì a
ribattere qualcosa di sensato alla sua affermazione, a
quel "come te", perché in pochi lo avevano fatto sentire
speciale nell'ultimo anno.

«Cosa stavi guardando in televisione?» chiese, allora.

«Un documentario su National Geographic.»

«Okay.»

Louis prese il plaid blu sul bracciolo del divano e lo pose


sulle sue gambe.

«Okay?»

«Okay, lo vedo anche io con te.»

Prese il telecomando e alzò il volume, guardando


attentamente lo schermo. Harry non disse una parola, ma
gli rivolse un sorriso dolce, prima di imitarlo. Non impiegò
molto a fare delle precisazioni a ciò che la voce fuori
campo, protagonista del documentario, raccontava e a
Louis non dispiacque. Anzi, la voce calma e profonda di
Harry lo rilassò tanto da appoggiare il capo sulla sua
spalla in un gesto naturale che ripeteva spesso in
presenza di Niall. Tuttavia, Harry non era Niall e Louis lo
realizzò quando lo sentì irrigidirsi.

«Scusa, io...» esitò, sollevando il capo. «...è una mia


abitudine, lo faccio sempre con Niall quando vediamo un
film o altro.»

104
A quel punto Harry sembrò rilassarsi e sciogliere i
muscoli. Poi, un attimo dopo, si diede dei colpetti sulla
spalla e disse «andiamo, fallo». Accennò persino un
sorriso a un Louis quasi incredulo. «Lou, non fare
complimenti, tanto lo sappiamo entrambi che finirai per
addormentarti davanti a questo documentario e farlo
comunque.»

Svuotò la mente da ogni preoccupazione e lo fece,


sistemò il suo capo sulla spalla dell'altro. Ed era strano
ammetterlo, ma trovarsi così vicino a Harry gli scaldava il
cuore e gli inebriava i sensi grazie al suo profumo di
vaniglia. Sapeva di qualcosa di intimo, di famiglia, di
opportunità che aveva perso nell'ultimo anno perché con
Ian non c'era stato molto tempo per sedersi sul divano e
rilassarsi insieme. Con lui c'era stato lo studio, poi le cene
formali di lavoro, spesso il sesso, ma mai quei momenti di
tenerezza e spensieratezza. Pian piano Louis capì quanto
avesse perso a causa sua.

«Mi ha detto che sono un fallito.» mormorò d'un tratto


contro il suo petto e lo sentì tremare a quelle parole.
«Sono diventato un fidanzato-trofeo alle cene di lavoro
soltanto per lui. Ho lasciato che i suoi colleghi di mezz'età
mi guardassero soltanto per non creare problemi. Oggi
pomeriggio ho massaggiato un arrosto per dieci minuti
per la nostra cena ed è stata la cosa più disgustosa del
mondo.»

«Perché?»

«Perché mia nonna mi ha detto che, massaggiando la


carne, l'arrosto sarebbe stato più morbido e...»

«No, no. Intendevo, perché ti ha dato del fallito?»

«Perché essere Louis Tomlinson, aver preferito Haiti


all'università a diciotto anni e non essere ancora laureato
non è abbastanza per lui.»
105
«Io, invece, penso che sia stato molto generoso partire
per Haiti e aiutare gli altri.»

«Grazie, Harry.» sospirò, stringendosi a lui per cercare


conforto e sistemando una mano sul suo avambraccio.
«Ma non tutti la pensano così. Per alcuni non conta la
meta finale, contano le volte in cui sei caduto durante il
viaggio e io l'ho fatto molte volte.»

«Non importa cadere, l'importante è avere la forza di


rialzarsi sempre.» ribatté Harry, coprendogli la mano con
la sua delicatamente. «Lo dice anche mia madre. Fidati di
lei, è un'esperta con un disastro come me per figlio.»

«Tua madre è una donna saggia e tu non sei un disastro,


Harry.»

«Lo so e Ian Graham ex fidanzato di Louis e tirocinante


allo studio Johnson è proprio un coglione.»

«In realtà, credo che non sia più neanche un loro


tirocinante.»

«Non è più il tuo fidanzato, non è più un tirocinante. Cosa


dirà d'ora in poi per presentarsi?»

Lo chiese seriamente preoccupato e Louis non riuscì a


non ridacchiare.

«Sai una cosa, Harry? Non credo che dovrebbe più


interessarmi.»

Non aggiunsero altro a riguardo perché stare insieme


bastava per stare meglio. Perché il sospiro che Harry
rilasciò dopo aver intrecciato le dita alle sue bastava.
Perché il cuore di Louis momentaneamente più leggero
bastava.

106
Con il profumo di vaniglia a solleticargli il naso e il calore
dei suoi sorrisi, Louis si sentì al sicuro e qualcosa gli
suggerì che avrebbe dovuto ringraziare soltanto Harry. E
lo fece a modo suo - anzi, loro - quando, dopo il
documentario, si ritrovarono a giocare a scarabeo ai piedi
del divano: vinse Harry anche quella volta perché
compose la parola "tirocinio" ridendo sotto i baffi, ma a
Louis non importò.

Vedere quel sorriso felice sulle labbra di Harry curava


persino il suo dolore.

107
CAPITOLO 5

Quella mattina, quando Niall era tornato dall'ospedale,


aveva trovato Louis sepolto dal plaid blu e dai cuscini sul
suo divano e non se ne era chiesto il motivo. Era stato
quest'ultimo più tardi, al suo risveglio, a spiegarglielo con
la promessa di una colazione sostanziosa.

«Era ora, Lou!» aveva esultato il suo migliore amico,


riferendosi alla rottura con Ian. «Pensa a tutto quello che
potrai fare ora che sei libero e senza guinzaglio!»

Louis aveva sorriso amaramente per due motivi, mentre


sorseggiava il suo tè nero. Il primo: era ancora troppo
presto per esultare, avendo messo fine alla relazione più
lunga e importante avuta soltanto da poche ore. E,
nonostante ci fossero da tempo problemi tra loro, la
realizzazione di non aver trovato il grande amore in Ian,
come avevano fatto i suoi genitori o i suoi nonni, lo
feriva. Il secondo: non gli era piaciuto quel "senza
guinzaglio" perché supponeva che Ian lo avesse
manipolato fino a quel momento e a lui piaceva illudersi
che non fosse stato così. In ogni caso, la rottura con Ian
era diventata reale quando era stato recapitato nel suo
appartamento uno scatolone con le cose che aveva
dimenticato da lui. E da quel momento in poi, forse per
distrarlo, Niall lo aveva invitato a uscire il più possibile.

Quel tardo pomeriggio di inizio dicembre, Louis accettò


l'invito soltanto per la pista di pattinaggio allestita a Hyde
Park.

Amava pattinare, amava quella sensazione di libertà, il


freddo che gli sferzava le guance e il suono delle lame dei
pattini che scivolavano sul ghiaccio. Si divertiva persino a
insegnare a Niall e a Lisa a muoversi sulla pista senza
farsi del male, ma presto imparò che quei due fossero un
pericolo pubblico e che fosse particolarmente difficile

108
rialzarli da terra se non collaboravano e ridevano a
crepapelle.

«Lou!» lo chiamò Niall, stranamente ancora sulle sue


gambe, e indicò qualcuno alle sue spalle. «Guarda chi
c'è!»

Louis si voltò e non poté ignorare il battito accelerato del


suo cuore o nascondere un sorriso, quando individuò un
volto familiare tra la folla. Harry camminava verso la
pista e si guardava intorno con le mani nascoste nelle
tasche del suo lungo cappotto nero abbinato a degli
stivaletti di pelle dello stesso colore. Ogni tanto si
stringeva nella sciarpa bordeaux e ocra che aveva al
collo. E non importava quanto fosse lontano, Louis notava
come brillassero i suoi occhi tra le luminarie natalizie,
come facesse scivolare la lingua sulle sue labbra per
inumidirle o come i suoi riccioli castani si muovessero al
vento della sera. Soltanto quando fu a un soffio da lui,
con il parapetto della pista a dividerli, realizzò di aver
pattinato fino a raggiungerlo.

«Harry! Non sapevo che saresti venuto anche tu.»

«Non lo sapevo neanche io, in realtà.» ribatté, scrollando


le spalle. «Niall mi ha chiamato poco fa dicendomi di
raggiungervi dopo il lavoro.»

Louis annuì prima di esclamare «bella sciarpa!» e pensare


che la sua sincerità a volte fosse più una tara che un
pregio.

«L'ho comprata di recente.» Poi, all'improvviso, bofonchiò


un «anche tu stai bene».

Louis avrebbe voluto dissentire perché quel giorno non


stava bene, perché aveva pianto nella doccia quella
mattina e non per la mancanza di Ian, ma per la
malinconia dei buoni momenti trascorsi con lui. Tuttavia,
109
si limitò soltanto a sorridere e a sistemarsi il capellino di
lana e la frangia morbida che ne spuntava.

«Affitta i pattini e raggiungici in pista.»

Harry lo guardò combattuto per pochi istanti, poi scosse


la testa. «Meglio di no.»

«E perché? Non puoi essere peggio di quei due.»

Alle sue spalle Niall e Lisa erano appena caduti e ridevano


a crepapelle perché non riuscivano a rimettersi in piedi.

«Perché l'Asperger mi ha programmato per essere la


persona più scoordinata del mondo. Potrei davvero essere
peggio di loro due.» ridacchiò e prima che Louis potesse
dire altro per convincerlo aggiunse «la prossima volta,
magari».

Louis pensò a quanto Harry avesse rinunciato a causa del


suo Asperger, ma non lo forzò perché non voleva farlo
sentire a disagio. Voleva soltanto che stesse bene e,
stando oltre il parapetto con i piedi ben piantati
sull'asfalto nero, Harry lo sembrava.

«Allora mi guarderai pattinare per un altro po' e poi ti


farai offrire una cioccolata calda per averci aspettato a
bordo pista e al gelo.»

Un occhiolino dopo, Louis raggiunse Niall e Lisa con


l'intenzione di aiutarli, ma finì per cadere a terra insieme
a loro e andava bene così perché per la prima volta in
settimane rise di gusto. Poi, cominciò a muoversi
elegantemente sulla pista. Il suo volto trattenne quel
sorriso e le sue guance arrossirono non tanto per il freddo
o lo sforzo fisico, ma perché due occhi color smeraldo non
smisero mai di guardarlo, neanche per un istante.

110
*

«Allora, come è andata a lavoro oggi?»

Camminavano per Hyde Park l'uno al fianco dell'altro per


non perdersi di vista tra gli stand del Winter Wonderland
e la folla da poco meno di un'ora. Lisa e Niall
sorseggiavano ancora le loro cioccolate calde qualche
metro più avanti.

«Tutto bene.»

«E con tutte queste persone intorno, invece?»

Harry sollevò il viso, prima nascosto per metà nella


sciarpa che indossava, e rivelò la punta del naso
leggermente arrossata dal freddo, facendo sorridere
Louis.

«Ci sto lavorando su.» rispose. «Soltanto due mesi fa


avrei dato di matto qui. Ora va meglio, lo psicologo mi sta
insegnando diverse tecniche per superarlo.»

Louis rammentò quel pomeriggio a Parliament Street e fu


felice di constatare che fosse soltanto un brutto ricordo
ormai. Se non fosse stato per Louis e la mano che gli
aveva teso, Harry si sarebbe perso per davvero e non
avrebbe mai più trovato la bussola. Quella volta era stato
Louis la sua bussola, lo aveva riportato a casa, alla realtà,
isolandolo dalle sue paranoie soltanto con una stretta di
mano e uno sguardo onesto.

«N-non la vuoi la mia mano oggi, quindi?»

«C-cosa?»

111
«Di solito prendermi la mano ti tranquillizza.» affermò
imbarazzato. «Se ti fa stare meglio, puoi farlo anche
ora.»

E si sentì uno sciocco ad averglielo proposto, ancora più


sciocco a sperare che l'altro avrebbe accettato soltanto
per sentire ancora una volta la sua mano nella propria. E
più Harry esitava, più le sue speranze venivano meno e il
suo orgoglio veniva calpestato.

«Lascia stare.» mormorò Louis, scuotendo la testa e


affrettando il suo passo.

Avrebbe fatto meglio a raggiungere Niall e Lisa il prima


possibile per non ritrovarsi in una situazione più
imbarazzante di quella attuale. Tuttavia, Harry non
doveva pensarla allo stesso modo.

«Aspetta.» esclamò, raggiungendolo un attimo dopo.


«Voglio la tua mano.»

Quella volta non esitò e intrecciò le loro mani,


osservandole attentamente perché posare lo sguardo sul
volto di Louis gli avrebbe rivelato troppo. Paura,
eccitazione, affetto. Louis percepì il calore di Harry
fondersi al suo, lo sentì percorrergli il braccio, scendere
sulla schiena e trasformarsi in un brivido. Non provava
quella strana sensazione da tempo, forse dai primi
appuntamenti con Ian, ma si disse che quello non potesse
essere un appuntamento, non quando aveva detto addio
al suo ex fidanzato soltanto poche settimane prima. Si
decise a godersi quella sensazione, però. Meritava di
farlo, meritava che Harry gli stringesse la mano e la
nascondesse nella tasca calda del suo cappotto, quasi a
proteggerla.

E non si separarono neanche quando Niall li richiamò per


farsi scattare una polaroid da un perfetto sconosciuto:
Louis non si chiese come lo avesse convinto, dopotutto
112
era Niall e qualcosa gli diceva di non voler ascoltare la
risposta. Si avvicinarono l'uno all'altro per rientrare
nell'inquadratura e, mentre Niall circondava la vita di
Lisa, Louis sentì la presa sulla sua mano farsi più vigorosa
e non riuscì a non guardare Harry o il sorriso che aveva
sulle labbra. In quel momento, lo sconosciuto scattò la
foto per poi consegnarla a Louis, che la ripose nella tasca
del suo parka.

Niall e Lisa non si accorsero delle loro mani intrecciate, né


della loro vicinanza, e lui tirò un sospiro di sollievo perché
non voleva dare spiegazioni che al momento neanche
aveva. Quei gesti tra loro non avevano nulla di razionale,
eppure sembravano essere così giusti. A Harry servivano
a esorcizzare le sue paure e, forse, a sentirsi meno solo.
A Louis? Non lo sapeva ancora con precisione, ma non
era pronto a rinunciarci per il momento.

Si separarono soltanto per entrare nella metro:


dopotutto, alla luce biancastra dei neon diventava tutto
più reale e loro non sapevano neanche dare un nome a
quel "tutto".

Arrivati a Brick Lane, Niall insisté per accompagnarlo


sotto il suo palazzo e Louis non lo fece desistere. Quasi
non voleva che la serata finisse perché da tempo non
viveva qualcosa di così allegro e spensierato. Tuttavia,
quella serenità venne spazzata via in un istante quando i
suoi occhi notarono una figura familiare che sostava
all'ingresso dell'edificio. La luce artificiale del lampione ne
illuminava il volto, delineando un profilo dolce, ma Louis
avrebbe anche potuto farne a meno: lo conosceva in ogni
cicatrice e imperfezione, lo aveva amato, venerato e
anche odiato quel viso.

Ian era lì ad aspettarlo, ma presto venne raggiunto


soltanto da Niall perché Louis rimase fermo a osservarlo,
113
a capacitarsi della sua reale presenza, e si ridestò
soltanto quando li ascoltò alzare la voce. Fu allora che si
frappose tra loro, chiedendosi in quale pellicola di
quart'ordine fosse finito: non c'era bisogno di proteggere
il suo onore in quel modo, non quando aveva quasi
venticinque anni e sapeva farsi giustizia da solo.

«A cuccia!» ordinò. «Tutti e due!» precisò un attimo dopo


e soltanto allora i due si allontanarono. «Tu che ci fai
qui?» chiese a Ian.

«Volevo parlarti, ma Julian mi ha detto che non eri a casa


e ho deciso di aspettarti qua fuori.»

«Va bene, dammi un minuto.» rispose, prima di


raggiungere Niall, Lisa e Harry e rassicurarli. «Andate a
casa, posso cavarmela da solo da qui in poi.»

Niall gli lanciò un'occhiata eloquente prima di avvicinarsi


e posare una mano sulla sua spalla. «Non farlo salire,
Lou.» lo pregò. «Non permettergli di averti di nuovo in
pugno.»

«Sta' tranquillo, so cosa devo fare.»

Harry e Lisa non dissero neanche una parola, ma i loro


volti tradirono preoccupazione e ansia. Louis li rassicurò
con un sorriso e con la promessa di vedersi l'indomani,
prima di lasciarli tornare a casa. Poi, raggiunse Ian e si
meravigliò nel vederlo così remissivo: l'Ian di un solo
mese prima avrebbe dato di matto davanti a quel teatrino
e sarebbe già andato via. Quell'Ian, invece, era rimasto e
ora gli sorrideva dolcemente.

«Allora, che ci fai realmente qui?»

114
Ian sospirò, mentre lo imitava e si sedeva al suo fianco
sui gradini in marmo della scalinata d'accesso. «Volevo
chiederti semplicemente scusa.»

Scusa per averti trascurato, scusa per non averti


considerato mai abbastanza, scusa per gli insulti, scusa
per averti dato del fallito, scusa per aver sfogato le mie
frustrazioni su di te, scusa per averti esposto davanti ai
miei colleghi e non averti mai protetto, scusa per i baci
non voluti, scusa per il sesso che ti faceva male. Scusa
per il nostro amore, che puro ed equilibrato non era e
forse non lo è stato mai.

Louis ascoltò le sue scuse in silenzio, lasciando che fosse


Ian a parlare, lui che non parlava mai se non di lavoro o
per screditarlo ultimamente. Sembrava finalmente
onesto, gli si leggeva negli occhi il dispiacere per aver
fallito anche quell'obiettivo. Dispiaceva a entrambi perché
i loro primi due anni insieme erano stati pieni, pieni
d'amore, di passione e d'affetto. L'ultimo, invece, era
stato soltanto da dimenticare.

«Sei felice ora?»

«Non lo so.» Louis gli rivolse un sorriso sincero, prima di


rispondere. «Penso di essere sereno. La felicità è
sopravvalutata, no? Non dura per sempre, ma soltanto un
momento.»

«Ed ecco perché tra di noi non ha funzionato.» ridacchiò


Ian. «Non ti meritavo, Lou. Affatto. Ti ho dato per
scontato e non dovevo farlo. Non dovevo fare tante cose,
in realtà. Dovevo soltanto amarti e non l'ho fatto.»

«Forse, nel profondo, sapevamo entrambi di non essere


fatti l'uno per l'altro, ma abbiamo soltanto impiegato
troppo tempo per dirlo ad alta voce.»

115
Ian annuì, ma non aggiunse nulla. Entrambi non
parlarono per alcuni minuti, godendosi quel silenzio che
servì a interiorizzare le loro parole, le scuse di Ian e i
pensieri di Louis. Ne avevano bisogno, dopo quei mesi
pieni di discussioni e litigi.

Poi, d'un tratto, Ian esclamò divertito «ora finalmente


Harry avrà via libera!».

«Sei un idiota.»

«Ho visto come ti guardava e anche come guardava me


poco fa, mi avrebbe fatto fuori volentieri!»

«Anche Niall ti avrebbe fatto fuori molto volentieri! Harry


è soltanto un buon amico.»

«Con lui e con tutti i tuoi amici sono stato uno stronzo,
vero?»

«La maggior parte del tempo, Ian.»

«È vero e non posso negarlo.» affermò con amarezza.


«Nell'ultimo anno ho concentrato tutto me stesso sui miei
bisogni e sul mio lavoro, non dando spazio a te, ai tuoi
interessi e ai tuoi amici. Riuscivo a rovinare tutto, anche
le vostre serate. Tu, invece, non facevi altro che
sostenermi anche durante quelle odiose cene di lavoro.»

«Puoi sempre migliorare, lo sai?» Louis non rimpiangeva


nulla, neanche i sorrisi che si era sforzato di fare quando,
invece, avrebbe pianto volentieri: lo aveva fatto per
amore e non glielo avrebbe mai rinfacciato. «Puoi
imparare dalla nostra relazione, puoi far sì che in questo
modo sia servita a qualcosa.»

E non soltanto a spezzarci i cuori.

116
«La nostra relazione è servita a farmi capire che stavo
andando nella direzione sbagliata e che stavo diventando
un uomo orribile, Lou.» rispose Ian, scuotendo la testa.
«Grazie per avermi cambiato la vita, per avermi salvato.»
Si sporse verso di lui e lo abbracciò in un modo e con
intenzioni tutte nuove, tenere, amichevoli. «Buona
fortuna per tutto.» gli sussurrò all'orecchio, prima di
stringerlo forte un'ultima volta e poi lasciarlo andare.

«Anche a te, Ian.»

Louis lo guardò allontanarsi lentamente e lo salutò


ancora, sventolando una mano nella sua direzione,
quando girò l'angolo e scomparve. Si strinse nel suo
parka e rabbrividì al pensiero che quello fosse stato il suo
ultimo addio a Ian, per poi entrare nel palazzo e
raggiungere il suo appartamento. Prima di girare le chiavi
nella toppa del portone, sobbalzò a causa del trillare
insistente del suo cellulare e rispose senza neanche far
caso al mittente della chiamata.

«Pronto?»

«Lou, va tutto bene?»

«Harry? Sei tu?»

«Sì, sono io.» confermò sbrigativo. «Allora, tutto bene?»

«Ci siamo salutati poco più di un'ora fa, certo che va tutto
bene.»

«Bene.» Harry fece una lunga pausa. «Siete tornati


insieme tu e Ian?»

«No, decisamente no.» ribatté Louis. «Abbiamo soltanto


parlato e chiarito ciò che era rimasto in sospeso tra di
noi. Perché me lo chiedi?»

117
«Perché Niall non faceva altro che insistere. Ora può stare
tranquillo.»

«Sì, puoi dire a Niall di stare tranquillo.»

«Già, per fortuna.» si affrettò a rispondere, schiarendosi


la voce. «Allora ci vediamo domani, giusto?»

«A domani. Ciao, Harry.»

«Ciao, Lou.»

Louis scosse la testa incredulo per la conversazione


appena avuta, mentre entrava nel suo appartamento:
Niall non aveva bisogno che Harry facesse da
intermediario, solitamente agiva da solo e
tempestivamente in quei casi, soprattutto quando si
trattava di Ian. Non volle porsi altre domande, però,
perché era troppo stanco per cercarne le risposte quella
sera. Non appena varcò la soglia della sua camera da
letto si liberò del parka e si ricordò della polaroid ancora
nella tasca. La prese e la sistemò con cura su una
bacheca di sughero piena zeppa di altre foto, scontrini e
biglietti aerei che aveva conservato negli anni.

Guardando quella polaroid, Louis non aveva dubbi su ciò


che aveva confessato a Ian poco prima: finalmente era
sereno.

Ritrovarsi sul divano di Niall e aprire gli occhi con


l'impellente bisogno di vomitare non era il miglior modo
di iniziare le vacanze natalizie e lo sapeva anche Louis.

«Non berrò mai più.» mormorò al riflesso smunto e


giallognolo che vide nello specchio del bagno, dopo
essersi fatto una doccia e aver indossato una vecchia tuta

118
reperita dal fondo dell'armadio del suo migliore amico.
«Mai più.»

E lo intendeva per davvero dopo gli avvenimenti della


sera precedente, trascorsa al Libertine tra fiumi di alcol e
balli proibiti con un ragazzo di cui non ricordava neanche
il nome. Patrick? Paul? Pete? Al momento, non gli
interessava neanche. L'importante era aver festeggiato in
grande stile con i suoi amici la fine del suo percorso
universitario in Scienze Politiche e potersi laureare a
gennaio, abbandonando in modo definitivo il suo sogno-
incubo di allevare degli alpaca. Si sistemò i capelli
un'ultima volta con l'intenzione di darsi un aspetto
migliore, ma le occhiaie profonde e l'espressione
nauseata che aveva sul viso non lo aiutarono granché. Si
disse che soltanto una tazza di tè avrebbe potuto
combattere i postumi della sua sbornia e rimetterlo a
nuovo.

Non appena uscì dal bagno, capì di non essere solo a


causa di un rumore proveniente dalla cucina e da una
colorita imprecazione che lo seguì. Incuriosito, raggiunse
la zona giorno e temporeggiò sul suo uscio, prima di
rivelare la sua figura, soltanto per godersi quella versione
inedita di Harry: il ragazzo era occupato a preparare uova
e pancetta ai fornelli e, nonostante l'incidente di pochi
minuti prima, sembrava muoversi con disinvoltura in
cucina.

«Ehi.»

«Buongiorno, Lou.» lo salutò Harry, voltando il capo nella


sua direzione. «Vuoi fare colazione?»

«No, grazie. Prenderò soltanto un po' di tè.»

Louis versò dell'acqua bollente nella sua tazza e mise in


infusione la bustina di tè, prima di sedersi al tavolo in

119
legno e osservare con un'espressione sorpresa i
movimenti sicuri di Harry tra pentole e padelle.

«Non vai a lavoro oggi?» gli chiese, quando si sedette al


suo fianco per mangiare.

«Inizio alle tre e tu? Non dovevi prendere un treno per


tornare a Eastbourne?»

«Il mio treno parte proprio alle tre.»

«E come stai?»

«Bene, più o meno.» Il mal di testa e la nausea sarebbero


passati in poche ore, dopotutto. «Fortunatamente ieri
sera sei andato via prima che la situazione degenerasse.
Io e Niall siamo arrivati qui a mani e piedi e non è stata
una bella esperienza. Mi chiedo come abbia fatto a
svegliarsi alle sei per andare in ospedale oggi.»

«Non mi riferivo alla tua sbronza. Ti ho sentito piangere


ieri notte.» Lo disse sotto voce, come se fosse un
segreto. «È per Ian? Ci soffri ancora o ti ha fatto qualcosa
di brutto?»

«No, no.» lo rassicurò, accennando un sorriso. «Dovevo


soltanto sfogarmi, suppongo. Sai, le ultime settimane
sono state molto pesanti tra gli esami finali e la mia
ansia. Piangere è stato terapeutico, però.»

Harry annuì prima di confessargli «non volevo sembrarti


invadente - di solito non mi importa neanche - ma sono
stato in pensiero per te tutta la notte».

«Non dovevi, Harry. Non devi preoccuparti per me. Alla


fine, in un modo o nell'altro, me la cavo sempre.»

120
Si meravigliò comunque per il suo pensiero premuroso,
anche perché tra i due era Louis quello che avrebbe
dovuto preoccuparsi per Harry e il suo benessere psico-
fisico. Dopotutto, a soli ventidue anni, aveva già provato
sulla sua pelle la discriminazione e l'isolamento da parte
di chi percepiva la sua diversità come una minaccia. A
confronto, i problemi di Louis sembravano barzellette.

«Harry, ho capito come aiutarti!»

«E come?» sì accigliò, poggiando la sua tazza di tè sul


tavolo. «Non offenderti, ma sei tu quello che dovrebbe
essere aiutato: ti presenti qui alle tre di notte e piangi sul
nostro divano.»

Louis alzò gli occhi al cielo, ignorando per un istante la


sua solita mancanza di tatto. «Lascia perdere quello che
faccio io, non sono un buon esempio.»

«E quindi? In che modo mi aiuteresti?»

«Scrivi una lista di cose che vuoi fare e che non hai mai
fatto...grazie a me ora anche l'impossibile ti sembrerà
possibile!»

E Louis si emozionava così facilmente per ciò in cui


credeva! Diventava un uragano, capace di travolgere
chiunque si trovasse sul suo cammino, e non si arrendeva
fino a quando non vedeva le sue idee realizzate: era
quella la qualità che più gli era stata utile ad Haiti durante
il suo volontariato.

«Cosa?»

«Due settimane fa, non hai pattinato con noi perché hai
detto che...»

121
«So cosa ho detto, ma io non volevo davvero pattinare.
Non mi piace il ghiaccio...è scivoloso e freddo.»

«Okay, mettiamo da parte il ghiaccio.» sbuffò, ma non si


perse d'animo. «Sono certo che ci sono altre cose che ti
piacerebbe fare e che non fai a causa dell'Asperger. Ho
ragione o torto?»

«Ragione.»

«Allora fidati di me, sarà divertente.»

«Non ci trovo nulla di divertente.»

«Poi un giorno mi dirai perché sei sempre così


brontolone.» bofonchiò Louis. «Fa' quella lista, del resto
mi occuperò io.»

«Quindi, cosa dovrei scriverci?»

Louis sembrò rifletterci per qualche istante prima di


aprirsi in un sorriso raggiante ed esclamare «le cinque
cose che hai sempre voluto fare, ma che a causa del tuo
Asperger non hai fatto!».

«Un po' lungo come titolo, non credi?»

«Hai appena fatto del sarcasmo?»

«Non credo?» esitò Harry. «Ho soltanto detto che il titolo


era fin troppo lungo...poteva essere sarcasmo?» chiese
speranzoso.

«Lascia perdere.» ribatté sbrigativo. «Tu scrivile e basta,


senza titolo.»

«Posso scrivere proprio tutto?»

122
«Beh, solo ciò che è legale.» scherzò Louis, tendendogli la
mano per suggellare il patto. «Quindi, affare fatto?»

Harry osservò indeciso la sua mano, la scrutava come se


da quella dipendesse la sua vita. E in parte era così
perché, se avesse accettato, avrebbe posto nelle mani di
Louis i suoi sogni e le sue insicurezze e sulle sue spalle
una grande responsabilità, quella di renderlo felice. Poi,
d'un tratto, come se quella proposta potesse scomparire
da un momento all'altro, gli strinse la mano
vigorosamente e sorrise speranzoso.

Affare fatto.

«Soltanto cinque cose?»

«Non sono Oprah o Ellen, Harry. Accontentati per il


momento.» sbuffò. «Vorrei soltanto che cominciassi a
fare ciò che vuoi per davvero, senza sentirti limitato
dall'Asperger perché tu non sei la tua sindrome, giusto?»

«Giusto.»

Harry assunse un'espressione soddisfatta e fece per


congedarsi, ma Louis lo richiamò ricordandosi di un
particolare.

«Aspetta!» Frugò nella tasca del suo parka, ancora


sistemato sul divano dalla sera precedente, e ne tirò fuori
una scatolina rossa. «Ti ho preso qualcosa.» disse,
porgendogliela. «È per Natale.»

L'espressione accigliata sul volto di Harry gli fece tremare


la mano d'insicurezza. Era stato eccessivo, forse un passo
falso? Dopotutto, era soltanto un regalo e Louis amava
fare e ricevere regali, amava rendere felici le persone a
cui teneva.

123
«Oh.» sussultò Harry. «I-io non ti ho preso nulla né per
Natale, né per il tuo compleanno...in realtà, sono una
frana con i regali. Se ne occupa sempre Will.»

«Non fa nulla, il tuo regalo sarà risparmiarmi una partita


a scarabeo e una sconfitta certa.» Gli fece un occhiolino,
prima di porgergli ancora una volta la scatolina. «È una
sciocchezza, ma mi ha fatto pensare a te.»

«Grazie, allora.» mormorò imbarazzato, accettandola e


rigirandosela tra le mani.

«Non lo apri?»

«La mamma dice sempre che i regali si aprono a Natale.»


rispose, facendo spallucce. «Mancano soltanto due
giorni.»

«Allora aprilo a Natale, ma fammi sapere se ti piace.» gli


disse, prima di controllare l'orologio. «Ora devo andare,
devo ancora fare la valigia e cercare di prendere il mio
treno in tempo.» gli spiegò, riservandogli un sorriso. «Ci
vediamo a gennaio, giusto?»

«A gennaio.»

«E ci sarai per la mia laurea?»

«Vediamo cosa posso fare con il lavoro e Manchester.»

E andava bene così, non lo avrebbe mai forzato.

«Buon Natale, Harry.» Si alzò sulle punte dei piedi per


raggiungere il suo viso e sfiorò la sua guancia con le
labbra in un bacio veloce. «Passa delle belle vacanze.»

Pronunciò quelle parole con uno strano groppo in gola,


con le guance rosse e i brividi per la schiena.
124
«Buon Natale anche a te, Lou.»

Louis era certo che avrebbe sentito la mancanza di Harry


durante le vacanze di Natale, di quel suo perenne broncio
e dei riccioli castani che gli addolcivano i lineamenti. Gli
mancava già in quel momento e aveva fatto soltanto
qualche passo verso il portone, perché non era
un'esagerazione affermare che Harry fosse diventato in
pochi mesi parte della sua quotidianità e della sua vita.

«Pensa alla lista, mi raccomando!»

Fu l'ultima cosa che disse prima di chiudersi il portone


alle spalle e liberare un sospiro: non sapeva che,
nell'appartamento, Harry stava sfiorando la sua guancia,
ormai segnata da quel bacio, con le dita ancora tremanti.

Louis aveva sempre amato i viaggi in treno perché


avevano la capacità di farlo rilassare e di combattere lo
stress della sua vita londinese.

Conosceva la tratta Londra-Eastbourne a memoria ormai,


così come le sue fermate e le piccole città che
attraversava. Ogni viaggio verso casa sembrava sempre
lo stesso, ma quella volta era lui a essere cambiato.
Tornava nella sua città natale con spirito rinnovato perché
era pronto a laurearsi, aveva lasciato Ian e aveva smesso
di non considerarsi abbastanza, e gli piaceva quel nuovo,
o forse vecchio, Louis. Non appena vide la copertura in
vetro e acciaio che si snodava sopra il binario della sua
stazione, preparò le sue cose e si avvicinò all'uscita del
vagone. Non poté trattenere un sorriso nel riconoscere
una figura familiare ferma sulla banchina: capelli castani
e sempre scompigliati, un cappotto marrone che aveva
visto tempi migliori ma al quale era troppo affezionato e
due braccia forti e pronte ad accoglierlo.

125
«Louis William Tomlinson!» esclamò l'uomo, mentre
alzava le mani al cielo. «Non ci credo!» E, nonostante
l'imbarazzo di Louis, quando lo raggiunse, cominciò a
tastargli il viso delicatamente quasi ad accettarsi della
sua reale presenza. «Sei davvero tu? O sei un miraggio?»

Louis scosse la testa, incredulo del fatto che quell'uomo


col sorriso da Peter Pan, con i suoi cinquant'anni e quei
modi cosi teatrali fosse davvero suo padre, Ethan.

«Devi essere sempre così teatrale, papà?»

«Sempre, Lou.»

E lo strinse in un abbraccio forte, quasi a confondere i


loro cuori. Louis ricambiò la stretta con trasporto perché
suo padre gli era mancato davvero tanto, perché le ore
che trascorrevano insieme al telefono sembravano non
bastare mai.

«Ogni volta sei sempre più bello.»

«Non sono cambiato per niente da settembre.» precisò.


«E ho i postumi di una sbornia, dubito di essere bello.»

«Sarà, ma a me sembri persino cresciuto di qualche


centimetro.» ribatté, prendendo la sua valigia e
accompagnandolo verso l'uscita della stazione con un
braccio intorno alle spalle. «Andiamo ora e non ripetere la
penultima cosa che mi hai detto davanti a tua madre.»

Louis ridacchiò, credendo fermamente che sua madre


avesse fatto di peggio durante la sua gioventù. «Come
stai?» gli chiese, dopo essere entrato nella sua
automobile.

«Bene ora che anche tu sei a casa.» rispose con quel tono
ruffiano. «E finalmente sono in vacanza!» esclamò,

126
alzando il pugno chiuso in aria in segno di vittoria,
mentre si immetteva nelle strade poco trafficate della
città.

Ethan sembrava ancora un ventenne e lo era in un certo


senso, fino a quando non si trasformava nel severo
professore che insegnava storia nel piccolo liceo di
Eastbourne. Anche sua madre, Johannah, era piuttosto
giovanile, ma a differenza di suo marito era maturata un
po' di più nel frattempo. Gli zaini con i quali entrambi
avevano girovagato l'Europa intera a venticinque anni
erano stati conservati in soffitta ormai, ma a volte quei
due ritornavano gli scapestrati che lo avevano concepito
nel loro viaggio on the road. E Louis li amava, anche se
non facevano altro che ricordargli quell'imbarazzante
particolare.

«È assurdo che non ci sia musica decente in questa


macchina!» esclamò, rigirandosi tra le mani vari cd che
aveva raccattato dal cruscotto. «E poi perché hai ancora
questi cd? Puoi avere tutta la musica che vuoi sul tuo
cellulare!»

«Ehi!» si indignò. «Fai attenzione con quella roba.»

«Questi li ascolta anche un mio amico.»

Erano i Fleetwood Mac e li ascoltava Harry.

«Allora sono ancora giovane.» gongolò Ethan.


«Ascoltiamo la stessa buona musica io e il tuo amico, mi
piace.»

«No, papà. Non sei tu a essere ancora giovane, ma Harry


a essere decisamente vecchio dentro.»

«Oh, ma fa' silenzio!»

127
Louis ridacchiò perché quelle discussioni riguardo i loro
gusti musicali inconciliabili erano all'ordine del giorno.
Tuttavia, quel giorno, pervaso dallo spirito natalizio, lo
accontentò e scelse uno dei suoi amati cd da ascoltare nel
loro tragitto verso casa. I gusti musicali di suo padre non
erano i soli a non essere cambiati in quei mesi, anche
Eastbourne era rimasta sempre la stessa. Un clima
rilassato aleggiava per le strade della cittadina
nonostante il Natale si avvicinasse, il lungo mare e il Pier
erano illuminati dalle luminarie a tema e diverse
ghirlande verdi e rosse decoravano gli ingressi dei negozi.
Non era cambiato neanche il suo quartiere, che diventava
una piccola Las Vegas inglese in quel periodo. E non era
cambiata neanche la grande casa a mattoncini rossi e
bianchi posta alla fine della strada che lo aveva visto
crescere.

«Wow.» mormorò meravigliato nel vedere le luci colorate


seguire la linea di gronda delle coperture, la sagoma
luminosa di una renna spuntare dal tetto, una festosa
ghirlanda sul portone e le palline rosse e oro che
decoravano l'abete all'ingresso. «La mamma e la nonna si
sono date da fare con le decorazioni quest'anno.»

«Lo sai che la mamma e la nonna possono essere


davvero competitive quando vogliono.»

«Oh, lo so bene.»

Bastava guardarsi intorno per capire che la loro fosse la


casa più bella del quartiere.

«Ben tornato a casa, Lou.» gli disse suo padre con il più
rassicurante dei toni, mentre gli cingeva le spalle con un
braccio e lo invitava a varcare il cancello di ferro.

Louis si incamminò lungo il vialetto e non desiderò altro


che abbracciare sua madre e i nonni.

128
Finalmente era a casa.

Grazie ancora per il regalo.


È bellissima.
H

Ho salvato il tuo nome in rubrica, è necessario firmare


con la tua iniziale ogni messaggio?
Ps: ti sta benissimo

Considera la "H" finale un tocco personale.


Ancora Buon Natale, Lou.
H

Louis alzò gli occhi al cielo per quella "H", ma un dolce


sorriso spuntò sulle sue labbra quando vide ancora una
volta la foto che Harry gli aveva inviato poco prima nella
loro conversazione. C'era Harry con i ricci che gli
solleticavano le spalle e un maglione bordeaux con una H
ricamata sul torace. C'era anche un sorriso sincero sulle
sue labbra. E c'erano i suoi occhi verdi e brillanti che
esprimevano la sua contentezza. Soprattutto, a pendere
da una collanina argentata c'era il ciondolo a forma di
aeroplanino di carta che Louis gli aveva regalato a Natale
e per il quale l'altro l'aveva ringraziato con fin troppi
ossequi. Osservando quella foto, Louis capì che tornare a
casa per Harry non fosse soltanto sinonimo di famiglia,
ma anche di serenità. E quest'ultima su di lui risultava
contagiosa.

«Posso entrare, chéri?»

E a un tratto, prima che potesse darle una risposta


affermativa, sua nonna entrò nella stanza e si sedette al
suo fianco sul letto. Abituato alla totale mancanza di
privacy, non si infastidì, anche perché adorava Margot.
Amava il suo profumo, perché gli ricordava quello del
129
pain au chocolat e tante altre cose buone. Amava
specchiarsi negli occhi cerulei così simili ai suoi, un tratto
familiare che copriva ben tre generazioni. Amava anche
quella sua parlata un po' inglese e un po' francese perché
tanti anni prima era scappata da Saint Paul de Vence con
quel pilota della British Airways arrendendosi all'amore,
ma non all'intera Inghilterra.

«Mon petit, cosa c'è che non va?» Margot lo chiese


con quella espressione, quella del "non so cosa nascondi,
ma sono qui per scoprirlo".

«Nulla, mamie.»

«Ma sei triste.»

«Affatto.» rispose, posando il suo cellulare sulla coperta


verde. «Sono soltanto un po' stanco. Sai, gli esami finali
mi hanno stressato tanto.»

«Non ci credo neanche un po'. Non fai altro che


ciondolare per l'intera casa, non mangi quasi nulla e hai
sempre in mano quell'aggeggio diabolico che chiami
cellulare.»

«Sono successe tante cose in questi ultimi mesi...»


cominciò, non trovando le parole adatte. «È che non so
neanche da dove iniziare.»

«Comincia dall'inizio e vedrai che troverai la strada


giusta.»

«Io e Ian ci siamo lasciati.»

Lo disse tutto d'un fiato, timoroso di deludere le


aspettative della sua famiglia. I suoi familiari adoravano
Ian - tranne nonno Robert che non adorava nessuno al di
fuori del suo unico nipote - perché ai loro occhi era

130
stabilità, protezione e sicurezza. Era quel qualcuno che
avrebbe potuto tenere insieme Louis e le sue fragilità,
anche se lui era forte e si teneva insieme da solo la
maggior parte delle volte.

«Lo avevo immaginato!» Margot non sembrò così


sorpresa. «Non lo hai nominato neanche una volta, non
hai aperto il suo regalo di Natale e non è passato a
trovarci il giorno del tuo compleanno. Ma come è
successo? Eravate così affiatati, c'est impossible!»

«Non funzionavano più insieme, mamie. Passavamo la


maggior parte del tempo a discutere, non eravamo felici e
non c'era più amore.»

«E tu come stai, mon petit soleil?»

«Bene, credo.» Scrollò le spalle, accennando un sorriso.


«Non è stata una rottura improvvisa, le cose tra noi non
andavano bene da un bel po' ed è stato quasi naturale
lasciarsi andare. Non voglio più stare al fianco di qualcuno
che mi dà per scontato. Voglio essere amato e apprezzato
per quello che sono. È troppo da chiedere?»

«Oh, Louis. Non è mai troppo desiderare di essere


amato.»

Margot lo abbracciò forte. Louis si chiedeva sempre dove


trovasse la forza per stringerlo in quel modo così
totalizzante vista la sua presenza minuta, prima di
rispondersi che fosse l'amore a far ardere ancora sua
nonna, anche a settantacinque anni.

«E lui chi è?»

Si allontanò dalla donna malvolentieri soltanto per capire


a chi si riferisse e la trovò con gli occhi cerulei già

131
concentrati sul suo cellulare, in particolare sulla foto che
occupava parte dello schermo.

«È un amico.»

«E questo amico ha anche un nome? Oltre ad avere degli


occhi verdi, delle fossette e delle belle labbra a forma di
cuore?» lo incalzò, sistemandosi i lungo capelli bianchi
dietro le orecchie. «Mon Dieu, il ressemble à un ange!»

«Mamie!» sbuffò Louis e per poco non alzò gli occhi al


cielo. «Non è un angelo, il suo nome è Harry ed è un
amico di Niall, oltre ad essere il suo coinquilino.»

«E per te è...?»

«È solo Harry, mamie. Solo Harry.» ribatté duramente.


«Non lavorare troppo di fantasia.»

«Quindi non credi che sia bello come un angelo?»

«Nonna!»

«Era soltanto la curiosità di una vecchia signora, Louis


caro.» si giustificò con un sorriso furbo. «E poi non è una
bugia, è davvero un bellissimo ragazzo.»

«È bellissimo, ma...»

«...ma?»

«È complicato.»

«Sono convinta di poter capire.»

Louis le parlò di come si fossero conosciuti, delle sue


amate statistiche e della sua passione per gli aerei, dello
scarabeo e delle ripetizioni. Le raccontò di come si
132
fossero allontanati e poi avvicinati di nuovo, delle loro
mani che si cercavano e dei complimenti di Harry che
arrivavano silenziosi e se ne andavano lasciando soltanto
tempesta nel suo cuore.

«È strano, ma in senso buono. E mi piace perché con lui


sento di nuovo i brividi lungo la schiena, le farfalle nello
stomaco e finalmente il sorriso sulle labbra.» E forse era
la prima volta che lo ammetteva a se stesso e ad alta
voce. «So, però, che non potrà mai nascere nulla.»

«E perché mai?»

«Non credo di essere pronto per una nuova relazione e


poi Harry è un Asperger. Sai cosa significa?»

«Oui, chéri. Lo è anche il nipote della mia amica


Clementine, ma non credo che dovrebbe essere un
ostacolo tra voi. Cosa provi quando stai con lui?»

«Mi sento Louis, me stesso e senza sovrastrutture. E poi,


finalmente, mi sento utile, come se potessi essergli
d'aiuto per davvero e non soltanto il fidanzato-trofeo con
qualche bella esperienza da raccontare che ero con Ian.»
spiegò. «E siamo così diversi...Harry è così intelligente,
ordinato, completamente privo di ironia e mangia soltanto
gli orsetti gommosi rossi. Posso sopportarlo, però, perché
io mangerei tutti gli altri.» Margot si lasciò scappare una
risata flebile a quella precisazione. «A volte mi fa
impazzire, ma quando mi prende la mano dimentico
tutto, persino la sua indifferenza e quel suo caratteraccio,
ed è bello, è bello da morire.»

Louis nascose il suo viso dietro un cuscino per


l'imbarazzo. Confessare ad alta voce ciò che provava per
Harry rendeva tutto più spaventoso e pericoloso,
significava rendere concreto qualcosa che fino a quel
momento era rimasto sempre e solo nella sua testa o
forse nel suo cuore. Margot lo liberò dal cuscino presto e
133
gli scostò amorevolmente la frangia dagli occhi, rivelando
uno sguardo incerto. Gli prese le mani nelle sue nodose e
gli sorrise dolcemente.

«Maintenant, chéri, ne fait pas tout une histoire de ça.»

«Non devo farne una tragedia? È una grandissima


tragedia.» sospirò. «Non so neanche se a Harry piacciano
i ragazzi o le ragazze, non so nulla di lui se non ciò che
vuole condividere con me ed è ben poco.» aggiunse.
«Harry è come la Luna, una parte di lui sarà sempre
nascosta.»

«E tu sei il Sole, la illuminerai. Tu es mon petit soleil.»

«Non potrà mai funzionare tra noi.» ribatté mesto.


«Prima di tornare a casa gli ho detto di pensare a una
lista di cose che avrebbe tanto voluto fare e che
l'avremmo spuntata insieme. Sono convinto che questa
lista lo farà aprire di più al mondo e non posso complicare
tutto con i miei stupidi sentimenti, capisci?»

«I tuoi sentimenti non sono stupidi, Louis. L'amore non è


mai stupido.»

«Non so neanche se è davvero amore, mamie. Sono così


confuso.»

«Allora non fasciarti la testa ancor prima di cadere. Non


preoccuparti di nulla e...» Lasciò andare le sue mani
soltanto per dare un buffetto alla guancia nipote.
«...écoute, notre avenir sera ce qu'il doit être.»

Sarà quel che sarà. Forse, aveva ragione sua nonna. Era
inutile preoccuparsi del futuro, era più utile vivere giorno
per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Non a caso,
al suo ritorno da Haiti, aveva scelto di tatuarsi sul petto
"it is what it is", è quello che è.

134
E mentre Margot si alzava e andava via per concedergli
tempo e spazio per riflettere, Louis la richiamò.
«Mamie? Puoi mantenere il segreto con gli altri?»

«Su Ian o Harry?»

«Entrambi.» Si affrettò a rispondere. «Gli dirò di Ian tra


qualche giorno.» Lei annuì. «Grazie, ti voglio bene.»

Margot gli soffiò un bacio. «Scendi giù per una tazza di tè


tra poco. C'è un pain au chocolat che ti aspetta se non
l'ha mangiato prima tuo nonno.»

Al presente, Louis avrebbe dovuto pensare soltanto al


presente. E il presente al momento era sua nonna che
profumava di pain au chocolat, suo nonno che non
riusciva a rigare dritto con la dieta e il calore della sua
famiglia.

Louis conosceva Eastbourne in ogni stradina, bottega e


attrazione turistica e amava quel clima rilassato che si
respirava in ogni suo angolo grazie agli anziani che
passeggiavano al parco, ai bambini che si rincorrevano
spensierati in spiaggia e ai ragazzi che affollavano il Pier.

Eppure, aveva sempre amato l'avventura e la libertà e le


aveva trovate prima ad Haiti e poi a Londra.

E spesso si chiedeva come Lucas, il suo amico di lunga


data, fosse riuscito a trovarle proprio in quella piccola
cittadina dalla quale non si era mai allontanato. Forse
l'aveva trovate nello studio di tatuaggi che aveva aperto
dopo il liceo, nella ragazza che amava da anni, negli
sguardi riprovevoli che gli anziani gli lanciavano passando
davanti al suo studio o ancora nell'eccitazione che uno di
loro aveva provato facendosi tatuare per la prima volta a

135
ottant'anni. Eppure, nonostante conducessero vite diverse
e avessero aspirazioni diverse, riuscivano ancora a
frequentarsi e a ridere insieme. Lucas era rimasto sempre
il ragazzo dai capelli corvini e occhi verdi con il quale
aveva condiviso il banco il primo giorno della scuola
media.

«Quindi...» esordì Lucas, guardandosi allo specchio e


sistemandosi la sua camicia a righe. «Sei ufficialmente su
piazza.»

«Non sulla stessa piazza che intendi tu.» precisò,


sedendosi sul letto. «Non voglio un ragazzo al momento.»

O meglio, ne voleva uno che non avrebbe mai potuto


avere.

«Andiamo, Lou.» ridacchiò. «Tu ami innamorarti, non fai


altro che innamorarti. Non sei stato solo per più di un
mese da quando avevi sedici anni.»

«Ehi, stai dicendo che sono un gigolò?»

«Affatto. Intendo dire che non ti arrendi mai: hai questa


ossessione di cercare il principe azzurro con il quale
condividerai tutta la tua vita e non ti fermerai fino a
quando non l'avrai trovato.»

«Cosa c'è di sbagliato nel farlo?»

«Nulla e, infatti, questa sera voglio presentati un mio


amico. È un tipo a posto.»

«Dio, sei come mia nonna. Entrambi volete incastrarmi


con qualcuno, ma vi ricordo che non siamo nel
Medioevo.»

136
«E sentiamo un po'...con chi vorrebbe incastrarti la dolce
Margot?»

«Con Harry.»

«Lo strambo?»

«Cristo santo, Lucas! Sei proprio un caso perso.»

«Mi è uscito male, scusami.» Accennò un sorriso e andò


oltre. «Beh, comunque Margot non ha tutti i torti. Harry è
un bel ragazzo e quella lista potrebbe avvicinarvi molto.»

«Ma smettila, sai che voglio soltanto aiutarlo con la lista e


basta. Siamo e saremo solo amici.»

«Io non regalerei mai una collana d'argento con un


ciondolo che ha un certo significato ad una ragazza
soltanto per essergli amico, Lou.»

«Tu non lo regaleresti neanche alla tua di ragazza e,


infatti, Camille non ha ancora un anello al dito dopo quasi
sette anni di relazione.»

«A noi non servono catene per stare insieme.» si


giustificò e Louis alzò gli occhi al cielo perché Camille
quella catena l'avrebbe voluta e anche d'oro. «E poi non
stavamo parlando di me, ma di te!»

Louis gli fece una linguaccia e lo invitò a sbrigarsi. Erano


già in ritardo per la festa di Capodanno che si sarebbe
tenuta in un locale sul lungomare e che non avrebbero
mai potuto perdere perché «quest'anno sarà sicuramente
più divertente dello scorso anno». E Louis aveva finto di
crederci anche quella volta, non precisando a Lucas che
soleva ripeterlo ogni anno senza alcun risultato positivo.

137
«Allora, cosa fa Harry stasera?» gli chiese, mentre
camminavano sul lungo mare per raggiungere il Trick.

«Perché ti interessa?» Scrollò le spalle. «Non lo so


comunque, non lo sento da Natale.»

«Ecco perché sei così scontroso!»

«No, Lucas. Sono scontroso perché stiamo camminando


al freddo e al gelo da un quarto d'ora e al momento
vorrei soltanto strangolarti.»

Lucas ridacchiò, affermando che le sue dimostrazioni


d'affetto non facevano altro che scaldargli il cuore,
nonostante il vento freddo e l'umidità dell'oceano. E
quella volta fu Louis a ridacchiare e a scusarsi un attimo
dopo, perché forse il suo amico aveva ragione. Harry gli
mancava molto, ma in quel momento non voleva pensarci
perché era troppo presto per frequentare qualcuno,
perché quel ragazzo era un'equazione piena di incognite
che non avrebbe mai risolto, perché era esattamente la
persona di cui Louis avrebbe potuto innamorarsi un
giorno.

Si concentrò su quella serata, pensando soltanto a


brindare al nuovo anno, ballare e divertirsi, non appena
entrarono nel locale. Pensare al presente non era mai
stato più facile di così, dopotutto.

Amava guardare il mare.

Ritrovarsi con le ginocchia al petto sulla spiaggia di


ciottoli bianchi e grigi e osservare le onde rincorrersi una
dopo l'altra lo emozionava. Era come guardare se stesso,
guardarsi addirittura negli occhi e scrutarvi aria di
tempesta o calma piatta a seconda del loro colore. Il

138
mare era anche un luogo, quello del silenzio, dove Louis
di nascondeva spesso a pensare. La mezzanotte era
passata da un po' e ormai la luna si specchiava nelle
acque nere creando riflessi argentati tra le onde che ne
arricciavano la superficie. Louis pensò al potere rilassante
di quella piccola baia nascosta ai più e lontana dal Pier
illuminato a festa o dalle celebrazioni del nuovo anno. Lì a
far rumore erano soltanto le onde e i suoi pensieri.

Quest'ultimi, presto, lo portarono a compiere un atto di


coraggio del quale sperava tanto di non pentirsi.

«Lou.»

Rabbrividì a quel nomignolo sussurrato con voce roca e la


mano che stringeva il suo cellulare quasi tremò.

«Ehi.» Louis si schiarì la voce con un colpo di tosse.


«Buon anno, Harry.»

Si sentì incerto, insicuro, un ragazzino alle prime armi,


fino a quando Harry non ribatté «buon anno anche a te».

«Allora, ho interrotto i tuoi festeggiamenti?»

«Non proprio. Abbiamo aspettato la mezzanotte al


ristorante di Will e poi mi sono appisolato sulla poltrona
mentre guardavo il fuoco del camino.»

Sorrise nell'immaginare Harry raggomitolato su una


poltrona con i riccioli che gli coprivano le gote e i suoi
lineamenti essere illuminati dalla fiamma rossa del
camino.

«Scusa se ti ho svegliato, allora.» Non era vero, ma non


poteva confessarglielo. «Io, invece, guardo la luna
specchiarsi nel mare.»

139
«E com'è?»

«Come te, con un lato sempre nascosto.» si lasciò


scappare, ma non permise all'altro di ribattere perché
parlò ancora. «E comunque, sono lontano dal locale in cui
stavo festeggiando la mezzanotte, al freddo e al gelo e in
spiaggia soltanto per parlare con te. Se mi ammalo,
dovrai prenderti cura di me!»

«Sai che non so prendermi cura neanche di me stesso,


come potrei prendermi cura di te?»

E quelle semplici, ma amare parole sembrarono colpirlo in


pieno petto, strapparlo a ogni sua fantasia e riportarlo
alla realtà. Una realtà in cui amare significava anche
prendersi cura dell'altro e Harry diceva di non esserne
capace. E forse non era capace neanche di amare.

«Lou, ci sei ancora? Va tutto bene?»

No, pensò. «Tutto bene.» disse.

«Mi ha fatto piacere parlare con te.» affermò dopo


qualche istante. «Avrei voluto farlo prima, ma non volevo
disturbarti.»

«Non mi avresti disturbato. Anzi, la mia vita qui è


piuttosto noiosa, non faccio altro che rimpinzarmi di pain
au chocolat.»

E forse sarebbe stato meglio non nominarli perché Harry


iniziò la sua crociata contro chiunque non mangiasse il
tipico pudding inglese durante le feste natalizie. Louis non
riuscì a non trattenere un sorriso, dimenticando il resto,
quando Harry gli promise di fargli assaggiare quello
preparato da suo fratello.

«Quindi quando torni a Londra?»

140
«A metà gennaio.»

«Non ci sarai per la mia laurea allora.»

«Mi dispiace, ma l'azienda mi ha concesso più giorni di


ferie e voglio stare qui con la mia famiglia.» Louis non ne
fu felice, ma capì il suo punto di vista: probabilmente, se
fosse stato nei suoi panni, avrebbe fatto lo stesso.
«Festeggeremo la tua laurea con una partita a scarabeo
al mio ritorno!»

«Non ne sarei così felice se fossi in te. In questi giorni mi


sono esercitato e ho collezionato solo vittorie.» ridacchiò,
mentre l'altro bofonchiava qualcosa. «Ora devo andare.»
aggiunse, quando notò una figura familiare avvicinarsi.

«Va bene. Ci sentiamo presto, no?»

«Certo.» Quel suo tono speranzoso gli scaldò il petto.


«Ciao, Harry.»

«Ciao, Lou.»

Ripose il cellulare nella tasca del suo cappotto e si voltò


verso Lucas, rivolgendogli un sorriso.

«Ti ho cercato ovunque, la festa non era più divertente


senza di te e Camille è già andata a casa. Poi,
all'improvviso, ho realizzato che avrei potuto trovarti in
un posto soltanto.»

«Dovevo fare una telefonata.»

«A chi?»

«Niall.»

141
Ed era solo in parte una bugia, perché Louis aveva
chiamato Niall per davvero quella sera, poco prima di
rifugiarsi nella sua baia. Non avrebbe voluto mentire a
Lucas, ma voleva a tutti costi proteggere e tenere per sé
quel poco che aveva con Harry. Rimasero su quella
piccola rientranza per tutta la notte, fino a quando l'alba
non illuminò i loro volti stanchi e li convinse a tornare a
casa, non prima di aver fatto colazione nella loro
pasticceria preferita.

Ai suoi sentimenti per Harry, alla laurea e al ritorno a


Londra, Louis ci avrebbe pensato un altro giorno.

142
CAPITOLO 6

Dopo aver partecipato alla sua cerimonia di laurea con


amici e parenti, Louis era ufficialmente entrato nel mondo
degli adulti e questo significava trovarsi un lavoro.

Nei giorni seguenti, aveva inviato il suo curriculum a


molte organizzazioni per le quali avrebbe voluto lavorare
e aveva sostenuto anche un colloquio con la Thousand
Hearts Foundation, l'associazione no-profit con la quale
era partito per Haiti molti anni prima. Ora non restava far
altro che aspettare il loro responso e incrociare le dita e
ultimamente lo faceva spesso in camera di Harry, mentre
quest'ultimo lavorava alla sua scrivania in silenzio. I suoi
sospiri e il ticchettio delle sue dita sulla tastiera del
computer lo rilassavano, così come guardare la sua
espressione concentrata, ma soprattutto lo facevano i
sorrisi che ogni tanto gli rivolgeva. E non importava
quanto fosse pericoloso stare accanto a lui e allo stesso
tempo non poterlo avere, Louis non avrebbe mai
rinunciato al battito accelerato del suo cuore o a quegli
sguardi complici che si scambiavano, agli orsetti verdi e
gialli che Harry scartava e che gli tendeva senza la paura
di essere giudicato, o alle loro partite a scarabeo. Louis
teneva a Harry in un modo così profondo e puro da voler
soltanto il suo bene e la sua serenità e, se questo
significava mettere i suoi sentimenti da parte, l'avrebbe
fatto.

«Allora, hai scritto la lista che ti avevo chiesto?» gli


chiese, sistemandosi a gambe incrociate sul suo letto.

Harry annuì e nel farlo lo chignon, nel quale erano raccolti


i suoi capelli ricci, si mosse un po'. Non disse altro,
tornando a fissare attentamente lo schermo del suo
computer e a ignorarlo: fu naturale per Louis alzare gli
occhi al cielo in risposta.

143
«Non alzare gli occhi al cielo con me, Lou. Se vuoi dirmi
qualcosa, dimmela e basta.»

«Hai gli occhi anche sulla nuca? Oppure, forse, sono


diventato così prevedibile?»

«Forse, ti ho visto semplicemente nel riflesso dello


specchio.» Indicò lo specchio rettangolare appoggiato alla
parete, lasciando Louis a boccheggiare alle sue spalle. «E
non pensare che non ti abbia visto seminare gli orsetti
gommosi sul mio letto.»

«Ti stai proprio sbagliando.» mentì Louis, incrociando le


braccia al petto e facendogli una linguaccia, conscio ormai
che lo vedesse nello specchio. «Allora, questa lista?»

Harry sbuffò, prima di aprire un cassetto della scrivania e


porgergli un post-it bianco, poi lo guardò in ansia
leggerlo.

«Chiedere a qualcuno di uscire.»

Louis fu pervaso dalla tenerezza al pensiero che Harry


non avesse mai chiesto un vero e proprio appuntamento
a qualcuno, ma anche dalla tristezza quando si ricordò
delle sue difficoltà a socializzare, del suo essere poco
affettuoso o della sua schiettezza che spesso passava per
maleducazione. Anche se agli occhi di Louis non lo era, a
quelli di qualsiasi altra persona Harry era il suo Asperger,
niente di più e niente di meno.

«Fare un viaggio.»

Comprendeva il suo desiderio di libertà, ma non poté far


a meno di ridacchiare quando lesse «senza mamma o
Will!» sottolineato ben tre volte.

«Avere un animale domestico.»

144
Neanche Louis ne aveva mai avuto uno fino a quel
momento, pur desiderandolo molto, e gli sorrise
affettuosamente, anche se la frase che l'altro aveva
pronunciato a Capodanno per telefono ancora lo
perseguitava.

«Pilotare un aereo.»

Era chiara la passione che Harry provava per gli aerei e


tutto ciò che li concerneva, ma pilotarne uno era tutta
un'altra storia. Tuttavia, non si perse d'animo perché suo
nonno Robert era un pilota in pensione della British
Airways e doveva pur significare qualcosa.

Poi, rigirò il post-it tra le mani e «hai dimenticato il quinto


punto!» esclamò.

«Devo ancora pensarci su in realtà.» Scrollò le spalle e


aggiunse incerto «pensi che siano fattibili?» prima di
mordersi il labbro inferiore.

«Penso di sì, Harry. Dove vorresti fare il tuo primo


viaggio? Mare, città o montagna?»

«Mare.» rispose e i suoi occhi brillarono a quell'idea.


«Vorrei tanto vedere il mare, quello blu blu, dove si
scorge anche una sfumatura di verde, in cui il sole e la
luna si riflettono ed è sempre uno spettacolo.»

Louis annuì perché non c'era bisogno di aggiungere altro,


perché la particolare luce che illuminava i suoi occhi
bastava, così come il suo sorriso o la sua voce
emozionata. Osservò ancora una volta quel post-it e lo
piegò più volte fino a trasformarlo in un aeroplanino,
come quelli che realizzava da bambino e faceva volare in
giardino con suo nonno. Quella volta lo fece volare nella
direzione di Harry, che lo afferrò delicatamente con una
risata genuina.

145
E Louis fu felice di prendersene tutto il merito.

«Harry è così noioso oggi.»

O forse era Louis a essere insopportabile quel giorno:


dopotutto, la Thousand Hearts Foundation non gli aveva
ancora comunicato l'esito del suo colloquio e lui era
semplicemente annoiato. Poco prima, era entrato nella
stanza di Harry per infastidirlo con domande sciocche e
lui l'aveva cacciato educatamente poco dopo. Ora era
seduto sul divano con Niall e cercava di importunarlo
quanto più possibile.

«Harry non è noioso.» ribatté lui, impegnato a leggere dei


documenti di lavoro. «E prima che tu possa dirlo, non
sono noioso neanche io.»

«Se lo neghi, lo sei di sicuro.»

«Non credo funzioni così.» ridacchiò, voltando pagina. «E


non è colpa nostra se nelle nostre mani passano vite
umane o migliaia di sterline al giorno, dobbiamo essere
scrupolosi.»

Louis annuì annoiato, conoscendo le responsabilità dei


loro lavori. Niall era un medico e non bisognava
aggiungere altro; Harry un analista finanziario che
studiava il bilancio e lo stato di salute delle aziende per
valutare le loro prospettive economiche, valori mobiliari,
azioni e obbligazioni, e capire le relative opportunità
d'investimento.

«Come è possibile che non sia abbastanza responsabile


per avere un animale domestico o viaggiare da solo, ma
che lo sia per maneggiare tutti quei soldi o prendere
decisioni importanti?»

146
«Con i numeri è un asso e questo è abbastanza,
suppongo.» rispose Niall. «Ti ha fatto leggere la lista?»

«L'ho letta due settimane fa e sto cercando di capire cosa


posso fare.»

«Perché fai tutto questo per lui?»

«Perché ne ha bisogno.» affermò Louis con sincerità.


«Perché è molto di più del suo Asperger e merita di
abbattere i suoi muri e realizzare ogni suo sogno.»

«Sei sicuro che sia solo per lui?»

«È anche un po' per me.» Le labbra di Niall si curvarono


leggermente in un sorriso a quella confessione. «Mi rende
felice aiutarlo o il fatto che lui si fidi completamente di me
o ancora stargli accanto e accompagnarlo in questa nuova
fase della sua vita. È bello, non credi? Essere felici perché
qualcun altro lo è.»

«Lisa dice che potrebbe fargli bene, ma potrebbe essere


facile deludere le sue aspettative.»

«Non voglio deluderlo.» Non lo avrebbe mai sopportato.


«Abbiate fiducia in me e nelle mie capacità.»

«Quindi non c'è nessun altro motivo?»

«Sì, suppongo. Perché? Cos'altro dovrebbe esserci?»

«Non lo so, magari comincia a piacerti e non come un


semplice amico?»

Louis si pietrificò al suo fianco.

«Chi?»

147
«Harry.»

Impiegò un istante a capire che avrebbe dovuto mentire,


persino al suo migliore amico, perché rivelare la verità
avrebbe portato con sé troppe complicazioni. Agli occhi di
Niall quei sentimenti avrebbero invalidato le sue
intenzioni e avrebbero mandato a monte l'intera lista. Per
questo, liberò tutto il suo nervosismo in una risata
isterica e distolse lo sguardo dal suo.

«Tu sei tutto matto.» disse. «Voglio soltanto aiutarlo


come amico.»

Niall alzò le mani in segno di resa e tornò ai suoi


documenti, mentre Louis sperava di essere stato
convincente.

«Mi annoio.» ripeté qualche istante dopo.

«Non vedo l'ora che quelli della Thousand Hearts ti


chiamino e ti assumano.» sbuffò Niall. «Almeno avrai
qualcosa da fare e non sarai qui tutto il giorno.»

«Non è detto che lo facciano, persone più qualificate di


me si sono presentate al colloquio.»

«Lo faranno.» disse l'amico con aria solenne. «Ora, ti


prego, leggi un libro o guarda la televisione e fammi
lavorare.»

«Lascia perdere, me ne vado.» sospirò, alzandosi dal


divano e infilandosi il parka. «Vado a farmi una birra con
Nick, persino lui è meno noioso di voi due!».

Chiuse il portone alle sue spalle un istante prima che


qualcosa ne colpisse la superficie e sentì prima un tonfo
sordo, poi un'imprecazione. Niall doveva aver lanciato un

148
cuscino nella sua direzione, ma fortunatamente il
tempismo non era un suo forte.

Louis non provava quel senso di nausea misto a


eccitazione dal giorno della cerimonia della sua laurea.

Per questo, prima di suonare il campanello, prese un


profondo respiro e sperò che sarebbe andato tutto bene
al pranzo per festeggiare il compleanno di Harry, al quale
avrebbe partecipato anche la sua famiglia. Voleva
disperatamente piacere ai suoi familiari, a tal punto da
indossare un maglione grigio che metteva in risalto i suoi
occhi blu e il suo migliore sorriso. Non appena il portone
si aprì, ogni sua preoccupazione si dissolse alla vista di un
paio di occhi verdi e brillanti e di un sorriso
accompagnato da due profonde fossette. Fu naturale per
Louis avanzare di un passo e abbracciarlo per imprimere
due baci sulle sue guance morbide. Non pensò che quel
gesto avrebbe potuto intimidire l'altro, anzi, in quel
momento non pensò affatto perché il suo corpo reagì
spontaneamente alla sua presenza e la sua capacità di
giudizio si annebbiò. Tuttavia, Harry non impiegò molto a
ricambiare quella stretta.

«Buon compleanno!» esclamò, mentre i ricci morbidi


dell'altro gli solleticavano la guancia. «E che eleganza!»

Si allontanò da lui tanto quanto bastava per guardare la


sua intera figura, lasciando scivolare una mano sulla sua
spalla e sul suo avambraccio. Harry aveva già indossato
una camicia di seta color panna a lavoro, ma non era mai
sembrato così tanto a suo agio con quell'indumento,
sbottonato addirittura fino allo sterno, prima di quel
momento.

«Mamma mi ha vietato le camicie a quadri o le t-shirt


oggi.»
149
«Beh, da oggi sono vietate anche quando sei con me.»
ribatté Louis, dandogli un colpetto sul petto e sentendolo
tremare a causa di una risata.

E quanto era bella quella risata! Era limpida e genuina,


non sporcata da preoccupazioni o ansie. Avrebbe
ascoltato quel suono melodioso all'infinito, ma presto capì
di non poterlo fare perché non erano più da soli sull'uscio
dell'appartamento. C'era Anne, i cui occhi venivano messi
in risalto dal suo vestito color cobalto, che non era
cambiata molto dalla persona ritratta in quella foto. E
c'era William, diventato ormai un uomo alto e dai
lineamenti molto simili a quelli del fratello, al suo fianco.

«Mamma, Will. Questo è Louis, un mio amico.» lo


presentò Harry.

«Finalmente!» esordì Anne, sporgendosi a stringere la


mano di Louis con vigore. «Harry non fa altro che parlare
di te.»

A quel punto le guance di entrambi arrossirono.

«Mamma!»

«Tranquillo, Louis.» ribatté William, prima di sfoderare un


sorriso familiare, ma più sfrontato di quelli a cui Harry lo
aveva abituato. «La maggior parte delle volte non lo
ascoltiamo neanche.»

Harry sbuffò e trascinò suo fratello qualche metro più in


là, borbottandogli qualcosa che sembrava tanto un
rimprovero. Louis si accorse di avere un sorriso divertito
sulle labbra soltanto quando Anne lo richiamò e lo invitò a
raggiungere Niall e Lisa, già rilassati sul divano. Nella
mezz'ora successiva Louis non parlò molto, era più
impegnato a cercare somiglianze tra Harry e sua madre:
entrambi gesticolavano tanto e parlavano lentamente,
entrambi guardavano con ammirazione William che, ai
150
fornelli, si occupava del pranzo e preparava i piatti di
punta del suo ristorante. Anne stava parlando delle
attrazioni turistiche visitate quella mattina, quando Louis
entrò in cucina per prendere un'altra birra e si scontrò
casualmente con William.

«Tu sei il traditore del pudding, vero?» gli chiese lui. «Sei
il divoratore di pain au chocolat.»

«Sono proprio io. Mia nonna è francese, quindi sono


giustificato.»

«Lo so.» ridacchiò Will, badando al purè presente nella


pentola sul fuoco. «Harry mi parla spesso di te.»

Louis lo cercò con lo sguardo nel soggiorno e lo vide


sorridere a Anne, intenta ad accarezzargli la guancia. Si
sentì quasi un intruso nell'osservare quella scena così
intima e rivolse presto la sua attenzione a William.

«E cosa ti dice?»

«Non so se te lo posso dire, sono cose tra fratelli.»

«Allora non posso proprio capirle.» E forse era una mezza


verità perché Louis aveva Niall ed era la figura più simile
a un fratello che aveva nella sua vita. «Sono figlio unico.»

«Peccato.» ribatté William. «Sai, quando ero un


ragazzino, avrei tanto voluto essere figlio unico. Harry mi
faceva impazzire e non facevamo altro che discutere. Una
volta, quando la mamma era a lavoro, l'ho chiuso nel
sottoscala per un pomeriggio intero! Eravamo come cane
e gatto. Forse, ero io a non capirlo. Ero soltanto un
ragazzino, dopotutto.»

«E poi?»

151
«Poi ho capito di essere soltanto un idiota.» gli confessò,
ridacchiando. «Non importa come appaia agli altri, Harry
è mio fratello e lo amo in un modo così profondo da non
riuscire neanche a spiegarlo. È una spina nel fianco la
maggior parte del tempo, ma è la mia spina nel fianco e
va bene così.»

Era impossibile non farsi piacere William: era spontaneo,


socievole e sfacciato. Louis pensò che Harry fosse molto
fortunato ad averlo al suo fianco perché lo avrebbe
sempre protetto. A volte i legami di sangue risultavano
essere deboli, altre, invece, più forti che mai e quello era
il loro caso: l'Asperger di Harry avrebbe potuto dividerli,
ma niente, invece, era risultato più forte del loro amore
fraterno.

«È un bravo ragazzo.» aggiunse William poco dopo.

«Lo è.»

La loro conversazione venne interrotta dal timer del forno


e Louis lasciò l'altro a occuparsi delle portate che
avrebbero gustato da lì a poco. Il clima fu spensierato
anche durante il pranzo, che risultò squisito, grazie alle
battute di William e Niall o agli aneddoti che raccontava
Anne. Tuttavia, Louis vide Harry incupirsi d'un tratto e lo
richiamò, prima di sporgersi alla sua sinistra e avere un
po' di intimità in quel tavolo così rumoroso.

«Ehi.» sussurrò, guardando con disappunto un ricciolo


ribelle che copriva il suo sguardo. «Che c'è? Non sei
felice?»

«Sono felice.»

Il tono piatto che utilizzò non lo convinse del tutto. «E


allora perché hai quel muso lungo?»

152
«Will.» sospirò. «Deve sempre farsi bello agli occhi di
tutti...persino ai tuoi.»

«Non capisco.»

«Quando verrai a Manchester, cucinerò esclusivamente


per te nel mio ristorante...» Harry scimmiottò la voce del
fratello e sembrò quasi essere tornato bambino. «Chi si
crede di essere? Ti conosce da un giorno. E poi, al
diavolo, anche io so cucinare.»

Invece di accigliarsi davanti al suo disappunto, Louis


sorrise: in un certo senso la gelosia di Harry significava
qualcosa, ossia che teneva alla loro amicizia, che si fosse
affezionato a lui.

«Sei geloso.»

«Cosa?»

«Non lo ripeterò, Harry.»

«Non è vero.»

«Sì che lo è.»

«Forse.»

«Sì, invece.»

«Okay, è vero.»

«Andiamo.» Louis attorcigliò intorno al suo indice quel


ricciolo ribelle che gli copriva lo sguardo fino a portarlo
dietro il suo orecchio e, seppur ancora imbronciato, Harry
si convinse a guardarlo. «Will voleva soltanto prendermi
in giro e scherzare sulle mie scarse capacità culinarie. Se

153
un giorno andrò a Manchester, tu stesso mi
accompagnerai al suo ristorante. Okay?»

Con Harry bisognava saper mercanteggiare, perché era


testardo e raramente rinunciava alla sua particolare
visione delle cose. Solitamente significava dover giocare a
lunghe partite a scarabeo o guardare noiosi documentari,
ma alla fine Louis riusciva a risolvere ogni questione che
lo infastidiva.

Fece scivolare la mano sulla sua guancia e mosse il


pollice dolcemente sulla pelle calda fino a far sparire il
cipiglio sul suo volto. «Ora, ti prego, ritrova il tuo bel
sorriso.» mormorò. «Tua madre e tuo fratello non sono
stati tre ore su un treno il giorno del tuo compleanno per
vederti con quel broncio, anche se è adorabile.»

Pian piano le labbra di Harry si curvarono in un sorriso e,


inaspettatamente, rubarono un bacio alla parte interna e
tenera del suo polso, prima che Louis potesse allontanare
la mano dal suo viso. Con il cuore che batteva erratico nel
petto e le guance rosse, si sistemò meglio sulla sedia e
guardò i pochi avanzi nel suo piatto. Louis si accarezzò il
polso, proprio nel punto in cui le labbra di Harry l'avevano
sfiorato, e scosse la testa, quasi per tornare alla realtà.
Sperando che nessuno avesse visto quel fugace contatto
tra loro, cercò di reintrodursi nella conversazione e poco
dopo si ritrovò a ridere con Lisa per qualcosa che era
stato detto.

Non sapeva, però, che una persona in particolare avesse


assistito a tutta la scena orgogliosa, perché
finalmente suo figlio stava realmente imparando a
lasciarsi andare.

«Ti mancano già, vero?» chiese Louis, poggiando la


schiena alla parete in mattoncini rossi del palazzo.
154
Anne e William si erano diretti in stazione qualche minuto
prima, Harry era rimasto sulla scalinata d'accesso
all'edificio dopo averli salutati e Louis si era acceso una
sigaretta qualche metro più in là.

«Mi mancano sempre.» confessò. «Non ho mai vissuto


lontano da loro prima d'ora. La mia università si trovava a
mezz'ora da casa, quindi non ho mai avuto bisogno di un
dormitorio o di un appartamento. Quando ci separiamo,
sono sempre un po' triste.»

«Ma hai trascorso un bel ventitreesimo compleanno,


giusto?»

«Decisamente.»

«Bene.» disse Louis prima di spegnere la sigaretta e


gettarla in un cestino. «Perché questa giornata potrebbe
migliorare ancora.»

«Che intendi?»

«Ti fidi di me?»

«Lou.»

«Sì o no?»

«Sì.» sbuffò, anche se continuò a essere sospettoso.

«Allora, vieni con me e non fare storie.»

«Aspetta!» esclamò Harry, prima di entrare nuovamente


nel palazzo. «Torno subito!» urlò, ma la porta si era già
chiusa dietro le sue spalle e a Louis giunse soltanto un
suono ovattato.

155
Tornò giù soltanto qualche minuto dopo con l'aria di chi
aveva corso la maratona e una coppola grigia in testa.

«Vengo con te soltanto se mi lasci indossare questo


cappello.» affermò categorico. «Me lo ha regalato Niall, fa
decisamente freddo e mi piace tanto.»

«Piace anche a me.» confermò Louis, prima di


incamminarsi verso la metro. «Andiamo, Oliver Twist.»

Harry lodò la sua coppola nuova di zecca per tutto il


tragitto e fu una fortuna perché in quel modo si dimenticò
momentaneamente di non conoscere la loro destinazione.
Quando giunsero davanti a quello che sembrava un
garage, Louis bussò alla serranda metallica e aspettò
pazientemente che qualcuno l'aprisse.

«Louis, vuoi forse uccidermi?»

«Cosa?»

«È buio, questa strada è deserta e se urlassi non mi


sentirebbe nessuno. Sarebbe il momento perfetto per
farmi fuori.»

«Ma perché dovrei farti fuori?»

«Non lo so, magari ti sei stancato di me.»

Louis quasi dovette trattenersi dal ridere perché in


nessun mondo o universo parallelo avrebbe potuto mai
stancarsi di Harry Styles, perché Harry era continua
scoperta e a lui era sempre piaciuta l'avventura. Era sul
punto di rispondergli quando la serranda metallica
cominciò ad alzarsi, rivelando un ragazzo con un piumino
rosso e una folta chioma afro.

156
«Harry, lui è George. Ci siamo conosciuti all'università
anni fa e oggi ci aiuterà a spuntare una voce della tua
lista.»

Lui si accigliò, scrutando George per qualche istante,


prima di sventolare una mano nella sua direzione e
accennare un confuso «piacere di conoscerti».

«Entrate pure.»

George li scortò all'interno del garage, illuminato da una


luce al neon traballante, arredato alla buona e reso
rumoroso dal miagolio di diversi gattini: più
precisamente, tre gattini che avevano circa tre mesi,
grandi occhi azzurri e un morbido pelo bianco e nero. Nel
vederli, Louis non poté che intenerirsi e raggiungerli
cautamente per accarezzarli uno ad uno.

«Sono tutti e quattro vaccinati e svezzati. Hanno un


carattere ragionevole e non perdono molto pelo.» spiegò
il ragazzo alle sue spalle. «Vi lascio un po' di tempo per
decidere quale adottare, torno tra poco.»

«Grazie, George. Ti devo un favore!» esclamò Louis,


prima che l'amico scomparisse oltre una porticina
metallica comunicante con il resto della casa.

Poi, si voltò verso Harry e lo vide ancora fermo


all'ingresso con le mani in tasca e un'espressione di
disagio sul volto.

«Che ci fai ancora lì? Vieni qui, facciamo amicizia con


loro!»

Harry non lo raggiunse. «Perché mi hai portato qui?»

«Non ti è chiaro?» chiese Louis, alzandosi dal pavimento


e raggiungendolo. «Hai sempre desiderato un animale

157
domestico e ora puoi averlo per davvero.» E Harry
strabuzzò i suoi occhi verdi a quella spiegazione. «Hai
anche il benestare di tua madre, glielo ha chiesto Niall
qualche giorno fa.»

«Vuoi dire che sto per adottare questi gattini?»

«Uno solo, Harry.» ridacchiò. «Un passo alla volta, okay?


Io e Niall abbiamo preso tutto il necessario e l'abbiamo
momentaneamente portato nel mio appartamento. Se
non te la senti, possiamo portarlo indietro e dire a George
che abbiamo cambiato idea.»

«No!» esclamò. «V-voglio dire, vorrei davvero avere un


gatto. Ma...ma se non ne fossi capace?»

«Non arrenderti prima di iniziare.» lo incoraggiò,


prendendogli le mani nelle sue. «Sarà impegnativo, ma
finalmente imparerai a prenderti cura di qualcun altro.
Non è bello?»

«Lo è.» sussurrò. «E se un giorno dovesse diventare


troppo?»

«Mi chiamerai e io farò diventare quel troppo niente.»


spiegò paziente. «Sarà un gioco di squadra, okay? Io, te
e uno di questi gattini.»

Harry si sporse all'improvviso ad abbracciarlo e Louis non


si meravigliò tanto per quel contatto fisico che ormai
avevano stabilito con successo, ma perché l'altro non
riusciva a smettere di ripetergli nell'orecchio «grazie,
Lou» con voce sottile. Poi, il ragazzo si diresse verso un
angolo del garage pieno di scatoloni, si accucciò e tese la
mano verso un groviglio di coperte colorate. Dopo pochi
istanti, un quarto gatto dal pelo interamente bianco si
avvicinò alle sue dita, annusandole con circospezione. A
Louis quel gatto, rimasto in disparte fino a quel momento
e molto cauto, ricordò Harry, anche per i suoi meravigliosi
158
occhi verdi. Lasciò loro del tempo per studiarsi a vicenda
e, quando il gatto leccò le sue dita e strofinò il muso
contro il palmo della sua mano in cerca di carezze, li
raggiunse soddisfatto.

«Allora, hai trovato un nuovo amico.» ridacchiò Louis.

«Si chiama Leo.» precisò Harry, prendendo il gatto tra le


braccia e stringendoselo al petto.

«Leo?»

«Come Leonardo Da Vinci, uno dei più grandi studiosi e


precursori dell'aviazione.»

Ovviamente, pensò. Non provò neanche ad alzare gli


occhi al cielo davanti a quella precisazione perché la
scena alla quale assisté lo commosse e spazzò via persino
le sue cattive abitudini. Harry stringeva quel gatto al
petto come se fosse la cosa più preziosa al mondo e,
forse, lo era per davvero: dopotutto, Leo rappresentava
una grande occasione per lui, quella di imparare a
prendersi cura di qualcun altro e forse anche ad amare.

A una settimana dal compleanno di Harry, Leo si era


ambientato perfettamente nell'appartamento.

Quella stessa sera Harry si era accovacciato davanti al


gattino e con l'indice alzato nella sua direzione gli aveva
comunicato poche e semplici regole da rispettare per
andare d'accordo. «Promettimi di comportarti bene, di
dormire nella tua cuccia e non sul divano, di non graffiare
troppo in giro. Io non mi dimenticherò di darti da
mangiare e...» Il gatto a quel punto aveva inclinato la
testolina e aveva miagolato. «...per quanto riguarda le
coccole, posso provarci ma non ti prometto nulla.» E, fino

159
a quel momento, Leo non aveva rispettato soltanto una
regola: il suo posto preferito per sonnecchiare era il
divano e Harry non aveva fatto granché per impedire che
lo diventasse.

Quella sera di febbraio, Leo preferì il grembo di Louis al


divano dopo un'estenuante giornata trascorsa a poltrire
nell'appartamento. E Louis lo invidiò perché la sua
giornata era stata di gran lunga più impegnativa:
dopotutto, aveva appena concluso il suo primo giorno di
lavoro alla Thousand Hearts Foundation che, qualche
giorno prima, gli aveva dato il benvenuto a bordo. Si
sarebbe occupato delle pubbliche relazioni e della raccolta
di fondi da utilizzare per le missioni sul campo e per il
momento aveva amato ogni minuto della sua giornata,
nonostante la stanchezza e le sue responsabilità.

«Non esagerare con le coccole.» sbuffò Harry, impegnato


a fare zapping al suo fianco sul divano. «Crescerà
viziato.»

«Ehi, io sono cresciuto con tante coccole e non sono


viziato.» ribatté Louis, mentre la sua mano affondava nel
pelo bianco e morbido di Leo. «Sei forse geloso?»

«Affatto!»

«Io dico di sì, ma non devi preoccuparti perché qui c'è


amore per tutti.» Prese Leo tra le mani e lo portò a
qualche centimetro dal viso di Harry. «Da’ tanti bacini a
papà, Leo.»

Harry cercò di schivare il gatto in tutti i modi, ma non


poté evitare che Leo si appollaiasse sul suo petto e
strofinasse il musino sul suo collo alla fine. Soltanto allora
cominciò ad accarezzarlo, pur conservando
un'espressione disgustata sul volto per quelle eccessive
dimostrazioni d'affetto.

160
«Prendere con te questa piccola palla di pelo è stata la
scelta più giusta che potessi fare, lo sai?»

Harry annuì. «È bello prendersi cura di qualcuno, ma


sarebbe più bello farlo senza tutte queste effusioni.»
brontolò e riportò Leo sul suo grembo, sbuffando alla
vista dei peli lasciati sulla sua felpa grigia. «Tu hai mai
avuto un cane o un gatto?»

Louis scosse la testa. «Una volta, però, da bambino ho


rubato...anzi, ho salvato il cane dei vicini.»

«Cosa?»

«Quel cane era così triste con loro. Erano due banchieri,
Harry! Due noiosi cinquantenni che lo avevano in casa
soltanto come soprammobile! Sono scappato con lui in
spiaggia e dopo un paio d'ore i miei genitori mi hanno
trovato.»

«Ti hanno messo in punizione?»

«Due settimane in casa, senza vedere i miei amici e


senza tv.»

«E non hanno pensato di adottare un cane dopo


quell'episodio?»

Louis ridacchiò. «Un tempo i miei erano degli hippie


incalliti, non avrebbero mai tenuto "prigioniero" un altro
essere vivente sotto il loro tetto e i miei nonni li
assecondavano per non discutere con loro.»

«Questo è strano.»

«Eccome se lo è, ma i miei genitori sono sempre stati


sopra le righe. A quasi venticinque anni hanno viaggiato
per l'Europa con lo zaino in spalla, senza alcun preavviso

161
e lasciando soltanto un bigliettino di saluti. A mio nonno è
quasi venuto un infarto la mattina successiva la partenza
di mia madre!»

«E poi?»

«E poi hanno girovagato senza sosta per tantissimi stati.


Un anno dopo, sono tornati a Eastbourne sposati con un
rito non riconosciuto da alcuna legge e dopo poco hanno
scoperto di aspettare me.»

«Wow.»

«Già, wow. Mia nonna dice sempre che in famiglia


abbiamo il gene della ribellione e che lo abbiamo
ereditato proprio da lei.»

«Anche tua nonna era una ribelle?»

«La peggiore. A poco più di vent'anni ha rotto con il suo


fidanzato storico e ha seguito nonno Robert in Inghilterra
una settimana dopo averlo conosciuto. Lui era più grande
di lei ed era anche un pilota di linea della British Airways,
mentre Margot lavorava in un ristorante di Nizza a quel
tempo. Da quel momento in poi, nel suo paesino, Saint
Paul de Vence, è diventata una leggenda.»

«E tu?»

«Io ho rimandato l'università per fare volontariato ad


Haiti per ben due anni. Sono all'altezza di mia madre e
mia nonna?»

«Eccome.» disse Harry meravigliato. «Anche il tuo nome


è un po' ribelle. È di origine francese, giusto?»

«Lo è. Inoltre, Louis era il nome del ristorante in cui i


miei nonni si sono incontrati per la prima volta.»

162
«Quindi sai anche parlare il francese?»

«Oui. Mia nonna ha insistito affinché lo imparassi e mi è


tornato utile ad Haiti.»

«Beh, almeno dietro il tuo nome c'è una bella storia.»

«Dietro ogni nome c'è una storia, bella o brutta che sia.»
ribatté Louis solennemente. «Qual è la tua, Harry?»

Prese un respiro profondo, prima di trovare le parole


giuste per raccontarla.

«Mio nonno paterno, lui è la storia che c'è dietro il mio


nome.» affermò dopo qualche istante. «Si chiamava
Harold e voleva che almeno un nipote ereditasse il suo
nome. Mia madre, testarda com'era, non lo ha
accontentato con il primogenito e mio nonno ha scatenato
il putiferio. Cinque anni dopo sono nato io e mi hanno
chiamato come lui.»

Louis fece una smorfia e «non ti offendere, ma non mi


piace tuo nonno» precisò.

«Non piaceva neanche a me.» lo rassicurò. «Al nonno


raramente si poteva dire di no. Era severo, autoritario e
voleva plasmare i suoi figli a sua immagine e somiglianza.
Fortunatamente con mio padre non ci è riuscito, lui era il
suo esatto opposto.»

Abbozzò un sorriso e puntò il suo sguardo su Leo. Louis


lesse un'infinita tristezza sul suo volto e forse imparava a
conoscerne anche il motivo: Harry non aveva mai parlato
di suo padre fino a quel momento e non gli era sfuggito
l'uso del passato, quel suo «lui era il suo esatto opposto».
Non sapeva cosa fosse successo all'uomo o tra loro, ma
non avrebbe permesso a Harry di perdersi ulteriormente
nei suoi pensieri. Per questo, si accoccolò al suo fianco e

163
gli accarezzò un braccio, cercando di strapparlo al
passato.

«Harry è un bel nome, però. Anche il principe si chiama


così, dopotutto. Pensa se tuo nonno si fosse
chiamato Reginald o Fitzgerald!»

Entrambi scoppiarono in una risata fragorosa, tanto che


Leo sobbalzò, miagolò nella loro direzione e scappò nella
sua cuccia. A Louis piacque pensare che un giorno Harry
si sarebbe aperto completamente e che non ci sarebbero
stati più segreti tra loro.

Un giorno, però. Per il momento andava bene così.

Più tardi, Niall tornò a casa per cena e, quando vide Harry
e Louis accoccolati sul divano con Leo in grembo, lanciò
loro un'occhiataccia.

Prima di cenare, poi, gli chiese «ma tu non hai una


casa?» e Louis ridacchiò, rispondendo che l'aveva ma che
la sua fosse di gran lunga migliore. L'amico non si unì alle
sue risate e continuò a tagliare delle zucchine a rondelle
su un tagliere di legno. Louis si disse di non infastidirlo
ulteriormente dal momento che aveva un coltello in mano
e sembrava nervoso. La cena fu più silenziosa del solito e
piuttosto strana: non c'erano i brontolii di Harry perché
quelle zucchine non erano biologiche, né le lamentele di
Louis perché lui le zucchine non le mangiava, né le solite
minacce di Niall che intimava loro di buttarli fuori dal suo
appartamento. L'atmosfera tornò piacevole soltanto
quando quest'ultimo uscì per andare al cinema con Lisa e
loro due si ritrovarono a giocare a scarabeo sul tavolino
da caffè.

«Lou?»

164
«Si?»

«Tu sei un ragazzo.»

«Che occhio, Harold. Per fortuna te ne sei accorto dopo


cinque mesi che mi conosci.»

«Andiamo, non prendermi in giro.»

«Sì, Harry. Sono un ragazzo e lo sei anche tu!»

«M-ma tu sei normale. Tu sei un ragazzo normale.» si


corresse e, prima che Louis potesse ribattere, Harry lo
sorprese. «Come faccio a chiedere a qualcuno di uscire?
E, in caso di risposta positiva, come si organizza un vero
e proprio appuntamento?»

Louis sussultò e lasciò cadere sul tavolo le tesserine dello


scarabeo che aveva in mano.

«Vuoi chiedere a qualcuno di uscire?» Harry annuì,


mordendosi il labbro inferiore. «E poi, chi è questo
qualcuno? Lo conosco?»

«Perché mi fai il terzo grado? È nella lista.»

«So che è nella lista, ma non mi hai mai parlato di queste


cose e non sapevo che fossi interessato a qualcuno.»

«Perché? Neanche tu lo hai fatto, ti piace qualcuno?»

Tu. Mi piaci tu.

«Non mi piace nessuno.» mentì. «Quindi, è la prima volta


per te?»

«Ho avuto degli appuntamenti in passato, ma non ho mai


fatto il primo passo.» gli spiegò imbarazzato. «Voglio
165
farlo, però. Hai detto che mi avresti aiutato...aiutami,
allora.»

Louis esitò, non perché non aveva capito le sue


intenzioni, ma perché aveva bisogno di tempo per
digerire quell'affermazione. C'era qualcuno per il quale
Harry avrebbe fatto il primo passo, per il quale si sarebbe
messo in gioco, per il quale avrebbe voluto essere
"soltanto un ragazzo" e non il suo Asperger.

«Ti aiuterò, sta' tranquillo.»

Dopotutto, doveva soltanto superare il fatto che quel


qualcuno non fosse e non sarebbe mai stato lui.

Quando Louis aveva accettato la candida richiesta d'aiuto


di Harry, non aveva considerato molte cose.

Non sapeva chi fosse quel qualcuno perché Harry non


glielo aveva mai confessato e lui era un tipo piuttosto
curioso. Il loro appuntamento sarebbe stato proprio a San
Valentino, il giorno degli innamorati per eccellenza, e lui
avrebbe voluto soltanto vomitare a quel pensiero. Aveva
condiviso con Harry le sue idee di un appuntamento
perfetto e ora qualcun altro avrebbe ricevuto dei fiori e
una cena nel suo ristorante italiano preferito. Lui? Dopo
aver rifiutato l'invito di Nick e quello dei suoi colleghi a
uscire, avrebbe trascorso quella serata da solo a fare da
baby-sitter a un gatto.

E, giunta la sera San Valentino, fu Leo a prendersi cura di


Louis.

Il gatto lo tenne impegnato richiedendogli cibo e coccole,


mentre la televisione trasmetteva Colazione da Tiffany e
sul divano giaceva una ciotola di pop-corn quasi vuota.

166
Louis era sul punto di addormentarsi, quando sentì le
chiavi girare nella toppa del portone. Leo scese dal suo
grembo con un salto e si precipitò all'ingresso per
accogliere con svariati «miao» proprio Harry. Fermo
sull'uscio con il cappotto piegato su un braccio, indossava
un completo blu notte abbinato a una camicia di seta
color panna e risultava bellissimo con i boccoli che gli
incorniciavano il viso e le gote leggermente arrossite.

«Che ci fai qui?» chiesero all'unisono.

«Prima tu!» esclamò Harry. «Non avevi una festa?»

«Ho cambiato idea all'ultimo momento.» mentì


spudoratamente, perché l'idea di partecipare realmente a
una festa non l'aveva mai messa in conto. «Sono rimasto
qui con Leo.»

Harry annuì e in pochi istanti sparì nel corridoio, lasciando


Louis piuttosto confuso sul divano. Moriva dalla voglia di
sapere ogni dettaglio sul suo appuntamento, se a quel
qualcuno fossero piaciuti i fiori o il ristorante, se lui fosse
stato bene oppure avesse trascorso una serata da
dimenticare. Harry tornò in soggiorno pochi minuti dopo,
senza giacca e con le maniche della camicia arrotolate
sugli avambracci, con le mani che sembravano
nascondere qualcosa dietro la schiena. E, prima che
potesse fargli qualsiasi domanda, Harry avanzò verso di
lui e gli porse un mazzo di margherite bianche.

«Sono per me?» chiese Louis incerto e l'altro annuì. «Non


erano per il qualcuno del tuo appuntamento, vero? Perché
riciclare i fiori è davvero una cosa di cattivo gusto e...»

«Lou, non erano per...» si interruppe, prima di prendere


un profondo respiro. «Sono per te. Le ho prese per
ringraziarti dell'aiuto che mi hai dato e perché mi hanno
fatto sorridere quando le ho viste. Mi hanno ricordato te.»

167
Louis mormorò semplicemente un «grazie» flebile che
Harry non avrebbe neanche ascoltato se non si fosse
seduto al suo fianco sul divano. Le loro ginocchia si
sfioravano, Louis si beava del profumo di quelle
margherite e Leo provava ad afferrarle con le zampette
per giocare.

«Tu perché sei qui?» chiese, fingendosi disinteressato.


«L'appuntamento è già finito? Come è andata con...?»

«Con Dan.» completò Harry. «Daniel.» aggiunse,


schiarendosi la voce.

Daniel, un uomo. Harry aveva chiesto ad un uomo di


uscire e ora Louis non aveva più dubbi. D'un tratto quel
ragazzo che lo guardava incerto sembrava meno
irraggiungibile.

«Non saprei, comunque. Credo sia andata bene.»

«Credi?»

«Ho fatto tutto ciò che mi hai detto di fare. Gli ho aperto
la porta, siamo andati nel tuo ristorante italiano, non ho
parlato di statistiche, possibili morti, squali e aerei. Poi,
abbiamo fatto una passeggiata lungo il Tamigi.»

«E ti sei divertito?»

Harry si limitò a fare spallucce.

«L'hai baciato?»

«Cosa?»

«L'hai baciato?» chiese ancora perché non importava


perdere la dignità, Louis doveva saperlo. «Sai, quando
due bocche si avvicinano e...»
168
«So cosa è un bacio, Lou.» sbuffò Harry. «E comunque
no. Lui ci ha provato, ma ho girato la testa ed è riuscito a
baciarmi soltanto la guancia.»

«Sono queste camicie che indossi, Harold.» Fece un


cenno malizioso al suo petto scoperto e tatuato. «Gli
avrai mandato gli ormoni in subbuglio.»

«Dici?» chiese candidamente.

«Dico proprio di sì.» affermò Louis. «E perché non ti sei


lasciato baciare?»

«Perché era noioso e non potevo parlare liberamente con


lui...sai, così come faccio con te.»

«Allora perché l'hai invitato ad uscire?»

«Era carino, m-mi ha sempre trattato bene a lavoro


e...immagino dovessi farlo, no? Era nella lista.»

Louis fece una smorfia perché non voleva che quella lista
si riducesse soltanto a un mero elenco di cose da fare:
doveva essere il suo riscatto, il suo momento per brillare.
Dopotutto, nel suo titolo c'era il verbo volere e
non dovere.

«Harry, non devi fare niente che non vuoi. Se vuoi


invitare qualcuno a uscire, invita qualcuno che ti piace
veramente. Non farlo se per te è un dovere.»

«Allora voglio fare una cosa.» disse timidamente, mentre


lo liberava dai fiori e li metteva sul tavolino, per poi
poggiare il palmo sul suo ginocchio.

Louis sussultò, quando Harry si avvicinò a lui e sollevò


l'altra mano per accarezzare il suo collo niveo e poi la
guancia.

169
«Non giocherò a scarabeo con te anche questa sera.»
sussurrò Louis tutto d'un fiato e in completa confusione,
mentre il viso dell'altro si avvicinava sempre di più.

Poi, in un istante, vide soltanto nero e percepì le punte


dei loro nasi sfiorarsi prima che lo facessero anche le loro
labbra tremanti. Louis lasciò che si incastrassero con
morbidezza e semplicità, prendendosi tutto il tempo per
percepire il suo respiro soffiare tremolante sulla sua
bocca. Quando Harry schiuse le labbra, Louis approfondì il
bacio e sollevò una mano contro il suo torace, lasciando
che il palmo accarezzasse il suo petto, dove il suo cuore
batteva forte, e poi salisse sempre più su fino a stringere
in un pugno i suoi riccioli castani.

Erano anni che Louis non baciava qualcuno in quel modo,


con Harry tutto sembrava una nuova scoperta. Era la
delicatezza dei loro gesti, il suo respiro accelerato e il
cuore dell'altro che batteva forte. Era la sua mano ferma
sul ginocchio e l'altra che lentamente scendeva lungo il
suo petto e si fermava sul fianco per attirarlo a sé. Era
un'infinità di sensazioni che Louis si era quasi dimenticato
di poter provare.

Harry gemette contro la sua bocca quando Louis strinse


delicatamente tra i denti il suo labbro inferiore, tirandolo
leggermente indietro fino a quando non sfuggì dalla sua
presa. Soltanto allora allontanò il viso dal suo e vide i
suoi occhi fermi ancora sulle labbra lucide. Louis capì di
non avere altra scelta che baciarlo ancora e lo fece
dolcemente, fino a quando entrambi non sentirono il
portone aprirsi e si allontanarono sorpresi.

«Interrompiamo qualcosa?» chiese Niall, accigliandosi.

Lisa ebbe il tempo di dargli una leggera gomitata prima


che Louis si alzasse dal divano e borbottasse «no, stavo
andando via».

170
Recuperò il cappotto e lo infilò sotto gli sguardi scrutatori
dei presenti. Poi, quasi sull'uscio, notò l'espressione
dispiaciuta di Harry e le sue mani stringere il mazzo di
margherite, quasi a porgerglielo ancora una volta. Pensò
alla sua gentilezza, al suo coraggio, al loro bacio e si
diede dello stupido: ancora in completa confusione, lo
raggiunse e prese il mazzo di fiori dalle sue mani.

«Grazie.» mormorò Louis, quando lasciò sulla sua guancia


morbida un bacio casto.

Grazie per avermi fatto scoprire la delicatezza, grazie per


avermi fatto sentire vivo ancora una volta, grazie per
avermi baciato prima che lo facessi io.

Poi, borbottò «buonanotte» a Lisa e Niall, che ancora lo


fissavano increduli, e uscì dall'appartamento con una
strana sensazione nel petto: stava scappando dalle sue
responsabilità ancora una volta.

171
CAPITOLO 7

Niall ricordava ancora la prima volta in cui aveva


incontrato Louis ben quattro anni prima.

Saltellava su un piede per una distorsione alla caviglia e


si lamentava rumorosamente agitando l'intero pronto
soccorso. Niall, insieme ai suoi colleghi di tirocinio, lo
osservava ridacchiando. Una settimana dopo, alla visita di
controllo, aveva scoperto che non sopportasse affatto gli
ospedali e aveva cercato di calmarlo, stringendo amicizia
con lui. Da quel momento in poi la sua vita non era stata
più la stessa, perché Louis l'aveva sconvolta come un
uragano. Rideva di più, viveva di più. Le sue giornate
sembravano più luminose e il suo appartamento meno
vuoto. E lo adorava, ma sapeva anche che Louis portasse
con sé molti guai. Era una persona molto complessa,
nella quale fortezza d'animo e vulnerabilità erano
separate da una linea molto sottile, caparbia e anche
sognatrice. Credeva ancora fortemente nell'amore,
nonostante nell'ultimo anno la sua vita sentimentale gli
avesse fatto perdere tempo e sonno. Niall lo ammirava
per questo, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi
per lui, per il suo cuore e quello di chi lo circondava.

«Che stai combinando con Harry?» gli chiese, dopo


essersi intrufolato nel suo appartamento senza troppi
complimenti.

Louis, ancora avvolto nel suo pigiama di flanella,


sembrava portare sul volto i segni tipici di una notte
insonne, ma Niall non si lasciò toccare dall'aspetto
miserabile del suo migliore amico: era piombato a casa
sua per scoprire la verità riguardo la sera precedente e
non l'avrebbe lasciata senza delle valide risposte.

«Che intendi?»

172
Si sedette sul bracciolo del divano, stropicciandosi gli
occhi e sbadigliando. Dopotutto, Louis non era una
persona molto mattiniera e il fatto che lo avesse accolto
alle nove del mattino significava molto.

«Lo hai baciato e poi sei scappato a gambe levate, non


appena io e Lisa siamo tornati a casa.» gli fece notare,
incrociando le braccia al petto. «Quell'idiota mi ha persino
chiesto di te stamattina.»

«Oh.» sussultò Louis, accigliandosi. «Harry ti ha chiesto


di me?»

«Lou! Di tutto ciò che ti ho detto hai colto soltanto questo


dettaglio?»

«È stato lui a baciare me a onor del vero...beh, almeno la


prima volta. Dopodiché, tutto è diventato confuso e non
so dirti chi ha baciato chi.»

Niall notò le labbra di Louis curvarsi quasi in un sorriso a


quelle parole e represse il desiderio di alzare gli occhi al
cielo.

«Neanche un mese fa mi hai detto che tra te e Harry non


ci fosse nulla di romantico, che neanche ti piacesse in
quel senso e che avresti pensato soltanto a spuntare
quella lista! E ieri sera? Vi ho trovato a pomiciare sul
divano.» affermò incredulo. «Non puoi giocare in questo
modo con i sentimenti e le fragilità di Harry.»

«Un mese fa mi sono sentito con le spalle al muro e non


ho avuto il coraggio di dirti che mi piaceva da un po'...in
verità, temevo esattamente una reazione del genere da
parte tu! E poi, cosa intendi con "giocare"?»

173
«Intendo il tuo gioco preferito, cercare l'anima gemella e
poi capire dopo un mese o tre anni che non lo sia più e
ricominciare tutto da capo.»

«Non posso credere che pensi questo di me, sono


scappato via perché sono andato in completa confusione!
È stato tutto troppo per una sera: il bacio, lo sguardo di
Harry, quell'aria di rimprovero che tu avevi in faccia.
L'unica opzione che avevo era andare via.»

«Harry non è un ragazzo che puoi baciare e poi mettere


da parte perché sei confuso. Harry è diverso da tutti altri,
non puoi non pensare alle conseguenze quando sei con
lui.»

«E cosa ne è stato di ciò che mi hai detto in caffetteria


quel giorno? Non devo trattare Harry come un normale
essere vivente e devo pensare al suo Asperger soltanto
quando fa comodo a te? O sono abbastanza maturo da
comprendere quando è il momento giusto di farlo o
meno?» chiese Louis. «Per me non è mai stato uno dei
tanti, Harry è speciale, è straordinario, ma soprattutto
non è il suo Asperger ed è per questo che ho ricambiato il
suo bacio, perché io so quanto vale.»

«Fino a qualche mese fa non sapevi neanche cosa fosse


l'Asperger. Ora ne sei diventato un esperto?»

«No, non lo sono. Eppure, stando al suo fianco per sei


mesi ho imparato a conoscerlo, a comprenderlo e a
contenere persino i suoi attacchi di panico. So di cosa ha
bisogno.» spiegò. «E se fosse soltanto un gioco non starei
neanche qui a discuterne con te, credimi.»

«Mi dispiace dirtelo, ma Harry è come un libro e tu finora


hai visto soltanto la copertina. Non sai molte cose di lui,
cose che ti metterebbero a dura prova, cose che non
riusciresti a gestire.»

174
«Tu le conosci e sei ancora qui, sei rimasto.»

«Ma io non sono il suo ragazzo, Lou.» disse con tono


grave. «Cosa farai quando i suoi problemi, e non parlo
soltanto di quelli legati all'Asperger, vi porteranno a
discutere?»

Louis si alzò stizzito dal divano e si allontanò da lui,


raggiungendo la porta vetrata del balcone: sembrava
voler cercare un po' di calore, quello del sole, dal
momento che Niall non avrebbe potuto abbracciarlo
quella volta.

«Io non so tutto quello che tu sai di lui, non lo conosco da


anni come te, né l'ho visto crescere. Ma so che in questa
situazione dovremmo avere voce in capitolo soltanto io e
Harry...e non tu, Niall.»

«Ti sbagli, perché io conosco entrambi e so che tutto


questo non poterà a niente di buono. Non pensi alla
vostra lista? A tutto ciò che gli hai promesso? Se vi
allontanaste e quella lista di cose da fare rimanesse
incompiuta, lo deluderesti e basta. Harry non ha bisogno
di ulteriori delusioni e neanche tu.» Lo raggiunse,
poggiando una mano sul suo avambraccio, ma sentendolo
più lontano che mai. «Non voglio ferirti. Ti sto dando una
via d'uscita prima che tutto si complichi maggiormente,
Lou.»

«Ma io non voglio una via d'uscita.»

Scivolò via dalla sua presa e fece un passo indietro.

«Tu pensi che l'amore, o qualsiasi altro sentimento provi


per lui, possa risolvere ogni suo problema, ma non è
così.»

175
«Non lo penso, Niall. Non ho la sindrome della
crocerossina, se provo qualcosa per Harry è perché mi fa
ridere, perché con lui imparo sempre qualcosa di nuovo e
perché mi fa tremare anima e gambe ogni volta in cui mi
sfiora. So che ci saranno anche momenti difficili e bui, ma
voglio ugualmente esserci per lui.»

«Fino a quando non vorrai scappare di nuovo. Sarà


ancora Haiti questa volta o cambierai meta?»

Louis tremò a quelle parole e guardò Niall con


un'espressione indecifrabile sul volto. Sembrava luogo di
tante emozioni che si succedevano l'una dopo l'altra e che
non trovavano pace. Rabbia, delusione, risentimento,
emozioni che Niall raramente gli aveva visto addosso e fu
in quel momento che capì di essere andato oltre.

«Non parlare di Haiti. Non mi conoscevi neanche allora e


non sai cosa ho visto lì, cosa mi ha reso l'uomo che sono
ora. Ho visto persone nascere, crescere e morire in quel
posto. Ho aiutato a ricostruire le loro case distrutte dal
terremoto, le loro famiglie distrutte dalla povertà. Ho
insegnato a dei bambini, che a malapena sapevano di
avere un nome, a scrivere. Haiti non è mai stata
semplicemente una fuga, Haiti è stata una scelta.» chiarì,
gli occhi quasi gli fiammeggiavano d'ira. «Ora va' via,
Niall.»

«Non volevo che finisse così.» Fece un passo in avanti,


ma Louis ne fece uno indietro. «I-io volevo soltanto...»

«Non mi interessa.» Tornò alla porta finestra e gli diede


le spalle. «Va' via.»

Niall sospirò un'ultima volta, prima di eseguire il suo


ordine e chiudersi il portone alle spalle. Non voleva tirare
in ballo Haiti, non voleva oltrepassare il limite. Eppure,
non aveva fatto nulla per impedirlo. Aveva soltanto
pensato a quello che lui avrebbe dovuto fare se le cose
176
fossero andate male tra loro: raccogliere i pezzi e
rimetterli insieme con cura e attenzione. Forse aveva
sbagliato i modi e le parole, forse era stato egoista, ma
pensava realmente che quei due insieme avrebbero
portato soltanto guai.

E, allora, perché quella stretta dolorosa al petto non


andava via?

«Oggi Louis è venuto a trovarmi a lavoro, durante la


pausa pranzo.» Alle parole di Lisa Niall cercò di ostentare
una certa indifferenza. «Mi ha detto che non vi parlate da
una settimana.»

Poi sbuffò, rigirandosi tra le lenzuola colorate del suo


letto. Sapeva che Lisa avrebbe fatto da tramite anche
quella volta tra loro, molto testardi e poco inclini a
chiedersi scusa, ma Niall voleva soltanto dormire.
Dopotutto, era notte fonda e voleva soltanto lasciarsi alle
spalle quella settimana infernale.

«È vero.»

«E non ti sembra di esagerare?»

Niall amava molto Lisa, un po' meno quella sua tendenza


a intromettersi in ciò che non le competeva, come
decidere con chi poteva essere arrabbiato o meno. Per
questo, non si sentì in colpa quando pronunciò un secco
«no».

«Andiamo, non potete litigare soltanto perché Harry e


Louis si piacciono.»

«È proprio questo il problema.» Lisa era una donna


piuttosto romantica, amava il lieto fine e a volte

177
interiorizzava un po' troppo le storie d'amore altrui. Niall,
invece, era più pragmatico, meno sognatore. Nel loro
caso, il detto "gli opposti si attraggono" aveva funzionato
alla grande, ma le loro opinioni non collimavano la
maggior parte delle volte. «Soltanto sei mesi fa si
odiavano e ora si baciano sul mio divano. Sono due mine
vaganti, come potrebbero farsi del bene?»

«Già si fanno del bene a vicenda. Louis stravede per


Harry, non l'ho mai visto così felice quando stava con Ian
e suppongo che il merito sia tutto suo. E Harry è
migliorato molto nelle interazioni sociali, basta vederlo
quando siamo al pub o a cena con gli altri. Non passa più
la maggior parte del suo tempo libero chiuso in camera e
si prende perfettamente cura di Leo. Forse, potrebbe
essere persino pronto per una relazione!»

«Ma perché sentirsi pronto proprio con Louis?»

Lisa ridacchiò per quel suo tono esasperato. «Louis è


fantastico e lo sai anche tu, Harry sarebbe soltanto uno
sciocco a non ricambiare i suoi sentimenti.» Poi, si fece
più seria. «Tesoro, Louis e Harry non sono i tuoi genitori.
Se decidessero di frequentarsi e le cose andassero male
tra loro, nessuno ti chiederebbe di scegliere da che parte
stare. Sono i tuoi migliori amici, rimarrebbero al tuo
fianco entrambi.» Niall abbassò lo sguardo, perché ancora
una volta la sua Lisa aveva saputo risolvere quel
rompicapo senza molti aiuti e con dolcezza. «Capisco che
hai paura di perdere entrambi nel peggiore dei casi, ma
hai mai pensato al caso opposto? E se andasse tutto
bene? Se fossero entrambi realmente felici?» domandò
speranzosa. «Alla fine, sono certa che saresti contento
anche tu.»

«Sei così romantica, Lisa.» sospirò Niall, ma le circondò le


spalle con un braccio e la strinse al suo petto. «E anche
così ottimista.»

178
«E tu sei proprio un uomo delle caverne.» ridacchiò lei,
imprimendo un bacio sulle sue labbra. «Promettimi di
interrompere il tuo sciocco voto del silenzio e di fare pace
con Louis al più presto.»

Niall le lasciò un bacio sulla fronte e le augurò la


buonanotte, prima di spegnere l'abat-jour e chiudere gli
occhi. Sperò di dormire sonni tranquilli quella notte, ma la
mancanza di Louis continuò a pesare sul suo petto.
Promise a se stesso che l'indomani le cose sarebbero
cambiate, che sarebbe andato da Louis e avrebbe risolto
ragionevolmente qualsiasi questione aperta tra loro.

Tuttavia, prima avrebbe dovuto affrontare un'altra


persona per capire la natura di quel disastro che si
preannunciava di proporzioni epiche.

Il mattino seguente Niall si alzò dal letto, stanco di


ritrovarsi i riccioli castani di Lisa sul viso o il suo gomito
appuntito nel fianco, ed entrò in cucina, dove l'odore del
caffè già impregnava l'aria.

Harry si trovava ai fornelli, stretto nella sua tuta grigia e


impegnato a preparare i suoi pancake. La tavola era già
apparecchiata per tre e Leo era accoccolato su una sedia
nella speranza di rubare qualche coccola e anche parte
della loro colazione. Quel gatto ormai aveva infranto
un'infinità di regole, ma era impossibile non essere in
brodo di giuggiole davanti al suo musino delicato, ai
grandi occhi verdi o al suo miagolio sottile. Niall gli rivolse
una carezza affettuosa, prima di schiarirsi la voce e dare
il buongiorno all'amico.

«Ehi.» lo salutò Harry. «Pancake?»

«Sì, grazie.»

179
Quella colazione fu strana, esattamente come quelle dei
giorni precedenti. Ultimamente non c'erano le loro solite
chiacchiere a riempire la cucina, ma soltanto un grande e
imbarazzante silenzio, che li portava a consumare il pasto
di gran carriera e poi a rifugiarsi nelle loro rispettive
stanze per vestirsi e andare in ospedale o in ufficio.
Tuttavia, quella mattina il lavoro non poteva essere usato
come scusa perché nessuno dei due avrebbe dovuto
lavorare. Dopo qualche minuto, fu Niall a rompere il
silenzio nel peggiore dei modi.

«È vero che sei stato tu a baciare Louis la settimana


scorsa?»

Harry fermò la forchetta a mezz'aria e alzò lo sguardo nel


suo. «È vero.» disse, schiarendosi la voce.

«...e?»

«...e cosa?»

«E come ti è saltato in mente, Harry!»

«Volevo farlo da settimane.» Fece spallucce, come se


avesse appena detto di volere dei broccoli per pranzo.

«Perché sei uscito con Daniel a San Valentino allora?»

«È stata un'idea di Will.» confessò. «Pensava che Louis si


sarebbe ingelosito e mi avrebbe chiesto di uscire, ma si è
sbagliato completamente...mi ha persino aiutato a
organizzare l'intero appuntamento.»

Niall sbuffò perché William non sapeva nulla di


appuntamenti: la sua bellezza e il suo savoir-faire gli
permettevano di non sforzarsi molto e di piacere a
chiunque in ogni caso. «Louis ti ha aiutato perché è

180
troppo buono e voleva soltanto vederti felice. E
comunque da quando ti fai consigliare da Will?»

«Non lo farò mai più, infatti.» si affrettò a rispondere.


«Quella serata ha acquistato un senso soltanto quando
sono tornato a casa e ho trovato Louis e Leo sul divano. Il
resto...beh, lo sai già.»

«Lui ti piace per davvero?»

«Sì.»

Harry non aveva avuto alcuna esitazione nel dirlo e Niall


non sapeva se quel suo tono deciso avrebbe dovuto
rassicurarlo o metterlo in guardia.

«Perché non me lo hai detto che ti piaceva?» chiese con


tono arrendevole, non inquisitorio: forse, era arrivato il
momento di accettare i loro sentimenti e di andare
avanti. «Insomma, non è stato bello trovarvi avvinghiati
in soggiorno.»

«Pensavo che ti saresti infastidito. È pur sempre il tuo


migliore amico e non volevo intromettermi più di quanto
avessi già fatto.»

«E l'ho fatto, Harry. Mi sono infastidito a tal punto da


andare da Louis una settimana fa e discuterci. L'ho fatto
per dei motivi diversi, però. Perché vi voglio bene e non
voglio vedervi soffrire, non voglio neanche che l'equilibrio
che abbiamo raggiunto venga incrinato. Insomma, stiamo
bene così, no?»

«E se potessimo stare meglio?» domandò speranzoso.


«Louis è l'unica persona che mi vede realmente per ciò
che sono. Vede Harry e non si spaventa. Vede l'Asperger
e non si spaventa. Se ciò che provo dovesse essere
ricambiato, sarebbe così brutto per te vederci insieme?»

181
«Perché me lo chiedi ora? Insomma, lo hai già baciato.»

«Perché sei un amico per me e io non ne ho avuti molti


finora. Forse, sei l'unica persona su cui posso contare
escludendo mamma o Will e loro ora non sono qui. Ci sei
tu e non posso dimenticare tutto quello che hai fatto per
me nei mesi passati.»

«Se cerchi la mia approvazione, non posso dartela.»


sospirò e le labbra di Harry tremarono. «Non posso
dartela perché non ne hai bisogno. Puoi, anzi, devi essere
libero di provare qualsiasi sentimento verso Louis e io non
posso impedirtelo soltanto perché ho paura che tutto
cambi. Promettimi soltanto di non fare scelte avventate,
okay?»

Harry annuì, ritrovando il sorriso che aveva perso pochi


istanti prima. Niall gli lasciò una pacca sulla spalla e gli
chiese quali fossero i suoi piani per la giornata, prima che
arrivasse Lisa a chiedere a gran voce i suoi pancake.
L'appartamento sembrò nuovamente rumoroso,
nonostante mancasse ancora la voce principale che
solitamente lo animava.

Niall era sul pianerottolo di quell'appartamento da


qualche minuto ormai, quando Louis aprì il portone prima
ancora che potesse suonare il campanello.

Entrambi si ritrovarono a guardarsi sorpresi e a


boccheggiare per pochi istanti: Niall perché non aveva
ancora finito di ripassare il discorso che si era preparato,
Louis perché doveva uscire per rifornire il suo frigorifero e
non pensava di incontrare l'altro al di là del portone. I
suoi occhi cerulei si specchiarono in quelli più blu di Louis
e si riconobbero amici, complici, nonostante i loro
disaccordi.

182
«Scusa.» mormorarono all'unisono.

Non era loro abitudine pronunciare quella parola, ma a


volte serviva ad abbattere alcuni muri e, in seguito, baci
e abbracci facevano tutto il resto. Niall fu sul punto di
aggiungere qualcosa, ma Louis si slanciò ad abbracciarlo,
quasi facendoli sbilanciare all'indietro, e lo zittì. Non
servirono altre scuse in quel momento perché tutto ciò
che c'era da dire era sui loro visi e nei loro occhi, perché
superare le difficoltà e ridere insieme di quanto fossero
stati sciocchi a discutere una settimana prima era più
importante.

«Scusa ancora se mi sono comportato da stronzo.»


precisò Niall, dopo essere entrato nell'appartamento e
aver sorseggiato un tè con Louis sul divano. «Insomma,
suppongo di essermi sentito messo da parte e di aver
avuto paura di un possibile cambiamento, positivo o
negativo.» spiegò. «E mi dispiace anche per ciò che ho
detto su Haiti. Non pensavo minimamente quelle cose
e...»

«Lo so, Niall.» lo interruppe Louis. «Quando si è


arrabbiati, spesso si dicono cose che non si pensano
affatto. Dimentichiamoci tutto, okay?»

Niall annuì vigorosamente perché quei giorni trascorsi


senza Louis gli erano sembrati così vuoti e grigi.
L'appartamento era troppo silenzioso, Harry più cupo del
solito e lui stesso così scontroso. Era vero, allora, ciò che
era solita ripetere Margot, ossia che Louis fosse un petit
soleil, un piccolo sole, che portava gioia soltanto con il
suo sorriso e la sua vitalità.

«Cosa devo fare, Niall?» chiese Louis più tardi.

«Beh, dovresti darti una pettinata, mettere su un bel paio


di jeans e raderti la barba.» scherzò, esaminando il suo

183
aspetto. «Ah, e anche una bella dormita potrebbe farti
bene.»

«Lo sai cosa intendevo!» esclamò esasperato. «Con tu-


sai-chi!»

«Fa' ciò che ti senti di fare. Comunque andrà, sarò dalla


vostra parte, Lou.»

«Vostra?»

«Tua e di tu-sai-chi!»

«Da quando ci sono anche degli schieramenti?»

«Ci saranno se sceglierete di frequentarvi. Ci sarà chi vi


appoggerà e chi, invece, ti dirà che sei un pazzo ad aver
scelto di uscire con uno come lui.»

«E...» Louis esitò. «...cosa ne penserà la sua famiglia?»

«Hai fatto una bella impressione a Anne e William ti


adora.»

«William sembra adorare qualunque essere vivente.»

«Non è sempre così. È molto socievole, ma non è uno


sprovveduto. Tuttavia, si fida molto del giudizio di Harry:
se piaci a suo fratello, piaci automaticamente anche a lui.
Beh, quasi sempre.»

Louis si accigliò. «Harry ha mai frequentato qualcuno


prima di trasferirsi qui? E come era lui o lei?»

«Jeremy Scott. Attaccante di punta della squadra di calcio


del liceo.»

184
«Uno sportivo? Non pensavo che fosse un amante degli
sportivi.»

«Neanche io.» ridacchiò. «Un giorno, sono tornato


dall'università per le vacanze estive del primo anno e li ho
trovati a pomiciare sotto il portico di casa sua. È stato
uno shock per tutto il quartiere, non solo per me.»

«E poi? Com'è finita?»

«È stato un dramma.» rispose. «Jeremy lo ha lasciato


non appena si è accorto che fosse più dura di quanto
pensasse. Avevano soltanto diciassette anni e Harry in
quegli anni era molto volubile. È stato difficile per
entrambi.»

«Questo Jeremy non avrebbe dovuto lasciarlo soltanto


per un po' di ostacoli, evidentemente i suoi sentimenti
non erano reali.»

«Era soltanto un adolescente, Lou. I suoi unici interessi


erano giocare bene a calcio, essere bravo e popolare a
scuola e fare sesso. Non sto dicendo che non tenesse a
Harry, ma che non fosse pronto ad affrontare una
relazione come quella. Non credo neanche che Harry ne
fosse innamorato, ma quella rottura è stata difficile da
superare: è stato in quel momento che ha realizzato di
non essere come i suoi coetanei, di non avere le loro
stesse priorità.»

Louis annuì pensieroso. «Al pranzo per il suo compleanno,


Anne mi ha ringraziato perché pensa che la lista sia una
buona occasione per Harry. Pensa che possa aiutarlo a
testare e a superare i suoi limiti.»

«Vede Harry felice e anche lei lo è. E Harry è felice anche


grazie a te, Lou. Suppongo che Anne pensi che tu sia una
buona occasione per lui.»

185
«Desidero con tutto il cuore che Harry sia felice, con o
senza di me.»

«Allora, fa' la cosa giusta.» Gli prese la mano nella sua e


gli sorrise genuinamente. «Non scappare più, rimani al
suo fianco.»

Louis ribolliva ancora di rabbia per la discussione avuta


con il suo coinquilino quel pomeriggio.

Non appena Julian era uscito dall'appartamento, si era


avvicinato al termostato del riscaldamento e lo aveva
alzato di qualche grado: non era colpa sua se aveva
perennemente freddo e Londra viveva ancora gli
strascichi di un inverno piovoso, nonostante marzo
avesse fatto il suo ingresso da pochi giorni. Ora si
stringeva nella sua comoda felpa bianca con l'intenzione
di riscaldarsi e pensava soltanto di non aver mai
trascorso così tanto tempo nel suo appartamento prima di
quel momento. Si ridestò quando sentì il campanello
suonare e, un istante dopo, dei colpi battere sul portone e
una voce familiare chiamare il suo nome. Non appena lo
aprì e trovò davanti ai suoi occhi increduli un Harry
completamente sconvolto, il suo cuore saltò qualche
battito. Sembrava lo stesso Harry di quel pomeriggio a
Parliament Street. Aveva lo stesso sguardo perso, era
bianco come un lenzuolo e le sue mani tremavano. Gli
occhi erano lucidi e rossi, segno che avesse pianto, e le
labbra rosse assottigliate in una linea dritta.

«Harry?» Louis dimenticò tutto, persino il motivo che li


aveva allontanati per circa due settimane. «Che ci fai
qui?»

«È un'emergenza.»

186
«Cosa è successo? Stai bene?» chiese preoccupato.
«Vieni, entra.»

Senza troppi complimenti, Harry entrò nell'appartamento


e scivolò subito sul divano: non si spogliò neanche della
giacca blu ed elegante che indossava, si sedette e si
prese la testa tra le mani.

«Oggi in ufficio li ho sentiti parlare di me.» sospirò, non


alzando lo sguardo dal pavimento. «Dan si prendeva
gioco di me insieme agli altri. Mi hanno dato del
disadattato.»

Louis sentì all'improvviso il petto stringersi in una morsa


dolorosa e lo raggiunse sul divano, mentre dalle sue
labbra si liberava soltanto un flebile «oh, Harry». Non
aggiunse altro perché Harry aveva soltanto bisogno di
sentirlo vicino, di essere confortato. Per questo, allungò
un braccio intorno alle sue spalle e lo tenne vicino a sé,
vezzeggiandolo con dolci carezze per infondergli
tranquillità. Mentre il corpo di Harry veniva scosso da
piccoli singhiozzi e singulti, Louis si chiese se ciò che
stava facendo bastasse. Bastavano due braccia a fargli
capire quanto fosse amato dai suoi amici e dalla sua
famiglia? Bastavano i baci che gli lasciava sul capo a
fargli capire che lui fosse abbastanza? E le carezze? E le
sue parole di conforto?

«Mi hanno chiamato "Tarzan".» sussurrò tra i singhiozzi.


«Persino i miei capelli non vanno bene, io stesso non
vado mai bene.»

«Harry, non piangere.» Louis prese il suo viso tra le mani


e lo invitò a guardarlo, tra le lacrime i suoi occhi non
facevano altro che brillare tragicamente. «Ti piaci?» Harry
fece spallucce. «Ti piacciono i capelli così?» A quel punto
annuì. «Allora non devi preoccuparti di ciò che dicono i
tuoi colleghi. Probabilmente Dan si è infastidito per San

187
Valentino e gli altri sono decisamente degli stupidi se la
pensano come lui.»

Harry ridacchiò flebilmente e tirò su con il naso. Louis


sentiva il suo respiro affannato sul viso, la pelle morbida
delle sue guance sotto i palmi delle mani e le sue lacrime
bagnarli inevitabilmente. Cominciò a muovere i pollici
lentamente per asciugarle e sentì un particolare calore
penetrargli le ossa quando Harry fece il suo primo sorriso.
Era accennato, ma c'era. Poi, lo aiutò a sistemare il capo
sul suo grembo e a distendere le gambe sul resto del
divano, sciolse i suoi capelli dallo chignon che li
raccoglieva e vi passò le dita per districarne i nodi:
quando era piccolo, Margot era solita farlo con lui per
tranquillizzarlo. Trascorsero in quel modo un tempo che
sembrò loro infinito, poi Harry parlò.

«Mi accompagneresti a tagliarli?»

«Non devi tagliare i tuoi capelli soltanto perché agli altri


non piacciono, Harry. Non devi cambiare te stesso per
poter piacere a quelle persone.»

«Lo so.» rispose imbronciato. «Però, ogni tanto fa bene


cambiare, no? Lo dice sempre la mamma.»

«Ne sei sicuro? Impiegheranno mesi a ricrescere.»

Lui annuì. «Andiamo ora.»

«Ora?»

Harry si alzò dal divano con uno scatto veloce e si


ricompose in fretta, si spolverò i pantaloni blu notte e
sistemò meglio la sua giacca prima di annuire ancora.

«Harry, sono un disastro.» Indicò il suo viso e il resto del


corpo. «Dovrei darmi una pettinata, vestirmi e...»

188
«...e sei bellissimo così come sei, Lou.» concluse al suo
posto. «Per favore, ho bisogno di te ora.»

A quella richiesta, con il cuore che batteva forte nel suo


petto, Louis non avrebbe mai potuto dire no.

I due giunsero presto da Pablo, il barbiere di fiducia di


Louis.

Pablo era trentenne argentino con i baffi alla Dalì e quegli


occhi castani sempre stralunati. Era arrivato a Londra
dieci anni prima per cambiare la sua vita e alla fine ce
l'aveva fatta aprendo la sua attività nel quartiere. Harry
non sembrò piacevolmente colpito da Pablo e il suo
temperamento argentino e lo guardò con sospetto per
tutto il tempo, soprattutto quando sfiorò i suoi riccioli
castani. Proprio quando fu sul punto di tagliare la prima
ciocca, Harry liberò un accorato «no!» e il barbiere fece
un passo indietro, alzando i palmi delle mani verso l'alto
come a provare la sua innocenza.

«Ci hai ripensato?»

«Mi piacciono i miei capelli.» affermò Harry con aria


colpevole.

«Hai ragione, piacciono molto anche a me.»

Louis disse a Pablo di non aver perso un cliente, perché la


sua frangia aveva bisogno di essere accorciata e si
accomodò alla postazione che il barbiere gli indicò.
Quando l'opera di Pablo fu portata a termine, Louis
accettò imbarazzato i complimenti di Harry e si diresse a
pagare. Usciti dal barbiere, si offrì di accompagnarlo a
casa, ma quest'ultimo insisté per andare a prendere un tè
o un caffè insieme: qualcosa gli suggerì che Harry non

189
volesse stare da solo con i suoi pensieri, non quel giorno
per lo meno, e accettò la sua proposta.

«Cosa prendi?» chiese Harry, quando si accomodarono in


una caffetteria di Brick Lane.

Gli arredi, così come le pareti interne lasciate con i


mattoncini rossi a vista, erano in stile industriale e Louis
non poté che apprezzare quella scelta: i tempi in cui
frequentava ristoranti di lusso e locali chic con Ian erano
ormai lontani, ma non si crucciava perché non ne sentiva
affatto la mancanza.

«Un tè nero.»

«Pensavo che avresti scelto qualcosa di più elaborato.»

«Per esempio?»

«Non lo so.» affermò pensieroso. «In ufficio, mi chiedono


sempre strani cappuccini o caffè con molte aggiunte. Tu
mi hai chiesto soltanto un tè nero.»

«Sono un ragazzo facile, Harold.» ribatté Louis


distrattamente e, soltanto quando osservò gli occhioni
verdi dell'altro farsi più grandi e le sue gote farsi più
rosse, capì di aver detto qualcosa di fraintendibile. Per
questo «semplice, sono un ragazzo semplice» aggiunse
un istante dopo.

Harry annuì frettolosamente, prima di raggiungere il


bancone e chiedere le loro ordinazioni. Al loro tavolo,
invece, Louis si copriva il viso con i palmi delle mani e
cercava di recuperare quel poco di dignità che gli era
rimasta e che l'altro gli portava via di giorno in giorno. Si
era sempre mostrato spigliato con i ragazzi, ma con Harry
quella maschera cadeva giù per rivelare un ragazzo
fragile, vulnerabile. Non si sciolse completamente

190
neanche quando l'altro tornò da lui con le loro ordinazioni
e parlarono del più e del meno, di quanto la primavera
tardasse ad arrivare o di quanto il lavoro li avesse
fagocitati ultimamente. Harry lo invitò persino a tornare
nell'appartamento quanto prima perché «a Leo le mie
carezze non bastano mai e gli manchi molto». Non
accennarono alla sera di San Valentino, né a quel bacio
che aveva tolto a Louis sonno e vita nelle ultime due
settimane.

Perché mi hai baciato, Harry?

Lo pensò distrattamente, mentre affondava le mani nelle


tasche della sua giacca di jeans imbottita e camminava
lungo le strade di Brick Lane. O almeno credette di averlo
soltanto pensato.

«Cosa?» chiese Harry, fermandosi sul marciapiede.

«Cosa?»

«Mi hai chiesto qualcosa?»

«N-no, io...no.» Louis abbassò lo sguardo e gli fece un


cenno con il capo, invitandolo a camminare al suo fianco.
Poi, pervaso da un coraggio che non sapeva neanche di
avere, chiese «perché mi hai baciato quella sera,
Harry?».

«Perché volevo farlo.»

«Capisco che per te sia una cosa nuova, ma non puoi


baciare chiunque perché ti va.»

«Baciare non è una cosa nuova per me, ho avuto persino


un ragazzo al liceo.»

191
«Non mi interessa se al liceo baciavi il tuo bel calciatore.»
ribatté sbrigativo Louis, tradendo non solo la sua gelosia,
ma anche Niall e i suoi racconti. «Intendevo dire che non
puoi baciare qualcuno e poi far finta che non sia successo
nulla. Un bacio non è solo un bacio. Insomma, può
significare tante cose.»

«Lou, sei stato tu il primo a farlo. Sei scappato a gambe


levate quella sera e hai fatto finta che non fosse successo
nulla.»

«Fuggire via è stata l'unica opzione che ho contemplato in


quel momento.»

«E perché?»

«Perché stavi baciando il ragazzo sbagliato.» si giustificò.


«Stavi baciando il ragazzo in tuta, lo stesso che mangiava
pop-corn sul tuo divano e se ne lamentava con il tuo
gatto fino a qualche minuto prima. Non dovevi baciare
me, ma la persona del tuo appuntamento, che aveva
impiegato del tempo a rendersi bella soltanto per te.»

«Non è vero. Tu, Louis, con quella tuta e Leo addosso o le


labbra che sapevano di pop-corn eri bellissimo.»
confessò, facendo sciogliere ogni muscolo teso dell'altro:
nei suoi occhi, Louis leggeva soltanto onestà, nessuna
traccia di vergogna o paura. «Tu sei la persona più bella
che io abbia mai incontrato e so che anche tu tieni a me
come nessun altro ha mai fatto prima. Me lo ha fatto
notare anche la mamma.» aggiunse un attimo dopo,
liberando un sorriso incerto e Louis quasi si commosse
nel sentire quella precisazione, anzi il suo intero discorso
perché nessuno prima di quel momento lo aveva mai
messo al centro dei suoi pensieri. «Mi piaci, anche se sei
testardo e insopportabile la maggior parte del tempo. Mi
piaci perché non ti arrendi mai con me, perché mi accetti
e non tenti di cambiare quel che non può essere

192
cambiato, perché mi rendi coraggioso. Mi sento più forte
con te al mio fianco.»

E Louis avrebbe voluto dire di provare le stesse cose, ma


non era così perché Harry non lo rendeva coraggioso o
più forte, ma vulnerabile. Quando lo sfiorava - in quel
momento le sue dita cominciarono ad accarezzargli la
guancia e i loro corpi si avvicinarono sempre di più - Louis
percepiva un turbinio di emozioni travolgere il suo corpo,
il battito accelerare pericolosamente e la mente
annebbiarsi. Era spaventoso, ma bello allo stesso tempo.
E sentirsi vulnerabili davanti agli occhi smeraldini di
Harry, ma avere le sue braccia forti intorno alla vita lo
rassicurava.

«Se pensi che io possa averti baciato soltanto perché eri


in quella stanza, stai sbagliando di grosso, Lou.»
continuò, quasi cullandolo tra le sue braccia. «È stato
William a dirmi di invitare un altro così da farti ingelosire.
E io l'ho ascoltato perché non sono bravo in queste cose,
ma la verità è che...»

Non lo lasciò finire. A Louis bastò sporgersi di un soffio


per baciarlo delicatamente e metterlo a tacere. Quando
sentì le mani di Harry stringergli i fianchi, mise da parte
quella delicatezza e cominciò a baciarlo nel modo che
meritava. Sollevò le mani per poggiarle sul suo petto e
farle vagare più su, fino a giocherellare con i suoi ricci
sulla nuca. Gli piaceva la sua bocca morbida e rossa, la
lingua che cercava languida la sua, il leggero velo di
barba che copriva la mandibola ben delineata sotto i
palmi delle sue mani. Toccarlo e plasmarlo sotto il suo
tocco mentre lo baciava rendevano tutto più vero, reale.

Harry era reale, ma anche inaspettato.

Era una continua sorpresa e Louis lo realizzò quando sentì


la sua schiena scontrarsi con il muro alle sue spalle,
mentre la mano inanellata di Harry, presente tra i suoi
193
capelli, gli proteggeva il capo dall'urto e la sua lingua
approfondiva ancora una volta il bacio. Louis lasciò da
parte ogni inibizione e chiuse gli occhi, abbandonandosi al
calore dell'altro, capace di plasmarlo a suo piacimento.
Sentì il suo respiro affannato contro la bocca e poi sul
collo, dove l'indomani avrebbe trovato dei segni a
ricordare la sua presenza: Harry mordeva un particolare
lembo di pelle e lo leniva con la lingua un istante dopo,
Louis rabbrividiva e chiedeva di più esponendolo ancora
alle sue labbra.

Si donava e Harry prendeva, abbandonando ogni


incertezza.

Erano in un vicolo di Brick Lane e avevano chiuso fuori il


traffico della città, le incombenze del lavoro, la gente che
passava e che non poteva fare a meno di ridacchiare
mentre loro si dichiaravano amore con baci, carezze e
sguardi languidi. Non c'era nient'altro intorno a Louis,
c'era solo Harry. C'era il bianco della sua pelle, il rosso
delle sue labbra e il verde degli occhi che incontrava tra
un bacio e l'altro.

Un ultimo schiocco e Louis strofinò la punta del suo naso


con quella del naso di Harry. Sorrisero entrambi davanti a
quella tenerezza, mentre lui abbassava il capo ancora una
volta per rubargli un ultimo bacio. Poteva sembrare una
sciocchezza, ma Louis apprezzava che Harry si chinasse
di qualche centimetro per baciarlo dal momento che
solitamente era lui ad alzarsi sulle punte dei piedi per
farlo. Lo faceva sentire protetto e al sicuro, nonostante
fosse lui il maggiore tra i due.

«Non pensare che questo cambi qualcosa.» mormorò


sulle sue labbra con un sorriso furbo. «Dovrai comunque
mercanteggiare con me per giocare a scarabeo.»

Harry ridacchiò e «va bene» ribatté. «Basta che non


scappi più via da me.»
194
Louis scosse la testa, prima di accorciare ogni distanza
tra loro e baciarlo ancora. «Non scappo più, Harry.»

195
CAPITOLO 8

«Ti prego!» la supplicò Louis al telefono. «Dimmi di più!»

«Lou, non so nulla.» ripeté Lisa per la terza volta. «Niall


mi ha detto soltanto che stasera sarebbe venuto a cena
da me perché Harry ha categoricamente definito off-limits
l'appartamento.»

Louis sbuffò. Era sempre stato un tipo piuttosto curioso e


scoprire in anticipo i regali della sua famiglia era un'arte
che aveva affinato di anno in anno. Il termine "sorpresa"
non esisteva neanche nel suo vocabolario dal momento
che riusciva sempre a scoprire ogni cosa grazie alla sua
curiosità. Eppure, quella volta, era destinata a rimanere
insaziata. A meno che...

«Non puoi scoprirlo per me?» insisté esasperato. «Un bel


vestito, un po' di promesse a letto e scuci a Niall
l'informazione che mi serve.»

«Louis! Sto per riattaccare!»

«Okay, okay, scusa tanto. È il nostro primo vero


appuntamento e non so cosa aspettarmi. Era così
emozionato e non faceva altro che ripetermi che sarebbe
stata una sorpresa.»

«E lui non conosce il tuo problema con le sorprese,


vero?» ridacchiò Lisa. «Permettigli di fare qualcosa per te,
non guidare sempre tu il gioco tra voi, fallo sentire un
adulto che può prendere le sue decisioni finalmente».

«Odio quando fai la persona saggia, lo sai?»

«Lo so, ma è deformazione professionale.» si giustificò.


«Ora non perdere tempo e agghindati, Harry non ama i
ritardatari.»

196
Ridacchiò, prima di terminare la telefonata, perché
sapeva bene quanto Harry odiasse i ritardatari. Una
settimana prima, Louis lo aveva raggiunto al cinema con
qualche minuto di ritardo e Harry non l'aveva presa bene
tanto da negargli ogni tentativo di corruzione per
ritrovare il suo buonumore. Aveva scoperto che non
potesse essere corrotto a suon di baci o carezze, ma a
suon di eccentriche promesse: Louis gli aveva promesso
di accompagnarlo a una fiera di modellismo che si
sarebbe tenuta agli inizi di aprile nelle vicinanze di
Londra. Non teneva particolarmente a essere circondato
da nerd o dall'odore di balsa e colla, ma parteciparvi
rendeva Harry felice e questo bastava. Temendo di fare
ritardo e dovere promettere altro, allora, si preparò con
cura e si ritrovò a camminare svelto verso la sua meta.

Quando giunse all'appartamento, notò il portone


socchiuso e pronunciò un flebile «è permesso?» prima di
entrare e sorprendersi per ciò che vide. Harry si muoveva
sicuro da un angolo all'altro della cucina con un grembiule
bianco indosso e l'espressione rilassata, mentre le sue
mani armeggiavano esperte con le pentole e le padelle ai
fornelli. Louis sorrise e continuò a guardarlo per qualche
istante prima di annunciare la sua presenza con un colpo
di tosse: Harry lasciò i suoi utensili e si precipitò
all'ingresso con un sorriso sulle labbra piene e rosse, gli
prese le mani nelle sue e fece sfiorare le punte dei loro
nasi teneramente.

«Ciao, bellissimo.»

«Ciao.» Louis lo salutò con un filo di voce, cercando


ancora di processare quell'epiteto. Poi, vide la sua
camicia azzurra, quella particolare luce negli occhi e i
capelli che scendevano morbidi sulle sue spalle e sentì il
suo cuore saltare numerosi battiti. A quel punto, poté
soltanto lasciare un bacio delicato sull'angolo destro della
sua bocca a forma di cuore. «Cosa hai in serbo per noi
stasera?»

197
«Ho preparato la cena.» rispose Harry con fierezza, prima
di rabbuiarsi e fare un passo indietro. «Pensavo che
potesse essere più intimo, ma se non ti piace l'idea
possiamo andare fuori e...»

«...è perfetta, un'idea perfetta.»

E si rilassò di nuovo. «Mi ha aiutato Niall ad


apparecchiare.» lo informò, quando gli occhi di Louis si
concentrarono sulla tavola.

Sulla tovaglia bianca c'erano dei piatti di porcellana con


una filigrana dorata e degli eleganti calici di vetro. Non
furono tanto quei dettagli a rendere la cena perfetta, ma
le deliziose portate che Harry aveva preparato e il fatto
che avesse impiegato il proprio tempo libero a cucinare
per lui. Tra loro c'era anche un piccolo centrotavola di
margherite bianche, le stesse che ricordavano la sera del
loro primo bacio.

«Mi hai fatto innamorare delle margherite ormai.»

«Sono i miei fiori preferiti.»

Louis non aveva dubbi a riguardo perché le margherite


avevano qualcosa di puro, semplice e genuino,
esattamente come Harry. Durante la cena parlarono
molto, dei colleghi di Harry che sembravano essere più
gentili, del progetto che Louis stava seguendo a lavoro e
anche dei piatti che stavano mangiando. Harry poteva
sembrare insicuro su molte cose, ma non sulla
preparazione e la riuscita di quelle ricette.

«Dove hai imparato a cucinare così?» chiese Louis,


mentre si versava nel calice del vino bianco. «È stato Will
a farti da maestro?»

198
«No, sono stati i miei genitori. Non erano del mestiere,
perché mia madre aveva un negozio di fiori e mio padre
mancava troppo tempo da casa per pensare di avere un
ristorante tutto suo. Eppure, la domenica mattina ci
costringevano ad alzarci presto e a cucinare con loro.»
spiegò. «Terminati tutti i piatti della tradizione inglese,
siamo passati a quelli degli altri paesi.»

«Insomma, un giro del mondo culinario ogni domenica.»


scherzò Louis e Harry annuì. «È molto bello, lo fate
ancora quando torni a casa?»

Lo chiese con spensieratezza, pensando a un piccolo


Harry con le mani in pasta e a uno più grande che aiutava
sua madre a prendere qualcosa dai ripiani più alti della
dispensa, ma l'altro si rabbuiò, distogliendo lo sguardo
dal suo.

«No, non lo facciamo più da anni ormai.»

Harry fissò un punto della tovaglia, ben intenzionato a


perdersi nei suoi pensieri, e Louis non poté non sentirsi
colpevole per quel repentino cambio d'umore. C'era
sempre qualcosa che gli sfuggiva di lui, qualcosa che
riguardava la sua famiglia e che lo rendeva elusivo
quando ne parlava. Quanto più Louis tentava di scoprirlo,
tanto più Harry si allontanava e non capiva perché.

«Pensa se lo facessimo a casa mia senza la supervisione


di nonna Margot.» scherzò per alleggerire l'atmosfera,
mentre la sua mano scivolava sulla tovaglia e trovava
quella dell'altro, accarezzandola delicatamente. «Tra me e
mia madre, mio padre dovrebbe usare un estintore al
giorno!»

Harry finalmente incontrò il suo sguardo e gli sorrise


flebilmente, bofonchiando qualche istante dopo un
«dovrebbero regalargliene una fornitura a vita!».

199
«Esatto!» gli confermò, non lasciando ancora la sua
mano. «Nonna Margot mi ricorda sempre che dovrei
sposare un ottimo cuoco così da non mandare in fiamme
la casa o non avvelenare i miei futuri figli.»

«Vuoi davvero sposarti e avere figli?» chiese Harry d'un


tratto.

«Sì, al cento per cento.»

«Anche se sei così giovane?»

«Sì, so che può sembrare stupido, ma ho sempre


desiderato un marito, tre marmocchi e un cane...anche
quando ero soltanto un adolescente. È il mio sogno più
grande, insieme a quello di lavorare per la Thousand
Hearts Foundation.»

Harry sorrise, abbassando lo sguardo sulla tovaglia


ancora una volta. Poi, strinse la sua mano e la portò alle
labbra, lasciando un bacio sulla parte interna del polso.
Louis non era nuovo a quel contatto, ma le sue gote
arrossirono comunque: era convinto che non si sarebbe
mai abituato alla delicatezza e alla gentilezza di Harry. Lo
toccava come se avesse tra le mani un diamante
prezioso, lo baciava lentamente come se avesse tutto il
tempo del mondo a disposizione e lo guardava con gli
occhi che brillavano la maggior parte delle volte. In quel
momento, con le sue labbra piene e rosse ad
accarezzargli il polso, Louis si sentì il fiore più delicato.

«Non è stupido, è il tuo sogno.» commentò con un


sorriso. «E tua nonna sa di me o di noi?»

«Sa tutto. In realtà, ha sbirciato la foto che mi hai


mandato a Natale e da quel momento le ho parlato di noi
aggiornandola nelle nostre chiamate settimanali.» spiegò,
ricordando la felicità di Margot per gli ultimi sviluppi e

200
quel suo «je suis très heureux pour vous deux!». «Le sei
piaciuto subito.»

«Quindi avrei potuto scegliere lei al tuo posto? Niall mi ha


detto che siete due gocce d'acqua.»

«Harry!» si indignò, non capacitandosi della sua ironia.


«Lascerò correre soltanto perché questa è la prima
battuta divertente che hai fatto negli ultimi sei mesi...»
Liberò la mano dalla sua presa e lo ammonì con il dito
indice alzato nella sua direzione. «Non esserne troppo
sicuro, comunque. Mio nonno non te l'avrebbe concessa
così facilmente e a questo punto, forse, non saresti
neanche a cena con lei.»

«Tuo nonno può decisamente stare tranquillo perché...»


esitò per un istante prima di raggiungere il frigorifero e
prendere il dolce. «...non ti sostituirei con nessun altro al
mondo.»

Un occhiolino e un soufflé al cioccolato dopo, Louis pensò


che Margot avesse ragione guardando Harry che si
affrettava a sparecchiare la tavola e a riporre gli avanzi
della cena: avrebbe proprio dovuto sposare un uomo che
fosse anche un ottimo cuoco e nella sua fantasia
quell'uomo prendeva sempre di più le sue sembianze.

Dopo cena, si ritrovarono a giocare a scarabeo e Louis


avrebbe anche portato a casa la sua prima vittoria se
Leo, alla ricerca di attenzioni, non fosse balzato sulla
plancia e avesse spazzato via con le sue zampine e la
coda la maggior parte delle tessere già posizionate.

Non servirono a nulla i suoi piagnucolii e le sue lamentele,


Harry dichiarò la partita ormai terminata proponendo di
guardare un documentario accoccolati sul divano e chi era
Louis per dire no a tutto quello? Si sistemarono l'uno al
201
fianco dell'altro e Leo si distese su di loro finalmente
soddisfatto. L'attenzione di Louis si concentrò spesso sulle
sue mani inanellate che affondavano nel pelo bianco e
morbido del gatto e poco sul documentario, i suoi
pensieri, invece, sui passi in avanti che Harry aveva fatto
in poco più di sei mesi e sentì il cuore scoppiare di
orgoglio. A mezzanotte inoltrata, il documentario era
terminato da un pezzo ed entrambi guardavano i titoli di
coda scorrere lentamente sullo schermo della televisione
senza avere voglia di separarsi. Fuori pioveva e un tuono
improvviso convinse Louis a risvegliarsi dal torpore e a
strofinare la guancia sulla sua spalla.

«Harry?» lo chiamò con voce assonnata. «Devo andare a


casa.»

«Di già?»

«Di già.» sospirò, soffermandosi a guardare le sue labbra


leggermente arricciate in un broncio. «È mezzanotte
passata e fuori sta piovendo. Potrebbe peggiorare e io
non ho neanche un ombrello con me.»

Harry annuì e Louis si alzò, facendo attenzione a non


disturbare Leo che dormiva pacifico sul suo grembo.
Recuperò la giacca di jeans e il suo cellulare e guardò con
tenerezza Harry adagiare il gatto nella sua cuccia, prima
di lasciargli un'ultima carezza.

«Sono stato molto bene.» sussurrò, poi, sulle sue labbra


prima di baciarle. «Ci vediamo domani, giusto?»

«Certo, a domani.» disse, prima di avvicinarsi per dargli


un altro bacio, più breve e casto del precedente. Louis era
sul punto di aprire il portone quando Harry lo richiamò a
gran voce. «Lou, aspetta! P-perché non rimani a dormire
qui?»

202
«Qui?» Louis si accigliò. «Sul divano? Domani sarò
all'associazione tutto il tempo e non mi va di avere la
schiena dolorante, ma grazie della proposta.»

«N-no, io intendevo con me. In camera. Di là.» rispose,


grattandosi la nuca in difficoltà. Forse, Louis impiegò
troppo tempo a uscire dal suo momentaneo stato di
stupore, perché Harry si affrettò ad aggiungere «fa' finta
che non ti abbia detto niente, davvero».

«Harry...»

«No, davvero. Non so a cosa abbia pensato, non volevo


lasciarti camminare da solo sotto questa pioggia e non ho
pensato affatto.» balbettò, indietreggiando dal momento
che Louis avanzava.

«Harry!» esclamò, prima di prendergli il viso tra le mani.


«Accetto la tua proposta.»

«Davvero?»

«Davvero.»

Louis si alzò sulle punte e fece sfiorare prima i loro nasi,


poi le loro labbra. Lo strinse a sé e lasciò che Harry
approfondisse quel bacio, realizzando presto che avesse
imparato a prendersi cura non solo di se stesso, ma
anche degli altri: lo notava da come le sue mani lo
accarezzavano premurosamente o come le sue labbra
baciavano le proprie con attenzione. Ormai, averlo al
proprio fianco era una sicurezza per Louis.

«Se non è un disturbo, resto.»

«Sei qui ventiquattro ore su ventiquattro, Lou. Non ci


sarà alcun disturbo.» gli fece notare l'altro. «E poi, credo
che Niall rimanga da Lisa. Saremo solo io, te e Leo.»

203
«Leo ci ha abbandonato da un pezzo, Harry.» Indicò il
gatto raggomitolato su se stesso che sonnecchiava in
modo adorabile. «Siamo solo io e te.»

Harry lo guidò verso la sua camera da letto, ormai


familiare a Louis, ed estrasse dall'interno del suo armadio
una t-shirt bianca e un pantalone della tuta grigio e
morbido.

«Questi dovrebbero andarti bene.»

«Grazie.» mormorò meravigliato, perché Ian si era


sempre rifiutato di condividere i suoi vestiti e Louis non
poté fare a meno di considerare quel gesto estremamente
intimo e speciale.

Si diresse nel bagno principale, lasciando a Harry quello


presente nella sua camera, e si preparò per la notte. I
pantaloni erano fin troppo lunghi e la t-shirt bianca
mostrava le sue clavicole più del dovuto, ma
profumavano di Harry e questo era abbastanza. Quando
giunse in camera da letto, gli sembrò di essere tornato a
quella sera di inizio settembre: allora, tutto ciò che era
riuscito a scorgere davanti alla finestra era stata una
chioma di capelli ricci, una camicia a quadri e una
profonda tristezza sul volto di uno sconosciuto. Ora, in
quella notte di metà marzo, Louis non vedeva più quel
ragazzo. Harry guardava oltre la finestra e sembrava
sereno, le sue spalle non erano più rigide, le sue dita
picchiettavano sul davanzale un ritmo già sentito e le sue
labbra non erano arricciate in un broncio. Louis lo
raggiunse in silenzio, gli avvolse il torace con un braccio e
lasciò dei morbidi baci sul suo collo.

«Andiamo a dormire?» chiese e Harry annuì, prima di


osservarlo con sospetto infilarsi sotto le coperte. «Che
c'è?»

«Io dormo sempre a destra nel mio letto.»


204
«E non puoi fare uno strappo alla regola oggi, Lou?»

«E tu? Puoi farlo tu uno strappo alla regola? Se lo fai,


domani ti preparo la colazione.»

Harry non esitò a ridacchiare un «no, grazie», scuotere la


testa e raggiungerlo senza rimorsi per spodestarlo.

Louis sbuffò rumorosamente e si convinse a sistemarsi


nella parte sinistra, concedendogli l'ennesima vittoria. Nei
minuti successivi liberò numerosi lamenti nel cercare la
posizione adatta, ma Harry continuò a ignorarlo,
concentrando la sua attenzione sul libro che stringeva tra
le mani e che avrebbe voluto leggere in pace.

«Tanto per fartelo sapere, mi muovo molto durante la


notte quando non mi trovo nella mia parte del letto.»

«Okay.»

«E potrei cominciare a scalciare fino a quando non butto


fuori l'usurpatore - tu - dal letto.»

«Okay.»

«E quando sono nella parte sinistra russo. Tantissimo.»

«Okay.»

«Volevo solo metterti in guardia dato che


farò sicuramente queste cose stanotte.»

«Ti ringrazio?»

Louis alzò gli occhi al cielo e si imbronciò, cercando di


mantenere il suo punto. Tuttavia, pian piano si accorse di
non guardare più l'altro con un'espressione accigliata o
infastidita, ma attenta a captare ogni suo particolare.
205
Harry leggeva e Louis percepiva ogni suo cambio
d'espressione, quando accennava un sorriso per un passo
particolarmente divertente o quando aggrottava le
sopracciglia in uno più spinoso per i protagonisti del libro.
Cominciò a far vagare le dita sull'avambraccio di Harry,
ricalcando le linee nere dei suoi tatuaggi, fino ad
accarezzargli il bicipite, la spalla e la clavicola. Giunto sul
petto, Louis scorse la catenina argentata e la tirò fuori
dallo scollo della t-shirt, compiaciuto del fatto che
portasse sempre con sé il ciondolo a forma di aeroplanino
di carta. In quel momento, Harry incrociò il suo sguardo e
gli sorrise, prima di sospirare e poggiare il suo libro sul
comodino. Quasi trattenendo il respiro, Harry lo guardò
tracciare ancora le linee dei suoi tatuaggi, il vascello e i
due cuori, la rosa e la sirena, l'ancora e tanti altri piccoli
disegni di cui Louis non conosceva la storia.

Per questo, azzardò e «parlami di loro» disse. «Mi hanno


sempre incuriosito.»

«Non c'è molto da dire, Lou.» rispose Harry. «Ho


cominciato a tatuarmi a diciassette anni con William.
Abbiamo iniziato con due rondini sul petto e ora ne
abbiamo entrambi un bel po'.»

«E perché proprio le rondini?» chiese, intravedendole


sotto il tessuto leggero della t-shirt bianca.

«Perché le rondini migrano, viaggiano e tornano.


Regolarmente, ogni anno, tornano a costruire o riparare il
loro nido.» spiegò semplicemente. «Ci piaceva l'idea di
tornare a casa sempre e comunque. Un po' come la tua
bussola che non punta a nord.»

Louis annuì perché quella bussola, che aveva tatuato


sull'avambraccio prima di partire per Haiti, puntava a
casa - home - e gli ricordava che la sua famiglia sarebbe
sempre stata il suo nord, la direzione da seguire.

206
«Non ti hanno mai dato problemi a lavoro?»

«Al signor Preston non importa dal momento che non


devo relazionarmi direttamente con i clienti, ma stare
dietro le fila.» Fece spallucce. «Però, cerco di coprirli
comunque con giacche e camicie quando sono a lavoro.»

«E hanno tutti un significato?»

«Più o meno. Alcuni sono davvero stupidi, ma mi


piacciono lo stesso.»

«Come questa sirena?» scherzò Louis, lasciando che il


palmo della mano scorresse su quel disegno.

«No, quella sirena un senso lo ha.» ribatté orgoglioso.


«Tra l'Ottocento e il Novecento, molti marinai si
tatuavano le sirene perché erano simbolo di protezione:
averla tatuata sul braccio era di buon auspicio per fare
ritorno a casa. L'ho fatta prima di venire a Londra...per
non perdermi e poter tornare a casa.»

Louis sorrise, ricordando quanto fosse importante per


Harry non perdersi all'interno della città e trovare la
strada di casa, quel faro che lo guidasse anche nei suoi
momenti più bui dovuti alla sua sindrome. Mormorò un
«forte» prima di chiedergli il significato degli altri tatuaggi
che rendevano il suo corpo un'opera d'arte. Gli parlò della
testa di una tigre che aveva tatuato sulla coscia e Louis
non gli credette fino a quando Harry non scostò le
coperte e gli permise di ammirarla. Poi, riportò la sua
attenzione sul dorso della mano affermando che la croce
vicino al pollice fosse un omaggio alla religiosità di sua
nonna paterna, mentre la scritta in ebraico sulla spalla a
quella del nonno materno. Gli raccontò anche di quando
Anne non gli aveva parlato per settimane a causa di un
tatuaggio sull'addome e Louis gli chiese curioso di cosa si
trattasse.

207
«Lo vedrai con i tuoi occhi prima o poi, immagino.»

Insomma, per ogni tatuaggio c'era una storia da


raccontare. E così era anche Harry, aveva un mondo
dentro di sé, mille universi, mille storie da raccontare e
che nessuno avrebbe mai conosciuto se lui non avesse
abbattuto il muro impenetrabile intorno a sé. Quella sera
Harry si lasciò scoprire a poco a poco da Louis, dai suoi
occhi blu e curiosi, dalle sue mani che lo accarezzavano,
dalle labbra che lo baciavano.

«Mi piacciono, mi piacciono tutti.»

Harry poggiò la mano sulla sua guancia e mosse il pollice


delicatamente sulla sua pelle calda. Louis chiuse per un
istante gli occhi, beandosi di quel contatto.

«A me, invece, piacciono loro.» mormorò.

E Louis non capì a cosa si riferisse fino a quando Harry


non sfiorò quei tre piccoli nei - o lentiggini, non lo aveva
mai capito - che ornavano la sua guancia. Incontrò il suo
sguardo e non poté far a meno di arrossire davanti alla
sua spontaneità. Louis non era abituato a quella
gentilezza, nessuno gli aveva mai fatto notare quanto
quelli che lui giudicava dei difetti lo rendessero unico.
Harry gli stava insegnando a darsi un valore e Louis
gliene era grato. Le parole gli morirono in gola davanti
allo sguardo ricco di intenzioni di Harry e, allora, lo baciò
come se dietro a ogni bacio ci fosse un grazie.

Grazie per essere così come sei. Grazie per essere


spontaneo. Grazie per essere diretto. Grazie per essere
gentile.

Con la mano di Harry ancora sulla sua guancia, Louis


approfondì quel bacio e ruppe ogni confine tra loro perché
da quel momento in poi fu difficile capire dove finiva l'uno
e dove iniziava l'altro. Le loro labbra si modellarono le
208
une sulle altre, rubando respiri e restituendoli tremolanti.
Louis gemette nella bocca di Harry quando percepì il suo
palmo caldo contro la schiena: non si chiese neanche
quando avesse trovato il coraggio di scostare la sua t-
shirt e accarezzare la sua pelle, perché era troppo
impegnato a imprimere baci umidi e morsi giocosi sul suo
collo. Presto sentì l'eccitazione di Harry premere dura
contro la sua coscia e desiderò di averla tra le mani, tra le
labbra, dentro di sé. Voleva farlo suo e sentirsi suo. Preso
da quel folle desiderio, chiuse gli occhi e si lasciò andare,
lo baciò ancora e fece vagare le mani fino ai suoi fianchi,
giocherellò con la coulisse dei suoi pantaloni e il bordo
elastico dei boxer e sfiorò con il pollice la punta turgida e
umida del membro di Harry.

Gli bastò un istante per capire che ci fosse qualcosa di


sbagliato, però.

Harry era diventato rigido, le sue mani stringevano quelle


di Louis per allontanarle dal suo bacino, i suoi occhi erano
strizzati e le sue labbra non rispondevano più ai suoi baci,
ma erano serrate in una linea dritta e sottile. Louis capì di
aver bruciato molte tappe, di aver superato i limiti di
Harry, limiti che lui non gli aveva chiesto di abbattere.
Non riuscì neanche a guardarlo tanta era la vergogna che
provava in quel momento e si allontanò da lui,
sistemandosi al suo fianco e facendo attenzione a non
toccarlo ulteriormente.

«Scusa, scusa.» mormorò più volte dispiaciuto.

Harry era accanto a lui e fissava il soffitto, ancora


sconvolto per il turbinio di emozioni provato e con il
respiro affannato. Si passò le mani sul volto e lo
stropicciò, forse anche per cancellare gli avvenimenti di
poco prima.

«Lou, i-io...io non...» balbettò. «...non è colpa tua. Lo


voglio, ma non mi sento ancora pronto.»
209
Louis scosse la testa, non volendo che si giustificasse per
aver rifiutato qualcosa che neanche aveva chiesto.

«Non devi darmi alcuna spiegazione. Sono stato io ad


aver frainteso la situazione, scusami ancora.»

Harry annuì, prima di chiudere gli occhi e liberare un


sospiro. Poi, si sporse verso Louis e gli lasciò un bacio
delicato sulle labbra, un bacio che urlava "accettami così
come sono". Spense l'abat-jour, scivolò nella parte destra
del letto e gli diede le spalle. Louis si torturò per l'intera
ora seguente, chiedendosi come potesse rimediare a
quell'episodio spiacevole, come potesse sfiorarlo ancora e
non vedere quell'espressione di disagio sul suo volto. Non
riusciva neanche ad avvicinarsi a lui per lasciargli una
carezza, temendo un altro rifiuto. Non riusciva neanche a
chiudere gli occhi, perché continuava a vedere il suo volto
sofferente. Poi, Harry parlò e il suo cuore cominciò a
battere furiosamente nel petto.

«Lou, sei ancora sveglio?»

«Sì.»

«Mi piace essere abbracciato quando dormo.» disse,


schiarendosi la voce. «Avvicinati, così dormirai anche tu
nella parte destra del letto.»

La tensione sul volto di Louis si sciolse in un istante


davanti a quella candida richiesta. Non se lo fece ripetere
ancora e fece scontrare il suo petto con la schiena ampia
di Harry, poggiando una mano sul suo fianco. Sorrise
quando l'altro la prese e la portò alle labbra per baciarne
il dorso. I loro confini erano ancora una volta confusi, ma
andava bene perché era Harry ad averlo scelto.

«Buonanotte, Harry.» mormorò, prima di lasciargli un


bacio sulla spalla e chiudere gli occhi.

210
«Buonanotte, Lou.»

Le labbra morbide di Harry sfiorarono ancora e


lentamente le nocche della sua mano fino a farlo cadere
in un sonno profondo.

Louis non era mai stato uno studente modello al liceo o


all'università, ma nel suo lavoro alla Thousand Hearts
Foundation se la cavava piuttosto bene.

Pensava di aver trovato il suo posto nella società, perché


lavorare affinché dall'altra parte del mondo o a qualche
isolato da lui dei bambini potessero ricevere
un'educazione scolastica, le donne esercitare i loro diritti
e diverse famiglie avere una casa degna di quel nome lo
soddisfaceva e lo faceva sentire utile. Inoltre, essere
stato scelto per seguire un progetto che prevedeva la
costruzione di una scuola proprio ad Haiti lo rendeva
orgoglioso di sé. Era contento anche di aver trovato dei
colleghi sempre pronti ad aiutarlo, alla mano e simili a lui.
Brooke, per esempio, era un concentrato di energie e
irriverenza in un metro e sessanta di altezza e lunghi
capelli rossi.

«Preferiresti andare a letto con Martin Finch oppure


mangiare cavallette?» chiese la ragazza al suo fianco.

Erano sui gradini all'ingresso dell'associazione e si


godevano la fine di quella giornata lavorativa con quello
che presto era diventato il loro gioco.

«Mangiare cavallette, almeno sono nutrienti.» rispose


Louis perché Martin, un loro collega, gli metteva i brividi.

211
«Preferiresti annegare a causa di uno tsunami o morire
assiderato a causa di una tempesta di neve che ha invaso
Londra?»

«Che razza di domanda è?»

«Scusa, è che ieri ho guardato L'alba del giorno dopo da


sola.» spiegò lei con un broncio. «Non lo farò mai più.»

«Annegare in ogni caso, odio il freddo.» affermò senza


troppa esitazione. «Ora tocca a me. Preferiresti
azzoppare un gattino o ripetere gli anni dell'università?»

«Azzoppare un gattino.»

«Sei una stronza.»

Louis pensò al povero Leo e fu felice di saperlo a casa


sua, probabilmente intento a sonnecchiare sul divano.

«Sono semplicemente realista, Lou.»

«Pensavo che avresti risparmiato un gattino indifeso e


che ti saresti sacrificata sinceramente, sei una pessima
persona.» Eppure, Brooke sembrò non ascoltarlo neanche
perché squittì subito un «o mio Dio» con fin troppa
enfasi. «Che c'è?» Lei abbassò lungo il naso gli occhiali da
sole che indossava e mise a fuoco qualcosa, o meglio
qualcuno. «Se è un altro con cui sei andata a letto, non ti
azzardare neanche a disturbarmi.»

«Non lo è, ma potrebbe decisamente essere il prossimo.»

«Addirittura? Devo proprio vederlo, allora.»

Louis individuò subito l'oggetto delle attenzioni di Brooke.


Dei jeans stretti avvolgevano le lunghe gambe del
ragazzo, una maglietta slavata dei Kiss e una camicia a
212
quadri rossa cadevano dritte sul suo torace, i riccioli
castani si muovevano al venticello fresco primaverile e un
paio di Ray-Ban proteggevano il suo sguardo.

«Cavolo, Lou!» sbottò la ragazza, mentre quella figura si


avvicinava. «Viene proprio qui!»

Louis cercò di trattenere una fragorosa risata per


l'espressione spiazzata che Brooke assunse un istante
dopo, quando il ragazzo gli tese una mano per
permettergli di alzarsi dal gradino.

«Ciao, bellissimo.» lo salutò, privandosi degli occhiali da


sole e infilandoli nello scollo della t-shirt.

Ed era Harry, il suo Harry, con gli occhi di un verde quasi


liquido, con le labbra carnose curvate in un sorriso e
quelle fossette in bella vista sulle guance.

«Ciao, Harry.» rispose, prima di lasciargli un bacio


all'angolo destro della bocca rosea, un po' per gioco, un
po' perché stavano ancora lavorando sulle dimostrazioni
pubbliche d'affetto. «Ti presento una collega e un'amica,
Brooke. Lui, invece, è Harry ed è il mio ragazzo.»

Brooke si ridestò dall'imbarazzo e gli tese la mano per


presentarsi. Soltanto quando Louis incoraggiò Harry,
accarezzandogli la schiena per tranquillizzarlo, lui la
accettò e la strinse con vigore. La ragazza non sembrò
notare quell'esitazione e, se lo fece, non lo diede a
vedere. Louis aveva parlato di Harry a Brooke perché era
impossibile raccontarle di sé e non menzionarlo, ma non
le aveva mai parlato del suo Asperger: non lo aveva fatto
non per vergogna, ma perché menzionare una parte così
intima di Harry a qualcuno che neanche lo conosceva di
persona avrebbe significato tradire la sua fiducia. I tre
scambiarono quattro chiacchiere e Brooke si dimostrò
molto amichevole nei confronti di Harry, un po' meno nei

213
confronti di Louis per non avergli mai detto quanto fosse
bello il suo ragazzo e aver ridacchiato di lei poco prima.

«Allora, che ci fai qui?» gli chiese, dopo aver salutato la


ragazza.

«Sono venuto a prenderti, Niall mi ha detto che avresti


potuto apprezzare la sorpresa.»

«Nessuno mi ha mai fatto questo genere di sorprese.»

«Neanche Ian Graham, l'ex ragazzo di Louis ed ex


tirocinante allo studio legale Johnson?»

«Soprattutto Ian.» ridacchiò. «Mi basta, però, che lo


faccia soltanto tu.»

«E ora posso avere un bacio vero, allora?»

Louis scosse la testa, perché Harry non avrebbe neanche


dovuto chiederglielo. Afferrò il colletto della sua camicia e
lo avvicinò a sé per unire le loro labbra in un bacio
appassionato, mentre le mani di Harry gli stringevano i
fianchi. Quando furono entrambi senza fiato, Louis poggiò
la fronte sulla sua e specchiò il suo sorriso. Poi,
ridacchiarono entrambi, pensando che quella fosse stata
una dimostrazione pubblica d'affetto bella grande.

«Allora, dove andiamo?»

«Da Wendy.»

Wendy era il nome di un piccolo locale non molto lontano


da Brick Lane e si chiamava così per la sua proprietaria,
un'affettuosa settantenne che raddoppiava le porzioni dei
suoi piatti se, a suo avviso, l'avventore era triste soltanto
con la speranza di vederlo sorridere appagato dai suoi
manicaretti. Harry aveva trovato Wendy un pomeriggio in

214
cui si era sentito particolarmente triste e quel locale
dall'arredo un po' rétro lo aveva accolto come le braccia
confortanti di una madre. Poi, qualche giorno dopo, ci
aveva trascinato anche Louis per una cioccolata calda e
da quel momento non l'avevano più abbandonato. A
Harry piaceva ritrovare i soliti avventori, amici e nipoti
della proprietaria per lo più, e Louis trovava buffo che il
suo ragazzo andasse così d'accordo con bambini e
anziani. Solitamente guardava assorto il menu per minuti
interi, indeciso se prendere il gelato al cioccolato o alla
vaniglia, e finiva sempre per strabuzzare gli occhi e
aprirsi in un sorriso contagioso quando Wendy glieli
portava entrambi nella coppa, insieme a della panna e
cialde extra che neanche gli avrebbe fatto pagare.
Successe anche quel pomeriggio e Louis ridacchiò
divertito quando l'anziana gli strizzò anche le guance
prima di tornare in cucina.

«Lou?»

«Sì?»

«Mi chiedevo...» Harry giocherellò un istante con il gelato


sciolto presente nella sua coppa. «...ora che sei il mio
ragazzo, mi aiuterai ugualmente con la lista?»

«Certo!» esclamò Louis. «Ci sto lavorando, credimi.


Abbiamo già spuntato due voci su quattro.»

«Ho Leo...»

«...e hai organizzato il tuo primo appuntamento con


Dan...»

«In realtà, vorrei che quell'uscita non contasse.» ribatté e


Louis sorrise perché aveva tanto sperato in quella
correzione. «Vorrei che considerassimo la cena a casa
mia l'appuntamento della lista.»

215
«Per me va più che bene. Hai più pensato al quinto
punto?»

«Ci sto lavorando su. Andiamo?»

Louis annuì, prima di andare a pagare. Camminarono


mano nella mano per il quartiere, parlando del più e del
meno e fermandosi di tanto in tanto davanti la vetrina di
un negozio. Louis non riusciva ancora a realizzare che
quella fosse la realtà, che Harry fosse il suo ragazzo e che
fosse finalmente felice. E sapeva di non dover basare la
sua felicità su un'altra persona, ma non aveva problemi
ad affermare che Harry gli avesse migliorato l'esistenza.
Si sentiva più leggero con la mano nella sua, al sicuro
protetto da quelle braccia forti, un privilegiato quando gli
rivolgeva quel sorriso.

«Allora, vuoi salire?»

Si trovavano davanti il portone d'ingresso del suo


palazzo, il sole stava per tramontare e l'uno non voleva
lasciare andare via l'altro.

«Non c'è quel mostro del tuo coinquilino?»

«Potrebbe esserci, ma possiamo rinchiuderci in camera


mia e non incontrarlo neanche.»

Harry si convinse ad accettare e, pochi minuti dopo,


varcò la soglia della stanza di Louis per la prima volta.
Cominciò a girovagare in quello spazio ristretto,
prendendo in mano i piccoli oggetti che affollavano la
libreria per poi rimetterli a posto con un sorriso sulle
labbra. Si fermò anche a guardare la bacheca di sughero
posta sopra la scrivania e scrutò le foto e i biglietti aerei e
del treno presenti, prima di indicare la polaroid che li
ritraeva insieme ai mercatini di Natale.

216
«Hai finito?» chiese Louis, sedendosi sul bordo del letto.
«O cerchi prove per il mio coinvolgimento in un
omicidio?»

«Tu hai curiosato nella mia stanza senza il mio permesso


per settimane.»

«Raccoglievo soltanto informazioni su di te dal momento


che non mi dicevi mai nulla.»

Harry ridacchiò, prima di posizionarsi tra le sue gambe


aperte, e non si allontanò quando l'altro poggiò i palmi
delle mani sul retro delle sue cosce.

«E che idea ti eri fatto dalle informazioni raccolte?»

Louis lo invitò a sedersi a cavalcioni sul suo bacino e lo


guardò con aria di sfida.

«Che eri un tipo piuttosto ordinato e noioso, a dire la


verità.»

Notando il suo sorriso furbo, Harry scosse la testa e


allacciò le mani dietro la sua nuca per avvicinarlo
maggiormente a sé. Un istante dopo, muoveva le labbra
morbidamente contro quelle di Louis e dondolava
lentamente il bacino sul suo. Louis sospirò sulla sua
bocca, quando Harry strinse delicatamente tra i denti il
suo labbro inferiore e lo tirò indietro, facendolo sfuggire
presto alla sua presa.

«Noioso, eh?»

«Puoi fare di meglio, Harold.»

Harry liberò tutta la tensione accumulata fino a quel


momento con una risata genuina e l'unico pensiero che
attraversò la mente di Louis fu quanto fosse bello. Voleva

217
vederlo ridere sempre con le labbra e con gli occhi,
voleva che fosse sempre felice. E Harry lo era, anche in
quel momento, quando fece scontrare la schiena di Louis
con il materasso e cominciò a baciarlo di nuovo sulle
labbra. Poi, i baci divennero più languidi e raggiunsero il
collo e le clavicole: a quel punto, la sua felpa risultò
essere di troppo e Harry gliela sfilò per osservare il suo
torace in ogni dettaglio, tatuaggio o piccola imperfezione.
Percorse con le labbra il tatuaggio che aveva sul petto e
andò a stuzzicare con la lingua i suoi capezzoli, facendolo
gemere oscenamente. Louis, colpito dalla sua
intraprendenza, ribaltò presto le loro posizioni e lo privò
della camicia e della t-shirt, rimanendo a bocca aperta
per il tatuaggio che gli monopolizzava l'addome.

«Una farfalla, davvero?»

«Per sentirmi libero, sempre.»

Quella risposta lasciò Louis meravigliato tanto che a Harry


bastò poco per prendere il controllo e spingerlo ancora
una volta sul materasso. Percorse il suo torace con una
scia di baci e con i suoi riccioli solleticò la pelle sensibile
di Louis, che non poté non ridacchiare. Inebriato da
quella sensazione di leggerezza, Louis non si accorse
neanche delle mani di Harry che armeggiavano contro la
zip dei suoi pantaloni e che abbassavano i suoi boxer.

Fu tutto così imprevedibile da fargli girare la testa.

Harry si posizionò tra le sue gambe e gli sfiorò l'erezione


già dura con la punta dell'indice, quasi a prendere
confidenza. Quando si abbassò e premette un bacio sulla
punta turgida, Louis trattenne il respiro e temette che il
cuore gli sarebbe balzato via dal petto presto. Poi, lo
liberò in un rumoroso sospiro non appena Harry percorse
il suo membro con la lingua piatta e ne stuzzicò la base
con una mano.

218
«Harry?» lo chiamò, cercando di rimanere lucido. «N-ne
sei sicuro?»

Harry non esitò, ma inglobò lentamente il membro duro


tra le sue labbra e si spinse su e giù lungo esso, liberando
sottili mugolii e lasciando che Louis di tanto in tanto gli
accarezzasse la guancia o passasse una mano tra i suoi
ricci. Quando gli sembrò più sicuro, Louis cominciò a
incontrare con il bacino i suoi affondi e si godette una
vista che, fino a quel momento, aveva potuto soltanto
sognare. Non c'era un centimetro di pelle, arto o muscolo
che non sentiva febbricitanti, invasi da quel piacere così
familiare, ma allo stesso tempo nuovo perché era Harry a
provocarlo.

C'era Harry e nessun altro nella sua mente, nel suo cuore
e intorno a lui.

Louis liberò il suo orgasmo e l'altro lo accolse senza


alcuna esitazione, leccando con devozione il suo membro
e incontrando il suo sguardo, forse per avere la sua
approvazione. Tuttavia, non serviva alcuna approvazione
perché il sesso non aveva bisogno di schemi o di regole
da seguire e sperò che Harry lo avrebbe imparato al più
presto per vivere al meglio quella esperienza. Louis
strinse i suoi capelli in un pugno e lo invitò ad avvicinarsi
al suo viso, prima di baciare le sue labbra e percepire
sulla lingua il suo sapore di uomo.

«Harry, è stato...» esitò, perché un solo aggettivo non


avrebbe mai potuto esprimere quel turbinio di emozioni
appena provato: tuttavia, uno ci si avvicinava.
«...perfetto.»

Harry sorrise imbarazzato e abbassò lo sguardo sulla


coperta, Louis gli accarezzò una guancia con il palmo
della mano e lo invitò a guardarlo ancora negli occhi
prima di avanzare una candida richiesta.

219
«Fammi provare a farti stare bene. Voglio farti sentire
bene, così come tu hai fatto con me poco fa.»

«I-io...» balbettò Harry e, prima che Louis potesse


tranquillizzarlo o rassicurarlo, dalle sue labbra fuoriuscì
un flebile «...devo andare via».

Si allontanò e si infilò la t-shirt per poi afferrare la


camicia e catapultarsi fuori dalla stanza, lasciando Louis
inerme sul letto. A niente servì ricomporsi un istante
dopo, sistemare i pantaloni che aveva alle ginocchia o
precipitarsi all'ingresso dell'appartamento con la sua t-
shirt ancora in mano: Harry era scappato via, non
lasciando alcuna traccia di sé.

Libero. Harry si era tatuato una farfalla sull'addome per


sentirsi libero.

Tuttavia, qualcosa gli suggeriva che non lo sarebbe mai


stato fino in fondo, se prima non avesse sconfitto le mille
paure e insicurezze che tarpavano le ali di quella farfalla.

«Niall?» Louis era affannato, avendo dovuto evitare i


passanti sul marciapiede e ripararsi dalla pioggia. «Sei a
casa?»

«Sì, sono tornato poco fa.» sospirò l'amico, forse stanco


per il suo turno di lavoro o perché avvertiva puzza di
guai. «Stai correndo?»

«Sto salendo ora le scale del tuo palazzo. Il vostro


ascensore si è rotto di nuovo, dovreste davvero
aggiustarlo!»

«E tu dovresti smettere di fumare.»

220
«E tu di ripetermelo ogni volta.» Concluse la telefonata
con un «aprimi, sono alla porta!».

Dopo pochi istanti, Niall aprì il portone e lo guardò


confuso sia per il fatto di essere bagnato dalla testa ai
piedi che per l'espressione di terrore che aveva sul viso.

«Sei da solo?» chiese Louis, l'altro annuì e lo invitò a


entrare. «Bene, credo di aver rotto Harry.»

«Cosa?»

«Abbiamo fatto una...ehm...cosa qualche giorno fa e lui


non è più lo stesso da allora. Mi risponde a spizzichi e
bocconi per telefono, si inventa scuse per non vedermi e
io sto cercando di non impazzire e di rispettare i suoi
spazi e i suoi tempi, ma è difficile.»

«Okay.» Prese un profondo respiro e lo fece sedere sul


divano per poi consegnargli una tazza di tè bollente e
intonsa. «Prima di tutto bevi questo e tranquillizzati, io
vado a prendere una felpa asciutta per te.»

«Ma era tuo!»

«Serve più a te che a me in questo momento, bevilo!»

Louis annuì, perché il suo migliore amico non aveva tutti i


torti. Quando Niall tornò in soggiorno con una felpa calda
e asciutta e lo invitò a cambiarsi, Louis era notevolmente
più calmo e la tazza quasi vuota.

«Allora, mi dici cosa stai combinando con Harry?»

E Louis non sapeva spiegarsi perché ultimamente ogni


loro conversazione iniziasse in quel modo. Comunque, gli
raccontò le circostanze della fuga di Harry e ignorò le sue

221
risate quando gli disse di essere stato abbandonato sul
letto nudo e con mille dubbi nella testa.

«Non ridere, Niall!» lo ammonì disperato. «Quindi,


secondo te, l'ho rotto?»

«No, Lou. Non l'hai rotto, credo che si sia soltanto


spaventato.»

«Ma era così sicuro mentre lo faceva, te lo giuro.»

«Magari, si è sentito sopraffatto da tutte quelle emozioni


diverse che ha provato. Ricorda che lui non ha molta
esperienza con il sesso e i preliminari.»

«Ma gli uomini non pensano al sesso ventiquattro ore su


ventiquattro?»

«Non ne ho idea, ma potresti risponderti da solo visto che


sei un uomo anche tu.» ridacchiò e Louis fece una
smorfia. «E comunque non credo che Harry pensi al sesso
ventiquattro ore su ventiquattro.»

«Ho combinato un disastro.»

Fece scontrare la schiena con i cuscini morbidi del divano


e sospirò, mentre guardava Leo raggomitolarsi al suo
fianco, quasi a consolarlo.

«Non hai fatto nulla di irreparabile.» ribatté dolcemente


Niall. «Sei soltanto andato troppo veloce.»

«Sono andato come un treno ad alta velocità.»

«E sono anche sicuro che tu piaccia a Harry sotto quel


punto di vista. Dopotutto, è un ragazzo di ventitré anni e
ha delle pulsioni sessuali...»

222
«Bleah.»

«È linguaggio tecnico.»

«Non dirlo mai più, per favore.»

«E va bene, non lo dirò più.» sbuffò. «Ma credo che


dovreste parlare a cuore aperto e senza imbarazzo di
questa questione.»

«Sono il primo a volerlo, ma mi sta evitando da una


settimana.»

«Ti sta evitando? Strano, pensavo che fosse da te visto


che qui non c'è stato quasi mai negli ultimi giorni.»

Louis boccheggiò, chiedendosi dove Harry avesse passato


il suo tempo libero e preoccupandosi per lui, ma non ebbe
modo di esprimere i suoi interrogativi a riguardo perché
d'un tratto il portone si aprì e rivelò la sua figura. Harry
sembrò sorpreso di trovarlo lì tanto da fissarlo quasi a
bocca aperta e ancora fermo sulla soglia del portone. A
Louis era mancato così tanto da voler alzarsi, abbracciarlo
e stropicciare il suo viso di baci, ma si trattenne per non
peggiorare ulteriormente la situazione.

«Ehi.»

«Ci sei anche tu.» mormorò Harry, chiudendosi il portone


alle spalle.

Sì, ci sono anche io. Ci sono anche io nella tua vita.


Parlami, fammi entrare. Non chiudermi fuori.

Lo pensò, ma non ebbe il coraggio di dirlo. Un istante


dopo, Niall annunciò loro di ritirarsi in camera sua e lanciò
uno sguardo eloquente a Louis, quasi a dire "sistema le
cose!", prima di scomparire definitivamente nel corridoio.

223
«Harry, che cosa stiamo combinando?»

Harry prese un profondo respiro e Louis trattenne il fiato,


immaginando il peggio: pensò che fosse stanco della sua
presenza, che fosse arrivato persino a odiarlo e a non
volerlo vedere mai più, credette che fosse tutto finito.

«Ti va di venire con me in un posto?» chiese lui, invece.

«Dove?»

«In un posto. Fidati di me.»

Fidati tu di me, Harry.

Lo pensò, ma non lo disse. In ogni caso accettò, perché


era Louis Tomlinson e non si arrendeva facilmente,
soprattutto se si trattava di Harry.

«Sono stato qui molto spesso nell'ultima settimana.»

Furono le prime parole che Harry gli rivolse da quando


avevano abbandonato l'appartamento ed erano finiti in un
parco a nord di Brick Lane, uno di quelli frequentati da
numerose famiglie la domenica mattina.

«Mi ricorda un piccolo parco in cui andavo spesso quando


ero a casa, a Manchester.» Poggiò le mani sul parapetto
del ponte che univa le due sponde del laghetto sul quale
si trovavano. «Prima di trasferirmi a Londra, ci andavo
ogni volta in cui tutto diventava troppo. Mi sedevo sulla
mia panchina, chiudevo gli occhi e aspettavo che quel
posto facesse il suo lavoro. Tutto tornava alla normalità o
quanto meno a essere sopportabile.»

224
Harry chiuse gli occhi e rimase immobile per un tempo
che sembrò infinito. Quel posto stava facendo il suo
lavoro, lo stava calmando e stava eliminando il troppo, e
Louis non poté fare a meno di pensare che
quel troppo fosse proprio lui, lui e la loro relazione.
Quando li riaprì, incatenandoli ai suoi, i lineamenti del suo
viso sembravano meno tesi e le spalle meno rigide. Era
bellissimo anche alla luce calda del tramonto, con la pelle
ambrata e i ricci che si muovevano al venticello
primaverile.

«Ed è per questo che sei andato via dal mio


appartamento quel pomeriggio? Perché tra noi era
diventato tutto troppo?»

«Sono andato in confusione, ma non rimpiango nulla di


quel pomeriggio insieme. Volevo farti stare bene, volevo
sentirmi bene e...per un istante ho anche pensato di
poter fare l'amore con te, Lou.» Lo disse con una
naturalezza tale da fargli tremare il cuore. «E io non ho
mai provato certi sentimenti per nessuno prima che
arrivassi tu nella mia vita.»

Harry fece scivolare una mano verso la sua, anch'essa


ferma sul parapetto in legno, e intrecciò le loro dita.

«Mi sei mancato così tanto in questa settimana e stavo


impazzendo, non dovevi scappare da me.»

«Mi vergognavo.» si giustificò. «Mi vergognavo di


ammettere di essere già venuto nei miei boxer o che
tutta la questione "sesso e preliminari" fosse
completamente nuova per me. Sei stato il primo ragazzo
con cui l'ho fatto e la prospettiva di poterti dare altro di
me o di perdere ancora una volta il controllo mi ha
spaventato a morte. Io non perdo mai il controllo, Louis.»
affermò con impeto, prima di addolcirsi. «Mi succede
soltanto con te e non so ancora come gestirlo. Vorrei
essere perfetto per te, così come tu lo sei per me.
225
Eppure, non posso perché significherebbe negare ciò che
sono e io sono lontanissimo dalla perfezione. Quel
pomeriggio l'unica possibilità che avevo per non rendermi
ulteriormente ridicolo era andare via.»

«L'unica possibilità che hai è rimanere.» lo corresse


Louis, portando alle labbra la sua mano per baciarne le
nocche e, infine, il dorso. «Ricordi? Te l'ho promesso
anche io tempo fa, ora tocca a te.»

Harry annuì, prima di ridurre la loro distanza a qualche


millimetro.

«E riguardo al fare l'amore, io ti aspetto. Ho sempre dato


il giusto valore a quell'atto e voglio che tu sia pronto e
che ti fidi completamente di me prima di compiere questo
passo perché sarà bellissimo, Harry.» Lo rassicurò.
«Perché tu non sarai perfetto e, fidati, non lo sarò
neanche io...ma insieme io e te lo saremo.»

«Abbracciami, Lou.» Lo implorò, sull'orlo delle lacrime.


«Abbracciami.»

Louis allargò le braccia con un sorriso e Harry si rifugiò al


loro interno, lasciando che i loro corpi si plasmassero a
vicenda. Strofinò il naso sul suo collo per percepirne
l'odore familiare e poggiò il capo sulla sua spalla,
chiedendogli silenziosamente di essere cullato. E andava
bene chiederlo, andava bene quell'intreccio confuso di
braccia, persino aver paura di essere solo e volere l'altro
stretto a sé. Louis non lo avrebbe mai fatto sentire solo,
avrebbe sempre cercato di essere la sua bussola, di
portarlo e farlo sentire a casa.

«Non sparire più.»

«Mi dispiace tanto, Lou.»

226
Si baciarono famelicamente, come se anelassero a quel
semplice contatto da sempre. Fu un bacio profondo, che
esorcizzava il male dei giorni passati, ma che sapeva di
riconciliazione e di promessa, quella di non scappare più.

Un paio di ore più tardi, i due tornarono a casa e


trovarono Leo e un biglietto sul tavolo ad aspettarli: la
grafia tremolante di Niall li informava che sarebbe andato
al cinema con Lisa e di raggiungerli al solito pub per una
birra insieme più tardi.

«Non dormo bene da giorni e vorrei soltanto rimanere a


casa stasera.» disse Harry con una smorfia, mentre
riempiva la ciotola di Leo. «Resti qui con me?»

«Sì, certo.»

Harry gli sorrise e lo prese per mano, intrecciando


lentamente le loro dita, per guidarlo in camera sua. La
stanza era fiocamente illuminata grazie ai lampioni
esterni, ma quella penombra bastava a guardarsi negli
occhi e a sorridere. Con i baci di Harry a tempestargli il
viso, il collo e le clavicole, Louis non riusciva a fare altro.
Il suo cuore batteva all'impazzata e fu contento di
constatare che quello di Harry facesse altrettanto, che
non fosse il solo a provare quell'emozione così
totalizzante.

«Non mi piace quando indossi le felpe di Niall, il tuo


profumo si confonde con il suo.»

«Aiutami a toglierla, allora.»

Le sue mani, seppur tremanti, eseguirono quell'invito e gli


accarezzarono il petto, le spalle e le braccia con
devozione. Nessuno lo aveva mai toccato in quel modo,

227
con così tanta minuzia e attenzione per ogni suo
particolare. Altri avevano saggiato quel corpo prima di lui
e non avevano fatto altro che prendere. Harry, invece,
con quelle carezze e quei baci, che sfioravano
delicatamente la sua pelle nuda, gli restituiva parti di sé
che pensava essere andate via per sempre.

«Ora tu sai di me e io so di te.»

Harry si allontanò soltanto per guidare le mani di Louis


sulla zip del suo jeans, ma quest'ultimo lo fermò. Gli
prese le mani e le portò alle labbra, baciando i polpastrelli
delle dita, i palmi e la parte interna del polso.

«Cominciamo dalle cose più semplici, okay?» chiese


Louis. «Ti fidi di me?»

«Sì.»

Allora, Louis sbottonò la sua camicia lentamente e baciò


la pelle e i tatuaggi che man mano scopriva. Percorse con
le labbra le rondini sul petto, tracciò i contorni della
farfalla sull'addome e in seguito incontrò le ossa sporgenti
del bacino e le felci che vi erano disegnate. Sentì la pelle
di Harry incresparsi di brividi e lo vide reclinare il capo
all'indietro per liberare un dolce sospiro. Non distolse mai
lo sguardo dal suo viso, neanche quando gli fece scivolare
i pantaloni lungo le gambe e lo aiutò a calciarli via,
lasciandolo soltanto con i boxer indosso.

«Va tutto bene?» chiese, inginocchiato davanti a lui.

«È-è tutto perfetto, Lou.»

Louis si alzò dal pavimento con un sorriso e lo guidò


verso il letto, prima di invitarlo a occuparne il centro.
Harry si sistemò su di esso, ma si alzò sui gomiti per non
perdere di vista i suoi movimenti: lo guardava curioso,

228
eccitato, desideroso di imparare e provare lo stesso
piacere che aveva visto negli occhi dell'altro pochi giorni
prima. Louis si posizionò tra le sue gambe e afferrò
l'aeroplanino d'argento che pendeva dalla collana per
attirarlo a sé in un bacio mozzafiato, poi spostò le labbra
sempre più giù. Sulla mandibola, sul collo e sull'addome,
prima di umettare i suoi capezzoli con la lingua e soffiarci
su, facendogli liberare un sottile gemito. Riservò la stessa
attenzione al bacino e, non appena fece scontrare la
bocca con le sue ossa sporgenti, agganciò le dita al bordo
elastico dei boxer e lo trascinò con estrema lentezza,
liberando il suo membro da ogni costrizione.

Si dedicò prima a baciarne la base, poi si spostò a destra,


lì dove l'inguine diventava coscia, succhiando quel lembo
di pelle con devozione: succhiava, mordeva e leniva con
la sua lingua trasformandosi prima nella malattia e poi
nella cura. Fermò il suo bacino contro il materasso per
impedirgli di muoversi impaziente e, sorprendendolo,
inglobò la punta rossa e umida del suo membro tra le
labbra, occupandosene con dedizione. Quando scese sulla
sua lunghezza, con la lingua a lambirne la pelle vellutata,
vide Harry soffocare un gemito e stringere nei pugni le
lenzuola.

«Harry, non trattenerti mai con me.» mormorò affannato


perché quella visione, quella di Harry che si contorceva di
piacere sotto di lui, era fin troppo da sopportare. «Ci
siamo solo io e te. Ho bisogno di sentirti. Per favore.»

Luì annuì, prima di andare incontro agli affondi di Louis e


sollevare ritmicamente il bacino. Non appena la punta
turgida del suo sesso gli sfiorò la gola, Harry non poté
fare a meno di liberarsi in un gemito acuto e da quel
momento in poi non si trattenne più. Tacque soltanto
quando le dita di Louis delinearono le sue labbra rosse e
piene e le penetrarono, spingendolo a succhiarle
avidamente e a mugolare di piacere. Il suo respiro si
intensificò quando Louis tracciò con le dita bagnate della

229
saliva la sua apertura piccola e stretta, per poi mozzarsi
del tutto quando queste cominciarono a premere contro
di lui e a scoprirlo in un modo che non aveva concesso a
nessuno, neanche a se stesso.

Ci fu un istante particolare tra loro, un istante in cui tutto


si fermò, persino i loro cuori. Un istante in cui Harry si
irrigidì. Uno in cui Louis saggiò la sua carne calda e
stretta intorno al dito. E un altro in cui Harry si arrese a
lui, si fidò e sciolse i suoi nervi tesi.

Gemette di piacere e Louis si sentì autorizzato ad


aggiungere un secondo dito, mentre si chinava ancora
sulla sua erezione e la succhiava lascivo, non potendo
fare a meno di guardarlo: Harry era bellissimo quando
era in preda al piacere, mentre si muoveva avanti e
indietro con il bacino cercando le sue labbra e la
pressione delle sue dita, quando era libero. Poi, ricordò le
sue parole: per essere libero, sempre. E realizzò che lo
fosse per davvero quando, dopo aver colpito più volte il
suo punto più sensibile, Harry fu scosso dall'orgasmo e
Louis lo accolse ancora tra le labbra, prima di baciarlo e
intrecciare le loro lingue ancora e ancora.

Un groviglio di braccia, gambe e anime che non si sciolse


fino a quando Harry non ribaltò le posizioni e con gli occhi
che brillavano di una nuova luce lo spogliò, liberando la
sua erezione pulsante. Si sedette a cavalcioni su di lui e
prese i loro membri nella mano per pomparli insieme: il
palmo ad avvolgere il sesso di Louis e a massaggiarlo, le
estremità delle sue dita a solleticare il suo che era ancora
turgido. A Louis bastò che Harry, scosso dal suo secondo
e più flebile orgasmo, pronunciasse il suo nome con il
respiro spezzato per abbandonarsi definitivamente al
piacere.

«Ora sei libero per davvero.»

230
Lo soffiò sulle sue labbra e non gli importò che Harry non
capisse ciò che intendeva perché nella sua mente, ancora
obnubilata dall'orgasmo, aveva tutto un senso. A volte,
bisognava lottare per essere liberi e Harry in quel
momento aveva combattuto contro ogni sua incertezza
uscendone vittorioso. E, ancora una volta, quest'ultimo lo
sorprese.

«Libero sì, ma solo con te.»

231
CAPITOLO 9

Era una notte di fine aprile quando Louis scoprì che Harry
avesse un giorno buio, quello che poi avrebbe
rinominato il giorno buio per eccellenza.

Dormivano serenamente nel loro letto, come la maggior


parte delle notti: a Harry piaceva addormentarsi con il
suo respiro caldo sul collo e a Louis piaceva svegliarlo con
dei baci e delle carezze sulla guancia, dove compariva
una fossetta ancora prima di potergli augurare il
buongiorno. Harry era di poche parole al mattino ed era
difficile strappargli più di quel sorriso tra le lenzuola, ma
Louis era felice di essere proprio lì, al suo fianco,
nonostante tutto.

Eppure, quella volta non bastò stargli vicino.

Quella notte, Louis si svegliò con Harry che cercava di


divincolarsi dalle coperte e con le sue lamentele sfumate
presto in urla. Per la prima volta da quando lo conosceva,
Louis ebbe paura: non di Harry e di quello che avrebbe
potuto fargli, ma di cosa avrebbe potuto fare a se stesso.
Harry si liberò dalle coperte e gettò sul pavimento
qualunque oggetto incontrasse la sua furia, l'abat-jour, i
libri che aveva sul comodino, persino la fotografia che lo
ritraeva con la sua famiglia, il cui vetro ormai giaceva in
mille pezzi sul pavimento. E mentre lui prendeva, gettava
a terra e distruggeva, la sua voce ripeteva flebilmente
una sola frase - non andare via - come se fosse un'amara
nenia, una preghiera, una supplica.

Incapace di reagire, Louis rimase a guardarlo distruggere


la stanza, se stesso e l'illusione che tutto stesse andando
per il meglio fino a quel momento. Harry sembrava
essere a pezzi e Louis non sapeva come aggiustarlo e
tenerlo insieme. Era una furia distruttrice e lui un
semplice spettatore. Non sembrava neanche se stesso
con i ricci bistrattati, le narici che si allargavano per
232
respirare affannosamente o gli occhi neri come
l'ossidiana. Realizzando che non ci fosse nulla
del suo Harry in quel ragazzo, Louis decise di agire nel
modo meno ortodosso che avrebbe potuto scegliere. Lo
fronteggiò e, dopo avergli sussurrato «scusa», gli
rovesciò un bicchiere d'acqua fredda sul viso. Harry
sbarrò gli occhi prima di battere le palpebre più volte, poi
cominciò a tremare dalla testa ai piedi e tutta la sua furia
distruttrice scemò in un pianto accorato.

«L-lui è andato via, è colpa mia...» balbettò, mentre


Louis lo stringeva a sé in un abbraccio che sapeva di cura
e di guarigione. «...i-io...»

Presto rimasero soltanto i singhiozzi di Harry a far rumore


tra loro: quelle che aveva appena ascoltato e che gli
erano apparse confuse sarebbero state le sue ultime
parole quella notte, ma Louis non poteva ancora saperlo.
Lo guidò in bagnò e lo fece sedere sul bordo della vasca,
raccolse i suoi capelli in uno chignon disordinato e passò
un asciugamano sul suo viso. In quel modo, pensò di
cancellare anche il suo dolore, ma presto capì che non
sarebbe mai bastato perché Harry continuava a piangere
silenziosamente e lui a sentirsi sempre più inutile. E non
c'era niente di più doloroso dell'essere impotenti davanti
al dolore altrui, di non poter condividere il peso che Harry
portava sulle sue spalle. Quando tornarono in camera e lo
invitò a sedersi sul letto, Louis pensò di chiamare l'unica
persona che avrebbe potuto aiutarlo.

«Niall?» esordì, non lasciando all'amico neanche il tempo


di ribattere. «Mi dispiace disturbarti a lavoro e a
quest'ora, ma mi devi aiutare.»

«Lou, che succede?»

«È per Harry.» rispose, lanciando uno sguardo


preoccupato al ragazzo. «Ha cominciato ad agitarsi nel
sonno un'ora fa, poi si è svegliato e ha distrutto la stanza.
233
Sono riuscito a fermarlo, ma ora non smette di piangere e
io non so più cosa fare.»

«Cazzo, è il ventotto aprile.»

«Cosa significa?»

«Non posso dirtelo, Lou. Non devo essere io a


parlartene.» affermò, prima di prendere un profondo
respiro. «Prendi la mia macchina e portalo da sua
madre.»

«A-a Manchester?»

«A Manchester.»

Louis non osò ribattere, certo che Niall sapesse cosa fosse
più giusto fare in quella situazione. Avere uno scopo,
portare Harry dalla sua famiglia che avrebbe potuto
aiutarlo, sembrò rinvigorirlo e chiuse svelto la telefonata,
prima di preparare un borsone con il minimo
indispensabile. Prese Harry per mano e lo trascinò fuori
dall'appartamento, dopo essersi accertato che Leo avesse
abbastanza acqua e cibo fino al ritorno di Niall a casa.
Harry continuava a mormorare qualcosa che lui non
riusciva a capire e guardava fisso un punto davanti a sé,
ma non opponeva resistenza e questo bastava per il
momento. Lo fece entrare nell'automobile e gli allacciò la
cintura di sicurezza.

Poi, si sedette al posto del guidatore e si immise nelle


strade poco trafficate di Londra con la speranza di
arrivare a Manchester il prima possibile e scrollarsi di
dosso l'intera nottata.

234
Harry si addormentò dopo la prima ora di viaggio e,
soltanto quando lo vide rilassare i lineamenti del suo viso,
Louis poté tirare un sospiro di sollievo.

Non si concesse altro, neanche una lacrima per sfogare la


sua frustrazione, perché doveva rimanere vigile e lucido.
Dopo un paio d'ore si fermò in una stazione di servizio,
comprò un tè nero per tenersi sveglio e mandò una mail
al signor Orwell, il suo capo, per avvertirlo che quel
venerdì non sarebbe andato a lavoro per problemi di
famiglia. E non era una bugia: Harry era diventato tutto
ciò di cui Louis aveva bisogno in pochi mesi, era ormai
diventato parte della sua famiglia. La terza ora di viaggio
fu la più estenuante perché, più Louis si avvicinava a
Manchester, più sentiva la sua ansia crescere a dismisura.
All'alba, scoprì che Harry abitasse nei sobborghi a sud
della città, in un quartiere residenziale fatto da casette a
schiera a mattoncini che si ripetevano senza sosta.
Arrivato al numero 8 di Canon Street, Louis trovò Anne
sotto il portico bianco con una tazza in mano e una
vestaglia indosso e tirò un sospiro di sollievo nel vedere
finalmente una faccia amica. Si affrettò a scendere
dall'automobile e, prima che potesse raggiungere lo
sportello del passeggero per svegliare Harry, William
comparve per prendere tra le sue braccia il fratello e
portarlo in casa. A Louis non restò che recuperare il
borsone e raggiungere Anne, ancora ferma all'ingresso,
che lo accolse con un abbraccio spaccaossa.

«Grazie per averlo portato a casa, Louis.»

«Non sapevo cosa fare.» si giustificò con un filo di voce.


«Spero soltanto che lui stia bene.»

«La cosa migliore che potessi fare era accompagnarlo qui


e lo hai fatto, tesoro.» Anne gli rivolse un sorriso
comprensivo. «Grazie per essere rimasto lucido.»

235
«Non lo ero inizialmente. Ho lasciato che Harry rompesse
tutto ciò che aveva a disposizione...persino la vostra foto,
quella che ha sul comodino.»

«Una foto, per quanto possa essere preziosa, rimane


soltanto una foto.» lo rassicurò, prima di guidarlo
all'interno della casa. «La aggiusteremo.»

E Harry? Aggiusteremo anche Harry? Chiese a se


stesso. No. Harry non era rotto, Harry era Harry e
bisognava accettarlo così com'era.

Louis la seguì, notando quanto fosse accogliente la casa


che aveva visto crescere Harry. C'era tanto colore tra le
pareti bianche e il parquet scuro, c'era negli arredi, nella
tappezzeria, c'era nelle foto che parlavano della famiglia
Styles. Si soffermò a guardarne una in particolare che gli
scaldò il cuore: il suo Harry con gli occhi verdi e ridenti, le
labbra curvate in un sorriso e un bomber di pelle a
tenerlo caldo era accanto a un uomo in divisa,
inginocchiato per raggiungere la sua altezza, e un grande
aeroplano faceva loro da sfondo.

«Era carino, vero?» chiese Anne, specchiando il suo


sorriso.

«Molto, sembra essere molto felice in questa foto.»

«Lo era, aveva soltanto cinque anni ed era la prima volta


in cui vedeva un aereo da così vicino. Non smetteva di
ripetere che fosse il giorno più bello della sua vita.» disse
con malinconia. «Ad oggi, l'ho visto ancora sorridere in
quel modo, ma non gli ho mai sentito ripetere quelle
parole.»

«Anne, l-lui...» esitò per un istante. «...sono sicuro che


pronuncerà quelle parole ancora una volta.»

236
Lei annuì prima di spostarsi in cucina e armeggiare ai
fornelli. «Hai guidato tutta la notte, vuoi fare colazione?»

«Ho già preso un tè in una stazione di servizio per


tenermi sveglio, non preoccuparti.» rispose
educatamente. «Potrei andare da Harry? Vorrei essere
con lui quando si sveglierà.»

Non lo disse ad Anne, ma voleva replicare il loro solito


risveglio: Louis che gli accarezzava la guancia e Harry che
faceva qualche smorfia iniziale, Harry che riconosceva il
suo tocco delicato e si spingeva contro il palmo della sua
mano, Louis che lo baciava delicatamente sulle labbra e
Harry che non impiegava molto ad accogliere quel bacio e
a renderlo più profondo. Voleva replicarlo per farlo sentire
a casa, per assicurarsi che nulla fosse cambiato tra loro.

«Certo, tesoro.» Anne addolcì lo sguardo e Louis si sentì


meno in colpa a lasciarla da sola in cucina. «Sali le scale,
la sua stanza è la seconda a destra.»

A Louis piaceva accarezzare la pelle morbida di Harry


perché riusciva sempre a percepirne il calore, anche in
quel momento.

Era disteso al suo fianco, ma non aveva chiuso occhio


nelle ore precedenti per vegliare ogni respiro e
movimento dell'altro, temendo che potesse svegliarsi di
nuovo e avere un'altra crisi. Era strano ritrovarsi nella
stanza di Harry in quel modo, senza quest'ultimo a fargli
da cicerone, ma in ogni caso non gli sfuggirono quei
particolari che parlavano di lui, come la coperta dallo
sfondo azzurro e dalle nuvole bianche, la libreria piena di
modellini di aeroplani o il giradischi con i 45 giri dei suoi
gruppi preferiti. Louis si sorprese a sorridere, prima di
irrigidirsi e notare Harry muoversi e aprire lentamente le
palpebre.
237
«Ehi.» mormorò, mentre gli accarezzava la guancia per
tranquillizzarlo.

«D-dove siamo?».

«Nella tua stanza, a Manchester.»

Harry si alzò sui gomiti, interrompendo quel contatto, e


cominciò a guardarsi intorno quasi a sincerarsi di quella
risposta. Poi, raccolse le gambe al petto e rivolse la sua
attenzione a Louis.

«Mi guardi come se fossi un sopravvissuto.»

«Non è vero.»

«Non ricordo come siamo arrivati qui.»

«Ti sei svegliato la scorsa notte e...»

«No, quello lo ricordo.»

«Okay, allora ci siamo messi in macchina e ho guidato


fino a qui. Tu hai dormito tutto il tempo e al nostro arrivo
William ti ha portato in casa.»

Harry annuì pensieroso. «Scusa per averti coinvolto, non


avrei dovuto chiederti di rimanere ieri sera. Devi esserti
spaventato molto.»

«È tutto okay, Harry.» rispose, accennando un sorriso


comprensivo e mettendogli dietro l'orecchio un ricciolo
sfuggito al suo chignon disordinato. «Hai fame? Vuoi
mangiare qualcosa?»

«Non ho fame.» ribatté, prima di scostare la sua mano.


«Puoi chiamarmi la mamma?»

238
Louis si limitò ad annuire, cercando di non focalizzarsi su
quel rifiuto. Scese al piano terra e fece capolino in cucina,
dove trovò Anne e William a spiluccare dei sandwich per
pranzo.

«Anne?» Lei si ridestò e lo accolse con un sorriso,


invitandolo a sedersi a tavola e a servirsi: sembrava più
serena, nonostante la sua stanchezza. «Harry si è
svegliato e ha chiesto di te.»

Lanciò un'occhiata a William e avvolse due sandwich in un


tovagliolo per portarli a Harry. Louis provò a dirle che suo
figlio gli avesse detto di non aver fame, ma lei era certa
che alla fine li avrebbe mangiati perché «so come farlo
rigare dritto, tesoro».

Non appena Anne salì al piano superiore, Louis sospirò e


si stropicciò il volto con le mani. Era stanco, ma sapeva
che non sarebbe mai riuscito a dormire in quelle
condizioni. Sentì il suo stomaco borbottare per i morsi
della fame e si convinse a prendere un sandwich sotto lo
sguardo indagatore di William.

«Allora, stai bene?» gli chiese, porgendogli una birra.

«Sto meglio ora.»

«Non devi rimanere per forza qui, Louis.» affermò


William, passando una mano tra i capelli castani. «Ora è
al sicuro, possiamo pensarci noi.»

«Non voglio lasciarlo da solo, gli ho promesso di rimanere


al suo fianco e non posso deluderlo proprio ora.»

«Non lo deluderesti, lui capirebbe. Insomma, quasi tutti


vanno via.»

239
«Ma io non sono "quasi tutti", quindi resto.» ribatté.
«Insomma, se per voi non è un problema.»

A quel punto, come se avesse avuto le risposte che


cercava, William si sciolse e gli rivolse un sorriso. «Non è
un problema, anzi. Ci fa piacere avere un po' di
compagnia, questa casa è sempre molto silenziosa.»

«A casa mia, a Eastbourne, non c'è mai un attimo di


pace.»

«Lo trovo positivo, sai? Qui, invece, il silenzio ti


consuma.»

«V-vuoi parlarne?»

«Di quello che è successo stanotte a Harry?»

«Di ciò che vuoi.»

«Il ventotto aprile è una data particolare per tutti noi. Per
me, per mamma, per Harry. Soprattutto per lui, perché
quel giorno ha visto nostro padre morire davanti ai suoi
occhi e non ha potuto fare niente per impedirlo. E oggi è
il dodicesimo anniversario della sua scomparsa.»

A Louis mancò il respiro. In un istante si sentì schiacciato


dal peso di una realtà che non avrebbe mai immaginato
così crudele. Grazie a quella rivelazione, alcuni pezzi del
grande puzzle che era Harry cominciarono ad andare al
loro posto e, d'altro canto, molti dubbi misero in disordine
quelli già posizionati.

«I-io...» esitò, non sapeva neanche come esprimere il suo


cordoglio. «...io non...»

«Non lo sapevi e noi lo immaginavamo. Harry non ne


parla con nessuno, né con noi e raramente con lo

240
psicologo che lo segue per il suo Asperger. Quello al quale
hai assistito la notte scorsa è il suo modo di affrontarlo,
l'unico modo che conosce. Quest'anno, però, pensavamo
che sarebbe andata diversamente.»

«P-perché?»

«Perché c'eri tu al suo fianco. Tuttavia, quando Niall ha


chiamato la mamma nel bel mezzo della notte, abbiamo
capito subito che qualcosa non andava.»

«Perché reagisce in questo modo?»

«Perché è il suo modo di affrontare il dolore, il suo modo


di colpevolizzarsi.» affermò, prima di spiegarsi meglio.
«Harry è sempre stato un perfezionista, fin da bambino.
Era molto capriccioso a volte e l'Asperger tirava fuori il
peggio di lui nei momenti più bui. Si era messo in testa di
volere una casa sull'albero in giardino e nostro padre, che
voleva soltanto vederlo felice, aveva cominciato a
costruirgliela nel tempo libero. Sperava che in qualche
modo, accontentandolo, Harry diventasse più docile e gli
avrebbe dimostrato di più il suo affetto.»

«Ma è nella sua natura non essere molto affettuoso.»

«Lo sapeva anche mio padre, ma non si arrendeva mai


con Harry. Sperava che prima o poi i suoi sorrisi flebili si
sarebbero trasformati in risate o le carezze in abbracci.
Con questo non sto dicendo che papà non accettasse
Harry o il suo Asperger, anzi. Stravedeva per lui e per la
sua intelligenza, ma voleva anche vederlo felice come
qualsiasi bambino della sua età.»

«E come è andata a finire con la casa?»

«Mentre la stava costruendo, papà ha avuto un infarto e


nessuno è stato in grado di aiutarlo o di soccorrerlo con

241
prontezza. Io ero agli allenamenti di calcio, mamma al
negozio di fiori, Harry era soltanto un bambino e
l'ambulanza non è arrivata in tempo.» Guardò
malinconico verso il giardino sul retro. «La casa non è
mai stata terminata e qualche mese dopo la mamma ha
fatto tagliare quell'albero.»

Louis rimase in silenzio per interiorizzare quel racconto,


ma provò molta gratitudine per William, per essersi
messo a nudo e avergli raccontato quella parte così
tragica della loro vita.

«Harry non lo ha mai detto chiaramente, ma


autodistruggersi ogni ventotto aprile è il suo modo di
colpevolizzarsi. Non importa ciò che gli dicono gli
psicologi o la mamma, pensa che la colpa della sua morte
sia sua e di quella casa sull'albero.»

Louis fece scivolare una mano verso quella di William e la


strinse forte, sperando di prendere un po' di quel dolore e
farlo suo, di infondergli forza e coraggio per andare
avanti. Osservò l'uomo davanti a sé e ne fu orgoglioso,
anche se non lo conosceva alla perfezione: bastavano i
racconti di Harry, il fatto che si prendesse cura di sua
madre e di suo fratello ancora oggi, l'amore indissolubile
che provava verso la sua famiglia a fargli credere di avere
davanti a sé una persona meravigliosa.

«Mi dispiace averti reso triste, Louis.»

«Sono soltanto sopraffatto.» mormorò. «Ma vi sono


vicino, William. Per quanto possa contare, vi sono
vicino.»

«Conta molto, Louis. E conta molto anche per Harry


perché tiene tanto a te. Non arrossire!» ridacchiò,
alleggerendo l'atmosfera grave tra loro. «So che lo sai.»

«Suppongo di sì.»
242
«Suppongo che arrossisci così anche quando ti dice che
sei bellissimo?»

«E tu come lo sai?»

«Durante le vacanze di Natale mi ha chiesto perché


chiamassi tutte le ragazze con le quali parlavo
"bellissime" e io gli ho risposto che era semplicemente il
mio modo di fare. E lui sai cosa ha fatto?» Louis scosse la
testa. «Mi ha dato del bugiardo perché alcune di loro non
erano affatto bellissime a detta sua.» Scossero entrambi
la testa perché a volte Harry non aveva proprio alcun
filtro. «Poi, dal nulla, ha aggiunto "Louis è bellissimo,
Louis è bello come il sole".»

E il suo cuore saltò un battito perché anche sua nonna


Margot lo definiva un petit soleil, ma quel complimento
fatto da Harry aveva tutto un altro effetto su di lui.

«Allora gli ho detto che avrebbe dovuto dirtelo e ripeterlo


ogni qualvolta volesse.»

«Quindi devo ringraziare te per farmi arrossire


continuamente?»

«Credo proprio di sì.»

«E devo ringraziarti anche per l'appuntamento di Harry


con Daniel, giusto?»

William boccheggiò per un istante, poi recuperò la sua


spavalderia.

«Diciamo che avrei potuto tacere in quell'occasione. Però,


se vi ha aiutato ad arrivare dove siete ora, quel consiglio
non è stato un completo disastro, giusto?»

Louis sorrise e prese un sorso della sua birra. «Giusto.»

243
*

Louis trascorse con William l'intera ora seguente,


parlando con lui del più e del meno e sorseggiando la loro
seconda birra.

La solarità del ragazzo rendeva tutto più facile, persino


trovare un motivo per cui sorridere con il clima teso che
aleggiava in tutta la casa. Tuttavia, i loro sorrisi
scemarono quando notarono due figure sull'uscio della
cucina e i loro volti tornarono più seri: Anne invitò Harry
a entrare con una spintarella sulla schiena e richiamò in
soggiorno William, forse per lasciare loro un po' di
privacy. Osservando Harry, Louis capì perché avesse
voluto sua madre con sé poche ore prima: Anne lo aveva
cullato e lo aveva aiutato a rimettersi in piedi dal
momento che risultava molto più rilassato. Doveva
essersi fatto una doccia da poco perché i suoi ricci erano
più vaporosi del solito e indossava dei comodi jeans
chiari, una t-shirt bianca e un cardigan color cammello
che non gli aveva mai visto indosso.

«Come stai?» chiese, mentre lo raggiungeva al tavolo.

«Meglio.» borbottò Harry. «Vuoi accompagnarci in un


posto questo pomeriggio? Se non hai portato dei vestiti
con te, posso prestarti qualcosa di mio. Troveremo
qualcosa che ti stia bene.» Non aspettò neanche la sua
risposta. «Oppure potremmo lavare questi che hai
addosso. Me lo ha detto la mamma. Cioè, lei mi ha detto
dei vestiti, ma di accompagnarci in un posto te lo chiedo
io.»

Louis sollevò le sopracciglia sorpreso per la sua


improvvisa parlantina e ne fu anche intenerito a tal punto
da sorridergli e sporgersi nella sua direzione per lasciargli
un delicato bacio sulla guancia. L'altro non si allontanò
quella volta, ma ricambiò quel gesto con un sorriso
imbarazzato e abbassando lo sguardo sul tavolo. Sapeva
244
che Harry odiasse la compassione altrui, ma quella di
Louis era soltanto ammirazione perché non era una
passeggiata affrontare la perdita di un familiare. Non lo
era soprattutto se ti chiamavi Harry Styles e ti era stato
diagnosticato l'Asperger.

«Certo che vi accompagno. Non preoccuparti per i vestiti,


ho portato i miei nel tuo borsone.» rispose, prima di
raggiungere il piano superiore e prepararsi.

Louis lasciò che l'acqua calda della doccia portasse via


ogni tensione accumulata quel giorno e si vestì in fretta,
indossando un pantalone nero e un maglioncino sui toni
caldi che aveva scelto di portare con sé di fretta e furia.
Una volta salito sull'automobile di William, Louis non
sapeva dove sarebbero andati, ma la mano di Harry che
stringeva la sua lo invitava a fidarsi. Cinquanta minuti
dopo, un cartello stradale segnò l'inizio di un piccolo
paesino della campagna del Cheshire, Holmes Chapel.
Anne lo informò di essere nata lì, come suo marito e i
suoi figli, ma Louis non si concentrò molto sull'aspetto
caratteristico di quel paesino della campagna inglese
perché presto l'abbandonarono e raggiunsero il cimitero.

Con lo sguardo rivolto alla chiesetta gotica che


sormontava la piccola altura del cimitero, Harry prese un
profondo respiro e Louis gli strinse la mano, per fargli
sentire la sua vicinanza e infondergli forza, prima di
varcare i cancelli di ferro. Non ci fu bisogno di dire nulla
quando giunsero alla tomba bianca di quello che era stato
e continuava a essere nei ricordi di sua moglie e dei suoi
figli Edward John Styles. Harry fu il primo tra loro a
muoversi verso la lapide e, non lasciando mai la mano di
Louis, percorse la scritta in rilievo del suo nome e la foto
al suo fianco.

«Questo è Louis, papà.» mormorò flebile alla foto


dell'uomo in divisa. «È il mio ragazzo e sono sicuro che ti
sarebbe piaciuto.»
245
Accennò un sorriso perché era certo del fatto che Edward
sarebbe piaciuto anche a lui. Non sapeva molto di
quell'uomo, ma dal racconto di Harry sull'origine del suo
nome e quello di William di poche ore prima aveva
immaginato un uomo buono, forte ma affettuoso, un
papà che avrebbe fatto qualunque cosa per i propri figli.
Harry non disse altro, lasciò un bacio sul palmo della
mano e lo impresse sulla foto di suo padre. Poi, non
nascondendo i suoi occhi lucidi, invitò Louis a farsi da
parte per lasciare spazio al fratello e alla madre. Harry
inclinò il capo sulla sua spalla e si lasciò cullare in un
abbraccio affettuoso fino a quando William non li
raggiunse e propose loro di tornare insieme
all'automobile.

«Diamo alla mamma un po' di tempo, okay?»

Louis vide Anne poggiare un mazzo di fiori ai piedi della


lapide e inginocchiarsi, prima di seguire i due fratelli in
silenzio. La donna li raggiunse soltanto un quarto d'ora
dopo con un'espressione visibilmente commossa sul viso
e il desiderio di tornare a casa il più presto possibile,
perché quella giornata era stata molto stancante dal
punto di vista emotivo anche per lei. Eppure, quando
furono sotto il portico bianco della casa a schiera di
Manchester, Anne avanzò una proposta.

«Perché non prepariamo una cena speciale tutti


insieme?»

Harry la guardò scettica. «Non è domenica mattina e non


lo facciamo da secoli.»

«Lo so, ma possiamo fare uno strappo alla regola.


Possiamo prendere il vecchio ricettario, metterci ai fornelli
e vedere cosa ne esce.»

«Possiamo farlo.» rispose William, aprendo il portone.


«Andiamo, H.»
246
«Sarà divertente.» suggerì Louis timidamente.

«Cucinerai anche tu?»

Anne e William lo guardarono speranzosi e, nonostante


sapesse che si sarebbe rivelato un disastro, lui si
convinse ad annuire.

«E va bene.» sospirò Harry, prima di dirigersi in cucina.


«Ma non lasciate Louis da solo ai fornelli o ci brucerà
l'intera casa.»

Louis alzò gli occhi al cielo e lo seguì, pronto a ribattere


alla sua insinuazione, mentre Anne e William
ridacchiavano al loro seguito. Tagliò le zucchine, così
come gli fu chiesto per la ricetta che avevano scelto, e
tenne il broncio fino a quando Harry non gli circondò la
vita e gli lasciò un bacio sulla guancia, dando uno
sguardo anche al suo operato.

«Grazie.» sussurrò e qualcosa gli suggerì che non fosse


soltanto per le zucchine.

Al mattino i soli che avevano il privilegio di poter


svegliare Louis erano suo padre e nonna Margot,
escludendo l'allarme della sveglia.

Altrimenti, sarebbe stato di cattivo umore per tutto il


giorno e Louis Tomlinson con il muso lungo era
insopportabile. Eppure, quella mattina, quando sentì delle
labbra morbide premere contro le sue, non poté non
curvarle in un sorriso soddisfatto. Pian piano aprì gli occhi
e, intravedendo il volto assonnato di Harry, non impiegò
molto ad approfondire quel bacio e a incontrare la sua
lingua con la propria in una danza languida. Sembrò
come ritrovarsi e scoprirsi di nuovo.

247
«Buongiorno, Lou.» mormorò Harry, strofinando la punta
del naso contro la sua.

«Buongiorno.»

«Sperando che lo sia per davvero oggi, ti ho portato la


colazione.» Fece un cenno verso il comodino, prima di
sedersi sul bordo del letto e permettere all'altro di
stiracchiarsi per bene. «Tè nero con un goccio di latte.»
disse ancora. «E nel croissant c'è la marmellata
d'albicocca, come piace a te.»

«Quanto romanticismo, Harold.»

«Serve a farmi perdonare per ieri.»

«Non ne hai bisogno, non hai alcuna colpa.» E Louis lo


intendeva per molte cose, per la morte di suo padre, per
le sue crisi, per il suo modo di affrontare il dolore.
«Questa colazione a letto, però, la accetto volentieri.»

Harry guardò Louis fare colazione in silenzio,


sorridendogli di tanto in tanto. Poi, lo informò che quel
giorno l'avrebbe portato in città per un giro turistico e un
pranzo al ristorante di William. Louis si meravigliò per
quella proposta, maggiormente quando, posizionatosi
sotto la doccia, percepì due palmi familiari scivolare sui
suoi fianchi e sul suo ventre, un fiato caldo sul collo e
un'erezione spingersi contro il suo fondoschiena sodo.

«Harry!» esclamò. «Che ci fai qui?»

Lui lo ignorò, perché un istante dopo cominciò a lasciargli


baci morbidi sulla spalla, sul collo e sulla nuca. Le mani
insaponate scorrevano sul suo corpo senza alcun attrito e
le labbra incontravano le sue in baci sempre più
passionali e profondi. Harry spinse Louis verso la parete

248
fredda del box doccia in un gesto repentino e si lasciò
cadere sulle ginocchia.

«Alzati, dai.» ridacchiò Louis, pur meravigliandosi di


quell'intraprendenza. «Siamo a casa di tua madre, non
pensi sia sbagliato?»

«William è già in città per il ristorante e mamma è a


lavoro, siamo da soli. E poi non è mai sbagliato se è con
te, Lou.» ribatté Harry senza alcuna esitazione. «Lo
voglio, fidati di me e del mio giudizio.»

E non poté non farlo, quando l'altro cominciò a tracciare


cerchi disordinati con la lingua sul suo ventre, per poi
scendere sempre più in basso e prendere il suo membro
tra le labbra. Louis lo accompagnò negli affondi con una
mano tra i capelli bagnati e gemette di piacere a quel
contatto così familiare; presto le mani di Harry, ferme sul
suo fondoschiena, lo invitarono a velocizzare i movimenti
del suo bacino. Sapeva che Harry non lo aveva permesso
mai a nessuno, che Louis fosse il suo primo in molte cose,
e quella sensazione, quella di essere speciale, insieme
alle sue mani che gli massaggiavano i testicoli, lo portò
presto all'orgasmo. Harry si allontanò dal suo membro
con un gemito e tirò fuori la lingua, pronta a raccogliere
lo sperma che zampillò da esso e che gli sporcò le labbra,
gli zigomi e il petto.

«Dio, Harry.» mormorò affannato. «Vieni qui.»

Harry si alzò con le gambe tremanti e Louis non perse


tempo a baciarlo ancora sulle labbra, sul viso, sul collo.
Le mani vagarono sul suo corpo bagnato fino a stringergli
il fondoschiena e i fianchi con l'intenzione di occuparsi
della sua erezione e prendersi cura del suo piacere, ma
tutto ciò che riuscì a sentire fu soltanto il suo membro più
rilassato di quanto si aspettava.

249
«Harry?» Lui non si mosse, continuando a nascondere il
viso nell'incavo del suo collo e a farsi cullare dalle sue
carezze. «Va tutto bene, giusto?»

E si sentì anche stupido nel chiederlo, ma si convinse ad


abbattere ogni tabù e a parlarne apertamente.

«I-io...» sospirò Harry, baciandogli il collo più volte.


«...più che bene, Lou. Ho pensato da solo a me stesso,
mentre ero in ginocchio.» aggiunse con voce sottile, quasi
vergognandosi.

E non avrebbe mai dovuto farlo, soprattutto perché l'idea


di Harry che si dava piacere con il suo membro tra le
labbra lo faceva impazzire. Louis fu percorso da un
brivido, prima di prendere tra le mani il suo viso e
guardarlo intensamente.

«Non devi nasconderti mai più, okay? Avrei voluto


pensare io a te, ma...»

«...ma non potevo resistere un minuto di più, Lou. Non so


cosa mi succede quando sto con te, ma non riesco a
trattenermi.»

Louis gli sorrise. «Non ti ho mai chiesto di trattenerti,


ricordi?» Abbatté ogni distanza e lo baciò. «Quando sei
con me, devi sentirti libero di fare ciò che vuoi.»

Harry annuì, felice di quella rassicurazione, e pensò a


lavarli entrambi per non perdere ulteriore tempo.

«Ti aspetto in camera, okay?» gli disse, poi, strizzando i


suoi ricci in un pugno e uscendo dal box doccia. «Non
metterci tanto!»

Louis alzò gli occhi al cielo, prima di chiudere il getto


d'acqua e avvolgere il proprio corpo in un morbido

250
accappatoio. Frizionò i suoi capelli in un asciugamano e
infilò dei boxer per poi tornare in camera, dove trovò
Harry già vestito sul letto e con un pc sulle gambe.

«Prima ti ha squillato il cellulare.»

Louis si infilò un pantalone e una t-shirt prima di


prenderlo e trovare una chiamata persa di sua madre.
Sbuffò perché non era preparato a mentirle, perché
parlarle di Harry era ancora fuori discussione: voleva
tenerlo per sé ancora per un po', prima che la sua
famiglia - escludendo nonna Margot - lo fagocitasse.

«Tutto okay?»

«Sì, è solo mia madre.»

«Dovresti richiamarla, no?»

«Sì.» sbuffò. «Più tardi.»

«Fallo ora, non voglio distrazioni quando saremo in città.»


disse, prima di incontrare il suo sguardo. «Se vuoi che
vada in un'altra stanza...»

«No, puoi rimanere.» si affrettò a rispondergli, prima di


chiamare sua madre.

«Lou Lou!» esclamò Johannah, rispondendo al primo


squillo. «Ti chiamo dall'alba, dove sei finito?»

«Mamma sono soltanto le dieci del mattino...» precisò.


«Non esagerare, sono stato soltanto impegnato!»

E mentre sua madre parlava di qualcosa a cui non prestò


attenzione, Louis notò delle bretelle nere spuntare da un
cassetto della scrivania. Gli ricordavano quelle che lui
stesso indossava a diciotto anni, in quello che, ad oggi,
251
definiva il peggior momento della sua vita perché
l'accoppiata bretelle e magliette a righe non era stata
molto vincente. In ogni caso le tirò fuori, sventolandole
davanti al viso di Harry.

«Ehi!» mormorò lui, afferrandole e mettendole al sicuro.


«Le ho indossate a Capodanno per essere più elegante.»

Louis allontanò il cellulare dal viso, mettendo in attesa


sua madre, prima di sussurrare nel suo orecchio «ho mille
idee su come usare quelle bretelle su di te e nessuna di
queste è così elegante, credimi».

«Louis William Tomlinson!» tuonò Johannah dall'altro


capo del telefono. «Mi hai ascoltato?»

«No, sinceramente mi sono distratto.» Rivolse un sorriso


malizioso a Harry. «Dimmi tutto.»

«Dicevo, sei stato impegnato con un ragazzo? Magari con


grandi occhi verdi e riccioli castani?»

Louis quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Attends


un peu, mais de quoi tu parles?» E lo disse in francese
per non far capire a Harry l'argomento della loro
discussione.

«Sto parlando del tuo nuovo ragazzo, di Harry. Non


racconti mai nulla alla tua povera madre e l'ho saputo
dalla nonna pochi giorni fa!»

«Se non ti ho detto nulla è proprio per questo.» borbottò.


«Sei imbarazzante.»

«E tu sembri ancora un adolescente in crisi, Lou. Non c'è


niente di male ad avere un ragazzo alla tua età e siamo
tutti ansiosi di conoscerlo, persino il nonno. Quando lo
porterai a Eastbourne?»

252
«Di questo passo mai.»

«Sono certa che cambierai idea al più presto.»

«Ora non è il momento giusto, ma vedrò cosa posso


fare.» le concesse. «Ora devo andare, salue tout le
monde.»

«Oui, mon petit. Salue Harry de ma part et dis-lui que


nous nous verrons bientôt.»

E, nonostante l'invadenza di sua madre, Louis apprezzò


l'inclusione di Harry nei suoi saluti e anche l'augurio di
vederlo presto a Eastbourne. Chiuse la telefonata e ripose
il cellulare in tasca, prima di infilarsi le scarpe ai piedi.

«Allora, andiamo?»

Harry, già impegnato a osservarlo da un po', inclinò di


qualche grado la testa e gli sorrise, poi «mi piace tanto il
tuo francese» affermò.

Manchester era stata una piacevole scoperta.

Sotto la guida di Harry, Louis aveva ammirato la pietra


della cattedrale gotica, il mattone dell'insediamento
romano di Castefield e il vetro dei grattacieli di Salford
Quays. Scoprì che Manchester fosse una città vivace e in
continua evoluzione, ricca di cultura e arte, orgogliosa
della sua storia e del suo passato, ma che rivolgesse la
sua attenzione costantemente verso il futuro grazie alla
massiccia opera di riqualificazione che veniva portata
avanti da diversi anni. All'ora di pranzo si erano spostati
verso il Northern Quarter, zona dinamica e giovane della
città, per mangiare nel ristorante di William. Al suo
interno le pareti in mattoncini rossi facevano da padrone,

253
così come l'arredo dallo stile industriale e le tante
fotografie in bianco e nero scattate dallo stesso William
che l'affollavano, rendendo il locale più accogliente e
informale.

«Mi piace qui.»

«Quando Will ha rilevato questo posto, era una


catapecchia.» gli rivelò Harry, scuotendo la testa
divertito. «La mamma non ha parlato con lui per
settimane perché aveva investito i suoi risparmi in questo
folle progetto dopo la scuola di cucina.»

«E poi?»

«Poi, con l'aiuto di nostro zio che ha un'impresa edile,


William ha ristrutturato questo posto e la mamma pian
piano ha capito che fosse la strada giusta per lui.»

«E lo è per davvero!» esclamò, guardando le espressioni


soddisfatte di chi pranzava nel locale. «È sempre così
pieno?»

«Più o meno, sì. All'inizio è stato difficile ambientarsi e


farsi conoscere. Ora, però, sta andando bene.»

«Sono felice per lui, Harry. Sono felice per tutti voi, ve lo
meritate.»

Harry scrollò le spalle imbarazzato e si alzò, prima di


dirgli «andiamo a salutare Will, ti voglio portare in un
posto».

Tornarono nuovamente a sud, ma non nella casa a


schiera al numero 8 di Canon Street.

254
Attraversarono la piazzetta principale del quartiere, ormai
gremita di persone, ed entrarono in un tipico pub inglese,
caratterizzato da uno scuro rivestimento in legno e da
molti disegni caricaturali della Regina Elisabetta e dei suoi
soliti avventori. Louis era sul punto di fare una pessima
battuta alla quale Harry non avrebbe riso sicuramente,
quando la sua voce venne sovrastata da un'altra.

«Harry!» esclamò un ragazzo dagli occhi dolci e castani al


di là del bancone. «Non sapevo che fossi tornato a casa!»

«Non lo sapevo neanche io, è stata un'improvvisata.»


Fece spallucce e, notando lo sguardo curioso del ragazzo
soffermarsi su Louis, aggiunse «Liam, questo è Louis ed è
il mio ragazzo».

Louis gli tese la mano per presentarsi e Liam la strinse


vigorosamente, curvando maggiormente il sorriso già
presente sulle sue labbra.

«Il famoso Louis!»

«Sono famoso?»

«Un po'. Prima lo eri soltanto per i racconti di Niall, ora


anche per quelli di Harry.»

«Anche tu conosci Niall?»

«Liam frequentava il nostro stesso liceo, è un amico di


lunga data.»

«Interessante.» mormorò Louis, prendendo posto al


bancone. «Raccontami qualche aneddoto su questi due
così posso prenderli in giro quando voglio!»

Liam non si fece pregare e non ascoltò neanche le


lamentele di Harry, perché presto cominciò a raccontare

255
del loro primo incontro, degli anni trascorsi a scuola e di
come la loro amicizia fosse continuata anche dopo il
diploma, nonostante Harry frequentasse ancora il liceo. Ai
suoi occhi Liam sembrò l'anello di congiunzione tra Niall e
Harry, il perfetto equilibrio tra i loro caratteri così diversi
e agli antipodi.

Quando fu richiamato bonariamente dal proprietario del


pub, un anziano signore che li salutò con un sorriso, Liam
chiese a Harry «per te il solito?» e lui annuì. «E per il tuo
bel ragazzo propongo una birra artigianale, offre la casa.»

«Grazie, Liam.»

Louis si accigliò. «Cosa sarebbe il solito?»

«Un Virgin Cuba Libre.»

«E da quando bevi alcolici?»

«Non li bevo.» Sorrise quando l'amico gli porse un


bicchiere con un liquido scuro familiare, una fettina di
limone e del ghiaccio. «È semplice Coca-Cola. Ma detto
così è molto più forte, non credi?»

Louis assunse un'espressione soddisfatta, quando Harry


fece scontrare la propria Coca-Cola con la sua birra per
un brindisi.

«E poi, la birra mi piace assaporarla soltanto dalle tua


labbra quando ti bacio.»

«Tu mi ucciderai prima o poi.» sbuffò, dopo essersi quasi


strozzato per la naturalezza con cui Harry aveva
pronunciato quelle parole.

Trascorsero un'oretta al pub e quell'atmosfera così


gioviale e rilassata fece desiderare a Louis di rimanere a

256
Manchester per sempre, con la famiglia di Harry e i pochi
amici che lo mettevano a suo agio.

«Stamattina a colazione stavo pensando...» esordì Harry,


dopo aver giocherellato con la cannuccia nel suo bicchiere
per qualche minuto.

«Non mi piaci quando pensi.» scherzò Louis,


guadagnandosi un'occhiataccia.

«Stamattina a colazione stavo pensando» ripeté «anzi, in


realtà, anche la mamma lo pensa» lo sottolineò con un
tono quasi solenne «che sono davvero fortunato ad averti
accanto!»

«Lo sei.» ridacchiò Louis.

«Lo intendo davvero, sei ancora qui.»

«Sono qui.»

«E non te ne sei andato.»

«E non voglio andare da nessuna parte, Harry. Io sono


qui per te.» affermò senza esitazione. «Dove lo trovo un
altro ragazzo che cucina per me e che non fa altro che
ripetermi quanto io sia bellissimo?»

Harry abbassò il suo sguardo, prima di ridacchiare a


quelle parole. «Non prendermi in giro perché lo sei...sei
bellissimo per davvero.»

Louis sospirò perché non si sarebbe mai abituato alla


spontaneità mista a purezza di Harry e alla fine dei conti
andava bene così.

257
Con la promessa di tornare presto a trovarlo salutarono
Liam e si diressero verso il negozio di fiori di Anne.

Entrarono mano nella mano e i clienti li guardarono per


qualche istante con meraviglia e anche un po' di malizia.
Forse, non erano abituati a vedere Harry in quelle nuove
vesti e fu per questo che una coppia di anziane signore lo
braccarono all'entrata e lo riempirono di domande, alle
quali Harry rispose a spizzichi e bocconi. Louis, invece,
rimase incantato nel vedere la varietà di fiori e piante
presenti nel negozio e anche Anne che, stretta nella
salopette di jeans e con una fascia colorata tra i capelli
scuri, sembrava più giovane che mai.

«Prendine una.» gli disse Anne, quando lo vide osservare


e sfiorare delle margherite bianche.

«Davvero?»

«Certo, Louis. Prendila.» lo incoraggiò. «Sono...»

«...le preferite di Harry, lo so.» concluse la frase, mentre


lei gli rivolgeva un sorriso raggiante.

Dopo aver recuperato un Harry piuttosto provato dalle


pettegole del quartiere, Anne li invitò a godersi quel
pomeriggio di sole e a tornare a casa soltanto per cena.
Sull'uscio del negozio Louis fronteggiò Harry e gli sistemò
la sua margherita dietro l'orecchio, tra i ricci castani a far
da contrasto.

«Così sei ancora più bello.» mormorò sulle sue labbra


prima di assaporarle in un bacio profondo.

Harry scosse la testa a metà tra il divertimento e


l'imbarazzo, prima di prenderlo per mano e guidarlo verso
un piccolo parco, dove non ebbe paura di dire «qui è dove
vengo quando tutto diventa troppo».

258
Cullati dal fresco venticello mancuniano, scoprirono ogni
centimetro di quel meraviglioso e ricco spazio verde.
Harry gli indicò persino l'albero contro il quale aveva dato
il suo primo bacio e Louis non poté che fare una smorfia
infastidita a quella informazione del tutto superflua per il
suo ego. Gli raccontò, poi, di quando da bambino era
scappato di casa e si era nascosto nella casetta di legno
del parco per ben dieci ore, prima di essere ritrovato dal
Tenente Hook e dalla sua squadra di ricerca: quel colpo di
testa - anche se ben organizzato, perché nel suo zainetto
aveva acqua, viveri e giochi - gli erano valsi un mese di
punizione e una strigliata da parte di Anne.

«Non sapevo fossi uno spirito ribelle.» lo canzonò,


quando si accomodarono su una panchina. «Ho sempre
pensato che tu fossi nato già ventitreenne.»

«Sono pieno di risorse, invece.» ribatté con una


linguaccia.

«Lo so bene.» Gli lasciò un lungo bacio sulla guancia,


prima di volgere lo sguardo agli alberi e al laghetto
davanti a sé. «È bello qui, è tutto così tranquillo e
rilassante.»

«Non è sempre così.» si affrettò a rispondere Harry e,


prima che potesse chiedergli spiegazioni, indicò il cielo.
«Guarda su.»

Louis sentì un potente rombo prima di alzare gli occhi e


vedere un aereo di piccole dimensioni spuntare tra gli
alberi che incorniciavano quella porzione di cielo azzurro.

«Ne passano sempre tanti da qui.» spiegò Harry con gli


occhi ancora rivolti alla scia bianca nel cielo. «Nelle
vicinanze c'è un centro di addestramento per piloti civili.
Lì ti insegnano le tecniche di volo sui piccoli aerei da
turismo come quello che hai appena visto.»

259
«Forte.»

«Lo è.» gli confermò, prima di abbassare lo sguardo sul


suo grembo. «Quando non era impegnato nelle missioni,
mio padre ci portava lì. Essendo un pilota della RAF, a
volte insegnava, a volte prendeva in prestito uno di quei
piccoli elicotteri e ci portava a zonzo sopra le campagne.»
Louis posò la mano sulla sua per incoraggiarlo a parlare.
«La mamma non era affatto d'accordo perché si
preoccupava per noi, ma papà non riusciva a non volare
per molto tempo, neanche quando era in licenza. Il volo
era come ossigeno per lui.»

Louis capì che gli aerei non fossero soltanto un suo


interesse stravagante, ma un modo per tenere vicino a sé
suo padre, per non dimenticarlo, per omaggiarlo ogni
giorno. Se il volo era ossigeno per Edward, ricordare suo
padre e ciò che li univa era ossigeno per Harry.

«Avevo cinque anni quando mi ha portato in quel centro


di addestramento per la prima volta. William c'era già
stato parecchie volte e cominciava a preferire il calcio
ormai. Ma io...io ero così emozionato per quell'esperienza
che apparteneva soltanto a noi due. Ero soltanto un
bambino, ma ricordo tutto. Non dimenticherò mai quella
giornata, Lou.»

All'improvviso Louis ricordò la foto che aveva osservato il


giorno precedente e sorrise perché l'espressione di gioia
sul volo dell'Harry bambino non l'aveva dimenticata.

«Quei suoni, il vento, il sorriso di mio padre quando


guardavamo quegli elicotteri decollare e la mia
eccitazione quando ci siamo librati in cielo per la prima
volta.» La voce di Harry divenne sognante e i suoi occhi si
colorarono di un verde brillante. «È stato il giorno più
bello della mia vita.»

260
Louis si emozionò nell'ascoltare quel racconto. Il giorno
precedente William gli aveva rivelato come Edward fosse
andato via, ma in quel momento Harry gli stava
raccontando un episodio estremamente intimo condiviso
con suo padre, un ricordo che per lui simboleggiava la
felicità più pura. E si sentì un privilegiato a poter
ascoltare dell'uomo che era stato Edward, perché
finalmente Harry stava condividendo con lui anche quella
parte della sua vita. Era sempre la Luna, sì, ma appariva
meno spaventosa o misteriosa ora.

«Come mai non hai provato a fare di questa vostra


passione un lavoro? Tuo padre era un pilota della RAF,
non ti ha mai affascinato quel mondo?»

«Con il mio Asperger non credo che mi avrebbero mai


fatto avvicinare all'aeronautica militare, Lou.» rispose,
scuotendo la testa. «Non sono come mio padre.»

«Sei Harry e va bene lo stesso.» ribatté Louis. «A me, per


esempio, questo basta.»

Lo baciò con passione, donandogli tutto di sé. E Harry


prendeva, prendeva tutto, la sua speranza, il suo
ottimismo, le sue sicurezze e gliele restituiva sotto forma
di amore. Perché quello doveva essere amore, pensò. Era
amore quando Harry scuoteva la testa alle sue battute,
quando gli porgeva gli orsetti gommosi verdi e gialli,
quando si fidava di lui a tal punto da raccontargli di suo
padre. Era amore anche quando Harry rispondeva ai suoi
baci in quel modo. Per Louis l'amore era Harry, Harry
soltanto.

«Siamo in un luogo pubblico.» Gli fece notare Harry,


riprendendo fiato poco dopo. «E la signora Willow ci sta
guardando da un bel po'.»

«E tu lascia che guardi.»

261
«Lou.» ridacchiò Harry, quando le sue dita si
intrufolarono sotto la t-shirt e cominciarono a solleticargli
la pelle tesa dell'addome. «Basta!»

Louis gli lasciò un ultimo bacio sulla guancia e si assicurò


che la margherita fosse ancora tra i suoi capelli, prima di
allontanarsi da lui.

«Sono sicuro che, non appena andremo via domani


mattina, la mamma verrà sommersa di domande...»
sospirò pensieroso. «...e che tutto il quartiere parlerà di
noi entro stasera.»

«E ti preoccupa?»

«No. Insomma, mi dispiace per la mamma perché dovrà


avere a che fare con le pettegole. Ma io sono questo,
sono Harry, ho un bel lavoro e ho finalmente un ragazzo
che tiene a me, non posso cambiare per gli altri.»

«E nessuno ti chiede di farlo. Tutti ti amano per come sei,


Harry. In più, credo che Anne sappia rimettere a posto le
pettegole. E la signora Willow? Può anche continuare a
guardare se le piace ciò che vede.»

«Meglio di no, è piuttosto anziana.» Harry si alzò dalla


panchina e lo prese per mano, invitandolo a seguirlo.
«Voglio portarti in un altro posto prima che il sole
tramonti.»

«Quanto sei misterioso oggi, Harold.» lo canzonò Louis,


alzando gli occhi al cielo.

Tuttavia, sapeva che non fosse vero perché quel giorno


Harry si era messo a nudo più che mai, si era spogliato
della sua corazza e gli aveva mostrato la sua fragilità.
Una fragilità che non era una debolezza, ma metteva in

262
luce la sua forza e la sua voglia di combattere in una vita
che gli aveva tolto fin troppo.

263
CAPITOLO 10

Louis faticava ad ammetterlo ad alta voce, ma Harry lo


aveva spaventato a morte quella notte di fine aprile.

Tornati a Londra, non era trascorsa una notte in cui Louis


non era stato al suo fianco e sapeva che fosse una grande
esagerazione la sua, ma temeva che Harry potesse
svegliarsi all'improvviso e rivivere quell'incubo.
Soprattutto perché Harry non ne parlava mai con lui, era
come se quella notte non fosse mai esistita e il
portaritratti di famiglia, ora di nuovo sul suo comodino,
non fosse mai caduto sul pavimento in mille pezzi.
Eppure, la brutale realtà mostrava che Louis fosse stanco
e che dormire poche ore a notte non gli permetteva di
dare il massimo a lavoro, né di scherzare come al suo
solito, né di vivere Harry come avrebbe voluto. Stava
trascurando la sua persona e si notava dalle occhiaie che
gli adombravano il volto. Stava trascurando il suo lavoro
e si deduceva dalla pila di scartoffie sulla sua scrivania: il
signor Orwell gli aveva persino proposto di partecipare al
sopralluogo per la scuola ad Haiti, ma Louis aveva
gentilmente rifiutato perché lasciare Londra sarebbe stato
impensabile in quel momento. Stava trascurando persino
la sua famiglia, riducendo le videochiamate con Margot
per non destare sospetti.

Harry sembrava non notarlo e a Louis non interessava


perché non gli avrebbe mai rinfacciato alcun suo
sacrificio: quando lui gli sorrideva o lo baciava, ogni suo
sforzo sembrava annullarsi ed essere ripagato. Notava
soltanto che la sua barba più lunga del solito gli irritasse
la pelle sensibile delle cosce quando lui le baciava, che
fosse il primo a svegliarsi ma che facesse sempre tardi a
lavoro o che dovesse richiamarlo più volte durante una
partita a scarabeo perché continuava a distrarsi. Captava
gli effetti collaterali di quel disagio, ma non la causa
principale. E se in passato la mancanza di perspicacia di
Harry era stata una nemica, ora si rivelava un'ottima

264
amica per Louis perché lo aiutava a raggiungere il suo
scopo passando inosservato.

Niall, invece, notava tutto e non riusciva a tenerselo


dentro, ma gli ripeteva di dormire a casa sua, di vivere la
sua vita e di non trasformare Harry in un altro Ian.
Sottolineava che non avrebbe significato amarlo di meno,
ma soltanto vivere la loro relazione in modo sano. Louis
era trasalito nell'ascoltare quel verbo, amare, ma Niall gli
aveva sorriso bonariamente perché «pensavi davvero che
non lo avrei capito prima o poi?». Ascoltava i consigli di
Niall e li riteneva anche giusti, ma non riusciva a
tranquillizzarsi, soprattutto dopo aver scoperto che Harry
avesse raddoppiato gli incontri dal suo psicologo o che
prendesse delle gocce per dormire.

Quella mattina Louis si svegliò con uno sbuffo, perché


aveva dormito male, e con la testa riccioluta di Harry a
solleticargli il petto. Era ancora presto per svegliarlo, così
scivolò via dal letto e gli lasciò una carezza sul viso,
prima che quest'ultimo si muovesse e si rannicchiasse in
posizione fetale. Sorrise nel vederlo così piccolo, così
indifeso, così suo, mentre strofinava il viso sul suo
cuscino per cercare il suo odore. Recuperò il cellulare dal
comodino e lì vide il post-it della loro lista, lo afferrò e
notò che due voci su quattro fossero state sbarrate. A
Louis si illuminò il viso leggendone una in particolare e
pensando che avrebbe potuto essere un buon modo per
dimenticare le settimane passate e guardare al futuro.
Per questo, uscì dalla stanza e si sedette sul divano, dove
Leo lo raggiunse dopo pochi istanti chiedendogli carezze,
per chiamare l'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo
a realizzare la sua idea.

«Mamie?»

«Louis, chéri, come mai sei già sveglio a quest'ora?»

«Non riuscivo a dormire. E tu? Sei già in piedi?»


265
«Oui. Stavo preparando il tè al nonno, siete uguali tu e
lui: senza la vostra tazza di tè con un goccio di latte al
mattino siete insopportabili. Ma dimmi, perché hai
chiamato?»

«Mi mancavi.» E non era una bugia perché Margot gli


mancava sempre.

«Tu me manques aussi, mon petit soleil. Ma ora dimmi il


vero motivo.»

«Beh, ho un'idea in mente e...» sospirò, prima di


aggiungere «...volevo avvertirti che forse nel fine
settimana riceverai delle chiamate dalle tue amiche
francesi».

«Lou, ma cosa devo farci con quel borsone?»

Harry indicò il borsone che era sulle coperte al suo fianco.


Lo guardò perplesso e anche un po' sospettoso con quel
broncio adorabile che gli arricciava le labbra e i capelli
tutti scompigliati. Quel broncio lo aveva dal momento
esatto in cui Louis lo aveva svegliato scuotendolo per una
spalla e non al solito modo, tanta era l'eccitazione che
provava per quella nuova avventura da dimenticare
persino le buone maniere.

Louis sospirò frustrato e ripeté per la seconda volta «devi


riempirlo!».

«Ma io non devo andare da nessuna parte!»

«Tu non vai da nessuna parte, è vero.» confermò, mentre


un'espressione furba si formava sul suo volto.
«Noi andiamo in Francia, Harold.»

266
«C-cosa?»

Harry portò le gambe al petto sulla difensiva, quasi a


proteggersi da qualunque notizia.

«Sono state delle settimane difficili ed entrambi abbiamo


bisogno di cambiare aria.» spiegò Louis, avvicinandosi
all'altro e prendendogli le mani nelle sue per
tranquillizzarlo. «Non sarà Parigi, ma anche Saint Paul de
Vence ha il suo perché.»

«È il paese di Margot?»

Louis annuì. Sua nonna aveva accolto con entusiasmo la


sua proposta un paio di giorni prima: lui, Harry e un fine
settimana nella casa di famiglia, arroccata nel centro
storico del paese. Gli aveva detto anche che Clementine,
la vicina e sua cara amica, gli avrebbe dato le chiavi al
loro arrivo e che nel frattempo avrebbe pulito e fatto
arieggiare la casa. Louis scommetteva che Clementine
non vedesse l'ora di curiosare nella sua vita: se
cinquant'anni prima Margot era stata la pietra dello
scandalo a fuggire da Saint Paul con il suo bel pilota
inglese, Louis non sarebbe stato meno rivoluzionario a
tornarci con il suo ragazzo perché la mentalità di quel
paese non era cambiata molto. «Vai e stupiscili tutti, mon
petit!» aveva esclamato Margot prima di augurare loro un
buon fine settimana: ecco perché sua nonna era la
persona che Louis preferiva al mondo.

«È un posticino tranquillo, ti piacerà.» Gli baciò entrambi i


dorsi delle mani e lo guardò sorridente. «E a qualche
chilometro c'è anche il mare!»

«Quello blu blu?» Harry spalancò i suoi occhioni verdi


sorpreso.

«Quello blu blu, proprio come piace a te.» ridacchiò,


lasciandogli un altro bacio, quella volta sulla punta del
267
naso che Harry arricciò divertito. «Ed è sempre uno
spettacolo.»

«Saremo soltanto io e te?»

«Io e te. So che nella lista hai scritto di voler viaggiare da


solo, ma...»

«...ma solo con te è perfetto, Lou.» concluse Harry al suo


posto, facendogli palpitare il cuore. «Quando partiamo?»

«Dobbiamo stare all'aeroporto tra un paio d'ore.»

«Due ore? Devo farmi una doccia, devo fare il borsone,


devo preparare i documenti! Ma soprattutto devo
prepararmi psicologicamente!» esclamò sconvolto. «E io
che pensavo che mi avessi svegliato per andare
semplicemente a fare colazione!»

«Alle sei del mattino? Lo sai che non sono per niente
mattiniero nei giorni feriali, figuriamoci di sabato.»
affermò divertito. «Va' a farti la doccia ora, al tuo borsone
ci penso io!»

Harry esitò per qualche istante, prima di scuotere la testa


e stampare un bacio sulle labbra di Louis, poi corse nel
bagno privato della stanza e non si guardò più indietro.
Louis, invece, aprì l'armadio e scelse un paio di camicie a
stampa floreale, semplici t-shirt e jeans comodi: il meteo
prevedeva un fine settimana all'insegna del caldo e del
sole e lui non vedeva l'ora di guardare Harry splendere
sotto il cielo azzurro della Provenza.

Ad un tratto la sua testa riccioluta spuntò dal telaio della


porta del bagno. «Lou?»

«Sei ancora così?» chiese, lanciandogli un'occhiataccia,


dal momento che non era ancora entrato in doccia. «Se

268
non ti sbrighi, perderemo l'aereo e rimarremo nella
fredda e grigia Londra per sempre.»

E, anche se a maggio Londra era tutt'altro che fredda e


grigia, Louis lo minacciò ugualmente perché essere
melodrammatico era nella sua natura.

«Volevo solo...» Harry si grattò la nuca in imbarazzo.


«...insomma, volevo ringraziarti. Dopo le ultime
settimane e tutto quello che è successo, non merito tutto
questo. Semplicemente grazie.»

Louis scosse la testa, prima di sistemare un paio di


camicie nel suo borsone.

«Meriti anche tu un posto da visitare, Harry.»

L'aereo atterrò a Nizza in perfetto orario e Harry trovò


molto emozionante persino girovagare nell'aeroporto in
attesa dell'arrivo della loro automobile, un po' meno
doverci salire a bordo, quando scoprì che la guida a
sinistra di Louis fosse un po' arrugginita.

Arrivati a destinazione, lasciarono l'automobile fuori le


mura e procedettero a piedi verso il centro storico del
paese interamente pedonalizzato. Saint Paul de Vence era
un piccolo villaggio di origini medievali, arroccato su un
promontorio roccioso alle spalle di Cagne-sur-Mer. Quella
realtà era sempre stata stretta a Margot, ma Louis aveva
apprezzato molto le loro vacanze estive in quel borgo e
sperava che l'avrebbe fatto anche Harry. Lo prese per
mano e lo guidò verso una casa a schiera e a due piani
affacciata in una stretta stradina. Non era molto grande,
ma l'aveva sempre amata per il colore chiaro della pietra
che la rivestiva e per la terrazza sul tetto ricca di fiori e
piante rigogliose, anche in quel momento, perché
Clementine se ne occupava in loro assenza.
269
E fu proprio lei ad accoglierli all'ingresso, dimostrando a
Louis di non essere cambiata affatto negli ultimi anni:
aveva soltanto qualche ruga in più, ma i capelli color
grigio perla erano ancora racchiusi in una crocchia e gli
abbracci nei quali lo stringeva sempre confortanti.
Stampò due baci persino sulle guance di Harry che,
imbarazzato, si presentò a lei con un timido francese.
Clementine fece anche notare a Louis quanto fosse bello il
suo accompagnatore e gli fece un occhiolino, lui ridacchiò
imbarazzato prima di chiudersi il portone alle spalle: e
grazie tanto, lo sapeva da sé che Harry Styles fosse
meraviglioso.

Gli interni della casa erano proprio come Louis li


ricordava: l'intonaco bianco e il parquet di ciliegio li
rendevano più ampi e l'arredo dal gusto provenzale molto
accoglienti. Facendo da cicerone a Harry, Louis si accorse
di avere molti ricordi per ogni stanza. In cucina c'era sua
nonna che tentava di insegnargli a preparare del pain au
chocolat senza alcun buon risultato. Sulla poltrona
davanti al camino del soggiorno c'era suo nonno che gli
leggeva Il Piccolo Principe in francese. Sul telaio della
porta della sua stanza erano ancora riportate le misure
della sua altezza prese di anno in anno da Ethan e Louis
dovette portare via da lì Harry quando gli disse «non sei
cresciuto molto da quando avevi sedici anni, Lou!». Sulla
terrazza, invece, risuonavano ancora le risate dei suoi
genitori che, nelle sere d'estate, organizzavano feste e
cene interminabili. Da quel punto si aveva una vista
mozzafiato dei paesini circostanti, della campagna e del
mare: quel panorama ora lo vedeva riflesso anche negli
occhi di Harry che l'osservavano curiosi.

«Andiamo, Harry. C'è ancora tanto da scoprire.»

Louis lo portò nella bottega di Hugo, un vecchio amico di


Margot, che vendeva i formaggi e i salumi più buoni del
circondario. Poiché Clementine aveva lasciato della
mousse al cioccolato con lamponi freschi nel loro

270
frigorifero come dessert, Louis si lasciò consigliare da
Hugo per la cena e si fece preparare due baguette farcite
per pranzo. Lasciata la spesa a casa, i due esplorarono il
borgo. Percorsero la Rue Grande, la via principale che
attraversava tutto il paese, si soffermarono a mangiare
alla Grande Fontaine dalla quale zampillavano getti
d'acqua fresca e si persero in quel dedalo di viuzze
strette, archi e cordonate per arrivare a Place de l'Eglise,
dove si divertirono a guardare degli anziani giocare a
pétanque e ammirarono il municipio e la Chiesa
Collegiata.

Harry non aveva mai smesso di scattare fotografie e,


molto spesso, Louis lo sorprendeva con l'obiettivo puntato
sul suo viso: non capiva perché volesse immortale lui e
non il panorama che li circondava, ma Harry continuava a
ripetergli quanto fosse bello tra i negozietti, le botteghe e
le gallerie d'arte che affollavano il villaggio medievale. In
uno di quei piccoli negozi di artigianato, Louis comprò a
Harry un cappello a tesa larga marrone e, dopo essersi
guardato allo specchio, quest'ultimo non lo volle più
levare. E Louis non se ne lamentò perché era bellissimo
con quel cappello, con i Ray-Ban sul naso e la camicia
aperta sul petto, era bellissimo con quella spensieratezza
addosso. Nel tardo pomeriggio arrivarono alla fine
della Rue Grande e si fermarono alla seconda porta
d'ingresso delle mura, dalla quale poterono ammirare le
campagne circostanti fondersi con l'azzurro del cielo.

«E la lavanda?» chiese Harry, arricciando la punta del


naso. «La Provenza non è famosa anche per questo?»

«Lo è, ma siamo decisamente fuori stagione. La lavanda


viene seminata ora e fiorisce verso luglio e agosto.»

«Che peccato, Lou.»

«Potremmo sempre tornarci, no?» azzardò. «Ti porterei a


Valensole, la terra della lavanda per eccellenza:
271
immagina quei campi ovunque e quel profumo che ti
rimane addosso anche quando torni a casa.»

«Mi ci porteresti per davvero?»

«Certo, ti piace qui?»

«Tanto, Lou. Mi piace quest'aria di famiglia, i bambini che


corrono per le strade, gli anziani che giocano a bocce e le
vicine di casa che ti preparano dei dolci.»

«Clementine è particolarmente gentile, non ti ci


abituare!»

«È tutto più facile qui, però. Non c'è il traffico di Londra,


c'è aria pulita, ci sono sempre le stesse facce familiari e
c'è il mare.» spiegò, abbandonandosi a un sospiro
profondo. «E Clementine è davvero gentile. Non capisco
nulla di ciò che dice, ma lo vedo dal suo sorriso e dai suoi
occhi che ti vuole bene.»

Louis lo fronteggiò, liberò il suo sguardo dagli occhiali da


sole e li infilò nello scollo della camicia per guardare i suoi
occhi verdi brillare senza filtri.

«Se questo posto ti fa stare così bene, ci torneremo,


Harry. Sei libero di andare dove vuoi. Sei libero e basta.»

E le loro labbra si unirono in un bacio profondo, quasi a


testare quella libertà che si erano cuciti addosso. Le loro
mani giocarono a rincorrersi sui fianchi e la loro vicinanza
non sembrò essere mai abbastanza, tanto che Louis issò
Harry sul muretto in pietra e si sistemò tra le sue gambe
aperte. Si baciarono ancora, rubandosi sospiri e gemiti,
fino a quando non si allontanarono senza fiato. Fronte
contro fronte, le dita di Louis tra i ricci di Harry, il
cappello di quest'ultimo caduto nello strapiombo oltre il
muretto un istante prima - ma non importava perché «te

272
ne compro un altro non appena torniamo in paese» - e i
loro respiri a mischiarsi. Si sorrisero e si lasciarono dolci
baci agli angoli delle loro bocche, sulle punte dei nasi e
sul mento.

Nessuno dei due parlò per alcuni minuti fino a quando


Harry, guardandolo intensamente negli occhi, non
mormorò «Lou, ti prego, mi porti al mare?».

Da quando Louis conosceva Harry, aveva scoperto di


essere più malleabile di quanto pensasse.

Non lo meravigliò, quindi, guidare ancora verso la costa e


raggiungere una caletta che frequentava fin da bambino
per portare Harry al mare. Quest'ultimo non aveva
smesso di sorridere neanche per un istante e Louis pensò
che quel sorriso facesse bene al cuore di entrambi. Harry
camminava all'indietro verso la riva con il vento a
scompigliargli i capelli e mano a mano perdeva un
indumento: prima la camicia, poi i pantaloni e per ultimi il
cappello e gli occhiali da sole.

«Harry, ma non abbiamo neanche un costume!» esclamò


Louis, scuotendo la testa davanti a quella follia.

Lui lo ignorò, continuò a sorridere e a invitarlo a seguirlo.


Si bagnò i piedi in riva e subito si ritrasse goffamente
perché l'acqua era più fredda di quanto pensasse.
Scoppiò in una fragorosa risata e corse in modo buffo
verso il mare, tuffandosi tra le sue onde. Louis trattenne
il respiro fino a quando non vide la testa di Harry
spuntare dalla superficie e lui sbracciarsi per invitarlo a
fare lo stesso. Brontolò qualche improperio, ma cominciò
ugualmente a spogliarsi e ignorò alcuni passanti che lo
osservavano divertiti: rimase in boxer - fortunatamente
erano neri, non come quelli bianchi di Harry, rivelatosi un
maledetto esibizionista - e lo raggiunse in poche bracciate
273
sfidando l'acqua fredda. Harry cacciò fuori un urletto di
felicità e si aggrappò a lui, facendo aderire i loro petti e
allacciando le gambe intorno al suo bacino.

«Finalmente ti sei buttato!» esclamò sulle sue labbra


prima di incastrarle alle proprie in un bacio salato.

Forse era vero. Louis si era buttato e non semplicemente


in mare, ma in quella che era la sua vita, fatta di alti e
bassi, fatta di punti di forza e debolezze, ma soprattutto
fatta del suo amore per Harry. E ora i baci di Harry
guarivano le ferite che i suoi silenzi gli avevano inferto, le
sue labbra ricucivano l'anima stracciata di Louis
donandogli speranza nel futuro. Non contava più il suo
giorno buio in quel momento, contava che fossero
insieme e che fossero felici, mentre la corrente li
trascinava a riva.

«Grazie, Lou.» mormorò Harry sul suo collo.

E Louis non rispose, perché le parole erano superflue,


perché preferì stringerlo tra le braccia e farlo sentire al
sicuro, così come non era riuscito a fare quella notte di
fine aprile. Lui stesso si abbandonò al suo tocco e alle sue
labbra morbide, lasciandosi dondolare dalla corrente.

Al tramonto decisero di tornare in paese, pur inzuppando


i sedili dell'automobile, e lasciarono di stucco Clementine,
intenta ad annaffiare le sue piante, quando giunsero
sull'uscio del portone tutti bagnati e impegnati in un bacio
mozzafiato.

«Vai a fare una doccia.» propose Louis a Harry, ancora


ridacchiando per l'espressione di rimprovero che
Clementine aveva lanciato loro.

274
«Tu non vieni con me?»

«Stavolta no, accendo il camino per toglierci di dosso


questa umidità nel frattempo.»

Harry annuì e salì al piano superiore, mentre Louis si


dedicava ad accendere il camino e a sistemare cuscini e
coperte davanti ad esso così da cenare sul tavolino da
caffè. Se fosse stata estate, avrebbero potuto cenare
sulla terrazza e ammirare il cielo stellato. Tuttavia, Louis
scosse la testa e rimandò quei programmi a un futuro che
sperava non essere troppo lontano.

«Lou?» lo richiamò Harry dopo mezz'ora, facendo


capolino in soggiorno. «La doccia è tua, penso io alla
cena.»

Harry era meraviglioso quella sera con i ricci umidi a


incorniciargli il volto e un maglione lilla a coprirgli il
torace. Louis non aveva mai pensato che qualcuno
potesse essere meraviglioso prima del suo arrivo, ma
formulare quei pensieri risultava naturale davanti a
Harry, così come amarlo. Trascorse il minor tempo
possibile sotto la doccia perché tutto ciò a cui riusciva a
pensare era Harry, Harry, Harry. Quando scese al piano
terra, non poté fare a meno di sentire il cuore palpitare
nel trovare il tavolino da caffè imbandito di cibo e ben
due calici di vetro al fianco di una bottiglia di vino rosso.

«Due calici?»

«Oggi ho fatto tante cose nuove.» spiegò incerto. «Non


c'è niente di male a provare anche questo vino, no?»

«No, non c'è niente di male.»

Era felice del fatto che Harry si fidasse di lui a tal punto
da includerlo in quasi tutte le sue prime volte. E Louis

275
pensò che quella fosse anche una sua prima volta, perché
non aveva mai portato un ragazzo a Saint Paul, non
aveva mai fatto il bagno in mare in intimo, non aveva mai
cenato con qualcuno davanti a un camino acceso. Non
aveva mai fatto nulla di così romantico prima di quel
momento, accadeva soltanto con Harry e doveva pur
significare qualcosa: Louis sapeva bene cosa significasse,
sapeva di essere innamorato nel modo più puro e vero e
anche quella era una prima volta.

A Harry piacque tanto quel vino, a tal punto da non


impiegare molto a spogliare Louis della sua t-shirt e a
berlo direttamente dal suo petto tonico. Louis trattenne il
respiro quando Harry verso delle gocce di vino sulla sua
pelle e lo liberò in un gemito di piacere non appena le sue
labbra piene e rosse le assaporarono. Era un gioco di
seduzione che lui non aveva mai sperimentato, ma ormai
non si stupiva più del fatto che Harry riuscisse sempre a
sorprenderlo. Quest'ultimo mugolò, quando Louis lo
spogliò a sua volta e lo fece posizionare mani e ginocchia
sui cuscini morbidi per versare lo stesso vino lungo la sua
spina dorsale e farlo scivolare fino all'incontro delle sue
natiche: lì con un gesto accorto lo leccava via,
intrappolando nelle sue mani il bacino di Harry che
chiedeva sempre di più. Lasciando che la sua schiena si
scontrasse con il proprio petto, Louis gli rubò un bacio
urgente, che si rivelò un intreccio sporco di lingue e saliva
e che mostrò quanto l'uno avesse bisogno dell'altro fino a
consumarsi.

Fu Harry, in quel momento, a voltarsi tra le sue braccia e


a incontrare un'ultima volta le sue labbra prima di soffiare
«fa' l'amore con me e rendimi tuo, soltanto tuo».

E non impiegò molto ad assecondare quella richiesta


perché voleva renderlo suo, più di quanto la sua anima e
il suo cuore gli appartenessero già. Harry non gli permise
di allontanarsi neanche per un istante, emozionato
com'era, neanche quando Louis provò ad alzarsi per

276
prendere dei preservativi perché «ho fatto i controlli e
sono pulito, se anche tu lo sei vorrei sentirti a fondo e
senza barriere» disse. Louis gli accarezzò il viso per
tranquillizzarlo e annuì, perché la sicurezza di entrambi
era al primo posto, ancora prima del loro piacere. Lo fece
distendere sui cuscini e si sistemò tra le sue gambe
tremanti, percorse il suo torace tatuato e i suoi capezzoli
sensibili con la lingua. Le mani di Harry, intrufolatesi tra i
suoi capelli color miele, lo guidarono a scendere sempre
più in basso, verso il bacino. Louis mordicchiò la pelle
tesa del suo ventre, poi leccò la punta rossa del suo
membro e lo inglobò completamente tra le labbra.
Quando cominciò a scendere e a salire sul suo sesso, si
beò dei sottili gemiti di Harry prima di stuzzicare la sua
entrata con l'indice umido di saliva. Non incontrò la solita
resistenza e si accigliò, mentre l'altro lo guardava già e
mordeva il suo labbro inferiore con un'espressione
tutt'altro che innocente.

«Harry?»

«I-io, uhm, mi sono masturbato nella doccia e poi mi


sono preparato da solo perché speravo che avresti fatto
l'amore con me questa sera.» confessò, avvampando
all'improvviso. «Non volevo perdere tempo.»

«Harry, prepararti non è mai una perdita di tempo. Adoro


sentirti intorno alle mie dita...» disse, sforbiciandole
dentro di lui. «...intorno alla mia lingua...» mormorò,
prima di risalire sul suo corpo e rubargli un altro bacio.
«...e a cosa pensavi quando lo facevi?» chiese con un
tono innocente, mentre spargeva il liquido preseminale
sulla propria lunghezza per lubrificarla.

«A-a te.» confessò, un istante prima che Louis allineasse


la punta lubrificata del suo membro nella direzione della
sua apertura e cominciasse a spingersi in lui lentamente.
«Pensavo solo a te, Lou.»

277
E non importava quanto si fosse preparato da solo nella
doccia o quanto lo avesse fatto Louis pochi istanti prima,
Harry si adattò perfettamente a ogni venatura e
increspatura del membro di Louis, il quale non riusciva a
credere di essere l'unico e il solo ad averlo conosciuto in
quel modo così intimo. Le palpebre strette tra loro per
superare il dolore di quella penetrazione, il piacere che
cominciava a espandersi in ogni lembo del suo corpo, le
guance arrossate, gli occhi lucidi e le labbra leggermente
dischiuse per liberare i suoi gemiti e incontrare quelle
dell'altro, mentre Louis colpiva ripetutamente il suo punto
più sensibile. Se dapprima Harry risultava incerto e si
limitava ad accarezzare soltanto la sua schiena o a
lasciargli baci sul collo, più tardi, mentre il piacere
cominciava a montare nel suo bassoventre, incontrò gli
affondi di Louis sollevando il bacino e trasformò i baci in
morsi passionali.

«Di più, di più.» miagolò al suo orecchio. «Più veloce.»

E Louis lo fece, aumentò il ritmo delle spinte saziando i


loro appetiti e cavalcando l'ondata di adrenalina che lo
aveva investito nell'ascoltare la voce sottile di Harry
incitarlo. Gli fece allacciare le gambe attorno al suo
bacino per potenziare i suoi movimenti e il loro piacere
con devozione, perché l'amore che provava per lui era
sconfinato e voleva rendere quell'esperienza la più bella
della sua vita mentre lo accarezzava, lo faceva sentire
importante e gli sussurrava parole dolci nell'orecchio e a
fior di labbra.

E allora quel «je t'aime», quel ti amo che spingeva contro


le pareti del suo cuore per essere liberato, si trasformò in
un meno pericoloso «mon petit» e poi in un accorato «tu
es la Lune de ma vie» perché Harry era davvero la Luna
della sua vita, una luna di cui riusciva a scorgere sempre
e soltanto una parte.

278
Eppure, mentre la esplorava, sembrava meno spaventosa
e misteriosa del solito. Rimaneva sublime, però.
Rimaneva quella riverenza che Louis provava nei
confronti di Harry. Rimaneva quel velo di imprevedibilità
nei suoi occhi verdi, ora anneriti dal piacere. Louis lo
baciò ancora sulle labbra e sul collo, mentre sentiva
nell'orecchio il respiro affannato di Harry dettare il ritmo
delle sue spinte e colpiva ripetutamente il centro del suo
piacere. Bastarono poche stoccate per portarli al culmine.
Il membro di Harry, stretto piacevolmente tra i loro corpi,
si riversò con fiotti caldi sulla loro pelle e lui stesso si
liberò in un gemito più forte, capace di sovrastare quelli
di Louis, che venne nelle sue carni non appena le sentì
stringersi intorno al suo sesso.

Si lasciò andare sul corpo sudato di Harry, godendosi


l'orgasmo e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo,
dove rilasciava baci a labbra schiuse. Harry, nel
frattempo, gli accarezzava la schiena, quasi per lenirla dai
graffi che gli aveva lasciato, e respirava ancora a fatica
per il caleidoscopio di emozioni contrastanti provato poco
prima. Per un istante, o forse un po' di più, Louis desiderò
trovarsi al suo posto. Immaginò che quella fosse stata la
prima volta anche per lui perché avrebbe voluto
appartenere solo a Harry, così come quest'ultimo
apparteneva solo a lui. Soltanto quando i palmi di Harry
raggiunsero il suo fondoschiena e gli strinsero le natiche,
Louis ridacchiò e fece per spostarsi.

Tuttavia, Harry fece pressione su di esse per rimanere


ancora uniti in quel modo così profondo e pronunciò
flebilmente «resta, voglio essere tuo ancora per un po'».

Louis sospirò, prima di chiudere gli occhi e rilassarsi sul


corpo dell'altro, certo che Harry era e sarebbe stato suo
per sempre.

279
Louis osservava le guance ancora arrossate di Harry alla
fioca luce del camino.

Era disteso al suo fianco sui cuscini e una coperta a


quadri rossi e blu copriva i loro corpi ancora nudi: troppo
emozionati per cedere al sonno, sospiravano e si
sorridevano non appena i loro sguardi lucidi si
incontravano. Ogni tanto Harry lo accarezzava per
sincerarsi che Louis fosse proprio al suo fianco e che non
andasse via. Sembrava felice, era felice.

«Come ti senti?»

«Sto bene, Lou. Mi sembra di essere in Paradiso.»

Quella precisazione fece ridere Louis, che si rifugiò


nell'incavo del suo collo e gli solleticò la pelle sensibile
con la barba. Harry non si infastidì, anzi, cominciò a
ridere con lui e lo abbracciò, percorrendo la schiena e le
scapole con i palmi caldi delle mani.

«Hai perso peso in queste settimane.» affermò Harry,


abbandonando il tono divertito per uno più serio.

«Un po', forse.»

Non era così evidente, ma chi vedeva nudo e saggiava il


suo corpo con le mani quasi tutte le notti come Harry
avrebbe potuto notare anche quel minimo cambiamento.

«Un po' più di un po'.»

«Lo so, ma non importa.» Scosse la testa, prima di


evitare il suo sguardo di rimprovero. «È colpa del lavoro,
sono sempre di fretta.»

«Sì che importa. Importa a me, a Niall, a Lisa e persino a


Nick.» ribatté, prendendogli tra le mani il viso e

280
costringendolo a guardarlo. «Non so se devo arrabbiarmi
o meno in qualità del tuo ragazzo, ma è stato proprio
Nick a dire che il tuo fondoschiena fosse più magro.»

Louis ridacchiò perché «sì, dovresti decisamente


arrabbiarti se Nick mi guarda le chiappe!».

«Ma Nick è soltanto Nick e me lo ha detto perché ti vuole


bene.» affermò con sicurezza. «E so che non sono un
asso in queste cose, ma so che non dormi più nel tuo
appartamento perché vuoi assicurarti che io stia bene.
Anzi, so che non dormi in generale. Sei distratto quando
giochiamo a scarabeo e vincere è diventato un gioco da
ragazzi. E ti addormenti sempre prima che i documentari
finiscano. E l'altro giorno ti ho visto mangiare gli orsetti
gommosi rossi e tu non lo fai mai.»

Louis abbassò lo sguardo, si vergognava per essersi preso


gioco della scarsa perspicacia di Harry, per aver
approfittato di un suo punto debole, proprio lui che lo
stava aiutando a trasformare quelle debolezze in punti di
forza.

«Non devi farlo, Lou.»

«Fare cosa?»

«Trascurare la tua vita per me.»

«Non capisci il mio punto di vista.»

«Allora spiegamelo.»

Louis si umettò le labbra. «So che ricordi poco di quella


notte, ma anche per me non è stata una passeggiata,
Harry. Per te è stato un inferno e non voglio
assolutamente paragonare la mia situazione alla tua, ma
è stato terribile vederti soffrire e non poterti aiutare.»

281
«Louis, tu...»

«No, Harry. Sono riuscito a portarti soltanto da tua madre


e tuo fratello: sono loro che ti hanno calmato, che ti
hanno cullato e ti hanno strappato ai tuoi brutti ricordi.»
affermò categorico. «Io? Io ho guidato la macchina per
tre ore e mezza e ti ho fatto un borsone.»

«Mi hai aiutato più di quanto immagini, invece.»

«Non è vero ed è per questo che sto cercando di


recuperare ora. Voglio starti vicino, voglio assicurarmi che
tu stia bene e che tu sia felice. E se per farlo dovrò
perdere qualche ora di sonno o dei chili sinceramente non
sarà un problema per me.»

«Io sto bene, Lou.» affermò Harry. «Io sto bene e


continuerò a stare bene anche se riprenderai in mano la
tua vita.»

«Non stai bene, Harry. So che hai raddoppiato gli incontri


con lo psicologo durante la settimana e che prendi delle
gocce per dormire.»

«Ce la sto mettendo tutta e lo sto facendo anche per te,


Lou.» Strinse le palpebre per un istante prima di
prendere un respiro profondo. «Ho raddoppiato gli
incontri dallo psicologo e ho preso quei tranquillanti
perché non voglio più svegliarti nel mezzo della notte,
perché non voglio spaventarti e non voglio più che mi
guardi come se fossi un sopravvissuto. Voglio che mi
guardi sempre come poco fa, mentre facevamo l'amore,
voglio che mi guardi come Harry, come un ragazzo che
non è un Asperger e che non ha visto suo padre morire
davanti ai suoi occhi.»

Louis si sentì all'improvviso uno sciocco, un ingenuo e un


egoista, ma soprattutto era mortificato dal suo stesso
comportamento.
282
«Anche se non te ne parlo affatto, ci sto lavorando su.
Sto capendo che io non ho colpe per la morte di papà e
che non devo autodistruggermi ogni anno per stare bene
con me stesso.» Harry fece una pausa, forse per
riorganizzare i pensieri. «E non devi sentirti escluso o
impotente se non te ne parlo, ma devo affrontarlo da
solo. È un percorso che devo fare da solo, contando
soltanto sulle mie forze. Ma lo sto facendo per noi,
Lou...per stare meglio ogni ventotto aprile della nostra
vita.»

Louis non riuscì a trattenere le lacrime a quelle parole e


rifugiò il volto nell'incavo del suo collo. «Scusa per essere
stato egoista, per aver avuto la presunzione di sapere
cosa fosse meglio per te, per aver dimenticato chi tu fossi
per me.» singhiozzò. «Tu per me sei Harry, sei soltanto il
mio Harry e nient'altro.»

Quella volta fu Harry a incontrare il suo sguardo incerto e


a baciare le sue labbra, prima di schiuderle ed esplorare
con la lingua l'intero palato. Toccò a lui rassicurare l'altro,
fargli capire che andasse bene sbagliare, fargli notare che
nulla fosse perduto. Per la prima volta in settimane Louis
si sentì libero da ogni peso e dolore e Harry impresse baci
e carezze che bruciavano sul suo volto arrossato dal
pianto senza, tuttavia, lasciargli cicatrici.

«Lou?» lo richiamò Harry più tardi con una guancia


sistemata sulla sua spalla. «Sei sveglio?»

«Più o meno.»

«Cosa mi hai detto mentre facevamo l'amore?»

«Niente, torna a dormire.»

«Non ci riesco, sono ancora troppo eccitato per quello che


abbiamo fatto stasera.» confessò. «Andiamo, so che hai
detto qualcosa in francese.»
283
«Tu es la Lune de ma vie. Tu sei la Luna della mia vita,
Harry».

«Io sono la tua Luna?»

Louis annuì, ancora ad occhi chiusi.

«Sei la mia Luna e fino a poco fa non faceva altro che


spaventarmi con il suo lato nascosto e il mistero che la
circonda.»

«E ora? Ti spaventa ancora?»

«No, non lo fa più perché tu hai lasciato che io la


scoprissi, che ti scoprissi completamente, mon petit.»

«Tu allora sei un sole, Lou. Perché la luna brilla soltanto


grazie al sole e il mio Sole sei tu.»

Louis sorrise ad occhi ancora chiusi, prima di attirare a sé


il viso di Harry e percepire sulle labbra il suo respiro
dolce.

«Ma Lune.»

«Mon Soleil.» ribatté Harry, prima di coinvolgerlo in un


bacio languido che sapeva di promessa.

Il mattino successivo Louis si svegliò a causa del sole che


timidamente filtrava dalle imposte delle finestre e creava
giochi di luce e ombra sul pavimento, lì dove si erano
addormentati poche ore prima.

Per la prima volta in settimane poteva affermare di aver


dormito bene, anche se poco. Nel bel mezzo della notte
Harry lo aveva svegliato con baci e carezze, prima di
284
mettersi a cavalcioni sul suo bacino e accogliere
lentamente il suo membro, per portarli entrambi al loro
secondo orgasmo. Quel ricordo non troppo lontano
sembrò risvegliare i suoi sensi e ogni lembo del suo corpo
tanto da cominciare a lasciare morbidi baci sul petto di
Harry. Quest'ultimo sembrava dormire ancora, ma Louis
notò la sua pelle incresparsi di brividi e i suoi respiri pian
piano farsi più affannati. Più le sue premure si
concentravano sul bassoventre, più Harry sembrava
diventare reattivo. E, non appena sfiorò i contorni della
sua erezione con le labbra e ne baciò la punta arrossata,
il bacino di Harry si sollevò verso di lui, quasi a implorarlo
di continuare.

«Lou.» miagolò con voce roca. «Di più.»

«Buongiorno anche a te, Harold.»

«Sì buongiorno, ma io ti ho chiesto di più.»

«Cosa vuoi?»

«Ti voglio, Lou.»

Harry era ancora ad occhi chiusi, aveva un broncio


adorabile sulle labbra e pronunciò quella semplice
richiesta con un'innocenza che non si addiceva al suo
corpo già pronto per Louis.

«Come?» gli chiese, mentre accarezzava lascivamente i


suoi fianchi. «Come mi vuoi?»

«Le tue labbra attorno a me.» precisò con il respiro


affannato. «C'è il novantanove per cento delle probabilità
che venga in meno di dieci secondi, ma ti voglio.»

«Mi piace quando mi parli di probabilità e percentuali a


letto. È come se tu mi parlassi sporco.»

285
«Lou, ti prego.»

E non si fece pregare perché un istante dopo le labbra


scorrevano già sul suo membro bisognoso e i suoi occhi
ammiravano l'espressione estasiata di Harry, le sue
guance rosse, i suoi ricci sparsi tra i cuscini. Imprigionò i
suoi fianchi al pavimento e velocizzò gli affondi, beandosi
dei gemiti e dei sospiri che riempivano la stanza, prima di
stringere la propria erezione e massaggiarla nel palmo di
una mano, mentre l'altra era impegnata sui testicoli di
Harry. Raggiunsero l'orgasmo in pochi minuti e, soltanto
dopo essersi goduto quell'ondata di piacere, Harry aprì gli
occhi lucidi e mise su un sorriso timido.

«Ora è un buongiorno, Lou.» soffiò sulle sue labbra,


prima di stringerlo a sé.

E lo era. Finalmente, dopo tante settimane, lo era per


davvero. E continuò a esserlo anche nelle ore seguenti,
quando rassettarono la casa e andarono a fare colazione
in una boulangerie del paese. Era la preferita di Louis,
quella in cui riusciva a trovare del pain au chocolat simile
a quello che preparava Margot. Harry apprezzò quel dolce
così tanto da mangiarne anche un secondo e lui si sentì
quasi in dovere di dirgli che quelli di sua nonna fossero
migliori, prima di ripulirgli il mento sporco di cioccolato
con un fazzolettino e aggiungere «quando la conoscerai,
sarà felice di prepararli anche per te!».

Poi, salutarono Clementine con un abbraccio e con la


promessa di rivedersi presto e si diressero all'aeroporto.

Notando lo sguardo malinconico di Harry e che fossero in


largo anticipo per il loro volo di ritorno, Louis decise di
deviare su Cagne-sur-Mer e portarlo a visitare il Castello
Grimaldi. Nonostante la sua mole impotente e quei
bastioni medievali che avevano incusso un po' di timore a
Louis da bambino, entrambi trascorsero l'ora seguente
con lo sguardo all'insù, rivolto ai soffitti decorati:
286
rimasero persino a bocca aperta quando giunsero nel
salone delle feste e ammirarono il trompe-l'oel del
Genovese risalente al Seicento. Visitati gli interni, i due
giunsero sul tetto-terrazzo e poterono godersi il
panorama incorniciato inferiormente dal coronamento
smerlato del castello. Era un paesaggio che avevano
osservato più volte quel fine settimana, ma Harry
sembrava non averne mai abbastanza: il connubio tra
mare, campagna e borgo medievale aveva un potere
calmante su di lui. Rimase con i gomiti appoggiati sul
parapetto in pietra a osservare l'orizzonte per qualche
minuto, mentre Louis osservava a sua volta i suoi ricci
muoversi al vento caldo e il suo profilo illuminato dal sole,
prima di raggiungerlo con una smorfia infastidita sul
volto.

«Tutto okay?»

«Insomma. Non credo che aver fatto l'amore e aver


dormito sul pavimento mi abbiano fatto molto bene, era
decisamente troppo duro per la mia schiena.»

«Vedrai, sarà molto più bello quando lo faremo in un letto


vero.»

«Non ho detto che non sia stato bello.» ribatté Harry, con
un cipiglio quasi offeso. «È stato perfetto e non avrei mai
potuto immaginare qualcosa di più bello, Lou.»

«Era questo il quinto punto della lista e che non mi hai


ancora rivelato?»

«No, non ho mai contemplato una cosa del genere.»

«Davvero?»

«Davvero.» rispose Harry con sincerità. «Perché me lo


chiedi?»

287
«Perché immaginavo che fosse la prima cosa a cui avresti
pensato avendo uno come me al tuo fianco.» scherzò,
prima di cingergli i fianchi.

«Sei assurdo, Lou.»

«In senso positivo o negativo?»

Louis vide una particolare luce risplendere nei suoi occhi


verdi, poi sentì Harry ribattere «decisamente positivo» e
lo baciò, perdendosi ancora nel calore delle sue braccia.

288
CAPITOLO 11

Johannah era stata categorica quando, alla fine di


maggio, aveva ordinato a Louis di «portare le chiappe» a
Eastbourne il prima possibile: il passo da «ci manchi
tanto, tesoro» a «porta anche Harry con te» era stato
così breve da non dargli neanche il tempo di contrattare
la sua presenza.

Aveva trascorso i giorni precedenti pensando a come dirlo


a Harry senza spaventarlo o fargli alcuna pressione. Non
sapeva se lui fosse pronto a conoscere la sua caotica
famiglia, né a sopportare le curiose domande dei suoi
genitori, ma era certo del fatto che non l'avrebbero mai
giudicato e che avrebbero accettato i suoi pregi e i suoi
difetti. Eppure, ogni qual volta provava a proporgli quel
fine settimana a Eastbourne, la lingua di Louis si
annodava, le sue guance avvampavano e finivano a
parlare di qualcos'altro. Ethan gli aveva persino inoltrato
per mail due biglietti di andata e ritorno già pagati, quasi
a impedire loro di tirarsi indietro, ma Louis non ne aveva
ancora fatto parola con Harry.

«Louis, ti prego.» mugolò quest'ultimo, ridestandolo dai


suoi pensieri.

Le sue labbra erano rosse e gonfie per i baci che si erano


scambiati fino a un istante prima e i suoi ricci castani
erano sparsi sul cuscino.

«Cazzo.» mormorò Louis stizzito, riprendendo fiato.

Sua madre aveva il potere di incasinarlo anche quando la


sua lingua lavorava contro l'apertura di Harry e
quest'ultimo lo pregava di entrare dentro di lui
disperatamente, dal momento che le sue mani erano
legate da un paio di bretelle nere e non poteva darsi
piacere da solo. Harry era tornato da Manchester la
scorsa settimana e gli aveva consegnato quell'indumento,
289
per poi chiedergli con innocenza di mostrargli quali
fossero quelle «mille idee non molto eleganti» alle quali
Louis aveva alluso tempo prima. Ora quelle bretelle gli
stringevano i polsi e facevano sì che si dimenasse contro
la sua lingua e le lenzuola bianche per cercare piacere.
Un piacere che non riusciva mai a raggiungere perché
Louis si distraeva sempre un attimo prima del suo
orgasmo, rendendolo soltanto più frustrato.

«Lou, slegami.»

«C-cosa?»

«Ho detto di slegarmi.»

«N-no, aspetta.» balbettò Louis. «Ci sono.»

«No, Lou. Non ci sei.» ribatté Harry. «Non voglio fare


l'amore con te se non ci sei né con il corpo né con il
cuore.»

Louis sospirò, perché Harry aveva ragione, perché non


voleva che quell'atto si riducesse a del semplice sesso dal
momento che tra loro non era mai stato così: tra loro
c'era passione, voglia di scoprirsi, desiderio, amore.
Annuì e slegò il nodo fatto alle bretelle, prima di lasciare
due baci sulla pelle arrossata dei suoi polsi sottili.

«Cosa c'è che non va?» chiese Harry, legando i capelli in


uno chignon disordinato e coprendo i loro corpi nudi con
un sottile lenzuolo.

«Niente, sono soltanto un po' distratto oggi.»

«Non ci credo, sei strano da quando sono tornato da


Manchester. È successo qualcosa durante la mia assenza
o ti sei stancato di me?»

290
«No, assolutamente no.» si affrettò a rispondere,
rassicurandolo con delle carezze. «Non potrei mai
stancarmi di te, Harry.»

Come avrebbe potuto stancarsi di lui? Lo amava


follemente e Harry non era mai noioso, anzi, era una
continua scoperta. Il suo ritorno da Manchester era
semplicemente coinciso con la telefonata di sua madre e
l'inizio di ogni sua elucubrazione.

«Allora cosa c'è?» lo incalzò. «È ancora per quella notte?


Sto bene. Lo psicologo dice che stiamo compiendo passi
in avanti e che non devi preoccuparti perché posso
fronteggiare un'altra crisi.»

«Harry, no, non c'entra niente quella notte. Mi fido di te,


ricordi? So che vuoi stare bene, che stiamo bene
entrambi ora. È che, quando eri a Manchester, ha
chiamato mia madre.»

Lui si accigliò. «Hai ricevuto qualche brutta notizia?


Qualcuno sta male?»

«No, no. È che si sono messi in testa di volerti


conoscere.»

Il cipiglio di Harry si distese a favore di un'espressione


sorpresa e dalle sue labbra si liberò un semplice «oh».

«Oh?»

«Uhm, ne sono lusingato.»

«Quindi non sarebbe un problema per te conoscere la mia


famiglia?»

291
«N-no, sempre che a te vada bene.» Louis annuì
frettolosamente, mentre il petto si alleggeriva di quel
carico. «Quando dovrebbero venire a trovarti?»

«In realtà, ci hanno invitato ad andare a Eastbourne per


un paio di giorni. Insomma, non c'è molto da vedere, ma
c'è un posto che fa il gelato più buono di quello di Wendy,
il lungomare è pieno di locali carini e il Pier offre una vista
spettacolare al tramonto. Il mare è troppo freddo e la
sabbia non è bianca come quella della Costa Azzurra, ma
è casa.»

«E quando?»

«Dopodomani.»

«Dopodomani?» boccheggiò Harry.

Louis gli prese le mani nelle sue e cominciò a muovere i


pollici sul dorso per farlo rilassare.

«Avrei dovuto dirtelo prima, ma avevo paura che reagissi


così. So che il preavviso è inesistente, ma non devi
preoccuparti. Mamma è emozionata all'idea di conoscerti.
Nonna Margot ha cominciato a cucinare da oggi. Mio
padre e mio nonno assistono inermi alla loro follia, ma
anche loro muoiono dalla voglia di vederti. Soprattutto
mio padre, perché finalmente avrà qualcuno con cui
parlare dei Fleetwood Back.»

«Mac, Louis. Fleetwood Mac.» lo corresse Harry e lui alzò


gli occhi al cielo. «E se non dovessi piacergli?»

«Piaci a me e a loro sarà sufficiente. E poi mia nonna è


già pazza di te, ricordi?»

«Non lo so, Lou.»

292
«Anche io ho conosciuto Anne e William mesi fa ed è
andato tutto bene, no?»

«Ma tu sei tu, Louis. Sei solare, socievole e quando


sorridi illumini il mondo intero. Le persone non possono
fare a meno di amarti...» Harry esitò, prima di sospirare
mestamente e aggiungere «...io non sono come te».

«Tu sei Harry e quando sorridi illumini il mio di mondo.


Permetti alla mia famiglia di conoscerti, amarti poi sarà
naturale.»

Come è stato per me.

Harry pronunciò un «okay» incerto. «E Leo?»

«Potremmo portarlo con noi o lasciarlo a casa con Niall.»

«Con noi, per favore.»

Louis ridacchiò e si sistemò tra le sue gambe, mentre


Harry allacciava le mani dietro la sua nuca e giocherellava
con i capelli color miele. «Ottimo, quindi è tutto
sistemato?»

«Oui.»

«Ehi, il francese è soltanto mio.»

«Sì?»

«Sì, è l'unica arma che ho per sedurti.»

«Unica?» I palmi di Harry cominciarono a scendere


lentamente lungo la schiena di Louis, prima di arrivare
alle natiche sode e stringerle, provocandogli un sussulto.
«E questo?»

293
«Questo mi è stato gentilmente donato da Madre Natura,
Harold.» ribatté solennemente. «Il francese è quel
qualcosa in più che mi permette di averti sempre pronto
per me.»

«Sempre.» ripeté Harry sulle sue labbra prima di


catturarle in un bacio languido. «E il tuo francese è solo
per me?»

«È sempre stato solo per te, mon petit.» confessò, perché


Ian l'aveva sempre odiato e roteava gli occhi all'indietro
quando Louis si lasciava scappare qualche parola in quella
lingua.

«E le bretelle?»

«Anche queste sono solo per te.»

«Possiamo riprovarci ancora?» chiese, mordendosi il


labbro inferiore e porgendogli l'indumento. «Dopotutto,
mi stava piacendo.»

«Tutte le volte che vuoi, chéri.»

«Ora, allora.»

Louis intrecciò le bretelle ai suoi polsi, assicurandosi che


ci fosse abbastanza spazio tra la stoffa e la pelle. Fece
per sistemarsi di nuovo tra le sue gambe, ma Harry
scosse la testa e ribaltò le posizioni per occuparsi del suo
membro già duro: lo inglobò tra le labbra e mosse la
lingua sapientemente sulla sua asta per lubrificarlo. Louis
gli permise soltanto pochi affondi e lo invitò presto a
scambiarsi le posizioni. Si beò dei gemiti di Harry quando
allargò le sue natiche per far scorrere tra loro la lingua
piatta e poi farsi strada nella sua apertura, dove abbatté
facilmente il primo anello di muscoli con movimenti ben
studiati della lingua e delle dita. Il corpo di Harry tremava

294
a quel piacere che soltanto Louis era in grado di
provocargli, sembrava sgretolarsi e poi ricomporsi grazie
alle sue carezze ogni volta.

«Non ce la faccio più, Lou. Ti voglio dentro di me ora.»


sospirò, quando Louis morse la pelle diafana del suo
fondoschiena per provocarlo.

Gli afferrò i fianchi e invitò Harry a posizionarsi a pancia


in giù, prima di allargargli le gambe e spingersi contro la
sua apertura in un lento affondo. Poi, cominciò a
muoversi seguendo il ritmo che i gemiti e i sospiri di
Harry dettavano. E sapeva quanto Harry amasse quella
posizione, perché glielo aveva confessato lui stesso pochi
giorni prima: percepire il suo corpo sul proprio in quel
modo così totalizzante lo faceva sentire al sicuro,
protetto. Quel pensiero spinse Louis a intensificare gli
affondi e a lasciargli un ultimo bacio bagnato sulla nuca, a
massaggiargli il membro con una mano e a tenere il suo
bacino fermo con l'altra per amplificare il loro piacere.
Poi, tutto divenne più confuso o più chiaro e con
un'ultima stoccata li portò all'orgasmo: liberò i polsi di
Harry con un gesto veloce e si riversò nelle sue carni,
mentre l'altro muoveva il bacino per assecondare quelle
ultime scosse di piacere. Più tardi e con il respiro ancora
affannato, Harry si voltò e lo fece sistemare tra le sue
gambe, dandogli la possibilità di vedere sul suo viso i
segni dell'orgasmo che aveva sconvolto entrambi: gli
occhi erano lucidi e più neri che mai, le guance arrossate
e le labbra di un rosso fragola che invitava Louis a
baciarle ancora e ancora.

«Grazie, Lou. È stata una delle cose più eccitanti che


abbiamo mai fatto.»

Louis ridacchiò per il tono ancora meravigliato di Harry,


perché non avrebbe mai pensato di dover ringraziare a
sua volta un paio di bretelle per quell'esperienza.
Dopotutto, anni prima, non lo avevano reso più popolare
295
al liceo. Eppure, in quel momento, avevano concesso a lui
e a Harry di vivere uno degli orgasmi più potenti delle
ultime settimane. Allora, non poté far a meno di curvare
le labbra in un sorriso furbo e dire «credo che le bretelle
siano tornate di moda, dovremmo usarle più spesso».

«Tomlinson, sei già qui!»

Louis sobbalzò e per un soffio non rovesciò il suo tè nero


sul costoso computer della Thousand Hearts Foundation.
Alzò lo sguardo verso l'entrata della sala riunioni e non si
sorprese nel vedere un uomo sulla cinquantina sorridergli.

«Buongiorno, capo.»

Ben Orwell si accomodò al suo fianco, accettando il


fascicolo che Louis gli passò e che serviva a fare il punto
della situazione sul progetto di Haiti nella riunione che si
sarebbe tenuta di lì a poco con gli altri soci e dipendenti.
L'uomo sfogliò le pagine con un'espressione soddisfatta
sul volto barbuto e Louis non poté che essere fiero del
loro operato perché il crono-programma era rispettato,
nuovi fondi fremevano per essere investiti in arredi e
materiali scolastici e la risposta della popolazione locale
era stata buona.

«Mi sembra che sia tutto a posto, giusto?»

«Sì, tutto procede come da programma.» rispose Louis.


«Nel suo resoconto settimanale Mark ha scritto che c'è
molto entusiasmo per la scuola sia da parte dei bambini
che delle famiglie.» aggiunse, riferendosi al collega che lo
aveva sostituito nel sopralluogo.

296
«Avresti potuto vederlo con i tuoi stessi occhi. Non avrei
avuto alcun dubbio ora, se fossi partito tu un mese fa al
posto di Mark.»

«Non dovresti averne neanche con Mark perché sta


facendo un ottimo lavoro ed è qui da più tempo di me.» si
affrettò a rispondere. «Mi dispiace aver deluso le tue
aspettative e non essere partito per Haiti, ma il mio
fidanzato aveva la priorità in quel momento.»

«Lo so, Louis. Avrei preferito averti lì, ma in quel


momento non potevo chiederti tanto.» lo rassicurò con
uno sguardo comprensivo. «Non posso mettermi nei tuoi
panni perché io non ho una moglie o altre priorità al di
fuori della Thousand Hearts, ma posso capire perché tu
abbia rinunciato e va bene così, rimani in ogni caso un
ottimo dipendente.»

«Grazie, lo apprezzo molto.»

Louis non poté non arrossire ai complimenti del signor


Orwell, che si era rivelato un capo piuttosto informale
negli ultimi mesi. All'associazione c'erano poche regole da
seguire: non dargli mai del Lei, lavorare sodo, trattare i
colleghi con gentilezza e abbandonare fuori dalla porta
d'ingresso ogni preoccupazione o malumore. Ben Orwell
era convinto che in quelle condizioni i suoi dipendenti
lavorassero meglio e che fosse più semplice e
soddisfacente aiutare il prossimo, missione principale
dell'associazione. E non aveva torto perché, se la
Thousand Hearts Foundation era tra le organizzazioni no-
profit più importanti del Regno Unito, il merito andava
anche alla politica che lui e i suoi dipendenti seguivano
quotidianamente.

«Non arrossire per i miei complimenti, Louis.» ridacchiò il


signor Orwell, notando il suo imbarazzo. «Hai un cuore
che batte lì dentro. Le tue emozioni ti portano a prenderti
cura del prossimo, che sia il tuo fidanzato o chiunque
297
altro, al massimo delle tue possibilità e a fare il tuo lavoro
al meglio. È per questo che sei stato scelto al colloquio,
per la tua passione e la tua devozione alla causa, e anche
perché mi hai ricordato un po' me stesso tanti anni fa.»

«Sei stato giovane anche tu quindi?»

«Ah-ah, ricordami di scalarti questa battuta dal tuo


stipendio!» ridacchiò l'uomo. «In ogni caso, mi aspetto
che tu ci sia all'inaugurazione della scuola questa estate
senza se e senza ma.»

Louis deglutì ascoltando il tono più severo utilizzato dal


signor Orwell e annuì, certo di non poter evitare la sua
partenza ancora una volta. Lo doveva al suo capo che
aveva creduto così tanto in lui, lo doveva alla popolazione
del posto e soprattutto a se stesso. Non ebbe il tempo di
rispondergli, però, perché presto la sala riunioni si riempì
e un suo collega fece partire una presentazione su un
progetto in corso in Thailandia: alla sua partenza e
all'eventuale reazione di Harry avrebbe pensato più tardi.

Quel sabato mattina, con lo zaino a pesare sulle spalle,


Louis continuava a ripetersi che Harry sarebbe arrivato da
un momento all'altro.

Eppure, più i minuti passavano, più non vedeva quel volto


familiare tra chi arrivava alla Victoria Station. Sapeva che
sarebbe stato meglio fare di testa sua, passare da Harry
e andare insieme in stazione, ma quest'ultimo aveva
insistito per farlo da solo e Niall lo aveva spalleggiato
dandogli fiducia e più libertà, dal momento che ora
sapeva muoversi bene in città. Tuttavia, Harry era
stranamente in ritardo e non rispondeva ai suoi
messaggi, il loro treno sarebbe partito tra dieci minuti al
binario 16 e Louis cominciava a spazientirsi. Sussultò
quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei suoi jeans
298
e tirò un sospiro di sollievo nel leggere il nome del
mittente della chiamata.

«Dimmi che stai correndo verso la stazione, altrimenti


perderemo il treno.»

«È proprio per questo che ti ho chiamato.» ribatté Harry.


«Non vengo più, Lou.»

«Che significa che non vieni più?»

Harry gli spiegò di aver trascorso la notte precedente in


preda al mal di pancia e al vomito, di essere stanco e di
non poter intraprendere un viaggio in treno. E alla
delusione iniziale si sostituì presto un forte senso di
preoccupazione perché immaginare Harry malato e da
solo nel suo appartamento gli stringeva il petto in una
morsa dolorosa. Al diavolo Eastbourne, pensò, la salute di
Harry era decisamente più importante.

«Dammi dieci minuti e sono da te.» rispose risoluto.


«Chiamo mia madre e le dico che non partiamo più.»

«No, non rimandare il tuo viaggio a causa mia. Sarebbe


ingiusto e tua madre non te lo perdonerebbe mai.»

«E dovrei lasciarti da solo in queste condizioni? Te lo


scordi.»

«Non sono solo, c'è Niall a casa ed è un medico.»

«Sei sicuro?»

«Ne sono sicuro. Ora va' al binario, altrimenti perderai


per davvero il tuo treno.»

299
«Mi dispiace, Harry.» sospirò, entrando nella stazione.
«Mi piaceva l'idea di noi due insieme a Eastbourne.»

Ed era vero, anche se non lo avrebbe mai confessato a


sua madre. Aveva immaginato Harry nella sua casa
d'infanzia a guardare vecchie foto con Johannah, a
parlare di aerei con nonno Robert o di musica con Ethan,
a preparare del pain au chocolat con Margot e a sporcarsi
il viso di farina.

«Anche a me, ma questo virus intestinale non mi lascia


proprio in pace.»

Louis si affrettò a fargli qualche raccomandazione, prima


di salutarlo con la promessa di ricevere presto
aggiornamenti sulla sua salute e salire sul suo treno.
Harry, d'altra parte, sembrava non vedere l'ora di
terminare quella telefonata e fu questo a tradirlo, a
insinuare il dubbio tra le poche certezze di Louis, a fargli
pensare che il suo malessere fosse inventato. Perché,
quando era malato, Harry amava stare al centro delle
attenzioni di Louis ed essere coccolato. Louis soleva
massaggiargli le tempie quando aveva mal di testa,
spalmargli la pomata balsamica sul petto glabro quando
era raffreddato o accompagnarlo dal dottore perché
quegli ambienti sterili non gli erano mai piaciuti.
Amareggiato, fece l'unica cosa che avrebbe confermato o
meno le sue ipotesi.

«Sta fingendo, vero?»

Un sospiro. Un sospiro dall'altro capo del telefono fu tutto


ciò che gli servì per capire che le sue ipotesi fossero vere.

«Cerca di capirlo, Lou.»

«Cosa dovrei capire, Niall?» sbottò, facendo sussultare


un'anziana seduta qualche posto più in là. «Ha finto di
essere malato per non accompagnarmi a casa. Doveva
300
soltanto conoscere i miei familiari, non chiedere loro la
mia mano.»

«Lo so, hai ragione.»

«Non voglio avere ragione, vorrei soltanto che per una


volta non fosse tutto così dannatamente difficile.»

«Sapevi, però, che sarebbe stata dura.» rispose Niall.


«Non voglio giustificarlo, ma credo che lui veda questo
incontro come un esame. Un esame che non può
superare perché coinvolge persone che non conosce e i
suoi sentimenti. E lui non è bravo in entrambi i casi.»

«Perché? Perché non me ne ha parlato?»

«Perché non voleva deluderti, Lou. Voleva semplicemente


supportarti, proprio come tu fai con lui quotidianamente.
Voleva essere come te.»

«Ma lui non è me, lui è Harry.»

«Ed è per questo che ha la costante paura di deluderti o


che tu possa scappare via.»

«È stato lui questa volta a scappare da me, Niall.»

«È scappato soltanto dall'eventuale giudizio della tua


famiglia, non da te.» ribatté, ammorbidendo la sua voce.
«Si è sentito sotto pressione e ha mandato tutto al
diavolo.»

«Te le ha dette lui queste cose?»

«Le ho immaginate. Ormai lo conosco da anni e questo è


ciò che fa quando si sente sotto pressione: manda tutto
al diavolo e si nasconde nel suo mondo, dove si sente al
sicuro.»
301
Eppure, fino a qualche ora prima era Louis il posto sicuro
di Harry.

Annuì mesto, prima di confessare «a casa mia sono già


tutti innamorati di Harry perché non mi sentivano così
felice da anni. Ora cosa dico a mia madre?»

«La verità, Lou.»

La verità era che Louis aveva avuto il coraggio di


rimanere. Harry, invece, era scappato nascondendosi
dietro una bugia.

«E devo anche spiegarle perché tre settimane fa siamo


finiti a Saint Paul dal momento che Clementine ha fatto la
spia con lei.» sbuffò. «Voglio morire, Niall.»

«Quanto sei melodrammatico!»

«Una delle mie migliori qualità, dopotutto.» disse


amareggiato. «Per lo meno, io sono onesto e non mi fingo
malato per non conoscere i genitori del mio ragazzo.»

Niall soffocò un lamento prima di proporgli «perché non


ne parli con lui? Sai che io non voglio scegliere da quale
parte stare. Prima chiarite questo malinteso, prima tutto
tornerà alla normalità!».

«Meglio di no. Se dovessi parlare con lui ora, direi cose di


cui potrei pentirmi domani.» ribatté. «Ora devo lasciarti.
Una signora mi sta lanciando sguardi di fuoco da quando
sono salito sul treno e temo che da un momento all'altro
possa incenerirmi.»

«Scrivimi quando arrivi, Lou. E goditi il fine settimana con


la tua famiglia, sono sicuro che Harry si accorgerà presto
del suo sbaglio e farà qualunque cosa per rimediare.»

302
Louis sbuffò, prima di salutarlo. Difficilmente Harry
chiedeva scusa, difficilmente parlava dei suoi sentimenti.
Stare con Harry era difficile e Louis lo aveva capito da
quel ventotto aprile o forse anche da prima. Conosceva il
suo carattere scontroso, le sue difficoltà a socializzare e
ad accettare programmi diversi dai suoi, le abitudini che
l'intrappolavano. Eppure, negli ultimi mesi, Harry
sembrava aver fatto grandi passi in avanti e Louis
ricercava la causa di quel miglioramento non solo nei suoi
sforzi, ma anche nella loro relazione e nel loro amore.
Forse, si era sbagliato. Forse, alla fine dei conti, Niall
aveva ragione: l'amore non poteva sistemare ogni cosa.
Louis trascorse l'intera durata del viaggio a guardare il
paesaggio scorrere velocemente al di là del finestrino e
riconoscere Eastbourne da lontano lo rincuorò. Tornare a
casa, lì dove si sentiva amato, lo faceva sempre stare
bene.

Sceso dal treno, Ethan lo accolse tra le sue braccia forti e


gli lasciò un bacio tra i capelli color miele, prima di
chiedergli curioso «allora, dov'è Harry?».

«Papà, i-io...» E non sapeva proprio come giustificare


quell'assenza senza sentirsi un completo fallimento su
tutta la linea. «...ecco, ci sono stati dei cambiamenti
dell'ultimo minuto e...»

Ethan sorrise, nascondendo la sua espressione confusa


davanti alle non-spiegazioni di suo figlio. «Sai una cosa,
Lou? Non importa.»

E Louis adorava suo padre, perché cercava sempre di


proteggerlo, a volte anche da se stesso. Non era un uomo
di molte parole quando si parlava delle relazioni di Louis,
perché credeva che nessuno fosse alla sua altezza, ma gli
era accanto in altri modi: a volte, uno sguardo o un
abbraccio erano più eloquenti di mille parole. Ethan prese
lo zaino di Louis e gli circondò le spalle con un braccio,
guidandolo verso l'automobile e parlandogli di quanto
303
fosse affollata la città ora che l'estate si avvicinava.
Sorrise quando suo padre ebbe la premura di scegliere
una qualsiasi stazione radio per il tragitto verso casa e
non i suoi amati Fleetwood Mac.

Louis pensò ancora una volta che Niall avesse ragione.


Dopotutto, avrebbe dovuto mettere da parte la delusione
per il comportamento di Harry e godersi il fine settimana
con la sua famiglia.

Niall sbuffò nel vedere le uova ormai carbonizzate nella


padella: occuparsi dei problemi di cuore dei suoi migliori
amici non faceva chiaramente bene né a lui né alla sua
colazione.

Gettò le uova nel secchio e mise la padella sporca nel


lavandino, pensando che farla lavare a Harry fosse una
buona punizione per il suo comportamento. Poi, ne prese
una pulita dal mobile bianco e d'un tratto si fermò con la
padella a mezz'aria, realizzando che qualcuno dovesse
pur far ragionare Harry e, in mancanza di Anne o William,
il compito spettava proprio a lui. Per questo, facendo le
loro veci, spalancò la porta della sua stanza e l'osservò
con gli occhi azzurri ridotti a due fessure.

«Niall, che ci fai in camera mia con una padella in


mano?» chiese Harry, stringendosi Leo al petto, quasi a
usarlo come scudo.

«Mi farete finire in manicomio!» borbottò, portando lo


sguardo sulla sua mano e accorgendosi di avere la
padella con sé, prima di lasciarla ai piedi del letto.
«Evidentemente mi sono dimenticato di lasciarla in cucina
perché tu e Louis avete interrotto persino la mia colazione
con i vostri drammi.»

«I-io...»
304
Harry sembrava realmente distrutto. Insomma, nessuno
era perfetto al mattino, ma le occhiaie scure, il viso
smunto e il nido di rondini che aveva al posto dei capelli
la dicevano lunga sulla nottata tormentata che aveva
appena trascorso e non a causa del suo mal di pancia, ma
dei suoi sensi di colpa.

«Tu, Harry, sei un codardo.» affermò Niall. «Fingerti


malato per non andare a Eastbourne? Ma quanti anni
hai?»

«Non ho finto, sto male per davvero.»

«E cosa avresti? Misura bene le tue parole e non


inventarti strane malattie perché sono un medico.»

«Ho mal di pancia, uno strano peso sul petto e persino un


po' di nausea.»

«È il tuo corpo che somatizza le bugie, Harry. Te lo dico


io cos'hai: si chiama paura, ancora paura e anche un po'
di senso di colpa.»

«E se anche fosse vero cosa ci sarebbe di male?» sbottò,


facendo sussultare Leo che, invece di andare via, si
sistemò meglio sul suo grembo: sembrava volerlo quasi
consolare con la sua presenza. «Non sono un automa
come tutti pensano, anche io sono umano.»

«Non c'è niente di male ad avere paura.» Niall si


preoccupò di suonare più comprensivo e si sedette sul
bordo del suo letto. «Ma la paura si affronta. Tu, invece,
hai mentito.»

«Era l'unica cosa che potevo fare.»

«No, avresti potuto parlarne con Louis. Ci teneva molto a


presentarti la sua famiglia, tiene molto anche a te.»

305
È innamorato di te, pensò.

«L'ho fatto, gliene ho parlato e lui mi ha rassicurato sul


momento. Poi, non appena è tornato nel suo
appartamento, i dubbi hanno cominciato di nuovo a
tormentarmi. Non gli avrei confessato ancora una volta le
mie paure. Avrei rovinato tutto, lo avrei reso triste, lo
avrei...»

«...deluso.»

«Già.»

«Lo hai fatto comunque, Harry. Dopo la vostra telefonata,


Louis ha capito che stavi fingendo e non credo che questa
volta te la caverai con delle semplici scuse.»

«È grave, vero? Quello che ho fatto è inqualificabile.»

«Lo è e non avresti dovuto farlo perché la famiglia di


Louis è fantastica. Avevi paura del loro giudizio?»

«Anche. Insomma, cosa avrei dovuto fare? Presentarmi a


sua madre e suo padre e dire loro "salve, sono Harry
Styles, sono un Asperger e mi faccio scopare da vostro
figlio?"»

«Dio santo, Harry. No, assolutamente no. Louis ti


avrebbe presentato come il suo ragazzo, avresti parlato
del più e del meno con la sua famiglia e poi ti avrebbe
portato a far conoscere la città.»

«Non lo so fare, Niall.»

«Cosa?»

«Il perfetto fidanzato. Quello che porta fiori e cioccolatini


alle madri, che intrattiene conversazioni di un certo
306
spessore con i padri. Insomma, un fidanzato di cui andare
fieri. Louis lo è, ma io non lo sono.»

«Non è vero, Harry. Il tuo Asperger non deve essere un


limite e tu puoi essere ciò che vuoi, lo sai. Ci lavori su da
una vita e non puoi mandare al diavolo tutto proprio
ora.»

Niall era certo che, a volte, il vero limite di Harry non


fosse l'Asperger, ma se stesso.

Lui annuì incerto e abbassò lo sguardo su Leo. «E se non


dovessi piacere ai suoi genitori o ai suoi nonni? E se
dovesse essere un problema ciò che sono?»

«Harry, non prendertela con Louis, ma i suoi familiari


sanno già dell'Asperger.»

«Davvero?»

«Sì, lo sanno da qualche settimana. Sua nonna, invece, lo


sa da sempre.»

«E mi vogliono conoscere comunque?»

«Certo.» Niall sorrise davanti alla sua espressione


sorpresa. «Finalmente vedono Louis insopportabilmente
felice e vogliono soltanto conoscere chi lo rende tale.»

«Sono io che lo rendo felice.»

«Sei proprio tu.» confermò, notando che a quel punto i


suoi occhi verdi brillassero. «E scommetto che sia anche il
sesso che fate quasi ogni giorno, ma questo non puoi
dirlo a sua madre.»

Harry ridacchiò, prima di passare una mano tra i capelli e


sospirare «devo fare qualcosa per farmi perdonare».
307
«Assolutamente sì.»

«Il problema è che non so cosa.»

«E per fortuna che nel tuo lavoro da analista finanziario


sei bravo perché a risolvere i problemi della tua vita fai
schifo, Harry.» Niall scosse la testa, prima di aggiungere
furbescamente «...che ci fai ancora qui? Fatti una doccia
e prepara i bagagli, hai un treno da prendere!».

Gli occhi di Louis sembravano particolarmente interessati


allo strofinaccio con il quale asciugava i piatti quel primo
pomeriggio.

Perché, se li avesse alzati, avrebbe incontrato quelli


sospettosi di sua madre e sarebbe stato bombardato da
migliaia di domande, una più scomoda dell'altra.
Continuava a concentrare l'attenzione sul movimento
circolare della sua mano e sulle stoviglie e cercava di
ignorare Johannah, che di tanto in tanto sospirava, si
schiariva la voce con un colpo di tosse e gli sfiorava il
braccio con il solo obiettivo di esasperarlo. Non aveva
metodi molto ortodossi, ma alla fine riuscivano sempre a
farlo parlare e lo fecero anche in quella occasione.

«Chiedimi quello che devi, mamma.»

Lei lo colpì giocosamente sul fianco con un mestolo di


legno. «Non usare questo tono con me, Lou Lou!»

«Scusa, ma stai sospirando da mezz'ora e sta diventando


fastidioso. Se vuoi chiedermi qualcosa, fa' pure. Non
girarci troppo attorno, tanto lo sappiamo entrambi che
alla fine riesci sempre a scucirmi l'informazione che
cerchi.»

308
«E va bene!» Johannah alzò gli occhi al cielo, prima di
passargli un altro piatto da asciugare. «Come stai?» E,
prima che Louis potesse rispondere, aggiunse «e non dire
"tutto bene"...ti vedo stanco.».

«È perché lo sono per davvero. Sono realmente stanco, il


viaggio in treno non è stato dei migliori e la scorsa notte
ho dormito poco.»

«Hai preoccupazioni a lavoro?»

«No, alla Thousand Hearts sono tutti fantastici e il


progetto al quale sto lavorando verrà inaugurato in
estate.»

«Davvero?» Louis annuì, arrossendo davanti


all'espressione orgogliosa presente sul volto di sua
madre. «Sono davvero felice per te, Lou. Te lo meriti.»

«Lo meritano i bambini che aiuteremo con quella scuola


elementare.» la corresse. «Abbiamo lavorato sodo e non
vedo l'ora di vedere ogni nostra idea realizzata.»

«Allora è per via di Harry? Ti dà preoccupazioni?»

«No!» E forse fu troppo veloce nel risponderle.

Johannah sospirò. «Lou, perché Harry non è venuto qui


oggi? Non ti abbiamo chiesto niente quando papà ti ha
portato a casa, ma abbiamo notato la sua assenza.»

«Semplicemente non poteva.»

«Non ha a che fare con il suo...»

«Perché esiti? Si chiama Asperger, mamma.» ribatté


stizzito, gettando sul bancone lo strofinaccio. «Non
capisco perché esitiate tutti nel dirlo. È la sua sindrome,
309
ma non lo definisce. Harry è Harry, prima ancora di
essere un Asperger.»

Le sue parole si dispersero nella stanza e Louis si accorse


presto di aver sfogato la sua frustrazione su sua madre,
che poco aveva a che fare con il suo cattivo umore quel
giorno. Anzi, Johannah, per quanto a volte potesse essere
invadente, cercava soltanto di aiutarlo. Vergognandosi
della sua reazione, abbassò lo sguardo sullo strofinaccio e
poggiò le mani sul bancone in marmo, prima di prendere
profondi respiri e cercare di calmarsi.

«Lou, mi dispiace, non volevo insinuare qualcosa di brutto


su di lui o sul suo Asperger.»

«Non preoccuparti, mamma.» disse, scuotendo la testa.


«Dispiace a me, ho esagerato, ma sono...»

«...stanco.» concluse al suo posto. «Sei sicuro di farcela,


tesoro?»

«A fare cosa?»

«A gestire Harry e la vostra relazione.»

«Stiamo bene insieme e tengo molto a lui, mamma. Ci


sono alti e bassi, momenti sì e momenti decisamente no,
ma quelli ci sono in tutte le relazioni. Giusto?» Lei annuì,
abbozzando un sorriso. «Papà ti ha mai detto una
bugia?»

Johannah sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Centinaia di


volte, Lou.»

«E tu? Lo hai sempre perdonato?»

310
«Ammetto di averlo lasciato dormire sul divano un paio di
volte quando eri più piccolo, ma lui sapeva sempre come
farsi perdonare alla fine.»

«Ma non erano mai bugie gravi, vero?»

«Sai com'è tuo padre: diventa un bugiardo seriale quando


si tratta di dirmi se ha davvero pagato una bolletta o
portato fuori la spazzatura pur di non ammettere di non
averlo fatto.» Ridacchiarono entrambi, poi Johannah
tornò seria. «Harry ti ha detto una bugia?»

«Sì, ha preferito dirmi una bugia invece di dirmi


realmente come si sentisse.» sospirò. «È triste sapere
che non si fida di me al cento per cento.»

«Non so perché o su cosa Harry ti abbia mentito, ma hai


provato a metterti nei suoi panni per un istante?» Louis
esitò. «Tesoro, devi capire che non tutti reagiscono allo
stesso modo davanti alle difficoltà. Magari, ad alcuni
serve più tempo per metabolizzare qualcosa o certi
cambiamenti e Harry è tra questi.» gli spiegò dolcemente,
accarezzandogli una guancia. «Non conosco le sue
motivazioni e non voglio giustificarlo, soprattutto se ti ha
ferito, ma forse pensava che una bugia bianca non ti
avrebbe deluso.»

«E se poi avesse finito comunque per farlo?»

«Allora dovrà trovare un modo per farsi perdonare e tu


dovrai permettergli di farlo o almeno di provarci.»
sospirò, prima di allargare le braccia. «Vieni qui, hai
proprio l'aria di chi ha bisogno di un mio abbraccio.»

Louis scosse la testa e abbozzò un sorriso, prima di


rifugiarsi tra le braccia di sua madre. Si chiese se Harry
avrebbe mai trovato un modo per farsi perdonare, se
avrebbe mai compreso la sua delusione, se avrebbe mai
affrontato le sue paure invece di evitarle. Si strinse
311
nell'abbraccio di Johannah e le mormorò «ti voglio bene»
perché non glielo ripeteva mai abbastanza. Entrambi
rimasero fermi in quell'abbraccio confortante, fino a
quando non sentirono il suono stridente del campanello.

«E ora chi è?» sbuffò Louis. «Se è la zia Mildred vado in


camera mia e ci rimango fino a domani pomeriggio!»

Johannah ridacchiò, prima di sciogliere il suo abbraccio e


spingere Louis verso la porta della cucina. «Se non vai ad
aprire, non lo sapremo mai!»

Quando aprì bruscamente il portone, a Louis si mozzò il


fiato nel vedere chi lo attendeva sull'uscio. C'era Harry
con un'espressione dispiaciuta sul volto, con un
trasportino azzurro sulla spalla destra dal quale
provenivano insistenti miagolii e con un grande mazzo di
fiori nella mano sinistra. Se non fosse stato arrabbiato
con lui, lo avrebbe liberato di tutti i pesi e gli sarebbe
saltato addosso, afferrando il colletto della sua camicia a
fantasia grigia e attirandolo a sé in un bacio mozzafiato.

«E tu cosa ci fai qui?» chiese, invece.

Harry boccheggiò e alternò lo sguardo tra il suo viso e


qualcosa alle sue spalle: prestò Louis capì che non
fossero più soli e che avrebbe dovuto attendere le sue
ipotetiche scuse o spiegazioni. Harry prese un profondo
respiro e sventolò la mano destra, prima di affermare «s-
salve a tutti, sono Harry e scusate il ritardo, ma ho avuto
un imprevisto».

Johannah fu la prima a farsi avanti e «meglio tardi che


mai, tesoro» ridacchiò, prima di prendere il mazzo di fiori
e ammirarlo con Margot. Poi, Harry si presentò ai nonni e
a Ethan e Louis provò molto imbarazzo quando
quest'ultimo lo guardò con diffidenza, come se volesse
recitare il ruolo del padre severo e incutere nel ragazzo di
suo figlio un certo timore. Margot sembrò cogliere il
312
disagio del nipote e invitò presto Ethan a prendere il
borsone per portarlo nella camera degli ospiti, Robert a
occuparsi di Leo e Johannah ad accompagnarla in cucina
per preparare del tè.

«Spero che il tuo virus intestinale sia passato.» borbottò


Louis, quando rimasero soli. «Non voglio ammalarmi a
causa tua.»

«Lou...»

«Non pensare che ti perdonerò facilmente.»

«Lo so.»

«O che basti presentarti qui con dei fiori in mano o Leo.»

«Lo so.»

«O ancora che dimentichi presto la tua bugia.»

«Lo so, Lou.»

«Sai dire soltanto "lo so"?»

«No, sono venuto qui per chiederti scusa. Non dovevo


mentirti e non dovevo lasciare che tornassi a casa da
solo. So di averti deluso e di averti messo in difficoltà con
la tua famiglia, ma ti chiedo di perdonarmi.»

Harry prese una margherita bianca dalla tasca posteriore


dei suoi pantaloni neri e gliela porse con un sorriso
accennato sulle labbra. Louis si convinse ad accettarla
perché era il suo fiore preferito, perché aveva anche un
adorabile fiocco giallo che la teneva insieme a qualche
ramo di bianco mughetto, ma non cedette ancora.

313
«Lo sai che non sono bravo con le parole, ma sono
mortificato per ciò che è successo questa mattina.»
aggiunse, posizionandosi a un soffio da lui. «Puoi provare
a perdonarmi?» lo disse con un filo di voce, con una
delicatezza che gli fece battere il cuore in modo erratico,
la stessa delicatezza che Harry impiegò nell'accarezzargli
la guancia. «Per favore, Lou?»

«Posso provarci, ma non ti assicuro nulla.»

«Per me significa già molto.»

Harry si sporse a baciarlo e il suo non fu un bacio


passionale o profondo. Fu un bacio tenero e dolce, con il
quale gli chiedeva scusa e lo ringraziava per permettergli
ancora di far parte della sua vita. Fu un bacio a testare le
labbra morbide di Louis, che si abbandonò presto alle sue
premure. Dopotutto, bugia o meno, amava essere
vezzeggiato in quel modo, amava quando era Harry a
prendere il controllo dei loro baci, ad accarezzargli i
fianchi e a stringerlo a sé.

«Ragazzi?» La voce delicata di Margot li ridestò


all'improvviso dalla soglia della cucina. «È pronto il tè,
andiamo in soggiorno.»

Louis prese le mani di Harry nelle sue prima di


allontanarle dai fianchi e sussurrò «non pensare che ti
abbia perdonato del tutto con questo bacio o questa
margherita, stanotte dormirai comunque nella camera
degli ospiti!».

Poi, si diresse in soggiorno e vide con la coda dell'occhio


Margot cingere le spalle di Harry e cinguettare con aria
sognante «ah, l'amour!».

E, contro ogni previsione, sorrise.

314
*

Louis guardava il soffitto della sua stanza da ore ormai e


pensava che gli unici limiti di Harry fossero quelli che lui
stesso si poneva.

Le ore precedenti gli avevano dimostrato perché avesse


scelto di avere al suo fianco proprio lui e nessun altro.
Harry aveva conversato con i suoi familiari durante il tè e
la cena, aveva parlato del suo lavoro e della sua nuova
esperienza a Londra, aveva accennato persino al loro
viaggio a Manchester e al lavoro di suo padre. C'era stato
qualche tentennamento iniziale, superato grazie alla
mano di Louis che stringeva la sua sotto il tavolo, ma
Harry era stato Harry e a tutti era bastato a giudicare dai
loro sorrisi e dai loro sguardi. E, dopo cena, non era stato
strano vederlo al fianco di nonno Robert sfogliare un
vecchio album di fotografie risalenti ai tempi in cui era
stato un pilota di linea della British Airways. Louis si era
limitato a osservarlo da lontano per dargli spazio e tempo
di conoscere la sua famiglia. Presto Margot lo aveva
affiancato e gli aveva sussurrato «mi piace molto Harry e
sono certa che piaccia tanto anche ai tuoi genitori e
soprattutto al nonno».

Tutti sembravano scorgere la bellezza più pura in Harry,


lui era il solo a non farlo.

Louis sbuffò, rigirandosi più volte nel suo letto perché


quella notte il sonno tardava ad arrivare. Era sul punto di
cambiare per l'ennesima volta posizione, quando sentì un
cigolio e il suo materasso abbassarsi sotto il peso di Leo,
accoccolatosi subito ai suoi piedi. Poi, dalla porta fece
capolino anche la testa riccioluta di Harry. Alla vista di
quell'espressione assonnata sul suo volto e del suo corpo
avvolto da una semplice t-shirt bianca e un pantaloncino
nero Louis non poté non pensare che Harry fosse
bellissimo, persino in quelle condizioni.

315
«Che ci fai qui?»

«Non riuscivo a dormire nel saperti arrabbiato con me.»

«Non sono arrabbiato.» precisò, mettendosi a sedere sul


letto. «Per lo meno non proprio con te, ma con quella
parte di te che non fa altro che porsi limiti anche quando
non ce n'è bisogno.»

«So di averti deluso, Lou.»

«Pensavo di essere più importante di una semplice paura.


Pensavo che valessi la pena di correre qualche rischio
perché io lo faccio continuamente con te e non rimpiango
nulla. Pensavo tante cose stamattina mentre ti aspettavo
in stazione, ma non avrei mai immaginato di non vederti
arrivare. Almeno, non dopo quello che ci siamo detti
l'altro giorno.»

«Quando ti ho detto che sarei venuto qui lo intendevo per


davvero, ma poi i dubbi e le incertezze mi hanno assalito
e ho mandato tutto all'aria.» spiegò, raggiungendolo sul
letto. «Ho soltanto avuto paura.»

«Avevi paura della mia famiglia?»

«Avevo paura di tutto, ma soprattutto del loro giudizio.»

«Non dovevi, sei stato fantastico e loro erano già


perdutamente innamorati di te. Ora che li hai conosciuti
sei della stessa opinione?»

«No, sono delle persone meravigliose e tu sei fortunato


ad avere una famiglia così.» L'espressione tesa che aveva
sul viso si addolcì, anche grazie ai complimenti che gli
aveva rivolto. «È stato bello parlare con tuo nonno perché
abbiamo tante cose in comune. Margot mi ha promesso di
preparare insieme del pain au chocolat domani mattina.

316
Tua madre andrebbe d'accordo con la mia, sarebbero
ottime amiche. E tuo padre...beh, ha dei gusti musicali
migliori dei tuoi.»

«Ehi!»

Harry ridacchiò, prima di farsi più serio. «Perdonami, Lou.


Lo so che non ti merito la maggior parte delle volte e che
incasino sempre tutto, ma perdonami anche questa
volta.»

Louis scosse la testa, stanco di ascoltare quelle parole


così distruttive fuoriuscire dalle sue labbra.

«Hai detto una cosa giusta e una sbagliata, Harry. È vero


che incasini sempre tutto, ma tu e soltanto tu mi meriti,
okay? A volte mi fai impazzire, ma non rimpiango nulla.
Ogni discussione, silenzio o bugia.»

Harry annuì, portandosi più vicino a lui. Ora erano a un


soffio di fiato l'uno dall'altro e per Louis resistere dal
baciarlo diventava ogni istante più difficile, soprattutto
con la luce delle stelle a specchiarsi nei suoi meravigliosi
occhi verdi.

«Promettimi che non lo farai mai più.»

Louis infilò le mani nella sua chioma leonina e lo attirò a


sé, sfiorando con le labbra la linea affilata della
mandibola, mentre le mani di Harry si aggrappavano ai
suoi polsi quasi a non farlo allontanare.

«Te lo prometto.»

«Ma Lune.» sussurrò a un soffio dalle sue labbra. «Sei


così imprevedibile, sei un mistero, avrai sempre un lato
nascosto per me.»

317
«Non sarà così, perché sei il mio Sole e riuscirai sempre a
farmi splendere completamente, Lou.»

Quel gioco di labbra, sospiri rubati e baci mancati terminò


non appena entrambi annullarono ogni distanza, unendosi
in un bacio profondo che servì finalmente a ritrovarsi.
Louis strinse Harry al suo petto e lo fece sistemare a
cavalcioni sul suo bacino, sentendosi finalmente a casa.

«Posso rimanere a dormire qui, Lou?» chiese Harry,


rifugiando il viso nell'incavo del suo collo e lasciando baci
morbidi sulla pelle scoperta. «Mi sei mancato tanto la
scorsa notte. Ti voglio vicino, ti voglio a un passo dal
cuore.»

«Non devi neanche chiederlo, Harry.»

Rimani per sempre.

Il mattino seguente Louis si svegliò con Leo che


sonnecchiava ancora al suo fianco.

Si stiracchiò lentamente e scese al piano terra per


sottrarre Harry alle grinfie della sua famiglia perché
c'erano tante cose in città che avrebbe voluto mostrargli
quella mattina. Eppure, non appena varcò la porta della
cucina, ciò che vide gli fece tremare il cuore e
dimenticare tutti i suoi programmi per la giornata. Non
avrebbe potuto fare altrimenti osservando Margot
spiegare a Harry come trattare la pasta sfoglia del pain
au chocolat o quest'ultimo sporco di farina sul mento e
sulla fronte. Pensò di stare ancora sognando, ma la risata
di Harry che si diffondeva nella stanza era reale, l'amore
che Louis provava nei suoi confronti era reale. Si schiarì
la voce per farsi notare e i due alzarono lo sguardo nella
sua direzione.

318
«Bonjour!» esclamò, avvicinandosi a entrambi e lasciando
sulle loro guance un bacio.

«Buongiorno, Lou.»

«Buongiorno anche a te, tesoro.» Margot sorrise quando


Louis si sedette sullo sgabello della penisola per osservarli
meglio. «Sei raggiante stamattina, mon petit soleil. Hai
dormito bene?»

«Benissimo, mamie.»

Louis non avrebbe saputo descrivere a parole la nottata


appena trascorsa e quel "benissimo" era stato piuttosto
riduttivo. Dopo le sue scuse, Harry lo aveva stretto a sé e
gli aveva sussurrato «voglio provare qualcosa di nuovo»,
prima di sfiorare le sue natiche e raggiungere con le dita
bagnate di lubrificante la sua apertura. I suoi movimenti
erano stati lenti, calcolati e precisi, ma soprattutto capaci
di portarlo all'orgasmo pochi minuti dopo: Louis aveva
quasi dimenticato quella sensazione, sentirsi pieno
dell'uomo che amava, e si era ritrovato a sperare di
provarla ancora e ancora con Harry al suo fianco.
Avevano trascorso il resto della notte l'uno accoccolato
all'altro, scambiandosi tenerezze e baci silenziosi fino ad
addormentarsi.

«Harry è molto portato in cucina.» disse Margot,


ridestandolo da quei pensieri. «È bravissimo con le
mani.» aggiunse, indicando la sua pasta sfoglia.

«Molto bravo.» sussurrò Louis con un sorriso sghembo,


ma fortunatamente Margot e Harry non colsero alcuna
malizia nelle sue parole.

«Dovresti farti dare qualche ripetizione da lui, mon petit.»

319
Harry le sorrise e la ringraziò per i complimenti, ma Louis
poté soltanto dire «nah, lui basta per entrambi»:
dopotutto, sentirsi bravo in cucina era uno dei pochi modi
che Harry aveva per sentirsi una persona comune, per
prendersi cura degli altri e per dimostrare loro il suo
affetto. Trascorsero l'ora successiva a infornare i dolci e a
pulire la cucina, prima di consumare quella ricca colazione
con il resto della famiglia in giardino.

Osservando Harry interagire con i suoi familiari e


quest'ultimi trattarlo come se lo conoscessero da sempre,
Louis pensò che quella volta lasciare Eastbourne gli
sarebbe dispiaciuto più del solito.

Nel pomeriggio Louis portò Harry nella sua caletta


preferita e affermò «questo è il posto in cui io mi rifugio
quando tutto diventa troppo».

Harry gli rivolse un sorriso complice, prima di sedersi


sulla prominenza di uno scoglio bianco e godersi la pace
di quel posto. Lì i turisti della domenica arrivavano a
malapena, il mare era più agitato del solito e il silenzio
interrotto soltanto dai gabbiani e dallo sciabordio delle
onde era un toccasana quando Louis era sovrappensiero.
Harry osservava meravigliato la distesa azzurra di cielo e
di mare che aveva davanti a sé e di tanto in tanto i suoi
piedi giocherellavano con la superficie dell'acqua. Louis
ridacchiò quando, all'improvviso, Harry sembrò
sopraffatto da quel panorama ed esclamò «qui è tutto
così blu!».

«Ti piace?»

Harry annuì, portandosi le gambe al petto e volgendo lo


sguardo all'orizzonte. «Sinceramente mi chiedo come tu
abbia fatto ad abbandonare tutto questo anni fa.»

320
«Intendi quando sono partito per Haiti? Ne avevo bisogno
non tanto per dimostrare qualcosa a qualcuno, ma per
dimostrare a me stesso che avrei potuto cambiare la mia
vita e quella di qualcun altro.»

«E non hai avuto paura?»

«Da morire.» confessò. «Quando sono atterrato e ho


visto tutte quelle abitazioni fatiscenti o la povertà in cui
versava il paese, però, ogni paura si è dissolta. Non c'è
tempo di pensare alla paura una volta che sei lì. C'è così
tanto da fare che puoi soltanto rimboccarti le maniche e
cominciare a lavorare per te stesso e per loro.»

«Sei una brava persona, Louis.» affermò Harry,


rivolgendogli uno sguardo orgoglioso. «E ci torneresti
prima o poi?»

«Me lo hanno già chiesto.»

«Cosa?»

«Sai che sto lavorando al progetto della scuola


elementare ad Haiti. Beh, il signor Orwell mi aveva
chiesto di partecipare al sopralluogo a maggio, ma io ho
rifiutato perché non era il momento giusto.»

«M-ma non ti chiederanno ancora di partire, giusto?»

«Il signor Orwell si aspetta che io vada per


l'inaugurazione della scuola.»

«Non andare, Lou.»

«Harry, mi sono occupato del progetto in prima persona.


Devo e voglio andarci.»

321
«Non andarci proprio ora, per favore.» lo pregò,
prendendo le mani nelle sue. «Mi sentirei perso senza te
a Londra, senza te nella mia vita.»

«Sarebbe soltanto per un paio di mesi, giusto per vedere


come va la scuola e come viene gestita
dall'amministrazione del posto, non per sempre.» precisò
per non spaventare ulteriormente Harry, che sembrava
già tremare al suo fianco. «Ma non partirò per il
momento, non sono pronto a farlo un'altra volta. Quando
sono partito a diciotto anni avevo soltanto questa piccola
città che mi stava stretta, la mia famiglia e un amico. Ora
ho così tanto, ho un bel lavoro, una città da vivere e tanti
amici. Ho anche te, Harry.»

«C'è anche Leo.»

«Giusto, anche Leo. Non sono pronto a lasciarvi proprio


ora, neanche soltanto per un paio di mesi.»

E quell'affermazione bastò per riportare il sorriso sul volto


di Harry, che si sporse a baciarlo, quasi a suggellare
quella promessa. Harry concesse tutto se stesso in quei
baci, quasi a fargli sentire cosa avrebbe perso se fosse
andato via. Tuttavia, Louis avrebbe ritardato la sua
partenza quanto più possibile perché non era pronto a
lasciarlo e non soltanto per un paio di mesi, ma per tutta
la vita.

Una vita che, però, per la maggior parte delle volte


risultava essere decisamente imprevedibile.

322
CAPITOLO 12

«Questa camicia mi sta facendo impazzire!»

Louis non poté che sbuffare ancora, dal momento che


ascoltava la stessa lamentela da più di un'ora ormai.

«Harry, lascia stare quella camicia!»

Gli diede un colpetto sulle mani, che armeggiavano


disperate intorno al colletto inamidato della sua camicia,
e sperò che nessuno tra gli ospiti li avesse visti
comportarsi come due bambini.

«Sto soffocando, Lou. Non dovevamo venire!»

«È la festa della tua azienda, essere qui stasera era quasi


obbligatorio!»

«Non è una festa, serve soltanto a socializzare fuori dal


lavoro, a ingozzarci di quelle stupide tartine e a indossare
stupidi abiti eleganti.»

«È proprio questo che si fa a una festa, Harold!»

Harry fece una smorfia infastidita, prima di ravvivare i


riccioli castani con una mano e infilare l'indice dell'altra
tra il collo e la stoffa bianca della camicia per poter
respirare meglio.

«Harry!» Louis lo rimproverò ancora, prendendogli le


mani nelle sue e incrociando il suo sguardo rabbuiato.
«Siamo a una festa in uno degli hotel très chic di Londra
e...»

«..."chic" significa noioso, ma non dirlo al resto dei


francesi!» bofonchiò.

323
«...e potremmo divertirci per davvero se soltanto tu
abbandonassi quell'espressione schifata che hai sul tuo
bellissimo viso! Smettila di prenderti gioco dei francesi e
anche di torturare questa povera camicia. Eri così felice
quando l'abbiamo comprata, ricordi?»

«Sì, ma solo perché mi hai detto che sarei sembrato un


principe.»

L'espressione di Louis si addolcì a quel ricordo. Una


settimana prima l'aveva supplicato di comprare un abito
nero e quella camicia bianca con le balze sul bavero per
la festa dell'azienda. Harry li aveva provati controvoglia e
si era convinto a comprarli soltanto quando Louis gli
aveva sussurrato «mon petit prince» nell'orecchio. E,
vedendolo in quell'hotel da sogno e stretto in quell'abito
così elegante, Louis poteva soltanto affermare che Harry
fosse davvero un principe, il suo.

«E lo sei, sei il mio principe.» soffiò sulle sue labbra,


prima di lasciarvi un bacio delicato. «Ho qualcosa per te,
per farti rilassare.»

«Lou, non hai portato droga qui dentro, vero?»

Lui ridacchiò. «Tranquillo, non ho droga con me.»

Harry si accigliò, quando lui frugò nella tasca destra del


suo pantalone elegante e tirò fuori una scatolina di latta
simile a un porta sigarette, lo guardò furbescamente e ne
aprì il coperchio.

«I miei orsetti gommosi!» esclamò Harry sorpreso.

«Li ho portati per le emergenze e questa lo è


decisamente. Siamo fermi in questo angolo della sala da
quando siamo arrivati, ossia un'ora fa.» E, prima che
Harry si avventasse sulla scatola per prenderne uno,

324
Louis aggiunse «non così in fretta, se prendi un orsetto
dovrai concedermi un ballo!».

Harry socchiuse gli occhi in due fessure e capì presto che


Louis facesse sul serio. Annuì sconsolato, prese un
orsetto e lo assaporò con gusto, poi un altro e un altro
ancora. Non appena si rilassò, scrollò le spalle e sbuffò
«facciamo questa cosa del ballo!».

Louis ridacchiò per il modo goffo con cui Harry lo prese


per il polso e lo trascinò al centro della pista da ballo,
dove altre coppie già si muovevano al ritmo di una
canzone lenta e romantica. Capì presto che Harry non
sapesse minimamente cosa fare e gli rivolse un sorriso
d'incoraggiamento, prima di prendere il comando. Prese
una mano nella sua e con l'altra sulla schiena lo attirò a
sé, facendo scontrare i loro petti. Poi, cominciarono a
ondeggiare sul posto e a scambiarsi di tanto in tanto degli
sguardi e dei sorrisi complici.

«Questa musica mi fa vomitare.»

«Non stai vomitando e la canzone sta quasi per finire.»


affermò Louis pazientemente. «È così brutto ballare con
me?»

«È brutto ballare in generale.» ribatté, mentre Louis


poggiava la guancia sulla sua spalla e sospirava. «Ma tu
lo rendi sopportabile.»

«Grazie per il complimento, Harold. Sei un tale


romantico!»

«Andiamo, Lou. Sai cosa intendevo.» La mano di Harry


lasciò per un istante la sua e andò a sollevargli il mento
per far sì che i loro sguardi si incrociassero. «Sei tu che
rendi tutto sopportabile, più bello. Tu e soltanto tu,
Louis.»

325
Harry si sporse a baciarlo delicatamente e Louis
dimenticò per un istante il suo cinismo e nervosismo,
concentrandosi soltanto su di loro. Sorrise quando la
canzone romantica si trasformò in una più ritmata e
Harry gli fece fare una giravolta. Ridacchiò quando provò
a fare lo stesso, ma non ci riuscì perché Harry era più alto
e scoordinato di lui. E non importava se stavano dando
spettacolo tra le altre coppie che affollavano la pista:
abbandonata l'insicurezza iniziale, i due non smisero di
sorridere e amarsi con gli occhi.

Più tardi Harry lo presentò al signor Preston, il direttore


del suo dipartimento, e a Dottie, la segretaria, come il
suo compagno e Louis non poté non arrossire e allo
stesso tempo sentirsi orgoglioso. Non era estraneo a quel
tipo di presentazioni, perché Ian lo presentava di
continuo ai suoi colleghi durante le cene di lavoro, ma
Harry non si limitò a quello: parlò ai due del suo lavoro
alla Thousand Hearts Foundation, del suo progetto ad
Haiti e di come avesse trasformato la sua generosità in
risorsa per gli altri. E quell'orgoglio crebbe a dismisura
quando, a metà serata, il signor Preston annunciò Harry
come il miglior dipendente del dipartimento di analisi
finanziaria e gli consegnò una targa.

«Lo sapevi?» chiese Louis ancora sorpreso, quando tornò


da lui con la targa tra le mani e gli applausi dei presenti.
«Sapevi della premiazione?» Harry annuì ancora
imbarazzato. «È per questo che eri così nervoso?»

«Anche, sei arrabbiato con me perché non te l'ho detto?»

«Assolutamente no!» Unì le loro labbra in un bacio


delicato, prima di sorridergli ancora. «Sono così
orgoglioso di te!»

Harry arrossì e lo strinse a sé per ringraziarlo, poi venne


trascinato via dal signor Preston, smanioso di presentare
ai suoi colleghi la sua punta di diamante. Lo implorò con
326
lo sguardo di seguirlo, ma Louis alzò un pollice nella sua
direzione per incoraggiarlo e gli sussurrò «vai!» con il
sorriso sulle labbra. Dopotutto, era il suo momento di
brillare e Louis sapeva che Harry lo avrebbe fatto più di
mille stelle. Ancora sorridente, si avvicinò al buffet e
prese una tartina: era sul punto di morderla, quando
sentì una voce sconosciuta alle sue spalle.

«Non la mangerei se fossi in te.»

Louis si accigliò perché, al di fuori del signor Preston o di


Dottie, nessun altro gli aveva rivolto parola prima di quel
momento. Si voltò e vide un uomo di bell'aspetto, dai
tratti spigolosi e un sorriso beffardo sulle labbra carnose,
dagli occhi castani e un ciuffo nero che sfidava quasi la
gravità.

«Frequento questi buffet da anni ormai e posso dirti che


quella tartina ha un sapore orribile.»

«Grazie per avermi salvato da questa tartina infernale,


allora.» rispose educatamente Louis, prendendo una
coppa di champagne al suo posto.

«Il mio obiettivo come cavaliere della serata è salvare


tutte le principesse da quelle diavolerie francesi.»
affermò, credendo di essere simpatico: Louis fece una
smorfia perché lui con quelle diavolerie francesi ci era
cresciuto e soprattutto non era una principessa da
salvare. «Sono Dan, comunque.» Gli porse la mano con
spavalderia e lui fu costretto ad accettarla, rivelando il
suo nome in un sussurro. «Non mi sembra di averti mai
visto qui prima d'ora, Lewis.»

«È Louis perché è francese e non mi hai mai visto perché


non sono un dipendente.» precisò. «Accompagno un
ragazzo che lavora qui.»

327
«Oh, e chi sarebbe? Sai, mi piacerebbe conoscere la
concorrenza.»

Louis sussultò a quella parola, perché non ci sarebbe mai


stata alcuna concorrenza: il suo cuore apparteneva a
Harry e a nessun altro cavaliere dalla lucente armatura.

«Harry.» disse. «Harry Styles.»

«Non sapevo che Harry avesse degli amici


sinceramente.»

«In realtà, sono il suo fidanzato. E tu chi saresti per dire


che Harry non ha amici?»

«Rilassati, Louis. Sono semplicemente un suo collega e, a


dire la verità, siamo anche usciti insieme una volta.»

Louis realizzò presto che quell'uomo fosse lo stesso


Daniel che era uscito con Harry a San Valentino, mentre
lui e Leo lo aspettavano pazientemente a casa guardando
film romantici e rimpinzandosi di pop-corn.

«Oh, credo che Harry me ne abbia parlato tempo fa, ma


non ricordo molto. Evidentemente il vostro appuntamento
non deve essere stato granché.»

«Invece di te Harry non ha mai parlato in ufficio.» ribatté.


«Vi frequentate da poco?»

«In realtà, quasi cinque mesi.»

E lo disse con tono piatto perché, alla fine dei conti, Louis
era una persona piuttosto orgogliosa e sapere che Harry
non avesse mai detto di avere un fidanzato in ufficio o
non avesse mai accennato a lui lo ferì.

328
«Beh, non è poco. Ma io non me ne farei un cruccio,
sappiamo tutti quanto Harry possa essere "particolare" a
volte.»

Louis si accigliò dal momento che Daniel e i suoi colleghi


non sapevano proprio nulla di Harry. Non sapevano
quanto fosse premuroso nei suoi confronti, che la
domenica mattina si presentava spesso a casa sua con un
mazzo di margherite in una mano e dei croissant
nell'altra, che amava il mare o che cucinava benissimo.
Daniel non sapeva niente, né di Harry, né di loro. Poi,
Louis realizzò che nessuno, al di fuori dei familiari e della
piccola cerchia di amici di Harry, ne fosse a conoscenza e
un senso di umiliazione gli pervase il petto. Harry non
aveva detto a nessuno della loro relazione e allora perché
lo aveva portato a quella serata così importante? Louis
non trovò alcuna spiegazione plausibile.

«Scusami, ma devo andare.» sì congedò, poggiando la


coppa di champagne ormai vuota sul tavolo del buffet. «È
stato un dispiacere incontrarti stasera, Daniel.»

Non fece caso neanche alla reazione di Daniel, rimasto a


bocca aperta alle sue spalle, e si diresse svelto verso
l'uscita, desiderando di respirare al più presto l'aria serale
di fine giugno. Non appena uscì dalla hall barocca
dell'hotel, sbottonò velocemente i primi bottoni della sua
camicia e prese profondi respiri per calmarsi. Tentò di
scacciare via il sorriso sornione di Daniel e le sue
insinuazioni dalla sua testa, ma queste ultime rimasero
ancora lì e si ripeterono in un loop fastidioso. Cominciò a
incamminarsi verso la stazione della metro più vicina,
quando sentì una voce familiare chiamarlo.

«Lou!»

Louis lo ignorò, affrettando il passo.

«Louis!»
329
«Che vuoi?» sbottò, mentre Harry lo raggiungeva col
fiatone.

«Perché sei qui fuori? Perché stai andando via?» gli


chiese. «Hanno distribuito il dolce ed era davvero buono.
Forse, se torniamo dentro ora, potrai assaggiarlo
ancora.»

«Al momento il dolce è l'ultima cosa che mi interessa.»

«Cosa succede?»

«Ti vergogni di me?»

«Cosa?»

«Evita di fare il finto tonto e rispondimi.»

«E questo ora da dove salta fuori?»

«Non lo so, Harry. Ma è l'unica spiegazione plausibile che


mi sono dato.»

«L'unica spiegazione a cosa, Lou?»

«Al fatto che nessuno sapeva chi fossi io lì dentro!»


esclamò. «Non lo hai detto a nessuno perché ti
vergognavi? O forse perché stiamo insieme a malapena
da cinque mesi? Hai bisogno che chieda la tua mano per
dire ai tuoi colleghi che hai un fidanzato? Che sono io che
mi prendo cura di te? Che sono io che ti faccio ridere o
che asciugo le tue lacrime? Che sono io che ti scopo ogni
notte?»

«Lou, no.» lo interruppe, mentre le mani cominciavano a


tremargli visibilmente. «Lascia che...»

330
«Dio santo, per lo meno Ian mi portava alle sue cene per
mettermi in mostra! Tu, invece, perché mi hai portato
qui? Per sbattermi in faccia che sono un dettaglio
trascurabile della tua vita?»

«Se avessi voluto nasconderti non ti avrei portato con me


stasera, non avrei dato spettacolo sulla pista da ballo e
non ti avrei presentato al signor Preston!» ribatté Harry.
«E non nominare più quello stronzo di Ian!»

«Almeno lui ammetteva la mia esistenza con i suoi


colleghi! Cosa c'è che non va? Non sono abbastanza per
quel branco di cervelloni dei tuoi colleghi?»

«Sei impossibile, Louis William Tomlinson! Impossibile!»

«Io sarei impossibile?» chiese incredulo. «Ti ho dovuto


corrompere con degli orsetti gommosi per avere un ballo
con te. Non mi hai detto che ti avrebbero premiato.
Nessuno lì dentro sapeva che fossi impegnato in una
relazione seria. Dovresti decisamente riconsiderare le tue
priorità.»

«Dio, ma non lo capisci?»

«No, utilizza il tuo quoziente intellettivo superiore alla


media per spiegarmi perché nessuno dei tuoi colleghi
sapeva che avessi un fidanzato.»

«Perché sei tu, Louis Tomlinson, sei tu la mia priorità.»


ribatté più serio che mai. «I miei colleghi, quelli ai quali
volevi essere presentato, sono le stesse persone che non
hanno esitato un istante a chiamarmi "disadattato" o
"Tarzan" grazie a Daniel qualche mese fa. Non avrei mai
parlato a loro di te. Non avrei mai condiviso la cosa più
preziosa che ho con chi mi vede come un fenomeno da
baraccone o non mi accetta.»

331
«I-io...»

«Io, io, io!» esclamò Harry. «Si tratta sempre di te, non è
vero? Perché non ti sforzi mai di metterti nei miei panni?
Dietro ogni mia azione c'è un ragionamento, Louis. Non
sono più un bambino e so cosa è giusto e cosa è
sbagliato. Se scelgo di non condividere una parte della
mia vita con i miei colleghi è perché non meritano di
conoscerla.»

Harry distolse lo sguardo dal suo e gli diede le spalle,


Louis non poté non sentirsi mortificato. Sua madre gli
ripeteva spesso che avrebbe dovuto mettersi nei panni di
Harry per capire i suoi comportamenti e ultimamente lo
faceva di rado. I colleghi di Harry non erano come i suoi
colleghi della Thousand Hearts, erano stati scortesi con lui
fin dall'inizio e lo avevano ferito in modi che Louis non
aveva mai sperimentato sulla sua pelle.

«Harry...» Gli sfiorò un braccio, ma lui si allontanò.


«Scusa.»

Tentò ancora, avvicinandosi a lui, e quella volta Harry


non lo rifiutò. Si sollevò sulle punte dei piedi e lo
abbracciò da dietro, prima di baciargli la nuca e inspirare
il suo profumo di vaniglia.

«Scusa, scusa, scusa.»

«È tutto okay.»

Tuttavia, non lo era. Harry era ancora rigido e Louis si


vergognava per aver messo su quella sceneggiata poco
prima. Ultimamente era fin troppo impulsivo, impaziente
e nervoso perché si sentiva perennemente tra due fuochi,
tra Harry e il suo lavoro. Da una parte il signor Orwell
continuava a ripetergli che la partenza per Haiti fosse
prevista per gli inizi di agosto, dall'altra Harry non voleva
essere abbandonato. Louis aveva realizzato di aver
332
stretto due promesse inconciliabili e che mantenere l'una
equivalesse a rompere l'altra. Era finito in un labirinto dal
quale non sarebbe uscito, non senza perdere qualcosa a
cui teneva per lo meno. Scosse la testa, perché al futuro
incerto e tedioso che lo aspettava ci avrebbe pensato
domani, ora doveva concentrarsi sul presente.

«No, non è tutto okay. Sono stato uno sciocco a


permettere alle parole di Daniel di ferirmi.»

Harry finalmente si voltò tra le sue braccia e sospirò


«sapevo che lui c'entrasse qualcosa».

«Ero al buffet e lui ha cominciato a parlarmi di una tartina


orribile, a fare commenti poco carini sul cibo francese e a
presentarsi come un cavaliere dalla scintillante armatura
che solitamente salvava le principesse in difficoltà.
All'inizio ho pensato che fosse soltanto l'ennesimo
ragazzo che ci stava provando, ma...»

«Aspetta, ennesimo?»

«Concentrati sulle cose importanti, Harold.» precisò.


«...ma poi ha detto di chiamarsi Daniel e di conoscerti. Ho
subito collegato che fosse quel Daniel e lui mi ha detto
che nessuno sapeva di noi o di me in ufficio. A questo
punto credo che lo abbia detto soltanto per farmi
ingelosire e ferirmi.»

«Lo immaginavo. Ti ho visto fuggire via da lui e se ho


tardato a raggiungerti è perché gli ho detto di farla
finita.»

«Cosa? Hai parlato con Daniel?»

«Gli ho detto che lo avrei denunciato per mobbing se non


avesse finito di farmi terra bruciata intorno in ufficio.»

333
«Ti dà ancora fastidio?»

«Ogni tanto, ma ormai risulta antipatico anche agli altri


colleghi.»

«Mi dispiace così tanto, Harry.» sospirò Louis, prima di


rifugiarsi tra le sue braccia. «Questa doveva essere la tua
serata e io ho rovinato tutto.»

«Non hai rovinato nulla. Ho il mio premio di ferie,


l'incentivo è già nel mio conto in banca e ho ancora il mio
fidanzato.»

«E la tua targa?» chiese Louis. «Dov'è?»

«Nella fretta di seguirti, l'ho lasciata a Dottie. La


recupererò lunedì, ora voglio soltanto baciarti.»

E lo fece, unendo le loro labbra in un bacio profondo,


completamente diverso da quelli che si erano scambiati
nella sala barocca dell'hotel. C'erano soltanto Harry e
Louis in quel momento, c'erano soltanto i loro cuori a
battere erratici e le loro anime a intrecciarsi. La lingua di
Harry cercava languida la sua, le dita inanellate gli
sfioravano il collo provocandogli brividi lungo la schiena,
le labbra disegnavano i contorni delle sue con una
devozione alla quale Louis ancora non era abituato. Ed
era stato così stupido nel pensare di essere un dettaglio
trascurabile nella vita di Harry. Bastava ricevere un bacio,
una carezza o un abbraccio da parte sua per capire
quanto fosse prezioso per lui, invece.

«Non vuoi tornare alla festa?»

«Assolutamente no, Lou.»

«E il signor Preston non si offenderà?»

334
«Il signor Preston mi conosce, sa che aver partecipato
alla festa e aver ritirato il premio è già molto per me.
Abbiamo persino scattato le foto di rito per mamma e
Will, ora possiamo andare a casa da Leo.»

«Aspetta!» esclamò Louis, non potendo fare a meno di


sentirsi in colpa per aver interrotto bruscamente la loro
serata. «Potremmo andare a festeggiare in un locale!»

Harry si accigliò. «Un locale?»

«C'è una discoteca qui vicino che ha tre piani!»

«Non per freddare il tuo entusiasmo, ma a questo punto


dovresti sapere che le discoteche non fanno proprio per
me.»

Louis annuì, facendo una smorfia: dopotutto, non


piacevano granché neanche a lui. «Gelato da Wendy,
allora?»

«Gelato da Wendy.» Harry lo prese per mano e gli


sorrise. «Posso sbottonarmi un po' la camicia ora?»

«Assolutamente no!» esclamò, prima di aggiungere con


uno occhiolino «fatti ammirare ancora un po' e poi sarò io
stesso a sbottonarla completamente non appena
torneremo a casa».

«Lou, non funziona così.»

Harry era ormai esasperato. Louis lo aveva notato dal


numero di volte in cui aveva scompigliato e poi sistemato
i ricci che gli incorniciavano il viso o dal modo in cui
batteva il suo piede destro sul pavimento. Eppure,

335
continuava a esasperarlo soltanto per farsi perdonare più
tardi a suon di baci, carezze e promesse.

«La verità è che hai paura di perdere.»

«Paura di perdere?» chiese Harry sconvolto, portandosi


una mano sul petto e alzando di un'ottava il tono di voce
tanto da risvegliare persino Leo dal suo pisolino
pomeridiano. «Io? Mai!»

«Tranquillo, Leo.» lo rassicurò con una carezza e il gatto


miagolò quasi in risposta. «È che il tuo papà non sa
proprio perdere.»

«Perdonalo, Leo.» ribatté Harry, prendendolo e ponendolo


sul suo grembo, con la sola intenzione di non lasciarlo
nelle grinfie di Louis. «È che l'altro tuo papà, oltre a non
conoscere la grammatica, è anche un disonesto. Saggio si
scrive con due "g" e non con tre, idiota!»

Indicò la plancia dello scarabeo tra loro, prima di


lanciargli uno sguardo colmo di rimprovero. Tra le tante
tessere che la riempivano c'era anche lo strafalcione di
Louis e Harry inorridiva soltanto a guardarlo perché per
lui le parole erano sacre, così come lo era anche lo
scarabeo.

«Ma il mio è rafforzativo!» si giustificò, trattenendo a


stento un sorriso, perché nella sua testa quella
spiegazione sembrava avere un senso.

«No, il tuo è soltanto uno stupido tentativo di rendere la


parola più lunga e fare più punti!»

«Quanto sei fiscale, Harold!» sbuffò Louis, alzando gli


occhi al cielo. «Okay, forse volevo rubare qualche punto
senza che tu te ne accorgessi, ma ho una spiegazione
plausibile!»

336
Harry socchiuse gli occhi in due fessure, poi con un cenno
della mano lo invitò a spiegarsi.

«Facendo questi punti, avrei vinto e messo fine a questa


noiosa partita dal momento che abbiamo qualcosa di
meglio da fare questo pomeriggio.»

«E cosa avremmo di meglio da fare?»

«È una sorpresa!» esclamò eccitato Louis.

Harry, invece, si accigliò. «Una sorpresa?»

«Non abbiamo festeggiato abbastanza la tua targa come


miglior analista dell'anno la scorsa settimana.»

«Era soltanto una stupida targa.» sospirò. «Non capisco


perché ne facciate un affare di stato. Mamma e Will
vogliono addirittura incorniciare la foto del ritiro del
premio! Ve lo ripeto, non è niente di speciale.»

«Ehi!» lo rimprovero Louis, lanciando nella sua direzione


una tesserina di legno che per poco non colpì anche Leo.
«Tutto è speciale se ti riguarda.»

«Non voglio festeggiare ancora, Lou. Sinceramente, il


gelato da Wendy e aver fatto l'amore con te per due volte
in una sola notte mi sembravano festeggiamenti più che
dignitosi.»

«Tre, se non ti fossi tirato indietro all'ultimo minuto


addormentandoti! E comunque ciò che stiamo per fare è
decisamente meglio!»

«Meglio? Persino di fare l'amore con te?»

337
Louis sembrò quasi rifletterci, poi rispose «nah» e lo fece
ridacchiare. «Per te, però, potrebbe avvicinarcisi! Ora va'
a renderti presentabile, io ti aspetto qui!»

Harry sbuffò, prima di raccomandargli di sistemare le


tesserine dello scarabeo nella scatola e sparire oltre il
corridoio. Tornò poco dopo con un paio di jeans neri
indosso e un leggero bomber di seta a fantasia che Louis
non aveva mai visto prima di quel momento. Col passare
dei mesi e l'arrivo della bella stagione, aveva scoperto
che Harry avesse un gusto eccentrico nel vestirsi, ma che
fosse ugualmente bello con qualsiasi indumento o
accessorio, anche il più stravagante. Louis si sistemò un
cappellino verde sul capo, prima di tirare fuori dalla tasca
del jeans una benda nera e avvicinarsi a Harry, che si
accigliò e fece un passo indietro.

«Mi spieghi perché indossi sempre quel cappellino


ultimamente? E perché hai quella benda in mano?»

«Ho sopportato il periodo in cui non facevi altro che


indossare quella coppola grigia che ti ha regalato Niall,
puoi accettare la mia ossessione verso questo cappello
ora?» Tuttavia, Harry continuò a guardarlo diffidente.
«Okay, la verità è che c'è troppo sole là fuori, siamo a
fine giugno e non voglio che il mio viso si riempia di
lentiggini!»

«A me piacciono le tue lentiggini!»

«Ne hai già tre con cui giocare, Harry.» Louis le indicò
svogliatamente sulla guancia sinistra, prima di sollevare
la benda nera e aggiungere «questa, invece, serve a non
farti riconoscere la strada altrimenti rovinerai la mia
sorpresa!».

Harry non fiatò, almeno fino a quando Louis non lo


informò che l'ascensore fosse ancora fuori servizio e
dovette guidarlo nella discesa delle scale con suo grande
338
dispiacere e con sua enorme preoccupazione. Arrivati sani
e salvi sul marciapiede, Louis lo fece salire
nell'automobile di Niall e guidò per un paio d'ore, durante
le quali Harry non poté fare a meno di chiedere «siamo
arrivati?» a intervalli regolari. Gli ricordava un bambino e,
nonostante fosse davvero fastidioso, Louis non riusciva a
smettere di sorridere.

«Siamo arrivati?» chiese per l'ultima volta, non sapendo


di essere davvero arrivato a destinazione quella volta.
«Non sento più la macchina in movimento.»

Harry muoveva il capo a destra e a sinistra disorientato e


Louis sì affrettò a dirgli «sì, aspetta che vengo a
prenderti». Fece il giro dell'automobile per aprire la sua
portiera e lui quasi balzò fuori impaziente. «Non ti piace
proprio essere bendato, eh?»

«Forse a letto, ma non qui.» sbuffò. «Muoviti, Lou!»

Ancora sorpreso da quella rivelazione, Louis slegò la


benda, allargò le braccia ed esclamò «ta-daaa!».

Harry guardò confuso la distesa d'erba secca davanti ai


suoi occhi. «Dove siamo?»

«Da qualche parte nelle vicinanze di Southampton. Mi ha


colpito molto il tuo racconto, quando tuo padre ti portava
a volare nel centro di addestramento per piloti civili.» Lui
si strinse nel suo bomber, quasi a proteggersi da quei
ricordi. «Non voglio portare a galla brutti ricordi, Harry.
Voglio soltanto renderti felice ancora, come nella foto che
Anne ha all'ingresso. Vedilo come un omaggio a tuo
padre, a ciò che vi univa e a ciò che vi rendeva felici
insieme.»

Harry accennò un sorriso, mentre proseguivano mano


nella mano verso un grande capannone metallico e Louis
muoveva il pollice sul suo dorso per tranquillizzarlo.
339
«Anche questo è un centro di addestramento per piloti
civili. Non ti faranno salire su un aeroplano vero e
proprio, ma su un elicottero da turismo. Non te lo faranno
pilotare da solo perché servono anni di esperienza e un
brevetto per farlo, ma mi hanno promesso che ti
spiegheranno tutto quello che c'è da sapere una volta
lassù e che ti lasceranno fare qualcosina. È forte lo
stesso, no?»

Harry boccheggiò sorpreso, perché non avrebbe mai


immaginato di spuntare anche la quarta voce della sua
lista. Prima che potesse dire qualcosa, nonno Robert li
raggiunse indossando il suo miglior sorriso: il venticello
estivo gli scompigliava i capelli grigi e il sole gli segnava
più rughe sul volto, ma sembrava ancora un ragazzino
con il suo giubbetto di pelle alla Top Gun. Lo aveva
comprato quando era andato in pensione una quindicina
di anni prima e Margot lo aveva paragonato a Tom Cruise
in quella pellicola che aveva fatto sognare metà della
popolazione maschile e femminile mondiale. Louis
pensava che suo nonno avesse ben poco a che fare con
l'attore americano, ma non glielo avrebbe mai detto.

«Siete arrivati, finalmente!»

«Nonno!» Louis abbracciò Robert, stringendolo forte.


«Grazie ancora per avermi aiutato a organizzare tutto
questo.» aggiunse, prima di allontanarsi e lasciare che
Harry stringesse vigorosamente la sua mano per
salutarlo.

«Sei pronto, Harry?»

«Sto morendo di paura, Robert! Non penso di potercela


fare.»

«Ce la farai! Ti faranno muovere qualche leva e premere


qualche tasto, sta' tranquillo. Avrai tutto sotto controllo.»
lo rassicurò. «Andiamo ora, ci stanno aspettando.»
340
Harry annuì, seppure sembrasse ancora timoroso davanti
l'elicottero da turismo.

«Tu non vieni, Lou?»

Scosse la testa. «No, Harry. Ti guarderò da qui.»

«Sicuro?»

«Al cento per cento.»

Harry annullò presto la distanza tra loro, gli prese il viso


tra le mani e incontrò le sue labbra in un bacio che mozzò
il fiato a entrambi. Soffiò «grazie» e corse via sotto lo
sguardo divertito di nonno Robert, mentre il cuore di
Louis scalpitava nel suo petto. Amava Harry a tal punto
che vedere un suo sorriso gli scaldava il cuore, ricevere
una sua carezza gli cambiava la giornata e trovarsi tra le
sue braccia gli faceva credere di aver trovato finalmente il
suo posto nel mondo. Pieno di orgoglio, lo guardò salire
sull'elicottero insieme al pilota e al nonno con un sorriso
che difficilmente avrebbe dimenticato. Pian piano
l'elicottero prese quota e si allontanò dal centro di
addestramento fino a diventare sempre più piccolo, un
piccolo puntino nero nel cielo azzurro e terso di giugno.
Avrebbe voluto essere con lui su quel velivolo, stringergli
la mano o semplicemente bearsi della sua risata
emozionata, ma non rimpianse la sua scelta di rimanere a
terra.

Era qualcosa che Harry avrebbe dovuto fare da solo.


Avrebbe significato dire addio a suo padre o forse
incontrarlo ancora, quasi a dire «mi sei mancato e non
voglio più lasciarti andare» ora che riusciva ad affrontare
l'argomento e non si chiudeva più in se stesso.

Un'ora dopo, Louis vide quel puntino nero avvicinarsi e


diventare sempre più grande fino ad acquistare le sue
vere dimensioni. Fece qualche passo indietro, piantando i
341
piedi bene a terra perché le eliche del velivolo
sembravano quasi volerlo spostare, e attese
pazientemente che i due scendessero dall'elicottero.
Tutto, Louis voleva conoscere tutto di quella esperienza:
come si era sentito, cosa gli avevano lasciato fare lassù,
se fosse felice. Eppure, quando Harry corse verso di lui
con un sorriso mozzafiato sulle labbra e gli occhi che
brillavano di una luce particolare, Louis si disse che la sua
curiosità avrebbe potuto aspettare.

«Grazie, Lou.» sussurrò Harry, rifugiandosi tra le sue


braccia e quasi scomparendo perché si fece piccolo
piccolo al suo cospetto. «È il giorno più bello della mia
vita.»

Louis provò il desiderio di correre da Anne e farle sapere


che finalmente fosse successo, che suo figlio avesse
pronunciato ancora una volta quelle parole e che non
tutta la sua felicità fosse ormai perduta. Era lì, nel suo
sorriso e nei suoi occhi: bastava soltanto saper accendere
quella scintilla e farla scoppiare. Louis lo aveva fatto, era
riuscito a far credere a Harry che ci fosse ancora un po' di
bontà e di bellezza nel mondo e che suo padre avrebbe
vissuto non solo nei ricordi del suo passato, ma anche in
quelli del suo presente. E più lo guardava emozionarsi,
più pensava che Harry fosse tutto ciò di cui aveva
bisogno, perché sapeva che il Sole e la Luna
necessitassero l'uno dell'altra.

Harry si era rivelata la scelta più giusta che avesse mai


potuto fare nei suoi venticinque anni di vita.

In attesa dell'arrivo del suo treno, nonno Robert li invitò a


prendere un tè nella caffetteria della stazione e Louis
rimase a bocca aperta quando porse a Harry il suo
giubbetto alla Top Gun.

342
«Voglio che lo prenda tu.»

Harry tentennò, prima di sfiorare l'indumento e scuotere


la testa. «Non posso, Robert. Deve significare molto per
te.»

«Sono sicuro che significherà molto anche per te, Harry.


Andiamo, prendilo! Sarà il ricordo di questa splendida
giornata.»

Harry lo accettò timidamente e lo strinse al petto. «Lo


terrò al sicuro nel mio armadio.»

«Puoi anche indossarlo.»

Tuttavia, lui scosse la testa categorico e Robert ridacchiò,


capendo che sarebbe stato impossibile fargli cambiare
idea: Harry era testardo, tanto quanto suo nipote.

«Farò anche in modo che Leo ne stia alla larga, te lo


prometto.»

«Non ne ho dubbi.»

Harry impiegò poco a spingersi tra le braccia forti di


Robert e a sussurrargli «grazie» nell'incavo del collo,
mentre le sue mani scorrevano sulla sua schiena
rassicuranti. E Louis non fu affatto geloso di quel gesto.
Era felice che i due andassero così d'accordo, che
avessero una passione in comune e che Robert lo
considerasse quasi un nipote. Era felice che suo nonno
non avesse concesso la sua fiducia a Ian negli anni
precedenti, perché in quel modo avrebbe potuto darla
interamente a Harry, quel ragazzo che lo aveva fatto
innamorare in un battito di ciglia.

Durante il viaggio di ritorno, Harry raccontò a William e a


Anne con voce ancora tremante dall'emozione quella

343
esperienza. Louis sentì Anne liberarsi in un pianto di
commozione quando Harry ripeté più volte che quello
fosse stato il giorno più bello della sua vita e che Robert
gli avesse regalato persino il suo giubbetto di pelle da
aviatore. Lo disse stringendo ancora una volta
l'indumento al petto e Louis ne fu sorpreso, perché Harry
non aveva mai dimostrato il suo affetto per un oggetto,
all'infuori del ciondolo a forma di aeroplanino di carta, dei
suoi modellini in balsa o del suo amato scarabeo.

Arrivati a Brick Lane, Harry tornò nel suo appartamento


per prendere il borsone e Leo dal momento che
avrebbero trascorso il fine settimana da Louis,
approfittando dell'assenza del suo coinquilino. Louis
aspettava entrambi nella sua cucina, sorseggiando una
birra e pensando ancora agli avvenimenti del pomeriggio
con una particolare soddisfazione a riempirgli il petto.
Trasalì quando sentì il portone sbattere alle sue spalle
all'improvviso e le zampette di Leo picchiettare sul
pavimento: percepì qualcosa di morbido solleticargli le
caviglie prima di vedere nero e sentire una leggera stoffa
sulle palpebre e sul naso.

«Non è divertente.» sbuffò, prima di sentire le labbra


morbide di Harry sulla sua nuca e l'intera schiena
rabbrividire. «Da dove hai recuperato la benda?»

«L'avevi dimenticata nella macchina di Niall.» si giustificò,


baciandogli il collo. «Pensavo che potesse essere
interessante usarla, no?»

Louis soffocò un gemito, prima di inclinare di qualche


grado il capo a sinistra e invitare Harry a baciargli l'intera
linea del collo. Non rispose alla sua provocazione perché
non si sarebbe mai tirato indietro: benda o meno, Harry
sarebbe stato suo per tutta la notte. Si lasciò guidare da
lui nella sua stanza e venne adagiato e spogliato
dolcemente sul letto. Non vedere nulla di ciò che
succedeva intorno a lui lo faceva impazzire, perché quella
344
momentanea cecità amplificava i restanti sensi. Le dita di
Harry sembravano scottare mentre sfioravano le clavicole
sporgenti, i capezzoli turgidi o i contorni dei suoi tatuaggi.
Dieci, cento, mille brividi increspavano la sua pelle
quando i loro corpi nudi si toccavano. I gemiti di Harry
sembravano poesia alle sue orecchie, non appena le sue
natiche sode si scontravano con il membro già duro di
Louis. Fu sorpreso nel sentire le dita di Harry delineare i
contorni delle sue labbra prima di violarle, ma colse il suo
invito e cominciò a succhiarle con devozione, sapendo che
di lì a poco l'altro si sarebbe preparato da solo con quelle
stesse dita.

Tuttavia, non dovette immaginarlo, perché Harry fece


scivolare via la benda e Louis tornò a vedere a colori.
Vide il rosa indiano delle sue labbra, il sottile anello verde
che contornava le pupille nere, il rosso delle sue guance
imporporate dal piacere e il color cioccolato dei suoi
riccioli che gli sfioravano le spalle.

Harry preparò se stesso con movimenti precisi e lenti e


con l'altra mano pompò i loro membri insieme, si dondolò
sul suo bacino e non fece a meno di trattenersi, liberando
gemiti e sospiri non appena sfiorava il centro del suo
piacere. «Guardami, Lou» ripeté più volte, mentre Louis
cercava di resistere alla tentazione di abbandonarsi al
piacere e venire nella sua mano. Gli lasciò un bacio
mozzafiato sulle labbra, prima di scendere lentamente sul
suo membro e accoglierlo dentro di lui con un gemito
osceno. Le mani di Louis gli accarezzarono il bacino e i
quadricipiti in tensione, mentre Harry si muoveva
ritmicamente sul suo corpo, assecondando il piacere che
cominciava a montare nel suo bassoventre.

Per Louis era uno spettacolo diverso da osservare ogni


qual volta facevano l'amore. Ogni volta non era mai
uguale alla precedente. Ogni volta scopriva un dettaglio
di Harry che gli era stato nascosto fino a quel momento:

345
un neo, una particolare espressione, una linea del suo
corpo che non aveva mai tracciato prima.

Harry accelerò i movimenti del suo bacino e l'aeroplanino


d'argento cominciò a sbattere sul suo petto ad un ritmo
cadenzato, capace di ipnotizzarlo. Louis scosse la testa e
concentrò le sue attenzioni sul suo membro,
massaggiandolo e portandolo con poche stoccate
all'orgasmo. Harry presto si riversò in fiotti caldi sul suo
addome e Louis credette di impazzire quando smontò dal
suo bacino e si accucciò tra le sue gambe per leccare e
succhiare devotamente il suo membro. Bastarono pochi
affondi, la sua lingua a scorrere piatta su di lui e quegli
occhi verdi incatenati ai suoi per liberare il suo orgasmo e
delle parole, quelle che aveva tenuto nel suo cuore fino a
quel momento.

«Harry, c-credo di amarti.»

«Credi?» Harry lo chiese col sorriso sulle labbra, mentre


si impegnava a riempire di baci il suo mento e la linea
della sua mandibola velata dalla barba.

«No, ne sono certo.» ribatté davanti a quel sorriso che


non poté fare a meno di baciare, assaporando il suo
stesso sapore di uomo sulla lingua di Harry, prendendo
amore e restituendone altro. «Je t'aime, ma Lune, mon
petit amour, mon tout.»

«T-tu es mon petit soleil.» disse Harry, strofinando la


punta del naso sulla sua all'insù e affondando il viso
nell'incavo caldo e profumato del suo collo, mentre Louis
lo stringeva a sé.

E non importava che Harry non avesse risposto alla sua


confessione con un più diretto «anche io». Bastava che
sorridesse e che i suoi occhi brillassero a quei «je
t'aime» e ai «ti amo» che abbandonavano le labbra sottili

346
di Louis e che Harry gli intimava di ripetere ancora e
ancora senza averne mai abbastanza.

Louis odiava svegliarsi in un letto vuoto, soprattutto dopo


aver goduto del calore e delle carezze di Harry per tutta
la notte.

Puntò i gomiti sul materasso e con i palmi delle mani si


stropicciò il viso: era stanco, ma il suo cuore ancora
palpitante per le dolci parole scambiate con Harry poche
ore prima compensava ogni muscolo dolorante. Si
stiracchiò e si alzò, notando che il pavimento fosse stato
ripulito dai vestiti dismessi e gettati alla rinfusa la sera
precedente. Tese l'orecchio per ascoltare possibili suoni
provenire dal bagno o dalla cucina, ma il suo tentativo fu
vano: di Harry e Leo non c'era alcuna traccia nel suo
appartamento. Poi, un dettaglio colpì la sua attenzione,
un dettaglio che avrebbe o che, forse, aveva già cambiato
tutto. Raggiunse a grandi falcate la scrivania e tese la
mano tremante verso le carte che la occupavano: bastò
soltanto un'occhiata rapida per capire che qualcuno fosse
già stato lì a metterle in disordine pochi minuti o ore
prima.

«No, no, no, no.» mormorò Louis.

Non aveva dubbi che quel qualcuno fosse stato proprio


Harry e che avesse notato il suo biglietto aereo per Haiti,
datato ai primi giorni di agosto, insieme a tutti gli altri
documenti che lo accompagnavano. E Louis avrebbe
voluto dirglielo ogni giorno dal momento esatto in cui
aveva saputo quella data, ma non ne aveva avuto il
coraggio. Non aveva avuto il coraggio di dirgli che
sarebbe partito e che avrebbe rotto la sua promessa, di
guardare il suo viso rattristarsi per la delusione o sentire
le sue mani tremare.

347
«Merde!» esclamò, lasciando correre le dita tra i capelli
lisci per scompigliarli e massaggiarsi le tempie che
cominciarono a pulsare.

Dopo un istante di totale smarrimento, frugò nell'armadio


alla ricerca di una semplice t-shirt e un pantaloncino da
indossare e corse verso il portone d'ingresso, ignorando il
bisogno di fare una doccia o bere un tè per risvegliarsi dal
torpore mattutino. Scese in fretta le scale e si precipitò
fuori dal suo palazzo, dirigendosi verso il parco che
costeggiava il quartiere, quello in cui Harry si rifugiava
quando tutto diventava troppo. Lo percorse in lungo e in
largo, mentre dei grandi nuvoloni grigi si addensavano
nel cielo e nascondevano il timido sole sorto quella
mattina, ma fu inutile. Provò anche da Wendy,
guadagnandosi un'occhiataccia da parte dell'anziana per
le sue occhiaie e la sua espressione sconvolta, ma uscì
dal locale prima di poter ascoltare i suoi rimproveri.

Un posto, mancava soltanto un posto da controllare e poi


tutte le sue paure sarebbero diventate realtà.

Louis tornò indietro, raggiunse il palazzo di Niall e Harry e


percorse le scale a due a due fino a ritrovarsi sul
pianerottolo di quell'appartamento sudato e affannato.
Pensò che fosse la sua ultima possibilità, quando girò la
sua chiave di riserva nella toppa d'ottone.

«Harry?» chiamò, muovendo i primi passi nel soggiorno.


«Leo?»

Niente. Nessun miagolio ad accoglierlo, nessun «sono qui,


Lou!» ad attirarlo nella stanza di Harry. L'appartamento
era vuoto. Il suo cuore, invece, decisamente colmo di
qualsiasi emozione, un turbinio di sentimenti contrastanti
che lo teneva ancora in vita. Entrò nella sua stanza e gli
sembrò che nulla fosse cambiato: i modellini di balsa
erano ancora disposti nella libreria, i suoi abiti piegati
ordinatamente nell'armadio. Mancava soltanto il
348
computer portatile sulla scrivania, ma Louis fu più
impegnato a notare la presenza di una collanina d'argento
e di un ciondolo a forma di aeroplanino di carta sul
comodino. La prese in un palmo e la sfiorò delicatamente
con le punte delle dita prima di intravedere un post-it.
Quel post-it, quello in cui Harry aveva scritto i punti della
sua lista. Le cinque cose che hai sempre voluto fare ma
che a causa del tuo Asperger non hai fatto, lesse con un
filo di voce e sorrise amaramente al ricordo di quel
pomeriggio di gennaio. Ora quel post-it non dava più
speranza, sembrava quasi un addio per le parole scritte
sul lato opposto.

Grazie per aver realizzato tutti i miei sogni.


Ora tocca ai tuoi.
H.

Louis dovette rileggerlo più volte per capirne e


assimilarne il significato. Harry era andato via per lasciare
a Louis spazio e tempo di realizzare i suoi sogni. Pensava
che Haiti fosse il suo unico sogno e che lui stesso fosse
un deterrente a realizzarlo. E non c'era nulla di più
sbagliato in quel pensiero perché tornare ad Haiti e
vedere il progetto della scuola elementare a cui aveva
lavorato per mesi era uno dei suoi sogni, ma non l'unico.
Un marito, tre marmocchi e un cane, o un gatto dal
momento che c'era Leo nella loro vita. Il lavoro alla
Thousand Hearts. Harry. Erano questi i suoi sogni e Louis
non era pronto a rinunciare a nessuno di essi. Per questo,
avrebbe parlato con Harry e gli avrebbe spiegato di non
dover scegliere tra lui e Haiti perché ci sarebbe stato
tempo e spazio per entrambi.

Si chiese se tre settimane fossero troppo poche per


riportare Harry a casa, quel luogo che non aveva quattro
pareti e un tetto, ma due cuori, i loro, che battevano
all'unisono.

349
E forse lo erano per fargli cambiare idea o per fargli
accettare la sua partenza, perché Harry aveva sempre
fatto del cambiamento la sua più grande paura. Eppure,
si disse che ci avrebbe provato, perché non avrebbe
potuto mai arrendersi ora che le loro vite si erano
intrecciate. Quando abbandonò l'appartamento con il
ciondolo d'argento stretto in un pugno e quel post-it che
pesava quanto un macigno nella tasca destra del suo
pantalone, fuori pioveva.

E fu il primo giorno in cui persino Brick Lane gli sembrò


triste.

350
CAPITOLO 13

Harry non aveva mai amato i colpi di testa: la sua vita,


fin dall'infanzia, era stata un insieme di tante abitudini
ripetute giorno dopo giorno e incasellate in un ordine ben
preciso che raramente abbandonava.

La paragonava spesso al gioco dello scarabeo che tanto


amava. Sulla plancia quadrata si disponevano le tessere
che componevano le parole di senso compiuto e quelle
erano gli avvenimenti che costellavano la sua vita. Alcuni
erano più brutti e altri più belli, come se le caselle della
plancia potessero raddoppiare o addirittura triplicare
qualitativamente anche quegli eventi e non solo il
punteggio delle parole. C'erano anche le tessere jolly,
dette scarabei volanti, che potevano sostituire qualsiasi
altra lettera, e per lui erano le persone che rendevano la
sua vita migliore: sua madre, suo padre e William. A
volte, nel turno successivo, capitava di pescare una
lettera utile e che lo scarabeo volante andasse via, come
era successo con suo padre; altre volte, invece, capitava
di pescare proprio lo scarabeo volante e sentirsi la
persona più fortunata del mondo, come era successo
quando aveva incontrato Niall. Harry non aveva mai
avuto molta dimestichezza con gli scarabei volanti, ma
nell'ultimo anno questi ultimi sembravano avergli
cambiato la vita, se in meglio o in peggio ancora non lo
sapeva. Perché c'erano dei giorni in cui era felice di
essere circondato dai suoi nuovi amici, compiere nuove
avventure e scoprire nuovi lati di sé e c'erano dei giorni in
cui avrebbe voluto rinchiudersi nella sua stanza di
Manchester, scomparire tra le coperte e immergersi in un
mondo soltanto suo.

Quel giorno era uno di quelli.

Nonostante l'estate avesse colorato l'intera Inghilterra,


Harry riusciva a vedere soltanto nero. Nero era il suo
umore, nero era il suo presente, perché il suo Sole, quello
351
che faceva splendere anche la superficie grigia della Luna,
Harry lo aveva lasciato a Londra, in un letto freddo e
troppo grande per una sola persona. Aveva riempito il
suo borsone di gran carriera e aveva preso il primo treno
disponibile per Manchester. Si era detto che, nonostante
fosse stato decisamente un colpo di testa chiedere tutte
le ferie disponibili a lavoro, tornare a casa gli avrebbe
fatto bene.

Eppure, non aveva funzionato.

Perché Harry era arrivato a casa sua in lacrime, aveva


pianto tra le braccia di sua madre ripetendo quanto non si
sentisse mai abbastanza per chiunque e si era sotterrato
sotto le coperte con Leo al suo fianco. Gli sembrava di
essere tornato bambino, quando le prese in giro sul bus
della scuola gli facevano desiderare di ricevere
un'istruzione privata, quando nessuno sembrava capire le
sue azioni o i suoi pensieri, quando si sentiva solo. Quella
mattina Harry era tornato a sentirsi soltanto diverso e
non unico, così come qualcuno gli aveva insegnato nei
mesi precedenti.

A distanza di ore si trovava ancora nella sua camera da


letto e guardava oltre la finestra, perché qualcuno sotto il
portico bianco aveva attirato la sua attenzione. Louis era
ancora lì, a pochi passi da lui. Era seduto sui gradini
traballanti del portico da quella mattina e non accennava
ad andare via, neanche quando Anne gli ripeteva che non
ci fosse nulla da fare, che avrebbe dovuto dimenticarlo.
Forse, avrebbe dovuto ripeterglielo lui stesso. Per questo,
uscì dalla stanza con l'intenzione di raggiungerlo e
mandarlo via definitivamente. Gli avrebbe detto che i suoi
tentativi di portarlo a Londra sarebbero stati vani, che
sarebbe stato libero di andare ad Haiti e vivere la sua vita
senza pesi inutili a riempire la sua valigia, che avrebbe
potuto realizzare ogni suo sogno. Non si sarebbe mai
perdonato se fosse accaduto il contrario a causa sua,
perché loro due non erano giusti, perché Harry non lo era

352
per Louis, perché quest'ultimo meritava decisamente di
meglio. Prese un respiro profondo, prima di scendere gli
ultimi gradini della scala, ma il cigolio familiare del
portone lo immobilizzò, insieme a una voce familiare e
preoccupata.

«Anne, grazie. Grazie per avermi fatto entrare.»

«Harry mi ha chiesto di non farti entrare per nessuna


ragione, ma non potevo lasciarti lì fuori ancora per molto,
tesoro.» disse Anne, prima di cingere le spalle di Louis
con un braccio e guidarlo in cucina. «Ti ho preparato un
panino anche se l'ora del pranzo è passata da un pezzo.»

Harry scese gli ultimi gradini cautamente, si fermò sulla


soglia della cucina e, nascondendosi al di là del muro,
tese l'orecchio per ascoltare la loro conversazione.

«Non ho fame, ma grazie per il pensiero.» sospirò Louis.


«Perché lo ha fatto, Anne? Perché Harry è scappato?
Perché non ne ha parlato con me? Avevamo promesso di
non scappare più.»

La sua voce gli sembrò piatta, troppo sofferente persino


per vibrare di dolore, e Harry non poté non pensare di
aver spento persino il Sole.

«Tesoro.»

«Ieri, dopo il giro in elicottero, mi ha detto di aver


passato la giornata migliore della sua vita
con quel sorriso e quella luce negli occhi. Tu lo hai
soltanto ascoltato per telefono, ma io l'ho visto, ho visto
quanto fosse felice. Per la prima volta non ho dovuto
preoccuparmi di nulla perché era finalmente felice.
Sembrava...»

«Normale.» mormorò Harry.

353
«...ancora quel bambino della foto.» concluse Anne.

Quel bambino capriccioso al quale non avevano ancora


diagnosticato la sua sindrome, che era soltanto più
introverso della media a detta dei suoi genitori, che non
voleva giocare a calcio e preferiva rinchiudersi in casa a
guardare documentari o giocare in completa solitudine
perché nessuno dei suoi coetanei sembrava capirlo.

«Sì, sembrava proprio lui.» confermò Louis. «Può un solo


istante cambiare tutto quello, Anne? Perché poche ora fa
gli dicevo di amarlo e ora sono qui a pregarti di farmi
parlare con lui.»

«Lou, li ha visti.» disse Anne. «I biglietti aerei, li ha


visti.»

Harry rabbrividì, perché quel ricordo era ancora nitido


nella sua mente. Quella mattina aveva lasciato il loro
letto con l'intenzione di scrivere su un post-it «vado a
prendere il tuo croissant preferito, non ti muovere dal
letto» e, invece, aveva finito per trovare tutt'altro sulla
scrivania di Louis. Quei biglietti aerei avevano distrutto in
un istante le sue illusioni di poter vivere una vita
normale. Louis aveva deciso di partire e non gliene aveva
parlato perché sapeva che Harry sarebbe impazzito a
causa delle sue paure, delle sue preoccupazioni, della sua
incapacità di badare a se stesso. L'unica opzione
contemplabile era stata allontanarsi da lui, liberarlo di
quel fardello.

«Lo avevo immaginato, ma non è per sempre.» si


giustificò Louis. «Starò via per due mesi.»

«Lo so, ma Harry non vuole ascoltare nessuna ragione


oltre alla sua.»

«È il mio lavoro, Anne. Ho già rimandato la partenza una


volta e ora non posso più farlo. A maggio non potevo
354
partire, non dopo la crisi di Harry, perché sono stati giorni
difficili e dovevo assicurarmi che lui stesse bene. Sono
trascorsi mesi da allora e Harry sta bene, non ho potuto
rifiutare ancora e...io voglio partire. Amo da impazzire il
mio lavoro e non voglio rinunciarci.»

«Ed è bellissimo che il tuo lavoro ti dia così tante


soddisfazioni, Louis. Harry non ti chiede di rinunciarci,
non ti sta chiedendo di rinunciare alla tua vita. È lui che
vuole mettersi di parte. Pensa che sia meglio liberarti
della sua presenza e non essere d'ostacolo ai tuoi sogni,
qualunque essi siano. Vuole che tu lo dimentichi e che
viva la tua vita.»

«Come faccio Anne? Harry è stato il primo uomo che ho


amato in modo così totalizzante, non potrei dimenticarlo
neanche tra cent'anni.»

E quella frase, pronunciata con così tanto sentimento e


sofferenza, fu troppo da sopportare persino per Harry,
che in un istante apparve sulla soglia della cucina e
sorprese entrambi.

«Che ci fa lui qui?» chiese a sua madre. «Ti avevo detto


che...»

«Non mi importa ciò che dici, Harry.» lo interruppe Anne


più severa che mai. «Questa è anche casa mia e ho il
diritto di invitare chiunque io voglia.»

Era sul punto di precisare che per un terzo quella casa


fosse anche sua, quando percepì un flebile «Harry» e tutti
gli sforzi impiegati fino a un istante prima di ignorare
Louis furono vani. Era a qualche metro da lui, con i capelli
scompigliati, il volto stanco e delle scure occhiaie a
cerchiare i suoi occhi. Quegli stessi occhi che brillavano la
maggior parte del tempo e che ora erano scuri,
sembravano un mare in tempesta.

355
«Come sei arrivato qui?»

«Non ha importanza.» disse Louis, facendo un passo in


avanti e tendendogli una mano. «L'unica cosa che
importa è che sono qui e che non ti lascerò andare questa
volta, Harry.»

Lui deglutì vistosamente, prima di guardarsi intorno e


notare che persino la sua unica via d'uscita, Anne,
sembrava essersi volatilizzata nel giro di pochi istanti e
averli lasciati da soli. Quando tornò a guardare Louis, si
accorse che fosse più vicino e di poter persino percepire il
suo profumo. Gli ricordava un mix di spezie, qualcosa di
esplosivo, qualcosa che era riuscito a scuotere il suo
corpo e la sua intera esistenza. Per questo, fece un passo
indietro.

«Non scappare, Harry.» lo pregò. «Sono sempre io, sono


Louis e non me ne vado.»

«Non lo dire, Louis. Non fare promesse che non puoi


mantenere.»

«Harry, io...»

Louis fece cadere nel silenzio qualsiasi tentativo di


formulare una frase di senso compiuto e cercò di
prendergli una mano per stringersela al petto, pensando
che un contatto fisico fosse meglio di mille parole in quel
momento. E solitamente funzionava perché porgergli la
mano nel momento del bisogno era come lanciargli
un'ancora di salvezza. Eppure, quella volta Harry si
divincolò.

«No!» esclamò, indietreggiando e scontrando la schiena


con la parete alle sue spalle. «Non credi che sia ingiusto
dirmi questo proprio ora? Proprio ora che devi andare
via?»

356
«Mi dispiace così tanto non avertene parlato prima, non
averti dato una data precisa o non averti aiutato ad
accettare la mia partenza. Mi dispiace davvero tanto,
Harry. Starò via soltanto per due mesi, ma non cambierà
niente tra noi due.»

«Tu non hai idea di cosa vogliano dire per me due mesi,
Louis. Non posso vivere senza di te, non dopo che ti ho
avuto accanto ogni giorno della mia vita per nove lunghi
mesi. Sei stato la mia guida ed è anche grazie a te che
non mi sono perso a Londra.» spiegò Harry. «Eppure, ora
lo capisco. Ora capisco che è sbagliato, che non posso
legarti a me per sempre. Devi capire anche tu che io non
sono altro che un peso per te, che niente è facile con
me.»

«Niente è stato mai facile tra di noi, ma...»

«...ma uno dei due doveva capirlo per primo, Louis.»

«...ma a me non importa, Harry.» E Louis aveva quel


sorriso sulle labbra, quello che solitamente lo convinceva
ad abbattere ogni suo muro, quello che sfoderava prima
di ogni nuova esperienza, prima di compiere un salto nel
vuoto. «Non importa che io debba partire, tornerò qui e
combatterò per noi.»

«Non devi farlo, sono io il primo a volere che tu non lo


faccia.»

«Perché?» lo chiese senza alcun risentimento, mentre si


avvicinava a lui. «Devi smettere di dire agli altri cosa fare
dei loro sentimenti, cosa fare del loro amore. Perché
l'amore ha delle ragioni che nessuno, neanche il più
arguto e intelligente uomo sulla terra, riesce a
comprendere la maggior parte delle volte. Ed è per
questo che non puoi sapere cosa vuole il mio cuore e non
puoi decidere per me.»

357
«Ma so cosa vuole il mio cuore. E lui non ti vuole. Io non
ti voglio con me.»

Harry poggiò i palmi delle sue mani sul petto di Louis per
spingerlo via, quel poco necessario ai suoi polmoni per
respirare aria pulita, non manipolata dal suo profumo,
dalla sua essenza. Tuttavia, Louis bloccò i suoi polsi in
una presa ferrea e si avvicinò a lui fino a far scontrare
dapprima le punte dei loro nasi e poi le loro labbra in un
gesto disperato. Voleva soltanto fargli sentire quell'amore
che bruciava in lui e che, per un motivo che non si
spiegava, Harry rifiutava.

Lui, la sua Luna, colui che non ne aveva mai abbastanza


dei suoi baci, delle sue carezze e delle sue parole quando
facevano l'amore.

Ora, ignorando le sue proteste deboli, Louis affondava


nella sua bocca e si spingeva contro il suo corpo, perché
non avrebbe mai smesso di combattere. Ritrovò il
familiare sapore di Harry sulla punta della lingua, la sua
pelle morbida sotto i palmi delle mani e i suoi capelli ricci
a solleticargli la fronte, ma durò un istante. Capì presto
che Harry non avrebbe risposto al suo bacio e si
allontanò, prendendo tra le mani il suo viso e poggiando
la fronte contro la sua.

«Non chiudermi fuori, Harry. Ti prego.» mormorò, mentre


cercava ancora le sue labbra morbide.

«Lou, no. Ti prego.»

«Perché non mi vuoi, Harry? Perché non vuoi anche tu ciò


che voglio io? Perché non vuoi una persona che giochi a
scarabeo con te, che guardi i tuoi documentari e che rida
ai tentativi delle tue battute? Perché non vuoi una
persona con la quale cucinare e combinare un disastro
soltanto per poi ordinare una pizza un attimo dopo?
Perché non vuoi una persona con la quale fare l'amore
358
ogni notte e con la quale risvegliarsi ogni mattina? Io
voglio questo e lo voglio con te.»

Louis continuò a parlare sulle sue labbra, a un soffio da


esse, e con un'onestà tale da fargli tremare le ginocchia.
Erano i suoi occhi, così lucidi e vulnerabili, a turbarlo
maggiormente, perché nessuno lo aveva mai guardato
con così tanta disperazione.

«Perché io non posso darti nulla di tutto ciò. Non ne sono


capace, Louis.»

«Non sei capace di amare? Eppure, io ho sempre pensato


che ne fossi capace perché ciò che c'è stato fino a ieri tra
noi era amore.» Harry sussultò davanti a quella
schiettezza. «Non sorprenderti, Harry. Te l'ho detto ieri
notte mentre ero dentro di te e continuerò a dirtelo fino a
quando avrò voce: io ti amo. E non mi importa quanto tu
non ti senta all'altezza, per me lo sarai sempre perché
per me tu sei tutto ciò di cui io ho bisogno.»

«Non capisci, Louis.» ribatté Harry. «I mesi trascorsi


insieme sono stati soltanto un assaggio di ciò che ti
aspetta in futuro e lo hai detto tu stesso a mia madre
pochi minuti fa: sono stati giorni, settimane, mesi difficili.
Quella di restarmi a fianco non è una promessa che puoi
mantenere. Non sono giusto per te, non lo sono per
nessuno, neanche per me stesso.»

«Non ti sto facendo soltanto una stupida promessa,


Harry. Ti sto dicendo semplicemente che ti amo e che
chilometri di distanza e un fuso orario non cambieranno
ciò che provo per te, anzi. Riusciranno a renderlo più
forte perché passerò il mio tempo a contare le ore che mi
divideranno dal tornare a casa, da te.»

«Non posso farcela, Louis.»

359
«Posso farcela io per entrambi, tu dovrai soltanto tornare
a Londra, andare a lavoro, vederti con Niall nel tempo
libero e coccolare Leo al posto mio. Dovrai soltanto
aspettarmi.» Louis lasciò dei baci delicati sulle sue labbra,
quasi a convincerlo delle sue parole. «Ti prego. Je t'aime,
ma Lune.»

«Io non so farlo.» Prese i suoi polsi e li allontanò dal viso,


facendo precipitare le speranze di Louis. «Io non so
amarti e non so neanche avverare i tuoi sogni. Io non
sono te, io non sono fatto per aspettare il tuo ritorno da
Haiti, per una casa, un marito, tre bambini e un cane.
Questo è il tuo sogno e io non posso farne parte, perché
non sono come te. Mi dispiace che quella lista ti abbia
illuso del contrario.»

Harry quasi non riconobbe le sue parole e il tono così


piatto della sua voce: appartenevano alla persona che era
stato un tempo, prima di trasferirsi a Londra. E fu
doloroso tornare a essere quel ragazzo anche soltanto per
qualche minuto, perché significava dover scendere ancora
nelle tenebre e abbandonare la luce. Louis portò una
mano a coprire le sue labbra, scosse da un fremito, prima
di compiere un passo indietro. Harry lo aveva distrutto,
aveva distrutto il suo sogno più grande e qualsiasi sua
illusione sull'amore. Era tornato quel ragazzo, quel
ragazzo che sapeva soltanto causare dolore ai suoi
genitori e a suo fratello mostrando la sua vera natura.

E forse si ruppe qualcosa dentro di lui quando non sentì


più la vicinanza di Louis.

Quella distanza, quella che lui stesso aveva cercato,


sapeva di resa. Louis si era arreso. Lo notava dal suo
sguardo assente, da come si allontanava da lui e cercava
di nascondere le sue lacrime. Singhiozzò, ma non riuscì a
dire nient'altro mentre raccoglieva i suoi pochi averi dal
tavolo. Quel silenzio venne spezzato soltanto quando

360
Louis si fermò sull'uscio della cucina a guardarlo per
l'ultima volta.

«Fammi un ultimo piacere.» sussurrò. «Torna a Londra.


Non distruggere anche i tuoi sogni.»

Senza aspettare la sua risposta Louis scomparve oltre


l'ingresso e Harry tornò a percepire quella familiare
sensazione di vuoto nella sua vita.

William aveva imparato presto a consolare Harry: anche


se quest'ultimo non soleva dire «stringimi forte», lui lo
stringeva forte al petto ripetendogli «ti tengo io» e curava
ogni sua ferita, quelle causate dai suoi ricordi,
dall'ignoranza altrui e da lui stesso.

Negli ultimi giorni, Harry sembrava avere bisogno più che


mai del suo calore, delle sue braccia forti e delle sue
parole rassicuranti. Vagava per la casa come un'anima in
pena, al mattino dormiva più del dovuto e di notte faceva
dei libri il suo unico conforto. William non era più abituato
a vederlo in quel modo, avendo ormai accolto con piacere
i cambiamenti che Louis Tomlinson aveva portato nella
vita di suo fratello. Perché se Harry sorrideva di più, se
aveva smussato i lati spigolosi del suo carattere e aveva
gli occhi che brillavano quando parlava di Londra era
anche merito di Louis. E a William mancava molto vedere
quella felicità sul volto di Harry.

«Spiegami soltanto il perché.» sospirò, lasciandosi cadere


sul letto e guardando Harry di sottecchi.

Ormai ripeteva quella frase da circa dieci giorni e,


nonostante suo fratello non gli fornisse una risposta
degna di essere chiamata tale, non smetteva mai di
cercarla.

361
«Perché Louis merita di meglio.»

«Ehi, non ti abbiamo pagato l'università e un master per


formulare frasi così semplici.» William alzò un
sopracciglio, non badando all'occhiataccia di Harry.
«Articola, H.»

«Louis deve andare ad Haiti senza sentire il peso di ciò o


di chi lascia alle sue spalle. Io sono quel peso e non farmi
credere di non esserlo. Se non mi avesse percepito come
un peso o un problema, non me lo avrebbe mai nascosto
per settimane.»

«E quindi lo hai lasciato andare tu per primo.» Harry


annuì alle parole di William. «Eppure, mi sembrava quello
giusto per te.»

«Louis sarebbe giusto per chiunque, ma io non lo sono


per lui.»

«E anche questo lo hai deciso da solo.» sbuffò. «Harry,


ormai Louis ha venticinque anni. Sa cosa vuole e vuole
te, tu non sei un peso per lui.»

«Non fate altro che ripetermelo, ma voi non avete vissuto


con me i mesi passati.» affermò. «Louis, invece, lo ha
fatto e pensava esclusivamente a me, Will. Soprattutto
dopo l'anniversario della morte di papà, è sempre stato
attento ai miei bisogni e alle mie esigenze, dimenticando
persino se stesso a volte. E io? Io non ho fatto nulla, non
l'ho sostenuto neanche nel suo lavoro o nel suo viaggio
ad Haiti. Come potrei prendermi cura di lui, se non so
badare neanche a me stesso?»

«Perché, invece, non pensi che Louis ti abbia


semplicemente accompagnato nella tua nuova vita da
adulto? Guarda dove sei arrivato: abiti a Londra, hai un
lavoro fantastico, hai Leo e anche degli amici. Non c'è

362
niente di male se sei arrivato a questo punto anche grazie
a Louis.»

«Allora mi stai dando ragione, Louis è stato un baby-


sitter e io un bambino, un inetto.»

«Si chiama "amore", Harry. È così difficile da


comprendere per te?» chiese, scuotendo la testa. «È
come quando papà trasportava in giardino i sacchi di
terreno per la mamma o la aiutava a piantare le sue rose
nelle aiuole. Lo faceva perché pensava che lei non ne
fosse capace? No. Lo faceva perché aiutarla e condividere
la sua passione per il giardinaggio era il suo modo per
dimostrarle che l'amava. Perché in quel modo si sentiva
parte della sua vita.»

«Quindi, non pensi che Louis giochi a scarabeo con me o


veda i miei documentari preferiti o mangi soltanto gli
orsetti gommosi gialli e verdi perché deve farlo?
Insomma, che si senta obbligato a farlo perché...perché
sono così, perché sono un Asperger e teme le mie
reazioni?»

«Louis non è obbligato a fare nulla, Harry. È questo


l'amore: sentirsi parte di qualcuno e di qualcosa. E
credimi, per giocare a scarabeo con te e sopportare
quella tua espressione compiaciuta quando vinci, deve
amarti davvero tanto.» Harry storse il naso a quella
precisazione, ma William continuò. «Louis ti ama e tu sei
il solo a non averlo ancora capito.»

«Anche se lo capissi, a cosa servirebbe? Partirà tra


neanche due settimane.» sospirò Harry, sedendosi al suo
fianco sul letto. «Starà via per due mesi e in sessanta
giorni potrebbe succedere di tutto.»

«E tu perché non gli chiedi di restare?»

363
«Perché è il suo lavoro, per il quale ha lottato
duramente.» sospirò Harry. «Non voglio essere la
persona per la quale abbandona i suoi sogni. Oggi è Haiti
e domani? Domani sarà un matrimonio, saranno dei figli.
E Louis vuole il pacchetto completo. Io non posso dargli
tutto questo, Will. E, allo stesso tempo, per quanto faccia
male, non voglio privarlo della possibilità di avere tutto
questo con un'altra persona, qualcuno più adatto a lui.»

«Non sai quello che dici.»

William non riusciva a sopportare quel senso di disfatta


nelle sue parole, perché insieme a sua madre aveva
cercato di spronare Harry fin da bambino.

«Lo so, invece.» rispose Harry, le dita delle sue mani si


arricciavano e si distendevano velocemente, segno che la
sua frustrazione fosse al limite. «Voi volete che io
conduca una vita normale, ma la mia vita non sarà mai
normale perché io per primo non lo sono. Perché avrò
sempre problemi a socializzare, a dire ciò che provo
realmente alle persone a cui tengo, a tenere a bada le
mie opinioni schiette o i miei comportamenti ripetitivi.
Perché sono bravo solo in ciò che riguarda me...anzi,
forse neanche in quello.»

«Io non voglio una vita normale per te, Harry.» precisò
William. «Voglio soltanto una vita che ti renda felice, una
vita piena, ricca di amore. Unica, così come sei unico tu.»

«I-io...»

«Tu cosa? Tu non sai essere felice, Harry? Questa è una


stronzata.» William alzò la voce. «Tu puoi essere ciò che
vuoi, puoi essere triste, puoi essere felice, puoi amare,
Harry. Tu puoi anche amare Louis.» disse, prendendo una
mano nella sua. «Non essere egoista e cerca di capire
quanto sia profondo il sentimento che ti lega a noi. Noi ti
amiamo e tu devi soltanto accettarlo perché lo meriti. E ci
364
ferisci quando insinui di non saper amare a tua volta
perché noi tutti ci sentiamo amati da te.»

William cominciò a vedere delle lacrime scendere sulle


guance arrossate di Harry. Le sue parole erano riuscite a
scalfire la sua armatura e a colpirlo, a penetrare in
profondità, fino al cuore e all'anima. Sentì il suo respiro
mozzarsi e poi liberarsi in un singhiozzo, poi un altro e un
altro ancora. Harry non impiegò molto a nascondere il
viso nell'incavo del suo collo e ad abbandonarsi al suo
abbraccio, rendendosi più vulnerabile di quanto lo fosse
ogni maledetto ventotto aprile.

«Stringimi forte, Will.»

E lo disse per davvero. William non esitò a rafforzare la


sua presa e ad accarezzargli la nuca per rassicurarlo.
Come quando erano bambini e aveva dovuto spiegargli
che suo padre non sarebbe tornato a casa dall'ospedale.
Come quando erano ragazzi e aveva dovuto tenere
insieme il suo cuore spezzato dall'ignoranza dei suoi
coetanei. Come ogni ventotto aprile, tra i suoi libri a
terra, le coperte gettate alla rinfusa e i sensi di colpa che
lo divoravano. William non sapeva se da quel momento in
poi Harry avrebbe abbracciato l'amore in qualsiasi forma.
Tuttavia, sapeva che le sue parole avessero aperto una
breccia nel muro che lo circondava e che Louis aveva
cominciato ad abbattere mattoncino dopo mattoncino,
bacio dopo bacio, avventura dopo avventura. Nel
frattempo, poteva soltanto ripetere una promessa a suo
fratello, qualcosa che non avrebbe mai smesso di fare
perché era come respirare.

«Ti tengo, Harry. Ti tengo io.»

365
Le giornate scorrevano lentamente nei sobborghi di
Manchester, soprattutto d'estate.

I meteorologi l'avevano definita l'estate più calda degli


ultimi tempi, ma per Harry era soltanto la più noiosa.
Soltanto Leo sembrava trarre godimento da quelle
giornate andando alla ricerca di lucertole in giardino,
sonnecchiando sotto il portico e lasciandosi coccolare da
Anne e William. Louis l'avrebbe sicuramente definito un
traditore e a Harry scappava sempre un sorriso quando lo
immaginava con quel suo cipiglio e il naso arricciato a
pronunciare quella parola. Tuttavia, quel sorriso finiva
sempre per diventare amaro perché Louis non c'era e la
colpa era soltanto sua. Stanco di rimuginare sulle sue
scelte sbagliate, di mangiare gelati, leggere o lavorare
distrattamente al suo computer, quel pomeriggio decise
di dare una svolta verde alla sua giornata.

«Non credo che quelle lavande stiano bene con le eriche,


mamma.»

Vide Anne sollevare il capo e guardarlo confusa, mentre


le sue mani continuavano a scavare una piccola buca per
piantare la lavanda nell'aiuola.

«Da quando sei un esperto nella composizione delle


aiuole, tesoro?»

«Non lo sono, ma vederle insieme mi disturba. Chiamalo


istinto.»

«Beh, meno istinto e più buche, Harry.» ridacchiò lei,


passando il dorso della mano sulla fronte madida di
sudore. «Dobbiamo terminare questa aiuola prima che
faccia buio.»

«Il prossimo anno dovremmo piantare delle margherite.»


propose, inginocchiandosi al fianco di Anne e realizzando

366
una piccola buca per la pianta. «Le margherite sono
molto più belle.»

Evitò di aggiungere che le margherite, oltre a essere i


suoi fiori preferiti, gli ricordassero anche Louis. Erano nel
mazzo di fiori che Harry gli aveva dato a San Valentino,
nel
centrotavola della loro prima cena insieme e a volte
persino tra i suoi riccioli, perché Louis diceva che in quel
modo fosse bellissimo.

«Cos'è tutto questo interessamento al giardinaggio,


tesoro?»

«Semplicemente mi stavo annoiando e ho pensato che


aiutarti potesse essere un buon modo per occupare un
po' del mio tempo libero.»

«Avresti potuto accompagnare Will in città e aiutarlo al


ristorante.»

Harry arricciò la punta del naso perché «non sono in vena


di stare in mezzo a tutta quella gente!».

«Lo so, è difficile essere circondati da così tante persone


e non dall'unica persona che vorresti davvero al tuo
fianco.»

Harry sbuffò, cercando di calmare quel sentimento di


irritazione che piano piano cominciò a scaldargli il petto e
le guance. Anne non faceva a meno di giocargli tiri
mancini in quei giorni, esattamente da quando aveva
mandato via in malo modo Louis. Sua madre non aveva
condiviso la sua decisione e lo aveva reso ben chiaro con
le ramanzine che gli rivolgeva quotidianamente.

«Mamma.»

367
«Che c'è? Era soltanto una considerazione.» spiegò con
un'espressione innocente sul volto. «E poi, se tu fossi a
Londra, non ti annoieresti di certo e non rovineresti le
mie aiuole!»

Anne scacciò via le sue mani poco esperte dalle piante e a


Harry non restò che lasciarsi cadere sull'erba morbida e
rilassarsi sotto il caldo sole estivo. Rilasciò un sospiro
profondo e si guardò intorno, pensando che avrebbe
voluto decisamente essere Leo in quel momento. Il gatto
bianco sembrava così spensierato nel cacciare le sue
lucertole o nell'osservare ammaliato le farfalle variopinte
che si poggiavano distrattamente sulla siepe. Eppure, lui
non era Leo. Lui era Harry e la spensieratezza non aveva
mai fatto parte della sua giovane vita.

«Tu credi che dovrei tornare a Londra?»

«Senza alcun dubbio.»

«Anche se Louis se ne andrà e non ci sarà?»

«Harry, quando ti sei trasferito a Londra quasi un anno fa


non c'era nessun Louis ad aspettarti.» Anne lasciò i suoi
strumenti e si sedette al suo fianco. «È stato un salto nel
vuoto e soltanto Dio sa quanta paura abbia avuto
nell'averti così lontano da me. Eppure, i mesi passavano e
tu non volevi tornare a casa: hai avuto tante
soddisfazioni a lavoro, ti sei fatto delle amicizie e ti sei
addirittura innamorato.» Harry provò a ribattere a
quell'ultima affermazione, ma lei non gliene diede il
tempo. «E io sono così fiera di te.» Abbandonò il guanto
della mano destra al suo fianco e non esitò ad
accarezzargli la guancia. «Louis in tutto questo è stato
fondamentale perché ti ha sostenuto sempre e può essere
un valido incentivo a farti tornare in città, ma tra pochi
giorni partirà e tu sarai punto e a capo. Spetta soltanto a
te decidere se tornare a Londra.»

368
«Queste settimane senza di lui sono state un vero
inferno.» confessò, raccogliendo le ginocchia al petto e
poggiandovi il mento.

«E allora che aspetti a saltare sul primo treno per


Londra?»

«Mi sto preparando, mamma. Mi sto preparando alla sua


assenza. In questo modo, quando partirà per Haiti non
sentirò alcuna differenza.»

«Secondo me, stai soltanto sprecando gli ultimi giorni che


avete a disposizione insieme, Harry.»

«T-tu credevi davvero in noi?» chiese con voce tremante,


quasi temendo di conoscere il suo punto di vista.

«Dal giorno del tuo compleanno, tesoro.» Si strinse nelle


spalle con un sorriso. «Ho visto il tuo volto illuminarsi e il
suo sorriso farsi raggiante quando vi siete salutati
all'ingresso. Era come se tutto il resto fosse scomparso
all'improvviso. C'eravate soltanto tu e lui. E scommetto
che lo hai fatto anche tu, Harry. Ci hai creduto. Ci credi
tutt'ora in voi due, ma sei soltanto spaventato.»

«Non lo so, non so più nulla in realtà.» sbuffò. «E sono


stanco di non capire mai ciò che mi succede. Sono stanco
di essere così come sono, così stupido e complesso da
non capire neanche me stesso, da fagocitare chiunque nei
miei problemi.»

«Tesoro...»

«È tutta colpa mia.»

«Colpa tua?»

369
«Sì, sono io che rovino la vita alle persone che mi
circondano. Quante volte William non è uscito con i suoi
amici per rimanere al mio fianco? Quante volte Niall ha
sprecato il suo tempo per me? E se non avessi conosciuto
Lou? Ora sarebbe ancora con il suo bell'avvocato e non
soffrirebbe a causa mia e del mio stupido
comportamento. E tu! Da quanto tempo non esci con
qualcuno? O per lo meno con le tue amiche?»

«William è tuo fratello e sceglierà sempre te a chiunque


altro perché ciò che vi lega è qualcosa di imprescindibile,
Harry. Niall è un tuo amico. E Louis? Non so come se la
passasse con questo avvocato, ma è perdutamente
innamorato di te e vorrebbe essere felice con te, non con
lui. Io?» Anne inclinò il capo di qualche grado e addolcì lo
sguardo per poi incontrare il suo smarrito. «Io sono tua
madre e ho sempre amato prendermi cura di te. Lo avrei
fatto allo stesso modo, anche se ti fosse stato
diagnosticato l'Asperger. Hai reso ogni mio giorno
indimenticabile, tesoro.»

«Ho reso ogni tuo giorno una sfida contro l'impossibile.»

«Hai ragione, avrei fatto a meno della fase in cui eri


appassionato di insetti e coleotteri, ma non rinuncerei a
nessun giorno trascorso con te, da quelli più luminosi e
felici a quelli più tristi e bui.» La mano di Anne si intrufolò
nella chioma leonina di Harry e la scompigliò tra le sue
lamentele. «E non pensare che tu sia stato un deterrente
a rifarmi una vita. Nel mio cuore c'è tanto dolore per la
morte di tuo padre, ma ancora così tanto amore per lui.
Non importa quanto tempo possa passare, non riuscirei
mai a pensare a un altro uomo al mio fianco perché
quello è stato e sarà sempre il posto di Edward. Non ho
bisogno di una relazione romantica per essere felice,
perché ho già i miei amici, il mio negozio e i miei due
bellissimi figli.»

370
Harry non riusciva mai a risultare indifferente alle parole
di Anne, soprattutto se riguardavano suo padre: quel
qualcosa che li legava, anche oltre la morte, gli era
sempre sembrato magico. Harry ricordava il bacio che
suo padre lasciava sulle labbra di Anne quando tornava
da lavoro, gli abbracci che si scambiavano e persino le
volte in cui li scopriva a dirsi qualche romanticheria. Suo
padre c'era sempre stato per lei, quando si trattava del
negozio, del suo giardinaggio, di una visita o di una
questione che le dava delle grane. «Scegli una persona
che ti supporti sempre» gli ripeteva Edward quando era
più piccolo. E, anni e anni dopo, Harry aveva capito di
averla trovata ed essersela fatta sfuggire dalle mani come
sabbia al vento.

«Era bello ciò che avevate tu e papà.» affermò, mentre


giocherellava con i fili d'erba vicini alle sue caviglie.

Anne prese delicatamente il suo mento tra l'indice e il


pollice e lo sollevò fino a incontrare il suo sguardo
incerto. «Era amore, Harry. Sai che lo hai anche tu?»

«Noi...»

«Vi amate, tesoro. Devi accettare l'idea che qualcuno ti


ami così come sei, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, con la
luce e l'oscurità. Ma, soprattutto, devi accettare di
provare anche tu questi sentimenti per qualcuno perché
non sei un robot, Harry. Va bene lasciarsi andare e
innamorarsi di una persona come il tuo Louis.»

«Mon petit soleil.» mormorò e non gli importò se sua


madre l'ascoltò.

«È tuo. E tu sei suo. Perché vi appartenete l'uno all'altro


in un modo spontaneo, irrazionale e bellissimo fin dal
primo momento in cui vi siete incontrati. E può essere
spaventoso a volte, ma se ti rende felice è sicuramente la
scelta più giusta.»
371
Harry aveva dovuto affrontare prove difficili negli ultimi
anni, ma non si era mai sentito così vivo grazie a Louis. E
quel senso di vitalità, di slancio verso le cose belle e
verso la felicità l'aveva trovato proprio in Louis, quel
piccolo Sole che con il suo calore e il suo amore donava
vita a chi lo circondava. E se era così, se Louis lo aveva
portato alla luce dopo anni di tenebre, non poteva essere
sbagliato. Doveva essere giusto perché per Louis non era
mai stato un peso, perché Louis lo aveva accompagnato
nella sua vita di adulto responsabile, perché Louis lo
supportava sempre in qualunque cosa facesse.

«Oh, quasi dimenticavo!» esclamò Anne, prima di tornare


a lavoro. «L'ho trovata sul portico quando Louis se ne è
andato quel pomeriggio. Deve essergli scivolata o
semplicemente voleva che tu l'avessi di nuovo.»

Harry tese le dita verso il ciondolo argentato che sua


madre gli porse. Quell'aeroplanino sembrò brillare alla
calda luce del tramonto e dieci, cento, mille ricordi
affiorarono. Lo scorso Natale e il bacio di Louis sulla sua
guancia. I baci che Louis imprimeva sulle sue labbra
attirandolo a sé con la mano stretta intorno al ciondolo. Il
rumore sordo che faceva quest'ultimo contro il suo petto
tonico quando facevano l'amore. Lo prese nel suo palmo
e gli sembrò di appropriarsi ancora una volta di tutte
quelle sensazioni.

«Vuoi che ti aiuti a indossarla?»

«No.» ribatté Harry deciso. «Lo farà Louis stesso


domani.»

Anne gli rivolse un sorriso complice. «Domani? E


perché?»

«Perché domani torno a Londra.»

*
372
Harry non metteva piede nell'appartamento di Brick Lane
da un mese.

Di primo acchito non sembrava essere cambiato granché


perché il suo scarabeo era ancora sul tavolino da caffè ai
piedi del divano, la ciotola e il cuscino di Leo erano ancora
nel suo angolo preferito del soggiorno, il camice di Niall
sempre nel guardaroba all'ingresso. Tuttavia, Harry
raramente guardava il quadro generale delle cose. La sua
mente e i suoi occhi verdi solevano perdersi nei dettagli e
questi ultimi non facevano altro che gridare "Louis".
Perché all'ingresso c'era anche la sua giacca di jeans, sul
tavolino da caffè c'erano dei documenti della Thousand
Hearts e sulla parete c'era un calendario con un conto alla
rovescia e una stellina sul primo agosto, giorno della
partenza. E la presenza di Louis era forte e chiara anche
nella sua stanza. Harry pensava che si sarebbe sentito un
estraneo varcandone la soglia, ma non sarebbe mai stato
così se ci fosse stato un po' di Louis al suo interno. E
Louis c'era. C'era sulla poltrona con la sua felpa color
ocra, c'era sulla scrivania con i suoi fogli disordinati, c'era
sul comodino con la sua tazza di tè vuota.

C'era anche in quel momento, sulla soglia della stanza,


con un'espressione sorpresa sul volto e Leo, che
miagolava felice, tra le braccia.

«Harry.»

Fu sollevato nel rivedere il suo Louis e non la copia


sbiadita e sofferente che lo aveva raggiunto a Manchester
un mese prima, perché il suo Sole avrebbe sempre
dovuto splendere. Realizzò che gli fosse mancato vedere
l'azzurro vibrante dei suoi occhi, i tratti delicati del suo
viso e le labbra sottili incurvate in un sorriso timido.
Harry fremeva dalla voglia di abbracciarlo, di baciarlo e di
chiedergli scusa per aver infranto i loro sogni. Eppure,
rimaneva fermo, lo guardava con commozione e uno

373
strano nodo alla gola gli impediva persino di deglutire
propriamente.

«Lou, t-ti sei per caso trasferito qui?»

Louis annuì, facendo un passo in avanti e arrossendo


perché «l'ho fatto per sentirti più vicino».

Quella spiegazione gli scaldò il petto e lo portò ad


accorciare la distanza tra loro. Vicino, Louis voleva
sentirlo vicino, nonostante il dolore, nonostante le bugie,
nonostante la partenza.

«Sembra di essere tornati a settembre.» disse Louis,


stringendosi nelle spalle e accennando un sorriso. «Io che
entro in questa stanza...»

«...e io che ti spavento elencando tutti i modi in cui


potresti morire.» concluse Harry, facendo ridacchiare
Louis. «È stato decisamente imbarazzante e inquietante.»
commentò, mentre l'altro annuiva. «Eppure, c'è stato un
momento in cui ho sentito un barlume di speranza, è
stato quando ti ho visto sorridermi. Una speranza che mi
ha portato a credere di volere e di potere cambiare.
Tuttavia, il mattino dopo...»

«...beh, la nostra prima conversazione non è andata


benissimo.» affermò Louis. «In realtà, neanche la
seconda o la terza.»

«Non facevi altro che parlare male di me a Niall, mentre


ero in camera mia.»

«Pensavo volessi rubarmi il migliore amico, ero soltanto


protettivo!» ribatté, prima di poggiare Leo sul pavimento.
«Tu eri così scontroso e distaccato!»

«E all'improvviso tutto è cambiato.»

374
«Tutto. Il mio rapporto con Ian, noi, tu.»

«È vero. Sono cambiato anche io, Lou.» disse con voce


tremante. «Prima di conoscerti, non avevo mai avuto un
ragazzo come te. Riesci sempre a farmi sorridere, a
coinvolgermi in nuove avventure e a farmi sentire amato
soltanto perché sono Harry. Ed è difficile essere soltanto
Harry quando voglio far colpo su qualcuno perché,
guardami, sono un concentrato di stranezze, di passioni
astruse e di insicurezze. Eppure, tu l'hai fatto. Tu hai
accettato lati di me che la maggior parte delle persone
vogliono cambiare e allo stesso tempo mi hai cambiato
per sempre. Perché se ora ho il coraggio di fare un
viaggio da solo, di parlare con un perfetto sconosciuto o
di prendermi cura di un gatto è soltanto merito tuo. Tu
hai creduto in me come nessuno, oltre alla mia famiglia,
aveva mai fatto.»

E fu una liberazione pronunciare quelle parole. Harry non


aveva sconfitto completamente le insicurezze dovute alla
sua sindrome, perché alcune avrebbero sempre fatto
parte di lui, ma Louis lo aveva aiutato a capire come
affrontarle e combatterle piano a piano. Non importava
vincerle o uscirne sconfitto, sapeva che in entrambi i casi
sarebbe stato circondato dal suo amore.

«E quando ho detto di non volerti poche settimane fa,


stavo mentendo a te e a me stesso.» spiegò, scuotendo
la testa. «Avevo paura di deluderti su tutti i fronti, avevo
paura di non essere abbastanza per i tuoi sogni.»

«Harry.» Louis gli prese le mani nelle sue e le strinse


forte, provocandogli mille brividi lungo la schiena. «E se ti
dicessi che il mio sogno sei tu? Lo sei, sei abbastanza per
rendermi felice.»

«E tutti gli altri sogni che hai, Lou? Sinceramente, penso


di non essere ancora pronto per alcuni. Insomma, il

375
matrimonio? Dei bambini? Non so neanche come si
cambia un maledetto pannolino e...»

«Mon petit, calmati.» Louis gli prese il volto tra le mani


per tranquillizzarlo. «Respira e non pensare a ciò che
potrebbe succedere tra alcuni anni. Sei ancora molto
giovane e hai tanto da scoprire prima di mettere su una
famiglia e realizzare quelli che magari, un giorno, saranno
anche i tuoi sogni. Viviamo giorno per giorno e pensiamo
soltanto a Harry e a Louis per il momento, okay?»

Harry annuì, la paura di non essere abbastanza e le sue


insicurezze di nuovo sopite grazie all'amore paziente di
Louis. Non aveva mai compreso come riuscisse a calmarlo
soltanto con la sua voce o le sue dolci carezze, ma
sapeva che alcuni sentimenti non si potevano spiegare.
Perché non si poteva spiegare il battito accelerato del suo
cuore quando Louis lo guardava in quel modo o quando le
sue dita lo vezzeggiavano come se fosse un fiore delicato.
Non si poteva spiegare l'amore. A volte, lo si poteva
soltanto vivere.

«E a Leo.» precisò. «A Harry, a Louis e a Leo. La nostra


famiglia.»

«La nostra piccola famiglia.» ripeté Louis, mentre


avvicinava i loro volti e strofinava dolcemente le punte
dei loro nasi. «Non sono ancora partito e già mi mancate
moltissimo, ma Lune.»

«Due mesi passeranno velocemente, vero Lou?»


mormorò, socchiudendo gli occhi e beandosi delle sue
carezze. «In un attimo, saremo di nuovo insieme.»

«Sarai tutto ciò che mi spingerà a tornare il più presto


possibile, ti penserò sempre e ti rivedrò in ogni sorriso
con queste adorabili fossette.»

«Credi che possa farcela senza di te, Lou?»


376
«Non ho alcun dubbio a riguardo. Tu, Harry Edward
Styles, sei la persona più coraggiosa che io conosca e
sarai sempre circondato da persone che ti vogliono bene
e che ti vogliono felice.»

«E se dovessi sentire la tua mancanza a tal punto da


essere infelice? I giorni passati sono stati un inferno
senza di te e sono stato uno stupido a privarmi della tua
presenza. Abbiamo soltanto una notte da passare insieme
e, invece, avremmo potuto avere intere settimane.»

«Non importa, Harry. Ora sei qui, ora siamo insieme e


cercherò di stringerti forte stanotte, ti bacerò fino a
quando le tue labbra non saranno doloranti e ti ripeterò
che ti amo fino a risultare noioso. Perché non è cambiato
nulla. Je t'aime, ma Lune.»

Lo disse per tutte le volte in cui non aveva pronunciato


quelle parole nelle settimane precedenti, per Harry
perché aveva bisogno di ascoltarlo ancora e ancora, per
se stesso perché non c'era cosa più bella di dichiarare il
suo amore. E soprattutto lo disse senza aspettarsi nulla in
cambio. Tuttavia, anche quella volta Harry lo sorprese.

«Ti amo anche io, mon petit soleil.» sospirò a un soffio


dalle sue labbra. «Ti amo così tanto che fa male, Louis.»

E si sporse a baciarlo finalmente, trovando le labbra sottili


dell'altro già schiuse e pronte ad accoglierlo. Fu come
tornare a casa, perché Harry si sentiva a casa soltanto tra
le braccia di Louis, con la sua bocca a vezzeggiare la linea
affilata della mandibola e le sue mani a ricoprirlo di
attenzioni premurose. Quello era ciò che gli era mancato
maggiormente, sentirsi al posto giusto e sentirsi al sicuro.
E si sentiva in quel modo, così completo, soltanto quando
Louis lo spogliava di ogni insicurezza e di ogni indumento,
così come accadde in quel momento. Le mani percorsero
il suo corpo lentamente e la lingua delineò i contorni dei
suoi tatuaggi sul petto e sull'addome. Louis lo fece
377
distendere sul materasso alle sue spalle e cominciò a
imprimere baci morbidi sul suo ventre, mentre Harry
gemeva e stringeva le lenzuola nei suoi pugni.

«Ti prego.» mormorò, quando Louis lasciò un marchio


rosso sulla pelle delicata del suo interno coscia. «Sto
impazzendo.»

Louis lenì ancora una volta quel marchio con la lingua,


prima di risalire il suo corpo e appropriarsi delle sue
labbra con un bacio che sapeva di disperazione e
mancanza. Si perse un istante a guardare i suoi occhi
smeraldini brillare e Harry approfittò di quell'attimo di
distrazione per ribaltare le loro posizioni e prendere il
comando della situazione. Costrinse la sua schiena al
materasso e si sistemò a cavalcioni sul suo bacino,
dondolandosi su di esso lascivamente, mentre le labbra
dell'altro si curvavano in un sorriso sghembo.

«Mi è mancato tutto questo.» confessò Louis,


accarezzandogli lentamente i quadricipiti. «Mi sei
mancato ogni notte.» continuò, mentre Harry pompava il
suo membro con devozione e il suo viso si avvicinava
sempre di più al suo bacino. «Mi sono mancati anche
questi risvegli, lo sai?» ridacchiò, per poi sospirare
bruscamente quando l'altro inglobò la sua lunghezza tra
le labbra e si soffermò a stuzzicare con la lingua la punta
turgida.

Louis si abbandonò presto al piacere, stando ben attento


a non chiudere gli occhi per non perdersi neanche un suo
movimento. Gli era mancato così tanto sentirsi suo,
offrirgli tutto di sé e soddisfare qualunque suo desiderio.
Cominciò a muovere il bacino verso di lui e a incontrare le
sue labbra rosse e gonfie, accompagnando Harry nei suoi
affondi. Non potendo resistere ancora per molto, con una
mano nella chioma leonina lo portò a incontrare la sua
bocca per l'ennesimo bacio e percepì il suo sapore di
uomo sulle labbra.
378
«Ti amo, Lou.» mormorò Harry e, quando Louis prese a
tracciare i contorni delle sue labbra con l'indice, ne baciò
la punta più e più volte fino a provocargli un sorriso.
«Fammi tuo, non voglio più aspettare.»

Inaspettatamente Harry inglobò l'indice e il medio nella


sua bocca, inumidendoli devotamente con la lingua,
affinché Louis lo preparasse con quelle dita. E
quest'ultimo non disattese le sue aspettative, perché con
le dita bagnate di saliva e lubrificante tracciò i contorni
rigidi della sua apertura e la penetrò delicatamente,
distraendo Harry dal fastidio iniziale con baci e carezze
sul viso. Harry non impiegò molto ad abituarsi a quella
presenza e ad andare incontro ai suoi movimenti rotatori
con il bacino soltanto per averne di più. Quando cominciò
a gemere oscenamente, Louis ribaltò le posizioni per
allacciare le sue gambe intorno al bacino e si spinse
delicatamente dentro di lui fino a riempirlo
completamente. A entrambi si mozzò il fiato. Si
guardarono intensamente prima di sospirare e accennare
un sorriso perché quello, uniti indissolubilmente l'uno
all'altro, era il posto giusto per entrambi. Prima che Louis
potesse muoversi dentro di lui, Harry portò le mani al
collo e si privò della sua collana d'argento.

«Aspetta.» mormorò, allacciandola al collo di Louis. «Così


mi porterai sempre con te, anche ad Haiti.»

«Mon Dieu, Harry. Je t'aime. Mon ange, tu es ma vie.»

Lo ripeté più volte, prima di baciare quel sorriso che


aveva sulle labbra e muoversi dentro di lui con urgenza,
con un ritmo sempre più cadenzato. Lo ripeté fino a
sovrastare i gemiti di Harry, che muoveva il bacino in
sincrono con il suo e lo stringeva tra le cosce tornite.
Quasi non voleva allontanarsi da lui, neanche di un soffio,
perché ne avrebbe sentito già la mancanza. Dopotutto,
era così bello e soddisfacente sentirsi pieni grazie a Louis,
sentirsi completi. E non importava quanto Harry lo avesse
379
respinto nelle settimane precedenti, Louis sapeva che si
appartenessero nel modo più irrazionale e spontaneo e
che non potessero vivere a pieno l'uno senza l'altro.

Anche la Luna aveva bisogno del Sole per brillare,


dopotutto.

E Harry con gli occhi lucidi dalla passione, le labbra gonfie


di baci e la fronte madida di sudore brillava d'amore per
Louis. Quando quest'ultimo velocizzò i movimenti tanto
da trasformarli in gesti sconnessi e si riversò tra le sue
carni, Harry percepì il suo cuore sul punto di esplodere.
Louis si abbassò sul suo ventre e lasciò dei baci umidi
sulle felci tatuate, cercò con le dita la sua apertura e si
spinse ancora verso il suo punto più sensibile, vezzeggiò
il suo membro al limite con la lingua e la bocca e lo portò
all'orgasmo. E Harry sentì nuovamente il suo cuore
battere erratico contro il petto e dieci, cento, mille brividi
irradiarsi in tutto il corpo per il piacere provato, mentre
Louis premeva le labbra contro le sue ancora una volta e
si accoccolava tra le sue braccia.

«Ho tanto bisogno di te, Lou.» affermò ancora ansante,


mentre la sua mano inanellata gli lasciava dolci carezze
tra i capelli color miele.

Louis si accigliò, sistemando il mento contro il suo petto e


guardandolo di sottecchi.

«E per cosa, Harold?» chiese preoccupato. «Pensavo che


avessimo chiarito che puoi essere l'Harry brillante che
tutti conosciamo anche senza di me.»

Harry sorrise. «Non mi interessa, io ho comunque


bisogno di te.»

Louis sospirò e alzò gli occhi al cielo, prima di lasciargli un


bacio sul petto, uno di quei baci che erano soltanto un
assaggio di ciò che sarebbe successo di lì a poco.
380
«E sentiamo...per?»

«Semplicemente per sempre.»

Il mattino seguente Harry si svegliò in un letto freddo e


vuoto.

Ancora stanco per la notte appena trascorsa, si stiracchiò


e si diresse in cucina, dove Leo lo accolse per invitarlo a
riempire le sue ciotole. L'appartamento era silenzioso e
qualcosa gli suggeriva che lo sarebbe stato ancora per
molto, nonostante la presenza di Niall. Preparò una tazza
di tè e si accomodò sul divano, dove Leo presto lo
raggiunse: sembrava quasi aver capito quanto Harry non
volesse sentirsi solo quella mattina e l'adorava per
questo. Terminato il suo tè, poggiando la tazza sul
tavolino da caffè, notò un dettaglio che fino a quel
momento gli era sfuggito. Sulla plancia del suo scarabeo
c'erano delle tesserine a formare una semplice frase, ma
che portava con sé un significato molto più complesso.

«Ti amo.» lesse Harry a bassa voce e persino Leo si


sporse verso il gioco da tavolo incuriosito.

Sorrise e il cuore quasi saltò un battito quando nella sua


mente quelle parole risuonarono con la voce familiare di
Louis. Per questo, non poté che prendere il sacchetto di
raso rosso che conteneva le altre tesserine e formare
un'altra semplice frase.

«Anche io.» scrisse sulla plancia.

E, in quel momento, Harry fu certo che non avrebbe


giocato a scarabeo fino al ritorno di Louis da Haiti.

381
Perché, quella mattina, Louis era andato via per davvero
e aveva salutato con un bacio a fior di labbra Harry, che
si era addormentato tra le sue braccia poco prima. Era
andato via, ma c'era ancora tutto di lui. C'era il suo
profumo impresso sulla pelle di Harry e sulla t-shirt che
indossava. C'erano la sua voce e la sua risata a
riecheggiare nelle stanze. C'erano in giro le sue
cianfrusaglie.

E Harry le amava.

Amava l'odore del suo tè nero al mattino, le felpe


accatastate sulla poltrona, le scarpe sparse per la stanza
lasciata in disordine. Amava il fatto che ogni superficie
fosse piena di post-it con la sua scrittura tremolante a
comporre promemoria, liste e chissà quant'altro gli
passasse nella testa.

E avrebbe voluto trovare anche la forza di non piangere


come un bambino perché l'assenza di Louis era già
diventata presenza a mezz'ora dal suo risveglio, perché
avrebbe voluto comportarsi in modo diverso, perché
avrebbe voluto Louis al suo fianco su quel divano a
guardare le notizie del giorno, mentre Leo si accoccolava
tra loro. E avrebbe voluto continuare a piangere al solo
pensiero di dover aspettare altre otto lunghe settimane
per riabbracciarlo, ma non lo fece. Si asciugò le lacrime
con il dorso della mano e tirò su con il naso. Quel giorno
non pianse più, perché una realizzazione più grande lo
colpì e gli diede speranza per il presente e per il futuro.

Perché finalmente non aveva paura di ammettere che


amava Louis.

Perché Harry finalmente amava.

382
EPILOGO

Caldi raggi solari filtravano dalla finestra e si infrangevano


sulla pelle già abbronzata di Louis, cullandolo nel suo
dormiveglia.

Era luglio e il suo mese di vacanza a Saint Paul de Vence


era appena iniziato. Quel paesino arroccato su una collina,
la sua atmosfera rilassata e le distese di lavanda che lo
circondavano avevano da sempre il potere di fargli
dimenticare lo stress della vita londinese. Non era soltanto
quel ridente paesino della Provenza a distendere i suoi
nervi tesi, ma anche un profumo di vaniglia e pain au
chocolat che solleticava il suo naso, un respiro caldo e
regolare che dettava il suo e un tocco delicato e familiare
che vezzeggiava la sua schiena.

Era semplicemente Harry. Era stato e sarebbe stato


sempre e soltanto Harry per Louis.

Perché, dopo dieci lunghi anni, era ancora Harry ad amarlo,


ad allontanare le sue insicurezze, a prendersi cura di lui e
della loro famiglia. Harry intensificò quel contatto,
solleticando con i polpastrelli le fossette di Venere sulla sua
schiena, quasi a reclamare la sua presenza su quel corpo
e su un letto che li aveva visti amarsi fin dal principio. Louis
strofinò la guancia sul cuscino e arrossì nel pensare che,
poche ore prima, aveva compiuto lo stesso gesto
sull'interno coscia dell'altro con i suoi gemiti di sottofondo,
perché la barba contro la sua pelle delicata era «una
maledizione e una benedizione insieme» a detta di Harry.
Aprì gli occhi lentamente, quasi per abituarsi alla luce
naturale del mattino e alla bellezza eterea che li riempì.
Nonostante il passare del tempo, la bellezza di Harry era
rimasta immutata. A trentatré anni suonati, non aveva più
una chioma leonina a incorniciargli il volto spigoloso, ma
un taglio più corto e regolare. Le sue labbra rosse e piene
si curvavano spesso nei sorrisi più raggianti e si
arricciavano ancora in bronci scontrosi. Qualche rughetta
383
si formava agli angoli esterni dei suoi occhi verdi, ma
nessuno dei due se ne curava. Non misuravano la loro vita
in anni, perché quelli trascorrevano inesorabilmente, ma in
sorrisi, risate, viaggi e nell'amore che ogni giorno si
promettevano.

«Bonjour, mon petit Soleil.»

«Bonjour, ma Lune.»

Non importava quante volte al giorno si chiamassero in


quel modo: per Louis sarebbe stata sempre una sorpresa,
come quando aveva usato quel vezzeggiativo dopo aver
fatto l'amore per la prima volta con Harry o quando aveva
pronunciato i voti nuziali sette anni prima.

«Hai dormito bene? Sei più rilassato ora?»

Louis ridacchiò un flebile «oui», prima di attirarlo in un


bacio languido e permettergli di riscoprire il suo sapore
familiare. Sentì il corpo di Harry sistemarsi tra le sue
gambe e i loro bacini scontrarsi delicatamente e pensò che
nient'altro al mondo spazzasse via la tensione dovuta al
lavoro come faceva suo marito.

Louis lavorava ancora alla Thousand Hearts Foundation e


la distanza che i suoi viaggi ponevano tra loro non faceva
più paura. Era stato difficile affrontare il suo primo viaggio
di lavoro ad Haiti, ma la lontananza aveva fortificato la loro
relazione e soprattutto Harry. Aveva imparato a contare su
se stesso e, quando la mancanza di Louis era diventata così
forte da divenire presenza, Niall e i suoi amici erano andati
in suo soccorso. Al suo ritorno, Harry lo aveva abbracciato
così forte da mozzargli il respiro, ma avevano potuto dire
di avercela fatta. Ad Haiti erano seguiti altri viaggi, alcuni
più lunghi e alcuni più brevi, altri ancora in cui aveva
partecipato persino Harry, dando il suo apporto come
volontario. Louis amava il suo lavoro, ma non poteva
ignorare le responsabilità e le preoccupazioni che
384
comportava e che Harry riusciva a dissolvere grazie al suo
supporto e al suo amore, ai suoi baci e alle sue carezze.

E Louis avrebbe voluto bearsi volentieri di quelle tenerezze


per il resto della giornata, ma la vita aveva altri piani per
loro quella mattina: anzi, aveva altri piani per loro ogni
mattina e non importava che fossero in vacanza o meno.

Una voce sottile irruppe nella camera da letto, portandoli


a sospirare l'uno sulle labbra dell'altro e ad allontanarsi.
«Papà!»

Harry lasciò soltanto un bacio casto sulle sue labbra e si


sistemò al suo fianco, perché quel piccolo uragano appena
entrato in camera, trotterellando sulle gambe sottili e
scuotendo i suoi ricci castani, aveva bisogno di tutte le loro
attenzioni.

«Buongiorno, principessa!» esclamò Louis.

La piccola Daisy - la passione per le margherite non era


passata a nessuno dei due - saltò presto sul letto e si
posizionò tra loro, stropicciandosi il viso ancora assonnato.

«Hai dormito bene, piccola?» chiese Harry.

«Sì, papino!» rispose Daisy, mentre le sue manine


giocherellavano con il ciondolo a forma di aeroplanino di
carta che ricadeva sul petto di Harry. «Papà non ha russato
per nulla stanotte e io ho sognato tante cose belle!»

«E cosa hai sognato?»

«Andavamo allo zoo!» esclamò Daisy, mentre i suoi occhi


verdi si tingevano di una furbizia familiare, tipica di ogni
Tomlinson. «Papà» e fece un cenno a Louis «dava da
mangiare alle giraffe ed erano persino più alte di te,
papino!»

385
Harry finse stupore a quelle parole perché era certo che
Daisy non avesse sognato nulla di quanto avesse
raccontato: il suo era soltanto l'ennesimo tentativo di
convincere i suoi genitori a portarla allo zoo di Nizza, una
meta che sognava da quando erano arrivati in Francia.

«E oltre alle giraffe cosa c'era?»

«Un orso polare grandissimo!» rispose, allargando le


braccia a più non posso e facendo ridacchiare il papà che,
intanto, le prometteva di andare allo zoo nel fine
settimana.

Louis non aveva smesso di sorridere amorevolmente


neanche per un istante durante il loro scambio di battute:
dopotutto, lo faceva da sei anni, da quando aveva visto
Harry interagire con Daisy per la prima volta. Non era stato
facile fargli comprendere che sarebbe stato un ottimo
padre visto il ricordo doloroso di Edward e le insicurezze
dovute al suo Asperger. Louis ricordava ancora i suoi dubbi
e le sue preoccupazioni.

E se non dovesse smettere di piangere tra le mie braccia?


E se sbagliassi la temperatura del latte? E se non
sopportassi il suo pianto? E se non riuscissi a farlo ridere?
E se mi odiasse?

Louis gli aveva spiegato che suo figlio non avrebbe mai
potuto odiarlo grazie all'amore e alle premure che Harry gli
avrebbe riservato, che avrebbe potuto anche sbagliare
perché dagli errori avrebbe imparato e soprattutto che non
sarebbe stato da solo in quella nuova esperienza. Una
mattina, sopito ogni dubbio, Harry gli aveva mormorato
sulle labbra «vorrei tanto che uno dei nostri figli avesse i
tuoi bellissimi occhi azzurri» e a Louis erano tremate le
gambe, il cuore e l'anima. Un anno dopo, Harry aveva
preso tra le braccia Daisy per la prima volta e non aveva
più avuto bisogno di alcuna rassicurazione: quella bambina
era sua e lei l'avrebbe amato in ogni caso. Aveva i suoi
386
capelli ricci e i suoi occhi verdi, cercava le sue braccia
amorevoli dopo aver fatto un brutto sogno e rideva
sguaiatamente quando lui la sollevava per giocare
all'aeroplanino. Nonostante alcuni momenti no, Harry era
un padre perfetto per Daisy, che sembrava la sua copia in
miniatura. Louis non faceva altro che farglielo notare, ma
Harry scuoteva la testa perché «ha la tua stessa
testardaggine e la tua furbizia, è una vera Tomlinson».

«Quando viene a trovarci mamie, papà?»

Louis sospirò, addolcì il suo sguardo e lo specchiò in quello


più ingenuo di Daisy. Perché per lui "mamie" era sempre
stata Margot, ma per sua figlia era semplicemente
Johannah. Ed era difficile superare il fatto che da quel
momento in poi ci sarebbe stata soltanto una "mamie",
perché Margot non c'era più. Un male incurabile l'aveva
portata via qualche mese prima, creando un vuoto
incolmabile nella vita di Louis, perché Margot non era stata
soltanto una nonna o una seconda mamma, ma anche
un'amica e una confidente. A Louis piaceva pensare che
Margot fosse stata anche la custode del suo amore per
Harry: a lei aveva inizialmente confidato di provare
qualcosa per lui, a lei aveva raccontato di volerlo sposare,
a lei aveva chiesto di fare loro da testimone durante la
cerimonia che li aveva uniti agli occhi della legge.

Margot era andata via nel suo letto con Louis a stringerle
la mano per accompagnarla anche in quel viaggio e lui
aveva pianto per giorni, per settimane.

Tuttavia, la sua famiglia gli aveva ricordato che lui fosse


ancora lì e che avesse il diritto e la responsabilità di vivere
a pieno la sua vita, così come Lei avrebbe voluto. Presto si
era convinto che Margot avrebbe continuato a vivere in
tutti loro. Viveva nei ricordi di un anziano nonno Robert,
dei suoi genitori e di Harry, persino in quelli di Daisy, che
l'aveva conosciuta soltanto per pochi anni e che aveva
"Margot" come secondo nome. Viveva tra le pareti della
387
loro villetta a nord di Londra, tra le fotografie appese e i
video che i loro hard-disk custodivano gelosamente. Viveva
ovunque perché, quando Louis tornava a casa e
l'avvolgente profumo del pain au chocolat gli solleticava il
naso, i ricordi di Margot affioravano e gli sembrava di
averla ancora con sé grazie a Harry, che aveva imparato
da lei le sue ricette e i suoi manicaretti. Grazie a lui era
come se Margot non fosse mai andata via.

Louis le toccò la punta del nasino con l'indice prima di


risponderle «tra due settimane, ma petite princesse!».

«Ma due settimane sono troppe!»

«La settimana prossima verrà a trovarti nonna Anne, non


sei felice?»

«Davvero?» chiese sorpresa Daisy, prima di corrucciare la


fronte e aggiungere diffidente «e zio Will? Verrà anche
lui?».

«Certo!» ribatté Harry. «Lo sai che è molto occupato con


l'apertura del suo secondo ristorante, ma trova sempre il
tempo per stare con te.»

Daisy annuì, fantasticando già sulle avventure che lei e lo


zio avrebbero potuto vivere insieme. William era uno zio
perfetto, anche se a volte si mostrava fin troppo permissivo
e Harry non faceva altro che rimproverarlo. Louis lo
tranquillizzava, ripetendogli che tutti i bambini avessero
bisogno di uno zio folle, avventuroso e permissivo:
dopotutto, erano fortunati ad averlo. Tuttavia, quando
dovevano convincere Daisy del fatto che il gelato non fosse
una vera e propria cena o che non potesse sostituire i
broccoli, come diceva William, Louis non poteva fare a
meno di maledirlo. E sembrava che la follia di suo cognato
fosse già tra loro, perché Daisy cominciò presto a saltellare
sul materasso e a ridacchiare a più non posso.

388
Harry la prese in braccio e si alzò con lei dal letto. «Daisy,
fa' la brava e andiamo a fare colazione.»

«Pain au chocolat?» chiese speranzosa.

«E pain au chocolat sia anche oggi.» rispose accomodante.


«Dobbiamo spazzolarli tutti prima che arrivi William,
altrimenti ci chiamerà ancora "traditori della patria" e tuo
padre potrebbe non sopportarlo questa volta!»

«Sai, dopo dieci anni, ancora non capisco cosa abbia


William contro la cucina francese.» bofonchiò Louis,
mentre si alzava dal letto e lasciava un dolce bacio sulla
guancia morbida di Daisy. «Dopotutto, hai sposato un
uomo che per un quarto è francese!»

«Ed è stata la scelta più giusta che potessi fare, Lou.»


rispose Harry, sporgendosi verso di lui per rubargli un
bacio a fior di labbra. «Pensi tu al piccoletto?»

Louis annuì. «Tu pensa alla principessa e...»

«...e alla colazione, lo so.» concluse al suo posto. «Non


vogliamo spegnere un altro incendio, vero principessa?»

«Erano soltanto due o tre fiammelle!» precisò, ma Harry e


Daisy si erano già allontanati ridacchiando.

E ascoltare le loro risate gli scaldò il cuore, perché Harry


non riusciva proprio a imparare la sottile arte del
sarcasmo, ma piano a piano stava migliorando. Piano a
piano abbatteva i muri che il suo Asperger aveva erto
intorno a lui e, nonostante alcune abitudini e inclinazioni
fossero rimaste tali, era impossibile non notare quanto
Harry fosse meno a disagio tra la folla o con i suoi nuovi
colleghi, nel compiere nuove esperienze o badare ai
bambini da solo. Con il suo sorriso migliore si diresse nella
nursery e diede il buongiorno all'ultimo arrivato dei

389
Tomlinson-Styles, un insieme di occhi azzurri, capelli
biondi e fiato da vendere, che da circa un anno riempiva le
loro notti e i loro giorni con gorgoglii e piccoli passetti,
peluche e pappette, sorrisi e pianti interminabili.

«Ehi, piccoletto.» mormorò, avvicinandosi al lettino e


sporgendosi oltre le barre di legno.

Edward lo guardò divertito, mostrandogli un sorriso


sdentato e muovendo emozionato le manine e le gambine
nella sua direzione. Lo sollevò e lo strinse al suo petto,
lasciandogli sulla tempia morbidi baci e mormorandogli che
fosse il bambino più bello e dolce dell'intero universo. Era
molto sdolcinato e lo sapeva, ma diventare padre lo aveva
reso più romantico del solito e lui aveva accettato volentieri
quel cambiamento.

«Eo!» esclamò il bambino, agitandosi e indicando qualcosa


dietro le sue spalle. «Eo!»

Louis si voltò e non fu sorpreso di vedere un gatto bianco


avanzare verso di loro. "Eo" non era altri che Leo, il gatto
che avevano adottato per il ventitreesimo compleanno di
Harry e del quale il piccolo Edward si era follemente
innamorato. Amava accarezzarlo e, se a volte strattonava
più del dovuto il suo pelo morbido, Leo rimaneva
impassibile e stoicamente al suo fianco per fargli le fusa e
guardarlo con i suoi grandi occhi verdi. Quando Leo si
strusciò sinuoso sulle sue caviglie nude, Louis si chinò e
lasciò che Edward giocasse con lui. Ogni tanto pronunciava
la parola "atto" e Louis lo guardava orgoglioso perché
quella, insieme a "apà" o "eisy", componeva il suo piccolo
vocabolario. Ogni tanto lasciava che muovesse qualche
passo incerto, sempre pronto a prenderlo tra le sue braccia
qualora barcollasse.

Amava Edward e amava anche il suo nome: era stato Louis


a proporlo e Harry lo aveva ringraziato commosso perché
in quel modo poteva sentire suo padre sempre vicino.
390
Amava dedicarsi a lui, a Daisy e a Harry. Amava ritagliarsi
dei momenti soltanto per loro quattro, dare loro la
buonanotte e dare loro il buongiorno, accompagnarli
all'asilo o a scuola, cullarli dopo ogni brutto sogno o
delusione. Qualcuno gli diceva di essere fin troppo
protettivo nei loro confronti, ma Louis scuoteva la testa
perché era nella sua natura proteggere chi amava e niente
l'avrebbe cambiato.

Quando Harry li chiamò dal piano terra per la colazione,


Leo sì affrettò a sgattaiolare via e il bambino batté le mani
felice.

«Andiamo da papà e Daisy, Ed?» chiese Louis, prendendolo


in braccio e sorridendo al suo cenno affermativo.

La loro giornata ora avrebbe potuto cominciare.

A trentacinque anni, Louis era diventato più paziente.

Non si lamentava più delle lunghe partite a scarabeo con


Harry, dei bagni di Daisy che si trasformavano in
confusionarie sessioni di gioco e che finivano con il
pavimento allagato o dei pasti di Edward che non voleva
proprio saperne di mangiare. Proprio come in quel
momento, perché gli occhi blu di Edward non facevano
altro che concentrarsi sul giardino e non sul cucchiaio che
Louis tentava disperatamente di rendere più appetitoso
con il gioco dell'aeroplanino.

«Andiamo, Ed!» lo incoraggiò, avvicinando il cucchiaio alla


sua bocca. «So che non è il massimo, ma il tuo papà l'ha
preparata con tanto amore!» aggiunse, riferendosi alla
pappetta di Harry.

391
Louis guardava con diffidenza quegli intrugli che
realizzava, ma che Daisy in passato aveva mangiato
volentieri. Tuttavia, Edward era tutta un'altra storia ed era
certo che suo figlio avesse ereditato il disgusto per i cibi
verdi e mollicci proprio da lui. Il bambino scansò il
cucchiaio con la manina prima di indicare ancora una volta
il giardino e Louis poggiò il cucchiaio sul piattino. Sapeva
che Edward non avrebbe mai mangiato se avesse
continuato a vedere Harry e Daisy in giardino, accucciati ai
piedi di una pianta di lamponi. Al loro fianco c'era Olaf, lo
Shiba Inu che cercava di arrampicarsi sul ciliegio soltanto
per giocare con Leo, il quale, invece, sembrava piuttosto
indifferente alle sue moine. Avevano adottato Olaf circa un
anno prima, dopo il loro primo viaggio in Giappone: Harry
si era innamorato di quel paese, dei ciliegi in fiore, della
sua architettura sempre in lotta tra modernità e tradizione
e dell'atmosfera zen presente nei piccoli centri. Anche
Louis aveva amato quel viaggio, soprattutto il kimono di
seta che Harry aveva comprato in una boutique e che
indossava sul suo corpo nudo prima di fare l'amore con lui.

«Che ne dici se lasciamo perdere questa pappetta e


raggiungiamo gli altri?»

Edward batté le manine sul seggiolone e liberò dei versetti


eccitati quando Louis lo prese in braccio e lo portò in
giardino.

«Framboise?» disse Daisy esitante.

Il volto di Harry si aprì in un sorriso orgoglioso, prima di


annuire e porgere il lampone alla bambina affinché lo
mangiasse.

«Très bien, mon ange.» rispose, indicando poi una mora e


chiedendole come si dicesse in francese.

Qualche anno prima, Harry aveva voluto imparare a tutti i


costi la lingua e aveva trascorso ore e ore in videochiamata
392
con Margot per esercitarsi. I due finivano sempre per
parlare di altro fino a quando Louis non si intrometteva e li
riportava sulla retta via, ma amava constatare quanto il
loro legame diventasse di giorno in giorno più forte. Harry
sembrava aver ereditato da Margot anche l'abitudine di
vezzeggiare i bambini con epiteti in francese per farli
sentire speciali, proprio come si sentiva Louis quando suo
marito lo chiamava "mon petit soleil".

«Apà!» esclamò Edward, non appena li raggiunsero.

Quando i due si accorsero di avere spettatori, Louis lanciò


loro un bacio volante. Daisy finse di prendere quel bacio e
custodirlo nella tasca del suo vestitino a fiori, a Harry
brillarono gli occhi e Edward scalpitò tra le sue braccia.

«Tu dovevi essere soltanto mio, mon petit!» mormorò


divertito all'orecchio del bambino, quando Harry li
raggiunse e lui sgambettò impaziente di essere stretto tra
le sue braccia.

Tuttavia, era impossibile perché Edward non sarebbe mai


stato soltanto suo. Era impossibile non innamorarsi
perdutamente di Harry e i bambini amavano ogni suo
aspetto: l'Harry gioviale, l'Harry severo, l'Harry amorevole,
l'Harry in crisi con i suoi momenti sì e i momenti no, persino
l'Harry che piangeva sommessamente ogni ventotto aprile.
Quel giorno in particolare soleva stringere Louis e i loro
bambini forte al petto per ricordare a se stesso quanto
fosse amato, nonostante avesse perso una parte
importante della sua famiglia anni prima. Grazie anche
all'amore Harry aveva mitigato la sua reazione a
quell'anniversario e i baci di Louis, Daisy e Edward avevano
piano a piano rimarginato le ferite del passato. E,
nonostante Daisy avesse soltanto sei anni, sapeva già
quanto fosse speciale suo padre.

Quel pomeriggio di maggio, Louis stava svuotando il


cestello della lavatrice quando sentì dei singhiozzi
393
provenire dalla stanza di Daisy: non impiegò molto a
lasciare le tutine umide di Edward nella bacinella e a
raggiungerla di gran carriera. Seduta al suo tavolino da
gioco e con i capelli ricci che le coprivano il volto delicato,
Daisy sembrava ancora più piccola.

«Tesoro, cosa è successo?»

Louis liberò il suo viso dai riccioli castani e lo notò bagnato


dalle lacrime. Non poté che rattristarsi perché Daisy
avrebbe dovuto soltanto sorridere a sei anni, con una
famiglia amorevole intorno a lei e dei genitori che si
impegnavano a fare del loro meglio per renderla serena.

Lei tirò su con il naso e chiese «papino è malato?».

«No.» rispose Louis senza esitazione. «Perché me lo


chiedi?»

«A scuola mi hanno detto che papino è malato.»


singhiozzò. «David Lars lo ha sentito dire dai suoi genitori,
mentre parlavano di noi.»

Louis capì presto quale fosse la "malattia" di cui


pa rlavano i genitori di David e scosse la testa, prima di
prendere un profondo respiro e placare la sua frustrazione.
Purtroppo, i Lars non erano stati i primi a definire
l'Asperger di Harry una malattia, né sarebbero stati gli
ultimi. Louis combatteva da dieci anni l'ignoranza e la
cattiveria altrui a riguardo, ma in quel momento
desiderava soltanto far capire a Daisy che Harry non fosse
malato e che quella sindrome fosse parte di lui, ma che
non lo definisse, né manipolasse la sua vita o gli imponesse
dei limiti, non più ormai.

«Non ascoltare ciò che dice David, principessa. Papino non


è affatto malato.»

394
«Davvero?»

Louis annuì. «Lui non ha una malattia, tanto tempo fa gli è


stata diagnosticata la sindrome di Asperger.»

Daisy si accigliò. «E non è contagiosa? Come quando ho


preso la varicella e voi avevate paura per Ed?»

«No, tesoro.» rispose Louis paziente. «Hai presente


quando papà non vuole stare tra la folla se andiamo a Hyde
Park? Oppure quando non vuole andare a cena fuori perché
ci sono i suoi documentari preferiti in tv? O quando alle
feste dei tuoi amici non parla molto con i genitori che non
conosce e vuole stare soltanto con me e con te?» Era in
difficoltà, perché non voleva ridurre Harry a poche frasi o
comportamenti, ma era necessario semplificare il concetto
affinché Daisy lo capisse. «Ecco, tutto questo è dovuto alla
sua sindrome, al suo Asperger.»

Daisy boccheggiò per qualche istante, prima di


imbronciarsi.

«Vuoi chiedermi qualcosa?»

«No.» rispose con un broncio, poi «perché David mi ha


detto che papino è malato, allora?» domandò indispettita.

«Perché a volte le persone temono ciò che è diverso da loro


e tendono a dire cattiverie senza pensare ai
sentimenti altrui .»

«Non parlerò mai più con David!»

«Non preoccuparti, parlerò io con i suoi genitori e dirò loro


di educare meglio David.» ribatté e, non sopportando quel
broncio sulle sue labbra, aggiunse «non possono essere
tutti buoni e bravi come te, principessa!».

395
Le lasciò prima un buffetto sulla punta del naso e poi le
fece il solletico sul pancino, fino a quando la bambina non
soffiò «tregua» a qualche centimetro dal suo viso e gli
lasciò un bacio sulla guancia.

«Ma quindi papino non può prendere la medicina e curarsi


da questo Aspetters?»

«Asperger, principessa.» la corresse sorridendo. «No, non


può guarire, ma è migliorato molto negli ultimi anni. Non
devi preoccuparti perché non c'è nulla che lui non possa
fare con il nostro amore e il nostro appoggio.» Poi,
pensando che Daisy avesse conosciuto soltanto i lati
negativi di quella sindrome fino a quel momento, Louis
pensò di farle notare anche quelli positivi. «Lo sai che
grazie all'Asperger papà è bravissimo nel suo lavoro con i
numeri e riesce sempre a trovare i travestimenti più
particolari per Halloween?»

Daisy sorrise al ricordo dell' ultimo Halloween, quando con


l'aiuto di Johannah Harry aveva cucito il suo abito e grazie
ad esso la bambina aveva vinto la competizione per il
costume più bello. Louis non aveva mai immaginato di
vederla travestita da Amelia Earhart, la prima donna
aviatrice, ma ricordava la gioia che lei aveva provato quel
giorno e andava bene così.

«E anch'io ho questa sindrome, papà?»

«No, tesoro.»

«E tu?»

«No.»

«Neanche Ed?»

396
«Non che io sappia, Edward è ancora troppo piccolo per
una diagnosi di questo tipo.»

«Quindi solo papà?»

«Solo lui nella nostra famiglia.»

«Ma allora è speciale!» esclamò Daisy e curvò le labbra in


un sorriso raggiante, nonostante avesse ancora gli occhi
rossi dal pianto. «Papino è super speciale!»

«Lo è, amore.»

Louis la abbracciò forte e provò orgoglio per la


comprensione e l'empatia dimostrate. Non intendeva
romanticizzare una sindrome che aveva causato a Harry
molte difficoltà, ma voleva soltanto dimostrare che quella
che veniva percepita spesso come una diversità non era
altro che un'unicità. Presto un toc toc alla porta li ridestò e
Harry fece capolino, indossando il suo miglior sorriso nel
vederli l'uno stretto all'altra.

«Io, Edward e Olaf siamo tornati dalla nostra passeggiata.»


esordì, raggiungendoli al tavolino. «Ho lasciato il cucciolo
in giardino e il piccoletto a dormire nella culla perché si è
addormentato al parco e mi è dispiaciuto svegliarlo.»
precisò, prima di salutare Louis con un bacio sulla guancia
e fare lo stesso con la bambina. «Daisy, hai pianto?»
chiese, non appena notò i suoi occhi ancora lucidi.

Daisy lanciò un'occhiata complice a Louis, prima di


scuotere la testa. «Stavamo quasi per prendere il tè,
papino.»

«Posso partecipare anche io, principessa?»

«Vado subito a prendere le tazzine!» esclamò,


allontanandosi e rovistando nel baule dei giocattoli.

397
Harry aggrottò la fronte preoccupato. «Allora, cosa è
successo a Daisy?»

«Niente, amore.»

Non importava quanti anni fossero passati, Louis lo


avrebbe sempre protetto da ogni maldicenza o ignoranza:
Harry aveva mille universi dentro di sé e nessuna etichetta,
affibbiatagli da persone che non avevano il privilegio di
conoscerlo, avrebbe potuto racchiuderli tutti.

«Lou!» si lamentò ancora. «Ti prego, dimmi cosa è


successo.»

«Non è successo niente. Le stavo soltanto spiegando


quanto suo padre fosse speciale.»

«Lo è, il suo papà è molto speciale.» ripeté Harry,


baciandolo delicatamente. «È per questo che l'ho sposato.»

«In realtà, stavamo parlando di te.»

Harry non ebbe neanche il tempo di arrossire o scuotere la


testa in risposta perché Daisy tornò presto con le tazzine e
con il suo entusiasmo travolgente: dopotutto, dimenticate
le sue lacrime, per lei non c'era nulla di più bello che
giocare con i suoi papà.

Non appena Daisy lo prese per mano e lo portò in giardino,


Louis si ridestò da quel ricordo e ascoltò con attenzione
tutte le parole in francese che la bambina aveva imparato
poco prima. Nel frattempo, Edward muoveva i suoi primi
passi sotto gli occhi vigili di Harry e Leo non faceva altro
che soffiare a Olaf, un cucciolo fin troppo espansivo per i
suoi gusti.

398
In dieci anni erano cambiate molte cose.

Louis aveva sposato Harry con una cerimonia intima a


Saint Paul e quest'ultimo mostrava orgoglioso la sua fede,
ma sorrideva timidamente quando qualcuno lo scambiava
per il "signor Tomlinson", perché spesso Louis lo chiamava
in quel modo mentre facevano l'amore. Entrambi avevano
fatto carriera e Harry aveva vinto il premio come migliore
analista dell'azienda per dieci anni consecutivi: tuttavia,
sperava segretamente di non vincerlo il prossimo anno,
perché avrebbe significato essere a capo del suo
dipartimento. Non c'erano più discussioni su chi dovesse
dormire sul lato sinistro del letto, perché entrambi finivano
per accoccolarsi sul lato destro in un groviglio di braccia,
gambe e respiri. Louis aveva cominciato a portare gli
occhiali per leggere e si lamentava di quanto fossero
scomodi, mentre Harry li trovava eccitanti e Edward
riempiva le sue lenti di ditate.

Eppure, molte cose erano rimaste le stesse.

Gli orsetti gommosi rossi erano disseminati per tutta la


casa e la plancia dello scarabeo ancora posizionata nel
soggiorno. Johannah non aveva perso la sua proverbiale
curiosità e chiamava suo figlio almeno una volta al giorno
per chiedere dei suoi nipotini. Ethan amava ancora i
Fleetwood Mac e aveva portato persino Harry a un loro
concerto qualche anno prima. Nonno Robert brontolava
sempre. Anne aveva ancora il negozio di fiori e intrecciava
sempre margherite tra i ricci di Daisy. Lisa, ormai psicologa
a tutti gli effetti, aveva sposato Niall, che continuava a
essere sempre Niall.

«Uscire con Nick e il suo nuovo fidanzato mi distrugge,


quando tornate a casa?»

«Niall, non essere sempre così cattivo con il suo nuovo


fidanzato!» Louis alzò gli occhi al cielo, perché quel ragazzo

399
non era poi così male. «E noi siamo partiti soltanto una
settimana fa, lo sai che torneremo ad agosto!»

«Ma siamo ancora al sei luglio!» piagnucolò Niall. «Mi


mancano le capacità culinarie di tuo marito.»

«Grazie per la considerazione, ma credo che la nostra solita


grigliata domenicale debba aspettare almeno un altro
mesetto.»

«Non è soltanto per la grigliata, Theo mi sta riempendo di


domande su Daisy. Credo che mio figlio si sia innamorato
della vostra principessa e io non sono pronto a
imparentarmi con i Tomlinson-Styles!»

Louis ridacchiò perché Niall era sempre il solito.


Fortunatamente la loro amicizia non era mai cambiata in
quegli anni: Niall lavorava come medico di pronto soccorso
e, nonostante gli impegni lavorativi e familiari, trovava
sempre il tempo per stare con il suo migliore amico, per
bere una birra insieme o fare una grigliata con il resto delle
famiglie.

«Hanno soltanto sei anni e, non appena torneremo a


Londra, farò in modo che tra mia figlia e tuo figlio ci sia
almeno un metro di distanza!» scherzò, prima di notare
Harry entrare nel soggiorno e raggiungerlo sul divano.

E mentre Niall parlava di quanto Theo piagnucolasse senza


la sua compagna di giochi preferita e di come Lisa stesse
affrontando la sua seconda gravidanza, Louis cominciò a
distrarsi nel sentire le mani di Harry percorrergli le spalle
e il petto. Non appena quest'ultimo lasciò baci morbidi e
bagnati lungo il collo, Louis poté affermare di aver
completamente perso il filo del discorso con Niall.

«Harry.» sussurrò, lanciandogli un'occhiata interrogativa.


«Sto parlando al telefono con Niall.»

400
Harry lo ignorò e si portò a cavalcioni sul suo bacino, prima
di abbassare lo scollo della t-shirt che indossava e lasciare
altri baci sulle sue clavicole.

«Salutalo e occupati di me ora.» rispose, quando Louis


immobilizzò i suoi fianchi affinché non compiessero
movimenti sinuosi e non risvegliassero i suoi sensi. «Je t'en
prie, mon petit soleil.»

Louis inspirò il suo profumo, vaniglia e sale, dal momento


che, poche ore prima, avevano accompagnato i bambini in
spiaggia e Daisy l'aveva convinto a fare il bagno con lei.
Avrebbe voluto avere la forza di allontanare suo marito e
concedere al suo migliore amico le attenzioni che meritava,
ma Harry era Harry e il desiderio di appartenersi bruciava
ancora forte in ogni lembo del suo corpo.

«Louis? Mi senti ancora?» chiese più volte Niall dall'altro


capo del telefono. «Io non ti sento più.»

«Niall, devo chiudere.» rispose Louis, mentre Harry gli


tirava su l'orlo della t-shirt e lambiva con la lingua i
tatuaggi sul petto e i capezzoli. «Mi dispiace. Prometto di
chiamarti più tardi, okay?»

«Ho capito tutto e di' a Harry di darsi una calmata.» sbuffò.


«E ricordatevi che non siete più giovani come una volta!»
aggiunse, prima che Louis chiudesse la chiamata e
gettasse il cellulare in un angolo remoto del divano.

Non impiegò molto a incontrare le labbra di Harry in un


bacio profondo e forse anche sporco, ma non privo
d'amore. La passione che infuocava i loro corpi non
accennava a scemare e fare l'amore con Harry era
un'esperienza sempre nuova e di cui Louis non avrebbe
mai potuto fare a meno: ogni volta scopriva una nuova
sfumatura di piacere sul suo volto, un nuovo neo sul suo
corpo, un nuovo brivido sulla sua pelle morbida e calda.

401
«Harry, ma i bambini?»

«Sono di sopra, stanno dormendo e non ci disturberanno


per la prossima ora.» rispose, prima di riempire la sua
mandibola di baci e trafficare con la patta dei suoi bermuda
blu.

«Dio, tu chi sei e cosa ne hai fatto di mio marito?» chiese


affannato, quando Harry abbassò faticosamente i bermuda
e i boxer insieme e impugnò la sua erezione in un palmo
per poi pomparla velocemente.

«Tuo marito ha impiegato mezz'ora per far addormentare


i bambini, dopo che li hai riempiti di zuccheri con quel
gelato in spiaggia. Quindi, ora merita un premio.»

E Louis abbozzò un sorriso di scuse, perché in spiaggia


aveva comprato a Daisy e a Edward un gelato e non aveva
pensato alle conseguenze sul loro sonnellino pomeridiano.
O meglio, le aveva ignorate per vedere quelle espressioni
felici sui volti dei bambini. Dopotutto, i momenti trascorsi
in spiaggia erano i suoi preferiti tra Harry, Daisy e Olaf che
giocavano con il frisbee sulla battigia o lui che permetteva
ai piedini di Edward di sfiorare l'acqua cristallina prima di
stringerselo al petto. Erano piuttosto impegnativi, perché
Harry e i bambini odiavano farsi spalmare la crema
protettiva, ma non ci avrebbe rinunciato per nulla al
mondo. Per questo, non gli dispiacque concedergli quel
tanto agognato premio. Lo privò dei pantaloncini e dei
boxer velocemente e lo accolse su di sé, prima di
prendergli il viso tra le mani e baciarlo ancora. Delineò i
contorni delle sue labbra gonfie e lucide con la lingua e poi
con le dita, prima di violarle con l'indice e il medio. Harry
le succhiò avidamente e le lubrificò al meglio, dal momento
che sarebbero servite a prepararlo in assenza di altri
mezzi.

«Mi sei mancato tanto, Lou.» soffiò sul suo collo. «Ti voglio
così tanto.»
402
Quando Louis sfiorò i contorni della sua apertura e la
penetrò delicatamente, Harry aveva ancora gli occhi chiusi,
continuava a masturbarlo e si spingeva contro il palmo
della sua mano per assecondare i movimenti circolari delle
sue dita.

«Ti sei già dimenticato della notte scorsa?»

«Non potrei mai dimenticarmi della scorsa notte, amore.»


mormorò sulle sue labbra, le palpebre sfarfallarono un po'
quando Louis colpì il suo punto più sensibile. «Ma amo
sentirti dentro di me, lo sai.»

Ed era vero, Harry sembrava vivere soltanto per quel


momento e tutto il resto scompariva. Il fastidio iniziale si
trasformava presto nell'amore più puro e le stoccate che
colpivano il suo punto più sensibile in piacere e passione,
quella che vedeva sempre ardere nei suoi occhi smeraldini.
Anche Louis amava quando era Harry a prendere il
controllo, quando era dentro di lui e lo copriva con il suo
corpo imponente, ma non avrebbe mai dimenticato le sue
parole. Quel «mi sento al sicuro solo con te dentro di me»
era sempre scolpito nel suo cuore e nulla avrebbe potuto
cambiarlo.

Nulla.

Louis guidò Harry sulla sua erezione e lo penetrò


lentamente, percependo ogni centimetro e increspatura
della sua carne calda. E fu come tornare a casa ancora una
volta, perché Louis aveva viaggiato molto nei suoi
trentacinque anni di via, ma Harry rimaneva sempre il suo
posto nel mondo. Harry inarcò la schiena e gemette
quando Louis lo riempì completamente, prima di
avvicinarsi ancora al suo petto e seguire i movimenti che
l'altro dettava. Le mani di Louis percorsero la sua schiena
e si soffermarono maggiormente sulle natiche sode
allargandole, mentre si spingeva in lui velocemente. Lo
baciò ancora e ancora, prima che Harry prendesse il
403
comando e si muovesse su di lui con scioltezza e
immobilizzando il suo bacino tra le sue cosce tornite. Si
perse, allora, a tracciare con le dita ogni centimetro della
sua pelle scoperta e le linee marcate dei suoi tatuaggi,
concentrandosi su quelli in comune. Sull'avambraccio
destro entrambi avevano un piccolo aeroplanino di carta a
simboleggiare tante cose: il loro inizio, la loro lista che
giaceva ancora in un cassetto del comodino, la volontà di
Harry di invertire la rotta e volare sempre più in alto per
sconfiggere le sue paure e le sue paranoie. E Louis lo
ripassò più volte con le dita anche in quel momento,
sorridendo tra gli ansiti e i gemiti di Harry, prima di
accarezzare il suo membro e pomparlo con devozione.

«Lou.» ansimò Harry sulle sue labbra, mentre quelle


stoccate lo portavano all'orgasmo.

E, nonostante stesse vivendo ancora gli strascichi di quel


piacere, Harry continuò a muoversi sul suo bacino, ad
accelerare i movimenti e a mugolare quando Louis si
appigliò con le unghie alla sua schiena, lasciando segni che
non sarebbero passati inosservati l'indomani. Non impiegò
molto a raggiungere il suo culmine e a riversarsi tra le sue
natiche ad occhi chiusi, quasi a bearsi di quel calore
speciale che si espandeva in ogni lembo del suo corpo.
Harry sorrise quando notò le sue lenti appannate e gli levò
gli occhiali dal viso dolcemente, facendo attenzione a non
incastrare in essi i capelli color miele che Louis si ostinava
a non tagliare. «Tu li tagli e io li faccio crescere» diceva,
quando Harry glieli scompigliava. Strofinò le punte dei loro
nasi e premette le labbra contro le sue in un bacio che
suggellò ancora una volta il loro amore. Stanchi, sudati e
ancora scossi dal loro orgasmo, ma felici di ritagliarsi
sempre degli spazi per loro due soltanto. In quei momenti,
nonostante le preoccupazioni per i loro bambini, per il
mutuo o per il lavoro, erano soltanto Harry e Louis. Ancora
giovani e ancora innamorati l'uno dell'altro come il primo
giorno.

404
«Je t'aime, ma Lune.»

«Moi aussi, mon petit Soleil.»

E quello non sarebbe mai cambiato.

L'orologio segnava le quattro del pomeriggio quando


salutarono l'anziana Clementine, sempre di vedetta sulla
sua panchina.

Era stato difficile convincere Daisy a entrare in macchina


senza troppi capricci o far smettere di piangere Edward,
risvegliatosi dal sonnellino grazie alle lamentele di sua
sorella. Leo e Olaf erano nei sedili posteriori e stranamente
non avevano emesso neanche un miagolio o un uggiolio di
troppo. Nonostante le iniziali difficoltà, Louis si immise in
autostrada alla guida del loro suv e poté finalmente
rilassarsi. Daisy e Harry canticchiarono qualcosa insieme,
mentre Edward batteva le manine emozionato e di tanto in
tanto Olaf abbaiava. E non gli dispiacque quel clima allegro
che lo accompagnò nelle successive due ore di viaggio,
preferendolo di gran lunga ai capricci dei bambini o alle
continue domande di Harry. Non era insolito per loro
viaggiare insieme, soprattutto quando si trovavano in
Francia. Prima dell'arrivo dei bambini, Harry e Louis aveva
raggiunto persino Parigi e si erano innamorati di Notre
Dame, dei boulevard alberati e delle leccornie che le
numerose boulangerie offrivano. Ora, con due bambini in
famiglia, sceglievano mete meno impegnative, ma
ugualmente piacevoli, come Valensole, un piccolo comune
della Provenza conosciuto soprattutto per le sue ampie
distese di lavanda.

Harry e Louis vi erano già stati, ma quella era la prima


volta in cui vi tornavano come una vera e propria famiglia,
con bambini, cane e gatto al loro seguito, e quella novità
rendeva il loro viaggio più speciale che mai.
405
Giunsero a Valensole nel tardo pomeriggio e si sistemarono
in un delizioso appartamento dall'arredo provenzale e
romantico. Leo non impiegò molto a prendere possesso del
divano e a sonnecchiare per recuperare la stanchezza del
viaggio; loro, invece, scelsero di passeggiare tra i campi di
lavanda che circondavano il piccolo centro e di osservare
ammaliati il cielo farsi arancione a causa del tramonto e il
sole nascondersi dietro le colline coltivate.

«Papino, perché nel nostro giardino non abbiamo la


lavanda?» chiese Daisy, mentre camminava mano nella
mano con Harry. «Abbiamo i lamponi, le more, il
rosticino...»

«Il rosmarino, tesoro.»

«Sì, quello lì, ma non abbiamo la lavanda.»

«Ti piace, principessa?»

«Ha un buon odore e anche un bel colore!»

Harry aveva Olaf al guinzaglio e il cucciolo non doveva


pensarla come Daisy, dal momento che non faceva altro
che starnutire annusando il terreno qua e là. Louis li
osservava divertito e spingeva il passeggino di Edward, che
giocherellava allegro con un mazzolino di lavanda.

«Tu e nonna Anne potreste piantarla in giardino la


prossima settimana.»

«Amore, non dare a tua madre del lavoro da fare.» si


intromise Louis. «Permetti anche a lei di riposarsi e di
divertirsi in vacanza!»

Louis sapeva che Anne non avrebbe mai rifiutato, perché


amava Daisy e anche il giardinaggio, ma non voleva che si
affaticasse nei suoi giorni di vacanza. Negli ultimi anni,

406
Anne sembrava essere rinata e qualcosa gli suggeriva che
fosse anche merito della famiglia che lui e Harry avevano
creato. Lo stesso Louis le ripeteva che non avrebbe più
dovuto preoccuparsi per Harry, perché non sarebbe più
stato solo, ma lei ribatteva con un sorriso affabile che le
preoccupazioni di una mamma nei confronti di un figlio non
terminassero mai.

«Ma papà!»

«Lou, non preoccuparti. La mamma sarà felice di


trascorrere del tempo con Daisy in giardino.» rispose
Harry, facendo un occhiolino a suo marito. Poi, si rivolse
alla bambina e aggiunse «nonna Anne sarà felice di
piantare la lavanda, soprattutto se l'aiuterai!».

«L'aiuterò così non si stancherà affatto!»

Felice di quella promessa, Daisy tornò a correre tra gli


arbusti di lavanda e a ridacchiare ogni qual volta Olaf
starnutiva per poi consolarlo con qualche carezza. Non
appena giunsero in un'area del campo attrezzata con
panchine e un pergolato in legno, Harry sguinzagliò Olaf e
quest'ultimo cominciò a correre con la bambina e ad
abbaiare lieto.

«Fa' attenzione a Edward, Daisy!» esclamò Louis, quando


sua figlia si impossessò del passeggino e lo guidò sotto il
pergolato per giocare con il fratello all'ombra.

«Non preoccuparti, papà!» ribatté lei. «Olaf ci


proteggerà!» aggiunse, prima che il cane abbaiasse, quasi
a confermare le sue parole.

Con lo sguardo sempre rivolto ai bambini, Louis prese la


mano di Harry e passeggiò nelle vicinanze del pergolato
per godersi il paesaggio da sogno che lo circondava e,
perché no, anche quello al suo fianco. Harry era diventato
un uomo bellissimo, dopotutto. Un velo di barba
407
ammorbidiva la linea affilata della sua mandibola, lunghe
ciglia castane incorniciavano lo sguardo felino e smeraldino
che l'aveva fatto innamorare, le sue labbra non avevano
perso quella sfumatura di rosa indiano che lui adorava. Una
camicia dalla stampa floreale e un pantalone panna a
palazzo slanciavano la sua figura e qualche riccio, smosso
dal vento, ricadeva sulla sua fronte prima che Louis
potesse scostarlo delicatamente e Harry gli sorridesse
grato. Lo amava così tanto, tanto che a volte gli sembrava
di sentire il cuore scoppiare o di vivere in un sogno, perché
non aveva mai pensato di poter essere così felice prima del
suo arrivo.

«È strano tornare in questo posto.» affermò Harry,


guardando l'orizzonte.

«Lo è.»

«Insomma, l'ultima volta in cui siamo stati qui risale a sette


anni fa.» disse incredulo. «Sette. Anni. Fa.»

«È trascorso tanto tempo, ma noi non siamo cambiati così


tanto.»

«Tu no, sei sempre il ragazzo che ho incontrato alla festa


di Niall. Forse, ora hai qualche rughetta in più!»

«Ehi!» esclamò Louis. «Queste rughette» e indicò gli angoli


esterni dei suoi occhi «ti piacciono da morire dal momento
che non fai altro che baciarle dopo aver fatto l'amore.»

«Lo so e, infatti, non mi sono mai lamentato di loro.»

Ed era vero, perché Harry amava quelle piccole


imperfezioni del suo viso tanto da trasformarle in unicità.
Dopo aver fatto l'amore, quando il volto di Louis si apriva
in un sorriso soddisfatto, Harry non faceva altro che

408
baciare le rughette d'espressione agli angoli dei suoi occhi,
la punta del naso all'insù, i tre piccoli nei sulla guancia.

«Tu, invece, avevi più capelli.» ridacchiò Louis, alludendo


al taglio netto fatto anni prima.

«Non posso darti torto.»

«E avevi paura anche che tutta questa lavanda ti facesse


allergia. Trattenevi il respiro il più possibile così da non
respirare e scoprire se fosse vero o no!»

«In realtà, trattenevo il respiro perché ero preoccupato.»


Harry scosse la testa. «Tu avevi questa espressione
sofferente e io pensavo che volessi lasciarmi!»

«Non ti avrei portato qui se avessi voluto lasciarti, Harold.


Avrei potuto farlo direttamente a Londra, no?»

«Magari farlo qui sarebbe stato più drammatico. E


comunque quella tua espressione mi perseguita ancora
oggi.»

«Ero in ansia!» si giustificò Louis. «Dovevo farti la proposta


di matrimonio e tutto doveva essere perfetto.»

«E lo è stato, è stato tutto perfetto.»

Lo era stato per davvero. Il vento scuoteva i ricci di Harry,


il sole illuminava i loro volti abbronzati, il profumo della
lavanda inebriava i loro sensi. Louis aveva pronunciato un
discorso molto ingarbugliato, ma che aveva trasmesso
amore in ogni sua parola, soprattutto nell'ultima frase, in
quel «sei tutta la mia vita, vuoi sposarmi?». Harry era
scoppiato a piangere e il cuore aveva minacciato di
schizzargli fuori dal petto, ma aveva soffiato «sì, cento
volte sì» sulle sue labbra, prima di imprimere in ogni bacio
tutto il suo amore. Louis ricordava ancora l'emozione

409
provata, la stessa che gli aveva fatto tremare le mani e che
non gli aveva permesso di infilare subito la fascetta
d'argento con i turchesi incastonati all'anulare di Harry.
Entrambi si persero nei ricordi e si guardarono per un
istante, prima di arrossire e distogliere lo sguardo per
rivolgerlo al panorama.

«È strano tornare qui, ma è anche bello. Non credi?»

«Lo è.»

«È bello che ci siano anche i bambini. Questo posto ci ha


visto diventare una famiglia e tornare qui anche con Daisy
e Edward sembra quasi il coronamento di un sogno. Ce
l'abbiamo fatta, Lou.»

«Ce l'abbiamo fatta, Harry. E lo è, è il coronamento del mio


sogno.»

«Anche del mio, Lou.» Harry gli prese le mani nelle sue e
lo fronteggiò. «Ricordi la tua lista?»

«Certo e dobbiamo ringraziarla se oggi siamo qui. Se non


mi fosse venuta in mente quell'idea geniale, ora saremmo
ancora nell'appartamento di Brick Lane a urlarci contro!»

«Non è affatto vero!» esclamò Harry, quasi offeso, ma


bastò un'occhiataccia di Louis a fargli ammettere quella
verità. «Okay, la tua è stata un'idea vincente, ma ce
l'avremmo fatta ugualmente.»

«Il vero amore trova sempre il modo, no?»

«Esattamente.» E su quello erano entrambi d'accordo.


«Comunque, la lista aveva cinque punti.»

410
«Le cinque cose che hai sempre voluto fare, ma che a
causa del tuo Asperger non hai fatto.» affermò Louis. «Hai
avuto da ridire anche sulla lunghezza del titolo.»

«Sono un tipo preciso e quel titolo era davvero troppo


lungo.» si giustificò con un'alzata di spalle. «La numero
uno?»

«Chiedere a qualcuno di uscire. E lo hai fatto, ma lo hai


chiesto al ragazzo sbagliato.»

«Ma poi ho recuperato, giusto?»

«Ti sei fatto perdonare per bene.» Louis sorrise al ricordo


del loro primo bacio e del mazzo di margherite bianche.
«Numero due: fare un viaggio senza tua madre o William.»

«E mi hai portato qui. Nel momento in cui ne avevo più


bisogno, tu mi hai portato qui e mi hai fatto riscoprire
quanto fosse bello il mondo.» La voce di Harry tremò per
l'emozione. «Numero tre: avere un animale domestico.».

«E ora ne hai ben quattro...Leo, Olaf e quelle due


scimmiette di Daisy e Edward!» esclamò Louis ed entrambi
scoppiarono in una risata fragorosa, anche se Harry non
poté fare a meno di precisare che le scimmie non fossero
esattamente degli animali domestici, per lo meno non in
quella parte del mondo. «Numero quattro?»

«Pilotare un aereo.»

Louis gli sorrise orgoglioso, perché Harry aveva preso il


brevetto da pilota pochi anni prima. Nel tempo libero si
esercitava in una scuola di volo nei pressi di Manchester,
dove aveva insegnato anche suo padre. I colleghi di
Edward erano stati felici di accoglierlo tra loro e Harry
aveva imparato piano a piano a pilotare quei piccoli
elicotteri da turismo da solo, nonostante non si

411
avventurasse mai per le campagne inglesi senza un co-
pilota con più esperienza.

«Il quinto punto.» Louis si imbronciò perché «non me lo


hai mai detto!».

«Era questo, Lou.» Harry gli sorrise e si guardò intorno.


«Era essere felice ancora una volta e poi esserlo per
sempre.»

«E lo sei, amore?»

Harry annuì. «Ricordi quando abbiamo spuntato la quarta


voce? Ho pilotato l'elicottero con nonno Robert e ripetevo
che quello fosse il giorno più bello della mia vita.
Finalmente, dopo tanti anni, ero felice ancora una volta.
Poi, ci siamo allontanati e io ho pensato che non avrei mai
potuto essere felice senza di te.»

Louis ricordava tutto di quei giorni: la tristezza, l'angoscia,


il rifiuto. Eppure, sapeva che Harry sarebbe tornato da lui.
Non sapeva il giorno con esattezza, ma era certo di
stringerlo tra le sue braccia ancora una volta, prima della
partenza per Haiti. E così era stato perché Harry era
tornato e, anche se soltanto per una notte, Louis si era
sentito giusto con il suo odore sulla pelle.

Louis gli prese il volto tra le mani e soffiò sulle sue labbra
«poi, sei tornato da me».

«E ho imparato a essere felice ogni giorno grazie a te.»


Harry poggiò le mani sui suoi fianchi e li vezzeggiò con
morbide carezze. «Ora possiamo spuntare anche la quinta
voce dalla lista, perché sono felice in questo campo di
lavanda con te, Daisy e Edward al mio fianco e ho la
sensazione che possa durare per sempre grazie a voi.»

412
Louis si sporse e incontrò le sue labbra ancora tremanti,
lasciandosi travolgere dal sentimento che provava per
Harry. Sapeva che suo marito fosse felice, ma quella
confessione a cuore aperto rese quella certezza una nuova
scoperta. Non rispose, ma impresse in ogni bacio, carezza
e sospiro tutto il suo amore, sperando che a Harry sarebbe
bastato. E gli bastò, perché Harry non smetteva di
sorridere tra un bacio e l'altro, mentre le sue mani
vagavano sulla sua schiena, sui fianchi e sul volto a
reclamare quell'amore. Le loro labbra si allontanavano le
une dalle altre soltanto per pronunciare dei semplici «ti
amo» e «je t'aime» detti all'unisono e sotto i loro sguardi
innamorati.

Quegli sguardi avrebbero sempre detto più di dieci, cento,


mille parole e in quel momento dicevano «guarda dove
siamo arrivati, amore».

Harry strinse le mani di Louis nelle sue, prima di invitarlo


a seguirlo e raggiungere i bambini. Daisy andò incontro a
Louis, che la prese in braccio e la strinse forte a sé. Edward
azzardò i suoi primi passi sull'erba e Harry lo incoraggiò
orgoglioso, mentre Olaf scorrazzava allegro tra loro.
Guardando ogni membro della sua famiglia, Louis non poté
ignorare il senso di soddisfazione che provava nel suo petto
e pensò che tutti i suoi sogni si fossero realizzati da quando
Harry era entrato a far parte della sua vita. Ed era stato
proprio lui a permettere ad alcuni sogni di realizzarsi.

Louis lo aveva conosciuto come lo strano coinquilino di Niall


e come il ragazzo che aveva permesso all'Asperger di
giocare un ruolo fondamentale nella sua vita a tal punto di
non volere essere neanche Harry, ma soltanto un
ragazzo, uno dei tanti. Eppure, Harry non era e non
sarebbe mai stato uno dei tanti o soltanto un ragazzo.
Ormai Harry era un uomo. Un uomo che aveva affiancato
altre passioni ai suoi interessi ristretti. Un uomo che era
affezionato alle abitudini di una vita, ma che aveva
imparato ad accogliere anche nuove esperienze, viaggi,

413
conoscenze e a farne tesoro. Un uomo che sapeva amare
ed essere amato. Harry era un figlio e un fratello
amorevole, un amico leale, il migliore analista della sua
azienda, un ottimo marito e un padre premuroso. Harry
non era soltanto il suo Asperger, come molti si
aspettavano. Harry avrebbe potuto essere esattamente chi
avrebbe voluto.

Tuttavia, per Louis era e sarebbe sempre stato l'amore


della sua vita.

Fine

414
415
COME LA LUNA AMA IL SOLE

Salire su un taxi e cercare di arrivare a Heathrow in


un'ora non era stata l'impresa più facile degli ultimi
tempi.

Lo sapeva Daisy che aveva rinunciato a guardare il suo


programma preferito in televisione e lo sapeva Edward
che avrebbe preferito giocare con Olaf davanti al camino,
invece di rimanere intrappolati nel traffico di Londra.
Soprattutto, lo sapeva Harry che aveva dovuto coordinare
le esigenze di Olaf, quelle dei suoi figli e quelle del
tassista, al quale aveva lasciato una sostanziosa mancia
per aver sopportato le lamentele dei bambini durante il
tragitto.

«Perché abbiamo preso il taxi?» borbottò Edward, mentre


Harry gli stringeva la manina e lo guidava verso l'entrata
dell'aeroporto. «Quel tassista era così antipatico!»

«Perché papà ha lasciato qui la nostra auto quando è


partito, Ed.» ribatté Harry pazientemente. «Torneremo a
casa con lui e con l'auto.»

Lui annuì, arricciando le labbra sottili in un broncio, ma


risultando ugualmente adorabile ai suoi occhi: Edward
sembrava Louis in miniatura, soprattutto quando si
imbronciava, era sovrappensiero o ridacchiava. Presto il
suo broncio sparì perché la sua attenzione fu catturata
dalle tante persone che affollavano l'aeroporto e dai
piccoli chioschi che vendevano souvenir e cibo a volontà.
Harry tirò un sospiro di sollievo nel vederlo impegnato
perché finalmente avrebbe avuto una tregua dalle sue
mille domande: negli ultimi mesi aveva capito quanto
fosse difficile avere a che fare con un bambino di sei anni,
soprattutto se quel bambino era curioso come Edward.

«Daisy, levati la sciarpa altrimenti suderai e ti


ammalerai.» aggiunse, lanciando un'occhiata alla
416
bambina che camminava svelta al suo fianco. «E sbottona
un po' anche il cappotto.»

«Sì, papà.» cantilenò lei, alzando gli occhi verdi al cielo e


sorridendo un attimo dopo perché Harry l'aveva colta in
fallo. «Si può sapere perché sei così nervoso?»

«Non sono nervoso!» esclamò e arrossì leggermente


perché, non importava quanto si sforzasse di farlo, a sua
figlia non avrebbe mai potuto nascondere qualcosa: Daisy
aveva sempre avuto la capacità di comprenderlo a fondo
senza aver bisogno di grandi spiegazioni. «Non lo sono
affatto.»

«Lo sei, invece.»

E forse lo era. Se non le avesse avute intrecciate a quelle


dei suoi figli avrebbe disteso e poi arricciato le sue dita
inanellate per sciogliere la tensione. Se soltanto si fossero
fermati, invece di trotterellare verso gli arrivi, le sue
ginocchia avrebbero tremato. E se non fosse stato così
impegnato a rispondere a Daisy avrebbe preso profondi
respiri per ritrovare la calma.

«Okay, lo sono.» ammise. «Giusto un po'.»

«L'ho capito, ma perché?» chiese confusa. «È soltanto


papà!»

«È papà che torna a casa dopo tre settimane e mi è


mancato da morire, ma petit princesse!» la corresse,
individuando le porte scorrevoli e invitando i bambini a
fermarsi per aspettare pazientemente l'arrivo del loro
papà. «Voglio che sia tutto perfetto per il suo ritorno.»

E si sentì un ragazzino nel dirlo perché Louis non era


soltanto "papà", per quanto quella semplice parola
racchiudesse al suo interno un intero universo. Louis era

417
l'amore della sua vita. Louis era un piccolo Sole che con il
suo calore e il suo amore gli aveva donato nuovamente la
vita. Louis era colui che avrebbe mangiato tutti gli orsetti
gialli e verdi pur di lasciargli quelli rossi, che avrebbe
rinunciato a vedere una partita di calcio se giocare a
scarabeo lo avesse reso felice, che l'avrebbe portato a
vedere un noioso documentario pur di far parte dei suoi
interessi. Insomma, Louis era il suo tutto.

«Ed è tutto perfetto, papà. Ce la siamo cavata anche


questa volta.» lo rassicurò la bambina, stringendosi al
suo fianco. «Ce la caviamo sempre, alla fine.»

Harry sentì il cuore battere forte e non per il nervosismo,


ma per l'affetto smisurato e la comprensione che Daisy
non mancava mai di mostrargli: nonostante tutto, lei
riusciva sempre a trovare un lato positivo e a confortarlo.
A Daisy piaceva il modo sgangherato in cui Harry
intrecciava i suoi capelli al mattino, gli abbinamenti non
proprio comuni che le consigliava, persino la colazione al
volo che facevano per strada perché erano spesso in
ritardo. Quando Harry pensava di essere un pessimo
padre senza Louis al suo fianco, bastava che Daisy gli
rivolgesse un dolce sorriso per dargli nuovamente
coraggio e credere in se stesso. Tirò la bambina a sé,
stringendola forte, prima di scompigliare con la mano i
suoi boccoli castani e farla ridacchiare. L'ansia sembrò
quasi essere sparita fino a quando Edward non esclamò
all'improvviso «ecco papà!», indicando insistentemente le
porte scorrevoli che si stavano aprendo proprio in quel
momento.

E Louis era proprio lì, a qualche metro da loro, a un


abbraccio e a un bacio di distanza.

Harry liberò i bambini dalla sua presa e li lasciò


raggiungere il papà impazienti di ricevere il loro abbraccio
spaccaossa. Si godette l'intera scena da lontano, così
come si osservavano le cose preziose, e la sua famiglia
418
era preziosa per lui, a dispetto del suo Asperger e della
sua difficoltà nel creare legami. Il suo cuore tremò
quando vide Louis in un soffice maglione color panna
inginocchiarsi sul pavimento e accogliere i bambini in un
abbraccio caloroso. Daisy e Edward lasciarono molti baci
sulle sue guance barbute e Louis semplicemente chiuse
gli occhi, godendosi quel ritorno a casa che tutti
aspettavano, lui per primo. La frangia color miele
spettinata rivelava alcuni fili d'argento dovuti al passare
del tempo, le piccole rughette agli angoli dei suoi occhi
azzurri erano più scavate, ma le sue labbra sottili erano
curvate nel solito sorriso. Louis era un vero e proprio
spettacolo, anche a trentanove anni suonati, e a quel
pensiero Harry non seppe più rimanere in disparte.

Mosse pochi e frettolosi passi prima di mormorare un


«Lou» con un filo di voce.

Louis ampliò quel sorriso riconoscendo la sua voce ancora


prima di aprire gli occhi. Piano a piano si alzò dal
pavimento e inclinò il capo di qualche grado prima di
pronunciare delle parole capaci di portare Harry a casa,
ovunque si trovasse, perché casa sua erano quelle braccia
che lo stringevano forte e quella voce che lo vezzeggiava
delicatamente.

«Vieni qui, ma Lune.» disse e Harry non se lo fece


ripetere un'altra volta.

Si gettò tra le sue braccia e nascose il viso nell'incavo del


suo collo a ricercare quel profumo che gli era mancato
tanto nelle settimane precedenti: sapeva ancora di Louis,
sapeva di casa e soltanto in quel momento Harry sentì
tutto essere perfetto. Strofinò le labbra sulla sua pelle e
vi lasciò dei baci, mentre le mani di Louis si intrufolavano
tra i suoi capelli e gli massaggiavano la nuca per
rilassarlo. Poi, Louis gli lasciò un bacio a fior di labbra
perché, se avesse iniziato a baciarlo propriamente, non
avrebbe più smesso. Tuttavia, Harry non si crucciò: per
419
lui era stato bello persino sentire soltanto il peso delle
sue labbra sulle proprie o il calore delle sue mani sulle
guance.

«Anche noi, papà!» si lamentò Edward, strattonando il


lembo inferiore del suo maglione e facendo ridacchiare
Harry, perché sapeva bene che i Tomlinson fossero
possessivi da morire.

Si strinsero tutti e quattro in un ultimo e caloroso


abbraccio prima di dirigersi verso l'uscita dell'aeroporto.
Edward volle stare tra le braccia di Louis nel tragitto per
riprendere l'automobile e Harry non poté che protestare
con un accorato «papà deve essere molto stanco dopo un
volo così lungo, Ed». Tuttavia, Louis lo zittì con un bacio
fugace sulle labbra e prese tra le braccia suo figlio,
lasciando all'altro l'onere di portare il suo trolley, mentre
Daisy ridacchiava al suo fianco. Una volta raggiunto il
parcheggio e individuato il loro suv, Harry si offrì di
guidare affinché l'altro potesse riposare almeno un po',
ma ancora una volta Louis lo zittì con un bacio e affermò
che avrebbe guidato volentieri. Dopotutto, sapeva quanto
Harry odiasse guidare nel traffico di Londra e, oltretutto,
gli era mancata la sua automobile.

«Lascia fare a me.» disse, aprendo il portabagagli.


«Anche tu hai bisogno di riposo dopo aver passato tre
settimane da solo con le pesti.»

Harry fece una smorfia, ma si sistemò ugualmente nel


posto del passeggero. Non poteva non apprezzare quel
costante senso di protezione e riguardo che Louis
mostrava nei confronti della sua famiglia. Aveva preso in
braccio Edward per renderlo felice, nonostante qualche
fastidio alla schiena. Aveva scelto di guidare perché non
avrebbe voluto vedere Harry nervoso quella sera.
Nonostante fosse frastornato dal volo e dal jet-lag, nel
tragitto verso casa, aveva fatto partire quella boy-band
che tanto piaceva a Daisy. E Harry lo amava, amava
420
quella devozione che Louis mostrava per suo marito, per i
suoi figli e per ogni membro della sua famiglia.

Daisy e Edward non smisero di parlare con Louis neanche


quando arrivarono nella loro villa a nord di Londra ed
entrarono in casa con Olaf a trotterellargli intorno e ad
abbaiare felice. I bambini non notarono Louis prendere un
profondo respiro una volta varcata la soglia di casa, ma
Harry lo fece e sorrise a quel gesto che compieva sempre
al ritorno dai suoi viaggi. Per Louis, riempirsi le narici del
profumo di casa loro era come riappropriarsene, farla
nuovamente sua. Lo vide anche guardarsi intorno e
apprezzare gli addobbi natalizi sparsi per la casa, persino
il festone sul camino e le calze che Babbo Natale avrebbe
riempito di regali e dolciumi.

«Ti abbiamo aspettato per l'albero, Lou.» lo tranquillizzò


Harry, mentre Louis soffermava il suo sguardo stanco in
un angolo ben preciso del salotto, quello tra il camino e la
grande vetrata che dava sul giardino. «I bambini
volevano assolutamente te per mettere le palline e le
luci.»

«Domani monterò l'albero mentre loro sono a scuola e a


pomeriggio lo addobberemo tutti insieme, allora.» disse
Louis, improvvisamente più felice, perché gli dispiaceva
perdersi quelle tradizioni di famiglia a causa del lavoro.
«Grazie per avermi aspettato.»

In realtà, Harry sapeva che a Louis dispiaceva perdersi


tutto. Così, nonostante la sua stanchezza, cercò di
ascoltare attentamente tutto ciò che i bambini gli
raccontarono durante la cena, mentre gustava l'arrosto e
i contorni che Harry aveva preparato quel pomeriggio.
Fece di tutto per dare a ognuno di loro la giusta
attenzione, persino a Olaf, al quale lasciò carezze sul suo
pelo fulvo e allungò un po' di cibo. Harry, in quei
momenti, si limitava a osservare tutto con un sorriso
rilassato sulle labbra e a meravigliarsi di quella che era la
421
sua vita da ben quindici anni ormai. Non riusciva proprio
a fare a meno di guardarsi indietro e notare i passi da
gigante che aveva fatto, le numerose paure che aveva
sconfitto, l'amore che aveva ricevuto e addirittura donato.

Più tardi, quella sera, fu Louis a mettere i bambini a letto


e a raccontare loro la fiaba della buonanotte, con Daisy
che ridacchiava per la sua mancanza di inventiva e tra
i perché, i come e i quando di Edward.

Harry stava lavando le stoviglie quando Louis entrò in


cucina con delle pantofole ai piedi e il corpo avvolto nel
suo morbido accappatoio lilla e troppo abbondante per la
sua statura minuta. Si voltò e gli sorrise notando quel
particolare, i capelli ancora umidi dalla doccia, gli occhiali
dalla montatura sottile che indossava e il suo viso spoglio
dalla barba perché sapeva quanto fosse delicata la sua
pelle, soprattutto quella dell'interno coscia. Louis lo
raggiunse al lavello e, lasciando prima un bacio sulla sua
spalla, lo affiancò.

«Edward sta diventando troppo esigente con le storie


della buonanotte.»

«Si sono addormentati?» chiese Harry, sorridendo a


quelle parole, mentre lui annuiva. «E tu? Perché non sei
già a letto? Sei stanco e il viaggio è stato piuttosto
lungo.»

«È vero che sono stanco, ma non volevo andare a letto


senza di te. Tu lavi e io asciugo, prima finiamo e prima
andiamo a dormire.»

«Affare fatto. Allora, come è andato il lavoro laggiù?»

«Un disastro, Harry.» sospirò Louis, scuotendo la testa e


ricambiando la sua occhiata preoccupata. «Faccio questo
lavoro da quindici anni e ancora non riesco a rimanere

422
impassibile davanti alle condizioni in cui versano quei
bambini.»

«Lou.»

«Non so, questa volta è stata diversa e più difficile di


tutte le altre. In quel villaggio, i genitori dei bambini
preferivano farli lavorare e non mandarli a scuola, perché
nel secondo caso avrebbero perso un'entrata utile a
mantenere la loro famiglia.»

«E poi?»

«Siamo arrivati ad un accordo con la filiale


dell'associazione che è in quelle zone. Fino a quando
quelle famiglie riceveranno un sussidio, manderanno i
bambini a scuola.» spiegò. «Mi sento un totale fallimento,
Harry.»

«Non lo dire neanche per scherzo, Lou.»

«Ma è così. Se l'associazione un giorno smettesse di


passare a quelle famiglie il sussidio, i bambini non
andrebbero più a scuola e tutto il lavoro che abbiamo
fatto nei mesi passati si rivelerebbe inutile. Per non
parlare di quei bambini che dovrebbero tornare a
lavorare, invece di andare a scuola e costruirsi un
futuro.» raccontò, accanendosi ad asciugare un bicchiere
che non ne aveva bisogno. «Penso ai nostri di bambini e
a quanto siano fortunati ad averci, a frequentare la loro
scuola e a vivere in questa casa. Poi, penso a quei
bambini che sono nati in un villaggio sperduto della
Thailandia e che non...»

«Lou!» esclamò Harry, notando il suo tono esasperato,


prima di stringerselo addosso. «Vieni qui.»

423
Louis non replicò, ma si accoccolò al suo petto, mentre
Harry lasciava dolci baci tra i suoi capelli umidi. Non
importava quanto si mostrasse forte, a volte aveva
bisogno che Harry prendesse in mano le redini della
situazione e, soprattutto, di lasciarsi andare. Le lacrime
che la sua frustrazione aveva trattenuto fino a quel
momento finalmente fecero capolino e le sue labbra
liberarono soffici sbuffi e singhiozzi. In quei casi, Harry
aveva imparato ad accoglierlo tra le sue braccia e a
mormorare contro la sua pelle piccole parole di conforto,
a stringerlo più forte se necessario, a essere ciò che suo
marito era per lui stesso ogni giorno.

«Scusami, i-io...» borbottò, strofinando la guancia rigata


dalle sue lacrime sulla sua spalla. «...non so cosa mi sia
preso...»

«È tutto okay.»

No, non era tutto okay. Perché Louis continuò a sfogarsi,


a parlare di quanto fosse sbagliato quel sistema che lui
stesso con la Thousand Hearts cercava di combattere da
anni e anni, di quanto i volti emaciati e stanchi di quei
bambini o la tristezza sui visi dei loro genitori lo avessero
scosso. E Harry cercò di consolarlo, perché il suo lavoro
non era stato inutile: Louis aveva dato a quei bambini
una speranza con quella scuola e con la presenza nella
zona dell'associazione, quella di poter sognare un futuro
diverso, un futuro in cui ognuno sarebbe stato chiunque
avrebbe voluto essere. Dopotutto, guardando il quadro da
una più ampia prospettiva, quei bambini erano stati
fortunati ad averlo incontrato perché Louis aveva dato
loro il diritto di sognare.

«Scusami per tutto questo. Sono arrivato soltanto da


qualche ora, ho già pianto e ti ho fatto preoccupare.»

«So quanto un viaggio del genere possa scuoterti. L'ho


provato sulla mia pelle qualche anno fa e so quanto sia
424
difficile tornare qui e abituarsi di nuovo alla casa, a me e
ai bambini. Ma non smettere mai di parlarmene, okay?
Ricordi quello che mi dici sempre? Non chiuderti a riccio
perché parlare è importante. Allora, parlami quanto vuoi
del viaggio o di tutte le tue paure, mon petit soleil.»

«Je ne suis pas un petit soleil.»

In quel momento Louis era tutt'altro che un piccolo Sole


viste le lacrime, le guance rigate e le lenti degli occhiali
appannate.

«Un petit soleil avec les nuages.»

«Sì, un sole con un po' di nuvole va decisamente meglio


al momento.» disse con un sorriso. «Grazie per esserci
sempre.» sospirò, stringendo la presa sui suoi fianchi.
«Dio, amore, mi sei mancato così tanto.»

Harry non riuscì a trattenersi e unì le loro labbra in un


bacio diverso da quello che si erano scambiati in
aeroporto. Fu un bacio pieno di bisogno, quello di sentirsi
suo lì, nella loro cucina, mentre si stringeva addosso
Louis avvolto nel suo accappatoio lilla e le labbra dell'altro
gli rubavano ogni respiro e sospiro.

Aveva bisogno di riappropriarsi del suo Louis, delle labbra


sottili che succhiavano la pelle candida del suo collo o
della lingua che mappava il suo palato, di quelle mani
delicate che lo esploravano come se il suo corpo fosse un
territorio vergine, tremanti ma anche sicure, come se
fosse la prima volta e anche l'ultima. Louis riusciva a
trasmettergli un caleidoscopio di emozioni ogni qual volta
lo sfiorava per ricevere un bacio, lo amava
silenziosamente sotto le lenzuola, lo prendeva per mano e
lo portava a svegliare i bambini la domenica mattina.

Quando entrambi furono senza fiato, si allontanarono e si


guardarono per un istante: Harry ridacchiò alla vista delle
425
lenti appannate di Louis e quest'ultimo sbuffò perché
indossare gli occhiali non gli era mai piaciuto.

«Fammi vedere questi occhioni che mi sono mancati


come l'aria, Lou.» Sollevò i suoi occhiali e rivelò quelle
gemme azzurre che impreziosivano il suo sguardo stanco.
«Bellissimo.» sussurrò, lasciando un bacio sulla punta del
naso che lui arricciò divertito.

«Come è andata qui senza di me in questi giorni?»

Malissimo, pensò Harry. «Bene.» disse, invece, non


volendo dargli altre preoccupazioni.

«E a lavoro?»

«Uhm, c'è questo nuovo segretario che è proprio


fastidioso.»

«Ma non lo hai scelto tu, visto che ora sei a capo del tuo
dipartimento?»

«Sì, ma non pensavo che Steve si sarebbe


rivelato così fastidioso.» sbuffò. «Non fa altro che
chiedermi se voglio un caffè o un tè o un succo ogni
mezz'ora, cosa può fare oltre ai compiti che gli assegno,
come può organizzare al meglio la mia giornata.»

«Il tuo segretario non è fastidioso, è soltanto gentile. Mi


sembra che si dia da fare e che faccia bene il suo lavoro,
no?» Harry grugnì in risposta. «Venerdì io e i bambini
verremo a trovarti in ufficio a pranzo e mi assicurerò
personalmente che tu non abbia spaventato con i tuoi
modi bruschi quel ragazzo, Harry.»

«Non sono stato brusco. Sono stato soltanto distaccato,


come è giusto che sia.»

426
«Immagino.» Louis alzò gli occhi al cielo. «Sai essere
benissimo un buon capo e una persona affettuosa e
gentile allo stesso tempo. Quindi, cerca di sforzarti,
okay?»

«Se lui smetterà di essere così insopportabile, cercherò di


farlo.»

Un «Harry Tomlinson Styles, hai trentasette anni e vorrei


ricordarti che anche tu eri insopportabile e, alla fine, ti ho
sposato!» e una pacca sul suo fondoschiena dopo, Louis
prese in mano il canovaccio e continuò ad asciugare le
stoviglie.

«Meno ironia e più piatti a posto, grazie.» precisò Harry,


sentendo l'altro ridacchiare al suo fianco.

Con soffici risate e lo scroscio dell'acqua a fare da


sottofondo, Harry non poté fare a meno di rilassarsi
finalmente. C'era qualcosa di rassicurante nel sentire la
presenza di Louis al suo fianco o la sua risata dal vivo e
non attraverso un telefono. Dopo tre settimane trascorse
tra messaggi e veloci videochiamate, persino rassettare
insieme la cucina si rivelò speciale per lui e gli donò una
sensazione di grande intimità, un'intimità che non aveva
condiviso mai con nessun altro.

«Lou?»

«Sì?»

Gli rivolse un sorriso dolce. «Bentornato a casa.»

Con Louis a casa, Harry era certo che sarebbe andato


tutto bene.

O almeno, lo sperava.

427
*

Louis non si svegliava di soprassalto da qualche anno


ormai: i giorni bui di Harry erano ricordi lontani o,
comunque, erano diventati piccoli momenti che
combattevano con baci sulle guance, ti amo detti sulle
labbra e i loro bambini tra le braccia.

Per questo, non avrebbe mai immaginato di svegliarsi


durante la sua prima notte a Londra con un Harry
piangente e rannicchiato al suo fianco. Non aveva avuto
scatti violenti, come era già accaduto in passato, ma
piangeva inerme sulla sua spalla racchiudendo il tessuto
leggero della sua t-shirt bianca in pugni strettissimi e
sembrava non volersi muovere da quella posizione. Louis
lo stringeva e lo sentiva farsi piccolo tra le sue braccia, le
sue mani non smettevano mai di accarezzarlo e prendersi
un po' del suo dolore, qualunque esso fosse.

«Ho sognato di dimenticare il volto del papà.»

Il suo cuore saltò un battito quando ascoltò quelle parole


e la voce di Harry rompersi in un singhiozzo, poi ancora
nel pianto.

«Respira, amore.» mormorò, avvicinando le labbra alla


sua tempia e lasciando baci morbidi tra i riccioli castani.
«Ti prego, ci sono io con te, calmati.»

«L'ho sognato ancora. Era di spalle e io correvo per


raggiungerlo. Non ero un bambino, ma ero io. Ero Harry,
avevo la fede al dito, la tua collana con l'aeroplanino al
collo.» spiegò Harry. «Io lo chiamavo e lui non si voltava.
Quando finalmente lo faceva non era lui. Era un volto
informe, non era il mio papà. Ancora una volta non era lui
l'uomo che avevo davanti. Ancora una volta, al risveglio,
non riuscivo a ricordare il suo viso.»

428
«Ancora, Harry?» chiese Louis confuso. «Cosa significa
"ancora una volta"?»

Harry affondò i denti nel suo labbro inferiore e un


sentimento di colpa e vergogna gli riempì gli occhi lucidi e
arrossati dal pianto.

«È già successo prima?»

Abbassò lo sguardo e si convinse ad annuire perché, lo


sapevano entrambi, a Louis non avrebbe mai potuto
mentire.

«Quando?»

«Nei giorni passati.» borbottò, tirando su con il naso.


«Quasi tutte le notti da quando sei andato via.»

A Louis mancò il respiro, allontanò velocemente le mani


dalle guance di Harry e si alzò dal letto, cominciando a
camminare per la stanza perché troppe paure affollavano
la sua mente e il suo cuore in quel momento. Non voleva
neanche permettersi di guardare Harry perché sapeva
che vederlo in quelle condizioni lo avrebbe intenerito e lui
non voleva intenerirsi. Louis era furioso. Era furioso
perché Harry gli aveva taciuto un particolare così
importante durante la sua assenza, perché qualunque
passo falso avrebbe potuto rovinare l'equilibrio che aveva
raggiunto, perché quella di dirsi tutto e di non chiudersi a
riccio era una delle loro tante promesse.

«Lou.»

«Perché non me lo hai detto?»

«Non volevo farti preoccupare a così tanti chilometri di


distanza.»

429
«E cosa facevi invece di farmi preoccupare?»

«Mi alzavo dal letto, mi preparavo un tè caldo, indossavo


un tuo maglione e poi rimanevo sveglio fino al mattino
seguente, quando accompagnavo i bambini a scuola e mi
presentavo a lavoro.»

A Louis tremarono le mani. Avrebbe voluto urlare,


rimproverare suo marito e dirgli quanto fosse stato
sbagliato il suo comportamento per se stesso e per i
bambini dal momento che avevano dovuto vederlo in
quello stato, con i ricci tutti scompigliati e le occhiaie
scure a cerchiare i suoi bellissimi occhi verdi. Daisy e
Edward lo avevano visto fragile e per un momento pensò
alla fragilità come a una debolezza. Poi, realizzò che
essere fragili non poteva essere un difetto perché quella
fragilità era il risultato di tutto ciò che Harry aveva dovuto
affrontare in passato ed era ciò che lo aveva portato a
essere ciò che era.

«Avresti dovuto chiamarmi e non indossare un fottuto


maglione, Harry.»

«Sentire il tuo profumo addosso riusciva a calmarmi.»


sussurrò con un filo di voce. «Era come essere stretto in
uno dei tuoi abbracci e riusciva sempre ad aiutarmi.»

E, alla fine, non importava se Harry avesse sbagliato.


Louis amava tutto di lui, la luce e l'oscurità, forza e
fragilità. Per questo, non esitando neanche per un istante
quella volta, lo raggiunse lentamente e si sedette sul
letto. Fronte contro fronte, respiro contro respiro e le
mani di Harry nelle sue, come era stato fin dal principio.

«Non chiuderti a riccio perché parlare è importante.»


disse dolcemente. «Vale per me e vale anche per te,
capito?»

430
«Lo so.» Harry alzò lo sguardo, annuendo flebilmente.
«Ho sbagliato, ma non riuscivo a dirtelo per telefono o
durante le nostre videochiamate. C'erano sempre i
bambini in casa e non volevo farli preoccupare.» spiegò.
«Non mi hanno mai visto in queste condizioni, credimi.
Soltanto Daisy ha intuito qualcosa dopo la prima
settimana ed è stata bravissima a starmi vicino. Insieme
ce la siamo cavata.»

Louis rafforzò la presa sulle sue mani, prima di


accarezzargli il dorso con il pollice e chiedergli «ne hai
parlato con qualcuno almeno? Con il tuo psicologo?».

«No, ma ne ho parlato con Lisa.» Louis tirò un sospiro di


sollievo perché Lisa, pur non avendo in cura Harry per
questioni deontologiche, era brava ad ascoltarlo, era una
brava amica. «Però, pensavo che stanotte non avrei
avuto quell'incubo con te al mio fianco sinceramente.»

«E lei cosa ti ha detto?»

«Che probabilmente questi incubi sono dovuti alle perdite


che abbiamo subito nell'ultimo anno.» affermò Harry
dispiaciuto, perché parlarne portava a galla ricordi e
dolori. «Ho paura di rimanere solo. Ho paura di perdere
tutti voi. Ho paura persino di perdere il ricordo di mio
padre.»

«È lecito che ti manchi tuo padre.» disse, guardando gli


occhi dell'altro farsi lucidi nuovamente. «Ti mancano
molto anche nonno Robert e Leo, vero?»

«Sì, molto.»

A quella risposta Louis sospirò perché i mesi precedenti


erano stati difficili.

431
La morte di nonno Robert aveva scosso profondamente
tutta la famiglia, soprattutto Harry, perché col passare
degli anni aveva visto nell'anziano una figura paterna da
rispettare e amare. Quando Louis gli aveva comunicato la
triste notizia, Harry era scoppiato in un pianto sommesso
e aveva trascorso l'intera notte rannicchiato su un lato del
letto, stringendosi al petto il giubbetto di pelle da aviatore
che il nonno gli aveva regalato anni prima. Inizialmente,
era stato difficile per lui abituarsi alla presenza di Robert,
non avendo avuto un bel rapporto con i suoi nonni,
soprattutto quelli paterni: eppure, dopo il loro primo
incontro a Eastbourne, la strada era stata tutta in discesa
e il loro rapporto si era rafforzato di giorno in giorno. Per
questo, era stato ancora più difficile abituarsi alla sua
mancanza e, soprattutto, processarla.

Qualche mese dopo, poi, si era spento persino Leo


lasciando un altro vuoto incolmabile nel petto di Harry.
Doveva così tanto a Leo, perché gli aveva insegnato a
prendersi cura di qualcuno che non fosse lui stesso, a
donare e a ricevere amore e a essere più malleabile. Quel
gattino era cresciuto con lui ed era stato doloroso dirgli
addio, non sentire più i suoi passetti sul parquet, non
vederlo giocare con i suoi figli davanti al camino o essere
rincorso da Olaf che era sempre stato troppo espansivo
per i gusti di Leo.

«Non perderai nessun altro. E non perderai neanche il


ricordo di tuo padre perché lui è qui.» disse, tendendo
una mano verso di lui e ponendola delicatamente sul suo
petto, lì dove sentiva battere furiosamente il suo cuore.
«E guarda come vi assomigliate.»

Si sporse verso il comodino per prendere la fotografia che


ritraeva la famiglia Styles agli albori e porgergliela. Harry
la prese e con l'indice percorse il volto di suo padre, al
quale assomigliava sempre di più man mano che gli anni
trascorrevano.

432
«Avete gli stessi lineamenti, gli stessi occhioni da
cerbiatto e lo stesso naso.» proseguì Louis, colpendo con
l'indice la punta del suo naso arrossato dal pianto e
facendolo sorridere, a tal punto da far comparire due
fossette sulle guance che si premurò di baciare. «E avete
la stessa forza, intelligenza e caparbietà.» aggiunse,
prima di concludere più serio «non lo perderai mai fino a
quando avrai te stesso, Harry».

Harry gli rivolse un sorriso grato prima di abbassare lo


sguardo ancora una volta sulla fotografia e stringersela al
petto, più forte che mai, come a riappropriarsi di quel
ricordo e del suo papà. Louis si limitò a guardarlo,
orgoglioso di lui, perché Harry aveva superato anche quel
momento buio, perché insieme ce l'avevano fatta anche
quella volta.

«Stai meglio?» gli chiese, ma Harry si strinse nelle spalle


e lo guardò quasi a dire "non lo so" prima di lasciare il
portafotografie sul comodino. «Dovresti dormire ora.»

«Non ho molto sonno.»

«Vuoi che prenda le tue medicine?»

«No, per favore.»

E Louis annuì perché sarebbe stato troppo facile per


Harry prendere quei tranquillanti in quel momento. Li
aveva già presi in passato e avevano fatto il loro lavoro,
ma la sensazione di smarrimento e di confusione che gli
lasciavano addosso il mattino seguente non gli piaceva
granché.

«Cosa ne dici della scatola dei complimenti per farti


tornare il sorriso?»

433
Harry ridacchiò a quella proposta. La scatola dei
complimenti era stata un'idea di Louis risalente a qualche
anno prima, quando era tornato a casa dalla Thousand
Hearts e aveva trovato Harry e Daisy con due musi lunghi
a guardare la televisione in soggiorno, mentre Edward
giocherellava con Leo e Olaf davanti al camino. Entrambi
avevano avuto una brutta giornata e lui, che non poteva
sopportare quei bronci sulle loro labbra, si era messo
all'opera realizzando una scatola al cui interno aveva
inserito tanti piccoli bigliettini: ognuno di essi recitava
una frase di incoraggiamento o un complimento che
avrebbe dovuto rincuorare chiunque lo leggesse. Ogni
tanto ne aggiungeva di nuovi, ogni tanto ne trovava
qualcuno che aveva scritto Daisy come quel «sei un
unicorno» che li aveva fatti tanto sorridere, ogni tanto
buttava qualche incarto di caramella che Edward
nascondeva all'interno e andava bene così.

«Un "sei un cupcake" scritto da Daisy potrebbe sollevarti


l'umore?»

Harry scosse la testa e, nel farlo, Louis vide i suoi occhi


soffermarsi ancora sul comodino, lì dove c'era un'altra
foto, non meno importante della precedente, che ritraeva
uno degli ultimi Natali trascorsi in famiglia. C'era nonna
Margot sorridente sulla poltrona vicino al camino, c'era
nonno Robert impegnato a montare un giocattolo per
Daisy e Harry a leggergli le istruzioni, c'erano anche i suoi
genitori coinvolti in chissà quale conversazione con Anne,
mentre William poneva sul tavolino da caffè dei piattini
con il suo pudding. Louis stringeva nella mano l'ultima
ecografia di Edward che sarebbe nato di lì a pochi mesi ed
era l'unico a rivolgere un sorriso raggiante all'obiettivo.
Nessuno si era accorto di quell'autoscatto e la spontaneità
di quella foto a Harry era piaciuta così tanto da volerla
incorniciare e sistemare sul suo comodino.

Soltanto in quel momento, alternando lo sguardo tra la


fotografia e il viso di Harry, Louis capì di cosa avesse

434
bisogno e chiese «vuoi le pesti qui nel lettone con noi
stanotte?».

«Sì, ti prego.» si affrettò a rispondere e fece per alzarsi


dal letto, ma Louis lo fermò. «Ma aspetta, Lou!»

«Rimani qui, okay? Lascia che mi prenda cura di te


almeno stasera.»

«Lo fai sempre.»

«Lo so, ma stasera ne hai bisogno più che mai.»


concluse, prima di lasciargli un bacio a fior di labbra e
uscire dalla camera da letto.

I bambini dormivano profondamente nelle loro stanze e


prenderli in braccio, appoggiandoli ognuno su un fianco,
non si rivelò una buona idea per la schiena già dolorante
di Louis. Cercò di non fare movimenti troppo bruschi
durante il ritorno in camera per non svegliarli e ignorò la
schiena che gli implorava pietà.

«Per avere quasi quarant'anni, hai ancora una discreta


forza.» ridacchiò Harry a bassa voce, quando rientrò in
camera.

«Non nominare quel numero!» disse a denti stretti, prima


di sporgersi verso di lui e consegnargli Daisy. «E vedi di
non fare troppo lo spiritoso, ti preferivo quando non
sapevi neanche cosa fosse il sarcasmo.»

«Non è vero e lo sai.»

Ed era vero, perché Louis amava il ragazzo che aveva


conosciuto alla festa di Niall quindici anni prima e che
difficilmente comprendeva le sue battute, ma amava
anche l'uomo che era diventato, che riusciva a scherzare

435
e ad accettare l'ironia pungente di Louis la maggior parte
del tempo.

«Papà.» sussurrò Daisy nel sonno, accoccolandosi meglio


al petto di Harry, mentre Edward occupava lo spazio
disponibile tra sua sorella e Louis, spaparanzandosi senza
alcuna esitazione.

«Ti assomiglia in tutto e per tutto.» ridacchiò Harry,


lanciando a Edward un'occhiata divertita, e lasciò un
bacio tra i capelli di Daisy, pronunciando un flebile
«bonne nuit, ma princesse», prima di chiedere a Louis
«spegni la luce?».

Louis annuì e spense l'abat-jour per poi accoccolarsi al


fianco di Edward e stringere la mano che Harry gli stava
porgendo: in quel modo, era come se abbracciassero e
tenessero stretta la loro famiglia. E Harry aveva sempre
amato quel gesto, intrecciare le dita a quelle di Louis.
Stringere la sua mano, fin dai primi tempi, fin dall'attacco
di panico a Parliament Street o dalla loro prima serata
insieme al pub, era stato un'ancora di salvezza per Harry:
la mano di Louis era il suo porto sicuro, il posto in cui
avrebbe sempre voluto tornare.

«Sono così belli, Lou.»

«Sono la cosa più bella e giusta che abbiamo fatto


finora.»

Un «e se lo facessimo di nuovo?» pronunciato da Harry


arrivò all'improvviso, senza che Louis potesse
aspettarselo. Strabuzzò gli occhi e, forse, allentò la presa
sulla sua mano dal momento che Harry la rafforzò, come
a tenerlo con lui.

«I-intendi, avere un altro bambino?»

436
Harry annuì, accarezzandogli il dorso della mano con il
pollice. «Intendo che Edward e Daisy sarebbero dei bravi
fratelli maggiori per un ipotetico nuovo arrivato.»

«E noi due? Ce la caveremmo con un terzo figlio?»

«Perché non dovremmo?»

«Non lo so, tesoro.» ribatté Louis combattuto. «Un terzo


figlio richiede molti sforzi. Hai già dimenticato le notti
trascorse insonni tra biberon, coliche e pannolini? Ora
pensa a tutto questo e aggiungi anche Edward e Daisy
che si lamentano perché non riescono a dormire a causa
del pianto del terzo arrivato o perché vogliono la nostra
completa attenzione.» spiegò. «E le mie trasferte? Come
faremo quando io dovrò andare via per lavoro? Non posso
lasciarti qui da solo con tre bambini, un cane, un'intera
casa da sistemare e il tuo lavoro.»

«Perché? Insomma, pensi che io non possa farcela?»

«No, Harry. Penso soltanto che sarebbe difficile per


chiunque, anche per me se fossi al tuo posto.»

«Potremmo limitare i tuoi viaggi di lavoro per i primi due


anni. Dopotutto, lo abbiamo già fatto con Edward e Daisy
e sono cresciuti bene, no? Abbiamo dei lavori stabili e ben
pagati, flessibilità negli orari e un'intera famiglia che
potrebbe aiutarci.» precisò. «E poi, sai che ho una
memoria imbattibile. Ricordo tutto, anche quello che mi
hai detto al nostro primo appuntamento.»

«Ah sì?» domandò Louis con un sorriso sghembo. «E cosa


avrei detto?»

«Che avere un marito, tre marmocchi e un cane, insieme


al lavoro alla Thousand Hearts Foundation, fosse il tuo
sogno più grande.» E Louis sentì il cuore battere

437
furiosamente nel suo petto perché Harry ricordava ancora
quelle parole e lui stesso ricordava l'orgoglio provato nel
pronunciarle durante il loro primo appuntamento, giovani
come erano. «Hai il tuo lavoro all'associazione, un marito,
Olaf, Edward e Daisy.»

«Abbiamo avuto anche Leo.»

«Anche Leo, sì, ma manca all'appello il terzo


marmocchio.» ribatté Harry. «E io voglio realizzare una
volta per tutte il tuo sogno non soltanto perché tu hai
fatto lo stesso con me, ma perché il tuo sogno è
diventato anche il mio.» Louis ricambiò la stretta di Harry
e sospirò dolcemente. «Penso alle notti insonni, ai
biberon, ai pannolini e alle coliche e sono terrorizzato, ma
poi penso anche all'emozione che provo nel guardare
Daisy o Edward o all'orgoglio che provo nel definirmi il
loro papà e quella paura scompare. Sento il tuo amore e
quello delle nostre famiglie, sento che sarai sempre al
mio fianco e riesco a vedermi di nuovo alle prese con un
altro bambino perché me lo hai insegnato tu, Lou: io e te,
insieme, possiamo fare tutto ciò che vogliamo. E se non
lo avessi capito, sono pronto ad avere un altro
marmocchio in giro per casa. Tu? Mettendo da parte per
un istante i tuoi viaggi o le difficoltà che ogni coppia
potrebbe avere, cosa ne pensi?»

«Che è una follia, Harry.» affermò Louis con un sorriso


sulle labbra, combattuto tra i pro e i contro che la sua
mente soppesava e l'unica risposta che il suo cuore gli
suggeriva. «Ma non sono la persona più adatta per dirti
che sei un folle perché io volevo già sposarti qualche
mese dopo averti conosciuto, quindi la mia unica risposta
è sì.» ridacchiò. «Sono pronto ad allargare un'altra volta
la nostra famiglia. Sono spaventato a morte per tutte le
complicazioni, ma sono sicuro che ce la caveremo anche
stavolta e, sinceramente, non vedo l'ora di stringere tra
le braccia un altro piccolo te.»

438
«O un piccolo te.» Harry ricambiò il suo sorriso, prima di
sussurrare «sono così felice che anche tu ti senta pronto
a farlo ancora, volevo chiedertelo da mesi».

«Sì?»

«Sì, ma non mi sembrava mai il momento giusto per


farlo.»

«E perché me lo hai chiesto proprio ora?»

«Non so. Ho visto te, Daisy e Edward entrare da quella


porta e ho sentito il cuore scoppiarmi d'amore,
nonostante la brutta nottata che ho passato. Ho pensato
a quanto sarebbe fortunato un altro bambino ad avervi
nella sua vita, ad avere un padre premuroso come te o
loro due come fratelli, nonostante siano due pesti la
maggior parte del tempo.» disse senza alcuna esitazione.
«È stato spontaneo chiedertelo, anche trovare il coraggio
per farlo.»

«Mi piaci quando sei spontaneo.»

«Mi piace essere spontaneo. È una cosa nuova per me e


mi spaventa la maggior parte del tempo, ma potrei
abituarmi.» Sul suo volto in penombra c'era una grande
soddisfazione, una soddisfazione che Louis aveva
imparato ad amare nel tempo: dopotutto, amava ogni
suo progresso, piccolo o grande che fosse. «Ora ho
sonno, dormiamo?»

Spontaneo in tutto e per tutto, pensò Louis e si lasciò


scappare una risata più rumorosa delle precedenti tanto
che Edward si agitò tra le sue braccia.

«Ai bambini ne parleremo più in là, okay?»

439
«Sì, un passo alla volta.» confermò Harry. «Pensi che ne
saranno felici?»

«Felici? Di più! Quei due non aspettano altro da anni,


fidati di me.» ridacchiò, prima di sbadigliare.
«Buonanotte, ma Lune.»

«Buonanotte, mon petit Soleil.»

Finalmente, dopo settimane trascorse in un villaggio


fatiscente e in solitudine, Louis chiuse gli occhi con un
sorriso speciale sulle labbra e mille farfalle a mettergli in
subbuglio lo stomaco in vista delle tante novità che lo
attendevano.

Si accoccolò a Edward, strinse la mano di Harry e sentì il


respiro di Daisy dettare il ritmo del suo. Quel letto era fin
troppo piccolo per quattro persone, soprattutto con
Edward che occupava tutto lo spazio a sua disposizione,
ma non importava. Importava che fossero tutti insieme a
sostenere Harry e a farlo sentire al sicuro, persino i
bambini, che non avevano idea di cosa fosse successo
un'ora prima. Louis non sapeva neanche cosa avrebbero
pensato Daisy e Edward l'indomani mattina svegliandosi
in un groviglio di arti e non nei loro letti, ma era certo che
lo avrebbero adorato perché al loro fianco ci sarebbero
stati i loro papà.

A Louis piaceva il clima natalizio che si respirava in città:


quell'aria di festa, le luminarie per le stradine affollate e
gli alberi addobbati agli angoli delle strade rendevano
quel periodo dell'anno ancora più magico.

Gli piaceva anche trascorrere le vacanze natalizie nella


loro villetta addobbata a regola d'arte. Niall non faceva
altro che ripetere loro che esagerassero, ma non
importava. Importava che Harry esclamasse «non troppo
440
verde» o «più grande e più alto, Lou!» quando dovevano
scegliere l'abete da portare a casa, ma alla fine
prendessero sempre quello più vecchio o spoglio perché
era quello più bisognoso di cure e affetto e i Tomlinson-
Styles ne avevano a volontà. Importava che Daisy gli
lasciasse sempre un bacio sulla guancia nelle vicinanze di
un mazzetto di vischio o che Edward appendesse gli
addobbi sull'albero non seguendo alcun ordine o gusto. Il
loro era sempre stato un albero eccentrico, da quando
Harry aveva inserito tra una pallina e l'altra anche degli
aeroplanini di carta rossa. Soprattutto, a Louis piaceva
trascorrere la maggior parte del suo tempo libero con i
bambini e con il resto della famiglia e degli amici, che si
riunivano da loro il ventiquattro dicembre per festeggiare
la Vigilia e anche il suo compleanno.

Quell'anno, come spesso gli ricordava Harry, sarebbe


stato il suo quarantesimo compleanno e Louis non capiva
proprio cosa ci fosse di così emozionante nel compiere
quarant'anni dal momento che era già stato traumatico
compierne trenta per lui. Eppure, qualcun altro era
decisamente euforico e si affrettava a programmare ogni
istante e particolare di quella sera.

«Si può sapere perché sei così suscettibile quando si parla


dei tuoi quaranta anni?» chiese Harry, mentre lasciava
baci umidi e carezze sulla sua schiena.

Louis rabbrividì quando i suoi polpastrelli arrivarono ad


accarezzargli il fondoschiena. Non appena le sue labbra
posero un ultimo bacio sulle fossette di Venere e i suoi
denti morsero giocosamente la natica destra, quei brividi
lasciarono il posto a un calore che conosceva fin troppo
bene e che si espanse in tutto il suo corpo. Con il fiato
caldo di Harry in prossimità della sua apertura per
stuzzicarla e le sue mani che lo accarezzavano
lascivamente, dimenticò persino la domanda che gli era
stata posta.

441
«Allora?»

Louis fece uscire dalle sue labbra un gemito di


frustrazione prima di chiedergli «dobbiamo davvero
parlarne adesso?».

Harry annuì perché «non voglio parlarne mai più, quindi


questo è il tuo momento, è la tua unica e ultima
possibilità».

«Harry, ti prego.»

«Se tu inizi a spiegarmi il perché, io inizio a prepararti.»

«Ti odio.»

«No, non è vero. Allora?»

«Cosa c'è di bello nel festeggiare quarant'anni?» chiese,


aggiungendo un «dannazione» a denti stretti quando la
lingua di Harry cominciò a lavorare devotamente sul
primo anello di muscoli stretti. «Insomma, sto
invecchiando. La mia schiena fa capricci. Ho diversi
capelli bianchi. E le rughe agli angoli degli occhi? Non ne
voglio neanche parlare.»

Harry si fermò all'improvviso e alzò il viso, svuotando


Louis, che si voltò e lo guardò supplicante, mentre
sporgeva nella sua direzione il fondoschiena. Con i ricci
color cioccolato tutti scompigliati, si accigliò e ribatté «a
me piacciono le rughette che hai intorno agli occhi».

«Lo dici perché non sei tu ad averle, Harold.» sbuffò. «E


ora continua, non era questo che mi avevi promesso.»

«Col passare degli anni sei diventato davvero


autoritario.» ridacchiò Harry, prima di inumidire le dita
con la sua saliva e muoverle con movimenti circolari

442
dentro Louis, penetrandolo e andando alla ricerca del suo
punto più sensibile. «Mi piace.»

«Già.» Louis spinse il fondoschiena verso le sue dita,


creando attrito con il materasso per dare un po' di
sollievo al suo membro eccitato. «È così che si diventa
quando si è vecchi: insopportabili e autoritari.»

Intravide Harry alzare gli occhi al cielo e le sue labbra


farsi strada prima sulla sua schiena e poi sulla spalla
destra per arrivare fino al suo viso e baciarlo, mentre le
dita colpivano il suo punto più sensibile e gli mozzavano il
respiro.

«Lou, non sei Peter Pan.» soffiò Harry tra un bacio e un


altro. «Tutti i bambini diventano grandi e devi farlo anche
tu, ma questo non vuol dire diventare insopportabili o
valere di meno.» Portò le mani sui suoi fianchi e lo svuotò
all'improvviso, prima di far scivolare tra le natiche il suo
membro e riempire Louis piano a piano, centimetro dopo
centimetro. «Forse, compiere quarant'anni non è un
granché per te, ma per me è importante festeggiarti e lo
è anche per i bambini o per i tuoi familiari.»

Louis rilasciò un brusco sospiro quando Harry cominciò a


muoversi lentamente, in modo tale che percepisse tutto,
ogni increspatura e ogni vena, ogni gemito di piacere e
ogni ti amo sussurrato all'orecchio o bacio lasciato sulla
spalla.

«Perché è così importante per te festeggiare questo


compleanno?» gemette all'ennesima spinta che gli fece
tremare gambe, anima e cuore.

«Perché mi piace vedere il tempo scorrere.» Harry si


aggrappò alle sue spalle, prima di lasciargli un bacio sul
collo e pronunciare quelle parole in modo sconnesso.
«Compleanno dopo compleanno, invecchiamo e mi piace
l'idea di invecchiare insieme. E poi, perché ti amo da
443
impazzire e continuerò ad amarti anche con la tua
schiena che fa capricci, quando i tuoi capelli diventeranno
tutti bianchi o il tempo accentuerà le rughe sul tuo viso.»

Louis scosse la testa, in balia del piacere che stava


provando e delle parole di Harry, per poi gemere «Dio, se
qualcuno anni fa mi avesse detto che avresti reso
romantica l'idea di invecchiare o compiere quarant'anni,
non ci avrei mai creduto».

«Beh, credici ora.» Aumentò le spinte e suggellò quel


momento con un «ti amo, Louis», prima di unire le loro
labbra in un bacio sporco, ma profondo.

Quando Harry intrecciò le loro mani contro il materasso e


cominciò a muovere il bacino più velocemente, tutto
divenne più confuso, i loro gemiti più rumorosi, i
movimenti più sconnessi. La sua mano andò a pompare il
membro di Louis per portarlo all'orgasmo e, poco dopo,
Harry si riversò nelle sue carni, liberando un gemito più
forte e che si affrettò a smorzare con un bacio, un altro e
poi un altro ancora. Con il corpo di Harry ancora sul suo e
con la sua voce roca a sussurrargli dolci parole, Louis si
disse che dopotutto compiere quarant'anni non sarebbe
stato così brutto con suo marito al suo fianco.

E lo intendeva per davvero quella notte. Da quel


momento in poi, infatti, era stato più malleabile e Harry
decisamente più felice di parlarne con i suoi genitori,
Anne e William per scegliere il menu di quella speciale
Vigilia. Proprio in quel momento, fuori la scuola di Edward
e con Olaf al guinzaglio, stava parlando al telefono con
Johannah della sua torta di compleanno chiedendole
qualcosa di semplice e classico. Non appena sentì la
campanella trillare e vide una folla di bambini varcare
l'uscita della scuola, chiuse la chiamata e individuò
Edward trotterellare verso di loro con un piumino blu, uno
zaino giallo e la punta del naso all'insù tutta rossa.

444
«Papà! Olaf!» esclamò il bambino, inginocchiandosi
davanti al cane per accarezzargli il pelo fulvo, mentre
quest'ultimo cercava di leccargli il viso. «Sta' buono.»

«Sono i tuoi amici quelli lì, vero?» chiese Louis, lanciando


un'occhiata a un piccolo gruppo di bambini che
guardavano la scena incuriositi, ma che sembravano
troppo impauriti per prendervi parte.

Edward annuì prima di proporgli «posso fargli conosce


Olaf?».

Louis gli diede il permesso sorridendo e aggiunse «ricorda


di non lasciare mai il guinzaglio, okay?».

Edward raggiunse i suoi amici un istante dopo e guardare


Olaf scodinzolare felice riempì d'affetto il petto di Louis. Si
ritrovò a pensare alle prime settimane di convivenza con
Olaf, a quando lui e Harry avevano ritrovato le loro
pantofole distrutte o il peluche preferito di Daisy tutto
mordicchiato, a quando il cucciolo si addormentava
accoccolato a Leo o a quando aveva ingurgitato una
tesserina dello scarabeo di Harry e quest'ultimo lo aveva
portato di corsa dal veterinario. Pensò ai rimproveri, alle
risate e ai momenti di tenerezza che avevano condiviso
insieme e non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé.
Si ridestò soltanto quando giunse il momento di tornare a
casa e Edward prese la sua mano, restituendogli il
guinzaglio.

«Non andiamo a prendere Daisy?»

«Daisy ha il corso di pianoforte oggi e papà andrà a


prenderla più tardi.» rispose. «Saremo soltanto io e te
per tutto il pomeriggio.»

«Forte!»

445
Quando entrarono in casa, Louis liberò Olaf dal guinzaglio
e aiutò premurosamente Edward a levarsi il piumino e la
giacca della divisa scolastica così da avere più libertà nei
movimenti. Fortunatamente, non faceva più capricci
nell'indossarla, ma ricordava quanto fossero stati
traumatici i suoi primi giorni di scuola: per far capire al
bambino che quella giacca in tartan verde non fosse poi
così male, l'intera famiglia aveva indossato delle giacche
simili per l'intera settimana. Era stata un'idea di Harry e
Louis, che non indossava una giacca da secoli, glielo
aveva rinfacciato ogni giorno per poi sentirsi dire «te lo
avevo detto», quando Edward aveva cominciato a
indossare la sua divisa senza pianti o capricci.

«Cosa mangiamo oggi?» chiese il bambino, mentre Louis


lo sollevava e lo sistemava su uno degli sgabelli presenti
intorno all'isola della cucina.

«Fammi controllare.» mormorò, prima di raggiungere il


frigorifero. «Arrosto!» esclamò grazie a Harry che
cucinava sempre in grandi quantità. «E per contorno...»
Fece scorrere gli occhi sul ripiano del frigo a lui più
sconosciuto, quello delle verdure e degli ortaggi.
«...carote o broccoli?»

«Carote!» ribatté Edward, storcendo il naso infastidito. «A


chi piacciono i broccoli?»

«A tuo padre.» ridacchiò Louis, mentre tirava le carote


fuori dal frigorifero e le lavava velocemente.

Edward accompagnò un «bleah» con un verso di disgusto


per poi aggiungere «sono verdi e puzzano».

Louis sorrise, prima di pelare le carote e affettarle. «Non


mangeremo mai i broccoli, allora. Cosa avete fatto oggi a
scuola?»

«Niente.»
446
Louis si accigliò davanti alla risposta asciutta di suo figlio.
«Niente?» chiese sospettoso, perché Edward era un
bambino fin troppo vivace ed estroverso per rispondere a
quella domanda con un semplice "niente". «Davvero?»

«Già, niente.»

«Io e papà paghiamo le tue tasse scolastiche per non farti


fare nulla?» lo incalzò, sperando di farlo sbottonare.
«Interessante, ne parlerò al più presto con la tua
maestra.»

«No!» Edward sbarrò gli occhi e si scompigliò i capelli


color miele in un gesto frustrato che risultò buffo per un
bambino come lui. «Abbiamo fatto tante cose oggi, anche
delle cartoline d'auguri per Natale. Ma non mi va molto di
parlarne ora, okay?»

«E come mai non ti va tanto di parlarne?» azzardò,


mentre poneva le carote nella padella dove il sedano e un
po' di cipolla soffriggevano.

«Ho altri pensieri al momento.»

«Sì? E che pensieri hai?» Si sedette sul bancone della


cucina e lo fronteggiò, osservando con attenzione il viso
del bambino alla ricerca di un indizio che tradisse il suo
strano comportamento. «Hai discusso con Daisy o con
qualche compagno di classe?»

«No, ma credo che Olaf si senta solo.»

Louis lanciò uno sguardo a Olaf e qualcosa lo preoccupò.


Il cane era accucciato sul suo cuscino preferito in un
angolo della cucina, aveva il muso sulle sue zampette
bianche e guardava malinconico verso la grande porta
vetrata che dava sul giardino. Tutta la felicità che aveva

447
provato soltanto mezz'ora prima a scuola di Edward
sembrava essere svanita all'improvviso.

«Dici?»

«Dico.» rispose lui. «Insomma, mi sembra piuttosto triste


la maggior parte del tempo ultimamente e penso abbia
bisogno di un nuovo amico.»

«Pensi che i tuoi papà, tu o Daisy non gli bastino?»

«Penso che sia felice di avere intorno noi, ma che abbia


bisogno di un amico, non so...» esitò un istante. «...come
lui?»

«Ed, mi stai proponendo di prendere un altro animale


domestico?» chiese Louis. «A me e a tuo padre bastate
già tu e Daisy!»

E il terzo bambino, pensò.

«Ma papà! Da quando Leo non c'è più, Olaf è così triste!»

«Lo so, tesoro. Leo manca a tutti, ma purtroppo...»

«Lo so, lo so.» lo interruppe Edward, abbassando lo


sguardo. «Era anziano e ora è in un posto migliore,
proprio come nonno Robert.»

Louis sospirò malinconico. Gli dispiaceva dover affrontare


quell'argomento, gli dispiaceva aver perso nello stesso
anno due affetti importanti, gli dispiaceva che Edward
avesse conosciuto cosa significasse soffrire così presto
perché era nell'indole di ogni genitore proteggere il
proprio figlio dal dolore e ritardarlo il più possibile.
Eppure, Leo era andato via e suo figlio si era dovuto
abituare anche alla mancanza di quel gatto bianco che a

448
primo impatto sembrava fin troppo distaccato e poi
donava tutto se stesso con un semplice "miao".

«Ehi, mon petit, guardami.» mormorò, lasciando un


buffetto sul suo mento per invitarlo a guardarlo. «So
quanto sia stato difficile quest'anno per te, per Daisy e
per Olaf, ma non posso darti una risposta ora perché
devo parlarne con tuo padre. Siamo una famiglia e le
decisioni si prendono insieme, no?»

Edward annuì lentamente per poi chiedere «posso


corromperlo con gli orsetti gommosi rossi?» e provocare
una risata genuina in Louis.

«Non penso, tesoro. Tuo padre è piuttosto incorruttibile.»

Non era del tutto vero, perché Harry non era un genitore
così severo: o meglio, lo era se si trattava dell'incolumità,
della salute e dell'educazione dei suoi figli. Per il resto,
diventava incredibilmente malleabile e Louis ne era fiero
perché il suo Asperger non definiva il rapporto con i suoi
bambini o quello con suo marito. Ormai il suo Asperger
non lo definiva più. Era lui a contare, lo facevano le sue
scelte, i suoi sentimenti e non le paure perché di giorno in
giorno Harry riusciva a spostare i limiti di quella sindrome
sempre più in là.

«E se aggiungessi una partita a scarabeo?»

Louis scoppiò in una risata più fragorosa perché,


nonostante Edward fosse un bambino sveglio, era ancora
al primo anno di elementari e lo spelling di alcune parole
risultava davvero difficile per lui: sarebbe stata
un'impresa, quindi, giocare a scarabeo con il suo papà.

«Ci penso io, okay?» rispose Louis, scompigliandogli la


frangia color miele. «Ti prometto che farò del mio
meglio.»

449
Louis pensò che non ci fosse nulla di più bello che rendere
felice il proprio figlio, vedendo finalmente un sorriso sulle
labbra di Edward. E non si sorprese di quel pensiero che
formulò perché amava i suoi figli, amava la sua famiglia
ed era diventato incredibilmente maturo. Era diventato
saggio? Più o meno. Era invecchiato? Decisamente.
Eppure, con Harry e i bambini al suo fianco non avrebbe
mai avuto nulla di cui preoccuparsi. Scosse la testa per
tornare alla realtà, ma non riuscì a trattenere un sorriso:
dopotutto, gli piaceva l'uomo che era diventato. Gli
piaceva un po' meno, invece, non essere migliorato in
cucina e aver dimenticato completamente le carote sul
fuoco fino a farle carbonizzare.

«Sono completamente bruciate.» affermò mesto,


guardando la padella e storcendo il naso per l'odore di
bruciato.

«Non possiamo mangiare l'arrosto senza le carote.»

«Abbiamo i broccoli, però. Potrei...» Louis guardò suo


figlio, soprattutto l'espressione inorridita che aveva sul
viso, e non fu in grado di dargli l'ennesimo dispiacere
quel giorno. «Sai cosa ti dico? Va' a cambiarti, prendiamo
Olaf e andiamo a fare una passeggiata al parco.»

«Pranzo da Wendy?» propose il bambino, unendo i palmi


delle mani, quasi a supplicarlo.

Non ce ne era bisogno, perché la risposta a quella


richiesta sarebbe stata sempre "sì". Wendy era uno dei
pochi posti di Londra che in quindici anni non erano
cambiati granché: in quelle quattro mura tutto era
rimasto esattamente uguale, tranne l'anziana signora che
lo possedeva e che era venuta a mancare molti anni
prima. I suoi nipoti, che avevano preso in gestione il
locale, non avevano voluto fare molti cambiamenti. Gli
arredi avevano sempre quel gusto un po' rétro, il menu
aveva ancora degli ottimi hamburger e Louis e Harry si
450
sentivano a casa quando si sedevano al loro tavolo con
Daisy e Edward.

«Andata.» ribatté Louis prima di specificare «non dirlo a


tuo padre, però».

Edward gli fece un occhiolino e sparì al piano superiore


per spogliarsi della divisa scolastica. Qualche minuto
dopo, erano già in strada e le questioni che prima
avevano sottratto loro il sorriso sembravano essere state
dimenticate.

Le vacanze di Natale avrebbero potuto finalmente


cominciare.

Dopo aver trascorso tre settimane in Thailandia, Louis era


decisamente grato per ogni piccolo momento di
tranquillità che la vita gli offriva al suo ritorno.

Avendo saggiato sulla propria pelle la povertà di chi


aveva avuto l'unica sfortuna di vivere nella parte
"sbagliata" del mondo durante i suoi viaggi con la
Thousand Hearts, gli bastava davvero poco per essere
felice: una passeggiata con Olaf nel quartiere, preparare
la colazione a Harry e svegliarlo con un bacio o guardare
un film con i bambini. Si riteneva fortunato ad amare chi
desiderava, a poter garantire un tetto e un'istruzione ai
suoi figli e a poter persino programmare i mesi futuri
senza preoccuparsi degli imprevisti perché aveva la sua
famiglia su cui contare.

In quel momento, i bambini giocavano insieme e ogni


tanto si sentiva qualche risata provenire dal piano
superiore: Louis era certo che, in meno di mezz'ora, uno
dei due sarebbe sceso piangendo o accusando l'altro di
qualcosa. Nell'attesa, si rilassava sul divano e si godeva il
tepore della legna che ardeva nel camino, così come
451
faceva Olaf, impegnato a masticare un giocattolo a forma
di osso. Sul suo grembo c'era la testa riccioluta di Harry,
intento a scrivere sul suo cellulare la lista della spesa per
la cena della Vigilia. Ogni tanto Louis faceva scorrere le
dita tra i suoi ricci castani, ogni tanto si piegava per
baciare quel solco che si creava sempre tra le sopracciglia
quando era troppo concentrato. Il resto del tempo lo
trascorreva a guardarlo e a pensare che Harry fosse
soltanto suo e che fosse bello, l'uomo più bello che
avesse mai incontrato, anche con un maglione morbido e
bianco e i pantaloni della tuta addosso.

«Qualche giorno fa tuo figlio mi ha avanzato una strana


proposta.»

«Perché quando fa strane proposte Edward diventa


soltanto figlio mio?» sbuffò Harry, mentre Louis faceva
spallucce e tratteneva un sorriso. «Comunque, che ti ha
chiesto?»

«Pensa che Olaf» nel frattempo il cane abbaiò sentendo il


suo nome «si senta solo, che sia un po' depresso e che
abbia bisogno di un nuovo amico. Mi ha chiesto di
pensare all'eventualità di prendere un nuovo cucciolo.»

Harry sembrò rifletterci perché il solco tra le sue


sopracciglia divenne sempre più profondo, le sue labbra si
strinsero in una linea sottile e rimase in silenzio per
qualche istante, prima di affermare «potrebbe essere un
bel regalo di Natale per l'intera famiglia».

«Cosa?» chiese Louis preoccupato. «Harry, abbiamo già


in programma un altro bambino. Non possiamo prenderci
cura anche di un altro gatto o cane.»

Prendersi cura di un neonato non era una passeggiata,


Louis lo ricordava bene. Ricordava le notti in bianco, i
pianti dei suoi figli e anche quelli di Harry quando la sua
autostima veniva meno e non si riteneva all'altezza del
452
suo ruolo, i biberon troppo caldi e le pappette finite sul
pavimento o sulla sua camicia bianca. Ricordava anche i
primi sorrisi, i primi passi, le prime parole e i loro cuori
colmi di amore per i bambini che avevano stretto tra le
braccia, che avevano cullato e cresciuto. Avere un altro
animale domestico non avrebbe fatto altro che complicare
una situazione che già si mostrava decisamente caotica.

Harry alzò il capo dal suo grembo e si mise a sedere sul


divano a gambe incrociate, poi confessò «mi manca Leo,
Lou».

«Lo so, tesoro, manca anche a me.»

«Nessuno potrebbe mai sostituirlo.» disse sinceramente.


«Quel gatto mi ha insegnato a prendermi cura di
qualcuno che non fossi io, a dimostrare il mio affetto e a
essere più paziente. Quel gatto è stata una delle cose più
belle che la lista mi ha donato, oltre te. Lo so che
nessuno sarà mai come Leo, ma so anche che sarebbe
bello avere un altro gattino che gironzola per casa, che
rovina le tue scarpe o che gioca con Olaf e i bambini.»

E cominciò a fissarlo in quel modo. I suoi occhi


diventavano due gemme preziose, le sue labbra si
arricciavano in un broncio adorabile e lui si faceva piccolo
piccolo. Harry si arrampicò su di lui e si mise a cavalcioni
sul suo bacino, prima di tempestargli il viso di baci.

«Ti prego, Lou.» mormorò tra un bacio e un altro, mentre


Louis ridacchiava e cercava di allontanarlo per non essere
corrotto troppo facilmente. «Io, i bambini e Olaf
desideriamo con tutto il cuore un altro gattino.» continuò,
mentre il cane, incuriosito dalle loro risate, si avvicinava e
saltava sul divano per dimostrare loro il suo affetto.
«Sarebbe un regalo perfetto per Natale, io l'ho
apprezzato molto per il mio compleanno anni fa.»

«Sono bravissimo a fare i regali, lo so.»


453
Gli occhi di Harry brillarono a quelle parole, come se ciò
che aveva appena detto Louis fosse la chiave della sua
vittoria.

«Ecco, io non lo sono affatto. Sono pessimo nel farli e,


infatti, era Will a occuparsene anche per conto mio tanti
anni fa. E ricordi quando mi hai incaricato di comprare i
regali ai bambini perché eri in viaggio e poi hai dovuto
cambiarli quasi tutti il ventiquattro dicembre?»

«Non è che tu sia pessimo, è che sei originale.» ribatté


Louis. «Forse, un po' troppo originale.»

«Pensaci, Lou.» lo esortò Harry, mentre Olaf alternava lo


sguardo dall'uno all'altro, quasi in attesa di una risposta.
«Ti prego.»

Louis sospirò, rabbrividendo quando sentì le labbra di


Harry lasciare morbidi baci sulla pelle calda del suo collo
e sotto il suo orecchio.

«Lou, je t'en prie.»

Non c'era bisogno di pregarlo, perché Louis si era già


convinto quando Harry gli aveva parlato di Leo o quando
Olaf era saltato sul divano e aveva abbaiato felice come
non lo era da mesi.

O forse, era stato il suo francese a farlo.

Dopotutto, quella pronuncia insieme a due labbra rosse


come fragole, occhi verdi come smeraldi e fossette in
bella vista era sempre stata il suo punto debole.

454
A Harry piaceva quando le sue labbra erano intorno al
membro bisognoso di Louis e quest'ultimo tirava i suoi
riccioli.

Sentire i suoi capelli castani chiusi nel suo pugno o la sua


mano guidarlo con autorevolezza negli affondi lo eccitava
e, anche se ammetterlo lo faceva arrossire più del
dovuto, adorava quando fare l'amore con lui diventava
più rude del solito. Le sue labbra succhiarono
devotamente la punta del membro di Louis ancora una
volta, prima di baciare il suo ventre morbido e salire più
in alto, sul petto e sui capezzoli sensibili. Non esitò a
leccarli uno ad uno per poi mordere la pelle soda che vi
era intorno: in quel momento, percepì gli addominali di
Louis contrarsi e la sua erezione eccitata e bagnata
spingere contro la propria, ancora racchiusa nel pigiama.
Portò le labbra sul suo collo e gli baciò il pomo d'Adamo,
concedendosi del tempo per succhiarlo e leccarlo con la
lingua, mentre le mani di Louis si stringevano
maggiormente intorno ai suoi ricci.

«Harry, ti prego.»

Louis era al limite già da tempo. Il suo corpo tremava, il


suo membro era più duro che mai e il nero delle sue
pupille aveva inglobato l'azzurro cielo che caratterizza i
suoi occhi. Lasciandogli un ultimo bacio sporco e confuso
sulle labbra, scivolò sempre più in basso e seguì
l'avvallamento dei suoi fianchi con la bocca. Arrivato a
vezzeggiare nuovamente il suo membro, cominciò a
leccarne la base lentamente per poi far scorrere la lingua
sull'intera asta e inglobare nella sua bocca calda la punta:
quando iniziò a succhiarla incavando le guance, percepì il
respiro di Louis farsi più pesante e la presa sui suoi capelli
più forte.

«Dio, ti amo.» balbettò lui, quando Harry incontrò il suo


sguardo.

455
Vide Louis lottare per tenere gli occhi ben aperti,
nonostante il piacere stesse invadendo ogni fibra del suo
corpo. Percepì la mandibola sforzarsi e delle piccole
lacrime formarsi agli angoli dei suoi occhi ad ogni suo
affondo, ma ne valeva la pena soltanto per ascoltare i
gemiti sottili e dolci di Louis. Quando questi ultimi si
fecero più forti, utilizzò i palmi delle mani per bloccare il
suo bacino al materasso e velocizzò gli affondi per
portarlo all'orgasmo qualche istante dopo. Percepì sulla
lingua il suo sapore dolce e non poté fare a meno di
succhiare ancora la punta del suo membro per eliminare
ogni traccia di quel nettare, mentre con il palmo della
mano accompagnava l'orgasmo di Louis. Si accasciò
esausto sul suo ventre poco dopo, godendosi anche il
proprio piacere, perché Harry aveva raggiunto il suo
culmine nei boxer e non si vergognava affatto di
sembrare un ragazzino alla sua prima esperienza: Louis
lo faceva sentire in quel modo in ogni caso, giovane e
perdutamente innamorato.

«Ancora buon compleanno, Lou.» sussurrò, baciandogli le


labbra. «Ti amo.»

«Grazie mon petit e ti amo anche io.» rispose Louis,


ancora stordito da quel risveglio. «Vorrei che ogni giorno
iniziasse così.»

«La maggior parte dei tuoi giorni inizia in questo modo.»


ridacchiò Harry, sollevandosi dal suo corpo e mettendosi
seduto sul letto. «Smettila.»

Anche Louis rise a quell'affermazione perché, dopotutto,


non era nient'altro che la verità. Con il cuore colmo
d'amore, gli occhi di Louis non abbandonarono mai il suo
viso perché guardarlo dopo un orgasmo gli era sempre
piaciuto: Harry era un uomo bellissimo, ma con il piacere
a colorargli le gote e a illuminare il verde dei suoi occhi lo
era un po' di più.

456
«Sei proprio bello.» disse Louis, sistemandosi su un
fianco. «E credo anche che tu sia ancora troppo vestito.»

«Io, invece, credo che terrò i miei vestiti addosso ancora


per un po', Lou.» ribatté Harry. «Ho una Vigilia e un
compleanno importante da organizzare oggi, lo sai?»

Si divincolò dalla sua presa con un sorriso e ridacchiò


ancora quando l'altro lo supplicò di lasciar perdere il
compleanno e di tornare a letto. Quando Louis cercò di
intrufolarsi nel bagno per fare la doccia insieme, Harry
chiuse la porta a chiave alle sue spalle con un sorriso
furbo: da giorni rifiutava le sue avances perché aveva in
serbo per lui una sorpresa che gli avrebbe rivelato
soltanto più tardi. Uscito dal bagno vestito di tutto punto,
si sedette alla scrivania per incartare gli ultimi regali
rimasti e ignorò Louis, che ancora si rigirava nudo tra
lenzuola e coperte. Harry cercò di isolarsi, perdendosi tra
carta regalo, nastrini colorati e bigliettini festosi, anche
quando Louis scivolò fuori dal letto e si avvicinò a lui
muovendo i fianchi in modo seducente.

Un istante dopo, quest'ultimo pestò un piede a terra ed


esclamò frustrato «oh, andiamo, tutto questo non ti fa
neanche un po' di effetto?» mentre indicava il suo corpo
nudo e alzava le sopracciglia sbalordito.

«Lou, vai a farti la doccia per favore.» ridacchiò Harry,


concentrando ancora lo sguardo sul suo pacchetto regalo.

E pensò di averlo quasi convinto perché lo sentì sbuffare


e muovere alcuni passi sul parquet, ma presto le sue
mani delicate gli accarezzarono le spalle e finirono sul suo
petto, la sua voce vellutata gli giunse alle orecchie e il
suo fiato caldo sul collo lo fece rabbrividire.

«E quindi avermi così vicino, nudo e pronto per te, non ti


fa proprio nessun effetto?»

457
Come faceva a spiegargli che faceva tremare le pareti del
suo cuore, la sua anima e tutto il suo mondo standogli
semplicemente a fianco? Non poteva farlo a parole, ma
sperava che gli sguardi che condividevano da anni
bastassero.

«Non è niente che io non abbia già visto in quindici anni


che stiamo insieme.» disse, cercando di rimanere serio.
«E, per quanto tu sia una visione meravigliosa nudo o
vestito, non mi corromperai. Ho da fare qui.» aggiunse,
muovendo davanti al suo naso all'insù il pacchetto regalo.
«Ora va'!»

«Quanto sei noioso!» sbuffò, allontanandosi da lui. «Vorrà


dire che mi occuperò io stesso di questa erezione che ho
tra le gambe.» continuò, prima di aprire la porta del
bagno. «Nella doccia!» aggiunse, sperando di provocare
un po' di rimpianto nell'altro. «Tutto da solo!»

«Sei assurdo, Lou.»

«In senso positivo o negativo?» gli chiese, prima di fargli


la linguaccia e chiudersi alle spalle la porta, non
aspettando una risposta.

Entrambi sapevano che Harry a quella domanda avrebbe


risposto sempre «decisamente positivo».

Quando Louis uscì dal bagno con un'espressione


soddisfatta sul volto e i capelli ancora umidi, si vestì e si
sistemò sul letto per rispondere ai messaggi di auguri che
gli erano arrivati, mentre Harry sedeva ancora alla
scrivania e si occupava dei suoi pacchetti. Quella pace fu
interrotta all'improvviso, quando la porta della loro
camera si aprì e rivelò i bambini che, ancora nei loro
pigiamini, corsero dal papà per augurargli buon
compleanno. Louis accettò di buon grado quell'assalto e
accolse in un abbraccio entrambi per poi sorridere
maggiormente quando in quell'intreccio di braccia e
458
gambe finì anche Olaf, emozionato per tutta quella
confusione e le loro risate.

«Papà, il regalo!» esclamò Daisy, battendo le mani.

Harry annuì, prima di alzarsi e prendere una grande


busta rossa e decorata con un fiocco dall’armadio.

«Un regalo?» chiese Louis meravigliato. «Tutto per me?»

Harry si sistemò sul letto e lo guardò interagire con i


bambini con una particolare ammirazione negli occhi:
Louis era un padre presente nonostante i suoi viaggi, era
un padre perfetto nonostante i suoi errori, era il padre
che aveva sempre desiderato per i suoi figli, anche
quando avere dei figli gli sembrava un sogno impossibile
da realizzare.

Louis fece per aprire il pacco, ma Edward esclamò «prima


il biglietto!».

«Okay, prima il biglietto.»

Harry ridacchiò al pensiero di quel biglietto, perché


Edward aveva realizzato un disegno picassiano di tutti
loro riuniti intorno a quello che doveva essere un Louis
che spegneva le candeline della sua torta. Aveva
impiegato molta immaginazione per comprenderlo e
Daisy aveva sorriso quando lui aveva esclamato
«bellissimo!» perché di bellissimo in quel disegno non
c'era proprio nulla: tuttavia, Harry non avrebbe mai
spento l'entusiasmo del suo bambino. Quando Edward gli
aveva chiesto se sarebbe piaciuto al suo papà, non aveva
avuto dubbi a riguardo, mentre Daisy aveva sussurrato
sotto i baffi un «è il pensiero quello che conta, no?»
guadagnandosi un'occhiataccia.

459
«È bellissimo.» affermò Louis, mentre stringeva al petto i
bambini e allungava un braccio per includere in quella
stretta anche Harry, al quale lasciò un delicato bacio sulle
labbra. «Ora apro il regalo?»

Tutti annuirono e Louis si affrettò a scartare il suo regalo,


gettando l'incarto in un angolo della stanza e dando a
Olaf un nuovo passatempo dal momento che lo ridusse in
tanti pezzettini.

«Non avreste dovuto...» affermò Louis lusingato, mentre


scartava il pacco. «...regalarmi un maglione!» esclamò,
quando strinse tra le mani quell'indumento. «Un maglione
blu e con un pupazzo di neve in rilievo...davvero, Harry?»
ridacchiò, lanciando un'occhiata divertita all'altro che alzò
le mani innocente.

I bambini avevano scelto quel maglione e lui aveva


soltanto dovuto pagarlo alla cassa. Non era così male,
dopotutto, se considerava che quella lana blu metteva in
risalto gli occhi di Louis. Daisy e Edward gli raccontarono
di averne comprati altri tre per il resto della famiglia,
ognuno con un soggetto diverso e da indossare quel
giorno perché pensavano sarebbe stata un'idea simpatica.
Louis rispose loro di amarlo e di volerlo indossare per
tutti i giorni della sua vita, nonostante non fosse
propriamente la verità.

Quando il suo telefono cominciò a squillare per gli auguri,


Harry propose ai bambini di scendere al piano terra per
fare colazione: Edward annuì implorandolo di prenderlo in
braccio, mentre Daisy si accoccolò più remissiva tra le
braccia di Louis affermando che sarebbe scesa più tardi
con il suo papà. Giunti in cucina, diede a Edward il
compito di apparecchiare la tavola e mise a scaldare nel
forno i pain au chocolat che aveva preparato la sera
precedente. Fece bollire l'acqua per il loro tè e scaldò il
latte per i bambini per poi far sfrigolare il bacon nella
padella insieme alle uova. Proprio mentre impiattava
460
tutto nei vassoi da portata, Edward lo distrasse con una
delle sue domande.

«Papà, ma perché qui non mangiamo mai gli scones?»

«Perché noi preferiamo i pain au chocolat.»

«Sì, ma perché?» chiese ancora, giocherellando con una


manica del suo pigiamino verde. «Anche gli scones sono
buoni.»

«Sono buoni, ma noi preferiamo i pain au chocolat perché


era una tradizione di nonna Margot prepararli per le
occasioni speciali.» affermò Harry, mentre il suo sguardo
azzurro si annuvolava e le sue labbra si arricciavano in un
broncio. «Cos'è quella faccia, Ed? Se vuoi mangiare gli
scones, posso prepararli durante le vacanze.»

«Non voglio mangiare gli scones, i pain au chocolat sono


superiori.»

«E allora cosa c'è?» chiese, versando del latte nella tazza


del bambino. «È la Vigilia di Natale ed è il compleanno di
papà, non puoi avere quel muso lungo.»

«Io non l'ho mai conosciuta nonna Margot.»

E non fu tanto ciò che disse, ma il tono dispiaciuto con cui


pronunciò quella affermazione a destabilizzare Harry. Si
sedette al suo fianco e prese un profondo respiro perché
non si sarebbe mai aspettato di affrontare
quell'argomento in quel momento.

«Non è vero, l'hai conosciuta.»

«No, invece.»

461
«Sì, invece.» ripeté Harry paziente. «Però, quando l'hai
conosciuta eri davvero molto piccolo ed è normale se ora
non ricordi alla perfezione come fosse fatta o che suono
avesse la sua voce.»

«So come è fatta perché l'ho vista nelle foto e poi è tanto
simile a papà.» precisò Edward. «Ma non ricordo di averci
mai giocato, non come con nonno Robert. A papà non
posso chiedere nulla perché diventa triste e non voglio
che lo sia per colpa mia.»

«Vuoi che ti dica come era, Ed?» azzardò Harry, mentre il


bambino alzava lo sguardo su di lui e annuiva in fretta.
«Era semplicemente la persona migliore del mondo.»

«Migliore di te e di papà?»

«Di gran lunga. Era una forza della natura, non si


arrendeva mai ed era una vera ribelle, un po' come te e
papà.» ridacchiò, lasciandogli un buffetto sulla guancia.
«Sai, se lei non ci fosse stata probabilmente io e tuo
padre non ci saremmo neanche messi insieme.»

«Davvero?»

«Già, è stata nonna Margot a dire a papà di andare oltre


le difficoltà della mia sindrome.»

«Quella di cui mi hai parlato qualche mese fa?» Harry


annuì, orgoglioso di lui. «E cos'altro ha fatto nonna
Margot?»

Harry sorrise, perché nonna Margot aveva fatto tante


cose nella sua lunga vita: cose che conosceva per sentito
dire dai racconti di Louis, cose che aveva vissuto in prima
persona, cose che lei stessa gli aveva raccontato nei loro
pomeriggi passati in cucina tra pentole e padelle. Margot
aveva fatto tanto, ma quel tanto non era paragonabile a

462
tutto l'amore che aveva donato a chi faceva parte della
sua vita.

«Ci ha donato tantissimo amore, Ed.» si limitò a dire


Harry, scuotendo la testa. «Anche a te. Prima di andare
via, non faceva altro che chiedere di tenerti in braccio,
cantarti ninna nanne in francese e dire che le assomigliavi
molto.»

«Davvero? Le assomiglio?»

«Sì, quando andremo a Saint Paul la prossima estate, io e


papà ti faremo vedere tutte le foto di Margot da bambina
così potrai constatarlo tu stesso.»

«Forte!»

Harry notò quanto quella conversazione avesse rincuorato


Edward: forse, avendo vissuto poco con lei, si era sentito
messo da parte al contrario di Daisy che ricordava nonna
Margot, la sua voce, i suoi lunghi capelli grigi e i suoi
occhi cerulei, i suoi abbracci e le sue lezioni di francese
prima che Harry la sostituisse. Edward non poteva
ricordare molto, ma avrebbe potuto farlo attraverso i
racconti dei suoi genitori e le foto e i video che loro
possedevano e custodivano gelosamente.

«Papà.» lo chiamò ancora. «Come era nonno Edward,


invece?»

Harry strabuzzò gli occhi perché non si aspettava quella


domanda, né dopo aver affrontato con lui la questione
"Margot", né dopo gli incubi che avevano movimentato le
sue notti nelle settimane precedenti, anche se
quell'ultimo particolare Edward non poteva conoscerlo.

«Come mai tutte queste domande stamattina?»

463
«Sono un bambino e i bambini fanno tante domande.»
ribatté, alzando un sopracciglio. «Volevo chiederlo a
papà, ma lui non può rispondermi perché non lo ha mai
conosciuto.»

«Hai ragione.» sospirò Harry. «Nonno Edward è stato un


papà fantastico per me e zio Will.» Doveva ringraziare
anni e anni di terapia se ora riusciva a parlarne
liberamente: aveva realizzato che parlarne, raccontare
qualche pillola della sua infanzia, ricordare e non più
dimenticare alleggerissero quel peso che sentiva nel petto
pensando a lui. «Era premuroso e a me piaceva tanto
quando tornava dal lavoro e mi abbracciava stretto
stretto perché riusciva a farmi sentire sempre al sicuro.»

«Ti abbracciava come tu e papà abbracciate me e Daisy?»

«Spero di sì, mon petit.» ridacchiò Harry. «Ti senti al


sicuro quando ti abbracciamo?»

Il bambino annuì in fretta e non lasciò a Harry il tempo di


commuoversi perché disse «sembrava forte nonno Ed».

«Lo era. Sapeva anche pilotare gli aerei, lo sai?»

«Come te?»

«Meglio di me!» rispose, perché suo padre lo faceva per


lavoro. «Sai che ha anche provato a costruire una casa
sull'albero in giardino una volta?»

«Davvero? E com'era? C'è ancora?»

«Non c'è più purtroppo. La nonna l'ha fatta buttare giù


perché era incompleta e io era diventato troppo grande
per giocarci.»

464
Qualcosa in lui era cambiato da quel momento in poi e,
nonostante fosse ancora un bambino, il dolore smisurato
provato lo aveva portato a maturare in fretta.

«Noi abbiamo un giardino qui.» affermò Edward.


«Potremmo costruirla, papà?»

Se Harry fosse stato la stessa persona di quindici anni


prima, avrebbe dato una risposta negativa al bambino.
Tuttavia, Harry non era più quella persona, aveva
imparato ad affrontare i suoi demoni e, nonostante a
volte ritornassero a ghermirlo, lui non si donava mai del
tutto a loro.

«Potremmo farlo, ma in primavera, okay?» disse, conscio


che per suo figlio avrebbe fatto di tutto, anche costruire
una casa sull'albero. «Ora fa troppo freddo.»

Quello che accadde un istante dopo Harry non se lo


aspettava affatto. Edward lasciò perdere la sua tazza di
latte e si sporse verso di lui, allacciando le braccia intorno
al suo busto e strofinando la guancia contro il maglione
che indossava. E a Harry non rimase che abbracciarlo di
rimando, sperando che quell'abbraccio fosse come quelli
che il suo papà soleva donargli. Lasciò dei baci tra i suoi
capelli color miele e più volte fu sul punto di piangere per
la commozione, ma si disse di aver pianto abbastanza
nelle settimane precedenti. Inoltre, il baccano che fecero
Louis, Daisy e Olaf entrando in cucina lo convinse a
sorridere. Louis lo guardò confuso, ma Harry scosse la
testa e gli chiese di prendere il succo d'arancia nel
frigorifero.

Edward non si mosse dalle sue gambe per l'intera


colazione, ma per Harry non fu un problema. Mangiò le
sue uova e il suo bacon e divise a metà un pain au
chocolat con il bambino, pulendogli spesso le manine e le
labbra sporche di cioccolato per evitare che si sporcasse il
pigiama più del dovuto. Daisy si mostrò più loquace e le
465
nuvole che prima adombravano i suoi occhioni verdi
sembrarono essere scomparse per il momento. Olaf
rimase fermo accanto a Louis, consapevole che avrebbe
potuto rubare un pezzetto di bacon dal suo piatto
puntando tutto sulla disattenzione dei presenti. E quel
momento arrivò presto, quando Daisy raccontò che Louis
aveva provato a corromperla per conoscere il suo regalo
di compleanno da parte di Harry.

Louis esclamò offeso «Daisy!» e Olaf prese la sua fetta di


bacon per portarla nella sua cuccia e sgranocchiarla con
gusto.

«Vostro padre ha un serio problema con le sorprese.»

«Lo sappiamo.» disse Daisy, nascondendo la sua risata


dietro la manina. «Sei peggio di Edward, papà.»

«Ehi!» si lamentarono all'unisono padre e figlio.

«Non è colpa mia se sono stato sempre curioso, fin da


bambino.»

«Al nostro primo appuntamento, ha cercato di scoprire in


tutti i modi cosa avevo organizzato per lui.»

«E lo hai scoperto?»

«No, perché vostro padre è un piccolo str...»

«Lou!»

«No, non l'ho scoperto, Ed.»

«E cosa avevi organizzato?»

466
«Una cena romantica.» affermò orgoglioso Harry.
«Abbiamo cenato, giocato a scarabeo e guardato un
documentario insieme.»

Quella era stata una serata speciale. Harry per la prima


volta in vita sua si era sentito un adulto, era stato capace
di organizzare un appuntamento per qualcuno a cui
teneva e finalmente era stato lui a guidare il gioco. Aveva
raccontato così tanto della sua vita e della sua famiglia
quella sera: delle domeniche trascorse a cucinare con suo
padre, delle sue aspirazioni, dei tatuaggi che
macchiavano la sua pelle. E non l'avrebbe mai fatto se
dall'altra parte non ci fosse stato Louis.

«Non volevi farmi andare via e, per questo, mi hai


invitato anche a dormire da te.»

«Perché pioveva tantissimo!»

«Ah sì? Non lo hai fatto soltanto perché mi volevi nel tuo
letto?»

«Lou!» esclamò Harry. «Ci sono i bambini, siamo in fascia


protetta!»

Louis ridacchiò e gli lanciò un bacio volante, mentre si


alzava dal tavolo e metteva le tazze nel lavandino.

«E alla fine ti è piaciuta la serata, papà?» chiese Edward.

«Beh, giudicate voi.» affermò soddisfatto Louis. «Alla


fine, l'ho sposato.»

Poi, si chinò sul viso di Harry e lo baciò a fior di labbra. E,


non appena Louis si allontanò, Harry passò una mano
sulla sua nuca e lo tirò nuovamente a sé, dandogli un
bacio e poi un altro ancora.

467
«Je t'aime, mon petit Soleil.»

«Moi aussi, ma Lune.»

Soffiarono sulle rispettive labbra, prima di allontanarsi e


guardare i bambini imbarazzati. Daisy li fissava sognante
perché, dopotutto, aveva sempre avuto un animo
romantico. Edward, che aveva assistito a quello scambio
a pochi centimetri di distanza perché si trovava ancora
sulle gambe di Harry, li osservava disgustati.

Proprio lui, dopo aver liberato un lamento, sbuffò


«prendetevi una stanza, piuttosto!».

E da quel momento in poi tutto divenne più confuso:


Louis prese il bambino e se lo mise sulle spalle ignorando
le sue lamentele, Daisy li raggiunse e cominciò a fare il
solletico a suo fratello soltanto per sentirlo ridere a
crepapelle e Olaf trotterellò intorno a loro abbaiando e
scodinzolando.

Harry?

Lui si limitò a guardarli e a chiedersi cosa avesse fatto di


tanto buono per meritarsi tutti loro nella sua vita.

Col passare degli anni i Tomlinson-Styles avevano dato


vita a delle tradizioni familiari tutte loro.

Alla festa del papà Harry portava i bambini e Louis a


Manchester e, dopo aver salutato suo padre al cimitero, si
recavano tutti insieme al centro di addestramento per
volare con lui nei cieli della campagna mancuniana. Così,
Harry riviveva uno dei giorni più belli della sua vita
onorando suo padre e sperava che fosse così anche per i
suoi bambini, i quali si mostravano eccitati di osservare il

468
mondo da quell'altezza. Una volta l'anno, invece, Louis
convinceva Daisy e Edward a privarsi dei giochi che non
utilizzavano più per portarli alla serata di beneficienza
della Thousand Hearts Foundation.

La mattina della Vigilia, solitamente, prima che


arrivassero amici e parenti, andavano a pattinare al
Winter Wonderland.

Nonostante avesse imparato a muoversi discretamente


sui pattini, Harry rimaneva la maggior parte delle volte a
bordo pista perché il ghiaccio continuava a non piacergli
granché. Louis, che sul ghiaccio sembrava esserci nato,
incoraggiava i bambini a muovere i loro primi passi sulla
pista e baciava le loro ginocchia quando cadevano
improvvisamente. Aveva appena aiutato Edward a
rialzarsi da una buffa caduta, quando si scontrò con un
uomo che stava pattinando dietro di lui. L'uno allacciò le
braccia intorno al torace dell'altro per non cadere e,
quando Louis alzò lo sguardo sul viso dello sconosciuto
per scusarsi dell'inconveniente, pensò per assurdo che
Londra fosse decisamente molto piccola.

«L-louis?»

Louis lo osservò con le labbra socchiuse e un'espressione


di puro stupore sul viso. Occhi color caramello, folti
capelli neri scompigliati e una barba scura poco curata.
Una tuta gli avvolgeva il corpo statuario e una sciarpa
colorata era intorno al suo collo. L'uomo che aveva di
fronte a sé non era più quello di un tempo, quello che lui
aveva conosciuto.

«Ian?» chiese incredulo. «Sei davvero tu?»

Ian annuì ed entrambi scoppiarono in una risata


imbarazzata quando si accorsero di essere ancora
abbracciati. Si allontanarono lentamente per evitare di
cadere e pronunciarono all'unisono un «come stai?», al
469
quale seguì un'altra risata e altro imbarazzo. Louis non
vedeva Ian da quella sera di dicembre di molti anni
prima, ma fu contento di realizzare quanto fosse
cambiato nel frattempo. Sembrava addirittura spensierato
mentre parlava del suo lavoro, perché non avere avuto il
posto allo studio Johnson gli aveva aperto altre strade
che lo avevano portato a lavorare come avvocato per una
multinazionale di Glasgow. Ian gli spiegò di trovarsi a
Londra soltanto per le festività natalizie, che avrebbe
trascorso a casa dei suoi genitori.

«Oh, e sei qui da solo?»

«No, sono qui con il mio compagno, Mark.» Ian indicò un


uomo dall'aspetto gradevole che parlava con una donna
qualche metro più in là. «È lì con sua sorella, ma stavamo
per andare via. E tu?»

«Sono qui con mio marito e i miei figli.» affermò,


orgoglioso di poter pronunciare quelle parole. «Sono lì.»

Louis indicò Harry, impegnato a sporgersi oltre il


parapetto per sistemare la sciarpa di Daisy e sorridere a
Edward.

«Oh, è davvero lui?»

«È lui, è Harry.» confermò Louis, godendosi l'espressione


sorpresa dell'altro.

«Sapevo che prima o poi sareste finiti insieme, ma


vederlo con i miei stessi occhi mi sorprende comunque.»
ridacchiò Ian, prima di rivolgergli un sorriso tenero.
«Sembra un ottimo padre e i vostri figli sono bellissimi.
Va tutto bene tra voi?»

Louis annuì, ricambiando quel sorriso. «Lui e i bambini


sono la cosa più bella della mia vita. Ci sono degli alti e

470
dei bassi, come in tutte le famiglie, ma non cambierei mai
nulla di lui o di loro.»

«Sei felice ora, Lou?»

Ian gli porse ancora quella domanda. Quindici anni prima,


Louis non aveva una risposta precisa perché pensava che
la felicità fosse sopravvalutata non durando per sempre,
ma soltanto per un momento. Eppure, negli ultimi anni,
Louis si era ricreduto su tutta la linea: era vero che la
felicità durasse soltanto per un momento, ma per lui quei
momenti erano così numerosi da poter essere un per
sempre. Felicità era nelle piccole cose. Era stare con i
suoi figli e sentirsi apprezzato; accoccolarsi a Harry dopo
una lunga giornata di lavoro e sentirsi amato; bere una
birra con i suoi amici e sentirsi bene; cucinare un piatto
esotico il venerdì sera o fare del pain au chocolat la
domenica mattina; svegliarsi con le labbra di Harry sulle
sue o con i bambini che gli rubavano le coperte; andare al
saggio di pianoforte di Daisy o a quello di karate di
Edward. Se avesse continuato ad avere ancora quei
momenti, sarebbe stato felice per sempre.

«Molto, Ian.» rispose sinceramente. «E tu?»

«Anche io. Ho imparato tante cose dalla nostra relazione,


anche se è finita male. Tu, Louis, mi hai insegnato il
valore dell'amore e se potessi tornare indietro non farei
mai gli stessi sbagli. Con Mark ce la sto mettendo tutta
per non commetterli ancora e mi sto finalmente lasciando
andare.»

«Lo vedo, credimi.» ridacchiò, prima di osservarlo meglio.


«Penso di non averti mai visto con questo ciuffo ribelle o
con una tuta indosso per uscire prima d'ora.»

Forse, Ian aveva capito che non fosse necessario essere


perfetti per essere felici e rise. «Beh, anche io non ti ho
mai visto con un maglione del genere prima d'ora.»
471
Louis sorrise nel guardare il maglione che si intravedeva
sotto il suo piumino sbottonato: Ian non era il primo a
indicarlo e lui stesso era il primo a sentirsi buffo con
quell'indumento indosso, ma amava sentirsi in quel modo
insieme a Harry e ai bambini che ne indossavano uno
simile.

«È stato un regalo dei bambini per il mio compleanno e


mi hanno pregato di indossarlo proprio stamattina. Non
ho saputo dire loro di no.»

Ian ricordò del suo compleanno e gli fece gli auguri,


prima di essere richiamato da Mark e dalla sorella che lo
aspettavano ad una delle uscite della pista. Si salutarono
con un abbraccio e la promessa di non far passare altre
quindici anni prima di rivedersi: Louis gli augurò il meglio,
anche se pensava che Ian lo avesse già trovato dal
momento che non lo aveva mai visto così sereno. Non
appena lo salutò, arrivarono i bambini a prenderlo per
mano e a trascinarlo al centro della pista per fare delle
piccole figure che aveva insegnato loro.

«E papà?» chiese a Daisy, che scrollò le spalle. «Aveva


detto che ci avrebbe raggiunti in pista per il mio
compleanno!»

«Avrà cambiato idea!»

Louis si voltò verso Harry e lo trovò con le mani nelle


tasche del cappotto nero che indossava e il mento sepolto
nella sua sciarpa. Sventolò una mano per salutarlo e lui
gli rispose con un cenno, prima di voltarsi e dargli le
spalle. Si accigliò, ma non poté pensarci molto perché
Daisy e Edward catturarono presto la sua attenzione e lo
invitarono a pattinare con loro. Scaduto il tempo a
disposizione sulla pista, recuperò i bambini e li indirizzò
verso l'uscita, dove Harry li aspettava con le loro scarpe
in mano per il consueto giro tra gli stand del Winter
Wonderland. Indossate le scarpe e restituiti i pattini, si
472
immersero nella folla e girovagarono tra le bancarelle
presenti. Edward camminava qualche passo davanti a
loro, Daisy stringeva la mano di Harry e Louis osservava
le loro espressioni meravigliate e divertite.

«Come mai non ci hai raggiunti in pista prima?»

«Non mi andava di pattinare.»

«Fino a mezz'ora prima non vedevi l'ora di pattinare con


me e i bambini. Cosa è successo nel giro di cinque
minuti?»

«Ho semplicemente cambiato idea. Il mio Asperger mi


rende volubile, non lo hai ancora imparato dopo quindici
anni insieme?»

«Harry, non giocare la carta dell'Asperger con me.»


ribatté Louis leggermente infastidito e non sapeva
neanche per cosa, ma quella risposta non gli era piaciuta
perché nulla, neanche l'Asperger, poteva etichettare
Harry in un modo o nell'altro. «Ho assistito a tutti i tuoi
momenti buoni e a quelli cattivi e ci sono sempre stato.
Non mi spavento se cambi idea, ma so che stavolta c'è
qualcos'altro sotto. Aiutami a capire cosa, per favore.»

«Ti ho visto.» Louis si accigliò, prima che Harry sbottasse


«con quello».

«Ma con chi?»

«Con l'avvocato delle cause perse.»

Ascoltando dopo anni quell'epiteto che Niall aveva dato a


Ian, Louis non poté non ridere di gusto.

«Non ridere di me, Louis.»

473
«Non sto ridendo di te, amore, ma della tua gelosia e
anche di quel buffo soprannome.» chiarì. «È stata una
semplice casualità: ci siamo scontrati, riconosciuti e
abbiamo parlato un po'.» aggiunse, prima di affermare a
voce bassa e divertita «mi fai eccitare quando ti mostri
geloso».

«Lou!» esclamò, alzando gli occhi al cielo plumbeo di


Londra. «E poi, non è vero.»

«Fidati, lo è.» lo incalzò, mentre afferrava per il cappuccio


del piumino Edward e gli intimava un «ehi, tu, rallenta!»
dal momento che il bambino andava troppo spedito per i
suoi gusti. «E comunque abbiamo soltanto parlato, non
capisco cosa ci sia di sbagliato.»

«Non c'è nulla di sbagliato nel parlare con un vecchio


amico, ma lui semplicemente non lo è.» precisò Harry.
«Non è mai stato un tuo amico, è stato il tuo fidanzato
per quasi tre anni ed era decisamente uno stronzo.»

«Lo so che era uno stronzo, ma credo che Ian sia


cambiato. Non è stato così sgradevole parlare con lui alla
fine dei conti. Sai che ha persino un compagno? Non l'ho
conosciuto, ma non sembrava male. E indossava persino
una dannata tuta. Ci credi? Ian Graham, avvocato delle
cause perse, indossava una tuta, non aveva il ciuffo
modellato alla perfezione e, soprattutto, era soddisfatto e
felice della sua vita lavorativa e sentimentale.»

«Non mi interessa quanto quel tipo sia felice ora, odio il


modo in cui ti ha trattato quando stavate insieme, odio il
modo in cui mi ha fatto e continua a farmi sentire.»
confessò Harry, fermandosi all'improvviso, e Daisy
raggiunse suo fratello, quasi capendo di essere di troppo
e di dover dare loro un po' di spazio. «Ricordi quella sera
al pub? Io ricordo quanto mi abbia fatto sentire
inadeguato, sciocco e inetto. Io lo faccio, Lou. Ricordo
tutto.»
474
«E ricordi quando io ti ho preso per mano e ti ho portato
di nuovo nel pub e hai passato una bella serata?» replicò,
accarezzando il suo avambraccio e sfiorandogli il polso.
«Hai imparato tante cose in questi anni, non metterle da
parte a causa dei fantasmi del tuo passato.» Lo sguardo
duro di Harry si ammorbidì e Louis si convinse a
prendergli la mano nella sua, senza aver paura di essere
rifiutato. «Non sei mai stato uno sciocco, né un inetto.
Ian stesso sa di aver sbagliato a giudicarti in quel modo.
Non lasciarti condizionare da un episodio che è avvenuto
anni fa. Conta quello che sei per davvero, conta che puoi
essere chiunque tu voglia.»

Harry arricciò le labbra in un broncio e guardò l'intreccio


che erano le loro mani. Era quella la loro forza, dopotutto.
Erano lui e Harry contro tutti. A volte, persino contro
Harry stesso.

«Scusa, Lou.» mormorò. «È stato più forte di me ricadere


nelle vecchie abitudini. Vederlo e vedere te sorridergli in
un modo che è solo mio mi ha portato a pensare a brutti
ricordi.»

«Forse, ho sbagliato anche io. Avrei dovuto chiamarti e


presentarti a lui come mio marito?» chiese incerto.
«Gliel'ho detto, però, lo sai? Gli ho detto che sei tu mio
marito, che ho due figli e che siete tutta la mia vita. E, se
gli sorridevo in quel modo che ti appartiene, è perché
effettivamente parlavo di te e per me è impossibile non
avere quel sorriso quando penso a tutto ciò che abbiamo
insieme.»

Harry scosse la testa, come a scacciare i minuti


precedenti e i brutti pensieri, poi abbracciò Louis. «Sono
ancora leggermente infastidito, però.» precisò, dopo
avergli lasciato un bacio sulla guancia.

Louis alzò gli occhi al cielo, prima di prendere il suo viso


tra i palmi delle mani e imprimergli un bacio sulle labbra.
475
Fu un bacio casto, ma pieno di intenzioni. Fu come
ricordargli di non dubitare mai, né del loro amore, né di
Louis, ma soprattutto di se stesso.

«Che schifo, papà.» si lamentò Edward e i due si


allontanarono ridacchiando. «Non fate altro che baciarvi
oggi!»

«Smettila di lamentarti, Ed.» ribatté Daisy, dandogli una


gomitata dritta dritta nello stomaco: fortunatamente,
Harry aveva fatto indossare al piccolo un piumino ben
imbottito quella mattina. «I nostri papà si vogliono bene e
sono liberi di baciarsi quanto vogliono, cresci un po'!»

Louis ridacchiò perché quei due erano cane e gatto la


maggior parte del tempo. Eppure, per lui e Harry contava
la restante parte, quella in cui Daisy e Edward giocavano
insieme amabilmente, quella in cui Daisy aiutava l'altro a
fare i compiti durante il pomeriggio o a mettersi il
pigiama prima di andare a dormire, quella in cui Edward
guardava a sua sorella maggiore con meraviglia e
rispetto, come se lei fosse un esempio da seguire. Era
speciale il legame che avevano e, anche se Louis non
avrebbe mai potuto capirlo fino in fondo essendo figlio
unico, sapeva che l'uno ci sarebbe stato sempre per
l'altra.

«Daisy, non essere così dura con tuo fratello.» la


ammonì, mentre la bambina prendeva Edward per mano
e gli lasciava un bacio sulle guanciotte arrossate, prima di
alzare gli occhi al cielo per il suo rimprovero. «E non
alzare gli occhi al cielo, princesse.»

Harry lo superò ridacchiando «questo lo ha imparato


decisamente da te!», poi batté le mani in un sonoro
clap e chiese «allora, chi vuole la nostra tradizionale
cioccolata calda?».

476
I bambini gioirono felici perché una proposta simile,
soprattutto avanzata da Harry, era un'occasione più unica
che rara, dal momento che accadeva soltanto a Natale.
Gioì anche Louis perché amava quelle tradizioni tutte
loro.

«Tu no, a quarant'anni devi mantenere la linea.» precisò


Harry con un occhiolino per poi guidare i bambini verso la
bancarella.

«Ehi!» gli urlò dietro Louis, prima di raggiungerli e


ordinare la sua cioccolata con meringhe e panna.

A smaltirla e a mantenere la sua linea ci avrebbe pensato


quella stessa notte, magari proprio con Harry e nel loro
letto.

Tornati a casa, Louis e Edward si appisolarono sul divano:


il bambino riposava sul suo petto con la guancia sepolta
nel maglione blu e Louis lo stringeva forte a sé, quasi a
proteggerlo anche dagli incubi.

Harry sarebbe rimasto sulla poltrona per ore a guardarli,


ma aveva un'intera cena da organizzare e una casa da
rendere accogliente. Non era stato un anno facile quello
che stava per concludersi, quindi voleva semplicemente
che i suoi ospiti passassero delle buone vacanze di Natale
a casa loro. Sapeva che la perfezione non gli fosse
richiesta, perché bastava essere se stessi, ma per lui ogni
cosa doveva essere a suo posto: la sua mente esigeva
ordine e rigore e vivere con un marito disordinato, due
pesti e un cane lo metteva a dura prova continuamente.
L'importante era che, alla fine, quelle prove riuscisse a
superarle, anche con l'aiuto altrui. Poco prima aveva
chiesto a Daisy di mettere in ordine la sua stanza dal
momento che Anne avrebbe dormito lì quella sera,
mentre lui avrebbe sistemato la camera degli ospiti in
477
mansarda per Ethan e Johannah. Era proprio sul punto di
sistemare i cuscini sul letto matrimoniale quando sentì un
tonfo provenire dalla stanza di Daisy al piano inferiore e
non impiegò molto a raggiungerla.

«Ehi, princesse.» la chiamò e lei, accucciata di spalle


davanti al comò, si voltò con un'espressione preoccupata
sul viso. «Che ci fai lì a terra?»

Daisy scosse la testa mesta, tra le mani reggeva quello


che doveva essere il carillon a forma di sistema solare
che le avevano regalato molti anni prima.

«Raccoglievo questo.» sussurrò, porgendoglielo.

Harry lo prese in una mano e con l'altra afferrò quella di


Daisy, accompagnandola sul suo letto, dove si sederono
insieme. Lo guardò con attenzione, mentre Daisy
tratteneva le lacrime e anche il fiato in attesa di un
verdetto. Di quel sistema solare rimaneva ben poco
perché l'impatto con il suolo aveva distrutto Venere,
Giove e Urano: Harry tirò un sospiro di sollievo quando
notò Saturno e i suoi anelli essere ancora intatti e la
Terra e la Luna essere ancora collegati da un piccolo fil di
ferro. Quasi gridò al miracolo quando diede la carica al
meccanismo e il carillon cominciò a ruotare lentamente e
a diffondere le sue note.

«Si può aggiustare, papà?»

«Possiamo aggiustarlo con un po' di colla. Come è


successo? Come mai lo stavi spostando dal comò?»

«Lo stavo mettendo via.»

«Oh.» sussultò Harry. «E come mai?»

478
Daisy amava alla follia quel carillon. In realtà, amava alla
follia tutto ciò che riguardava lo spazio e la scienza, con
particolare interesse verso il sistema solare e i suoi
pianeti. Quando a scuola aveva scoperto l'esistenza di
Plutone e che fosse stato retrocesso a pianeta nano dopo
alcune scoperte scientifiche, aveva voluto organizzare
una piccola festa per lui nella sua cameretta per
confortarlo: Louis aveva dovuto ricreare la superficie di
Plutone su un pallone da calcio e Harry dei cakepop che
richiamassero il suo aspetto. Era stato assurdo, lo
ammetteva, ma alla fine si erano divertiti. D'altro canto,
era merito o colpa dei suoi genitori se Daisy era cresciuta
con uno smodato interesse verso l'intero universo, perché
fin da piccola li aveva ascoltati chiamarsi a vicenda "mon
petit soleil" e "ma lune". Harry ricordava la curiosità che
aveva visto nei suoi occhi verdi quando, un pomeriggio di
molti anni prima, aveva chiesto a Louis il perché di quei
nomignoli. Insieme, le avevano spiegato che il Sole e la
Luna fossero inseparabili e che il primo illuminasse la
seconda continuamente con la sua gioia e felicità.

«E perché papà ti deve illuminare?» aveva chiesto la


bambina, rivolgendosi a Harry.

«Perché spesso brancolo nel buio e il mio cuore diventa


vuoto, ma tuo padre con un suo sorriso riesce sempre a
illuminarlo e a riempire il mio cuore d'amore e
felicità» aveva risposto, stringendo la mano di Louis.

Quest'ultimo, poi, le aveva parlato anche del fenomeno


dell'eclissi, lasciando Daisy a bocca aperta e meravigliata
dalle sue parole. Louis non aveva accennato ai suoi lati
nascosti o alla sua parte oscura e andava bene così.
Forse, perché ormai il lato nascosto di quella Luna era
diventato quasi invisibile ai suoi occhi. Dopotutto, Louis
era sempre riuscito a vederlo completamente.

«Perché David Lars mi ha detto che le bambine non


possono diventare astronaute.» confessò. «Non volevo
479
più avere quel carillon sul comò, ma nel prenderlo mi è
caduto a terra.»

«Beh, quel David Lars si sbaglia. Vuoi davvero fare


l'astronauta?»

«Non so, forse?» chiese Daisy, arricciando la punta del


nasino all'insù. «Insomma, mi piace tanto scienze e
studiare i pianeti e l'universo a scuola. Sembra forte,
no?»

«Lo è. Sai, una volta ho letto che gli astronauti nello


spazio si allungano di tre o cinque centimetri.»

«Beh, vista l'altezza di papà, qualche centimetro in più


potrebbe farmi comodo.» ridacchiò lei.

Harry la imitò perché era sempre bello ridere con Daisy.


Non importava se la bambina in realtà non avrebbe
dovuto preoccuparsi dell'altezza perché era Harry il suo
papà biologico e il suo metro e ottantatré centimetri
l'avrebbero dovuta rassicurare: l'importante era stare al
gioco, riuscire a ridere con lei, farle andare via quel muso
lungo che aveva da giorni.

«Non dirlo a papà, però, che l'ho detto.»

«Sta' tranquilla, principessa, non gli dirò nulla. Tu, però,


devi farmi una promessa.»

La bambina si accigliò, ma annuì comunque.

«Non devi mai rinunciare al tuo sogno.» disse Harry


categorico. «Io, tanti anni fa, non ero così come sono ora.
Rinunciavo a fare qualcosa ancora prima di provarci. Non
avevo molti amici perché non riuscivo ad aprirmi
completamente e perché i miei interessi non

480
combaciavano mai con i loro. Non riuscivo neanche a
stare in una stanza molto affollata.»

«Era a causa del tuo Asperger, papà?»

Harry annuì. «Poi, ho incontrato tuo padre. Per me era


una delle persone più fastidiose della terra perché
provava sempre a spingere i miei limiti al di là delle mie
paure. Non lo sopportavo perché pensavo che superare i
miei limiti equivalesse a cambiare e io non volevo
cambiare, volevo soltanto essere accettato per quello che
ero. Poi, grazie al suo aiuto, ho capito che quei limiti non
mi definivano affatto.»

«E come ha fatto?»

«Con una lista. Un giorno, prima delle vacanze di Natale,


mi ha detto di scrivere su un foglio cinque cose che avevo
sempre voluto fare, ma che a causa dell'Asperger non
avevo mai fatto.»

«E cosa hai scritto?»

«Avere un appuntamento con qualcuno.»

«Con papà?»

«Ovviamente, tesoro.» mentì, mettendo da parte le idee


fallimentari di suo fratello. «Poi, ho fatto un viaggio senza
la nonna o Will e sono andato a Saint Paul con papà per
la prima volta. Ho anche adottato Leo grazie a quella
lista.»

«Davvero?»

«Davvero, per il mio ventitreesimo compleanno.» rispose


sorridendo. «E, infine, ho imparato a pilotare un aereo
grazie a nonno Robert.»

481
«Sono quattro!» esclamò lei. «E il quinto punto?»

«Era essere felice ancora una volta e ora, da quando ho


voi, lo sono ogni giorno.» Le accarezzò la guancia
affettuosamente. «Sai, papà mi ha fatto capire che
spuntare le voci di quella lista o superare i limiti che mi
ero sempre imposto non avrebbe significato cambiare me
stesso perché, guardami, dopo tanti anni, sono ancora io.
Sono Harry, adoro i numeri, mi piace giocare a scarabeo,
mi piacciono i documentari e gli aeroplani...»

«...mangi soltanto gli orsetti gommosi rossi e lasci a noi


tutti gli altri.»

«Esatto!» esclamò Harry. «Non devo cambiare i miei


sogni o i miei obiettivi a causa della mia sindrome e tu,
Daisy, non devi farlo per un David Lars qualunque.»

«Pensi che, se mi impegnassi, potrei diventare


un'astronauta per davvero, allora?»

«Daisy Margot Tomlinson Styles, porti il nome della tua


bisnonna, una delle più grandi ribelli della famiglia e di
tutta la Francia e di mezza Inghilterra.» La bambina
sorrise, rivelando la fossetta più marcata sulla guancia
sinistra. «Tu puoi fare tutto.»

A Daisy bastarono quelle parole per liberarsi da ogni


tormento e abbracciare suo padre grata. Harry la accolse
amorevolmente e la strinse a sé, mentre lei strofinava la
guancia sull'eccentrico maglione natalizio che indossava.
La bambina si sporse a dargli un bacio sulla guancia e,
nel farlo, pose la manina sul suo petto, all'altezza del
cuore: quel gesto portò Harry a ritrarsi dal suo tocco e a
liberare un sottile lamento dalle labbra.

«Ti ho fatto male?»

482
«No, amore.» la tranquillizzò, prendendo le mani nelle
sue. «È che...» esitò per un istante, mentre lei si
accigliava e lui si apriva in un sorriso. «Mi fai un'altra
promessa?»

Daisy annuì decisa e a Harry, che si fidava di lei ad occhi


chiusi, non rimase che rivelarle quel segreto che
nascondeva da giorni.

Il Natale a casa Tomlinson-Styles era da sempre una


questione importante.

E per "importante" Louis intendeva l'intera casa


addobbata a festa, regali a non finire, lucine intrecciate ai
rami spogli dei loro alberi e tanta confusione, soprattutto
tanta confusione. Casa loro si affollava di familiari e amici
e per le stanze risuonavano conversazioni, discussioni e
risate. Era proprio in quei momenti che Louis apprezzava
ciò che aveva e si rendeva conto di quanto fosse
fortunato: la sua vita era piena, piena di affetti importanti
e amore. Viveva di quei momenti e quell'anno c'erano
proprio tutti a festeggiare da loro la Vigilia e il suo
quarantesimo compleanno.

«Come sta il mio Horan preferito?» esordì Louis, aprendo


il portone e accogliendo i suoi ospiti.

Niall lo squadrò dalla testa ai piedi divertito prima di


ridacchiare «bel maglione, veramente di classe». Poi,
sistemò tra le braccia il grande cesto di leccornie che
aveva portato con sé e rabbrividì. «Comunque, a parte
questo dannato freddo, sto benissimo. Grazie per
avermelo chiesto!»

Louis lo squadrò a sua volta, mentre un sorriso sghembo


curvava le sue labbra. «In realtà, lo avevo chiesto a
Theo, ma sono felice che stia bene anche tu, Niall.»
483
In quel momento, un dodicenne tutto capelli castani e
occhioni blu scansò Niall dall'uscio e andò ad abbracciare
Louis salutandolo con un felice «ciao zio Lou e buon
compleanno!».

«Ehi, campione, grazie mille!» esclamò, ricambiando la


stretta amorevolmente. «Daisy è già in soggiorno che ti
aspetta e, mi raccomando, almeno un metro di distanza
tra voi due!» aggiunse, ma Theo era già scomparso oltre
il disimpegno e non aveva neanche ascoltato le sue
parole.

«Quando smetterai di minacciare mio figlio?» sospirò


Niall, mettendo a terra il cesto e levandosi il cappotto.
«Stai diventando noioso!»

«Per quanto io possa adorarlo, è mio dovere tenere tuo


figlio alla larga da Daisy per i prossimi venti anni.»

«È la Vigilia di Natale ed è anche il tuo quarantesimo


compleanno, scegli un altro giorno per combattere il
destino!» Niall lo strinse in un abbraccio spaccaossa,
prima di lasciargli un bacio appiccicoso sulla sua frangia
morbida. «E comunque tanti auguri!»

«Grazie per gli auguri, ma qui non c'è proprio alcun


destino da combattere.» precisò Louis, che avrebbe
tenuto Daisy sotto una teca di cristallo almeno fino ai suoi
trent'anni. «E comunque, dov'è Lisa?»

«È ancora in macchina.» sbuffò Niall. «I gemelli non


volevano indossare il cappotto e sta cercando di
convincerli a farlo senza minacciarli o scatenare la Terza
Guerra Mondiale.»

«E tu sei riuscito a scamparla, eh?»

484
«È lei la psicologa tra i due, le lascio soltanto fare il suo
lavoro!» Gli fece un occhiolino e si incamminò verso il
soggiorno, prima di aggiungere «vado a salutare tutti gli
altri!».

Louis ridacchiò, chiedendosi come Lisa e Niall potessero


funzionare bene insieme con quei caratteri così diversi tra
loro e, soprattutto, con l'arrivo dei gemelli avvenuto
cinque anni prima. Ricordava ancora l'espressione
terrorizzata dei due dopo la prima ecografia, il parto
complicato di Lisa e le nottate insonni di Niall trascorse a
far smettere di piangere James per non far svegliare
Noel. Era stato e continuava a essere complicato, ma i
due, forti e uniti com'erano, sarebbero sopravvissuti
persino a un uragano. Dopo aver preso una sciarpa e
averla avvolta intorno al collo, Louis percorse il vialetto
d'ingresso e raggiunse l'automobile di Niall e Lisa. In un
batter d'occhio, si ritrovò i gemelli abbarbicati alle gambe
e lasciò loro dieci, cento, mille baci sulle guance, prima di
invitarli a entrare in casa. Poi, finalmente, vide Lisa
camminare verso di lui sui suoi tacchi a spillo e molte
buste tra le mani.

«Giornata difficile, eh?»

«Più o meno da cinque anni.» ridacchiò Lisa. «Buon


compleanno, tesoro!» aggiunse un attimo dopo, come se
temesse di dimenticarlo, mentre si sporgeva a lasciargli
un bacio sulla guancia.

«Grazie mille.» Louis le sorrise e «ti serve una mano?» le


chiese.

«Saresti la mia salvezza.» Lisa gli porse alcune buste e


Louis le offrì un braccio sul quale appoggiarsi per il resto
del tragitto. «Allora, non sei più arrabbiato con me?»

«Non sono mai stato arrabbiato con te, Lisa.»

485
«La chiamata che mi hai fatto dieci giorni fa dimostrava
tutt'altro.»

Louis alzò gli occhi al cielo perché, forse, Lisa aveva


ragione. Il mattino seguente l'ultima crisi di Harry,
l'aveva chiamata e non si era preoccupato di moderare i
toni perché, pur essendone a conoscenza, non aveva
parlato a Louis delle difficoltà di suo marito.

«Ho capito di aver sbagliato.» ammise. «Non eri tenuta a


dirmelo perché sei anche amica di Harry e lui non voleva
che io lo sapessi.»

«E anche perché Harry è un adulto, Lou.» precisò Lisa.


«Nonostante tutto, è in grado di badare a se stesso e ai
bambini e, se non fosse stato nelle condizioni di farlo, io e
Niall ti avremmo avvertito subito.»

«Lo so, ma in quel momento ero molto preoccupato.»

«Mi ha chiamata subito quando ha capito che qualcosa


non andasse.» lo rassicurò, fermandosi sull'uscio del
portone. «Harry sa che può fidarsi di noi e che non ha più
bisogno di scappare via o non affrontare il dolore. Ha
imparato ad aprirsi e a parlare di tutto ciò che gli passa
per la testa. Sta affrontando tutto il dolore che si porta
dietro fin da bambino e le difficoltà dovute all'Asperger
nelle sue sedute, Lou. Dovresti essere molto fiero di lui.»

«Lo sono, Harry è il mio orgoglio più grande insieme a


Daisy e Edward.» rispose sinceramente. «Mi sono
soltanto spaventato, credo. E ti chiedo ancora scusa per
quella chiamata.»

«Non importa, ormai è passato. Ora entriamo dentro, mi


si sono congelate le chiappe.»

486
Non appena entrarono in casa, furono travolti dai
festeggiamenti e Louis poté finalmente rilassarsi e
lasciarsi alle spalle tutto ciò che era accaduto nell'ultimo
anno. Erano stati mesi difficili, mesi in cui avevano
dovuto lasciare cari affetti, affrontare la loro mancanza e
conviverci, ma coloro che erano rimasti erano ancora lì,
erano ancora tutti insieme.

Louis guardava Edward e i gemelli scorrazzare per l'intero


soggiorno, mentre Olaf li inseguiva allegro, e non riusciva
a rimproverarli perché, in fondo, non gli dispiaceva la
confusione che creavano.

Ogni tanto, Ethan e Niall provavano a fermarli, ma i loro


tentativi risultavano sempre vani e, allora, continuavano
a parlare di alcune band del passato che erano i soli ad
ascoltare.

Nel frattempo, William serviva la cena che avevano


messo insieme i Tomlinson, gli Styles e gli Horan ed era
un piacere averlo con loro finalmente: quell'anno aveva
lasciato la direzione dei ristoranti di Manchester ai suoi
soci perché voleva trascorrere il suo primo Natale in
famiglia con la sua compagna e la piccola Annabelle, nata
quasi un anno prima. Anne ripeteva sempre che William
avesse impiegato fin troppo tempo a mettere la testa a
posto, ma per Harry l'importante era che, alla fine, ci
fosse riuscito. Tutta la famiglia adorava la sua compagna,
Katy, e a Louis piaceva molto quella nuova versione di
William. Harry concordava con lui e un giorno, durante
una cena di famiglia, gli aveva confessato con gli occhi
lucidi che William nei panni di padre gli ricordasse molto il
loro di papà, Edward.

Ad un angolo della tavolata, Anne e Johannah stavano


parlando con Lisa e Katy del loro prossimo viaggio a
Budapest perché, da quando erano in pensione, si
concedevano una volta l'anno un fine settimana insieme.
Harry non faceva altro che preoccuparsi per sua madre in
487
quei giorni e, soltanto quando Louis gli faceva notare che
esagerasse, ammetteva che Anne non meritasse soltanto
una vacanza, ma una nuova vita, forse più spensierata
della precedente.

Harry prendeva in braccio Annabelle e le faceva fare


l'aeroplanino, le baciava le guanciotte morbide e le
sussurrava chissà quali cose nell'orecchio, indicando i
presenti. Lei, invece, si limitava a gorgheggiare divertita
e a infilare le manine tra i riccioli dello zio,
scompigliandoli tutti. Ogni qual volta incontrava il suo
sguardo, Louis sentiva un calore familiare diffondersi nel
petto perché era impossibile non pensare che, magari, il
Natale successivo, Harry avrebbe stretto tra le braccia
anche il loro terzo bambino e non solo sua nipote.

Per il momento, riteneva più opportuno concentrarsi su


quelli che aveva già. E se non poteva fare nulla con
Edward e la sua indole vivace, poteva almeno controllare
che sua figlia non prendesse una cotta per Theo Horan.
Qualcosa, però, gli suggeriva che fosse già troppo tardi.
Daisy e Theo sedevano fianco a fianco al pianoforte e la
prima insegnava a suonare al secondo una vecchia
canzone di Natale. Sotto il suo sguardo minaccioso e
quello divertito di Niall, Louis assisteva persino a sua
figlia che faceva gli occhi dolci a Theo e al ragazzino che
balbettava qualcosa imbarazzato.

«Non mi fido di quegli occhioni azzurri!» confidò a Harry,


quando quest'ultimo lo portò di peso in cucina. «Daisy ha
appena undici anni, vuole fare l'astronauta da grande e
non può avere una cotta preadolescenziale per
qualcuno!» aggiunse, come se quella fosse una
spiegazione plausibile alla sua folle gelosia. «E poi, Daisy
ti assomiglia fin troppo e...»

«...e anche io mi sono innamorato di un bel paio di


occhioni azzurri.» concluse Harry per lui. «Sono ancora

488
dei bambini, Lou: écoute, notre avenir sera ce qu'il doit
être.»

Louis si convinse ad annuire, non riuscendo a trattenere


un sorriso perché era quello che diceva sempre anche sua
nonna Margot: sarà quel che sarà. Era inutile
preoccuparsi del futuro, era più utile vivere giorno per
giorno, ora per ora, minuto per minuto. Quindi, per le ore
successive, rinunciò a guardare in modo minaccioso Theo
e Daisy. Fu proprio quest'ultima a esclamare «apriamo i
regali!» poco prima della mezzanotte. Così fecero e Olaf
fu ben contento di rotolarsi tra la carta regalo che
riempiva il parquet ai piedi dell'albero addobbato.

«J'adore le cadeau!» esclamò Daisy, mentre gli occhi


verdi le brillavano alla vista dei biglietti per il planetario
che Ethan e Johannah le avevano regalato.

«J'adore la mer!» disse Niall, mentre Louis scuoteva la


testa e pensava che, forse, non avrebbero dovuto
regalare a lui e a Lisa quella settimana a Saint Paul il
prossimo agosto.

Tra la frenesia e l'emozione per i regali, nessuno notò


Harry sgattaiolare via all'improvviso e rientrare in casa
soltanto qualche minuto più tardi, con un cucciolo fulvo
tra le braccia e un'espressione intenerita sul volto all'idea
che quel gattino avrebbe fatto parte della loro famiglia.

«È nostro, papà?» chiese Edward meravigliato.

«È nostra, è una femmina.» lo corresse Harry, mentre


lasciava la gatta sul parquet e quest'ultima si avvicinava
lentamente alla mano che il bambino tendeva nella sua
direzione per prendere confidenza.

«È bellissima.» sussurrò Daisy che, accanto al fratello,


contemplava il suo muso dolce. «Ha già un nome?»

489
«No, possiamo sceglierlo noi.»

«Ginger!» esclamò Edward, guardando speranzoso gli


altri tre.

Harry e Louis annuirono, Daisy guardò la gatta con


un'espressione accigliata sul viso per poi dire «e Ginger
sia!». Persino Olaf abbaiò e si avvicinò a lei per annusarla
e riconoscere il suo odore come familiare: sebbene Louis
avesse portato a casa Ginger soltanto quel tardo
pomeriggio, mentre i bambini erano indaffarati con le
nonne a fare i biscotti, nei giorni precedenti aveva cercato
di abituare Olaf alla sua presenza mettendo nella sua
cuccia delle copertine e dei giochini che le appartenevano.
Ginger annusò le dita del bambino prima di strusciare la
sua testolina fulva nel suo palmo e piano a piano si fece
accarezzare delicatamente da Daisy, mentre Olaf, che
non si perdeva mai in educati convenevoli, le leccò
malamente il muso per dimostrarle il suo affetto.

«Te lo avevo detto che sarebbe stata perfetta.» affermò


Harry. «È tranquilla e affettuosa come Daisy e bilancia
l'esuberanza di Edward e Olaf. È un'ottima aggiunta alla
famiglia.»

«Lo è.» confermò Louis, passandogli un braccio intorno


alla vita. «E dobbiamo ringraziare soltanto il
tuo insopportabile segretario se l'abbiamo con noi.»

Dopotutto, Ginger apparteneva alla cucciolata della gatta


di Steve, che si era rivelato molto meno insopportabile di
quanto Harry gli aveva raccontato.

«Non è poi così insopportabile ultimamente, l'ho


rivalutato.»

Era tutto perfetto, anche quel piccolo momento, perché


stare con Harry gli aveva insegnato ad amare e ad
apprezzare ogni gesto, grande o piccolo che fosse. Fu
490
tutto perfetto, fino a quando sua madre non entrò in
soggiorno con una grande torta al cioccolato sulla quale vi
erano quaranta candeline rosse e Harry gli disse che
avrebbe dovuto spegnerle tutte, una a una.

Erano le tre passate quando Harry vide Louis, fresco di


doccia e in boxer, sprofondare nel loro letto e affermare
di non volerlo più abbandonare per le prossime dodici
ore: lui, stretto nella sua vestaglia di seta giapponese e
appoggiato alla testiera imbottita del letto, lo aspettava
già da un pezzo.

«Allora.» esordì Louis. «Manca un regalo all'appello.»

«Sì?»

«Decisamente. Ho ricevuto il tuo regalo di Natale e ho


apprezzato davvero tanto quel weekend a Parigi a
febbraio, ma ti sei dimenticato di darmi il regalo del
compleanno.»

«Io non dimentico mai nulla, Lou.» disse Harry, prima di


sorridergli e slacciare il nodo che teneva chiusa la sua
vestaglia.

Louis alzò gli occhi al cielo. «Okay, è da un po' di giorni


che non facciamo l'amore e l'anticipazione di stamattina
l'ho apprezzata davvero tanto, ma se questo è il tuo
regalo devo dirti che sei davvero banale perché...»
Quando Harry rimase soltanto con i boxer indosso e fece
cadere sul materasso la vestaglia, Louis si accigliò davanti
a quel qualcosa che i suoi occhi blu non riconobbero come
familiare. «H-harry.»

«Ti piace?»

491
Louis rimase in silenzio fino a quando, tendendo la mano
destra verso il suo petto, non chiese «posso?».

Harry annuì, trattenendo il respiro e liberandolo soltanto


quando i polpastrelli di Louis si scontrarono delicatamente
con la sua pelle. Abbassò lo sguardo e ogni difesa e seguì
le dita dell'altro delineare il contorno nero di un sole a
metà al quale vi erano accostati lo spicchio di una luna e
tre piccole stelle. Era un tatuaggio il regalo per Louis.
Quelle linee delicate e nere marchiavano la pelle del suo
petto a sinistra, lì dove stava battendo erratico il suo
cuore, perché lo sguardo di adorazione di Louis era
troppo, troppo persino per Harry che lo amava più di ogni
altra persona al mondo.

«È per questo che nei giorni passati non ti sei mai


spogliato davanti a me?»

«Lo hai notato? Mi dispiace averti rifiutato più e più volte,


ma volevo che fosse una sorpresa e che lo vedessi
soltanto oggi.»

L'idea di quel tatuaggio gli era balenata in testa al ritorno


di Louis dalla Thailandia. Voleva qualcosa che glielo
ricordasse e che potesse essere sempre con lui, che gli
desse forza e coraggio per superare i momenti di
smarrimento, che potesse toccare e farlo stare
immediatamente meglio anche quando lui non c'era. In
quelle notti, quelle dei suoi incubi, non indossava il suo
ciondolo con l'aeroplanino perché era diventata una
tradizione affidarlo a Louis prima di ogni partenza. Harry
aveva scelto qualcosa che gli ricordasse Louis, ma anche
chi fosse lui stesso, una Luna legata indissolubilmente al
suo Sole.

Così era nato quel tatuaggio, così Louis si ritrovava ad


accarezzarlo delicatamente.

492
«Pensavo fossimo...non so, in crisi?» sbuffò Louis,
scuotendo la testa.

«In crisi? Io e te?»

«Già, una specie di crisi matrimoniale del dodicesimo


anno.»

«Non credo esista, Lou.»

«E menomale.» ribatté Louis, ridacchiando per le sue


paranoie. «È decisamente una sorpresa!»

«E ti è piaciuta? Insomma, ti piace? Perché dovrai vederlo


per il resto della tua vita e sarebbe decisamente brutto se
non ti dovesse piacere. Ovviamente posso coprirlo,
ma...»

«Harry.» Louis lo interruppe, prendendogli le mani nelle


sue e guardandolo con un sorriso dolce sulle labbra. «Mi
piace? No, io penso di amarlo follemente.» aggiunse, per
poi sussurrare a un soffio dalle sue labbra «je suis le
Soleil».

Louis era il suo Sole.

«Je suis la Lune.»

E Harry era la Luna.

«Et les étoiles?»

Sorrise, perché a quella domanda c'era soltanto una


risposta.

«Les étoiles sont Daisy, Edward et l'enfant qui viendra.»

493
Le stelle erano i loro figli, tutti e nessuno escluso, Edward
e Daisy che già illuminavano la loro vita e il bambino che
sarebbe arrivato.

«Dio, Harry. Ti amo così tanto.» E non impiegò molto a


unire le loro labbra e a baciarlo. «Grazie, amore mio.»

E quei baci, dati a fior di labbra, presto divennero più


lenti, passionali e languidi. Le loro labbra si modellarono
morbidamente le une sulle altre e sapevano di amore,
quello più grande e puro, quello che permetteva loro di
lasciarsi andare e non avere mai paura. Le mani di Harry
percorsero spavalde il corpo di Louis, mappandone ogni
centimetro e saggiando la pelle calda e increspata da
dieci, cento, mille brividi. Poi, lo liberarono dei boxer e
Harry non poté che gemere sommessamente quando i
loro bacini entrarono in collisione.

«Fa' piano, ma Lune.» sussurrò Louis. «La casa è affollata


stanotte, dobbiamo essere silenziosi.»

«Oui.» Harry incastrò gli occhi smeraldini nei suoi. «Ma su


questo piano ci siamo solo io e te.»

Si baciarono ancora, incastrando lingue e denti in un


bacio sporco, fatto di morsi e saliva, che sapeva di
urgenza, quella di aversi e di possedersi nel più intimo e
carnale dei modi. Louis riuscì soltanto a sfilargli i boxer
prima che Harry si mettesse a cavalcioni sul suo bacino e
baciasse ogni lembo di pelle a sua disposizione. Si fermò
soltanto per osservarlo e godersi il suo corpo nudo
soltanto per lui, così esposto e fragile, così suo. Poi, si
abbassò e lasciò baci bagnati sulle sue cosce tornite,
prima di leccare il punto in cui la coscia diventava inguine
e dedicarsi al suo membro. Lo inglobò tra le sue labbra
piene e ne succhiò la punta con devozione per
assaporarlo.

«Sei così buono, Lou.»


494
«Harry, ti prego.» mormorò Louis. «Ho bisogno di essere
dentro di te.»

Harry non mancò di accontentarlo e gli lasciò prendere il


controllo, posizionandosi mani e ginocchia sul materasso
e godendosi le carezze di Louis sulla sua schiena e
sull'incontro delle sue natiche sode. Lì, con un gesto
accorto e lento, Louis posizionò le labbra e cominciò a
leccare la sua apertura. Il suo bacino tremò e Harry liberò
sottili gemiti di piacere quando Louis lo penetrò con
l'indice e il medio e cominciò a prepararlo, sforbiciando le
dita e sfiorando più volte il suo punto più sensibile. Gli
rubò diversi baci, prima di attirare la schiena di Harry al
suo petto e massaggiare anche il suo membro bisognoso,
mentre le natiche sode sfioravano il proprio sesso. Si
allontanarono soltanto per riprendere fiato, ma Harry lo
riportò presto a sé.

Si voltò tra le sue braccia per incontrare un'ultima volta le


sue labbra piene e su queste soffiò «joyeux anniversaire,
mon petit soleil».

Louis gli sorrise innamorato e si sistemò tra le sue gambe


tremanti, percorse il suo addome tatuato e i suoi
capezzoli con la lingua e si lasciò guidare sempre più in
basso con le mani di Harry tra i capelli. Inglobò tra le
labbra il suo membro e ne assaporò la dolcezza, poi si
mosse lentamente su di esso, prima di penetrare ancora
la sua entrata con le dita e morbidi movimenti circolari,
per amplificare il suo piacere. Quando sentì il proprio
membro pulsare contro la coscia di Harry, capì di essere
giunto al limite e risalì il suo corpo. Era imperativo per lui
sentire Harry schiudersi intorno alla propria lunghezza,
colpirlo in profondità e ascoltare i suoi dolci respiri
spezzati dai gemiti nell'orecchio. Sospirò sulla sua bocca,
non appena Harry prese il suo membro e lo indirizzò
verso la sua apertura. Quest'ultimo gemette nel sentirlo
dentro di lui, nel sentire ogni venatura e increspatura del
suo membro contro le sue pareti calde, i suoi baci sulla

495
pelle e sulle sue palpebre strette tra loro per superare il
fastidio iniziale di quella penetrazione e godere del
piacere che piano a piano si espandeva nel suo corpo.

«Di più, voglio di più, Lou.» miagolò Harry al suo


orecchio, incontrando le sue spinte. «Più veloce.»

Louis seguì quell'invito, aumentando il ritmo delle spinte,


saziando i loro appetiti e cavalcando l'ondata di
adrenalina che lo aveva investito nell'ascoltare la voce
sottile di Harry incitarlo. Gli fece allacciare le gambe
attorno al suo bacino e lo baciò ancora sulle labbra
schiuse, sul collo, sulla guancia, mentre sentiva
nell'orecchio il respiro affannato di Harry dettare il ritmo
delle sue spinte e colpiva ripetutamente il centro del suo
piacere. E bastarono pochi affondi per portarlo al culmine,
perché il membro di Harry, stretto piacevolmente tra i
loro corpi, si riversò con fiotti caldi sulla loro pelle. Louis
lo seguì poco dopo e si lasciò andare sul suo corpo
sudato, godendosi gli strascichi dell'orgasmo e
nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, dove
imprimeva baci lenti e bagnati. Harry portò le mani ad
accarezzare la sua schiena, quasi per lenirla dai graffi e
dai segni che era certo di ritrovare la mattina successiva,
e respirava ancora a fatica per il caleidoscopio di
emozioni provato poco prima.

«Credi che Tom lo farebbe anche su di me?» chiese Louis


d'un tratto. «Il tuo tatuaggio, intendo.»

«Cosa?» rispose Harry. «Lo vorresti anche tu?»

«Non sarebbe la prima volta.» sussurrò, accarezzandogli


l'avambraccio. «Ma questo è speciale. Perché
quell'aeroplanino rappresenta il nostro punto di partenza,
il nostro primo incontro e la nostra lista, ma il Sole, la
Luna e le tre Stelle sono il nostro punto di arrivo.»

496
Quel disegno rappresentava i loro sogni trasformati in
realtà grazie all'amore e all'impegno che ogni giorno si
promettevano a vicenda. Quel Sole, quella Luna e quelle
Stelle erano una realtà che Harry non si era mai
permesso di desiderare prima dell'arrivo di Louis, prima
che quest'ultimo gli mostrasse non solo quanto fosse
bello sognare, ma anche realizzare i propri sogni. Erano
tutto ciò che aveva e per cui si sarebbe sempre sentito
grato e fortunato.

«Mi vuoi ancora una volta sulla tua pelle.» mormorò, non
trovando altre parole per descrivere il turbinio di emozioni
che provava. «Mi vuoi ancora.»

«Ti vorrò sempre, Harry.»

Louis lo disse ad occhi chiusi perché non c'era bisogno di


guardare Harry per fargli capire l'intenzione e
l'importanza delle sue parole. Le sentiva chiare nella sua
voce, che vibrava tanto era l'amore che in quel momento
il suo cuore accoglieva. Non c'era bisogno di aprire gli
occhi, non c'era bisogno di alzare le sue difese quando
erano insieme, perché poteva lasciarsi andare e
permettersi di amare ed essere amato a sua volta.

«Anche io, Lou.» mormorò, prima di lasciargli un bacio


tra i capelli. «Sempre.»

Harry tracciò delicatamente quel disegno anche sul petto


di Louis, proprio all'altezza del cuore, lì dove sarebbe
stato indelebile per sempre. Indelebile, come il segno che
Louis aveva lasciato nella sua vita migliorandola sotto
ogni aspetto. Realizzò presto che Louis non fosse soltanto
il suo Sole e i suoi figli non fossero soltanto tre piccole
Stelle luminose.

«Siete il mio intero universo, Lou.» mormorò Harry,


prima di schiudere le labbra sul suo petto e lasciarvi un
altro bacio.
497
E, forse, Louis si era già addormentato e non aveva
ascoltato le sue parole, ma non importava: dopotutto,
Harry aveva il resto della vita per dirgli ancora e ancora
quanto la Luna amasse il Sole e come brillasse grazie a
lui.

498
LE STAGIONI DELL’AMORE – L’AUTUNNO

Louis picchiettava il piede destro sull'asfalto bagnato,


desiderando ardentemente di stringere tra le dita una
sigaretta: non poteva, però, perché aveva smesso di
fumare anni prima e raramente rompeva una promessa
che aveva fatto, soprattutto a sua nonna Margot.

Il vento gli scompigliava i capelli e lo portava a stringersi


nella sua giacca scamosciata, mentre delle foglie dai
colori autunnali si rincorrevano poco più in là. L'indomani,
Harry lo avrebbe costretto a ripulire il giardino da tutte
quelle foglie gialle e arancioni e Louis già poteva sentire
la sua schiena lamentarsi davanti a quella prospettiva:
tuttavia, un sorriso tenero comparve sulle sue labbra
sottili al pensiero di Daisy e Edward che si sarebbero
tuffati tra quelle foglie con Olaf ad abbaiare e
scodinzolare felice al loro fianco. Quel pensiero fece
svanire in parte l'ansia che gli pesava sul petto, il
desiderio ardente di una sigaretta e tante altre
preoccupazioni almeno per qualche istante.

Peccato che non funzionasse con tutti.

Al suo fianco, poggiato allo sportello della sua


automobile, c'era un ragazzo più nervoso di lui. Si
stringeva in un semplice giubbetto di jeans che tra
qualche giorno si sarebbe rivelato inefficace contro
l'autunno londinese e rilasciava di tanto in tanto dei
bruschi sospiri, come se servissero a calmare i suoi nervi
tesi. I capelli color caramello erano nascosti per la
maggior parte da un cappellino che aveva rubato giusto
qualche ora prima a Louis in aeroporto e le palpebre,
strette tra loro per proteggersi dalle folate di vento più
fredde, nascondevano degli occhi verdi che avevano visto
fin troppo per l'età che Mikael aveva.

«Sei pronto?» chiese Louis, voltandosi verso di lui.

499
Raggiungeva quasi la sua altezza e non dimostrava i suoi
quattordici anni: nei suoi lineamenti spigolosi c'erano
anche la durezza e l'asprezza di tutto ciò che aveva
vissuto, degli anni trascorsi in svariate case-famiglia e
delle mancanze che aveva sopportato. Gli occhi, però,
sembravano ancora quelli di un bambino: erano puri,
dolci, inesperti, forse anche impauriti per la nuova
avventura che l'avrebbe atteso.

«Un altro po', ti prego.» mormorò Mikael.

«Okay, possiamo rimanere qui ancora per un po'. Non


abbiamo alcuna fretta, lo sai.»

«Hai detto che Harry non sopporta chi è in ritardo.»

«Harry capirà, non preoccuparti.»

«Sarà difficile, Lou?»

«Non voglio mentirti, Mikael. Sì, all'inizio sarà difficile


abituarsi alla tua nuova vita.»

«E poi migliorerà?»

«Col tempo, con tanto impegno e molta pazienza.»


ribatté, lasciandogli cautamente una dolce pacca sulla
spalla: notò con sorpresa che Mikael non sobbalzasse più
a quel contatto e sentì il petto gonfiarsi di orgoglio.
«Pensa al tuo inglese: un anno e mezzo fa lo parlavi a
malapena e ora sembri un vero e proprio Lord.»

Erano stati Harry e Louis a trovare qualcuno che gli


insegnasse la lingua e che fosse disposto ad andare nella
sua casa-famiglia di Minsk più volte a settimane per delle
lezioni di inglese private nell'anno e mezzo passato:
Mikael era sveglio, imparava velocemente e ormai non
abbassava più lo sguardo quando parlava in inglese con

500
Louis. E quest'ultimo amava vederlo così sicuro di se
stesso, perché non c'era nulla che Mikael non avrebbe
potuto fare con le giuste possibilità e il loro supporto.

Il ragazzo annuì. «Okay, sono pronto ora.»

«Ne sei sicuro?»

«Per niente.» bofonchiò, scuotendo la testa. «Ma se


rimaniamo qui fuori ancora per un po', tra poco ti
chiederò di tornare in aeroporto.»

«Andiamo, allora.» propose Louis, guidandolo verso il


vialetto di casa. «Penseremo più tardi a scaricare le
valigie e a sistemarle nella tua stanza.»

«Avrò una stanza tutta mia?»

«Certo che sì.» ridacchiò Louis. «Pensavi di dover


dividere la cuccia con Olaf e Ginger?»

«Non so, pensavo di doverlo fare con Edward.»

«Edward sa essere piuttosto disordinato e anche molto


rumoroso.» rispose Louis con un sorriso, mentre apriva il
cancelletto. «Io e Harry abbiamo pensato che meritassi
un po' di tranquillità e di privacy...sai, per ambientarti
meglio.»

Mikael annuì a testa bassa, mantenendo lo sguardo fisso


sulle foglie che calpestava, e Louis avrebbe voluto
soltanto che il ragazzo guardasse quella che da quel
momento in poi sarebbe stata casa sua. Quella villetta a
tre piani situata in un tranquillo quartiere residenziale a
nord di Londra sarebbe stata un posto in cui crescere,
divertirsi e imparare, un posto in cui sentirsi finalmente al
sicuro. E Louis soltanto sapeva quanto Mikael avesse
bisogno di sentirsi al sicuro.

501
Gli lanciò un'ultima occhiata, prima di infilare le chiavi
nella toppa del portone e aprirlo lentamente. E più il
portone color verde abete si apriva più il sorriso di Louis
si ampliava perché finalmente rivedeva tutto ciò che
aveva di più caro al mondo: la sua famiglia. Vide Harry
tirare un sospiro di sollievo alla sua sola vista e poi
ricambiare il suo sorriso dolcemente, Daisy essere al suo
fianco e stringere tra le braccia minute Ginger, Edward
fremere sul posto con un'espressione che era tutta un
programma e Olaf scodinzolare allegramente.

«Benvenuto a casa, Mika!» esclamarono all'unisono,


mentre Louis lo invitava con una spintarella a fare un
passo in avanti e a godere di quel calore familiare.

Edward non impiegò molto a correre verso di loro per


abbracciarli entrambi, cogliendo Mikael impreparato tanto
che quasi trattenne il respiro davanti a quello scontro-
incontro. Fu uno «scusalo, ma è troppo felice di rivederti»
sussurrato da Louis a farlo rilassare e a spingerlo a
ricambiare l'abbraccio del bambino che, intanto, già
diceva al suo papà quanto gli fosse mancato in quelle due
settimane di assenza. Un istante dopo, all'abbraccio si unì
anche Daisy che arricciò la punta del naso quando Louis
le scompigliò i capelli ricci e castani e le accarezzò la
guancia prima di stamparle un bel bacio sulla fronte.
Harry li guardava da lontano, con le mani nelle tasche
posteriori del pantalone a costine di velluto che indossava
e con un sorriso dolce, quasi timido. Louis gli fece cenno
di unirsi a quel grande groviglio che erano le loro braccia,
ma rifiutò. Mormorò un «goditelo tutto tu, gli sei mancato
così tanto», scosse la testa divertito e arricciò la punta
del naso così come aveva fatto sua figlia poco prima.

«Okay, okay.» affermò Louis, quasi annaspando in


quell'abbraccio. «Date un po' di tregua a Mika e
accompagnatelo in cucina così tra poco ceniamo!»

502
Mikael gli rivolse grato un sorriso quando Edward e Daisy
si allontanarono e lo invitarono ad abbandonare l'ingresso
per dirigersi in cucina, dove - a detta dei due - li
aspettava una cena buonissima preparata proprio con le
loro mani. Louis e Harry ridacchiarono, mentre li
ascoltavano battibeccare su chi avesse fatto di più in
quella cucina qualche ora prima: la verità era che Daisy
aveva soltanto condito le patate con sale e pepe e che
Edward aveva finito per mangiare quasi tutti i lamponi
utili a decorare il dessert, ma Harry non li corresse.
Dopotutto, volevano soltanto impressionare Mikael e farlo
sentire in qualche modo a casa. Quando le voci dei loro
figli divennero sempre più ovattate, i loro sguardi si
incrociarono, i loro sorrisi crebbero maggiormente e le
loro guance arrossirono persino. E non importava quanti
anni fossero passati o quanto amore l'uno avesse
respirato sulla pelle dell'altro, Harry e Louis avrebbero
sempre sentito le ginocchia tremolare, i loro cuori battere
all'impazzata e i loro occhi brillare ogni qual volta fossero
stati vicini.

«Vieni qui, mi sei mancato troppo in queste due


settimane.» mormorò Louis, allargando le braccia e
invitandolo a rifugiarsi tra loro. «Tocca a te abbracciarmi
e stavolta non puoi dirmi di no, ma Lune.»

Lui inclinò la testa di qualche grado, prima di scuoterla e


rifugiarsi nell'unica persona che lo faceva sentire sempre
al sicuro. Le loro braccia si incastrarono e si strinsero
forte, Harry si piegò di qualche centimetro e Louis si alzò
sulle punte così da raggiungere le sue labbra e baciarle
come meritavano. E, soltanto in quel momento, gli
sembrò di essere a casa per davvero, soltanto quando le
sue labbra sottili si modellarono a quelle di Harry, più
piene e morbide. Le loro lingue si cercarono affamate,
così come le loro mani che percorrevano i loro fianchi, la
schiena e, infine, il viso a riconoscere quei tratti che tanto
gli erano mancati.

503
«Ero così in ansia, Lou.» affermò Harry tra un bacio e
l'altro, mentre le mani inanellate gli accarezzavano il viso.
«Ho mangiato così tanti orsetti gommosi che Daisy e
Edward hanno dovuto nasconderli, altrimenti mi sarei
rovinato l'appetito per la cena!» aggiunse, mentre Louis
ridacchiava perché aveva riconosciuto quel familiare
sapore di fragola sulla punta della sua lingua. «Mi hanno
persino costretto a giocare a scarabeo fino a poco prima
che voi due arrivaste per tenermi impegnato in qualche
modo!»

«E chi ha vinto la partita?»

Lui lo guardò quasi offeso. «Lou, anche se sono molto


intelligenti, hanno soltanto otto e tredici anni! Ho vinto io
ovviamente!»

«Giusto, perché l'unico che è riuscito a batterti a


scarabeo sono io!»

Harry poggiò le mani sul suo petto e inarcò la schiena per


allontanare il viso dal suo perché, dopotutto, non era
cambiato così tanto: era sempre orgoglioso e sulle sue
capacità di giocare a scarabeo non si scherzava affatto.

«In realtà non hai mai vinto per davvero quel pomeriggio
perché quella partita non l'abbiamo mai terminata.»
ribatté Harry, curvando le sue labbra in un sorriso. «Mi
hai portato al centro di addestramento per piloti civili di
Southampton e sono tornato a volare, ma non sappiamo
con certezza come sarebbe finita quella partita. Eri
soltanto in vantaggio di qualche punto e hai anche
imbrogliato scrivendo saggio con tre "g"!»

Louis lo guardò mordendosi il labbro inferiore perché


amava che Harry ricordasse ogni singolo dettaglio della
loro storia e della loro vita insieme, persino quello che
agli occhi di un estraneo poteva sembrare il più sciocco:

504
era in quei momenti che capiva quanto il suo Asperger
fosse un'aggiunta e mai una sottrazione.

«Non importa chi avrebbe potuto vincere quella partita:


quel pomeriggio io ho vinto ugualmente perché tu sei
tornato a volare. Tieniti pure il tuo record di partite vinte
a scarabeo, io tengo stretto il mio.»

«E quale sarebbe?»

«Quello di essere l'unica persona al mondo che sa


renderti felice.» rispose Louis, mentre Harry alzava gli
occhi al cielo divertito. «Sempre.»

«E dei nostri figli che mi dici? Li hai dimenticati?»

«Okay, forse non sono l'unico che ti rende felice visto che
ci sono anche loro...» ammise sbrigativo. «...ma io ho più
assi nella manica di loro dal momento che posso fare
questo in veste di marito!» aggiunse con un sorriso
malizioso, prima di rifugiare il suo viso nell'incavo del
collo dell'altro e baciare la sua pelle nivea a più non
posso, fino a farlo desistere e a farlo ridacchiare
rumorosamente.

«A proposito...»

«A proposito di quello che faremo stanotte, non appena i


bambini saranno andati a dormire?» mormorò Louis sul
suo collo, rabbrividendo già al pensiero. «Ho grandi idee
in testa.»

«No.» ridacchiò Harry, prendendo il suo viso tra le mani e


costringendolo a ridurre le effusioni. «E non chiamarli
bambini: ormai hanno quattordici, tredici e otto
anni...sono ragazzi!» Louis scosse la testa perché doveva
ancora abituarsi a quel piccolo particolare. «Intendevo, a

505
proposito dei ragazzi...come mai avete impiegato tutto
quel tempo ad entrare tu e Mikael?»

«Non si sentiva pronto inizialmente.» sospirò Louis.


«Siamo rimasti sul vialetto a prendere respiri profondi e
qualche folata di vento di troppo.»

«Oh.»

«Penso sia normale, però.» ribatté presto per spazzare


via dalle labbra di Harry quel broncio che le aveva
arricciate. «Lo psicologo e l'assistente sociale ce lo
avevano detto, no? Mikael potrebbe impiegare del tempo
per trovare un posto tutto suo nella nostra famiglia e non
dobbiamo forzarlo. Ha bisogno di tempo e spazio per
abituarsi a questa nuova realtà e a noi quattro.»

«C-certo.» balbettò Harry, allontanandosi da lui ancora


dubbioso. «Allora dovremmo andare in cucina perché
Edward e Daisy non stanno seguendo affatto le
raccomandazioni dello psicologo. Insomma, gli sono
saltati addosso per salutarlo, poi lo hanno trascinato via e
ora gli staranno parlando a ruota libera di qualunque cosa
passi nelle loro teste.»

«Erano soltanto emozionati di rivederlo, non preoccuparti.


Gli parlerò di nuovo se credi sia meglio.» Louis si spogliò
della sua giacca di camoscio e la appese al guardaroba
dell'ingresso, prima di incamminarsi verso la cucina, dalla
quale sentiva già il vociare di Edward, Daisy e Mikael.
«Ma sta' tranquillo, sono soltanto dei bambini.»

«Ragazzi.»

E lui alzò gli occhi al cielo perché quel termine, quel


"ragazzi", implicava che le sue piccole pesti fossero
cresciute e lui non era ancora pronto a processare
quell'informazione, non ora che aveva quasi accettato di
aver superato i suoi quaranta anni.
506
«Lou?» lo richiamò Harry, rimasto indietro. «E tu lo sei?
Intendo, tu sei pronto?»

Louis pensava che non fosse e non sarebbe mai stato


pronto del tutto. Prendere in affido Mikael era stato un
grande rischio e avrebbe continuato a esserlo per il resto
della loro vita. Dopotutto, Louis lo aveva tirato fuori da
quella fredda casa-famiglia della periferia di Minsk e gli
aveva promesso così tanto: una casa accogliente, una
scuola capace di offrirgli degli strumenti validi per il suo
futuro, una famiglia sulla quale contare. Era facile
commettere errori quando la posta in gioco era così alta,
quando c'era in ballo il futuro di un'altra persona. E non
se lo sarebbe mai perdonato, non si sarebbe mai
perdonato di deludere o ferire Mikael dopo ciò che gli
aveva promesso.

Per questo, Louis pensava di non sentirsi affatto pronto.

Eppure, quella sera, per Harry soltanto, per rassicurarlo e


per non trasmettergli alcuna incertezza o negatività, si
costrinse a dire «sì» con il sorriso più ampio che le sue
labbra avessero mai indossato.

Quel lunedì mattina iniziò con i soliti capricci di Edward


che non voleva andare a scuola per rimanere a casa con
Mikael, con i capelli di Daisy che non volevano proprio
saperne di essere raccolti in una treccia ordinata e con
Louis che, per non fare ulteriormente ritardo a lavoro,
andò via di fretta e furia lasciando a Harry l'onore - o
forse, l'onere - di porre rimedio a quella grande
confusione.

Dopo aver portato a scuola Edward e Daisy, promettendo


all'uno di andare allo zoo nel fine settimana e all'altra di
prendere un appuntamento da un parrucchiere che
l'aiutasse a gestire la sua chioma di capelli ricci, Harry
507
tornò a casa soltanto per qualche ora. Nel primo
pomeriggio Mikael avrebbe sostenuto un test per capire
quale classe avrebbe dovuto frequentare in base alla sua
preparazione e Harry si ritrovò ad accompagnarlo e
sostenerlo completamente da solo dal momento che Louis
era impegnato con l'associazione. Mormorò un semplice
«buona fortuna» a Mikael, prima che quest'ultimo gli
facesse un cenno per ringraziarlo ed entrasse nell'aula
accompagnato dalla preside.

In attesa che lui svolgesse il test, Harry si sedette su una


scomoda panca di legno al di fuori di quell'aula.

Aveva gli occhi chiusi, i lineamenti del viso finalmente


rilassati e le mani a riposare sul suo grembo: quello fu
l'unico momento che riuscì a concedersi per sé dall'inizio
della giornata, la quale avrebbe dovuto essere il suo
giorno libero. Tuttavia, con il passare degli anni, aveva
capito che raramente i suoi giorni liberi dal lavoro si
rivelavano realmente tali. C'era sempre così tanto da fare
in casa, c'erano i ragazzi da accompagnare alle lezioni di
piano o di karate, c'era Louis che gli ricordava di passare
al supermercato perché il loro frigo era vuoto, c'era Olaf
che lo pregava di fare una passeggiata non appena si
sedeva sul divano. Insomma, a volte le sue giornate
erano così piene e impegnate da rendere quel paio d'ore
trascorse su una scomoda panca all'interno della scuola
dei suoi figli quasi piacevole.

Il cigolio di una porta lo ridestò all'improvviso, facendolo


sobbalzare e voltare nella direzione dell'aula dalla quale
Mikael uscì piuttosto stravolto. I suoi capelli erano un
nido di rondini, i suoi occhi verdi stanchi e il rossore sulle
sue guance quasi nascondeva le lentiggini che le
ornavano solitamente. Tra le sue mani stringeva una
penna e il cappellino che un tempo apparteneva a Louis e
dal quale ultimamente non si separava mai.

«Allora?»
508
«È andata bene, credo.»

La voce di Mikael uscì quasi a fatica dalle sue labbra,


segno di quanto fosse stato difficile per lui svolgere quel
test. Eppure, era andata bene: presto avrebbe cominciato
un nuovo capitolo della sua vita, avrebbe imparato cose
che fino a poco tempo prima gli sembravano impossibili,
avrebbe potuto farsi dei nuovi amici. Harry si aprì in un
sorriso dolce e tutta la tensione di quella giornata andò
via lasciando spazio soltanto a quella bella notizia e
all'orgoglio che provava. Esclamò un «complimenti,
Mika!» e si sporse verso di lui, forse per abbracciarlo se
l'altro glielo avesse mai permesso, forse per sentirlo più
vicino.

Eppure, il ragazzo fece un passo indietro. Al posto


dell'abbraccio Mikael gli offrì inaspettatamente una stretta
di mano e Harry, confuso sul da farsi e dalla sua
reazione, la accettò senza far domande.

Non era estraneo alla scelta di limitare il contatto fisico


perché lui per primo era sempre stato restio a qualunque
effusione per via del suo Asperger: eppure, negli anni,
aveva imparato ad amare i caldi abbracci dei suoi figli, i
baci di Louis, i pizzicotti che nonna Margot gli lasciava
sulle guance quando era ancora in vita. Capiva in parte
quel rifiuto, ma non poté fare a meno di pensare che
quella stretta di mano ponesse chilometri e chilometri tra
lui e Mikael. Prima che uno dei due potesse dire qualcosa
e spezzare quel silenzio imbarazzante, la preside uscì
dall'aula e confermò a Harry il buon esito del suo test e
quale classe avrebbe frequentato Mikael, prima di
indirizzarli in segreteria per finalizzare l'iscrizione e
acquistare le divise scolastiche.

Più tardi, mentre Harry guidava nel traffico di Londra e


della pioggia sottile bagnava il parabrezza della sua
automobile, Mikael guardava al di là del finestrino
pensieroso.
509
«Ti troverai bene nella tua classe.» azzardò, svoltando a
destra e lanciandogli un'occhiata di sottecchi. «Sarai con
Theo, il figlio di Niall e Lisa. Lo ricordi?»

Mikael annuì. I due si erano conosciuti quasi un anno


prima, quando gli assistenti sociali che si occupavano del
suo caso avevano accordato a Louis, allora tutore di
Mikael, di portarlo a Londra per un paio di settimane.
Quel viaggio era servito al ragazzo per capire come fosse
il mondo al di fuori della casa-famiglia, al di fuori di Minsk
e di tutto ciò che rappresentava per lui quella città.
Mikael aveva conosciuto Daisy, Edward e i loro familiari,
aveva rivisto Harry, aveva osservato con gli occhi che
brillavano di meraviglia una città di cui aveva soltanto
sentito parlare. Non aveva legato granché con Theo dal
momento che parlava a malapena in inglese, ma Harry
pensava che avere un volto amico nella sua classe lo
avrebbe aiutato molto ad ambientarsi e a non sentirsi
solo.

«Niall è simpatico.» commentò Mikael. «Mi piace il suo


accento, fa sembrare il mio meno strano.»

«È perché è irlandese e se glielo fai notare ti dirà che è


grazie al suo accento che ha conquistato Lisa, perché era
"esotico" a detta sua.» ridacchiò Harry, scuotendo la
testa. «Comunque, anche Theo è molto simpatico ed è un
bravo ragazzo. Daisy ne è follemente innamorata da
quando era piccola.» Morse all'istante il suo labbro
inferiore perché, forse, quell'ultimo dettaglio avrebbe
potuto evitarlo. «Ehm, dimentica l'ultima cosa che ti ho
detto per favore.»

«Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me.»

Harry annuì, anche se la frase pronunciata da Mikael non


lo rassicurava granché. Era convinto che il ragazzo
nascondesse fin troppi segreti dal momento che non
parlava spesso di sé, della sua vecchia vita a Minsk o di
510
qualunque altra cosa lo coinvolgesse in prima persona.
Era una persona taciturna e Harry rispettava quel suo lato
caratteriale perché lo comprendeva a pieno, ma a volte lo
era fin troppo: sul suo volto e nelle sue parole c'era una
reticenza particolare, una reticenza che serviva a
nascondere molto, forse troppo, di sé.

Eppure, Harry non ebbe modo di pensarci molto per il


resto della giornata.

Tornato a casa, si diede alle faccende domestiche, mentre


Mikael giocherellava con Olaf in giardino e Ginger li
osservava dalla porta finestra del soggiorno non sfidando
il venticello fresco di fine settembre. Giunta la sera, Harry
era semplicemente sfinito. Stava salendo le scale con
passo lento e mogio, tra le sue braccia c'era una cesta di
indumenti lavati e stirati, quando delle risate ovattate lo
incuriosirono. Raggiunse con passo felpato il piano
mansardato che ospitava la stanza di Mikael e lì indugiò
per qualche istante, nascondendosi dietro la porta
lasciata socchiusa ad ascoltare con più attenzione quel
vociare tanto familiare.

«Devo davvero indossare questa divisa?» chiese Mikael


infastidito. «Tutti i giorni?»

«Sì, altrimenti prenderai delle note.» rispose Edward: dal


poco che Harry riusciva a vedere, era disteso a pancia in
giù sul letto dell'altro e dondolava le gambe spensierato.
«Io anche le odiavo, ma poi...»

«...poi io e Harry abbiamo indossato delle giacche simili


alla sua per settimane e lui si è finalmente convinto di
non sembrare un maggiordomo.» concluse Louis,
guardando il riflesso di Mikael nello specchio reggere tra
le mani una giacca in tartan blu. «Andiamo, facci vedere
come ti sta!»

511
Mikael lo guardò riluttante. Soltanto dopo aver preso un
respiro profondo, indossò la giacca e si voltò verso Louis
che lo fissava già sorridente. E Harry, ancora nascosto
dietro la porta di legno, provò quasi un moto di gelosia
nel vedere gli occhi blu di Louis brillare in quel modo.
C'era una connessione speciale tra Mikael e Louis,
qualcosa che Harry ancora non era riuscito a capire,
qualcosa che gli permetteva di abbracciarlo, di sfiorarlo e
semplicemente parlargli senza provocargli un sussulto o
del fastidio. Mikael si fidava ad occhi chiusi di lui e, ogni
qual volta lo notava, Harry si sentiva irrimediabilmente
tagliato fuori.

«Sei proprio un damerino, anzi, un piccolo Lord!» scherzò


Louis, sistemandogli meglio la giacca, mentre Mikael si
scostava da lui imbarazzato e Daisy e Edward
ridacchiavano. «Siamo fieri di te e farai colpo su tutti
lunedì prossimo!»

Nonostante le iniziali rimostranze, Mikael si lasciò persino


abbracciare e Harry vide il suo volto rilassarsi sulla spalla
di Louis. Conosceva bene quella sensazione, quel calore
che gli abbracci di suo marito sprigionavano, quella
sicurezza che le sue braccia forti erano in grado di dare.
In fondo capiva Mikael, seppure si sentisse così lontano
da lui o da quello che lui e Louis avevano.

D'un tratto, Harry venne distratto da una serie di passi


che lo costrinsero a indietreggiare e a sobbalzare dallo
spavento quando Daisy uscì dalla stanza e lo sorprese sul
pianerottolo.

«Papà!» esclamò lei, aggrottando le sopracciglia castane.


«Che ci fai qui? Stavi origliando per caso?»

«Assolutamente no, princesse!» ribatté con un tono


offeso. «Ero qui per mettere a posto i vestiti di Edward.»

512
«Ma la camera di Edward è di sotto.» precisò, incrociando
le braccia al petto e curvando le labbra in un sorriso
sghembo. «Per caso hai perso il senso
dell'orientamento?»

«E tu invece? Cosa ci fai qua fuori?»

«Volevo prendere le foto del primo giorno di scuola di


Edward per farle vedere a Mika.» spiegò eccitata. «Hai
presente quella in cui sembra che stia per andare al
patibolo?» Harry annuì divertito perché ricordava bene
quel giorno e le foto che avevano scattato. «Ecco,
pensavo che sarebbe stato divertente fargliele vedere per
farlo distrarre un po'. Tu che fai? Entri e mi aspetti con gli
altri?»

Harry esitò per un istante, prima di scuotere la testa e


stringere saldamente la cesta dei panni che aveva tra le
braccia. «Non posso, devo sistemare questi e poi
preparare la cena.» Distolse il suo sguardo da quello di
sua figlia e lo puntò al parquet in legno. «Scendete tra
un'ora e non fatevi chiamare troppe volte per la cena, mi
raccomando.» Poi, le lasciò una carezza sulla guancia e si
diresse al piano inferiore.

Non sapeva se la sua fosse stata la scelta giusta, ma in


quel momento, con la stanchezza di un'intera giornata a
pesare sulle spalle e con l'intera cena ancora da
preparare, non ebbe neanche il modo di pensarci.

Quella notte Louis sentì il respiro di Harry scandire


rumorosamente ogni istante.

Si erano dati la buonanotte circa un'ora e mezza prima,


ma Louis sapeva che l'altro non avesse mai chiuso occhio
per davvero: gli aveva dato le spalle, aveva tirato su le
coperte fino all'orecchio ed era rimasto immobile da quel
513
momento in poi. E quello non era il suo Harry. Harry
finiva sempre per accoccolarsi a lui, lo abbracciava per
appropriarsi del suo calore e si addormentava con le
labbra sul suo collo perché era lì che preferiva lasciare i
suoi teneri baci. E da un paio di anni Harry dormiva
sempre con la mano sul suo petto, posizionata all'altezza
del cuore, lì dove le linee del tatuaggio che avevano in
comune raccontavano il loro più grande desiderio.

«Harry, cosa c'è?» chiese Louis, sistemando la schiena


contro la spalliera imbottita del letto.

«Mph?» bofonchiò l'altro. «Cosa c'è?»

«Non lo so, dimmelo tu.» Accese l'abat-jour sul


comodino, costringendo Harry a nascondere il viso dietro
i palmi delle mani per abituarsi alla luce. «Abbiamo fatto
l'amore poche ore fa, ma non eri qui. Ci siamo dati la
buonanotte, ma non hai dormito neanche per un istante.»

«Potremmo dormire ora.»

«No, non dormiremo fino a quando non mi dirai cosa ti


passa per la testa.» ribatté, mentre l'altro si stropicciava
gli occhi stanchi con le mani chiuse a pugno e arricciava
le labbra in un broncio. «Perché sei così pensieroso
stanotte?»

Harry specchiò la sua posizione e sospirò, tirando giù le


coperte fino ai fianchi.

«Mikael.»

L'espressione di Louis si contrasse. Sapeva che Harry


fosse preoccupato per l'affido di Mikael: dopotutto, non
era nelle sue corde amare le incognite e quel ragazzo ne
era decisamente una. Mikael non rientrava in alcuna
statistica o previsione, era qualcuno che avrebbe potuto

514
minare la sua stabilità e la sua vita, che tanto aveva
ancora bisogno di ordine e punti fermi. Harry risultava
ancora preoccupato e timoroso, esattamente come lo era
stato circa due anni prima, quando Louis era tornato a
casa dal suo viaggio a Minsk per conto dell'associazione e
gli aveva raccontato di aver incontrato Mikael. Gli aveva
parlato di un ragazzino che si era aggrappato al suo
cappotto per non farlo andare via dalla casa-famiglia e
che lo aveva guardato con gli occhi verdi colmi di
speranza. Quegli occhi dicevano tra le tante altre cose
anche «rimani». E Louis era rimasto un altro giorno, poi
un altro e un altro ancora: i due non parlavano molto a
causa della barriera linguistica che li divideva, ma si
capivano a gesti e con un solo sguardo. E non c'era
nient'altro da capire, oltre al fatto che Mikael avesse
disperatamente bisogno di una famiglia che lo amasse.

«E se fosse lui la terza Stella, Harry?» aveva detto due


anni prima, stringendo le mani di Harry e riferendosi al
loro tatuaggio. «Se il destino lo avesse messo sul nostro
cammino per questo? Possiamo aiutarlo, possiamo dargli
un'altra possibilità.»

Dopo quella conversazione, Harry aveva messo da parte


culla e bavaglini, abbandonando il pensiero di avere un
altro bambino a gattonare per casa. Louis lo aveva
portato a Minsk qualche mese dopo per permettere ai due
di conoscersi, affinché Harry vedesse ciò che lui stesso
aveva scorto in Mikael: quel suo sguardo triste che
nascondeva un'infinita dolcezza e tante storie che forse
non avrebbero mai visto la luce, quel suo sorriso che
spuntava sulle sue labbra raramente ma che poteva
illuminare una stanza intera. Il loro primo incontro era
stato un insieme di frasi spezzate dall'imbarazzo e di
occhiate furtive, di sguardi che si studiavano e di sorrisi
timidi sulle labbra. Quel giorno Harry aveva portato con
sé il suo scarabeo preferito, quello di legno e che aveva
fin da bambino, e lo aveva porto a Mikael: quest'ultimo
aveva guardato quell'oggetto confuso e, soltanto dopo la

515
traduzione dell'assistente sociale che si occupava del loro
caso e qualche esitazione, lo aveva accettato e lo aveva
stretto al petto.

«È il mio gioco da tavolo preferito, lo ho fin da bambino


ed è stato il mio miglior amico per molto tempo. Così ti
eserciterai con la lingua e ti ricorderai di me.» aveva
detto Harry con la voce tremolante e la mano stretta a
quella di Louis. «Anche quando non sarò qui.»

E i mesi successivi non erano stati facili tra il parlare a


Edward e Daisy della loro decisione, i viaggi sempre più
frequenti a Minsk, le visite degli assistenti sociali e i
colloqui con i loro figli che si dimostravano sempre
entusiasti e comprensivi, le sedute con lo psicologo che si
erano raddoppiate perché per Harry quell'affido era stato
tanto da processare. Eppure, nonostante Louis stesso
fosse nervoso a riguardo, non aveva mai pensato che
insieme a Harry avrebbe potuto fallire, soprattutto perché
Mikael e suo marito erano più simili di quanto pensassero.
Era convinto, però, che non avrebbe dovuto farglielo
notare e che prima o poi lo avrebbero scoperto da soli.

«Cosa succede con Mikael?»

«Niente, non succede nulla.» rispose Harry, incrociando le


braccia al petto. «Sono passate settimane da quando è
arrivato e non è successo nulla. Tra me e lui non c'è stato
neanche un miglioramento e non fate altro che ripetermi
di essere paziente, ma sai che non è la mia migliore
qualità.» Louis sorrise teneramente a quella precisazione.
«Non sono fatto per essere paziente...o forse non sono
fatto per Mikael.»

«Harry, credo che ti stia sbagliando su tutta la linea.»


rispose sereno Louis, ormai abituato ad arginare le crisi di
suo marito. «In questi anni hai imparato a essere molto
paziente. Le marachelle di Leo, Olaf e Ginger, i capricci di
Edward e Daisy, il mio disordine e le mie assenze ti
516
hanno fortificato così tanto e a volte mi chiedo come
faccia a sopportarci tutti.»

«Per me non è uno sforzo, non è un qualcosa che mi pesa


fare, io vi amo e basta.»

Louis inclinò di qualche grado il suo capo, mentre le dita


di Harry si tendevano verso di lui e gli sistemavamo la
frangia sulla fronte in un gesto affettuoso. Non capiva
come Harry potesse ancora essere così insicuro di se
stesso a volte, come non vedesse che meraviglioso uomo
fosse diventato o i progressi che aveva compiuto nei
diciassette anni precedenti, come potesse pensare di non
essere adatto a Mikael quando quei due erano così simili
tra loro.

«Lo so ed è per questo che ti amiamo così tanto anche


noi, mon petit.» affermò Louis, prendendogli la mano tra
le sue, baciandone il dorso e poi la parte tenera del polso.
«Ma devi capire che per Mikael è tutto nuovo: ha bisogno
di tempo per abituarsi alla scuola, alla nuova routine, a
tutti noi.»

«L'altro giorno eravamo in cucina ed eravamo in silenzio


da più di un'ora. Quel silenzio mi ha fatto impazzire e
innervosire così tanto che gli ho sciorinato una sfilza di
informazioni su un documentario che io e Daisy avevamo
guardato la sera prima.» confessò. «Lui mi ha guardato
per un tempo che mi è sembrato infinito e poi se ne è
andato in camera sua perché doveva studiare.
Semplicemente, non voleva avermi intorno.»

«Beh, forse Mika non è tanto interessato ai documentari.


Forse, potresti proporgli di giocare a calcio o di andare in
piscina un pomeriggio di questi. Il suo professore di
educazione fisica ha detto che eccelle negli sport
d'acqua.»

517
«Ottimo, io odio le piscine e gli sport d'acqua.» ribatté
con un broncio. «E pensavo che li odiasse anche Mika dal
momento che si è fatto comprare quasi una muta da sub
per le lezioni di nuoto a scuola.»

Louis ridacchiò e poggiò la guancia sulla spalla dell'altro.


«Troverai qualcosa che aiuterà a cementare il vostro
rapporto prima o poi, ne sono sicuro.»

«E se non dovessi trovarlo?»

«Non fa niente, Mikael ti amerà lo stesso per quello che


sei, anche se ti sembra di essere così diverso da lui. Non
è così?» chiese, lasciandogli un bacio sulla spalla. «Non è
quello che mi hai detto qualche mese fa tu stesso?»

«Lo è.» rispose Harry, mordendosi il labbro inferiore.


«Scusami, Lou. Scusami per averti assillato con le mie
paranoie, per non averti fatto dormire e anche per il
sesso mediocre di poco prima.»

«Ehi, chi ti ha detto che è stato mediocre?» scherzò


Louis, prima di farsi più serio. «Non devi scusarti per
nulla, avere dei dubbi o delle paranoie è normale e io
sono molto fiero di te, Harry. Sei il mio orgoglio più
grande, lo sai. È un gioco di squadra, okay? Io, te e i
ragazzi. Tutti loro.»

Harry annuì. «Riusciremo a far sentire a casa anche


Mikael. Dopotutto, tu lo hai fatto anche con me. Sei
riuscito a farmi sentire a casa in un posto che mi
spaventava e mi confondeva la maggior parte del tempo
tanti anni fa. Sei così bravo nell'aiutare chi ne ha bisogno
e ti amo così tanto per questo.» soffiò sulle sue labbra.
«Je t'aime, mon petit Soleil.»

Louis arrossì perché ai complimenti di Harry lui non si


sarebbe mai abituato. «Ti amo anche io, ma Lune.»

518
Il tempo di rivolgergli un sorriso genuino e le labbra di
Louis furono catturate da quelle di Harry.

E fu un bacio così diverso dai precedenti, da quelli che


l'altro gli aveva dato poco prima quella notte. Quei baci
erano passionali, confusi, sporchi e profondi, erano Harry
che voleva imprimere sulla sua bocca e sulla sua pelle
calda l'amore e la devozione per lui e Louis che lo
accoglieva perché non avrebbe potuto mai fare altrimenti.
E li guidavano a scoprirsi ancora una volta, tra sussurri
perché era notte fonda e i ragazzi non avrebbero mai
dovuti sentirli e la luce fioca dell'abat-jour che
accarezzava dolcemente i loro profili. Lasciavano una scia
calda e bagnata lungo il collo, il petto, all'altezza del
cuore e del loro più recente tatuaggio, lungo gli
addominali tesi e sul ventre che si contraeva per il
piacere al pensiero di quello che sarebbe successo di lì a
poco.

«Perfetto.» mormorò Harry, massaggiando il suo membro


già duro con il palmo di una mano e lasciando che l'altra
si concentrasse a stringergli un fianco, mentre le sue
labbra imprimevano baci bagnati sulla punta rossa e
bagnata. «Sei perfetto, Lou.»

Louis sorrise maliziosamente, prima di lasciare andare il


capo all'indietro e mordersi il labbro inferiore per non
dare voce al piacere che montava nel suo bassoventre ad
ogni affondo delle labbra morbide e rosse dell'altro.
Sorrise perché non era affatto perfetto, perché gli anni
passavano e il suo corpo cambiava con lui. Tra la chioma
color caramello sempre più presenti erano quei fili grigi
che segnavano il tempo, le rughette agli angoli degli occhi
erano più profonde e persino i suoi muscoli erano meno
tonici per quanto giocasse a calcetto con Niall ogni
venerdì sera. Eppure, agli occhi di Harry, era sempre
bellissimo. Lui, per primo, guardandosi attraverso i suoi
occhi verdi si sentiva bellissimo.

519
Ed era questo l'amore, quello che sentiva insinuarsi
sottopelle e in ogni lembo del suo corpo, tra anima e
cuore, ogni volta che Harry lo guardava e gli diceva
quanto fosse perfetto anche se era quanto più lontano
dalla perfezione in quel momento.

D'altro canto, per Louis quella parola descriveva Harry,


Harry soltanto. Harry che, arrivato alla soglia dei
quarant'anni, sembrava ancora un ventenne con quelle
fossette sulle guance e quei boccoli castani che gli
incorniciavano il viso, con il suo corpo snello e i suoi
muscoli tonici dovuti alle lunghe corse al parco, con le sue
camicie dalle stampe particolari e gli stivaletti sempre
lucidi. Se chiudeva gli occhi, Louis poteva sentire sotto i
suoi polpastrelli l'Harry ventenne che si lasciava scoprire
per la prima volta: mancavano soltanto i suoi lunghi
boccoli castani a solleticargli le spalle, quelli che lui non
aveva più fatto crescere con il suo grande disappunto.
C'era stato il periodo della barba, quello di una frangia
simile alla sua e, addirittura, quello dei baffi che Harry poi
aveva finito per radere perché irritavano la pelle delicata
di Louis, ma i capelli lunghi non erano mai tornati. Poco
importava, però, perché Louis amava quei ricci anche
corti. Quegli stessi ricci che ora stringeva in un pugno per
guidare l'altro nei suoi affondi, per tirarlo su e indirizzarlo
sulle sue labbra, per avvicinarlo a sé, assaggiarlo
profondamente e percepire il suo stesso sapore sulla
punta della lingua.

«Ti voglio, ancora.» soffiò sulla sua bocca dischiusa,


leccando il suo labbro inferiore un istante dopo. «Non
resisto più.»

«Prendimi, Lou.» mormorò Harry, a cavalcioni su di lui e


ansimando sulle sue labbra quando sentì le dita di Louis,
fredde e bagnate dal lubrificante, premere sulla sua
apertura. «Je suis à toi.»

520
«Sempre mio.» disse Louis, prima di muovere in cerchi
morbidi le sue dita per prepararlo e sfiorare il suo punto
più sensibile. «Sempre nostri.»

Erano loro quei momenti, quelli in cui l'uno si sgretolava


sotto il sapiente tocco dell'altro soltanto per essere tenuto
insieme da un suo abbraccio un istante dopo, quelli in cui
il piacere era così forte da annebbiare ogni senso, quelli
in cui abbandonata ogni paura Harry e Louis si univano
per formare un intero. E ancora, quella notte, Harry
affondò su Louis, inglobando lentamente dentro di sé ogni
centimetro del suo membro, respirando amore sulla sua
pelle e graffiandogli la schiena per tenerlo quanto più
possibile stretto a sé. E Louis si spinse dentro di lui senza
alcuna esitazione, stringendo i suoi fianchi stretti e
morbidi e baciandogli le clavicole, l'aeroplanino d'argento
sempre al collo, la bocca e il mento tra una spinta e
l'altra.

Quella notte, Harry aveva bisogno soltanto di sicurezza,


di spinte vigorose e precise a colpire il suo punto più
sensibile e di mani che lo tenevano stretto a sé, di dolci
«je t'aime» sussurrati all'orecchio e di promesse che
Louis non avrebbe mai infranto. E quest'ultimo non
riusciva neanche a ricordare l'ultima volta in cui avevano
fatto l'amore in quel modo, così profondo e lento, ma non
importava. L'importante era che, nonostante il lavoro, gli
impegni e le preoccupazioni dei ragazzi, Harry e Louis
riuscissero sempre a ritrovarsi in qualche modo.

E se quel modo prevedeva suo marito ancora tremante


per il piacere tra le sue braccia e il proprio ventre sporco
del suo orgasmo, un cuore che batteva erratico per
l'amore che lo aveva appena consumato e delle
espressioni stanche ma anche complici, Louis avrebbe
ritrovato Harry ogni maledetta volta.

521
Da qualche anno festeggiare Halloween a casa
Tomlinson-Styles era una questione importante.

I preparativi ai festeggiamenti iniziavano alcuni mesi


prima, quando Harry compieva qualche ricerca sul web
per ideare i costumi più originali per tutta la famiglia.
Amici e parenti ancora lodavano ciò che aveva realizzato
qualche anno prima: al costume di Amelia Earhart
indossato da Daisy ne aveva affiancato uno da aeroplano
per il piccolo Edward, mentre lui e Louis si erano vestiti
da bianche e soffici nuvole. L'allestimento degli addobbi,
invece, lo riservava alle settimane precedenti il trentuno
ottobre: il loro vialetto si popolava di zucche di ogni
colore e dimensione, di finte ragnatele e lapidi grigie
dall'aspetto terrificante. E non meno importanti erano i
dolci: per giorni provava le ricette più gustose e,
nonostante spettasse agli Horan organizzare la festa di
Halloween di quartiere quell'anno, si era assicurato che
tali leccornie imbandissero ugualmente il loro tavolo
poiché non erano esattamente ottimi cuochi.

Quella mattina, a una settimana da Halloween, Harry


portò l'intera famiglia e gli Horan in un campo di zucche
non molto lontano da Londra. Impiegarono il doppio del
tempo per giungere a destinazione dal momento che
Edward vomitò durante il tragitto per il mal d'auto e ai
gemelli, James e Noel, scappò spesso la pipì e mai
contemporaneamente. Eppure, dopo varie soste e
interminabili ore, giunsero sani e salvi alla fattoria dei
Sullivan, organizzata in vari casolari a mattoncini bruni e
sterminati campi che lasciavano intravedere colture,
cavalli e mucche.

La signora Sullivan li accolse con una tazza di tè e alcuni


shortbread alla mela e cannella, prima di indirizzare
Edward e i gemelli da suo marito, che li aspettava nel
recinto dei pony per offrire loro un giro a cavallo. Harry fu
in ansia tutto il tempo e fu quasi tentato di scavalcare il

522
recinto e prendere tra le braccia suo figlio quando
quest'ultimo esclamò «guarda papà senza mani!».

«Harry, sta' tranquillo.» lo rassicurò Louis, stringendosi al


suo fianco e salutando Edward da lontano. «Il signor
Sullivan non gli toglie gli occhi di dosso e nostro figlio ha
il casco. Pensiamo a fare qualche foto piuttosto o le
nostre madri ci uccideranno se non avranno una foto di
Edward su quel pony!»

Lui annuì e tentò di godersi maggiormente


quell'esperienza, così come Louis gli aveva suggerito, ma
non nascose di essere piuttosto sollevato quando il
bambino smontò dal pony e corse tra le sue braccia felice
ed emozionato.

«Non vedo l'ora di raccontarlo al nonno, dobbiamo farlo


assolutamente insieme!» esclamò Edward, prima di
dirigersi verso l'area gioco della fattoria con i gemelli, e
Harry si ritrovò a sperare con tutto il cuore che a Ethan
non piacesse cavalcare così da non provare nuovamente
quell'ansia che gli aveva stretto lo stomaco fino a poco
prima.

Sapeva di essere molto protettivo con i suoi figli, ma era


qualcosa che non riusciva proprio a controllare. Louis gli
ripeteva continuamente che avrebbe dovuto allentare un
po' la corda, ma per Harry era difficile pensare che presto
o tardi i suoi figli non avrebbero più avuto bisogno della
sua protezione. E il fatto che ultimamente percepisse
tutto in modo più amplificato non lo aiutava affatto
nell'affrontare anche quel cambiamento, soprattutto
perché a lui i cambiamenti non erano mai piaciuti
granché.

Anche Theo, Daisy e Mikael non scelsero attività meno


pericolose di cavalcare un pony a suo avviso.

523
«Sei bravissimo, Mika.» si complimentò Louis, osservando
il volto terrificante che il ragazzo aveva intagliato sulla
superficie ruvida e arancione della zucca. «Ora che
abbiamo scoperto questo tuo talento, Harry ti farà
intagliare tutte le zucche che comprerà oggi!»

Louis scompigliò con una mano i capelli color caramello


del ragazzo e quest'ultimo ridacchiò arrossendo. Harry
aveva notato che Mikael non fosse molto avvezzo a
ricevere complimenti. Era solito arrossire o scuotere la
testa davanti alle lusinghe e quel particolare diceva molto
di lui e della vita che aveva vissuto nell'orfanotrofio di
Minsk. Sapeva, però, che Louis avrebbe fatto bene al
ragazzo: nessuno era più bravo di suo marito nel tirar su
di morale qualcuno, nell'essergli sempre di supporto o nel
renderlo felice.

«Non ti metterò ai lavori forzati Mika, puoi starne certo.»


si intromise Harry, lanciando un'occhiataccia a Louis. «E
non vi preoccupate voi due» si rivolse a Theo e a Daisy,
che osservavano sconsolati le loro zucche mal intagliate
«anche le vostre opere d'arte finiranno nel portabagagli e
avranno un posto in prima fila sul vialetto!».

Più tardi lasciarono i ragazzi nella serra a intagliare le


zucche e a divertirsi tra loro e raggiunsero Niall e Lisa,
che li aspettavano fuori con una carriola e Olaf. Louis
prese il guinzaglio del cane dalle mani di Niall e si mise
sottobraccio a Lisa, prima di incamminarsi verso il campo
di zucche, seguito dagli altri due.

«Quindi, niente costumi abbinati quest'anno?» chiese


Niall al suo fianco.

«Non me lo ricordare.» sbuffò, infilando le mani nelle


tasche del cappotto a quadri che indossava. «Non
pensavo che quei tre si sarebbero ribellati a noi così
presto sinceramente.»

524
«Benvenuto nel club, Harry. I gemelli si ribellano a me e
a Lisa dal momento esatto in cui sono nati.» ridacchiò
Niall e lui non stentava a crederlo perché James e Noel
mettevano a dura prova l'esistenza e la pazienza di
chiunque. «Vedrai che questa storia passerà in fretta, tra
qualche giorno non ci penserai più.»

«E pensare che avevo quasi terminato tutti i costumi e...»


esitò, fermandosi a osservare una zucca verdognola per
poi soppesarla tra le mani e metterla nella loro carriola.
«...insomma, lo sanno tutti che Halloween è diventata
la mia festa: l'abbiamo chiamata anche Harryween!»

E nessuno avrebbe potuto contraddirlo perché era l'unico


tra loro a dedicarsi completamente alla riuscita di quella
festività, dall'allestimento alla scelta dei costumi, dai
dolciumi ai film da far vedere ai ragazzi e ai loro amici
quella sera o alle attività da svolgere insieme.

«Amore, anche il Natale è la tua festa a detta tua.» lo


corresse Louis, voltandosi nella sua direzione, prima di
liberare Olaf e lasciarlo scorrazzare nel campo di zucche.
«Di solito tendi a prendere il controllo su tutto ciò che ti
piace così da farlo come vuoi tu e non rimanerne deluso.»

«E mi biasimi? Guarda cosa succede quando lasci i tuoi


figli ribellarsi e prendere delle decisioni da soli!» esclamò,
incrociando le braccia al petto. «Saremo soltanto dei
noiosi Capitan Uncino e Peter Pan alla festa senza i tre
fratelli Darling!»

«Potremmo far vestire Olaf da Nana, però!» propose


Louis. «O Ginger da Trilli!»

«Non puoi far vestire uno Shiba Inu da San Bernardo, è


eticamente scorretto!»

E prima che Louis potesse ribattere a quell'affermazione,


Lisa si intromise schiarendosi la voce e aggiustando i suoi
525
occhiali neri sul ponte del naso. «Sono soltanto dei
ragazzi, Harry. Stanno crescendo ed è normale che pian
piano si distacchino da voi. Magari, vogliono cercare la
loro identità anche nei costumi da indossare a
Halloween.»

«La loro identità?» chiese Harry confuso. «Lisa, quei tre


vogliono travestirsi da vampiri! Dei sopravvalutati
vampiri!»

Davanti alla sua esasperazione, fu difficile per gli altri tre


rimanere seri. Niall scoppiò in una risata fragorosa perché
«dopotutto, Harry non ha tutti i torti!», Lisa serrò le
labbra in una linea dritta per non ridacchiare e Louis,
invece, aveva un sorriso sghembo sulle labbra. Provvide
subito a trasformare quel sorriso in uno di scuse quando
incrociò lo sguardo corrucciato di Harry.

«Devi superarlo, mon petit.» disse Louis, mentre Lisa


rimproverava scherzosamente Niall e lui tentava di
baciarla. «Andiamo, tesoro.»

Louis lo fronteggiò e gli prese le mani nelle sue


delicatamente per poi guardarlo con dolcezza e sporgere
il labbro inferiore in avanti per intenerirlo. E come poteva
Harry rimanere ancora infastidito davanti a quella
visione? Louis lo aveva persino chiamato «mon petit» e
non avrebbe mai superato quel vezzeggiativo, come la
sua voce diventasse più morbida quando lo pronunciava o
come quel nomignolo lo accarezzasse lentamente e
facesse rabbrividire la sua pelle. Pian piano il broncio di
Harry sfumò in un sorriso, prima tirato, poi sempre più
genuino perché Louis si avvicinò al suo viso e cominciò a
tempestargli di piccoli baci le guance, il mento, la punta
del naso e le fossette. La polemica sui costumi da
indossare era già stata dimenticata.

«Sei più calmo ora?» chiese Louis, strofinando la punta


del naso sulla sua, mentre Harry annuiva. «Non devi
526
prendertela così tanto, tesoro. Lo sai come sono fatti
Edward e Daisy. Ora sono in questa fase "tutto quello che
dice e fa Mika è oro che luccica" e non so quando ne
usciranno.»

Harry aggrottò le sopracciglia. «Mika? E cosa c'entra


Mikael con i costumi ora?»

«Qualche giorno fa ha fatto notare che un costume di


Halloween dovrebbe spaventare e non ricordare un
cartone animato o una favola.» spiegò Louis
distrattamente, perché Olaf tornò da loro con qualcosa
tra i denti, qualcosa che somigliava tanto a una zucca
stretta e lunga e che lui, forse, aveva scambiato per un
osso. «È per questo che tutti e tre hanno deciso di essere
dei vampiri quest'anno.» concluse, prima di inginocchiarsi
sul terreno bruno e sfilare dalle fauci di Olaf quella zucca,
ridacchiando e accarezzandolo.

Nel frattempo, Harry schiuse le labbra liberando un flebile


«oh».

Aveva sperato con tutto il cuore che quella piccola


ribellione fosse legata alla loro crescita, al loro desiderio
di sperimentare e trovare una loro identità, così come gli
aveva ripetuto anche Lisa poco prima. Non immaginava,
invece, che dietro il loro rifiuto ci fosse Mikael. Perché
non riusciva a piacere al ragazzo? Perché non riusciva
mai a strappargli un sorriso, un abbraccio o un bacio sulla
guancia? Perché era diventato tutto così difficile dal suo
arrivo? A quelle domande, nessuno avrebbe potuto
rispondere. Eppure, Harry cominciava seriamente a
mettere in discussione il suo ruolo all'interno della propria
famiglia: era l'unico ad avere problemi con Mikael, l'unico
che non riusciva mai a stabilire una conversazione che
durasse più di qualche minuto con lui, l'unico che non
riusciva ad andare oltre il suo ruolo di tutore. Harry
voleva essere un padre per lui così come lo era per
Edward e Daisy e non un tutore o il marito di Louis.
527
Eppure, finora non ci era riuscito. Forse - e gli costava
ammetterlo perché quel pensiero annullava anni e anni di
terapia spesi a lavorare su se stesso e sulla sua sicurezza
- il problema era lui, lui soltanto.

E, ancora una volta, Harry si sentì lontano anni luce da


Mikael, lontano dalla sua famiglia e da tutti gli altri, anche
quando più tardi si riunirono nella loro villa con
l'intenzione di cenare e guardare un film insieme.

«Harry?» lo chiamò Niall, rimanendo sulla soglia della


cucina. «Non vieni di là a vedere il film?»

Harry scosse la testa, abbassando lo sguardo sul


lavandino e sulle sue mani sporche di detersivo. «Questi
piatti non si laveranno da soli e la nostra lavastoviglie è
ancora rotta perché Louis si è dimenticato di chiamare il
tecnico.»

Oberato dal suo lavoro, Louis ultimamente dimenticava


tante cose e non faceva caso a molte altre, ma a Harry
non andava di parlarne, non quando quella giornata lo
aveva provato più del dovuto.

«Ti aiuto io così finiamo prima.» propose Niall,


raggiungendolo e prendendo uno strofinaccio per
asciugare le stoviglie già lavate. «Mi sembra di essere
tornato a vent'anni fa, quando condividevamo
l'appartamento di Brick Lane. Ricordi?» Harry annuì con
un sorriso stiracchiato. «Sono cambiate così tante cose da
allora.»

«Non così tante.» affermò lui, nonostante Niall non


potesse comprendere a fondo la sua risposta. «Alcune
cose sono rimaste sempre le stesse.»

E il suo migliore amico dovette intuire che non fosse in


vena di parlare perché non cercò più di intavolare una
conversazione. I due lavarono e asciugarono le stoviglie
528
utilizzate in silenzio e in un perfetto gioco di squadra che
ricordava tempi lontani, appartamenti piccoli ma che
sapevano di famiglia, Louis sempre ospite da loro a cena
che guardava di sottecchi le verdure biologiche di Harry.

«Non devi rimanerci così male.»

«E per cosa?» chiese, scrollando le spalle e incrociando i


suoi occhi azzurri pieni di compassione.

«Per la storia dei costumi e di Mikael.» rispose Niall.


«Sono sicuro che abbia detto quelle cose ingenuamente e
che non volesse ferirti o definire sciocco il tuo lavoro.»

«So che quei costumi per qualcuno possono sembrare


stupidi, ma volevo soltanto fare una cosa carina per le
persone a cui tengo.» si giustificò Harry, appoggiandosi al
bancone in legno dietro di lui. «Volevo soltanto farlo
sentire parte della famiglia con quei costumi abbinati,
coinvolgerlo in qualcosa che facesse sentire incluso lui e
che non escludesse me.» sbuffò. «Tutti hanno qualcosa in
comune con lui, Niall. Tutti. E io? Io non faccio altro che
compiere la mossa sbagliata.»

«Mikael è con voi soltanto da un mese e mezzo.» gli


ricordò, lasciandogli una pacca sulla schiena per
confortarlo. «È normale che sia molto legato a Louis
perché lo ha portato via da quell'orfanotrofio, ha passato
molto tempo con lui a Minsk e forse sa cose che noi non
possiamo neanche immaginare. Ed è confortante il fatto
che abbia legato subito con Daisy e Edward perché
altrimenti sarebbe stato un grosso problema.»

«E con me?»

«Arriverà, Harry. Arriverà il momento in cui voi due


legherete e vi capirete a vicenda. E, poi, ti scorderai
persino di queste insicurezze e di tutte queste paranoie.

529
Devi soltanto essere paziente, vedrai che quel momento
arriverà da sé e sarà bellissimo.»

Harry annuì sconsolato costringendosi a credere che Niall


avesse ragione su tutta la linea, ma non tornò in
soggiorno per guardare il film già iniziato. Suggerì a Niall
di dire agli altri che avesse un gran mal di testa e che
fosse andato a dormire e si infilò sotto le coperte qualche
minuto dopo. Era quasi sul punto di addormentarsi
quando sentì un bacio delicato sfiorare la sua fronte e una
vocina sottile mormorare «je t'aime, papa» contro la sua
pelle.

Le sue labbra si curvarono in un sorriso, ma non ebbe la


forza di ricambiare le parole di sua figlia perché la sua
mente era già lontana e sognava nuvole e cieli più tersi di
quelli che aveva osservato finora.

Harry aveva ripetuto a se stesso che sarebbe stato


paziente e che avrebbe cercato di nascondere la sua
delusione quanto più possibile, ma qualcosa nei giorni
successivi gli suggerì che non fosse stato molto bravo a
mantenere le sue promesse.

«Sei triste.» mormorò Louis, la mano tra la guancia e il


cuscino e un'espressione corrucciata sul volto.

Il trentuno ottobre era appena passato e la festa dagli


Horan si era svolta senza troppi intoppi. I tre "traditori" -
così li aveva chiamati Louis scherzosamente - si erano
travestiti da vampiri e Harry si era impegnato nel far sì
che il sangue agli angoli delle loro bocche risultasse più
verosimile possibile. I suoi manicaretti erano piaciuti a
tutti gli ospiti e lui aveva sentito un particolare calore
riempirgli il petto perché nonna Margot gli aveva
insegnato a preparare la maggior parte delle leccornie
che aveva portato con sé: cucinare i suoi dolci per Harry
530
era un buon modo per ricordarla e sentirla più vicina al
cuore. Alla fine, lui e Louis erano stati per davvero
Capitan Uncino e Peter Pan e, come aveva tenuto a
precisare anche Harry, tra tante mummie, zombie e
vampiri almeno avevano spiccato per originalità.

«Un po'.»

«È ancora per la storia dei costumi? Alla fine, quei tre si


sono divertiti comunque e hanno fatto un bel bottino di
dolci nel vicinato, noi due non ci siamo annoiati affatto e
un costume è soltanto un costume, giusto?»

Harry sospirò sconsolato perché Louis non sembrava


proprio capire cosa gli passasse per la testa e lui non
sapeva esprimere quel pot-pourri di sensazioni negative
che gli vorticavano nel petto e lo facevano stare così
male. Era frustrato perché non riusciva a capire come
stabilire un rapporto più profondo con Mikael; era
spaventato perché si sentiva escluso per la maggior parte
del tempo e non percepiva quella sensazione di
inadeguatezza da anni; era arrabbiato con se stesso
perché non riusciva ad uscire da quell'impasse e con gli
altri perché non riuscivano a vedere le sue difficoltà.

«Certo, un costume è soltanto un costume. Mi passerà,


sta' tranquillo.»

Louis, però, continuava a guardarlo con quello sguardo,


quello che aveva quando voleva aiutare qualcuno. Con
quello stesso sguardo aveva guardato per la prima volta
Mikael quel pomeriggio piovoso a Minsk e lo stesso Harry
un Natale di tanti anni prima per poi proporgli di scrivere
la sua lista. Poi, ad un tratto, i suoi occhi blu si
illuminarono di una luce nuova. Tese la mano sinistra
verso il suo viso e gli accarezzò la guancia dolcemente.

«Vuoi che porti Daisy e Ed qui come ai vecchi tempi?»


chiese speranzoso. «Se ci stringiamo, ci entriamo tutti.»
531
«Sono diventati grandi ormai e non vorrei che Mikael si
sentisse escluso se lo venisse a sapere.»

«Giusto.» Louis sospirò rumorosamente. «E la scatola dei


complimenti? Ho visto Daisy aggiungerci qualche
bigliettino nuovo l'altro giorno, magari può esserti di
conforto.»

Tu, Louis, solo tu puoi essermi di conforto. Non voglio né


i bambini, né la scatola dei complimenti. Voglio solo che
sia tu a capirmi e ad aiutarmi con Mikael, a farmi sentire
ancora parte di questa famiglia, voluto e mai dato per
scontato.

Lo pensò, ma non lo disse.

Dalle sue labbra uscì soltanto un flebile «puoi stringermi,


Lou?» prima di dargli le spalle e raggomitolarsi su se
stesso.

«Certo, amore.» si apprestò a rispondere lui, cingendogli


la vita con le braccia e lasciando un bacio sulla sua nuca.
«Ti tengo io.»

«E mi prometti di indossare il costume che realizzerò per


te anche l'anno prossimo? Non ti ribellerai anche tu,
vero?»

«Harry, mi sono innamorato perdutamente di te quando ti


sei presentato alla prima festa di Halloween che abbiamo
organizzato vestito da Effetto Doppler e facevo
decisamente fatica a capire di cosa stavi parlando quella
sera.»

Harry gli strinse la mano nella sua e poi la portò alle


labbra, sfiorando le sue nocche con devozione e
delicatezza.

532
«Amerò ogni tuo travestimento, anche il più eccentrico,
perché è una parte di te che vale la pena di scoprire.»

Harry sospirò e chiuse gli occhi, addormentandosi con


quelle parole a riecheggiare nella sua mente. Louis non
aveva capito a fondo quale fosse il vero problema che lo
tormentava, ma era riuscito a calmarlo
momentaneamente e andava bene così. Quella notte,
lasciando da parte la tristezza dei giorni passati e la
frustrazione che provava, sperò che le cose da quel
momento in poi sarebbero cambiate.

Il mattino seguente, quando aprì gli occhi a fatica, trovò


sul comodino una confezione di orsetti gommosi rossi
affiancati a un post-it giallo: su quest'ultimo c'era una
sola iniziale, una "M" per la precisione, scritta con una
grafia che riconosceva a malapena.

Forse, le cose sarebbero andate meglio per davvero da


quel momento in poi.

O almeno lo sperava.

533
LE STAGIONI DELL’AMORE – L’INVERNO

Quell'anno le festività natalizie avevano superato ogni


aspettativa.

Ogni tradizione era stata rispettata e Harry era stato ben


felice di vedere Mikael adattarsi in fretta alle loro
abitudini: aveva ceduto sui costumi di Halloween, ma non
lo avrebbe mai fatto sul Natale. Per Harry il Natale era
preparare i pain au chocolat per la colazione del
ventiquattro dicembre e festeggiare il compleanno di
Louis tra la pista di pattinaggio e i mercatini del Winter
Wonderland, indossare quei chiassosi maglioni a tema e
aprire i regali con il resto della famiglia a mezzanotte
spaccata. Erano giornate piuttosto piene, ma in qualche
modo grazie ai suoi familiari e alle sue attività preferite
riusciva a prendere un respiro dal logorio del lavoro e
della vita quotidiana e, per questo, non ci avrebbe
rinunciato per nulla al mondo.

Fortunatamente, non aveva dovuto farlo neanche


quell'anno.

Si erano stretti più del dovuto attorno alla tavola


imbandita di cibo e bevande del soggiorno con l'arrivo dei
loro familiari e amici, ma Harry si era goduto ogni
discussione, ogni sorriso e risata, ogni parolina detta dalla
sua nipotina Annabelle, le dolci note suonate al pianoforte
da Daisy e persino il trambusto di Edward e dei gemelli. Il
Natale aveva portato con sé quella spensieratezza e
quella leggerezza che nell'ultimo periodo aveva stentato a
ritrovare tra le quattro mura della loro villa. Soprattutto,
aveva portato Louis a casa per la maggior parte del
tempo e a Harry era sembrato di averlo di nuovo al suo
fianco. Gli era sembrato di riappropriarsi della sua
famiglia, Mikael compreso, che pian piano si apriva a lui e
si lasciava andare: un pomeriggio, quasi in punta di piedi,
gli aveva persino suggerito come formare una parola a
scarabeo e Harry aveva messo su un sorriso quasi
534
incredulo, mentre Louis gongolava soddisfatto per
quell'interazione.

E, proprio perché dicembre si era concluso nel migliore


dei modi e con un dolce desiderio espresso a mezzanotte
del trentuno, Harry sentiva che la tragedia fosse dietro
l'angolo. La seconda metà di gennaio, infatti, iniziò con
una chiamata da parte della preside Nielsen e la voce
agitata di Louis che risuonava nel suo orecchio: a
posteriori, Harry avrebbe detto che il suo sesto senso - o
meglio, la sua conoscenza profonda della statistica e delle
probabilità - non sbagliava mai.

«Lou, rallenta. Cosa diavolo è successo?»

«Non ne ho idea, te l'ho già detto. La preside mi ha


ripetuto soltanto che ci sono stati dei problemi a scuola e
che uno dei due avrebbe fatto meglio ad andare lì subito,
ma io non posso proprio muovermi in questo
momento. Ho già detto alla Nielsen che ci saresti andato
tu.»

La voce di Louis gli giungeva ovattata e molto lontana,


nonostante si trovasse soltanto in una casa-famiglia di
Brixton quel giorno e non dall'altra parte del mondo.
Ormai aveva smesso di comprendere il perché Louis
andasse sempre sul campo o in missione dal momento
che, dopo quasi venti anni di onorato lavoro, aveva
raggiunto i vertici della Thousand Hearts e avrebbe
potuto occuparsi di tutt'altro. Louis gli ripeteva di non
aver scelto quel lavoro per scaldare una sedia di pelle, ma
per aiutare chi ne aveva bisogno e chi era molto meno
fortunato di lui. A quelle parole Harry non mancava mai di
dirgli quanto fosse fiero di lui o quanto lo amasse e si
prometteva di essere meno cinico e più compassionevole.

Quel pomeriggio, però, difficilmente riusciva a farlo.

535
Harry sospirò stringendosi il ponte del naso tra pollice e
indice e serrò le palpebre. «Lou, sono a lavoro anche io.
Non posso uscire subito dopo la pausa pranzo e...»

«Sì che puoi, sei o no il capo?»

«E come capo della mia unità dovrei dare il buono


esempio, non uscire fuori dall'orario di pausa e tornare in
ufficio chissà quando!»

«Ma sono i tuoi figli.» sottolineò Louis. «E hanno bisogno


di te!»

«Già, ma sono anche figli tuoi anche se ultimamente ti


piace ignorare questo piccolo particolare.» sibilò. «Senti
Lou, io...»

«Harry? C-cosa hai detto? Non sento quasi nulla, qui non
prende bene il cellulare e non posso stare fuori ancora
per molto perché ho un ragazzino che mi aspetta
dentro. Ti prego, va' a scuola dei ragazzi. Ti prometto che
mi farò perdonare stasera con la pizza di Marco.»

Harry inspirò bruscamente perché, nonostante volesse


mantenere il suo punto, sapeva che avrebbe finito per
andarci veramente in quella scuola e non perché Louis gli
aveva promesso la sua pizza preferita, ma perché i suoi
figli sarebbero sempre venuti prima del suo lavoro. E lo
infastidiva che per Louis quella volta non fosse così: c'era
sempre qualcuno da salvare, un'adozione da finalizzare o
una scuola in qualche parte sconosciuta del mondo da
costruire, ma poche volte c'erano Harry e i loro figli
ultimamente.

«Annullerò le riunioni che ho nel pomeriggio e sarò lì al


massimo tra mezz'ora.» sospirò. «Sai almeno per chi dei
tre ci hanno chiamato?»

536
«Mikael e Daisy.»

Due su tre?

A Harry quasi girò la testa e tremarono le ginocchia. Non


ebbe la forza di ribattere altro e interruppe la chiamata
per recuperare velocemente il suo cappotto nero e
dirigersi dal suo segretario. Gli spiegò di dover annullare
le riunioni del pomeriggio a causa di alcuni imprevisti in
famiglia e di scusarsi con tutti i suoi colleghi, prima di
scendere a due a due le scale dell'edificio e prendere la
sua automobile. E Harry odiava guidare nel traffico di
Londra, soprattutto quando era di cattivo umore: le code
gli sembravano eterne, i semafori sempre rossi e la
strada da percorrere più lunga del normale. Quel giorno,
poi, una sottile pioggia bagnava la città e rendeva il tutto
ancora più insopportabile. Eppure, teneva duro e
manteneva i nervi saldi. Teneva duro perché non sapeva
cosa lo avrebbe aspettato una volta varcata la soglia della
scuola che frequentavano i suoi figli. In quel momento,
percorrendo il lungo corridoio a passi svelti e
sistemandosi i ricci castani in un gesto nervoso e
ripetitivo, sperava soltanto che il motivo della chiamata
non fosse molto grave.

Tuttavia, quando arrivò in presidenza e intravide due


figure familiari fuori l'ufficio della Nielsen, dovete
ricredersi del tutto e abbandonare ogni speranza.

«Si può sapere cosa diavolo vi è successo?»

Davanti ai suoi occhi increduli c'erano l'espressione


colpevole di Daisy, che non riusciva neanche a incontrare
il suo sguardo e giocherellava con l'orlo della sua cravatta
allentata, e lo zigomo tumefatto di Mikael, la cui mano
fasciata sorreggeva del ghiaccio istantaneo. Entrambi
avevano la divisa sgualcita e i capelli tutti scompigliati, il
pantalone blu notte di Mikael era persino sporco di terra
all'altezza delle ginocchia e, forse, Harry non voleva
537
conoscerne neanche il perché. Prima che potesse ricevere
delle risposte dai due o che potesse rimproverarli per
qualsiasi cosa avessero combinato, la porta della
presidenza si aprì all'improvviso e rivelò la preside
Nielsen con un'espressione severa sul suo volto magro.

«Signor Styles?» lo chiamò lei, lanciando un'occhiataccia


ai due ragazzini al suo fianco. «Finalmente è arrivato.
Venga dentro, per favore.»

E senza che la donna lo ripetesse un'altra volta Harry la


seguì e chiuse la porta alle sue spalle: ad un tratto, gli
sembrò di essere tornato a molti anni prima,
precisamente ai tempi del liceo, con l'unica differenza che
lui non era mai finito dalla preside visto il suo
comportamento esemplare e la sua media eccellente.

Almeno fino a quel momento.

Daisy si sistemò meglio sulla panca di legno addossata


alla parete bianca e sospirò.

«Papà è molto arrabbiato. Quando si arrabbia ha sempre


un solco profondo tra le sopracciglia e cammina in modo
strano.»

«Beh, io non ci ho fatto caso alla sua camminata o a


questo solco tra le sopracciglia, ma dal suo tono di voce
posso confermare la tua ipotesi.» ribatté Mikael,
scrollando le spalle e imitando la sua posizione. «Cosa
pensi che succederà ora?»

«Non lo so, Mika. Non sono mai stata dalla preside prima
d'ora. Notre avenir sera ce qu'il doit être.»

538
«Cosa?» chiese lui: dopotutto, aveva trascorso quasi due
anni a migliorare il suo inglese e sentire di tanto in tanto
Louis, Harry, Daisy e Edward parlare la lingua francese lo
incuriosiva e lo confondeva allo stesso tempo. «Perché
avete l'ossessione per il francese nella vostra famiglia?»

«Ti ho detto "sarà quel che sarà" e, per inciso, non è


un'ossessione!» precisò Daisy, incrociando le braccia al
petto quasi con aria offesa. «La nostra bisnonna Margot,
la nonna di papà Louis, era francese e in famiglia
imparare e parlare il francese ormai è diventata una
tradizione. Pensa che, dopo averla conosciuta, anche
papà Harry lo ha fatto.»

«E tu? Tu l'hai conosciuta Margot?»

Daisy annuì. «Ho anche "Margot" come secondo nome e


l'ho conosciuta quando ero piccola, fino a quando lei non
si è ammalata e se ne è andata via. Non ricordo molto
di mamie Margot, ma nelle foto che abbiamo insieme
eravamo sempre felici. Papà dice che era impossibile
avere il broncio con lei intorno: era straordinaria nel
rendere felice chi la circondava e aveva sempre la battuta
pronta.» Si fermò e sorrise, non sapendo con esattezza il
perché, ma non riuscendo a fare altro in quel momento.
«L'unica cosa di lei che ricordo alla perfezione è il suo
odore. Quando sento l'odore del pain au chocolat mi
sembra quasi di tornare a quando ero piccola ed ero tra le
sue braccia, a una di quelle foto che sono incorniciate in
soggiorno. E se lei fosse ancora qui, in questo momento
ce ne avrebbe dette di tutti i colori e poi ci avrebbe
preparato i pain au chocolat solo per farci tornare il
sorriso sulle labbra.»

Le guance di Daisy divennero quasi del colore della


porpora, poiché non si era mai aperta così tanto con
Mikael prima di quel momento: andavano d'accordo a
casa, si divertivano al parco e al cinema insieme e,
spesso, a mensa si ritrovavano nello stesso tavolo pur
539
frequentando classi diverse, ma non aveva mai
raccontato al ragazzo qualcosa di così personale.

«A casa mia, all'orfanotrofio, funzionava diversamente.»

E fu catapultata di nuovo alla realtà, quella in cui lei e


Mikael erano in presidenza, quella in cui lui definiva
"casa" l'orfanotrofio in cui aveva vissuto per la maggior
parte del tempo e lei si rattristava a pensare a quanto
fossero state diverse le loro esistenze fino a pochi mesi
prima.

«Oh, l'ho capito eccome che a casa tua funzionava


diversamente.» ridacchiò amaramente, guardandolo di
sottecchi. «E per ribadire quello che ti ho detto poco fa,
so difendermi anche da sola.» Mikael alzò gli occhi verdi
al cielo e serrò le labbra in una linea dritta. «Apprezzo
che tu mi abbia difeso con David Lars, ma non c'era
bisogno di arrivare alle mani.»

«E cosa avrei dovuto fare? Quello continuava a ripeterti


che fossi una secchiona e quando sono arrivato per fargli
rimangiare quell'insulto, ha tirato fuori la storia del
"randagio".» le ricordò Mikael, la voce ancora alterata da
quello scontro. «E non mi sono offeso per l'insulto in sé
perché all'orfanotrofio mi chiamavano in modi peggiori,
ma perché ha insultato i tuoi genitori.» spiegò,
arrossendo un istante dopo. «L-louis e Harry sono brave
persone, mi hanno portato via da quel posto e mi hanno
dato una casa, una famiglia e degli amici. Non meritano
di essere definiti dei "raccatta-randagi" solo perché mi
hanno preso in affido.»

«Ed è nobile che tu li abbia voluti difendere, ma non si


risolve nulla con la violenza. Come dice papà Harry, la
violenza genera soltanto altra violenza.» precisò Daisy,
portando dietro l'orecchio i suoi capelli castani e ricci. «E
se ci sospendessero? O peggio, se ci espellessero?
Dovremo cambiare scuola e amici e papà mi toglierà
540
anche il pianoforte.» Quella che c'era sul suo volto
delicato e a forma di cuore era un'espressione di puro
terrore a quel punto. «Dopodiché, ci butteranno fuori di
casa e dovremo andare a vivere sotto un ponte!»
aggiunse con il respiro affannato e le mani che le
tremavano persino. «E io non conosco alcun ponte di
Londra caldo e comodo come casa nostra!»

Mikael lasciò il ghiaccio istantaneo sulla panca in legno e


le pose subito le mani sulle spalle ripetendole più volte di
fare profondi respiri e di imitarlo: occhi negli occhi, verde
nel verde, i loro respiri si sincronizzarono e Daisy pian
piano si calmò. Scosse la testa e mormorò un semplice
«grazie» quando il suo battito tornò a essere normale.

«Louis e Harry non farebbero mai qualcosa del genere,


sta' tranquilla.» la rassicurò Mikael. «E la colpa della rissa
è tutta mia, sono io quello che verrà punito.»

«Niente più azzuffate, Mika. Mai più, promettimelo.»

«Te lo prometto. Ignorerò David Lars d'ora in poi.»

«Ci riuscirai, io lo faccio dalla prima elementare.» precisò,


perché Daisy non aveva mai dimenticato quando quel
bambino aveva definito suo padre "malato" a causa del
suo Asperger. «Prima o poi si stancherà e capirà quanto
la sua vita sia triste e vuota.»

«Non sei come David Lars e i suoi tirapiedi dicono, Daisy.


Sei intelligente, studiosa e caparbia, ma non sei affatto
una secchiona e quei ragazzi sono soltanto invidiosi di
te.»

Daisy curvò le labbra in un sorriso grato. «Lo so, me lo


dice spesso anche Theo.»

«Lui ti piace.»

541
«Chi?»

Mikael gongolò, incrociando le braccia al petto e


lanciandole un'occhiata maliziosa alla quale lei arrossì.
«Theo.»

«No, affatto.»

«E invece sì.» ribatté sornione. «Si vede da lontano un


miglio.»

«Un po', allora. Questa è la mia risposta definitiva e non


dirò altro sull'argomento.»

«Un po' del tipo che ti piace da tutta la vita e tu piaci a


lui, ma vi conoscete da sempre e nessuno vuole fare il
primo passo pur sapendo che siete destinati e tutte quelle
cose che si vedono nei film romantici.»

«O mio Dio, sembri Niall! Se ti sentisse papà Louis, non ti


farebbe più rientrare in casa.»

«Perché non vuoi ammettere che ti piace?» ridacchiò


Mikael. «È alto e biondo, ha gli occhi azzurri e le
lentiggini, è intelligente, divertente e gentile.»

«Non dirmi che piace anche a te.»

«Cosa?»

«Piace Theo anche a te?» esclamò sconvolta. «Non ci


posso credere!»

Mikael scosse la testa, guardandola confuso. «No, no e


no!»

«Non ci sarebbe niente di male se ti piacesse, però, lo


sai.»
542
«Certo che lo so e per tua informazione non mi piace
etichettarmi per il momento. E non mi piace neanche
Theo. Insomma, è un buon amico, ma non credo che mi
piacerà mai in quel senso. E anche se mi dovesse piacere
in quel senso un giorno, tu avresti la precedenza!»
precisò lui. «Facciamo un patto.»

«Che patto?»

«Hai tredici anni e sei troppo piccola per avere un ragazzo


per ora...» Daisy fece una smorfia infastidita a quella
precisazione. «...ma un domani, quando Louis e Harry ti
daranno il permesso di uscire con un ragazzo, proprio con
Theo, ti aiuterò.»

Daisy lo guardò sospettosa per qualche istante,


chiedendosi perché Mikael volesse aiutarla. Insomma, lei
per prima non faceva altro che ripetere di non capire
affatto i ragazzi o le relazioni in generale e ne dava la
colpa alla sua giovane età e alla sua ingenuità. Ma
Mikael? Cosa poteva saperne lui di appuntamenti, destino
e anime gemelle? Al momento una risposta non la aveva,
ma aveva un'altra domanda.

«E tu cosa ne guadagni?»

«Insegnami un po' di francese.» propose lui, reggendo il


suo sguardo. «Non alla perfezione, giusto per capire
qualcosa di quello che dite quando lo parlate tra di voi e
per non sentirmi un intruso in famiglia. Allora, cosa ne
pensi?» chiese, tendendole la mano, quella non fasciata e
non dolorante. «Vedilo come un patto a lungo termine. Tu
aiuti me con il francese ora e io ti aiuterò tra qualche
anno con Theo.»

«Affare fatto.» ribatté, stringendogli la mano


vigorosamente. «E mi piace quel tuo "a lungo
termine"...vuol dire che pensi di rimanere con noi ancora
per molto. M-magari per sempre?»
543
Mikael non rispose alle ultime parole di Daisy, accennò un
sorriso e i due stettero in silenzio per i minuti seguenti. E
fu un silenzio confortante perché sapeva di affetto,
protezione e promesse, quelle che avevano stretto poco
prima e quelle che avrebbero stretto negli anni a venire
se Mikael lo avesse voluto, se l'affido si fosse trasformato
in adozione un giorno.

Quella strana quiete venne stravolta poco dopo da una


porta aperta, un saluto distinto e un Harry con
un'espressione severa sul volto spigoloso e stanco. Daisy
e Mikael si lanciarono un'occhiata complice e spaventata
perché per un istante si erano quasi dimenticati il perché
fossero lì fuori.

«Andiamo, teppisti.» esordì Harry, prima di incamminarsi


lungo il corridoio velocemente e ignorando il fatto che i
due non riuscissero a tenere il suo passo svelto. «David
Lars ha ricevuto un'espulsione perché aveva già tre
ammonizioni e la sua condotta era tra le peggiori in
questa scuola.» disse, lanciando poi un'occhiataccia a
Mikael. «Tu, invece, hai collezionato la tua prima
ammonizione per aver iniziato la rissa.» Ignorò del tutto il
sospiro di sollievo che Mikael tirò e il sorriso che Daisy gli
rivolse. «Ma cosa ti è venuto in mente? Non puoi saltare
addosso a un tuo compagno di scuola perché non ti piace
ciò che dice e...anzi, non rispondermi, neanche voglio
saperlo il tuo punto di vista dato che sono sfinito. Lo
racconterai a Louis stasera e ti prenderai direttamente la
sua ramanzina. Nel frattempo, una settimana di punizione
a testa. Sì, anche per te, signorina, dato che il tuo primo
istinto non è stato quello di chiamare la preside ma
gettarti nella mischia.» si riferì a Daisy, che nella mischia
ci era finita soltanto per separare i due. «E niente
internet, niente pianoforte, niente uscite, niente nuoto,
niente videogiochi, niente di niente.» Il suo monologo fu
interrotto soltanto dal trillare della campanella. «Ora
andiamo a prendere Edward.»

544
Entrambi non osarono ribattere ad alcuna parola
pronunciata da Harry, lo seguirono in silenzio e
aspettarono pazientemente che Edward uscisse
dall'edificio delle scuole elementari con il suo zaino giallo
e il suo cappottino blu addosso, mentre si stringevano nei
loro Montgomery scuri e guardavano annoiati l'asfalto
bagnato dalla pioggia.

«È vero che hai preso a pugni in faccia David Lars perché


ha insultato Daisy?» domandò Edward con gli occhi
azzurri tinti di ammirazione e con il fiatone per aver corso
da loro così in fretta, mentre Mikael annuiva incerto e
Daisy si massaggiava le tempie aspettandosi il peggio.
«Forte!»

«Una settimana di punizione anche per te, Ed!» esclamò


Harry sconvolto, mentre cercava le chiavi dell'automobile
nelle tasche del cappotto. «E ora infilatevi in macchina e
non voglio sentire neanche una mosca volare!»

«Ma papà!»

E presto quel peggio che Daisy aspettava arrivò.

«Due settimane di punizione per tutti, ora andiamo!»

Più tardi bastò soltanto una parola a far terminare quella


giornata in tragedia e Louis non lo avrebbe mai potuto
immaginare quando ingenuamente l'aveva pronunciata
poco prima.

«Esagerato, Louis?» ripeté Harry, il suo viso paonazzo e i


suoi riccioli castani tutti ingarbugliati raccolti in un
elastico rosso che apparteneva a Daisy. «Io
avrei esagerato con le punizioni da dare ai ragazzi?»

545
Louis lo guardava contrariato, soltanto il letto c'era a
dividerli e una strana atmosfera fatta di parole taciute e
tensione aleggiava tra loro, rendendo insopportabile
persino trovarsi nella stessa stanza. «Dico soltanto che
avresti potuto consultarmi prima di comportarti da
Giudice della Corte Suprema, Harry!» ribatté, sfilandosi i
pantaloni beige e cercando il suo pigiama. «Hai punito
persino Edward per nulla!»

«Per nulla?» chiese Harry, mentre sistemava il suo abito


blu nell'armadio. «Edward ha appena otto anni e ha detto
"forte!" a Mikael quando ha saputo che aveva preso a
pugni in faccia David per davvero! Dobbiamo insegnare ai
nostri figli che la violenza non è mai un mezzo per
raggiungere uno scopo, non è mai "forte".»

«E lo abbiamo fatto e continueremo a farlo, Harry.»


rispose esasperato Louis, stanco di affrontare quella
polemica per quella sera: la ramanzina che aveva fatto a
Mikael qualche ora prima lo aveva spossato più del
dovuto. «David Lars bullizza nostra figlia da anni e anni e
gli interventi della preside o dei suoi genitori non lo hanno
mai fermato o fatto ragionare. E so che non dovrei dirlo,
perché è lontano dai miei principi e da quello che mi
hanno insegnato e che cerco di insegnare ai nostri figli,
ma Mikael non ha avuto tutti i torti a tirargli quel pugno.
Tu più di tutti dovresti capire questa situazione...anche
per te gli anni della scuola non sono stati una
passeggiata.»

«E proprio per questo ti ripeto che la violenza non è mai


la risposta. Anche i bulletti della mia scuola mi
prendevano in giro per il mio Asperger o per la mia
sessualità, ma non ho mai pensato di alzare le mani, mai.
E neanche William o Niall ci hanno mai pensato perché
sarebbe stato inutile. Credi che una sospensione fermerà
David dal prendere in giro Daisy o chiunque altro la
prossima volta? No, Louis, non lo farà. E non lo faranno
neanche i pugni che Mikael gli ha tirato. Alcune persone

546
non cambiano né a suon di punizioni, né a suon di
pugni.»

«Io non so cosa farà quel David d'ora in poi, Harry. So


soltanto che ora sono più tranquillo dal momento che
sarà a chilometri e chilometri dai miei figli e, forse,
dobbiamo "ringraziare" Mikael per questo.» azzardò,
mentre Harry scuoteva la testa davanti a quella scelta di
parole. «E credo che Edward abbia risposto in quel modo,
che abbia detto quel "forte", soltanto perché si parlava di
Mikael e sai quanto si è affezionato a lui in questi mesi.»

«Proprio perché sia Daisy che Edward si sono affezionati


tanto a lui, dobbiamo fargli capire la gravità di quel gesto.
Se lo ripetesse, se si comportasse ancora una volta come
una testa calda, potrebbero farlo andare via e mandare al
diavolo l'affido e la possibilità di adottarlo! Come lo
spiegherai ai tuoi figli che Mikael dovrà andare via,
proprio ora che è entrato a far parte della famiglia?»

«Nessuno andrà via, Harry. Ho tirato fuori da


quell'orfanotrofio Mika promettendogli di non farcelo
tornare e lui stesso mi ha assicurato che quello che è
successo oggi non si ripeterà mai più.» affermò Louis con
una rinnovata dolcezza per rassicurarlo. «E sta' tranquillo
per Edward, è soltanto un bambino. Non entrerà a far
parte di una gang domani, né spaccerà a Brixton il giorno
dopo.» ridacchiò, mentre vedeva Harry alzare gli occhi al
cielo e raggiungere l'armadio per recuperare i cuscini da
sistemare sul letto. «Ascolta, amore, non metto in dubbio
il fatto che tu abbia ragione...però, magari, potevamo
ponderare meglio le punizioni da dare ad ognuno di loro.»

«Scusami se non sono stato il padre dell'anno in quel


momento, Louis.» ribatté Harry stizzito. «Ma tu non c'eri
quando sono entrato in presidenza e ho visto Daisy e
Mikael con il volto tumefatto e la divisa sporca. Tu non
c'eri quando la preside ha insinuato che forse questo non
fosse il posto giusto per Mikael ma che comunque gli
547
avrebbe dato un'altra chance visto la retta che paghiamo.
Tu non c'eri quando siamo usciti da scuola per aspettare
Edward e tutti gli altri genitori ci fissavano e parlottavano
tra loro.»

«E da quando ti interessa quello che gli altri dicono di


questa famiglia?»

Una strana sensazione di fastidio montò nel suo petto


perché a loro due non era mai importato il giudizio altrui.
Perché Harry sapeva badare a se stesso e alla loro
famiglia, nonostante il suo Asperger e le paure o le
paranoie che gli stringevano il petto. Perché entrambi
erano dei bravi genitori e lo dimostravano i sorrisi sui
volti di Daisy, Edward e Mikael.

«E a te, Lou?» chiese Harry, alzando la voce. «Ti


interessa ancora qualcosa di questa famiglia?»

A quella domanda, seguirono attimi di silenzio. Attimi in


cui Louis riuscì soltanto a boccheggiare e a corrugare la
fronte perché, maledizione, la sua famiglia era tutto ciò
che importava e ciò per cui viveva. Come poteva Harry
porgli quella domanda? Perché la sua voce era così alta e
tremava dall'irritazione? Perché i suoi occhi verdi e dolci
erano così scuri? E perché non stavano affrontando quel
discorso nel loro letto, abbarbicati l'uno sull'altro e con le
coperte a tenerli caldi?

In quel momento, pur essendo nella stessa stanza, Louis


e Harry sembravano più lontani che mai.

«Che cosa vuoi dire?»

«Voglio dire che non ci sei mai.» affermò Harry,


stringendo un cuscino tra le braccia. «Passi la tua
giornata a lavoro, quando sei a casa trascorri la maggior
parte del tempo al telefono o scappi via per qualche
emergenza dall'altra parte della città...e tocca a me
548
pensare alla casa e ai nostri animali, tocca a me portare a
scuola i ragazzi, farli mangiare, farli svagare, ma anche
punirli quando sbagliano e devo anche concentrarmi sul
lavoro dato che ho grandi responsabilità in azienda.
Soltanto quando riesci a trascorrere del tempo con i
ragazzi e siete tutti e quattro sul divano a mangiare
schifezze o a guardare film fino a tardi, loro sono
finalmente felici. E lo sono anche io perché amo vedervi
tutti insieme, ma sono stanco di essere solo il genitore
che fa rispettare le regole o il poliziotto cattivo, Lou.»

«So che i mesi precedenti sono stati un po' frenetici e


impegnati, anche per l'affido di Mikael, ma ti assicuro che
è una cosa temporanea e...»

«...durerà poco?» chiese esasperato. «Lo avevi detto


anche prima del tuo ultimo viaggio. Amo la nostra
famiglia, ma quando ho accettato tutto questo l'ho fatto
perché mi hai promesso di essere sempre al mio fianco e
tu non ci sei più. Sono spaventato, Lou. Per la prima volta
in diciassette anni sono stanco e temo di non farcela
perché tu non ci sei mai e non so per quanto altro tempo
posso gestire tutto questo da solo.»

«Questo non è vero, cerco di esserci il più possibile.


L'associazione mi impegna tanto perché ho nuovi compiti
e da me dipendono tante cose, ma cerco sempre di
esserci per voi, per tutti voi, per i ragazzi e per te.»

«Sei sicuro di esserci per davvero, Lou?» Harry scosse la


testa e sospirò. «Lo sapevi che Daisy è stata scelta per
suonare il brano conclusivo al saggio di pianoforte? È
talmente brava che la sua insegnante ha voluto darle
questo onore.»

No, Louis non lo sapeva. Fu tentato di accennare un


sorriso perché la bravura di Daisy al pianoforte lo rendeva
molto fiero, ma l'espressione funerea sul viso di Harry gli
suggeriva che non ci fosse molto per cui gioire.
549
«E non sai quanto Daisy sia agitata per questo saggio
perché con i corsi avanzati di matematica e scienze non
riesce a trovare il tempo per esercitarsi su quel brano di
Wagner.» aggiunse subito dopo. «Sapevi che Edward non
vuole più andare a karate perché ha visto delle ballerine
in tv e vuole fare anche lui tutte quelle piroette e quei
plié? Sabato ha la sua prima lezione di danza classica e
mi ha chiesto se anche tu ci saresti stato a guardarlo così
si sarebbe sentito meno buffo dato che sarà l'unico
bambino.»

Non sapeva neanche questo, ma si appuntò mentalmente


di esserci alla prima lezione di danza classica di Edward
per incoraggiarlo e sorridere davanti ai suoi tentativi di
plié e piroette: magari, avrebbe scoperto una grazia nei
suoi movimenti che fino a quel momento era stata
nascosta.

«Io non me la sono sentita di rispondergli che ci saresti


stato al cento per cento, però, perché non volevo
deluderlo in caso contrario.» continuò Harry con tono
grave. «E l'allenatore di Mikael mi ha chiesto perché lui
non indossi un costume invece della muta per nuotare,
ma io non avevo una risposta da dargli perché con me
non parla di queste cose...parla soltanto con te per
davvero e tu non ci sei mai, non ci sei neanche per lui.
E...»

«...dacci un taglio, Harry. Cosa vuoi che ti dica? Che mi


sento in colpa per essermi perso tutte queste cose? Mi
sento uno schifo, non è già abbastanza ovvio?»

«Il mese scorso mia mamma ha subito una piccola


operazione.» lo interruppe Harry, alzando la voce e
socchiudendo gli occhi per un istante: tremava la sua
voce, tremavano le sue mani e tremò anche Louis per
quella rivelazione. «A inizio dicembre le hanno scoperto
un nodulo al seno. Sta bene ora, però. Non era maligno e
non deve fare alcuna terapia.»
550
Louis tirò un sospiro di sollievo, ma non poté ignorare la
morsa dolorosa che stringeva il suo petto né la verità che
avrebbe dovuto affrontare. In quei mesi, così frenetici e
vissuti per la maggior parte a lavoro, aveva perso molte -
forse troppe - cose. Le paure di Daisy e Mikael, i sogni di
Edward e la preoccupazione per la salute di Anne avevano
pesato soltanto sulle spalle di Harry per settimane e lui
non si era accorto di nulla.

«Perché non mi hai detto di Anne?»

«Perché è accaduto tutto così velocemente. William e


mamma me lo hanno detto soltanto qualche giorno prima
dell'operazione per non farmi andare fuori di testa più del
dovuto e il giorno in cui si è operata ho lasciato i ragazzi
da Niall e Lisa. Poi, sono partito subito per Manchester.»
Louis lo guardò confuso e sembrò quasi sul punto di
ribattere qualcosa quando Harry lo precedette e aggiunse
«in quei giorni tu eri molto impegnato con l'inaugurazione
del nuovo centro di accoglienza su Liverpool Street, uscivi
all'alba e tornavi sempre a tarda sera». Scosse la testa,
un velo di tristezza gli oscurò gli occhi. «È stato facile
andare a Manchester in giornata e tornare prima che tu
arrivassi a casa o potessi accorgertene. Mamma mi ha
detto più volte di rimanere a Londra e che ci avrebbe
pensato William ad accompagnarla in ospedale, ma io non
ho voluto lasciarli da soli.»

Non ti avrei lasciato solo neanche io, pensò. Per Louis


quelle parole erano tanto da processare a tal punto che
boccheggiò per qualche istante prima di chiedere all'altro
«mia madre lo sa?».

«Jay ed Ethan lo sanno, lo sapevano fin dall'inizio perché


mia madre si è confidata con loro ancora prima di dirlo a
me e a Will.»

«Mi dispiace davvero tanto, Harry. Anne fa parte anche


della mia famiglia e sai quanto io tenga a lei, la considero
551
una seconda madre. Avrei voluto sapere tutto, del nodulo
e dell'operazione anche se alla fine è andato tutto per il
meglio. Perché, nonostante tutto, non me lo hai detto?»

«Eri così impegnato a salvare quel centro di accoglienza


su Liverpool Street o a combattere la fame di Beirut a
suon di raccolte di beneficienza o a organizzare il pranzo
di Natale per i senzatetto che i miei problemi sembravano
così piccoli a confronto, Lou.» ribatté Harry, scrollando le
spalle. «Poi, sono arrivate le vacanze di Natale e mi è
sembrato di vivere un sogno: mia madre stava bene, tu
eri finalmente a casa la maggior parte del tempo e noi
potevamo rivivere ancora la nostra quotidianità come
famiglia. Ora, però, è tornato tutto come prima, il tuo
lavoro è tornato al primo posto.»

«Non posso prendermi tutte le colpe, Harry.» disse Louis.


«Lo ripetiamo spesso, ripetiamo che non dobbiamo
tenerci tutto dentro, che la chiave di un buon rapporto è
parlare e finora ha sempre funzionato, tranne che per
qualche piccolo incidente di percorso. Eppure, tu non mi
hai mai parlato di come ti sentissi. Sei esploso soltanto
oggi e mi hai rinfacciato mesi di assenze e mancanze.»

«Ne sei sicuro? Forse, non mi hai ascoltato abbastanza


nei mesi passati!» esclamò Harry, sul volto non c'era più
rabbia o fastidio, ma soltanto delusione. «Secondo te ero
triste soltanto per quegli stupidi costumi ad Halloween o
perché mi sentivo un estraneo nella mia stessa casa?»

«Abbiamo entrambi quarant'anni ormai, Harry. Devo


ancora leggerti nel pensiero? Forse, mi aspettavo che tu
mi parlassi chiaramente di questo problema e non che
dovessi provare a indovinarlo.»

«Cosa avrei dovuto fare? Non è facile esprimersi a parole


quando ci si sente sopraffatti dalla propria vita e non mi
aspettavo che tu provassi a indovinare i miei sentimenti,
ma che li comprendessi soltanto guardandomi perché lo
552
hai sempre fatto, Lou.» La sua voce si ruppe nel finale,
nel pronunciare quel nomignolo. «Sei sempre stato il solo
a leggermi, a vedermi per ciò che ero realmente...di
punto in bianco non lo hai più fatto. Ti sei accontentato di
vedere solo la superficie.»

«Non dire così, ti prego.»

«...è stato così difficile gestire l'arrivo di Mikael a


settembre e confrontarsi con questo grande cambiamento
e non mi aspettavo di doverlo fare da solo dal momento
che tu trascorrevi la maggior parte del tempo a lavoro.
Ho dovuto lottare contro le mie insicurezze e contro la
mia stessa mente che mi ripeteva di non essere
abbastanza per Mikael ogni giorno. Mi ripetevo di essere
paziente e che prima o poi le cose sarebbero andate nel
verso giusto, che Mikael mi avrebbe sorriso, che mi
avrebbe concesso una parte di sé. Eppure, non è stato
così per settimane. E più i giorni passavano, più mi
sentivo solo in questa casa, più non riuscivo neanche ad
aprirmi con te.»

«Perché? Perché non riuscivi ad aprirti con me?»

«Perché ero l'unico a sentirsi in quel modo, a sentirsi un


estraneo nella propria famiglia. Perché tu tornavi a casa e
sorridevi a Daisy e a Edward e scherzavi con Mikael e
tutti i pezzi sembravano andare a posto, ma non io. Io
rimanevo in disparte, in un angolo del divano o della
cucina a osservarvi e a chiedermi quando sarei riuscito a
incastrarmi anche io tra voi, quando sarei stato accettato
in questa nuova famiglia.»

«Tu fai già parte di questa famiglia, non hai bisogno di


essere accettato. Sii te stesso e vedrai che riusciremo a
far quadrare tutto. Tu, io, Mikael e i ragazzi.»

«È difficile essere spensierati o essere se stessi quando si


hanno un'intera casa a cui pensare, una madre in ansia
553
per la sua salute, dei figli da crescere e dai quali non farsi
odiare o un lavoro da svolgere nel migliore dei modi.»
commentò Harry amaramente. «Mi sono sentito solo per
settimane, per mesi, Lou.»

«Ma tu non sei solo. Ci sono io qui al tuo fianco e ho


promesso di esserci sempre quando ti ho sposato anni fa
o forse ancor prima di compiere quel passo. Non puoi
chiuderti a riccio, né evitare di parlarmi di cose così
importanti, né pensare che io possa leggerti nel pensiero
quando le cose si fanno più dure.» affermò con
veemenza, ravviandosi all'indietro la frangia che gli
cadeva sulla fronte. «Ed è vero che nei mesi precedenti
non sono stato molto presente ma, credimi, non è stata
una passeggiata neanche per me. Ho tante responsabilità
a lavoro e ci sono persone che contano su di me
quotidianamente. Perché non lo capisci? Il mio lavoro non
si svolge dietro una scrivania, non si basa sui numeri e
sulla statistica. Il mio lavoro sono le persone, persone che
non vivono al meglio, che sopravvivono a stento in
questa città e dall'altra parte del mondo e che posso
aiutare soltanto grazie al mio lavoro all'associazione.»
Louis prese un respiro profondo. «Voi siete tutta la mia
vita, ma anche il mio lavoro è importante. Posso
cambiare qualcosa nel mio piccolo, posso cambiare il
mondo piano a piano.»

Louis sentì il cuore vibrare di emozione nel pronunciare


quelle parole. Era quel fine, quello di cambiare il mondo,
ciò che lo aveva spinto anni prima a partire per Haiti, ad
iscriversi all'università al suo ritorno e a lavorare alla
Thousand Hearts Foundation. E, anche dopo ben
diciassette anni, svolgere bene il suo lavoro lo rendeva
ancora felice. Non era lo stesso per Harry, però.
Quest'ultimo aggirò il letto matrimoniale con il cuscino
ancora stretto tra le mani e lo raggiunse a passo svelto,
fronteggiandolo e facendolo sussultare per
quell'improvvisa vicinanza. E Louis avrebbe voluto gettare
a terra quel cuscino, abbattere ogni barriera e

554
abbracciarlo per sedare ogni discussione, ma lo sguardo
algido di Harry lo inchiodò al pavimento.

«Ci sarà sempre un'altra Haiti per te, ci sarà sempre


qualcosa di più importante di me, di noi.» affermò Harry,
la sua voce tremava e non lasciava presagire nulla di
buono. «Fammi un favore d'ora in poi. Invece di portare il
peso del mondo intero sulle tue spalle, porta quello della
tua famiglia per una sola volta.»

Gli gettò il cuscino addosso e Louis riuscì a prenderlo per


un soffio, prima di vedere l'altro scomparire oltre la porta
del loro bagno e sentire quest'ultima chiudersi alle sue
spalle con un tonfo sordo.

Louis aveva dimenticato quanto fosse scomodo il divano


del loro soggiorno.

Si potevano contare sulle dita di una mano le volte in cui


ci aveva dormito su e risalivano tutte ai primi tempi in cui
lui e Harry si erano trasferiti in quella villa a nord di
Londra e facevano la spola con il vecchio appartamento di
Brick Lane. Non importava se fossero sommersi dai mobili
imballati e dagli scatoloni o se Leo avesse già graffiato la
porta sul retro con le sue zampine, i due trovavano
comunque il modo di sorridere, di parlare e di amarsi
persino in quel trambusto.

Cosa era successo poi? Perché negli ultimi mesi quel


modo non riuscivano più a trovarlo?

Eppure, anni prima, lo stesso Harry gli aveva detto che il


vero amore trovasse sempre il modo. E Louis non voleva
arrendersi all'idea che il loro amore non fosse vero, che
loro due fossero la copia sbiadita di altre coppie, coppie
che avevano finito per separarsi e percorrere strade
diverse. Perché, nonostante negli ultimi mesi non fosse
555
stato molto al suo fianco, Louis non riusciva a
immaginare un presente e un futuro senza Harry, senza i
suoi riccioli castani tra le dita, i suoi occhi verdi a
venerarlo e la sua voce profonda a coccolarlo fino a farlo
addormentare, senza i suoi orsetti gommosi rossi ad ogni
angolo della casa e il suo amato scarabeo a comporre
parole impensabili.

Dopo la discussione avuta qualche sera prima, Louis


aveva capito di aver trascurato la sua famiglia, di non
aver parlato abbastanza con i suoi figli e di non aver
percepito lo stato d'animo di Harry. E si sentiva in colpa,
sentiva la vergogna arrossire le sue guance e un broncio
arricciare le sue labbra pensando a come fosse finita
quella discussione, con Harry che non si sentiva compreso
per la prima volta in tanti anni e si rinchiudeva in bagno e
lui che con il suo cuscino finiva per dormire sul divano
quella notte e anche le successive.

Louis sbuffò e si rigirò su un fianco, cercando di trovare


una posizione più comoda della precedente. Eppure, ogni
tentativo risultava vano, soprattutto se Ginger cercava di
infilarsi tra il suo corpo e lo schienale del divano per
cercare calore e Olaf voleva a tutti i costi raggomitolarsi
ai suoi piedi. Non sentiva di meritare neanche l'affetto dei
propri animali domestici dal momento che ultimamente
aveva trascurato anche loro, ma a quei due non
interessava granché: Ginger e Olaf lo amavano
incondizionatamente e Louis sperava che continuasse a
farlo anche Harry.

«Lou?»

Louis si ridestò dai suoi pensieri e si sollevò sui gomiti per


avere una vista migliore della scalinata. Ginger miagolò e
colse l'occasione per acciambellarsi sul suo grembo,
mentre Olaf drizzò le orecchie e raggiunse scodinzolando
il ragazzo che incerto sostava ancora sul primo gradino.

556
«Ehi, Mika.» mormorò, mordendosi il labbro inferiore e
facendogli un cenno con la mano. «Vieni qui.»

Mikael lo raggiunse lentamente, squadrando il suo viso e


le coperte nel quale era avvolto. Il suo zigomo aveva
ancora su una medicazione e il suo sopracciglio non
sembrava più così gonfio come qualche giorno prima. Di
notte, con i capelli color caramello tutti arruffati e con un
pigiama più grande del dovuto, sembrava molto più
piccolo di ciò che dimostrava di giorno con lo sguardo
sempre corrucciato e la sua elegante divisa scolastica.

«Che ci fai qui a quest'ora?» chiese, quando si sedette al


suo fianco insieme a Olaf. «Fai le ore piccole davanti a un
televisore spento?»

«Stavo testando la morbidezza del divano perché Harry


ne vuole prendere uno nuovo, ma io sono convinto che
questo sia ancora perfetto.» mentì. «E tu? Non dovresti
essere a letto?»

«Non riuscivo a dormire, lo zigomo mi fa ancora male.»


Lo indicò con una smorfia di fastidio sul viso e Louis
arricciò la punta del naso quasi percependo il dolore che
l'altro provava. «E per quanto sia convincente la storia
del divano dal momento che è la superficie più scomoda
che c'è in questa casa, non ti credo. Perché sei qui con
cuscino e coperte?»

«Ho discusso con Harry l'altra sera.»

«A causa mia?»

Louis esitò. «Anche, ma non sei la causa principale della


nostra discussione.»

«Pensavo che tra voi le cose andassero bene.»

557
«Ed era così, è ancora così.» ribatté subito per
rassicurarlo. «A volte succede di discutere, di scontrarsi
per qualcosa, ma non necessariamente tutto questo porta
a conseguenze più gravi. Abbiamo discusso perché
ultimamente il lavoro mi impegna troppo, a detta sua, ma
io non me ne sono reso conto.»

Mikael morse il suo labbro inferiore e si grattò la nuca in


difficoltà, prima di incrociare il suo sguardo incerto.

«Cos'è quella faccia?» chiese Louis, corrugando la fronte.


«Lo avevi capito anche tu prima di me?»

«Beh, io sono qui soltanto da qualche mese, ma finora


non sei mai venuto a un mio allenamento di nuoto e me
lo avevi promesso quando mi sono iscritto al corso.»
azzardò Mikael, prima di scuotere la testa. «Ma non fa
nulla perché c'è Harry e insieme a Daisy o Edward guarda
sempre gli ultimi cinque minuti di vasche e fa il tifo per
me.»

«Mika, mi dispiace così tanto. Mi dispiace se tutti voi vi


siete sentiti messi da parte in questi mesi. Verrò a vedere
anche io il prossimo allenamento, okay? Te lo prometto.»

Mikael storse il naso davanti la scelta di quelle parole


prima di ribattere «non promettere nulla, okay?
Presentati e basta così non deluderai nessuno!».

«Vi ho deluso, vero? Ho deluso tutti voi.» affermò


dispiaciuto, abbassando lo sguardo sul pelo fulvo e
morbido di Ginger che riposava ancora sulle sue cosce.
«Harry mi ha detto che Daisy suonerà il pezzo conclusivo
al saggio di pianoforte e sarà un brano di Wagner!»

«Lo farà, se non impazzirà per l'ansia prima.»

558
«E che Edward vuole fare danza classica! Insomma, è la
persona con meno grazia che io abbia mai conosciuto, ma
sono sicuro che sarà adorabile con la calzamaglia e
l'espressione concentrata sul viso quando dovrà fare plié
e piroette.»

«Allora devi esserci domani, ha la sua prima lezione.»

«Sai più cose tu dei miei figli che io.» commentò


amareggiato. «Ma è questo quello che succede quando
trascorri la maggior parte della settimana a lavoro,
girovagando per decine di case-famiglia di Londra e
cercando di salvare tutti, anche chi non vuole essere
salvato. Finisci per perderti gli allenamenti di nuoto, i
saggi di pianoforte e le lezioni di danza dei tuoi figli.
Finisci per discutere con tuo marito perché è dura
realizzare che sei venuto meno alle promesse che gli hai
fatto. Finisci per essere dall'altra parte del mondo anche
se tu e tuo marito siete nella stessa stanza.»

Louis nascose il volto dietro i palmi delle mani e si


stropicciò gli occhi, desiderando che quei giorni e i mesi
precedenti scomparissero quasi per magia, che potesse
riviverli e comportarsi diversamente. Eppure, quello era il
mondo reale, quella era la vita reale che aveva alti e
bassi, momenti sì e momenti no.

«Lou, va tutto bene?»

«No, Mika, non va tutto bene.» mormorò, scoprendosi il


volto e sospirando. «Sono stato un marito e un padre
pessimi ultimamente e non mi ero mai accorto di quanto
il mio lavoro togliesse tempo alla mia famiglia. Ho
viaggiato così tanto per cercare di aiutare il prossimo, di
rendergli la vita migliore, di donargli un po' di felicità e
non mi sono accorto di aver reso soltanto più difficile la
vita di Harry non essendo quasi mai al suo fianco e
concentrandomi troppo sul lavoro.»

559
Mikael deglutì, prima di spostare i suoi occhi verdi sulle
sue dita che giocherellavano tra loro nervose. «Anche io
faccio parte del lavoro, Lou?»

«No, Mika. Tu fai parte della famiglia.» si apprestò a


ribattere, cingendogli le spalle con un braccio e
portandolo più vicino a sé. «Hai smesso di essere "lavoro"
nel momento esatto in cui mi hai implorato con un solo
sguardo di non andare via quel giorno all'orfanotrofio,
ricordi?» chiese, lasciandogli un bacio tra i suoi capelli e
lui annuì. «Ormai sei parte di noi e se lo vorrai potrai
farlo per sempre.»

Mikael si allontanò da lui, tanto quanto bastava a


incrociare i suoi occhi incerti nel suo sguardo più sicuro.
«Non so, Lou.» mormorò con un filo di voce. «Non mi
sembra di essermi ambientato così bene qui a Londra.»

«Edward ti adora, ti considera il suo eroe e se potesse


parlerebbe di te ventiquattro ore su ventiquattro. E tu e
Daisy andate così d'accordo. Ti guarda in modo diverso
dopo la zuffa a scuola e non so cosa sia successo
realmente tra voi, ma credo che tu abbia la sua fiducia
ora.»

«Ma ho perso quella di Harry. Anzi, forse non l'ho mai


avuta.»

«Harry è...» Louis esitò per trovare le parole giuste. «...è


più simile a te di quanto pensi, Mika. So che quanto è
successo qualche giorno fa sembra avervi allontanato, ma
sono convinto che voi due potreste volervi bene alla follia
se solo vi deste una chance a vicenda. Il suo Asperger a
volte può rendere le cose più difficili, ma prima o poi
capirai quanto Harry sia speciale...e non importa quanto
possa sembrare paranoico, insicuro o assillante con quello
scarabeo, con i suoi orsetti, i suoi modellini e i
documentari: Harry è quelle cose, quelle cose che lo
rendono unico, ma è tanto altro. È l'uomo che anni fa si è
560
messo in gioco e ha scelto di amare e di metter su una
famiglia tutta sua. È l'uomo che ha combattuto il dolore
per la morte di suo padre e lo ha trasformato in coraggio,
prendendo quella licenza per volare. È l'uomo che ha
imparato il francese e metà dei piatti tipici che mia nonna
Margot cucinava soltanto per non farmi sentire la sua
mancanza. È l'uomo che si è preso cura della nostra
famiglia e della nostra casa, nonostante le difficoltà della
sua sindrome, nonostante le mie mancanze e le mie
assenze.» A quel punto, la voce di Louis tremava
d'emozione e d'amore: nella sua testa, delle voci gli
ripetevano quanto fosse stato stupido a trascurare il suo
Harry, a darlo per scontato. «Harry è la persona migliore
che io conosca, Mika.»

«Lo so anche io, lo vedo, ma...»

«C'è qualcosa che ti trattiene.» concluse Louis per lui,


mentre quest'ultimo annuiva sconsolato. «Lo vedo che c'è
qualcosa che ti trattiene con Harry. All'orfanotrofio non
facevi altro che ripetere quanto avresti giocato a scarabeo
con lui...eppure, l'unica volta che ti ho visto prendere una
tesserina di quel dannato gioco in mano risale soltanto a
Natale.» azzardò, sistemandogli la frangia tutta arruffata
sulla fronte. «Lo vede anche Harry e non ti nascondo che
soffre molto per questo. A volte pensa persino di non
essere abbastanza per te, ma non voglio metterti
pressioni o farti altre ramanzine. Non sono la persona più
adatta a farlo in questi giorni.»

«C'è qualcosa che mi frena, è vero. Ma non è colpa di


Harry e non voglio parlarne stasera, non sono ancora
pronto.» affermò Mikael dopo qualche istante di
esitazione. «Voglio riguadagnarmi la sua fiducia, però. Tu
come hai fatto a conquistarla?»

Louis gli sorrise. «È una storia piuttosto lunga.»

561
«Abbiamo tutta la notte.» ribatté, alzandosi dal divano e
lasciando un buffetto sulla testolina fulva di Olaf. «Ma sali
su. Questo divano non sembra così comodo e il mio letto
è abbastanza grande per entrambi.»

«Accetto l'offerta del tuo letto, ma non staremo svegli


tutta la notte a parlare.» disse Louis, alzandosi e
lasciando che Ginger si accoccolasse al fianco di Olaf.
«Non dormo da giorni per colpa di questo divano.»

«E la storia di come sei riuscito a guadagnarti la fiducia di


Harry?» chiese Mikael, seguendolo per le scale e badando
a non fare troppo rumore per non svegliare gli altri. «Ora
sono curioso.»

«Per ora ti basti sapere che è iniziato tutto con una festa
a casa di Niall, delle lezioni di statistica e una lista di
cinque cose da spuntare.»

Louis lanciò distrattamente un'occhiata alla porta della


sua camera da letto. Era chiusa e Harry non la chiudeva
mai così che i ragazzi potessero entrarvi in qualsiasi
momento, per accoccolarsi a loro dopo un brutto sogno o
semplicemente svegliarli al mattino richiedendo dei
pancake o dei pain au chocolat per colazione.

Un «e il resto?» pronunciato da Mikael lo costrinse a


proseguire le scale e a lasciarsi indietro quella porta e un
Harry che era solo in un letto fatto per due.

«Te lo racconterò un'altra sera.» disse, arrivati ormai


all'ultimo piano e alla soglia della sua camera. «Ho
l'impressione che condivideremo lo stesso letto per un
po'.»

Mikael liberò dalle sue labbra un ingenuo «forte!» che


costrinse l'altro a metter su un sorriso piuttosto tirato e a
fargli cenno di dormire vista l'ora tarda. E, per quanto

562
amasse trascorrere del tempo con Mikael, Louis sperava
soltanto di sbagliarsi.

«Ehi, che ci fai qui?»

Mikael sobbalzò per la sorpresa e nel farlo quasi urtò


l'aeroplanino di balsa che stava sfiorando delicatamente
giusto un istante prima. Si ricompose in fretta, unendo le
mani dietro la schiena e irrigidendosi come un soldatino
di piombo alla vista di Harry sulla soglia dello studio.

«N-niente, stavo soltanto curiosando di qua e di là.»

«Puoi avvicinarti, se vuoi.» affermò Harry, facendo un


cenno alla libreria di legno che occupava un'intera parete
della stanza. «Quei modellini non mordono e non lo faccio
neanche io.» aggiunse, accennando un sorriso.
«Andiamo.»

Mikael ricambiò quel sorriso timidamente prima di


avvicinarsi ancora una volta alla libreria e osservare
attentamente quei modellini di balsa: sembravano esser
stati costruiti e dipinti alla perfezione e si chiese come
qualcuno avesse potuto essere così preciso e meticoloso
nel farlo. Non aveva mai visto qualcosa di così fragile e
delicato prima di quel momento e aver vissuto la maggior
parte della sua vita in un orfanotrofio lo giustificava. Lì,
non c'era spazio per quel tipo di hobby, non c'era spazio
per oggetti così preziosi. Lì non c'erano molti giocattoli e
quelli che c'erano erano di seconda mano o già rotti da
bambini più fortunati di loro. Mikael non si era mai
affezionato a nessun gioco, sapendo che in quel luogo
avrebbe avuto vita breve, neanche al pallone da calcio
che gli avevano regalato gli assistenti sociali come
benvenuto.

«Li costruisci tu?»


563
Harry annuì. «Pezzo per pezzo.»

«Sembra difficile.»

«Non lo è, ma è molto laborioso.» ribatté con una punta


di orgoglio a fargli vibrare la voce. «Occorre avere molta
attenzione e pazienza. Per la prima non c'è problema, per
la seconda...ho i miei alti e bassi.»

«Credo che metterebbero alla prova la pazienza di


chiunque.» commentò Mikael, scuotendo la testa. «E
come mai proprio degli aeroplani? Insomma, non
potevano essere automobili o barche? Sono meno
dettagliate, forse.»

«Perché mio padre era un pilota della RAF.» rispose


Harry, incrociando le braccia al petto e appoggiando la
spalla destra allo stipite della libreria. «L-lui amava volare
e da bambini portava me e mio fratello in un centro di
addestramento per piloti civili e andavamo a zonzo per le
campagne a bordo di un piccolo elicottero che gli
mettevano a disposizione.»

«E ti ha insegnato lui a volare?»

«No, lui purtroppo è morto prima che potessi diventare


abbastanza grande per farlo.» rispose, scuotendo la
testa. «È stato Louis a farmi tornare su un elicottero
quando avevo circa ventitré anni.» Lo disse con una
particolare malinconia nella sua voce, ma Mikael non
glielo fece notare perché il fatto che Louis dormisse
ancora nella sua stanza parlava da sé. «Insieme a suo
nonno Robert, che era un pilota di linea, mi ha portato in
un centro di addestramento per piloti civili e dopo qualche
anno ho preso la patente per guidare quegli elicotteri da
turismo che vedi di tanto in tanto quando andiamo da mia
madre.»

564
Mikael ascoltò attentamente le parole di Harry, ascoltò
una storia che gli era già stata raccontata da un altro
punto di vista, quello di Louis, nelle notti che
trascorrevano insonni nella sua stanza.

«Faceva parte della tua lista, giusto?» chiese Mikael,


sperando di non aver compiuto un azzardo. «Pilotare un
aereo.»

«Conosci la storia della lista?» Lui annuì. «Certo che la


conosci, Louis non fa altro che raccontarla quando vuole
fare bella figura con qualcuno.» aggiunse, alzando gli
occhi al cielo e scatenando una risatina nel ragazzo.
«Comunque, sì. Faceva parte della mia lista, ma quel
giorno è stato molto di più per me. Sono tornato su un
elicottero dopo anni, soprattutto dopo la morte di mio
padre, e mi è sembrato di averlo di nuovo al mio fianco.
Ed è così ancora oggi: quando volo ci siamo soltanto io e
lui, c'è la sua voce profonda a guidarmi e tutto sembra
andare al suo posto. Quello trascorso con Louis e nonno
Robert al centro di addestramento per piloti civili è stato
uno dei giorni più belli della mia vita.»

Mikael gli sorrise affettuosamente, felice di aver


conosciuto il lato più umano e meno severo di Harry.
«Devono avere un grande significato per te questi
modellini, allora.»

Harry annuì e si aprì in un sorriso. I due rimasero qualche


istante a guardarsi imbarazzati, incerti sul da farsi. Harry
si dondolava sui talloni e torturava l'orlo del morbido
maglione beige che indossava, Mikael aveva lo sguardo
basso al pavimento e con la mano destra si massaggiava
la nuca in difficoltà. Poco prima, quando era entrato nello
studio per prendere della carta bianca, non aveva messo
in conto di soffermarsi a guardare quei modellini, né di
condividere con Harry una storia che significava così
tanto per lui. Era stato tanto, forse troppo per quel

565
pomeriggio, soprattutto per loro due che non si erano mai
avvicinati così tanto prima di quel momento.

«Beh, ora vado...» Mikael si schiarì la voce con un colpo


di tosse. «...dovrei andare a finire il saggio di storia.»

Harry annuì, augurandogli buono studio, ma prima che


Mikael potesse raggiungere l'uscio della porta lo richiamò
esitante.

«Sì?»

«Pensavo che un giorno potremmo provare a farne uno


insieme.» azzardò, la sua voce tremava e le dita delle sue
mani si arricciavano e si distendevano a ritmo serrato.
«Intendo, costruire uno di questi aeroplani.»

«I-io e te?»

«Io e te.» ripeté Harry più deciso. «Potrei raccontarti


tante curiosità a riguardo e proprio l'altro giorno ho
ordinato un Supermarine Spitfire, una riproduzione
accuratissima degli spitfire della battaglia di Dunkerque.»
aggiunse eccitato, prima di schiarirsi la voce e rimodulare
la voce in un «insomma, sempre se lo vuoi» più
contenuto.

Mikael sentì il cuore battere erratico nel suo petto e un


sottile strato di sudore imperlargli fronte e nuca: nessuno
era a conoscenza di ciò che lo tratteneva dal donarsi
completamente a Harry, così come aveva fatto con Louis,
ma quel pomeriggio decise di provare a lasciarsi i brutti
ricordi alle spalle. Doveva andare avanti, pensare che la
sua vita non fosse più tra le quattro pareti umide
dell'orfanotrofio, ma tra quelle di una casa calda e
accogliente, tra le braccia di Louis e i sorrisi più timidi di
Harry. Per questo, annuì in fretta e non andò più via. Il
suo saggio di storia avrebbe aspettato, dopotutto. Lui e
Harry rimasero davanti quella libreria per l'ora seguente.
566
Mikael chiedeva informazioni su ogni singolo modellino
presente e Harry soddisfaceva la sua curiosità,
raccontandogli aneddoti e storie che non avrebbe mai
immaginato.

Il suo momento preferito, però, fu un altro e giunse


quando Harry tirò fuori dall'ultimo ripiano della libreria un
pesante album ricco di foto e piccoli ricordi. In alcune foto
un po' sbiadite dal tempo c'erano William e Harry da
bambini con il loro papà al fianco di un grande aeroplano;
in altre c'erano Edward, Daisy e Harry al centro di
addestramento per piloti civili; in altre ancora c'erano
Louis, Harry con un giubbetto di pelle marrone stretto al
petto e nonno Robert a sorridere alla fotocamera.

«Ho ancora quel giubbetto nell'armadio, apparteneva al


nonno di Louis e me lo ha regalato dopo aver volato con
lui.» sospirò Harry, percorrendo con l'indice i tratti del
viso dell'anziano. «Quando sono triste, me lo stringo al
petto e mi sento meglio come per magia...profuma
ancora di quella felicità che ho provato ed è come se non
fosse mai andata via da quell'indumento.»

Uno dei giorni più felici della sua vita, ricordò Mikael. E,
allora, capì che quegli aeroplanini di balsa fossero un
simbolo, che i ricordi e il significato che portavano con
loro fossero più importanti. Importante come
l'aeroplanino tatuato che si intravedeva sull'avambraccio
di Harry e che Mikael aveva notato anche su quello di
Louis. Importante come quello d'argento che Harry
portava sempre al collo e dal quale non si separava mai
se non per affidarlo a Louis quando quest'ultimo partiva
per uno dei suoi viaggi. Importante come quello di carta
che era ancora custodito nel cassetto del suo comodino e
sul quale c'era la lista che gli aveva cambiato per sempre
la vita.

Quegli aeroplanini simboleggiavano tante cose, cose che


Mikael forse non avrebbe mai conosciuto a fondo, ma
567
rendevano Harry felice e per lui era abbastanza,
soprattutto perché non lo vedeva in quel modo da un po'.

Harry aveva dimenticato cosa si provava ad


addormentarsi e a svegliarsi il mattino successivo in un
letto vuoto.

Non lo provava sulla sua pelle da fin troppo tempo perché


per ben diciassette anni c'era stato Louis al suo fianco e,
quando quest'ultimo era dall'altra parte del mondo
impegnato nel suo lavoro, c'erano i suoi figli a riempire
quel vuoto. Quelle notti, quelle successive alla loro
discussione, però, non c'era stato nessun altro. Harry
stringeva forte a sé il suo cuscino e si augurava di
addormentarsi presto così che la sua mente non avrebbe
pensato ai silenzi, alla distanza tra loro e ai loro sguardi
che puntualmente si evitavano. Poi, sognava di un Louis
che andava via ancora una volta - ma non da solo, perché
portava con sé i ragazzi - e di un Harry che non riusciva a
raggiungerli pur correndo a perdifiato al loro seguito. Si
svegliava di soprassalto con il respiro affannato, la fronte
sudata e l'intero corpo a tremargli pericolosamente,
mentre le sue mani correvano a cercare Louis tra le
lenzuola in un gesto familiare e che fino a poco prima lo
rassicurava.

Tuttavia, non accadeva più.

Harry si alzava dal letto, si stropicciava il volto con i palmi


delle mani e indossava la sua vestaglia preferita, quella
che avevano comprato in Giappone e che Louis amava
togliergli lentamente per venerare con gli occhi ogni
centimetro della sua pelle scoperta. Poi, con passo
felpato, si recava nelle camere di Edward e Daisy soltanto
per vederli dormire nei loro letti e di tanto in tanto
rimboccare le loro coperte o lasciar un bacio sulle loro
fronti. In cerca di ulteriori rassicurazioni, raggiungeva
568
persino l'ultimo piano e sostava sulla soglia della stanza
di Mikael, nel cui letto dormiva anche Louis: i due
finivano sempre per rubarsi le coperte a vicenda e Harry
lo avrebbe trovato persino buffo se la situazione fosse
stata più leggera.

Eppure, non lo era perché in quelle settimane per


orgoglio, rabbia o vergogna, lui e Louis erano diventati
due fantasmi, l'uno trasparente all'altro.

Per questo, affranto, scendeva in cucina e con una calda


tazza di tè tra le mani e una coperta sulle spalle
aspettava il mattino, che Ginger e Olaf lo raggiungessero
chiedendogli di riempire le loro ciotole e che i ragazzi
reclamassero a gran voce la loro colazione. E, dopo aver
portato quest'ultimi a scuola, iniziava una nuova giornata,
tanto simile alle precedenti, fatte di lavoro e riunioni, di
cene silenziose e serata trascorse davanti alla televisione
con i ragazzi che cercavano di riempire i loro silenzi con
aneddoti, domande e risate. Poi, dopo la buonanotte,
cominciava tutto da capo, incubi compresi.

«Harry?» lo richiamò Anne dolcemente. «Allora, cosa ne


pensi?»

Harry alzò lo sguardo su sua madre, tutta intenta a


mostrargli la nuova aiuola che aveva realizzato nel loro
giardino. Marzo era appena iniziato e aveva portato con
sé i primi raggi di sole e la voglia di trascorrere le ore più
calde della giornata sul dondolo in giardino. Anne si era
offerta di rimetterlo a nuovo e di trascorrere qualche
settimana da loro e Harry non aveva impiegato molto ad
accettare la sua proposta perché con lei in casa
l'atmosfera era più calda e gioiosa, le cene più rumorose
e le sue giornate meno solitarie.

«È molto bella, mamma.» rispose Harry, felice del fatto


che Anne non avesse perso il suo tocco magico
nonostante la pensione e la chiusura del suo negozio.
569
«Spero che stavolta duri di più di quella dell'anno
scorso.» aggiunse, pensando a quanto tempo Ginger e
Olaf avrebbero impiegato a distruggerla quella volta.

«Lo spero anche io, tesoro.» ridacchiò Anne, pulendosi le


mani sporche di terra sul grembiule verde che indossava
e sistemando i suoi attrezzi da lavoro in un secchiello non
lontano da Harry. «Non hai dormito bene stanotte?»
chiese, poi, all'ennesimo sbadiglio di quest'ultimo. «Ti
vedo piuttosto stanco.»

E prima che lui potesse risponderle che in realtà non


dormisse bene da settimane e che il termine "stanco"
fosse decisamente un eufemismo, Louis fece capolino
dalla porta finestra e li richiamò con un colpo di tosse.
Harry si voltò nella sua direzione velocemente e si sentì
quasi in imbarazzo nell'osservare più del dovuto l'altro.
Una tuta grigia gli avvolgeva dolcemente il corpo,
mettendo in mostra le sue cosce tornite e quel
fondoschiena che ancora gli faceva girare la testa, la sua
frangia era fin troppo lunga e arrivava a solleticargli gli
occhi blu, la barba rossiccia era stata lasciata incolta e
Harry poté soltanto pensare di volerla sentire sulla sua
pelle sensibile ancora una volta.

Formulato quell'ultimo pensiero, le sue guance


arrossirono per la vergogna prima di mormorare un «sì?»
sommesso.

«Volevo dirvi che porto i ragazzi al parco.» esordì Louis,


alternando lo sguardo tra il suo viso e quello di Anne.
«Torneremo prima di cena.»

«Va bene.» E Harry lo intendeva per davvero, perché


apprezzava gli sforzi che Louis ultimamente compieva per
trascorrere più tempo a casa con i ragazzi nonostante gli
impegni del suo lavoro. «Assicurati che Edward non si
tolga la giacca a vento e non comprare loro troppe
schifezze altrimenti a cena non mangeranno nulla. E
570
quando tornate lasciate le scarpe sul retro così che io
possa pulirle altrimenti...»

«Lo so, Harry, lo so.» lo interruppe Louis, alzando gli


occhi al cielo. «Sono un padre anche io e vivo in questa
casa più o meno da quando ci vivi tu, ricordi?»

Harry boccheggiò davanti al tono risentito dell'altro e,


prima che potesse ribattere qualunque cosa, Anne
esclamò «è che noi Styles siamo fin troppo precisi, lo
sai!». E non era vero, perché quella ricerca quasi
ossessiva della precisione e l'attenzione per ogni dettaglio
apparteneva soltanto a Harry e a quella sindrome che era
parte di lui, ma quest'ultimo apprezzò il tentativo di Anne
di sedare qualsiasi polemica. «Andate e divertitevi ora,
okay?»

Louis annuì per poi rivolgerle un sorriso e raggiungere i


ragazzi e il loro vociare eccitato all'ingresso. Harry
mormorò un sottile «ciao, Lou» prima di stringersi nelle
spalle e fissare lo sguardo sui fili d'erba che giorno dopo
giorno tornavano a essere più verdi. Sentì sua madre
sedersi al suo fianco sul dondolo soltanto qualche istante
dopo e rilasciare un profondo sospiro.

«Cosa succede tra voi due, tesoro?»

«Nulla, è soltanto una giornata no.» ribatté Harry,


mordendosi il labbro inferiore. «Perché?»

«Perché sei fin troppo stanco ultimamente, perché tu e


Louis a malapena vi parlate e vi sfiorate, perché i ragazzi
sembrano tristi proprio come lo siete voi due la maggior
parte del tempo.» spiegò Anne, mentre Harry la guardava
dispiaciuto. «Mi trovo in questa casa da qualche giorno
ormai e non ho potuto non notarlo.»

«Si vede tanto?»

571
«Persino un cieco riuscirebbe a vederlo. Andiamo,
raccontami tutto.»

«Non c'è molto da raccontare. Io e Louis abbiamo


discusso il giorno in cui ci hanno chiamato in presidenza
per Daisy e Mikael e da quel momento non ci siamo mai
chiariti. Louis continua a dormire nella stanza di Mikael e
io nella nostra. Non parliamo granché se non per
programmare la giornata dei ragazzi al mattino e per
questioni logistiche.»

«Non parlate da più di un mese per un qualcosa che si è


risolto con una punizione e una ramanzina tempo fa?»

«Non abbiamo discusso soltanto per quello.» chiarì lui.


«Gli ho fatto notare che negli ultimi mesi non è stato
molto presente per la sua famiglia e che mi ha lasciato da
solo a fronteggiare l'arrivo di Mikael e tante altre cose.
Lui si è arrabbiato per il modo in cui glielo ho detto,
perché avrei dovuto parlargliene subito e non scoppiare
all'improvviso. In più, ha scoperto della tua operazione e
ora, quando può, non fa altro che lanciarmi frecciatine
sull'onestà anche a tavola con i ragazzi. Ma quando avrei
dovuto parlargli delle mie difficoltà con Mikael, del fatto
che mancasse troppo a casa o della tua operazione? C'era
sempre qualcosa di più importante all'associazione, c'era
sempre una famiglia da aiutare o un ragazzino da togliere
dalla strada. E noi? Noi c'eravamo soltanto per poche ore
al giorno, dopo il suo lavoro.»

«Capisco il tuo punto di vista, Harry. Lo capisco


perfettamente, ma mi sembra che ora Louis si stia
impegnando molto con i ragazzi e che faccia orari che gli
permettano di trascorrere qui a casa molto tempo. Non è
arrivato il momento di perdonarlo?»

«L'ho notato anche io, ma...» Harry esitò, trovando


difficile esprimere a parole la moltitudine di sensazioni
contrastanti che provava. «...lo apprezzo, apprezzo quello
572
che sta facendo con i ragazzi, ma suppongo che lui sia il
primo a non voler essere perdonato perché è come se io
non esistessi più per lui.» affermò, incassando quella
verità. «Speravo che le mie parole lo scuotessero e gli
facessero capire che stava trascurando troppo i ragazzi e
la sua famiglia, ma non credevo che quella discussione
facesse peggiorare inevitabilmente anche il nostro
rapporto.»

«Magari, Louis si sta concentrando di più sui ragazzi


perché pensa di essere stato un pessimo padre nei mesi
precedenti e il fatto che non se ne sia accorto da solo, ma
che glielo abbia fatto notare tu lo ha infastidito più del
dovuto.»

«Non lo so, mamma. Pensavo che mi avrebbe chiesto


semplicemente scusa e che tutto sarebbe tornato come
prima.» ribatté lui ingenuamente. «Non è stato così,
però. So che dovrei essere felice del fatto che Louis
ascolti Daisy esercitarsi al pianoforte per il saggio, che
porti Edward a lezione di danza o che si offra di andare a
prendere Mikael agli allenamenti di nuoto, ma non
capisco perché si sia infastidito tanto con me, tanto da
ignorarmi o da rispondermi con quell'astio. Pensavo che
avrebbe domito in camera di Mikael soltanto per una
notte, non per un mese intero. Pensavo che quello che mi
ha dato davanti a tutti voi per il mio quarantesimo
compleanno non sarebbe stato l'unico bacio tra noi,
invece non mi ha più sfiorato da quel giorno. Pensavo che
saremmo stati una squadra, mamma. E, invece, cosa
siamo? Sembriamo due genitori separati che
programmano la giornata dei figli e poi si ignorano a
vicenda perché si odiano.»

«Ma voi due non vi odiate ed è questo l'importante,


tesoro.» lo rassicurò Anne, prendendogli la mano destra
nella sua. «Tutte le coppie hanno dei momenti no, ma
l'importante è superarli e rimanere uniti perché l'amore

573
deve essere più forte di qualsiasi orgoglio e sono certa
che il vostro lo sia.»

«Tu e papà avete mai passato un periodo del genere?»

Anne annuì. «Tuo padre era spesso via per lavoro e nelle
missioni rischiava la sua stessa vita, credi che non
impazzissi al solo pensiero di non vederlo tornare mai più
a casa? Non riuscivo mai a fargli promettere che quella
missione sarebbe stata l'ultima, però, perché lui mi
diceva sempre che avrebbe servito la sua patria fino al
suo ultimo respiro.» raccontò, i suoi occhi blu visibilmente
lucidi. «E Louis in un certo senso me lo ricorda, sai?»

«E come?»

«Anche tuo padre era molto testardo e orgoglioso, ma


allo stesso tempo era profondamente buono.» rispose lei,
stringendo la presa della sua mano. «E quel suo tratto
caratteriale, quella bontà e quell'altruismo lo spingevano
a non trascurare mai il suo lavoro e a impegnarsi molto in
ogni missione. E se Louis ha trascorso la maggior parte
del tempo all'associazione negli ultimi mesi non è perché
non ti ami più o perché consideri il suo lavoro più
importante della sua famiglia.»

«E allora perché lo ha fatto? Papà doveva proteggere una


nazione, era un pilota della RAF e aveva nobili scopi...ma
Louis?»

«Le intenzioni di Louis sono ugualmente nobili, tesoro.» lo


corresse Anne. «Grazie a lui molte persone possono dire
di avere un pasto caldo o una casa, possono sentirsi al
sicuro e finalmente far parte di qualcosa di bello.» provò
a spiegargli, ma le sue labbra erano ancora arricciate in
un broncio. «Mikael è stato fortunato a incontrare voi
due, ma quanti ragazzi vivono ancora in pessime
condizioni? Quanti di loro non hanno una casa o una
famiglia e prendono strade dalle quali non si può tornare
574
indietro? Le intenzioni di Louis erano buone. Lui stesso è
buono, generoso e tante altre cose che ti hanno spinto a
sposarlo anni fa.»

Harry sospirò e accoccolò il capo sulla sua spalla in cerca


di conforto.

«Un singolo sbaglio non può pregiudicare un'intera vita


insieme. Avete superato ostacoli più grandi negli anni
precedenti e avete una casa meravigliosa, delle carriere
soddisfacenti, tre figli che vi adorano e che amano
vedervi uniti. E, cosa non meno importante, vi amate. Ti
ho visto come lo guardavi prima, non puoi dirmi che mi
sbaglio.» ridacchiò, prima di farsi più seria. «Dovete
mettere l'orgoglio da parte e fare un passo in avanti
affinché tutto torni meglio di prima.»

«Non sono bravo a fare passi in avanti, mamma.»

«Ne sei così sicuro, tesoro? Eppure, da quando ti sei


trasferito a Londra e hai conosciuto Louis, io non ti ho
mai visto compiere un passo indietro. Con la tua mano
nella sua, hai superato ogni ventotto aprile, hai abbattuto
molti muri che ti impedivano di vivere a pieno la tua vita,
hai imparato ad amare e a lasciarti amare. Promettimi
che troverete un modo per riappacificarvi. Fatelo per voi
due soltanto.»

Harry annuì lentamente e «te lo prometto» disse.


«Dopotutto, il vero amore trova sempre il
modo...giusto?»

Anne non rispose, si limitò a sorridergli e ad abbracciarlo


forte così come soltanto una madre poteva fare. Stretto
tra quelle braccia familiari, Harry non poté far a meno di
pensare quanto gli mancassero gli abbracci di Louis,
nascondere il volto nell'incavo del suo collo e respirare il
suo profumo dolce, accoccolare il capo sulla sua spalla e

575
parlare della loro giornata, stanchi ma felici di averla
vissuta insieme.

In quel momento, nonostante i loro silenzi e il loro


orgoglio, sperava soltanto che fosse così anche per Louis.

576
LE STAGIONI DELL’AMORE – LA PRIMAVERA

La fine di marzo aveva portato con sé giornate di sole e


temperature più miti a tal punto da far desiderare ai
ragazzi e a Louis per primo di andare a vedere il mare.

Per questo, armato di tanta pazienza e di scorte dolci e


salate per il viaggio, Louis aveva sistemato Edward,
Daisy, Mikael e Ginger nella sua automobile ed era partito
alla volta di Eastbourne senza guardarsi indietro neanche
per un istante. Perché, se lo avesse fatto, sarebbe
tornato a casa immediatamente per prendere anche Olaf
e Harry. Quest'ultimo aveva gentilmente rifiutato quella
proposta per il fine settimana perché «in azienda abbiamo
una fusione e devo lavorare il triplo» e Louis aveva finito
per crederci pur di non discutere con lui per l'ennesima
volta davanti ai ragazzi. Sapeva che Harry avrebbe
potuto svolgere quel lavoro in poche ore e che
solitamente non avrebbe mai rifiutato un fine settimana a
Eastbourne: dopotutto, lì c'erano anche nonna Margot e
nonno Robert e lui non perdeva mai l'occasione di andare
a trovarli e porgere sulle loro tombe delle margherite e
un aeroplanino di carta.

Sapeva, però, che nulla fosse più come prima dalla loro
discussione.

Non aveva insistito, ma aveva scrollato le spalle sotto lo


sguardo deluso dei suoi figli e aveva cominciato a parlare
del fatto che Ethan avesse realizzato una sorta di casa
sull'albero per i suoi nipoti e che non vedesse l'ora di
inaugurarla con loro. Quella casa sull'albero li aveva
tenuti impegnati per la maggior parte del viaggio tra una
canzone e l'altra del gruppo preferito di Daisy:
quest'ultima già si immaginava a guardare le stelle con il
suo telescopio da lassù, Mikael fantasticava di leggere i
suoi tomi di letteratura all'ombra della casetta e Edward
sognava di difendere il suo fortino dall'attacco di qualche
nemico. Louis li ascoltava parlottare tra loro e sorrideva,
577
intervenendo di tanto in tanto per sedare sul nascere
qualunque discussione. Osservava la strada davanti a sé
e il paesaggio circostante mutare, Londra trasformarsi
lentamente in campagna e poi quest'ultima sfumare in
una cittadina bagnata dal mare.

Eastbourne non era cambiata granché se si escludeva la


sostituzione della sua ruota panoramica nelle vicinanze
del Pier con una più tecnologica e per Louis era un bene
perché quella cittadina dalla quale tanto aveva voluto
scappare da giovane ora era diventata un porto sicuro.
Eastbourne erano le braccia di sua madre che
l'accoglievano sempre, erano le passeggiate con suo
padre e parlare con lui del più e del meno, erano le risate
e gli schiamazzi dei suoi figli che giocavano nell'ampio
giardino sul retro. Eastbourne erano tanti ricordi, quelli
che custodiva gelosamente e che avevano come
protagonisti un Louis bambino e i suoi amati nonni, i
primi viaggi con Harry e Leo nel fine settimana per
evadere da Londra, le prime volte dei suoi figli al mare e
le prime cadute sulla spiaggia piena di ciottoli.

«Non mi hai detto perché Harry non è venuto con voi


questo fine settimana.» affermò Johannah, i capelli
castani racchiusi in una crocchia disordinata e lo sguardo
stanco a causa del pomeriggio impegnativo avuto con i
suoi nipoti. «Non capisco perché sia rimasto da solo a
Londra.»

«Aveva molto lavoro da sbrigare.» ribatté Louis,


scaldandosi le mani con la tazza di tè che aveva accettato
qualche istante prima. «Meglio così, però. Se fosse
venuto qui non avrebbe combinato nulla con la
confusione creata dai ragazzi e papà.»

Quello era uno dei primi momenti della giornata, ormai


giunta al termine, in cui non si sentiva un vivace vociare
diffondersi tra le stanze della casa: mezz'ora prima Ethan
e i ragazzi erano saliti al piano superiore e quel tanto
578
agognato silenzio gli suggeriva che Edward avesse infilato
il suo pigiama senza far storie e che ora fossero tutti a
dormire.

«La prossima volta voglio anche lui qui, mon petit.»


Johannah gli lanciò un'occhiata eloquente, mentre
prendeva un sorso di tè. «Non lo vediamo dal suo
compleanno e mi manca averlo per casa o vederlo sulla
sua poltrona preferita.»

Louis si voltò nella direzione della poltrona in pelle


marrone che un tempo era stata di nonno Robert e che
ora apparteneva a Harry: non sapeva neanche quando
c'era stato quel passaggio di testimone, ma nessuno si
era chiesto il perché visto il forte legame che c'era stato
tra i due. «Glielo dirò, maman.»

E Louis non era affatto pronto per ciò che Johannah gli
domandò un attimo dopo: quel «quindi ora vi parlate di
nuovo?» lo fece sobbalzare tanto da fargli andare un
sorso di tè di traverso e farlo tossicchiare per il minuto
intero seguente. «Calme-toi un peu, chéri!» aggiunse lei
innocentemente, mentre gli lasciava qualche pacca sulla
schiena.

«Mamma, con me i tuoi giochetti non hanno mai


funzionato!» precisò, guardandola di sottecchi e
tossicchiando ancora per schiarirsi la voce. «Chi ti ha
detto che non ci parliamo?» chiese, prima di rispondere
lui stesso a quella domanda con un «oh, certo, Anne!».
Louis si alzò dallo sgabello del bancone stizzito per posare
la tazza di tè nel lavandino. «Voi due parlate davvero
tanto alle mie spalle!»

«Ancora con questa storia, Lou? Non era niente di grave e


non volevamo farti preoccupare inutilmente.» Sua madre
alzò gli occhi blu al cielo, riferendosi all'operazione di
Anne di cui lui era stato all'oscuro. «E comunque Anne ha
confermato soltanto quello che tutti sapevamo già dal
579
compleanno di Harry: c'è qualcosa che non va tra voi
due.»

«Beh, se hai parlato con Anne sai già cosa non va. Hai dei
consigli da darmi o solo dei rimproveri?»

Johannah inclinò il capo di qualche grado e corrugò la


fronte, prima di scuotere la testa e sospirare un «Lou»
che sembrò essere quasi una preghiera. «Vieni qui, mon
petit soleil. Ne te fâche pas, non arrabbiarti: lo sai che io
sono sempre qui per aiutarti e mai per giudicarti.»

Louis sospirò, stropicciandosi il volto con i palmi delle


mani e arrendendosi alle parole di sua madre perché
riconosceva di essere molto nervoso in quel periodo e di
esplodere per un nonnulla la maggior parte delle volte.

«Désolé, je demande pardon, j'ai exagéré.» mormorò,


raggiungendola di nuovo al bancone e sapendo di aver
esagerato a reagire in quel modo. «È che con Harry le
cose peggiorano di giorno in giorno e non so più cosa
devo fare.» confessò, deglutendo vistosamente. «Non
trascorro più la maggior parte del tempo a lavoro e sto di
più con i ragazzi perché mi sono accorto di essermi perso
mesi interi delle loro vite, ma con Harry non è migliorato
nulla.»

«Harry non è felice del fatto che tu trascorra più tempo a


casa?»

«Forse lo sarebbe di più se non lo ignorassi o non gli


rispondessi in modo pungente la maggior parte delle volte
che mi rivolge la parola.»

«E perché mai ti comporti così con lui, dopo tutto quello


che ha passato e che, magari, continua a passare?»

580
«Perché mi vergogno. Perché pensavo di essere un buon
padre e un buon marito, perché non avevo mai visto
Harry così deluso dai miei comportamenti o dalle mie
parole, perché ogni volta che siamo nella stessa stanza
mi torna in mente la nostra discussione e alzo la guardia
per non essere giudicato ulteriormente.»

«Ed è qui che sbagli, tesoro. Harry non ti ha "giudicato",


non ti ha parlato per farti notare quanto fossi un cattivo
padre o un cattivo marito e per ferirti. Harry ha cercato di
parlarti di come si sentisse lui, di quanto mancassi nella
vita dei ragazzi e nella sua, di metterti di fronte a una
questione che a lungo andare avrebbe logorato il vostro
rapporto.»

«Lo ha fatto ugualmente, no?» chiese Louis amaramente.


«Insomma, non siamo Harry e Louis da più di un mese e
non facciamo altro che evitarci a vicenda perché
altrimenti passeremmo la maggior parte del tempo a
discutere.»

«E non è il momento di cambiare le cose?»

«E come, maman? Non riesco neanche a stare nella sua


stessa stanza per la vergogna che provo e allo stesso
tempo mi sembra che qualunque cosa esca dalla sua
bocca sia una critica al mio essere padre e marito. Come
posso guardarlo negli occhi e chiedergli di dimenticare il
pessimo mese che abbiamo passato? Insomma, è
successo tutto a causa dei miei errori e delle mie
mancanze.»

«Comincia col capire che le parole di Harry volevano


esserti di aiuto, non criticarti o farti vergognare per il tuo
comportamento. Ricorda che siete una squadra: è
normale che l'uno faccia notare qualcosa all'altro perché
serve a crescere insieme. E, infine, guarda fin dove siete
arrivati: non vale la pena di distruggere una bellissima

581
storia d'amore per un po' di orgoglio o di vergogna, non
credi?»

E lo credeva anche Louis, ma era così difficile guardarsi


dentro, scendere a patti con il proprio orgoglio e superare
la vergogna che provava nei confronti di Harry. Doveva
semplicemente accettare che lui, Louis Tomlinson, avesse
deluso l'amore della sua vita e che avesse fallito in ciò in
cui si riteneva più bravo, ossia essere un buon padre e
marito. Eppure, così come gli avevano suggerito le parole
di sua madre prima di andare a dormire quella sera, un
solo sbaglio non poteva definire il suo matrimonio un
fallimento. Era nella natura umana cadere, rialzarsi e
migliorarsi ed era quello il semplice iter che lui avrebbe
dovuto seguire. Aveva sbagliato concentrando le sue
attenzioni interamente sul suo lavoro, era caduto a terra
senza Harry al suo fianco, ma era giunto il momento di
rialzarsi e migliorarsi, di curare con baci e promesse - che
quella volta avrebbe mantenuto - il suo rapporto con
Harry.

E cominciò a farlo con dei messaggi che quella notte gli


inviò alla fioca luce della luna che filtrava dalla finestra
nella sua camera da letto: erano per lo più foto dei
ragazzi, di Edward che cercava di difendere la casetta
sull'albero, di nonno Ethan che con una spada e una
benda da pirata sull'occhio destro faceva ridacchiare
anche Daisy e Mikael, di Johannah e il suo arrosto
bruciacchiato che era stato sostituito prontamente con
della pizza calda e gustosa. Un ultimo messaggio
chiudeva la sequela di foto che Louis gli inoltrò, un «ci
manchi» che gli fece tremare ginocchia, mani e cuore
mentre veniva digitato.

Più tardi, un «mi mancate anche voi» da parte di Harry


gli mozzò il fiato: erano passate soltanto alcune ore dalla
loro partenza e Louis non si aspettava quella risposta, in
realtà non si aspettava alcuna risposta. Eppure,
quell'affermazione gli diede il coraggio per tentare un

582
azzardo, per digitare col fiato sospeso un «e allora cosa
aspetti a raggiungerci?» e attendere una reazione che
quella volta non arrivò per davvero. Non importò, però,
perché quel «mi mancate anche voi» era già stato una
vittoria, un passo in avanti. Gli permise di addormentarsi
con un po' di speranza a scaldargli il petto e di svegliarsi
il mattino successivo con il sorriso sulle labbra, un sorriso
che non smise di indossare neanche quando entrò nella
stanza dei ragazzi e trovò Edward imbronciato davanti lo
specchio a parete.

«Ehi, mon petit, sei pronto?» chiese, indugiando sull'uscio


della camera.

Il bambino sbuffò, voltandosi nella sua direzione e


sfilandosi dal collo quella che aveva tutta l'aria di
sembrare una cravatta. «No, non riesco a fare il nodo a
questa cosa.» disse, brandendo in mano quel pezzo di
stoffa nero. «C'est tragique!»

Louis aggrottò la fronte, prima di raggiungerlo e chiedere


«addirittura una tragedia? E perché mai vuoi indossare
una cravatta?». Si sedette su uno dei tre letti singoli che
affollavano la stanza e sentì il materasso cigolare.
«Insomma, stiamo andando a trovare i nonni al cimitero,
non a un matrimonio.»

Edward lo imitò e si sedette al suo fianco, le gambe


penzolavano dal letto e un broncio ancora arricciava le
sue labbra sottili. «Lo so, ma volevo essere elegante per
loro.» affermò, scrollando le spalle e intenerendo l'altro.
«Madame Bouchet dice che dobbiamo essere sempre
eleganti, in qualunque occasione, che sia il balletto o un
compleanno o la spesa al supermercato.»

Louis cercò di trattenere una risatina perché Edward


sembrava aver preso molto sul serio le sue lezioni di
danza classica e gli insegnamenti di Madame Bouchet,
forse fin troppo. «Capisco che tu voglia seguire le parole
583
della tua Maestra, ma nonna Margot e nonno Robert ti
apprezzeranno anche con questa camicia o con il pigiama
dei supereroi indosso, Edward.» gli rispose, passando le
dita tra i suoi morbidi capelli biondi. «Non c'è bisogno di
questa cravatta. Anzi, se proprio vuoi saperlo, nonna
Margot odiava le cravatte.»

«Davvero?»

«Davvero, diceva che sembrassero per lo più dei


guinzagli.» ridacchiò, mentre Edward si rigirava tra le
mani piccole e delicate quel pezzo di stoffa. «Ma lei era
una gran ribelle, lo sai, quindi non so quanto possa
essere corretta la sua definizione.»

«Beh, se lo diceva nonna Margot, posso anche farne a


meno.» ribatté lui sollevato, i suoi occhi blu divennero più
brillanti di qualche istante prima quando lasciò sul letto la
cravatta e si rimise in piedi. «Madame Bouchet non lo
saprà mai.» aggiunse prima di domandare «anche Mika
verrà con noi al cimitero?».

«Certo, è già di sotto che ci aspetta con Daisy.» lo


rassicurò Louis, alzandosi e sistemandogli il colletto della
camicia bianca che indossava. «Come mai me lo chiedi?»

Non nascondeva che la partecipazione di Mikael a


quell'evento avesse sorpreso anche lui. Il ragazzo non
aveva avuto la fortuna di conoscere i suoi nonni, ma
questo non significava che ne volesse ignorare
l'esistenza, non se nonno Robert e nonna Margot erano
due presenze così forti in quella che avrebbe dovuto
essere anche la sua famiglia: a Mikael piaceva chiedere di
loro, informarsi a riguardo quando a cena venivano
nominati, guardare vecchie foto o video.

«Niente in particolare. Non è strano che Mika voglia


venire con noi, ma che papà non ci sia. Insomma, so che

584
aveva da lavorare, ma non ha mai mancato una visita al
cimitero prima d'ora.»

«Lo sai che papà aveva un lavoro molto complicato da


svolgere.»

«Okay, ma lui non è super intelligente? Poteva fare subito


il suo lavoro e raggiungerci qui.»

Louis ridacchiò. «Ed, è vero che tuo padre è super


intelligente ed è un asso con i numeri, ma non è un
robot! Aveva bisogno di calma e tranquillità per terminare
il suo lavoro e per questo è rimasto a casa.» concluse con
un sorriso. «Gli mancate tanto, lo sai?»

«Sì?»

«Certo, me lo ha detto proprio ieri sera prima di andare a


dormire e lo sai anche tu visto che ci hai parlato poco fa
al telefono. Ora andiamo, papà non sarebbe fiero di noi
se facessimo aspettare troppo i nonni.»

Edward annuì mentre si incamminava verso l'uscita della


stanza e Louis prendeva un sospiro di sollievo. Poi,
all'improvviso, si fermò e lo colse di sorpresa.

«Sai, quando torniamo a casa, dobbiamo fare qualcosa


tutti insieme.» propose lui. «Intendo tu, papà, Daisy,
Mikael e io. È bello andare al parco con te o andare a
prendere un gelato con papà, ma mi manca fare
qualcosa tutti insieme.» Tutti, sottolineò. «Me lo
prometti?»

Louis annuì solennemente, certo che quella promessa non


l'avrebbe infranta.

585
Varcare le soglie del cimitero di Eastbourne era diventata
un'azione familiare per Louis negli ultimi anni, durante i
quali si era convinto del fatto che i cimiteri servissero più
ai vivi che a chi non c'era più.

Visitare le tombe di Margot e Robert, ripulirle dalle foglie


secche o poggiare delle margherite bianche e profumate
ai loro piedi significava per lui onorare la loro memoria,
dargli quell'abbraccio che tanto agognava, prendersi cura
di loro nonostante tutto. Recentemente aveva preso
l'abitudine di raccontare ai suoi figli un aneddoto che
riguardasse i suoi nonni ad ogni loro visita e amava
vedere Daisy e Edward ridacchiare per qualcosa che
Margot e Robert avevano detto o fatto, amava rispondere
alle domande di Mikael che, curioso, non faceva a meno
di porre.

E nel profondo del suo cuore sapeva che anche Margot e


Robert lo amassero, ovunque loro due si trovassero in
quel momento.

Quella mattina, dopo aver ridacchiato tutti e quattro


insieme per un aneddoto che riguardava Margot e la sua
amica francese di vecchia data Clementine, permise ai
ragazzi di giocherellare nel prato ai piedi della collina sul
quale si trovava il cimitero così da poter rimanere da solo
per un po'. Daisy gli chiese incerta «tu es sûr, papa?»
prima di seguire i suoi fratelli e Louis annuì lasciandole un
bacio sulla fronte e rivolgendole un sorriso dolce: a volte
aveva soltanto bisogno di stare da solo, soprattutto in
quelle occasioni.

Sostava davanti le tombe dei suoi nonni, chiudeva gli


occhi e immaginava di averli al suo fianco, l'uno alla sua
destra e l'altra alla sua sinistra.

Se si concentrava sul suo respiro e sul battito del suo


cuore, a volte riusciva persino a sentire la mano di nonno
Robert sulla sua spalla o la voce calda di nonna Margot
586
chiamarlo «mon petit soleil» nell'orecchio. E quanto gli
mancava ascoltare quel nomignolo lasciare le sue labbra,
vedere i suoi lunghi capelli argentei racchiusi in una lunga
treccia o specchiarsi in quegli occhi blu così simili ai suoi;
gli mancava persino il suo profumo, quello dolce del pain
au chocolat. A volte, quando soffiava il vento, gli
sembrava persino che quel profumo solleticasse il suo
naso all'insù.

Quella volta un altro profumo, altrettanto familiare,


inebriò i suoi sensi tanto da ridestarlo e convincerlo ad
aprire gli occhi.

«Harry.» mormorò meravigliato, chiedendosi se l'altro


fosse davvero al suo fianco o meno. Eppure, era lì in
carne e ossa, con i suoi ricci scompigliati e quel velo di
barba che si ostinava a far crescere, con gli occhi verdi
ancora un po' assonnati e le labbra di un rosa indiano,
con un paio di jeans chiari e una camicia a fantasia. Ed
era quello il suo Harry preferito, quello che abbandonava
gli abiti eleganti e la valigetta con cui andava a lavoro e
tornava a essere un ragazzo, nonostante avesse superato
la soglia dei tanto attesi quarant'anni ormai. «Sei
venuto.»

Lui non rispose immediatamente, guardò attentamente le


lapidi bianche di fronte a sé e arricciò la punta nel naso
infastidito come se qualcosa non gli quadrasse. Rovistò
nella tasca della giacca che indossava al di sopra della
camicia e tirò fuori un post-it giallo, mormorando tra sé e
sé «sapevo che lo avresti dimenticato», prima di piegarlo
più volte fino a renderlo un aeroplanino di carta e posarlo
ai piedi della lapide di nonno Robert, tra le margherite
bianche e profumate che l'ornavano.

«Ehi, non l'ho dimenticato.» puntualizzò Louis, ma senza


alcun astio nel tono della sua voce. «Semplicemente non
volevo farlo senza di te.» aggiunse, tirando fuori dalla

587
tasca del suo jeans un post-it identico al suo per
dimostrargli le sue buone intenzioni. «Lo avevo qui!»

Harry accennò un sorriso e quel timido segno di resa


bastò a Louis per specchiare la sua espressione, mentre
lo guardava posizionarsi al suo fianco con lo sguardo fisso
davanti a sé e le mani intrecciate dietro la schiena.

«Sono passato a casa tua poco fa per lasciare Olaf e i tuoi


mi hanno detto che eravate tutti e quattro qui.»

«Sì, ci sono anche i ragazzi in quel prato» indicò la


distesa erbosa situata ai piedi del cimitero «a giocare tra
loro. Credo che Edward gli stia insegnando qualche passo
della nuova coreografia che sta imparando.» Si bagnò le
labbra per umettarle e continuò a guardarlo, attento a
catturare ogni sua espressione. «Mi hanno dato cinque
minuti per stare un po' da solo con i nonni.»

«Se vuoi un po' di tempo solo per te posso raggiungerli o


aspettare in macchina.»

«No.» ribatté, forse troppo precipitosamente e


disperatamente. «Tu puoi restare. Tu puoi sempre
restare.» aggiunse e Harry annuì lentamente. «Non
pensavo che ci avresti raggiunto a Eastbourne
sinceramente. E il tuo lavoro?»

«Ho finito prima di quanto pensassi e Olaf non era molto


di compagnia senza Ginger o i ragazzi.»

«Ti mancava già tutta quella confusione, eh?»

«Mi mancavano già loro, mi mancavate tutti voi.» lo


corresse Harry e Louis annuì, cercando di trattenere il suo
sorriso perché quel "voi" ancora una volta gli aveva fatto
tremare le pareti del cuore. «E poi, voglio salire anche io
sulla casa sull'albero dopo aver visto quelle foto.»

588
«Vuoi davvero salirci?» chiese lui titubante. «Quando ieri
sera ti ho mandato tutte quelle foto non ho pensato alle
conseguenze sinceramente. Se ti sono sembrato
indelicato, mi dispiace...insomma, so bene che una casa
sull'albero era tutto ciò che desideravi da bambino e non
ho dimenticato i ricordi dolorosi che hai a riguardo.»

«Lou, non preoccuparti.» lo interruppe Harry. «Mi ha fatto


piacere vedere i ragazzi così felici in quelle foto e non ho
pensato neanche per un istante alla morte di mio padre.
Anzi, questa casa sull'albero potrebbe aiutarmi a creare
nuovi ricordi, magari più belli dei precedenti. Ed Ethan è
stato bravissimo...quella casa è proprio come la
desideravo anch'io da bambino.»

«Davvero?»

«Davvero. Non vedo l'ora di vederla dal vivo e giocarci


con i ragazzi tutto il pomeriggio sinceramente.»

Louis ridacchiò nel sentire la voce di Harry vibrare di


emozione: finalmente, dopo settimane, non era più piatta
o sommessa. Non riusciva a guardare bene i suoi occhi
dalla sua posizione, ma scommetteva che persino il suo
sguardo si fosse illuminato, che brillasse per l'eccitazione
di veder realizzato quello che era stato un suo sogno fin
da bambino.

«Sai, in realtà, prima di venire qui, ho detto ai ragazzi


che stasera saremmo tornati a Londra dopo aver fatto
una passeggiata sul lungomare.»

«E perché mai? Ethan e Johannah hanno degli impegni? O


quelle pesti li hanno già stancati troppo?»

«No, niente di tutto questo.» rispose Louis, scuotendo la


testa, prima di farsi più vicino a lui e diventare più serio.
«È perché volevo tornare a casa da te, non sopportavo

589
l'idea che fossi solo a casa nostra, senza compagnia e
senza i ragazzi. Senza di me.»

Harry abbassò lo sguardo sulle sue scarpe e il terreno


erboso e Louis poté giurare di aver visto le sue guance
colorarsi di una leggera sfumatura rosea, mentre il suo
cuore batteva erratico non sapendo cosa lo avrebbe
aspettato. Non sapeva se fosse stato un bene o un male
essere così sincero, ma Louis era stanco di non essere se
stesso intorno a Harry, intorno all'unica persona che lo
vedeva per davvero. E non sapeva neanche chi dei due si
fosse avvicinato così tanto all'altro, perché ora le punte
delle loro dita si sfioravano e Louis riusciva quasi a
sentire il respiro affannato di Harry che si fondeva al suo.

«Abbiamo tante cose di cui parlare, Lou.» mormorò


Harry, guardando di sottecchi le loro dita, ma non
allontanandosi di un millimetro. «Ma non torniamo a casa
oggi, rimaniamo qui fino a domani sera.» propose più
dolcemente. «I ragazzi hanno bisogno di cambiare aria e,
magari, farà bene anche a noi due.»

Lontani dal lavoro, lontani da Londra e da ciò che aveva


scatenato le loro discussioni nelle settimane precedenti,
ma loro due sembravano essere un po' più vicini.

«Rimaniamo qui, allora.» confermò Louis, lo sguardo


ancora fisso sul suo viso e le dita che formicolavano
perché fremevano per sfiorare quelle dell'altro.
«Insieme.»

E in un istante accadde.

All'improvviso Louis sentì per la prima volta in settimane


le dita di Harry intrecciarsi alle proprie e riconobbe la
familiarità degli anelli che le ornavano, il calore che le
caratterizzava e che allontanava il freddo dalle sue, la
delicatezza con la quale Harry compieva solitamente quel
gesto. E giudicò quel gesto ancora più importante perché
590
solitamente era Louis a compierlo, a rassicurarlo e a
calmare ogni sua paranoia soltanto con una stretta di
mano, con l'intreccio di dita che si conoscevano a
memoria e allo stesso tempo scoprivano ogni volta il
corpo dell'uno e dell'altro.

«Insieme.» mormorò Harry, prima di volgere lo sguardo


ancora una volta sulle lapidi bianche dei nonni.

Quella mattina comparve l'ombra di un sorriso sulle sue


labbra e a Louis bastò per pensare che quello sarebbe
stato un nuovo inizio.

«Dov'è papà?»

Daisy respirava a malapena quel pomeriggio di inizio


aprile. Era bianca come un lenzuolo e i suoi occhioni verdi
erano tinti di una preoccupazione che Harry difficilmente
aveva mai visto su sua figlia perché era la ragazzina più
caparbia e coraggiosa che avesse mai conosciuto. Eppure,
poco prima, Daisy gli aveva fatto cenno di raggiungerla
dietro le quinte del teatro in cui si sarebbe tenuto il
saggio di pianoforte e si era rifugiata tra le sue braccia
perché troppo in ansia per la sua esibizione. Ora, dopo
qualche carezza e qualche parola di conforto, le sue mani
non tremavano più in quelle più grandi e calde del padre,
ma un cipiglio ancora stropicciava i lineamenti morbidi e
delicati del suo viso.

«Arriverà, Daisy.» le rispose Harry, cercando di


nascondere ogni sua incertezza. «Papà arriverà tra poco,
tu suonerai benissimo e prenderai gli applausi di tutto il
teatro come sempre.»

«Non mi importa degli applausi stavolta, voglio solo che


papà venga qui al più presto.»

591
E Harry la capiva perché non c'era altra cosa che voleva
anche lui, perché nelle ultime settimane i ragazzi si erano
abituati nuovamente ad avere Louis al loro fianco e non
avrebbero sopportato vederlo ancora scegliere il lavoro al
posto loro.

«Lo so, princesse.» ribatté, riavviandosi all'indietro i


capelli in un gesto nervoso. «E arriverà, te lo prometto.»
aggiunse, prima di tirar fuori dalla sua giacca blu ed
elegante una scatolina di latta e porgergliela con un
sorriso timido. «Ne vuoi uno?»

«Uno dei tuoi orsetti gommosi rossi? Addirittura?» chiese


disperata con le mani tra i capelli. «Mon Dieu, la
situazione è più tragica di quanto pensassi se sei arrivato
ad offrirmi i tuoi orsetti gommosi rossi!» esclamò,
cominciando a fare avanti e indietro nello spazio ristretto
del disimpegno che portava al retroscena del teatro.

Harry provò l'improvviso desiderio di saltare sul primo


taxi e di andare via da lì, da quelle che erano le paranoie
di Daisy e le ennesime mancanze di suo marito: quel
desiderio, però, durò soltanto per un istante perché bastò
guardare gli occhi spaventati di sua figlia, così simili ai
suoi, riempirsi di lacrime per capire che quello fosse e
sarebbe stato sempre il suo posto. La fermò e si
inginocchiò davanti a lei, così da raggiungere la sua
altezza e le asciugò una lacrima che, silenziosa, era scesa
sulla sua guancia.

«Daisy, la situazione non è così tragica e ti ho offerto i


miei orsetti gommosi soltanto per distrarti e, magari, farti
rilassare. Sai, molti anni fa, abbiamo partecipato a una
serata di gala della mia azienda ed ero molto nervoso
perché indossavo un abito che mi faceva sembrare un
pinguino ed ero circondato da persone che conoscevo a
malapena. Poi, tuo padre mi ha detto che, invece,
somigliavo a un principe vestito in quel modo e ha tirato
fuori questa scatolina.» Scosse l'oggetto che aveva nella
592
mano sinistra e Daisy accennò un sorriso. «Mi ha
confessato che quegli orsetti rossi fossero per le
emergenze e che avrei dovuto prenderne uno per
rilassarmi e...così è accaduto. Ho preso un orsetto, l'ho
mandato giù e all'improvviso tutto è diventato più
sopportabile. Un istante dopo, gli ho concesso persino un
ballo!»

«Sei sicuro che non ci fosse della droga in quegli orsetti?»

«Daisy!»

«Scherzavo! Sai, penso che sia stato merito di papà


quella volta e non dei tuoi orsetti gommosi, ma posso
provarci lo stesso.»

Guardò la scatolina sospettosa e, soltanto quando


qualcuno esclamò «quindici minuti all'inizio del saggio!»,
strabuzzò gli occhi e si convinse a prendere una manciata
di orsetti e a riversarli in bocca.

«Piano, Daisy. Voglio sentirti suonare quel pezzo di


Wagner e non portarti in ospedale per indigestione o
soffocamento.»

«Tu che te ne intendi...quante sono le probabilità che io


soffochi in questo momento?» chiese lei, masticando
velocemente. «Preferirei finire in ospedale piuttosto che
esibirmi in un teatro pieno di gente, ma senza papà.»

Harry alzò gli occhi al cielo, esasperato dalla tendenza al


melodramma di sua figlia, soprattutto perché aveva
ereditato quel tratto caratteriale da Louis. Louis che
aveva soltanto pochi minuti per arrivare al teatro in
tempo, rassicurare sua figlia e sedersi con il resto della
famiglia. Louis che stava mettendo a dura prova la
pazienza e la fiducia di Harry dopo il loro timido
riavvicinamento a Eastbourne. Non era cambiato granché
da quel giorno perché l'altro continuava a dormire ancora
593
con Mikael, ma i due avevano cominciato nuovamente a
scambiarsi degli sguardi e a volte timide carezze, a
rimanere sul dondolo in giardino fino a tarda notte per
parlare del più e del meno e a sorridere di più.

«Le probabilità sono pari allo zero perché tuo padre


verrà. Quindi, non preoccuparti e mastica lentamente.» la
ammonì, prima di rimettersi in piedi e tirar fuori il
cellulare dalla tasca del pantalone mormorando un «dove
sei, Lou?» mentre provava a chiamarlo.

Il cellulare dell'altro continuò a squillare per qualche


istante e della sua voce non vi fu traccia, fino a quando
non ascoltarono una serie di «mi scusi» e «mi lasci
passare» che costrinsero entrambi a voltarsi e a
intravedere Louis che camminava con passo affrettato
verso di loro nel suo completo nero più bello. Quando
quest'ultimo li raggiunse, tutti e due tirarono un sospiro
di sollievo e Daisy lo abbracciò forte prima di esclamare
un sentito «finalmente sei qui!».

«Non me lo sarei perso per nulla al mondo, ma petit


princesse.» disse Louis, lasciando un bacio tra i suoi
capelli castani. «Come ti senti?»

«Un po' nervosa, ma papà mi ha dato i suoi orsetti


gommosi per farmi calmare e ora tu sei qui. Starò bene.»

Louis le sorrise affettuosamente e le accarezzò la guancia


prima di aggiungere «ora raggiungi gli altri e fa' vedere a
tutti quanto vali, okay?». Daisy annuì e, dopo aver
baciato le guance dei suoi papà, scomparve nel
retroscena del teatro, pronta a rispettare la scaletta e a
esibirsi.

Louis sorrideva ancora nella direzione in cui Daisy era


scomparsa, quando Harry si schiarì la voce e gli chiese
«si può sapere perché eri in ritardo?» senza aspettare la
sua risposta. «Daisy stava impazzendo senza di te e
594
stava per mandare a monte l'esibizione per cui ha
lavorato mesi interi perché pensava che tu non ti
presentassi!»

«Ero...»

«Scommetto che eri all'associazione, vero?» lo incalzò


Harry, compiendo un passo nella sua direzione. «Quale
urgenza c'era oggi? Cosa c'era di più importante del
saggio di Daisy? Tutti abbiamo messo da parte i nostri
impegni per lei. Edward ha rinunciato al compleanno di
un suo compagno di classe e Mikael all'allenamento di
nuoto. Perché tu non ci riesci mai, Lou?»

«Non è vero, Harry. Non ero all'associazione, né in giro


per la città per lavoro. Ero semplicemente dal fioraio
perché volevo prendere un mazzo di rose rosse da dare a
Daisy dopo l'esibizione.» precisò e a Harry quasi si mozzò
il fiato. «Ma a te non importano le mie spiegazioni perché
hai già deciso tutto. Hai deciso che ero a lavoro, che
stavo trascurando la mia famiglia e che sono un pessimo
padre e un pessimo marito, vero?» chiese deluso. «Beh,
questo era vero fino a qualche mese fa, ma ora non lo è
più. Ho capito i miei sbagli, mi sono perdonato e sto
cercando di rimediare a tutti i miei errori, sia con i ragazzi
che con te, ma è impossibile farlo a pieno se tu non me lo
permetti.»

«Lou, io...»

«Tu cosa, Harry?» lo interruppe Louis, prima di affermare


«lascia stare e andiamo a sederci, Edward e Mikael ci
aspettano in platea».

Harry lo seguì mortificato e non aggiunse neanche una


parola, sentendo la vergogna arrossirgli le guance e le
mani tremare per la paura di aver peggiorato le cose tra
loro. Si sedettero in platea e a separarli c'erano soltanto
Edward e Mikael, ma non avrebbero potuto essere più
595
lontani di così in quel momento. Il saggio cominciò e
Harry si limitò a scambiare soltanto qualche parola con
Edward e ad applaudire alle esibizioni dei giovani pianisti,
prima di aprirsi in un sorriso sincero quando sul palco
comparve Daisy con i suoi boccoli castani e il suo vestito
bordeaux, pronta a suonare e a rendere fiera i suoi papà.

L'esibizione di Daisy, a dispetto del suo nervosismo e


della difficoltà del pezzo, fu perfetta. Padroneggiò
caparbiamente lo strumento e trasmise tutta l'intensità e
la drammaticità di quel brano al pubblico che, alla fine
della performance, applaudì soddisfatto. Louis sorrise a
Mikael orgoglioso, mentre quest'ultimo diceva di non aver
mai ascoltato qualcuno suonare in quel modo, e Harry
avrebbe tanto voluto intervenire, scherzare con loro e
ripetere ancora una volta quanto sua figlia fosse stata
brava, ma non lo fece perché Louis incrociò il suo sguardo
per un istante e sembrò quasi fulminarlo. Soltanto
quando Daisy li raggiunse e ricevette le sue rose rosse,
Harry recuperò il suo sorriso perché la felicità dei suoi figli
risultava contagiosa anche nei momenti più bui.

Più tardi, dopo aver cenato da Wendy con degli


hamburger gustosi e del gelato, i cinque tornarono a
casa.

Harry prese in braccio Edward, il quale si era


addormentato nel sedile posteriore della loro automobile
nel tragitto, e lo sistemò nel suo letto, infilandogli il
pigiama e lasciandogli un bacio sulla fronte. Diede la
buonanotte a Mikael dicendogli di non vedere l'ora di
andare a una sua gara di nuoto e fare il tifo per lui sugli
spalti e ricevendo in cambio un sorriso lusingato. Infine,
andò da Daisy per ricordarle quanto tutti fossero fieri di
lei e che l'indomani avrebbe dovuto suonare il brano
ancora una volta per farlo ascoltare anche ai nonni in
videochiamata.

596
Chiusa la porta della sua stanza, Harry tirò un sospiro di
sollievo. Era sollevato per essere sopravvissuto anche a
quella giornata perché, da quando lui e Louis non erano
più una squadra, pensava alla sua vita come una continua
lotta ed era stanco di farlo. Era stanco di non trovare più i
suoi occhi blu ad osservarlo innamorati, di non sentire più
le sue braccia intorno alla vita e di non percepire le sue
labbra sulle sue. Si portò mogiamente al piano terra,
diretto in cucina per una tazza di tè caldo, quando
qualcosa posizionato sul tavolo in legno del soggiorno
colpì la sua attenzione.

«E queste?» mormorò tra sé e sé, socchiudendo gli occhi


e compiendo un passo in avanti per sfiorare quei petali
delicati che lo avevano tanto colpito. «Cosa ci fanno qui?»

«Quelle margherite erano per te e sono state il motivo


per cui sono arrivato in ritardo...ho girato tre fiorai per
averle.» esordì Louis, le mani in tasca e un'espressione
amareggiata sul viso, mentre faceva cenno al mazzo di
margherite che occupava un'estremità del tavolo. «Sono
un po' rovinate ormai, ma se vuoi puoi metterle in un
vaso.»

Harry sentì il cuore battere erratico nel petto e l'intero


corpo fremere dal desiderio di correre verso Louis e
stringerlo a sé, occupare i vuoti che in quelle settimane
aveva lasciato e sentirlo sotto le sue mani, pronte a
riscoprire il suo corpo in ogni dettaglio.

«È stato un gesto molto carino.» disse, invece, perché la


vergogna che provava nell'averlo rimproverato a teatro lo
inchiodava al pavimento. «Grazie, lo apprezzo.»

Louis scosse la testa e si avvicinò a lui, tanto quanto


bastava per sentire il suo respiro affannato e il suo cuore
battere all'impazzata per quella vicinanza improvvisa.
Tese una mano verso il suo volto e spostò delicatamente
un ricciolo che gli cadeva sulla fronte all'indietro, prima di
597
far scivolare le sue dita lentamente sulla tempia, sulla
guancia e, infine, lungo la mandibola affilata. E Harry non
poté far a meno di chiudere gli occhi per assaporare
meglio quel momento, per sentire il suo tocco delicato in
ogni lembo del suo corpo, per tremare e percepire ancora
una volta la vita scorrergli sottopelle.

«Non voleva essere soltanto un gesto carino, Harry.»


precisò Louis, la sua voce suadente raggiunse il suo
orecchio tanto da farlo rabbrividire. «Quelle margherite
sono la mia offerta di pace e significano soltanto una
cosa, che ti amo ancora come diciassette anni fa.»
confessò. «Je t'aime, ma Lune. E non importa quanto
tempo occorrerà per ritrovare il nostro equilibrio, non
importa quanto ancora dovremo discutere o quante porte
sbatteremo alle nostre spalle, io ti amo e non smetterò
mai di farlo.» continuò Louis, prendendogli una mano
nella sua e non trovando alcuna opposizione. «E spero
che lo faccia ancora anche tu, Harry. Spero che tu sappia
che noi due ci apparteniamo e che, sì, potremmo esistere
l'uno senza l'altro, ma...vivere è tutt'altro che
semplicemente esistere.» sospirò. «Io ho bisogno di te
per tornare a vivere e spero che anche tu abbia bisogno
di me. Dopotutto, anche la Luna ha bisogno del Sole per
brillare, no?»

Louis gli pose quella domanda senza aspettarsi alcuna


risposta. Harry aveva ancora gli occhi chiusi e sentiva
tutto, sentiva l'intenzione, la disperazione e la sofferenza
di quelle parole. Soprattutto, Harry sentiva l'amore,
l'amore che Louis gli aveva promesso anni prima e che,
nonostante tutto, rinnovava ancora con piccoli gesti.
Sentiva il dolore di quei giorni trascorsi senza di lui e il
cuore sprofondargli nel petto.

Poi, percepì il bacio tenero che Louis gli lasciò sulle labbra
prima di andare via e finalmente si sentì completo,
nonostante non ci fosse ormai nessuno al suo fianco.

598
Una lacrima scese silenziosamente sulla sua guancia e le
punte delle dita sfiorarono delicatamente le sue labbra,
quasi per accertarsi che quel bacio non fosse stato un
sogno.

Gli occhi, invece, erano determinati a rimanere chiusi


ancora per un po', quasi a tenere quel momento stretto a
sé il più a lungo possibile.

Era un pomeriggio di metà aprile quando Louis entrò nella


stanza di Mikael e lo trovò con un borsone tra le mani e
un'espressione triste sul volto.

«Cosa stai facendo, Mika?» domandò, avanzando verso il


letto e notando l'armadio aperto e parzialmente svuotato
dei suoi vestiti.

Dubitava che tutti gli averi del ragazzo potessero entrare


in quel borsone, quello con cui era partito da Minsk e che
conteneva soltanto un paio di jeans, qualche t-shirt e
nessun ricordo d'infanzia. Ad oggi, quel borsone verde
militare non avrebbe potuto contenere neanche la metà di
tutti i disegni che Edward aveva fatto per Mikael o dei
libri che Harry e Louis gli avevano regalato nei mesi
precedenti.

«Sto facendo le valigie.» rispose lui, ostentando nel suo


tono una calma che le sue mani tremanti tradivano. «Me
ne vado.»

Louis lo guardò confuso, prima di chiedergli «e dove


vorresti andare?».

«Lontano di qui, lontano da questa casa e da Londra, così


potrete tornare la famiglia felice che eravate un tempo.»

599
Lo disse in modo sbrigativo, mentre continuava a
spostare dal letto al borsone e viceversa i suoi indumenti,
con gli occhi bassi e poco coraggio di guardarlo in faccia
perché altrimenti la sua calma apparente si sarebbe
sgretolata in mille pezzi.

Louis, però, non desisté e con le mani sui suoi fianchi


chiese ancora «ma di cosa stai parlando?».

«Non sono stupido, Louis.» sbuffò Mikael e per la prima


volta da quando Louis era entrato in camera sua si
azzardò a guardarlo. Aveva gli occhi rossi e lucidi, segno
che avesse pianto, e il petto dell'altro si strinse in una
morsa dolorosa perché non vedeva Mikael piangere dal
giorno in cui gli aveva comunicato la notizia dell'affido.
«Dormi ancora in camera mia e tu e Harry siete più
lontani che mai. Forse siete stati più o meno bravi a non
far capire quello che sta succedendo tra voi a Edward e a
Daisy, ma io l'ho capito fin troppo bene.» continuò,
scuotendo la testa. «Da quando ho messo piede in questa
casa, sono iniziate le discussioni e le cose tra voi sono
peggiorate a vista d'occhio...a malapena vi parlate!»

«Mikael, se le cose tra me e Harry non vanno bene al


momento è soltanto colpa nostra.» ribatté Louis,
aggirando il letto e posizionandosi al suo fianco. «Ne
abbiamo parlato quella sera e ti ho spiegato di aver
portato Harry all'esasperazione con le mie assenze e il
mio lavoro, ma ce la stiamo mettendo tutta. Pian piano
stiamo mettendo le cose a posto perché ci amiamo e
amiamo troppo quello che abbiamo costruito in questi
anni per distruggerlo alla prima difficoltà.» affermò più
dolcemente. «E tu, Mikael, non hai nessuna colpa perché i
nostri problemi non riguardano te. Anzi, forse dovremmo
essere io e Harry a sentirci in colpa nei tuoi confronti e a
scusarci con te.»

Mikael corrugò la fronte confuso perché, forse, non aveva


mai ricevuto delle scuse in vita sua. «E perché mai?»
600
«Perché ti avevo promesso di meglio. Meriti due genitori
migliori, che non discutano continuamente o che ti
offrano un clima più sereno.» sospirò, sedendosi sul
bordo del letto. «Io e Harry siamo in un periodo no - nel
nostro primo periodo no, a dire la verità - ed è evidente
che non sappiamo gestirlo. Quindi, perdonaci. E se pensi
di meritare di meglio o se ti trovi male in questa casa,
sentiti libero di contattare l'assistente sociale e andare
via. Noi vogliamo soltanto la tua felicità, Mikael. E, forse,
con quell'altra coppia che ti voleva con sé potrai essere
felice per davvero.»

«Quale coppia?» chiese, sedendosi al suo fianco. «Quei


due che erano venuti in orfanotrofio prima di te?»

Louis annuì. «Magari, con una famiglia tradizionale saresti


più sereno.»

«Tradizionale soltanto perché erano marito e moglie?


Beh, ci ho provato a giocare alla famigliola tradizionale
con mia madre e il suo compagno e sai che non è finita
bene.» affermò amaramente. «Non ho bisogno di una
madre e di un padre perché li ho avuti in passato e ho
capito che un legame di sangue non serve a nulla se non
c'è amore alla sua base. Ho bisogno soltanto di persone
che mi vogliano bene e che mi rendano felice, Lou. E voi,
voi tutti, mi rendete così felice anche se non lo dimostro
ventiquattro ore su ventiquattro.» Scosse la testa,
incrociando lo sguardo più commosso di Louis. «Per me la
felicità è entrare in questa casa e sentirmi al sicuro. È
essere accolto da Olaf e Ginger e non dagli insulti degli
altri ragazzi dell'orfanotrofio. È giocare con Edward senza
essere rimproverato e studiare con Daisy chiedendole
qualsiasi cosa perché non mi fa mai sentire sciocco. È
parlare con te di tutto quello che mi passa per la testa
perché mi sai ascoltare. Persino leggere qualche libro con
Harry al mio fianco sul divano senza dire alcuna parola
perché ormai abbiamo imparato a conoscere anche i
nostri silenzi.»

601
«Harry ama il fatto che tu sia un gran lettore proprio
come lui, lo sai?»

«L'ho capito quando gli ho detto che mi fosse piaciuto un


libro di Murakami e mi ha fatto trovare sulla scrivania
tutti i suoi romanzi il giorno seguente.» ridacchiò Mikael,
grattandosi la nuca, mentre Louis bofonchiava
amorevolmente «sai che a volte non conosce le mezze
misure». «Io sono felice qui con voi perché mi sento al
sicuro. Ma io? Vi rendo felici? V-voi siete felici con me?»

«Certo che siamo felici, come potremmo non esserlo? Sei


la nostra terza stella.» ribatté Louis, circondando le sue
spalle con un braccio e lasciandogli un bacio tra i capelli
color caramello: Mikael ricambiò quell'abbraccio e strinse
la sua presa a più non posso. «Ti assicuro che questo
periodaccio passerà e capirai anche perché Edward finisce
sempre per cambiare stanza quando io e Harry ci
abbracciamo o ci scambiamo qualche tenerezza.»
ridacchiò Louis, seguito a ruota dal ragazzo. «Scusaci,
Mika. Nous avons été des connards.» sospirò
distrattamente, accarezzandogli la schiena. «Scusaci.»

Mikael allontanò il suo capo tanto quanto bastava per


osservare il viso di Louis con un'espressione confusa.
«Hai appena detto che siete stati degli stronzi, vero?»

Louis boccheggiò, prima di sistemarsi la frangia sulla


fronte in un gesto nervoso. «E tu da quando capisci il
francese? Mi sembrava di aver capito che non volessi
studiare altre lingue!» esclamò. «E, soprattutto, perché
conosci proprio le parolacce?»

«Daisy mi sta insegnando qualcosa nel nostro tempo


libero.» rispose con un sorriso sghembo e Louis fu certo
che quei due gli stessero nascondendo qualcosa. «Lei
aiuta me e io aiuto lei.»

«E in cosa la staresti aiutando tu?»


602
«Non posso dirtelo, Lou.» Mikael scrollò le spalle, prima
di alzarsi e cominciare a svuotare il suo borsone. «Patti
tra fratelli.»

E la spontaneità con cui pronunciò quell'ultima frase fece


tremare il petto di Louis dall'emozione: dopotutto, che
Mikael si sentisse finalmente in famiglia, amato e al
sicuro era proprio ciò che lui e Harry avevano desiderato
fin dal principio e fu felice del fatto che fossero riusciti nel
loro intento, nonostante le difficoltà che quel nuovo anno
aveva portato con sé. Louis sorrise, sorrise per tutto il
tempo in cui guardò Mikael rimettere a posto il contenuto
del borsone, sorrise così tanto che le labbra e le guance
quasi cominciarono a far male.

Al di là della porta, nascosto ai loro occhi, qualcuno che


aveva ascoltato la loro intera conversazione faceva lo
stesso.

Una mattina di fine aprile Harry si svegliò


improvvisamente nel suo letto vuoto con un peso sul
petto che quasi non gli permetteva di respirare.

Poggiò una mano sul cuore, come se quel gesto potesse


placare il suo respiro affannato o alleggerire quel peso,
mentre l'altra scivolò nell'altro lato del letto a ricercare
qualcuno che, però, mancava da tempo. Chiuse gli occhi
e strinse tra loro le palpebre più forte che poté sperando
che, una volta riaperte, quel disagio sarebbe svanito così
come la realtà che viveva quotidianamente.

Eppure, non fu così.

Passò le mani tra i capelli castani e scompigliati e


cominciò a guardarsi intorno fino a quando il suo sguardo
preoccupato non cadde sul comodino e sulle foto che
l'occupavano. Harry pensò alle persone che popolavano
603
quelle fotografie, a chi sorrideva spensierato e a chi era
un po' imbronciato, a chi non c'era più e a chi era
soltanto a qualche chilometro di distanza.

Soprattutto, Harry pensò a suo padre e si chiese se fosse


fiero di lui anche se in cuor suo conosceva già la risposta.
Edward non sarebbe mai stato fiero di lui se avesse
continuato a scappare dalle sue responsabilità e a
rimanere nel suo letto invece di raggiungere Louis e di
notare gli sforzi che l'altro aveva fatto per guadagnarsi il
suo perdono. Incrociò lo sguardo di suo padre nella
fotografia di famiglia che aveva sul comodino e tracciò i
lineamenti del suo viso delicatamente con le dita,
desiderando di averlo al proprio fianco, quella volta più
che mai. Tuttavia, non ne aveva realmente bisogno
perché, come Louis gli aveva ripetuto qualche anno fa,
suo padre era e sarebbe stato sempre con lui. Edward era
in ogni insegnamento che gli aveva dato in passato, in
ogni ricordo felice e in ogni ricordo triste, in ogni
lineamento del suo viso che glielo ricordava. E lo avrebbe
avuto sempre stretto a sé, stretto al petto, all'altezza del
cuore. La mano destra, quella che non stringeva la foto,
si posizionò proprio lì e, pensando alle parole di Louis, il
suo cuore pian piano tornò a battere normalmente e il
suo respiro si stabilizzò.

Prese lunghi e profondi respiri e mormorò con una


ritrovata decisione «è l'ultima mattina in cui mi sveglio in
questo modo».

Da quel momento in poi non si sarebbe più svegliato con


il battito erratico del proprio cuore nelle orecchie, ma con
quello di Louis perché si sarebbe addormentato con la
guancia sul suo petto. Non si sarebbe più svegliato con il
trillo della sveglia o a causa dei suoi incubi, ma con i baci
dell'altro a tempestargli il viso e le sue mani delicate ad
accarezzargli il corpo. Avrebbe apprezzato persino le urla
dei ragazzi, i capelli ricci di Daisy in bocca e i lividi che le

604
ginocchiate di Edward lasciavano pur di riavere la sua
quotidianità e la sua famiglia indietro.

E, proprio mentre la sua mente formulava quel pensiero e


la sua espressione corrucciata si distendeva in una più
pacifica, sentì un tonfo provenire dal piano inferiore che
lo fece sobbalzare e, un istante dopo, alzare dal letto di
gran carriera. Harry si precipitò al piano terra con la sua
vestaglia di seta a svolazzare per le scale e i piedi nudi
quasi a inciampare nell'ultimo gradino: si fermò soltanto
a un passo dalla porta della cucina e corrugò la fronte nel
sentire delle risatine sommesse provenire da quella
stanza.

«Ed, se fai cadere ancora una volta quel recipiente a terra


sveglierai tutti!» sentì Daisy sbuffare.

«Non è stata colpa mia, sono il più piccolo e mi mettete a


sgobbare e a pulire mentre tenete per voi tutto il
divertimento!»

«E questo lo chiami divertimento?» chiese Daisy, il tono


della sua voce disgustato. «Ho del burro dove non è
socialmente accettabile avere del burro e tu lo chiami
divertimento!»

Harry fu sul punto di ridacchiare e rivelare la sua


presenza, ma un'altra voce lo precedette e lo costrinse a
porre una mano sulla sua bocca per trattenersi.

«Smettetela voi due!» esclamò Mikael. «Non avete fatto


altro che discutere da quando abbiamo messo piede in
cucina e non abbiamo tempo per litigare ora come ora.
Abbiamo soltanto un paio di ore prima che Harry e Louis
si sveglino e questi pain au chocolat dovranno essere
pronti!» Seguì un silenzio quasi religioso alle sue parole e
Harry si sporse di qualche centimetro soltanto per vedere
cosa fosse successo: Mikael alternava lo sguardo tra
Edward e Daisy, mentre i due si guardavano ancora in
605
cagnesco, e tendeva loro le sue mani quasi in un'offerta
di pace. «Andiamo! Eravamo tutti e tre d'accordo sul fatto
che gli avremmo preparato una colazione con i fiocchi,
non rovinate tutto proprio ora.»

A quelle parole i due si sorrisero a vicenda e abbassarono


gli occhi al pavimento imbarazzati.

«Lo faccio solo per i nostri genitori!» borbottò l'una, non


volendo cedere del tutto.

«Idem! E anche perché ho una fame da lupi!» ribatté


l'altro.

Poi, entrambi guardarono Mikael e accettarono la sua


offerta di pace, intrecciando le loro mani: il maggiore
ricambiò i loro sorrisi e li trascinò ancora una volta alle
loro postazioni. Lui e Daisy cercarono di stendere la pasta
sfoglia, mentre Edward li guardava concentrato cercando
di non far cadere alcun recipiente e di non far rumore per
eseguire i loro ordini.

E bastò un attimo.

Un attimo in cui Harry sì perse ad osservarli tutti e tre


dietro al bancone della sua cucina e sentì all'improvviso il
petto colmo di un amore che provava soltanto se
guardava Louis. Bastò un solo attimo per far tornare tutto
al posto giusto, per lasciarsi alle spalle quei mesi di
dolore e indifferenza, per correre all'ultimo piano della
loro villa e finire a cavalcioni sul bacino di Louis,
scuotendolo forte e richiamandolo a gran voce.

«Lou, svegliati!» esclamò, mentre l'altro apriva


lentamente gli occhi blu del quale si era tanto
innamorato.

606
E gli sembrò di tornare a diciassette anni prima. A
quando aveva svegliato il migliore amico del suo
coinquilino sul vecchio divano dell'appartamento di Brick
Lane e aveva scoperto un cielo che non aveva mai visto
in vita sua. A quando Louis lo aveva guardato per un
istante meravigliato e lui aveva creduto di essere bello, di
esserlo per davvero per qualcuno che non fosse sua
madre o suo fratello. A quando Louis aveva corrugato le
sopracciglia e un cipiglio confuso era comparso sul suo
viso, così come stava accadendo anche in quel momento.
Louis non si tirò indietro quella volta, né si spaventò o
urlò. Frettolosamente circondò i polsi di Harry con le sue
mani e si leccò le labbra prima di chiedere con voce roca
e tono confuso «cosa succede?».

«I ragazzi.»

E, prima che potesse chiarirsi meglio, Louis sollevò la


schiena dal materasso e si sedette propriamente
portando l'altro con sé e mai lasciando la presa sui suoi
polsi.

«Cosa è successo ai ragazzi?»

«Stanno preparando i pain au chocolat in cucina da soli


per noi e sono a malapena le sei del mattino.» ribatté
Harry tutto d'un fiato, sentendo la stretta ferrea di Louis
ammorbidirsi e vedendo l'espressione sul suo viso
rilassarsi. «Ho sentito un tonfo provenire dal piano terra,
mi sono precipitato giù e li ho visti tutti e tre
nascondendomi dietro la porta della cucina. Daisy e
Edward stavano discutendo per qualcosa, come al solito,
ma Mikael è intervenuto e ha fatto fare loro pace. Li ho
lasciati pochi istanti fa a stendere la pasta sfoglia ed
erano tutti sporchi di farina e burro e...»

«...okay.» lo interruppe Louis, accennando un sorriso,


prima di lanciare un'occhiata alle loro dita che si erano

607
intrecciate automaticamente e sollevare lo sguardo
ancora assonnato sul suo viso. «E quindi?»

«E quindi ti amo.»

Dirlo fu quasi una liberazione per Harry. Dopo quelle


terribili settimane trascorse ad evitarsi, a lanciarsi sguardi
rabbiosi e a cercare l'uno nell'altro la colpa di quelle
discussioni, confessare ancora una volta il suo amore per
Louis fu quasi come smettere di annegare, tornare in
superficie e respirare per davvero.

«Ti amo da morire, Lou.» ripeté lui, stringendo la presa


sulle sue mani. «Amo te, amo i ragazzi, la nostra casa e
le nostre abitudini. E non voglio più addormentarmi o
svegliarmi in un letto vuoto, voglio ridere con te, voglio
parlare con te della mia giornata e voglio fare l'amore con
te.» continuò con la voce tremolante. «E lo sai che non
sono bravo con le parole o a gestire le mie emozioni
perché sono io, sono Harry, ma ti amo e non c'è bisogno
di nessun'altra spiegazione per dirti che voglio passare
tutto il resto della mia vita in questo modo.» Si avvicinò
al viso di Louis. «Con te.» I loro petti così vicini che quasi
si muovevano all'unisono. «A un millimetro dal cuore e
non voglio sentirti più distante di così mai più.»

Harry non disse altro o, forse, fu Louis a non dargliene


l'opportunità perché si sporse verso di lui per baciarlo
delicatamente e metterlo a tacere. E quando sentì le mani
di Harry strecciarsi dalle sue e circondargli il viso, mise da
parte quella delicatezza e cominciò a baciarlo nel modo
che meritava, lasciando che le loro bocche si
incastrassero con famelica semplicità, così come non
accadeva da settimane. Le mani di Louis, invece, corsero
sul suo torace e vagarono freneticamente al di sotto della
vestaglia di seta che Harry indossava, lasciando che
risalissero con decisione verso il petto e ancora più su,
alla base del collo, dove sentiva la sua pelle scottare, e
infine a stringere in un pugno i suoi ricci. E a Harry
608
piaceva quella decisione nei suoi gesti perché non voleva
far altro che appartenergli ancora una volta. Gli piaceva
la sua bocca morbida e rossa e la sua lingua che si
muoveva languidamente intorno alla sua, la barba che gli
velava il viso e la frangia che di tanto in tanto gli
solleticava la fronte. Il suo respiro tremolò contro la
bocca di Louis quando quest'ultimo gli mordicchiò il
labbro inferiore per farlo impazzire, per provocarlo, quasi
a chiedergli «ti fa ancora lo stesso effetto?». E Harry
avrebbe detto «sì, mille volte sì» perché Louis gli faceva
desiderare che quel gioco di seduzione non finisse mai,
così come i suoi baci.

«Je suis désolé, mon ange.» sospirò Louis sulle sue


labbra, fronte contro fronte e a occhi chiusi. «Pardonne-
moi, mon petit.»

«Non, non, je suis désolé.» mormorò Harry, scuotendo la


testa e strofinando la punta del suo naso su quella
dell'altro. «Non avrei mai dovuto reagire in quel modo,
non avrei mai dovuto tirarti addosso il cuscino e farti
andare via senza aver chiarito.»

«Ma avevi ragione, ti ho lasciato da solo nel momento in


cui avevi più bisogno di me con tutti quei cambiamenti e
l'arrivo di Mikael.»

«Ho sbagliato a non parlartene subito, però.»

Louis aprì gli occhi e quest'ultimi risultarono di un blu così


intenso che Harry sentì il cuore tremare perché gli erano
mancati più di qualunque altra cosa. E gli era mancato il
modo in cui quel blu brillava per lui, per lui soltanto.

«È difficile parlare con qualcuno che non c'è mai, eh? Ho


capito i miei errori e nelle ultime settimane ho seguito
meno casi a lavoro così da dare loro l'attenzione che
meritano e stare anche con voi perché per me non c'è
nient'altro di più importante. E scusami anche per averti
609
ignorato, quella è stata colpa del mio orgoglio.» Louis
fece una smorfia infastidita. «Sapevo di non esser stato il
padre e il marito dell'anno e sfogavo la mia frustrazione
su di te, o almeno era quello che faceva il mio orgoglio
ferito.»

«Lo so, Lou.» ribatté presto Harry, sistemandogli la


frangia con le dita tremanti: non si erano allontanati
neanche per un istante e si respiravano addosso quelle
parole di scuse per sanare ferite rimaste aperte per
troppo tempo. «Insomma, la mamma mi ha aiutato a
capire.» ridacchiò in difficoltà. «E per quanto riguarda
Mikael è stato un gran cambiamento...difficile da
processare inizialmente, ma è stato un bel cambiamento.
Non trovi?»

«Vi siete avvicinati, vero? Intendo, tu e lui nell'ultimo


periodo.»

Harry abbassò lo sguardo e arrossì, mordendosi il labbro


inferiore. «Un po'.»

«Oh, Harry, andiamo!» ridacchiò Louis, accarezzandogli la


guancia e invitandolo a guardarlo negli occhi. «Non devi
vergognarti, né sentirti in difficoltà...hai scoperto che tu e
Mikael vi appartenete l'uno all'altro e noi tutti lo
sapevamo già, ma è bello che te ne sia accorto anche
tu.»

«Non esagerare ora, Lou!» Alzò gli occhi cielo, mentre


Louis gongolava soddisfatto. «Diciamo che abbiamo fatto
grandi passi in avanti grazie all'amore per la lettura che
abbiamo in comune. E abbiamo trascorso un bel po' di
tempo insieme nello studio tra un modellino e un altro, è
molto bravo e preciso a dipingere i dettagli sulle ali e...»

«...e quindi tra qualche giorno vi troverò a giocare a


scarabeo nel giardino e finalmente qualcuno ti batterà?»

610
«Oh, sta' zitto!» ribatté Harry, pronto a metterlo a tacere
con qualunque mossa a sua disposizione. «Ora baciami,
sciocco!»

E neanche aspettò che Louis lo facesse. Harry si avventò


sulle sue labbra, cogliendolo di sorpresa e portando l'altro
a realizzare quell'intraprendenza soltanto quando sentì la
sua schiena scontrarsi contro il materasso, mentre la sua
mano intrecciata ai capelli gli proteggeva il capo e la sua
lingua approfondiva ancora una volta il bacio. Louis lasciò
da parte ogni inibizione e chiuse gli occhi, gettandogli le
braccia al collo e stringendosi maggiormente al suo petto
per godere del suo calore, capace di plasmarlo a suo
piacimento. Sentiva il suo respiro affannato contro la sua
bocca e poi contro il suo collo bianco, dove l'indomani
avrebbe trovato dei segni rossi a segnalare la presenza di
Harry: quest'ultimo mordeva quel lembo di pelle e poi lo
leniva con la lingua e Louis rabbrividiva e chiedeva di più
esponendo ancora il suo collo alle sue labbra.

Si donava e Harry prendeva, abbandonando ogni


incertezza e insicurezza.

«Devo raccontarti una cosa!»

Un ultimo schiocco e Louis strofinò la punta del naso


all'insù contro quella del naso dell'altro in un gesto così
tenero che lo fece rabbrividire ancora e ancora. Sorrisero
entrambi, mentre Harry abbassava il capo ancora una
volta per rubargli un ultimo bacio, nonostante l'altro
volesse comunicargli disperatamente qualcosa.

Louis ridacchiò, mentre le labbra di Harry lavoravano


ancora sul lembo di pelle tra collo e clavicola e fecero
uscire un flebile lamento. «Andiamo, non vuoi sapere
cosa combinano i ragazzi?»

Harry si sollevò dall'incavo del suo collo e si sistemò


meglio su di lui, con un gomito ben piantato sul cucino, al
611
fianco del suo capo, e il palmo sulla guancia: aveva
un'espressione imbronciata che era tutta un programma e
il desiderio di terminare quella conversazione il più prima
possibile gli faceva ardere gli occhi di passione.

«E sentiamo, cosa combinano quei tre?»

«Beh, non conosco bene ogni particolare, ma so che tra


Daisy e Mikael c'è una specie di patto e Mikael lo ha
chiamato "patto tra fratelli".» affermò Louis emozionato.
«Capisci? Tra fratelli!» ripeté, strabuzzando gli occhi e
curvando le labbra in un sorriso che sapeva ancora di
meraviglia.

«Lo so già.» ribatté Harry, baciandola con le proprie


labbra quella meraviglia. «Non ti arrabbiare, ma ho
ascoltato tutta la vostra conversazione dell'altro giorno
per sbaglio.»

«Per sbaglio?»

«Volevo soltanto mettere la divisa di Mikael nel suo


armadio e, invece, vi ho sentiti parlare, anzi, urlare. Mi
sono preoccupato e ho deciso di rimanere ad ascoltare
per intervenire se le cose fossero diventate più
difficili...anche se poi ho finito per piangere.»

«Hai pianto per quel "tra fratelli"?»

Harry annuì lentamente. «Ho pianto e ho sorriso perché


Mikael si sente parte di questa famiglia e quelle sue
parole, quelle che ha usato per noi, hanno fatto sentire
parte della famiglia anche me finalmente.»

«Ti amo, ti amo da morire, Harry.» Prese il suo viso tra le


mani e lo tempestò di piccoli baci, fino a sentire la
risatina limpida dell'altro risuonare nell'intera stanza.
«Non so come abbia fatto a sopravvivere in queste ultime

612
settimane senza di te. Ti amo e brucio dalla voglia di
sentirti ancora mio.» ansimò, mentre i loro bacini si
sfioravano lentamente ed entrambi rabbrividivano per
quel contatto così sfrontato. «Je t'en prie, ma Lune.»

«Pas là, pas là...» mormorò sulle sue labbra Harry. Lo


voleva anche lui, desiderava Louis con ogni fibra del suo
corpo, ma non lì, non in quella stanza che per giorni
Harry aveva evitato. «Andiamo nella nostra camera, ti
prego, sono stanco di sentire soltanto il mio odore tra le
lenzuola.»

Louis inspirò bruscamente e rilasciò un pesante sospiro,


che fu prontamente catturato dalle labbra di Harry
desiderose di baciare il suo corpo intero. E nessuno dei
due seppe spiegare a posteriori come arrivarono al piano
inferiore, come si ritrovarono contro la porta della loro
camera a rubarsi sospiri e a soffocare gemiti, come le loro
mani cominciarono a spogliare le une il corpo dell'altro.
Accadde e basta, come la maggior parte delle cose che li
riguardava. Fu naturale per Harry spingere il suo bacino
verso quello dell'altro e anelare ancora e ancora i suoi
baci, fu naturale per Louis spogliarlo con lentezza,
slacciando il nodo della sua vestaglia e baciare piano a
piano il suo petto sodo.

Dalle labbra rosse di Harry fuoriuscirono soffici gemiti di


piacere quando Louis lo spogliò completamente e lo fece
posizionare mani e ginocchia sul loro letto per lasciare dei
morbidi baci sulla sua schiena e farli scivolare fino
all'incontro delle sue natiche: lì con un gesto lento e
accorto Louis leccò la sua apertura, tenendo fermo con le
mani il bacino dell'altro che chiedeva sempre di più e che
si spingeva maggiormente verso le sue labbra e la sua
lingua. Sapendo che Harry non sarebbe durato a lungo in
quel modo, pose una mano sulla sua spalla destra per
avvicinare la sua schiena al petto e rubargli un bacio
urgente, che si rivelò essere un intreccio sporco di lingue
e saliva e che mostrò quanto l'uno avesse bisogno

613
dell'altro fino a consumarsi. E mentre il fondoschiena
sodo di Harry veniva a contatto con la sua erezione
pulsante e lui massaggiava il suo membro bisognoso,
Louis approfondì sempre di più quei baci fino a quando
non fu inevitabile allontanarsi per riprendere fiato.

Fu Harry, in quel momento, a voltarsi tra le sue braccia e


a incontrare un'ultima volta le sue labbra prima di soffiare
«ti prego, fa' l'amore con me».

E suonò come una preghiera che Louis non poté ignorare


perché lo amava e voleva renderlo suo, più di quanto non
appartenesse già al suo cuore. Incontrò ancora le sue
labbra rosse e umide prima di farlo distendere tra i
cuscini e sistemarsi tra le sue gambe tremanti. Percorse il
suo torace tatuato di quell'amore che si erano promessi
anni prima e i suoi capezzoli sensibili con la lingua e le
mani di Harry, intrufolate tra i suoi capelli, lo guidarono a
scendere sempre più in basso. Louis lo assaggiò,
mordendogli la pelle tesa del bacino prima di leccare la
punta del suo membro e inglobare tutta la lunghezza
nella sua bocca. Harry non trattenne i suoi gemiti e i suoi
respiri affannati quando Louis cominciò a scendere e a
salire sul suo sesso, massaggiandogli prima i testicoli con
il palmo di una mano e poi stuzzicando la sua entrata con
l'indice umido dei suoi stessi umori.

«Mi è mancato così tanto sentirti intorno a me...» sospirò,


spingendo le sue dita in profondità e facendolo ansimare.
«...sentirti sulle mie labbra e sulla mia lingua...» continuò
prima di lasciare un bacio sul glande arrossato e leccare
via una goccia di liquido preseminale, risalire sul petto e
fermarsi sul collo. «...è stato un supplizio non averti con
me in queste settimane.» aggiunse, spingendosi contro il
suo punto più sensibile e strofinando le loro lunghezze
dure. «E per te, ma Lune? Je t'ai manqué?»

«Tu m'as beaucoup manqué, mon petit soleil.» disse


Harry in un respiro spezzato, un istante prima che Louis
614
cominciasse a spingersi contro la sua apertura
lentamente. «I giorni erano così bui senza di te.» ansimò,
aggrappandosi alle sue spalle e baciandogli il collo, la
mandibola e il mento. «Ora, invece, mi sembra di tornare
a vedere il sole.» sospirò, dopo che una spinta gli mozzò
il fiato. «Tu es le soleil de ma vie.»

«Et tu es la lune, la lune de ma vie.»

E tornarono entrambi a diciassette anni prima, a quando


Harry era appartenuto a Louis per la prima volta nella
vecchia casa di Saint Paul. All'eccitazione dell'uno che si
abbandonava a quell'esperienza per la prima volta, allo
stupore dell'altro perché non riusciva a credere che lui
fosse l'unico e il solo ad averlo avuto in quel modo. Le
palpebre strette tra loro per trattenere ancora quel
ricordo, il piacere che cominciava a espandersi in ogni
lembo del suo corpo minuto dopo minuto, le guance
arrossate, gli occhi lucidi e le labbra leggermente
dischiuse per liberare i suoi gemiti e incontrare quelle
dell'altro, mentre lui colpiva ripetutamente il suo punto
più sensibile.

«Di più, di più.» miagolò Harry al suo orecchio. «Per


favore.»

E Louis lo fece, aumentò il ritmo delle spinte saziando i


loro appetiti e cavalcando l'ondata di adrenalina che lo
aveva investito nell'ascoltare la voce sottile dell'altro
incitarlo: gli fece allacciare le gambe attorno al suo
bacino e potenziò i suoi movimenti e il loro piacere. Lo
baciò ancora, spostando poi l'attenzione sul suo collo e
marchiandolo con le labbra e con i denti, mentre sentiva
nell'orecchio il respiro affannato di Harry dettare il ritmo
delle sue spinte e colpiva ripetutamente il centro del suo
piacere. Bastarono poche stoccate per portarlo al
culmine. Il membro di Harry, stretto piacevolmente tra i
loro corpi, si riversò con fiotti caldi sulla loro pelle e Louis
tremò intensamente un'ultima volta prima di fare
615
altrettanto nelle sue carni, sentendole stringersi e pulsare
intorno al suo sesso. Si lasciò andare sul corpo sudato
dell'altro, godendosi l'orgasmo e nascondendo il viso
nell'incavo del suo collo, dove rilasciò baci a labbra
schiuse. Harry, nel frattempo, portò le sue mani ad
accarezzargli la schiena, quasi per lenirla dai graffi e dai
segni che gli aveva lasciato poco prima.

«Pensavo di averti perso, Harry.» La voce di Louis tremò


nel liberare quel pensiero, così come la mano che
tracciava i lineamenti spigolosi del suo viso, mentre i loro
corpi erano ancora intrecciati e nudi. «Pensavo che non ti
avrei mai più parlato o sfiorato in questo modo così
intimo, così nostro.»

«Non mi perderai mai, Lou.» mormorò lui, prima di


lasciargli un morbido bacio sulle labbra. «Sono sulla tua
pelle.» Sfiorò delicatamente con l'indice il tatuaggio che
aveva sul petto. «Basta guardare qui e saprai che non mi
perderai mai.» picchiettò teneramente la sua pelle,
all'altezza del cuore.

«La luna.»

«Il sole.»

«E le nostre tre stelle.»

Il loro universo, quello che avevano creato con fatica e


amore, soprattutto amore, negli anni precedenti. Quello
che Harry riusciva a intravedere negli occhi dell'altro
quando lo guardavano con tale intensità. Quello che Louis
tracciava sulla sua schiena pezzo per pezzo quando,
accarezzandola, univa i suoi nei gli uni agli altri fini a
creare dieci, cento, mille costellazioni.

«Siamo noi, Lou.» sorrise Harry. «Siamo noi due con i


nostri tanti difetti e i nostri pregi. Siamo io e te e i ragazzi
che continuiamo ad amarci, nonostante tutto.»
616
Nonostante i nostri lavori, i nostri impegni, i battibecchi
dei ragazzi e i nostri, l'Asperger e la mia incapacità di
esternare il caleidoscopio di emozioni che provo nello
starti vicino, la tua testardaggine e quel tuo desiderio di
voler cambiare il mondo partendo dalle piccole cose.

«Siamo noi.» ripeté Louis, prima di accogliere Harry sulle


sue labbra e stringerselo al petto. «E non c'è niente di
sbagliato nell'esserlo perché ora so che, se dovessimo
passare un periodo del genere ancora una volta, se
dovessimo perderci anche solo per un istante, ci
ritroveremmo comunque.»

I loro sguardi complici si unirono e «...il vero amore trova


sempre il modo» dissero all'unisono, mentre un sorriso
curvava le loro labbra.

E sprofondarono ancora l'uno nelle braccia dell'altro.


Ancora una volta e in silenzio perché non c'era bisogno di
dire altro, perché sentire l'altro vicino bastava, perché
sentirsi nuovamente completi bastava, perché Louis e
Harry si bastavano. Trascorsero attimi che sembrarono
infiniti ad appropriarsi di una quotidianità che non era
stata più loro per troppo tempo, una quotidianità che
sapeva di baci, di sorrisi e di sguardi, di dolcezza e
passione.

«Mi è mancata questa stanza, mi è mancato rigirarmi nel


letto e vedere te che dormi al mio fianco, mi sono
mancate persino quelle fotografie.» affermò Louis,
facendo un cenno nella direzione del comodino. «Averle
qui vicino mi fa stare bene.»

«Sono mancate anche a me.» ribatté lui, incontrando il


suo sguardo confuso. «Non riuscivo neanche a guardarle
prima di stamattina, poi qualcosa è cambiato.»

«E cosa?»

617
«Mi sono chiesto se mio padre sarebbe stato fiero di me e
la risposta mi è sembrata quasi ovvia. No, non sarebbe
mai stato fiero di me se avessi continuato a comportarmi
in quel modo, se non ti avessi dato il modo di farti
perdonare e se fossi stato sempre sulla difensiva. Quindi,
stamattina, era già nei miei pensieri porre fine a questa
stupida guerra fredda che portavamo avanti da
settimane. Poi, ho sentito quel tonfo e ho raggiunto i
ragazzi e...vederli tutti e tre così affiatati in cucina o
sapere che stavano facendo qualcosa per noi, soltanto
per noi, mi ha aiutato a capire che non volevo svegliarmi
da solo neanche un giorno di più.» Scosse la testa,
lasciando che il calore del petto di Louis scaldasse anche
la sua guancia. «È qui che voglio stare ogni mattina, così,
con te.»

«Sai, credo che tuo padre sarebbe fiero di te.» ribatté,


lasciandogli un bacio tra i capelli. «È sempre fiero di te,
ma credo che oggi lo sia un po' di più.»

«Spero che lo sia per sempre.» mormorò lui ad occhi


chiusi. «Tra un paio di giorni è quell'anniversario.» E
Louis annuì perché sapeva cosa significasse il ventotto
aprile per Harry. «Voglio portare i ragazzi a volare quel
giorno, tutti e tre, nessuno escluso.»

«Lo ameranno, soprattutto Mikael.»

«Tu farai tante foto, vero?»

E, in realtà, la domanda voleva essere un'altra. Voleva


quasi significare «tu ci sarai stavolta?».

«Certo, amore mio. Non me lo perderei per nulla al


mondo.»

E andava bene così, perché sapeva che Louis quella


promessa non l'avrebbe infranta. Lo sapeva dal modo in
cui l'altro lo stringeva, dal modo in cui le sue dita
618
lasciavano carezze delicate sulla sua pelle morbida, dal
modo in cui aveva detto quel suo «amore mio».

C'erano cose che Harry sapeva e basta, cose per le quali


non si poneva domande e Louis era tra quelle.

Sapeva anche che quel momento di ritrovata quiete non


sarebbe durato così a lungo e ne ebbe l'assoluta certezza
quando sentirono un altro tonfo provenire dal piano terra,
un guaito di Olaf e un miagolio infastidito di Ginger a
seguire subito dopo. Louis e Harry si sorrisero a vicenda
perché era bello constatare che alcune cose non
sarebbero mai cambiate, prima di rivestirsi con abiti
comodi e raggiungere la cucina, nella quale entrarono
mano nella mano.

E quel gesto, lo sapevano entrambi, non sfuggì a nessuno


perché sui volti dei ragazzi comparvero delle espressioni
vittoriose.

«Oh no!» esclamò Harry, osservando incredulo la


confusione regnante nella stanza, la farina tra i capelli di
Daisy e i volti sporchi di cioccolato di Edward e Mikael,
mentre Louis ridacchiava al suo fianco. «Cosa avete
fatto?»

«B-bonjour à tous.» esordì Mikael, guardando incerto


Daisy che annuì in fretta per dargli la sicurezza che
cercava. «Aujourd'hui nous avons du pain au chocolat
pour le petit déjeuner.» continuò tutto d'un fiato, seppure
la sua pronuncia rimaneva un po' inglese. «Come sono
andato?» chiese speranzoso, rivolgendosi a Edward e
Daisy che lo guardavano con un sorriso.

«Très bien, Mika.» rispose Harry al loro posto,


avvicinandosi a lui e lasciandogli una carezza tra i capelli
color caramello, prima di sedersi a tavola.

619
«Il tuo francese è perfetto e lo saranno anche questi pain
au chocolat, Mika.» aggiunse Louis, affiancando il marito.
«Dovremmo sporcarci di farina e cioccolato anche io e
papà o andiamo bene così per questa occasione?»
domandò, facendo ridacchiare i ragazzi, per poi invitarli a
sedersi e a provare i loro esperimenti culinari.

E quei pain au chocolat erano tutt'altro che perfetti,


perché c'era fin troppo burro e poco cioccolato, ma non
importava. Importò che si sedettero tutti intorno al tavolo
e cominciarono a parlare del più e del meno, che le loro
voci si sovrapposero più e più volte perché avevano così
tante cose da dirsi e raccontarsi.

Harry sentì Ginger strusciarsi sulle sue caviglie nude e


Olaf guaire al suo fianco perché voleva provare a tutti
costi quel pain au chocolat che aveva in mano. Sentì le
risate riempire ogni stanza della loro villa, i baci sulle
labbra e sulle guance che Louis gli lasciava di tanto in
tanto e quegli «ew» di Edward che gli erano mancati così
tanto. Sentì la felicità invadere ogni angolo del suo cuore
e la vide finalmente anche sui volti stanchi ma soddisfatti
dei ragazzi.

E quella mattina di fine aprile, contro ogni aspettativa,


Harry tornò a sorridere.

620
LE STAGIONI DELL’AMORE – L’ESTATE

Harry non era mai stato molto bravo ad esprimere al


meglio le sue emozioni.

Spesso i suoi sentimenti sembravano una tela di


kandiskiana memoria, erano un caleidoscopio di forme,
colori e tratti diversi che stranamente insieme
funzionavano, o almeno funzionavano per lui. Dopotutto, i
dipinti di Kandinskij gli erano sempre piaciuti a differenza
di quelli di Mondrian, così ordinari e noiosi. E Harry si
definiva tutt'altro che noioso o ordinario, anche se
quell'ordine che tanto contestava al pittore olandese poi
gli tornava utile non appena un po' di confusione regnava
nel suo cuore o nella sua testa. Insomma, Harry non era
bravo con le parole quando si trattava di sentimenti o
emozioni e lo doveva al suo Asperger, ma sapeva
ascoltare.

Non era una dote innata, ma aveva imparato a farlo piano


a piano.

Da bambino aveva notato che tutti avessero molto da


dire: lo aveva sua madre quando invitava un'amica a
casa loro per un tè, lo aveva William quando parlava al
telefono con la sua ragazza e guardava il cielo al di là
della finestra della sua stanza imbrunirsi, lo aveva persino
la signorina che dava le previsioni del tempo in tv. E lui?
Anche lui ne aveva, certo, ma dubitava che i suoi
coetanei o qualcuno al di fuori della sua famiglia volesse
ascoltarlo parlare di insetti, aerei o delle partite che
aveva vinto a scarabeo contro Will nonostante gli anni
che li dividevano. Per questo, Harry aveva imparato ad
ascoltare con la speranza che qualcuno, un domani,
avrebbe fatto altrettanto con lui.

E, contro ogni previsione, era successo.

621
C'era stato Niall, che gli era stato vicino come un fratello
e che lo ascoltava parlare di cose che non gli
interessavano minimamente sempre col sorriso perché
era anche quella l'amicizia. C'era stato il suo primo
fidanzato, lo sportivo della sua scuola, ma Harry
supponeva che quel ragazzo lo ascoltasse soltanto per
aver il permesso di baciarlo un attimo dopo. C'era stato il
signor Preston il primo giorno in cui era arrivato a Londra,
durante il colloquio di lavoro, ad ascoltarlo meravigliato
per le sue conoscenze e a dargli una possibilità. Infine,
c'era stato e continuava a esserci Louis, che sembrava
ascoltarlo e capirlo anche quando Harry non emetteva un
fiato la maggior parte delle volte.

Quel pomeriggio, bussando dolcemente alla porta


semichiusa della stanza di Mikael, Harry sperava di essere
bravo tanto quanto Louis.

«Si può?»

Mikael giaceva sul letto a una piazza e mezza con un libro


tra le mani e lo sguardo perso tra le sue pagine. Incrociò
quello di Harry per un istante prima di borbottare «sei già
dentro, quindi accomodati» e fargli cenno di sedersi sul
letto.

Harry ridacchiò e si grattò la nuca imbarazzato per quella


precisazione, ma si sedette ugualmente.

«Allora?»

«Volevo sapere se fosse tutto okay dopo quello che è


successo a scuola qualche ora fa. Insomma, ce ne siamo
andati di fretta e furia, non hai mangiato granché a
pranzo e non hai voluto neanche del gelato per
merenda.»

Mikael scosse la testa. «È tutto okay, non è la prima volta


in cui rinuncio a qualcosa.»
622
Si riferiva alla gara di nuoto, quella organizzata dalla
scuola e alla quale avrebbe dovuto partecipare anche
Mikael vista la sua bravura nei cento metri stile
libero. Avrebbe dovuto, però, perché a qualche minuto
dall'inizio aveva finito per indossare di nuovo la sua tuta,
infilare il suo zaino sulle spalle e aspettare all'uscita della
scuola il resto della famiglia che non desiderava altro che
guardarlo nuotare e fare il tifo per lui dagli spalti.
Nessuna spiegazione, nessuna discussione: Mikael aveva
scrollato le spalle e li aveva pregati di tornare a casa
perché avrebbe preferito prepararsi ai test di fine anno
scolastico piuttosto che «perder tempo per una stupida
gara di nuoto».

«E non dovresti farlo più, non dovresti più rinunciare a


qualcosa che ti piace fare.» ribatté Harry, tra le sue
sopracciglia c'era un profondo solco e nel suo petto un
senso di sconforto per il tono arrendevole del ragazzo.
«Sai, quando avevo circa la tua età, rinunciavo a tante
cose a causa del mio Asperger. Mi sentivo uno sciocco, un
inetto, mai abbastanza adatto per tutto ciò che facevano i
miei coetanei. Ho impiegato tanto tempo a capire che non
fosse così per davvero, a superare i miei limiti e a
lasciarmi andare.»

«Lo hai capito con la lista di Louis?»

«Soprattutto con la terapia e l'esperienza, ma anche la


sua lista mi ha aiutato molto.» spiegò Harry,
sistemandosi meglio sul materasso morbido. «Sai, prima
di incontrarlo, non avrei mai pensato di potermi prendere
cura di un animale domestico...e, invece, mi sono
occupato di Leo, un gatto bianco e dagli occhi verdi che
mi ha insegnato così tanto. Ti sarebbe piaciuto, se fosse
stato ancora qui con noi.» Si fermò, bagnandosi le labbra
con la lingua prima di parlare ancora. «Non avrei pensato
neanche di poter viaggiare da solo o prendere il brevetto
da pilota o tornare a essere felice, davvero felice.»
continuò, i suoi occhi si fecero di un verde più liquido e si

623
specchiarono in quelli gemelli di Mikael, che lo
guardavano ancora incerto. «Se hai le giuste persone
accanto, qualcuno che ti supporta e che crede in te, non
dovrebbe importarti ciò che il resto del mondo pensa di
te. Fa' ciò che desideri per te stesso e per chi ti vuole
bene, tutto il resto non conta.»

Mikael si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardò


sulla coperta a fantasia che ricopriva il letto, chiuse gli
occhi per un solo istante e sospirò. «Non è tanto il
pensiero degli altri che mi spaventa, Harry.» affermò, la
sua voce tremava. «Sono le mie risposte alle loro
domande a farlo, sono i ricordi legati a quelle risposte a
farlo.»

Dopodiché le sue mani corsero sull'orlo della t-shirt nera


che indossava e lo tirarono verso l'alto fino a sfilare
l'indumento e a rimanere a petto nudo. La sua pelle si
increspò di brividi, i suoi muscoli si irrigidirono, le sue
labbra si assottigliarono in una linea dritta. Poi, si voltò e
diede le spalle a un Harry che, confuso, era in attesa di
qualcosa. Quel qualcosa, però, arrivò all'improvviso,
senza avvisare, insieme alla realizzazione definitiva che
Mikael non avesse avuto una vita facile, né in
orfanotrofio, né prima che sua madre lo abbandonasse.

Bianche, rosse, alcune più scure, altre più chiare. Delle


cicatrici dalla forma e dall'aspetto diverso frastagliavano
la schiena di Mikael e la sua pelle nivea fino a scomparire
sulle spalle.

Harry era abituato ad altri tipi di cicatrici, quelle che Louis


si procurava quando provava a cucinare, quelle che
avevano i suoi figli sulle ginocchia a causa delle numerose
cadute al parco, persino quelle più invisibili che alcuni
eventi della sua vita gli avevano lasciato sul cuore. Quelle
di Mikael, però, erano decisamente un'altra storia e si
aggiungevano a quelle che il suo cuore nascondeva.

624
«Mika.» mormorò, tendendo una mano verso di lui.

Quest'ultima rimase a mezz'aria, però. Non fu capace di


sfiorarlo o accarezzare la sua pelle per dargli conforto,
perché un forte senso di nausea si impadronì di lui al
pensiero di ciò che aveva provocato quelle cicatrici.
L'abbassò e l'intrecciò all'altra che giaceva sul suo
grembo inquieto e preoccupato. Mikael si voltò nella sua
direzione e strinse tra le mani la sua t-shirt, prima di
indossarla ancora una volta in fretta e a sguardo basso.
Tuttavia, Harry riuscì a intravedere anche dei segni più
piccoli e rossi macchiargli il petto e non capì come Mikael
potesse provare vergogna, avere le guance leggermente
rosse e la fronte imperlata di sudore per qualcosa di cui
non aveva la colpa: alcune cose, purtroppo, succedevano
e basta, anche alle persone migliori.

«N-non ho avuto una vita facile.» affermò qualche istante


dopo. «Spesso mia madre portava a casa uomini
detestabili ed era sempre troppo ubriaca o fatta per
fermarli, per evitare che mi facessero tutto questo. Io ero
solo un bambino e non sapevo difendermi, lei...beh, lei a
malapena riusciva a badare a se stessa. Tempo fa la
incolpavo per tutto, poi ho capito che fosse anche lei una
vittima di tutto il sistema. Non aveva chiesto di essere
madre, né sapeva ciò di cui avessi bisogno.» La sua voce
tremava, così come le sue mani che tormentavano l'orlo
dei pantaloncini grigi che indossava. «Quando è morta a
causa di un'overdose, ho sofferto molto inizialmente. Ho
pensato "ora sono davvero solo al mondo". Poi, qualcosa
mi ha spinto a sperare che le cose sarebbero andate
meglio quando ho incontrato l'assistente sociale. Pensavo
che qualcuno mi avrebbe voluto finalmente bene e che la
mia vita sarebbe cambiata da quel momento in poi.» Si
fermò, scosse la testa e le sue labbra si curvarono in un
sorriso che sapeva di amarezza. «Non è stato così
ovviamente, ma non potevo saperlo allora. In orfanotrofio
le cose non sono andate meglio. Ci ho messo un po' per
capire le regole non scritte che vigevano in quel posto,

625
come dovermi comportare con gli altri bambini e i ragazzi
più grandi. Con alcuni andava bene, con altri un po'
meno. Alcune di queste cicatrici risalgono ai tempi in cui
vivevo con mia madre, altre sono più recenti.»

Harry boccheggiò, dalle sue labbra non si liberò neanche


un suono. Nessuna parola o frase sarebbe stata di
conforto a Mikael e lui si sentiva impotente davanti al suo
passato: tutto quello che poteva fare era migliorare
soltanto il suo presente.

«Mika, i-io...»

«È tutto okay adesso, più o meno.» ribatté. «Quando


sono entrato in orfanotrofio e alcuni adulti hanno scoperto
le ferite e le cicatrici mi hanno detto che quello che era
accaduto mi avrebbe reso più forte.»

«Eri soltanto un bambino, non dovevi essere forte.


Dovevi soltanto essere e sentirti al sicuro.»

«Non lo ero, non ero al sicuro neanche allora, neanche in


orfanotrofio...ma non potevo saperlo. Pensavo che ci
sarei rimasto per poco in quel posto, ma venivo smentito
ogni giorno. Nessuna coppia voleva realmente un
bambino come me, nessuno mi ha mai guardato più di
tanto fino a quando...»

«...fino a quando non è arrivato Lou.»

«...fino a quando non siete arrivati voi due.» lo corresse


con un sorriso abbozzato e stringendosi nelle spalle. «Tu
e Lou.»

Harry sospirò. «Sapevo che avessi una storia difficile alle


spalle. Sapevo che tua madre non ci fosse più e che non
avessi altri parenti in vita, ma non ho mai letto il tuo
fascicolo interamente e non ero a conoscenza degli

626
abusi.» confessò. «Mi sono fidato di Louis ad occhi chiusi
quando è tornato dal suo viaggio a Minsk: mi ha detto
soltanto che tu avevi bisogno di noi, di una famiglia, e io
non ho avuto dubbi, volevo soltanto aiutarti. Louis si è
occupato della maggior parte delle questioni burocratiche
e l'assistente sociale che si è interessata al caso non
faceva altro che mettermi in guardia, ma non capivo mai
realmente per cosa. Ora capisco tutto, però. Louis non mi
ha mai detto nulla, credo che volesse proteggermi, ma
sospettavo che ci fosse molto di più.»

«E come?»

«Gli occhi, Mika. Gli occhi non mentono mai e, a volte, i


tuoi erano colmi di una tristezza e di una malinconia che
mi disarmavano.» rispose Harry sinceramente. «Avrei
potuto chiedere a Louis o a Lisa cosa i tuoi occhi
nascondessero, ma non volevo appropriarmi di una storia
che non mi apparteneva, non volevo essere invadente o
inopportuno. Aspettavo che fossi tu a raccontarmela
quella storia. Un giorno, magari, ti saresti fidato di me
abbastanza per raccontarmela.»

«Sono stato io a chiedere a Louis di non dirti nulla del


mio passato. E non perché non ti credessi all'altezza, ma
perché non volevo essere compatito. Volevo essere
accettato per quello che ero, non per quello che mi era
capitato. Ho tutte queste cicatrici che mi ricordano tempi
infelici, pieni di paura, tempi che vorrei soltanto
dimenticare. Alcune di queste ferite ormai si sono
rimarginate e io non mi sento più "rotto", eppure, tutti
pensano che in qualche modo io lo sia ancora. Tutti
provano ad aggiustarmi, ma io non sono rotto. Io sono
Mikael, sono soltanto un ragazzo. Voglio andare avanti
con la mia vita, non voglio più guardarmi indietro.» disse
tutto d'un fiato. «Tu lo capisci, vero?»

Harry annuì, capiva Mikael alla perfezione perché quel


turbamento era stato e continuava a essere anche il suo.
627
Ricordava di aver avuto una conversazione simile con
Louis anni prima, quando l'altro aveva scoperto del suo
Asperger. Ricordava di aver ripetuto vagamente le stesse
parole che Mikael aveva pronunciato in quel momento.
Ricordava di aver provato la sua stessa rabbia, il suo
stesso sconforto. Alcune persone solevano definirlo in un
determinato modo soltanto a causa del suo Asperger, ma
Harry era molto altro, era molto di più. E molto di più
delle sue cicatrici era anche Mikael: quelle ferite avevano
lasciato su di lui marchi indelebili, ma non definivano la
persona che Mikael voleva essere, né il suo futuro.

«Ti capisco, Mika. Sei molto di più delle tue cicatrici o del
tuo passato così come io sono molto di più del mio
Asperger.» mormorò Harry, prima di corrugare le
sopracciglia e chiedere «ma allora è per questo che le
copri con quella muta quando nuoti?».

«Non voglio rispondere alle domande dei miei compagni


di nuoto, quindi preferisco coprirle con la muta. E il coach
oggi mi ha detto che non avrei potuto gareggiare con la
muta e che avrei dovuto indossare il costume della divisa
scolastica, ma io non ho voluto farlo e ho rinunciato alla
gara.» spiegò, con un velo di tristezza ad oscurargli gli
occhi. «Se avessi indossato il costume, avrei sentito gli
occhi di tutta la scuola addosso e avrei dovuto rispondere
alle solite domande inopportune.»

«Tu non devi nulla, Mikael.» ribatté Harry. «Se un giorno


ti sentirai a tuo agio e vorrai indossare il costume della
scuola, lo farai e non risponderai ad alcuna domanda o
commento. Nel frattempo, parleremo alla preside di
questa stupida regola e vedremo di risolverla al più
presto. Sei libero di condividere o meno la tua storia e io
e Louis ti sosterremo in ogni caso, te lo prometto.» Posò
una mano sulla sua delicatamente, senza farlo
sobbalzare, prima di sorridergli. «E lo faranno anche
Edward e Daisy. Prima li ho sentiti discutere mentre
aggiungevano dei nuovi biglietti nella scatola dei

628
complimenti per tirarti su il morale e l'uno accusava l'altra
di averne inseriti troppi e di farlo sfigurare.»

Mikael ridacchiò genuinamente. I suoi occhi ora erano


lucidi di commozione, un sentimento che Harry non gli
aveva mai visto addosso e quest'ultimo si convinse di
amarlo perché quel verde risultava più brillante e
illuminava il suo viso e la stanza intera.

«Grazie, Harry.» sospirò Mikael. «Grazie per tutto, per


non aver dato di matto quando Louis ti ha portato in
quell'orfanotrofio dimenticato da Dio per la prima volta
due anni fa e per essere stato così paziente con me in
questi mesi.» Mikael strinse la sua mano e Harry
rabbrividì perché non l'aveva mai fatto prima di quel
momento, non in quel modo per lo meno: sembrava aver
bisogno di lui, di un'ancora che lo tenesse ben saldo a
terra. «So che sono stato un osso duro con tutti i miei
silenzi e a volte la mia indifferenza, ma c'era un motivo
anche per questo.»

«Un motivo?» E Mikael annuì. «C'entra qualcosa che ho


fatto o detto?»

«No, o almeno non completamente.» rispose lui, prese un


respiro profondo e lasciò la sua mano prima di voltarsi e
rovistare nella federa del suo cuscino. «Ricordi la tua
prima visita all'orfanotrofio? Ecco, mi hai portato uno
scarabeo di legno e mi hai detto che fosse il tuo preferito
e che in quel modo non solo avrei potuto esercitarmi con
la lingua, ma anche ricordarmi di te.»

«Certo che lo ricordo, ero così nervoso quel giorno.»


Harry si riavviò i riccioli castani all'indietro. «Pensavo al
peggio, che non ti sarebbe piaciuto o che...»

«L'ho amato.» lo interruppe Mikael solennemente. «Non


facevo altro che rifugiarmi in soffitta, in un posto tutto
mio, e giocarci da solo tutto il pomeriggio.» continuò, il
629
suo sguardo si posò per un istante sul suo pugno destro
ancora chiuso. «Poi, un giorno, dei ragazzi più grandi mi
hanno scoperto ed è stata la fine. In orfanotrofio non ti
appartiene nulla, la parola d'ordine è condividere che ti
piaccia o meno. Hanno cominciato a prendermi in giro e
lanciarselo tra loro fino a quando non ho ritrovato la
plancia di legno sul pavimento tutta rotta e scheggiata.»
Mikael aprì mortificato la sua mano, rivelandone il
contenuto. «Sono riuscito a salvare soltanto alcune
tesserine, prima che mi portassero via altro.»

Harry si sporse per guardarle e sussultò un istante dopo:


una "L" e una "H" si leggevano un po' sbiadite sulla
superficie del legno, mentre la mano di Mikael tremava
per mostrargliele.

«Sono state la mia speranza, anche se lo scarabeo era in


mille pezzi a terra.» mormorò e inspirò bruscamente
quando Harry gli chiuse il palmo della mano in un pugno
e lo accarezzò dolcemente. «Le nascondevo in un vecchio
paio di calzini così che nessuno le scoprisse e me le
portasse via e quando succedeva qualcosa di brutto le
stringevo forte in nel palmo e aspettavo che passasse.»

«E ora le nascondi nella federa del cuscino?» Mikael annuì


imbarazzato. «Non ce n'è bisogno. Qui sono al sicuro,
nessuno te le porterà via.»

Lo invitò ad aprire la mano e a poggiare le tesserine sul


comodino, dove c'era la fotografia di famiglia che
avevano scattato a Natale. Al fianco di quest'ultima si era
aggiunta da poco anche un'altra fotografia: era comparsa
un giorno di metà maggio un po' sgualcita sulla scrivania
di Mikael e ritraeva il viso di una donna. Non era stata
l'aria malinconica o la bellezza quasi drammatica di quella
giovane donna ad attirare l'attenzione di Harry e Louis,
ma la sua incredibile somiglianza con Mikael. Quella sera,
i due avevano proposto al ragazzo di restaurare quella
vecchia fotografia e di incorniciarla e lui aveva annuito,
630
non aggiungendo altro. Soltanto più tardi, Mikael aveva
rivelato l'identità della donna e aveva raccontato loro
qualcosa di lei scavando nei suoi ricordi, qualcosa che non
poteva essere trovato sul suo fascicolo. Parlando ai due di
Vera, Mikael gli aveva rivelato anche qualcosa di sé che
non conoscevano. E quando Harry e Louis gli avevano
consegnato la fotografia nella sua nuova cornice, Mikael li
aveva abbracciati e aveva posto l'oggetto sul comodino,
al fianco del ritratto di famiglia. «Così non mi sentirò più
diviso tra le mie due famiglie, ma completo con la
mamma e voi quattro al mio fianco» aveva detto,
sorridendo affettuosamente.

«Quindi ti piaceva davvero giocare a scarabeo? I-io


pensavo che non ti interessasse granché. Insomma, in
questi mesi, quando tiravo fuori plancia e tesserine, eri il
primo a scappare via.»

«Mi sentivo in colpa per la brutta fine che aveva fatto lo


scarabeo che mi avevi regalato. Louis mi aveva
confessato che fosse molto importante per te e che lo
avessi fin da bambino...e per colpa mia era finito in mille
pezzi. Pensavo che se te lo avessi detto ti avrei deluso
irrimediabilmente, che mi avresti odiato e mandato via.»

«Non dirlo neanche per sogno, Mika.»

«Ho fatto così tanti errori, Harry. Sia all'orfanotrofio che


in questi ultimi mesi.» sospirò Mikael. «Ho sbagliato a
non raccontare subito agli assistenti sociali quello che
succedeva a casa con gli uomini di mia madre. Ho
sbagliato a non proteggere il tuo scarabeo da quei ragazzi
perché era l'unica cosa preziosa che avevo. Ho sbagliato
a iniziare quella rissa con David Lars a gennaio e a
deluderti ancora una volta.» A quel punto Mikael
singhiozzava e Harry gli stringeva più forte la mano,
come se potesse servire a farlo smettere e a tenere tutti i
suoi pezzi insieme. «Non sono cattivo, sono soltanto...»

631
«...sei soltanto un ragazzo, un ragazzo al quale sono
capitate molte cose brutte in passato, ma che cerca di
vivere al meglio il suo presente e che può ancora
plasmare il suo futuro.» concluse Harry al suo posto. «E
non mi hai deluso, anzi. Sono fiero di te, di come sei ora
e del fatto che tu sia rimasto qui, anche quando le cose
tra me e Louis andavano male. Sono io che devo dirti
grazie, grazie per esserti preso cura di lui quando io non
potevo.»

«Gli ho offerto soltanto il mio letto.»

«È stato molto di più, Mika.»

Entrambi si sorrisero timidamente. Il petto più leggero


per le confessioni di quella sera, ma i loro cuori pieni di
un caleidoscopio di emozioni che somigliavano tanto
all'amore. E quell'amore Harry lo sentì scoppiare
all'improvviso nel suo petto, dove persino le pareti del
suo cuore tremarono, quando Mikael pronunciò con un
filo di voce «so che non ti piace molto il contatto fisico,
ma potresti abbracciarmi?».

«Posso davvero?» gli chiese incerto, memore del rifiuto


ricevuto a settembre. «Insomma, i-io...»

Mikael non rispose neanche, sottrasse la mano alla sua


presa e si rifugiò tra le sue braccia liberando un
singhiozzo, poi un altro e un altro ancora. E Harry pensò
di non aver mai avuto qualcosa di tanto fragile tra le sue
braccia prima di quel momento, neanche quando aveva
stretto a sé per la prima volta Edward e Daisy in
ospedale. Perché Edward e Daisy erano soltanto dei
neonati, non avevano alcuna cicatrice, né un passato
doloroso alle loro spalle.

Mikael, invece, era tutta un'altra storia.

632
Una storia che aveva la necessità di essere scoperta e
raccontata per far capire che un cambiamento fosse
possibile, anche nei casi più difficili e disperati, con il
giusto supporto e amore. Una storia che non era solo
sinonimo di dolore e sofferenza, ma anche di speranza,
quella alla quale si era aggrappato Mikael durante gli
ultimi mesi trascorsi all'orfanotrofio e che stringeva nel
palmo della sua mano. E ora era Harry a stringerlo forte a
sé perché aveva imparato anche questo col passare degli
anni. Forse, agli occhi di Mikael non sarebbe mai stato un
papà, così come lo era per Edward o Daisy, ma ci sarebbe
stato ugualmente e avrebbe continuato a stringerlo, ad
abbracciarlo, a farlo sentire al sicuro. Non sapeva
neanche se da quel momento in poi il ragazzo si sarebbe
aperto maggiormente a lui o se le sue ferite si sarebbero
rimarginate del tutto, ma sapeva che quella confessione e
quell'abbraccio avevano fatto breccia nel muro che Mikael
aveva erto e che Louis aveva cominciato ad abbattere
mattoncino per mattoncino due anni prima.

«Non posso credere che tu mi abbia evitato per tutto


questo tempo a causa di quello sciocco scarabeo.»
mormorò Harry tra sé e sé, accarezzandogli la schiena
delicatamente. «Insomma, lo avevo da quando ero un
bambino e avevo tanti ricordi legati a quel gioco in
particolare, ma tu sei decisamente più importante,
Mikael.»

«Scusami, Harry.» singhiozzò, rafforzando la sua presa.


«Scusami per averti fatto stare così male. Louis
continuava a ripetermi che fossi troppo distaccato nei tuoi
confronti e che tu ci stessi male, ma non riuscivo a fare
altro in quel momento.»

«Pensavo che non mi sopportassi o che mi odiassi.»


confessò Harry. «Pensavo di essere sbagliato, di non
essere abbastanza, perché andavi d'accordo con tutto il
resto della famiglia tranne che con me.»

633
Mikael si allontanò da lui tanto quanto bastava per
guardare il suo viso. Le sue lentiggini si intravedevano a
malapena sul volto paonazzo dal pianto e delle lacrime
bagnavano ancora i suoi occhi fino a rendere il loro
caratteristico verde quasi trasparente, quasi come la
rugiada che rinfrescava le foglioline degli alberi al
mattino.

«Non puoi essere sbagliato.» mormorò, prima di poggiare


la guancia sulla sua spalla e stringere in un pugno il suo
maglione, all'altezza del cuore. «Mi hai fatto sentire
sempre al sicuro, persino quando mi hai rimproverato e
messo in punizione a gennaio. E qualcuno che fa sentire
al sicuro e a casa una persona che non lo è mai stata non
può essere sbagliato.»

E a Louis, che era appena giunto sulla soglia della stanza


per dire ai due che fosse arrivata la pizza, davanti a
quell'intreccio di anime e cuori sembrò per la prima volta
che tutti i pezzi della sua famiglia potessero finalmente
convivere.

Harry amava ascoltare Louis ridacchiare sommessamente


quando le proprie labbra, rosee e carnose, solleticavano
la pelle più delicata del suo ventre.

Per questo, Louis non tratteneva mai le sue risate quando


era con lui. Erano dolci e sapevano d'amore, come quello
che Harry imprimeva in ogni bacio lasciato sul suo bacino,
in ogni carezza che sfiorava le sue cosce tornite e in ogni
parola che abbandonava le sue labbra.

Almeno la maggior parte delle volte.

«Louis!» lo rimproverò, alzando gli occhi al cielo. «Non


essere così rumoroso, abbiamo le finestre aperte. Ti
prego.»
634
L'altro non poté che ampliare il suo sorriso e stringere nei
pugni i lembi delle lenzuola che li avvolgevano. «Non
posso, tutto questo tuo baciare, dire e fare mi manda in
estasi e mi fa anche il solletico.» ridacchiò, scuotendo il
bacino e provando a divincolarsi dalla presa più ferma di
Harry, le cui labbra lavoravano su un tenero lembo di
pelle dell'interno coscia. «Andiamo, come posso starmene
in silenzio!»

Harry lasciò andare quel lembo di pelle, prima di


ricambiare il suo sorriso con uno dall'aspetto più furbo e
sghembo. Sapeva quello che faceva, conosceva l'effetto
che provocava su suo marito con un bacio o una semplice
carezza e gli piaceva, anzi, lo amava. Per lui non c'era
nulla di più bello che venerare il corpo dell'altro con gli
occhi, con le labbra e con le mani: sembrava sgretolarlo,
ricomporlo e poi plasmarlo a suo piacimento ogni volta in
cui si concentrava sul suo membro duro o sul suo punto
più sensibile. Esattamente come in quel momento e Louis
non poteva affatto combatterlo perché, dopotutto, lo
amava anche lui. Per questo, le sue lamentele sfumarono
in un bacio bagnato e passionale che Harry gli rubò e il
suo respiro si mozzò quando l'altro lo riempì lentamente,
centimetro per centimetro, fino a sfiorare quel punto che
lo portava al suo Paradiso. Le risate si trasformarono
presto in ansiti e in gemiti più gutturali, smorzati da baci
e da ammonimenti a far più silenzio, seguiti da altri baci e
altri gemiti. Più Harry si spingeva in lui con ritmo
cadenzato e lo colpiva nel punto giusto, più Louis
stentava a trovare la lucidità e la ragione per abbassare
la voce e non far troppo rumore.

«Ma cosa me ne faccio della ragione in questo


momento...» mormorò sul collo abbronzato dell'altro,
prima di mordere il lobo del suo orecchio e graffiargli la
schiena con le unghie.

«Cosa?»

635
«C'est rien, mon ange.» ribatté Louis, cercando di
distrarlo dalle sue elucubrazioni mentali con il francese:
prima di quel momento non aveva mai fallito. «Tu me
rends fou.»

Harry sorrise, lasciando piccoli baci sulla sua mandibola e


sul suo mento prima di giungere alla sua bocca, mordere
il labbro inferiore e tirarlo un po' verso di sé per
stuzzicare la sua resistenza. Nel frattempo, non aveva
mai smesso di muoversi sinuosamente su di lui, né di
massaggiare il suo membro duro con il palmo della mano
e passare il pollice sulla sua punta rossa e bisognosa di
premure.

«Oh, je le sais déjà, mon petit soleil.» rispose Harry a


qualche millimetro dalle sue labbra. «Lo so che ti faccio
impazzire, ora vieni per me, ti prego.» aggiunse con voce
suadente, accelerando le sue spinte e beandosi dei gemiti
e dei respiri affannati dell'altro che sembravano quasi
dargli un ritmo. «Je t'aime, Louis.» sospirò, quando sentì
il suo ventre e la sua mano macchiarsi del seme dell'altro
e affondò il viso nell'incavo del suo collo.

La pelle di Louis era ancora increspata dai brividi e sporca


di quel caleidoscopio di emozioni provato un attimo
prima, quando Harry venne nelle sue carni spingendosi
più volte in lui con movimenti sconnessi e profondi.
Chiuse gli occhi e si godette quel momento, quello in cui
Harry finalmente si rilassò su di lui, le loro gambe si
intrecciarono e le loro pelli furono imperlate di sudore.

«Amo Saint Paul.» si lasciò scappare Louis, aprendo gli


occhi blu e abituandosi alla luce del mattino che filtrava
dalla grande finestra della stanza: la sua voce era ancora
affannata per il piacere provato poco prima, il suo corpo
giaceva a stella sul letto e sul suo petto c'erano i riccioli
castani di Harry a solleticargli la pelle. «Amo cominciare
le mie giornate così, amo l'estate, amo questa vita.»

636
«Più che altro ami i tuoi genitori che tengono impegnati i
ragazzi affinché tu possa svegliarti così.» precisò Harry,
guardandolo dalla sua posizione e tracciando con l'indice
linee immaginarie sul suo addome.

«Soprattutto.» ridacchiò, intrecciando una mano alla sua


e lasciandole riposare entrambe sulla sua pelle
abbronzata: a quel punto Harry si fece più vicino e poggiò
il viso al fianco del suo sul cuscino, non strecciando mai le
loro gambe o le loro mani. «Mi piace trascorrere le nostre
ferie qui. Qui è tutta un'altra storia. Noi possiamo andare
al mare o gironzolare per tutta la costa. I ragazzi passano
la maggior parte del tempo con i loro amici in paese e
sono così spensierati, mamma e papà sono felici di averci
tutti tra i piedi e tu puoi giocare a pétanque quanto vuoi
con quegli anziani che ti adorano.»

«Lou, non prendermi in giro!» ribatté Harry,


imbronciandosi. «Qui il gioco delle bocce è una questione
seria e quegli anziani mi adorano perché sono davvero
bravo!»

«Non lo metto in dubbio, amore. Fai bene a fare amicizia


con loro così avrai un assaggio della vita che avremo in
futuro.»

«Lou, ma cosa dici? Il vino di ieri sera fa ancora effetto?»

Lui ridacchiò. «Non sono te, io so reggere qualche


bicchiere di vino in più. E comunque non sono ancora
ubriaco da ieri sera.» disse, prima di spiegarsi meglio.
«Immaginaci tra vent'anni. Saremo finalmente in
pensione e magari i ragazzi avranno dei figli tutti loro o
lavoreranno chissà dove nel mondo.»

«Magari Daisy sarà a spasso nello spazio!»

«Già, ma dovrà ricordarsi di scendere sulla terra se vorrà


vedere il suo amato Theo e i suoi papà...a questo punto,
637
spero che diventi una pianista di successo!» precisò
Louis, fantasticando sul futuro. «Edward sarà Primo
Ballerino al Royal Ballet di Londra e viaggerà spesso e
Mikael...beh, lui lo immagino scrittore o giornalista e
magari rimarrà qui, nelle vicinanze, a fare gli occhi dolci
al suo Timothée.»

«Sono soltanto amici, Lou.»

«Amici?» Louis alzò gli occhi al cielo, un sorriso malizioso


gli curvò le labbra sottili. «Ma hai visto come si guardano?
Per favore, Mikael ha lo stesso sguardo da pesce lesso
che avevi tu quando mi hai conosciuto. E mia madre mi
ha anche detto di averli visti mano nella mano una sera,
mentre Timothée lo riaccompagnava a casa.»

«Suppongo che sia lo stesso sguardo che avevi anche tu,


allora!» ribatté, colpendo dolcemente la sua spalla destra.
«E comunque no, non so nulla di sguardi e passeggiatine
al chiaro di luna tra quei due perché non indago sulla vita
sentimentale di un ragazzo!»

«Certo, infatti non sei stato tu a invitare Timothée a cena


l'altra sera e a chiedergli vita, opere e miracoli della sua
famiglia!»

«Sono soltanto un genitore premuroso e protettivo, tutto


qua. Volevo accettarmi che Timothée fosse un bravo
ragazzo e lo è per davvero. È brillante, divertente ed è
molto dolce con Mikael. E Dio solo sa quanto Mikael abbia
bisogno di dolcezze e premure nella sua vita. L'altro
giorno, poi, ho conosciuto anche suo nonno perché l'ho
incontrato al campo da bocce.» affermò orgoglioso per le
sue conoscenze in paese. «Non lavorare troppo di
fantasia su loro due con tua madre, però. Mikael ce lo ha
presentato soltanto come un suo amico per il momento,
quindi dobbiamo essere cauti e non invadere la sua
privacy. Quando e se ci sarà qualcosa da dire, sarà il
primo a farlo.»
638
«Lo pensi davvero? Intendo, siamo quel tipo di genitori
con cui si può parlare di tutto? Anche di semplici cotte o
d'amore?»

Louis lo chiese con una punta di incertezza nella sua


voce. Uno dei suoi sogni più grandi era essere un bravo
genitore, così come sua madre e suo padre lo erano stati
con lui, e ciò che era accaduto nell'ultimo anno lo aveva
spinto a riflettere molto sull'argomento e a mettersi in
discussione.

«Al cento per cento.» ribatté Harry senza alcuna


esitazione. «E non importano gli sbagli dell'ultimo anno,
tu rimani un ottimo genitore.» aggiunse, lasciando un
bacio sulla pelle calda e soda del suo petto. «Tu sei un
padre perfetto, Lou.»

«Lo spero, mon ange.» rispose, sentendosi più sollevato


grazie alle parole dell'altro. «Su di te, invece, non ho
alcun dubbio.» continuò, premendo la punta dell'indice
sul naso di Harry scherzosamente. «Allora, dove ero
rimasto con il mio discorso prima che ne perdessi il filo?»

«Noi due in pensione e i ragazzi con lavoro e famiglia.»

«Giusto! A quel punto tu sarai diventato quasi pelato


e...ehi, mi hai fatto male!» si interruppe Louis, dal
momento che Harry gli aveva pizzicato un fianco con la
mano che non era stretta alla sua. «E va bene, tu avrai
ancora questa chioma leonina e io non avrò neanche una
ruga in più.»

«Ora va meglio.» ridacchiò Harry, prima di sorridergli e


dirgli «continua» con gli occhi colmi di meraviglia.

«Beh, non avremo granché da fare a Londra...quindi,


potremmo ritirarci qui a Saint Paul dopo la pensione.
Pensa al profumo dei pain au chocolat della boulangerie
dietro l'angolo che ci sveglierebbe al mattino, al sole che
639
prenderemmo e al mare blu blu che vedremmo ogni
giorno.» Louis sospirò, rivolgendogli uno sguardo
sognante. «Sarebbe il Paradiso.»

Tuttavia, Harry non sembrava pensarla allo stesso modo:


sul suo viso c'era un'espressione indecifrabile e i suoi
occhi lo guardavano attentamente, quasi per studiarlo,
quasi per capire quali fossero le sue vere intenzioni.

«Allora, che ne dici?»

«Dico che mi mancherebbe la mia famiglia, mi


mancherebbe persino Niall. Andare a trovare mio padre o
i nonni al cimitero. Anche la nostra stessa casa a Londra.
E i nostri genitori? Saranno molto anziani e avranno
bisogno di molte cure.» rispose Harry, abbassando lo
sguardo e rivolgendolo all'intreccio che erano le loro
mani. «A te non mancherebbe tutto questo?»

«Certo che mi mancherebbe tutto questo, ma non


sarebbe per sempre.» lo rassicurò, sorridendogli e
accarezzandogli la mano. «Non ti sto chiedendo di
trasferirci qui per sempre, ma soltanto di trascorrerci più
tempo perché mi piacciono le persone che siamo qui.
Siamo più spensierati, più tranquilli, più felici. Magari,
potremmo passare l'intera estate qui e non soltanto
qualche settimana all'anno. E farei l'impossibile per avere
la nostra famiglia e i nostri amici al nostro fianco anche in
quei mesi. Che ne dici?»

«Allora dico anche io che sarebbe il Paradiso.»

Finalmente Harry ricambiò il suo sguardo e si aprì in uno


dei sorrisi più dolci che gli avesse mai donato. Un tempo
quei sorrisi erano rari, ora affioravano così spesso sulle
sue labbra a tal punto da essere normalità e a Louis
quella "nuova" normalità piaceva da impazzire. E non
poté far altro che imitarlo e sentire il suo intero corpo
fremere di gioia e di aspettativa per tutto ciò che avrebbe
640
riservato loro il futuro. Con Harry era bello persino
programmare la sua vecchiaia: forse, perché con lui non
si sarebbe mai sentito vecchio per davvero, avrebbe
sempre sentito il suo cuore battere d'amore, il petto
ardere di passione e le sue carezze infondere l'affetto più
puro.

«Tu lo sei, sei il mio angolo di Paradiso.» si convinse a


dire, allora, correndo il rischio di suonare fin troppo
smielato. «Non ridere, però.»

«Non sto ridendo per questo.» precisò Harry, facendosi


più vicino al suo viso. «Sorrido perché è la stessa cosa
che penso anche io. E non so se sia soltanto una
coincidenza o se ci sia una possibilità abbastanza alta che
lo pensi anche io perché sono tuo marito e il padre dei
tuoi figli e voglio passare il resto della mia vita con te, ma
per la prima volta non mi importa delle percentuali e delle
statistiche. Lo penso e basta e ne sono felice.»

«Ti amo, Harry.» affermò Louis intensamente, prima di


farsi più spensierato e ridacchiare «ora godiamoci per
altri cinque minuti questo silenzio perché, secondo le mie
previsioni fondate su statistiche infallibili, tra poco
torneranno i ragazzi dalla colazione e la pacchia sarà
finita per tutti!».

In un istante si avventò sulle labbra di Harry e


quest'ultimo lo accolse senza alcuna esitazione, entrambi
decisi a godersi quel loro Paradiso ancora per un po'.

Trascorrere l'intero mese di agosto a Saint Paul era stata


un'idea di Johannah.

Anche comprare la casa di Clementine era stata una sua


idea e, nonostante i tentennamenti iniziali, tutti potevano
affermare che fosse stato un buon investimento. In quel
641
modo, avevano potuto ampliare la casa di famiglia,
aumentare i posti letto per amici e parenti e rendere più
spaziosi la zona giorno e il giardino sul retro. I lavori
erano terminati alcuni mesi prima ed era stato facile
abituarsi a quel cambiamento grazie all'architetto che
aveva permesso l'unione delle due case, abbattuto
qualche muro non portante e pensato a un arredo e a una
configurazione che funzionasse al meglio per le loro
esigenze.

Eppure, alcune cose non erano cambiate affatto.

Nelle serate più fresche accendevano il vecchio camino e


si riunivano tutti intorno al fuoco - chi sul divano, chi sulla
poltrona e chi sul tappeto - a parlare del più e del meno e
a raccontare aneddoti che appartenevano a un passato
conosciuto da pochi, ma che le giovani leve ascoltavano
con piacere. Con grande fastidio di suo marito, Harry
ridacchiava sempre quando passava davanti alla porta
che apriva la vecchia camera di Louis - ora appartenente
ai ragazzi - e che riportava la sua altezza di anno in anno:
quella porta era stata l'unica a non essere sostituita nella
ristrutturazione e Louis ancora non capiva il perché dal
momento che a nessuno interessava constatare che non
fosse poi cresciuto molto nella sua adolescenza.
Quest'ultimo, poi, si rilassava ancora in terrazza con un
libro e una birra tra le mani quando voleva evadere dalla
confusione e Harry si sdraiava al suo fianco senza
emettere un fiato dopo averlo trovato.

Era stato proprio Louis a osteggiare maggiormente l'idea


di Johannah: comprare la casa di Clementine, abbattere
qualche muro e ristrutturare l'intero aggregato gli era
sembrato così irrispettoso nei confronti di nonna Margot a
tal punto che non aveva parlato con sua madre per un
mese intero. Era stato Harry, poi, a fargli cambiare
opinione e non lo aveva fatto usando i numeri o
ripetendogli quanto quell'investimento fosse vantaggioso,
ma rivelandogli una conversazione che aveva avuto con

642
nonna Margot tempo prima. In una delle ultime festività
natalizie trascorse insieme, la donna aveva confessato a
Harry di volere una casa più ampia a Saint Paul per
ospitare l'intera famiglia e gli amici. Allora Margot non
pensava che i figli della sua amica Clementine potessero
vendere la casa di famiglia ed era certa che il suo sogno
sarebbe rimasto soltanto tale, ma Harry ricordava ancora
le sue parole e le aveva ripetute a un Louis che lo aveva
guardato di rimando commosso.

«Voglio vedere la mia famiglia sempre unita e felice come


lo è ora, anche quando un giorno non ci sarò più.» gli
aveva detto Margot, accarezzandogli la mano con la sua
più nodosa e volgendo lo sguardo all'albero di Natale, a
Daisy che scartava i regali, a Louis che stringeva tra le
braccia un Edward neonato e tutti gli altri che brindavano
intorno a loro. «È l'unica promessa che vi chiedo di
mantenere.»

«Pensaci, Lou. Se comprassimo la casa di Clementine e


attuassimo qualche piccolo cambiamento a quella di
Margot, potremmo trascorrere parte dell'estate tutti
insieme a Saint Paul contemporaneamente. Non
dovremmo più dividerci in piccole pensioni o fare a turno.
Saremmo tutti insieme, i bambini sarebbero felici di
trascorrere lì un po' di tempo con i nonni e potremmo
invitare anche la mia famiglia o Niall.» aveva affermato
Harry. «Manterremmo la promessa di Margot e questo è
l'importante, non qualche muro che cadrebbe giù.»

E le parole di Harry, unite a quelle di Margot, avevano


creato una breccia nelle convinzioni di Louis a tal punto
da spingerlo a parlare di nuovo con Johannah e a darle
anche il suo benestare, chiedendole però di non
stravolgere troppo il carattere della casa. Alla fine dei
lavori, l'intero aggregato aveva sempre la stessa anima di
chi l'aveva abitato e di chi continuava ad abitarlo: era
accogliente, luminoso ed era un posto che si poteva
chiamare casa non tanto per l'arredo o il colore delle

643
pareti, ma per i tanti volti familiari che l'affollavano.
Perché casa non erano le quattro pareti che sorreggevano
un tetto, casa erano i ricordi, i volti felici e i cuori colmi
d'affetto delle persone che l'abitavano.

E, alla fine, erano riusciti a mantenere anche la promessa


fatta a Margot perché quel giorno di fine agosto c'erano
proprio tutti a Saint Paul per un'occasione speciale.

C'era Anne con il suo bel cappello di paglia sul capo a


scattare foto qua e là, anche se i suoi soggetti preferiti
sembravano essere Ginger e Olaf tra una pianta e l'altra
del giardino. William e sua moglie Kate fingevano di
rincorrere Annabelle mentre quest'ultima scorrazzava
allegramente sul prato e rallentavano proprio quando
erano sul punto di prenderla per prolungare il
divertimento della bambina. I gemelli, invece, si
guardavano attorno furtivi e pensavano già alla prossima
marachella. Niall e Lisa riposavano su delle sdraio di
legno all'ombra di un albero con un buon Margarita tra le
mani e «se non puoi combatterli, unisciti a loro»
continuavano a ripetersi. Theo parlava con Daisy e la
guardava con un'espressione sognante sul volto perché
quel giorno era più bella del solito con l'abbronzatura a
far risaltare i suoi occhioni verdi, i capelli ricci lasciati
sciolti sulle spalle e il suo vestito rosso ciliegia. Qualche
metro più in là, Ethan e Johannah battevano le mani ad
ogni regalo scartato da Mikael: poco prima, il ragazzo
aveva spento ben quindici candeline con l'aiuto di un
Edward piuttosto impaziente.

Mikael era cresciuto molto in quell'anno appena trascorso


con loro. Aveva messo su un paio di chili e ora aveva un
aspetto più sano e meno emaciato. Le lentiggini sul suo
volto erano aumentate, anche a causa del sole, e i suoi
capelli color caramello si erano schiariti. Da quando aveva
messo piede a Saint Paul, poi, era più felice che mai e lo
dimostravano le risate che lasciavano spesso le sue
labbra e la nuova luce che gli illuminava il volto. Mikael

644
sembrava aver trovato la sua dimensione in quel paesino
tra una passeggiata al chiaro di luna mano nella mano
con Timothée e una partita a scarabeo con Harry, tra una
nuotata al mare con Louis e la costruzione di un castello
di sabbia con Edward e Daisy sulla riva.

A Mikael donava la serenità, soprattutto nel giorno del


suo compleanno.

Non aveva mai trascorso quella ricorrenza in quel modo,


circondato da persone che amava e dalle quali era amato,
tra sorrisi e risate. A Minsk i compleanni servivano
soltanto a ricordargli che un altro anno fosse passato e
che non avesse nulla, a farlo sentire più solo che mai. Ora
Mikael non era più solo. Ora Mikael possedeva qualcosa
che aveva sempre desiderato, ma che non aveva mai
avuto: una famiglia. Aveva persino avuto un compleanno
tutto per sé per la prima volta in vita sua e Mikael non
aveva mai avuto qualcosa che appartenesse soltanto a lui
prima di incontrare Harry e Louis. Ed era stato bello
notare la meraviglia tingere i suoi occhi in ogni istante
della giornata: era sembrato un bambino alle prese con le
prime scoperte mentre spegneva le candeline, scartava i
suoi regali e ringraziava familiari e amici uno a uno per i
doni ricevuti.

Mikael aveva appena porto una fetta di torta a Timothée,


quando Louis si avvicinò a Harry e gli chiese «che ne dici?
È il momento giusto?» sfiorandogli un braccio.

Harry inspirò bruscamente, prima di rilasciare il respiro e


dire solennemente «ora o mai più».

Sembrò prepararsi a fare la cosa più difficile della sua


vita, ma Louis sapeva che non fosse così. Sapeva che
Harry avesse affrontato e superato cose peggiori, ma allo
stesso tempo capiva la sua solennità perché quello che
stavano per compiere era un passo importante. Si
avvicinarono entrambi a Mikael e Timothée - mano nella
645
mano, perché avevano imparato ad affrontarli insieme i
momenti difficili - e i due li accolsero con un sorriso
affettuoso sulle labbra.

Il sorriso di Mikael, però, si affievolì presto alla vista delle


loro espressioni così serie.

«Ehi, qualche brutta notizia?» chiese, aggrottando le


sopracciglia.

«No, no.»

«E allora cosa c'è?»

«Possiamo parlarti, ehm...» rispose Louis, lanciando


un'occhiata eloquente a Timothée e sperando di non
risultare troppo sgarbato. «...da soli?»

Il volto dai lineamenti spigolosi di Timothée si aprì in un


sorriso accomodante a quella richiesta e i suoi occhi verdi
divennero più dolci spostandosi sul ragazzo al proprio
fianco: scrollò le spalle e accarezzò l'avambraccio di
Mikael, stringendolo per un istante sotto il suo palmo,
prima di dire «chiederò a Edward di mangiare questa
fetta di torta insieme nel frattempo, non preoccuparti!».
Si sporse di qualche centimetro verso il festeggiato e i
suoi capelli castani e mossi solleticarono lo zigomo di
Mikael nel farlo, poi lasciò un bacio sulla sua guancia e
mormorò dolcemente «à plus tard, Mika».

Il viso di Mikael arrossì violentemente a quel gesto e i


suoi occhi brillarono di una luce particolare mentre
seguivano la figura alta e snella di Timothée allontanarsi
e raggiungere Edward in un angolo del giardino. Louis
incrociò lo sguardo di Harry per un istante e trattenne a
stento un sorriso furbo perché in un modo o nell'altro le
sue supposizioni si
rivelavano sempre giuste. Quasi sempre, avrebbe detto

646
Harry per essere precisi, ma quello non era il momento
adatto per le puntualizzazioni.

«A-allora, cosa dovevate dirmi?» balbettò Mikael, ancora


in imbarazzo per il bacio sulla guancia che aveva appena
ricevuto.

«Dobbiamo darti il nostro regalo di compleanno.»

«Non è già questa festa il vostro regalo? Non dovevate


farmene un altro. Questo viaggio, questa festa e tutto
quello che ho ricevuto oggi sono più di quanto potessi
sperare.»

«Per favore!» sbuffò Harry. «Siamo molto più originali di


così!»

«Lui lo è di sicuro.» precisò Louis, facendo cenno a Harry,


prima di ricevere una gomitata in pieno stomaco che lo
fece piegare di qualche centimetro. «Ehi, scherzavo!»
aggiunse, massaggiandosi la parte lesa al di sopra della t-
shirt che indossava, mentre l'altro alzava gli occhi al cielo
e incrociava le braccia al petto. «Comunque, abbiamo
trascorso giorni, anzi, settimane intere a pensare ad un
regalo adatto a te. E ci sembrava tutto così scontato e
banale!» esclamò drammaticamente. «Poi, ci è venuto in
mente qualcosa e abbiamo pensato che, nonostante fosse
il tuo compleanno, tu potessi fare un regalo a noi due.»

Mikael li guardò confuso e anche un po' preoccupato,


mentre sentiva il suo cuore battere forte del petto. Non
poteva accedere al conto in banca che Harry e Louis
avevano aperto a suo nome perché era ancora minorenne
e dubitava che con la sua paghetta mensile potesse
comprare un bel regalo a entrambi. Era forse una
tradizione tutta loro? Mikael non era cresciuto con delle
tradizioni o delle abitudini, anche perché la sua vita era
sempre stata imprevedibile fin dal principio. Nella testa
del ragazzo si susseguirono dieci, cento, mille scenari
647
diversi e nessuno di questi si concludeva con un lieto fine.
Per questo, deglutì visibilmente e mormorò con un filo di
voce «vi prego, di cosa state parlando?».

«Qualche settimana fa abbiamo parlato con l'assistente


sociale e ci ha detto che, non appena finirà il tuo anno di
affido, potremo presentare le carte per la tua adozione.»
affermò Harry, la sua voce quasi tremò nel pronunciare
l'ultima parola. «Prenderai i nostri cognomi e diventerai a
tutti gli effetti nostro figlio, assumendone tutti i diritti.»

«E anche i doveri...questo significa che toccherà anche a


te svuotare la lavastoviglie da quel momento in poi e che
non potrai più rifiutarti di farlo.» si intromise Louis per
allentare la tensione di quel momento.

«Questo significa che se ti succederà qualunque cosa


potremo starti vicino nel modo che meriti e se succederà
qualcosa a noi due avrai gli stessi diritti di Edward e
Daisy: nessuno ti lascerà indietro.» lo corresse Harry,
torturandosi le mani dall'ansia. «Se lo vorrai, continuerai
ad abitare con noi, frequenterai la stessa scuola e...e non
cambierà nulla.»

«Proprio nulla, ma diventerai un Tomlinson-Styles a tutti


gli effetti.»

«I-io non so che dire...»

«Di' soltanto di sì?» azzardò Harry.

Mikael era decisamente sopraffatto dagli eventi. Si notava


dagli occhi verdi colmi di lacrime e commozione,
dall'espressione incredula che si leggeva sul suo volto,
dalle labbra che si aprivano ma dalle quali non si liberava
neanche un suono, dalle guance rosse e dalle braccia che
fremevano per intrecciarsi alle loro.

648
E all'improvviso lo fecero.

Mikael non disse altro, si gettò tra loro e li abbracciò


forte, come ad afferrare quella nuova occasione, quella
nuova vita che gli era stata offerta, e a non lasciarla più
andare.

E Harry e Louis erano certi che non avrebbero mai


dimenticato quel momento e tutti quelli che ne seguirono.

Ci fu un momento in cui piansero di gioia perché Mikael


pronunciò per la prima volta in vita sua la parola «papà»
rivolgendosi a loro due. Uno in cui Edward e Daisy li
raggiunsero e si unirono a quel grande abbraccio
chiedendo «ha già detto sì?» e uno in cui Mikael domandò
«voi due lo sapevate già e non mi avete detto nulla?»,
mentre Edward annuiva fiero di se stesso per avergli
nascosto quel segreto. Uno in cui Mikael disse di aver
ricevuto il regalo più bello della sua vita e gli altri quattro
non stentavano a credergli perché per loro era lo stesso.
Ce ne fu un altro, infine, in cui Louis e Harry si dissero
fieri di loro stessi, di tutto ciò che avevano raggiunto e
della terza Stella che avrebbe illuminato il loro piccolo,
ma grande universo.

E Harry ricordò una conversazione in particolare avuta


qualche anno prima, quando i due avevano discusso
dell'idea di avere un terzo figlio e avevano percorso
insieme le linee nere di quel tatuaggio che ancora oggi
macchiava loro il petto, all'altezza del cuore.

«Quell'aeroplanino sull'avambraccio rappresenta il nostro


punto di partenza, il nostro primo incontro e la nostra
lista, ma il Sole, la Luna e le tre Stelle sono il nostro
punto di arrivo» aveva detto Louis e, in parte, aveva
avuto ragione.

Quel Sole, quella Luna e quelle Stelle erano una realtà


che Harry non si era mai permesso di desiderare prima
649
dell'arrivo di Louis, prima che quest'ultimo gli mostrasse
non solo quanto fosse bello sognare, ma anche realizzare
i propri sogni: erano tutto ciò che aveva e per cui si
sarebbe sempre sentito grato e fortunato. E, alla fine,
anche la terza Stella era arrivata.

Eppure, Harry non percepì l'adozione di Mikael come un


punto di arrivo, ma come un altro punto di partenza e
non vedeva l'ora di scoprire dove l'avrebbe portato.

Nel pomeriggio, mentre il resto degli amici e dei familiari


cercava di riprendersi dal pranzo preparato da Johannah
e Anne, Louis portò Harry e i ragazzi al mare.

C'era qualcosa di speciale in quella caletta situata a


Cagne sur Mer, nascosta dalla vegetazione e sconosciuta
alla maggior parte dei turisti che affollavano la zona.
Louis l'aveva scoperta quando era soltanto un bambino
grazie a sua nonna Margot, che voleva insegnargli a
nuotare: alla fine, avevano trascorso la maggior parte
delle loro lezioni di nuoto in riva al mare a costruire
castelli di sabbia o a rilassarsi sul bagnasciuga e Louis
non se ne era mai lamentato. Tra le onde del mare che si
infrangevano l'una al seguito dell'altra sulla riva e i
granelli di sabbia dorata della spiaggia c'erano dieci,
cento, mille ricordi: alcuni più vecchi e legati alle estati
trascorse lì con i suoi nonni, altri più recenti e legati a
Harry e ai suoi figli. Era stato lì che Louis aveva portato
Harry a vedere il mare, quello blu blu che piaceva tanto al
ragazzo, nel loro primo viaggio a Saint Paul insieme molti
anni prima. Era stato lì che i suoi figli avevano imparato a
nuotare e a giocare spensierati, lì avevano imparato ad
amare la Francia e tutte le tradizioni di famiglia.

Fu lì che, quel giorno, Mikael si lasciò finalmente il


passato alle spalle.

650
Louis lo vide prendere un respiro profondo prima di
sfilarsi la t-shirt bianca che indossava, rimanere soltanto
con i suoi bermuda addosso e prendere la rincorsa per poi
tuffarsi nelle acque calde e cristalline della caletta. E si
sentì fiero di lui perché finalmente aveva sconfitto il
giudizio altrui e aveva messo da parte i ricordi legati alle
cicatrici che ora non nascondeva più. Mikael scompariva e
poi faceva capolino tra le onde, sorrideva quando Edward
gli chiedeva un altro tuffo e non sobbalzava più quando le
sue mani si aggrappavano alla schiena, non abbassava
più lo sguardo quando sorprendeva quello di Daisy fermo
a osservare le sue cicatrici.

Daisy le aveva già viste prima di quel giorno, conosceva


le storie che si celavano dietro ogni singolo marchio
perché era stato proprio lui a raccontargliele qualche
settimana prima, eppure non riusciva ancora a sopportare
tutto il male che Mikael aveva vissuto. Desiderava
prendere una parte di quel male, persino averlo sulla sua
stessa pelle, pur di condividere il peso che lui portava
sulle spalle e alleggerirlo di quel dolore. E stranamente
riusciva a farlo, soprattutto quando Mikael era in una
delle sue brutte giornate, quando la differenza tra
passato e presente era labile e i brutti ricordi affioravano.
Daisy si sistemava al suo fianco e poggiava la testa sulla
sua spalla, rimaneva lì a stringergli la mano senza dire
una parola, sentiva il ragazzo ricambiare la sua stretta e
tornare a respirare propriamente. Era diventato un
qualcosa soltanto loro e stranamente funzionava, perché
Mikael riusciva persino a sorridere a fine giornata.

Sorrideva anche in quel momento, mentre l'acqua del


mare sembrava sanare le sue ferite e dargli ancora una
volta la nascita.

E sorridevano anche Harry e Louis, seduti sulla sabbia


qualche metro più in là, l'uno al fianco dell'altro, mentre i
loro occhi si riempivano d'emozione nel guardare quella
scena.

651
«Come si misura un anno, Harry?» chiese Louis d'un
tratto.

«In 8760 ore, 525600 minuti e 31536000 secondi.»

Louis ridacchiò, voltandosi nella sua direzione e trovando


l'altro che già lo guardava e sorrideva soddisfatto.
«Sapevo che mi avresti risposto così e ti amo per averlo
fatto, ma non intendevo questo.» precisò, scuotendo la
testa. «Intendo, un anno si misura in albe o in tramonti?
In risate o nelle lacrime che hai versato? Insomma, in
cose positive o in cose negative?»

Harry aggrottò le sopracciglia, prima di chiedere «come


mai me lo domandi?».

«Perché questo è stato l'anno più difficile della nostra vita


insieme.» affermò Louis, portando le ginocchia al petto.
«Sono successe molte cose, alcune belle, alcune brutte.
Ma come faccio a farne un bilancio?»

Harry sospirò, una leggera brezza scompigliò i ricci che gli


solleticavano le tempie. «Credo che un intero anno si
misuri in tutte queste cose, Lou. La vita non è fatta
soltanto di bei momenti, risate o successi, ma anche di
eventi spiacevoli, sofferenze e sconfitte.» Si fermò per un
istante, giusto il tempo di accennare un sorriso
confortante. «Sperimentare tutto questo, sia le cose
positive che le cose negative, significa essere umani e
significa vivere per davvero.»

Quelle erano le parole di un uomo che aveva attraversato


momenti difficili e ne era uscito con vittorie e sconfitte, di
un uomo che aveva fatto dei sacrifici, di un uomo che
sapeva cosa significasse essere vulnerabili e abbassare la
guardia, lasciare entrare l'altro nella parte più intima di se
stessi. Erano le parole di un uomo che conosceva il dolore
e anche l'amore e che per vivere il secondo era disposto
persino a sperimentare il primo se fosse stato necessario.
652
«Io, però, preferisco misurarlo in amore.» continuò
Harry. «E l'amore per me è tutto questo. Stare al tuo
fianco, accarezzarti il viso e dirti che ti amo fino al mio
ultimo respiro. Vedere i ragazzi che si divertono insieme,
che non si vergognano di mostrare al mondo intero chi
sono. Avere degli amici e dei familiari che farebbero di
tutto per raggiugerci e trascorrere del tempo con noi.»
affermò con un sorriso, la mano destra che accarezzava
l'avambraccio dell'altro. «Ed è vero, questo è stato un
anno difficile, ma ogni stagione mi ha insegnato qualcosa.
Ogni stagione mi ha insegnato una sfumatura diversa
dell'amore, di noi e di me stesso che ancora non
conoscevo.»

«E quale stagione hai preferito?»

Harry non dovette neanche rifletterci, prese la mano


dell'altro nella sua e rispose «l'estate».

«E perché?»

«Perché siamo qui, mano nella mano, l'uno al fianco


dell'altro a guardare i nostri tre figli giocare felici e
spensierati e finalmente lo sono anche io.» rispose, il suo
volto era rilassato, la luce aranciata del tramonto
illuminava i suoi lineamenti, i suoi occhi verdi riflettevano
il blu del mare. «Dopo l'anno che abbiamo trascorso, ce lo
meritiamo.»

E Louis annuì, condividendo il suo pensiero, prima di


portare un braccio oltre le spalle di Harry e stringerselo al
petto, respirare il suo profumo e sentirsi a casa. La
sensazione che tutto sarebbe andato bene da quel giorno
e i piccoli «je t'aime» che si scambiavano addolcivano
l'aria ricca di salsedine che respiravano.

Perché avrebbe potuto esserci un autunno piovoso, un


inverno gelido, una timida primavera o una calda estate
negli anni a venire, ma a Louis e a Harry non sarebbe
653
importato: avrebbero misurato quegli anni in amore,
quello che faceva tremare ancora le loro labbra mentre si
baciavano, anche in quel momento, con le risate lontane
dei loro figli a risuonargli nelle orecchie e una leggera
brezza a solleticare i loro volti.

Più tardi, Harry si alzò e cominciò a sbottonarsi


lentamente la camicia a stampa floreale che indossava:
Louis lo guardava piacevolmente colpito e orgoglioso
dell'uomo che era diventato, perché la sua bellezza era
rimasta immutata e lui ne era spettatore ogni giorno,
perché la sua bellezza risiedeva negli occhi che brillavano
di una sicurezza che aveva acquisito pian piano negli
anni.

«Sai che uno studioso di Harvard ha calcolato che le


probabilità di morire in un incidente aereo sono una su
undici milioni?» azzardò Harry, mentre un sorriso
sghembo curvava le sue labbra e lui iniziava a camminare
all'indietro. «È più facile morire per l'attacco di uno
squalo...sai, hai una probabilità su tre milioni.»

A quel punto Harry era quasi sulla riva e i ragazzi non


facevano altro che chiamarlo a gran voce affinché li
raggiungesse, ma lui continuava a guardare Louis con
aria di sfida e con una luce particolare negli occhi. Louis
ridacchiò, scuotendo la testa e chiedendosi come l'altro
riuscisse a ricordare le esatte parole che si erano
scambiati diciassette anni prima, durante il loro primo
incontro.

«Allora?» lo incalzò Harry divertito. «Hai paura degli


squali o sfidi qualunque statistica e mi raggiungi?»

Quella volta Louis non andò via. Non perse tempo a


rispondere a quella domanda perché avrebbe scelto
sempre Harry, sfidando qualsiasi statistica. Si alzò in
piedi, si sfilò la t-shirt e la gettò sulla sabbia: un istante
dopo era già sulla riva, le sue mani sfioravano
654
delicatamente le guance di Harry e le sue labbra
catturavano quelle dell'altro per togliergli finalmente
quell'espressione furba dal volto e prendersi un po'
d'amore. Poi, mano nella mano, raggiunsero i ragazzi che
li accolsero con urla di gioia, abbracci e schizzi d'acqua.

Il sole tramontava sul mare e una leggera brezza estiva si


alzava facendo rabbrividire la loro pelle bagnata: presto
sarebbe arrivata la luna, ma a Louis non importava
perché vederla alta e sublime nel cielo non avrebbe più
fatto paura con Harry al suo fianco.

655
656

Potrebbero piacerti anche