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10 February, 2022 | created using FiveFilters.

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Sentirsi sopraffatti, che cos’è


l’esaurimento emotivo
Feb 9, 2022 11:05AM

Bisogna ammetterlo. Essere altruisti non è sempre cosa buona. Anzi. L’egoista è prevedibile:
sceglierà in ogni situazione di fare la cosa che appaga e soddisfa le sue necessità. Quelli che
gli stanno intorno lo sanno e potranno quindi gestire al meglio le mosse personali, proprio in
base a questa consapevolezza.

L’altruista invece, nonostante i buoni e sani principi dai quali è mosso, rischia spesso di
mettere in disordine lo stato delle cose. Regala slanci estemporanei laddove nessuno li aveva
richiesti, va a colmare buchi che magari era meglio lasciare scoperti, mette in campo una
quantità di forze, senza avere certezze sulla percentuale di successo in fatto di risultato. E il
più delle volte finisce col danneggiare se stesso.

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Gli altruisti, ma più in generale, tutti coloro che per natura tendono ad andare incontro
incessantemente alle esigenze dell’ambiente che li circonda, forse non sanno che rischiano di
precipitare in quello che gli esperti chiamano “esaurimento emotivo”.

Questa definizione si riferisce ad uno stato psicofisico di stanchezza e di forte senso di


affaticamento. La sensazione di non farcela più, di essere ormai sopraffatti da ogni cosa,
esauriti per il sovraccarico di responsabilità lavorative, personali o familiari. Schiacciati dalle
incombenze, ma spinti a soddisfarle a qualunque costo, pagandone le conseguenze in prima
persona. A rimetterci sarà il morale e anche il fisico, con disturbi come irritabilità, stanchezza
cronica, mancanza di concentrazione, cattiva qualità del sonno, della digestione e squilibri
vari nell’alimentazione.
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Insomma, un circolo vizioso che porterà ad essere anche meno brillanti nelle prestazioni del
quotidiano, in famiglia, così come sul lavoro. La dottoressa Anna Oliverio Ferraris,
psicologa, psicoterapeuta e professore ordinario di Psicologia dello sviluppo alla Sapienza
Università di Roma, parla di “esaurimento emotivo” come di una “sofferenza serpeggiante,
non tanto di tipo fisico, ma psicologico, che si verifica quando una persona si è sottoposta,
volente o nolente, a una serie di compiti e di impegni (lavorativi, familiari, di studio, di
impegno politico, sportivo o altro) che danno la sensazione di non riuscire a farvi fronte, di
avere esaurito le proprie risorse e la propria disponibilità psicofisica”.

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Ci si potrebbe forse fermare prima, accorgersi che stiamo dando davvero troppo, o in
maniera sbagliata e cambiare strada. I campanelli d’allarme che qualcosa zoppica, ci sono.
“Uno di questi — spiega l’esperta — può essere l’assunzione di troppi impegni e in più
direzioni. Alcune persone non sono in grado di valutare correttamente ciò che
realisticamente possono affrontare e portare a termine. In un eccesso di ottimismo si
impegnano su molti fronti contemporaneamente. Si trovano a disagio se non sono impegnate
in qualcosa. Danno l’impressione di essere in una lotta costante contro il tempo. Possono
entrare in competizione con gli altri e con se stessi senza rendersene conto. Tipico è il caso
del cosiddetto workaholic, che entra in ansia se non sta lavorando. Che teme sempre di
perdere del tempo. Un altro campanello d’allarme è sentirsi in colpa se non si è sempre
impegnati in qualcosa, se ci sono dei tempi vuoti”.

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Dunque una vera e propria “dipendenza” dagli impegni. Sembra paradossale dirlo, ma
questo è. Se non si è al lavoro su qualcosa, ci si sente inutili e fuori posto. Non è un desiderio
di apparire e mostrare le proprie capacità a qualcuno. È la necessità di fornire un perché a se
stessi.

“Le persone possono sentire il bisogno di riempire la loro vita di impegni e attività in modo
ossessivo per colmare un vuoto emotivo — chiarisce la dottoressa Ferraris. — Questo
bisogno può essere dovuto a fattori diversi da persona a persona: come un lutto, una
delusione, un insuccesso, rapporti difficili con il coniuge, i familiari, i colleghi di lavoro, la
solitudine o più semplicemente a un’abitudine consolidatasi nel tempo legata a uno stile di
vita senza riposo e senza pause e quindi stancante”.

Attenzione allora a tenersi il più possibile lontani dal rischio depressione. Giusto? “Il fulcro
centrale della depressione è proprio un senso di vuoto e di inutilità — spiega la specialista. —
Per colmare questo senso di vuoto ci si può sottoporre a delle routine che da un lato
affaticano e dall’altro non forniscono la soddisfazione auspicata. L’ozio, il riposo, il gioco, il
dolce far nulla, invece di rilassare e rinfrancare come sarebbe logico, creano ansia e sensi di
colpa”.

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Il contesto nel quale accade tutto questo, ha una sua valenza. Vediamo la famiglia ad esempio.
“Se i rapporti tra i familiari sono buoni in genere aiutano - continua Ferraris — penalizzano
quando ci si sente soli, incompresi o si è troppo diversi gli uni dagli altri per poter intendersi,
condividere interessi e gusti, progettare qualcosa insieme”.

E i rapporti sociali, il lavoro? “Ci sono variazioni notevoli in base all’età e allo stile di vita — fa
notare la specialista — Per quanto riguarda il lavoro, il mobbing, che è una forma di bullismo,
può dar luogo a uno stato di scoramento e di sofferenza che può sfociare nell’esaurimento
emotivo. Non sentirsi valorizzati, o addirittura sentirsi perseguitati sul luogo di lavoro, può
generare un abbassamento pericoloso dell’autostima. Per quanto riguarda la vita sociale, a
tutte le età è importante avere degli amici, o delle frequentazioni con cui sentirsi a proprio
agio, poter dialogare e aprirsi, ma in modo particolare lo è nell’adolescenza”.

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Cosa fare dunque per uscire da questa condizione di sofferenza? Affidarsi ai farmaci, oppure
al consiglio e alle parole di qualche terapeuta? “Si valuta caso per caso — prosegue — non
bisognerebbe mai assumere farmaci con leggerezza e senza avere consultato uno specialista,
perché non solo possono avere effetti collaterali sgradevoli, ma possono indurre
assuefazione e quindi aggravare il quadro invece di alleviarlo. Certamente il terapeuta potrà
essere di aiuto per organizzare la vita quotidiana, seguendo ritmi più lenti, consoni alla
nostre forze, senza bisogno di dimostrare niente a nessuno e, men che meno, a se stessi. Si
impara ad alternare momenti di impegno con momenti di relax, di sano ozio e di divertimento,
senza per questo sentirsi in colpa, o pressati dal bisogno ossessivo di dover fare sempre
qualcosa”.

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Anni fa si diceva: “quella persona ha un esaurimento nervoso”. Oggi è un’espressione che


nessuno specialista usa più. Ma in fondo è di questo che stiamo parlando. E alla fine, quali
possono essere i rischi per le persone incastrate in queste abitudini, spesso produttive per
chi le circonda, ma così penalizzanti per la salute personale? “Il termine esaurimento nervoso
lo si utilizzava un tempo per indicare una serie di sintomi, come la spossatezza, l’apatia,
l’assenza di motivazione, il ritiro in se stessi, la mancanza di appetito — conclude Ferraris —
condizioni psicologiche che potevano essere associate a disturbi somatici, da cui spesso si
partiva per impostare una terapia. Oggi l’accento viene posto più sulle emozioni. I rischi per
chi sperimenta questo modo di essere con gli altri e per gli altri, sono i comportamenti
ossessivi, l’intolleranza per i tempi morti, la lotta contro il tempo, l’eccesso di impegno e
infine la mancanza di riposo e di divertimento”.

https://www.salute.eu/2022/02/09/news/esaurimento_emotivo_i_rischi_per_chi_e_sempre_a_
disposizione_degli_altri-336693254/

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