anche col nome di “Il cartaginese” e messa in scena, intorno al 200 A.C., dopo la fine della
seconda guerra punica.
La commedia ha come protagonista Agorastocle, un bambino di sette anni, che viene rapito
da Cartagine e portato in Etolia. Qui, viene adottato e cresciuto da un ricco padrone e fa la
conoscenza di due sorelle, anche loro rapite da bambine e divenute serve del ruffiano Lico. Il
giovane Agorastocle si innamora quindi di Adelfasia, la maggiore delle due fanciulle, la quale
era stata però già promessa al soldato Antamenide. L’astuto servo di Agorastocle di nome
Milfione, concepisce allora un inganno per mandare in rovina Lico e permettere così al
giovane padrone di conquistare la sua amata. Il piano funziona e arriva in città il cartaginese
Annone che riconosce nelle due fanciulle le sue figlie rapite e nel giovane Agorastocle suo
nipote, figlio del defunto fratello. Nella conclusione della commedia il ruffiano si arrende e
dopo aver concesso ad Agorastocle di avere in sposa la figlia Adelfasio, Annone riesce
finalmente a riabbracciare la famiglia che aveva perduto.
Tra i personaggi principali della commedia, si distingue il già citato Agorastocle, che presenta
le caratteristiche dello stereotipo plautino dell’adulescens, reso folle dal suo amore per la
fanciulla Adelfasio e aiutato da Milfione, il servus callidus che con la sua astuzia riesce ad
ingannare il ruffiano, nemico del protagonista in quanto gli nega la mano della fanciulla
ambita. Egli è rappresentato come un uomo senza scrupoli, ma non per questo crudele, che
alla fine realizza di essere stato ingannato e accetta di scontare la sua punizione. Altri
personaggi sono poi il cartaginese Annone, che dà il titolo all’opera e si fa manifesto
dell’agnitio, uno dei temi ricorrenti nelle commedie plautine. Egli riesce, infatti, a
ricongiungersi con il protagonista che riconosce come suo nipote e con le due figlie perdute,
ritornando in patria con la famiglia che credeva perduta.
La commedia presenta caratteristiche peculiari del linguaggio plautino, aprendosi con un
prologo dove la trama della commedia è presentata dallo stesso autore, che si rivolge
direttamente allo spettatore rompendo la cosiddetta quarta parete. Ne sono un esempio
battute come, “di essere oro è oro spettatori, ma per la nostra storia faremo finta che siano
filippi” o “si seggano tranquillamente sulle scalinate sia quelli che hanno già mangiato, sia
coloro che sono rimasti a pancia vuota e che qui si rimpinzeranno di commedie”.
Plauto utilizza un linguaggio semplice e informale poiché il suo obiettivo è quello di suscitare
le risa del suo pubblico, ricorrendo anche a parole di sua invenzione come Punicast o
guggast, ottenute dall’unione del rispettivo sostantivo con il verbo latino sum.
L’unica critica che rivolgerei contro l’opera è la scarsa profondità dei personaggi, poiché non
viene ad esempio esplorato il conflitto interiore del ruffiano o del giovane Agorastocle, ma
semplicemente accennato in chiave comica. Una peculiarità del Poenulus che ho invece
molto apprezzato molto è quella di proporre allo spettatoreun finale alternativo, che
raggiunge comunque un lieto fine, ottenuto creando uno scenario ipotetico dove alcune
delle decisioni prese dai personaggi sono differenti rispetto a quelle del finale originale.
Quest’ultimo elemento in particolare insieme alla varietà di temi affrontati rende questa
commedia molto attuale e pertanto ne consiglio caldamente la lettura.