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GIUSEPPE UNGARETTI

VITA
Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori di origine
contadina, emigrati dalla provincia di Lucca. Il padre lavora come operaio addetto allo
scavo nell'impresa del canale di Suez. Siamo dunque ai margini del deserto, presso le
tende dei beduini, in una zona frequentata da persone di lingue e culture diverse. Questo
ambiente multietnico educa Ungaretti a una cultura aperta e cosmopolita. 
Nel 1890 il padre muore, da quel momento l'infanzia di Ungaretti è segnata dalla memoria
paterna. Nel 1896 entra nel collegio Don Bosco, continua gli studi all'École Suisse Jacot,
una delle migliori di Alessandria, dove buoni insegnanti lo guidano nelle prime
fondamentali letture. Nel 1912 abbandona Alessandria, con il proposito di stabilirsi a
Parigi.
In viaggio per Parigi, si ferma per qualche giorno a Roma, poi prosegue per Firenze. Nel
1914 Ungaretti torna in Italia e aderisce alla campagna interventista, arruolato volontario,
Ungaretti combatte sul fronte del Carso. In trincea, a contatto quotidiano con la morte,
scopre la realtà tragica della storia e della guerra, la necessità di una visione umana
dell'esistenza e della società. L'esperienza della guerra segna una svolta decisiva nella
vita del poeta.
Al fronte, con Ungaretti, nasce la nuova, nuda e spoglia, poesia italiana, in contrasto con
l'eloquenza celebrativa dannunziana. Nell'orrore della trincea, Ungaretti scrive versi
intensissimi. Raccolti con il titolo di Il porto sepolto, pubblicati nel 1916.
Nel 1922 rientra in Italia e si stabilisce con la moglie a Roma. Tra il 1925 e il 1928,
Ungaretti vive una crisi spirituale, negli anni seguenti si allontana dal fascismo. Nel 1931
pubblica la raccolta L'allegria e nel 1933 pubblica una raccolta di nuove liriche, dal titolo
Sentimento del tempo. 
Alla fine della guerra, accusato di collaborazione con il regime fascista, è sospeso
dall'insegnamento. Rientrato in Italia, muore a Milano il 1° giugno 1970, sepolto a Roma. 
POETICA
Fino dalla giovinezza, nell'ambiente vario, multietnico, cosmopolita di Alessandria d'Egitto,
Ungaretti rivela un temperamento sovversivo di ribelle. Del periodo egiziano restano come
temi fondamentali: il deserto, luogo temibile che annienta e distrugge, il miraggio, l'affanno
dell'esilio, e il sentimento incombente della morte, conosciuta presto per la perdita del
padre e poi tragicamente vissuta con l'esperienza della trincea.
Volontario al fronte della Grande guerra, lo scontro con la realtà del conflitto è traumatico.
La trincea, il sangue, l'orrore, lo strazio dei corpi lacerati gli spalancano gli occhi sulla follia
e sulla fragilità del genere umano e fanno piazza pulita delle euforiche esaltazioni
belliciste. Sentimenti complessi, d'istintiva fraternità, emergono dalla tragedia e trovano
modo di esprimersi in un'essenzialità taciturna e dolente. Sono le poche, rotte parole
distillate sui foglietti sgualciti che formano Il porto sepolto.
Al cospetto del dramma personale e storico della guerra, la parola poetica si asciuga e
acquista l'inedita responsabilità etica di esprimere, in modo scabro e pulito, essenziali
valori umani, insieme a un dolente e indomito amore per la vita, nella consapevolezza di
una comune fragilità. 
La parola poetica forma la drammatica brevità, l'efficace essenzialità, l'intensa
concentrazione che caratterizzano la prima fase della poesia ungarettiana, la raccolta
“L'allegria”, dove sono confluiti “Il porto sepolto” e “Allegria di naufragi”. Fondamentale
novità:
 La scoperta dell'essenzialità della singola parola, isolata e valorizzata nella
pienezza del significato, 
 Parola è intercalata a frequenti pause di silenzio, 
 La parola è amplificata dagli spazi bianchi nella pagina
 Viene disgregato il verso tradizionale, con la creazione di versicoli, ossia di versi
che possono coincidere con una sola parola brevissima
 La brevità assoluta della composizione
 L’utilizzo dell'analogia, ossia dell'accostamento rapido, sintetico, ellittico di immagini
appartenenti a realtà dissimili e lontane, che conferisce al linguaggio poetico
carattere suggestivo, irrazionale, magico
La seconda fase: dal primo dopoguerra l'autore scopre la grandezza e il valore della
tradizione nazionale. Questa fase coincide con le poesie di “Sentimento del tempo” (1933):
 La percezione dello scorrere del tempo, dei secoli e delle civiltà
 La valorizzazione degli aspetti mitici del paesaggio
 L'ispirazione religiosa
 La sensibilità di gusto barocco
La terza fase si identifica con la terza raccolta di liriche, “Il dolore”, apparsa a Milano nel
1947. Dà voce allo sconforto privato del poeta, insieme allo strazio collettivo della
Seconda guerra mondiale. In questa raccolta, Ungaretti ritorna a un impianto diaristico,
forme espressive quotidiane e monologanti, riferite al vuoto d'una tragica condizione
comune, convivono con strutture più elaborate e classicistiche.
La quarta fase comprende i volumi pubblicati nel decennio 1950-60. 
Fu L'allegria con la sua straordinaria carica dirompente a introdurre nel panorama italiano
temi esistenziali e novità tecniche propri della grande poesia contemporanea europea. Il
procedimento della fulmineità analogica, la ricerca dell'assolutezza della singola parola
scavata in profondo, hanno inaugurato una linea di lirica pura, soggettiva, cifrata, alogica,
che ha profondamente segnato la cultura letteraria novecentesca. 
ALLEGRIA
L'allegria venne pubblicato nel 1931, con testi composti dal 1914 al 1919. Include le due
precedenti raccolte ”Il porto sepolto” e “Allegria di naufragi”. La seconda edizione è del
1936 la terza del 1942. 
L'allegria si suddivide in 5 sezioni. Inizia con la sezione Ultime, con testi scritti a Milano tra
il 1914 e il 1915, che presenta quadri di vita cittadina uniti a ricordi del paesaggio africano,
la sezione successiva, ”Il porto sepolto”, è la cronaca d'un anno di guerra sulla linea del
Carso. Segue la sezione Naufragi, ancora sullo sfondo della guerra con la morte vicina, la
sezione quarta, Girovago, risale al 1918: a guerra finita, rimane nel poeta il bilancio
fallimentare della propria condizione d'uomo senza patria e senza radici. L'ultima sezione,
che unisce versi e prose, reca il titolo Prime: sono le «prime» poesie che preludono alla
riscoperta del «tempo» e del passato da cui sta per nascere il Sentimento del tempo.
Dunque L'allegria si fonda su una struttura diaristica, come diario poetico che si sviluppa
nel corso di sei anni, scanditi da eventi non più dimenticabili.
Il libro è segnato dall'esperienza della Grande guerra, temi dell'opera sono:
 l'angoscia della desolazione e della paura dinanzi al fango delle trincee e alla
tragedia della morte
 il senso della fragilità patita dall'«uomo di pena» alla ricerca delle proprie radici
 il desiderio di fratellanza e di comunione con gli altri
 il sogno assillante della patria lontana, ai margini del deserto, paese di sole e di
spazi incontaminati.
Si possono cogliere rapidi frammenti, isolati barlumi d'una nuova realtà esistenziale,
affidandosi al valore evocativo della parola poetica. 
Nasce la nuova tecnica della folgorazione lirica: i metri consueti sono aboliti, la sintassi è
disarticolata, la punteggiatura assente (come richiesto dal Futurismo) e le parole
emergono a fatica nella pagina, tra pause di silenzio e spazi bianchi, scandite nella loro
ritrovata purezza di significato. Pare che, dopo l'eloquenza della grande tradizione (tra
Carducci e d'Annunzio), il poeta si sia imposto il silenzio, l'azzeramento dell'espressione, e
impari ora di nuovo a parlare, a scandire parole nuove, sillaba per sillaba. La poesia
riparte da zero, perché ha scoperto il valore della condizione umana finora inespressa.
Nascono versi brevissimi, formati anche da poche sillabe. Abbonda l'impiego delle
analogie, cioè delle associazioni imprevedibili, degli accostamenti fulminei d'immagini
diverse e tra loro, a rigore di logica, distanti. Ne deriva una poesia pura, allusiva, magica,
irrazionale.
 Il porto sepolto p.984
Edita nel 1916 a Udine, l’autore ha ricordato che tra il 1904 e il 1905, due ingegneri
francesi, i fratelli Jean e Henri Thuile, suoi amici, gli avevano parlato d'un antichissimo
porto di Alessandria, ignorato e dimenticato, sepolto dalla sabbia e sommerso dall'acqua,
custodito in fondo al mare. Il titolo deriva da questo leggendario porto sepolto, che per il
poeta significa la sostanza segreta della vita, la chiave che dà senso all'esistenza e che
trova celata negli strati più profondi dell'animo umano.
L'immagine del «porto sepolto», rinvia al lavoro di scavo operato dal poeta negli abissi
della coscienza individuale e collettiva, da cui emergono barlumi di verità.
L'immersione del poeta in quel buio d'acqua e di sabbia che s'intravede nel racconto
leggendario relativo al mitico «porto sepolto», domina la prima strofa, come viaggio
compiuto contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Dalle profondità individuali e
collettive che ha scandagliato, il poeta riemerge a fatica e «disperde i suoi canti», come
non se ne curasse, mettendoli però a disposizione di tutti.
Nella seconda strofa si passa alla prima persona del poeta (all'io di chi scrive), che riflette
su ciò che rimane. Come i granelli che restano fra le dita di chi risale in superficie avendo
cercato di raccogliere un pugno di sabbia dal fondo del mare, ciò che resta al poeta è un
frammento di verità, forse un nulla.
Da un lato, l'idea del poeta che scende negli abissi e ritorna alla luce con i suoi canti
richiama alla memoria il mito di Orfeo (scende nell’ade per liberare la moglie ma si
disperde), cantore mitico, capace di incantare persino le fiere e le creature infere con il
suono della sua cetra. Dall'altro, la Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo che scriveva i
propri vaticini su foglie che poi disperdeva al vento, rendendo indecifrabili i responsi. In
entrambi i casi, il rimando è a un'idea altissima e sacra della poesia, depositaria di verità:
nel nulla rimasto al poeta, infatti, è contenuto un inesauribile segreto.
 Veglia p.986
La lirica risale all'antivigilia di Natale, e il poeta si trova al fronte, in una notte interminabile,
vicino al cadavere d'un compagno. Importante la polivalenza del titolo, che indica sia la
«veglia» della giornata prefestiva, sia la «veglia» funebre, nell'attesa dell'alba. 2 strofe di
versi liberi (13 e 3 versi) + spazio bianco che indica il silenzio.
Il corpo massacrato (sradicamento dell’umanità) di un compagno ucciso (condannato
all’anonimato) in combattimento suscita nel poeta un'appassionata protesta contro la
ferocia assurda della guerra e, in un sottinteso ossimoro, ispira un appassionato
attaccamento alla vita: non alla propria vita di individuo, ma alla vita che è un bene
collettivo, un fondamentale diritto d'ogni creatura.
Il tema è quello della guerra, con spaventosa crudezza. Si distinguono (separate dal
silenzio dello spazio bianco) due strofe, antitetiche anche per lunghezza. La prima è
dominata dall'aspra descrizione espressionistica del compagno, è illuminata in controcanto
da un plenilunio raggelato. La seconda, breve e concisa, esprime la resistenza del poeta,
la sua energia vitale, la sua capacità di chiedere e donare «amore», come salvezza di
fronte alla morte.
Ogni movimento è assente da questa istantanea, congelata dall'uso ripetuto e insistito dei
participi passati, che pongono il lettore di fronte al fatto in sé, privo di dinamica e, quasi, di
storia. Tutto è già accaduto, e sembra ora disumanizzato da una feroce necessità, che
non distingue tra uomini e cose, soldati e paesaggio: il poeta è «buttato»; il compagno
«massacrato»; la bocca «digrignata» e «volta al plenilunio», in una figurazione terrificante
che trasforma il povero cadavere in una deforme creatura, le cui mani, congestionate in un
ultimo spasimo, sembrano pervadere la scena silenziosa. A tale atrocità, il poeta risponde
con la forza della poesia: la scrittura continua a essere arma di difesa e di salvezza,
energia interiore, testimonianza di attaccamento alla vita.
La guerra è cruda e cieca distruzione, disumana ferocia, spoglia di ogni preteso eroismo.
È presente anche quando non viene nominata.

Soldati p.1006
La lirica, che risale al periodo del fronte francese, è stata composta, sotto un ossessivo
bombardamento nemico, nel bosco di Courton squassato dalle bombe.
Parla un soldato, che assimila la propria sorte a quella delle foglie in autunno, quando
sono sul punto di cadere dagli alberi (similitudine).
Si ha in apertura un perentorio impersonale collettivo al presente («Si sta») che, sembra
rinviare a un'idea di stabilità e di radicamento. Al «Si sta» dell'inizio si oppone in chiusura,
per antitesi, l'instabilità delle «foglie», suo ciclo naturale, con l'imminente caduta. 
 I fiumi
Una sorta di romanzo autobiografico che il poeta ha formulato passando in rassegna i
quattro fiumi a cui è legata la sua storia personale.
In un caldo giorno d'agosto, nel consueto scenario della guerra, ma in un momento di
pausa e di riposo, il poeta s'immerge nelle acque del fiume Isonzo che, lo purificano fino a
farlo sentire in armonia con la natura. Sospeso in questa dimensione di felicità, ripensa ai
fiumi che rappresentano differenti stagioni e luoghi della sua esistenza (il Serchio, la terra
delle origini familiari, nei pressi di Lucca; il Nilo, la città natale, in Egitto; la Senna, gli anni
della formazione culturale a Parigi). Ognuno di questi fiumi evoca mondi vari e diversi. Con
la memoria affiora la nostalgia, ora che al fronte sul Carso, in guerra, la vita appare al
poeta come «una corolla / di tenebre».
Mentre il soldato Ungaretti si riposa nelle acque dell'Isonzo, il ricordo corre al Serchio (le
radici prenatali, gli antenati e i genitori lucchesi), al Nilo (la nascita e la giovinezza), quindi
alla Senna (la maturazione intellettuale). Ma è nell'Isonzo che tutti confluiscono: il fiume
rappresenta la vicenda della guerra, in cui il poeta si è riconosciuto minuscola frazione del
creato, portando con sé la nostalgia degli anni passati, ora che le sue possibilità di vita
risultano soffocate, come un fiore senza luce.
L'inizio della poesia ha un’atmosfera pacifica e sospesa. Il solo drammatico accenno alla
guerra è dato dall'albero mutilato, ma l'immagine cede subito il passo all'altra, desolata ma
non tragica, del circo vuoto, senza pubblico, evocata per analogia dalla forma della dolina
carsica, e alla quale rimanda più oltre la similitudine dell'acrobata che si allontana
camminando sulle acque. Il teatro di guerra diventa teatro in senso stretto, disposto di
fronte allo spettacolo maestoso del cielo nuvoloso illuminato dalla luna.
È un notturno ungarettiano, occasione, come altri già incontrati, di riflessione da parte del
poeta sulla vicenda propria e altrui. Il pensiero scaturisce naturale dal ricordo di
un'esperienza diurna: il bagno nell'Isonzo, divenuto lavacro sacro, è una sorta di battesimo
laico. Il poeta riconosce sé stesso, nel senso più proprio del termine: si conosce di nuovo,
dopo essersi già conosciuto nella Senna. Autocoscienza e rinascita, quindi: rimanda alla
sfera del sacro. 
Nell'acqua dell'Isonzo il poeta rintraccia le acque degli altri fiumi che hanno formato la sua
identità. La ripetizione anaforica di «questo» rende evidente, quasi concretamente
rappresentato dal gesto dimostrativo della mano, il riconoscimento delle diverse
esperienze vissute. Non c'è separazione o distanza, non ci sono momenti che vengono
prima e momenti che vengono dopo: tutto è contemporaneamente presente nel momento
del canto e tutto concorre a creare un'unità circolare che ha come esito l'identità del
poeta. 
Il poeta ripercorre le tappe della propria vita sulle note struggenti di una nostalgia che è
presente anch'essa come parte ineliminabile dell'esperienza. 
Da ultimo, il canto ritorna al notturno da cui è partito, con un'immagine enigmatica ed
emblematica assieme: il fiore, solitamente simbolo positivo di vita, qui si carica
d'inquietudine. La prima e l’ultima strofa sono le più lunghe come se fossero una cornice
per lo spettacolo del componimento.
Viene usata la tecnica della logica simmetrica dell’inconsciodimensione razionale e
dell’inconscio. Raggiunge il suo passato e completa la sua identità proiettandosi nel futuro.
San Martino del Carso p.998
San Martino del Carso è un piccolo paese, presso Gorizia, distrutto durante la Grande
guerra, nel corso delle battaglie per la conquista del monte San Michele. 
Osservando le case del paese distrutte dalla furia della guerra, il poeta prende atto con
dolore che, se di esse rimane soltanto qualche isolato brandello di muro, di tanti amici non
resta alcuna traccia. Ma nel cuore egli conserva il loro ricordo. Perciò più straziato non è il
paese esterno, ma il suo cuore.
Di nuovo una poesia di guerra, suddivisa in una prima parte di occasione oggettiva,
descrittiva, e in una seconda parte interiormente riflessiva, saldate insieme dal rapporto
analogico che si stabilisce tra «case» e «cuore». 
Ci sono due quartine e due distici. Le prime due strofe, dall’andamento franto, presentano
richiami interni molto forti, nella ripetizione anaforica di parole e intere frasi. La
desolazione dello spettacolo bellico risuona nelle pause che spezzano il ritmo del testo.
Ancora più drammatici risultano i due distici finali, dove ritornano il rilancio di un medesimo
termine («cuore») e il ritmo spezzato. Ma qui non si parla di aspetti fisico, bensì di un
«paese» interiore, disseminato di tragiche croci: si parla del cuore (non solo del poeta, ma
di tutti), dove lo strazio per la distruzione provocata dalla guerra scava ferite più profonde,
non dimedicabili.
La desolazione di un paese distrutto (San Martino del Carso) suscita nel poeta lo
spettacolo di una distruzione ancora più radicale, quella delle persone che gli erano care,
con cui intratteneva un rapporto di interiore e umana corrispondenza. Delle case resta
«qualche / brandello di muro», ma di tante persone uccise non resta più alcuna traccia.
Solo nel cuore dei superstiti, come in quello del poeta, sopravvive straziante il ricordo dei
morti. Il cuore diventa così il luogo della memoria ossessiva e tormentata.
Le due strofe con due versi creano insieme un endecasillabo. Ci sono inoltre due analogie
del paesaggio all’esterno e quello interno.
Natale p.1002
Il fante Ungaretti trascorre il Natale del 1916 in licenza, a Napoli. Ma è un uomo affranto
dalla stanchezza, esaurito e privo di vitalità a causa della guerra. Il poeta non ha voglia di
uscire in mezzo alla gente. Per la tanta stanchezza che si sente addosso, desidera essere
lasciato in pace, dimenticato in un angolo, in compagnia delle volute di fumo, davanti al
focolare acceso.
Il fronte è lontano, ma resta nel poeta il peso oppressivo della guerra. Di qui il rifiuto di
uscire per le vie della città, il rifiuto di vivere la vita della cosiddetta normalità, per il
desiderio di essere dimenticato, per il desiderio d'un colloquio con sé stesso. Un Natale,
dunque, senza speranza di rigenerazione e senza luci, vissuto con la mente occupata,
paralizzata dal trauma della guerra.
I versicoli centrali, dove sono isolate le parole «cosa» (v. 10), «posata» (v.11), «angolo»
(v.13), «dimenticata» (v.14). Il desiderio di quiete e di raccoglimento, dopo la furia della
guerra, arriva nel poeta fino all'azzeramento di sé come persona, fino alla perdita e
cancellazione della propria affettività, fino a volersi sentire una «cosa» inanimata.
L'atrocità del conflitto in prima linea è terribile da sopportare: di qui il bisogno di venire
privato e spogliato della propria sensibilità umana.
Ungaretti si trova a Napoli, ospite in casa di amici, i quali, per distrarlo, gli hanno proposto
di «tuffarsi» nella movimentata frenesia della città in festa. Ma il rifiuto del poeta mostra
che in lui è vivo il bisogno di intimità familiare e di confidenza affettiva. Sintomatici i vv. 15-
18: letti di seguito formano un endecasillabo, che invece è stato spezzato in quattro
versicoli, per dare efficace risalto alle parole. Simmetria fonica nell’allitterazione della d e f.
 Mattina p.1003
Ungaretti offre qui un memorabile esempio di condensazione poetica, da Santa Maria La
Longa, località di riposo per i soldati, nelle retrovie del fronte. Scritta dopo la sconfitta di
Caporetto, quindi contesto di morte, e poi lo slancio verso la vita. La luminosità d'un
sereno mattino d'inverno suscita nel poeta un moto di commossa e fiduciosa esultanza.
Due versi, un ternario e un ternario piano, non ci sono segni di punteggiatura e si stagliano
queste parole nella pagina biancac’è silenzio. La parola è evocativa (analogia tra luce e
immensità), verso libero
Questa poesia acquista significato soltanto se letto come frammento di un insieme,
segmento di una totalità. Nella notte della guerra, Mattina introduce, come un lampo reso
fulmineo dalle due elisioni, un soprassalto di vitalità, la rivincita disperata dell'io che non si
arrende e si scopre in armonia con l'universo.
L’io è al centro del mondo, l'io superstite e vittorioso contro la morte che incombe, l'io che
ribadisce la sua voglia di vivere, la sua conquista di libertà nelle due dimensioni
fondamentali della luce («illumino») e dello spazio («immenso»).
L'accostamento sinestetico tra percezione visiva e percezione spaziale dilata i confini
dell'orizzonte e crea una dimensione senza confini. Due dimensioni: spazio e tempo +
ripercussione sull’io lirico.
Si tratta di un attimo di grandezza vitale, di estrema concretezza. La pagina bianca, il
silenzio viene da Mallarmé ed esprime il mistero dell’indicibile il non detto. Viene ammessa
l’espressione della parola all’interno del silenzio, estrema concentrazione che si disperde
nella pagina.
SENTIMENTO DEL TEMPO
Terminata la guerra, fin dal 1919 inizia un periodo nuovo nella sua poetica e nella sua
visione del mondo: dall'attenzione dominante rivolta al presente si passa a un nuovo e
diverso «sentimento del tempo», non più caratterizzato dall'attualità, ma dalla durata
dell'esistere nella continuità del tempo.
Questa raccolta comprende i testi composti tra il 1919 e il 1932, è in prevalenza legato al
paesaggio di Roma e della campagna romana. La prima edizione esce nel 1933, la
seconda nel 1936, e la terza nel 1943. Importante è il ricorso sistematico alla mitologia,
per rappresentare i suoi stati d'animo. Tema nuovo del libro è anche l'ispirazione religiosa,
che si accompagna alla riflessione sul fluire del tempo nel misterioso rapporto tra
condizione terrena della vita e dimensione dell'eternità.
La tecnica compositiva: 
 Non più sintetica e fulminea, ma quadri più riposati e pittorici, con sintassi più
costruita e più complessa. 
 L'uso della punteggiatura (prima abolita)
 Recupero dei versi tradizionali (endecasillabo, settenario e novenario) 
 L'abbandono della parola-verso o versicolo
 L'uso di un lessico elevato, nobile e prezioso, che sostituisce la scelta lessicale
essenziale, fulminea
 Una sintassi complessa e articolata
 Le analogie si fanno più allusive, ammiccanti, preziose, a volte oscure.

L’isola p.1010
Del 1925, la lirica presenta: in un incantato paesaggio di sogno, un imprecisato visitatore
s'inoltra in una selva e vede una ninfa, abbracciata al tronco d'un olmo. Poi in un prato
s'imbatte in giovani fanciulle, mentre i raggi del sole, tra i rami, diffondono un pulviscolo
luminoso. Un gregge pascola e le mani del pastore sembrano acquistare una cristallina
trasparenza. 
Nella prima sequenza, la prima strofa, l'ignoto visitatore scende sulla riva e s'inoltra nella
profondità d'una selva dall'aspetto incantato: improvvisamente rimane stupefatto per i
suoni arcani, per l'intensa calura, per la vista d'immagini favolose, di figure enigmatiche e
seducenti che lo attirano. Nella seconda sequenza, la seconda strofa, il visitatore giunge ai
margini d'un prato fantastico, nel quale si muovono oggetti e figure surreali, in un clima di
bellezza arcadica.
Nella magica indeterminatezza di un paesaggio onirico, che sembra tratto da un quadro
neoclassico, spiccano gli elementi costitutivi di questa nuova stagione poetica: la
vaghezza dell'io lirico, la metamorfosi della natura nella calura estiva, le suggestioni
mitologiche, le preziose analogie, la ricercatezza lessicale.
L'isola è eloquente metafora di questo sogno. Fino dal titolo, la lirica allude a un luogo
remoto, appartato, solitario. Una suggestione paesistica si trasforma in avventura mitica, in
viaggio fantastico entro uno spazio irreale, magico, idillico.
Il poeta parla di sé in terza persona, oggettivandosi in un paesaggio muto, senza volto e
senza nome. Il protagonista del viaggio, che approda all'«isola» misteriosa, rimane
sconosciuto e respira, nell'immobilità d'un mondo fuori della storia, un'aria luminosa di
quiete e di purezza.
Non mancano peró tracce di un'inquietudine nascosta che preludono a l'incrinatura
dell'idillio, alla sua natura instabile e precaria.
Vengono utilizzati verbi al passato per creare un'atmosfera di lontananza e di perennità
mitica. Viene utilizzato un lessico elevato e raro, la sintassi è elaborata e ampia, viene
utilizzata l’allitterazione, all'anafora, l’iperbato tessitura fonico-ritmica.

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