Sei sulla pagina 1di 115

4070

18 gen/1 feb 2020


Quindicinale
Anno 171

Il «maestro» Miguel Ángel Fiorito


Intelligenza artificiale e giustizia
sociale. Una sfida per la Chiesa
Gesuiti e poesia
Il volto nascosto del Paese Italia
Passi avanti sulla protezione dei
minori
Lezioni di dialogo islamo-cristiano
Augusto del Noce e il cattolicesimo
clericale
«I due Papi», un film di F. Meirelles
Gli «Evangelisti» di N. Goncharova
RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

Direzione, amministrazione e gestione della Rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850
pubblicità:
via di Porta Pinciana, 1 - 00187 Roma. Direttore responsabile:
ANTONIO SPADARO S.I.
Telefoni: (06) 69.79.201; fax (06) 69.79.20.22;
abbonamenti (06) 69.79.20.50. 24 quaderni in 4 volumi all’anno.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione Collegio degli scrittori de «La Civiltà Cattolica»:
dei testi, anche parziale, con qualsiasi mezzo, compresa Antonio Spadaro S.I. (direttore),
stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione Giancarlo Pani S.I. (vicedirettore),
elettronica, se non espressamente autorizzata per Domenico Ronchitelli S.I. (caporedattore),
iscritto. Giovanni Cucci S.I., Diego Fares S.I.,
Nel rispetto del «Codice in materia di protezione dei Francesco Occhetta S.I., Giovanni Sale S.I.,
dati personali», La Civiltà Cattolica garantisce che Claudio Zonta S.I.
i dati personali relativi agli abbonati sono custoditi
nel proprio archivio elettronico con le opportune Corrispondenti:
misure di sicurezza e sono trattati conformemente alla Drew Christiansen S.I. (Usa), Fernando de la Iglesia
normativa vigente. Viguiristi S.I. (Spagna), Joseph You Guo Jiang S.I.
(Repubblica popolare cinese), Friedhelm Mennekes S.I.
(Germania), David Neuhaus S.I. (Israele),
Registrata presso il Tribunale di Roma con il n. 394/48 Vladimir Pachkov S.I. (Federazione Russa),
(14 settembre 1948) Arturo Peraza S.I. (Venezuela), Marc Rastoin S.I.
Finito di stampare il 14 gennaio 2020 (Francia), Jean-Pierre Sonnet (Belgio),
Varigrafica Alto Lazio srl Paul Soukup S.I. (Usa), Marcel Uwineza S.I.
via Cassia km 36,300 - Zona Ind. Settevene (Rwanda), Andrea Vicini S.I. (Usa)
01036 Nepi (Viterbo)
Spedito il 18 gennaio 2020 Scrittori emeriti:
Federico Lombardi S.I., Giandomenico Mucci S.I.,
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla GianPaolo Salvini S.I.
L. 7 agosto 1990, n. 250.
Segretario di direzione: Simone Sereni

Unione Stampa Periodica Italiana - ISSN 0009-8167 Progetto grafico: Turi Distefano

B E AT U S P OPU LU S , C U I U S D O M I N U S DE U S E I U S
SOMMARIO 4070

18 gen/1 feb 2020


Quindicinale
Anno 171

105 MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO


Papa Francesco

121 INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE


Una sfida per la Chiesa
Antonio Spadaro S.I. - Paul Twomey

132 GESUITI E POESIA


L’inquietudine della parola creativa in lingua spagnola
Joaquín Ciervide S.I.

146 IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA


Francesco Occhetta S.I.

155 PROTEZIONE DEI MINORI


I passi avanti del Papa dopo l’Incontro di febbraio 2019
Federico Lombardi S.I.

167 LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO


Damian Howard S.I.

181 AUGUSTO DEL NOCE E IL CATTOLICESIMO CLERICALE


Giandomenico Mucci S.I.

186 «I DUE PAPI», UN FILM DI FERNANDO MEIRELLES


Marc Rastoin S.I.

190 UN’ICONA PER UN SECOLO


Gli «Evangelisti» di Natalia Goncharova
Teodor Lucian Lechintan S.I.

197 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA


NELLA COLLANA «ACCÈNTI» LE PAGINE DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
CHE AIUTANO A CAPIRE IL PRESENTE

11

FRATELLANZA

Con la sponsorizzazione
dell'Higher Committee of Human Fraternity

«NON C’È ALTERNATIVA: O COSTRUIREMO INSIEME


L’AVVENIRE O NON CI SARÀ FUTURO»
(PAPA FRANCESCO)

Il volume è disponibile in PDF su www.laciviltacattolica.it/accenti


e in formato eBOOK (ePub e Kindle) su tutte le librerie online.
SOMMARIO 4070

ARTICOLI
105 MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO
Papa Francesco

Nel pomeriggio di venerdì 13 dicembre 2019 il Santo Padre si è recato presso la Curia Gene-
ralizia della Compagnia di Gesù per la presentazione dell’opera in cinque volumi dedicata agli
scritti del padre Miguel Ángel Fiorito (1916-2005), gesuita e padre spirituale di Jorge Mario
Bergoglio. L’opera è stata curata da José Luis Narvaja S.I. e pubblicata da La Civiltà Cattolica.
Riportiamo il discorso del Papa, con alcune aggiunte a braccio, che egli ha pronunciato nel
corso della presentazione.

121 INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE


Una sfida per la Chiesa
Antonio Spadaro S.I. - Paul Twomey

Nell’era dell’intelligenza artificiale (IA) l’esperienza umana sta cambiando profondamente. La


proporzione in cui grandi benefìci e rischi insidiosi si presenteranno dipenderà dai pionieri di
tale tecnologia e, in particolare, dalla loro visione del bene comune. L’articolo illustra come l’IA
sia una sfida e un’opportunità per la Chiesa, ponendo una questione di giustizia sociale. I poveri
del XXI secolo, infatti, sono coloro che, in un mondo basato sui dati e sulle informazioni, sono
ignoranti, ingenui e sfruttati. La dottrina sociale della Chiesa è necessaria nei dibattiti politici
in corso, destinati a definire e ad attuare i princìpi etici per l’IA. A firmare l’articolo, col nostro
direttore, è Paul Twomey, uno dei fondatori della Internet Corporation for Assigned Names and
Numbers (Icann).

132 GESUITI E POESIA


L’inquietudine della parola creativa in lingua spagnola
Joaquín Ciervide S.I.

La Compagnia di Gesù venne fondata in Spagna ai tempi della Riforma cattolica. Due temi
doveva allora evitare il buon cattolico: quello «erotico» e quello «eretico». E con essi la poesia
ha grandi vincoli artistici: con il primo per la lirica amorosa, con il secondo per quella misti-
ca. L’Autore si propone di compiere un viaggio, accompagnato da uno sguardo autoironico,
attraverso il rapporto controverso tra i gesuiti e la creatività poetica in lingua spagnola. Non
mancano le sorprese in questo viaggio che, toccando la Spagna e l’America latina, rivela il
senso di una vocazione alla parola. P. Ciervide vive e opera nel Collegio di Palma de Mallorca,
ma ha operato a lungo nelle scuole della rete Fe y Alegrìa.
SOMMARIO 4070

FOCUS
146 IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA
Francesco Occhetta S.I.

Alla fine di ogni anno vengono pubblicati alcuni Rapporti nazionali che aiutano a trovare
chiavi di lettura per interpretare la realtà. Quelli di quest’anno sono accomunati da un velo di
pessimismo e di paura. Per gestire la denatalità, la longevità, la crisi della famiglia e l’ondata
di emigrazione italiana verso altri Paesi occorre che a livello sociale si riaffermi un grande
«sì» alla vita per custodire le politiche sociali dell’Italia e per ripensare gli stili di vita basati sul
consumo e sulla solitudine.

VITA DELLA CHIESA


155 PROTEZIONE DEI MINORI
I passi avanti del Papa dopo l’Incontro di febbraio 2019
Federico Lombardi S.I.

Nei 10 mesi successivi all’Incontro «sulla protezione dei minori nella Chiesa» (21-24 feb-
braio 2019), il Papa è intervenuto tre volte per pubblicare e promulgare nuovi importanti
documenti normativi nel campo della protezione dei minori e «delle persone vulnerabili»
ad essi equiparate. Alla fine di marzo l’ambito interessato è stato quello dello Stato della
Città del Vaticano e della Curia romana; nel mese di maggio una nuova legge valida per
tutta la Chiesa ha sancito l’obbligo di denuncia per tutti i chierici e i religiosi e ha definito
la procedura per la prima fase delle indagini nei confronti di abusi o di loro copertura da
parte di autorità ecclesiastiche superiori; infine, a dicembre, è stato rimosso il «segreto
pontificio» per l’ambito degli abusi sessuali. Inoltre, il Papa ha pronunciato un ampio di-
scorso sulla protezione dei minori «nel mondo digitale».

167 LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO


Damian Howard S.I.

Un documento innovativo, firmato ad Abu Dhabi un anno fa, il 4 febbraio 2019, da papa
Francesco e dal Grande imam di al-Azhar, pone un forte accento sulla pratica del dialogo
tra cristiani e musulmani. In questo articolo l’Autore esplora alcune lezioni apprese da tale
dialogo «sul campo». Oltre a richiedere un ascolto attivo, il dialogo fiorisce quando gli
interlocutori sono chiari sul fine del loro discorrere e onesti riguardo alla diversità delle in-
terpretazioni all’interno della vasta tradizione che rappresentano. P. Howard è il provinciale
dei gesuiti inglesi.
SOMMARIO 4070

NOTE E COMMENTI
181 AUGUSTO DEL NOCE E IL CATTOLICESIMO CLERICALE
Giandomenico Mucci S.I.

La Nota ripropone la distinzione di Del Noce tra il cattolicesimo clericale, chiuso alla storia
corrente e al vero concetto della libertà, e il cattolicesimo autentico, aperto a questa storia e
in essa calato per fare opera credibile di evangelizzazione. Guardando dentro il composito
panorama della modernità, Del Noce vi scorgeva i segni del pensiero religioso, e da questo
sguardo derivano sia l’esortazione alla Chiesa a calarsi nel vivo della storia, sia la polemica
contro il cattolicesimo clericale.

ARTE MUSICA SPETTACOLO


186 «I DUE PAPI», UN FILM DI FERNANDO MEIRELLES
Marc Rastoin S.I.

I due papi è una fiction che ha come protagonisti gli ultimi due papi della Chiesa cattolica. Il
regista ha voluto raccontare la storia di due uomini di fede di fronte a una decisione difficile:
il cardinale Bergoglio pensa di ritirarsi e diventare di nuovo parroco; Benedetto XVI pensa
di dimettersi dalla sua carica di vescovo di Roma. Nel film vengono presentati tre momenti
chiave della vita di Bergoglio: quello del suo «sì» alla vocazione; quello del giovane provin-
ciale dei gesuiti argentini di fronte alla dittatura; e infine quello dell’arcivescovo desideroso di
unirsi sempre al popolo, gli umili del Signore, el pueblo fiel de Dios.

190 UN’ICONA PER UN SECOLO


Gli «Evangelisti» di Natalia Goncharova
Teodor Lucian Lechintan S.I.

Nel 1912 Natalia Goncharova, «l’artista più ricca di colori», sconcerta il mondo delle
prime avanguardie russe con le tele degli Evangelisti. L’originalità degli accostamenti
cromatici e l’impiego di un principio nuovo di sculturalità si associano qui a una profon-
da interiorizzazione del tema, quella che fa degli evangelisti i portatori di un messaggio
profetico all’alba delle guerre e delle rivoluzioni. La serie di esperimenti pittorici che
hanno condotto l’artista a questa maturazione del proprio linguaggio pittorico e le nuo-
ve strade aperte in seguito sono il nucleo dell’articolo, che aspira a restituire il polittico
alla famiglia delle grandi icone russe. L’Autore è dottorando presso il Pontificio Istituto
Orientale di Roma.
SOMMARIO 4070

197 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Aliaga Asensio P. 204 - Bernardo di Chiaravalle 198 - Cairo G. 200 - Dal Corso M. 197 -
Dottori R. 201 - Fernández Serrano A. A. 204 - Gadamer H.-G. 201 - Galli della Loggia E.
202 - Mura G. 198 - Rojas Gálvez I. 204 - Siclari D. 205 - Teologia dell’ospitalità 197
CARTACEO DIGITALE
MIGUEL ÁNGEL FIORITO,
MAESTRO DI DIALOGO

Papa Francesco

Nel pomeriggio di venerdì 13 dicembre 2019 il Santo Padre si è


recato presso la Curia Generalizia della Compagnia di Gesù per la
presentazione dell’opera in cinque volumi dedicata agli scritti del padre
Miguel Ángel Fiorito (1916-2005), gesuita e padre spirituale di Jorge
105
Mario Bergoglio. L’opera è stata curata da José Luis Narvaja S.I. e pub-
blicata da «La Civiltà Cattolica». Riportiamo di seguito il discorso del
Papa, con alcune aggiunte a braccio, che egli ha pronunciato nel corso
della presentazione.

Quando padre Spadaro mi ha dato i cinque volumi con gli


Escritos del Maestro Fiorito – così lo chiamavamo, familiarmente,
noi gesuiti argentini e uruguayani –, mi ha parlato di una possibile
presentazione. Infatti, li ha pubblicati La Civiltà Cattolica a cura di
padre José Luis Narvaja1. Allora a me è venuto il desiderio di esserci
di persona. Gliel’ho detto subito: «E perché non far fare la presenta-
zione a uno dei suoi discepoli?». Lui mi ha chiesto: «Chi, per esem-
pio?». Allora gli ho risposto: «Io!». Ed eccomi qui.
Nell’introduzione José Luis approfondisce la figura di padre Fio-
rito come «maestro del dialogo». Quel titolo mi è piaciuto perché
descrive bene il Maestro mettendo in rilievo un paradosso: Fiorito in-
fatti parlava poco, ma aveva una grande capacità di ascolto, un ascolto
capace di discernimento, che è una delle colonne del dialogo.
Rinvio quindi a quello studio preliminare, che tratta tutti gli
aspetti del dialogo come padre Fiorito lo praticava e lo insegnava: il
dialogo tra maestro e discepoli nello spirito comune della Scuola, il

1. Gli Escritos possono essere acquistati e scaricati all’indirizzo www.lacivil-


tacattolica.it/fiorito

© La Civiltà Cattolica 2020 I 105-120 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


DOCUMENTO

dialogo con gli autori e con i testi, il dialogo con la storia e il dia-
logo con Dio. Esporrò due punti che mi hanno aiutato a struttura-
re questa presentazione, allargando alcune riflessioni che faccio nel
Prologo contenuto nel primo volume.
Parto da una espressione che Fiorito impiega nel suo articolo dal
titolo «L’Accademia di Platone come Scuola ideale». L’espressione è
Magister dixerit, «il Maestro direbbe»2. Se sorge una difficoltà che
non è specificamente prevista da quello che «ha detto il Maestro», il
buon discepolo, sentendosi responsabile del valore della dottrina che
ha ricevuto e volendo difenderla, se la cava affermando: «Il Maestro
direbbe»3. Mentre rileggevo vari articoli, pensavo che cosa direbbe
il Maestro in una circostanza come questa. Non tanto «che cosa
direbbe», in effetti, ma «come» lo direbbe. Su questo mi ha ispirato
106
un’altra cosa che Narvaja mette in evidenza, e cioè che a Fiorito
piaceva considerarsi un commentatore, nel senso preciso della pa-
rola: uno che «commenta co-pensando («com-mentum»); vale a dire
pensando insieme all’(altro) autore»4.
Quello che oggi voglio fare, pertanto, è un commento: un pen-
sare insieme a Fiorito, insieme a Narvaja, ad alcune cose che mi
hanno fatto molto bene e possono aiutare altri. Mi avvarrò dei testi
liberamente, agevolato dall’ottimo lavoro che ha portato a pubbli-
carli tutti insieme e con l’adeguato apparato critico.
Che cosa si domanderebbe Fiorito riguardo a un’edizione dei
suoi Escritos come questa? Forse in primo luogo se ne valesse la
pena, dato che non è un autore conosciuto, salvo forse nell’ambi-
to ristretto degli studiosi di sant’Ignazio. Ma credo concorderebbe
sul fatto che i suoi scritti possono interessare quanti accompagnano
spiritualmente e danno gli Esercizi, tutte persone desiderose di un
aiuto pratico per guidare altri e per proporre gli Esercizi con più
frutto.
Fiorito non ha fatto molto per farsi conoscere, ma da buon mae­
stro ha fatto conoscere molti buoni autori ai suoi discepoli. Direi
anzi che ci faceva gustare il meglio dei migliori, selezionando i

2. M. A. Fiorito, Escritos I (1952-1959), Roma, La Civiltà Cattolica, 2019,


188. (Citerò Escritos, n. del volume e n. di pagina).
3. Cfr J. L. Narvaja, «Introducción», in Escritos I, 16.
4. Ivi, 20 s.
MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

testi e commentandoli sul Boletín de espiritualidad della provincia


gesuitica dell’Argentina, che pubblicava ogni mese. Era un uomo
sempre a caccia dei segni dei tempi, attento a ciò che lo Spirito dice
alla Chiesa per il bene degli uomini, tramite la voce di una grande
varietà di autori, attuali e classici. E i testi che commentava rispon-
devano alle preoccupazioni – non soltanto a quelle del momento,
ma anche alle più profonde – e risvegliavano proposte nuove, crea-
tive. In questo senso gli pareva fruttuoso continuare a far conoscere
quelli che faceva conoscere.
Credo di aver fatto il suo nome per la prima volta in un incontro
con i gesuiti del Myanmar e del Bangladesh. Uno di loro, un for-
matore, mi aveva domandato che modello avessi da proporre a un
gesuita giovane. Mi sono venute in mente due immagini. La prima
107
riguardava una persona non molto positiva, mentre l’altra sì, ed era
quella di Fiorito. Era un ingegnere, poi è entrato in Compagnia.
Professore di filosofia, preside della Facoltà, ma amava la spiritualità.
Insegnava a noi studenti la spiritualità di sant’Ignazio. È stato lui a
insegnarci la «via del discernimento»5. Ricordo di avere aggiunto
che mi faceva piacere nominarlo proprio lì, in Myanmar, perché
secondo me lui non si sarebbe mai immaginato che il suo nome
venisse citato in quei luoghi così lontani. E figurarsi in un avveni-
mento come quello di oggi.
Eppure sarebbe ben contento, ne sono sicuro, che i suoi Escritos
siano stati pubblicati da uno dei suoi discepoli. E che oggi vengano
presentati da un altro di loro. Il vero maestro in senso evangelico è
contento che i suoi discepoli diventino anche loro dei maestri, e a
sua volta conserva sempre la sua condizione di discepolo.
Come mostra Narvaja, è stato Fiorito a trasmetterci lo «spirito di
scuola» in cui «la proprietà intellettuale ha un senso comunitario»,
infatti «nessun discepolo si sente padrone assoluto dell’eredità del
suo maestro, al punto da escluderne gli altri. Al contrario, vuole co-
municarla, moltiplicando i felici possessori dello stesso tesoro spiri-
tuale. E, più ancora, vuole comunicare proprio quella stessa comu-
nicabilità». Qui Fiorito citava la luminosa espressione di Agostino al

5. Cfr Francesco, «“Essere nei crocevia della storia”. Conversazioni con i


gesuiti del Myanmar e del Bangladesh», in Civ. Catt. 2017 IV 525.
DOCUMENTO

riguardo, nel De doctrina christiana: «Ogni cosa, infatti, che non si


esaurisce quando la si dona, se la si possiede senza distribuirla, non
la si possiede come occorrerebbe possederla» (I, 1)6.
Il fatto stesso di presentare gli Scritti in quest’aula della Curia
generalizia è per me un modo per esprimere la mia gratitudine per
tutto ciò che la Compagnia di Gesù mi ha dato e ha fatto per me.
Nella persona del Maestro Fiorito sono compresi tanti gesuiti che
sono stati miei formatori, e qui voglio fare una menzione parti-
colare di tanti fratelli coadiutori, Maestri con l’esempio gioioso di
restare semplici servitori per tutta la vita.
Allo stesso tempo è anche un modo per ringraziare e per incorag-
giare tanti uomini e donne che, fedeli al carisma dell’accompagna-
mento spirituale, guidano, sostengono e appoggiano i loro fratelli in
108
quel compito che nella recente Lettera ai sacerdoti ho descritto come
la strada che comporta «fare l’esperienza di sapersi discepoli»7. Non
solo quella di esserlo, che è già tanto, ma anche di saperlo (riflettendo
spesso su questa grazia per ricavarne frutto, come dice Ignazio negli
Esercizi). Infatti il Signore non insegna da solo e nemmeno da una
cattedra lontana, ma fa «Scuola» e insegna attorniato dai suoi disce-
poli che a loro volta sono maestri di altri, e in noi questa consapevo-
lezza rende feconda la sua Parola e la moltiplica.
Nel Prologo scrivo: «L’edizione degli Escritos di padre Miguel
Ángel Fiorito è motivo di consolazione per noi che siamo stati e sia-
mo suoi discepoli e ci nutriamo dei suoi insegnamenti. Sono scritti
che faranno un gran bene a tutta la Chiesa». Ne sono convinto.

Un poco di storia

Per noi gesuiti argentini rileggere i testi di questi volumi si-


gnifica ripercorrere la nostra storia: comprendono settant’anni della
nostra vita di famiglia e l’ordine cronologico in cui appaiono ci
permette di evocarne il contesto. Non soltanto quello immediato
e particolare, ma anche quello più ampio, della Chiesa universale,

6. Escritos I, 18.
7. Lettera del Santo Padre Francesco ai sacerdoti in occasione del 160° anniversario
della morte del santo Curato d’Ars, 4 agosto 2019.
MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

che Fiorito, seguendo Hugo Rahner, chiama «la metastoria di una


spiritualità»8. Questo è un concetto chiave, in Fiorito: quello della
«metastoria».
«Esiste una metastoria, che non si scopre a volte direttamente nei
documenti, ma si basa sull’identità di una intelligenza mistica ed è
dovuta all’azione continua di uno stesso Spirito Santo, invisibilmen-
te presente nella sua Chiesa visibile, e che è la ragione ultima, ma
trascendente, di questa omogeneità spirituale» che si dà tra cristiani
diversi di epoche differenti. Fiorito fa sua la prospettiva da cui un
santo che ho canonizzato di recente, John Henry Newman, con-
templava la Chiesa: «La Chiesa cattolica non perde mai ciò che ha
posseduto una volta […]. Piuttosto che passare da una fase a un’altra
della vita, essa si porta dietro la sua giovinezza e la sua maturità nella
109
propria vecchiaia. La Chiesa non ha cambiato ciò che possedeva,
ma lo ha accumulato e, a seconda della circostanza, estrae dal suo
tesoro cose nuove o cose antiche»9. Viene alla mente la bella frase
di Gustav Mahler: «La tradizione è la garanzia del futuro e non la
custodia delle ceneri».
In questa dinamica estraggo qui a modo di esempio alcune date
e pubblicazioni significative.
Ho conosciuto Fiorito nel 1961, al ritorno dal mio juniorato
in Cile. Era professore di Metafisica nel Collegio Massimo di san
Giuseppe, la nostra casa di formazione a San Miguel, in provincia
di Buenos Aires. Da allora cominciai a confidarmi con lui, divenne
il mio direttore spirituale. Attraversava un processo profondo che lo
avrebbe portato a lasciare l’insegnamento della filosofia per dedicar-
si totalmente a scrivere di spiritualità e a dare Esercizi. Il volume II,
nell’anno 1961-62, riporta l’articolo: «Il cristocentrismo del “Prin-
cipio e fondamento” di sant’Ignazio»10. Mi aveva molto ispirato. È
stato là che ho cominciato a prendere confidenza con alcuni autori
che mi accompagnano da allora: Guardini, Hugo Rahner, col suo
libro sulla genesi storica della spiritualità di sant’Ignazio11, Fessard e
la sua Dialettica degli Esercizi.

8. Escritos I, 165-170.
9. J. H. Newman, La mission de saint Benoît, Paris, Bloud, 1909, 10.
10. Escritos II, 27-51.
11. Escritos I, 164.
DOCUMENTO

Fiorito faceva notare, in quel contesto, «la coincidenza tra l’im-


magine del Signore, soprattutto in san Paolo, come la spiega Guar-
dini, e l’immagine del Signore come noi a nostra volta crediamo
di trovarla negli Esercizi di sant’Ignazio»12. Fiorito sosteneva che
il «Principio e fondamento» non contiene soltanto un cristocentri-
smo, ma una vera e propria «cristologia in germe». E mostrava che
quando sant’Ignazio usa l’espressione «Dio nostro Signore» sta par-
lando concretamente di Cristo, del Verbo fatto carne, Signore non
soltanto della storia ma anche della nostra vita pratica.
Voglio sottolineare anche la figura di Hugo Rahner. Non posso
fare a meno di trascrivere un passo in cui il Maestro, che era di po-
che parole e ancora di più nel parlare di sé, narra la sua conversione
alla spiritualità. Lo racconto perché ha segnato una tappa della vita
110
della nostra Provincia e segna ciò che nel mio pontificato concerne
il discernimento e l’accompagnamento spirituale.
Scriveva Fiorito nel 1956: «Da parte mia, confesso che da tempo
rifletto sulla spiritualità ignaziana. Per lo meno fin da quando ho
fatto con serietà i miei primi Esercizi spirituali, sentendo un avvi-
cendarsi di spiriti contrari, che a poco a poco andavano personaliz-
zandosi nei due termini di una scelta personale». Quella riflessione
proseguì «fino a che la lettura di un libro, arrivato nelle mie mani
nel modo più banale e prosaico – come libro di lettura per imparare
il tedesco – è stata per me non tanto la rivelazione luminosa di una
possibilità di espressione, ma l’espressione compiuta di quell’ideale
da tempo intuito». Fiorito aggiunge: «Quello che avrebbe dovuto
essere il mio lavoro di molti anni, era l’istantanea accettazione dei
risultati di un lavoro altrui», quello di Hugo Rahner.
Nell’anima del maestro, e poi in quella di molti altri, Hugo
Rahner fece sì che prendessero posto tre grazie: quella del «magis
ignaziano, che era il suggello e la portata dell’anima di Ignazio e
il confine senza limite delle sue aspirazioni; quella del discernimen-
to degli spiriti, che permetteva al santo di incanalare tanta potenza
senza esperimenti inutili e senza inciampi. E quella della charitas
discreta, che così affiorava nell’anima di Ignazio come contributo
personale alla lotta in corso tra Cristo e Satana; e quel fronte di

12. Escritos I, 51, nota 88.


MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

battaglia non era esterno al santo, ma passava nel mezzo della sua
anima, divisa pertanto in due “io” che erano le due uniche alternati-
ve possibili per la sua opzione fondamentale»13. Da qui Fiorito trarrà
non soltanto il contenuto, ma anche lo stile dei suoi «commenti»,
come dicevamo all’inizio.
Un’altra data: 1983. Fu l’anno della XXXIII Congregazione ge-
nerale, in cui ascoltammo le ultime omelie di padre Arrupe. Fiorito
scrisse di «Paternità e discrezione spirituale»14. Riprendo quell’arti-
colo perché vi dà una definizione di ciò che intende quando usa il
termine «spirituale». L’ho usato parlando della sua conversione «alla
spiritualità» e mi pare utile recuperarne la definizione, in quanto
oggi spesso si sente interpretare questa parola in modo riduttivo.
Fiorito la riprendeva da Origene, per il quale «l’uomo spirituale è
111
quello in cui si uniscono “teoria” e “pratica”, cura del prossimo e
carisma spirituale per il bene del prossimo. E tra questi carismi»,
mostrava Fiorito, «Origene rimarca soprattutto quel carisma che
chiama diakrisis, ovvero il dono di discernere la varietà di spiriti»15.
Nell’articolo Fiorito approfondisce ciò che è la paternità e maternità
spirituale e ciò che comporta. Che cosa serve per farla propria? Se
lo domanda e risponde: «Avere due carismi: il discernimento degli
spiriti, o discrezione, e riuscire a comunicarlo con le parole nella
conversazione spirituale»16. Non basta il discernimento, «bisogna
saper esprimere le idee giuste e discrete; altrimenti non sono al ser-
vizio degli altri»17. Questo è il carisma della «profezia», inteso non
come conoscenza del futuro ma come comunicazione di un’espe-
rienza spirituale personale.
L’ultima volta che l’ho visto – questo non posso dimenticarlo
– è stato poco prima della sua morte, avvenuta il 9 agosto 2005.
Ricordo che era un mattino di domenica e che il suo compleanno
era trascorso da poco. Lui faceva il compleanno il giorno di santa
Maria Maddalena, il 22 luglio. Era ricoverato all’Hospital Alemán.
Ormai da vari anni non parlava più. Aveva perso la capacità di par-

13. Escritos I, 163 s.


14. Escritos V, 176-189.
15. Escritos V, 177.
16. Escritos V, 179.
17. Escritos V, 181.
DOCUMENTO

lare. Guardava soltanto. Intensamente. E piangeva. Con lacrime


tranquille che comunicavano l’intensità con cui viveva ogni singo-
lo incontro. Fiorito aveva il dono delle lacrime, che è espressione di
consolazione spirituale18.
Parlando dello sguardo del Signore nella prima settimana degli
Esercizi, Fiorito commentava l’importanza che san Benedetto dava
alle lacrime e diceva che «le lacrime sono un piccolo segno tangibile
della dolcezza di Dio che a malapena si manifesta all’esterno, ma
non cessa di impregnare il cuore nel raccoglimento interiore»19.
Mi nasce nel cuore una cosa che ho scritto in Gaudete et exsulta-
te (GE): «La persona che vede le cose come sono realmente, si lascia
trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore, è capace di raggiun-
gere le profondità della vita e di essere veramente felice. Quella per-
112
sona è consolata, ma con la consolazione di Gesù e non con quella
del mondo» (GE 76).
Un aneddoto simpatico. Aveva anche il dono dello sbadiglio.
Mentre gli aprivi la tua coscienza, a volte il Maestro cominciava a
sbadigliare. Lo faceva apertamente, senza nasconderlo. Ma non è
che si stesse annoiando, semplicemente gli veniva e lui diceva che a
volte serviva a «tirarti fuori il cattivo spirito». Espandendo l’anima
contagiosamente, come fa lo sbadiglio a livello fisico, aveva quell’ef-
fetto al livello spirituale.

Maestro del dialogo

Commento liberamente alcune cose che mi suggerisce il titolo


di «Maestro del dialogo». Nella Compagnia quello di «maestro» è
un nome particolare, lo riserviamo al Maestro dei novizi e all’I-
struttore di terza probazione20. Il Padre Generale lo aveva nominato
appunto Istruttore di terza probazione, compito che mantenne per

18. «Si intende per consolazione quando […] l’anima si infiamma di amore per
il suo Creatore e Signore […], così pure quando uno versa lacrime che lo portano
all’amore del Signore» (Esercizi Spirituali, n. 316).
19. M. A. Fiorito, Buscar y hallar la voluntad de Dios, Buenos Aires, Paulinas,
2000, 209.
20. La terza probazione è la fase finale della formazione dei gesuiti, prima dei
voti solenni.
MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

molti anni. Non è mai stato Maestro dei novizi, ma da Provinciale


lo assegnai a vivere nel noviziato; era un buon consigliere per il
Maestro e un riferimento per i novizi.
Essere maestro, esercitare il munus docendi, non consiste soltanto
nel trasmettere il contenuto degli insegnamenti del Signore, nella
loro purezza e integrità, ma nel far sì che questi insegnamenti, in-
culcati con lo stesso Spirito con cui li si riceve, «facciano discepoli»,
cioè trasformino coloro che li ascoltano in seguaci di Gesù, in di-
scepoli missionari, liberi, non proseliti, appassionati a ricevere, pra-
ticare e uscire ad annunziare gli insegnamenti dell’unico Maestro
come lui ci ha comandato: agli uomini e alle donne di tutti i popoli.
Il vero maestro, nel senso evangelico, è sempre discepolo: mai
finisce di esserlo. Il Signore, in Luca, parlando dei ciechi che vo-
113
gliono guidare altri ciechi, dando così un’immagine dell’«anti-mae­
stro», dice: «Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia
ben preparato, sarà come il suo maestro» (Lc 6,40).
Mi piace leggere così questo passo: non mettersi al di sopra del
maestro non è soltanto non mettersi al di sopra di Gesù – il no-
stro unico Maestro –, ma nemmeno metterci al di sopra dei nostri
maestri umani. Il buon discepolo onora il maestro, anche quando
da discepoli ci succede di oltrepassarlo in qualche insegnamento,
o piuttosto proprio in quello: il progresso nella conoscenza infatti
è possibile perché il buon maestro ha seminato la semente, col suo
stile personale, proprio contando sul fatto che quel seme viva, cresca
e lo superi. E quando noi discerniamo bene ciò che dice lo Spirito,
applicando il Vangelo nel momento e nel modo opportuno per la
salvezza di qualcuno, siamo «come il maestro». Il Signore accosta
quest’affermazione a quel tipo di insegnamento che non è fatto sol-
tanto di parole, ma di opere di misericordia. È stato al momento
della lavanda dei piedi che il Maestro l’ha detto: se, sapendo queste
cose, operiamo come Lui, saremo come Lui (cfr Gv 13,14-15).
A proposito della misericordia, gli scritti di Fiorito distillano
misericordia spirituale: insegnamenti per chi non sa, buoni consigli
per chi ne ha bisogno, correzione per chi sbaglia, consolazione per
chi è triste e aiuti per conservare la pazienza nella desolazione «senza
mai fare cambiamenti», come dice sant’Ignazio. Tutte queste grazie
si aggregano e si sintetizzano nella grande opera di misericordia
DOCUMENTO

spirituale che è il discernimento. Esso ci guarisce dalla malattia più


triste e degna di compassione: la cecità spirituale, che ci impedisce
di riconoscere il tempo di Dio, il tempo della sua visita.

Alcune caratteristiche particolari del Maestro Fiorito

Descriverei una caratteristica molto evidente di Fiorito con que-


sta espressione: nell’accompagnamento spirituale, quando gli rac-
contavi le tue cose, lui «si teneva fuori». Ti rispecchiava quanto ti
accadeva e poi ti dava libertà, senza esortare e senza dare giudizi. Ti
rispettava. Credeva nella libertà.
Quando dico che «si teneva fuori» non intendo che non si
interessasse o che non si commuovesse per le tue cose, ma che ne
114
restava fuori, in primo luogo, per riuscire ad ascoltare bene. Fio-
rito era maestro del dialogo in primo luogo con l’ascolto. Tenersi
fuori dal problema era il suo modo di dare spazio all’ascolto,
affinché si potesse dire tutto ciò che si aveva dentro, senza inter-
ruzioni, senza domande… Ti lasciava parlare. E non guardava
l’orologio.
Ascoltava mettendo il cuore a disposizione, affinché l’altro po-
tesse sentire, nella pace che aveva il Maestro, ciò che inquietava
il proprio cuore. E in questo modo ti veniva voglia di «andare a
conferire con Fiorito», come dicevamo, di «andare a raccontar-
gli», ogni volta che sentivi lotta spirituale nell’intimo, movimenti
contrastanti di spiriti riguardo a qualche decisione che dovevi
affrontare. Sapevamo che ad ascoltare queste cose si appassionava
come o più di quanto si appassionano le persone normali a sentire
le ultime notizie. Al Collegio Massimo, quella di andare a confe-
rire con Fiorito era una frase ricorrente. La dicevamo ai superiori,
ce la dicevamo fra di noi e lo raccomandavamo a quelli che erano
in formazione.
Il suo «tenersi fuori», oltre che una questione di ascolto, era an-
che un atteggiamento di padronanza verso i conflitti, un modo di
prenderne le distanze per non restarne coinvolto, come spesso acca-
de, col risultato che chi dovrebbe ascoltare e aiutare invece diven-
ti parte del problema, prendendo posizione o mescolando i propri
sentimenti e perdendo obiettività.
MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

In questo senso, senza pretese teoretiche, ma in modo pratico,


Fiorito è stato il grande «disideologizzatore» della Provincia in un’e-
poca molto ideologizzata. Questo è molto importante!
Ha disideologizzato risvegliando la passione a dialogare bene,
con se stessi, con gli altri e con il Signore. E a «non dialogare» con
la tentazione, a non dialogare con lo spirito cattivo, con il Maligno.
Questo è rimasto tanto impresso in me: con il diavolo non si dia-
loga. Gesù mai ha dialogato con il diavolo. Gli ha risposto con tre
versetti della Bibbia, e poi lo ha cacciato via. Mai. Con il diavolo
non si dialoga.
L’ideologia è sempre un monologo con una sola idea e Fiorito
aiutava il suo interlocutore a distinguere dentro di sé le voci del
bene e del male dalla sua propria voce, e ciò apriva la mente perché
115
apriva il cuore a Dio e agli altri.
Nel dialogo con gli altri aveva fra l’altro l’abilità di «pescare» –
era un pescatore! – e di far vedere all’altro la tentazione dello spirito
cattivo in una parola o in un gesto di quelli che s’infilano in mez-
zo a un discorso molto ragionevole e in apparenza benintenzio-
nato. Fiorito ci ha fatto conoscere un padre spirituale dimenticato
di Chantilly, del 1700, il padre [Claude] Judde. Padre Judde ha un
intero volume sull’interpretazione dei gesti degli spiriti cattivi. È
un’opera bellissima. E Fiorito scoprì quel libro, lo studiò e ce lo
fece conoscere. Fiorito ti domandava di «quell’espressione che hai
usato» (che generalmente denotava disprezzo per altri) e ti diceva:
«Sei tentato!» e, mostrando l’evidenza, rideva con franchezza e senza
scandalizzarsi. Ti esibiva l’oggettività dell’espressione che tu stesso
avevi usato, senza giudicarti.
Si può dire che il Maestro coltivava il dialogo comunitario nella
sua conversazione personale con ciascuno. Non era molto incline
a intervenire in pubblico. Nelle riunioni comunitarie a cui par-
tecipava si dedicava a prendere appunti, ascoltando in silenzio. E
poi «rispondeva» – e noi eravamo tutti in attesa – con il tema del
successivo Boletín de espiritualidad o in qualche foglietto di «Studio,
preghiera e azione». In qualche modo questo lo si sapeva e lo si tra-
smetteva, e ci si andava a leggere nel Boletín «quello che ne pensava
il Maestro» sui temi che ci preoccupavano o che erano in auge,
leggendo «tra le righe». Era un maestro nell’esprimersi «tra le righe».
DOCUMENTO

D’altra parte, non sempre il Boletín era necessariamente legato


alle circostanze. Ci sono scritti, come l’articolo di Fiorito sull’Ac-
cademia di Platone da cui Narvaja ha tratto spunto per la sua ana-
lisi, che oggi sono attuali e permettono di «leggere» tutta la nostra
epoca nella chiave della relazione tra maestro e discepoli secondo lo
spirito della Scuola.
Fiorito si preoccupava che nella Provincia e nella comunità ci
fosse buono spirito. Se c’era buono spirito, allora non soltanto «la-
sciava andare», ma scriveva di qualcosa che «invitava ad andare ol-
tre». Apriva orizzonti.
Inoltre, questo «tenersi fuori» si può descrivere anche mostrando
come ci si riesce: «mantenendosi in pace» affinché sia il Signore
stesso a «muovere» l’altro, a smuoverlo nel senso buono, e anche a
116
pacificarlo nell’agire bene.
Si tratta di un attivo mantenersi in pace, respingendo le proprie
tentazioni contro la pace per aiutare l’altro a pacificare le sue: quelle
della sua colpa e del rimorso per il passato, quella dell’ansia per il
futuro (i futuribili) e quelle dell’inquietudine e della distrazione nel
presente. Non permetteva mai che si prendesse una decisione in
base ai futuribili. Diceva che nei futuribili non c’è Dio. Mai. Fiorito
ti pacificava non curandosi delle circostanze immediate. Prima ti
pacificava col suo silenzio, col non spaventarsi di nulla, con il suo
ascolto di ampio respiro, finché non avevi detto quello che avevi
in fondo all’anima e lui decideva quello che gli ispirava lo spirito
buono. Allora il Maestro ti confermava, a volte con un semplice «Va
bene». Ti lasciava libero.
A chi dà gli Esercizi e deve guidare un altro, Ignazio consiglia
che «non si avvicini né propenda all’una o all’altra parte, ma resti
in equilibrio come il peso sul braccio di una stadera, e lasci che il
Creatore agisca direttamente con la creatura, e la creatura con il
suo Creatore e Signore» (Esercizi spirituali, n. 15). Sebbene al di
fuori degli Esercizi «muovere l’altro» sia lecito, Fiorito privilegiava
l’atteggiamento di non propendere per una parte o per l’altra, af-
finché «sia lo stesso Creatore e Signore a comunicarsi alla persona,
abbracciandola nel suo amore e alla sua lode, e disponendola alla via
nella quale potrà meglio servirlo in futuro». Grazie a questo «man-
tenersi fuori» era di riferimento per tutti senza la minima ombra di
MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

parzialità. E di certo, al momento opportuno, quando chi stava fa-


cendo Esercizi con lui ne aveva bisogno – forse perché era bloccato
da qualche tentazione o perché al contrario si trovava in una buona
disposizione per fare la sua «elezione» – il Maestro interveniva con
forza e decisione per dire la sua e poi, di nuovo, «si teneva fuori»,
lasciando che Dio operasse in chi svolgeva gli Esercizi.
In questo senso posso dire che sapeva mettere gli accenti. Ne
ha incisi a fuoco alcuni nella Provincia, impressi come un marchio.
Per esempio: che la lotta spirituale, il movimento di spiriti, è buon
segno; che proporre «qualcosa di più» muove gli spiriti, quando nel-
la situazione c’è una calma sospetta; che bisogna cercare sempre la
pace in fondo all’anima per riuscire a discernere questi movimenti
di spiriti senza che «l’acqua sia troppo mossa»… Quel «non lasciar-
117
si rimpicciolire dalle cose grandi, e tuttavia lasciarsi contenere in
quelle più piccole, questo è divino»21, che caratterizza Ignazio, era
sempre presente nelle sue riflessioni.
Una seconda caratteristica: non esortava. Ti ascoltava in silenzio
e poi, invece di parlare, ti dava un «foglietto» che prendeva dalla
sua biblioteca. La biblioteca di Fiorito aveva questa particolarità:
oltre alla parte consueta, per così dire, con scaffali e libri, ne aveva
un’altra che occupava tutta una parete di quasi sei metri per quattro
in altezza, formata di cassettini in ciascuno dei quali classificava
e metteva i suoi «foglietti», schede di studio, preghiera e azione,
ciascuna dedicata a un solo tema degli Esercizi o delle Costituzio-
ni della Compagnia, per esempio. Lui si alzava a cercarle, a volte
montando pericolosamente su una scala, per darle senza tante pa-
role a chi faceva gli Esercizi in risposta a qualche inquietudine che
quest’ultimo gli aveva manifestato o su cui lui stesso aveva fatto
discernimento mentre lo ascoltava parlare delle sue cose.
In quei cassettini, ciascuno con i suoi foglietti, c’era qualcosa…
Era come se quel consiglio di cui avevi bisogno, o il rimedio per qual-
che malattia dell’anima, fosse già previsto da sempre… Quella biblio-
teca richiamava una farmacia. E Fiorito assomigliava a un saggio far-
macista dell’anima. Ma era più di questo, perché Fiorito non era un
confessore. Certo, confessava, ma aveva un altro carisma oltre a questo

21. Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est.


DOCUMENTO

di essere ministro della misericordia del Signore che è comune a ogni


sacerdote. È quel carisma dell’uomo spirituale di cui parlavo all’ini-
zio, citando Origene: il carisma del discernimento e della profezia, nel
senso di comunicare bene le grazie del Signore che si sperimentano
nella propria vita. Infatti da quei cassettini non uscivano soltanto ri-
medi ma soprattutto cose nuove, cose dello Spirito che erano state in
attesa della domanda giusta, del desiderio fervido di qualcuno, il quale
là trovava il tesoro di una formulazione discreta che lo indirizzasse e
che avrebbe potuto mettere in pratica con frutto per il futuro.
Una terza caratteristica che ricordo è che il Maestro Fiorito non
era geloso. Non era un uomo geloso: scriveva e firmava con altri, pub-
blicava ed evidenziava il pensiero di altri, limitando molto spesso il suo
a semplici note, che in realtà, come ora si può vedere meglio grazie a
118
questa edizione dei suoi Escritos, erano di somma importanza, perché
facevano vedere l’essenziale e l’attualità del pensiero altrui.
L’esempio più compiuto della fecondità di questo modo di lavora-
re intellettualmente in Scuola è, a mio giudizio, l’edizione annotata e
commentata delle Memorie spirituali di Pierre Favre che Fiorito curò
insieme a Jaime Amadeo. Un vero e proprio classico. Senza tratti di
ideologia né di quell’erudizione che è soltanto per eruditi, è un’opera
che ci mette in contatto con l’anima di Favre, con la sua limpidezza e
dolcezza, con la sua capacità dialogica verso tutti, frutto della sua discre-
zione spirituale, e con la sua maestria nel dare gli Esercizi. Il Maestro
condivideva molta della sensibilità di Favre, in tensione polare con una
mente in effetti piuttosto fredda e oggettiva, da ingegnere qual era.
La quarta caratteristica che mi pare necessario commentare, in
questo tentativo di presentare la sua figura, è che non dava giudizi.
Soltanto di rado. Con me, che io ricordi, lo ha fatto due volte. E il
modo mi è rimasto inciso. Ecco come dava il giudizio. Ti diceva:
«Guardi che quanto lei dice è uguale a quello che dice la Bibbia, a
questa tentazione che c’è nella Bibbia». E poi lasciava che tu pregassi
e traessi le conseguenze.
Qui voglio sottolineare che Fiorito aveva una particolare naso
per «sentire» il cattivo spirito; sapeva riconoscerne l’azione, distin-
guerne i tic, smascherarlo dai frutti cattivi, dal retrogusto amaro e
dalla scia di desolazione che si lascia dietro. In questo senso, si può
dire che è stato un uomo in armi contro un solo nemico: lo spirito
MIGUEL ÁNGEL FIORITO, MAESTRO DI DIALOGO

cattivo, Satana, il demonio, il tentatore, l’accusatore, il nemico della


nostra natura umana. Tra la bandiera di Cristo e quella di Satana,
ha fatto la sua scelta personale per nostro Signore. In tutto il resto ha
cercato di discernere il «tanto… quanto» e con ogni persona è stato
un padre amabile, un maestro paziente e – quando è capitato – un
avversario fermo, ma sempre rispettoso e leale. Mai un nemico.
Infine, una cosa che in lui si notava molto. Con i «testa dura» ave-
va tanta pazienza. Davanti a quei casi, che spazientivano altri, soleva
ricordare che Ignazio era stato molto paziente con Simón Rodríguez.
Se eri testardo e insistevi a modo tuo, ti lasciava fare il tuo processo, ti
dava tempo. Era un Maestro nel non affrettare i tempi, nell’attendere
che l’altro si rendesse conto delle cose da solo. Rispettava i processi.
E visto che ho citato Simón Rodríguez, può venire a proposi-
119
to ricordarne la vicenda. Simón Rodríguez fu sempre una persona
«agitata». Non fece il mese intero in solitudine con gli altri, tardò
a fare la professione. Era destinato ad andare in India ma alla fine
rimase in Portogallo, dove fece tutto il possibile per fermarsi per
sempre nonostante che Ignazio, per il suo bene e per quello dei
gesuiti di là, volesse trasferirlo. Fiorito racconta che Ribadeneira, in
un manoscritto inedito intitolato Trattato delle persecuzioni che ha
subìto la Compagnia di Gesù, considera che «una delle più terribili e
pericolose tormente attraversate dalla Compagnia, dalla sua fonda-
zione, mentre ancora viveva il nostro beato padre Ignazio, fu una
che era stata mossa non dai nemici, ma dai suoi stessi figli, non dai
venti esterni, ma dal turbamento intrinseco dello stesso mare, che
accadde in questo modo. […] Mentre la Compagnia navigava con
venti tanto favorevoli, il nemico di ogni bene la agitò, tentando lo
stesso padre Simón e offuscandolo con quel frutto che Dio aveva
operato per lui, e facendo sì che volesse per sé ciò che era del suo
beato padre Ignazio e di tutta la Compagnia.
Cominciò quindi a guardare le cose del Portogallo non come un’o-
pera di questo corpo, ma come creazione e opera sua e voleva gover-
narla senza l’obbedienza e la dipendenza dal suo capo, sembrandogli di
avere nei re del Portogallo tanto favore che avrebbe potuto facilmente
farlo senza più ricorrere a Roma; e siccome quasi tutti i religiosi della
Compagnia che vivevano in quel regno erano figli e sudditi suoi e lui
li aveva accolti e allevati, non conoscevano altro Padre e Superiore se
DOCUMENTO

non il Maestro Simón, e lo amavano e lo rispettavano come se fosse lui


il principale fondatore della Compagnia; e a ciò contribuiva anche il
fatto che lui era di modi gentili e amorosi e non solito a pressare molto i
suoi; queste sono cose efficaci per conquistarsi gli animi e le volontà dei
sudditi, che, per comune debolezza umana, desiderano abitualmente
che si conceda loro ciò che vogliono, e venire condotti con amore»22.
Ignazio era molto paziente. E Fiorito lo imitava. Perfino in questi
racconti era capace di vedere del buono in Simón Rodríguez. Ne sot-
tolineava la franchezza verso Ignazio, al quale diceva le cose in faccia.
Di certo quella pazienza alla lunga diede i suoi frutti, perché di fatto
le «ribellioni» di Simón Rodríguez sono rimaste aneddotiche, e non si
sono consolidate o hanno preso piede oltre lui stesso, e ci hanno frut-
tato lettere come quella di sant’Ignazio ai gesuiti di Coimbra. Questa
120
grande pazienza è la virtù fondamentale del vero Maestro, che conta
sull’azione dello Spirito Santo nel tempo, e non sulla propria.

Conclusione

Un piccolo aneddoto. Come Provinciale, ho dovuto ricevere il


«racconto di coscienza» annuale dal Padre Fiorito. Era un novizio. Un
novizio maturo. Ogni volta che mi viene il ricordo di come narrava
le sue cose sento che era il discepolo di un padre che era a sua volta
suo discepolo. Non riesco a capirlo, ma era la testimonianza della sua
grandezza di anima. Come gesuita, al Maestro Miguel Ángel Fiorito
si attaglia l’immagine del Salmo 1, quella dell’albero piantato lungo
corsi d’acqua, che dà fiori e frutti a suo tempo. Come quest’albero della
Scrittura, Fiorito ha saputo lasciarsi contenere nel minimo spazio del
suo ruolo al Collegio Massimo di san Giuseppe, a San Miguel, in Ar-
gentina, e là ha messo radici e ha dato fiori e frutti, come ben esprime
il suo nome – Fiorito -, nei cuori di noi discepoli della Scuola degli
Esercizi. Spero che adesso, grazie a questa magnifica edizione dei suoi
Escritos, che hanno l’altezza di un grande sogno, metterà radici e darà
fiori e frutti nella vita di tante persone che si nutrono della stessa gra-
zia che lui ha ricevuto e ha saputo comunicare discretamente dando e
commentando gli Esercizi spirituali.

22. Escritos V, 157, nota 85.


INTELLIGENZA ARTIFICIALE
E GIUSTIZIA SOCIALE
Una sfida per la Chiesa
Antonio Spadaro S.I. - Paul Twomey

I poveri in un mondo dominato dai «big data»

Nell’era dell’intelligenza artificiale (IA) l’esperienza umana sta


cambiando profondamente, ben più di quanto la stragrande mag-
gioranza della popolazione mondiale riesca a vedere e a compren- 121
dere. La vera e propria esplosione dell’IA ha un forte impatto sui
nostri diritti nel presente e sulle nostre opportunità future, determi-
nando processi decisionali che, in una società moderna, riguardano
tutti. Si rivela un enorme cambiamento tecnologico, che prospet-
ta grandi benefìci e rischi insidiosi. La proporzione in cui rischi e
benefici si presenteranno dipenderà dai pionieri e dai creatori di
questa tecnologia, e in particolare da quanto sarà chiara la loro vi-
sione del bene comune e corretta la loro comprensione della natura
dell’esperienza umana1.
Bisogna capire che l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida
e un’opportunità anche per la Chiesa: è una questione di giustizia
sociale. Infatti, la ricerca pressante, avida e non trasparente dei big
data, cioè dei dati necessari ad alimentare i motori di apprendimento
automatico2 può portare alla manipolazione e allo sfruttamento dei
poveri: «I poveri del XXI secolo sono, al pari di chi non ha denaro,
coloro che, in un mondo basato sui dati e sulle informazioni, sono
ignoranti, ingenui e sfruttati»3. Inoltre, gli stessi scopi per i quali

1. Cfr G. Cucci, «Per un umanesimo digitale», in Civ. Catt. 2020 I 27-40.


2. I big data, o in italiano «megadati», indicano una raccolta di dati talmente
estesa da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore
o conoscenza e la scoperta di legami tra fenomeni diversi e la previsione di quelli
futuri.
3. M. Kelly - P. Twomey, «I “big data” e le sfide etiche», in Civ. Catt. 2018 II 446.

© La Civiltà Cattolica 2020 I 121-131 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


ARTICOLI

vengono addestrati i sistemi di IA possono portarli a interagire in


forme imprevedibili per garantire che i poveri vengano controllati,
sorvegliati e manipolati.
Attualmente i creatori di sistemi di IA sono sempre più gli ar-
bitri della verità per i consumatori. Ma al tempo stesso le sfide fi-
losofiche essenziali – la comprensione della verità, la conoscenza e
l’etica – si fanno incandescenti man mano che le possibilità dell’IA
crescono verso e oltre il superamento dei limiti cognitivi umani4.
Nel contesto dei progressi del XXI secolo, l’esperienza e la forma-
zione della Chiesa dovrebbero essere un dono essenziale offerto ai
popoli per aiutarli a formulare un criterio che renda capaci di con-
trollare l’IA, piuttosto che esserne controllati.

122
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE RAPPRESENTA UNA
SFIDA E UN’OPPORTUNITÀ ANCHE PER LA CHIESA.

La Chiesa è chiamata anche alla riflessione e all’impegno.


Nelle arene politiche ed economiche in cui viene promossa l’IA
devono trovare spazio le considerazioni spirituali ed etiche. So-
prattutto, nel XXI secolo l’IA è una disciplina e una comunità
assetata di evangelizzazione. La Chiesa deve impegnarsi a in-
formare e ispirare i cuori di molte migliaia di persone coinvolte
nella creazione e nell’elaborazione dei sistemi di intelligenza ar-
tificiale. In ultima analisi, sono le decisioni etiche a determinare
e a inquadrare quali problemi affronterà un sistema di IA, come
esso vada programmato e come debbano essere raccolti i dati
per alimentare l’apprendimento automatico. Sul codice che viene
scritto oggi si baseranno i futuri sistemi di IA per molti anni a
venire.
Possiamo leggere la sfida di quella che potremmo definire
l’«evangelizzazione dell’IA» come una combinazione tra la rac-
comandazione di papa Francesco a guardare il mondo dalla pe-
riferia e l’esperienza dei gesuiti del XVI secolo, il cui metodo

4. Cfr A. Spadaro - T. Banchoff, «Intelligenza artificiale e persona umana.


Prospettive cinesi e occidentali», in Civ. Catt. 2019 II 432-443.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE

pragmatico di influenzare chi è influente oggi si potrebbe ri-


formulare come condividere il discernimento con gli scienziati
dei dati.

Che cosa è l’intelligenza artificiale?

La definizione e il sogno dell’IA ci accompagnano da oltre ses-


sant’anni. Essa è la capacità di un computer, o di un robot controllato
da un computer, di eseguire attività comunemente associate agli esseri
intelligenti, quali quelle di ragionare, scoprire significati, generalizzare
o imparare dalle esperienze passate.
Il lungo sviluppo dell’IA è passato attraverso l’evoluzione della rifles-
sione su come le macchine possono apprendere, accompagnata tuttavia
123
dal recente e radicale miglioramento della capacità di calcolo. L’IA è
stata la prima idea, alla quale hanno fatto seguito l’apprendimento auto-
matico e, più recentemente, le reti neurali e l’apprendimento profondo.
Il Basic Machine Learning è il primo livello dell’IA. Prevede l’in-
serimento tradizionale di dati entro software scritti a mano e dotati di
uno specifico insieme di istruzioni per realizzare un compito concreto.
In altre parole, impiega algoritmi per ordinare grandi quantità di dati;
costruisce un modello matematico a partire da essi; e quindi esegue
determinazioni o previsioni su certe attività senza istruzioni specifiche
previe. Il risultato è ancora un compito determinato – perciò è deno-
minato Narrow AI –, ma l’operazione viene per lo più eseguita meglio
di quanto possano fare gli esseri umani. Tra gli esempi della Narrow AI
possiamo menzionare attività come la classificazione di immagini o il
riconoscimento dei volti.
Le reti neurali sono una serie di algoritmi, modellati sostan-
zialmente sull’esempio del cervello umano, che elaborano i dati
avvalendosi di vari e distinti strati e connessioni per riconoscere i
modelli e fornire un’analisi predittiva. Si dà l’apprendimento pro-
fondo quando molte reti neurali sono collegate tra loro e vengono
addestrate con enormi quantità di dati, in modo da poter impara-
re e formulare automaticamente rappresentazioni tramite elementi
non inseriti dall’uomo.
ARTICOLI

Benefìci

Silenziosamente ma rapidamente, l’IA sta rimodellando per in-


tero l’economia e la società: il modo in cui votiamo e quello in cui
viene esercitato il governo, la polizia predittiva, la maniera in cui i
giudici emettono le sentenze, il modo in cui accediamo ai servizi
finanziari e la nostra affidabilità creditizia, i prodotti e i servizi che
acquistiamo, le abitazioni, i mezzi di comunicazione che utilizzia-
mo, le notizie che leggiamo, la traduzione automatica di voce e di
testo. L’IA progetta le nostre auto, aiuta a guidarle e a orientarle sul
territorio, stabilisce come ottenere un prestito per comprarle, decide
quali strade vadano riparate, accerta se abbiamo violato il codice
stradale e ci fa sapere pure se, avendolo fatto, dovremmo finire in
124 prigione5. Questi sono soltanto alcuni dei numerosi apporti dell’IA
già in atto.
L’intelligenza artificiale può assemblare e valutare molti più dati
ed elementi di quanto riescano a fare gli esseri umani, e di conse-
guenza riduce i risultati parziali o poco chiari in base ai quali noi
spesso prendiamo le nostre decisioni. Tra i possibili esempi, spicca
la prevenzione degli errori medici, che aumenta la produttività e
riduce i rischi nei luoghi di lavoro. L’apprendimento automatico
può migliorare la descrizione dei ruoli lavorativi, e quindi proporre
migliori processi di selezione. Se ben programmati, gli algoritmi
possono essere più imparziali e cogliere modelli che sfuggirebbero
alle valutazioni umane.
Gli studiosi Mark Purdy e Paul Daugherty scrivono: «Pre-
vediamo che l’impatto delle tecnologie di intelligenza artificiale
sulle imprese indurrà un aumento della produttività del lavoro
fino al 40%, consentendo alle persone di fare un uso più efficiente
del loro tempo» 6. La Banca mondiale sta esplorando i benefici che
l’IA può apportare allo sviluppo. Altri osservatori identificano
nell’agricoltura, nell’approvvigionamento delle risorse e nell’as-

5. Cfr J. Angwin - J. Larson - S. Mattu - L. Kirchner, «Machine Bias»,


in ProPublica, 23 maggio 2016 (www.propublica.org/article/machine-bias-risk-
assessments-in-criminal-sentencing).
6. M. Purdy - P. Daugherty, Why Artificial Intelligence is the Future
of Growth (www.accenture.com/us-en/insight-artificial-intelligence-future-
growth).
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE

sistenza sanitaria i settori delle economie in via di sviluppo che


trarranno un grande beneficio dall’applicazione dell’IA. L’intel-
ligenza artificiale contribuirà notevolmente anche a ridurre l’in-
quinamento e lo spreco di risorse.

L’intelligenza artificiale per la giustizia sociale

L’IA può senz’altro apportare benefìci alla società, ma d’altra parte


pone anche questioni importanti di giustizia sociale. In questo campo
la Chiesa ha l’opportunità e l’obbligo di impegnare il suo insegna-
mento, la sua voce e la sua autorevolezza riguardo ad alcune questioni
che si profilano fondamentali per il futuro. Tra queste va senz’altro
compreso l’enorme impatto sociale della ricaduta che l’evoluzione
125
tecnologica avrà sull’occupazione di miliardi di persone nel corso dei
prossimi decenni, creando problematiche conflittuali e un’ulteriore
emarginazione dei più poveri e vulnerabili.
Impatto sull’occupazione. Molto è già stato fatto per misurare l’im-
patto dell’IA e della robotica sull’occupazione, soprattutto dopo l’im-
portante articolo del 2013 in cui Osborne e Frey stimavano che il 47%
dei posti di lavoro negli Stati Uniti rischiavano di venire automatizzati
entro i successivi vent’anni7. Gli studi e il dibattito scientifico hanno
precisato la natura e i contorni del fenomeno: la cessazione totale o
parziale di attività di lavoro esistenti, la sua ricaduta in tutti i settori e
nelle economie sviluppate, emergenti e in via di sviluppo.
Certo, fare previsioni esatte in proposito è difficile; ma un recente
Rapporto del McKinsey Global Institute riporta un’analisi a medio ter-
mine. Il 60% delle occupazioni possiede almeno un 30% di attività la-
vorative passibili di automatizzazione. D’altra parte, quest’ultima aprirà
le porte a nuove occupazioni che oggi non esistono, proprio com’è
accaduto, in conseguenza delle nuove tecnologie, anche in passato. Le
previsioni indicano che entro il 2030 un numero compreso fra i 75 e
i 375 milioni di lavoratori (cioè fra il 3 e il 14% della forza lavoro glo-
bale) dovrà cambiare le proprie categorie occupazionali. Inoltre, tutti i

7. Cfr C. B. Frey - M. A. Osborne, «The Future of Employment: How


Susceptible Are Jobs to Computerisation?», in Technological Forecasting and Social
Change 114 (2017) 254-280.
ARTICOLI

lavoratori avranno necessità di adattarsi, dato che le loro occupazioni si


evolveranno insieme alle macchine sempre più abili8. Ma se l’adozione
delle nuove tecnologie seguirà il ritmo che si è avuto fin qui, superando
le previsioni fatte in precedenza, è pure chiaro che il livello di disloca-
zione sociale rischia di essere maggiore9.
Codici e pregiudizi. Il codice di programmazione viene scritto da
esseri umani. La sua complessità può quindi accentuare i difetti che
inevitabilmente accompagnano qualsiasi compito svolgiamo. I pre-
concetti e le parzialità nella scrittura degli algoritmi sono inevitabili. E
possono avere effetti molto negativi sui diritti individuali, sulle scelte,
sulla collocazione dei lavoratori e sulla protezione dei consumatori.
In effetti, i ricercatori hanno rilevato pregiudizi di vario tipo pre-
senti negli algoritmi, in software adottati per le ammissioni universi-
126
tarie, le risorse umane, i rating del credito, le banche, i sistemi di soste-
gno dell’infanzia, i dispositivi di sicurezza sociale e altro ancora. Gli
algoritmi non sono neutri: incorporano al loro interno valori e obbe-
discono a metodi operativi che, anche non intenzionalmente, possono
apportare preclusioni, discriminazioni o danni economici10.
La crescente dipendenza della socio-economia dall’IA conferisce un
enorme potere a coloro che ne programmano gli algoritmi: un potere
di cui costoro potrebbero anche non essere consapevoli, così come del
danno potenziale che può derivare da un algoritmo compilato con un
codice scorretto. E poiché il complesso mercato dell’IA interattiva con-
tinua a evolversi, è altrettanto probabile che algoritmi oggi esistenti, che
fino a ieri erano innocui, domani possano avere conseguenze rilevanti.
L’IA può essere distorta attraverso specifici interessi commer-
ciali e politici che influenzano l’inquadramento del problema; pre-
concetti di selezione o distorsione/corruzione nella raccolta dati;
parzialità negli attributi di selezione per la preparazione dei dati;
pregiudizi nella codifica. Da questo possono derivare dati signi-

8. Cfr McKinsey Global Institute, «Jobs Lost, Jobs Gained: Workforce


Transitions in a Time of Automation» (in www.mckinsey.com).
9. Cfr le argomentazioni in S. Lohr, «A.I. Will Transform the Economy.
But How Much, and How Soon?», in The New York Times, 30 novembre 2017.
10. Per esempio, i media hanno sottolineato il netto pregiudizio razziale
riscontrato nell’uso giudiziario di algoritmi di condanna da parte di molti tribunali
statunitensi. Cfr R. Wexler, «When a Computer Program Keeps You in Jail», ivi,
13 giugno 2017.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE

ficativamente condizionati, e tuttavia etichettati come parte di un


processo decisionale «indipendente» automatizzato.
Rischio di un’ulteriore emarginazione dei vulnerabili. Un’analisi
dell’impatto dei big data e dell’IA a livello sociale dimostra che la
loro tendenza a prendere decisioni sulla base di una profilazione in-
sufficiente e di riscontri limitati comporta l’ulteriore emarginazione
dei poveri, degli indigenti e delle persone vulnerabili11.
La politologa Virginia Eubanks spiega bene come i sistemi inter-
connessi rafforzino la discriminazione e concedano opportunità infe-
riori agli emarginati: «I poveri e la classe operaia sono presi di mira da
nuovi strumenti di gestione della povertà digitale, con il risultato di
doverne ricevere conseguenze pericolose per la loro esistenza. I siste-
mi automatici di ammissibilità li scoraggiano dal rivendicare le risorse
127
pubbliche di cui hanno bisogno per sopravvivere e star bene. Complessi
database integrati raccolgono le informazioni più personali su di loro,
con poco riguardo per la privacy o per la sicurezza dei dati, pur non of-
frendo quasi nulla in cambio. Modelli e algoritmi predittivi li indicano
come investimenti a rischio e genitori problematici. Complessi sistemi
di assistenza sociale, di applicazione della legge e di sorveglianza dei
quartieri rendono visibile ogni loro gesto e sottopongono il loro com-
portamento al controllo governativo, commerciale e pubblico»12.

La lotta per la verità


L’intelligenza artificiale rappresenta anche una sfida filosofica,
sia nelle sue manifestazioni attuali, sia nelle forme che assumerà nei
prossimi decenni e secoli. La pervasività dell’IA, associata alla digi-
talizzazione sempre più universale dell’esperienza umana quotidiana,
comporta che gli scopi dei motori di IA siano sempre più orientati a
definire ciò che nella società è importante e accettato.

11. Cfr J. Obar - B. McPhail, «Preventing Big Data Discrimination in Canada:


Addressing Design, Consent and Sovereignty Challenges», Wellington, Centre for
International Governance Innovation, 2018 (www.cigionline.org/articles/preventing-
big-data-discrimination-canada-addressing-design-consent-and-sovereignty).
12. V. Eubanks, Automating Inequality: How High-Tech Tools Profile, Police,
and Punish the Poor, New York, St Martin’s Press, 2018, 11.
ARTICOLI

L’intelligenza artificiale cambia il nostro modo di pensare e i nostri


giudizi fondamentali sul mondo. Scegliendo a quali domande rispon-
dere e controllando strettamente la comprensione di ciò che in effetti
rappresentano i dati di riferimento, chi possiede l’IA è l’arbitro della
verità per i «consumatori».

L’IA CAMBIA IL NOSTRO MODO DI PENSARE E I


NOSTRI GIUDIZI FONDAMENTALI SUL MONDO.

Gli algoritmi si concentreranno sull’utilità e sul profitto. Per la


gente sarà fin troppo conveniente seguire il consiglio di un algoritmo
(o troppo difficile scartarlo e rifiutarlo), tanto che questi algoritmi si
128
trasformeranno in profezie autoavveranti, e gli utenti in zombie che
consumano esclusivamente ciò che gli si mette sotto il naso.
I motori di IA, protetti dalle norme sulla proprietà intellettuale e
da dati di codifica e di riferimento non trasparenti, sono vere e pro-
prie scatole nere che forniscono inferenze e previsioni non verificabili.
«L’intelligenza artificiale ha la capacità di modellare le decisioni degli
individui senza che questi nemmeno lo sappiano, dando a quanti han-
no il controllo degli algoritmi un’abusiva posizione di potere»13.
Dato questo suo processo decisionale complesso e opaco, si è in-
staurata, da parte di alcuni, la tendenza a vedere l’IA come qualcosa
di indipendente dall’intervento umano riguardo alla costruzione, alla
codifica, all’inserimento dei dati e alla loro interpretazione. Questo
è un grave errore, perché fraintende il vero ruolo dell’essere umano
all’interno dell’algoritmo: egli deve necessariamente essere ritenuto
responsabile del prodotto a cui approda il processo decisionale algorit-
mico14. Eppure alcune applicazioni di apprendimento profondo stan-
no cominciando a insidiare i confini della responsabilità umana15.

13. Ivi.
14. Cfr L. Jaume-Palasí - M. Spielkamp, «Ethics and algorithmic processes
for decision making and decision support», in AlgorithmWatch Working Paper, n.
2, 6-7 (algorithmwatch.org/en/publication/ethics-and-algorithmic-processes-for-
decision-making-and-decision-support).
15. Cfr M. Tegmark, Vita 3.0. Essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale,
Milano, Raffaello Cortina, 2017.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE

Queste svariate manifestazioni di un’intelligenza che non è


umana, e nemmeno biologica, pongono interrogativi essenziali
alla metafisica, all’epistemologia, all’etica e alla teoria politica. L’e-
sperienza e la competenza della Chiesa in tutti questi campi do-
vrebbero portarla ad assistere la società nell’adattare l’IA, o nell’a-
dattarsi a essa.
Se non cogliamo correttamente le sfide filosofiche e antropolo-
giche connesse con l’IA, possiamo correre il rischio che il servo si
trasformi in padrone. In proposito, vale il monito del fisico Stephen
Hawking: «A meno che non impariamo a prepararci ai suoi ri-
schi potenziali, e a evitarli, l’IA potrebbe rivelarsi l’evento peggiore
nella storia della nostra civiltà. Comporta pericoli come potenti
armi autonome o nuovi modi forniti a pochi per opprimere tanti...
129
o potrebbe mettersi per proprio conto e riprogettarsi a un ritmo
sempre più veloce. Gli esseri umani, limitati dalla loro lenta evolu-
zione biologica, non potrebbero competere con essa e verrebbero
travolti»16.

Coinvolgimento delle società e dei governi

Gli ultimi anni hanno visto una crescente richiesta, fatta ai go-
verni da autorevoli tecnici e scienziati, dai sindacati17, dalla società
civile e dalle stesse aziende tecnologiche18, di intervenire per ga-
rantire un controllo e la presenza dei valori umani nello sviluppo
dell’IA. Un significativo progresso è stato compiuto nel maggio
2019, quando i 35 Paesi membri dell’Organizzazione per la coope-
razione e lo sviluppo economico (Ocse) hanno concordato un do-
cumento che riporta i «Princìpi Ocse sull’intelligenza artificiale»19.
Questi integrano le «Linee guida etiche per una IA affidabile»,

16. R. Cellan-Jones, «Stephen Hawking Warns Artificial Intelligence


Could End Mankind», in BBC News (www.bbc.com/news/technology-30290540),
2 dicembre 2014.
17. Cfr Top 10 Principles for Workers’ Data Privacy and Protection, UNI Global
Union, Nyon, Switzerland, 2018.
18. Cfr Microsoft, The Future Computed, Redmond, 2017 (news.microsoft.
com/cloudforgood/_media/downloads/the-future-computed-english.pdf).
19. Oecd Principles on AI (www.oecd.org/going-digital/ai/principles), giugno
2019.
ARTICOLI

adottate nell’aprile dello stesso anno dal gruppo di esperti sull’IA


istituito dalla Commissione europea20.
L’obiettivo del documento Ocse è di promuovere un’IA inno-
vativa e affidabile, rispettosa dei diritti umani e dei valori democra-
tici. A questo fine, esso identifica cinque princìpi fra loro comple-
mentari e cinque raccomandazioni relative alle politiche nazionali e
alla coo­perazione internazionale. I princìpi sono: favorire la crescita
inclusiva, lo sviluppo sostenibile e il benessere; rispettare i diritti
umani, lo stato di diritto, i princìpi democratici; assicurare sistemi
trasparenti e comprensibili; garantire sicurezza, protezione e valu-
tazione dei rischi; affermare la responsabilità di chi li sviluppa, li
distribuisce e li gestisce. Le raccomandazioni sono: investire nella ri-
cerca e nello sviluppo dell’IA; promuovere ecosistemi digitali di IA;
130
creare un ambiente politico favorevole all’IA; fornire alle persone
le opportune competenze in vista della trasformazione del mercato
del lavoro; sviluppare la cooperazione internazionale per un’IA re-
sponsabile e affidabile.
Nel giugno 2019, il G20 ha ripreso i «Princìpi Ocse» nell’adot-
tare i propri «Princìpi del G20 sull’IA» non vincolanti21. La sfida per
i prossimi anni è duplice: l’ulteriore diffusione di questi o analoghi
princìpi in tutta la comunità internazionale, e lo sviluppo di inizia-
tive concrete per mettere in pratica tali princìpi all’interno del G20
e tramite l’«Osservatorio delle politiche in materia di IA» dell’Ocse,
creato recentemente.
Per la Chiesa adesso si apre l’opportunità di riflettere su questi
obiettivi politici e di intervenire nelle sedi locali, nazionali e in-
ternazionali per promuovere una prospettiva coerente con la sua
dottrina sociale.

«Evangelizzazare l’IA»?

Per quanto importanti siano i suddetti suggerimenti a livello


politico e di impegno sociale, resta il fatto che l’IA è sostanzialmen-

20. Cfr European Commission, Ethics guidelines for trustworthy AI (ec.europa.


eu/digital-single-market/en/news/ethics-guidelines-trustworthy-ai), 8 aprile 2019.
21. Cfr G20 Ministerial Statement on Trade and Digital Economy (www.mofa.
go.jp/files/000486596.pdf), giugno 2019.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA SOCIALE

te composta da singoli sistemi di progettazione, programmazione,


raccolta ed elaborazione dei dati. Tutti processi fortemente condi-
zionati dagli individui. Saranno la mentalità e le decisioni di costoro
a determinare in quale misura, nel futuro, l’IA adotterà criteri etici
adeguati e incentrati sull’uomo. Attualmente questi individui co-
stituiscono una élite tecnica di programmatori e di esperti di dati,
probabilmente composta da un numero di persone che si avvicina
più alle centinaia di migliaia che ai milioni.
Ora ai cristiani e alla Chiesa si apre una possibilità per la cultu-
ra dell’incontro, per mezzo della quale vivere e offrire un’autentica
realizzazione personale a questa particolare comunità. Portare agli
esperti di dati e agli ingegneri del software i valori del Vangelo e
della profonda esperienza della Chiesa nell’etica e nella giustizia so-
131
ciale è una benedizione per tutti, ed è anche il modo più plausibile
per cambiare in meglio la cultura e la pratica dell’IA22.
L’evoluzione dell’IA contribuirà in grande misura a plasmare il
XXI secolo. La Chiesa è chiamata ad ascoltare, a riflettere e a im-
pegnarsi proponendo una cornice etica e spirituale alla comunità
dell’IA, e in questo modo a servire la comunità universale. Seguen-
do la tradizione della Rerum novarum, si può dire che qui c’è una
chiamata alla giustizia sociale. C’è l’esigenza di un discernimento.
La voce della Chiesa è necessaria nei dibattiti politici in corso, de-
stinati a definire e ad attuare i princìpi etici per l’IA.

22. Una ricerca di Pew Charitable Trusts ha dimostrato che gli algoritmi
dell’IA vengono compilati in primo luogo per ottimizzare l’efficienza e la redditività,
considerando gli esseri umani un mero input del processo, piuttosto che vederli come
esseri reali, senzienti, sensibili e mutevoli. Ne risulta una società alterata, condizionata
dalla logica degli algoritmi. Per contrastare tale percezione e i conseguenti rischi di
parzialità nell’IA, si rivela fondamentale l’impegno per ciò che riguarda la definizione
delle finalità e per la raccolta e l’utilizzo dei dati. Come afferma l’esperto di etica Thilo
Hagendorff: «Le caselle di controllo da spuntare non devono essere gli unici “strumenti”
dell’etica dell’IA. È necessaria una transizione […] verso un criterio etico sensibile alle
situazioni sulla base delle virtù e delle disposizioni personali, dell’espansione delle
conoscenze, dell’autonomia responsabile e della libertà d’azione» (T. Hagendorff,
«The Ethics of AI Ethics - An Evaluation of Guidelines» [arxiv.org/abs/1903.03425],
28 febbraio 2019).
ARTICOLI

GESUITI E POESIA
L’inquietudine della parola creativa
in lingua spagnola
Joaquín Ciervide S.I.

È vero che nei manuali di letteratura i gesuiti brillano per la loro


assenza. La sola eccezione, in pratica, è Baltasar Gracián, il quale,
però, se diamo retta a Jorge Luis Borges, non era portato per la
poesia: Emblemi, labirinti, bizzarrie, / gelida e laboriosa vacuità / fu
132
la poesia per questo gesuita / che la ridusse a qualche stratagemma. / In
lui non vi fu musica, ma un vano / erbario di acutezze e di metafore, /
e la venerazione per le astuzie / e spregio per l’umano e il sovrumano1.
Eppure il rapporto tra i gesuiti e la poesia – per lo meno la poesia
in lingua spagnola – è una storia vera, anche se segnata da tensioni.

Inizi antipoetici

La Compagnia di Gesù venne fondata all’epoca della Riforma cat-


tolica, e quelli erano tempi in cui la Chiesa cattolica aveva poco da ver-
seggiare. Gli ambienti ecclesiastici erano assorbiti dalla reazione contro i
protestanti tedeschi e contro il paganesimo rinascimentale italiano; perciò
adottavano un atteggiamento inquisitorio. E la Spagna era in prima li-
nea in questo campo. Il buon cattolico spagnolo doveva evitare due temi:
quello erotico e quello eretico. L’Inquisizione andava a caccia di erasmisti
e illuminati, e si temeva che gli autori pagani studiati nella cultura uma-
nistica potessero traviare la gioventù e indurla a comportamenti spudorati.
La poesia ha grandi legami artistici con il mondo erotico e con quello
eretico: il primo per la poesia amorosa, il secondo per quella mistica.
La nascente Compagnia di Gesù visse pertanto in un’atmosfera
di diffidenza verso la poesia. Alla morte di sant’Ignazio, il suo suc-

1. J. L. Borges, Baltasar Gracián, in Id., L’ altro, lo stesso, Milano, Adelphi,


2002.

© La Civiltà Cattolica 2020 I 132-145 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


GESUITI E POESIA

cessore, Diego Laínez, proseguì nella linea di libertà e di apertura


del fondatore. Ma con il generalato di san Francesco Borgia e, più
ancora, con quello di Claudio Acquaviva, le cose cambiarono, e si
passò dalla diffidenza alla proibizione. A quei tempi i poeti riusci-
vano a farsi conoscere dal pubblico se partecipavano agli svariati
certami poetici che si tenevano in occasioni quali feste, funerali,
l’intronizzazione di un re o la canonizzazione di un santo. Ecco che
cosa scrive Acquaviva al provinciale di Spagna, Gaspar de las Vegas,
nel 1612: «Nessuno dei nostri componga poesie per certami pubbli-
ci, firmandole a suo nome. Quanto ai libri, ogni autore gesuita che
aspiri a essere pubblicato deve sottoporre il manoscritto a tre lettori
severi, che ne proibiranno la pubblicazione se vi troveranno conte-
nuti poco seri che disdicano alla nostra professione».
133

Sei formule per sottrarsi agli attacchi

Così le cose procedettero in Spagna praticamente fino alla


soppressione della Compagnia nel 1773, vale a dire per più di due
secoli. Si dice che «poeti si nasce, oratori si diventa». Certamente
c’erano molti gesuiti che si credevano poeti per nascita, sentivano
in cuore l’ispirazione della musa, ma si vedevano frenati, se non
dall’Inquisizione, almeno dai loro superiori. Nella nostra indagi-
ne alla ricerca di gesuiti poeti in quell’epoca abbiamo trovato sei
diverse strade con le quali i nostri antichi colleghi cercavano di
eludere la temuta censura.
1) Lo pseudonimo. «Tirare il sasso e nascondere la mano»: pur
essendo un «gioco da villano», era la via più ovvia. Anche il veto di
Acquaviva sembrava suggerirlo: bastava comporre poesie per certa-
mi pubblici, firmandole con il nome di un altro. Baltasar Gracián
non esitò a farlo. Ma lo fece in modo maldestro, e questo gli creò
problemi con i suoi superiori.
Citiamo anche il caso del gesuita Diego García Rengifo (1553-98)
e del suo libro Arte poética española. Ci sarebbe materia per un raccon-
to poliziesco, se pensiamo che quel libro fu pubblicato nel 1592 e che
l’identità del suo vero autore è stata scoperta solo pochi anni fa.
Arte poética española è un manuale scolastico di metrica del-
la lingua castigliana. Poiché i collegi si stavano moltiplicando per
ARTICOLI

tutto l’impero spagnolo, pubblicare manuali era un affare, e in quel


Secolo d’oro della letteratura spagnola un manuale di metrica pote-
va rivelarsi un bestseller. Ma questo libro recava con sé due proble-
mi. Anzitutto, la lirica spagnola era allora dominata da Garcilaso
de la Vega, e non si poteva citare questo poeta senza citare anche
Petrarca. Per quanto Diego García, quando cita Petrarca, si sforzi
di «adattarne le strofe ai sentimenti divini», citare quell’autore era
come camminare su un campo minato.
Il secondo problema consisteva nel fatto che Diego García era
un poeta. In effetti, egli non resistette alla tentazione di inserire nel
manuale i suoi versi, che hanno per titolo Estímulo del Divino Amor.
Naturalmente scrisse che si trattava di un componimento anonimo,
ma anche in questo caso sapeva di rischiare. Il gesuita si mise d’ac-
134
cordo con un nipote laico che si chiamava Juan Díaz Rengifo. Non
conosciamo i termini economici di quel patto. Il libro riporta una
dedica al conte di Monterrey, signore dell’omonimo paese, in cui
c’era un collegio gesuita famoso per il suo teatro. Secondo le usanze
dell’epoca, il conte era stato probabilmente il mecenate che aveva
anticipato il denaro per la stampa. Ma il libro si vendette bene. Ri-
mase il manuale obbligatorio di metrica fino al XIX secolo, quando
Andrés Bello diede alle stampe il suo testo sull’argomento. Già nel
1606 a Madrid ne fu pubblicata una seconda edizione.
Ben presto gli intenditori cominciarono a sospettare che quel
libro non fosse farina del sacco di Juan Díaz Rengifo, un perfetto
sconosciuto. Ma allora di chi era? È rimasto un segreto assoluto fino
alla fine del XX secolo, quando il «detective» letterario Ángel Pérez
Pascual si imbatté in una prova inconfutabile. Trovò un documen-
to: il testo di un contratto tra uno stampatore e p. Diego García
Rengifo per la pubblicazione dell’ Arte poética española. Insomma, il
gesuita rinunciava al proprio nome, ma non agli eventuali proventi
delle vendite. Diego García era un professore gesuita ormai famoso,
ex alunno del collegio di Monterrey, il che probabilmente spiega la
dedica al conte. Così l’enigma fu risolto.
2) L’ uscita dall’Ordine. I gesuiti poeti venivano perseguiti dai loro
superiori. Non stupisce che alcuni abbiano fatto ricorso a una misura
più radicale dello pseudonimo: uscire dall’Ordine. Il lettore, per quan-
to si sforzi, non troverà un solo gesuita nei dieci secoli compendiati
GESUITI E POESIA

dall’antologia di Francisco Rico Mil años de poesía española2. Ma vi


trova almeno un ex gesuita: Francisco de Medrano, sivigliano, nato
nel 1570. Sappiamo che egli uscì dall’Ordine quando aveva 32 anni,
senza avere completato gli studi, per poi morire all’improvviso a 37
anni. Le fonti documentarie ci dicono che egli trascorse i suoi bre-
vi anni fuori dall’Ordine in modo tranquillo e nel conforto dei suoi
versi. Il sonetto scelto da Francisco Rico canta l’amore del poeta per
Amarili. Gli endecasillabi lasciano trasparire una certa malinconia.
Simile al caso di Francisco de Medrano è quello di Hernando
Domínguez Camargo (1606-59), colombiano, il quale, al momento
di uscire dall’Ordine, era già sacerdote e continuò a vivere come tale
fino alla morte. Non esitò a riesumare un poemetto molto raffinato e
grazioso che aveva composto da novizio a Quito: A un salto por donde
135
se despeña el arroyo de Chillo, dedicato alle cascate del torrente Chillo.
Nel contesto che stiamo tratteggiando rientra esemplarmente il
caso di Matías de Bocanegra (1612-68), il quale però non uscì dalla
Compagnia. Proprio la sua poesia più interessante, Canción a la vi-
sta del desengaño, parla della crisi che egli attraversò e di come riuscì
a superarla. Nella sua tentazione di abbandonare l’Ordine, Matías
osserva come il ruscello, la rosa, il pesce e l’uccello siano più liberi
di un povero gesuita: O cieli, quale legge ha decretato / che al pesce,
all’uccello, alla rosa e al ruscello, / nati sotto il giogo, fosse offerta / piena
libertà gratuitamente, / e a me invece, libero per stirpe, / il retaggio mio
fosse negato? Ma, riflettendoci, dice a se stesso che, lasciando l’Or-
dine, finirebbe col perdersi, e si rassegna a restare incarcerato: Ma
se mi vale a conquistarmi il cielo / volentieri nel carcere rimango / e se
invece da libero mi perdo / non voglio libertà così discorde.
C’è un altro fenomeno molto singolare: nel 1773, per decreto del
Papa, tutti i gesuiti, sparsi a migliaia per il mondo, smettono di essere
tali. Non se ne vanno, ma sono mandati via. Con un semplice tratto
di penna, il Pontefice sopprime la Compagnia. Ebbene, tra gli ex
gesuiti di lingua castigliana si verifica una vera e propria esplosione
poe­tica. Un gran numero di quegli esiliati trova il tempo e il cuo-
re per scrivere. La qualità delle loro opere è alta. Ad esempio, Juan
Bautista Aguirre (1725-86) è considerato indiscutibilmente il miglior

2. Cfr F. Rico, Mil años de poesía española, Barcelona, Editorial Crítica, 1996.
ARTICOLI

poeta ecuadoriano. Ma se ne trovano tanti tra i gesuiti costretti a


lasciare l’estinta Compagnia di Gesù. Com’è prevedibile, il tema ri-
corrente è la tristezza dell’esilio e la nostalgia della vita gesuitica. Ecco
cosa scrive Pedro Berroeta, ispirato dal salmo dei fiumi di Babilonia:
Deportato in terre straniere, / proscritto da un cielo infuriato, / ho lasciato
la mia cetra appesa a un tronco / sulle rive del gran fiume Marañon. /
Se la mia lingua adesso si smarrisce / tra mille accenti e voci forestiere, /
come posso cantare, e chi mi ispira / senza accenti, senza voci e senza lira?
3) Poeti nelle Indie. Una terza via per lasciarsi trasportare dalla
vena poetica con una certa libertà era quella di trovarsi nell’America
di lingua spagnola. Nel periodo che va fino alla soppressione della
Compagnia di Gesù, dei 26 gesuiti poeti che possiamo contare, 14
sono latinoamericani, due sono spagnoli missionari in America la-
136
tina, di altri due non si conosce la provenienza, e soltanto otto sono
spagnoli che operavano in Spagna.
Nel 1657, nella famiglia di Filippo IV si vive con gioia la sospi-
rata nascita di un erede maschio, Felipe Próspero. Per festeggiare
l’avvenimento, in Ecuador l’ Audiencia reale di Quito organizza un
certame poetico. Le poesie presentate devono terminare con l’ende-
casillabo hoy la mayor empresa de sus glorias («oggi la maggiore tra
le imprese dei gloriosi reali»). Fra le opere in concorso c’è quella di
un gesuita ecuadoriano di Guayaquil, Antonio Bastidas (1615-81),
il quale non soltanto rispetta la regola dell’endecasillabo, ma addirit-
tura compone un sonetto acrostico con i 14 caratteri che compon-
gono il nome «Felipe Próspero». Il sonetto è mediocre, e per venirne
a capo si è dovuto togliere l’acca alla parola hoy dell’endecasillabo,
ma l’ironia della storia sta nel fatto che quel gesuita ecuadoriano
non rispettò la perentoria proibizione del suo Preposito generale, p.
Acquaviva: «Vietato presentarsi a certami poetici».
4) Poeti per interposti alunni. Per quanto si affermi spesso che i
gesuiti non sono poeti, nessuno potrà mai dire che non sono pro-
fessori di poeti. In questa prima tappa, Cervantes, Lope de Vega,
Quevedo, Giovanni della Croce, Calderón e molti altri furono edu-
cati in collegi della Compagnia. È un paradosso che, pur avendo
formato poeti così straordinari, i loro maestri non siano stati capaci
di eccellere nell’arte che insegnavano. Quei gesuiti professori di let-
tere che, repressi nel loro desiderio di scrivere poesie, si sfogarono
GESUITI E POESIA

formando giovani che sarebbero giunti dove a loro era precluso ar-
rivare, sarebbero stati soggetti molto interessanti per la psicanalisi.
Forse fu questo il caso di Juan Bonifacio (1538-1606), umile pro-
fessore di letteratura nel modesto collegio di Medina del Campo.
Un nobile del paese aveva scoperto un ragazzo molto sveglio, Juan
de Yepes, che lavorava all’ospedale, e lo mandò a lezione dal gesuita.
Giovanni della Croce – com’è noto il Juan de Yepes di cui sopra –
rappresenta un vertice della poesia castigliana. E dietro ogni genio si
cerca abitualmente il maestro che l’ha formato. Secondo alcuni bio-
grafi, quel maestro fu fra Luis de León. In realtà, costui ha insegnato
a Juan de Yepes teologia nei suoi anni universitari a Salamanca. A fare
da maestro a Giovanni della Croce nella poesia è stato invece p. Juan
Bonifacio, che gli insegnò letteratura nell’adolescenza, l’età in cui si
137
risveglia l’ispirazione. Basta leggere qualche verso di questo gesuita
per cogliere un tono, uno stile, una grazia che da professore seppe
trasmettere al suo discepolo: Oggi di raccontarvi intendo / il fuoco che di
bruciar non posa / e proverò ad aprirvi la mia casa, / se con ciò non offendo
/ chi con carità mi sta ferendo. / È piaga che dà vita, / ferita misteriosa / e
pur se al suo principio è dolorosa / il seguito è poi così gioioso / che a ogni
letizia umana è preferita. / Gran forza è l’amore, / che mi ha fatto guerra,
/ e di tanto valore / che malgrado gli fossi superiore / mi ha travolto a terra.
5) «Non è poesia. È soltanto satira… e per legittima difesa». Scri-
vere versi non significa automaticamente che si stia facendo poesia.
Per esempio, la composizione A una nariz di Francisco de Quevedo
non verrà proposta come modello di poesia. Chi verseggia a quel
modo non scrive poesia, ma cerca soltanto di essere, oltre che di-
vertente e ingegnoso, anche astioso e vendicativo. In questo caso, i
gesuiti che lo fanno per difendere la Compagnia di Gesù non do-
vrebbero temere il castigo dei superiori.
A tale proposito va citato Juan Antonio Buitrón y Mújica (1656-
1734), che fece uso del sarcasmo per insolentire quel vescovo Palafox
che, secondo alcuni, era morto in odore di santità. Ma da vescovo egli
in Messico si era opposto ai gesuiti. Buitrón ce la mise tutta per met-
tere in ridicolo Palafox, e lo fece con tale crudeltà e volgarità che chi
lo legge non può non vergognarsi di essere gesuita come lui. Bisogna
conoscere un poco la vicenda vissuta dalla madre del vescovo: aveva
partorito un figlio naturale. Buitrón le riserva insulti di pessimo gusto.
ARTICOLI

La Chiesa, però, ha finito col dare ragione al vescovo Palafox, che è


stato beatificato nel 2011.
6) La fama postuma. Resta un’ultima categoria: i gesuiti che, pur
essendo veri poeti, si sottomisero con grande semplicità al desiderio
dei loro superiori. Mutatis mutandis, a quei tempi la poesia veniva pa-
ragonata al matrimonio: una cosa buona in sé, ma alla quale i religio-
si rinunciano. Quei gesuiti, quando si sentivano ispirati, mettevano i
loro sentimenti sulla carta e conservavano il foglio tra i loro oggetti
personali. Così, alcuni anni dopo la loro morte, qualcuno ha scoperto
quel tesoro nascosto, lo ha portato alla luce, e in questo modo si è veri-
ficato che un poeta gesuita abbia raggiunto la fama, sebbene postuma.
I pochi nomi che si possono citare sono soltanto la punta dell’ice­
berg. Quanti gesuiti, veri poeti, sono rimasti nell’anonimato per
138
sempre! Fra coloro che è stato possibile sottrarre all’oblio ricordia-
mo Francisco de Castro, nato a Madrid nel 1619 e morto a Città
del Messico nel 1687, dove probabilmente fu missionario per molti
anni. Egli è noto per Octava maravilla, un’opera in ottave di oltre
2.000 versi, che descrive le apparizioni della Vergine di Guadalupe.
L’opera venne pubblicata nel 1729, 42 anni dopo la sua morte.

Dalla restaurazione (1820) ai nostri giorni

Dopo la restaurazione della Compagnia di Gesù (1820) e per


tutto il XIX secolo non è possibile trovare gesuiti poeti di rilievo. Il
fatto è comprensibile, se pensiamo che in pratica la Compagnia di
Gesù dovette rinascere dal nulla.
Ma nel XX secolo troviamo numerosi e bravi gesuiti poeti. E
ci sono, soprattutto, ex alunni poeti. È stato detto, a ragione, che
il XX secolo è il «Secolo d’oro» della poesia spagnola. Ebbene, an-
che in questo «Secolo d’oro» la lista degli allievi è lunga, capitanata
nientemeno che da un premio Nobel per la letteratura, Juan Ramón
Jiménez, ex alunno di Puerto de Santa María (Cadice), insieme a
Rafael Alberti e a Pedro Muñoz Seca. Manuel Altolaguirre e José
Ortega y Gasset furono allievi a El Palo, a Malaga. Da altri collegi
provenivano José Zorrilla, Rubén Darío, Federico García Lorca,
Ernesto Cardenal, Dámaso Alonso, Blas de Otero, Dionisio Ri-
druejo, Miguel Hernández… Pur non essendo un poeta, un altro
GESUITI E POESIA

Nobel per la letteratura, Gabriel García Márquez, è stato a sua volta


alunno dei gesuiti, e ha condiviso con Charles Baudelaire e José
Agustín Goytisolo l’«onore» di essere stato espulso dal collegio.
Tutto questo non vuol dire che la poesia e la Compagnia di
Gesù si siano riconciliate. Torniamo all’idea che da sempre la Com-
pagnia è stata teatro di una relazione scomoda tra i suoi membri
e la poesia. Se in certi momenti della prima tappa, per decreto del
Preposito generale, ai gesuiti era stato vietato di pubblicare le loro
creazioni, nella tappa successiva – un periodo più fecondo – la ten-
sione tra i gesuiti e la poesia appare in una maniera più sottile. Per
cominciare, consideriamo due punti importanti che rendono diffi-
cile la vita del gesuita poeta.

139
Un gesuita poeta? Bestia rara

Nell’antica Grecia, il migliore atleta e il migliore poeta ricevevano


una corona di alloro. Ai nostri giorni, titoli accademici a parte, pre-
feriamo considerare davvero «laureato» chi eccelle nelle scienze, non
nelle lettere. È una tendenza universale, di cui i gesuiti sono complici.
Certamente tra loro si annoverano più astronomi famosi che poeti.
Per i gesuiti, è la scienza a meritarsi rispetto e ammirazione. Il poeta,
invece, vive il suo talento in solitudine e circondato da una certa ironia
da parte dei compagni. È un originale, un tipo strano, una sorta di col-
lezionista di farfalle: Guai al poeta puro / che, intento a distillare / le acque
battesimali del suo Eden primitivo, / anziché parlare in inglese, o in francese,
o in esperanto, / dialoga con la brezza e s’intende con le stelle, / con la sola
grammatica dell’amore e del canto!, ha scritto Ricardo García Villoslada.

La fama è «accecante e pericolosa»

L’inglese Gerard Manley Hopkins (1844-89), riconosciuto


come il miglior gesuita poeta della storia e del mondo, afferma che
sant’Ignazio diffidava della fama: «Infatti il genio arreca la fama,
che sant’Ignazio considerava la più pericolosa e accecante di tutte
le attrazioni».
La fama, in effetti, costituisce un pericolo per la vita spirituale.
Si rischia di coltivare la vanagloria, il narcisismo, e di cullarsi in ciò
ARTICOLI

che si scrive, considerandolo come proprio, mentre in realtà è più


grande di noi. Sant’Ignazio afferma che chi pensa di essere il solo
autore di ciò che scrive sta facendo «il nido in casa d’altri», mentre
«tutto è dono e grazia di Dio nostro Signore» (Esercizi spirituali, n.
322). Ma allora la poesia favorisce la preghiera, oppure, all’opposto,
la frena, la distorce, la ostacola? Entrambe le cose.

UN DRAMMA INTERIORE: CHE DEVO FARE DI


«QUESTA LUCE DI POESIA CHE MI PORTO DENTRO?»

Più di un poeta religioso vive un dramma interiore: ho un dono


che viene dall’alto; che devo fare di questa luce di poesia che mi porto
140
dentro? (Félix González Olmedo). Se la tiene nascosta, il gesuita legge
nel Vangelo che essa invece va messa sul lucerniere; ma se la espo-
ne alla luce del sole, va incontro alla stessa sorte del fuoco d’artificio:
sale, brilla... brucia, muore e cade (Lucio La Palma). Il narcisismo è una
malattia. Il gesuita narcisista si ammira, si compiace dei suoi versi e si
dimentica di Dio, che ne è la fonte e l’obiettivo. Corrisponde al tipo
di «gesuita trottola»: Io nell’altro, per lui, con lui? No, no. Tutto in me solo
/ girando come gira la trottola di un bimbo (Ricardo García Villoslada).
Il gesuita sta dimenticando che, in fondo, le ansie che sente nel cuo-
re non sono ansie di vedersi adorato, bensì di adorare: Ho aperto nel tuo
cuore un fondo abisso: / niente lo riempirà se non io stesso (P. Torre). I poeti
più maturi e autentici finiscono per identificare la poesia con un idolo,
un falso dio che ci tenta, ci distrae dalla ricerca pura di Dio solo: A un
passo, Signore, dalla mia anima / cadono a uno a uno gli idoli: / arte, poesia,
follie di sogni; […] / per me ormai sanno di poco. / Li amo ancora, ma come
fiori morti / di un giardino che fu mio una volta. / Quando passi tu, Signore
della mia anima, / cadono a uno a uno gli idoli… (Manuel Linares).

Un periodo più florido

Detto tutto quello che si doveva dire, passiamo ora a vedere che
cosa c’è di positivo. È chiaro che in questa seconda tappa i gesui­
ti possono darsi molto più liberamente alla poesia. Gli ostacoli e
la diffidenza dei tempi di p. Acquaviva sono scomparsi. L’antolo-
GESUITI E POESIA

gia Poesía nueva de jesuitas, che José María Pemán – autore caro a
Papa Francesco3 – pubblica nel 1948, ci fa capire che a quel punto
il nostro tema aveva acquistato una certa importanza. Diamo allora
un’occhiata al panorama poetico del XX secolo.

Poesia, malattia e carcere

Alcuni gesuiti poeti, nel fiore degli anni, vennero sorpresi da


una malattia, e la loro creatività poetica ne fu stimolata e affina-
ta. Citiamo qui Ignacio Arraiza (1935-66) e Marc Vilarasau Alsina
(1968-2013), entrambi vittime premature del cancro. Inseriamo in
questo gruppo anche Eusebio Rey, che trascorse due anni in prigio-
ne durante la Guerra civile. In entrambe le circostanze, la consape-
141
volezza di sé assume maggiore rilievo nella prova, e l’ozio forzato
concede spazio alla creazione letteraria. Non dimentichiamo che sia
fra Luis de León sia san Giovanni della Croce trascorsero un pe-
riodo in carcere, e che il Cantico spirituale è stato composto in una
segreta, senza carta né penna. Mi hanno puntato una pistola al petto
/ e mi hanno chiesto: / «La pastiglia o la vita?». / Ho scelto la pastiglia /
e mi sta costando la vita (Marc Vilarasau).
Attraverso le sbarre della sua cella, nell’insonnia notturna, il pri-
gioniero distingue un tenue raggio: Il raggio nuovo di questa stella
vecchia / per me fu creato / e per secoli e secoli deserti di luce / ha cam-
minato senza riposo / fino a posarsi sulla mia fronte avvilita. / Grazie,
Signore, ti sei ricordato / di me nella mia notte più triste. / Grazie per
questo bacio delle tue labbra (Eusebio Rey).

Poesia e altre specialità

Si deve menzionare anche un’altra categoria: quella dei gesui­


ti che si sono fatti un nome in altre discipline, ma che scrivono
poesia per hobby. José Ignacio González Faus è anzitutto teologo,
Pedro Miguel Lamet narratore, Javier Melloni esperto di spiri-
tualità, Ricardo García Villoslada uno storiografo. Ma tutti han-

3. Cfr F. Castelli, «“Il divino impaziente”, di José María Pemán», in Civ.


Catt. 2013 IV 41-50.
ARTICOLI

no pubblicato poesie di pregio. Può darsi che la poesia, quintes-


senza di ogni valore umano, ricavi arricchimento dalla teologia,
dalla narrativa, dalla spiritualità e dalla storia. Melloni suggerisce
questa alternanza: La pausa tra due note, / lo spazio bianco tra due
parole, / la pagina vergine tra due capitoli, / la notte dopo le attività
diurne, / gli alberi spogli in inverno, […] / tutto ciò che è pieno aspira
al vuoto / per non saturarsi di sé.

La poesia, «arma caricata di futuro»

Sebbene non sia possibile dare ad essi lo spazio che meritano,


qui vogliamo ricordare quei gesuiti che hanno lottato e lottano per
la causa dei poveri (poesia per il povero, poesia necessaria come il pane
142
quotidiano) e per i quali la poesia è stata ed è più che mai un grido,
«un’arma caricata di futuro».
In Bolivia, nel 1980, Luis Espinal venne assassinato, crivellato
di colpi (perché viviamo a strattoni, perché ci lasciano a malapena
dire che siamo quelli che siamo). Bartolomeu Melià, dal canto suo,
marocchino, lotta ancora in Paraguay per la causa guaraní con
l’«arma di futuro espansivo che ti punto al petto»: Erano i tempi
della grande pace. […] / Era lo stato di pace in stato di assedio, /
vigilata come si fa con una belva o un prigioniero politico, / a mitra
spianati. […] / Eravamo stufi di pace […] / Erano tempi di pace /
estenuante ed eterna. / Nessuno sapeva più che farsene di tanta pace
[…] / e voi già lo sapete: / quando c’è pace / porca miseria! Alcuni
vivono / e gli altri…

I migliori

Siamo certamente nel periodo migliore in tema di poeti, ma chi


sono i migliori? È possibile presentarne una lista.
In testa c’è José Luis Blanco Vega (1930-2005) per la sua gra-
zia, che intendiamo in senso teologico, oltre che in senso retorico.
Autore di molti inni del breviario, è stato professore di letteratura
nello juniorato di Salamanca. Ecco una sua perla: Ci hanno detto
di notte / che eri morto / e la fede è andata a vegliare / sul tuo corpo. /
La notte intera / passata a tentare / che la pietra si sposti. / Non han-
GESUITI E POESIA

no saputo dirlo / le sentinelle, / nessuno ha saputo a che ora, / in che


modo, / prima di giorno / si sono coperte di gloria / le tue cinque ferite.
/ Se i cinque sensi / cercano il sonno, / la fede però tenga il suo / vivo
e vigile, / la fede in veglia / per vederti di notte / risuscitare.
Segue, per la sua profondità, Ángel Martínez Baigorri
(1899-1971). «Ángel» – così lo chiamavano –, navarro di ori-
gine e nicaraguense nel cuore, fu professore nei collegi, formò
Ernesto Cardenal e vari altri, e non fu un poeta facile, ma si
può dire che in pratica fu un poeta di professione, perché era in
corrispondenza con i grandi nomi della generazione degli anni
Cinquanta. Scrisse: Ho il sapore nell’anima / di una canzone che ho
perduto: / mi è nata dentro una luna, / è scomparsa e mi ha lasciato
il suo bagliore.
143
Inseriamo in questa lista Luis Guillermo Alonso Martínez
(1939), per la sua trasparenza esistenziale. Subito dopo di lui vie-
ne un ecuadoriano, Federico Yépez Arboleda (1930), con la sua
musicalità evocativa. Anche in questo caso ci sembra giusto ri-
portare una poesia, quella sull’Assunzione: La mattinata fiorì di
gigli sul sentiero / che conduceva al tuo sepolcro nuovo. / E vennero
gli Undici, narra la leggenda / dolce, a cercarti con mite, pura malin-
conia. / Ma la tomba deserta odorava soltanto di rose, / e ne stillava
qualcosa, una calma indicibile / che riempiva di bianca serenità le
cose / e la voragine nostalgica dell’anima. / E anche se tu, indimen-
ticabile madre, / sull’uomo orfano avresti profuso le tue cure, / lui
rimase a guardare con un’ansia senza nome / le strade incendiate dei
cieli… Yépez uscì dalla Compagnia, non senza aver prima vinto
il concorso per l’inno di Portoviejo. E sulla scia di un’antica tra-
dizione gesuitica, lo vinse sotto lo pseudonimo di «Muñoz Seca».
Anche un altro grande poeta, Emilio del Río (1928), vinse molti
certami. Si può associare a loro il catalano Juan Bautista Ber-
trán (1911-85), del quale va apprezzato soprattutto il penetrante
sguardo umano.
Questi gesuiti poeti, e molti altri, sono valsi a riscattare la
cattiva fama della poesia nel loro Ordine. Essi mostrano che la
poesia, nonostante tutto, è una vetta ed eleva in modo straordi-
nario la vocazione sacerdotale.
ARTICOLI

Poesia e sacerdozio

Il teologo gesuita Karl Rahner, nel terzo tomo dei suoi Scritti
teo­logici, consacra un intero capitolo ad approfondire la straordi-
naria complementarità che esiste tra sacerdozio e poesia. La sua ri-
flessione si muove attorno a quelle che egli definisce «protoparole».
Le parole normali sono prosa, mentre le «protoparole» sono poesia
e contengono molto mistero. Al punto che il sacerdote che cerca di
annunciare la Parola deve fare ricorso alla poesia, così come il poeta
che ascolta attentamente la sua musa finisce col farsi «profeta», por-
tavoce di Dio, dove il profetismo è il grande attributo del sacerdote4.
Sappiamo che in effetti Rahner scrisse queste pagine come pre-
fazione alla raccolta poetica Hombre y tiempo del gesuita catalano
144 Jorge Blajot (1921-92), che era stato suo discepolo nel corso degli
studi di teologia in Germania. Cediamo ora la parola a Blajot: Dire
a Dio quanto è bella la sua opera, / rivelare agli uomini l’orma del Si-
gnore, […] / poeta, è il tuo destino […]. / Con la mano ardente, / indichi
agli uomini viandanti / occulti percorsi di bellezza nella notte. […] /
Perché tu alzi a Dio l’offerta degli uomini […] / e pronunci la Parola
senza principio; / perché non puoi capire quello che dici, […] / perché
porti il perdono, / sacerdote, tu sei il poeta essenziale, […] / più sacerdote
quanto più poeta, / più poeta del Verbo con la maiuscola.

La tensione riguardo alla poesia

Ciò non toglie che essere poeti continui a essere arduo. La poe­
sia è trascendente, pretende sempre di andare oltre e ancora più in
là, e lascia il poeta eternamente insoddisfatto: Quando scriverò questo
canto / che mi porto dentro l’anima? / Sempre germoglia nell’anima / e
sempre ci resta dentro! (Ángel Martínez Baigorri). O ancora: E io
sono questa sete calma che respiro / quando l’ansia mi diventa confusione
[…] / essere del mio povero essere, disidratato / e ridotto ad aspirazione,
a schiuma, e fatto […] / di Dio e di vuoto di Dio, a un tempo (José
Ignacio González Faus).

4. Cfr K. Rahner, Sacerdote e poeta, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2014;
Id., Letteratura e cristianesimo, ivi; A. Spadaro, La grazia della parola. Karl Rahner e
la poesia, Milano, Jaca Book, 2006.
GESUITI E POESIA

I poeti sono persone inquiete. Essere poeta vuol dire soffrire


molto per il fatto di esserlo. Per i gesuiti che abbiamo citato, la poe-
sia è dono e croce, passione nei due sensi, cioè slancio entusiasmante
e anche via crucis. È impressionante considerare quali siano stati gli
ultimi anni di Hopkins. I suoi ultimi sonetti sono strazianti, espres-
sione della notte oscura e della terribile desolazione che gli toccò di
attraversare. Così, necessariamente, il poeta vive in tensione, nell’al-
ternarsi di gioia e dolore, tra l’ispirazione che lo spinge a parlare e
l’impotenza che gli consiglia di tacere, con l’ambivalenza di amore
e odio per il talento che Dio gli ha dato.

La salita al monte del silenzio


145
Forse tutte queste disquisizioni ci portano a presagire qualcosa
di più sublime della poesia: una certa qualità di silenzio. Che cosa
può fare il gesuita poeta? Se cerca di esprimere la gloria di Dio e
il suo Regno, tutto ciò che resta scritto sul suo foglio è un «vorrei,
ma non posso». Qualunque cosa dica, è meglio tacere: Esplorerò il
silenzio / oltre le porte della notte […] / o percorrerò il sentiero del nulla
dove tutto tace. […]. / Là incontrerò Dio, / capirò il muto linguaggio
della sua presenza (José María Vélaz).
Il culmine della preghiera è la mistica, e la mistica è ineffabile.
Il culmine della lingua è la poesia, e la poesia aspira al silenzio.
Afferma Pedro Miguel Lamet: «La poesia non si può paragonare
all’eloquente silenzio della contemplazione».
A dispetto di Unamuno, nel «formicaio» della Compagnia di
Gesù ci sono molte «cicale canterine» e, sebbene non arrivino al li-
vello di san Giovanni della Croce o di fra Luis de León o dello sco-
lopio Juan Arolas, i gesuiti possono contare su poeti da antologia.
In ogni caso, essi si trovano così nel tira e molla, tra il «non dirmi di
tacere!» (Ignacio Iglesias) e «il silenzio bastava».
FOCUS

IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA

Francesco Occhetta S.I.

Alla fine di ogni anno vengono pubblicati alcuni Rapporti na-


zionali sul Paese – come quelli del Censis, dell’Eurispes, della Svi-
mez e altri ancora –, che aiutano a guardare l’anno nuovo e a tro-
vare chiavi di lettura per interpretare la realtà. Quelli di quest’anno
146
sono accomunati da un velo di pessimismo, danno l’impressione
che l’ondata di maltempo, che ha fatto crollare ponti, esondare fiu-
mi, cedere strade ed evacuare zone insicure, riguardi anche il clima
interiore del Paese. La società italiana – afferma il 53° Rapporto
Censis1 – è inquieta e ha paura per un futuro che non riesce più a
immaginare. Cresce la diffidenza tra le persone, aumentano i con-
flitti sociali, e la sfiducia prevale sulla speranza, mentre crescono gli
stratagemmi individuali, le spinte antidemocratiche e l’attesa mes-
sianica dell’uomo forte che tutto risolve.
Il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara parla di «qualipatia»,
una sorta di nuova patologia sociale che esprime «l’avversione ed il
rifiuto per tutto ciò che richiama la qualità. Una patologia che archi-
via l’essere e santifica l’apparire, che esalta il contenitore a discapito del
contenuto, che premia l’appartenenza e mortifica la competenza»2.
Un dato del Rapporto Censis rivela che negli ultimi tre anni il
consumo di ansiolitici e sedativi è cresciuto del 23%: li assumono
4,4 milioni di italiani. Ma questa non può essere una risposta alla
disillusione e allo stress esistenziale. «Una società lacerata corre ri-
schi profondi», ha detto, il 18 dicembre scorso, alla classe politica
italiana il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha ri-

1. Cfr Censis, 53° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2019, in www.
censis.it
2. Eurispes, Rapporto Italia 2019, in https://eurispes.eu

© La Civiltà Cattolica 2020 I 146-154 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA

cordato – citando Aldo Moro – l’urgenza della «comune accettazio-


ne di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo».
Queste istantanee scattate sulla realtà non saranno un urlo silenzioso
di una società che ha perso la propria bussola spirituale interiore e un
progetto condiviso? Qui ci limitiamo a richiamare alcuni punti sociali
e politici – la situazione delle famiglie; il lavoro, in particolare quello
domestico; il destino dei giovani e degli anziani –, che richiedono il
contributo di tutti per poter permettere al Paese di risollevare la testa.

Lavoro e ridistribuzione della ricchezza come valore sociale

È noto a molti che l’erosione della classe media è tra le conse-


guenze più gravi della crisi in corso: un lavoratore su cinque ha un
147
impiego a metà tempo; quasi 3 milioni di lavoratori guadagnano
meno di 9 euro l’ora. «Il vecchio proletariato si è trasformato in
precariato», direbbe Bauman, a causa di una ferita sociale che brucia
come il sale posto su una ferita. Per i sociologi, il pericolo di rivolte
sociali è dietro l’angolo, se manca una ridistribuzione equa della ric-
chezza. Il divario tra ricchi e poveri è ingiustificabile: nel 1960 un
manager guadagnava 4 volte più di un lavoratore; negli anni Set-
tanta, 40 volte più; ai nostri giorni, si è arrivati a stipendi 400 volte
maggiori del salario minimo della classe lavoratrice e a liquidazioni
date ai manager che sono moralmente inaccettabili.
Sembra un paradosso, ma oggi ci sono più occupati e meno lavo-
ro. L’occupazione produce reddito e crescita: dal 2017 i lavoratori sono
cresciuti di 321.000 unità (+1,4%); quelli a tempo indeterminato in 11
anni si sono ridotti di 867.000 unità, mentre i lavoratori a tempo par-
ziale sono cresciuti di 1,2 milioni (+38%). Un lavoratore su cinque ha
un impiego a metà tempo, ma non per sua scelta. Il lavoro part time
involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i gio-
vani (+71,6% dal 2007). Preoccupa anche il fatto che molti lavori non
vengono più pagati degnamente: dall’inizio della crisi al 2018, le retri-
buzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno.
È urgente allora chiedersi: su quali princìpi si deve fondare il senso
del lavoro? Su quelli di efficienza e di utilità? O su quelli di solidarietà
e di giustizia? È tipico di una «società liquida» – quella senza certezze e
punti di riferimento, in cui i rapporti umani sono scarsi e poco duratu-
FOCUS

ri – imporre stili di vita e modi di conquistare il potere illusori. Eppure


sta silenziosamente crescendo una generazione di giovani che dovran-
no ridurre il loro tenore di vita rispetto a quello dei loro genitori.
I dati Istat confermano che nell’ultimo anno gli arrivi degli im-
migrati sono diminuiti del 17%, mentre cresce la loro integrazione
attraverso lavori umili (quelli rifiutati dagli italiani). È però aumentato
il numero di italiani che lasciano il Paese: sono 816.000 gli espatriati
tra il 2008 e il 2018; 117.000 solamente negli ultimi due anni. Lascia-
no il Paese soprattutto giovani con un’età media intorno ai 30 anni.
Essi migrano come rondini per trovare la loro primavera verso terre
che offrono condizioni più favorevoli. Nel 2018 il Regno Unito ha
accolto 21.000 italiani, la Germania 18.000, la Francia 14.000, la Sviz-
zera quasi 10.000, la Spagna circa 7.000, ma sono mete ambite anche
148
Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada3.
Esiste poi un esodo interno, che è cresciuto del 7%: nel 2017 cir-
ca 117.000 giovani meridionali si sono cancellati all’anagrafe dei loro
comuni di appartenenza e si sono iscritti in molti comuni del Nord
Italia. Il Rapporto Svimez informa che dal 2000 hanno lasciato il
Meridione due milioni di persone, metà delle quali sono giovani.
La foto scattata dal Rapporto è impietosa: le nascite sono al mini-
mo storico; la ripresa dell’occupazione si limita al Centro-Nord; il red-
dito di cittadinanza attenua la povertà, ma non crea lavoro; aumenta
l’emigrazione ospedaliera; i giovani siciliani e campani, in particolare,
abbandonano studio e formazione professionale4. Secondo i calcoli
dell’Istituto, nei prossimi 50 anni il Sud perderà cinque milioni di resi-
denti che producono reddito, mentre aumenteranno l’invecchiamento
della popolazione e lo spopolamento dei piccoli centri e dei borghi
antichi, che nemmeno gli immigrati riescono a occupare.
L’esodo interno al Paese invece si dirige verso le città che offrono
le opportunità migliori: quelle del Nord Italia, dove si vive meglio,

3. Le regioni con il numero più elevato di giovani qualificati che si sono tra-
sferiti all’estero sono la Lombardia (24.000), la Sicilia (13.000), il Veneto (12.000), il
Lazio (11.000) e la Campania (10.000). Il Centro-Nord – soprattutto la Lombardia
e l’Emilia Romagna – ha compensato queste perdite con il drenaggio di risorse
umane dal Sud.
4. Cfr Svimez, Rapporto 2019, in http://lnx.svimez.info/svimez/rapporto-2019-
tutti-­i-materiali
IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA

secondo il Rapporto del Sole 24 Ore5. Milano, l’antica metropoli fredda


e grigia, è la prima in assoluto, meta di turismo e di affari, calamita di
cervelli e di innovazione. Dopo l’Expo del 2015 si prepara a gestire i
Giochi olimpici invernali del 2026. Equità sociale, ambiente e perife-
rie sono le priorità del sindaco Giuseppe Sala, che amministra una cit-
tà con circa 1,4 milioni di abitanti e 13 milioni di euro di investimenti.
Seguono Bolzano, Trento, Aosta, Trieste e Monza, mentre Treviso è
la città che è cresciuta di più negli ultimi tempi.

Il lavoro domestico e le famiglie

Il settore lavorativo che in questi ultimi 15 anni non ha cono-


sciuto crisi è quello dei servizi di cura e di assistenza. Per le collabo-
149
ratrici domestiche – come colf, badanti, baby sitter – l’occupazione
è cresciuta. Questo è un altro volto nascosto della società italiana,
che emerge dal primo Rapporto sul lavoro domestico in Italia: un
settore con circa due milioni di occupati che producono oltre 1
punto di Pil6.
I lavoratori domestici regolari sono 859.000 (53% colf, 47% ba-
danti); il resto è costituito da lavoratori irregolari, secondo i calco-
li dell’Inps7. Oltre il 40% di questo «esercito di servizio» proviene
dall’Est Europa; il 28,6% (246.000 lavoratori) è italiano; l’8% pro-
viene dalle Filippine; il 6,8% dal Sud America; e il 5,4% dall’Asia
orientale. A livello territoriale, quasi la metà dei lavoratori domestici
si concentra nel Nord, ma, in rapporto alla popolazione, la maggio-
re domanda proviene dal Centro Italia.
Le famiglie italiane spendono quasi 15 miliardi di euro, ma qua-
si la metà dei lavoratori domestici riceve meno di 6.000 euro annui;
molti di loro lavorano poche ore a settimana8.

5. Cfr Il Sole 24 Ore, «Rapporto. Qualità della vita 2019», in www.ilsole24ore.­


com
6. Il Rapporto è stato realizzato da Domina (Associazione nazionale famiglie
datori di lavoro domestico), in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa, e
presentato il 6 dicembre 2019 presso il Senato della Repubblica.
7. Cfr https://associazionedomina.it
8. Per gli 859.000 lavoratori domestici regolari le famiglie italiane nel 2018
hanno speso oltre 7 miliardi di euro: 5,7 miliardi per le retribuzioni, 976 milioni per
FOCUS

Il risparmio per lo Stato è ingente, come fa osservare Massi-


mo De Luca, responsabile scientifico del Rapporto: «L’investimento
delle famiglie consente allo Stato un risparmio di almeno 10 mi-
liardi di euro: senza questo impegno economico, infatti, la spesa
pubblica per l’assistenza degli anziani in struttura raggiungerebbe
i 31,3 miliardi di euro, +45% rispetto ai 21,6 miliardi attuali»9. I
lavoratori regolari garantiscono un gettito di 1,4 miliardi di euro;
e se venissero regolarizzati anche gli irregolari, entrerebbero nelle
casse dello Stato altri 2 miliardi di euro. Ma c’è di più: il numero è
destinato a crescere con il calo demografico e l’invecchiamento del-
la popolazione; si stima che le badanti passeranno dalle 402.000 del
2018 alle 685.000 nel 2055, con un incremento del 70%.
L’integrazione degli immigrati nel nostro Paese è iniziata così,
150
dalla propensione delle famiglie italiane ad accogliere nelle loro case
persone che curano i bambini, governano la casa, accudiscono gli
anziani soli o ammalati, lavandoli, vestendoli, a volte imboccandoli.
Da una parte, la necessità e, dall’altra, la fiducia hanno creato un mo-
dello di integrazione che a poco a poco ha vinto paure e diffidenze.
Certo, non è tutto oro quello che luccica. È noto che la domanda
di lavoro domestico è cresciuta con l’invecchiamento demografico,
con la tendenza delle donne italiane ad avere un’occupazione e con
lo sbriciolarsi del modello familiare italiano che garantiva protezio-
ne e cura ai suoi componenti. Il 7% delle famiglie sono ricostrui-
te; circa un milione di famiglie sono con un solo genitore (pari al
31,9% del totale; nel 1995 erano la metà). Il tasso di fecondità, pari a
1,9 figli per donna che partorisce con una media di età di 31,2 anni,
è tra gli ultimi nell’Unione Europea, se si pensa che le famiglie ita-
liane sono composte mediamente da 2-3 persone.
Questo scenario ci fa riflettere sul rapido cambiamento in cor-
so: «Il numero medio di parenti stretti (nonni, genitori, figli, fra-
telli, sorelle e nipoti) si riduce rispetto al passato, soprattutto per i
più anziani»10. La rete relazionale che sosteneva e curava gli anziani

contributi previdenziali e 421 milioni per TFR. Se si considerano anche gli stipendi ai
lavoratori senza permesso di soggiorno, la spesa delle famiglie raggiunge 14,9 miliardi.
9. Osservatorio Nazionale Domina sul Lavoro Domestico, 1° Rapporto
annuale sul lavoro domestico. Analisi, statistiche, trend nazionali e locali, Roma, 2019, 12.
10. ISTAT, Rapporto annuale 2018, in https://www.istat.it/it/archivio/214230
IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA

all’interno delle famiglie si sta sgretolando. Per quanti anni ancora


resisterà la solidarietà familiare? Chi e che cosa la sostituirà? Le poli-
tiche di assistenza sociale e sanitaria, a causa dei continui tagli e della
riduzione dei finanziamenti, impongono modelli di ospedalizzazione
a domicilio, accollando la cura e i costi all’ammalato e alla famiglia.

Alcune proposte sociali e politiche

Per tutelare le famiglie e per garantire un lavoro dignitoso a tutti


i lavoratori domestici è necessario far emergere il lavoro irregolare.
Per questo ci sentiamo di appoggiare le proposte formulate dall’as-
sociazione Domina, che riguardano: incentivi fiscali alle famiglie
come avviene in Francia e in Belgio11; la trasmissione dei dati Inps
151
all’Agenzia delle Entrate per far emergere il lavoro in nero12; il rila-
scio di permessi di soggiorno specifici per i lavoratori domestici ir-
regolari. Occorre anche potenziare la formazione ad hoc per i lavori
di cura e di assistenza: il 5% della popolazione soffre di gravi limi-
tazioni; circa 3,1 milioni di persone sono disabili, e oltre 600.000
– secondo l’Istat – vivono in situazione di isolamento. Le famiglie
in cui vive almeno una persona disabile sono 2,3 milioni, e il 24,4%
non può fare a meno di servizi a pagamento13.
La via da percorrere ha un’unica direzione: la fiducia nel futuro, per
ribadire a livello sociale un grande «sì» alla vita e creare nel territorio
una rete tra pubblico, privato sociale, privato convenzionato, imprese
sociali del terzo settore e volontariato competente. Il lavoro domestico
in rapporto alla famiglia e alla longevità va ripensato attraverso nuovi
modelli abitativi e i princìpi dell’etica personalista. Se prevarrà invece
l’utilitarismo, si continueranno a giustificare condizioni di vita non

11. La proposta prevede una deducibilità del 15% della retribuzione per i do-
mestici, e del 30% della retribuzione per le badanti.
12. Per contrastare l’evasione fiscale occorre facilitare all’Agenzia delle Entrate
l’accesso al dato retributivo relativo alle dichiarazioni di assunzioni che le famiglie
rilasciano all’Inps. In questo modo l’Agenzia delle Entrate può inviare direttamente
al lavoratore la relativa dichiarazione precompilata, consentendo allo Stato di re-
cuperare una buona percentuale dell’evasione relativa a questo settore: sono molti
infatti i lavoratori domestici che eludono le dichiarazioni dei redditi.
13. Cfr M. Muolo, «Disabili: la solitudine dei 600mila», in Avvenire, 4 dicem-
bre 2019, 4.
FOCUS

degne, come far dormire nei sottoscala i propri collaboratori domesti-


ci, o a creare rapporti tesi e freddi, a volte anche rischiosi, tra collabo-
ratori e persone deboli da curare.
L’elemento della fiducia fonda il rapporto tra collaboratori do-
mestici e famiglie, ed è alla base di qualsiasi regolamentazione giu-
ridica. Soltanto un nuovo modello relazionale e sociale costruirà un
rispetto reciproco e pratiche riconciliative condivise. Molte espe-
rienze campione, sparse a macchia di leopardo, potrebbero aprire
nuove strade. Ad esempio, quella del Centro Civitas Vitae di Pado-
va, una delle più grandi strutture sociosanitarie di servizi integrati
in Europa, che si sviluppa su un’area di 120.000 metri quadrati e ha
all’incirca 1.000 posti letto e 600 operatori. Oppure l’esperienza dei
condomini solidali di Torino, Imola e Samarate (Va), o delle Case
152
di Giorno per anziani. Non sono più «case di riposo», che diventano
parcheggi senza speranza, ma nuovi luoghi e «spazi relazionali» che
si stanno progressivamente diffondendo.
La situazione sociale del Paese ha reso il lavoro domestico non
più un bene di lusso, ma una necessità, modificando i tempi e le abi-
tudini delle famiglie anche sotto il profilo economico. Alle famiglie
che non producono reddito non si può chiedere di sostituirsi allo
Stato, diventando attori di un welfare volto a tutelare i più bisognosi
(ammalati e anziani) e attori unici di inclusione. Se il welfare pub-
blico delega alle famiglie la responsabilità dell’assistenza, generando
una dimensione di «welfare fai da te», lo può fare, ma a patto di non
esasperare lo sforzo che le famiglie da sole stanno portando avanti
soprattutto nella cura dei più deboli.
La «tutela di fatto» di molte famiglie italiane che garantiscono
i diritti ai loro collaboratori (ferie, liquidazione, malattia, tredice-
sima) va trasformata in «tutela di diritto». Solo così si rimette al
centro l’esigenza della famiglia che chiede assistenza; altrimenti, se
diminuisce o scompare la «domanda», anche il mercato che offre
questo tipo di lavoro entra in crisi. La famiglia, da parte sua, acco-
glie in casa una persona «diversa» ed è il primo attore (inconsape-
volmente) di integrazione attraverso l’insegnamento della lingua,
delle abitudini e dei costumi italiani.
A livello culturale e politico, occorre appoggiare quelle riforme
che finalmente si sono sbloccate nell’ultima legge finanziaria: per le
IL VOLTO NASCOSTO DEL PAESE ITALIA

famiglie, ciò significherà ricevere, nel 2020, un assegno universale


di natalità per tutti i nuovi nati o adottati, contributi per le rette de-
gli asili nido, bonus mamma domani, congedi parentali di 7 giorni
per i papà e la costruzione e riqualificazione di asili nido e servizi
per l’infanzia. Un altro passo importante sarà sostenere i caregiver,
ossia i familiari che si prendono cura e assistono un loro congiunto
ammalato o disabile.
Per Elena Bonetti, ministro per le Pari opportunità e la Fami-
glia, queste riforme sono una tappa per arrivare all’«assegno univer-
sale e strutturale per ciascun figlio, dalla nascita all’età adulta, che
vogliamo rendere operativo a partire dal 2021»14. Per questo «le po-
litiche familiari e di sostegno alla genitorialità – afferma la Bonetti
– non sono politiche assistenziali, ma di investimento sociale e di
153
futuro. I cambiamenti in atto sono sfidanti. Ma la storia insegna che
le grandi sfide sociali sono vinte quando le comunità trovano e atti-
vano in se stesse un senso di coesione e dinamiche di solidarietà»15.

***

Il Rapporto Censis propone per il 2020 due antidoti, illustrati con


le metafore delle «piastre di sostegno» e dei «muretti» che arginano i
legami sociali corrosi. La prima metafora riguarda gli investimenti nel
settore manifatturiero ancora forte in Veneto e Lombardia, le aree che
si rinnovano e funzionano, in cui anche molti giovani reinterpretano
e inventano. I «muretti», invece, sono tutte quelle soluzioni made in
Italy che arginano lo slittamento: dal risparmio delle famiglie – che
non credono più nel mattone e nei Bot alle start up – al design, dalla
moda alla cucina, dalle nuove imprese legate alle tecnologie al recu-
pero dell’artigianato locale. Anche la cultura è un muretto che nei ter-
ritori offre un nutrimento sociale e identitario attraverso feste, sagre,
festival, concerti, dibattiti e così via.
Gli analisti non mancano di sottolineare come dopo la crisi del
2008 siano venute meno alcune certezze: «il welfare, la sanità per gli

14. M. Damaggio, «Nidi, smart working per favorire la spinta demografica»,


in Corriere del Trentino, 1° dicembre 2019, 3.
15. Ivi. Cfr anche M. Iasevoli, «Famiglia. Ministro Bonetti; assegno per i figli
al via nel 2020 universale ed esentasse», in Avvenire, 18 ottobre 2019.
FOCUS

anziani (avere un malato in casa può diventare una tragedia), la crisi


del lavoro […]; il problema numero uno degli italiani è il lavoro, mol-
to più importante dell’immigrazione, delle pensioni, della criminalità
[…]. Occorre adottare un atteggiamento di cura del legame sociale. Il
bene sociale è da preservare. E c’è una correlazione strettissima tra svi-
luppo del Paese e capitale sociale. Le reti di solidarietà ci salveranno»16.
Giuseppe De Rita tocca un tema antropologico, fondamento di
ogni sviluppo, legato alla «nostra incapacità di rapporto con l’altro.
Negli ultimi 12 anni lo slogan della società, esplicito e implicito, è
stato “vaffa” e questo ha rotto ogni relazione. È la tragedia di questo
Paes­e: non c’è ricchezza di rapporti umani, e così l’individuo incor-
pora le proprie ansie che, in solitudine, diventano rancori»17. Si può
solamente ripartire dall’istruzione: «Il futuro ce lo portano altri e noi
154
ancora una volta ci adatteremo».
Il volto luminoso del Paese è nascosto in chi si sta sacrificando e
crede che la cooperazione nasca dalla costruzione di legami di fiducia,
non dalla competizione di tutti contro tutti. È quello che emerge dai
Rapporti analizzati, nei quali si nota l’urgenza di politiche che pensino
al futuro e investano sui giovani, invece di parlare a colpi di slogan.
Questo processo va reso culturale e basato su una solida formazio-
ne. È il ritorno alla responsabilità, che ci viene ricordata dall’epitaffio
di Pericle ai caduti della guerra del Peloponneso (431 a.C.), ricostrui­
to da Tucidide: «Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo
consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado
di dare vita a una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudi-
carla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via
della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà,
ma la libertà sia solo il frutto del valore». È per questo che occorre
l’impegno di tutti, se si vogliono riportare le politiche sociali al centro
della vita delle persone.

16. P. Colonnello, «Intervista a Giampaolo Azzoni», in La Stampa, 7 dicem-


bre 2019, 10 s.
17. C. Zunino, «Intervista a Giuseppe De Rita», in la Repubblica, 7 dicembre
2019, 11.
PROTEZIONE DEI MINORI
I passi avanti del Papa
dopo l’Incontro di febbraio 2019
Federico Lombardi S.I.

Alcune settimane fa, il 17 dicembre 2019, è stata pubblicata la de-


cisione del Santo Padre di escludere dal «segreto pontificio» denun-
ce, processi e decisioni riguardanti i casi di abusi sessuali commessi
nell’ambito della Chiesa. La decisione ha avuto ampia risonanza ed
155
è stata salutata da molti come un passo avanti molto importante –
alcuni lo hanno addirittura definito «storico» – per la lotta contro
questi crimini gravissimi.
A dieci mesi dall’Incontro sulla Protezione dei minori nella Chiesa
(21-24 febbraio 2019)1 è giusto cogliere questa occasione per ripercor-
rere il cammino compiuto da allora, perché nel frattempo non sono
mancati altri passi, non meno importanti, compiuti da papa Francesco.

La tutela dei minori nella Città del Vaticano e nella Curia romana

Il primo passo era stato compiuto poche settimane dopo l’Incontro,


ed era quindi il frutto di un lavoro che era già in corso prima di esso.
Il 26 marzo il Papa aveva firmato un «Motu proprio» sulla protezione
dei minori e delle persone vulnerabili nella Curia romana e nello Stato
della Città del Vaticano, intitolato La tutela dei minori, accompagnato
da una nuova Legge dello Stato della Città del Vaticano in materia, e
da «Linee guida» per il Vicariato della Città del Vaticano2.

1. Gli Atti dell’Incontro sono stati pubblicati in italiano nel volume Consa-
pevolezza e purificazione, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2019. Nel sito vati-
cano si trovano i testi di tutte le relazioni anche in altre lingue: http://www.vatican.
va/resources/index_it.htm/ Cfr F. Lombardi, «Dopo l’Incontro su “La protezione
dei minori nella Chiesa”», in Civ. Catt. 2019 II 60-73.
2. Il testo dei tre documenti si trova nell’Osservatore Romano del 30 marzo
2019 e nel sito vaticano. La nuova Legge è la N. CCXCVII «Sulla protezione dei

© La Civiltà Cattolica 2020 I 155-166 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


VITA DELLA CHIESA

A prima vista poteva sembrare che si trattasse di provvedimenti


di importanza limitata, perché riguardanti un ambito geografico
e un numero di persone piuttosto ristretti. In realtà il passo è stato
molto importante. Grazie al «Motu proprio», la nuova Legge si ap-
plica non solo nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, ma
riguarda tutto il personale della Curia romana, compreso il Cor-
po diplomatico all’estero, e i dipendenti vaticani. Il Documento del
Papa enuncia princìpi fondamentali, fra cui ricordiamo quello sul
«dovere di segnalare gli abusi alle autorità competenti»; il diritto
delle vittime «ad essere accolte, ascoltate e accompagnate»; il diritto
degli imputati a «un processo equo e imparziale, nel rispetto della
presunzione di innocenza, nonché dei princìpi di legalità e di pro-
porzionalità fra il reato e la pena»; la rimozione del condannato dai
156
suoi incarichi, ma anche il supporto per la sua riabilitazione psico-
logica e spirituale; la formazione adeguata alla tutela dei minori e
delle persone vulnerabili.
Le novità più importanti della Legge sono le seguenti: la equi-
parazione ai minori delle persone «vulnerabili»3; i reati legati agli
abusi su minori saranno perseguibili «d’ufficio», anche senza la de-
nuncia di parte; la prescrizione viene portata a 20 anni dal compi-
mento del 18° anno di età della vittima; vi è obbligo di denuncia da
parte di ogni «pubblico ufficiale» (cioè la massima parte di coloro
che lavorano in Vaticano o per la Santa Sede); viene istituito un
servizio di accompagnamento per le vittime presso la Direzione di
Sanità del Governatorato della Città del Vaticano; si introducono
garanzie processuali per i minori chiamati a dichiarare.
Anche le «Linee guida» per il Vicariato della Città del Vatica-
no – che definiscono doveri e competenze non nell’ambito «civile»,
ma in quello «canonico» e «pastorale» – danno numerose indicazioni
operative, che gioveranno molto non solo a far fronte agli eventuali

minori e delle persone vulnerabili». Una normativa precedente era contenuta nel
«Motu proprio» Ai nostri tempi, dell’11 luglio 2013, accompagnato dalla Legge N.
VIII, che aveva anche introdotto il reato di «pedopornografia».
3. L’art. 1, al n. 3, afferma: «È vulnerabile ogni persona in stato d’infermità,
di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto,
anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di
resistere all’offesa».
PROTEZIONE DEI MINORI

casi di abuso, ma anche a diffondere e radicare una vera cultura della


protezione e della prevenzione in tutto l’ambito di vita e di attività
delle istituzioni vaticane e della Santa Sede.
In tal modo si risponde all’esigenza più volte manifestata che le
istituzioni che esercitano il servizio per la Chiesa universale diano il
buon esempio e possano essere di modello in tutta la Chiesa, e che le
leggi e le normative che vigono nello Stato della Città del Vaticano
e nelle istituzioni della Curia romana siano coerenti con le Conven-
zioni internazionali, ratificate dalla Santa Sede anche a nome e per
conto dello Stato della Città del Vaticano.

In tutta la Chiesa: uffici in ogni diocesi e obbligo di denuncia


157
Ma un secondo passo – questa volta rivolto direttamente a tutta
la Chiesa universale, e quindi di portata assai più ampia – si è avuto
il 9 maggio, quando papa Francesco ha emanato un nuovo «Motu
proprio» in materia di abusi e violenze sessuali, intitolato Vos estis
lux mundi – Voi siete la luce del mondo (noto come VELM, dalle
iniziali del titolo)4. Bisogna sottolineare che si tratta di una legge
valida per tutta la Chiesa, che impone quindi obblighi giuridici, in
parte nuovi, in parte più chiaramente formulati rispetto al passato.
Trovano così applicazione le parole pronunciate dal Papa nel suo
discorso finale all’Incontro di febbraio, che pochi avevano rileva-
to nella loro importanza, quando, parlando del «rafforzamento e
della verifica» delle «Linee guida» delle Conferenze episcopali, ave-
va insistito sul fatto che bisognava «applicare parametri che abbia-
no valore di norme e non solo di orientamenti. Norme, non solo
orientamenti!»5.
È bene ricordare che dopo le indicazioni date circa 10 anni fa
dalla Congregazione per la dottrina della fede, la gran parte delle
Conferenze episcopali aveva formulato le richieste «Linee guida» e
molte diocesi si erano mosse per attuarle. Ma non tutte lo avevano
ancora fatto, e inoltre tali «Linee guida» non hanno carattere vin-

4. Testo completo e articoli di commento in Oss. Rom., 10 maggio 2019.


5. Francesco, Discorso al termine dell’Incontro «La protezione dei minori nella
Chiesa», 24 febbraio 2019.
VITA DELLA CHIESA

colante (tranne che negli Stati Uniti, per richiesta della Conferenza
episcopale), cioè non obbligano i vescovi delle singole diocesi ad
attuare le misure proposte.
Ora papa Francesco, con la sua nuova normativa, ha supera-
to d’un colpo ritardi e dubbi, e con la sua autorità di pastore della
Chiesa universale ha obbligato tutti i vescovi, di tutte le regioni
del mondo, a provvedere, in un tempo assai breve – un anno dalla
promulgazione della legge! –, a predisporre un sistema pubblico,
affidabile e accessibile, per assicurare che le vittime siano accolte e
ascoltate, e che chi segnala sia protetto da eventuali ritorsioni. Deve
esistere cioè in ogni diocesi un ufficio con un preciso responsabile
per la presentazione delle segnalazioni.

158
PAPA FRANCESCO, CON LA SUA NUOVA NORMATIVA,
HA SUPERATO D’UN COLPO RITARDI E DUBBI.

Questo è un passo molto importante: troppe persone non sa-


pevano a chi rivolgersi e, purtroppo, erano rimandate da un’i-
stanza all’altra, con grande sofferenza e frustrazione. Ora tutti i
fedeli hanno diritto di sapere come e a chi possono denunciare
un abuso o una violenza. Di fronte alla complessità delle rela-
zioni in un sistema globale e articolato com’è la Chiesa cattolica,
con tutte le sue differenze culturali e amministrative nelle varie
parti del mondo, questo passo si presenta come segno di uno
stupefacente coraggio.
Un altro aspetto di rilevanza decisiva del documento è che
esso afferma senza mezzi termini l’obbligo di denuncia, specifi-
cando chi ha l’obbligo e la materia dell’obbligo 6. Tutti i chierici
e i religiosi – sia uomini sia donne (quindi anche tutte le suore)
– sono soggetti all’obbligo di denuncia, mentre i laici e anche
persone non appartenenti alla Chiesa possono denunciare, sen-
za essere obbligati. Le segnalazioni possono riferirsi non solo

6. Naturalmente si tratta di obbligo «canonico», cioè relativo alla Chiesa e


alla sua organizzazione, mentre nell’ambito civile bisogna seguire le leggi dello Sta-
to in cui si vive anche a proposito delle denunce di abusi.
PROTEZIONE DEI MINORI

a violenze sessuali su minori o adulti vulnerabili, ma anche al


possesso o alla distribuzione di materiale di pornografia infan-
tile, ad atti sessuali praticati con la violenza o l’intimidazione,
e – punto significativo – all’occultamento di questi delitti, an-
che quando quest’ultimo è praticato da autorità ecclesiastiche
superiori (come vescovi, cardinali, superiori generali religiosi
o religiose).
È un passo avanti molto grande nella direzione del coinvol-
gimento dell’intero popolo di Dio nella corresponsabilità per
estirpare la piaga degli abusi sessuali, coerentemente con quanto
espresso e auspicato da papa Francesco nelle sue Lettere al popolo
di Dio7. Notevole è anche il fatto che la denuncia delle diverse
forme di abuso debba venire convogliata attraverso un unico ca-
159
nale principale, che deve avere il suo terminale in ogni diocesi.
Non vi è solo la violenza sessuale su minore per mano di chie-
rici – che ha una sua specifica gravità e procedura –, ma vi sono
anche gli altri delitti, come la pornografia infantile, atti sessuali
contro adulti come conseguenza di violenza o abuso di potere,
l’occultamento da parte dei superiori e così via.
La differenza di competenze nel giudicare e provvedere in
questi casi diversi è stata spesso fonte di disorientamento. Ora
si vuole che tutti i casi facciano riferimento a uno stesso si-
stema, che dovrà provvedere a indirizzarne la trattazione nel
modo adeguato. Ad esempio, anche le violenze o gli abusi su-
biti da religiose da parte di chierici (un problema drammatico
di cui si è cominciato a parlare più apertamente negli anni
recenti) devono essere denunciati – è ora un obbligo per legge
anche per le religiose! –, e le denunce devono essere esaminate
con decisione.

7. Ricordiamo in particolare la Lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile,


del 31 maggio 2018, e soprattutto la Lettera al popolo di Dio, del 20 agosto 2018,
che per la prima volta tratta della piaga degli abusi e della crisi che ne conse-
gue, rivolgendosi all’intera Chiesa universale. Coerentemente, papa Francesco
ha invitato all’Incontro del febbraio scorso i rappresentanti di tutte le Conferenze
episcopali e di tutta la vita religiosa per esprimere la natura sinodale e collegiale
della risposta della Chiesa.
VITA DELLA CHIESA

La procedura per le denunce di autorità ecclesiastiche superiori

Un aspetto di grande rilievo del «Motu proprio», sviluppato nel-


la seconda parte della Legge, riguarda la procedura per l’investiga-
zione di abusi e violenze o il loro occultamento da parte di vescovi
e cardinali, nonché di superiori generali maschili e femminili8. Si
tratta delle persone che rivestono nella Chiesa ruoli di potere che di
per sé non prevedono altra autorità superiore (a parte il Papa).
L’attesa che anche queste persone possano essere chiamate a ren-
dere conto delle loro azioni e omissioni nel campo degli abusi e
delle violenze, in particolare dei comportamenti di «copertura» dei
crimini compiuti da loro sottoposti – fatto purtroppo non raro so-
prattutto in passato –, era un’attesa da tempo altissima, crescente e
160 frequentemente manifestata sia da molte vittime e dalle loro orga-
nizzazioni, sia dal mondo della stampa e delle comunicazioni, in
particolare nelle aree anglofone, ma non solo.
È uno degli aspetti principali del tema della accountability («ren-
dere conto delle proprie responsabilità») che non a caso era stato
messo esplicitamente al centro delle riflessioni del secondo gior-
no dell’Incontro di febbraio, e che era già stato oggetto di intense
riflessioni e discussioni da parte delle Conferenze episcopali delle
regioni anglofone, soprattutto degli Stati Uniti.
Su questo argomento il VELM formula con coraggio una nor-
ma universale, cioè valida per tutta la Chiesa, appoggiando la proce-
dura da seguire nella prima fase dell’indagine – cioè quella che deve
svolgersi a livello «locale» – su un elemento chiave della costituzio-
ne gerarchica della Chiesa, cioè la figura del «metropolita», ovvero
l’arcivescovo capo di una «provincia ecclesiastica», che comprende
diverse diocesi vicine fra loro. A lui devono infatti pervenire le se-
gnalazioni riguardanti i vescovi, ed egli deve procedere all’indagine,
ricorrendo, se è il caso, anche all’ausilio di laici esperti e competenti.
Per quanto riguarda la seconda fase del procedimento, cioè
quella romana, con il giudizio conclusivo da parte del Papa, aiutato

8. Per quanto non si tratti di casi frequenti, gli abusi compiuti da alte autorità
ecclesiastiche creano uno scandalo e un danno incalcolabile per le persone interes-
sate e per la Chiesa: basti pensare ai casi del p. Marcial Maciel e del card. Theodore
McCarrick.
PROTEZIONE DEI MINORI

dai dicasteri della Curia romana competenti nei vari casi, esiste già
un «Motu proprio» precedente, Come una madre amorevole (detto
CUMA), del 2016, che non si riferisce solo alle questioni di abusi
sessuali o della loro copertura, ma più generalmente ai casi di negli-
genza da parte di vescovi e altri superiori.
Un altro degli aspetti che spesso causano disagi e forti critiche
nei casi di abusi sessuali è quello dei tempi, cioè delle lungaggini e
dei ritardi che impediscono di rispondere tempestivamente ed ef-
ficacemente alle segnalazioni pervenute, per giungere alle conclu-
sioni in tempi ragionevoli. Il VELM risponde a questo problema
stabilendo termini molto stringenti per l’esecuzione delle indagini.
Il vescovo o il metropolita deve inoltrare tempestivamente la
segnalazione al dicastero competente della Curia romana; questo
161
deve rispondere al vescovo entro 30 giorni, dando le istruzioni per
l’indagine; il vescovo deve poi riferire ogni 30 giorni al dicastero
e concludere l’indagine entro 90 giorni (salvo proroghe). Se queste
indicazioni verranno messe in pratica, il progresso rispetto a oggi
sarà molto sensibile.
Infine, osserviamo che il VELM si pone in continuità con le
normative già promulgate il 26 marzo, riprendendone l’equipara-
zione fra minori e persone vulnerabili, come pure la definizione di
queste ultime. Attenta è anche la formulazione dei doveri di cura
per le vittime e le loro famiglie, e per la tutela nei confronti di chi
presenta la segnalazione di abuso, specificando che «a chi effettua
una segnalazione non può essere imposto alcun vincolo di silenzio
riguardo al contenuto di essa» (art. 4.3), come pure per la tutela de-
gli indagati (loro informazione e presunzione di innocenza).

La rimozione del «segreto pontificio» in materia di abusi

Il terzo passo importante compiuto da papa Francesco è del 6


dicembre scorso e consiste nel Rescritto con cui viene emanata l’I-
struzione Sulla riservatezza delle cause9. Il documento stabilisce che
«le denunce, i processi e le decisioni riguardanti i delitti» nel campo

9. La pubblicazione, con entrata in vigore immediata, è avvenuta il 17 di-


cembre. Testo e articoli di commento in Oss. Rom., 18 dicembre 2019. Molto utile,
VITA DELLA CHIESA

dell’abuso sui minori, della violenza sessuale, della pedopornografia


e della copertura degli abusatori da parte dei superiori, non sono
coperti dal «segreto pontificio».
Per comprendere bene e non equivocare o fare confusioni su que-
sta abolizione del «segreto pontificio», è necessario distinguere tre di-
versi generi di «segreto». C’è anzitutto quello detto «confessionale»,
relativo al sacramento della confessione. La Chiesa lo ritiene intangi-
bile, nonostante che anch’esso oggi sia messo in discussione in alcuni
Paesi nel contesto dei dibattiti sugli abusi (ad esempio, in Australia, ma
anche altrove). Non è quindi in nessun modo di questo che si parla
nella nuova Istruzione10. C’è il segreto detto «di ufficio» che, nell’am-
bito che ci interessa, è normato dal diritto canonico per «garantire
la sicurezza, l’integrità e la riservatezza delle informazioni al fine di
162
tutelare la buona fama, l’immagine e la sfera privata di tutte le persone
coinvolte». Anche questo non è messo in alcun modo in discussione
dalla Istruzione, che anzi lo ribadisce esplicitamente al n. 3. Sarebbe
quindi del tutto sbagliato pensare che l’Istruzione intenda permettere
un’ondata di pubblicità incontrollata su tutte le questioni e cause di
abusi, favorendo scandalismo e curiosità fuori luogo.

VIENE RIMOSSO, RELATIVAMENTE AL CAMPO


DEGLI ABUSI SESSUALI, IL «SEGRETO PONTIFICIO».

Quello che viene rimosso, relativamente al campo degli abusi


sessuali, è il «segreto pontificio», cioè un particolare dovere di riser-
vatezza che viene imposto in certi casi a determinate categorie di
persone (ad esempio: vescovi, rappresentanti pontifici o ufficiali di
Curia) su determinati argomenti che devono trattare in ragione del
loro ufficio, con la finalità di tutelare il bene comune della comunità
ecclesiale e il bene delle singole persone.

per una corretta interpretazione del significato dell’Istruzione, è l’articolo di mons.


Juan I. Arrieta, «Riservatezza e dovere di denuncia».
10. Su questa materia è molto importante la Nota della Penitenzieria apostoli-
ca del 29 giugno 2019 Sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacra-
mentale, pubblicata in Oss. Rom., 1-2 luglio 2019, accompagnata da un commento
del Penitenziere maggiore, card. Mauro Piacenza.
PROTEZIONE DEI MINORI

Ora, l’Istruzione Secreta continere, del 1974, che tuttora regola il se-
greto pontificio, menzionava fra gli argomenti sottoposti a tale norma-
tiva (ad esempio: l’elaborazione di documenti pontifici, le consultazioni
sulle nomine episcopali, le informazioni dei rappresentanti pontifici alla
Santa Sede ecc.) anche le denunce, il processo e le decisioni concernenti
i reati gravi contro la morale; quindi, in pratica, tutti gli argomenti atti-
nenti alle problematiche degli abusi e delle violenze sessuali. Ciò poneva
una serie di problemi che andavano urgentemente chiariti, in rapporto
sia all’obbligo di denuncia previsto dalle nuove normative recenti, sia al
rispetto delle leggi statali e alle richieste di informazioni e documenta-
zione da parte delle autorità giudiziarie civili, sia all’informazione sulle
cause e sulle sentenze anche nei confronti delle vittime di abusi.
Di questi argomenti si era parlato ampiamente anche nel corso
163
dell’Incontro del febbraio scorso, la cui terza giornata era stata dedicata
espressamente al tema della «trasparenza» nella vita e nel comporta-
mento della Chiesa. I «Motu proprio» di marzo e di maggio, insi-
stendo specificamente sull’obbligo di denuncia, sul rispetto delle leggi
statali e sulla collaborazione con le autorità civili, rendevano indilazio-
nabili una modifica della disciplina del segreto pontificio in materia
e un chiarimento anche dei limiti del «segreto di ufficio», che – come
specifica la nuova Istruzione – non può in nessun caso essere opposto
all’adempimento degli obblighi delle leggi statali e delle richieste ese-
cutive delle autorità giudiziarie civili (n. 4).
Coerentemente con quanto si è detto in precedenza parlando del
VELM, l’Istruzione ribadisce anche un altro limite al dovere della ri-
servatezza, affermando che nessun vincolo di silenzio può essere im-
posto «sui fatti della causa» a «chi effettua la segnalazione, alla persona
che afferma di essere stata offesa e ai testimoni» (n. 5). Pensando a
quante volte si è tentato – anche con maldestre trattative – di ottenere
il silenzio delle persone offese, bisogna riconoscere che anche questo
punto indica una chiara volontà di progredire senza incertezze sulla
via della piena trasparenza.
Commentando l’Istruzione, il prof. Giuseppe Dalla Torre11 sotto-
linea come la caduta del segreto pontificio sia rilevante per facilitare

11. Cfr G. Dalla Torre, «Un atto che facilita la collaborazione con l’autorità
civile», in Oss. Rom., 18 dicembre 2019.
VITA DELLA CHIESA

tutte le fasi del procedimento canonico, dalla denuncia alle indagini,


alla fase istruttoria e a quella dibattimentale, fino alla decisione, sia
nelle sedi locali, sia a Roma presso la Congregazione della fede. Ma
soprattutto ne mette in rilievo l’importanza e i vantaggi per evitare si-
tuazioni di incertezza, difficoltà o conflitto nei rapporti con le autorità
civili e in occasione delle loro richieste legittime di cooperazione per
avere informazioni e documentazione. Il prof. Dalla Torre conclude
con ottimismo che le novità introdotte «contribuiscono a favorire il
passaggio dell’ordinamento canonico da un atteggiamento di diffi-
denza e di difesa nei confronti degli ordinamenti statali a un atteggia-
mento di fiducia e di sana collaborazione».
Nello stesso giorno in cui veniva pubblicata la nuova Istruzione,
veniva pubblicato anche un altro Rescritto del papa Francesco con due
164
disposizioni particolari, attese e utili per il completamento e la coeren-
za delle normative nella materia di cui ci occupiamo. Si tratta del fatto
che il ruolo di avvocato e di procuratore presso i tribunali diocesani
e quello della Congregazione per la dottrina della fede d’ora in poi
possono essere svolti non solo da sacerdoti, ma anche da fedeli laici in
possesso dei requisiti richiesti; e del fatto che il rea­to di pedopornogra-
fia sussiste anche dal punto di vista canonico, quando i soggetti ripresi
nelle immagini sono di età inferiore ai 18 anni (e non più ai 14), come
già avveniva secondo la Legge dello Stato vaticano.

La lotta contro gli abusi e per la dignità dei minori continua

Tutte le disposizioni di cui si è parlato finora sono da vedere come


un efficace seguito dato da papa Francesco all’impegno di lotta senza
quartiere ai fenomeni di abuso, che ha avuto nell’Incontro di febbraio
un suo passaggio cruciale. Ma questa lotta rimane sempre aperta, co-
sicché anche altri atti sono attesi e certamente seguiranno12.

12. Nel nostro articolo «Dopo l’Incontro su “La protezione dei minori nella
Chiesa”», in Civ. Catt. 2019 II 60-73, indicavamo una serie di impegni ancora da
attuare, come la revisione del Libro VI del Codice di diritto canonico (dedicato a
«Le sanzioni nella Chiesa») o la pubblicazione di un Vademecum per i vescovi o un
sistema di aiuto per le diocesi che si trovassero in difficoltà per far fronte ai loro
compiti in questo campo delicato e complesso ecc.
PROTEZIONE DEI MINORI

Intanto, è giusto notare che anche gli episcopati e le Chiese locali


in diverse parti del mondo stanno facendo grandi passi avanti nell’af-
frontare il problema. A titolo di esempio vogliamo segnalare il primo
grande Congresso latinoamericano sulla prevenzione degli abusi nella
Chiesa, tenutosi a Città del Messico dal 6 all’8 novembre scorsi, con
la partecipazione di 400 delegati provenienti da tutta l’America latina,
vescovi, sacerdoti, consacrati e laici e con la presenza – fra i relatori
– di tre organizzatori e protagonisti dell’Incontro di febbraio, cioè il
card. Blaise Cupich, l’arcivescovo Charles Scicluna e p. Hans Zollner.
Ma analoghi raduni hanno avuto luogo in altri continenti e
Pae­si, mentre si moltiplicano gli incontri e i corsi di formazione di
vario genere e livello per il personale che si dedica al servizio eccle-
siale in questo campo. In Italia procede l’edificazione del «Servizio
165
tutela dei minori» a livello non solo nazionale, ma anche regionale
(tutti i responsabili sono stati nominati) e diocesano (all’inizio di
dicembre 100 diocesi su 226 avevano nominato i responsabili)13.
L’Incontro di febbraio sta dunque producendo gli effetti che papa
Francesco si proponeva, di mettere cioè in movimento una risposta
corale della Chiesa alla drammatica sfida degli abusi.
Infine, osserviamo che anche sul fronte della protezione dei mi-
nori nel mondo digitale vi è da registrare un nuovo importante
intervento di papa Francesco, in occasione dell’Incontro interna-
zionale Promoting Digital Child Dignity. From Concept to Action,
svoltosi presso la Pontificia accademia delle Scienze sociali nei gior-
ni 14 e 15 novembre, promosso insieme dalla Pontificia accademia
delle Scienze sociali, dalla Child Dignity Alliance e dalla Interfaith
Alliance (basata negli Emirati Arabi Uniti).
L’Incontro è stato pensato come continuazione dell’impegno
iniziato con il Congresso mondiale svoltosi all’Università Grego-
riana nel 2017 su Child Dignity in the Digital World14, e ha visto la
partecipazione di un centinaio di studiosi, esperti e operatori tecnici
ed economici del mondo digitale, rappresentanti di istituzioni in-
ternazionali e Ong, leaders religiosi e politici. Possiamo ricordare,

13. Cfr «Intervista a mons. L. Ghizzoni», in Avvenire, 7 dicembre 2019.


14. Cfr H. Zollner - K.-A. Fucks, «La dignità dei minori nel mondo digi-
tale. Un Congresso internazionale alla Gregoriana», in Civ. Catt. 2017 IV 333-338.
VITA DELLA CHIESA

fra gli altri, nel corso dei due giorni di lavori, gli interventi della
Regina Silvia di Svezia e del Grande imam di al-Azhar, Ahmad
al-Tayyeb. Da segnalare pure – sembra che sia stata una «prima vol-
ta» – la presenza di rappresentanti di tutte e cinque le Big Five del
mondo digitale (Microsoft, Apple, Amazon, Google, Facebook),
che si sono dichiarati disponibili, in linea di principio, a sviluppare
un discorso comune di responsabilità nel campo della protezione
dei minori, al di là delle spinte della reciproca concorrenza.
Il Papa ha rivolto ai partecipanti un ampio discorso, ricevendoli in
apertura del Convegno, ribadendo la necessità di un impegno colla-
borativo di tutti – scienziati, politici, legislatori, operatori economici e
tecnici, educatori e responsabili religiosi – per far fronte alle sfide dello
sviluppo del mondo digitale, e in particolare ai rischi che presentano per
166
i minori, per la loro integrità e la loro crescita umana e spirituale (abusi
online, pornografia ecc.). Papa Francesco ha detto che bisogna «trovare
un bilancio adeguato fra l’esercizio legittimo della libertà di espressione
e l’interesse sociale ad assicurare che i mezzi digitali non siano utilizzati
per commettere attività criminose a danno dei minori»; ha fatto un
forte appello alla responsabilità delle grandi aziende del mondo digita-
le, alla creatività degli ingegneri informatici per sviluppare «algoritmi
etici», prevenendo le conseguenze negative sui navigatori della rete15.
Anche il Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, è intervenuto, a
chiusura del Convegno, per riaffermare l’impegno solidale della Santa
Sede e della Chiesa cattolica su un fronte di studio e di azione così
ampio e decisivo per le nuove generazioni e l’intera famiglia umana.
Insomma, la Chiesa continua a impegnarsi, sia al suo interno
per la sua purificazione, sia verso «l’esterno», in collaborazione con
tutte le persone e le istituzioni interessate al vero bene della gioven-
tù. È la strada giusta. E papa Francesco la guida con decisione e con
carisma. Al di là della sofferenza e dell’oscurità degli scandali e della
presenza del male, la Chiesa ritrova lo slancio nella sua missione.

15. Testo del discorso in Oss. Rom., 15 novembre 2019. Ricordiamo anche il
precedente ampio discorso del Papa sul tema della protezione dei minori nel mondo
digitale, pronunciato il 6 ottobre 2017. Sul tema degli «algoritmi etici», cfr anche A.
Spadaro - P. Twomey, «Intelligenza artificiale e giustizia sociale. Una sfida per la
Chiesa», pubblicato in questo stesso fascicolo.
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

Damian Howard S.I.

Introduzione

Il 4 febbraio 2019, durante la visita apostolica di papa France-


sco negli Emirati Arabi Uniti, il Pontefice e il Grande imam di al-
Azhar hanno firmato insieme un documento dal titolo Fratellanza 167
umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Salutato come
un importante passo avanti nei rapporti tra la Chiesa cattolica e il
mondo musulmano, il documento propone «la riconciliazione e la
fratellanza fra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e
tra tutte le persone di buona volontà» e delinea i princìpi che con-
tribuiranno a ottenere questa riconciliazione.
Dalla promozione del dialogo interreligioso dovrebbe giungere
un importante contributo a tale processo. Afferma il documento: «Il
dialogo, la comprensione, la diffusione della cultura della tolleran-
za, dell’accettazione dell’altro e della convivenza tra gli esseri umani
contribuirebbero notevolmente a ridurre molti problemi economi-
ci, sociali, politici e ambientali che assediano grande parte del ge-
nere umano. Il dialogo tra i credenti significa incontrarsi nell’ampio
spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni, e investire ciò
nella diffusione delle più alte virtù morali, sollecitate dalle religioni;
significa anche evitare le inutili discussioni»1.
Un simile appello alle potenzialità del dialogo è soltanto una
pia aspirazione, o questa via potrebbe davvero essere innovativa?
Le riflessioni che seguono scaturiscono dall’esperienza «sul campo»
riguardo a quello che, nella pratica, potrebbe costituire un aiuto

1. Cfr Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza


comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019.

© La Civiltà Cattolica 2020 I 167-180 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


VITA DELLA CHIESA

efficace per migliorare il dialogo in corso, per le sfide che affronta e


per superare gli ostacoli che si frappongono. Infatti, anche se sareb-
be sbagliato affermare che nel mondo moderno il rapporto normale
tra musulmani e cristiani è il conflitto, di certo non possiamo in
alcun modo essere soddisfatti di come attualmente si svolgono le
reciproche relazioni. Anche se saremmo in grado di far fronte co-
mune in ogni parte del mondo per promuovere la pace e la giustizia
e per dare testimonianza della nostra fede in Dio, spesso invece ci
ignoriamo l’un l’altro, perpetuiamo gli stereotipi negativi, e in alcu-
ni casi adottiamo a vicenda un trattamento ingiusto.

La sfida del dialogo


168
Non tutto ciò che viene presentato come dialogo lo è davvero.
Per «dialogo» non si possono intendere due monologhi che casual-
mente si svolgono nella stessa stanza. Il dialogo non è dawa, non è
proselitismo. Ovviamente sia i cristiani sia i musulmani avvertono
un impulso missionario e desiderano trasformare il mondo in un
luogo dove tutti condividano la stessa fede nell’unico vero Dio. Ma
l’obiettivo del dialogo non è la conversione dell’altro. Nella cornice
dialogica io devo ascoltare le credenze altrui. So che la mia religio-
ne mi dà modo non soltanto di parlare con coloro che hanno deciso
di non condividerla, ma anche di ascoltare con attenzione ciò che a
loro volta essi hanno da dire.
Il dialogo non segue il percorso apologetico di chi cerca co-
stantemente di dimostrare che la sua posizione è quella giusta o
di salvare comunque la faccia. Per quanto sia naturale che tutti
cerchiamo di presentare le nostre credenze come razionalmente
giustificabili, d’altra parte in un mondo così complesso come il
nostro ci sono molti modi di essere razionali. Le nostre tradizio-
ni sono vive e dinamiche, non fossilizzate e statiche; dobbiamo
dedicare uno sforzo costante a rinnovarle e a ravvivarle. Anche il
dialogo, nella sua espressione più alta, può contribuire a tale pro-
cesso, ampliando l’orizzonte delle esperienze e delle prospettive e
consentendoci quindi di fare tesoro di quanto apprendiamo dagli
altri per essere creativamente fedeli alla rivelazione che abbiamo
ricevuto.
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

Il dialogo è un atto di comunicazione. In quanto tale, ciò che


dice una parte va recepito dall’altra, altrimenti entrambe hanno
fallito. Ciò significa che il dialogo richiede abilità e attenzione sia
nella fase di ascolto sia in quella di esposizione. Un atteggiamen-
to di ascolto attivo non ci è naturale: richiede un apprendimento
paziente. Il vero ascolto è un impegno faticoso. Significa prestare
piena attenzione a ciò che l’altro sta cercando di comunicare e, nel
frattempo, sospendere ogni tentativo di replica. Significa concedere
il beneficio del dubbio a colui che stiamo ascoltando, presumerne
la sincerità e la coerenza, anche nel caso in cui, con rammarico,
dovessimo poi concludere che tali qualità erano assenti. Significa
stare ad ascoltare l’interlocutore mentre espone punti di vista – sulla
religione e su altre materie – riguardo ai quali siamo in disaccordo;
169
e tuttavia lo facciamo con pazienza e con serenità, fiduciosi che alla
fine vincerà la verità, perché essa è forte e potente di per sé, dato
che Dio è verità.

ASCOLTARE ATTENTAMENTE SENZA CERCARE


CONTINUAMENTE DI CORREGGERE GLI ALTRI.

Un ascolto di questo genere richiede che sappiamo mantenere


un delicato equilibrio. Significa, da un lato, che io devo essere ab-
bastanza aperto agli altri, in modo da ascoltare senza cercare conti-
nuamente di correggerli (o quantomeno di opporre le mie opinioni
alle loro); e, dall’altro lato, che devo assicurarmi che quanto l’interlo-
cutore sta dicendo mi giunga con un significato comprensibile. Se
a un certo punto mi mettessi in una posizione relativistica («ciò che
dicono ha un significato per loro, ma non per me»), avrei rinunciato
al vero ascolto e avrei consegnato l’altrui alterità all’insignificanza.
Invece, devo farmi carico della verità che gli altri percepiscono.
Pensiamo di poter affermare che una persona di preghiera do-
vrebbe avere ben sviluppato in sé un ascolto di questo tipo. Se io
sono una persona di preghiera, ascolto Dio con pazienza (sebbene
non con una pazienza così grande come quella che Dio ha con me),
anche se la sua parola non mi è sempre immediatamente compren-
VITA DELLA CHIESA

sibile. Ho fiducia nel fatto che quanto oggi mi lascia confuso, un


giorno schiuderà un’epifania di limpida verità.
Nel nostro ascoltare dobbiamo raggiungere un ulteriore equili-
brio, relativo a quella certa libertà interiore di cui tutti abbiamo bi-
sogno riguardo alla nostra identità. È difficile lasciare che l’altro sia
quello che è piuttosto che quello che vorremmo che fosse. Quando
ascoltiamo, possiamo distinguere in noi l’azione di due desideri di-
sordinati. Da una parte, potremmo voler stabilire opposizioni polari
tra noi e l’altro, facendo apparente chiarezza su ciò che ci rende
diversi da lui; in questo caso, ci mettiamo alla ricerca costante di
ciò che, essenziale per noi, a lui manca. Così si finisce per fare af-
fermazioni riduzionistiche, semplificazioni generiche: «Il problema
tra islam e cristianesimo è...». Dall’altra parte, potremmo cercare
170
di ridurre l’altro alla nostra posizione, negandogli la possibilità di
affermare qualcosa di peculiare. A rischio di cadere a nostra volta
in una semplificazione eccessiva, vorremmo associare la prima ten-
denza ai cristiani e la seconda ai musulmani.
Se non ho ancora capito a quale paradigma si sta riferendo il mio
interlocutore, lo fraintenderò, forse ricorrendo anche all’accusa di
irrazionalità. Un esempio grossolano è il supporre, come facevano
alcuni cristiani in passato, che nell’islam Maometto debba svolgere
una funzione simile a quella che svolge Gesù Cristo nel cristia-
nesimo. L’epiteto «maomettano» attesta l’assurdità di questo tipo di
errore. Un esempio nella direzione opposta, che si pone a un livel-
lo concettuale leggermente superiore, è la critica che i musulmani
hanno riservato alla dottrina cristiana sulla Trinità. Intendiamoci:
non stiamo suggerendo che il dialogo ci imponga di assentire alle
dottrine di un’altra religione; affermiamo piuttosto che l’ascolto se-
rio ci obbliga ad approfondire in che modo esse riescano a convin-
cere persone sagge e intelligenti. A tal fine è necessario sondare in
profondità la logica che sta dietro a un paradigma diverso dal no-
stro. Non dobbiamo trarre la conclusione che l’altro è irrazionale. Se
proprio non possiamo farne a meno, dovremmo farlo a malincuore,
e soltanto al termine del confronto.
Il punto di svolta avviene quando qualcosa che l’altro dice mi
fa capire improvvisamente che dietro il suo modo di pensare sta
operando un altro paradigma, del tutto diverso dal mio, ma che
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

in realtà rivela profondi elementi in comune con il mio. Fin quan-


do ciò non accade, restiamo imprigionati nel nostro paradigma; il
meglio che sappiamo fare è cercare di adattare quello che sentiamo
alle nostre strutture di pensiero. Quando invece avviene la svolta,
improvvisamente ci investe un’ondata di significato che dà senso a
tutto ciò che l’altro ha cercato di comunicare.
Facciamo un esempio concreto di questi diversi paradigmi in
azione. Molti cristiani moderni trovano quasi impossibile capire
perché i musulmani insistano tanto nell’affermare che il Corano è
di pura origine divina e che l’iniziativa o la paternità che lo hanno
generato non sono affatto umane. Essi dicono: «Questo è fonda-
mentalismo!». Eppure la teologia cristiana si è impegnata a fondo su
una linea non dissimile riguardo alla grazia che apporta la salvezza.
171
In effetti, è eretico affermare che gli esseri umani possano prendere
l’iniziativa riguardo alla loro giustificazione agli occhi di Dio: anche
il desiderio stesso della salvezza, infatti, è già un effetto della grazia.
Musulmani e cristiani possono avere un punto di vista diverso
sulla fonte dei loro libri sacri e sul concetto dell’integrità della natu-
ra umana, ma sia gli uni sia gli altri tendono un «cordone sanitario»
attorno al posto che l’azione di Dio occupa nel porre rimedio alle
carenze della condizione umana. Una volta che si coglie la differen-
za di paradigma, emerge una sorprendente comunanza, indubbia-
mente benefica per comprendersi a fondo.
In questo spirito, può essere interessante conoscere come il
«dialogo» si inserisca nel più ampio contesto di ogni religione. Se
indaghiamo la questione nel cattolicesimo contemporaneo, ci ren-
deremo conto di entrare nel regno di un dibattito particolarmente
vivace. Scopriamo con una certa sorpresa che per i cattolici il dialo-
go non è un fatto meramente strumentale, un mezzo per raggiun-
gere un fine – anche se esso ha i suoi fini –, ma piuttosto manifesta
qualcosa di essenziale del rapporto degli esseri umani con Dio, e
anche con la stessa vita trinitaria di Dio. Il dialogo è un evento reli-
gioso e spirituale, un accesso alla forza della Parola creativa di Dio,
sempre presente attraverso lo Spirito Santo nella vita della Chiesa
e anche oltre. Il dialogo può aver luogo quando questo Spirito che
dà la vita è presente e attivo in entrambi gli interlocutori. Questo
è il vero motivo per cui ognuno può imparare dall’altro. E questo
VITA DELLA CHIESA

spiega perché per i cattolici il «dialogo» non sia e non possa essere
un atto di proselitismo sotto altra forma.
Un’ulteriore complessità deriva dal fatto che, se devo essere ef-
ficace nel dialogo, non mi basta padroneggiare l’arte dell’ascolto,
ma devo impegnarmi anche nel mio modo di comunicare, inqua-
drando ciò che dico in maniera tale da renderlo accessibile all’altro,
che non ha ancora capito come in quanto sto dicendo sia attivo un
paradigma diverso dal suo.

Comunicazioni moderne

I buoni rapporti tra musulmani e cristiani oggi vengono mes-


si a repentaglio dall’evoluzione dei social media. È particolarmen-
172
te dannoso il modo in cui i personaggi deliberatamente distrutti-
vi rie­scono a sfruttare il potere dei media per incitare all’odio. Un
pastore sconosciuto brucia, da qualche parte, un testo sacro e posta
un video di quel suo atto criminoso su un sito web. Per chi non sa
nulla del contesto politico o religioso in cui è avvenuto quel delitto,
è facile desumere, senza mezzi termini, che i cristiani in generale
hanno compiuto un chiaro atto di blasfemia.

I RAPPORTI TRA MUSULMANI E CRISTIANI VENGONO


MESSI A REPENTAGLIO DAI SOCIAL MEDIA.

Un altro esempio: non molto tempo fa, nell’East End di Londra


abbiamo assistito all’operato di estremisti di destra che insultavano i
fedeli musulmani fuori dalle loro moschee e che si autodefinivano
«vigilanti cristiani». Si tratta di terribili distorsioni della realtà, che
trovano diffusione e provocano danni in tutto il mondo. La promo-
zione del dialogo implica che tutti noi affrontiamo strategie delibe-
rate di travisamento e correggiamo coloro che si trovano coinvolti,
anche inconsapevolmente, in questa isteria artefatta.
Un altro problema riguarda la condizione attuale dell’autorità
religiosa. Le dinamiche della modernità hanno inferto un duro
colpo alla credibilità delle sue strutture tradizionali. Oggi il primo
porto a cui approdano le tante persone che vogliono approfondire la
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

conoscenza della loro fede è internet. Questa abbonda di sedicenti


«esperti», capaci di convincere i giovani che soltanto loro posseggo-
no l’interpretazione autentica della religione, anche quando, nella
migliore delle ipotesi, ne offrono un quadro parziale e in alcuni casi
profondamente distorto dalle invettive e dalle falsità che vi sono
mescolate.
Se ciò avviene per il cristianesimo e anche per l’islam, è ancora
più vero per quanto concerne la rappresentazione che viene data
delle loro reciproche relazioni. Forse a causa del loro apparente ano-
nimato le piattaforme dei social media sono particolarmente inclini
a coltivare il disprezzo, il risentimento e la denigrazione. Oltre a
diffondere bugie e stereotipi, i contenuti polemici e animati dall’o-
dio hanno l’effetto di banalizzare e di svilire il dialogo per tutti. Ci
173
è capitato di vederci proporre, da parte di studenti, le loro disserta-
zioni accademiche per replicare a discorsi polemici di nessun valore.
I loro orizzonti intellettuali si erano così ristretti da considerare del
tutto normali le teorie cospirative, i pensieri distorti e le letture for-
zate della storia e dei testi.
Riguardo ai mezzi di comunicazione, si pone un’ulteriore que-
stione, molto seria: quale credito dare alle fonti. Chi è in grado di
fornire informazioni autorevoli e di buona qualità a quanti ne sono
in cerca? Dov’è, per esempio, che un laico benintenzionato può
rintracciare la verità sul cattolicesimo, sull’islam, sull’insegnamen-
to della Chiesa riguardo all’islam e via dicendo? Ai cattolici non
mancano i documenti ufficiali: le encicliche papali, il catechismo, i
documenti del Concilio Vaticano II e delle Conferenze episcopali
ecc. Sono tutti strumenti preziosi, certo, ma non l’ideale sotto il
profilo dell’apprendimento della religione. I musulmani si trovano
di fronte allo stesso problema, con l’ulteriore difficoltà che per loro
non c’è un’autorità universale che possa farsi portavoce di tutti i
seguaci dell’islamismo.

Settarismo e diversità

Il dialogo, se vuole essere veramente utile a tutti, ci impone di


essere sinceri su quanto le nostre comunità religiose siano lacerate e
divise. Dobbiamo compiere almeno un passo in direzione dell’ecu-
VITA DELLA CHIESA

menismo. Per molti di noi questo non avviene spontaneamente. Le


divergenze settarie possono indurre a prese di posizione aspre e ri-
sentite, che invece per lo più sono assenti nei rapporti interreligiosi;
pertanto, questa difficoltà non va sottovalutata. A nessuno piace at-
tirare l’attenzione sulle divisioni, siano esse tra cattolici e protestanti
o tra sunniti e sciiti. Tendiamo a guardarle con preoccupazione,
scorgendovi il sintomo di un fallimento.
Potremmo essere tentati di considerare la posizione teologica a
cui sinceramente aderiamo come l’unica fondamentale e autentica,
e in effetti non di rado chi s’impegna nel dialogo fa proprio così. Ma
non possiamo permetterci di parlare come se rappresentassimo la
totalità della nostra comunità religiosa. Questo non soltanto è fuor-
viante, ma mette anche a rischio la nostra credibilità. Chi si trova
174
al di fuori ha il diritto di sapere che ci sono diversi punti di vista e
differenti tradizioni interpretative.
Anche nell’ambito delle nostre tradizioni, questo non è sempre
facile. Ovviamente c’è una grande diversità all’interno dell’islam
sunnita, come pure all’interno della Chiesa cattolica. Tale diver-
sità emerge anche nella varietà dei modi in cui valutiamo le altre
religioni: alcuni cattolici le vedono come strumenti con cui Dio si
rivolge ai non cristiani, mentre altri le considerano, nella miglio-
re delle ipotesi, tradizioni irrilevanti rispetto al piano di salvezza
di Dio. La Santa Sede fa da garante della legittima diversità nella
Chiesa, preoccupandosi di chiarire esplicitamente quando una de-
terminata posizione in materia dottrinale o morale abbia trasceso i
confini di ciò che è accettabile. Anche in questo caso, la distinzione
teologica può risultare molto sottile.
Occorre anche evitare quelle generalizzazioni inappropriate che
danneggiano il nostro dialogo, addossando all’intera comunità col-
pe che in realtà andrebbero attribuite a un piccolo gruppo o addi-
rittura a un singolo individuo. Non sottolineeremo mai abbastanza
quanto sia importante far vedere ai cristiani il mondo musulmano in
tutta la sua diversità, sia quella legittima sia quella illegittima. Que-
sto è un elemento fondamentale della lotta contro una concezione
dell’islam come sinonimo di violenza, divulgata maliziosamente a
un pubblico ignorante. Quando i cristiani vengono perseguitati in
alcuni Paesi – di solito accade altrettanto ad alcune categorie di
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

musulmani – è facile interpretare questa vessazione come «i mu-


sulmani attaccano i cristiani» e generalizzare l’accaduto, come se
rappresentasse in generale l’ostilità musulmana verso i cristiani. In
quei casi, le fotografie e le notizie che mostrano musulmani intenti
a solidarizzare con i loro vicini cristiani fanno un bene straordina-
rio, smentendo le false generalizzazioni.
La comprensibile preoccupazione, da parte dei musulmani, di
presentare il loro mondo come un tutt’uno ha lasciato uno spazio
sempre più ampio alla necessità di superare le generalizzazioni sem-
plicistiche, e spesso errate, divulgate dai media e dalle lobby politi-
che faziose. Crediamo che uno dei concreti progressi compiuti dal
dialogo degli ultimi 20 anni in un Paese come il Regno Unito sia
stato il fatto che i musulmani oggi si sentono molto più a loro agio
175
nel discutere le proprie differenze interne di quanto non lo fossero
un tempo. Ciò si deve, in parte, a una maggiore attenzione dell’opi-
nione pubblica e, di conseguenza, a una maggiore consapevolezza e
a una conoscenza più approfondita dell’islam.

Le esigenze del contesto

Ogni incontro tra esseri umani possiede una dignità. Tra i suoi
connotati c’è l’esigenza che non resti indebitamente condizionato
dall’intrusione di fattori contestuali provenienti da altre situazioni.
Si tratta, ancora una volta, di una sfida nell’era dei social media, in
cui le peculiarità di un contesto molto lontano possono essere fatte
rimbalzare su un altro in maniera dirompente. È difficile resistere a
questa tentazione nei casi in cui vengono compiute ingiustizie, op-
pressioni e persecuzioni. Possono levarsi voci insistenti sul fatto che
«noi» non possiamo trattare «loro» con equità nel nostro contesto,
se «loro» non trattano giustamente «noi» nel loro contesto. Portare
questo principio alle sue logiche conclusioni avrebbe conseguenze
perverse: verrebbero adottate universalmente le peggiori pratiche
del mondo. Il dialogo ci richiede di vigilare sul rispetto della digni-
tà in ogni contesto.
Ne consegue che il dialogo islamo-cristiano nel Regno Unito
sarà diverso da quello che deve avvenire in Giordania, in Pakistan,
in Nigeria, o anche in altri contesti che potrebbero apparire piutto-
VITA DELLA CHIESA

sto simili, come per esempio quello degli Stati Uniti. E ciò implica
che chi deve praticare tale dialogo deve avere familiarità con le ca-
ratteristiche e le esigenze del contesto locale.
Questa attenzione al contesto deve portare anche ad apprezzare
l’azione che Dio ha compiuto in un determinato luogo. Dio è sem-
pre all’opera all’interno delle culture e delle società. La sua Parola
pone interrogativi e dà risposte, sfida e afferma, ammonisce e per-
dona. La teologia cattolica parla di «inculturazione», sottolineando
come il Vangelo sia una realtà viva, che entra e trasforma la cultura
umana dal di dentro, assumendo il frutto dell’opera di Dio già esi-
stente e risanando quanto è stato rovinato dal peccato. Anche i mu-
sulmani possono pensare al modo in cui la Parola di Dio, espressa
pure in quelle che per loro sono rivelazioni abrogate, ha plasmato
176
culture in tutto il mondo, con il risultato che esse oggi riescono a
offrire uno spazio di ospitalità spirituale alla fede musulmana anche
in Paesi dove la sua presenza è storicamente marginale2.
La giusta attenzione a un contesto specifico ci impone di chie-
derci non soltanto che cosa stia operando lo Spirito di Dio, ma an-
che quali siano gli scopi perseguiti dallo spirito maligno. Per questo
sono necessari saggezza e discernimento: la prima impressione può
essere fuorviante. Per esempio, a uno straniero – e anche a noi, che
nei nostri Paesi ci viviamo – la cultura occidentale contemporanea
può sembrare anarchica, sprezzante di ogni legge. È così perché
le trasgressioni morali clamorose esercitano un enorme influsso
sull’immaginazione. Di conseguenza, la nostra predicazione si tra-
duce in un attacco a tutto campo contro i mali della depravazione e
del libertinaggio. Tuttavia una conoscenza più profonda e più accu-
rata della cultura occidentale rivela che essa, lungi dall’essere senza
legge, è vincolata in modo disordinato a una certa concezione della
«legge-come-regola»3.
Gli occidentali moderni hanno una fiducia quasi messianica
nell’idea che un corpo normativo messo a punto correttamente li
proteggerà da ogni catastrofe, sia essa di natura medica, finanziaria

2. Cfr T. J. Winter, British Muslim Identity. Past, problems, prospects, Lon-


don, The Muslim Academic Trust, 2003.
3. Cfr Ch. Taylor, A Secular Age, London, Belknap, 2007, 738 (in it. L’ età
secolare, Milano, Feltrinelli, 2009).
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

o agricola. Lo dimostra la cultura delle «caselle da spuntare» e della


costante riforma burocratica. A questo proposito, una predicazione
efficace non dovrebbe indugiare sulla presunta necessità di un le-
galismo ancor più accentuato, ma piuttosto suscitare nelle persone
una fame di verità e di bontà, di sincerità e di autenticità, ossia di
realtà che non si possono regolare o valutare quantitativamente. Il
dialogo si adegua.
Andando oltre, il nostro dialogo dovrebbe essere improntato
alla seguente domanda: «Che cosa stiamo cercando di realizzare
nel nostro dialogo in questo caso particolare?». Il dialogo non può
essere fluttuante, serve un ordine del giorno. Se la pensiamo di-
versamente, stiamo rifiutando di riconoscere che cosa è un’agenda.
Alcuni cristiani possono cadere nel trabocchetto di ritenere che il
177
dialogo vada accettato quasi come un obiettivo in sé. Essi dovreb-
bero ricordare che un dialogo si dà sempre in quanto è legato alla
missione più ampia della Chiesa, messa al servizio del disegno di
Dio riguardo al mondo. Solo quando riflettiamo con onestà e chia-
rezza su ciò, potremo rispondere alle domande sul metodo da adot-
tare, sui quesiti da affrontare e sulle parti da coinvolgere, ovvero su
questioni che a volte nemmeno vengono poste.
Gli accademici impegnati nel dialogo devono affrontare una
sfida specifica riguardo alla loro motivazione. Loro malgrado, spes-
so si trovano impegnati in un dialogo per quelle che dovrebbero
essere ragioni secondarie e che invece, se viene loro attribuito un
ruolo predominante, possono portare ad ambiguità. Essi devono
fare un esame di coscienza: hanno avviato il dialogo per accrescere
il prestigio, a livello personale o per l’istituzione che rappresentano?
Per attirare finanziamenti? O per servire il bene comune? Gli ac-
cademici non possono sottrarsi totalmente a tali considerazioni più
ambigue: devono invece affrontarle onestamente, affinché esse non
rovinino i loro sforzi. Altre «agende nascoste» possono contenere
il sostegno di interessi di potere – religiosi o di altro tipo –, oppu-
re perseguire obiettivi onesti e lodevoli, come la promozione della
coe­sione sociale.
In definitiva, è necessario che purifichiamo le nostre inten-
zioni. Cristiani e musulmani si sono da tempo impegnati nell’a-
nalisi approfondita dell’intenzione di chi crede, e devono farne
VITA DELLA CHIESA

una pratica particolarmente intensa nelle reciproche relazioni. I


nostri maestri spirituali ci ricordano che nel cuore umano, sotto
una nobile apparenza, si nasconde molta finzione. Se lo chieda-
no il missionario o il da’i, che si adoperano instancabilmente per
portare la gente alla loro fede: a spingerli è davvero un amore
sincero degli altri e della loro salvezza? O di fatto a motivarli è
la paura, oppure il desiderio di cancellare l’alterità e di rendere
l’altro uguale a sé? Anche in questo campo è necessaria una ri-
gorosa disciplina spirituale.

Estendere il dialogo a livello popolare

A causa del nostro lavoro, ci siamo trovati a insegnare, in


178
un ambiente universitario, a cristiani e musulmani le caratteri-
stiche degli uni e degli altri e a riflettere sulle relazioni tra loro
nel contesto europeo. È sempre sorprendente che questo tipo di
istruzione dia la maggior parte dei suoi frutti – anche nel settore
terziario – nel primo incontro tra i due gruppi. I cristiani, nu-
triti con una dieta di disinformazione allarmistica sull’islam, si
stupiscono nello scoprire che la stragrande maggioranza dei mu-
sulmani ha una radicata avversione nei confronti del terrorismo.
I musulmani, che spesso hanno sentito commenti denigratori
circa la decadenza in cui il cristianesimo sarebbe in apparenza
caduto, restano sorpresi di trovare la Chiesa molto viva e tuttora
capace di offrire un’importante riflessione sulle questioni sociali
e politiche4.
Una delle nostre sfide di oggi, dunque, è come diffondere
il dialogo responsabilizzando le persone affinché apprendano e
cambino il loro atteggiamento. Infatti, il dialogo non deve esse-
re una questione elitaria, tra persone di ceto medio e istruite, ma
dovrebbe raggiungere anche la base. Una via relativamente sem-
plice per riuscirci è una solida istruzione degli adulti. Ci sono
alcune persone che operano a questo livello, con sforzi che si

4. Ciò non vuol dire che le due religioni abbiano davanti sfide simmetriche:
per quanto la sofisticata Europa moderna abbia coltivato a lungo una repulsione per
il cristianesimo, questa non può uguagliare l’estensione dell’islamofobia che com-
promette la comprensione dell’islam.
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

possono definire «eroici», dando corsi sull’islam nelle parrocchie


e nelle sinagoghe, e in questo modo influiscono sul processo di
un concreto cambiamento culturale. La loro esperienza sugge-
risce che quello dei cristiani che insegnano ad altri cristiani ri-
guardo all’islam è un modo efficace per fornire tale istruzione, a
patto che il docente cristiano in questione abbia una conoscenza
sufficiente, sia corretto e conduca il gruppo a un vero incontro
con i musulmani.
Si tratta comunque di un incontro parziale, perché un mu-
sulmano, nel presentare la propria religione, avrebbe sempre il
problema di dover negoziare la differenza tra esposizione e dawa.
Ma lo è anche perché un cristiano competente spesso gestisce
meglio il complesso problema ermeneutico dei paradigmi con-
179
trastanti, di cui abbiamo parlato in precedenza. Questa istruzione
degli adulti non solo è molto richiesta, ma quasi subito fruttuosa
nel promuovere una migliore comprensione, e persino empatia.
Per esempio, si è riscontrato parecchie volte che l’istruzione fon-
damentale sulla diversità islamica, concentrandosi sulle origini
storiche delle comunità musulmane nel Regno Unito a partire
dall’esperienza coloniale nell’Asia meridionale, cambia radical-
mente la percezione in positivo.
Il dialogo faccia a faccia è importante. Ma può sembrare arti-
ficioso e anche sterile se si concentra esclusivamente su questioni
di fede e di pratica religiosa. Non è un esercizio naturale e nem-
meno una priorità storicamente abituale nelle nostre religioni.
Non sorprende, quindi, che sempre più in tutto il mondo esso
risulti migliorato dal lavoro svolto fianco a fianco, in particolare
in progetti sociali a livello locale. Questo è strettamente collegato
con la natura stessa del rispetto: non stimo l’altro per le credenze
che sostiene, ma per come conduce la sua vita, animata dalla sua
fede. Lavorare accanto a chi è mosso dal suo amore verso Dio
suscita ammirazione e stima. È allora che io posso interessarmi al
rapporto tra la sua fede e la sua vita.
In questa reciproca edificazione, la stima può costruirsi sull’ami-
cizia e sulla fiducia. Così entriamo nel territorio di qualcosa di nuo-
vo che Dio stesso sta operando. Il dia del dialogo ci ha fatto superare
le vecchie categorie e ha forgiato un nuovo «noi». Questo, forse, è
VITA DELLA CHIESA

il dialogo nella sua forma più alta e più bella. Un dialogo che si fa
veramente dono per coloro ai quali è stato concesso5.

Conclusioni

Nello scrivere queste riflessioni, abbiamo fatto ricorso ai termi-


ni «equilibrio» e «disciplina». Intendevamo così ribadire una nostra
convinzione profondamente radicata, secondo la quale il dialogo
non dev’essere colonizzato dalle agenzie laiche, che lo strumenta-
lizzerebbero per i loro motivi specifici, ma dev’essere innanzitutto
una questione spirituale, religiosa, e in definitiva un incontro tra
esseri umani desiderosi di crescere come ascoltatori della Parola di
Dio, cercando di dare un senso a ciò che Dio stesso chiede loro di
180
fare nel contesto in cui vivono.
Il dialogo proporrà esigenze concrete a tutte le persone coinvol-
te, ma le riporterà al contempo nel cuore stesso del loro percorso re-
ligioso e spirituale. Con la grazia di Dio, esse scopriranno di essere
compagni di cammino e potranno pregare affinché questo spirito
di fratellanza che condividono si riveli contagioso e trasformi il no-
stro mondo in un luogo di solidarietà e di riconciliazione.

5. Cfr lo studio accurato di A. Ilgit, La disabilità come luogo di dialogo isla-


mo-cristiano, Trapani, il Pozzo di Giacobbe, 2018.
AUGUSTO DEL NOCE
E IL CATTOLICESIMO CLERICALE
Giandomenico Mucci S.I.

Macrobio era uno scrittore la- del marxismo come filosofia, de-
tino del V secolo dopo Cristo, au- finì l’irreligione occidentale come
tore, tra l’altro, dei Saturnalia, dia- «libertinismo di massa», lesse la
loghi del genere simposiaco che secolarizzazione e il nichilismo
fiorivano nei banchetti su temi di della società del benessere come 181
varia occasionalità. In questa rac- espressione della decomposizione
colta si legge che Pollione, dileg- dal marxismo, associata a un ma-
giato impudicamente da Augusto, terialismo estremo, senza temere il
risponde: «Ma io taccio, perché Partito comunista che allora era in
non è facile scrivere contro chi può Italia numericamente forte e cultu-
mettere al bando» (At ego taceo, non ralmente egemone. Criticò la posi-
est enim facile in eum scribere qui po- zione di quanti volevano l’Europa
test proscribere1). L’autorità che mi- priva delle sue origini giudaiche
naccia sanzioni relega a un silenzio e cristiane e auspicò una presenza
inviolabile. cattolica in politica che conducesse
La risposta di Pollione non sa- alla «restaurazione dell’umano»2.
rebbe mai venuta in mente ad Au- Una recente pubblicazione3
gusto Del Noce (1910-89), acuto mette bene in luce che la posizione
studioso delle dottrine politiche, filosofico-politica di Del Noce era
della modernità e del suo rappor- finalizzata all’abbandono del cleri-
to con il cristianesimo. Egli pre- calismo, perché, a suo giudizio, il
vide l’imminente «suicidio» dell’e- cattolicesimo clericale accettava la
sperienza totalitaria e il fallimento libertà non come valore in sé, ma

1. Macrobio, Saturnalia, II, 4, 21. Cfr N. Irti, «Schmitt, il primo gattopardo», in


Corriere della Sera, 24 marzo 2006, 49.
2. G. Santambrogio, «Cristiani attivi ma non clericali», in Il Sole 24 Ore, 11 agosto
2019, 27.
3. Cfr L. Del Pozzo, Filosofia cristiana e politica in Augusto Del Noce, Roma, I libri
del Borghese, 2019.

© La Civiltà Cattolica 2020 I 181-185 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


NOTE E COMMENTI

soltanto come strumento per rag- di una struttura storica ormai tra-
giungere determinati obiettivi. Da montata. Ogni epoca nuova esige
qui due derive negative per la Chie- strumenti nuovi di intelligenza. Se
sa. La prima la condurrebbe verso il progressista commette l’errore di
un «cattolicesimo assolutistico o criticare il passato giudicandolo in
reazionario», come fu quello che base a premesse storiche presenti, il
apparentò la Chiesa con la nobiltà conservatore commette l’errore di
e, successivamente, con la piccola criticare il presente in base a pre-
borghesia. La seconda condurrebbe messe storiche superate.
la Chiesa a un «cattolicesimo ma- Sia il cattolicesimo assoluti-
chiavellico», volto a creare «allean- stico e reazionario sia quello ma-
ze con forze che devono servire da chiavellico, per usare le formule
strumento per abbattere altre forze di Del Noce, sono estranei all’au-
182
non cristiane». Entrambi i cattoli- tocoscienza della Chiesa. Dicia-
cesimi condurrebbero a successi sul mo «autocoscienza» per intendere
piano pratico, ma alla lunga inari- l’intuizione che la Chiesa ha di se
direbbero la fede ed esporrebbero la stessa, dell’origine divina della sua
Chiesa a subire il relativismo del- esistenza, della purità della sua dot-
la modernità, perdendo la sua in- trina evangelica, conservata incor-
fluenza propria e rendendosi da sola rotta lungo i secoli.
emarginata. Questa intuizione non ha esclu-
A questo punto, Del Noce so che nei secoli molti dei suoi figli,
suggeriva alla Chiesa di liberar- di ogni grado e dignità, si siano
si dall’ascetismo astorico e di fare comportati, in privato e in pubbli-
esperienza del soprannaturale ca- co, in maniera anche gravemente
landosi nella storia, sapendo che difforme dalle esigenze e dallo stile
anche all’interno della modernità del Vangelo. «Anche in questo no-
esiste un pensiero religioso. stro tempo sa bene la Chiesa quanto
Il cattolicesimo clericale ha il distanti siano tra loro il messaggio
pregio di possedere cultura ed eru- che essa reca e l’umana debolezza
dizione, ma dimentica che anche di coloro cui è affidato il Vange-
questi valori hanno un limite in lo. Qualunque sia il giudizio che
ordine alla comprensione dei tem- la storia dà di tali difetti, noi dob-
pi, quando restano ancorati a pre- biamo esserne consapevoli e com-
messe storiche non più operanti. La batterli con forza». A questo fine, la
conservazione perde il suo pregio Chiesa confida innanzitutto sulla
quando i suoi valori fanno parte grazia, ma anche «sa bene quanto
AUGUSTO DEL NOCE E IL CATTOLICESIMO CLERICALE

essa stessa debba continuamente più forti, infatti, le cose che unisco-
maturare, in forza dell’esperienza no i fedeli che quelle che li divido-
dei secoli, nel modo di realizzare i no: ci sia unità nelle cose necessarie,
suoi rapporti con il mondo»4. libertà nelle cose dubbie e in tutto
E il Concilio Vaticano II, che carità»7. Da ciò dipende «il massi-
stiamo citando, prosegue: «La mo rispetto per la giusta libertà che
Chiesa può far tesoro, e lo fa, dello spetta a tutti nella città terrestre»8.
sviluppo della vita sociale umana, Questi testi del Magistero con-
non come se le mancasse qualcosa ciliare contengono la posizione del-
nella costituzione datale da Cristo, la Chiesa su cosa sia e debba essere
ma per conoscere questa più pro- il cattolicesimo autentico, la sua in-
fondamente, per meglio esprimerla carnazione nella storia e la sua aper-
e per adattarla con più successo ai tura alle conquiste della libertà.
183
nostri tempi», al punto che professa Quando, dunque, si sostiene il
che «molto giovamento le è venuto cosiddetto «cattolicesimo clericale»
e le può venire dalla stessa oppo- come fosse l’esperienza autentica
sizione di quanti la avversano o la della Chiesa, si confondono fenome-
perseguitano»5. ni storici, che vanno contestualizza-
Perciò la Chiesa «riconosce tut- ti, con la natura e il fine della Chiesa
to ciò che di buono si trova nel di- in quanto tale, che è un organismo
namismo sociale odierno e consi- che si sviluppa nel corso delle varie
dera con grande rispetto tutto ciò epoche e, fatti salvi i suoi fondamenti
che di vero, di buono e di giusto ad essa dati dalla Rivelazione divina,
si trova nelle istituzioni, pur così attinge liberamente dalla storia degli
diverse, che l’umanità si è creata e uomini concetti, prassi e istituti che
continua a crearsi»6. a quei fondamenti non si oppongo-
«Questo richiede che, innan- no. La Chiesa non è un museo qua-
zitutto nella stessa Chiesa, promo- le l’intende la mentalità reazionaria.
viamo la mutua stima, il rispetto Creatura dello Spirito, essa cammina
e la concordia, riconoscendo ogni per le vie degli uomini sotto la gui-
legittima diversità, per stabilire un da invisibile dello Spirito. Del Noce
dialogo sempre più profondo. Sono scriveva dopo il Vaticano II e certo

4. Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes (GS), n. 43.


5. GS 44.
6. GS 42.
7. GS 92.
8. Concilio Ecumenico Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 9.
NOTE E COMMENTI

aveva meditato sui testi ecclesiologici nel totalitarismo, il post-moderno


del Concilio. occidentalista ha il destino di ca-
dere nel suo opposto, nell’alimento
Del Noce e Fukuyama del sentimento del nulla». E «la li-
bertà di cui parla l’occidentalismo
Quando, negli anni Ottanta del della società opulenta, come regola
secolo scorso, scoppiò il caso dell’a- della vita sociale, non è già la libertà
mericano Francis Fukuyama, autore come ideale morale, ma una liber-
del saggio La fine della storia e l’ulti- tà cui corrisponde una proposta di
mo uomo, Del Noce non fu di quelli comportamento edonistico e utili-
che classificarono l’autore nel genere tario»9. In altre parole, il «libertini-
della letteratura profetico-apocalitti- smo di massa».
ca che oggi va di moda. Egli apprez- Negli stessi anni, Arturo Carlo
184
zò quel saggio come lettura realistica Jemolo vedeva la libertà, bandiera
della storia presente. Come lo stesso del vecchio liberalismo, minaccia-
Del Noce, anche Fukuyama parlava ta dall’egocentrismo e dall’egoismo
di fallimento del marxismo e non della libertà individuale e dichiarava
credeva al benessere generalizzato che la tolleranza non si può ridurre
che pareva garantito dal nuovo ca- a scetticismo o indifferentismo mo-
pitalismo. Nella società del mercato rale e che una società può sussistere
comune prevedeva il crollo su scala soltanto nel quadro di una morale
mondiale delle lotte ideologiche e comune, almeno nei grandi princìpi
prevedeva che esso avrebbe travolto che riguardano il rispetto della per-
ogni idealismo e segnato il trionfo sona. Senza dire dell’effetto distorto
del calcolo economico e dei proble- dalle scoperte tecniche e scientifi-
mi puramente tecnici. La fine della che, quando il loro uso si somma
storia era una formula che stava a si- con il soggettivismo morale10.
gnificare, in quella società, nei suoi
presupposti e nei suoi fini, l’esauri- Il filosofo cattolico
mento della civiltà occidentale.
Con due conseguenze. «Se il Come abbiamo detto, Del
marxismo, che si presentava come Noce auspicava la «restaurazione
l’acme della modernità, ha concluso dell’umano» per la salvezza dell’uo-

9. A. Del Noce, «Nichilismo destino dell’Occidente», in Il Tempo, 14 novembre


1989, 3.
10. Cfr S. Cotta, «Il liberalismo d’un cattolico», in Il Giornale, 18 dicembre 1991, 3.
AUGUSTO DEL NOCE E IL CATTOLICESIMO CLERICALE

mo diventato inconsapevole di Dio sua ostilità ad accettare lo sviluppo


e di se stesso, desideroso soltanto di della storia corrente e della sua in-
narcotizzarsi con questo o quel pia- fluenza sull’uomo concreto di oggi,
cere, evadendo, sfuggendo a quan- anche se credente, si sottrae al do-
to gli detta la profondità del suo vere dell’evangelizzazione e, anzi,
essere. Guardando dentro il com- se ne fa pratico oppositore.
posito panorama della modernità, La posta in gioco è altissima.
Del Noce vi scorgeva i segni o le Sedotto, da un lato, dall’antropo-
tracce del pensiero religioso, e da logia immanentistica e, dall’altro,
questo sguardo derivano sia l’esor- dall’orgoglio e dalla fiducia per i
tazione alla Chiesa a calarsi nel vivo successi della scienza, l’uomo d’og-
della storia sia la polemica contro il gi neppure capirebbe i valori di
cattolicesimo clericale. cui si fa portatore il cattolicesimo
185
Prima di lui, e in diverso conte- clericale, e vivrebbe senza apertu-
sto, Harvey Cox aveva espresso un re sulla speranza. Scriveva l’allora
giudizio analogo: «La teologia, se card. Ratzinger: «Gli uomini che
deve sopravvivere ed avere qualche vivranno in un mondo totalmente
senso per il mondo contempora- programmato vivranno una solitu-
neo, non deve né rimanere attacca- dine indicibile. Se avranno perduto
ta ad una concezione metafisica del completamente il senso di Dio, sen-
mondo, né decadere in un modello tiranno tutto l’orrore della loro po-
mitico, ma avanzare verso il lessico vertà. Ed essi scopriranno allora la
vivo dell’uomo secolare-urbano»11. piccola comunità dei credenti come
Salva la purità dell’intenzione, qualcosa di totalmente nuovo: lo
ossia la volontà di mantenere in- scopriranno come una speranza
corrotto il patrimonio della fede, per se stessi, la risposta che avevano
il cattolicesimo clericale, per la sempre cercato in segreto»12.

11. H. Cox, La città secolare, Firenze, Vallecchi, 1968, 251 s.


12. Il Foglio, 13-14 aprile 2019, 1.
ARTE MUSICA SPETTACOLO

«I DUE PAPI»,
UN FILM DI FERNANDO MEIRELLES
Marc Rastoin S.I.

Diventato noto al grande pub- Roma per sostenere la sua richiesta.


blico con il film La città di Dio nel Allo stesso tempo, Benedetto XVI,
2002, il regista brasiliano Fernando che era stato eletto papa nel prece-
Meirelles ama la trasposizione cine- dente conclave, medita su una deci-
186 matografica di opere letterarie. È ciò sione importante e senza precedenti:
che ultimamente ha fatto adattando, dimettersi dalla sua carica di vescovo
con l’aiuto dell’autore stesso, l’opera di Roma e ritirarsi ugualmente. Ed
teatrale The Pope di Anthony Mc- ecco che Jorge Bergoglio (Jonathan
Carten, autore pure de L’ anno dei due Pryce)3 e Joseph Ratzinger (Antho-
papi: Francesco, Benedetto e la rinuncia ny Hopkins) si incontrano e inizia-
che ha scosso il mondo1. no a discutere. È volutamente che i
I due papi è una fiction che ha cognomi qui sono necessari, poiché
come protagonisti gli ultimi due papi è innanzitutto dell’incontro di due
della Chiesa cattolica. Ma piuttosto uomini in carne e ossa che lo sceneg-
che realizzare un film facile sugli giatore intende parlarci. Ma il film
scandali e sui giochi di influenza, il sfugge alle sottili insidie del teatro fil-
regista ha voluto raccontare la storia mato, incorporando lunghe sequenze
di due uomini di fede di fronte a una argentine, tratte dalla vita precedente
decisione difficile2. di Jorge Mario Bergoglio.
Tutto parte da un’idea semplice: il Queste, girate in un bianco e nero
cardinale Bergoglio pensa di andare esteticamente convincente, danno al
in pensione; gli piacerebbe ritirarsi e film un dinamismo che le conversa-
diventare di nuovo parroco. Viene a zioni vaticane da sole non potevano

1. Cfr A. McCarten, The Pope, London, Oberon Books, 2019; Id., L’ anno dei due
papi: Francesco, Benedetto e la rinuncia che ha scosso il mondo, Milano, Mondadori, 2019.
2. I due Papi, un film (Netflix) di Fernando Meirelles, con Anthony Hopkins e
Jonathan Pryce.
3. Nelle scene che riguardano la gioventù di papa Francesco l’attore è Juan Minujín.

© La Civiltà Cattolica 2020 I 186-189 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


«I DUE PAPI», UN FILM DI FERNANDO MEIRELLES

garantire. Questi flashback, incen- nonché nella forza della preghiera e


trati esclusivamente sull’Argentina, della confessione.
rendono senza dubbio Bergoglio il Pur ispirandosi a fatti noti a tutti
personaggio principale, sebbene la – gli ultimi due conclavi, le imma-
formidabile prestazione di Antho- gini pubbliche dei due uomini –, il
ny Hopkins renda anche Benedetto film non esita a creare. È davvero
XVI molto presente. Da notare pure una fiction ispirata a persone reali, e
la bella musica del film, composta da la sfumatura è importante. Abbia-
Bryce Dessner, che aveva già lavora- mo accesso a momenti inventati e a
to a The Revenant (2015), per il quale conversazioni fittizie. Se l’atmosfera
era stato nominato agli Oscar. del film è rispettosa verso la Chiesa
I film che riguardano i papi, e la persona di questi due Papi, non
presenti e passati, corrono sempre il può impedire talvolta qualche ca-
187
rischio di fermarsi allo sfarzo delle ricatura. Per le esigenze di un pa-
istituzioni e di trascurare l’umanità. ragone mediatico così abituale che
Non è affatto il caso qui. Non che purtroppo vi ci si abitua facilmente
Castel Gandolfo non sia filmato ma- – quello che oppone i «conservato-
gnificamente, come d’altronde la ri» ai «progressisti» – inasprisce un
Cappella Sistina, ma lo sceneggia- poco la personalità di Benedetto
tore e il regista vogliono parlarci di XVI. È così che la prima conversa-
altre cose. Che cos’è una decisione zione tra i due uomini è di una du-
spirituale? Come si può impegnare rezza senza dubbio eccessiva. Ma la
la propria vita su un segno? Come limpida strategia narrativa del film
invecchiare portando il peso delle si impone, perché mira a mostrare
proprie decisioni passate, pur apren- il progressivo riavvicinamento di
dosi al futuro e a ciò che arriva? Che due personalità molto diverse e la
posto può avere la preghiera in una nascita di una vera amicizia tra due
decisione e, in definitiva, in una vita uomini che tutto sembra oppor-
di uomo chiamato a decidere e a re. «Sembra», perché, in fondo, essi
governare? Poiché è proprio dell’in- condividono l’essenziale, anche la
contro di due uomini di fede che cosa più importante: una profonda
si occupa il film. Le loro storie vo- fede in un Dio con cui si parla, una
cazionali, i loro percorsi di giovani consapevolezza dell’alta missione
sacerdoti e i loro profili intellettuali del sacerdote, un’anima in sostanza
sono profondamente diversi. Eppu- tranquillamente cattolica. C’è una
re, entrambi si stimano e credono dimensione di artificialità in questa
nel ruolo del papato nella Chiesa, costruzione, ma è al servizio di un’e-
ARTE MUSICA SPETTACOLO

splorazione del mistero della fede e ti chiave della vita di Jorge Mario
delle decisioni che può ispirare. Bergoglio. Tre momenti che le sue
Nella recensione pubblicata sul biografie hanno analizzato a lungo
New York Times del 26 novem- e che sfuggiranno sempre a qual-
bre 2019, il critico Anthony Oli- siasi comprensione univoca, perché
ver Scott evoca un «doppio ritrat- riguardano il mistero di un essere
to sottile e accattivante, che tocca umano e della sua coscienza. Sono
questioni complicate di fede, am- il momento del «sì» alla vocazione,
bizione e responsabilità morale»4. quello del giovane provinciale di
Aggiunge che, quando Ratzinger fronte alla dittatura, e infine quello
e Bergoglio sono insieme, «gli at- dell’arcivescovo desideroso di unirsi
tori definiscono sia la dimensione sempre al popolo, gli umili del Si-
spirituale sia quella psicologica dei gnore, el pueblo fiel de Dios.
188
loro personaggi». Ci associamo al Come rendere conto di questa
giudizio di buona parte della critica confessione decisiva? Conosciamo
internazionale e anche noi diciamo tutti a grandi linee la storia. Seb-
che il film è riuscito sul piano ci- bene abbia già preso in considera-
nematografico ed è umanamente zione la vocazione sacerdotale, il
credibile. giovane Bergoglio propende verso
Le sequenze che ci sono parse il matrimonio e si prepara a fare un
più belle e più toccanti sono quel- passo decisivo andando a un ap-
le argentine. In effetti, non si tratta puntamento con la sua fidanzata.
qui di una discussione sulla fede, Per strada, decide di entrare in una
sulla preghiera o sulle riforme del- chiesa e va a confessarsi. Qui succe-
la Chiesa, ma siamo davanti alla de qualcosa di imprevisto, gli viene
vita stessa. Ed è per questo che non dato un «segno», che egli leggerà
dobbiamo dimenticare il terzo at- come una chiamata di Dio.
tore, l’argentino Juan Minujín, che Il secondo momento è quando
rappresenta magistralmente il Ber- p. Bergoglio cerca di salvare i suoi
goglio giovane. compagni gesuiti esposti all’odio
E riconosciamo anche che è in della dittatura, in particolare due
queste sequenze che vi era il grande di loro: Orlando Yorio e Francisco
rischio di inventare troppo. In tre Jalics. Le sue esitazioni, la sua scelta
flashback, scopriamo tre momen- di avere in pubblico un profilo bas-

4. A. O. Scott, «The Two Popes’ Review: Double Act at the Vatican», in The New
York Times, 26 novembre 2019.
«I DUE PAPI», UN FILM DI FERNANDO MEIRELLES

so per cercare di salvare il maggior Ma l’aspetto più originale del


numero di persone minacciate (tra film è forse da ricercare nel modo
cui molti attivisti non cattolici) sono in cui tratta della confessione. La
ben rappresentate, come pure il peso sceneggiatura ha la capacità di far
interiore che questa decisione gli fa percepire la ricchezza della confes-
portare. Il fatto che più tardi Bergo- sione, mostrando il suo inizio - le
glio abbia riconosciuto di aver avuto poche parole tra due esseri umani
forse un atteggiamento un po’ trop- in cui la grazia di Dio può intro-
po autoritario, essendo arrivato in dursi come terzo incluso - e, allo
giovane età alla carica di provincia- stesso tempo, rispettando davvero il
le, è reso in modo credibile. suo segreto, sia interrompendo nel
Il terzo momento ci descrive – momento cruciale l’ascolto (questo
dopo la fase di introspezione senza vale per le confessioni di Bergo-
189
concessioni e di profondo contat- glio, come per quelle di Benedet-
to con il popolo dei fedeli vissuto to), sia separando le «parole» delle
a Córdoba – le sue attività di arci- confessioni dai «volti» di coloro che
vescovo vicino alle baraccopoli e si confessano (a Córdoba).
alle persone sofferenti. Questi tre Da notare la singolare colonna
momenti illuminano un uomo, sonora: Benedetto XVI suona al
preservandone il mistero. pianoforte musica classica tedesca
Uno dei grandi successi del di rara eleganza, mentre, quando
film è di riuscire a parlare proprio entra in scena Bergoglio, si ascol-
di due realtà molto sottili e spesso tano musiche come Dancing Queen
mal percepite: la preghiera e la con- degli Abba, o un appassionato tan-
fessione. I due personaggi parlano go argentino.
dei loro momenti di desolazione e Ci vuole una vita per fare un
di consolazione. In un certo senso, uomo; ci vuole forse anche tutta
l’omelia in cui padre Jorge Mario una vita per fare un sacerdote e, a
parla dei suoi momenti di dubbio fa maggior ragione, un papa. I papi
eco al momento di dubbio vissuto si susseguono e non si assomiglia-
da Benedetto XVI prima che gli si no, e questa è una buona notizia.
imponga la decisione di dimetter- Sostenuto da una superba regia, da
si. La preghiera si evolve con l’età e attori eccezionali, da una musica
con la vita: la presenza di Dio viene originale e ben scelta, questo film
percepita più o meno facilmente. vince la sua scommessa.
ARTE MUSICA SPETTACOLO

UN’ICONA PER UN SECOLO


Gli «Evangelisti» di Natalia Goncharova
Teodor Lucian Lechintan S.I.

Quando si va a visitare una mo- re l’arte dalla veste troppo stret-


stra sulle avanguardie come quella ta dell’accademismo, inteso come
che c’è stata recentemente al Pa- imitazione perfetta delle forme
lazzo Strozzi di Firenze, dedicata a della natura. La comparsa del non-
190 Natalia Goncharova1, prima ancora oggettivo non è stata, come mol-
di arrivare si è pieni di pregiudizi. ti hanno proclamato con enfasi, la
Alle avanguardie si attribuiscono fine dell’arte, ma una tappa di pas-
i termini più contrastanti: non- saggio, che ha spinto alla ricerca di
conformismo, utopia, progresso, una nuova estetica, oltre il «pun-
rifiuto, rivoluzione, rabbia, scan- to zero», nella consapevolezza che
dalo, non-oggettività, rigetto delle «la rivoluzione è un atto di forme
forme del passato… La rassegna ha crea­tive, che maturano nel corso
offerto, attraverso un percorso cro- dei decenni»2.
nologico e tematico ben articolato,
l’occasione di riconsiderare tutti La prima corrente dell’avanguardia
questi aspetti in una prospettiva russa
meno ideologica, che riguarda in
tutte le sue sfaccettature l’impegno La fase successiva, di ricostru-
dell’artista e la sua ricerca di senso. zione, molto più complessa e diffe-
A cavallo tra Ottocento e No- renziata da un Paese all’altro, è stata
vecento, in Francia, Italia e Russia portata avanti da artisti visionari,
fu sollevato il problema di libera- tra i quali c’è anche Natalia Gon-
1. La mostra si è tenuta a Firenze dal 27 settembre 2019 al 19 gennaio 2020. In
questa occasione è stato pubblicato un catalogo, con eccellenti riproduzioni fotografiche
e saggi sintetici: L. Segrebondi - N. Sidlina (eds), Natalia Goncharova. Catalogo della
mostra di Firenze, Venezia, Marsilio, 2019.
2. Cfr E. Petrova, «La Rivoluzione è un atto di forme creative, che maturano nel
corso dei decenni», in E. Petrova - J. Kiblitsky (eds), Revolutija, da Chagall a Malevich,
da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato Russo, San Pietroburgo, Milano, Skira,
2017, 13-31.

© La Civiltà Cattolica 2020 I 190-196 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


GLI «EVANGELISTI» DI NATALIA GONCHAROVA

charova. Nata a Tula nel 1881, da visse in varie occasioni a partire


una nobile famiglia imparentata dall’estate del 1903: «Larionov viene
con Puskin, ella ha fatto dello spe- dal Sud. Lì fioriscono alberi di acacia
cifico nazionale russo il motore bianchi e profumati. Le case sono
della sua creazione. A questo ven- gialle, rosa, rosse, blu, ridipinte ogni
gono ad aggiungersi le forme pri- anno. Tra gli alberi, intorno alle
mitive dell’arte degli sciiti e degli case, c’è il cielo blu, di un blu così
iranici di Crimea e la tarda icona intenso. Anche in Russia3 esiste Ta-
russa, alla quale fu riconosciuta la hiti» (confessione a E. Steneberg)4.
capacità di esprimere la vita contro Gli inizi dell’attività artistica
ogni rigidezza. di Natalia e Mikhail hanno come
Il destino di Natalia non può es- cornice il cielo del Sud, la luce cal-
sere separato da quello di Mikhail da e pura che attraversa la Bessa-
191
Larionov (1881-1964), pittore a sua rabia dal fiume Prut a Dniestr e si
volta, principale teorico dell’avan- estende fino a Odessa, avvolgendo
guardia e suo compagno di vita. tutto in un’atmosfera ottimista, di
Nati nello stesso anno, Natalia e particolare sonorità.
Mikhail s’incontrarono a Mosca nel Se nei primi tempi la pittura del-
1901, quando iniziarono gli studi la coppia è dominata dal paesaggio
alla Scuola di Pittura, Scultura e Ar- di stampo post-impressionista, l’ini-
chitettura, rimanendo fedeli l’una ziativa di dipingere la piccola città
all’altro per tutta la vita, fino alla di Tiraspol è in realtà un primo ri-
morte di lei nel 1962 a Parigi. C’è situarsi artisticamente. Larionov co-
poi un «paradiso» che li ha riuniti: mincia a prendere in considerazione
la terra moldava, dal momento che i pittoreschi personaggi intorno alle
Larionov era originario di Tiraspol. caserme, chi frequenta i caffè tur-
La piccola città di provincia divenne chi, o la frenesia all’interno di una
l’equivalente di quello che furono le panetteria ebraica. Questo caleido-
isole tahitiane per Paul Gauguin, scopio di culture che era la Tiraspol
un’immagine del paradiso perduto. di quei tempi, il crocevia di tante
Anni dopo, Natalia evocava an- culture – rumena, moldava, ucraina,
cora intensamente i luoghi in cui russa, ebraica, gitana, tedesca, tarta-

3. Al momento del racconto, la regione moldava faceva parte dell’Unione Sovietica.


4. T. Loguine, Gontcharova et Larionov, Paris, Klincksieck, 1971, 214.
ARTE MUSICA SPETTACOLO

ra – spinse alla sperimentazione, alla magini di tema religioso, cicli della


ricerca di nuove formule capaci di vita dei santi e persino soggetti sto-
rendere conto di quell’atmosfera. rici e mitologici. Se oggi si dice di lei
Il tentativo di accordare il reali- che è «l’artista più ricca di colori», ciò
smo dell’osservazione con la fuga- è dovuto a tale svolta.
cità dell’impressione è stata la prima Il lavoro paziente e arduo con-
grande provocazione artistica di sigliato in una lettera scritta da
Natalia e Mikhail. Dmitri Sarabia- Natalia a una artista ci fa capire il
nov definisce questo interesse come percorso fatto da lei stessa in quegli
«neoprimitivismo», «la prima vera anni: «Ciò che ti colpisce è che sei
corrente russa di avanguardia»5, salita in cima senza aver preparato
percepibile nel lavoro dei due artisti le tue scale, senza passare attraverso
a partire dal 1907. L’ulteriore svi- le fasi e senza essere ancora toccata
192
luppo, nel 1913, nel raggismo – la dall’uragano artistico [il soffio arti-
corrente «il cui senso sta nello spe- stico], che nella nostra vita ci vie-
ciale autosviluppo della forma, del ne dato per caso. […] Chi può dire
colore e del ritmo lineare» – non si dove si nasconde questo soffio? Pro-
staccherà mai da una certo interesse babilmente non lo si trova neanche
per la materialità6. quando lo si cerca. In ogni caso, il
La Goncharova poi va oltre, sce- percorso verso la perfezione, anche
gliendo, come fa notare Elena Ba- il percorso verso il miglioramento,
sner, «la strada più difficile, la strada è lento. È un percorso di esercizi,
per andare in profondità nel folclo- doloroso, che richiede umiltà, tran-
re»7. Le sue tele recuperano progres- quillità, assiduità, altruismo e che,
sivamente il mondo pieno di colori prima di tutto, riempie di gioia ciò
delle stampe popolari ottocentesche che facciamo e ciò che vogliamo
(i cosiddetti lubok), calendari o im- fare» (lettera a M. Krivtzky, 1954)8.

5. D. Sarabianov, «Correnti moderne del XX secolo: dalla sperimentazione al


realismo socialista», in La pittura russa, t. II, Milano, Electa, 2001, 885.
6. Ivi, 889. All’interno del catalogo della mostra si trova un’intuizione illuminante
di Elena Petrova, che collega il raggismo della Goncharova con la sua formazione di scul-
trice: «Si potrebbe suggerire che il raggismo della Goncharova sia derivato in gran parte
della sua capacità di lavorare con scalpelli e coltello per penetrare la morbida essenza del le-
gno, lasciando tracce dell’operato dell’uomo. Questo stile era già una caratteristica della sua
arte molti anni prima del 1913» (E. Petrova, «Le origini del raggismo nell’arte di Natalia
Goncharova», in L. Segrebondi - N. Sidlina [eds], Natalia Goncharova..., cit. 102-105).
7. E. Basner, «The Artist Richest in Colours», in Natalia Goncharova: The Russian
Years, St Petersburg, Palace Editions, 2002, 12.
8. T. Loguine, Gontcharova et Larionov, cit., 222.
GLI «EVANGELISTI» DI NATALIA GONCHAROVA

La tela degli «Evangelisti» Se, dal punto di vista della rea-


lizzazione materiale, si è lontani dal
Nella produzione della Gon- concetto di scrittura-icona, e per
charova, il passaggio alla grande questo il termine «icona» dev’essere
arte può essere notato soprattutto utilizzato con una certa cautela, per
nelle tele degli Evangelisti del 1911, l’atmosfera e per i colori la Goncha-
un polittico che oggi, senza esita- rova si inscrive nella più profonda
zione, si può definire «l’icona del tradizione dell’icona russa, quel-
XX secolo». La loro esposizione a la che parte da Andrej Rublëv e va
Mosca nel 1912 generò perplessi- fino a Simon Ušakov o alla scuola di
tà; la stampa dell’epoca le descrisse Stroganov.
come «il culmine della bruttezza» Nella concezione della Gon-
o «mostruosità». Le autorità furono charova, gli evangelisti ritratti sono
193
costrette a ritirarle, mentre l’arti- soprattutto quelli che ascoltano la
sta veniva quasi scomunicata dalla Parola. L’atteggiamento in cui sono
Chiesa. Le innovazioni artistiche rappresentati è quello di coloro che
che subentravano a grande velocità la interiorizzano, l’«assorbono».
in una Russia ancora profondamen- L’impressione di ascolto è ottenu-
te rurale spiegano tale reazione. ta soprattutto attraverso il radicarsi
La Goncharova rivendica invece dei quattro evangelisti nel campo
il diritto di poter affrontare il tema dell’immagine. Le aureole, con il
del sacro non in maniera istituziona- loro peso, esercitano una pressione
le, ma a partire da un atteggiamento sulle loro teste facendole piegare,
contemplativo, che si fonda anche inclinare, offrendoci un’idea preci-
su un serio lavoro di ricerca. L’arti- sa sulla presenza dei personaggi in
sta è convinta che «se l’arte religiosa se stessi, in un atteggiamento attivo
e l’arte che glorificava lo Stato erano di fronte alla Rivelazione.
sempre le manifestazioni più subli- Il fatto che l’artista studiò scul-
mi, più perfette dell’attività creativa tura prima di iniziare a dipingere
dell’uomo, ciò si spiega con il fatto si riflette nella monumentalità delle
che questa arte non ha mai mancato figure e, se si guarda il dettaglio dei
di teorizzare; con il fatto che l’artista piedi, si può notare come gli evan-
sapeva perfettamente che cosa rap- gelisti sostengano il loro peso in
presentava e perché lo rappresentava» un’elevazione maestosa. Solo que-
(trascrizione di V. Livšic)9. sto pieno radicamento nella terra

9. V. Livšic, L’ archer a un oeil et demi, Lausanne, L’Age d’Homme, 1971, 88.


ARTE MUSICA SPETTACOLO

riesce poi a dare peso allo sguardo, un sorprendente e inaspettato gioco


a suggerire lo sforzo con il quale gli delle forme, che appaiono e scompaio­
evangelisti cercano di comprendere no per proporsi di nuovo in tempi di
i misteri della vita di Cristo. profonda metamorfosi, sui frontespizi
La caratterizzazione dei personag- dei Salteri medievali si possono ritro-
gi, nello spirito di un sottile accordo vare talvolta le figure del re Davide o
cromatico – blu-rosso e verde-grigio degli scribi con una pergamena bian-
–, rende secondari tutti gli altri detta- ca di fronte, in un’identica lacerazione
gli e fa sì che l’idea di percezione di- colma di ascolto, quella che precede la
venti dominante. Il bianco dei rotoli, stesura del testo10.
privi di qualsiasi scritto, è certamente
un’allusione alla forza degli eventi che L’interiorizzazione dei temi
precedettero la stesura dei Vangeli, a
194
quel fuoco e a quel calore dello Spiri- Nell’opera della Goncharova i vol-
to che impresse nella storia un sigillo ti iconici degli evangelisti e quelli più
indelebile sulle vite dei profeti, degli largamente ispirati dall’arte contadina –
apostoli e degli evangelisti. Questo personaggi che compiono lavori umili,
dettaglio indica la duplice idea di at- lavandaie o lavoratori nei campi – sono
tesa e di compimento della promessa. i segni di una rinascita, un raggio di
Se gli evangelisti di solito vengo- luce in un’epoca oscurata da guerre e
no raffigurati mentre vergano il te- rivoluzioni. L’ultimo grande proget-
sto delle Scritture, qui tengono nelle to prima dell’esilio in Francia, la serie
mani i rotoli o, più precisamente, li di litografie intitolata semplicemente
afferrano come se stessero per entrare «Guerra» (Vojná, 1914) mostra il com-
in loro possesso. Il modo in cui i rotoli battimento non soltanto in termini di
sono stretti nelle mani degli evange- scontro armato, ma come una vera e
listi ricorda la mano della Provviden- propria battaglia spirituale.
za che nel Giudizio universale tiene la In una delle litografie, la parados-
bilancia che pesa il bene e il male. La sale collisione tra angeli e aeroplani,
Parola rivelata è qui la vera unità di tra le fasi più avanzate della tecnica e
misura per la vita nel suo insieme. In le più perfette nature spirituali, indi-

10. Sul frontespizio del Salterio Folchart dell’abbazia di San Gallo (Stiftsbibliothek,
Cod. Sang. 23, p. 9, IX secolo) i pittori hanno raffigurato uno scrittoio medievale. I rotoli
sulle ginocchia dei due personaggi che sono alle estremità non recano alcuna scritta, mentre
il personaggio al centro è immerso nella meditazione con la mano portata sopra la guancia,
come l’evangelista rosso. Cfr www.e-codices.unifr.ch/fr/csg/0023/9/0/Sequence-240
GLI «EVANGELISTI» DI NATALIA GONCHAROVA

ca le proporzioni della catastrofe. Si-


ricordi… e così tanta polvere. “Io
milmente, in un dipinto del 1913, iladoro la polvere”, disse [Larionov].
violento impatto di un aereo con un “Vedi, un raggio di sole è sufficiente
treno ha una funzione di denuncia: perché diventi una polvere d’oro”»13.
rappresenta l’orrore dell’artista per la Chi va a visitare una mostra sul-
scomparsa dello spirituale, per il di-
le avanguardie russe si trova davanti
sprezzo di quella semplicità paradi-un affascinante spettacolo di colori,
siaca, a favore di una sofisticazione
di forme e di soluzioni compositive
sempre più pericolosa11. La risposta a
innovatrici. Nell’opera artistica della
queste sfide si troverà in un ciclo di
Goncharova, e soprattutto nelle tele
disegni preparatori per uno spettacolo
degli Evangelisti, si percepiscono gli
intitolato Liturgie (1915) e nel progetto
elementi portanti di questa nuova
di decorazione di una chiesa nel vec-
sintesi: esplorare con una certa libertà
195
chio paradiso moldavo (a Cuhureşti)12:
le impostazioni tradizionali dell’ico-
progetti mai portati a compimento, nografia e restituire al colore il ruolo
ma segni tangibili della ricerca di una
che ha sempre avuto nell’arte tradi-
via d’uscita da questo impasse. zionale. Lo storico dell’arte russo Mi-
chail Alpatov ha già attirato l’atten-
Conclusioni zione sul fatto che la forza di un’icona
non consiste tanto nella perfezione
Una conversazione tenutasi nel- del disegno-scrittura quanto nella
la biblioteca della Goncharova a genialità degli accostamenti croma-
Parigi e riportata in maniera fram- tici: «La pittura delle icone con i suoi
mentaria da Giulia Veronesi (1957) colori chiari e senza nuvole inculcava
può aiutare a esprimere alcune con- nell’essere umano la fortezza mora-
siderazioni finali sull’opera della le, impregnava la sua fede, e ispirava
Goncharova: «Tra tanti libri, tanti l’azione in uno spirito caritatevole»14.

11. L’aspetto di contestazione sarà portato avanti da altri avanguardisti e culminerà nel
Quadrato nero di Malevič, definito dall’artista «momento della vittoria decisiva dell’uomo sulla
tecnica». Cfr A. B. Nakov (ed.), Kazimir S. Malevič: scritti, Milano, Feltrinelli, 1976, 114.
12. Due cartoni inviati ai commitenti e conservati attualmente al Museo di Odessa,
insieme a una corrispondenza sul tema, mostrano come il progetto sia stato portato avanti
tra il 1913 e il 1917. Cfr D. E. Rasovskaja, «Eskizy N. S. Goncharovoj Svjatoj Boris i
Sviatoj Feodor v sobranii Odesskogo xudožestvennogo muzeja» (Gli abbozzi di N. S. Gon-
charova con Santo Boris e Santo Tedodoro nella collezione del Museo d’arte di Odessa), in
Vestnik Odesskogo Hudožestvennogo Muzeja 1 (2014) 77-83.
13. T. Loguine, Gontcharova et Larionov, cit., 198.
14. M. V. Alpatov, Kraski drevnerusskoj ikonopisi, Moskva, Izobrazitel’noe iskustvo,
1974, 8.
ARTE MUSICA SPETTACOLO

L’appropriarsi di un metodo speri- la povertà dei mezzi a disposizione


mentale ha permesso in seguito alla degli artisti e la grandezza del loro
Goncharova di avvicinarsi coraggio- sogno. In quegli anni si dipingeva
samente e con responsabilità ai pro- su qualsiasi cosa: cartoni, tavole di
blemi centrali dell’esistenza umana: la compensato, pezzi di legno senza
creazione e il suo futuro, la guerra, il previa preparazione, semplici fogli
progresso della tecnica, il ruolo della di carta, con il desiderio di vive-
donna nella società ecc. Una mostra re in un mondo migliore. Nel caso
come quella di Firenze ha avuto il particolare della Goncharova, que-
grande pregio di non escludere nes- sta visione ha come fondamento la
suna di queste domande: da quelle profonda interiorizzazione dei temi
più provvisorie agli albori della sua e la missione, che lei si è attribuita
creazione artistica, fino a quelle della audacemente, di far riemergere, at-
196
maturazione, come il tema del sacro. traverso la creazione artistica, un’alta
Con gli occhi rivolti a questo vocazione all’umanità e alla perfe-
mosaico interpretativo, in defini- zione. Sebbene questo proposito sia
tiva possiamo percepire una strana stato ostacolato dalle circostanze (le
vocazione delle avanguardie russe a guerre, le rivoluzioni), nel tempo la
una forma di «francescanesimo». In forza dell’impegno fa diventare d’o-
che cosa esso consisterebbe? Innan- ro ciò che agli occhi di molti appare
zitutto nella sproporzione vistosa tra semplicemente polvere.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

T EOLOGIA DELL’OSPITALITÀ
a cura di MARCO DAL CORSO
Brescia, Queriniana, 2019, 224, € 18,00. 197

Questo libro trae origine dal lavoro che, per più di tre anni, un gruppo di
qualificati docenti e ricercatori, impegnati presso l’Istituto di Studi Ecumenici
«San Bernardino» di Venezia, ha condotto sul tema dell’ospitalità. Per la verità,
il termine «tema» sarebbe da evitare, perché, come si legge nelle prime righe
dell’introduzione, tratte da un testo di Luiz Carlos Susin, «l’ospitalità non è un
tema. È, oltre che una categoria euristica ed ermeneutica, un’ottica e una forma
di elaborazione della teologia richiesta dai segni dei tempi che viviamo» (p. 5).
Occorre quindi non tanto fare uso di un linguaggio diverso, quanto elaborare
un diverso paradigma, perché «abitiamo un mondo nuovo […], viviamo in un
momento di svolta […]; continuare a pensare così reca danno […]; c’è un’urgen-
za civile, politica e umanitaria» (pp. 6 s).
I vari interventi contenuti nel volume chiariscono numerosi aspetti dell’ar-
gomento preso in esame, tra i quali risaltano quelli relativi alla semantica, alla
teologia biblica, al dialogo, all’etica, alla spiritualità, alla mistica, alla concreta
esperienza pastorale, al pluralismo, alla dimensione pubblica, alla declinazione
francescana dell’ospitalità. Il testo offre dunque un quadro ampio e composito di
una questione assai complessa e dibattuta, ma non si ferma alla pura e semplice
analisi e intende procedere oltre, cercando di offrire risposte e proposte, come
viene detto nelle pagine conclusive: «Quello che le religioni sono chiamate a fare
non è promuovere la tolleranza, ma la convivenza (dove la salvezza diventa “sal-
vezza con gli altri”). […] Insomma, se la teologia delle religioni fin qui ha potuto
offrire le categorie per una “teologia del dialogo”, apologetico a volte, polemico
altre, dialettico altre ancora, quella che il paradigma dell’ospitalità vuole svilup-
pare è, piuttosto, una “teologia in dialogo”. Un nuovo modo di pensare, fare e
praticare la teologia, non malgrado il pluralismo, ma a partire da esso!» (p. 190).
Leggendo i vari interventi, si nota il tentativo di andare oltre le riflessio-

© La Civiltà Cattolica 2020 I 197-206 | 4070 (18 gen/1 feb 2020)


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ni e il linguaggio che sino a oggi hanno caratterizzato la questione dell’ospi-


talità; ciò nella convinzione che senza un autentico mutamento del pensiero
e un reale rinvigorimento della fede non si otterranno conseguenze positive
sul piano della testimonianza concreta.
Agli AA. di questo volume va riconosciuto il merito di essersi impegnati
a collocarsi in una prospettiva originale e innovativa che, per loro stessa am-
missione, non può certamente dirsi completamente definita. Essi si dimostrano
tuttavia fiduciosi che le loro elaborazioni riguardanti il paradigma dell’ospita-
lità possano rappresentare un passo avanti sulla via che conduce a trasformare
l’hostis (nemico) in hospes (ospite), operando così un cambiamento di non poco
conto nell’ambito delle relazioni tra le persone e dei rapporti tra le religioni.

Maurizio Schoepflin

198

BERNARDO DI CHIARAVALLE

I GRADI DELL’UMILTÀ E DELLA SUPERBIA -


L’AMORE DI DIO
a cura di GASPARE MURA
Roma, Città Nuova, 2019, 148, € 13,00.

Bernardo di Chiaravalle (1091-1153) fu e rimane il più grande mistico ci-


stercense: lo sapeva Dante, che lo scelse come guida per essere condotto a in-
contrare Dio. Egli fu un mistico che coniugava l’ora della sua profonda contem-
plazione e la proiettava a interagire polemicamente quando si calava nell’azione
storica. Bernardo entrò nel monastero benedettino di Cîteaux, portandosi die-
tro il padre vedovo e quattro fratelli, persuasi aspiranti alla perfezione cristiana.
È stato canonizzato nel 1174 ed è stato proclamato dottore della Chiesa.
Nel 1953, ricorrendo l’ottavo centenario della morte di Bernardo, Pio XII
dedicò alla sua figura l’enciclica Doctor mellifluus, intesa a sottolinearne l’attualità
e l’importanza nella vita della Chiesa in cammino. Ecco le parole del Papa: «Ab-
biamo rievocato alla nostra memoria la santa e venerabile vita di questo spirito
eletto: come egli, sostenuto da una non comune prerogativa di grazia, […] irra-
diasse dappertutto nella Chiesa di Dio la luce della sua fede e della sua dottrina».
Il libro che esaminiamo presenta un triplice tema, secondo l’ordine pro-
posto dall’A. In primo luogo, ci sono I gradi dell’umiltà, enumerati da Ber-
nardo su una scala in salita: «12) Manifestare sempre umiltà di cuore e di
corpo, con gli occhi fissi a terra; 11) Dica il monaco poche e assennate paro-
le, mai con voce alta; 10) Non sia facile né pronto al riso; 9) Tacere se non si
è interrogati; 8) Rispettare ciò che richiede la regola comune del monastero;
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

7) Considerarsi e dichiararsi inferiore a tutti; 6) Riconoscersi e credersi inu-


tile a tutti e indegno di tutto; 5) Confessare i peccati; 4) Per l’obbedienza,
abbracciare pazientemente le difficoltà e le traversie; 3) Sottomettersi agli
anziani in piena obbedienza; 2) Non amare la propria volontà; 1) Guardarsi
dal peccato in ogni momento per timore di Dio. Questi gradi dell’umiltà
sono disposti nell’ordine della salita. I primi due gradi devono essere ascesi
fuori del ritiro monastico: da questo punto, chi sale al terzo grado deve sot-
tomettersi a un superiore» (p. 78). Poi Bernardo definisce l’umiltà virtù che
impone all’uomo di disprezzarsi per la piena conoscenza che ha di sé. Così,
salendo di virtù in virtù, l’uomo raggiunge la cima dell’umiltà. Questa è la
verità, ma deviano dal retto cammino coloro che abbandonano la verità.
In secondo luogo, viene considerata la superbia. Il suo primo grado è la cu-
riosità: Eva fu curiosa e cadde nel peccato. Segue l’apostasia di Serafino, che si
pone a cercare e conoscere ciò che è al di sopra di lui, e cade in basso. Lucifero,
che sorgeva al mattino, non è più portatore di luce, ma corriere di tenebre e di
199
morte, destinato a precipitare nell’abisso dell’eterna punizione. Il decimo grado
della superbia è la «ribellione». L’undicesimo e il dodicesimo rivendicano la li-
bertà di peccare e l’abitudine a commettere peccati.
La terza parte del libro tratta dell’amore di Dio. Fu il cardinale diacono e
cancelliere della Chiesa romana Aimerico che chiese a Bernardo di scrivere
sull’amore di Dio. Ripotiamo le affermazioni dello scrittore: «La ragione che ci
spinge ad amare Dio è Dio stesso, e il modo è di amarlo senza misura». Un altro
motivo che ci invita ad amare Dio è la certezza che egli ci ha amati per primo.
Il secondo capitolo presenta le «melegrane». Scrive l’A.: «Questi frutti
sono quelli del melograno, che la sposa, introdotta nel giardino del suo ama-
to, coglie dall’albero della vita, e che hanno preso il loro sapore dal pane ce-
leste e il loro colore dal sangue di Cristo. Ella vede morta la morte, e l’autore
della morte vinto trionfalmente dal vincitore. Vede dall’inferno sulla terra, e
dalla terra in cielo, trascinata schiava la schiavitù, affinché, nel nome di Gesù,
ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulla terra e nell’inferno».
Il terzo capitolo spiega in qual misura si deve amare Dio: «La misura con
cui si deve amare Dio, è d’amarlo senza misura. Del resto, poiché l’amore
che s’indirizza a Dio si indirizza all’immensurabile e all’infinito […], quale
dovrebbe essere, io mi chiedo, il limite, o quale la misura del nostro amore?
Non dimentichiamo poi che lo stesso amore da parte nostra non è un’offerta
gratuita, ma una restituzione doverosa».
I nove capitoli del libro si snodano tutti sul filo rosso che conduce al Pan-
tocratore.

Pasquale Maffeo
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

GIAMBATTISTA CAIRO

I L SANTO TRADITORE.
VITA E OPERE DI FLAVIO GIUSEPPE
Bologna, EDB, 2019, 112, € 8,50.

Lo storico Flavio Giuseppe (37-100 d.C. circa) rivestì eminenti cariche reli-
giose e fu anche uno dei comandanti dell’esercito ebraico nel corso del conflitto
(66-70 d.C.) che vide prima Vespasiano e poi Tito soffocare la rivolta scoppiata
in Palestina. Le sue opere – in particolare la Guerra giudaica (75-79 d.C.) e le
Antichità giudaiche (94 d.C.) – non si limitano a fornire al lettore una preziosa
ricostruzione del contesto politico, economico, militare e sociale che caratterizzò
quella terra durante l’epoca greco-romana, ma gli consentono anche di acquisire
una migliore comprensione di vari personaggi – da Erode Antipa a Publio Sulpi-
cio Quirinio, fino a Ponzio Pilato – che sono menzionati nel Nuovo Testamento.
Va inoltre messo in rilievo che queste opere ci sono giunte nella loro so-
200
stanziale integrità, costituendo dunque una fonte di capitale importanza e di
grande interesse. Occorre però aggiungere che gli scritti di Flavio Giuseppe
sono stati preservati dai Padri della Chiesa, che vi avevano riscontrato l’avve-
rarsi della profezia di Gesù secondo la quale la nazione giudaica – colpevole
dell’uccisione del Messia – sarebbe stata punita da Dio mediante la campagna
bellica romana e il proprio, successivo asservimento.
Altrettanto interessante appare poi la vicenda personale di Flavio Giusep-
pe, il quale combatté dapprima contro Roma in qualità di generale dell’eser-
cito giudeo, e in seguito – una volta fatto prigioniero – tentò di convincere i
ribelli, assediati a Gerusalemme, ad arrendersi alle truppe imperiali.
Il saggio dello storico antichista Giambattista Cairo, che prende in esame,
alla luce dei contributi più recenti, sia la vita di Flavio Giuseppe sia le sue opere,
intende affrontare proprio questo tema, del quale peraltro molti studiosi si sono
occupati a lungo: Giuseppe Flavio è stato un traditore della sua patria o un eroe?
L’utilizzo delle opere di Flavio Giuseppe in chiave anti-giudaica fatto dai
primi cristiani ha indotto un gran numero di specialisti a ritenere che egli abbia
ingannato i suoi connazionali, favorendo dunque la dominazione di Roma. Cai-
ro ha cercato invece di leggere gli scritti di Flavio Giuseppe in maniera quanto
più possibile distaccata, e così è giunto a fornirne un’interpretazione assai diversa,
ma persuasiva, formulata in questo modo: se, da un lato, durante le prime fasi
della guerra giudaico-romana, la condotta di Giuseppe, non sempre trasparente
e talvolta autoritaria, rende fondata l’accusa di tradimento, dall’altro la feroce av-
versione che egli nutrì verso i rivoltosi – una volta catturato e passato nel campo
romano – rivela un profondo affetto per il suo popolo. Scrive in proposito l’A.:
«Fu a quel tempo che dovette iniziare a collaborare più attivamente con i romani,
al punto da venire liberato. Egli seguì allora Tito all’assedio di Gerusalemme,
col preciso intento di indurre i ribelli ad arrendersi, in modo da giungere a un
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

accordo con Roma che salvasse la nazione. Da qui il suo odio implacabile per i
rivoltosi, che con la loro ostinazione rendevano vani tutti i suoi sforzi» (p. 72). In
altri termini, Giuseppe sembra incline ad addossare la responsabilità del conflitto
a un numero di persone piuttosto ristretto, tentando così di scagionare – agli
occhi dei romani – la massa del popolo e la sua classe dominante. Tutto ciò nella
speranza che a questa classe venisse affidato nuovamente il governo della Giudea:
una speranza che di fatto si sarebbe rivelata priva di ogni fondamento.
In seguito, una volta stabilitosi nella capitale dell’impero, Giuseppe (di-
venuto nel frattempo Flavio Giuseppe) rifletté a lungo sugli avvenimenti che
aveva vissuto, vedendosi ben presto costretto a constatare come le probabilità
di un ritorno al potere di qualche esponente della nazione giudaica dimi-
nuissero costantemente, fino a scomparire del tutto. In preda alla delusione,
si sarebbe concentrato sulla stesura delle proprie opere, nelle quali avrebbe
esaltato il suo popolo, che in questo modo, annientato politicamente ma or-
goglioso della propria storia e cultura, non sarebbe stato ridotto al silenzio.
201

Enrico Paventi

HANS-GEORG GADAMER

L A DIALETTICA DI HEGEL
a cura di RICCARDO DOTTORI
Bologna, Marietti 1820, 2018, 240, € 18,50.

L’ermeneutica è una delle correnti più significative e feconde della filoso-


fia contemporanea. Nata nell’Ottocento come scienza dell’interpretazione dei
testi letterari, giuridici e religiosi, è stata ripresa e sviluppata nel Novecento da
Hans-Georg Gadamer, Paul Ricœur, Luigi Pareyson e altri, diventando una
vera e propria filosofia dell’uomo e del suo mondo.
In questo volume Gadamer raccoglie i suoi studi sulla dialettica di He-
gel, uno dei punti più controversi e discussi dell’idealismo assoluto. La prima
edizione di questo libro risale al 1973 ed era costituita allora da cinque saggi
e due lettere di Martin Heidegger a Gadamer; in quella forma è stata inserita
nell’Opera omnia di Gadamer. La seconda edizione italiana, apparsa nel 1996,
è stata ampliata con quattro saggi e una lettera di Heidegger a Gadamer.
I nove saggi che costituiscono il volume, seguiti dalle tre lettere di Hei-
degger, sono stati disposti da Gadamer in ordine logico-tematico, che di fatto
esprime la complessità delle problematiche affrontate nell’interpretazione del
pensiero hegeliano. Tuttavia uno degli aspetti più significativi del libro è la
documentazione della presenza dell’idealismo assoluto nella riflessione di Ga-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

damer durante l’intera sua attività accademica e pubblicistica: presenza che ha


ben contribuito alla definizione dell’ermeneutica filosofica.
Poiché Gadamer conseguì la libera docenza con Heidegger nel 1929, svolse
la docenza universitaria fino alla pensione e poi partecipò ancora a seminari ad
Heidelberg e in altre università, si può ritenere che la riflessione su Hegel sia
stata il principale sottofondo ispiratore della sua filosofia.
Pur tenendo presente l’intera opera hegeliana, l’attenzione di Gadamer si è
rivolta preferibilmente alla Fenomenologia e alla Logica, gli unici scritti che con-
siderava veri libri e non solo dispense per lezioni universitarie. Proprio in queste
due opere Hegel sviluppa gradualmente la sua dialettica, che in tre momenti
successivi conduce il processo interno della coscienza, attraverso le diverse fi-
gure, all’Assoluto: un processo che è insieme legge del pensiero e dell’essere, in
cui il razionale coincide con il reale.
Gli studi raccolti in questo volume sono piuttosto dificili, in quanto Gadamer,
mentre espone il pensiero di Hegel, lo interpreta secondo le sue personali categorie
202
e acquisizioni, lo inserisce all’interno della tradizione filosofica e infine giunge ad
affermare che «quanto più radicalmente il pensiero oggettivante riflette su se stesso
e sviluppa l’esperienza della dialettica, tanto più chiaramente rimanda a ciò che esso
non è. La dialettica deve riprendersi nell’ermeneutica» (p. 107).
L’interpretazione della dialettica hegeliana ha esposto Gadamer a forti criti-
che, in particolare da parte di Heidegger, che lo accusava di dimenticare l’ogget-
tività dell’Essere e la sua rilucenza nell’esserci, e quindi di ricadere nella coscienza
pura, e da parte di Jürgen Habermas, che vedeva in lui la permanenza dell’ogget-
tività dell’idealismo nel linguaggio e nella sottomissione alla tradizione culturale.
Lo studio della dialettica hegeliana ha permesso a Gadamer di fondare l’er-
meneutica sul divenire dell’Essere e sul movimento originario del pensiero, in
cui il primato è attribuito comunque all’Essere, che si schiude, si comunica
all’interno di una tradizione e risplende nella coscienza dell’uomo.

Lorenzo Gilardi

ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

L’ AULA VUOTA. COME L’ITALIA


HA DISTRUTTO LA SUA SCUOLA
Venezia, Marsilio, 2019, 240, € 18,00.

In questo libro Ernesto Galli della Loggia, storico, accademico e pubbli-


cista, compie un viaggio nell’istruzione e nella sua storia (dall’Unità a oggi).
Comunica la sua passione, i suoi ricordi, le sue amarezze, le sue attese. Esprime
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ammirazione per i maestri/e che hanno dato un lodevole contributo all’educa-


zione degli italiani in tempi e in condizioni difficili. Ricorda la scuola elemen-
tare «Principessa Mafalda di Savoia» da lui frequentata a Roma, la scuola media
«Ippolito Nievo» e il liceo «Goffredo Mameli». E ricorda con viva simpatia il
professore di lettere antiche Filippo Pontani, che leggeva Tucidide e Orazio
con ardore vivo e coinvolgente.
L’elemento autobiografico dà sapore al racconto, che è fatto di esperienza
e di riflessioni. Ma non è solo questo. Il libro offre spunti su Rousseau, Gen-
tile, don Milani, De Amicis, Orwell, su riformatori e rivoluzionari. È scevro
da ogni conformismo.
Rousseau pubblica nel 1762 il romanzo pedagogico Emilio o dell’educazione.
Si tratta di un’opera che caratterizza l’intero percorso dell’illuminismo e che
va studiata «volgendo lo sguardo all’indietro, alla storia» per capire il nostro
presente (p. 65). Scompare – sottolinea l’A. - la «contrapposizione tra anima e
corpo, e sono quindi gettate le premesse per l’espulsione del cristianesimo dalla
203
formazione della soggettività dei tempi nuovi» (p. 69).
Sulla scia di Luigi Meneghello e sulla scorta di documenti di cui oggi si di-
spone, l’A. libera il terreno da tanti equivoci. La riforma gentiliana, sostiene, non
aveva nulla di fascista: Gentile mirava a formare «non l’uomo nuovo dell’Italia
di Mussolini», ma «una soggettività umanistico-borghese, un individuo centro
del mondo», non un cittadino «cieco gregario di un’idea o di un partito» (p. 98).
Don Milani è spinto all’azione e alla lotta da spirito di giustizia e di ugua-
glianza, da amore per il sapere, dalla volontà di promuovere il riscatto dei
poveri, mettendo l’uomo al centro dell’impegno politico e pedagogico. L’A.
considera utili le sue iniziative nell’ambito della scuola di base, ma estenderle
all’intera scuola potrebbe significare «voler andare decisamente oltre le sue
intenzioni» (p. 200).
Il discorso di Galli della Loggia è spesso attraversato da spirito polemico, tal-
volta può anche apparire ripetitivo, ma è sostenuto da efficaci riferimenti a esper-
ti – non soltanto italiani – ed è denso di contenuti. Troppi i temi affrontati per
poterli riassumere. In particolare, egli è infastidito da un dilagante pedagogismo
e dal triste linguaggio dei burocrati. Non coglie nei documenti ministeriali una
visione organica e coerente della scuola e della società, del sapere e della cultura.
Ma va detto che il suo discorso è e vuole essere costruttivo. Egli cita Fran-
cesco De Sanctis, per il quale la scuola aveva il compito di fare gli italiani e
«fare di diversi popoli un popolo solo» (p. 86). E nella stessa pagina parla di lai-
cità e respinge il laicismo esasperato, di impronta francese, che sopprime l’in-
segnamento scolastico della religione ed esclude la teologia dalle università.
Il libro ha un sottotitolo eloquente: Come l’Italia ha distrutto la sua scuola. L’A.
evidenzia i mali che affliggono la scuola – in particolare, il personale mal pagato,
scoraggiato, deluso –, ma ha la speranza che una scuola all’altezza dei tempi sia an-
cora possibile. In effetti, egli sostiene che «ogni istruzione vera, se vuole, può essere
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ed è un’educazione civica» (p. 89); e che bisogna credere «che nulla sia stato deciso
una volta per tutte, che la “buona battaglia” resti ancora da combattere. Il tempo ri-
masto è poco, ma il destino della nostra scuola è ancora nelle nostre mani» (p. 235).

Francesco Pistoia

PEDRO ALIAGA ASENSIO - ANTONIO AURELIO FERNÁNDEZ


SERRANO - IGNACIO ROJAS GÁLVEZ

204
E L INTERÉS DE CRISTO.
PRETEXTO, CONTEXTO Y TEOLOGÍA
DE LA REDENCIÓN DE CAUTIVOS
EN EL ORIGEN DE LA ORDEN TRINITARIA
Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2019, 184, € 12,00.

L’Ordine trinitario fu fondato alla fine del XII secolo con la missione speci-
fica del riscatto degli schiavi. Il volume qui recensito offre tre approcci (biblico,
teologico e storico) alle origini della sua missione di affrancamento. Il titolo si
riferisce all’espressione con cui papa Innocenzo III, nella bolla Operante divine
dispositionis (17 dicembre 1198), approvò la Regola propria dei trinitari, perché
cercavano «più l’interesse di Cristo che il loro», riprendendo le parole di san Paolo
in Fil 2,21.
Nell’Introduzione, il card. João Braz de Aviz fa una sintesi del carisma
dei trinitari, affermando che «in questo tempo in cui nel mondo infuriano
le persecuzioni contro i cristiani, i trinitari vengono mossi dallo Spirito
Santo a comprendere che la storia li sta chiamando a prendere il posto che
loro spetta per vocazione, la ragione per cui furono fondati». La memoria
delle loro origini si rende non soltanto opportuna, ma necessaria.
Ignacio Rojas Gálvez è l’autore della prima parte dell’opera, intitolata La
Biblia y su interpretación en el s. XII. La lectura de la Escritura en el contexto de la
fundación de la Orden Trinitaria. La teologia del XII secolo, specie a Parigi – dove
il fondatore fu Magister –, è caratterizzata dal «risveglio evangelico», cioè dalla
riflessione incentrata sulla parola di Dio, che spinse la Chiesa a concretizzare il
regno di Dio nella povertà evangelica. Interessante è l’excursus tra le forme ed
espressioni dell’esegesi biblica medievale, con un opportuno soffermarsi sulla
Sacra pagina a Parigi. Rojas studia i 10 riferimenti biblici presenti nella Regola
del 1198, offrendo uno studio equilibrato e competente sui fondamenti del pro-
getto di san Giovanni de Matha.
Antonio A. Fernández Serrano, direttore di Solidaridad Internacional Trini-
taria, organismo di aiuto a quanti oggi subiscono persecuzioni per la loro fede
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

in Cristo, è l’autore del capitolo La teología trinitaria en el origen de la Orden de


la Santísima Trinidad. Originalidad e influencias teológicas en el proyecto trinitario
de Juan de Mata. Si tratta di un itinerario tra gli autori più significativi del XII
secolo riguardo al mistero di Dio, con particolare riferimento alla Scuola di
San Vittore e al maestro Prevostino. Fernández affronta la teologia di san Gio-
vanni de Matha, studiando vari elementi della Regola e anche del mosaico di
San Tommaso in formis (Roma, 1209), che ritrae Cristo Pantocratore fra due
schiavi, rappresentazione monumentale del sigillo dell’Ordine.
Lo storico Pedro Aliaga Asensio, vicario generale dell’Ordine, ha
scritto il capitolo Cautivos por su fe en Cristo. Orígenes históricos de la mi-
sión redentora de los trinitarios. Egli prende le mosse da un panorama esau-
riente sulla considerazione degli schiavi e dei beni per il loro riscatto nella
tradizione della Chiesa antica e altomedievale, con abbondanti riferimenti
ad autori e a concili. Analizza la schiavitù nei secoli XII e XIII, attorno
alle crociate, alla pirateria e alla Reconquista spagnola, facendo una sintesi
205
completa delle istituzioni e delle persone che si dedicarono al riscatto.
Studia quindi la fondazione dell’Ordine trinitario, con particolare rife-
rimento a tutti gli elementi che fecero dell’affrancamento degli schiavi la
sua opera distintiva.
Questo libro è utile non soltanto per l’Ordine trinitario, per riflettere
sui propri inizi, ma anche per chi voglia documentarsi sulla risposta secolare
della Chiesa alla sofferenza di quanti vengono perseguitati per la loro fede,
in un momento, come il nostro, in cui la persecuzione religiosa torna a es-
sere di triste attualità.

Fernando Chica Arellano

DOMENICO SICLARI

I L «PROJECT FINANCING»
NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI.
PROBLEMI E PROSPETTIVE
Torino, Giappichelli, 2019, 168, € 20,00.

Il tema degli investimenti pubblici e la necessità di utilizzare strumenti di


partenariato pubblico-privato a causa della scarsezza di risorse pubbliche sono
già da qualche tempo, e con un’attenzione crescente, al centro del dibattito
sullo sviluppo sostenibile del Paese.
In questo ambito merita di essere segnalata questa ricerca sulla «finanza di
progetto», ossia sulla tecnica di finanziamento a lungo termine di un proget-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

to di un’opera in cui il ristoro del finanziamento è garantito dai flussi di cassa


previsti dall’attività di gestione-esercizio dell’opera stessa.
La ricerca, coordinata da Domenico Siclari, professore di Diritto dell’eco-
nomia e dei mercati finanziari all’Università «La Sapienza» di Roma, si avvale
dei saggi scritti da studiosi, collaboratori di cattedra.
Come si precisa nelle pagine introduttive, l’analisi della finanza di progetto
viene affrontata sul piano giuridico – senza peraltro trascurare le rilevanti im-
plicazioni economiche per il Paese – «secondo un metodo di analisi economica
del diritto, che dovrebbe costituire una delle moderne direttrici metodologiche
del diritto dell’economia» (p. 10). Il lettore viene così condotto per mano, con un
linguaggio rigoroso sul piano scientifico ma comprensibile anche ai non addetti
ai lavori, ad affrontare inizialmente gli aspetti del partenariato pubblico-privato
e del ruolo che in questo ambito assume lo strumento della finanza di progetto.
Seguono altri tre interessanti contributi, dedicati rispettivamente alla di-
206
mensione internazionale della finanza di progetto e alle relative complessità
riscontrate sul campo; alla configurazione del suo mercato in Italia, con un’at-
tenta illustrazione e analisi delle sue componenti e con un’individuazione «di
limiti amministrativi, procedurali ed economici che impediscono una piena
ed efficace risposta della finanza di progetto alla pressante richiesta di infra-
strutture […] del Paese» (p. 90); e infine alla regolazione della finanza di pro-
getto nel Codice dei contratti pubblici, anche a seguito del recepimento della
recente normativa comunitaria (Direttiva UE n. 23 del 2014).
Concludono questa ricerca due approfondimenti dedicati ad altrettanti
temi di non secondaria importanza. Il primo riguarda la tendenza alla stan-
dardizzazione del contratto di finanza di progetto, sicuramente apprezzabile
nell’ottica di una maggiore diffusione di uno strumento fondamentale per la
crescita economica sostenibile del Paese. Il secondo concerne i confini appli-
cativi della giustizia amministrativa e di quella ordinaria in materia di finanza
di progetto, con un’attenzione particolare anche al delicato profilo del loro
riparto nel caso – non infrequente nella pratica operativa – di difficoltà a
tracciare confini così netti tra le due tipologie giurisdizionali.
Il libro costituisce sia un significativo punto di arrivo nella trattazione
di una materia così innovativa e per certi versi ancora inesplorata nel no-
stro Paese, sia un punto di partenza per un dibattito e un approfondimento
particolarmente utile, oltre che agli specialisti della materia, anche alle scelte
qualificanti di politica economica del prossimo futuro in Italia.

Filippo Cucuccio
OPERE PERVENUTE

BIOGRAFIE SOCIOLOGIA
IMPERATORI M. - ARLEDLER G., Beato EURISPES, Povertà, disuguaglianze e fragilità
Padre Giovanni Fausti S.I. Un martire di frontiera in Italia. Riflessioni per il nuovo Parlamento,
nelle mani di Dio, Gorle (Bg), Velar, 2019, 48, Bologna, Minerva, 2018, 208, € 15,00.
€ 4,00. GRONCHI M. - TRENTINI A., La speranza
VACCARI M., Elisa Salerno: eresia o nuova oltre le sbarre. Viaggio in un carcere di massima
Pentecoste? Una vicenda di femminismo cristiano, sicurezza, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2018,
Trapani, il Pozzo di Giacobbe, 2019, 132, 180, € 16,00.
€ 13,90.
STORIA
DIRITTO BARBAGALLO F., L’ Italia nel mondo
POGGI A. M., Per un «diverso» Stato sociale. contemporaneo. Sei lezioni di storia. 1943-2018, Roma -
La parabola del diritto all’istruzione nel nostro Paese, Bari, Laterza, 2019, 170, € 16,00.
Bologna, il Mulino, 2019, 280, € 21,00. CADORNA L. - CADORNA C., Caporetto,
risponde Cadorna. Le argomentazioni del Generale
Luigi Cadorna in risposta alla Commissione d’inchiesta,
MARIOLOGIA rivisitate oggi dal nipote Carlo, Grottaferrata (Rm),
Bcsmedia, 2019, 476, € 32,00.
BLAQUIÈRE G., Il vangelo di Maria, LA PIRA G., La fondazione romanistica. Scritti
Bologna, EDB, 2019, 184, € 16,00. di storia e di diritto romano (P. GIUNTI), voll. II. 1 –
BØRRESEN K. E., Maria nel Medioevo II.2, Firenze, Fondazione Giorgio La Pira – Firenze
fra antropologia e teologia, Trapani, il Pozzo di University Press, 2019, 1426, € 65,00.
Giacobbe, 2019, 256, € 24,00. PICARIELLO A., Un’azalea in via Fani. Da
piazza Fontana a oggi: terroristi, vittime, riscatto e
PASTORALE riconciliazione, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo,
2019, 352, € 25,00.
Relazioni (Le) tra Vescovi e Superiori RUBENSTEIN D. M., The American Story.
Maggiori. Percorsi di condivisione ecclesiale, Roma, Conversations with Master Historians, New York,
Conferenza Italiana Superiori Maggiori, 2019, Simon and Schuster, 2019, 396, $ 30,00.
270, € 25,00.
TEOLOGIA
POLITICA RATZINGER J., L’insegnamento del
ASTRID, Legge elettorale e dinamiche Concilio Vaticano II. Formulazione, trasmissione,
della forma di governo (G. DE MINICO - G. interpretazione, Città del Vaticano, Libr. Ed.
FERRAIUOLO), Firenze, Passigli, 2019, 352, Vaticana, 2019, 740, € 85,00.
€ 34,00. STUBENRAUCH. B., Pluralismo anziché
FOLLINI M., Democrazia Cristiana. Il cattolicità? Dio, il cristianesimo e le religioni,
racconto di un partito, Palermo, Sellerio, 2019, 248, Brescia, Queriniana, 2019, 214, € 28,00.
€ 16,00.
LA PIRA G., Scritti giovanili (P. A. VARIE
CARNEMOLLA) Firenze, Firenze University
Press, 2019, 130, € 27,00. MUNIZ V., L’ albero della vita. Un archetipo
STENT A., Putin’s world. Russia against the per il futuro (S. DE CRESCENZIO –
West and with the Rest, New York, Twelve, 2019, C. MONTUSCHI), Città del Vaticano,
433, $ 30,00. Biblioteca Apostolica Vaticana, 2019, 116, s.i.p.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un annuncio
sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi sopra secondo le possibilità e lo
spazio disponibile.
BEATUS POPULUS, CUIUS DOMINUS DEUS EIUS

RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

LINGUA ITALIANA
La Civiltà Cattolica | Roma (Italia) | laciviltacattolica.it

LINGUA INGLESE
Union of Catholic Asian News | Bangkok (Thailandia) | laciviltacattolica.com

LINGUA SPAGNOLA
Herder Editorial | Barcelona (Spagna) | civiltacattolica-ib.com

LINGUA FRANCESE
Parole et Silence | Paris (Francia)

LINGUA COREANA
Provincia Coreana dei Gesuiti | Seul (Corea del Sud) | laciviltacattolica.kr
RIVISTA QUINDICINALE DI CULTURA DELLA COMPAGNIA DI GESÙ, FONDATA NEL 1850

ABBONAMENTI
ITALIA
1 anno € 95,00; 2 anni € 160,00; 3 anni € 220,00

ZONA EURO
1 anno € 120,00; 2 anni € 210,00; 3 anni € 300,00

ALTRI PAESI
1 anno € 195,00; 2 anni € 330,00; 3 anni € 510,00

Puoi acquistare un quaderno (€ 9,00 per l’annata in corso, € 15,00 per gli arretrati),
sottoscrivere o rinnovare l’abbonamento alla nostra rivista
con carta di credito o prepagata, bonifico e PayPal.

direttamente sul sito: laciviltacattolica.it

oppure tramite
c/c postale: n. 588004
intestato a La Civiltà Cattolica,
via di Porta Pinciana, 1
00187 Roma

c/c bancario: intestato al Collegio degli scrittori


della Civiltà Cattolica
IBAN IT76 J030 6909 6061 0000 0166 267
BIC: BCITITMM

[IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74, 1° comma, lett. c), D.P.R. 633/1972 e successive modifiche]
Direzione, amministrazione e gestione della pubblicità: via di Porta Pinciana, 1 - 00187 Roma.
Telefoni: centralino (06) 69.79.201; fax (06) 69.79.20.22; abbonamenti (06) 69.79.20.50

Potrebbero piacerti anche