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DIRITTO INTERNAZIONALE E PROGREDITO

21/09
LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE
Nel Trattato di Roma (1957) nel momento in cui viene esteso si parla effettivamente di libera circolazione delle
persone, ma gli estensori del trattato sono ben lontani dall’intendere il termine “persone” come noi lo intendiamo
oggi in senso ampio, in realtà se noi ci mettiamo nella prospettiva dal punto di vista storico di coloro che danno vita
alla comunità economica europea a pochi dalla fine della Seconda guerra mondiale,
l’intento è di natura mercantilistica, si vuole sviluppare un mercato unico europeo, nessuno all’epoca ha l’idea di
poter arrivare alla creazione di un’organizzazione sovranazionale di stato regionale che vada ad abbracciare altre
materie. Quando nel trattato della comunità economica europea viene inserita una norma relativa alla libera
circolazione delle persone, questa norma è chiaramente riferita alla libera circolazione dei lavoratori. Il trattato sulla
CEE, non si occupa dei cittadini degli stati membri se non in quanto fattori della produzione, dotati di un ruolo
economicamente rilevante, nessuno tiene in considerazione il fatto che un cittadino di uno stato membro possa
avere diritto ai sensi del neonato diritto della comunità europea di spostarsi da uno stato all’altro in quanto cittadino
a prescindere dall’esercizio di un’attività lavorativa. Le “persone” nel trattato del 1957 sono i lavoratori subordinati. Il
trattato, comunque, si occupa anche di tutti coloro che svolgono un’attività economicamente rilevante, quindi ad
esempio dei lavoratori autonomi, ma questo assume una denominazione diversa: libera prestazione dei servizi o
diritto di stabilimento. Quello che non è contemplato nel trattato è il diritto riconosciuto ad un cittadino che non
eserciti nessun tipo di attività lavorativa.
Poco tempo dopo la creazione della CEE si verifica che il riconoscimento del diritto di libera circolazione ai lavoratori
in sé e per sé non è assistito da un sufficiente livello di effettività, un enorme ostacolo rispetto all’esercizio di questo
diritto nell’ambito del territorio intraeuropeo può essere che spostandosi il lavoratore deve anche spostarsi la sua
famiglia e all’epoca non si faceva menzione dei rapporti familiari nel trattato, scarsa effettività quindi perché il
lavoratore non può portare con se il nucleo familiare, e questo disincentiva anche il lavoratore a spostarsi e ad
accettare qualche offerta di lavoro in altri stati. Questo diritto deve quindi essere assistito dal diritto al
ricongiungimento familiare del lavoratore, già verso il finire degli anni 70 abbiamo un primo regolamento con cui
viene introdotto proprio questo concetto.
Nel 1968 viene approvato il regolamento 1612 che dice che hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore, cittadino di
uno stato membro occupato sul territorio di un altro stato membro qualunque sia la loro cittadinanza: il coniuge e i
loro discendenti minori di anni 21 o a carico; gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo
carico.
Quando viene introdotto il ricongiungimento lo si fa in termini relativamente ampi, per quel tempo si trattava di
previsioni che soddisfavano tutte le esigenze. Tra l’altro la norma prevede che si possano ricongiungere i discendenti
minori di 21 anni o a carico, quest’ultima cosa vuol dire che non c’è fondamentalmente un limite di età nel caso in
cui il figlio (ma anche il nipote) rimangano a carico del lavoratore, fino a che un soggetto rimane all’interno del
nucleo e non esercita un’attività lavorativa che gli consenta di essere economicamente autonomo, questo è a carico
dei genitori e quindi il limite dei 21 anni non esiste.
Attenzione anche all’inciso “qualunque sia la loro cittadinanza”, questo rimarrà rilevante anche nella normativa
attualmente in vigore, si dice così perché quello che conta è il soggetto richiedente il ricongiungimento familiare per
un proprio congiunto, lui deve essere cittadino dell’unione europea, non importa se il familiare è o non è cittadino
dell’unione europea, questo sta diventando sempre più rilevante con riferimento ai familiari cittadini extra europei
perché un familiare cittadino dell’unione europea potrebbe avere un diritto autonomo di circolazione e di soggiorno,
non lo deve mutuare al proprio congiunto. Questo diritto al ricongiungimento, quindi, oggi è quasi sempre riferito a
familiari cittadini non europei proprio perché quelli europei già hanno il loro diritto di spostamento all’interno
dell’unione.
Col regolamento del 68 siamo ancora all’interno di un quadro normativo in cui, il diritto al ricongiungimento viene
introdotto, ma nei confronti del familiare cittadino dell’UE che eserciti un’attività lavorativa subordinata o autonoma.
Nel 1986 con l’Atto Unico Europeo il diritto alla circolazione e soggiorno si affranca dall’esercizio di un’attività
lavorativa. Stiamo andando verso una comunità europea che non è più economica, infatti dopo pochi anni (1992)
con il trattato di Maastricht tramonta definitivamente il riferimento economico, abbiamo la creazione dell’unione ma
anche il passaggio da CEE a CE.
Se da un lato, tutt’oggi, non è richiesto il requisito di svolgere un’attività lavorativa, dall’altro lato qualunque stato
dell’unione europea PUO’ (non deve) richiedere il soddisfacimento di alcuni requisiti ulteriori. Il diritto dell’unione
europea ci dice il limite al di sopra del quale noi non possiamo sollevare l’asticella, possiamo però sempre come stati
membri abbassarla; ci dice quali requisiti noi possiamo legittimamente richiedere ad un cittadino straniero per poter
soggiornare sul territorio dello stato ospitante, ma non ci dà invece un livello minimo, cioè consente agli stati
membri laddove lo vogliano di accogliere senza richiedere alcunché i vari cittadini degli altri paesi. Questo nel caso di
un lungo periodo di soggiorno, poi in realtà bisogna distinguere tra lungo periodo e breve.
Vige tutt’oggi una discriminazione dal punto di vista economico, cioè molti stati dell’unione europea non possono
vedersi imporre il fatto di accordare un diritto assoluto di soggiorno ai cittadini degli altri stati membri proprio
perché mettiamo caso che mi ammalo, che ho bisogno di un lungo ricovero, se sono in una situazione di indigenza
tale da indurmi a gravare sull’assistenza pubblica dello stato ospitante; gli stati membri hanno differenti sistemi di
stato sociale con una assistenza più o meno estesa, ma in nessun caso dell’unione europea si verifica una situazione
per cui ad esempio un soggetto non viene sottoposto ad una cura salvavita perché non è capace di pagarla, questo fa
capire come soprattutto per determinati paesi che hanno un sistema di stato sociale molto sviluppato (paesi
scandinavi) è chiaro che sarebbe insostenibile una migrazione incontrollata da altri paesi membri se non ci fossero
determinati requisiti, perché a quel punto chiunque abbia bisogno di una cura salvavita si sposterebbe nel paese che
dà una migliore assistenza ma questo non sarebbe sostenibile.
I requisiti ulteriori che mi possono essere richiesti sono: il possesso di risorse economiche sufficienti (dipende dagli
stati membri, in Italia ad esempio nel 2017 è stata fissata a 5830€ annui, livello minimo per contribuire alle spese) e
l’assicurazione malattia.
Attenzione a non confondere il tema relativo alla libera circolazione dei cittadini dell’UE all’interno degli stati membri
con il tema relativo allo spazio Schengen. Quest’ultimo è stato costituito da stati dell’UE (ma non solo) e ha una
ragion d’essere molto vicina alla libera circolazione e soggiorno ma non è la stessa, cioè la creazione dello spazio
Schengen è la creazione di uno senza frontiere interne, in cui i soggetti possono spostarsi da un paese all’altro
liberamente senza dover essere sottoposti a controlli sistematici al momento dell’attraversamento delle frontiere.
Un conto è dire che io per spostarmi dall’Italia alla Francia in macchina attraverso il confine di stato e non vi è un
controllo sistematico degli accessi tale per cui ciascuno deve esibire un documento; altro invece riguarda il tema
della libera circolazione e soggiorno che è relativo al mio diritto di soggiornare in un paese diverso da quello di
origine che non è la stessa cosa che parlare del diritto di ingresso. Il discorso Schengen riguarda solo il passaggio di
frontiera.
Paesi UE che non fanno parte dell’area Schengen (Romania ma è destinata ad entrarci, Irlanda non destinata ad
entrarci, Regno Unito già prima della Brexit).
Paesi non UE che fanno parte dell’area Schengen (Svizzera e Norvegia).
La disciplina attualmente vigente in materia di libera circolazione e soggiorno dei cittadini dell'unione europea: oggi
abbiamo un chiaro riferimento all’interno di una direttiva che rappresenta una sorta di testo unico delle norme
dell'unione europea sulla libera circolazione e soggiorno dei cittadini, questa direttiva disciplina anche l'ulteriore
aspetto relativo al ricongiungimento familiare.
Questa direttiva è la numero 38 del 2004, una direttiva è un atto normativo dell'unione europea che a differenza dei
regolamenti richiede una trasposizione da parte degli stati membri, non è immediatamente vincolante, non vuole
uniformare in toto il diritto degli Stati membri ma vuole indicare degli obiettivi che devono essere raggiunti lasciando
poi gli Stati membri liberi; tutte le volte che menzioniamo una direttiva sappiamo che deve essere poi stata recepita
dai singoli legislatori nazionali tramite altrettanti atti normativi di livello interno. Il testo normativo italiano che ha
dato trasposizione di questa direttiva è il decreto legislativo numero 30 del 2007 (il termine per il recepimento della
direttiva era stato fissato in realtà l’anno precedente). La direttiva vincola gli Stati, ossia pone gli Stati a adeguarsi ad
una determinata normativa con un determinato termine.
Quando parliamo di libera circolazione e di soggiorno ai sensi delle previsioni della direttiva poi ribaltata nel piano
interno con il decreto 30 del 2007, dobbiamo distinguere immediatamente in base alla durata della permanenza.
Fermo restando che la direttiva chiarisce che le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni
legislative regolamentari e amministrative del diritto interno che siano più favorevoli quindi nulla vieta agli stati di
eliminare le barriere o abbassarle.
Prima ipotesi: mero diritto di libera circolazione inteso come diritto di uscita da un paese e ingresso in un altro paese
e conseguente soggiorno di breve durata (fino a 3 mesi). Su questo fronte noi possiamo parlare di un diritto assoluto,
cioè tutti i cittadini dell’unione europea possono spostarsi da un paese ad un altro e possono permanervi per un
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tempo fino a 3 mesi senza dover soddisfare alcun requisito specifico ulteriore rispetto a quello che devo essere
cittadino dell’Unione Europea esibendo il documento di identità.
La corte di giustizia è stata interrogata sul fatto che questo requisito debba essere inteso in modo estremamente
rigido o più elastico, la questione che si era posta era ma cosa faccio se mi trovo di fronte un documento di identità
scaduto, non è più valido ai sensi della normativa interna dello stato che lo ha emesso, ma comunque contiene una
attestazione sufficientemente chiara e univoca della cittadinanza di quel soggetto. La Corte di giustizia con un proprio
approccio sempre molto elastico ed evolutivo ha detto guardiamo allo scopo, all’obiettivo che si deve raggiungere, se
l'obiettivo che voglio raggiungere non è tanto quello di avere di fronte un soggetto con un documento valido ma
semplicemente avere la conferma del fatto che si tratta di un cittadino dell'unione europea, quel documento seppur
scaduto dovrebbe ritenuto sufficiente ad attestare la cittadinanza, così come la Corte di giustizia tende a dire se
anche non si tratta di un documento di identità o di un passaporto, ma di un altro documento che in modo
sufficientemente univoco mi individui la cittadinanza di quel soggetto questo oggetto dovrebbe essere ritenuto
titolare del diritto di libera circolazione e soggiorno di breve durata.

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28/09
Ogni cittadino dell’unione europea ha diritto ai sensi della disciplina europea di portare con sé i propri famigliari da
un pese all’altro ogni volta che lui stesso ha diritto di spostarsi da un paese all’altro e di soggiornare più o meno a
lungo nel paese di destinazione. Quindi bisogna capire prima quando e a quali condizioni il cittadino dell’UE può
legittimamente trasferirsi da uno stato all’altro, quindi può muoversi liberamente all’interno del territorio
dell’unione e poi quindi potremmo capire anche a quali condizioni può condurre con sé i propri famigliari e chi sono.
Il diritto dell’unione europea distingue a seconda della durata del soggiorno. Nella prima categoria rientrano i
soggiorni di breve termine che sono equiparati nella disciplina al mero esercizio della libertà di circolazione cioè
uscita da un paese e ingresso in un altro paese. Questo tipo di mero spostamento ricade nella stessa disciplina che
riguarda i soggiorni di breve periodo cioè fino a tre mesi. Le condizioni sono le stesse ovvero possesso di documento
di identità atto a qualificare il soggetto come cittadino di uno stato membro UE e quindi cittadino membro
dell’unione europea, solo per il fatto che è cittadino dell’unione europea può spostarsi liberamente e soggiornare nel
paese di destinazione per un periodo di tre mesi.
Questo è quanto prevede una direttiva del 2004/38, è una direttiva e quindi non dobbiamo pensare che la disciplina
dell’UE è stata semplicemente trasposta all’interno degli ordinamenti nazionale ma possono esserci state scelte
differenti laddove chiaramente la direttiva il legislatore dell’UE lascia liberi gli stati membri di autodeterminarsi.
Il legislatore dell’unione europea consente sempre di diminuire il livello di controllo, di abbassare l’asticella del
possibile ostacolo frapposto alla libera circolazione. Quindi per lo meno per tre mesi non possono essere richiesti
ulteriori requisisti, oltre tre mesi saranno gli Stati a decidere di non richiedere il possesso dei requisiti che invece il
legislatore dell'unione europea consentirebbe di richiedere.
La corte di giustizia ha interpretato dove possibile, dove ne ha avuto l’occasione questo requisito in modo elastico,
secondo quella sua giurisprudenza tipicamente evolutiva ci ha detto attenzione documento identità vuol dire
documento idoneo atto attestare il possesso della cittadinanza quindi le pubbliche autorità di uno Stato membro
dovrebbero anch'esse interpretare in modo elastico questo requisito e quindi ritenere il requisito del possesso di
documento anche laddove non si tratti di documento in corso di validità ma comunque ad esempio idoneo ad
attestare la cittadinanza o altri documenti che non che non sia documento d'identità ma comunque rilasciate da
pubbliche autorità contenenti la foto e che possano identificare l'idoneità del soggetto. Questo per il caso del mero
spostamento fino a tre mesi.
Oltre i tre mesi, per periodi che escludono normalmente il trasferimento per scopi di vacanza, oltre i tre mesi gli stati
membri UE ottengono la possibilità di richiedere il possesso ulteriori requisiti per garantire al cittadino di un altro
stato la possibilità di soggiornare sul proprio territorio e questa discriminazione di ordine economico è stata detta
insopprimibile insormontabile perché altrimenti si potrebbe generare in linea teorica uno spostamento di massa in
paesi che garantiscono le migliori prestazioni esistenziali e che ovviamente reggono questo loro stato sciale,
possibilità di assistenza pubblica sulle tasse, sui pagamenti che vengono effettuati dai cittadini. Quindi oltre i tre mesi
ritorna a essere valido quel discorso riguardo ai requisiti introdotti per la prima volta dall'atto unico europeo alla fine
degli anni 80. cioè lo stato ospitante è legittimato a richiedere non solo documento che attesti il possesso di
cittadinanza UE ma anche da un lato possesso di risorse economiche sufficienti e non possiamo dire cosa sono
precisamente le risorse economiche sufficienti è volutamente vago questo riferimento perché in ciascuno stato
membro il costo della vita è differente quindi ciascuno stato valuterà il concetto di risorse economico sufficienti e
assicurazione malattia dall’altro lato.
Non tutti gli stati membri hanno da un lato accolto in modo così rigoroso questo requisito dal punto di vista
normativo e dall’altro lato anche dove l'hanno fatto non sempre viene effettivamente richiesto di provare il possesso
di questi ulteriori requisiti.
Tornano a essere applicabili questi ulteriori requisiti e per altro le pubbliche autorità per ragioni di sicurezza possono
richiedere la mera iscrizione del cittadino in un altro paese membro all'interno dei registri della comparazione
residenti questo per motivi di completa sicurezza, le autorità pubbliche di polizia devono avere una minima idea
della popolazione residente domiciliata su un determinato territorio su un determinato stato per un periodo. Quindi
banalmente si può richiedere l’iscrizione in questura compilando quel modulo dove si dichiara di essere
temporaneamente soggiornanti in una determinata unità abitativa in modo tale qualunque cosa accadesse da
emergenza relativa allo scoppio di un incendio o altre situazioni di emergenza le autorità pubbliche siano in grado di
sapere chi è.
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Relativamente a questo requisito dell’iscrizione che non è una richiesta di ottenere una patente da parte delle
pubbliche autorità relativa alla possibilità di rimanere all’interno dello stato, ma è una comunicazione unilaterale, io
cittadino comunico di essere residente in quella unità abitativa.
Relativo a questo la corte di giustizia ha chiarito che gli stati membri anche laddove lo richiedono non possono
imporre delle tempistiche troppo stringenti, anche qui la corte di giustizia non pone delle tempistiche precise ma
dice di non avere periodi di tempo ridotti ma intervenendo in casi in cui sono stati concessi pochi giorni per
l'iscrizione ha detto attenzione sono periodi di tempo molto ridotti può andare bene ma la eventuale sanzione,
conseguenza alla mancata iscrizione deve essere adeguata, non può essere in nessun caso l’allontanamento ma una
funzione amministrativa di lieve entità altrimenti bisogna dare più tempo.
Ci sono poi all’interno di questa categoria di spostamenti soggiorni di medio periodo, di medio termine ci sono poi
delle condizioni particolari che riguardano casi di soggetti che si spostano per motivi di studio formazione
professionale, per questi il diritto UE prevede che il possesso di risorse economiche sufficienti non debba essere
provato ma possa essere semplicemente oggetto di una autocertificazione, si agevola la possibilità di soggiorno che
si spostano all’interno di un percorso ben definito come può essere quello dello studio.
Rimane valida quella che era condizione presente all’interno del diritto dell’UE fin dal 1958 dalla creazione dell’unità
economica europea ossia chi è lavoratore è esentato da qualunque tipo di ulteriore requisito oltre alla cittadinanza
europea, o si è lavoratori autonomi o subordinati e allora l’esercizio dell’attività lavorativa solo rappresenta un
requisito necessario e sufficiente per il soggiorno. Oppure se non si lavora quindi non si ha nessun reddito occorrerà
dimostrare di possedere l’assicurazione malattia e le risorse economiche sufficienti.
All’interno UE sono abolite i visti non viene richiesto alcun visto per uscita da un paese ed entrata in un altro paese
membro. Questo sembra banale ma invece ha senso ricordalo perché nel diritto di ricongiungimento famigliare ha
una parentesi del tutto particolare con riguardo ai famigliari cittadini di paesi terzi.
Quando si è introdotto il diritto di ricongiungimento si poteva spostare da un paese all’altro solo i lavoratori oggi
dopo l’atto unico europeo si possono spostare anche coloro che a prescindere dall’esercizio di un’attività lavorativa
possiedono risorse economiche sufficienti e assicurazione malattia. Vuol dire che il diritto al ricongiungimento di
famigliare non ha più alcun tipo di rilevanza qualora il famigliare sia cittadino dell’UE perché di fatto i famigliari
cittadini dell’unione europea abbiano loro stessi l’autonomo diritto di soggiorno o saranno lavoratori o avranno
risorse economiche sufficienti e assicurazione malattia o altrimenti si considera la capacità economica del lavoratore
che andrà a coprire anche i famigliari.
Oggi è fondamentale il discorso relativo al ricongiungimento famigliare rispetto ai cittadini di paesi terzi, essi devono
esibire il visto d’ingresso all’interno di un paese membro poi all’interno di un paese membro all’altro si possono
muovere liberamente a prescindere dal visto ma attenzione il discorso relativo al visto continua ad avere valenza
anche all’interno della disciplina del ricongiungimento famigliare nella misura in cui un soggetto cittadino dell’UE
richieda ricongiungere un proprio famigliare ad esempio statunitense questo famigliare per entrare all’interno di un
territorio di un qualunque paese membro dovrà esibire un visto di ingresso perché non stiamo parlando di cittadini
dell’UE.
Ue è intervenuta con discipline uniformi anche sui visti e con un regolamento che viene proprio chiamato
regolamento visti ha stilato una lista comune a tutti i paesi membri dei paesi terzi a partire dei quali è richiesto un
visto d’ingresso il discorso del visto si basa su un principio di reciprocità, quindi i paesi che chiedono il visto sono
sostanzialmente i paesi che richiedono il visto ai cittadini dell’EU qualora essi si vogliano recare sul loro territorio per
esempio gli Stati Uniti per andare là lo richiedono e loro per entrare all’interno dell’unione europea lo richiedono.
Il regolamento visti ha introdotto la lista dei paesi e ha uniformato tutta la procedura tra i paesi membri per la
modulistica, per la richiesta dei visti in uscita per i cittadini dell’unione, quindi, è intervenuto sulla materia
uniformandola con tutti i paesi membri in modo tale che, come c’è una libera circolazione nell’UE, così c’è anche una
serie di regole comuni per uscire nei paesi terzi e per i paesi terzi verso l’UE.
Questo era il soggiorno di medio periodo che parte da tre mesi e non c’è limite di tempo, oltre un determinato
periodo di tempo si sovrappone un ulteriore disciplina la terza casistica ovvero il diritto di soggiorno permanente.
Esso scatta dopo i cinque anni di soggiorno ininterrotto e legittimo del cittadino UE se questo soggiorno si estende
nel tempo e arriva fino a 5 anni e a quel punto il cittadino dell’unione europea acquisisce il diritto soggiorno
permanete. Ovviamente anche se è ininterrotto i cittadini possono fare ritorno nel loro paese di origine ma non può
essere maggiore di sei mesi sennò si deve ricominciare da capo. La differenza tra soggiorno di medio periodo e quello
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permanente, il cittadino dell’UE che risiede per più di 5 anni automaticamente acquisisce il diritto di soggiorno
permanente, questo diritto però deve essere attestato da una carta che si richiede alle autorità pubbliche
competenti che viene semplicemente definita carta di soggiorno dei cittadini dell’UE, ha una durata illimitata ma gli
stati possono richiedere che ogni cinque e dieci anni venga riemessa per verificare la sussistenza dei requisiti in caso
al cittadino in questione in particolare nel il caso di cittadini che non lavorano. La carta di soggiorno permanete
parifica il trattamento spettante ai cittadini dello stato ospitante e cittadini di altri paesi dell’UE.
Relativamente ha determinante prestazioni, sussidi erogazioni da parte dello stato ospitante finché non si acquisisce
la carta di soggiorno permanente è legittimo che lo stato distingua tra cittadini nazionali e cittadini di altri paesi
dell’UE oltre i cinque anni i cittadini dell’UE hanno il diritto di essere parificati ai cittadini dello stato ospitante per
esempio pensiamo la concessione di unità abitative, qualora ci siano dei bandi anche loro possono partecipare,
stessa cosa per sussidi e borse di studio.
Precisazione da fare è che si sovrappone parzialmente a questo discorso quello relativo alla cittadinanza o meglio
l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione. Noi sappiamo che dopo un determinato periodo di tempo
malgrado l’acquisizione della cittadinanza all’interno dei paesi dell’unione europea avvenga per lo più iure sanguinis
si ha diritto alla richiesta alla naturalizzazione ossia l’acquisizione della cittadinanza nel corso della propria vita per
ragioni legate per esempio alla residenza sul territorio dello stato (legittima). Il discorso alla illegittimità del soggiorno
e alla condizione di clandestinità non è un discorso che riguarda solo i cittadini di paesi terzi, nel momento in cui io
parlo di determinato condizioni che i cittadini dell’UE devono soddisfare per richiederla residenza su un territorio di
uno stato questo vuol dire chiaramente al contrario che coloro che non soddisfano queste condizioni si trovano in
una situazione di irregolarità del soggiorno. Se un cittadino non lavora, non ha le risorse economiche necessarie e
l’assicurazione malattia ci sarà un provvedimento di allontanamento autonomo (per cittadini dell’UE) e di espulsione
(cittadini di paesi terzi) autonoma che sono la stessa cosa.
Maturato un certo periodo di tempo di soggiorno regolare all’interno di uno stato il soggetto interessato può fare
domanda per acquisizione della cittadinanza, questo vale in assoluto a prescindere dal fatto che sia o non sia
cittadino UE, nel senso che proprio la regola generale prevista riguarda qualunque cittadino straniero è che dopo 10
anni di soggiorno regolare è possibile iniziare a introdurre le domande per l’ottenimento della cittadinanza.
Il diritto dell’UE ci dice che semplicemente a riguardo ai cittadini dell’unione europea questo termine deve essere
ridotto. Quindi rimane vero che il tema della concessione della cittadinanza è ancora oggi anch’esso appannaggio dei
legislatori nazionali, cioè ciascuno stato membro decide a quali condizioni concedere la cittadinanza, sicché non
abbiamo nell’unione europea modelli esattamente sovrapponibili ci sono paesi che per varie ragioni valorizzano lo
ius soli in modo più significativo rispetto al nostro paese ma quello che il diritto europeo ci impone è quello di ridurre
il termine rispetto a quello che noi normalmente e allora ai cittadini dell’unione Europa e noi richiediamo 4 anni di
soggiorno regolare così che poi possa essere introdotta una domanda per l’ottenimento della cittadinanza.
Ovviamente ci sono due strade per il cittadino dell’UE che si trovi a soggiornare per lungo tempo sul territorio di un
altro stato.
La prima strada è quel di giovarsi del diritto di soggiorno permanente, diritto di soggiorno di medio periodo che a un
certo punto diverrà diritto di soggiorno permanente.
La seconda via è quella di chiedere la cittadinanza del paese ospitante, nel momento in cui questa viene concessa
ovviamente rappresenta una tappa fondamentale e da quel momento non c’è più bisogno di niente perché si diviene
cittadini dello stato.
È anche vero che nel caso del nostro paese i tempi per il diritto della cittadinanza sono molto lunghi quindi è
inverosimile che si abbia la cittadinanza prima di aver maturato il diritto di soggiorno permanente, quindi si avrà
prima il soggiorno permanente e poi semmai si concluderà il procedimento di naturalizzazione che può essere
intrapreso a partire dai quattro anni, ciascuno stato però decide per sé.
Con la brexit i cittadini dell’UE che si trovano a risiedere anche in modo permanente in un territorio in un altro stato
tradizionalmente non hanno mai avuto un grandissimo interesse o urgenza dell’ottenimento della cittadinanza cioè
sostanzialmente avere il diritto di soggiorno permanente come cittadino dell’UE soddisfa qualunque tipo di
necessità, il problema si è verificato invece con la brexit, soggetti che risiedevano nel regno unito da lungo tempo e
che mai si erano preoccupati di chiedere la cittadinanza perché non ne avevano bisogno si sono trovati in una
condizione molto peggiore rispetto a coloro che per motivi diversi la cittadinanza l’avevano ottenuta.

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Ogni volta che un cittadino dell’unione europea si sposti e risieda legittimamente in un paese diverso rispetto a
quello di origine ha diritto di portare con sé il proprio nucleo famigliare. Lo abbiamo già visto questo diritto nel 1958
ma solo riguarda ai cittadini lavoratori ora effettivamente nel momento in cui quell’atto unico e europeo è venuto a
meno a questa richiesta dell’esercizio di un’attività lavorativa necessaria per lo spostamento del soggiorno
chiaramente il diritto del ricongiungimento famigliare è andato di conseguenza e quindi anche il diritto di
ricongiungimento familiare non richiede più il necessario esercizio di un’attività lavorativa.
La regolamentazione a cui ora faremo riferimento la troviamo all’interno di una direttiva più recente che è
intervenuta sulla materia e che oggi rappresenta una sorta di testo unico delle norme dell’UE sul ricongiungimento
famigliare è quella stessa direttiva 2004/38 che nella sua prima parte ci descrive tutte le condizioni e termini della
libertà di circolazione e soggiorno.
Il diritto dell’unione europea ci dice a quali condizioni possono circolare soggiornare e poi di conseguenza a ricorrere
di quelle condizioni ci descrive la possibilità di condurre con se i propri famigliari e quindi di dar luogo diritto di
ricongiungimento.
La direttiva è stata attuata in Italia nel decreto legislativo 30 del 2007. Una questione che si è posta dopo pochi anni
rispetto all’attuazione della direttiva (ormai superata) è quella relativa al fatto che i famigliari del cittadino
dell'unione europea debbano o meno aver previamente soggiornato in modo legittimo all’interno di un paese
membro prima di poter fruire del diritto di ricongiungimento, cioè abbiamo detto che il diritto di ricongiungimento
famigliare può essere esercitato nel momento in cui il cittadino si sposta da uno stato all’altro, cittadino francese va
a soggiornare in Italia, a quel punto può esercitare il diritto di ricongiungimento nei confronti del proprio coniuge e
figli, bene abbiamo anche detto che questo diritto è particolarmente significativo laddove il famigliare in questione
sia cittadino di paese terzo perché altrimenti il famigliare potrà autonomamente godere del diritto di spostarsi e
soggiornare in quanto cittadino dell’UE. Allora la domanda che ci si è posti è stata, ma il famigliare cittadino di paese
terzo deve aver già risieduto nell’UE oppure no? Cioè il diritto al ricongiungimento famigliare può essere esercitato
per garantire il primo ingresso dal territorio extraeuropeo al territorio di uno stato membro oppure per garantire
una libera circolazione europea che segua quella del cittadino? Pensiamo al francese sposato con una cittadina del
Guatemala, questo cittadino francese si sposta a soggiornare in Italia, chiede il ricongiungimento della moglie, questa
donna deve avere già ricevuto legittimamente in Francia, deve aver già fatto ingresso in Francia dallo stato di origine
del richiedente e da qui poi spostarsi in Italia? Oppure il ricongiungimento può essere richiesto proprio per far sì che
la moglie rientri per la prima volta sul territorio dell’UE tramite ricongiungimento e quindi riunendosi al proprio
coniuge in Italia?
Questo quesito è stato sottoposto alla corte di giustizia nel 2008 e la sentenza è quella Metok, essa ci dice che il
godimento di diritti di questo genere (ricongiungimento) non può dipendere da un previo soggiorno legale in un altro
stato membro. Quindi non occorre un previo soggiorno, quindi il momento in cui si esercita il diritto di
ricongiungimento può essere il primo ingresso all’interno del territorio dell’UE, non serve che il famigliare di un
cittadino di uno stato abbia soggiornato in quello Stato.
Inoltre, il famigliare del cittadino dell’UE può dover esibire un visto d’ingresso nel momento in cui fa il suo ingresso
per la prima volta sul territorio dell’UE, allora nel caso che facevamo la moglie dovrà esibire un visto d’ingresso in
Francia e poi non dovrà più esibirlo nel momento in cui si sposta in Italia dal marito. Se
Se invece la moglie non fa ingresso per la prima volta in Francia, dovrà esibirlo in Italia nel momento in cui si
ricongiunge con il coniuge.
Per quanto riguardo il soggiorno sul territorio dello stato c’è una lieve differenziazione tra cittadino dell’UE e il
proprio famigliare cittadino di uno stato terzo, nel senso che il cittadino dell’UE che rientra in uno di quei casi quindi
soggiorno di breve/medio periodo o permanente non deve non deve richiedere e ottenere un documento con cui lo
stato ospitante gli conceda questo diritto perché il diritto discende direttamente dal possesso della cittadinanza UE e
quindi dal diritto dell’unione europea, estinte solo per il cittadino dell’UE quella carta che attesta il diritto di
soggiorno permanente.
Diverso invece il discorso per il famigliare esso deve richiedere la carta di soggiorno di famigliare di cittadino
dell'unione europea, per ottenerla occorrerà spedire tutti i documenti che attestano lo status e in più deve essere
provato il legame famigliare con il cittadino dell’UE quindi solo alla luce di questo legame famigliare il cittadino di
uno stato terzo ottiene questa carta che ancora una volta lo stato ospitante non concede facilmente ma con dei
requisiti.
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Quali sono i famigliari che possono richiedere il ricongiungimento. Ovvio che la direttiva lo conceda ai coniugi o ai
figli però ci sono delle situazioni che nel 1968 non trovavamo quindi da un lato delle modificazioni di tipo normativo
ma dall’altro lato è anche cambiata la società ed è anche cambiato il diritto di famiglia in alcuni stati membri e il
concetto di famiglia.
Direttiva 2004/38
Articolo 1
Oggetto
La presente direttiva determina:
a) le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari;
b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;
c) le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
Abbiamo detto che a determinate condizioni i cittadini dell’UE hanno diritto di soggiornare o rimanere in modo
permanente all’interno del territorio di un altro stato membro però ci sono delle eccezioni a fronte delle quali lo
stato possono in parte limitare questo elemento. Dobbiamo anche ricordare quello che ci dice l’art. 3
Articolo 3
Aventi diritto
1. La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro
diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino
o raggiungano il cittadino medesimo.
Cioè attenzione stiamo parlando di ricongiungimento rispetto al cittadino che circoli, non stiamo parlando di
ricongiungimento rispetto al cittadino che non circola a cui non si applica la direttiva. Quindi non stiamo parlando
delle condizioni per le quali il cittadino francese ha il diritto di ottenere l’ingresso della propria coniuge canadese in
Francia o condizioni nelle quali la cittadina italiana ha il diritto di ottenere il ricongiungimento del proprio coniuge
australiano in Italia, ma stiamo parlando delle cittadine italiano che va in Francia per poi richiedere il
ricongiungimento del proprio coniuge in Francia. L’ipotesi del cittadino che non si è mai spostato dal proprio paese
non ha mai esercitato il diritto di libera circolazione e soggiorno e rientra non nella direttiva ma nella normativa
nazionale interna.
Articolo 2
Definizioni
Ai fini della presente direttiva, si intende per:
1) «cittadino dell'Unione»: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;
2) «familiare»:
a) il coniuge; questa non cambia dal regolamento del 1968, quello che è cambiato non è la norma ma l’istituto
coniugale all’intero di alcuni paesi membri. Il diritto dell’UE utilizza delle nozioni ma poi noi dobbiamo interrogarci
sull’interpretazione di queste nozioni. La corte di giustizia questo riguardo ci dice che le nozioni utilizzate da
legislature dell’unione europea devono essere considerate nozioni autonome, cioè il concetto di coniuge come lo
definiamo? Facciamo riferimento agli ordinamenti interni oppure consideriamo che ci sia una nazione autonoma?
Nel momento in cui facciamo riferimento agli ordinamenti interni vediamo che è diverso il concetto di coniuge.
Tutto questo discorso esiste dal momento in cui è stato introdotto il matrimonio egualitario, l'istituto matrimoniale
ha cambiato i propri connotati all’interno di alcuni paesi rispetto ad altri che mantenevano matrimoni di tipo
tradizionali.
b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno
Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel
rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
Non stiamo parlando delle coppie di fatto ma di coloro che abbiamo concluso unione registrata, unione civile cioè
coloro che abbiano concluso un’unione riconosciuta in sede civile, riconosciuti ai sensi del diritto civile di famiglia e
che quindi faccia stato nell’ambito dell’ordinamento di provenienza. Siamo nel 2004 quando c’è questa direttiva e
nel 2007 quando in Italia attua questa direttiva, quindi siamo in un periodo storico in cui il nostro paese ancora molto
lontano in cui introdurrà una normativa sulle unioni civili, ci vorranno ancora 10 anni, quindi il nostro paese rientra
fra quelli che all’epoca non avevano riconosciuto in sede civile questo tipo di rapporto e paesi che non avevano dato
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possibilità di concludere una unione formalizzata a livello di stato civile, differente rispetto al matrimonio, l’unico
modello era quello matrimoniale chiaramente aperto solo alle coppie di sesso differente.
Questa previsione della direttiva ha avuto qualche effetto nei confronti del nostro paese fino a che non abbiamo
introdotto le unioni civili o no? Che applicazione aveva in Italia questa norma?
Malgrado questa previsione possa sembrare una previsione invasiva in realtà è stata un frutto di un compromesso ed
è una previsione molto rispettosa delle specificità nazionali, non genera alcun tipo di risultato qualora un singolo
paese non abbia discrezionalmente deciso di introdurre le unioni registrate. Questa previsione non fa altro che dire
che rientrano nel concetto di famigliare e quindi hanno diritto al ricongiungimento in parte l’unione registrata ma
solo se lo stato membro ospitante equipara l’unione registrata al matrimonio. Questo vuol dire che è ancora una
previa scelta discrezionale da parte dello stato membro ospitante e solo se questa scelta è avvenuta, quindi non solo
lo stato di origine ma anche lo stato ospitante ha introdotto il concetto di unione registrata allora si potrà richiedere
il ricongiungimento sennò la norma è inoperabile, e non solo lo stato deve aver introdotto le unioni registrate ma le
deve avere equiparate al matrimonio a tutti gli effetti devono esserci gli stessi diritti.
Questa norma, quindi, ha cominciato ad avere effetto quando il legislatore italiano ha dopo 10 anni deciso di
introdurre le unioni registrate.
C’è un caso che sfugge a questa disciplina ed è quello della coppia di sesso diverso che abbiano concluso un’unione
registrata all’estero, caso estremo e non rilevante ma questo caso in Italia è privo di disciplina, non sappiamo come
trattare questo tipo di caso, perché l’unione civile che noi abbiamo introdotto è un’unione solo ed esclusivamente
con soggetti di sesso uguale e con sessi diversi non è nemmeno unione civile e nemmeno matrimonio in Italia.
c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); Visione
esattamente ripresa dal regolamento del 1968. Età elevata sotto la quale hanno sempre il diritto di ricongiungimento
ma anche al di sopra nel momento siano a carico. Anche se ci sono più figli e anche se i figli o un figlio è a carico solo
a uno dei due nella coppia. O ai figli del partner vedere lettera b.
d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
3) «Stato membro ospitante»: lo Stato membro nel quale il cittadino dell'Unione si reca al fine di esercitare il diritto
di libera circolazione o di soggiorno.

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29/09
La direttiva 2004/38 ci dice che hanno diritto al ricongiungimento i familiari del cittadino dell'unione, è fondamentale
chiedersi che cosa si intende per familiari e soprattutto confrontarci con la problematica discendente dal fatto che
non tutti gli Stati dell'unione europea condividono un'unica nozione di famiglia e considerano determinate relazioni
come relazioni familiari allo stesso modo.
La formulazione della direttiva sembra abbastanza rispettosa delle specificità nazionali perché rispetto al
regolamento del 1968 vi è un'unica differenza che è quella rappresentata dalla lettera B del punto 2 dell'articolo due
cioè il riferimento al partner che abbia concluso col cittadino dell'unione un'unione registrata, è una novità ma non è
in realtà particolarmente invasiva rispetto alle prerogative nazionali perché questa previsione semplicemente
impone il ricongiungimento, ma solo laddove lo stato abbia previamente deciso in modo del tutto discrezionale di
introdurre l'istituto dell'unione civile; laddove questo non sia esistente invece nell'ambito del diritto interno del
diritto di famiglia semplicemente questa previsione non trova applicazione e quindi è inoperante.
Con riferimento al nostro paese il capovolgimento della situazione in Italia si ha avuto con l'approvazione della legge
Cirinnà sulle unioni civili, solo laddove l'Italia ha scelto di introdurre le unioni civili e lo ha fatto equiparandole al
matrimonio negli effetti, allora questo tipo di previsione ha iniziato ad avere significato anche per il nostro
ordinamento, fino a quel momento ciò non era accaduto.
Per quanto riguarda gli ascendenti devono essere a carico e diretti; i discendenti possono anche non essere a carico
nella misura in cui abbiano meno di 21 anni se sono superiori devono essere a carico; il coniuge è sempre
ricongiungibile.
A parità di formulazione delle norme talora cambia la realtà sottostante, talora cambia il contesto in cui quella
norma si va a inserire, e questo è evidente nel momento in cui noi pensiamo al concetto di coniuge che nel 1968 era
univoco e non sollevava alcun dubbio interpretativo, oggi invece lo può sollevare perché ad esempio possiamo
chiederci se la nozione di coniuge sia una nozione propria del diritto dell’UE che prescinde dalle scelte nazionali circa
l'apertura o meno del matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso, oppure invece se questa
nozione presupponga il rinvio alle scelte volta a volta operate dal legislatore interno.
Si tratta di temi su cui la giurisprudenza della Corte di giustizia è intervenuta in epoca abbastanza recente perché
effettivamente ad oggi la situazione a livello di Stati membri dell'unione europea è molto differenziata da questo
punto di vista e non si tratta più come una decina di anni fa di una netta prevalenza di paesi che seguono un modello
cioè quello del matrimonio tradizionale e poi invece una percentuale esigua che si è spostata verso un modello
differente, oggi la situazione è differente perché sono molti i paesi che hanno deciso di conferire al concetto di
matrimonio un significato differente rispetto a quello tradizionale, sono molti paesi dell'area europea che hanno
scelto di inserire nell'ambito del proprio diritto di famiglia il concetto di matrimonio egualitario e quindi prescinde
dal sesso delle parti (a livello di diritto civile).
Era ovvio che il problema prima o poi dovesse porsi all'attenzione della Corte di giustizia nell'applicazione proprio di
queste norme sulla libera circolazione e soggiorno e ricongiungimento familiare, cioè già ci si era domandato da
tempo cosa sarebbe accaduto nel momento in cui fosse stato richiesto il raggiungimento di un coniuge che però non
era coniuge ai sensi della normativa dello Stato ospitante.
Attenzione non stiamo parlando della lettera B che quindi opera quella precisazione dicendo questa norma si applica
solo se lo stato ospitante riconosce l'istituto in questione e lo equipara al matrimonio, ma stiamo parlando della
lettera A dove non c'è alcuna specificazione. Nell'originario pensiero del legislatore dell'unione europea non doveva
porsi il problema riguardo la nazione di coniuge, per cui non si precisa che è familiare il coniuge che però sia coniuge
ai sensi di entrambi gli ordinamenti, quello di provenienza e quello di destinazione, si fa unicamente riferimento al
concetto.
Il problema si è posto e facciamo riferimento a una sentenza: la sentenza Coman del 2018 in cui la Corte ha
affrontato questa tematica.
Abbiamo una coppia di cittadini di diversa nazionalità un cittadino Statunitense e un cittadino romeno che vivono per
un certo periodo di tempo in Belgio, che peraltro uno dei membri della coppia è dipendente delle istituzioni
dell'unione europea, contraggono matrimonio tra soggetti di sesso uguale. Ad un certo punto la coppia decide di
rientrare in Romania che è il paese di origine di uno dei due membri della coppia stessa, uno dei due soggetti non ha
problemi essendo cittadino nazionale, rispetto all'altro soggetto viene richiesto il ricongiungimento familiare per
poter risiedere stabilmente come coniuge all'interno del territorio romeno. Qui si solleva un problema interpretativo
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nel senso che in Romania, non solo non è previsto il matrimonio egualitario neanche prevista la poteva di Unione
civile registrata cioè in sostanza due soggetti dello stesso sesso non possono in alcun modo registrare in sede civile la
propria unione con effetti ai fini del diritto civile. La direttiva ci aiuta proprio da questo punto di vista, parla di
coniuge, ha o non ha diritto il coniuge dello stesso sesso al ricongiungimento familiare laddove però
nell'ordinamento di destinazione non sia considerato come coniuge?
La corte di giustizia o impone il ricongiungimento, non è priva di conseguenze questa scelta, imporre il
ricongiungimento vuol dire imporre ad un paese di considerare familiare, anche solo ai fini del ricongiungimento, un
soggetto che per quel paese non è considerato familiare quell’ordinamento ha deciso di non considerarlo; oppure
dire va bene l'ordinamento può non riconoscerlo come coniuge, però anche questo non è privo di conseguenze vuol
dire che un soggetto che acquisisce legittimamente uno status all'interno di un paese membro poi non può portare
con sé quello status di coniuge. Frappone un grosso limite rispetto alla circolazione degli status familiari, cioè si
ammette che un soggetto sia coniuge in Belgio in Spagna in Francia ma non lo sia ad esempio in Romania. In Italia
sarebbe una via di mezzo perché non sarebbe coniuge, ma sarebbe unito civilmente perché abbiamo scelto di
operare quella che viene chiamata la cosiddetta downgrade retrogradition dato che non abbiamo il matrimonio
egualitario consideriamo il matrimonio contratto all'estero come un'unione civile disciplinata dal nostro
ordinamento.
La soluzione più ragionevole per salvaguardare le prerogative del diritto dell'unione e garantirne gli effetti potrebbe
essere quella di evocare i diritti fondamentali, è una strada differente che senz'altro viene in rilievo e dobbiamo
chiederci quali diritti fondamentali, e su questo in effetti la Corte dei diritti fondamentali di Strasburgo nel 2018
avevo detto una cosa molto chiara peraltro in una sentenza contro l'Italia cioè ha detto che: vìola l'articolo 8 della
CEDU (quindi il diritto al rispetto della vita privata e familiare), lo stato che non preveda alcun istituto al fine del
riconoscimento di un'unione tra persone dello stesso sesso. La Corte di Strasburgo condanna l'Italia guarda caso
l'anno prima rispetto all'approvazione della legge Cirinnà, quindi che non prevedere un'unione civile sia oggi una
violazione dei diritti fondamentali dell'uomo è acclarato, qui però non ci troviamo di fronte alla Corte europea dei
diritti dell'uomo, ma ci troviamo di fronte alla Corte dell'unione europea di Lussemburgo che si sta occupando di un
tema diverso seppur comunque intersecato che è quello relativo alla libera circolazione, quindi non può spostare
l'attenzione su un aspetto differente in questo caso.
Nel caso di specie in realtà la Corte di giustizia per garantire l'effettività del diritto dell'unione europea impone il
ricongiungimento familiare, cosa che può sembrare un po' strana, c'è però da fare una premessa prima di dire che la
Corte di giustizia ha imposto questo risultato. Attenzione pensiamo bene a qual era la situazione nel caso di specie:
c'è un cittadino romeno che chiede il ricongiungimento familiare in Romania, quindi non si applica la direttiva
2004/38 perché non si muove in uno stato terzo, quindi non è un tema rilevante ai fini della direttiva, neanche dal
punto di vista della mera libera circolazione perché dopo aver esercitato la libera circolazione in Belgio lui era un
soggetto che circolava all'estero, ma tornando a casa non è libera circolazione è semplicemente ingresso
nuovamente nel proprio paese di origine e a quel punto che sia stato un periodo in Belgio o non sia stato, diventa
irrilevante perché lui sta chiedendo qualcosa al proprio paese, sta chiedendo che il proprio coniuge statunitense
possa beneficiare del ricongiungimento familiare. Quindi non è direttiva 2004/38 in senso stretto, ma la Corte di
giustizia opera una previa operazione interpretativa 10 e ci dice che l'articolo 21, paragrafo uno, del TFUE, deve
essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il cittadino di uno
stato terzo, dello stesso sesso del cittadino dell'Unione, che abbia contratto matrimonio con quest'ultimo in uno
Stato membro conformemente alla sua normativa, dispone di un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre
mesi è il territorio dello Stato membro di cui cittadino dell'unione alla cittadinanza. Tale diritto di soggiorno derivato
non può essere sottoposto a condizioni più rigorose di quelle previste dall'articolo 7
della direttiva 2004/38. In sostanza la Corte di giustizia ci dice che se noi ripassiamo la direttiva rigorosamente come
riferita solo ai casi in cui un soggetto si sposta da uno stato all'altro, cosa che effettivamente è, ma poi non
concedessimo ai cittadini di uno Stato membro di ottenere analoghe possibilità di ricongiungimento nei confronti del
proprio stato, staremmo trattando meglio il soggetto che si sposta da uno stato all'altro rispetto ai cittadini nazionali.
Uno può beneficiare delle regole dell'unione europea e quindi ottenere il riconoscimento, invece i cittadini di un
singolo stato che non si spostano sono sottoposti ad eventuale trattamento deteriore previsto dal proprio
ordinamento, questo non è ammissibile e allora la Corte di giustizia si aggancia all'articolo 21 del TFUE.

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L'articolo 21 al paragrafo uno dice: ogni cittadino dell'unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate
in applicazione degli stessi. In modo molto elastico La Corte ci dice, da questa norma discende per un cittadino
nazionale il diritto anche di tornare eventualmente nel proprio paese a condizioni non peggiori rispetto a quelle di
cui gode nel momento in cui sta in un altro paese, in questo caso in Belgio. Attraverso quello che noi troviamo nel
punto due del dispositivo si estende di fatto tramite il 21 TFUE la direttiva anche a coloro che non c’entrano, ma
attenzione la direttiva non riguarda questi casi, è la Corte che tramite l'articolo 21 dice che deve essere un
trattamento simile quello garantito ai cittadini nazionali.
il risultato è: In una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia esercitato la sua libertà di circolazione, recandosi
e soggiornando in modo effettivo, conformemente alla direttiva in uno stato membro diverso da quello di cui ha la
cittadinanza, e in tale occasione abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di uno Stato terzo
dello stesso sesso, al quale si è unito con un matrimonio legalmente contratto nello Stato membro ospitante,
l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a che le autorità competenti dello Stato
membro di cui il cittadino dell’Unione ha la cittadinanza rifiutino di concedere un diritto di soggiorno sul territorio di
detto Stato membro al suddetto cittadino di uno Stato terzo, per il fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non
prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ecco che la Corte approda alla soluzione più radicale quella
meno rispettosa delle specificità nazionali, la Corte di giustizia impone il ricongiungimento ai sensi dell'articolo 21
TFUE considerata quindi una di quelle norme di diritto primario che sono dotate di effetto diretto, quindi da cui
discendono degli effetti diretti senza passare attraverso il diritto privato quindi regolamenti, direttive, decisioni.
Ecco un caso di ingerenza indiretta ma significativa, cioè non sto modificando il diritto romeno di famiglia, ma sto
dicendo che la Romania ha l'obbligo di considerare quel soggetto come coniuge ai fini del ricongiungimento. Vero è
che poi la Romania può non considerare quel soggetto come coniuge a qualunque altro fine, ma si impone ad un
paese membro un approccio che può essere considerato un po' schizofrenico nel momento in cui un unico soggetto
viene considerato coniuge perché deve essere considerato coniuge per garantirgli l'ingresso, poi però per qualunque
altro fine viene considerato completamente un estraneo a fini successori a fini di lavoro ecc.
Se la Corte di giustizia non avesse preso questa strada avrebbe consentito di svuotare in parte di effettività la
direttiva, di frapporre un ostacolo molto significativo alla libera circolazione delle persone e del loro status, avrebbe
consentito di dire all'interno dell'unione europea integrata in cui c'è un unico spazio giuridico un soggetto
considerato coniuge in Belgio in Spagna e in Germania e poi estraneo in Romania, questo era invece un risultato che
veniva considerato inaccettabile.
Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 2016 significativa nel portare avanti il discorso che stiamo
conducendo, perché è una sentenza contro l'Italia che però interviene in un momento precedente rispetto
all'introduzione delle unioni civili con la legge Cirinnà. È interessante questa sentenza perché si tratta di uno di quei
famosi casi in cui un cittadino di uno Stato membro avanza una domanda di ricongiungimento nei confronti del
proprio paese di provenienza in particolare il signor Taddeucci nei confronti dell'Italia. (Le sentenze della Corte
europea dei diritti dell'uomo a differenza di quelle della Corte di giustizia non sono stese in italiano come lingua
ufficiale quindi questa sentenza viene tradotta dal ministero della giustizia perché è contro l’Italia, quindi, è
importante che nel nostro paese sia compreso il contenuto).
Caso Taddeucci e McCall Italia: un cittadino italiano si era trasferito a vivere per un determinato periodo di tempo in
Nuova Zelanda e qui aveva dato vita a una unione stabile con un soggetto dello stesso sesso di cittadinanza
neozelandese, questa Unione viene poi anche registrata da parte delle autorità neozelandesi fino a che ad un certo
punto i due decidono di rientrare in Italia e Taddeucci richiese ricongiungimento familiare del proprio partner. a
questo punto l'ordinamento italiano reagisce con una prima sentenza del tribunale di Firenze con un diniego rispetto
alla domanda di ricongiungimento, la giurisprudenza interna dice che non è un caso a cui si applica la direttiva
2004/38, l'italiano è andato fuori dall'unione poi torna in Italia chiede il ricongiungimento si applica quindi la
normativa interna sui ricongiungimenti familiari in particolare come contenuta all'interno del testo unico delle
norme sull'immigrazione (Decreto legislativo 286 del 1998 modificato moltissime volte nel corso del tempo). Il testo
unico delle norme sull'immigrazione all'epoca non consentiva ricongiungimento familiare di un partner extra
europeo dello stesso sesso. I due si rivolgono alla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'ordinamento italiano nei
confronti di questo ricorso che verte sul diritto al rispetto della vita privata e familiare e sul divieto di discriminazione
in base al sesso, si difende dicendo attenzione non c'è nessun tipo di discriminazione perché questi soggetti si sono
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visti sottoporre allo stesso identico trattamento che avremmo riservato ad una coppia formata da persone di sesso
diverso. Questa difesa dell'ordinamento italiano in realtà fa un po’ sorridere perché la Corte di Strasburgo non ha
particolare difficoltà nello scardinarla, cioè ci dice la stessa costituzione italiana all'articolo tre prevede un principio di
eguaglianza sostanziale e se è vero che questo ci impone di trattare in modo diverso situazioni diverse e in modo
uguale situazione equiparabili, in questo caso noi avremmo dovuto proprio garantire un trattamento diverso a
coppie formate da persone dello stesso sesso o coppie formate da persone di sesso diverso, perché le coppie
formate da persone di sesso diverso hanno la possibilità di contrarre matrimonio come e quando vogliono in
qualunque paese del mondo, perché non esiste un paese del mondo in cui non esista l'istituto del matrimonio tra
persone di sesso differente. Viceversa, la coppia formata da persone di sesso uguale non avendo la possibilità di
contrarre matrimonio, in particolare nell'ordinamento di destinazione cioè in Italia, avrebbero dovuto avere a
disposizione un'altra strada al ricongiungimento, quindi la sentenza si conclude con una condanna dell'Italia per
violazione dell'articolo 8 in combinato disposto con l’articolo 14 che è il divieto di qualunque forma di
discriminazione.
Si potrebbe concludere rispetto a quello che abbiamo detto in relazione all'articolo due della direttiva che ci sia
perlomeno un tema su cui non ci sono dubbi, cioè un istituto in relazione al quale non dovrebbero esserci dubbi
interpretativi che è quello della filiazione che dà luogo alla discendenza diretta.
In realtà non è proprio così. La questione si è posta all'attenzione della Corte di giustizia di recente nel caso SM dove
c'è stato un dubbio sul concetto di filiazione perché dobbiamo considerare che nel momento in cui noi trattiamo di
queste tematiche e parliamo di libera circolazione noi parliamo di ordinamenti che entrano in contatto. Il diritto
internazionale privato ha proprio questo scopo, ossia di regolare il contatto fra ordinamenti e quando gli
ordinamenti con elementi differenti entrano in contatto, non si specchiano perfettamente l'uno nell'altro, cioè non
troviamo in un ordinamento straniero un corrispettivo esatto per ciascuno istituto del nostro ordinamento.
Se noi rimaniamo all'interno dei confini dell'unione europea il discorso non è così grave, se invece prevarichiamo i
confini e basta che ci spostiamo ad esempio nel Nord Africa e in ordinamenti giuridici di matrice islamica, esistono
istituti molto differenti e li iniziamo ad avere grosse difficoltà a reperire un corrispettivo per quelli che sono i nostri
istituti del diritto di famiglia, e viceversa.
C'è un aspetto su cui il diritto dei vari paesi dell'unione europea e il diritto dei paesi di matrice islamica diverge in
modo radicale ed è il legame di filiazione costituito per il tramite dell'adozione.
A seguito di un lungo percorso evolutivo nel ventesimo secolo, in Italia così come negli altri paesi dell'unione
europea, oggi il legame di filiazione istituito per il tramite della adozione piena è esattamente equiparabile al legame
di filiazione naturale. Nel diritto islamico non è così perché l'adozione non esiste, perché esiste un precetto coranico
che fa divieto di costituire legami di famiglia fondati su vincoli che non siano vincoli di sangue. Però questo è un
problema perché è chiaro che esistono quelle esigenze che danno luogo all'adozione, cioè esistono minori che si
trovano in stato di abbandono e di bisogno e che devono essere quindi presi in cura in carico da parte di una famiglia
diversa da quella di origine, il diritto islamico ha posto rimedio a questa situazione introducendo un istituto
differente che si chiama Kafala.
La kafala non ha corrispettivi in Italia o negli altri paesi dell'unione europea semplicemente perché ha degli effetti
che non possono essere equiparati né all'adozione né all'affidamento, quindi si collega più o meno in una posizione
mediana ma non possiamo dire che adozione o e affidamento perché condivide in parte la natura di entrambi gli
istituti. La kafala è lo strumento attraverso il quale una coppia o un single si prende in carico un soggetto minore
bisognoso che si trova in stato di abbandono. Il provvedimento di kafala, pur con tutte le distinzioni esistenti tra i vari
paesi islamici, si ritrova in tutti questi ordinamenti e permette ad un soggetto di prendersi in carico un minore di
provvedere ai suoi bisogni alle sue necessità alla sua cura, ma soprattutto di portare quel minore fino al compimento
della maggiore età perché la kafala cessa di esprimere qualsiasi effetto nell'esatto momento in cui il minore compie
18 anni, la kafala non crea alcun rapporto di famiglia.
Come la interpretiamo la kafala nell'ambito della normativa di cui ci stiamo occupando? Cosa facciamo se un
soggetto chiede ricongiungimento familiare del minore ottenuto in kafala nell'ambito di un paese islamico?
Dobbiamo recuperare un'interpretazione non banale, cioè il concetto di discendente diretto è facile da circoscrivere
se noi parliamo di ordinamenti di matrice romano germanica, ma il minore che è stato dato in kafala ad un soggetto
adulto in un paese islamico, è o non è un discendente diretto di età inferiore ai ventun anni? Non è banale la
questione perché anche qui ci sono considerazioni che possono condurre in tutte le direzioni, cioè da un lato si può
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dire a rigore non è un figlio chiaramente perché esiste anche negli ordinamenti islamici il concetto di filiazione e non
è uno di questi casi; dall'altro però c'è un minore bisognoso di mezzo e la convenzione di New York del 1989 (la
convenzione sui diritti del fanciullo) ci dice chiaramente che in ogni caso in cui dobbiamo decidere in relazione alle
sorti di un minore, il primo elemento da tenere in considerazione è l'interesse superiore del minore, ed è chiaro qual
è, cioè se il soggetto adulto che lo ha avuto in kafala si sposta dalla Tunisia all'Italia sarà interesse del minore andare
con lui oppure rimanere da solo in Tunisia? Non è molto difficile da concludere da questo punto di vista.
Questa è la questione che si è posta alla Corte di giustizia nel caso SM del 2019.
La Corte di giustizia dice: la nozione di “discendente diretto” di un cittadino dell'unione contenuta all'articolo 2,
punto 2, lettera C, della direttiva 2004 38, deve essere interpretata nel senso che essa non ricomprende un minore
posto sotto la tutela legale permanente un cittadino dell'unione a titolo della kafala algerina, in quanto tale
sottoposizione non crea alcun legame di filiazione tra di loro.
Se ci fermassimo qua diremmo che la Corte di giustizia impedisce il ricongiungimento del minore perché se ci
limitiamo ad una interpretazione letterale ci dice che non è un figlio quindi l'articolo due non si applica.
Però il dispositivo non finisce qui e va avanti: è tuttavia compito delle autorità nazionali competenti agevolare
l'ingresso e il soggiorno di un minore siffatto in quanto altro familiare di un cittadino dell'unione, conformemente
all'articolo tre, paragrafo due, della direttiva, letto alla luce dell'articolo 7 e dell'articolo 24, paragrafo due, della carta
dei diritti fondamentali dell'unione europea, procedendo ad una valutazione equilibrata e ragionevole. Nell'ipotesi in
cui, in esito a tale valutazione, fosse stabilito che il minore e il suo tutore, cittadino dell'unione, sono destinati a
condurre una vita familiare effettiva e che tale minore dipende dal suo tutore, i requisiti connessi al diritto
fondamentale al rispetto della vita familiare, considerati congiuntamente all'obbligo di tener conto dell'interesse
superiore del minore, esigono, in linea di principio, che sia concesso al suddetto minore un diritto di ingresso e di
soggiorno al fine di consentirgli di vivere con il suo tutore nello Stato membro ospitante di quest'ultimo.
Quindi soluzione della Corte ancora una volta è si è porsa la mano e si impone un ricongiungimento anche in una
situazione in cui in teoria la direttiva non lo impone, perché l’articolo tre, a differenza dell'articolo due che è norma
su cui gli Stati non hanno istituzionalità, perché l'articolo due dice questa è famiglia e non se ne esce, l'articolo tre
invece è una tipica previsione che si può ritrovare all'interno di una direttiva cioè una di quelle previsioni che dicono
su questo decide lo stato. Quando lo stato recepirà la direttiva sui temi dell'articolo due non può far altro che
adeguarsi, mentre su quelli dell'articolo tre decide a libertà perché si dice: senza pregiudizio del diritto personale di
libera circolazione e di soggiorno dell'interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione
nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone: ogni altro familiare, qualunque sia la sua
cittadinanza, non definito all'articolo due punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino
dell'unione; il partner con cui il cittadino dell'unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.
La Corte di giustizia utilizza questa ulteriore previsione per dire che si ricade proprio al suo interno e si ricade in una
di quei casi in cui lo stato deve ricongiungere ai sensi dell'articolo tre perché comunque viene considerato qualsiasi
altro familiare in senso ampio, attenzione in realtà nell'ordinamento di origine non è considerato familiare, siamo noi
che lo consideriamo tale andando oltre quella che è la previsione dell'ordinamento di provenienza.
Attenzione che la Corte anche in altre pronunce lo ha rilevato: dobbiamo distinguere molto bene la situazione in cui
il provvedimento di kafala viene concesso ad un cittadino dell'unione europea dalla situazione in cui viene concesso
ad un cittadino di Stato terzo. Questo perché il cittadino algerino non ha uno strumento alternativo alla kafala per
ottenere la custodia di un minore, il cittadino dell'unione europea avrebbe a disposizione lo strumento dell'adozione
o dell'affidamento, quindi distinguiamo perché nella sentenza della Corte stiamo parlando di cittadini dell'unione
europea che sostanzialmente aggirano l'istituto dell'adozione, che si recano in un paese straniero e dato che è più
veloce anziché percorrere la strada a casa propria dell'adozione internazionale chiedono ad un tribunale algerino di
dichiarare un provvedimento di kafala e poi di rientrare in Italia con quel minore. Quindi garantendo il
ricongiungimento familiare stiamo anche in parte legittimando una condotta che aggira le norme interne. Diverso è
invece il diritto al ricongiungimento familiare spettante ai cittadini di paesi terzi, se noi ci troviamo di fronte a una
domanda di ricongiungimento fondato sull'adozione dobbiamo considerare che è un soggetto che non aveva
alternative, che non ha aggirato un altro istituto che veniva messo a disposizione dal suo ordinamento per ottenere
l'introduzione di un minore nella propria casa, quindi è molto diversa la situazione perché nel nostro caso siamo di
fronte ad un cittadino dell'unione europea che a casa propria poteva richiedere l'adozione internazionale.

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Articolo 3
Completa il discorso iniziato con dell'articolo due. L'articolo tre comprende una chiara sollecitazione nei confronti
degli ordinamenti nazionali affinché vadano oltre, cioè il legislatore dell'unione europea dice dato che non posso
andare oltre, non ho trovato il consenso dai rappresentanti degli Stati per inserire ulteriori categorie di familiari che
beneficino del ricongiungimento, dato che non lo posso imporre lo sollecito, allora abbiamo questa norma un po'
particolare in cui si richiede di agevolare l'ingresso di altre persone.
Lo stato è sollecitato ad agevolare si, quindi può anche volendo decidere di non farlo, ma si cerca di legare
ulteriormente la discrezionalità degli Stati membri e si dice: lo Stato membro ospitante effettua un esame
approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.
Non è banale questa precisazione perché stiamo dicendo che lo stato che decida di non accogliere questa
sollecitazione, non può farlo in modo immotivato, ma deve di volta in volta dire perché è contrario all’interesse
collettivo il fatto di garantire il ricongiungimento di un soggetto.
Allora chiaramente inizia ad essere un po' difficile in talune situazioni giustificare il perché, ad esempio, un partner
non possa e non debba essere ricondotto.
Pensiamo ad una coppia di soggetti adulti che siano uniti da stabile convivenza, entrambi autosufficienti dal punto di
vista economico, perché può essere interesse dell’ordinamento ospitante non garantire il ricongiungimento del
partner cittadino extra europeo se questo è autosufficiente e completamente in regola? È chiaro che richiedere la
giustificazione dell’eventuale rifiuto fa sì che ci debba essere uno scrutinio volta a volta e diventi anche più difficile
per lo stato che decide di non estendere il diritto al ricongiungimento familiare. Diventa molto importante vedere
come la direttiva è stata attuata perché se su questo fronte dell’articolo 2 è inutile andare a vedere il decreto del
2007 perché intanto non poteva far altro che copiare questa norma; rispetto all’articolo 3 bisogna vedere come uno
stato ha deciso di estendere o meno la possibilità di ingresso.
Attenzione anche a considerare queste norme come calate dall’alto da Bruxelles, perché se andiamo a fondo e ci
chiediamo chi è il legislatore dell’unione europea, se si tratta di un legislatore interno o esterno rispetto al nostro
ordinamento, in realtà a Bruxelles siedono i rappresentanti di ogni stato membro e normative come questa vengono
approvate all’unanimità dei voti in seno al consiglio. Quindi attenzione anche a lamentarci di una norma che può
sembrare invasiva rispetto al diritto interno e lesiva di alcune prerogative nazionale, quando poi quella norma la
abbiamo scritta noi assieme ad altri paesi.

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5/10
La direttiva 2004/38 contiene un’elencazione di soggetti che sempre e comunque in applicazione del diritto
dell’unione europea devono essere annoverati all’interno della cerchia dei familiari che hanno diritto al
ricongiungimento, quindi abbiamo una nozione di famiglia nella quale rientrano taluni soggetti individuati in modo
dettagliato ad opera della direttiva.
L’articolo 2 non fornisce spazi di discrezionalità ai legislatori nazionali, cioè ci dà queste quattro categorie di soggetti
dicendo che sempre e comunque rientrano all’interno della nozione di familiare avente diritto al ricongiungimento
con la precisazione che per quanto riguarda un soggetto che abbia contratto un’unione civile o registrata, su questo
fronte l’unione europea non impone il ricongiungimento qualora lo stato non abbia autonomamente e previamente
deciso di conferire degli effetti giuridici alle unioni civili, solo se e a condizione che ciascuno stato membro abbia
introdotto le unioni civili nella propria legislazione interna, allora automaticamente discende dalla previsione
l’inclusione del soggetto unito civilmente all’interno della categoria dei familiari.
L’articolo 3 della direttiva 2004/38 esprime l’auspicio da parte del legislatore dell’unione europea affinché possa
essere esteso il campo dei familiari o dei soggetti in generale ricongiungibili. L’unione europea non lo può imporre
perché evidentemente non si è coagulata una unanimità di vedute in seno al consiglio per quanto riguarda
l’estensione delle categorie individuate all’articolo 2.
L’articolo 3 rubricato “aventi diritto”, al paragrafo 1 si precisa che la direttiva si applica solo laddove il soggetto
eserciti il proprio diritto di circolazione e soggiorno in uno stato membro diverso da quello di origine e allora solo in
quel caso potrà godere del ricongiungimento ai sensi della direttiva
Al paragrafo 2 dice che lo stato membro agevola l’ingresso di ulteriori soggetti che sono ascrivibili a due categorie
fondamentalmente: gli altri familiari non meglio identificati purché siano a carico o convivano nel paese d’origine,
l’esigenza che può spingere a richiedere il ricongiungimento anche a favore di familiari diversi da quelli descritti
all’articolo 2 è data dal fatto che si chiede il ricongiungimento nei confronti di un familiare che pur non essendo un
familiare di primo grado però nel paese di origine è a carico, convive, cioè è un soggetto di cui il cittadino dell’unione
europea che circola si occupa, si fa carico nel paese di provenienza, e allora chiaramente ha un interesse legittimo a
ricostituire lo stesso nucleo familiare allargato anche nel paese di destinazione. O se gravi motivi di salute
impongono che il cittadino dell’unione lo assista personalmente.
La seconda categoria è quella dei partner in generale con cui sussista una relazione stabile debitamente attestata.
Dovrà poi essere il singolo stato a precisare che cosa richiede affinché la relazione possa considerarsi attestata. La
direttiva ci dice che non è sufficiente additare un soggetto come proprio partner per poter ottenere il
ricongiungimento a suo favore, ma occorre qualcosa di più, cioè una prova del fatto che questa relazione è stabile.
Attenzione: è vero che lo stato agevola, quindi non è obbligato, ma ha comunque un onere ulteriore cioè nel
momento in cui desideri opporre un diniego, non può farlo sulla base di un provvedimento immotivato, ma deve
invece dimostrare di aver effettuato un esame approfondito della situazione personale dell’interessato.
È fondamentale a questo punto spostarsi sul piano del diritto interno ed è importante andare a vedere come l’Italia,
al pari di tutti gli altri paesi membri, ha poi provveduto a recepire la direttiva e che scelta ha operato all’interno
dell’ambito descritto dall’articolo 3.
L’Italia è arrivata in ritardo nell’attuare questa direttiva e non è un caso, la direttiva richiedeva ai paesi di compiere
delle scelte non semplici e rispetto alle quali evidentemente in Italia non era facile individuare una maggioranza
stabile e ben definita. Siamo in un terreno di confine con le relazioni familiare che è un terreno su cui il nostro paese
ha sempre avuto molta difficoltà a legiferare.
Il termine per la delega era stato fissato al 2006 e il decreto legislativo del 6 febbraio 2007 numero 30 finalmente dà
attuazione alla direttiva. Il governo è stato delegato dal parlamento all’approvazione di una normativa che
trasponesse sul piano interno la direttiva (in questo caso non c’erano problemi collegati ai tempi dei passaggi
parlamentari perché una volta conferita la delega al governo, poi il governo può procedere in modo spedito se le
scelte sono operabili).
Decreto legislativo del 6 febbraio 2007 numero 30
1.Il presente decreto legislativo si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato
membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera
b, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

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I familiari di quell’articolo sono: il coniuge; il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione
registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante
equipari l'unione registrata al matrimonio; i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico; gli ascendenti
diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b.
2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato, lo Stato membro
ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone: a)
ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, comma 1, lettera b, se è a carico o
convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se
gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente; b) il partner con cui il cittadino
dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione.
L’Italia ha provveduto ad attuare sostanzialmente oltre che formalmente, la direttiva 2004/38 e a trasporla
nell’ordinamento interno? No, l’ha semplicemente copiata. Questo è il perfetto esempio di cattiva tecnica legislativa
e di quello che un paese non dovrebbe fare nel recepire una direttiva nell’unione europea. È chiaro che quello che
abbiamo fatto noi non serve a nulla, a questo punto poteva benissimo essere un regolamento e non avrebbe fatto
nessuna differenza, cioè con un decreto legislativo interno abbiamo conferito una sorta di dignità di regolamento ad
una direttiva facendo sì che le sue norme diventassero tutte prescrittive sia laddove lo erano effettivamente sia
laddove non lo erano. Questo però è un passaggio che in realtà non è possibile perché se una norma di una direttiva
richiede una scelta a livello nazionale non basta copiarla affinché possa ritenersi soddisfatto quanto richiesto dal
diritto dell’unione europea a carico degli stati, perché la scelta continua a non essere stata compiuta, questo tenore
letterale dell’articolo 3 è di una norma che può trovarsi solo all’interno di una direttiva e non in un atto legislativo
interno.
Non solo non abbiamo preso posizione, ma addirittura non abbiamo neanche cambiato la terminologia della
direttiva, può un atto legislativo interno utilizzare formulazioni come “lo Stato membro ospitante, conformemente
alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno”? A chi ci stiamo rivolgendo? Può un decreto
legislativo italiano avere effetti extraterritoriali e dire agli altri stati membri che cosa devono fare? Ovviamente no,
questo tipo di formulazione è dovuto al fatto che abbiamo proprio copiato la direttiva a tal punto che non le
abbiamo neanche dato una veste formale di atto normativo di diritto interno. Sotto tutto questo verosimilmente c’è
una incapacità dello stato di prendere posizione a riguardo. Qualora avessimo voluto legittimamente apporre degli
ostacoli rispetto all’ingresso a titolo di ricongiungimento, avremmo dovuto introdurre una disciplina molto precisa e
dettagliata, non lo abbiamo fatto e abbiamo provveduto ad un’attuazione zoppa della direttiva. La conseguenza di
questo tipo di condotta è abbastanza grave, cioè abbiamo ribaltato sugli enti e i soggetti che sono chiamati nella
quotidianità ad interpretare e applicare questa normativa, un onere di scelta grave e pesante. Se la norma è oscura,
lacunosa e non dà indicazioni chiare, è poi colui che la deve applicare ossia il giudice, a dover operare delle scelte che
però non sarebbero proprie.
Addirittura nell’articolo 2 si lasciava invariata anche la previsione relativa all’unione registrata, che senso ha che nel
2007 l’Italia mantenga una previsione di questo tipo, passeranno quasi 10 anni prima dell’approvazione delle unioni
civili, in un paese come il nostro questa previsione avrebbe dovuto essere eliminata. In Italia abbiamo una grossa
divergenza nell’interpretazione e applicazione ad opera delle corti, è ovvio che nel caso in cui il soggetto richiedente
il ricongiungimento familiare lo ottenga, non si procede neanche ad un'eventuale impugnativa; ma invece abbiamo
notizia dei casi in cui a fronte di un diniego c'è un’impugnazione in sede giurisdizionale, quindi a quel punto la palla
passa a giudice che deve decidere se far salvo col provvedimento di diniego oppure riformarlo, nel senso di
accogliere la richiesta di ricongiungimento. Da questo punto di vista ha fatto molto scalpore nel 2012 una pronuncia
di una Corte di merito del Tribunale di Reggio Emilia, si trattava di una coppia sposata, non siamo all'interno
dell'articolo tre, ma siamo all'interno dell'articolo due, però in una fattispecie che l'articolo due non ha definito sulla
quale non ha preso posizione cioè matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nel 2012 ormai molti Stati avevano
introdotto l'istituto del matrimonio egualitario e arriva anche in Italia una richiesta di ricongiungimento fondata
sull'esistenza di un vincolo coniugale, quindi qualificato come matrimonio civile in un altro ordinamento, che però in
Italia non è riconosciuto. Nel corso del tempo ci sono state delle oscillazioni per quanto riguarda il trattamento da
riservare a questo istituto, si era parlato di una inesistenza, della contrarietà all'ordine pubblico in giurisprudenza
successiva di legittimità, nel 2012 eravamo in un momento storico in cui si era detto da ultimo il matrimonio fra

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persone dello stesso sesso non è inesistente, non è contrario all’ordine pubblico, ma è comunque incapace di
produrre qualunque fatto giuridico nell'ambito dell'ordinamento nazionale.
Quindi coppia che ha contratto matrimonio all'estero, in particolare in Spagna, quindi in uno stato dell'unione
europea, chiede di poter ottenere il ricongiungimento familiare in Italia in cui la Corte di Cassazione aveva detto il
matrimonio tra persone dello stesso sesso non produce alcun effetto giuridico, quindi avremmo dovuto dire che non
può produrre effetti neanche ai fini del ricongiungimento, invece il Tribunale di Reggio Emilia concede il
ricongiungimento familiare (tanto per rendersi conto di quanto queste previsioni copiate dalla direttiva possono
avere poi creato delle difficoltà gravi dal punto di vista interpretativo). Il Tribunale di Reggio Emilia dice io qualifico
coniuge colui che goda di questo tipo di status ai sensi dell'ordinamento di provenienza, quindi supera l'ultimo
orientamento della Corte di Cassazione e annulla un provvedimento di diniego del titolo di soggiorno a fini di
ricongiungimento familiare e garantisce l'ingresso del coniuge dello stesso sesso.
Questa pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia assurta a riferimento per quanto riguarda il trattamento da riservare
a questo tipo di domande perché se fosse rimasta semplicemente un unicum avrebbe limitato i propri effetti al caso
di specie, quindi effetti inter partes e il giorno dopo si sarebbe potuto tornare ad orientamenti interpretativi
differenti. La cosa strana è che invece, non solo viene presa in riferimento da parte di altre corti, ma addirittura il
ministero dell'Interno dirama una circolare rivolta a tutti gli uffici territoriali del governo indicando la pronuncia del
Tribunale di Reggio Emilia come punto di riferimento da seguire per quanto riguarda questo tipo di domande. La
situazione italiana era una situazione contraddittoria e anche schizofrenica nel senso che siamo nel 2012 quindi
dobbiamo contestualizzare dal punto di vista storico i fatti di cui ci stiamo occupando, siamo in un momento in cui in
Italia non solo non esiste il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non solo la Corte di Cassazione ci dice che è
completamente improduttivo di effetti, ma non esistono neppure le unioni civili e non vi è neanche il riconoscimento
delle unioni civili contratte all'estero quindi una coppia formata da persone dello stesso sesso in Italia nel 2012 non
ha alcun tipo di riconoscimento né a titolo coniugale né a titolo di unione civile, ma una coppia di questo tipo che
abbia contratto matrimonio all'estero, può chiedere ricongiungimento secondo il Tribunale di Reggio Emilia e il
governo suggerisce agli uffici territoriali di procedere in questo senso a fronte di richieste analoghe. Il motivo che sta
alla base di questa decisione del governo è cercare di evitare lo scontro con l'unione europea, o meglio cercare di
evitare una pronuncia della Corte di giustizia che dica che in qualche modo la posizione assunta dell'Italia è contraria
al diritto dell'unione.
Si indica questa strada ma chiaramente non è una soluzione perché noi abbiamo un paese unico in cui il Parlamento
è inerte e dovrà aspettare ancora molti anni prima di arrivare a una legge sulle unioni civili, le corti sono
completamente disorientate e a seconda dei casi danno l'una o l'altra interpretazione, il governo prende una
posizione apparentemente favorevole ad una estensione dei ricongiungimenti il più possibile anche a favore di
coniugi dello stesso sesso che sono quegli stessi che la Corte di Cassazione però ci dice di non riconoscere.
Oggi nel nostro paese il problema è relativamente superato perché con l'entrata in vigore della legge sulle unioni
civili tutte le questioni sono state risolte, la legge Cirinnà da un lato disciplina l'unione civile tra soggetti dello stesso
sesso, ma poi in un successivo decreto legislativo delegato approvato nel 2017 si va a completare dicendo che i
matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all'estero sono riconosciuti come unioni civili in Italia.
In realtà il discorso relativo all’articolo 3 della direttiva non è finito perché è stato poi oggetto di interpretazione
anche da parte della Corte di giustizia, era evidente sin da subito che questa previsione avrebbe potuto a certe
condizioni essere utilizzata come grimaldello per andare a verificare determinate scelte operate a livello nazionale;
visto che la previsione parla di agevolare l'ingresso e il soggiorno di ulteriori soggetti è chiaro che poi sarebbe prima
o dopo arrivata la Corte di giustizia a dirci cosa vuol dire agevolare? Qual è il contenuto di questo onere da parte
degli Stati? Era chiaro che sarebbe arrivata la Corte di giustizia a dirci che oltre un certo livello di chiusura da parte di
ordinamenti nazionali si sarebbe andati ad intaccare questo obbligo (invece chiaro) di agevolazione dell'ingresso a
titolo di ricongiungimento.

Problema della kafala: cosa fare laddove un soggetto abbia ottenuto un provvedimento di attribuzione di un minore
in kafala, nell’ambito di un ordinamento dove questo istituto è previsto, e poi chieda l'ingresso sul territorio
dell'unione europea a titolo di ricongiungimento familiare? La questione è stata esaminata sia dalle corti nazionali,
sia dalla Corte di giustizia. Su questo fronte la posizione dell'Italia è stata sempre di favore e di garanzia per la
posizione del minore, cioè la Corte di Cassazione già prima che intervenisse la Corte di giustizia si è pronunciata a
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sezioni semplici e poi a sezioni unite dicendo non importa che l'istituto della kafala non sia equiparabile alla
affiliazione però è chiaro qual è l'interesse prevalente del minore, è chiaro che esiste una prioritaria esigenza di
tutela del minore e quindi in questo caso deve essere garantito.
Si è molto discusso nel nostro paese su questo tipo di posizione perché è evidente che se da un lato il minore ha
un'esigenza forte di tutela dall'altro però si crea una situazione difficile da inquadrare dal punto di vista giuridico
all'interno del nostro ordinamento, perché noi non possiamo attribuire alla kafala effetti diversi e maggiori rispetto a
quelli che sono attribuiti dallo stesso paese in cui la kafala si è prodotta e quindi se la kafala è un istituto che cessa di
produrre qualunque effetto al compimento del diciottesimo anno questo avverrà anche all'interno del nostro paese.
La questione è stata portata anche all'attenzione della Corte di giustizia e con una sentenza del 26 marzo 2019 la
Corte ha chiarito come ci si deve comportare rispetto a richieste di ricongiungimento fondate sulla kafala.
La Corte di giustizia ci dice due cose sulla kafala, nella prima parte del dispositivo ci chiarisce che il minore in kafala
non può in alcun modo essere ricompreso all'interno della nozione di discendente diretto di cui al punto due lettera c
dell'articolo due, perché a rigore noi non possiamo considerare esistente un legame di affiliazione che lo stesso
paese d'origine non ritiene esistente.
Prosegue dicendo “è tuttavia compito delle autorità nazionali competenti agevolare l’ingresso e il soggiorno di un
minore siffatto in quanto altro familiare di un cittadino dell’Unione, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2,
lettera a), di tale direttiva, letto alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, procedendo ad una valutazione equilibrata e ragionevole di tutte le circostanze
attuali e pertinenti del caso di specie, che tenga conto dei diversi interessi presenti e, in particolare, dell’interesse
superiore del minore in questione. Nell’ipotesi in cui, in esito a tale valutazione, fosse stabilito che il minore e il suo
tutore, cittadino dell’Unione, sono destinati a condurre una vita familiare effettiva e che tale minore dipende dal suo
tutore, i requisiti connessi al diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, considerati congiuntamente
all’obbligo di tener conto dell’interesse superiore del minore, esigono(obbligo), in linea di principio, che sia concesso
al suddetto minore un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di consentirgli di vivere con il suo tutore nello Stato
membro ospitante di quest’ultimo.” Ecco che l'articolo tre viene interpretato come un articolo capace di imporre il
ricongiungimento a favore di un'altra categoria.
Un discorso simile può essere condotto per quanto riguarda soggetti adulti e in particolare la precisazione fornita
dalla Corte di giustizia nel caso Banger del 2018. In questa situazione non abbiamo alcuna specifica esigenza di tutela
di minori, ma invece ci troviamo di fronte ad una coppia di soggetti adulti che dà luogo ad una relazione stabile
debitamente attestata e quindi rientriamo nella fattispecie della lettera b. Nella previsione normativa della direttiva
su questo fronte sussiste l'invito a che gli Stati membri agevolino l'ingresso.
La prima parte del dispositivo è un discorso già visto con riguardo al caso Coman, qui stiamo parlando di un cittadino
del Regno unito che ritorna nel proprio paese di origine dopo essere stato al di fuori dell'unione europea, quindi
avanza una pretesa di ricongiungimento nei confronti del proprio paese, in teoria non dovrebbe essere ascritta alla
direttiva 2004/38 perché parla del soggetto che soggiorni in uno stato membro diverso da quello della cittadinanza,
in quanto il ricongiungimento assiste il diritto di circolazione e soggiorno. La Corte utilizzando l'articolo 21 paragrafo
uno del TFUE ci dice che anche i cittadini nazionali devono godere di un trattamento almeno pari a quello garantito
dalla direttiva ai cittadini di altri paesi dell'unione europea.
La direttiva su questo fronte dice: “l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel
senso che i cittadini di Stati terzi indicati in tale disposizione devono disporre di un mezzo di impugnazione per
contestare un provvedimento di diniego di rilascio di un’autorizzazione al soggiorno adottato nei loro confronti, in
seguito al cui esperimento il giudice nazionale deve poter verificare se il provvedimento di diniego si fondi su una
base di fatto sufficientemente solida e se le garanzie procedurali siano state rispettate. Fra tali garanzie si annovera
l’obbligo, per le autorità nazionali competenti, di effettuare un esame approfondito della situazione personale del
richiedente e di motivare ogni rifiuto di ingresso o di soggiorno.” La posizione della Corte è leggermente meno
radicale di quella che abbiamo ritrovato all'interno della pronuncia sulla kafala ma quella era una pronuncia in cui
emergeva questo superiore interesse del minore da tutelare, qua ci troviamo di fronte a dei soggetti adulti. Ma
questo obbligo di agevolare poi viene riempito di contenuto volta a volta ad opera della Corte, qui era accaduto che
le autorità inglesi avevano negato il ricongiungimento e ai sensi della normativa processuale interna questo
provvedimento di diniego non era contestabile in giudizio, non poteva essere impugnato, la Corte in questo caso ci
dice che dall’obbligo di agevolare discende un chiaro obbligo per lo stato di consentire l'impugnazione del diniego, e
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in sede di impugnazione il giudice deve quindi poter verificare su quale base si fondi il diniego del ricongiungimento.
La Corte di giustizia si spinge sempre fino al limite oltre il quale non può andare ma cerca di erodere piccoli margini
di manovra rispetto alla discrezionalità degli Stati, in questo caso sebbene la direttiva non lo dicesse espressamente
però in via interpretativa la Corte ci dice che questo obbligo di motivazione e obbligo di agevolare, fanno sì che il
provvedimento di diniego debba poter essere impugnato.
C'è stata una pronuncia molto recente della Corte di giustizia che ci mostra come sia incessante nel corso del tempo
questo sviluppo interpretativo, evolutivo da parte della Corte di giustizia che va in qualche modo ad erodere
continuamente i margini di manovra a livello nazionale.
Dal diritto di circolazione soggiorno discende un certo tipo di parità di trattamento tra il soggetto dell'unione
europea che circola e i cittadini nazionali, questa parità di trattamento è completata solo a fronte dell'acquisizione di
un diritto di soggiorno permanente.
Articolo 24: “fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni
cittadino dell'Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di
pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato (laddove si applichi il diritto
dell'unione). Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che
siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.”
“In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d'assistenza
sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all'articolo 14,
paragrafo 4, lettera b, né è tenuto a concedere prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di
mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti,
a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari.”
Sentenza del 15 luglio 2021 della Corte di giustizia.
L'articolo 24 della direttiva deve essere interpretato nel senso che non osta alla normativa di uno Stato membro
ospitante che esclude dalle prestazioni di assistenza sociale i cittadini dell'unione economicamente inattivi che non
dispongono di risorse sufficienti e ai quali lo stato ha concesso un diritto di soggiorno temporaneo, mentre tali
prestazioni sono garantite i cittadini dello Stato membro interessato che si trovano nella stessa situazione. Stiamo
parlando di un cittadino dell'unione europea che si sposta e soggiorna temporaneamente in un paese membro
diverso da quello di origine, questo paese gli concede un diritto di soggiorno temporaneo, quindi non permanente,
pure a fronte del fatto che questo soggetto è inattivo e non dispone di risorse. Non ci stupisce perché gli Stati fanno
quello che vogliono nell'estendere il diritto di soggiorno, quindi è perfettamente compatibile con il diritto dell'unione
europea.
È un diritto di soggiorno temporaneo ma questo soggetto fa domanda per poter godere di prestazioni di assistenza
sociale e queste vengono negate, attenzione qua ci muoviamo su un fronte con delle conseguenze molto rilevanti,
cioè se la Corte non avesse detto questo automaticamente avremmo potuto dire a questo punto tutti i soggetti non
abbienti di tutta l'unione europea possono spostarsi e richiedere assistenza sociale nel paese che eroga prestazioni
migliori.
La Corte di giustizia compie sempre un passo in avanti, ma quale può essere il limite rispetto a questo tipo di
ragionamento condotto nella prima parte del dispositivo? Può essere rappresentato dal soggetto che in assenza di
prestazioni di assistenza sociale si trovi in stato di grave bisogno tale da compromettere i suoi diritti fondamentali,
cioè arrivare ad una statuizione pari a quella contenuta nella prima parte del dispositivo senza ulteriori precisazioni
avrebbe potuto in astratto giustificare anche la condotta di quello Stato che lascia morire di fame un cittadino
dell'unione europea presente nel proprio territorio per il fatto che legittimamente può escluderlo dal godere di
prestazioni di assistenza sociale.
“Tuttavia, se un cittadino dell’Unione soggiorna legalmente, secondo il diritto nazionale, nel territorio di uno Stato
membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, le autorità nazionali competenti a concedere prestazioni di
assistenza sociale sono tenute(obbligo) a verificare che il rifiuto di concedere tali prestazioni sulla base di tali norme
non esponga tale cittadino, e i figli a suo carico, a un rischio concreto e attuale di violazione dei loro diritti
fondamentali sanciti dagli articoli 1, 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Quando il
suddetto cittadino non dispone di risorse per mantenere sé stesso e i suoi figli ed è isolato, queste autorità devono
(obbligo) garantire che, in caso di rifiuto delle prestazioni di assistenza sociale, lo stesso cittadino possa comunque
vivere con i suoi figli in condizioni dignitose. Nell’ambito di questo esame, le suddette autorità possono prendere in
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considerazione tutti i regimi di assistenza previsti dal diritto nazionale e di cui il cittadino interessato e i suoi figli
possono effettivamente beneficiare.” Va bene rifiutare le prestazioni di assistenza sociale con un limite: non devono
essere lesi i diritti fondamentali all'integrità, salute, vita dignitosa.
Cambiano le situazioni, cambiano le domande, ma il percorso del ragionamento della Corte è simile, vedendo il
diritto dell'unione europea come un unico insieme in cui oggi sono compresi anche i diritti fondamentali previsti
dalla carta, io non posso interpretare sostanzialmente una normativa dell'unione di diritto derivato se non alla luce
anche di tutto l'altro corpus normativo e inclusa la carta, quindi non posso interpretarla nel senso di arrivare ad un
approdo che mi condurrebbe a violare la carta dei diritti fondamentali dell'unione europea.
Il concetto di parità di trattamento non si estende fino a non contemplare alcun tipo di discriminazione, ma al
contrario consente le discriminazioni, in particolare fino a che non si sia acquisito il diritto di soggiorno permanente.
Tutte le precisazioni che abbiamo fatto finora, non vuol dire che gli Stati membri, a ricorrere dei requisiti che
abbiamo visto, non abbiano alcuna possibilità di restringere l'ingresso e il soggiorno perché esiste un capo VI della
direttiva che ha rubricato “limitazioni del diritto d'ingresso di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza o di sanità pubblica”, non stiamo parlando dei casi in cui mancano i requisiti, perché se mancano si può
porre un diniego all'ingresso o al soggiorno, ma stiamo parlando invece di quei casi eccezionali a fronte dei quali pur
sussistendo i requisiti lo stato ospitante deve legittimamente poter opporre un diniego.
La limitazioni connesse a motivi di sanità pubblica non richiedono sostanzialmente giustificazioni ulteriori e non sono
sottoposte ad uno scrutinio successivo; per quanto riguarda l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza invece il
ragionamento è differente perché sono clausole ampie e non basta invocarle per poter avere una legittimazione a
opporre il diniego, occorrerà invece andare a precisare in modo rigoroso perché si è invocata questa limitazione. Si
tratta sempre di un'eccezione quindi nel diritto dell'unione europea la regola è quella della libera circolazione e di
soggiorno, le eccezioni sono ammissibili ma sono eccezioni e come tali vanno interpretate restrittivamente.
L'articolo 27 dice che gli stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'unione o di un suo
familiare qualunque sia la sua cittadinanza per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica,
tali motivi non possono essere invocati per fini economici. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di
pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al
comportamento personale della persona nei riguardi della quale sono applicati. La sola esistenza di condanne penali
non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti.
Principio di proporzionalità ci dice che deve esserci un rapporto di proporzionalità diretta tra il pericolo
rappresentato da un soggetto per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza dello Stato e il provvedimento di
limitazione che viene adottato nei suoi confronti per quanto riguarda il suo diritto di circolazione e soggiorno.

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Limiti alla libera circolazione e al soggiorno delle persone, non stiamo parlando di quei casi in cui vengono meno i
requisiti che sono posti dal diritto dell’UE come premesse necessarie per l’esercizio di libera circolazione e soggiorno
ma al contrario stiamo parlando di casi a fronte dei quali per sussistendo i requisiti scritti dall’UE comunque è
possibile apporre legittimamente un diniego all’ingresso o al soggiorno.
Abbiamo visto che da questo punto di vita il riferimento necessario è rappresentato dall’art 27 della direttiva
2004/38.
Tre sono i possibili motivi, sono eccezioni, questa elencazione deve essere ritenuta assolutamente tassativa e
interpretata in modo restrittivo, il che vuol dire che non è possibile opporre un diniego con motivi diversi a quelli
elencati dalla norma.
Uno è quello relativo alla sanità pubblica che lasciamo da parte perché da un lato non richiede ulteriori precisazioni
cioè a fronte di emergenze imprevedibili e del tutto eccezionali di questo tipo è scuffiante l’esistenza di una malattia
con potenziale epidemico attestata dell’organizzazione mondiale della sanità per poter ricorre a questo tipo di
limitazione temporanea del diritto di libera circolazione e di soggiorno, non può essere invocato questo motivo una
volta che sono trascorsi tre mesi dall’arrivo del soggetto che si è spostato da un paese all’altro perché una volta
trascorsi sicuramente se questo soggetto rappresenta un rischio dal punto di vista sanitario, ormai il danno si è
verificato non ha senso a questo punto andare a limitare una sua libertà prevista dai trattati istitutivi per ottenere un
beneficio nullo, entro questo periodo di tempo è possibile invocare questo limite e anche sottoporre un soggetto alla
vista medica gratuita, non limitari il diritto di libera circolazione o soggiorno ma invece verificare se il soggetto è o
meno portatore di una malattia.
Gli altri due motivi sono quelli dell’ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
Abbiamo detto che l’art 27 paragrafo due ci dà delle indicazioni ulteriori e ci dice che i provvedimenti adottati per
motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, rispettano il principio di proporzionalità e sono dotati
esclusivamente dell’azione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La
sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.
Diciamo che la formulazione della norma è ispirata a una ratio ben chiara, cioè trattandosi di un limite, di una
eccezione questa non può essere applicata in modo estensivo se non entro stretti limiti, rappresentati dalla necessità
del paese ospitante di porre un limite al diritto di circolazione e soggiorno di un cittadino dell’UE.
Quello che sicuramente non è accettabile è la previsione di qualunque tipo di automatismo, cosa che il nostro paese
aveva fatto all’intero di una serie di provvedimenti che erano stati definiti come pacchetto sicurezza adottato tra
2008/9, cioè non è impossibili ridurre automaticamente a un determinato reato una conseguenza di questa tipo,
occorre comunque uno scrutino relativo alla situazione personale e lo vediamo la norma lo dice chiaramente “sono
dotati esclusivamente dell’azione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono
applicati.” e anche l’esistenza di condanne penali cioè anche dei pregressi di natura penalistica del soggetto non
possono di per se e automaticamente fondare una decisione limitativa di questo tipo. Il nostro paese aveva in realtà
previsto un automatismo all’interno del codice penale prevedendo che ci fosse un’espulsione o allontanamento
automatico nel caso di condanne alla reclusione per un periodo di tempo superiori ai due anni, questo in via
interpretativa è stato però una previsione ridimensionata ad opera delle corti proprio per il motivo che dicevamo, è
una previsione che dà se associa in modo automatico al compimento di un determinato reato una conseguenza
relativa alla limitazione di questi diritti. Il pacchetto sicurezza era stato molto criticato dal punto di vista di
conformità con l’ordinamento dell’UE, perché altre norme erano state introdotte e norme di cui si dubitava, scelte
ritenuta non conformi al diritto dell’UE ma poi eliminate dalla Corte costituzionale anche per contrarietà alla stessa
costituzione.
La norma senz’altro richiede che non siano operate scelte di questo tipo cioè all’interno del tessuto normativo non
possono essere introdotte automaticamente delle limitazioni al diritto di libera circolazione e soggiorno come
accessorie rispetto a una determinata previsione di matrice penalistica per esempio. Proporzionalità, è chiaro cosa
vuol dire cioè partendo dal presupposto che il provvedimento di allontanamento rappresenti l’estrema ratio, quindi
il provvedimento più radicale e grave che può essere adottato nei confronti di un cittadino dell’UE, si deve
considerare che deve esserci un rapporto di proporzionalità diretta tra il pregiudizio che un determinato soggetto
può incarnare rispetto allo stato di destinazione e la reazione da parte di questo stato dove l’allontanamento
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rappresenta l’ultima spiaggia. Questo vuol dire che un reato come può essere un furto di lieve entità non può subito
condurre a un provvedimento di allontanamento perché questa è una conseguenza invece rispetto a un pregiudizio
grave, un turbamento grave rispetto all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza dello stato così come la sola
esistenza di precedenti penali che di per se non vogliono dire nulla perché un soggetto può aver scontato la sua pena
e poi in ragione dello scopo della sanzione penale che è quello di inserimento nella società, si sia effettivamente
inserito e non rappresenti più un pericolo per l’ordinamento di destinazione. La minaccia deve essere attuale, reale e
sufficientemente grave.
 
Caso Bonsignore del 1975 consideriamo che il caso si va a inerire in un tessuto normativo diverso a quello di cui ci
stiamo occupando ma comunque norme che avevano la stessa finalità di garanzia di libera circolazione e soggiorno
in quel periodo erano a favore di lavoratori. Bonsignore era cittadino italiano e come molti altri nel secondo dopo
guerra si trasferisce Germania alla ricerca di una attività lavorativa e di un reddito che in italiana non aveva e inizia a
vivere all’interno dell’ordinamento tedesco dove risiede per lungo tempo per più di dieci anni, creò rapporti sociali e
famigliari e tra l’altro parte della sua famiglia andò anche lei. Un giorno viene coinvolto in un incidente domestico nel
senso che pulendo e armeggiando un’arma da fuoco che deteneva a titolo di collezionismo parte un colpo e uccide il
proprio fratello che stava lì con lui. Le indagini vengono chiuse e non soltanto si accerta che sia un incidente ma non
viene erogata nessuna sanzione di natura penale nei confronti di questo soggetto nei sensi della normativa
penalistica tedesca. Quindi non accade quello che sarebbe potuto accadere in Italia cioè una condanna sicuramente
non per omicidio volontario, preterintenzionale ma colposo, invece no la normativa tedesca viene applicata e
consente di non dare nessuna pena. Quello che invece viene notato un illecito di natura amministrativa, cioè
deteneva delle armi da fuoco senza averle regolarmente dichiarate e questo illecito comporta una sanzione
amministrativa da parte delle autorità pubbliche tedesche.
Si collega al nostro discorso perché a un certo pinto concluse le indagini, il Bonsignore viene fatto oggetto di un
provvedimento di espulsione verso l’Italia, paese di cui era cittadino.
La questione viene portata davanti alla corte di giustizia perché questo è il tipico caso per cui effettivamente è molto
dubbio che sussista un interesse prevalente pubblico collettivo dell’ordinamento di destinazione a erogare questo
tipo di sanzione così grave come l’allontanamento perché una volta accertato che si sia trattato d’incidente (da parte
dello stesso paese che poi chiede l’allontanamento) non si può dire che questo accadimento in realtà possa far
pensare al Bonsignore come un soggetto pericoloso per lo stato ospitante, non si può pensare che sussiste in ragione
di quel evento il famoso rischio reiterazione del reato perché è chiaro che questo evento è strettamente collegato a
quelle circostante fortuite che non si possono ripetere ulteriormente.
La corte di giustizia ci dice che in un caso come questo la normativa dell’unione europea posta all’adozione di un
provvedimento di allontanamento, così limitante per i diritti del soggetto derivanti dall’ordinamento dell’unione
europea. E nel farlo inizia a elabora un concetto dei parametri di valutazione obbligata, ossia proprio perché non era
ammissibile automatismi, la corte di giustizia ci dice che in situazioni di questo tipo occorre valutare procedere a un
rigoroso scrutinio dei così detti parametri di valutazione obbligata cioè sono tutte le circostanze di fatto relative a
una determinata fattispecie che possono permetterci di comprendere al meglio che tipo di impatto può avere un
provvedimento limitativo su quella specifica situazione.
Nel senso il soggetto Bonsignore era in Germania da tantissimi anni, non è la stessa cosa adottare un provvedimento
di allontanamento nei confronti di un soggetto che si è trasferito da 4 mesi o nei confronti di un soggetto che si è
trasferito da 14 anni. Evidentemente il secondo avrà maturato un radicamento molto forte all’interno del territorio
del paese di destinazione questo si collega anche ad altri parametri di valutazione obbligata come l’esistenza di
rapporti sociali, familiari è ovvio che in tutto questo tempo ha maturato una rete di rapporti nel paese ospitante
rapporti che sarebbero recisi dalla sanzione di allontanamento. Pensiamo alla situazione lavorativa altro parametro
di valutazione obbligata.
Quindi la corte dice io non do un elenco tassativo di elementi che devono essere valutati ma vi dico attenzione ogni
volta va valutata nel complesso la situazione tramite appunto questi parametri di valutazione obbligata. Essi
riguardano sia il rapporto più o meno forte che sussiste tra un soggetto e il paese ospitante sia il rapporto più o
meno forte che esiste tra il soggetto e il paese di origine con il quale l’unico legame può essere rappresentato dalla
cittadinanza. 

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Il discorso che stiamo facendo deve essere necessariamente completato con il riferimento al diritto del
ricongiungimento famigliare spettante non ai cittadini di unione europea come è scritto nella direttiva 2004/38 ma ai
cittadini di paesi terzi. Quando parliamo di circolazione di soggiorno di cittadini di paesi terzi ci addentriamo in un
terreno molto complesso perché se da un lato possiamo dire in modo corretto che il tema di circolazione soggiorno
dei cittadini UE è disciplinato dal diritto dell’UE e dalle sue attuazioni a livello nazionale abbiamo visto la direttiva
2004/38 e il decreto legislativo 30 del 2007 quando parliamo invece di cittadini di paesi terzi il riferimento normativo
è più complesso perché è una materia ancora della disponibilità dei legislatori nazionali perché non sitiamo parlando
di condizioni al ricorrere delle quali un cittadino indiano può spostarsi in Italia, si trattata dell’ingresso a partire da un
paese terzo di una circostanza che riguarda il singolo paese che viene coinvolto e la sua normativa, è anche vero che
ciascun paese membro presidia le proprie frontiere interne anche nell’interesse della collettiva dei paesi membri
dell’UE anche perché una volta che un cittadino di un paese terzo entrano i uno stato all’interno dell’UE non ha
frontiere interne e quindi si può spostare.
Questo per capire che ci sono forti stratificazioni normative sul fronte del fenomeno migratorio a partire dei paesi
terzi, cioè ci sono: Norme nazionali perché formalmente è ancora appannaggio del legislatore interno, poi però ci
sono norme dell’UE che intervengono su questo forte e quella relativa al ricongiungimento è proprio una normativa
dell’UE, ci sono poi delle norme che provengono dall’ordinamento internazionale pattizio come il caso dello status di
rifugiato del diritto di asilo quindi della convenzione di Ginevra, di tutto quello vi discende, sono trattati
internazionali a cui poi gli ordinamenti si adattano nel momento in cui entrano a farne parte e anche l’unione
europea si adatta.
Quindi un forte intersecarsi di livelli normativi, i trattati l’UE che interviene deve comunque rispettare i trattati e
allora li integra, il diritto interno che rimane padrone per quello che riguarda i settori non regolati dal diritto dell’UE e
quindi è difficile riuscire a orientarsi tra le norme, teniamo presente che un punto di partenza può essere che noi
abbiamo un nostro corpus normativo relativo al diritto dell’immigrazione che risiede all’interno di un decreto
legislativo che viene definito il testo unico delle norme sull’emigrazioni, proprio la rubrica dello strumento è “testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”. Questo
perché è uno di quei decreti legislativi rispetto ai quali è fondamentale avere sempre sottomano l’ultima versione
aggiornata, perché qualunque intervento che venga operato in Italia sul tema dell’emigrazione passa attraverso una
modifica di questo decreto. La disciplina dell’emigrazione risiede in Italia all’interno di questo strumento nel
momento in cui anche il diritto dell’UE interviene dando delle precise disposizioni al riguardo noi provvediamo
all’attuazione della direttiva 2003/86 e in sede di attuazione noi andiamo a modificare il decreto legislativo 286 del
98 adattandolo a quello che ci viene richiesto a opera del legislatore dell’UE.
L’unione europea interviene su vari aspetto della disciplina dell’immigrazioni, come il tema dei visti è intervenuta
l’UE con il regolamento visti che fornisce un modello unico vede allegato una lista di paesi verso i quali e dai quelli
chiede i visti e viceversa, la normativa dell’UE interviene anche sul tema di diritto d’asilo e status del rifugiato nel
senso che esiste la convenzione internazionale di Ginevra del 51 ma poi diritto dell’UE ci dice di più, per esempio il
sistema di Dublino cioè di quelle norme dell’UE che sul fronte del diritto di asilo e status del rifugiato ci dicono quale
è il paese unico tenuto a esaminare una determinata domanda d’asilo non è un elemento rilevante se ne è parlato
molto ultimamente perché il caso tipico è il caso di cittadino di stato terzo che fugge da una situazione di pericolo
per la propria vita, stiamo parlando di diritto d’asilo, e entra il più delle volte in situazione di clandestinità e poi si
sposta usufruendo della libera circolazione all’interno di altri paesi dell’UE nel caso delle recenti ondate migratorie
era molto frequente che soggetti che entravano nell’UE attraverso l’Italia o la Grecia avessero poi come destinazione
finale regno unito o paesi del nord. Su questo fronte nel nome dell’UE del sistema di Dublino ci dicono chi è che deve
esaminare la domanda d’asilo nel momento in cui questo soggetto viene fermato e chiede di poter ottenere la
protezione internazionale? e la regola su questo fronte è il paese del primo ingresso regola contestata.
Sul fronte del nostro discorso c’è uno strumento normativo del diritto dell’UE che ha una grande importanza che è
una direttiva che fa da contraltare alla normativa 2004/38 e contiene norme relative al ricongiungimento famigliare,
non norme relative a circolazione e soggiorno questi sono temi che sul fronte di cittadini di paesi terzi sono regolate
prima di tutto dalle norme nazionali oltre che qualche intervento dell’UE ad esempio su questo fonte ci dice che
cittadini di paesi terzi soggiornando un lungo periodo devono essere riconosciuti alcuni diritti.
Rispetto alla direttiva 2004/38 che ha quindi questa struttura duplice che abbiamo visto e regole sulla circolazione
soggiorno e sul ricongiungimento che rappresenta una conseguenza necessaria, la direttiva 2003/86 regola solo del
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ricongiungimento. In sostanza ci dirà ogni volta che un cittadino di un paese terzo si trova legittimamente, nel
rispetto delle condizioni previste dalle norme interne applicabili nel caso di specie, godrà del diritto di
ricongiungimento alle seguenti condizioni.
Innanzi tutto, chiariamo che il tema è di cittadini di paesi terzi che chiedono di poter fruire del diritto di
ricongiungimento per i propri famigliari anche loro di paesi terzi, non c’è nessun cittadino dell’unione europea. Vale
già quello che avevamo detto riferito alla direttiva 2004/38 cioè che normalmente viene invocata per garantire il
ricongiungimento a un cittadino di paese terzo, quindi i beneficiari sono sempre cittadini dei paesi terzi ai sensi della
direttiva 2004/38 e 2003/86 ma quello che cambia è il soggetto richiedente, il soggetto che può richiedere l’ingresso
del proprio famigliare perché nella direttiva 2004/38 è un cittadino UE che si sposta da un paese all’altro qua invece
è un cittadino anche lui extraue che si trova a sua volta all’interno di un paese membro.
Quali sono i requisiti affinché un cittadino di paese terzo possa richiedere ricongiungimento e chi sono i famigliari
che possono godere del diritto di ricongiungimento ai sensi del diritto dell’UE e quindi della direttiva 2003/86 che
nell’ordinamento italiano è stata attuata con il decreto legislativo 5 del 2007.
I requisiti, il soggiorno deve essere regolare, l’laddove soggiorno sia regolare la normativa richiede qualcosa di
diverso rispetto ai cittadini dell’UE ai quali si dice che ogni volta potete soggiornare, potete richiedere il
ricongiungimento. Si dice che il diritto di soggiorno regolare deve protrarsi da almeno un anno e il soggetto deve
avere una prospettiva di ottenimento di diritto di soggiorno stabile e duraturo nel corso del tempo. Questo vuol dire
che deve essere esaminata la situazione del richiedente e deve trattarsi di un soggetto che ha prospettiva di
rimanere a tempo indeterminato, senza un preciso limite già prefissato, all’interno del paese ospitante, tipica è la
situazione del soggetto extraue che si trova in un paese membro perché sta esercitando un lavoro.
Viceversa colui che centra nell’UE con un permesso di soggiorno regolare ma limitato per una durata di 18 mesi per
un motivo o di studio, questo soggetto non avrà diritto al ricongiungimento perché una volta trascorsi i 18 mesi, per
richiedere il ricongiungimento avrà una prospettiva limitata di permanenza, ha senso garantire a un soggetto la
possibilità di portare con se tutto il suo nucleo famigliare nel momento in cui dopo pochi mesi non ha più titolo
permanere e quindi occorre che si allontani lui e il suo nucleo, in questo caso la risposta è no.
Poi vi è uno scrutino molto rigoroso per quanto riguarda  cittadini di paesi terzi e l’assicurazione malattia e le risorse
economiche attenzione che per i cittadini di paesi terzi la normativa in questione parla di risorse stabili e regolari e
quindi può essere che lo stato voglia anche verificare anche l’origine delle risorse economiche di cui il cittadino
dispone e lo scrutinio relativo alle risorse economiche viene effettuato con riferimento ai famigliari e  al numero di
famigliari che si vogliono ricongiungere. Le risorse sufficienti vengono parametrate nel nostro caso, nell’ordinamento
italiano all’assegno sociale annuo che non è molto elevato ma attenzione per ogni famigliare che si vuole
ricongiungere  questo limite viene elevato della metà quindi se io cittadino di un paese terzo ho 9 figli, si che tutti
hanno diritto al ricongiungimento ma io devo garantire di disporre di risorse per tutti ma c’è anche la possibilità di
esaminare l’adeguatezza della residenza abitativa, è adeguata la metratura della casa per tutti i famigliari oppure no?
Per quanto riguarda i requisiti c’è puoi un ridiscorso relativo a quali sono i famigliari che possono essere ricongiunti.
Il primo è il coniuge, non diverso è diverso dalla direttiva 2004/38 se non che ci sia un problema interpretativo, per
esempio, spose bambine e poligamia. Queste sono situazioni che la direttiva deve affrontare nel momento in cui noi
non abbiamo più uno dei membri della famiglia in particolare il richiedente che non è cittadine dell’UE, perché per i
cittadini membri hanno la garanzia del fatto che non può essere coniugato con una sposa bambina perché nessun
paese dell’unione europea lo accetta, non può
essere coinvolto nemmeno in un matrimonio poligamico.
Qui invece stiamo parlando di status famigliari legittimamente sorti all’estero in un paese che sconsente questo tipo
di rapporti e stiamo parlando del trattamento a cui devono essere sottoposti questi status nell’ambito del paese
europeo di destinazione.
Per quanto riguarda il matrimonio poligamico la direttiva compie una scelta chiara e unica strada che poteva essere
legittimamente percorsa, cioè ci dice che in caso di matrimonio poligamico gli stati membri possono garantire il
ricongiungimento a una sola moglie, lo stato membro che abbia già ricongiunto un coniuge convivente non autorizza
il ricongiungimento famigliare di un altro coniuge. È l’unica strada che poteva essere percorsa perché non sarebbe
legittimo dire noi riconosciamo solo il primo matrimonio perché nel paese d’origine e ai sensi della normativa
applicata sono tutti matrimoni legittimi e regolari noi però possiamo dire sono tutti regolari ma noi ne riconosciamo
uno ai fini del ricongiungimento poi sta al singolo decidere chi.
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Questo non vuol dire che poi sia impossibile che si riformino dei nuclei poligamici perché altre possono essere le vie
dell’ingresso di queste successive mogli, può essere che un'altra moglie a esercitare un’attività lavorativa e quindi
abbia diritto autonomamente a un soggiorno a titolo lavorativo è poi impossibile quindi impedire che quel nucleo
poligamico non si ricongiungi.
Altre strade possono essere che altre mogli di un unico uomo siano autorizzate a permanere su uno stato dell’UE  in
quanto madri di un minore in stato di bisogno che già si trova su quello stato, cioè se un cittadino di un paese terzo
ha più mogli e ha figli con ognuna di esse lui ha  senz’altro diritto di portare con se una sola moglie ma tutti i figli e
poi se si riesce a dimostrare che alcuni di questi figli hanno bisogno di avere con se la propria madre, può anche
essere che si ottenga questo tipo di percorso, noi non lo riconosciamo ai fini del ricongiungimento è un’altra strada.
Le spose bambine, questo è un problema che sta un po’ diminuendo ma è un problema nel quale ci siamo imbattuti
in Europa molte volte nel corso degli ultimi anni, perché se in termini generali i rapporti dell’UNICEF ci dicono il
numero di spose bambine è in decrescita è anche vero che negli ultimi anni è cresciuta la pressione migratoria, ci
sono stati molti arrivi dalla Siria e all’interno di questi gruppi famigliari esistevano dei rapporti coniugali con minori.
Questo è un discorso molto difficile, ha dato luogo a molti dibattiti proprio dal punto di vista del diritto
internazionale e privato occorrerebbe fare tutta una serie di distinguo perché è molto facile dire sotto i diciott'anni
escludiamo ma da parte di alcuni si è sostenuto che questo tipo di discorso è rischioso perché ci sono situazioni in cui
il rapporto forse andrebbe riconosciuto, cioè occorre veramente distinguere a seconda dai casi, dal contesto
famigliare, della maturità della persona, ovviamente non stiamo parlando di quei casi di matrimonio contratto con
una bambina di 8 anni, ma invece in quel grigio dai 14-15 anni alla maggiore età dove ci possono essere situazioni
dove non riconoscere un vincolo coniugale può essere più dannoso che non rapporto coniugale regolamento insorto
rispetto al riconoscimento proprio dal punto di vista dal diritto internazionale privato.
Dal punto di vista del diritto di ricongiungimento, la direttiva lascia gli stati liberi, dicendo che gli stati possono
imporre un limite minimo di età per il soggiornante e coniuge che può essere al massimo tale a 21 anni perché il
ricongiungimento possa avere luogo. Quindi da una grande discrezionalità agli stati che addirittura possono esclude il
ricongiungimento fino a 21 anni oltre il limite che ha imposto alla maggiore età in tutti i paesi membri cioè 18 anni.
Alcuni gli stati hanno scelto di imporlo a 18 anni quindi al di sotto di 18 questo rapporto coniugale non può essere
fatto valere ai fini del ricongiungimento. Il nostro paese consente anche al di sotto di 18 anni.
Oltre al coniuge si possono ricongiungere i figli, ma i figli minorenni tutti i paesi impongo il limite della maggiore età a
18 e quindi non stiamo più parlando come nella direttiva 2004/38 dei figli fino a 21 anni ma i figli minorenni quindi
fino a 18. Inoltre, non c’è la previsione relativa a coloro che siano a carico con un’età maggiore di questa e non
devono essere coniugati, questo vale per i figli minorenni del richiedente e del coniuge. Se sono figli minorenni del
richiedente o del coniuge questi devono essere esclusivamente affidati al soggetto che si è spostato sul territorio
dell’UE. Quindi tizio ha un figlio con Gaia poi viene a vivere con la moglie Marta in Italia e potrà portare con sé il figlio
avuto con gaia solo se quel figlio è esclusivamente affidato a lui, nel caso in cui il figlio sia affidato a tutti e due deve
esserci il consenso dell’altro genitore. Non ci sono altre possibilità, la direttiva si ferma qui, non ci sono altre
imposizioni di ricongiungimento per quanto riguarda il diritto dell’UE.
Escludiamo i tutti i figli tra i 18-21 anni, tutti i figli maggiori di 21 che siano anche a carico, però c’è un discorso da
fare per quanto riguarda gli uniti civilmente, perché la direttiva 2003/86 non ne parla ma noi quando abbiamo
introdotto le unioni civili le abbiamo equiparate al matrimonio quindi quando parliamo di coniuge in realtà parliamo
anche di soggetto che abbiamo contratto l’unione civile registrata in un paese terzo quando essa sia equiparata al
matrimonio nel paese di origine e paese di destinazione quindi oggi non possiamo discriminare tra coppie coniugate
e coppie di soggetti dello stesso sesso che siano uniti civilmente se provenienti da paesi terzi.
Si escludo gli ascendenti, la categoria non viene menzionata, questo non vuol dire che siano in tutti i paesi solo questi
i soggetti che hanno diritto al ricongiungimento famigliare ma per un motivo semplice perché vale sempre la
precisazione dell’inizio cioè i paesi hanno il diritto di estendere la possibilità del ricongiungimento quello che non
possono fare è restringere la possibilità di ricongiungimento che la direttiva dice, cioè i paesi membri possono se
vogliono includere altre categorie e alcune vengono già individuate, come ascendenti e figli maggiorenni, partner.
L’italia ha esteso molto poco la possibilità di ricongiungimento di cittadini di paesi terzi in particolare il discorso
relativo al partner è stato completamente saltato, per riguarda gli ascendenti e i figli maggiorenni abbiamo si esteso
ma in modo limitativo. Per quanto riguarda gli ascenditi abbiamo consentito il ricongiungimento solo nel caso di
persone con età avanzata cioè ultrasessantacinquenni che abbiano necessità di essere assistiti e non abbiano
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supporto nel loro paese di origine. Riguardo i figli maggiorenti ancora peggio perché devono essere colpiti da
invalidità totale, chiaramente nel caso non siano coniugati. Abbiamo parlato molto spesso su questa direttiva di
questioni relative all’età, l’età è un requisito che decide molto nella direttiva del 2004/86 perché i figli possono
essere ricongiunti fino a 18 anni c’è un requisito di età anche per gli ascendenti. Allora parlando di paesi terzi
dobbiamo porci altro problema cioè il fatto che in alcuni casi può non essere certa l’attestazione relativa all’età
possiamo anche non avere completamente informazioni relative all’età ma possiamo anche avere informazioni che
però non sono assistete dalla pubblica fede cioè attestazioni a cui noi non siamo tenuti a prestare fede perché
provengono da ordinamenti che ad esempio come accade in alcuni casi in africa, ordinamenti in cui non vi è un
registro di stato civile, tenuto da autorità pubbliche, ma invece ci sono annotazioni nell’ambito dei singoli villaggi
locali allora si prevede che possono essere condotti dai paesi membri degli esami medici volti alla determinazione
seppur approssimativa dell’età in particolare nel caso dei minori che non si sa se lo sono o no, cioè soggetti a cui
viene richiesto il ricongiungimento ma siccome non si sa l’età e la regola dice non più di 18 anni bisogna verificare.
Proprio la direttiva consente così come la corte di cassazione di procedere a esami medici non invasivi, come il caso
di esami basati su radiografie che verificando la fase di sviluppo osseo della mano riescono con una certa
approssimazione determinare l’età del soggetto. 
Norma del nostro testo unico sulle norme sull’emigrazione norma particolare che consente di procedere al
ricongiungimento e quindi di garantire il permesso di soggiorno a titolo famigliare al di fuori di tutte le previsioni del
diritto dell’unione europea e del diritto interno, cioè pur non sussistendo ai requisiti di cui abbiamo parlato finora. La
norma è l’art 31, si occupa di un caso che è sempre un caso più delicato dei minori stranieri cittadini di paesi terzi, ci
dice che il tribunale dei minorenni nel caso in cui accettano che esistono gravi motivi connessi con lo sviluppo
psicofisico del minore che si ritrova in territorio italiano può autorizzare l’ingresso o la permanenza di un famigliare
per un periodo determinato anche in deroga a tutte le altre disposizioni del testo unico, che sono puramente interne
o rappresentano un recepimento delle direttive europee. Stiamo parlando del caso di un minore che si torvi a
qualsiasi titolo sul territorio dello stato il tribunale dei minorenni dice che tra le varie possibilità ha anche quella di
autorizzare l’ingresso di un famigliare, che possano provvedere ai suoi bisogni, si parla di gravi motivi connessi allo
sviluppo psicofisico del minore e si dice che a ricorrere di queste circostanze si può derogare a tutte le altre
previsioni. L’autorizzazione viene revocata quando i gravi motivi cessano. Questa è una di quelle ipotesi in cui si può
ricongiungere una madre sulla scorta della presenza di un minore e quindi eventualmente ricostituire il famoso
nucleo famigliare poligamico.
Non è una norma particolarmente chiara e nella sua interpretazione e applicazione nel tempo si sono susseguiti due
orientamenti giurisprudenziali del tutto antitetici. Cosa vuol dire gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del
minore? È chiaro che questo requisito può essere interpretato in modo estensivo e ristrettivo perché se noi
consideriamo a quale situazione stiamo facendo riferimento, quella di un minore, va da sé che un minore soprattutto
se in tenera età ha bisogno per la propria integrità psicofisica della presenza di un famigliare che possa provvedere ai
suoi bisogni soprattutto se questo famigliare esiste fuori del territorio del minore e non è autorizzato a entrare.
Allora abbiamo avuto da un lato u orientamento della cassazione che ha interpretato in modo restrittivo del quesito.
Ha detto no, partendo dal presupposto che ogni minore ha necessità di avere con se un famigliare che si occupi di lui
e che il fatto di non averlo può determinare delle conseguenze psicofisiche, la norma non sta descrivendo la
situazione di ordinaria necessità, ma una situazione eccezionale e allora non posso ritenere che ogni volta che c’è un
minore ed è in tenera età allora automaticamente possiamo richiedere l’applicazione dell’art 31, deve trattarsi di
qualcosa di fuori dall’ordinario ad esempio un minore che per gravi motivi di salute ha bisogno delle particolari cure
rispetto a quelle richieste  da un suo coetaneo in una situazione ordinaria.
Altra interpretazione della cassazione a pochi mesi di distanza, va nella direzione del tutto opposta, cioè ci dice no
bisogna sempre guardare interamente all’interesse superiore del minore in queste scelte, se è quello di avere con se
un proprio famigliare è nostro compito dare applicazione a questa norma e quindi non interessa se un minore di 4 o
5 anni è ontologicamente un soggetto che necessita assistenza e cura noi dobbiamo provvedere affinché questa
provvidenza e cura siano prestate ed eventualmente anche nel caso procedere a un permesso di soggiorno in deroga
ai sensi dell’art 31.
Fortunatamente su questo fronte è intervenuta da ultimo una corte di cassazione a sezioni unite perché ci desse una
linea unica da seguire e la corte ci dice che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del famigliare del

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minore non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza, di circostanza contingenti ed
eccezionali, strettamente collegate alla salute del fanciullo.
La portata dell’art 31 comma 3 non si presta a essere costretta nei confini dell’emergenza sanitaria o della grave
patologia del minore. Tale disposizione formulata con la tecnica della clausola generale suscettibile di competere nel
suo ambito qualsiasi danno effettivo concreto e obiettivamente grave e in considerazione dell’età e delle condizioni
la salute collegabili al complessivo equilibrio psicofisico deriva un minore dall’allentamento del minore da un
famigliare o dal suo definitivo sradicamento dell’ambiente in cui è cresciuto. Questa la sezioni unite 12 giugno 2019
15550, in definitiva la corte di cassazione a sezioni unite accoglie la linea interpretativa più elastica quella più aperta
ancora una volta si va nel percorso individuato dalla convenzione di New York quello dell’interesse superiore del
minore, il rischio è quello di dar luogo quasi sempre il temporaneo permesso di ingresso di soggiorno ma il fare che
dobbiamo seguire in prima battuta, il primo elemento che dobbiamo considerare è l’interesse del minore e se va in
quella direzione l’ordinamento deve provvedere ai suoi bisogni.

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