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675/96.
TESI DI LAUREA DI
ROBERTO LIMONTA
MATRICOLA N. 399856
ANNO ACCADEMICO
1994-95
I NDICE
INTRODUZIONE p. 1
LEGENDA p. 9
I. 1. Prospettive stilistiche p. 12
I. 2. La sensibilità fisiognomica spengleriana p. 15
I. 3. Il duplice significato della forma: forme della civiltà
e forme dello stile p. 18
I. 4. Il potere evocativo della parola p. 21
CONCLUSIONI p. 216
APPENDICE p. 221
RINGRAZIAMENTI p. 239
INTRODUZIONE
1
Se si superano queste difficoltà iniziali, ci si accorge che più ci si
addentra nell'analisi dei testi, e più emergono gli elementi di affinità, più
profonda e puntuale risulta la sintonia. L'approccio milleriano a Il
Tramonto dell'Occidente si caratterizza per una forte enfasi sulla sua
profondità metafisica e quasi mistica: è un "poema del mondo", un
"elisir di vita" che fa di Spengler un poeta e un profeta visionario.
Questo tipo di lettura, pur se estremizzata dalla tendenza milleriana
all'iperbole e al misticismo, è tutto sommato comprensibile. Il
Tramonto dell'Occidente fu un grande successo editoriale ed un testo
molto diffuso e discusso; lo stile di Spengler è all'origine di una così
vasta popolarità, per il suo carattere fortemente evocativo e per il
linguaggio immaginifico, denso di simbologie ed al contempo tagliente
nell'incisività aforismatica dei suoi passaggi più celebri. Questa
scrittura era la forma di un "filosofare col martello" che osservava la
storia dalla "prospettiva dell'aquila", e che aveva come unità di misura
secoli e millenni, e come oggetti dello sguardo filosofico le forme della
storia in quanto manifestazioni dello spirito umano: arte, religione, ma
anche politica, economia, società.
Se diamo uno sguardo ai romanzi di Miller, in particolare a Tropico
del Cancro che è il suo capolavoro e che è cronologicamente il più
vicino a Spengler, notiamo come alcune caratteristiche di linguaggio
siano molto simili: lo stile è plastico, fondato sull'idea della parola
come suggestione ed articolato sulla presenza ossessiva di alcune
figure simboliche, prima fra tutte quella del "Cancro". "Cancro" e
"Tramonto": due metafore organiche che mirano entrambe a
descrivere l'impasse della civiltà occidentale e la crisi dei suoi valori
fondanti. Nella loro simbologia c'è il senso della fine e l'urgenza di un
generale ricominciamento di significato dell'esistenza: il Cancro è una
malattia ma è anche il simbolo della svolta, in quanto il Granchio è
l'unico essere vivente che può camminare indifferentemente in tutte le
direzioni indifferentemente. È la necessità della scelta, la responsabilità
di una nuova direzione della storia oltre il tramonto dell'Occidente. Il
concetto di Tramonto, da parte sua, evoca a prima vista l'immagine
della decadenza, ma dietro ogni tramonto del sole c'è sempre la
certezza di una nuova alba, cosicchè esso si configura più
precisamente come "compimento" della civiltà occidentale, necessario
nella sua negatività ma dotato anche di un senso positivo.
2
L'affinità stilistica non è un elemento da s ottovalutare: dietro le
sintonie del linguaggio si nascondono più profonde analogie
concettuali. D'altra parte, qui il confronto tra Miller e Spengler chiama
in causa le categorie stesse della filosofia de Il Tramonto
dell'Occidente: secondo questa prospettiva, ogni "forma" è
testimonianza di un'anima, manifestazione sensibile di un'idea di cui
riproduce, nella propria articolazione fenomenica, i tratti essenziali.
Forma allora è anche la parola, lo stile che è l'espressione di un
pensiero; così facendo si libera l'aspetto "estetico" del pensiero dal
carattere limitato e inessenziale dell'abbellimento retorico, e ci si rende
conto di come le affinità stilistiche ci portino a risalire sino ad una
comune visione del mondo che le sottende. Questa comune
Weltanschauung è la prospettiva del mondo e della storia come
"forma": forma è un concetto estetico e, se è naturale il suo richiamo
in uno scrittore come Miller, meno scontato è riscontrarne la centralità
nel pensiero filosofico di Spengler. Questo "sguardo estetico" è
l'approccio fondamentale del filosofo tedesco alla storia e lo
accomuna alla prospettiva ovviamente "estetica" dell'artista Miller.
La prospettiva morfologica porta ad una comune profezia di
sventura. Già dal titolo Il Tramonto dell'Occidente non lasciava dubbi
sul giudizio in merito al destino dell'Occidente. Spengler risolve la
storia in una successione di civiltà, monadi indipendenti l'una dall'altra,
realtà qualitativamente diverse ed espressioni di idee, valori, pensieri
che si estingono con la scomparsa della civiltà che hanno contribuito a
formare. La dialettica interna della civiltà è determinata da una
periodizzazione ricavata dalle fasi degli organismi naturali: nascita,
crescita, maturazione, senescenza, morte. Le due categorie che
spiegano questa fisiologia sono "Kultur" e "Zivilisation", dove la prima
corrisponde al fiorire delle potenzialità di una civiltà, e la seconda
all'esaurirsi della carica vitale delle sue forme. L'Occidente è nella fase
di Zivilisation, e questo significa che il suo percorso secolare è
prossimo alla fine.
C'è tutta una serie di caratteri e di fenomeni che permettono di
individuare la collocazione di una realtà in una fase piuttosto che in
un'altra. La concentrazione della vita nelle grandi città è il fenomeno
più macroscopico della "Zivilisation" occidentale: la "cosmopoli" o
"metropoli" spengleriana si caratterizza per l'artificialità, l'asetticità, la
3
massificazione e l'omologazione dei cittadini, l'intellettualismo, la fine
di ogni grande arte come simbolo dell'esaurirsi di ogni capacità
espressiva. Tutti questi elementi tradiscono una fondamentale perdita
di contatto con i valori originari dell'esistenza, con la terra, con il
sangue e con la razza, sradicamento che fa dell'uomo un "nomade
intellettuale".
Proprio la figura del "nomade intellettuale" è al centro del fitto
tessuto di citazioni da Il Tramonto dell'Occidente che compare
nell'ultimo capitolo del romanzo milleriano Plexus; un vero e proprio
elenco che sembra voler richiamare il potere evocativo della parola
spengleriana. La figura dell'uomo moderno come "nomade
intellettuale" privo di focolare (come a dire senza radici e dunque
senza identità) è affiancata da altre immagini tratte da Il Tramonto
dell'Occidente. Innanzitutto la "macchina", fulcro della riflessione
spengleriana sul significato della tecnica moderna e topos dell'opera di
Miller e delle sue invettive contro la meccanicità e la disumanizzazione
dell'esistenza. La "macchina" è il momento finale di un percorso che
ha tratti identici in Miller come in Spengler: la macchina è il simbolo
tutto negativo della tecnica, vista come momento conclusivo della
civiltà. Altro simbolo evocato in Plexus è la "cosmopoli", la metropoli
moderna; immagine dello sradicamento dell'uomo dal suolo,
testimonianza di un impulso creativo che si è ormai spento, essa
costruisce un mondo artificiale ed un'umanità altrettanto artificiale
attorno a sé, cercando di animare con le forze dell'intelletto ciò che
solo la vitalità del contatto con le radici può generare. In questo modo,
Miller si appropria della prospettiva spengleriana e fa dell'artificialità
della vita metropolitana un tema centrale della sua opera.
Giunti a questo punto, saremmo portati a credere che il rapporto tra
Miller e Spengler si sviluppi all'insegna della decadenza. Questo è solo
parzialmente vero. Già in Plexus si scorge la presenza di un forte
valore "positivo" che rappresenta, agli occhi di Miller, la possibilità del
riscatto dal declino: ciò che è più interessante è che questa stessa
positività è presente ne Il Tramonto dell'Occidente. È la fiducia nel
"flusso della Vita" o, come scrive Spengler, nella "corrente del
divenire": oltre il destino di caducità delle forme resta l'energia
primordiale che le ha plasmate, una forza che garantisce il futuro
4
dell'umanità, una storia che sta al di là e prima della storia delle civiltà
costruite dall'uomo.
Questo elemento positivo è evidente in The World of Lawrence: il
libro vorrebbe essere un saggio sullo scrittore inglese David Herbert
Lawrence, ma assume ben presto i connotati di una riflessione a largo
raggio sul destino della civiltà. In questo quadro compaiono alcune
interessanti riflessioni su Spengler. Miller riprende nuovamente alcuni
motivi spengleriani, introducendoli con citazioni da Il Tramonto
dell'Occidente ed intrecciandoli con elementi del pensiero di
Lawrence: ecco allora il richiamo alla "irreligiosità" dell'epoca moderna
come perdita di un'anima, ecco gli accenni polemici alla psicanalisi, al
socialismo ed alla letteratura contemporanea, tutti fenomeni che
risultano espressione dell'artificialità della vita moderna. Ecco,
soprattutto, il richiamo al concetto tipicamente spengleriano di
"destino", che spiega il senso positivo della morte e della distruzione
come fasi necessarie per la rinascita dell'umanità. Forse perché inserita
nel contesto della riflessione su un autore vitale e "affermativo" come
Lawrence, la tematica spengleriana assume anch'essa tratti
prevalentemente positivi. La condanna della civiltà occidentale si va
così delineando come funzionale al disegno di una ricostruzione
radicale della società. Per far questo, occorre risalire a valori
fondamentali, radicati nell'essenza dell'uomo, nella sua anima dove essi
sono sentiti e non intellettualmente costruiti: questi valori si risolvono
sinteticamente nell'esaltazione del flusso della Vita.
Questa profonda sintonia tra Miller e Spengler, sia nella pars
destruens che nella pars costruens della riflessione, trova la sua
rappresentazione più sintomatica nella scelta della donna come
simbolo della Vita. La figura della donna è centrale nell'opera di Miller,
e si lega a quel tema dell'eros che ha costruito le fortune e la popolarità
dello scrittore americano. Il sesso è una forza cosmogonica, nel senso
che annulla ogni forma di convenzione e di limite sancito dall'uomo
per ristabilire una condizione di originaria nudità. L'eros è un rapporto
dialettico che stabilisce le proprie regole oltre ogni forma di
identificazione sociale, e la donna è la forza trainante del rapporto in
quanto essa è il potere della creazione, è l'irrompere dell'energia
immensa ed incontrollabile dei fenomeni naturali nelle macrostrutture
create dalla ragione umana.
5
In Spengler il tema della donna viene solo accennato, ma anche nella
laconicità di questo riferimento si riscontra una completa sintonia con
Miller: "l'uomo fa la storia, la donna è la storia". L'identificazione con
la storia e con il divenire mira a garantire alla donna quel significato di
simbolo della vita e quel potere di rigenerazione che Miller aveva
enfatizzato in riferimento al sesso.
6
Le intenzioni di Miller come di Spengler sono chiare: definire l'arte
attraverso i caratteri di spersonalizzazione, anonimità, naturalità
significa ricondurla ad un piano di oggettività e necessità. In questo
modo l'arte viene svincolata dal piano del futile e dell'inessenziale, e
diventa un destino dell'uomo, una emanazione irrinunciabile della sua
anima. Il valore delle forme estetiche si libera in questo modo da ogni
possibile accusa di soggettivismo: l'arte può aspirare ad un ruolo nel
quadro della conoscenza, e l'artista ritrova una funzione all'interno
della società. All'opposto di questa prospettiva sta l'arte
contemporanea come espressione inessenziale, dominio del capriccio
e simbolo del tramonto della civiltà: non è un caso che la polemica nei
confronti dell'arte moderna sia condotta, in Miller come in Spengler,
attraverso l'enfatizzazione del suo carattere "artificiale", "intellettuale",
svincolato da quella necessità che caratterizza le realtà radicate
nell'anima e nel sangue.
Per descrivere un fenomeno necessario, oggettivo, espressione
necessaria di una realtà essenziale, Spengler prende dall'estetica la
categoria del simbolo. Il simbolo è ciò che dà un senso alla storia,
perché cogliere nella storia una successione di simboli significa
comprendere il senso di ciò che accade e scorgere nei fenomeni della
storia delle realtà dotate di un significato, o meglio, con un altro
termine proprio del linguaggio estetico, "espressive".
Questo approccio va sicuramente applicato a Tropico del Cancro,
che si configura perfettamente come romanzo epocale secondo una
lettura spengleriana. Sia Tropico del Cancro che la figura stessa di
Miller come artista sono simboli del proprio tempo e ne riflettono
dubbi, certezze, contraddizioni, speranze. Il romanzo è l'espressione
di un disagio che era diffuso negli anni tra le due guerre mondiali: lo
domina la sensazione di una fine imminente del mondo occidentale, e
una certa violenta impietosità nel condannare quel mondo e dei valori
di cui esso era portatore. Anche il tono risoluto della condanna è
sintomatico di un'epoca che richiedeva soluzioni nette, risolute, anche
brutali: la sensazione generale era che l'umanità dovesse ripartire da
zero, dall'origine, e che non fosse possibile alcuna soluzione di
compromesso che mantenesse in piedi la farsa di una civiltà che era
ormai il cadavere di sé stessa.
7
Il percorso attraverso Tropico del Cancro mette in luce una
dicotomia che è il fondamento della Weltanschauung milleriana e che
riproduce una dialettica tipica del proprio tempo. Se da una parte
troviamo le grandi figure della crisi, le immagini della metropoli, del
cancro, dell'intellettuale cinico e del mondo meccanizzato, dall'altra
riscontriamo come reazione il sorgere dei simboli del riscatto: la Senna
e l'invocazione al flusso del divenire ("Amo tutto ciò che scorre",
scrive Miller), la vitalità del sesso e della donna che ne è simbolo. Il
ritorno alle radici e a valori originari, primordiali, naturali, è la risposta
caratteristica dell'epoca al sentimento di alienazione dell'uomo di fronte
al mondo che la sua tecnologia ha creato.
Questa fondamentale dicotomia la ritroviamo anche in Spengler e
nella sua opera, realtà anch'esse sintomatiche: all'aspetto "negativo"
della critica all'Occidente fa da contraltare la fiducia nel valore della
Vita e del divenire; è una dialettica già riscontrabile ne Il Tramonto
dell'Occidente, e che diventa ancora più evidente nelle opere
successive, in particolare Urfragen. Essere umano e destino, l'opera
"metafisica" di Spengler, dove l'intento dichiarato è quello di cercare
una "continuazione verso il basso" del pensiero storico de Il
Tramonto dell'Occidente, fino a risalire ai principi metastorici del
divenire.
Si può dire che, adottando la metodologia spengleriana, Miller e
Spengler diventano simboli che ci aiutano a capire il loro tempo e il
loro mondo: se il loro confronto viene inteso in questa prospettiva,
allora esso assume un respiro più ampio ed acquista un maggiore
interesse, legittimando l'importanza "epocale" attribuita a Tropico del
Cancro e dando prova "sul campo" della validità delle categorie
spengleriane, che intervengono a due livelli, sul piano della
comprensione dell'opera milleriana e nel delineare la portata simbolica
delle affinità tra i due intellettuali.
8
LEGENDA
HENRY MILLER
9
- NIN Per Letters to Anais Nin.
Edizione consultata Lettere ad Anais Nin, Milano, Longanesi, 1987.
OSWALD SPENGLER
10
I
AFFINITÀ STILISTICHE E AFFINITÀ CONCETTUALI: IL
POTERE EVOCATIVO DELLA PAROLA
11
carattere ipnotico di quei brani spengleriani che decisi
di citarne alcuni nella loro interezza." ( Libri, pp. 20-
1)
I. 1. Prospettive stilistiche
12
Scrive infatti Spengler:
13
dilettantismo, di superficialità, di pessimismo compiaciuto, tutte
puntualmente rivoltegli4.
È una scrittura tagliente, fatta di chiaroscuri, dove lunghe parti
didascaliche preparano lo slancio delle illuminazioni, dell'aforisma che
epifanicamente fa luce sulla verità. Ed è un procedimento che ricorda la
prosa di Henry Miller, con il suo andamento irregolare e discontinuo,
con quell'oscillare caratteristico tra alti e bassi, attraverso bruschi
passaggi da parti fortemente realistiche, crude e violente, a intermezzi
"metafisici". Non vi sono gerarchie: spirito e carne, sacro e osceno,
luce e tenebra convivono, nella convinzione che gli opposti poli
vadano ricondotti ad una originaria unità5. Soprattutto, anche Miller
procede disinvoltamente a grandi bracciate, "bracciate troppo grosse,
a volte" gli scrive Anais Nin (Nin-Miller, p. 169). Nei tratti più
metafisici la narrazione assume un afflato epico. Si veda ad esempio
l'attacco di Tropico del Cancro:
14
racconta grandi storie con un stile barocco, enfatico e fortemente
immaginifico, sostenuto da metafore, iperboli, accumulazioni,
iterazioni6. Non che Miller avesse bisogno de Il Tramonto
dell'Occidente e di Spengler per assimilare questo stile: ne aveva
esempi più illustri e più congeniali nella tradizione americana, nel
trascendentalismo di Thoureau ed Emerson, nella poesia di Whitman,
nei romanzi di Melville, influenze queste, tra l'altro, più volte
riconosciute. Tuttavia, lo stile di Spengler contribuisce non poco nel
render conto dell'interesse di Miller per il filosofo tedesco.
15
della realtà come le forme della parola. Si scorge in loro un identico
"talento fisiognomico"7.
Innanzitutto occorre chiarire concetti come "forma" e "talento
fisiognomico". Quella che Spengler si propone ne Il Tramonto
dell'Occidente è una "morfologia della storia" che "abbracci tutte le
forme e i movimenti del mondo nel loro più profondo, ultimo
significato" (Tramonto, p. 17), morfologia che rappresenta l'ultima
filosofia possibile per l'Occidente. Il corso degli eventi storici è
dominato da otto grandi civiltà, forme con cui una idea di mondo ha
preso corpo ed ha fatto storia, imprimendo il proprio sigillo su ogni
sua manifestazione; il loro destino è segnato dalle stesse leggi che
regolano la vita del macrocosmo naturale:
16
fisiognomico", o morfologico, perché qui si tratta di scoprire l'essenza
di una civiltà tramite il suo "volto", le sue forme:
17
Tutto Il Tramonto dell'Occidente si regge sull'idea che fenomeno e
idea, corpo e spirito siano uniti nell'espressività della forma, "forma
vivente"9, che costituisce un Leitmotiv nell'interpretazione spengleriana
della storia. Ma la forma è anche il problema principale dell'artista, e
questo sotto diversi punti di vista.
9 - In tedesco l'elemento dinamico del concetto di "forma" viene espresso dal termine
"Bildung", parola chiave del pensiero di Goethe e ripresa da Spengler; la "forma" come
categoria statica è invece la "Form".
18
il significato del protagonista autobiografico di Tropico del Cancro: in
una sola immagine, con un solo colpo d'occhio abbiamo la
rappresentazione e lo svolgimento di un problema complesso come la
crisi di valori dell'occidente. Una vicenda apparentemente
insignificante come le vicissitudini di un immigrato americano nella
Parigi degli anni trenta si carica di valore espressivo ed assurge al
ruolo di simbolo del tramonto della civiltà. Spengler mostra di scegliere
questo modo di rappresentazione, questo tipo di approccio "estetico"
alla realtà: tale può dirsi la sua ambizione di una mo rfologia della storia
e la sua scelta di una visione rivolta alle forme. A questo tipo di
conoscenza si dischiudono possibilità precluse al sapere causale e
dimostrativo 10.
Una conferma di questa sensibilità "artistica" ci viene fornita dalla
biografia e dai diari del filosofo tedesco11. Sappiamo infatti che, fin da
bambino, Spengler si cimentava nella composizione di drammi ispirati
alla storia greca e romana; fino ai diciotto anni lavora a due drammi
storici in versi, il Montezuma e il Malstrom, poi progetta una serie di
drammi ispirati ai personaggi della storia prussiana, ed una
autobiografia della quale ci rimangono diversi frammenti, raccolti col
titolo di Eis heauton. Infine lavora ad un romanzo, rimasto allo stato di
abbozzo, che avrebbe dovuto rappresentare la metamorfosi dell'eroe,
dal tipo dell'artista, uomo della crisi, all'uomo del destino e dell'azione,
il guerriero.
In un frammento di Eis heauton troviamo in proposito due passi
interessanti:
19
filosofica specialistica è una assurdità filosofica.
(ibidem, p. 17)
20
Miller, invece, vede nella scrittura di Spengler qualcosa di diverso. Il
corpo dei concetti, infatti, ha tanta importanza quanto i concetti stessi.
Abbiamo già visto quale peso abbia per Miller questo aspetto
"estetico" della scrittura spengleriana, il suo stile immaginifico e
fortemente evocativo, la sua capacità di suggestione. Ma questo si
spiega ora più chiaramente se applichiamo qui il concetto di forma
secondo le indicazioni spengleriane. Spengler ha un approccio
morfologico con la realtà, estetico: delinea una serie di immagini, vede
la realtà stessa come una serie di immagini espressive, di volti. Questi
volti esauriscono tutta la realtà: il reale è tutto nel "volto", cioè nel
fenomeno. Le sue parole non sfuggono a questa dinamica e si
caricano di un valore espressivo: il corpo delle parole non è più
indifferente, non è più un medium tra lettore e concetto, ma è parte
integrante del concetto stesso. Anche le parole hanno un corpo e
un'anima. Lo stile di Spengler è la manifestazione di una idea, il suo
corpo imprescindibile: è insomma uno stile "letterario", volendo
indicare con questo una scrittura che rimanda non solo ad un'idea, ma
anche alla forma con cui l'idea viene espressa.
Detto questo, appare più chiaro il legame con Miller: è proprio il
modo di intendere la parola ad accomunarli. C'è in sostanza un
identico approccio estetico alla realtà, che si rivela nella duplice
accezione del termine forma: forma come "oggetto" della
rappresentazione, e forma come "mezzo" della rappresentazione.
Questo è evidente e naturale in uno scrittore come Miller, meno
evidente e meno naturale in un filosofo come Spengler. Tuttavia, le
vicende biografiche di quest'ultimo ci hanno sostenuto in questa
interpretazione: dai suoi tentativi letterari, al suo amore per l'arte e la
poesia, al suo stile fortemente espressivo ed "ispirato". La forza
icastica del linguaggio spengleriano diventa evidente ed ineludibile
quando è lo stesso Miller ad evidenziarla, richiamando alcune delle
immagini più celebri del Tramonto dell'Occidente, dall'"uomo quale
nomade intellettuale" all'"uomo dell'alba" (Plexus, p. 748).
21
Le "parole" di Spengler centrano poi uno dei temi preferiti da Miller:
il potere evocativo della parola. L'ultimo capitolo di Plexus è
interamente intessuto di lunghe citazioni da Il Tramonto dell'occidente.
È Miller stesso a render conto di questo piacere della rievocazione:
13 - Per l'accento sul valore evocativo della parola e sulla sua forza creatrice, vedi
anche Giuseppe Picca, Introduzione a H. Miller, Milano, Mursia, 1976, p. 121: "La
fede nella potenza creatrice del linguaggio è la causa, al livello psichico, del piacere che
Henry Miller provava nell' essere attore o spettatore di una narrazione, e al livello
stilistico, della singolare predilizione per il coacervo di parole [...], a indicarne il potere
evocativo. [...] Solo pochi uomini, che hanno scoperto l'angelo dentro di sé, sono
capaci di dare nuova vita alle parole.".
22
dalla bestia e perviene ad una coscienza "metafisica". Ed in Miller è
evidente il piacere dell'evocazione, che si rivela nella sua predilizione
per l'accumulo, l'ammasso, la lista, in quel suo amore per l'elenco che
lo porta a volte a sconfinare nel pletorico. La parola assume un valore
cosmogonico: crea un ordine, e richiama alla memoria le formule
magiche ed evocative dell'uomo primitivo, che attraverso l'arte, delle
parole o delle immagini, costruiva un senso al proprio mondo14.
Stile e pensiero sono fusi in unità: il pensatore diventa anche poeta e
Il Tramonto dell'occidente si fa poema del mondo. Poema perché
giunge al cuore dell'uomo, perché riesce a coglierne l'aspetto
metafisico oltre il contingente, perché coglie la realtà come simbolo di
qualcos'altro, perché dona ai fatti del reale un valore espressivo, e
quindi anche un senso. Ogni fatto ha importanza, nulla è trascurabile:
in ogni fenomeno agiscono e si rendono conoscibili le leggi che
regolano la storia e la vita degli uomini.
La scommessa de Il Tramonto dell'Occidente è quella di dare vita e
di rendere espressivo ogni frammento della realtà, di vedere in ogni
cosa una forma vivente che testimoni, nel proprio microcosmo, la
presenza di quelle stesse leggi che regolano il macrocosmo dell'uomo
e della natura. Goethianamente, ogni foglia rappresenta tutto il mondo
vegetale: indagare il microcosmo ci porta a scoprire quelle stesse leggi
che regolano il macrocosmo.
Questo aspetto colpiva ed attraeva Miller, questa corrente vitale che
attraversa tutte le cose, donando loro pari dignità in quanto ugualmente
espressive. Un fregio, la modanatura di un architrave, il particolare di
un capitello, la scelta di una tonalità di colore per un paesaggio, tutto
ciò prende vita, assume un senso, e cessa di essere cosa morta. Si
consuma così, in Miller, una metamorfosi de Il Tramonto
dell'occidente da trattato morfologico-filosofico a poema del mondo,
da "scienza della morte" a canto di vita.
Le parole di Spengler, scrive Miller, lo fanno "ballare" (Plexus, p.
734), perché sono vita, vita del corpo, azione. Possono essere oscure
ed enigmatiche, ma mai inautentiche. Non sono macrostrutture
23
intellettuali, prodotti di un uomo "in grado di comunicare soltanto
attraverso lo sterile intelletto" (ibidem, p. 748). A Miller non sembra
interessare più di tanto la concezione spengleriana del mondo:
24
II
HENRY MILLER LETTORE DE "IL TRAMONTO
DELL'OCCIDENTE": L'ULTIMO CAPITOLO DI "PLEXUS"
1 - "Le mie idee, se venivano da qualcuno, era piuttosto da Spengler, da Elie Faure, da
Joyce, o addirittura da D.H. Lawrence. Sono stato influenzato da loro, come più tardi
da Céline" (Conversazioni, p. 51).
2 - Per la lista dei cento libri, vedi l'appendice I all'edizione americana, H.M., The
books of my life, New York, New Directions, 1952.
3 - Vedi J. Martin, Always Merry and Bright: the life of H.M., Santa Barbara, Capra
Press, 1978, p. 331.
4 - ibidem, p. 286.
5 - Vedi Cap. III, 'Destino e civilizzazione in The World of Lawrence', pp. 70-122.
25
Miller, dal primo, disastroso matrimonio, all'incontro con Mona (da
"monos", "unica"), alias June Mansfield, seconda moglie dello
scrittore. June è la donna che ha trasformato la sua vita: lo ha
mantenuto con lavori equivoci, permettendogli di abbandonare il
lavoro e dedicarsi alla scrittura, lo ha spinto a lasciare l'America e a
recarsi a Parigi, gli ha fatto da musa ispiratrice per i primi romanzi, e
qui, nella trilogia americana, è la protagonista assoluta. I tre romanzi
sono autobiografici, anche se vicende e personaggi sono stati
ampiamente rielaborati. Siamo a New York, alla fine degli anni venti,
nel pieno della grande depressione succeduta alla crisi economica del
1929. Sono gli anni che chiudono definitivamente con le illusioni
dell'inizio del secolo e degli "anni ruggenti", un'epoca di crisi e di
profondi ripensamenti, ripensamenti che, per Miller, si svolgono sulla
traccia delle osservazioni spengleriane. Il Tramonto dell'Occidente
forniva una chiave di lettura per la crisi dell'America e dell'Occidente,
descriveva in modo acuto e persuasivo il disfacimento di un mondo,
l'alienazione delle grandi metropoli e del lavoro meccanizzato, la
frantumazione dei rapporti sociali. In questa descrizione dell'uomo
della "Spatestadt" Miller si ritrovava in pieno, e ha dato testimonianza
di tutta la sua frustrazione ed il suo odio nei confronti del proprio
mondo in opere come L'incubo ad aria condizionata e Tropico del
Capricorno, dove si legge:
26
ritmi della natura, e che condivide con essa una ciclicità fatta di nascita,
crescita e morte: l'immagine è quella di un mondo in continua
germinazione, dove la morte non è la fine della vita ma un fenomeno
della vita, il naturale compimento dell'esistenza di un organismo e
quindi la naturale premessa per la nascita di nuove forme viventi6.
Queste righe continueranno ad ossessionare Miller negli anni a venire.
Le immagini utilizzate nella descrizione di questa esperienza intellettuale
sono all'insegna dell'enfasi e dell'iperbole, con un linguaggio di
barocca esuberanza. Il Tramonto dell'Occidente è una "immensa opera
in cui si svolge il panorama del destino umano", o anche un "poema
del mondo" (Plexus, p. 733)7, "una bomba che non era scoppiata
perché un'altra bomba (la prima guerra mondiale) aveva fatto saltare la
valvola" (ibidem. p. 738).
L'incontro con Spengler assume quasi i tratti di un'esperienza mistica:
27
"poeta", di un pensatore "che frughi nell'anima delle cose". Secondo
l'interpretazione milleriana, le riflessioni di Spengler giungerebbero alla
verità non attraverso procedimenti logici ed analitici ma per intuizione.
Non ci sono elaborazioni intellettuali a mediare il rapporto tra l'uomo e
il mondo; l'essenza della realtà si coglie per illuminazione, per contatto
diretto.
Spengler riuscirebbe quindi a nutrire il proprio pensiero alle fonti
stesse della vita. La sua non è una costruzione intellettuale, o almeno,
non è in questo senso che la intende Miller: "Una morfologia della
storia, per quanto valida, eccitante ispiratrice possa essere, è sempre
una scienza della morte" (Plexus, p. 748). In Spengler ritrova non un
pensatore convincente, ma uno spirito affine, una sintonia di pensiero
che parte da lontano, da una comune ricerca delle fonti della "Vita"
che li riconduce a quell'humus animale e irrazionale che costruisce le
forme dell'arte e del pensiero umano.
Per inciso, notiamo che le metafore utilizzate per descrivere Il
Tramonto dell'Occidente sono sempre riconducibili a due motivi che
apparentemente poco hanno a che fare tra loro, il cibo e la violenza:
l'opera di Spengler è un "osso" che si "rosica", si "mastica", si
"scava", ma è anche una "bomba", una tremenda "forza di
percussione". Questi simboli ricorrono con insistenza in tutta l'opera
milleriana, e li ritroveremo con più insistenza ed efficacia in Tropico
del Cancro . Qui basti dire che entrambe le metafore sono simboli di
vita: l'esplosione è l'irrompere nella realtà di una energia compressa, è
la forza irrazionale e cieca della Vita che irrompe nel mondo e travolge
ogni macrostruttura intellettuale; il cibo è il nutrimento concreto del
corpo, è ciò che alimenta la vita, l'immagine stessa della sua ricchezza
ed il suo simbolo più evidente.
De Il Tramonto dell'Occidente affascina Miller la capacità di dare un
senso vivo alla storia, di mostrare le civiltà come "persone" e quindi
come entità naturali e vitali, nel loro dinamismo che si sviluppa
secondo le leggi della natura. Conoscere una civiltà, così come leggere
un libro, significa allora comprenderne il senso e la "forma" essenziale:
attraverso i fenomeni che una cultura produce, possiamo risalire al
pensiero che ne sta alla base, e che dà fine e significato ai fenomeni
28
stessi. "Tutto ciò che passa non è che un simbolo"8: il verso di Goethe
indica la direzione da prendere, che è quella di un ritorno alle origini,
alla sorgente di senso che genera la storia. Questo significa vedere
nelle vicende umane una successione di simboli, così da trasformare
l'apparentemente fortuito in qualcosa dotato di un significato e di un
destino. Senza la vitalità di questa lettura della storia, le forme della
cultura e della civiltà rimangono forme morte.
Due immagini si congiungono in Miller: il bambino e la sorgente.
Spengler
29
quotidiano e della realtà opprimente" (Plexus, p. 742; da Tramonto, p.
532). È qui che entriamo nel cuore del problema: chiarito che
l'interesse di Miller parte da una preliminare sintonia con i presupposti
del metodo spengleriano, possiamo entrare nel dettaglio dei contenuti.
30
decadenza dei valori del mondo occidente e la vive in tutta la sua
lacerante complessità; in questo viene contrapposto a Tolstoj, il
prototipo del pensatore "sociale", l'intellettuale che riflette sulla base
della distinzione tra conservatorismo e progresso, oscurantismo e
dominio della ragione. Dostoevskij si colloca più in alto; il suo
sguardo è quello dell'aquila, che si libra oltre le prospettive sancite dai
limiti di categorie come "conservatorismo", "riformismo",
"rivoluzione" o "comunismo": queste sono tutte prospettive limitate in
quanto variabili di un'unica realtà, cioè della civiltà delle metropoli, che
sorgevano allora a dominare il territorio, prefigurazione delle società
tecnocratiche del XX secolo. Per Spengler, Tolstoj è solo un maestro
del romanzo occidentale, un tecnico, un buon artigiano, mentre
Dostoevskij è un santo, un apostolo del cristianesimo primitivo, un
mistico che osserva dall'alto di una prospettiva metafisica gli eventi
della storia, e che quindi è in grado di scorgerne quelli che sono i veri,
grandi movimenti. Dostoevskij intuisce che l'alternativa non è tra
riforma agraria o latifondo, tra zarismo e comunismo (il secondo è anzi
l'esito estremo del primo, come un degradarsi di prospettiva, dalla
metafisica ai problemi sociali), ma tra l'Occidente e nuove forme di
civiltà. Tutti i problemi che il pensiero sociale prende in considerazione
sono relativi al mondo occidentale, ed hanno quindi una ragion
d'essere solo per chi resta all'interno di quel panorama concettuale: il
futuro, e il destino dell'umanità, stanno invece in una cultura che sappia
pensare l'avvenire fuori dalle categorie classiche del pensiero
occidentale.
Dostoevskij si colloca simbolicamente all'origine del problema della
decadenza: questa almeno è la collocazione attribuitagli tanto da
Spengler quanto da Miller. Lo scrittore russo è uno dei più ammirati
dal filosofo tedesco e forse il più venerato da Miller. I due sono vicini
anche nei termini del loro apprezzamento: in Dostoevskij ammirano
non tanto, o non solo, lo scrittore, quanto la figura complessiva di
uomo, la sua immagine mistica, profetica. Scrive Spengler:
31
forme letterarie antiche ed ebraiche" (ibidem, p.
938)
32
II. 1. 2. La lettura spengleriana della modernità
33
terra. Un identico movimento di ascesa e declino unisce il moto del
sole alla crescita di un arbusto, allo sviluppo di una foglia:
Spengler mostra qui il suo debito nei confronti di Goethe9, che aveva
dedicato molti studi alla metamorfosi delle piante e ad altri aspetti della
botanica e delle scienze naturali, fino alla formulazione di una teoria dei
colori costruita in aperto contrasto con le regole dell'ottica newtoniana.
Goethe era convinto che un'unica forma fosse alla base degli
organismi vegetali ed animali: la ricerca doveva quindi procedere non
nell'analisi, che distingue e separa, ma nella ricerca di un principio
comune, un "fenomeno primordiale" o "Urphaenomenon" 10, che
sottostasse all'apparente caos dei fenomeni e garantisse loro l'origine
da una comune forma originaria, quasi un'idea platonica, origine della
vita delle forme particolari. Il metodo era quello della morfologia,
dell'indagine sulla forma: un metodo che Spengler adotta ed applica
alla storia.
La storia non sfugge a questo destino: il suo movimento non è un
continuo progresso, ma un perenne e ciclico ripresentarsi di epoche e
fasi analoghe, un "eterno ritorno dell'identico" di sapore nietzscheano.
La storia annovera nel suo percorso millenario otto grandi civiltà:
perché esse siano sorte in quel preciso luogo e in quella frazione
temporale rimane un mistero, o piuttosto un elemento casuale ed
34
imprevedibile di scarsa importanza11. Una volta che esse siano
sbocciate, però, non possono sfuggire al loro destino, alla legge di
sviluppo organico fondata su crescita, maturazione, senescenza e
disfacimento: questo è il flusso della Vita, il senso del divenire. Se la
storia è "un eterno formarsi e disfarsi, un meraviglioso apparire e
scomparire di forme organiche" (Tramonto, p. 41), la morte delle
forme sarà un destino, un percorso naturale, inevitabile ma vitale,
perché sopprime una forma morta e svuotata di senso, e lascia spazio
all'energia eterna della Vita perché prenda una nuova forma.
Questa prospettiva doveva attirare molto Miller: attribuire alle culture
storiche la legge di sviluppo degli organismi significa farne delle realtà
viventi, ed era propria questa "vitalità" ad affascinare lo scrittore
americano. Miller ammirava questa capacità spengleriana di dare vita
alla storia, di fornire un quadro vivo e non storiografico del passato.
Ne Il Tramonto dell'Occidente trovava una connessione tra cultura,
storia e vita, per cui ogni civiltà veniva ancorata a principi vitali come il
sangue, la razza, l'anima dell'uomo. I prodotti della cultura cessavano
allora di essere "ciarpame intellettuale" e diventavano espressione di
istinti vitali. La loro origine non era più l'intelletto e la razionalità, ma
l'inconscio collettivo, una sensibilità pre-razionale sentita dall'uomo in
modo viscerale. Come Miller faceva dei libri degli incontri umani e
delle persone dei "libri viventi" 12, così Spengler trasformava forme
statiche in realtà dinamiche e vitali dotate di significato.
Nel panorama morfologico di Spengler, l'Occidente è l'ultima grande
Forma della storia. Il filosofo tedesco parla di "civiltà faustiana"; ogni
civiltà, infatti, ha una propria Anima, cioè un proprio Destino, un
indirizzo, una forma essenziale. L'anima dell'Occidente è l'anima di
Faust:
11 - "Il gruppo delle civiltà superiori non costituisce una unità organica. Che esse siano in
quel numero, che siano nate in quei luoghi e in quei tempi, ciò per il sapere umano è un
caso, privo di un senso più riposto." (Tramonto, p. 703).
12 - "Considero i miei incontri con i libri alla stessa stregua degli incontri con altri
fenomeni della vita e del pensiero.[...] i libri sono parte della vita quanto gli alberi, le
stelle o il letame." (Libri, p. 4).
35
faustiana, il cui simbolo primordiale è la civiltà
occidentale, nata insieme allo stile romanico del
decimo secolo nelle pianure nordiche fra l'Elba e il
Tago." (Tramonto, pp. 277-8)
13- Nel Faust di Goethe, la traduzione della parola "logos", nell'incipit del vangelo di
Giovanni ("In principio era il logos"), con "azione" sancisce il destino di Faust.
36
dell'esistenza. Con il tradimento della propria anima, la civiltà faustiana
testimonia l'incombere della decadenza. L'Occidente cessa di essere
una realtà vitale. I suoi sforzi ora sono puntati alla perpetuazione di
forme anonime e prive di vita: al dinamismo subentra la staticità, che
per l'Occidente significa avviarsi verso il proprio destino di morte14.
Due sono le categorie spengleriane che spiegano il divenire della
storia: "Kultur" e "Zivilisation", generalmente tradotte come "civiltà" e
"civilizzazione". Ne Il Tramonto dell'Occidente si legge:
37
si ferma a riflettere, che prende coscienza:
38
Su questo giudizio Miller concorda: attraverso la lettura storica di
Spengler egli può fare luce sulle dinamiche che attraversano la civiltà in
un'epoca di decadenza, ed inserirle in una immagine complessiva che
soddisfi la propria vena mistica ed epocale: un millennio di civiltà
repressiva che ha inaridito le fonti dello spirito, e la prospettiva di
un'imminente apocalisse che costituisca il segnale per l'avvento
dell"Era dello Spirito Santo"16.
39
"Ducunt fata volentem, nolentem trahunt" è il motto con cui si chiude
Il Tramonto dell'Occidente (Tramonto, p. 1398).
Questa è la lettura spengleriana, e da qui parte Miller. Dopo il
richiamo a Dostoevskij, compare subito il termine "decadenza":
40
squassato da una guerra mai così sanguinosa. Gli Stati Uniti avevano
partecipato al primo conflitto mondiale da estranei, ed alla conferenza
di pace di Versailles si erano presentati come portatori dei valori
positivi del nuovo mondo. L'America si preparava a sostituire, con le
sue fresche energie, la civiltà millenaria del vecchio continente.
L'Europa appariva un campo di battaglia dove le forze responsabili
dell'esplosione del conflitto avevano portato alla luce tendenze
autodistruttive latenti da tempo, e che costituivano il segnale di una
crisi imminente.
La società americana si sentiva estranea a questo processo, come se
il monito di Spengler non la riguardasse; si rifiutava di prendere
coscienza del fatto che quell'Occidente, del quale intravedeva
chiaramente la crisi, la comprendeva. Si era pronti a scorgere i sintomi
del tramonto dell'Europa, ma non lo si era altrettanto nello scorgere
quegli stessi sintomi nel malessere dell'America dei primi decenni del
Novecento. Ecco cosa fa dire Miller ad uno dei suoi personaggi, un
ebreo russo, in Plexus:
41
Se Spengler aveva individuato le leggi immutabili della storia, ed aveva
in questo modo indicato la presenza di un destino ineluttabile della
civiltà, l'America ne scaricava sull'Europa il peso. Gli Stati Uniti erano
un paese che non sentiva su di sé il passato e che per questo si
autorizzava ad una totale indisciplina. Tutto ciò che mostrava la
presenza di leggi necessarie, di un ordine e di un destino, veniva
sacrificato sull'altare della libertà d'azione: tutto ciò che aveva odore di
storia, e che quindi suonava come qualcosa di dato, di necessario, era
bollato come "covata preistorica" (ibidem, p. 737).
Miller la pensava in modo diametralmente opposto:
42
"Avremmo potuto fare un mondo meraviglioso di
questo nuovo continente se avessimo davvero
tagliato i ponti coi nostri simili in Europa, Asia e
Africa. Avrebbe potuto diventare un nuovo, indomito
mondo se avessimo avuto il coraggio di volgere le
spalle a quello vecchio [...] Non si fa un mondo
nuovo cercando solo di dimenticare il vecchio. Un
mondo nuovo lo si fa con uno spirito nuovo, con
nuovi valori. Può darsi che il nostro mondo sia nato
così, ma oggi è una caricatura." (Incubo, pp. 14-5)
43
Per Miller e Spengler la "macchina" riassume in sé tutta la tragedia del
tramonto della civiltà. Essa non è strumento, cioè produzione
secondaria della tecnica, ma è simbolo della tecnica stessa, è ciò che
"produce" la civiltà tecnologica e non ciò che ne è "prodotto"; il
procedimento che la informa sta all'origine e non alla fine del pensiero
della tecnica, pensiero che è al centro del dibattito filosofico negli anni
venti-trenta grazie ai contributi di Heidegger, Junger, Husserl, per citare
i nomi più noti.
Partiamo da Spengler. La riflessione sulla macchina è alla fine de Il
Tramonto dell'Occidente, perché la macchina è il simbolo della tecnica
e la tecnica è l'esito estremo della civiltà faustiana. Il discorso parte da
lontano:
44
L'atteggiamento dell'uomo nei confronti della natura è ancora quello
del rispetto: le leggi che regolano il cosmo sono dettate dalla natura, e
ad esse si rifà l'uomo nella sua brama di creare. La creazione segue
sempre i dettami delle leggi del macrocosmo, e l'uomo ambisce ad
essere dio non imponendo proprie leggi alla natura, ma sottraendole il
segreto delle sue creazioni. Il potere cosmogonico del microcosmo
umano si riconosce nel legame col macrocosmo.
Con la tecnica della civiltà faustiana avviene il passo decisivo:
45
La macchina è il simbolo di questa tecnica. Essa è un "piccolo
cosmos obbediente esclusivamente alla volontà dell'uomo" (ibidem, p.
1390). La natura da "coadiutrice" diventa "schiava": la sua energia
viene incanalata e calcolata in termini di "cavalli-vapore", "massa",
"forza meccanica", unità di misura umane. L'Occidente impone le
tracce della sua volontà sul mondo come mai prima nella storia:
"questa tecnica lascerà le sue tracce anche quando tutto sarà
dimenticato e sepolto" (ibidem, p. 1391).
Ma la macchina non è solo un prodotto dell'uomo: la macchina
lavora, ma costringe anche l'uomo a lavorare insieme a lei. Qui
comincia a prender risalto un aspetto decisivo nel destino della tecnica:
la perdita di controllo, da parte dell'uomo, del mondo che con la
macchina va creando. La civiltà faustiana crea la macchina come
simbolo della propria anima, ma questa stessa macchina, che potenzia
le forze dell'uomo e lo porta a dominare il cosmo, esige un tributo:
l'uomo ora non può più sottrarsi al lavoro della macchina, deve
lavorare con essa, cosicché "tutta la civiltà è giunta ad un tale grado di
attivismo, che sotto di esso la terra trema" (ibidem, p. 1391).
Due immagini si sovrappongono. La prima è quella di una tecnica che
crea
Qui c'è tutto il fascino della macchina che dona il dominio, la potenza
dell'acciaio e del cemento e l'inesorabilità e la freddezza della loro
azione. Ma la macchina mostra anche il tradimento dell'anima
dell'Occidente: la macchina agisce per conto dell'uomo, gli si
sostituisce, e l'uomo faustiano tradisce la propria vocazione all'azione,
depone ai suoi piedi la propria capacità creatrice, avviando così il
proprio tramonto. L'Occidente sorge come civiltà dell'azione, come
sfida dell'uomo alla natura, e se la tecnica è il simbolo supremo di
questa lotta, la macchina ne mostra il compimento: l'uomo diventa
passivo e si sottomette proprio a quella macchina che era il simbolo
della sua inaudita potenza sulla natura:
46
"L'uomo faustiano è divenuto schiavo della sua
creazione. Nelle sue mosse così come nelle sue
abitudini di vita egli sarà spinto dalla macchina in una
direzione sulla quale non vi sarà più né sosta, né
possibilità di tornare indietro. [...] Questo mondo
costringe sia l'imprenditore che l'operaio industriale
ad obbedirgli. Entrambi sono gli schiavi, non i
signori della macchina che ora comincia a manifestare
il suo occulto potere demonico." (ibidem. p. 1393)
47
sopravvivere, chiede quest'atmosfera di continuità"
(Come il Colibrì, cit., p. 58)
48
ascetiche, mistiche, esoteriche... L'uomo ha sentito la
macchina come diabolica, e a ragione. Essa significa
agli occhi di un credente la deposizione di Dio. Essa
consegna nelle mani dell'uomo la sacra Causalità e
viene messa in movimento da lui, silenziosa e
irresistibile, con una specie di onniscienza presciente."
(Plexus, p. 743; da Tramonto, p. 1391)
49
"Com'è che in America le grandi opere d'arte sono
tutti prodotti di natura ? C'erano i grattacieli, sicuro, e
le dighe e i ponti e le autostrade di cemento. Tutta
roba utile. Da nessuna parte, in America, c'era
qualcosa di paragonabile alle cattedrali europee, ai
templi d'Asia e d'Egitto: monumenti duraturi creati
dalla fede e dall'amore e dalla passione." (Incubo, p.
229)
50
l'energia stessa della creazione, la forza pura e primitiva della natura.
Parlando di Viaggio al termine della notte, Miller scrive:
51
altrove questa vitalità primordiale, e la troverà, come Lawrence prima di
lui, nel valore della sessualità, energia che spezza i limiti sanciti
artificialmente dalla ragione e di fronte alla quale l'uomo ritrova la
primitiva nudità, simbolo di un ritrovato contatto con il ritmo del
macrocosmo.
II. 3. La metropoli
18 - "È un fatto essenziale, ma raramente valutato nella sua reale portata, che tutte le
grandi civiltà sono state civiltà cittadine.[...] Le nazioni, gli Stati, la politica e la religione,
tutte le arti, tutte le scienze si basano su quest'unico fenomeno elementare dell'esistenza
umana, costituito dalla città." (ibidem, p. 777).
19 - Per questa introduzione storica che definisce i termini del discorso sull'essenza della
metropoli, vedi Tramonto, pp. 775-776. Per il discorso complessivo sulla metropoli
vedi il capitolo 'L'anima della cittá', pp. 771-810.
52
determinata terra, e che su questo senso di reciproca appartenenza
fonda le proprie forme di organizzazione sociale, politica, culturale. La
città insomma non è un prodotto artificiale ma nasce dal legame
profondo prima tra l'uomo e il mondo, e poi tra gli
53
Le antichissime radici dell'essere si disseccano fra le
masse di pietra delle città." (ibidem, p. 781)
54
paesaggio naturale. Il sorgere delle grandi metropoli del passato come
Roma, Babilonia, Alessandria, ha sempre rappresentato la spia di un
processo corruttivo in atto; il segno, qui, è senza dubbio negativo.
La posizione di Miller è più ambigua e nel corso del tempo assume
sfumature diverse ed a tratti opposte. Inizialmente, l'immagine della
metropoli moderna è quella di Parigi. Essa è una figura dominante di
Tropico del Cancro, ma la sua connotazione non la si può dire
completamente negativa. A tratti assume contorni nettamente
spengleriani nell'assimilazione a Roma e Ninive, grandi città della
corruzione: la metropoli diventa allora il cancro della civiltà, "l'acquaio
putrido" dove si concentra una vita che affonda il proprio vigore nella
lussuria e nella corruzione. Ma Parigi è anche la città delle opportunità,
capitale della cultura, città degli artisti, dei café e della vita bohemien,
fulcro dell'esperienza delle avanguardie dell'inizio del secolo e,
nell'immaginario collettivo americano, il simbolo stesso dell'Europa.
Europa significa storia, arte, cultura: Parigi ne è l'emblema, e questo la
salva. Parigi è una metropoli moderna, certo, ma è anche il risultato di
secoli di storia: la Vita continua a fluirvi senza soluzione di continuità.
Nella sua corruzione si intravede una forza positiva che riscatta dal
"cancro":
55
Dopo Tropico del Cancro il giudizio su Parigi, come sull'Europa,
perderà la sua ambivalenza e assumerà contorni ancora più netti:
l'identità Europa-Spirito(Arte)-Vita verrà sancita definitivamente.
Quando l'immagine della metropoli cessa di essere Parigi e diventa
New York, o più in generale la cosmopoli americana, il discorso perde
ogni ambiguità. Nella condanna all'America viene coinvolta in pieno
anche quella forma che ne è l'espressione più significativa. La
metropoli americana è fredda, impersonale, anonima: la sua
descrizione procede per negazioni, a partire da quella negazione
originaria che è la negazione della Vita. La metropoli è la forma del
tradimento dell'anima umana; essa crea attorno a sé un
paesaggio desolante:
56
Una somma di attributi che non costruisce una totalità, un insieme di
elementi che non fanno un tutto perché mancano della forza coesiva
insita in quella sintesi originaria che è ogni creazione naturale, dove tutti
i fattori si coagulano attorno ad un fine comune, generando una totalità
organica volta all'espressione di un insopprimibile istinto vitale. Il
carattere disorganico è l'essenza della città americana, forma moderna
della comunità umana.
Ma non è solo l'immagine della città a testimoniare il tramonto. Una
città decadente produce cittadini devitalizzati, una metropoli fredda e
impersonale genererà uomini anonimi:
57
cominciano a crescere da ogni parte con una massa
informe costituita da case-alveari e da costruzioni
utilitarie. [...] Chi dall'alto di una torre contempla
questo mare di case [...] vi riconosce esattamente
l'epoca in cui la fase di una crescenza organica è
terminata e in cui comincia un ammucchiamento
inorganico e quindi illimitato. [...] Ed ora sorgono
anche forme artificiali, matematiche [...], sorgono le
città degli architetti urbani che in tutte le
civilizzazioni tendono verso una stessa struttura a
scacchiera, simbolo di perdita di anima." (ibidem, p.
794)
Se l'immagine della città non esprime più nulla, questo significa che
essa ha cessato di essere una realtà vitale. Ad essa Miller contrappone
Parigi, simbolo ormai privo di ambiguità. Quartieri, case, palazzi
custodiscono un significato e una fisionomia riconoscibile, così
come i nomi delle vie e dei boulevards mantengono il fascino del loro
potere evocativo: sono i movimenti e le metamorfosi di un organismo
che vive ad incidere i tratti del volto di una città. Parigi è un corpo vivo
che
58
carta geografica stracciata e multicolore d'Europa."
(ibidem, p. 825)
59
fondamentale. Ogni cosa nasce, si sviluppa e poi muore: questo è il
destino unico di tutti i viventi, valido per l'uomo come per le civiltà.
Quando Spengler parla di un "tramonto dell'Occidente" non fa che
descrivere il tragitto che ogni civiltà è destinata a compiere, e che, la
storia lo testimonia, ogni civiltà ha seguito. Roma, Babilonia, Atene,
Alessandria, Pechino: tutte le grandi culle della civiltà sono cadute.
Esse non sono che forme nelle quali l'energia della Vita si è incanalata:
quando, per naturale senescenza, esse si rivelano inadatte alle esigenze
della Vita, o quando hanno portato a compimento il loro destino, esse
deperiscono e poi muoiono, seguendo il questo il destino di ogni
forma vivente.
Il "pessimismo" di Spengler pone l'accento su un aspetto della verità
che molti ignorano, o cercano di ignorare. Spengler ha cercato di
spiegarlo in quel 'Pessimismus?' che voleva essere la risposta alle
accuse che gli venivano rivolte ed al contempo la chiarificazione di
alcuni concetti cruciali travisati dalle letture "negative" e nichiliste de Il
Tramonto dell'Occidente. Spengler teneva a sottolineare che l'intendere
l'era moderna come fase finale della civiltà non significava negare
all'uomo la possibilità dell'azione. Il grande successo popolare della
sua opera e la carica suggestiva delle sue immagini aveva contribuito
ad ingabbiarne il significato in facili schematismi, cosicché il
"tramonto" del titolo era diventato la condanna a morte di una intera
civiltà e, con una sovrapposizione che Spengler non avrebbe mai
accettato, del mondo intero. Il fraintendimento sta tutto nel senso
spengleriano della parola. Il "tramonto" è innanzitutto il tramonto del
sole, la fine del suo moto e al contempo la premessa di una nuova
alba. Il tramonto non è la fine di tutto, ma solo il "compimento"
goethiano di una realtà che, svuotata di significato, è destinata a cedere
il passo. Scrive Spengler:
60
Questo ci porta ad alcune considerazioni. Innanzitutto, il tramonto è
una figura relativa all'Occidente. Ogni civiltà segue la legge di natura
dello sviluppo organico, ma è anche vero che ogni civiltà nasce da
un'esigenza spirituale diversa, da un diverso compito che la vita si è
posta: ogni cultura ha un proprio destino, una propria anima. Ecco
allora l'anima di Faust, che spiega l'Occidente secondo la categoria
dell'azione, dell'impulso verso l'infinito. Ecco allora l'anima apollinea,
essenza della civiltà classica, fondata sul senso della presenza e della
concretezza, sull'armonia statica e sull'equilibrio. Ogni civiltà ha quindi
una sua direzione, un suo scopo, mostrato da quel "simbolo primo"21
che è l'anima di una civiltà. Il declino di cui parla Il Tramonto
dell'Occidente è il declino della civiltà faustiana, che giunge al suo
estremo compimento realizzandosi come società tecnocratica. Ciò che
è più importante è che a questo "destino di morte" Spengler non ha
mai accennato come a qualcosa di puramente negativo. Anzi la morte,
nella visione spengleriana, essendo fenomeno della natura non va
soggetta ad un giudizio negativo né può dare adito a interpretazioni
pessimistiche. La morte è una realtà naturale, e la natura non la si
giudica, si può solo prenderne atto. Alla base della filosofia della storia
spengleriana c'è l'idea del "divenire", cioè di un eterno flusso della
corrente della Vita, una corrente di energia che attraversa la storia e le
sue forme senza che questo movimento abbia mai fine, un'immagine
eraclitea di incessante dinamismo che salva da qualsiasi interpretazione
unilateralmente negativa della figura del tramonto. Le forme sono
mortali, la Vita (il divenire) è immortale, e le trascende.
Su questo tema della Vita Miller si incontra pienamente con Spengler.
La loro sintonia non si fonda solo sul legame apparentemente più
ovvio, vale a dire l'interpretazione della modernità come decadenza,
che è certamente un aspetto importante, decisivo, ma è solo uno dei
fattori che sostengono il legame tra i due: l'altro, imprescindibile e
inseparabile da quello, è l'idea di un flusso eterno della Vita. Anche
Tropico del Cancro è stato oggetto di critiche di "pessimismo": vi si
vedeva una indebita forzatura dei contorni della realtà, ed una lettura
21 - "La scelta del simbolo primo, che per chiunque sappia considerare la storia
mondiale in tal guisa ha qualcosa di emozionante, nel momento in cui l'anima di una
civiltà si desta ad autocoscienza nel suo paesaggio, è ciò che tutto decide." (Tramonto,
p. 276)
61
ingiustamente unilaterale e negativa del presente. Ma anche qui, al tema
della decadenza dell'Occidente andava affiancato quel presupposto
fondamentale che è la fede nel flusso della Vita. Questo è l'elemento di
positività che salva, almeno nelle intenzioni e pur con indubbie
ingenuità, l'opera di Miller da interpretazioni restrittive e puramente
negative.
Seguiamo in Plexus il percorso di citazioni spengleriane tracciato
da Miller:
62
"La vita è la prima e l'ultima cosa, il flusso cosmico in
forma microcosmica. È il fatto essenziale del mondo
in quanto storia...Nella storia è questione della vita e
sempre e soltanto della vita, della razza, del trionfo
della volontà di potenza, e non della vittoria di verità,
di invenzioni o di danaro. [...] E così il dramma di
un'alta cultura, questo meravigliosissimo mondo di
deità, pensieri, battaglie, città, si chiude ancora una
volta nei fatti primitivi del sangue eterno, che è uno e
identico col flusso cosmico in eterna rotazione"
(ibidem, pp. 743-4; da Tramonto, p. 1397)
63
Qui si capisce bene come l'idea della Vita sia, per Miller e Spengler, il
valore che salva dalla decadenza, e da una lettura unilaterale del
problema del tramonto dell'Occidente. Se esiste un valore alle radici
della storia, e questo valore é la Vita, esso non cessa mai di
rappresentare un elemento salvifico. Il flusso vitale non è solo
l'immagine che spiega il disagio del presente, ma è anche la proposta
di un fondamento al quale far riferimento: la Vita è una garanzia, la
garanzia che, oltre il mutare ed il disfarsi delle forme, permane l'attività
plasmatrice. In questo modo, la morte diventa un "controsimbolo", un
simbolo di quella Vita della quale dovrebbe essere la negazione: la
morte diventa un fenomeno naturale e "necessario". Questa idea della
morte, tratteggiata da Spengler, viene ripresa integralmente da Miller,
che ne L'incubo ad aria condizionata scrive:
64
come creatore di una religione, ma come un simbolo della forza della
Vita.
Miller mostra di riconoscere, in Plexus, la complessità della
costruzione spengleriana, e di coglierne appieno la portata:
65
Capricorno è quello della vita nella morte" (Conversazioni, pp. 131-2).
Nel Cancro prevale l'aspetto negativo, la fine del percorso, anche se
rimane la forza positiva della vita che deve scegliere una nuova
direzione; nel Capricorno emerge l'idea della rinascita nella morte, e
siamo quindi già oltre la morte, all'inizio di una nuova forma di vita.
La morte di una civiltà è l'epilogo della fase di civilizzazione: ma il
fatto che la modernità venga inclusa in questa categoria non significa
che l'uomo sia condannato ad una parte passiva. Per Miller come per
Spengler, constatare il proprio destino (il destino di "uomo della
civilizzazione") significa comprendere i termini e il fine della propria
azione. In Tropico del Cancro leggiamo:
66
il compito di riavviare il ciclo delle civiltà; in Miller, al contrario, ha il
destino di spezzarlo e di concludere la storia 23. Superamento della
storia significa anche superamento di ogni distinzione classista o
ideologica. Scrive Miller:
23 - Negli appunti relativi a Tropico del Cancro, risalenti al 1932-33, Miller scrive:
"Nuovo tipo di uomo. Uccide la storia, la cultura, lo sviluppo ciclico. Personalità
creativa" ("New type of man. Kill history, culture, cyclical development. creative
personality." in Moore Thomas (edited by), Henry Miller on Writing, N.Y., New
Directions, 1984, p. 163).
67
Per Miller la civiltà occidentale diventa l'impedimento al superamento
della storia ed alla concretizzazione del senso autentico della civiltà,
che egli vede come metastorica e come "comunità", termine che evoca
"un'idea di onnicomprensione" (ibidem, p. 142) e che mira a stabilire
una definizione dell'individuo oltre le forme storiche di identificazione,
con un procedimento che è esattamente all'opposto di quello
spengleriano. Se la fiducia nel futuro riposa, in Spengler, nella certezza
del perpetuarsi del ciclo storico delle culture, in Miller questa stessa
fiducia si fonda, all'opposto, sulla certezza che l'avvenire comporterà
la fine del ciclo delle civiltà, viste come elemento di distorsione
dell'autentica natura dell'uomo e della sua esistenza.
L'atteggiamento di Miller non è sempre coerente, e il giudizio su Il
Tramonto dell'Occidente mostra a volte delle oscillazioni24. Se
prendiamo in esame alcuni brevi richiami a Spengler, sparsi in lettere e
saggi, vediamo come l'immagine che se ne ricava è quella di un
filosofo della fine, di un pensatore della decadenza. E in Come il
Colibrì, quando parlerà dell'Europa, mirerà a smentire le profezie di
Spengler, e a dimostrare che l'Europa è sopravvissuta ai suoi
presagi infausti:
68
duemila anni, Pericle e Nostradamus, Teodorico e
Voltaire, Ovidio ed Erasmo, Archimede e Gauss
[...]. Tutta questa luce scagliata contro le tenebre e
da esse di nuovo risplendente [...], tutta quella grande
corrente comune, con le sue catene, i suoi stadi e i
suoi fastigi, a comporre un solo spirito. Questa era
l'Europa" (ibidem, pp. 56-7)
69
III
DESTINO E CIVILIZZAZIONE IN "THE WORLD OF
LAWRENCE"
1 - Curiosamente, quello che doveva essere il suo primo libro pubblicato fu invece
l'ultimo, Miller vivente. Lo scrittore morì il giorno stesso in cui le prime copie gli
venivano spedite dalla legatoria.
70
pagine. Il lavoro proseguì per qualche mese, finché nell'ottobre del
'33, non riuscendo più a venirne a capo, decise di rinunciare. Riprese
più volte in mano il manoscritto, negli anni successivi, ma senza mai
riuscire a concluderlo o a dargli una sistemazione definitiva. Rimase
allo stato di abbozzo, con le sue ripetizioni e le sue contraddizioni, e fu
in questa forma che venne pubblicato nel 1980.
Miller si era impegnato per la plaquette senza alcun entusiasmo.
Riferendo l'esito dell'incontro con Kahane, scriveva:
71
Joyce è il simbolo dell'arte moderna senz'anima, intellettualizzata:
l'Ulisse descrive la parabola dell'uomo contemporaneo che, perso il
contatto con le proprie radici vitali e con le fonti della creatività, si
aggira in un mondo inanimato, schiacciato da una "malattia dello
spirito" per la quale non ha altro rimedio che le armi spuntate del
proprio intelletto. Con Joyce "entriamo nel mondo inorganico, nel
regno dei minerali, dei fossili, delle rovine", in una realtà dove l'arte
diventa il surrogato della vita, l'unica via di fuga, il baluardo eretto
dall'uomo per risparmiarsi il dolore di vivere"4 : l'arte insomma diventa
tecnica, "letteratura", e con questo la vita non è più in gioco.
Se questa è il senso della lettura milleriana di Joyce, è evidente che il
suo accostamento a Lawrence tradisce un approccio decisamente
critico nei confronti dello scrittore inglese. Ma questa impostazione
subirà un radicale rovesciamento nel corso della stesura del
manoscritto: i passaggi possono essere stati graduali, ma c'è un
avvenimento che viene richiamato da Miller come decisivo in questa
revisione, ed è la lettura di un breve saggio di Lawrence dal titolo 'La
corona', contenuto nella raccolta Morte di un porcospino 5. Miller vi si
imbatte nel maggio del '33, e, con la sua caratteristica propensione
all'enfasi, ne parla subito come di una rivelazione mistica. Notiamo
che, nel riferirne ad Anais Nin, egli fa un accenno, breve ma decisivo,
a Spengler:
72
Spengler...è la vera concezione di un artista del
processo della vita." (Nin, pp. 170-1)
73
esprimono il carattere effimero delle civiltà umane, riflettono
l'inesorabilità del processo di corruzione delle cose, che conduce
irrevocabilmente alla morte. È il lato oscuro dell'esistenza, quel potere
della distruzione che richiama costantemente alla memoria l'inesorabile
carattere corruttibile e transitorio di ogni realtà terrena. Lawrence è
dall'altra parte della vita, ne rappresenta l'aspetto solare; è il valore
assoluto e insopprimibile della vita nel suo eterno rigenerarsi, la stabilità
del principio del farsi e disfarsi delle forme. La sua opera è una
continua sfida al nichilismo, per affermare che è ancora possibile, nel
mondo moderno, un'arte creativa, attiva formatrice di simboli.
In questa immagine positiva del processo della vita traspaiono, a
parere di Miller, alcuni tratti marcatamente spengleriani. L'ombra de Il
Tramonto dell'Occidente si proietta così tra i due scrittori e ci
costringe a fare i conti con un complesso intreccio a tre. Spengler
funge da medium, per Miller, nel suo avvicinarsi a Lawrence. Per noi,
invece, è Lawrence l'elemento di mediazione che ci consente il
passaggio da Miller al filosofo tedesco.
C'è una profonda sintonia che farebbe di 'La corona' un precursore
de Il Tramonto dell'Occidente. Scrive Miller:
6 - "It is marvellous, moreover, how intimately Lawrence's ideas coincide with the
highest flights of Jung and Spengler. He arrived at his ideas independently and
coincidentally with them, 'The Crown' (germ of all) written in 1915 [...]. And Lawrence
remains above them, an antecedent to them both, as the artist always does, proving my
costant assertion that the true artist does not owe anything to the psychoanalysts, nor
the scientist. It is they who are indebted to the artist. They pillage him, erecting dead
schemes out of his living vision of things".
74
L'artista Lawrence sente intuitivamente, istintivamente, ciò che il
filosofo Spengler sistematizzerà poi, sottraendo in questo modo
all'intuizione una parte della sua vitalità. È probabile che Spengler
avrebbe rifiutato una definizione della propria filosofia come
"costruzione di schemi morti", e sicuramente non avrebbe accettato la
sua contrapposizione ad un pensiero intuitivo, perché proprio alla
capacità intuitiva, rabdomantica della riflessione attribuiva in buona
parte la forza e la verità del proprio pensiero. La distinzione d'altra
parte ha valore incidentale, e non trova riscontri in altri luoghi
dell'opera milleriana. Prendiamola per ciò che significa in questo
contesto: un accostamento tra due intellettuali per certi aspetti distanti,
eppure uniti da una comune visione complessiva, da una "questioning
faculty" (ibidem, p. 17) che li porta a concentrare la riflessione sugli
enigmi fondamentali della realtà, ed in particolare su quel mistero
originario che è il processo della vita.
75
due onde contrapposte e nella schiuma che esso
produce. E lo scontro e la schiuma sono la Corona,
l'Assoluto." (La Corona, p. 19)
76
L'identificazione separazione-morte è un fondamento della filosofia
della storia di Spengler. L'esistenza delle civiltà obbedisce alle leggi
degli organismi: l'esistenza stessa è un organismo, una sintesi di
processi paralleli e concomitanti, che insieme forniscono una immagine
unitaria. È la visione imposta dalle forme di conoscenza scientifica a
spezzare questa organicità, attraverso, appunto, la separazione. In
Spengler essa compare prevalentemente come "analisi": la scienza
moderna non ha capacità di visione sintetica (come quella che fonda Il
Tramonto dell'Occidente) ed impone la legge dell'analisi, cioè la legge
della separazione degli elementi7. Ma, come scrive Lawrence, "l'analisi
presuppone un cadavere" (ibidem, p. 52); allora, ciò che si offre alla
vista nell'immagine della scienza è solo il simulacro di una forma vitale.
La dissezione causa anche la perdita del senso dell'organicità delle
forme vive: nella scienza la vita non entra più in gioco, e solo su
questo "cadavere" di realtà si possono far valere i dogmi di causa-
effetto. L'esistenza è un tutto, una totalità complessa, e quando
l'individuo ripiega su di sé, perché non trova più un rapporto organico
col mondo, allora anche quella totalità residua che è l'uomo si spezza,
si decompone sotto lo sguardo analitico dell'intelletto e dell'autoanalisi.
Il sapere scientifico reifica il processo vitale, lo vuole stabile, definito,
racchiudibile nelle proprie definizioni e nella sicurezza del principio
causale; così facendo, però, modifica l'oggetto stesso, occultandone
l'essenza profonda. Cambia la qualità stessa del fenomeno e della
nostra capacità di esperirlo. È quello che Spengler vuole sottolineare
quando scrive:
77
dell'osservatore, divenuto oggetto, morto,
anorganico, fissato - ecco ciò che è ora la natura:
qualcosa, che si può esaurire matematicamente."
(Tramonto, p. 583)
78
la ninfea (ibidem, p. 48); dall'altro troviamo "gli angeli d'oro del
Bacio", testimoni di una realtà dove gli uomini "sono come tizzoni
spontaneamente sprigionanti la fiamma": sono la tigre, "fiamma
maculata che domina nella tenebra", la colomba, la fenice simbolo
della rigenerazione con il suo sorgere dalle ceneri (ibidem, pp. 47-8),
sono i simboli di una prospettiva dove l'esistenza è la schiuma dello
scontro tra onde opposte, e la vita è il flusso eterno del divenire.
L'uso insistito di metafore organiche è un elemento che riunisce
Lawrence, Miller e Spengler. Si noti l'affinità tra questi tre brani. Il
primo è di Lawrence:
79
meglio, Miller prosegue sulla strada tracciata da quelli che considera
suoi precursori.
Nel saggio su Lawrence, Miller ci dimostra che è nello scrittore
inglese e in Spengler che vanno ricercati i presupposti del suo universo
concettuale. L'opera è significativa come esempio unico di riflessioni
"a caldo" su Spengler. Infatti, se in Plexus, che risale ai primi anni '50,
c'era solo la rievocazione di quell'incontro intellettuale, qui invece
vediamo Il Tramonto dell'Occidente dispiegare tutta la propria
suggestione. È un banco di prova per la filosofia spengleriana, che qui
mette in gioco tutta la sua capacità di lettura dei fenomeni del mondo
contemporaneo, e la validità della propria immagine del divenire
storico.
80
impedisce di riattingere. Nell'oscurità dei Cantos, nell'esasperata
frammentazione della loro forma poetica, nell'eterogenea e fitta
presenza di riferimenti culturali spesso esoterici, Miller vedeva la lotta
tragica dell'uomo moderno per la riconquista dell'anima. Egli "parla
dello spirito fecondatore, ma è incapace di allungarci sopra le mani"
(Lawrence, p. 85)8 . Il giudizio di Miller è netto:
religione:
8- "talking about the fecundating spirit, but unable to lay hands on it".
9 - "In the case of Pound, for example, we have an artist who is strangled by the
umbilical cord. He is born perfect - that is, dead! No problems, no conflicts, except
technical ones.[...] His poems reveal the spade work of the cultured individual buried
alive under the crust of civilization.[...] An interesting phenomenon in itself, but of no
value, not contributive to life.".
81
di ogni civilizzazione è l'irreligione." (ibidem, pp.
85-6; da Tramonto, p. 538)
82
della realtà10. In questo modo si costruisce l'illusione di un
microcosmo che detta le proprie leggi alla natura ed alla storia: in
realtà, così facendo l'uomo si condanna alla sterilità. Di qui l'insistenza
sulle immagini che richiamano la fertilità della natura ("fecondità
spirituale") e, all'opposto, la fase critica della fine del periodo fertile
("climaterio", termine preso dalla biologia, e che significa l'involuzione
delle ghiandole sessuali, e quindi il termine delle possibilità riproduttive
dell'organismo). Ciò cui si dà forma si rivela privo di quella spontaneità
inconsapevole che è testimonianza della presenza di un'anima e di un
senso religioso dell'esistenza. La creazione scaturisce quasi
indipendentemente dalla volontà del singolo, sorge dai precordi della
civiltà, dal sangue, dalla razza: la "costruzione" dell'uomo "tutto
intelletto" è la parodia di questa generazione11.
In Spengler, nel termine "irreligione" c'è anche il senso di una
mancanza di rispetto nei confronti della natura e delle sue leggi:
l'immagine della tecnica, simbolo della civilizzazione faustiana, è quella
di un atto diabolico, sacrilego, perché porta alla creazione della
macchina, "piccolo cosmos obbediente esclusivamente alla volontà
dell'uomo" (Tramonto, p. 1390). Una sorta di hybris, che sottrae a Dio
10 - La logica del divenire e del destino viene sopraffatta. Anche il tempo viene
"spazializzato": o compresso nel divenuto, in unità sempre identiche e inespressive
(passato), o intrappolato in una rigida programmazione (la frenetica gestione del tempo
da parte dell'uomo cittadino), nell'illusione che anche il futuro sia una risorsa disponibile,
perfettamente prevedibile nei suoi contorni. Al tempo che ancora non è viene imposta
una struttura costruita dalla volontà umana, alla partecipazione al divenire si sostituisce
una manipolazione dall'alto, dall'esterno, della logica temporale.
11 Un altro studioso di area tedesca, Hermann Broch, sviluppava considerazioni simili in
alcune conferenze dei primi anni Trenta: "Un musicista padrone della tecnica
contrappuntistica è già per questo un vero compositore ? È proprio necessario
ricordare i vani tentativi di tecnicizzare l'arte dei maestri cantori o della scuola poetica
slesiana ? [...] questo metodo additivo è dunque destinato a fallire [...] perché esso
instaura un processo completamente meccanico. [...] Si pensi all'artista medievale. Lui
stesso e l'arte che esercitava facevano parte del sistema religioso: il suo sguardo era
esclusivamente volto all'infinito valore ultimo del sistema: a Dio. Tuttavia, poiché serviva
Dio, sapeva anche di poter tendere a questo altissimo fine soltanto eseguendo bene il
proprio lavoro artigianale." E anche: "Il fine infinito, l'estetico, l'irrazionale, che si
produce automaticamente [...], questo elemento assolutamente irrazionale viene
innalzato a fine razionale." (H.Broch, Il kitsch, Einaudi, Torino, 1990, pp. 66-7 e p.
152).
83
il segreto della creazione12 , e con la quale si consuma il tradimento
dell'anima faustiana: il potere della creazione delle forme passa da Dio
all'uomo, e da questi alla macchina, ma in questi passaggi smarrisce il
proprio senso religioso.
In Miller l"irreligiosità" è un concetto più vago. Quando parla di fede
religiosa, di religiosità dell'esistenza, si riferisce ad una generica fiducia
nell'essenza metafisica dell'uomo. È la vita che rivela una dimensione
più ampia di quella della mera sopravvivenza biologica. Religione,
insomma, come fede nel potere della vita, condizione imprescindibile
per ogni costruzione positiva.
Attiguo al religioso è, qui, il sentimento del "sacro", un misto di
timore e reverenza di fronte al potere nascosto della natura. In
Ricordati di ricordare c'è un accostamento, che a prima vista può
sembrare sconcertante, tra sacralità e osceno 13 . In realtà il discorso ha
una propria coerenza: la chiave sta nel rapporto tra il sacro, l'oscenità e
l'eros. Al sesso viene spesso sovrapposto l'osceno: sesso e oscenità
disturbano, infastidiscono, le immagini turpi, lascive, degradanti, così
come la descrizione di un atto sessuale, portano turbamento. Ma
questo turbamento non è che la vertigine del sacro, il disorientamento
di chi si trova faccia a faccia con l'infinito: è il contatto con le radici
della vita e con la loro inaudita potenza che sconvolge, nel sentimento
religioso come nel sesso e nell'osceno. Una civiltà ha il senso del sacro
quando accetta di confrontarsi con la profondità delle proprie origini,
della propria anima.
È nel quadro di questa impostazione del problema che si inserisce il
richiamo a Spengler, profeta del tramonto dell'Occidente. A lui va il
merito di aver indicato l'impasse della civiltà, e l'avvenuto trapasso alla
fase della civilizzazione:
12 - Non a caso Spengler usa anche il termine "ateismo" per descrivere la condizione
spirituale dell'uomo civilizzato, che può anche manifestare l'anelito ad una dimensione
religiosa ma senza essere in grado di raggiungerla: "l'ateismo è la espressione necessaria
[...] di un'animità che ha esaurito le sue possibilità religiose e che soggiace al potere
dell'inorganico. Ma esso non esclude un bisogno vivo e nostalgico di vera religiosità; nel
che è affine al romanticismo, che vorrebbe parimenti riesumare qualcosa di
irreparabilmente perduto", Tramonto, p. 617.
13 - Remember to remember, New York, New Directions, 1947. Ed. italiana Ricordati
di ricordare, Torino, Einaudi, 1979, pp. 240-252, il saggio 'L'osceno e la legge di
riflessione'.
84
"Siamo entrati in uno stadio finale di arteriosclerosi, e
l'anarchia e il caos che dominano la politica ci
indicano fatalmente di prepararci all'avvento di un
incubo di vita biologica, un altro Medioevo nel quale
l'anima dell'uomo giacerà sepolta nella terra, come un
seme [...] Spiritualmente siamo nell'era dell'Impero
della Nevrosi, e tutto ciò che prima era considerato
l'essenza dell'anima viene ora esaminato
scientificamente, classificato secondo la patologia"
(Lawrence, pp. 86-7)14
Il giudizio qui non fa che rinsaldare le posizioni che abbiamo già avuto
modo di discutere in Plexus. C'è l'accento sul carattere conclusivo
della storia occidentale, ritornano le immagini dell'anarchia, del caos
primordiale, l'immagine di un'epoca buia dove ogni vincolo sociale è
spezzato e dove è scomparsa ogni norma di valore che guidi l'agire
umano. C'è il richiamo alla spiritualità spezzata dell'individuo
civilizzato, in quel richiamo all'anima che giace nella terra in attesa del
risorgere della vita. C'è però anche un elemento di novità, rispetto a
Plexus, il che ci riporta all'intreccio con Spengler e Miller: lo si trova
nella seconda parte del brano citato, in quella evocazione di un
"impero della Nevrosi" dove l'anima viene dissezionata, e lo spirito è
sottoposto all'azione corrosiva dell'intelletto umano, che ha il suo
simbolo primario nella scienza.
14 - "We have entered upon the final stage of arteriosclerosis, with all the anarchy and
chaos prevailing in politics poiting fatally to the preparation for a nightmare of biologic
life, another Dark Age in which the soul of man lies like a seed in the earth [...]
Spiritually we have entered the Empire of Neurosis, all that was heretofore regarded as
soul-substance now being examined scientifically, classified according to pathology".
85
compiacimento. Ma questo è solo un punto di partenza, ovvero la
manifestazione particolare di un fenomeno di proporzioni ben più
ampie. Abbiamo avuto un esempio di questo modo di procedere nella
discussione su Pound e Joyce, dove il campo dell'arte diventava una
sorta di osservatorio privilegiato dal quale si poteva seguire l'evolversi
di quei fenomeni di corruzione che andavano minando il cuore della
civiltà. In modo perfettamente spengleriano, le disgregazioni della
forma artistica si facevano simbolo della crisi.
L'antintellettualismo assume così i contorni più ampi di una rottura
nei confronti del sapere logico-scientifico, e di una rivolta contro il
monopolio del sapere da parte della ragione. Le radici irrazionalistiche
ed intuizionistiche del pensiero di Miller lo portano ad indicare nel
prevalere di un atteggiamento scientifico, analitico e distruttivo nei
confronti della vita, la causa del disagio della civiltà. Il bisturi
dell'analisi non si ferma neppure di fronte al nocciolo più intimo della
personalità umana, cioè all'anima: essa viene spogliata della propria
dimensione spirituale, metafisica, e viene posta, come un cadavere, sul
piano del dissezionatore. La sua complessità ora svanisce, racchiusa
nella precisione dei parametri classificatori della patologia. Dell'anima
si fa un oggetto di indagine, un fenomeno dalla consistenza quasi
materiale, quasi fosse una qualsiasi parte del corpo.
Questo modo di procedere comporta la perdita dell'organicità
dell'anima e il venir meno del suo legame con il mondo. Il dualismo tra
corpo e spirito, invece di essere fondato nel senso di un continuo
rapporto dialettico, viene risolto e appiattito sul versante della materia.
L'anima diventa un fenomeno come altri, e viene ricondotto alla
fisiologia del corpo. In questa prospettiva, dell'anima autentica non vi
è più traccia, ed è chiaro che in un mondo dominato da questa
mistificazione dell'essenza umana, di anima o di fede religiosa non si
può più parlare. Da qui il senso di smarrimento dell'individuo di fronte
ad una realtà che egli vive come proiezione della frantumazione
dell'ego: macrocosmo e microcosmo soggiacciono ad un identico
processo di disgregazione.
Ritorna qui il motivo della separazione, che avevamo già trovato in
'La corona' come elemento unificante tra Lawrence, Spengler e Miller.
La separazione è l'essenza della contemporaneità: separazione come
abbandono al mito dell'analisi, al mito di una conoscenza che non si
86
ferma di fronte alle connessioni ed ai vincoli che, in un organismo,
fanno sì che esso viva. Un organismo è qualcosa di più degli
agglomerati di materia che lo compongono: questa è la verità che il
sapere analitico non coglie e che occulta, la verità accessibile solo a chi
sa avere una visione sintetica dei processi naturali. Questa è l'essenza
metafisica che Miller rivendica all'uomo, l'angelo che è la sua filigrana15
. E questa è la natura vivente di Goethe, come si legge in Spengler, il
mondo come organismo contro il mondo come meccanismo
(Tramonto, p. 47); questo il pensiero fondamentale che anima Il
Tramonto dell'Occidente e che dà senso alle sue antinomie, come
divenuto/divenire, conoscere/vivere, legge matematica/legge
dell'analogia, causalità/destino, fino alla più nota civiltà/civilizzazione.
In The World of Lawrence viene presa a simbolo dell'atteggiamento
scientifico la psicoanalisi. Il percorso è chiaro: dalla religiosità,
all'anima, alla sua rappresentazione scientifica, ad opera della
psicologia. Miller scrive:
87
unitario di questi processi verrebbe così a perdersi, nella scissione
della totalità dell'io in una somma di parti. La pratica analitica è
l'immagine stessa del processo con il quale l'individuo non rivolge più
le proprie forze verso l'esterno (questo è il significato autentico
dell'agire), ma le impegna in una perenne e logorante attività di
autodistruzione: tutta la potenza dell'intelletto si volge a destrutturare la
forma dell'anima.
L'esempio della psicoanalisi mostra bene il senso dell'irreligiosità
nell'uomo metropolitano e civilizzato:
88
per finire al Surrealismo, tutto ciò rappresenta il
fallimento del tentativo della mente di riprendersi
qualcosa che solo l'anima è capace di afferrare."
(ibidem, p. 89)18
Ogni campo del sapere testimonia la perdita della sintonia con il flusso
della vita. E ciò che Miller chiama "bancarotta dello spirito" (ibidem,
p. 90). Alla paura della morte, che è il sentimento fondamentale di ogni
cultura e la ragion d'essere dei suoi sforzi di creare opere eterne, si
sostituisce la paura della vita. Ciò che spaventa non è il potere della
distruzione, ma quello della vita: paura della vita significa paura delle
forze sotterranee che animano la vita, significa declinare le
responsabilità che ogni creazione comporta. L'uomo moderno ha
paura di affrontare la vita, che è come dire affrontare la realtà, perché
teme di guardare in faccia l'approssimarsi della fine. Il processo di
corruzione viene occultato e rimosso: in questo modo, però, non c'è
possibilità che si liberino forze positive sulle quali ricostruire
l'esistenza. Non essendo in grado di fronteggiare la durezza
dell'esistenza, l'individuo civilizzato si condanna ad un lento suicidio.
Il comportamento dello psicologo è l'esplicazione di questa rinuncia:
invece di spingere l'individuo alla rivolta contro un mondo che spegne
ogni spiritualità, questo "prete della vita" rimuove ogni conflittualità, e
"tutti i suoi sforzi mirano piuttosto ad adattare
l'uomo ad una condizione impossibile. Con il risultato
che ciò che una volta era considerato disagio è
divenuto la norma."19
18 - "The complete domination and exploitation of life by science, the language of the
soul borrowed from the physical sciences, [...] the reduction of all criticism to analysis,
[...] the rebellion of the post-war writers, commencing with Dada and ending in
Surrealism, all this is but the representation of the mind's abortive effort to recapture
what the soul alone is capable of grasping.".
19 - "all his efforts tend rather toward adjusting him to an impossible condition of things.
With the result that what was once regarded as disease becomes the norm.".
89
ogni fenomeno del reale. Per questo la scienza, mentre sgomina
simboli, miti, religioni ed ogni altra forma di sacralità, in realtà non fa
che sostituirsi ad essi:
alla morte:
20 - "the last sustaining myth, or symbol, is science - knowledge. Science is the faith of
the mind displacing the faith of the soul. It explains the death of all things. It offers as
consolation wisdom, which is the sorrowful man's burden. Joy is wiped out. Enthusiasm
also. All the istincts are perverted [...] From faith to knowledge is from life to death.
That is History.".
21 - "the ability to erect ever new, ever more numerous symbols is the sign of vitality. A
people, a race, a cultura, an individual, die only when the ability to create illusions is
90
Scienza come simbolo della civilizzazione, e civilizzazione come
perdita della capacità espressiva di una civiltà: il percorso segue la
falsariga tracciata da Il Tramonto dell'Occidente, e ci riporta alla sua
filosofia della storia.
exhausted [...] History reveals to us the progress of life from one set of illusory simbols
to another.".
22 - Questo paragrafo è ampiamente citato e commentato in Plexus. Vedi anche
Capitolo II.4., pp. 59-69.
91
coscientemente, l'intervento di una riflessione letale
per ogni misteriosa forza creatrice, ecco i primi
sintomi del declino di un'anima. Solo il malato sente le
proprie membra." (ibidem, p. 529)
92
cui l'individuo scompare nella collettività, dove la vita
è interamente basata su un'etica dell'economia,
l'idealismo della biologia, la spiritualità delle
statistiche" (Lawrence, p. 172)23
93
proprio per la sua assoluta naturalezza, in completa incoscienza ed
immediatezza. Dall'altra troviamo una visione del mondo del tutto
arbitraria, vuota, sterile, che risolve la complessità di concetti come
cultura e destino nel meccanicismo dell'idea di progresso. È l'illusione
di chi crede di poter rendere tangibile l'ideale, che invece è tale proprio
in quanto irraggiungibile: esso è un modello che guida l'agire umano,
un "dover essere" che per definizione non è mai raggiungibile
concretamente. Quando si perde il senso teleologico dell'azione, il
meccanicismo ed una rigida causalità subentrano alla logica del
destino; ecco allora che la filosofia dell'azione, lo "Streben" che è
l'etica dell'uomo faustiano, si degrada a filosofia del lavoro (ibidem, p.
533).
Le conclusioni del discorso che abbiamo sviluppato ci riconducono
al punto di partenza, a quell'idea di decadenza che è stato il filo
conduttore nel percorso da Miller, attraverso Lawrence, fino a
Spengler. Il problema dell'interpretazione del socialismo, infatti, non ha
grande importanza in sé, quanto nel suo valore simbolico, come
espressione del disagio della civiltà. La scelta delle forme che
testimoniano questo disagio procede da Spengler e la ritroviamo
identica in Miller: stesso approccio ai problemi (ogni forma è simbolo
del proprio tempo, e quindi ne esprime ideali e problemi), stessa scelta
di esempi (religione, scienza, socialismo, psicologia 24).
94
momento in cui la sovrapposizione e gli intrecci fra i tre si fanno più
espliciti.
Tutto ruota attorno al concetto di "destino". Il primo passo consiste
nell'identificazione tra la logica del destino ed il processo del
"divenire": "la vita è il processo del Divenire, il movimento del tempo e
del destino" (Lawrence, p. 147)25 , scrive Miller. Perché questo sia
chiaro sarà bene tornare al testo spengleriano e ad una distinzione che
è il presupposto di tutto ciò che seguirà. Spengler distingue due
prospettive fondamentali, quella del "divenire" e quella del "divenuto":
E, poco dopo:
95
conoscenza come immedesimazione nella corrente, come abbandono
della volontà individuale alla legge del divenire. Questo stesso
approccio lo ritroviamo nella teoria milleriana del "flusso vitale",
secondo la quale la vita sarebbe un eterno scorrere, la cui esperienza
non va ricercata tirandosene fuori, ma accettando di essere trascinati.
Una conoscenza autentica della realtà si dà solo attraverso la sua totale
accettazione. C'è una sorta di passività in tutto questo: lasciarsi
abbandonare nel flusso può apparire una resa di fronte alla fatalità. E'
un pericolo che Miller avverte, e che cerca di esorcizzare distinguendo
tra "Fato" e "Destino". Nel parlare di Lawrence, scrive:
morta quella vivente, alla legge la forma. [...] Rivivere col sentimento, intuire [...]: ecco
quali furono i mezzi di cui si servì per avvicinarsi al mistero dei fenomeni in moto."
(Tramonto, p. 47).
26 - "Man of destiny ? Anti-Fate ? From the Spenglerian view, based on the study of
the collective individual and the forms about which his world revolves, Lawrence is
Anti-Fate. But this is only the surface aspect. For the creative spirit, even when
preaching death, expresses itself enthusiastically, with faith, with life hope. His
pessimism is but a more profound an invisible optimism.".
96
esprime il proprio senso. Questo è il destino particolare riservato
all'uomo della civilizzazione faustiana, un destino di distruzione; ma,
ora che ne abbiamo inteso il senso, questo percorso non ci appare più
come qualcosa di puramente negativo, decadente nel senso deteriore
del termine. Se Lawrence parla di morte, la sua partecipazione significa
che egli intravede in quel processo un momento necessario di
purificazione, e che ne scorge il significato di "morte vitale".
L'apparente pessimismo si volge in ottimismo, mentre l'ottimismo
dell'uomo contemporaneo rivela la propria superficialità, basata sul
terrore della morte e sulla paura della vita e che risolve questa angoscia
rimuovendola, ricoprendo la realtà con i tratti consolanti del progresso,
della fiducia nella scienza e nella ragione.
27- "It is curious to observe how a renewed sense of destiny and a renewed interest in
matters cosmological have emerged out of the chaos of our modern, scientifically-
minded world.".
97
nuovo segno ed una nuova era." (ibidem, p. 163; da
Apocalisse, p. 52)28
28 - "Only now [...] are we passing over the border of Pisces [the astrological sign of
our age], into a new sign and a new era". La citazione è da D.H.Lawrence,
Apocalypse, 1932 (ed. italiana consultata Apocalisse, Roma, Newton Compton, 1995;
l'indicazione della pagina nel testo si riferisce a questa edizione).
29 - "With the close of the Napoleonic era the modern world was ushered in.
Henceforth, the word 'destiny' acquires a new significance, a pregnant significance. A
hundred years after Napoleon, after the organic, cyclical conception of life which ran
contrary to the Darwinian - the Goethian view - destiny acquires its definitive cast for us
in the monumental work of Spengler, entitled significantly 'The Decline of the West'".
98
Miller segue Spengler anche nel distinguere preliminarmente il destino
dal fato:
Tutto ciò comporta una lettura morfologica delle culture, che scorga in
esse i simboli di un'anima destinata ad esprimersi ed a forgiare valori in
una forma ben precisa e prestabilita. In questo modo, il mondo si
identifica col processo del divenire e col succedersi delle epoche
storiche: è la prospettiva del "mondo-come-storia" (Lawrence, p.
163).
Queste sono considerazioni che compaiono sin dalle prime pagine de
Il Tramonto dell'Occidente, e che ne costituiscono, per così dire, le
premesse necessarie. Per Spengler, il futuro della filosofia, e la sua
ultima possibilità espressiva, è
99
dall'introduzione al testo spengleriano; scorriamone i passaggi
più importanti:
30 - Il tempo per i Greci, invece, era concepito nei termini di un eterno presente, e lo
spazio nella concretezza del singolo corpo esteso, a fronte di un'anima faustiana che
concepisce lo spazio come puro e illimitato. Vedi Tramonto, p. 277.
100
sua lettura morfologica della civiltà, Il Tramonto dell'Occidente
diventa esso stesso un fenomeno espressivo, la messa in forma delle
tensioni, delle aspirazioni, dei contrasti e delle soluzioni elaborate dal
proprio mondo, il tutto racchiuso nell'unicità del simbolo. Miller aveva
compreso bene questo aspetto, che è un'esigenza fortemente sentita
anche dallo stesso Spengler:
31 In The world of Lawrence si legge: "Un uomo non ha importanza, se non rappresenta
il suo tempo. [...] Uno studio di Lawrence, ristretto alla sua personalità, o ai suoi
prodotti artistici, avrebbe poco valore per noi." ("A man has no importance except as
he represents his time. [...] A study of Lawrence, restricted to his personality, or his art-
product, has little value for us"), Lawrence, p. 77. E ancora: "Vediamo in lui una figura
veramente simbolica. [...] I grandi problemi che sono stati analizzati [...] sono riuniti in
lui, l'individuale che simbolizza i problemi di un mondo intero." (We see in him a truly
symbolic figure. [...] The grand problems which had been analyzed away [...] are
reunited in him, the individual who symbolizes the whole world problem"), ibidem, p.
149.
101
basi per una visione storica generale, che a sua volta interviene,
retroattivamente, nell'interpretazione della realtà contemporanea. In
questo modo l'opera di Spengler acquista valore, agli occhi di Miller,
in quanto immagine stessa del mondo moderno, proiezione delle sue
aspirazioni e anche della sua critica conflittualità. Ne Il Tramonto
dell'Occidente i brani citati da Miller compaiono significativamente
nell'introduzione, ed aprono al dispiegarsi della più ampia riflessione
sulla crisi della modernità. Analogamente, in The World of Lawrence,
la loro citazione introduce al percorso esplorativo dei caratteri
"nevrotici" della civiltà.
32 - "In citing Spengler's pamphlet, 'Pessimismus ?', Havelock Ellis remarks very justly
that such a point of view is not at all to be regarded as 'pessimistic', but as expressing
'fulfillment' - a word strangely reminiscent of Lawrence, one of his key words, in fact.".
33 - Vedi Cap. II.4., pp. 59-69.
102
necessità del pensiero de Il Tramonto dell'Occidente, ed il suo
allineamento con le posizioni di Lawrence. La filosofia della storia che
vi si delinea non è una costruzione intellettuale, un'ipotesi qualsiasi: è
l'unica prospettiva possibile per una civiltà giunta all'apogeo del
proprio declino. Il Tramonto dell'Occidente è espressione necessaria
della civilizzazione faustiana; non a caso, la terminologia spengleriana è
stata incorporata velocemente nel linguaggio corrente:
34 - "Today Spengler's language is incorporated into our thought [...] It does not matter
wheter these views are 'true' or 'correct' they are now a definite, accepted part of the
picture. They enter into and shape our picture of the world, appealing not to the
'coscience' or the 'intelligence' of man, but to some deeper, inscrutable layer of his
being.".
35 - Questa è la definizione che si trova in una lettera di Miller del 7 marzo 1933: "quella
di Spengler è stata la descrizione del corso sismografico dell'anima che vive nelle
civiltà." (Nin, p. 159).
103
Ciò che Spengler si trova a descrivere, al culmine del "compimento"
dell'anima faustiana, è uno "stato di arteriosclerosi" 36. Il progressivo
irrigidimento dei canali linfatici attraverso i quali la vita si diffonde
porta ad un blocco delle capacità creative dell'uomo. A dominare
l'individuo moderno è la paura stessa della vita, ed è l'incapacità di
farsi strumento di questa forza a fargli preferire la rinuncia al
confronto:
104
sorgere senza il simbolo primario - l'anima." (ibidem,
p. 166)38
38 - "To reanimate these dead forms, to give them meaning and value, a religious feeling
is imperative. No new 'Culture' rears itself without the prime symbol - soul.".
39 - "The man of destiny makes himself one with the destiny".
105
simbolo", cioè l'espressione mortale di un'attività creatrice che si sa
eterna.
Per l'uomo della civilizzazione faustiana, in sostanza, la fase di
neurosi va vissuta come una fase naturale che si ripresenta
periodicamente nella storia delle civiltà. Miller cita la civilizzazione
greco-romana, riprendendo un esempio caro a Spengler, che parla
della modernità come di una sorta di nuovo ellenismo 40, dove
Alessandria d'Egitto diventa il corrispondente antico delle metropoli
contemporanee. Come allora, è forte la sensazione di un alone di
morte che circonda l'uomo.
Il senso del destino sta nella sua accettazione. Accettare il destino,
però, non significa rassegnarsi all'insensatezza della morte, ma cercare
di darle un valore positivo. Se una forma del mondo si rivela
pericolante, il compito dell'uomo è "mandare tutto in frantumi";
"questo", scrive Miller, "è il significato reale del destino. È il nostro
destino" (ibidem, p. 166)41.
Destino, distruzione, paura della vita, anima e senso religioso si
richiamano continuamente nel serrato intreccio delle riflessioni
milleriane sul mondo. La paura della vita sorge dal fatto che l'uomo
non accetta la morte come fase necessaria dell'esistenza e rifiuta il
destino di corruzione delle forme; nel far ciò, si arrocca nella difesa
delle proprie postazioni e rinuncia a costruire, a creare, perdendo così
il senso religioso ed il contatto con l'anima; è a partire da questo
momento che l'uomo si avvia inesorabilmente proprio verso quella
morte che aveva cercato di esorcizzare; mettere in gioco tutte le
proprie forme di difesa e di rimozione non fa che accelerare il
processo della decadenza.
106
(l'uomo che porta la vita, che la incrementa), le figure di Spengler,
Lawrence e dello psicoanalista Otto Rank.
Rank ebbe modo di conoscerlo personalmente, spinto da Anais Nin
che già da tempo era in terapia da lui, e l'incontro, secondo quanto ne
riferisce in una lettera, lo lasciò entusiasta42. Miller oscilla sempre tra la
condanna della psicoanalisi e l'apprezzamento di singole figure di
analisti, come Jung (di volta in volta apprezzato o condannato) e,
appunto, Rank, che nel suo Arte e artista aveva dedicato una
particolare attenzione allo studio dei processi psicologici della mente
creativa. Partendo da alcune osservazioni lì contenute, Miller mette a
fuoco il rapporto tra destino e teoria dell'inconscio:
42 - Anais Nin ebbe da Rank una completa formazione da analista, tanto che, nel
gennaio 1935, praticò per qualche mese la psicoanalisi. Cosa che, nello stesso periodo
e su suo invito, fece anche Miller, pur senza averne alcuna qualifica.
43 - "The conscious, logical processes, having arrived at the point of exhaustion, a new
reality is hypothesized, with the seat of the soul, or the psyche, or the 'brain', situated in
the Unconscious.".
44 - "Beyond the phenomena of human actitity lie incalculable forces".
107
religiosa, è tutto ciò che importa. Entrambe le
prospettive sono fondate su quella visione della vita,
più antica e più sana, che Lawrence ha proclamato."
(ibidem, p. 167)45
45 - "Both astrology and psychoanalysis have for their grand aim the revelation of the
extent and magnitude of these forces. [...] A sense of mystic participation with the
universe, a religious awareness, is the all important. Both views are founded in that
older, sounder view of life which Lawrence proclaimed.".
46 - "a more creative, more poetic, more human myth, in which ideas are again related
to living, and not merely to dead facts.".
108
in un abisso di separazione e di isolamento..."
(ibidem, p. 167; da Apocalisse, p. 78)47
47 - "to intervene between man and the cosmos. The very oldest ideas of man are
purely religious, and there is no notion of any sort of god or gods. God and gods enter
when man has 'fallen' into a sense of separateness and loneliness".
109
anch'essa in modo antinomico, con grandi coppie di opposti che
coincidono, sostanzialmente, con quelle di Lawrence: da una parte il
"vivere", dall'altra il "conoscere", da una parte il "divenire", dall'altra il
"divenuto", da una parte la simbiosi microcosmo-macrocosmo,
dall'altra la sopraffazione del primo sul secondo, e poi proseguendo
fino alla coppia essenziale "civiltà" -"civilizzazione". L'enfasi di
Lawrence sulla separazione ripropone il tema spengleriano
dell'antinomia tra sapere analitico e conoscenza intuitivo-sintetica, così
come, nell'area semantica del concetto di "tramonto", ritroviamo tutto
uno spettro di significati, dal dominio dell'intelletto alla scissione tra
microcosmo e macrocosmo, dalla mancanza di una dimensione
spirituale al venir meno della capacità espressiva della civiltà, che è alla
base della prospettiva lawrenciana.
Il discorso di Miller non fa che riprendere le posizione dei due
intellettuali per sostenere e rafforzare le proprie convinzioni.
Innanzitutto, ricompare l'antinomia fondamentale tra scienza e natura:
48 - "The desire to subjugate the forces of Nature for pratical purposes, instead of
exploring them in a [...] disinterested way, has brought about an empty knowledge of
Nature, instead of a wisdom of life. Life and death lose their significance, their
polarity.".
110
Fin qui, Miller ha seguito rigorosamente le indicazioni fornite dai suoi
due precursori. La riflessione è proceduta attraverso un fitto tessuto di
citazioni, dove ogni brano riportato va riferito transitivamente a Miller,
che sulla base di queste fondamenta ha potuto portare avanti
l'edificazione di un proprio edificio concettuale. È quando ci
stacchiamo momentaneamente dai testi, però, che emerge con maggior
chiarezza la sua profonda comprensione del significato della filosofia
spengleriana e dell'arte di Lawrence. La direzione che Miller imprime al
discorso sulla polarità vita-morte ce lo mostra, come in una cartina al
tornasole.
Dopo aver posto in rilievo il venir meno di un senso che unisse vita e
morte in un'immagine complessiva dell'esistenza, ed aver dichiarato
che è invece proprio in questa prospettiva che va cercata la verità,
Miller scrive:
49 - "From seed to flower and back to seed again. A drama of movement, change,
struggle, growth, decay. Between the two magnetic poles, the fixed, constant poles of
birth and death, flows the mysterious current, life. [...] When the current is strong and
unimpeded the individual becomes one with life, with destiny. The innermost desire then
is not to escape the conflict, the drama, but to accept it".
111
Questa immagine del tempo procede dalla constatazione di una
dinamica ciclica dei fenomeni naturali:
50 - "the rotary, cyclical time element [...] which is so ingrained, so innate in our way of
thinking, has its inception in the most primitive, fundamental aspects of life - earth, sun,
moon, the four cardinal points, the seasons.".
51 - Vedi l'introduzione di Stefano Zecchi a Tramonto, p. XV: "Il 'tramonto' è
un'immagine del simbolismo cosmico che unisce gli uomini al movimento delle stelle e
agli eventi della vita: il sole tramonta e risorge, così una civiltà nasce e declina."
52 - "Always there are the two phenomena: type and periodicity.". E aggiunge: "È la
storia stessa della terra" ("It is the story of the earth itself"). (Lawrence, p. 170).
112
simboli e delle nostre forme culturali, le basi
architettoniche dell'idea." (ibidem, p. 169)53
La storia, per Miller, procede secondo cadenze regolari. C'è una serie
di forme essenziali che scandiscono lo scorrere del tempo e
l'avvicendarsi delle epoche. All'interno di questa "architettura", di
questo scheletro ideale, si muove la varietà delle situazioni storiche,
che sono in sé contingenti, interscambiabili, mentre non è contingente
il loro significato simbolico.
Allo stesso modo, Spengler scriveva che date e fatti non hanno alcun
significato se non sono letti come simbolo di qualcos'altro, se non
vengono cioè caricati di un significato 54, che in questo caso è fornito
dalla prospettiva ciclica del divenire. Dati, idee e personaggi vanno
compresi a partire da questo quadro complessivo, come espressione
del suo evolversi, testimonianza del riproporsi di fasi e concetti
archetipici.
Il richiamo alle idee di "tipo" e "periodicità" conclude quella che si
può definire la riflessione "spengleriana" di The World of Lawrence.
Ma c'è ancora un tema che vale la pena esaminare, poiché risulta
cruciale per l'interpretazione complessiva dell'opera di Miller:
l'identificazione donna-natura.
C'è una frase di Spengler che ricorre nelle riflessioni milleriane sulla
donna e sul ruolo del sesso: "L'uomo fa la storia, la donna è la storia"
113
(Tramonto, p. 1132). L'espressione viene citata, in modo impreciso, e
spiegata in una lettera ad Anais Nin:
114
Ogni volta che l'uomo ha cercato di raffigurarsi il
destino ha avuto sempre l'idea di qualcosa di
femminile - Moira, Parche e Norne." (Lawrence, p.
69; da Tramonto, pp. 1131-2)
115
usare una terminologia spengleriana, la donna è sempre civiltà, mentre
l'uomo è civilizzazione. Parlando di Lawrence, Miller scrive:
55- "The human fundament is in the East". "I have a strange feeling that the next great
impersonation of the future will be a woman. If it is a greater reality we are veering
116
Donna ed Oriente rappresentano lo "spirito" ed indicano quale sia la
via per un futuro dell'umanità oltre il destino di morte dell'Occidente.
Alla dinamica della civilizzazione, dove l'uomo si abbandona ad un
cieco istinto di distruzione, la donna oppone il valore della vita e la sua
necessità. Essa si fa simbolo della natura e si fa carico del destino del
mondo, o meglio della possibilità che un destino ancora ci sia: è una
sorta di monito, affinché non ci si dimentichi che l'essenza della vita
risiede nel divenire e non nella caducità del divenuto.
La forza che può fare tutto ciò non è la donna deificata, estetizzata e
resa sterile, ma la donna nella pienezza della propria naturalità e dei
propri istinti, è la donna nella propria dimensione non civilizzata,
donna come irruzione del "corpo" nelle strutture della società. Miller
parla di "Sacro Corpo" (Lawrence, p. 175) con un evidente richiamo a
Lawrence. Dal corpo parte la rinascita dell'individuo, da un corpo non
deificato ma compreso nella sua sacralità. La dimensione del corpo
non ha bisogno di essere nascosta o di essere sublimata, poiché in
quanto natura essa è già valore, anzi è "il" valore, il simbolo stesso
della vita: per questo è dalla coscienza della propria corporeità che può
sorgere un nuovo senso dell'individuo. Questa è anche la direzione
verso cui volgono i simboli dell'universo poetico di Lawrence:
innanzitutto la "fenice", l'animale che risorge dalle proprie ceneri,
quindi il "Serpente-Uccello" Quetzalcoatl, il dio azteco che riunisce il
corpo (serpente) allo spirito (uccello), la terra al cielo. La
riconciliazione degli opposti ridona un senso unitario ai fenomeni della
vita: lo spirito diventa trasfigurazione simbolica del corpo, con un
gesto che non annulla le proprie radici, ma che anzi ritorna sempre
all'origine a rivendicarle e a mostrarne la sacralità.
Queste considerazioni ci permettono di fare luce su alcuni aspetti del
concetto di "eros", che è connesso al tema della "donna-natura" e che
tanta parte ha avuto nell'opera dei due scrittori. Il sesso è una forza
che unisce, è la proiezione dell'ego oltre le barriere dell'individualità, la
tensione al ricongiungimento nell'originaria unità tra uomo e donna;
l'eros conduce le due polarità ad unità, ridona loro il senso della
towards then it must be woman who points the way. The masculine hegemony is over.
Men have lost touch with the earth; they are clinging to the window-panes of their
unreal superstructures".
117
propria relatività nel quadro di una totalità organica. Nel far questo
sospende ogni forma di identificazione sociale: nell'atto sessuale uomo
e donna ritrovano la loro dimensione unitaria nella nudità della loro
primitiva condizione naturale. L'eros sprigiona tutta la forza degli istinti
vitali, richiamando l'uomo alla realtà del corpo. L'individuo moderno,
invece, vive la sessualità come divisione. Miller scrive:
56 - "The disintegration which he perceived everywhere he felt most keenly in the world
of sex. He saw everything going grey, opaque [...]. He saw a danger of the flame
perishing, the fire dying down and all the color of life running out".
118
brutalità che emerge nelle descrizioni dell'esperienza erotica ha il senso
di una scossa salutare, dove quella forza frantuma ogni definizione
sociale dell'individuo, riportandolo all'originaria nudità. E questo
sconvolge, come sconvolge l'ideale simbiotico di Lawrence, perché
annienta di colpo le protezioni dell'individuo, scaglia l'ego oltre le
strutture difensive della propria interiorità, nel flusso magmatico del
divenire.
La rinascita dell'anima è una rinascita "del" corpo e "dal" corpo.
Questo sacro corpo, in Miller come in Lawrence, è sempre la donna.
Ogni rivitalizzazione dell'eros, necessaria premessa alla rivitalizzazione
della civiltà, passa dal riconoscimento del valore simbolico della figura
femminile. Miller e Lawrence proiettano su di essa il peso, ma anche il
valore, del processo di reintegrazione dell'anima. In lei risiede il potere
della creazione e quindi il futuro del mondo.
Lawrence ha "il senso del greco antico per il corpo, l'antica
concezione greca dell'Eros" (ibidem, p. 200)57. La Grecia classica
come civiltà del corpo e dell'equilibrio tra anima apollinea ed ebbrezza
dionisiaca, dove si sente tutto il peso della concreta fisicità delle
cose58, tutto ciò ci riporta a Il Tramonto dell'Occidente, là dove si
parla della classicità come civiltà cui è sconosciuto il senso del tempo:
l'anima apollinea vive nell'eterno presente dell'hic et nunc, come
sentimento dell'immediata disponibilità e tangibilità del reale, del
corpo59.
57 - "He has the early Greek feeling for the body, the early Greek conception of Eros.".
58 - "C.B. Spengler diceva che in Grecia è tutto corpo, che l'architettura è in realtà
scultura, e che il cosmo stesso è un grande corpo di cui l'uomo è il centro assoluto.
H.MILLER: In India, mi sembra che non si sia mai stabilita una divisione tra il corpo e
lo spirito: sono sempre stati legati tra loro, e come in Grecia fanno tutt'uno."
(Conversazioni, p. 81).
59 "Quel che il greco chiamava cosmos, era l'immagine di un mondo che non diviene,
ma sempre fu." (Tramonto, p. 22). Questo per quello che riguarda l'aspetto temporale;
quanto al sentimento dello spazio, leggiamo: "L'elemento materiale, il visibilmente
delimitato, il tangibile, l'immediatamente presente: ecco le caratteristiche che
esauriscono l'antico concetto dell'estensione. [...] Il nostro bisogno di concepire spazio
di là da tale volta [volta celeste, N.d.C.] mancò del tutto al sentimento antico del
mondo." (ibidem, p. 271).
119
III. 6. 1. Le chiavi simboliche della storia
60 - "The great dynamic aspect of the Faustian Soul has its counterpart in the myth of
Hamlet. The great Will carries within the germ of its own destruction: doubt. [...] The
great, yearning Faustian spirit which had opened up new worlds, which had made
himself drunk with new horizons [...], this same spirit emerges in the space of a few
generations with the most terrible incarnation of its malady: Hamlet.".
120
fondamenta, mentre viene meno ogni possibilità di agire e di creare, in
quanto l'azione nasce sempre quando è espressione di una volontà
ferma, di un'anima che sa ciò che vuole. Il dubbio distrugge questa
certezza ed apre la strada ad un futuro dove il tormento dell'autoanalisi
si sostituisce ad ogni pulsione formativa, condannando l'uomo
faustiano ad una situazione di perenne stallo e di continua erosione
della propria individualità.
Un altro esempio di elaborazione simbolica è l'immagine della
decadenza dell'Occidente come "sifilide" e come "morte nera". Il
disagio della civiltà è espresso sempre con la terminologia che si
addice ad una malattia dell'organismo: un identico processo di
metaforizzazione organica darà luogo al simbolo del Cancro in
Tropico del Cancro. La sifilide è l'episodio della storia dell'Occidente
che Lawrence sceglie per la sua evidenza figurativa come simbolo
della decadenza. L'irrompere del morbo insinua un tarlo inestirpabile
nel modo occidentale di vivere la sessualità, togliendole ogni innocente
naturalità. L'uomo vive questo dramma come una condanna, come una
colpa che riversa sul sesso e sul corpo; l'eros viene spogliato della sua
spontaneità e reso tabù, sterilizzato, razionalizzato. Questo ci riporta
alla figura di Amleto:
61 - "Hamlet is syphilis, the syphilis of the mind. Hamlet, the disease, strikes at the
blood, at that bloody-consciousness which Lawrence has raised to such importance.
[...] syphilis [...] was a mortal disease which could make its appearance only when the
body has been utterly denied and despised.".
121
significato se non ha valore simbolico, Miller trae dalla storia
dell'occidente l'episodio delle epidemie pestilenziali e lo carica di un
significato simbolico:
62 - "We might well ask ourselves if those great plagues which ravaged Europe from the
fourteenth to the seventeenth century were not the outward, visible manifestation of that
warfare which had already begun to devastate the soul of Western soul.".
122
III UNA LETTURA SPENGLERIANA DI "TROPICO DEL
CANCRO"
1
segnati, per Miller, dall'esperienza parigina, dalla fine, dolorosa,
del rapporto con la moglie June (la "Mona" che ha ispirato tutti i
suoi romanzi), ma anche dalla certezza di aver trovato la propria
vocazione nella scrittura. Negli anni fra il '31 e il '38 scrive
Cancro, Primavera e Capricorno, oltre ai saggi di Max: é il suo
periodo piú intenso e fecondo.
Alla fine degli anni Trenta, come detto, si verifica una cesura: a
Lawrence, Spengler, Bergson e Nietzsche subentra il pensiero
orientale, il misticismo indiano, la saggezza cinese dei Tao, dei
Ching e soprattutto dello Zen. Miller, che era sempre rimasto
affascinato da figure profetiche e visionarie, come Lawrence,
Whitman o Nietzsche, prende ora decisamente la via mistica, che
per lui conduce alla cultura dell'Oriente. Cosí scriverá all'amico e
scrittore inglese Lawrence Durrell, alcuni anni dopo:
and Bright: the life of Henry Miller, cit.. Critici e biografi sono tutti pressochè
concordi su questa periodizzazione.
2 L. Durrell-H.Miller, I fuorilegge della parola, Milano, Rosellina Archinto, 1991,
p. 190.
2
"ventre della balena" ed essere disceso negli "inferi" 3 del
nichilismo occidentale, Miller trova nella Grecia, nel suo passato
classico ma anche nella sua realtá naturale, selvaggia ed
incontaminata, una dimensione eterna dello spirito. Sin dalle
prime pagine di Colosso si percepisce il senso di un distacco dal
passato, e lo stupore dell'ingresso in una realtà nuova:
3 "Scende all'inferno come Dante e poi ascende la montagna per trovare le porte
del paradiso in Grecia. New York è l'ingresso agli inferi, Parigi l'ingresso al
purgatorio, la Grecia l'ingresso al paradiso." Erica Jong, Il diavolo fra noi,
Milano, Bompiani, 1993, p. 157.
4 H. Miller, Colosso, Milano, Mondadori, 1948, p. 23. (ed. orig. H.M., The
3
gli Stati Uniti e l'Europa insieme. La Grecia è piccola
come la Cina o l'India."6
6 ibidem, p. 66-7.
7 ibidem, p. 102
4
cambiamento in atto. Cambiamento di cui lo scrittore americano è
pienamente consapevole, e che anzi rivendica insistentemente:
8 ibidem, p. 197.
9 Il Tramonto cede il passo alle nuove letture, ma non sparisce del tutto. Nel
Colosso, la prospettiva sulla Grecia risente dell'interpretazione spengleriana: "C.B.
[l'intervistatore Christian de Bartillat, n.d.r.] - Spengler diceva che in Grecia tutto
è corpo, che l'architettura è in realtà scultura, e che il cosmo stesso è un grande
corpo di cui l'uomo è il centro assoluto. H.M. - In India, mi sembra che non si
sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito: sono sempre stati legati tra
loro, e come in Grecia fanno tutt'uno." H. Miller, Conversazioni a Pacific
Palisades, cit., p. 81. Si vedano anche alcuni passi del Colosso: "Siamo diventati
dei nomadi spirituali" (p. 155), "La più antica costruzione di Erakleion
sopravviverà alla più moderna costruzione americana. Gli organismi muoiono, la
cellula continua a vivere. La vita è nlle radici" (p. 179).
10 "D' un tratto le lunghe frasi tortuose di Cancro e Capricorno, piene di
5
vero e proprio guru, un apostolo del sesso e della liberazione
spirituale lo vedono gli scrittori della beat-generation11.
Compaiono motivi come l'identificazione arte-persona, l'enfasi
sull"artista della vita" ovvero sull'artista che fa della sua stessa vita
un'opera d'arte, l'insistenza sulla necessità di un rivolgimento
spirituale e sull'avvento di un'Era dello Spirito Santo.
Abbiamo situato più o meno attorno al 1939 una cesura
fondamentale: da una parte il Miller della trilogia parigina, dall'altra
il Miller "orientale" di Big Sur e della trilogia americana. Questa
distinzione ci consente di non indugiare sulle opere del secondo
periodo: come abbiamo visto, esso procede sotto l'influenza di
sistemi di pensiero lontani dal Tramonto. E, se é vero che proprio
in Plexus (1953) troviamo il contributo piú corposo su Spengler,
non dobbiamo dimenticare che esso avviene retrospettivamente, e
si inquadra in un romanzo autobiografico che vuole rievocare gli
anni della Grande Depressione in America. D'altra parte, quel
fondo di temi milleriani che attraversano tutta la sua produzione, e
che quindi sono presenti in queste opere, si trovano, con bel altro
peso e come assi portanti, nella produzione parigina, e
specificatamente nel primo e più celebre romanzo.
La lettura spengleriana si concentrerà quindi su Cancro: anche
se in altri romanzi sono presenti spunti spengleriani, anche se vi
compaiono singole intuizioni che possono essere fatte risalire al
Tramonto 12, tuttavia é solo in Cancro che queste intuizioni
trovano la ricomposizione in un tutto organico. Lì emerge una
visione della contemporaneitá, una immagine della storia e del
divenire, una teoria della vita e dell'arte che mostrano la loro
vicinanza alle posizioni spengleriane. I simboli della decadenza,
11 Questa é anche l'immagine che emerge da buona parte della critica milleriana.
Basti ricordare K. Shapiro, che parla di Miller come di uno "scrittore sapienziale",
un "santo", un "Gandhi col pene", "scrittore di Saggezza, intendendo per
letteratura di Saggezza un tipo di letteratura che sta tra la letteratura e le Scritture"
(vedi K. Shapiro, 'Il più grande autore vivente' in AAVV, H.Miller, il sesso, la
censura e Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 41-61).
12 Questo vale anche per il caso giá citato di Plexus, dove la riflessione finale su
6
come i simboli del riscatto e della salvezza, procedono sulla
falsariga della filosofia del Tramonto. Questo significherá, a
seconda dei casi, o una diretta influenza spengleriana, oppure la
compartecipazione ad un clima culturale comune: partendo dal
comune presupposto di una evidente crisi della civiltà, vedremo
come affine sarà anche, pur nel divergere di interessi lontani, la
direzione verso la quale si volgeranno per individuare la forza che
salva dalla decadenza. L'impostazione del percorso sarà identica
nei due, anche se porterà a soluzioni spesso contrastanti tra loro.
Il periodo che va dalla seconda metà degli anni Venti fino al
1934, anno della pubblicazione di Cancro, è il più intenso per la
formazione di Miller: accanto a Joyce, Proust, Nietzsche,
Spengler vi occupa un posto di primo piano. Il peso della sua
presenza lo si avverte scorrendo l'epistolario Miller-Nin. Anais
Nin, scrittrice e per breve tempo amante di Miller, fu soprattutto
un'amica che lo incoraggiò come scrittore e che lo sostenne
economicamente, finanziandogli la pubblicazione di Cancro: essa
fu inoltre una interlocutrice sensibile ed acuta per le riflessioni
dello scrittore americano sull'arte, sulla propria visione del
mondo, e soprattutto sul senso del propria lavoro.
Scorrendo l'indice analitico alla fine delle Lettere ad Anais Nin13
e di Storia di una passione. Lettere 1932-195314, ci si rende conto
che Spengler è l'intellettuale più citato dopo D.H.Lawrence. Se
controlliamo le citazioni, vedremo che il suo nome compare
prevalentemente nel periodo tra il febbraio del '32 (Miller e la Nin
si conoscono alla fine del '31) e la fine del '33: esattamente gli anni
della stesura definitiva di Cancro, di Capricorno e dell'inizio di
Primavera. E' Miller che fa conoscere il filosofo tedesco alla Nin:
13H. Miller, Lettere ad Anais Nin, Milano, Longanesi, 1987. Le lettere coprono
un arco di tempo che va dal 1931 al 1946.
14 H.Miller-A.Nin, Storia di una passione. Lettere 1932-1953, Milano,
Bompiani, 1994. Le due raccolte presentano, tranne in rari casi, lettere diverse.
7
vastità e ricchezza. Mi piacerebbe poterne parlare con
te. Non voglio leggere altro."15
"George Grosz's paintings, as well as Grosz's and Spengler's ideas about 'the late-
city man', were inserted"; J. Martin, Always Merry and Bright, cit., p. 251. Vedi
anche gli appunti di Miller con il piano di lavoro degli anni 1932-33 (stesura di
Capricorno e sistemazione di Cancro), in H. Miller, H.M. on writing, N.Y., New
Directions, 1964, p. 161.
18 H.Miller-A.Nin, Storia di una passione, cit., p. 113.
8
Qui viene intrecciato un rapporto basato sull'interpretazione della
modernità come decadenza. E' l'aspetto "negativo" presente nei
due, l'indagine sulla polarità della morte. In questo senso Cancro
proverebbe, con l'efficacia delle sue immagini, la tragica attualità
delle previsioni di Spengler. Ma, all'estremo della morte, rimane
per entrambi una forza che salva, la Vita. Così scrive Miller il 7
marzo 1933:
9
problemi con la censura francese: tiratura limitata, prezzo
proibitivo e divieto di esporre il libro in vetrina. Ciononostante, il
libro fece scandalo ed ottenne anche un clamoroso successo,
tanto che ne fu stampata subito una seconda edizione. La
diffusione in Europa e poi nel mondo fu immediata, con
l'eccezione dei paesi di lingua inglese, dove Tropico del Cancro e
buona parte della produzione successiva di Miller furono banditi
come "osceni", in ciò seguendo una tradizione illustre di
censurati, da L'amante di Lady Chatterley a Ulisse di Joyce. Il
romanzo tuttavia circolò, clandestinamente, anche negli Stati Uniti.
Il Cancro del titolo è simbolico, ed in più sensi. Cancro è
innanzitutto una malattia, un tumore maligno che divora la civiltà
occidentale dal suo interno. Ma non solo:
10
percorso storico, l'impasse di una civiltà giunta al punto estremo
di realizzazione lungo un cammino sbagliato. Allo stesso tempo, il
cancro è prognosi, figura simbolica che mostra il destino
dell'Occidente e il tragitto che resta da percorrere affinchè questo
destino si compia pienamente.
Il Cancro implica un giudizio sul mondo contemporaneo.
L'immagine è pessimistica e nel corso del romanzo assume tratti
addirittura apocalittici:
11
mostra l'azione di quelle leggi eterne che muovono gli eventi della
storia:
23 ibidem, p. 669.
24 Su questo punto l'influenza spengleriana è evidente. Vedi in merito Giuseppe
Picca, Introduzione a Henry Miller, Milano, Mursia, 1976, p. 41-42 e 130-131.
25 O. Spengler, Anni decisivi, Milano, Bompiani, 1934, p. 10.
26 Henry Miller-Anais Nin, Storia di una passione. Lettere 1932-1953,
12
"Una cosa mi sembra sommamente palese, ed è
che la condanna e la distruzione, le quali figurano
tanto spiccatamente in tutte le profezie, vengono
dalla conoscenza certa che l'elemento storico o
cosmico nella vita dell'uomo è solo transitorio. [...]
La storia deve seguire il suo corso, diciamo. E'
vero, ma perchè ? Perchè la storia è il mito, il vero
mito"27
13
persino: 'Tutto quello che so, voglio metterlo in
questo libro'."28
E, più avanti:
Montgomery Belgion, 'French chronicle' in The criterion, XV, 86, ottobre 1935.
Carla De Petris, 'Henry Miller' in Letteratura americana. I contemporanei.
W.A. Gordon, The Mind and Art of H.M., Baton Rouge, Lousiana State U.P.,
1967.
Giuseppe Picca, Introduzione a H.M., Milano, Mursia, 1976, p. 159-160.
Karl Shapiro, 'Il più grande autore vivente', in AAVV., Miller, il sesso, la
censura e il Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 41-61.
30 Henry Miller, Il tempo degli assassini. Saggio critico su Rimbaud, Milano,
14
"Un artista si procura il diritto di chiamarsi un
creatore, solo quando ammette con se stesso di
non essere che uno strumento. [...] L'uomo non
crea nulla da sé e di per sé. Tutto è creato, tutto è
stato predesignato...e nondimeno c'è libertà.
Libertà di cantare le lodi di Dio. E' questa l'azione
più alta che l'uomo possa compiere [...]. E' questa
la sua libertà e la sua salvezza, posto che è la sola
maniera di dire sì alla vita."31
31 ibidem, p. 103.
32 "Lo stesso simbolo originario [...] agisce nel sentimento della forma di ogni
uomo, di ogni comunità, di ogni stadio ed epoca dettando lo stile di tutte le
manifestazioni della vita. Esso vive nelle forme politiche, nei miti e nei culti
religiosi, negli ideali dell'etica, nelle varietà della pittura, della musica e della
poesia" O. Spengler, Il tramonto dell'occidente, Parma, Guanda, 1991, p.
269.
15
significato. Ogni civiltà ha avuto il suo stile, espressione di una
forma con la quale l'artista si trova, suo malgrado, a dover fare i
conti: fin dalla nascita, il suo vocabolario espressivo è deciso.
Prima della sua opera, è lo stesso Henry Miller ad essere un
simbolo del proprio tempo. Utilizziamo qui le categorie di
Spengler. Così scrive nella prefazione all'edizione definitiva del
Tramonto dell'occidente:
33 ibidem, p. 3-4.
34 Vedi p. 3, nota 4.
35 H. Miller, Primavera nera, cit., p. 673.
16
Esso appartiene piuttosto a tutta l'epoca; esso
agisce inconsciamente nello spirito di tutti" 36
17
arcaisticamente o ecclettisticamente, segna la fine.
[...] Un lungo giocare con forme morte, con cui si
vorrebbe perpetuare l'illusione di un'arte vivente" 38
38 ibidem, p. 316.
39 ibidem, p. 300.
40 ibidem, p. 314.
41 ibidem, p. 444.
42 In un saggio dal titolo 'Of art and the future', in Sunday after the war, N.Y.,
18
l'arbitrarietà ed artificialità. La vita che animava le sue forme si è
spenta e l'arte faustiana si accinge a morire per senilità, dopo aver
portato a compimento le proprie potenzialità. Il cordone
ombelicale che alimentava reciprocamente arte e civiltà è stato
ora reciso:
19
proprio quel Miller che quella denuncia condivide pienamente46.
Le ragioni della condanna spengleriana prefigurano quelle che
saranno poi impostazioni critiche molto diffuse di fronte
all'opera di Miller, e, fatto significativo, saranno le stesse
ragioni che spingeranno Julius Evola, traduttore del Tramonto
dell'occidente e studioso di Spengler, ad occuparsi del
"fenomeno" Miller47.
Stile informe, barocco, disarmonico, immaginifico e fortemente
personale, linguaggio volgare e osceno, predilizione che sfiora
il morboso per tutto quanto è disgustoso, sordido e
degradante: queste le definizioni, ora in positivo ora in negativo,
che la critica ha attribuito all'opera di Henry Miller. Anche la
sua figura sociale di artista trova riscontro nella descrizione di
Spengler:
46 Miller scrive in Tropico del Cancro: "Un anno, sei mesi fa, pensavo di
essere un artista. Ora non lo penso più, lo sono. Tutto quel che era letteratura
mi è cascata di dosso. Non ci sono più libri da scrivere, grazie a dio." p. 6.
Concetto ribadito in una delle sue frasi più celebri: "Ciò che non è in mezzo
alla strada è falso, derivato, vale a dire: letteratura." H. Miller, Tropico del
Capricorno, Milano, Meridiani Mondadori, 1992, p. 651.
47 Evola sottolinea positivamente la critica alla civiltà moderna e americana in
20
l'opinione corrente) caratterizzi i grandi
uomini.Goethe ad esempio si sarebbe inaridito"49
49 ibidem, p. 91.
50 Vedi Mario Praz, 'Civiltà in sfacelo' in AAVV, Henry Miller, il sesso, la
censura e Tropico del Cancro, cit., p. 108-111.
51 Questo diceva ad Orwell, che si accingeva a partire per la guerra civile
spagnola. Vedi George Orwell, 'Il ventre della balena', prefazione a Tropico del
Cancro, cit., p. V-LI. Anche in AAVV, H. Miller, il sesso, la censura e Tropico
del Cancro, cit., p. 62-97.
21
sociale dell'artista52 al contrasto tra i successi della tecnica e la
disperazione della condizione umana, dall'odio per la macchina,
forma simbolo del mondo tecnologico, alla tensione verso una
perduta purezza che si risolve nell'abbandono della volontà allo
scorrere della Vita, con tutte le disillusioni e le ingenuità che
questo comporta.
Molti di questi elementi erano stati indicati da Spengler, che
d'altra parte non aveva negato il valore simbolico e
rappresentativo di questa figura di artista: nella sua negatività egli
costituisce l'immagine più efficace del tramonto dell'occidente.
Questa è tutta l'arte che la modernità riesce a dare.
Tuttavia, non c'è solo un aspetto passivo e necessitante in Henry
Miller: la simbolicità, che finora abbiamo visto applicata alla sua
immagine di artista, va applicata anche alla sua opera, e poi alle
forme che costruiscono l'opera stessa. Tropico del Cancro ha
questa simbolicità, ma non in senso negativo. Occorre svuotare il
concetto di simbolo dalla negatività che assume nel pensiero
spengleriano quando viene applicato all'interpretazione dell'arte
contemporanea. Il filosofo tedesco non riesce a scorgere che,
dietro l'apparente caos delle forme espressive dell'avanguardia, si
cela in realtà una grande elaborazione simbolica, e che quello che
può apparire caos testimonia certo della frammentarietà del reale,
ma nella forma mediata dell'espressione estetica.
Se ritorciamo su Spengler i suoi stessi principi, vediamo come
anche la sua figura presenti una sostanziale ambiguità. Anche
Spengler ha tutti i caratteri per essere un simbolo del proprio
tempo, con quella duplicità di aspetti passivi e attivi che abbiamo
riscontrato in Miller. Costruisce una serie di forme simboliche con
le quali spiega la modernità, e nella quale anch`egli rientra di
diritto, simbolo dell`epoca con tutti i pregi e con tutti quei limiti e
difetti che proprio la sua opera ha contribuito ad illuminare53.
52 Un tema che sta molto a cuore a Miller e sul quale ritornerà più volte nelle sue
opere, da Il tempo degli assassini, cit., a Ricordati di ricordare, Torino, Einaudi,
1979.
53 Theodor W. Adorno mette bene in rilievo il rientrare di Spengler nella propria
immagine della civilizzazione: "A voler applicare allo stesso Spengler il linguaggio
delle forme della civilizzazione da lui denunziata e nei modi a lui propri, non si
22
Per Spengler l'arte moderna non ha più portata simbolica ed è
l'immagine della morte di un'anima: ma, se Il tramonto
dell'occidente pone l'arte su un terreno dove non si intravede la
possibilità di un futuro, Tropico del Cancro rappresenta una
risposta su questo stesso terreno, quasi a significare che anche
nel deserto di una metropoli possono crescere i simboli della
cultura. Sembra quasi che Miller accetti integralmente le regole del
gioco stabilite da Spengler, per dimostrare che nonostante tutto
l'artista riesce ancora a ritagliarsi un spazio proprio ed espressivo.
Ed è così che Tropico del Cancro assume quasi il sapore di una
scommessa vinta.
23
"Dovunque, incertezza, timore, confusione. La
incomprensione totale. Un'altra crisi, diceva la
gente.
E le crisi si avvicendavano, crisi d'ogni genere,
politiche, economiche, sociali [...] Era un banco di
nebbia, una foschia, una condizione atmosferica:
l'aria era pesante. [...]
Nessuno sapeva quel che c'era dietro questa crisi,
quel che c'era sotto questa muffa, sotto questa
ruggine: si ignorava il marciume sotterraneo, che
seguitava ad aprirsi la sua strada" 55
55 Michael Fraenkel, 'Genesi del Tropico del Cancro', in AAVV, Miller, il sesso,
la censura e Tropico del Cancro, cit., p. 112-135.
56 ibidem, p. 115.
24
leggevano Il tramonto dell'occidente57, e Spengler era diventato il
filosofo del momento.
Il tema della decadenza permeava tutta la cultura occidentale fra
le due guerre. Basta passare in rassegna qualche titolo per
rendersene conto: Il disagio della civiltà di Freud è del 1929, La
crisi della civiltà di Huizinga ( che ha come riferimento polemico
proprio Spengler ) è del 1935, La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale di Husserl del 1936, La situazione
spirituale del nostro tempo di Jaspers del 1931. Quanto alla
letteratura, si possono ricordare opere come La montagna
incantata di Mann ( 1924 ), L'uomo senza qualità di Musil (
1930-33 ), Terra desolata di Eliot ( 1922 ) oppure i Cantos di
Ezra Pound. La crisi dell'occidente portava poi con sè tutta una
serie di approfondimenti sulla problematicità del mondo moderno
e sulle sue prospettive: ne è un esempio la grande riflessione sulla
tecnica e sul rapporto tra l'uomo e la moderna realtà tecnologica,
riflessione che vede in quegli anni i contributi di Heidegger,
Husserl, Junger, Spengler. Questo per dire come la questione
sollevata da quest'ultimo avesse colto nel segno.
In questa storia una parte importante è quella di Tropico del
25
Innanzitutto osserviamo il tono complessivo: l'atteggiamento non
è quello di chi si accinga ad esaminare il problema isolandone
minuziosamente gli elementi positivi da quelli negativi. E' piuttosto
un rifiuto radicale e violento, che non fa distinzioni nè vuole farle,
che non tollera sottigliezze e sordine. Nella metafora anarchica del
libro come esplosivo, dinamite59, scorgiamo l'intento di mettere
una pietra sul passato: la storia dell'occidente è la storia di un
errore di percorso, una deviazione dal senso della vita umana.
La negazione dell'occidente coinvolge quindi non solo le forme
estreme della sua decadenza, ma anche e soprattutto i suoi
principi fondanti. Ogni valore viene rifiutato:
59 "Ora avremo un recipiente in cui versare il liquido vitale, una bomba che, a
gettarla, sconvolgerà il mondo" H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 31.
60 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 6.
26
scalcio in grembo, sono ancora una realtà di cui si
possa scrivere" 61
61 ibidem, p. 6-7.
62 ibidem, p. 31.
63 ibidem, p. 32.
64 "'Tutto ciò che è caduco è solo un simbolo'. Partendo da questa verità si
27
Cancro: chiudere i conti con millenni di storia. Ma per far questo
occorre una deflagrazione, una azione decisa e violenta, e non a
caso la metafora della bomba, che abbiamo visto riferita al
proprio libro, Miller la proietta su Il tramonto dell'occidente65. C'è
il metro di giudizio dei secoli e delle epoche ad accomunarli,
quello che Spengler definisce "sguardo dell'aquila", c'è la
sensazione che il disagio della modernità indichi il suo fallimento e
quindi la necessità di un superamento. A questo bisogno cercano
entrambi di dare una risposta, seppur con soluzioni spesso
divergenti.
28
primo passo per ogni futura guarigione66. La civiltà è trattata
come un essere vivente, come una realtà organica: si ammala,
viene divorata da un cancro, contrae infezioni ed epidemie ed
emana cattivi odori. E` la stessa prospettiva di Spengler: le civiltà
seguono i ritmi organici delle leggi di natura, nascono dal suolo,
crescono e fatalmente muoiono. Simbolo di questa ciclicità
organica è il tramonto, tramonto del sole e tramonto
dell'occidente, realtà naturali entrambe. In Miller questo stesso
organicismo si esprime attraverso la presenza di simboli come la
malattia, il tumore, la carne e il sangue, la morte, tutte espressioni
di una realtà vivente e, in Tropico del Cancro come ne Il
Tramonto dell'occidente, morente. Sarà proprio questa
prospettiva ad aprire la possibilità di un destino oltre la crisi: come
Spengler ha dimostrato, la morte è il destino di ogni cultura, ma
questo non significa che la vita abbia fine. Morte di una civiltà
significa nascita di un`altra, ed all'orizzonte del tramonto si
scorgono già le prime luci di una nuova alba.
L'attacco del romanzo è segnato dalle profezie di Boris: se il
mondo è un "cancro che si divora", se l'uomo viene divorato dal
"cancro del tempo", ciò che segue sarà una celebrazione del
potere della morte. I suoi simboli dominano e sono visibili
ovunque, sul volto degli uomini e sul volto della città: ovunque si
vada tutto è "cancro e sifilide". Accelerare il decorso della
malattia e lasciare che il destino si compia: questo è il compito
dell'artista. Miller è convinto che si debba accettare il destino di
morte e viverlo fino in fondo, per portarlo a compimento e
ricominciare da capo, ricominciare una nuova vita. La sua vuole
essere una "danza della morte", un rituale macabro che "chiama"
la morte perchè essa sola può affrettare l`avvento di una nuova
era:
29
tutto il mondo vada fuori sesto, che tutti si
grattino a morte."67
67 ibidem, p. 17.
68 ibidem, p. 6.
69 ibidem, p. 175.
70 ibidem, p. 259.
71 ibidem, p. 47
30
syphilis !' Ovunque siano muri, lá sono lucidi
tossici granchi che annunziano l'avvicinarsi del
cancro. Dovunque tu vada, qualunque cosa tu
tocchi, è cancro e sifilide."72
La danza dei simboli della morte ricorda l'avvicinarsi della fine dei
tempi, contiene un monito e un giudizio. La danza è movimento
del corpo, esplosione di vita come il riso, e nel suo accostamento
straniante alle maschere della morte fissa l'immagine di un mondo
che si avvia alla fine con colpevole inconsapevolezza:
E' così che nasce lo stile ruvido, violento, osceno di Miller, dalla
volontà sistematica di non tralasciare nulla 75: uno specchio che
72 ibidem, p. 197.
73 ibidem, p. 267-8.
74 "Se son disumano, è perchè il mio mondo ha traboccato fuori di ogni
31
non si cura di quanto sia scomodo o rivoltante ciò che riflette, ma
che si limita a rispecchiarlo fedelmente. La mancanza di pietà per il
degrado forma la violenza del linguaggio milleriano:
76 ibidem, p. 104.
32
ma anche le unghie e basta, e lui continuerà la
strage [...]" 77
77 ibidem, p. 152-3.
78 ibidem, p. 153
33
"Lo spettacolo di loro due accoppiati come una
coppia di capre, senza la minima scintilla di
passione, che macinano e macinano senz'altro
motivo che i quindici franchi, dilava ogni
sentimento che io ho, tranne quello disumano di
soddisfare la mia curiosità." 79
79 ibidem, p. 153-4.
80 ibidem, p. 5.
34
capo da un lato e mi lancia uno sguardo di
disperazione. 'Non serve' dice 'E' impossibile'. E
allora Van Norden riattacca il lavoro con rinnovata
energia, come un vecchio caprone. [...] E ora si
arrabbia perchè io gli faccio il solletico sul sedere.
'Per l'amor di Dio, Joe, piantala ! L'ammazzi quella
povera ragazza.'
'Lasciami stare' brontola 'Glielo avevo quasi
infilato' "81
81 ibidem, p. 154-5.
82 ibidem, p. 46-7.
35
il cuore stesso del cancro, l'epicentro della crisi. Lì è possibile
seguire l'evolversi della malattia, vivendola nella propria
esperienza.
La città è una protagonista del racconto, la sua presenza è
costante e filtra attraverso i discorsi, i pensieri, le azioni. Parigi era
un topos dell'immaginario americano: era il cuore della vecchia
Europa, il continente delle proprie origini e dalla storia millenaria,
ed era la città degli artisti (se ne contavano trentamila nel 1929),
dello spirito, dell'avanguardia, dei geni incompresi e delle eterne
speranze. Parigi è carica di significati anche per Miller: è la fuga
dalla "macina da mulino" americana e la realizzazione come
scrittore. La trasposizione dalla storia personale alla dimensione
simbolica è immediata:
83 ibidem, p. 34.
36
ruota e mostra tutte le fasi del conflitto, ogni sfaccettatura. E' una
terra di nessuno, un palcoscenico artificiale che, proprio per la
sua neutralità, costituisce lo sfondo ideale per i drammi di ognuno.
Una incubatrice di feti giunti da ogni parte del mondo. Parigi è la
metropoli dell'era della civilizzazione, l"ultima città" per usare un
termine spengleriano ripreso da Miller84:
37
quel folle carnaio che è". In questa realtà non sembra esserci altra
scelta che la morte: la morte dell'occidente, la morte del suo
mondo, dove "la ruota che fanno girare gli schiavi si estende
all'infinito" e dove "la logica corre sfrenata" 87. Parigi appare in
continuo e tragico movimento, tragico perchè nasconde senza
riuscirci la perdita di significato dell'esistenza. E' la celebrazione
del trionfo della morte.
C'è un'altra immagine che viene associata a Parigi: la "pancia
della balena", le "visceri stesse della terra" 88. Ne Il mondo del
sesso Miller parlerà di "tipica atmosfera uterina, satura di tutti i
babilonici lussi della decadenza". Vivere Parigi significa
immergersi nelle visceri della terra, là dove si svolgono i
movimenti fondamentali: l'atteggiamento di Miller è quasi quello
del naturalista che osserva con curiosità lo svolgersi di eventi
fisici. Le visceri sono l'origine della vita, e stesso significato ha
l'utero: Miller ripete spesso il suo desiderio di "tornare nell'utero",
volendo intendere il ritorno alla fonte stessa della vita. Nell'utero si
svolgono i processi essenziali. E' questo accostamento che dona
a Parigi il suo fascino e la sua "positività": qui si svolgono
processi mortali ma anche vitali, si assiste alla morte ma anche ai
primi sintomi della vita. Nella metropoli c'è tutto lo sfascio della
civiltà ma anche tutta la forza della vita, che permane nonostante
tutto. Non tutte le energie liberate nella decadenza sono negative.
Miller entra spontaneamente nel ventre della balena per registrarne
i movimenti segreti e studiarne flora e fauna89.
87 ibidem, p. 193.
88 ibidem, p. 193.
89 "Nel ventre della balena" è il titolo di un celebre saggio di G. Orwell su Miller.
38
"fauna" parigina in questo senso è ricca di attori. Il primo che
incontriamo è Boris, il profeta di sciagure che si compiace della
propria disperazione, modello dell'intellettuale decadente che vede
tutto attraverso il filtro delle idee, del "suo" Platone, del "suo"
Spinoza, e che parla in una lingua che è "una specie di matematica
superiore" nella quale non può entrare nulla di vivo, nè carne, nè
sangue. Tutto è "astrazione fantastica, spettrale, vampiresca" 90.
Ecco di nuovo l'immagine della morte, dell'uomo come cadavere
vivente, come scheletro abbandonato dalla carne, cioè dalla vita.
Boris e l'amico Cronstadt sono spiriti esangui, e nella distanza tra
loro e Miller sta tutta la differenza che corre tra un pessimismo
compiaciuto ed una autentica disperazione: Boris e Cronstadt
vedono il crollo della civiltà come realtà intellettuale, le loro morti
sono "astratte", "agonie senza sangue". Non si fanno carico del
dramma che una consapevolezza di questo genere comporta, ed è
così che rifiutano ogni tentativo di superamento. Vivendo la
morte in astratto, possono evitarne il dolore e vivere pienamente il
piacere della decadenza. Hanno perduto il contatto con il senso
positivo della vita. Miller invece questo contatto cerca di non
perderlo mai, perchè su questo si basa la possibilità di scorgere
un futuro oltre il crollo del presente.
Altro attore è Van Norden, il grande mistificatore del sesso,
l'americano cinico e spregiudicato. La sua brutalità ed il suo
nichilismo fanno dell'amplesso il movimento di una macchina e
del mistero della creazione un segreto anatomico da svelare
illuminando con una torcia elettrica l'utero di una prostituta91. Van
Norden in certo senso è l'opposto di Boris e Cronstadt: là,
astrazione e intellettualismo come mediazioni che allontanano dalla
vita, qui il medesimo effetto attraverso una totale assenza di
significato della vita stessa, privata di sentimenti umani e ridotta
ad ingranaggio. Il mondo perde di significato e la vita diventa il
pretesto per un lamento continuo:
90 ibidem, p. 179-180.
91 "Tutto questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un vuoto e basta.
Non sarebbe divertente trovarci dentro un'armonica...oppure un calendario ?
Invece non c'è nulla...nulla di nulla. E' schifoso" ibidem, p. 150.
39
"Qualunque cosa faccia, dovunque vada, mai una
cosa che gli vada dritta. O è il paese del cazzo, o il
lavoro del cazzo [...]
'Ho i denti tutti guasti' dice, mentre fa i gargarismi.
'E' questo pane del cazzo che ti fan mangiare
qui'."92
III. 6. 1. La vita
92 ibidem, p. 110.
93 ibidem, p. 203.
94 ibidem, p. 9.
40
possibile una visione complessiva della storia, una immagine
organica del passato 95.
C'è però una forza che trascende il succedersi delle epoche, che
è "prima" di ogni civiltà e che ne rappresenta il principio
formatore: questa forza è la vita. La vita è un "fenomeno
originario", una idea concretizzatasi, una sorta di entelechia che
genera continuamente forme sempre diverse. La vita è l'essenza
stessa della realtà e si sostanzia seguendo le leggi immutabili della
natura: "procreazione, nascita, crescere, appassire, svanire". La
vita è l'eterno divenire, il moto generato dal continuo nascere e
morire di forme organiche. Essa connette ogni organismo in un
movimento che ha ritmi e cadenze comuni. Il simbolismo della
natura spiega la storia delle sue forme, siano esse piante, animali,
uomini o civiltà. Spengler riprende l'immagine eraclitea del fuoco
come simbolo del divenire: la fiamma è "un simbolo originario, un
fenomeno primordiale" che spiega la realtà. La vita stessa "è"
fiamma, è continuo movimento, un incessante accendersi e
spegnersi, nascere e morire di forme. Nasce così quel ricco
repertorio spengleriano di immagini organiche: la civilizzazione
diventa "senilità", "ceneri che si spengono lentamente", l'amore è
la "fiamma" mentre l'odio è il "freddo", la procreazione è un
"momento di calore", l'accendersi della scintilla che sprigiona la
forza del fuoco. E' il "magico fascino del rosso di sera, del fuoco
che arde nel camino...".
Questa visione "vitalistica" spiega i fenomeni della storia ma
soprattutto rassicura sul destino dell'uomo. La decadenza viene
fatta rientrare nella normale fisiologia di un organismo vivente,
figura simbolica di una ciclicità naturale. Le forme umane sono
destinate a trapassare: compiono la loro storia e poi svaniscono
insieme al destino che le ha forgiate. Ma oltre queste eterno farsi e
disfarsi di forme permane un'energia che non cessa mai di creare,
e che rappresenta la sicurezza che oltre la fine di una civiltà c'è
sempre l'inizio di un'altra. La vita rimane un mistero insondabile,
ma la sua presenza è certa: la vita è una fiamma che arde sempre,
41
che trova sempre nuovo materiale da combustione, lo consuma e
si volge altrove per ardere di nuovo. La vita sfugge agli "oggetti"
che crea: essa "non è alcunchè di oggettivo ma puro
movimento"96.
La fine di una civiltà non coincide con la fine della vita: essa
cambia solo la forma del suo manifestarsi, alla luce di nuovi
bisogni e nuovi interrogativi. Tramonta l'occidente, forma della
vita, ma non tramonta la forza che crea le forme, la vita. La morte
diventa espressione della vita, in quanto consente una continua
rigenerazione: le forme svuotate di senso cedono il posto a forme
nuove, cosicchè la vita non si cristallizza mai e non cessa mai la
sua attività creatrice. Questa osservazione consente di sfatare una
immagine di Spengler molto diffusa, quella del "pessimista", del
profeta di sciagure: accusa rivolta peraltro da un filosofo illustre
come Croce. Già nel 1921 Spengler aveva risposto con un saggio
dal titolo Pessimismo ?97. In esso si sottolineava come nel termine
"tramonto" non fosse implicita l'idea della catastrofe: tramonto è
"compimento", termine che indica il consumarsi delle potenzialità
di un'epoca e quindi il suo inesorabile spegnersi. Il "pessimismo"
mette solo l'accento su un lato della realtà che molti ignorano o
cercano di ignorare:
96 Per tutta la spiegazione del divenire come fiamma, e della vita come moto
eterno, vedi O. Spengler, Urfragen, cit., p. 43-91 (il capitolo dal titolo 'Fiamma').
97 Il saggio è contenuto nella raccolta Scritti e pensieri, Milano, Sugarco, 1993, p.
39-57.
98 ibidem, p. 51.
42
Richiamare l'attenzione sull'avvicinarsi del tramonto dell'occidente
non è essere pessimisti: significa solo che questa fine va riportata
nel quadro di una ciclicità naturale, dove ogni morte non è che una
nuova nascita. E l'idea che la morte di un organismo sia sempre la
nascita di uno nuovo è molto più vicina all'ottimismo che al
pessimismo.
Mettere in luce questo aspetto fondamentalmente "positivo" di
Spengler è importante perchè una identica positività sta alla base
del romanzo di Henry Miller. Se il Cancro indica un malessere,
esso intravede anche un percorso e quindi una nuova prospettiva.
Anche Miller ha dovuto fare i conti con l'accusa di essere un
"menagramo", accusa che gli ha permesso di chiarire
definitivamente i termini del suo concetto di decadenza:
43
"Credo che il compito del futuro sia di esplorare il
dominio del male fin tanto che non rimanga
nemmeno più una briciola di mistero. Dobbiamo
scoprire le amare radici della bellezza, accettare
radice e fiore, foglia e germoglio. Non possiamo
più resistere al male; ci tocca accettare."101
E' questo ciò che Rimbaud vuol dire quando scrive: "Una sera,
ho preso la bellezza sulle mie ginocchia - E l'ho trovata amara - E
l'ho ingiuriata.". La vita va gustata, anche quando il sapore è
amaro e provoca disgusto. Occorre attraversare il "dominio del
male" senza tirarsi indietro. Accettare significa accogliere su di sè
il cancro del presente, nutrirne i germi fino a quella esplosione
della malattia che è anche l'inizio della guarigione. In questo
senso, il messaggio è identico a quel "Ducunt fata volentem,
nolentem trahunt" che chiude il Tramonto: al destino non si deve
resistere, perchè è una realtà che va accettata con piena
consapevolezza e cognizione. Il destino impone all'uomo un
mondo, ed all'uomo non resta che accettarlo e viverne l'esperienza
fino in fondo, per quanto essa possa sembrare negativa e
degradante. Il percorso è già stabilito 102.
44
sull'opera di uno scrittore pressochè sconosciuto, qual'era allora
Miller. La posizione di Orwell non è totalmente critica, ma forse
proprio per questo è ancora più insidiosa. Innanzitutto, le doti
dello scrittore non vengono negate, anzi sottolineate con vigore:
103 G. Orwell, 'Nel ventre della balena', p. XI, introduzione a H.M., "Cancro",
cit. (ediz. orig. 'Inside the Whale', in G. Orwell,
"England Your England", London, 1954)
104 ibid., p. LI.
45
disgregazione del presente viene fatta defluire direttamente sulla
pagina, attraverso una narrazione sconnessa, frammentaria, a tratti
impossibile da decifrare se non volutamente priva di senso.
L'opera, in questo caso Cancro, presenterebbe insomma tutti i
connotati della realtà di cui parla. Ma proprio in questo starebbe la
sintomaticità (o simbolicità) di Miller:
46
sulla dialettica degli opposti (qui, distruzione e costruzione) è
fondata.
Orwell ha il grande merito di mettere in rilievo la simbolicità di
Cancro come romanzo della decadenza, che testimonia nella sua
forma frammentaria ed irrazionale il tramonto dell'Occidente e
della sua creatività artistica. Grande merito è anche l'aver saputo
indicare e dimostrare il profondo legame tra l'opera di Miller e il
proprio tempo: il romanzo mette in scena l'inquietudine di quegli
anni, la diffusa consapevolezza, tra i ceti intellettuali, dell'impasse
della civiltà, la sfiducia nei miti del progresso e della democrazia,
fino ad atteggiamenti esteriori molto in voga in quegli anni, come
la posa del "cinico" e dell'intellettuale "disincantato". Ma queste
immagini diventano per Orwell un segnale d'assenso, quasi che la
loro scelta indichi una condivisione da parte dell'autore. Mostrare
significa allora condividere, esprimere la decadenza diventa
accettarla:
47
L'identificazione dell'accettazione con la decadenza porta al
fraintendimento della complessità dell'opera milleriana 107.
Accettare la paradossale coesistenza di opposti della realtà
significa solo riconoscere una struttura dialettica evidente
nell'esperienza: per Miller accettare significa allargare gli orizzonti,
o, più precisamente, far entrare la materialità, la fisicità dell'uomo,
la sua parte carnale e "naturale" nel mondo del pensiero, donare
dignità di rappresentazione alla parte corporea dell'individuo, ed
alla sua componente animale, dionisiaca.
Accettazione significa ammettere la complessità e la
contradditorietà del reale:
48
contraddizione quando, dopo essersi definito un "capricorno", un
essere bestiale metà uomo e metà caprone, parla dell"angelo come
filigrana", della purezza spirituale come sostanza metafisica della
sua vita e della sua scrittura. Questo perchè tra i due momenti non
vede cesure: le vette dello spirito non sono che gli abissi della
carne rovesciati, e viceversa. Occorre guardare in faccia le cose
ed accettarle per ciò che sono:
49
possibilità umane di racchiuderla in una definizione o in
un'immagine onnicomprensiva. L'esperienza è fatta di razionalità e
di caos: vedere in essa solo una serie ordinata e sensata di
fenomeni significa occultare la verità, costruire una immagine del
mondo funzionale ai propri desideri ma falsa in quanto unilaterale,
proiezione della volontà di potenza della ragione. Gli sforzi
dell'intelletto per comprendere la realtà nelle proprie categorie, per
Miller, non cancellano quelle zone oscure che sfuggono ai tentativi
dell'uomo di stabilire un ordine e una logica. Di fronte al mondo,
allora,
111 H. Miller, Il sorriso ai piedi della scala, Milano, Feltrinelli, 1992 (quarta
edizione), p. 76-7.
112 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 271.
50
sangue, così come le parole e le civiltà. Tutta la realtà è animata da
un principio vitalistico di eterno divenire: le immagini del "flusso"
ci riportano al principio stesso della vita, che è continuo
mutamento, incessante farsi e disfarsi di forme, una dialettica
eterna di nascita e morte. Il permanere del "flusso" oltre le cose
che esso trascina con sè indica la presenza di un valore stabile, di
una forza che è sempre presente e che sopravvive alle infinite
morti che costellano la storia dell`umanità. L`accettazione qui
diventa il "grande desiderio incestuoso" di lasciarsi andare alla
corrente, di farsi trascinare da questa energia vitale. E questo farsi
trascinare ha un riflesso, un simbolo, nel gusto milleriano per il
magma verbale, per gli elenchi, per il flusso di immagini che
sembrano sgorgare spontaneamente e senza possibilità di
controllo. Scrivere significa correre dietro a questa "eruzione" di
parole, e la penna diventa un tramite impotente tra le idee e la
pagina, uno strumento per l'oggettivazione del flusso in immagini:
113ibidem, p. 271. Per questa idea dello stile milleriano come "magma verbale"
vedi Guido Almansi, "L'estetica dell'osceno", cit., p. 231.
51
immagini simboliche affini tradisce una affinità concettuale di
fondo. In Miller è il fiume (immagine eraclitea) che simboleggia un
moto eterno. L'immagine del lento fluire della Senna chiude
Tropico del Cancro, ad indicare che la vita continua oltre il
Cancro, e che continuare a vivere significa accettare la vita nel
mutare eterno delle sue forme:
colui che pianta la tenda accanto al fiume e lo osserva, Miller "è" il fiume.
52
In Spengler ritroviamo accenti analoghi. Sempre una immagine
eraclitea (il fuoco), sempre l'idea di un moto eterno ed incessante,
una combustione perenne. Alla base della sua filosofia della
storia, come dell'opera di Miller, sta un fondamento stabile, che
spiega le dinamiche della realtà e che costituisce una garanzia sul
futuro dell'uomo. Questo fondamento, abbiamo visto, è la vita,
intesa come forza originaria e come potenza creatrice eterna.
bel pezzo di pancetta, non troppo grassa - dice...Zut alors ! Mettici anche
qualche animella, mettici coglioni di toro e, pssst, dei mitili ! Mettici anche un pò
di leberwurst fritto, già che ci sei; sarei capace di ingozzarmi tutte le mille e
cinquecento commedie di Lope de Vega in una volta sola" ibidem, p. 36.
53
desiderio di immettere linfa nuova e reale nell`arte, di ridonarle
energia stante l'aridità e l'intellettualismo della sua storia presente:
54
della civiltà cittadina, dominata dalla figura dell`intellettuale da
metropoli, si reagisce col ritorno alla radice del senso della vita,
col ritorno alla terra, al sangue, alla razza ed alla storia, o, nei
termini milleriani, alla carne ed al sesso.
Possiamo cogliere questa dinamica attraverso le evoluzioni che
Miller fa compiere all'immagine dell"oro"122. Dapprima esso sta
ad indicare un parametro di giudizio della civiltà contemporanea: la
letteratura ha sempre "base aurea", si fonda cioè su idee astratte e
lontane dalla realtà. Superare questa base significherà "raffigurare
un essere presocratico", "erigere un mondo basato sull'omphalos,
non un`idea astratta inchiodata a una croce". A questo punto,
l'immagine da puramente negativa si rovescia e l'oro diventa
nuovamente simbolo della ricchezza, ma non quella fondata sul
denaro, bensì la ricchezza di una natura pienamente umana.
Scoprire l`oro significa così ritrovare nelle visceri dell`uomo la
radice di ogni simbolismo, di ogni senso della vita:
L'oro sarà allora una vita che riacquista significato a partire dalla
sua realtà più viscerale, più concreta e profonda.
55
portando con sè tutta l'energia della vita, è la forza che può
salvare dalla decadenza. Di fronte al sesso l'uomo torna ad una
nudità che non è solo corporea ma anche ideale, torna alla propria
primitività e riscopre ciò che lo rende uomo, la sua essenza
profonda nascosta dalle sovrastrutture che lui stesso ha costruito.
Si spiega allora il significato dell"osceno" in Miller: l'osceno è
una violazione dell`ordine sociale, la sua sostituzione con un
ordine più antico, quello della natura. Tramite l'osceno, l'arte
rappresenta l'uomo nella sua condizione originaria, "presocratica",
cioè precedente alle distinzioni operate dalla ragione:
56
Ma il sesso può anche essere l'esperienza più avvilente per
l'uomo. E' il sesso dei Boris e dei Van Norden, la copula
meccanica e disanimata: l'eros diventa il corrispettivo organico del
meccanicismo della società tecnologica 126. Il sesso diventa così
l'immagine del mondo della tecnica, il suo simbolo più evidente.
La macchina sottrae all'uomo la sua essenza e lo allontana dalla
vita ottundendolo con la ripetitività dei comportamenti che
impone. Allora il sesso mostra tutta la sua negatività: la
monotonia, la volontà di sopraffazione, il vuoto di significato, la
brutalità, la violenza. Diventa una macchina cui manca la mano del
meccanico:
126 Questa era la critica che Ernst Junger muoveva a Miller: "il sesso viene
contrapposto alla tecnica. [...]" ma in realtà "in sesso non contrasta con i processi
tecnici, è anzi il loro corrispettivo nell'ambito organico". Vedi Ernst Junger-Martin
Heidegger, Oltre la linea, Milano, Adelphi, 1989, p. 97.
127 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 154.
57
dell'automa" è sancita ed il sesso diventa un'esperienza di
liberazione, la rivelazione del potere cosmogonico dell'unione tra
uomo e donna. L'eros crea un ordine ed un proprio mondo oltre
quello delle regole sociali, scrive una storia diversa e sempre
nuova. Spezza i legami creati dall'uomo e ristabilisce il dominio
delle leggi che regolano la vita della natura e degli organismi
viventi128. Esso attinge la propria forza dal contatto diretto con il
mistero della vita.
Tropico del Cancro voleva attuare una "liberazione": la
liberazione dal mondo artificiale dell'uomo. Paradossalmente, egli
deve morire al mondo per giungere alla vita. L'epoca vuole
soluzioni violente, dinamitarde, esplosioni: ed allora il torpore
dell'uomo potrà essere scosso solo dal sapore forte del sesso.
Forte perchè è l'aroma della nascita, di quanto di più denso possa
esistere. Il sesso diventa lo strumento, dell'uomo come dell'artista,
per liberarsi dal giogo della "macina da mulino" e per tornare alle
fonti di senso, per restaurare il legame tra l'uomo e il mondo. Il
sesso non è più genitale ma metafora di una condizione
esistenziale di primitività, di naturalità, di recupero dell'infanzia e
dell'innocenza perduta. Se il mondo è una serie di cassetti, come
nell'immagine di Moldorf, dove ogni cosa è etichettata con nome,
luogo e data, il sesso rimane il terreno del mistero: mistero,
perchè non comprensibile dalla ragione, mistero perchè ha sempre
in sè energie e potenzialità da esplorare, perchè è la speranza del
futuro.
Quando l'eros è passione autentica, ogni copula è diversa
dall'altra, ogni copula è reinvenzione del mondo. L'atto sessuale
non ripete mai sè stesso, ma reinventa continuamente le sue
forme, come la vita. Nella raffigurazione artistica, ogni copula
diventa l'attivazione di un senso nascosto dell'esistenza. Ecco
allora la metafora della penetrazione come attraversamento di una
città:
128 Qui il discorso procede sulla falsariga di quello di D.H.Lawrence, che è uno
degli scrittori più amati da Miller. Il suo primo libro doveva essere, infatti, un
lungo saggio sullo scrittore inglese, saggio mai concluso e pubblicato postumo.
Vedi H. Miller, The world of Lawrence, California, Capra Press, 1980.
58
"Quando sventolava la bandiera, era rossa giù fino
in fondo, fino in gola. Entravi da boulevard Jules
Ferry e uscivi da porte de la Villette."129
59
crollare. La copula, e quindi la sua raffigurazione artistica (qui
Miller difende la propria "estetica dell'osceno"), scuotono l'uomo
perchè l'artista sa dove collegarsi per trovare la corrente elettrica
del sesso. La presa è nella parti basse, nelle interiora, nelle visceri
dell'uomo, nella sua parte più carnale e più vicina alla propria
ancestrale animalità:
della metropoli:
60
Il futuro è nelle mani di chi mantiene il contatto con l'origine. Il
futuro è di Matisse e della sua arte nella quale "erompe il colore
della vita, in canto e in poesia"; con Matisse si ha la sensazione
"di essere immerso nel plesso medesimo della vita", di scorgere
"dietro le quisquilie, il caos, la beffa della vita" il "modulo
invisibile", il "pigmento metafisico" della realtà. Anche in un
mondo che va a pezzi "c'è un uomo che rimane al nocciolo", e
questo nocciolo ha connotati sessuali, "vibra di chiari, ansanti
orgasmi" ed è "denso di sperma stagnante" 135.
Il futuro è dell'Oriente, dell'India136 che deve lottare contro il
virus diffuso dall'America, "l'ossessione del tempo, la marcia
inarrestabile dell'orologio"; l'Oriente è il simbolo di una intatta
purezza spirituale che non deve cedere al modello di progresso
offerto, o meglio imposto, dall'Occidente137.
Il futuro, soprattutto, è della donna:
135 Vedi la digressione su Matisse (p. 173-177). Era un pezzo cui Miller teneva
molto (lo mantenne nell`edizione definitiva del romanzo nonostante le insistenze
degli amici perchè lo togliesse), come simbolo positivo per il futuro del mondo e
per le possibilità dell'arte. Scrive infatti Erica Jong: "Da cima a fondo Tropico del
Cancro è una digressione contro il potere della morte. Gli artisti che Miller
ammira - Matisse, Proust - sono anche quelli in cui scorge un grande spirito
antimorte." E. Jong, Il diavolo fra noi, Milano, Bompiani, 1993, p. 117.
136 Vedi H. Miller, Conversazioni a Pacific Palisades, Parma, Guanda, 1992: "In
India, mi sembra che non si sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito:
sono sempre stati legati tra loro, e come in Grecia fanno tutt'uno." p. 81. Da
notare che la Grecia cui si riferisce è, esplicitamente, quella spengleriana, dove
tutto è corpo, e dove il cosmo stesso è un grande corpo con l`uomo come centro
assoluto.
137 Vedi H. Miller, 'Of art and the future', cit., p. 154: "The clash of East and
West will be like a marriage of the waters; when the new dry land eventually
appears the old and the new will be indistinguishable. The human fundament is in
the East." Il pensiero orientale domina nella seconda parte della produzione
milleriana, dopo i romanzi del periodo parigino.
138 ibidem, p. 160.
61
La donna è il simbolo del sesso e della forza della natura: sotto le
sue molteplici incarnazioni (Mona, Una Gifford, Germaine, Llona,
Irene, Claude) resta l'archetipo della Donna Madre, culto di
popoli primitivi. E` la donna depositaria del mistero della nascita,
donna come valore eterno e come garanzia del perpetuarsi della
legge del divenire. E' lei ad alimentare il flusso della vita. E' da
notare qui la sintonia con Spengler quando scrive:
62
due percorsi che saranno spesso divergenti, ma che comunque
procedono da uno stesso fondamento positivo.
APPENDICE
63
simboliche. Il senso di questa passione è il tentativo costante di
una rappresentazione onnicomprensiva della realtà, lo sforzo di
comprendere l'esistenza e le sue contraddizioni in una immagine
complessiva, dominabile con un solo sguardo. Ed è lo stesso
sentimento, per inciso, che anima un filosofo come Spengler,
quando parla della storia come forma osservata dalla "prospettiva
dell'aquila". Espressioni entrambe di un pensiero che si fonda più
sulle capacità d'intuizione di una immagine che sulla
consequenzialità rigorosa dei concetti.
64
("world"), tra le strutture create dall'uomo ed il flusso della vita
del cosmo, che non si lascia congelare in forme morte. Anche qui
abbiamo l'eco di una distinzione spengleriana, quella tra forme al
tramonto e forme vitali, tra "zivilisation" e "kultur", tra le
astrazioni dell'intelletto ed il pulsare della vita. Così come
spengleriano è quel richiamo al destino ed alla storia della razza
("History of race. The time spirit. Destiny"), che nella figura
compare in basso a destra.
Dal microcosmo e dalle radici parte quel flusso vitale che
costruisce l'albero. Ciò che lo tiene insieme è il fusto, che
simboleggia la fede religiosa ("religious faith"), fede nella realtà
spirituale dell'uomo e nell'essenza metafisica della realtà. Essa
permette la crescita dell'istinto vitale ("vital instinct of life"), che si
concretizza nel "sacred body", nel corpo sacralizzato: lo spirito
non è qualcosa di separato dal corpo, ma proprio nella
dimensione del corpo trova la propria manifestazione più viva. Ed
è proprio dal passaggio attraverso una fase dionisiaca, passionale
("dionysian type" e "passionate experience"), che si arriva alla
ideologia ed ai cieli del macrocosmo. La scoperta dello spirito
passa attraverso la realtà del corpo. Da qui partono i rami
dell'albero, verso il mondo delle idee (a destra) e verso il mondo
dell'arte (a sinistra).
Il flusso vitale, come nutre, ascendendo lungo il tronco, l'essenza
spirituale dell'uomo, così rigenera continuamente le sorgenti della
vita. La sua energia si spinge verso l'alto e poi defluisce verso il
basso: è il concetto di morte creativa ("creative death").
Osserviamo la parte sinistra del disegno, poco sopra il livello del
suolo: "the whole form of our world mustys", cioè l'intera forma
del nostro mondo avvizzisce. Questo sentenzia il "Profeta del
Fato" ("Prophet of the Doom"), probabilmente lo stesso
Spengler. La morte delle vecchie forme è però creativa, e nel
disegno è connessa con la crescita ("growth"): spazzare via i rami
secchi significa aprire spazi per altre creazioni e per il sorgere di
nuovi germogli. In questo senso la morte creativa riporta la vita
al'origine, al suolo, e con essa lo nutre. Il flusso vitale scorre
incessantemente verso l'alto e verso il basso, ed il suo movimento
consente a microcosmo e macrocosmo di perpetuarsi. E'
65
l'ennesima immagine del monismo milleriano, che fa sì che
opposti quali vita e morte, creazione e distruzione possano
coesistere in una immagine ciclica del movimento della vita; ed
anche qui la vicinanza alla filosofia di Spengler, allo svolgersi della
storia secondo lo schema di una ciclicità naturale, appare
evidente.
In conclusione, l'immagine che il disegno ci offre, attraverso la
simbologia dell'albero della vita, è quella di una realtà naturale
fondata su opposti o quantomeno su realtà parallele, sincroniche:
microcosmo e macrocosmo, utero e cieli, forma e mondo, realtà e
metafisica, nascita e morte, morte creativa e morte non-creativa.
Le opposte polarità però li tengono uniti, in un serrato rapporto
dialettico che forma la realtà. Ecco allora la raffigurazione
sintetica, l'immagine simbolica della pianta, che, pur diramandosi
in ogni direzione, trova un elemento originario di coesione
nell'essere attraversata senza soluzione di continuità dalle linee del
flusso vitale, veri e propri canali linfatici dell'organismo
macrocosmico.
66
ILLUSTRAZIONE N. 1
67
ILLUSTRAZIONE N. 2
68
IV
ESTETICHE A CONFRONTO
123
filosofia spengleriana, la seconda volta a fissare quei concetti
fondamentali che ci consentono di parlare, pur tra le contraddizioni di
un pensiero che ovviamente non è sempre rigoroso, di una "estetica
milleriana". Si è scelto di trattare qui separatamente i due autori
fondamentalmente per due motivi: innanzitutto perché il senso di una
ricerca sull'estetica di Miller e di Spengler non si esaurisce nel
rintracciare punti comuni e prospettive di fondo analoghe. Queste
convergenze, più o meno spiccate, sono presenti, e certamente,
quando si presenteranno, verranno rimarcate. Tuttavia, l'accostamento
non va forzato nella ricerca di un parallelismo ad oltranza e
nell'esasperazione delle analogie presenti, con un procedimento
meccanico di corrispondenza per cui ogni elemento comune venga
enfatizzato, ma va lasciato aperto e problematico, così da permettere
di seguire i due percorsi nel loro intrecciarsi ma anche nel loro
reciproco differenziarsi.
Limitarci ai tratti comuni tra i due ci avrebbe portato ad un quadro
parziale, difficilmente comprensibile e tutto sommato di scarsa utilità:
prolungare la trattazione, nei due sensi, oltre i presupposti comuni ci
consente di avere una visione chiara e completa del senso dell'arte e
della sua storia, sia in Miller che in Spengler. E questo è di grande
importanza per chiarire alcuni punti decisivi: nel caso di Miller, ci
consentirà di fissare preliminarmente alcuni concetti ed alcuni
procedimenti, che vedremo all'opera nel quinto capitolo, dedicato
all'analisi del suo romanzo più celebre e significativo. Avremo così un
quadro chiaro dell'idea di arte che ha prodotto Tropico del Cancro.
Quanto a Spengler, l'insistenza sul motivo dell'estetica obbedisce a
diverse esigenze: sottolineare la centralità della riflessione estetica e
delle sue categorie ne Il Tramonto dell'Occidente, rivendicare il valore
gnoseologico dell'arte, in linea qui con Miller, il suo significato
simbolico di espressione della storia del proprio tempo, ed infine
fornire le basi concettuali, i presupposti estetici e metodologici alla
lettura di Tropico del Cancro, che è romanzo "spengleriano" non solo
per i contenuti ma anche per l'idea di arte che ne è alla base.
Questi in sintesi i motivi che hanno concorso a dare a questo
capitolo il suo senso e la sua forma. Accostare l'opera di due
intellettuali così distanti tra loro significava fissare un piano comune
sul quale le diverse posizioni si confrontassero e si chiarissero
124
vicendevolmente, quasi mostrando da sé i momenti di rottura e di
riavvicinamento. Questo piano comune, trattandosi di Spengler e di un
protagonista della letteratura del Novecento, non poteva che essere il
luogo della riflessione sull'arte.
125
cioè del condottiero, dell'uomo d'azione per eccellenza; ma vale anche
per il filosofo e per l'artista1, e qui arriviamo al punto che ci interessa.
La realtà, come aggregato di fatti naturali e di eventi storici, non ha
alcun significato: per dare ad essa un senso, per comprenderne il
destino e quindi l'intima essenza, occorre coglierne la dimensione
simbolica. In sostanza, occorre rendere "espressiva" la storia,
togliendola con un atto creativo dal terreno del determinismo
scientifico e dell'insignificanza per l'uomo. La storia rivela la propria
natura solo ad una lettura estetica, cioè solo se si scorge nella storia
una successione di forme che descrivono simbolicamente l'interazione
tra l'uomo e il mondo che lo circonda. In questa prospettiva le
immagini del filosofo e dell'artista si sovrappongono:
126
atto creativo, cioè attraverso l'individuazione delle espressioni
simboliche del diverso rapporto che l'uomo di volta in volta stabilisce
con la natura, con i propri simili, con le macrostrutture sociali,
politiche, culturali. La storia è insomma un repertorio dei modi con cui
l'uomo dà un significato alla realtà: questa è la prospettiva messa in atto
dai concetti spengleriani di simbolo ed espressione.
Vedere la storia attraverso una prospettiva estetica ha il senso, ne Il
Tramonto dell'Occidente, di donare alla scienza storiografica il
carattere di esperienza concreta del divenire. Siccome il simbolo è una
concreta espressione dei bisogni e delle paure dell'uomo, in una parola
della sua "anima", fare della storia un repertorio di simboli significa
trasformarla da scienza morta del divenuto ad esperienza vissuta del
divenire: allo schema si sostituisce il concreto movimento della realtà
nella sua metamorfosi di forme, all'astrattezza dei fatti e delle leggi
scientifiche si sostituisce la comprensione dell'anima della storia, della
traiettoria del suo destino espressa dalle forme del simbolo. Vedere la
realtà esteticamente è l'unico modo per comprenderne l'essenza
profonda, vale a dire il destino:
127
potuto dare tale forma a quel che egli percepì nei
grandi momenti dell'abbozzo del suo Faust [...]."
(ibidem, p. 156)
128
le scienze fisiche e matematiche) ma attraverso intuizioni, visioni che si
accumulano e si sovrappongono senza annullarsi.
129
suo futuro. Il simbolo primo della civiltà è l'"estensione": ogni civiltà ha
avuto una diversa concezione dell'esteso, ognuna delle quali
costituisce la realizzazione e l'espressione di una delle infinite
possibilità del rapporto tra microcosmo e macrocosmo. Spengler
scrive:
130
simbolo è l'elemento che, come testimonia la sua etimologia, "mette
insieme", cioè riesce a tenere unita la cosa al proprio significato. In
questo modo, il simbolo rende conto della storia senza astrarsene, in
quanto non si impone alla realtà provenendo dall'alto, ma prende forma
dal basso, dalle concrete metamorfosi del divenire.
131
gotiche, l'enfasi, in fisica, sull'idea di forza, la forma politica
dell'imperialismo, la trascendenza della musica sacra, la scelta per la
scrittura piuttosto che per l'eloquenza oratoria come forma di
comunicazione spirituale, queste sono tutte forme che allo sguardo
morfologico (estetico) testimoniano una identica struttura stilistica, la
comune vocazione all'azione e all'oltrepassamento dei limiti in nome
della volontà di potenza. Questo è lo stile dell'azione, questo è lo stile
della civiltà faustiana.
Non a caso, lo stile è anche una spia del destino della civiltà: simbolo
del destino non solo perché testimonia dell'anima di cui è
necessariamente espressione, ma anche perché mostra, nel suo interno
sviluppo, la parabola della storia della civiltà, e rappresenta la spia del
continuo mutare del rapporto tra l'uomo e le forme della propria
Kultur. Quando una civiltà è espressiva, quando ha uno stile unitario e
chiaramente decifrabile, allora si è nel rigoglio delle sue possibilità.
Quando una civiltà perde la propria capacità espressiva e recede dalla
propria attività di simbolizzazione, allora scompare anche il grande
stile, l'organicità del rapporto tra l'uomo e le proprie forme, culturali,
politiche, sociali, viene meno, e si assiste al tramonto dell'anima.
La presenza o meno dello stile determina, per lo sguardo dello
storico, la mappa del percorso della civiltà. Un altro concetto utile in
riguardo è quello di "ritmo" o "durata". Scrive Spengler:
132
in questo senso, il ritmo che ha attraversato la civiltà faustiana è
diverso da quello dell'uomo arabo o dell'uomo cinese. Spengler
utilizza due espressioni del lessico musicologico:
Il cinese avrà come ritmo della vita l'assenza di ritmo, il greco aveva
come ritmo la cadenza dell'andante. Ancora una volta, un concetto
estetico ci conduce dalla visione del fenomeno (dalla superficie) alla
comprensione dell'essenza della vita delle civiltà.
Le categorie del simbolo, della forma, dell'espressione, dello stile e
del ritmo fanno della storia un volto, un'immagine, o un "fenomeno"
nel senso goethiano del termine. Tutta la teoria è già nel fenomeno,
dice Spengler citando Goethe5: la prospettiva de Il Tramonto
dell'Occidente si mantiene sempre su questo piano, proponendo una
forma di conoscenza che si fonda su una dinamica estetica. La storia è
una realtà viva solo se le sue forme rimangono tali: l'occhio dell'artista
e del filosofo mantiene l'organicità e quindi la pienezza del simbolo,
perché non scinde il fenomeno dal suo significato, al contrario dello
5 - "Goethe disse una volta: 'Non si cerchi nulla dietro ai fenomeni; essi stessi sono la
dottrina'" (ibidem, p. 243).
133
scienziato che, affondandovi il bisturi dell'analisi, toglie al fenomeno il
suo senso e lo snatura. Vedere la storia come una successione di
forme è l'indice di una giusta distanza nel rapporto conoscitivo tra
l'uomo e il mondo. Vedere la storia come una serie di fatti dominati dal
principio di causa effetto significa vedere qualcosa di
"qualitativamente" diverso dalla realtà viva.
134
suo caso assume una particolare pregnanza: ce ne accorgiamo
soprattutto nella prima parte de Il Tramonto dell'Occidente, dove la
comprensione della storia procede in larga parte dalla morfologia delle
forme artistiche. Sono i simboli dell'arte a dominare: le forme
architettoniche, le forme di raffigurazione dell'uomo e della natura, le
scelte linguistiche hanno una priorità decisiva, innanzitutto perché sono
le categorie dell'estetico a rendere possibile una filosofia morfologica,
e in secondo luogo perché l'arte è il linguaggio dell'anima, la sua forma
di espressione più immediata, più profonda ed efficace.
Scrive Spengler che "ogni arte è una lingua dell'espressione"
(ibidem, p. 290). Questo ci rimanda alla distinzione tra "lingue di
espressione" e "lingue di comunicazione", tra il linguaggio della
religione e dell'arte e quello della comunicazione:
6 - Non a caso, il passaggio dalla "Kultur" alla "Zivilisation" è segnato, nell'arte, dal
superamento di questa distinzione, per cui nell'artista intellettualizzato della metropoli
"l'impulso ad esprimere viene sopraffatto dall'impulso e comunicare. Da qui nasce
quell'arte a tesi, che vuol istruire, convertire e dimostrare in sede politico sociale o
morale" (ibidem, p. 1415, nota 28).
135
delle caste sacerdotali ha per base il convincimento
che esse sole conoscono la lingua con cui l'uomo può
comunicare con Dio." (ibidem, p. 815)
136
Qui l'antitesi è interna all'arte. L'accento positivo cade sul concetto di
imitazione, ma anche l'ornamento ha un proprio significato ed una
propria importanza. L'imitazione è l'immediatezza e la vitalità del
divenire, mentre l'ornamento è il simbolo, ciò che ha significato e che
trasmette, nella forma il meno possibile mediata, l'irripetibilità
dell'esperienza concreta. Ogni arte è imitazione e ornamento.
Quest'antitesi riproduce in forme visibili le due grandi pulsioni che
animano la vita dell'arte: l'angoscia e il desiderio. È un punto decisivo:
angoscia e desiderio sono i centri nevralgici della creatività, le due
anime dell'arte. Così scrive Spengler:
7 - In Faust convive la volontà di potenza con il rispetto per le leggi del macrocosmo, il
sentimento di onnipotenza con la consapevolezza della fragilità e della precarietà
dell'uomo.
137
strumento dell'angoscia per occultare la complessità dolorosa del reale.
Ma anche il versante del desiderio non può fare a meno del sentimento
dell'angoscia, che ipostatizza le forme dell'esistenza ma le rende anche
comunicabili, espressive; la loro simbiosi permette la cristallizzazione
del divenire nei simboli.
138
non potrà che essere un fenomeno unitario, omogeneo: per l'anima
occidentale solo un'arte è possibile, solo uno stile, e questo stile
"decide" l'artista, lo informa di sé.
L'artista diventa un "tipo", ovverosia un modello che si riproduce
sempre identico all'interno di uno stesso dominio di forme. Se l'arte
esprime l'essenza di una civiltà, allora ogni artista non potrà che
esprimere sempre e soltanto quest'anima; la forma imposta dall'anima è
un destino cui egli non può sfuggire. Il fondamento del suo valore starà
nella capacità di farsi strumento, veicolo del significato dell'anima. La
sua dignità è la dignità di chi sa piegarsi, cosicché la gerarchia tra artisti
si viene a determinare non in base alle capacità tecniche o alle personali
doti di fantasia (elementi che schiaccerebbero l'arte o nel dominio del
meccanicismo o in quello del futile, del non necessario), ma a seconda
della maggiore o minore capacità di espressione dell'unico stile.
Il concetto di "tipo" consente a Spengler di avere un principio
unitario sia sul piano della creazione delle forme, sia su quello della
comprensione del loro significato: da una parte il "destino" e l'"anima",
dall'altra lo "stile". Anima e destino rappresentano una comune origine
che genera i simboli dell'arte e che è sottesa alla loro apparente varietà.
Lo stile è invece il principio unitario in sede comprensione estetica,
principio che ci consente di riunire diverse forme sotto un unico
dominio espressivo.
La tipicità dell'artista ha un'ulteriore sfumatura di significato. Scrive
Spengler:
139
carattere di passività e di inconsapevolezza è messo bene in evidenza
in questo passo dalle 'Riflessioni sul lirismo':
140
limita a mostrarne la decadenza nelle proprie forme sfatte e sterile,
testimone dei tempi proprio attraverso questa perdita di significato e
questo sopraggiunto nichilismo espressivo. L'arte diventa
simboliche divenute arte, scienza, linguaggio: il suo tramonto è il tramonto della capacità
di espressione simbolica" (Tramonto, p. XX).
9 - "L'uomo euro-occidentale non dovrà più attendersi una grande pittura e una grande
musica" (Tramonto, p. 71), per cui "se per effetto di questo libro uomini della nuova
generazione si dedicheranno alla tecnica invece che alla lirica [...] essi faranno proprio
ciò che io desidero, né si potrebbe desiderare per essi nulla di meglio." (ibidem, p. 72).
10 - Qui Spengler porta a compimento una tradizione di pensiero che parte da Hegel,
dalla "morte dell'arte" e dalla sua definizione come "domenica della vita", e che giunge
sino a Nietzsche, dove all'arte dell"epoca del lavoro" viene negata ogni valore che non
sia quello della "ricreazione". Anche Miller sottolinea più volte l'estraneità dell'artista
rispetto alla società, estraneità che è il simbolo dell'alienazione dell'anima in un mondo
meccanizzato: "Ad onta di tutta la sua potenza, la società non può sostenere l'artista, se
141
Scrive Spengler:
è impenetrabile alla visione dell'artista. Da tempo ormai la nostra società è del tutto
indifferente al messaggio dell'artista. La voce che trascorre negletta alla fine si riduce al
silenzio." (Rimbaud, p. 99).
11 - Nel saggio 'Of art and the future' Miller riprenderà quest'espressione: "Il mondo
culturale nel quale galleggiamo [...] sta rapidamente scomparendo. L'era della cultura
europea, includendo con questo l'America, è finita. La prossima epoca appartiene ai
tecnici." ["The cultural world in which we swam [...] is fast disappearing. The cultural
era of Europe, and that includes America, is finished. The next era belongs to the
technician"] (Art, p. 148).
142
"Il segno di ogni arte vivente, cioè la pura armonia tra
volontà, interna necessità e capacità, la naturalezza del
fine, l'inconscio della realizzazione, l'unità di arte e
civiltà - tutto ciò è finito." (ibidem, p. 440)
12 - Giudizio ribadito nelle confessioni del suo diario: "Tutto il mondo intellettuale
contemporaneo mi fa l'effetto di un uggioso paesaggio decembrino, sporcizia, nebbia,
freddo, qualche cornacchia svogliata su rami spogli." (Eauton, pp. 36-7).
13 - "Chi altro se non Spengler [...] avrebbe osato parlare del glorioso Rinascimento
come di un 'contrattempo' ?" (Plexus, p. 739).
143
massa dell'arte attraverso la riproduzione in serie, l'estetica dei
manifesti e dei gesti trasgressivi, estremisti, tutto ciò ripugnava ad un
filosofo che aveva dell'arte un'immagine formatasi sui modelli classici,
e che non oltrepassava il tardo romanticismo ottocentesco.
Scrive infatti in 'Pessimismus?':
14 - È quello che Anais Nin, in una lettera dell'agosto '32 ad Henry Miller,
rimproverava a Spengler: "Non ti accorgi di un inizio ? Mentre Spengler intona
pessimistici requiem, io odo i vigorosi palpiti natali di Picasso, della psicoanalisi, delle
nuove scienze mistiche, dell'anima negra che compenetra la magnitudine d'acciaio
dell'America, [...] e non capisco perché dovremmo smettere di dipingere, costruire
case, scrivere." (Nin-Miller, p. 116).
144
volgere di pochi decenni, cambia radicalmente le proprie forme, è
proprio perché segue i ritmi incalzanti delle innovazioni tecnologiche e
dei mutamenti politici che hanno cambiato il volto del mondo. L'arte
contemporanea diventa incomprensibile a chi le applica gli schemi
chiusi dell'estetica tradizionale: la realtà si ridefinisce, l'arte e l'estetica si
ridefiniscono con essa. Il rapido succedersi di esperienze e di stili è la
testimonianza dell'avvenuta accelerazione dei processi storici, ai quali
l'arte dimostra in questo modo di essere ancora legata.
Il legame tra arte e società mantiene una validità che rende necessarie,
significative e non arbitrarie le creazioni dell'arte novecentesca.
Paradossalmente, questo possiamo comprenderlo grazie a Spengler,
ed alla sua insistenza sul legame tra forme artistiche e destino della
civiltà. Non è un caso, ad esempio, che il disfacimento delle forme di
rappresentazione tradizionali, avviato dall'impressionismo, coincida
con l'avvento della fotografia e dei mezzi di riproduzione di massa, che
sottraggono all'arte un compito tradizionale, quello della testimonianza
storica, e che la costringono a cercarsi una forma espressiva che non
coincide più con la mimesi, con la "copia" della realtà. Anche
l'espressionismo tedesco, con il suo uso esasperato del colore e con
la sua violenza formale e cromatica, il cubismo con le sue immagini
sintetiche, geometriche, il futurismo, la poesia di Eliot e Pound, la
scrittura di Joyce, tutte queste esperienze che caratterizzano l'arte della
prima metà del secolo hanno una propria interna necessità, in questa
prospettiva; l'arte ricerca nuove forme d'espressione confrontandosi
con un realtà che cambia vorticosamente.
Nel suo complesso, il giudizio di Spengler appare ingeneroso e
troppo sommario, minato da un originario fraintendimento e
dall'incapacità di stare al passo con l'inedita rapidità di mutamento delle
forme e del senso della creazione artistica; ma è anche vero che esso
ha il grande merito di indicare quello che è "il" pericolo per l'arte
contemporanea, cioè un'emarginazione dalle dinamiche sociali, che
comporti la sua esclusione da ogni dimensione necessaria ed
essenziale dell'esistenza. Inoltre, ci sono alcuni elementi individuati da
Spengler che, liberati dal peso di una caratterizzazione unilateralmente
negativa, possono essere di grande aiuto per la comprensione dell'arte
contemporanea. L'intellettualismo può diventare allora la spia della
tendenza alla concettualizzazione ed alla riflessione sui propri mezzi
145
espressivi e sul loro valore nell'era tecnologica. L'informe e l'arbitrario
si fanno testimonianza dell'erosione interna delle forme di
rappresentazione tradizionali, il soggettivismo mette in scena il disagio
esistenziale dell'artista che si sente inutile nella società, emarginato in
quanto incapace di intervenirvi attivamente, e che conseguentemente
ripiega nell'indagine interiore. Tutti questi elementi saranno di grande
utilità per la comprensione della poetica di Henry Miller.
146
stato predesignato...e nondimeno c'è libertà. Libertà
di cantare le lodi di Dio. [...] Dio ha composto la
partitura, Dio dirige l'orchestra. Compito dell'uomo è
di eseguire la musica con la propria persona."
(Rimbaud, p. 103)
147
Ne Il Tempo degli assassini c'è un altro elemento che ci riporta in
qualche modo a Il Tramonto dell'Occidente: il "simbolo". Scrive infatti
Miller:
E ancora:
148
Rimbaud definisce la sua poesia come "una protesta e una manovra
contro lo squallido diffondersi della scienza che minacciava si
soffocare la sorgente dello spirito" (ibidem, p. 53). "Linguaggio
dell'anima" per Spengler, "alfabeto dell'anima" per Miller: anche le
espressioni linguistiche sono simili.
Al fondo di questa prospettiva giace, neppure tanto nascosta,
l'influenza del pensiero romantico16: ne Il Tramonto dell'Occidente,
questo è evidente quando Spengler afferma che non è l'artista a creare
lo stile, ma lo stile a creare il tipo dell'artista, calco fedele del topos
romantico per cui non è l'opera che appartiene all'artista, ma viceversa.
In Miller, questa ascendenza è ancora più scoperta, quando ne Il
Tempo degli assassini parla del poeta come "disconosciuto reggitore
del mondo", ricalcando così fedelmente l'espressione del romantico
Shelley, per il quale i poeti erano i "misconosciuti legislatori del
mondo". In entrambi, l'eteronomia dell'artista risponde all'esigenza di
fornire uno statuto epistemologico ed una validità oggettiva al
fenomeno estetico, ed il simbolo è il medium che consente di passare
transitivamente dall'oggettività dello spirito alla soggettività dell'artista,
senza che in questo la necessità della creazione artistica venga meno.
16 - Questo elemento è stato più volte richiamato nella critica milleriana. Già
Montgomery Belgion, in quella che è una delle prime recensioni a Tropico del Cancro,
scriveva che Miller portava all'estremo un'idea romantica, quella del genio-scrittore
come uomo dotato di una sensibilità e di una conoscenza superiore (M.Belgion, 'French
Chronicle', in Criterion, XV, 86, Ott. 1935, p. 87). Ma è stato soprattutto William A.
Gordon (in W.A.G., The mind and art of H.Miller, Baton Rouge, Lousiana State U.P.,
1967) a sostenere questa tesi, sottolineando come i temi milleriani fondamentali siano
riconducibili a concetti propri del romanticismo: la ricerca del sè e del legame tra uomo
e natura, l'identificazione arte-vita, la polemica antiintellettualistica nell'arte come riflesso
di una più ampia critica alle macrostrutture prodotte dalla società.
149
(Sexus, pp. 288-291). A conferma dell'influenza romantica, Miller cita
qui Novalis ("Prendere possesso del proprio io trascendentale",
ibidem, p. 288). Lo scrittore "aumenta" la vita, così si esprime Miller,
e la arricchisce nel senso che le dona una dimensione simbolica. Miller
ripete continuamente che c'è qualcosa "di più" nei fenomeni
dell'esistenza, e che tuttavia questo "di più" non è un'aggiunta
dell'artista, ma qualcosa di preesistente, e che si tratta solo di portare
alla luce. L'arte è un percorso di scoperta, che si conclude con la
constatazione che la realtà non è solo ciò che appare, e che c'è
qualcosa di più profondo, un valore che l'artista trasforma in
rivelazione quando accetta di farsene strumento.
In Miller, il principio dell'annullamento della volontà rappresenta
anche il risultato di un'auto-osservazione riguardo ai processi
concernenti la scrittura. Così scrive in Nexus:
150
espressiva o meno, non è libera invece di esprimere ciò che vuole.
L'arte non è mai "intenzionale". Scrive ancora Perlès: "L'intenzione
sminuisce l'artista. Il genio non è intenzionale. Il sole non intende
irradiare calore, lo irradia." (ibidem, p. 21).
C'è, in Nexus, un altro passo interessante. Pensando all'arte indiana,
Miller scrive:
17 - : "Siamo arrivati al punto in cui non desideriamo più di sapere chi è l'autore di
un'opera, a chi appartiene il suggello che vi è impresso [...]: quel che desideriamo [...]
sono capolavori individui, che trionfino in modo tale da subordinare interamente i
casuali artisti che ne sono autori." (Max, p. 1096).
18 - "Non desideriamo più di sapere chi è l'autore di un'opera, a chi appartiene il
suggello che vi è impresso, a chi il timbro appostovi; quel che desideriamo e che siamo
finalmente sul punto di ottenere, sono capolavori individui, che trionfino in modo tale da
subordinare interamente i casuali artisti che ne sono autori." (Max, p. 1096).
151
(Sexus, p. 192). A questa cinica mistificazione Ulrich insorge, quasi
con le stesse parole de Il Tempo degli Assassini:
152
dichiaratamente autobiografici e fortemente egocentrici, e che tuttavia
indica ai propri lettori come questo autobiografismo non abbia senso
solo per sé, ma abbia, principio primo dell'arte, un valore "esemplare"
come riproduzione di un archetipo, come ennesima incarnazione della
verità.
153
idea, in breve, è [...] raffigurare un essere
presocratico, in parte capra in parte Titano."
(ibidem, p. 256)
154
sfumature. Non ci sono piccoli miglioramenti progressivi, non c'è un
accumulo di esperienze: ogni volta che una civiltà si es tingue, si riparte
per così dire da zero. Non c'è possibilità di porre rimedi al tramonto
dell'Occidente: occorre ricominciare da capo, perché un nuovo
mondo si costruisce con uomini nuovi e nuovi valori.
Il legame con l'azione chiarisce tutta una serie di significati corollari
dell'arte. L'arte è "oltraggio", perché rifiuta gli ideali devitalizzati nei
quali si cerca di ingabbiarla: non crede nella Bellezza, non crede
nell'Arte, non crede nell'Amore e nell'Uomo, quando queste
espressioni non siano connesse ad un concreto sentimento. È un
oltraggio continuo perché ogni volta muta le proprie regole alla ricerca
dell'espressione, e quindi infrange programmaticamente i codici ed i
valori riconosciuti.
L'arte è "violenza", perché è espressione della verità, e la verità non
conosce mezze misure. L'arte è una fede, una passione che impedisce
all'artista di scendere a compromessi e che lo conduce inesorabilmente
a confrontarsi o a servirsi della distruzione, premessa necessaria alla
creazione.
L'arte, soprattutto, non è un prodotto dell'intelletto. Qui ricompare il
tema dell'antintellettualismo, che abbiamo già richiamato in riferimento
a Spengler. L'arte viene sempre mantenuta legata alla concretezza, alla
"razza" ed al "sangue" in Spengler, alla "Vita" in Miller. Le categorie
dell'intelletto, invece, si frappongono tra l'uomo e la vita, che
pretendono di fargli pervenire filtrata dai propri schemi. Ecco perché,
secondo Miller, l'arte suscita riprovazione, sdegno, ecco perché
oltraggia: non per il gusto di trasgredire, ma perché è l'espressione di
una forza primordiale, originaria, che non sopporta le distinzioni
operate dalla razionalità umana e che erompe come una "eruzione" 20
attraverso la creatività dell'artista.
In Miller l'arte come liberazione di impulsi primitivi si costituisce in
opposizione alla società:
20 - Scrive Alfred Perlès: "il genio è essenzialmente innocente, anche - forse soprattutto
- quando è offensivo; innocente come un terremoto o come un vulcano in eruzione"
(Oltraggio, p. 12).
155
per l'illusione di vivere confortevolmente." (Max, p.
1103)
21 - "è impossibile ignorare in quale misura la civiltà sia costruita sulla rinuncia pulsionale,
quanto abbia come presupposto il non soddisfacimento (repressione, rimozione o che
altro?) di potenti pulsioni. Questa 'frustrazione civile' domina il vasto campo delle
relazioni sociali." (S.Freud, 'Il disagio della civiltà' in Opere, vol. X, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 587).
156
negativa. La rinuncia agli istinti pulsionali è una perdita, una scissione,
direbbe Lawrence, di quella totalità organica dell'individuo che
comporta in egual misura razionalità e passionalità, ordine e anarchia,
Apollo e Dioniso. L'accostamento a Freud non è stato casuale: esso
mira a mettere in luce un comune orientamento in alcuni protagonisti
della cultura occidentale negli anni venti-trenta. Ciò che accomuna
Lawrence, Miller, Spengler, Freud, non è tanto, o non solo, la
consapevolezza di una crisi, quanto piuttosto il collegarla alla
progressiva soppressione di una originaria istintualità umana. Lo sforzo
di scrittori come Lawrence e Miller, e di filosofi come Spengler, sta
proprio nel tentativo di recuperare questa energia sepolta nell'anima
umana come ciò che può salvare dalla decadenza.
Questa prospettiva vitalistica, che diventa una forza d'azione
rivoluzionaria all'interno della società, parte, in Miller, da un
rinnovamento estetico: è dall'arte che deve partire la presa di coscienza
della natura pulsionale dell'uomo e della forza dell'eros. L'arte deve
farsi "carnale" 22, deve essere fatta da "mani forti, spiriti disposti a
piantarla con i fantasmi e a metter su carne..." (Cancro, p.33). Anche
le idee, simbolo dell'astratto, si fanno materia, concretezza, anch'esse
mettono su carne, diventano "idee di reni", "idee di fegato" (ibidem, p.
255). L'arte deve essere tutto ciò che è la vita, cioè movimento, infinita
varietà, caos, casualità: le metafore milleriane seguono questa dinamica
metamorfica nel segno di una scrittura improntata all'iperbolico,
all'esagerazione, all'eccesso, a dimostrazione di una volontà di
effusione vitale che non si risparmia nulla pur di testimoniare, nelle sue
forme, l'infinita e multiforme ricchezza della vita, anche a costo di
produrre opere esteticamente imperfette. D'altra parte, Miller non ha
mai fatto mistero della convinzione che l'arte, quale noi la intendiamo,
fosse solo una fase passeggera nella storia dello spirito umano.
Vedremo come la preoccupazione di recuperare all'arte la concretezza
della vita sfocierà in una completa identificazione tra l'arte e l'esistenza,
dove sarà il secondo termine a prevalere sul primo, e ad assumere su
di sé il suo ruolo.
157
IV. 4. 3. L'arte del futuro
"Io non cerco l'arte nell'arte, allo stesso modo che non cerco Dio
nella religione" (Oltraggio, p. 85): il punto di partenza è una sorta di
epochè con la quale mettere da parte ogni definizione tradizionale
dell'arte. L'arte non è "artistica", non è "estetica" e non si risolve in una
collezione di manufatti23 oggetto della devozione collettiva per il
"genio". In questo modo Miller mostra subito l'intenzione di
distinguere tra un piano più tradizionalmente estetico (la storia dell'arte)
e la più ampia dimensione della creatività umana.
L'arte non consiste in un accrescimento di significato della realtà, in
un abbellimento o in una poeticizzazione degli oggetti e delle situazioni.
L'arte è l'espressione della verità, dell'essenza profonda del reale, ci fa
scorgere la realtà nella sua natura essenziale, come lo sguardo
assuefatto ed apatico dell'uomo civilizzato non è più in grado di fare.
L'arte non fa che mettere sotto gli occhi dell'uomo la vera natura di ciò
che gli sta intorno; in questo senso, essa è un tramite tra l'uomo e la
verità, tra l'individuo e il senso dell'esistenza; ma è un tramite che non
effettua mediazioni, che non occulta o deforma la verità, ma che la
comunica transitivamente. Arte uguale verità, questa è l'idea
fondamentale. Miller la chiarisce prendendo ad esempio un'immagine
del celebre fotografo Brassai, che ritrae una sedia metallica ai margini
di un viale parigino. La seggiola non viene deformata da una
volontà di espressione soggettiva, ma è presentata nella sua
semplicità di oggetto:
158
necessitante che ritorna). L'artista ha ciò che Miller chiama "occhio
cosmologico", che "persiste attraverso la distruzione e il fato,
impervio, originario, 'che vede soltanto quello che è'" (ibidem, p.
1092). Esso coglie gli archetipi della realtà, l'idea dell'oggetto come ciò
che ne fonda l'unicità: così, la sedia di Brassai diventa la sedia
"prima", la seggiola ridotta alla sua dimensione essenziale, a ciò che la
rende tale e che non coincide con una sedia contingente, pur
essendone la condizione necessaria. L'idea della creazione come
annullamento della volontà e come rivelazione, con la conseguente
strumentalità e passività dell'artista, il concetto di arte "anonima" e
impersonale, l'enfasi sul suo carattere di liberazione degli impulsi
primordiali, e quindi il radicamento ad una realtà spontanea, immediata,
naturale dell'uomo, infine l'immagine dell'arte come espressione degli
archetipi della realtà, nel senso prima indicato: tutto ciò risponde
all'esigenza primaria di fondare un'oggettività e necessità dell'arte, di
dare ad essa un significato autonomo, una funzione attiva ed una
dignità privilegiata nel campo della conoscenza, di radicarla ad una
dimensione naturale, primordiale. Tutti gli elementi elencati trovano
una puntuale corrispondenza nella riflessione estetica de Il Tramonto
dell'Occidente.
Se già in Max e i fagociti bianchi, che si può dire concluda la fase
parigina, l'arte si era venuta configurando come una realtà sempre
meno coincidente con il piano estetico, nella riflessione posteriore
questa scissione di consuma pienamente e conduce all'identificazione
totale tra arte e vita. Il passo da compiere era breve, e Miller non ha
esitato a compierlo: la svolta può essere efficacemente illustrata se
prendiamo in esame il saggio 'Of art and the future', all'interno della
raccolta Sunday after the war24.
Miller procede inquadrando il problema dell'arte dell'avvenire nel
contesto della crisi dell'occidente. Siamo nel 1944: la guerra diventa un
simbolo della fine del mondo euro-americano e dell'imminente avvento
di una nuova era nella storia dell'uomo. Nel caos che accompagna
questa rivoluzione, si chiede Miller, quale sarà il ruolo e la fisionomia
dell'arte ? Manterrà le sue forme tradizionali, o esse sono destinate a
159
scomparire come tutto ciò che è occidentale ? Questa è la sua
risposta:
25 - "in the first place, it seems to me that what we have hitherto known as art will be
non-existent. Oh yes, we will continue to have novels and paintings and symphonies and
statues, we will even have verse, no doubt about it. But all this will be [...] a
continuation of a bad dream which ends only with a full awakening. The cultural era is
past. The new civilization [...] will be the open stretch of realization which all the past
civilizations have pointed to."
26 - "art is only a stepping stone to reality [...]. Man's task is to mafe of himself a work
of art. The creations which man makes manifest have no validity in themselves; they
serve to awaken, that is all." Vedi anche Max e i fagociti bianchi: "L'arte è soltanto uno
dei modi di manifestarsi dello spirito creativo" (Max. p. 1115).
160
superata da un approccio diretto alla realtà27. L'arte del futuro consiste
proprio nel superamento dell'arte28. Il valore della creatività viene
svincolato dai suoi prodotti: non è il fenomeno estetico a valere in sé,
non è l'opera quanto il processo creativo e la presa di coscienza che
ne è all'origine. L'arte retrocede ad un rango strumentale, come una
scossa salutare che risvegli lo spirito e lo avvii alle sua realizzazioni
superiori.
Le forme storiche dell'arte hanno la funzione di aprire il campo alla
sua realizzazione suprema, che è il suo inveramento come "vita" ma
anche la sua scomparsa come realtà onto logicamente autonoma.
L'estetico si risolve definitivamente nell'etico29, cosicché "la vita
stessa diventerà non 'un'arte', ma l'arte" (ibidem, p. 110)30:
27 - "l'arte [...] è solo un sostituto, un linguaggio di simboli, per qualcosa che può essere
colto direttamente" ("art [...] is only a substitute, a symbol-language, for something
which can be siezed directly."), The Wisdom of the Heart, citato in Writing, p. 110.
28 - Vedi Alan Friedman in Henry Miller: Three Decades of Criticism, N.Y., N.Y.
University Press, 1971, p. 138: "L'arte, ora, diventa non-arte, perchè [...] essa serve
all'artista non per il suo risultato finale in sè ma come transizione verso la vita." ("Art,
then, becomes non-art, for it [...] serves for the artist not as an end in itself but as a
means to life.").
29 - Antoine Denat colloca Miller in una tradizione di scrittori moralisti, che va da
Montaigne a Sartre, "per la quale conta anzitutto l'uomo" (A.Denat, 'H.Miller clown,
barocco, mistico e vincitore', introduzione a H.Miller, Il meglio di H.Miller, Milano,
Longanesi, 1961, p. 53). Herbert Read vede fuse in Miller le due anime, quella estetica
e quella profetica (H.Read, 'Estetica e profezia', in Valerio Riva [a cura di], H.Miller, il
sesso, la censura e il Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967, pp. 98-102). Lo
stretto legame tra artista e profeta-visionario è sottolineato anche in quello che è il
maggior contributo sull"estetica" di Miller: E.B.Mitchell, 'Artists and Artists; The
Aesthetics of Henry Miller', in E.Mitchell (edited by), H.Miller: Three Decades of
Criticism, cit., pp. 155-172.
30 - "life itself will become not 'an art', but art".
161
L'identificazione arte-vita procede dalle premesse teoriche fissate nel
periodo parigino. Tuttavia, se ci fermiamo ad osservare il percorso sin
qui compiuto, non possiamo non accorgerci di come non tutto sia
conseguente e come vi siano piuttosto alcune evidenti contraddizioni
nel discorso di Miller, anche se avevamo premesso che non ci si
doveva attendere una rigorosa coerenza concettuale nella teorizzazione
di un artista. La prima e più evidente emerge dalla biografia di Miller:
sarà anche vero che l'arte tradizionale è destinata a sparire e che la vita
stessa diventerà un'opera d'arte, ma ciò non toglie che Miller, dopo il
1944, abbia continuato a scrivere romanzi, saggi, opere teatrali, con
una prolificità che non è mai venuta meno. Lo scrittore americano ha
sempre sostenuto che nelle sue opere egli non inventava né deformava
nulla, che lui e la sua opera erano una cosa sola: a parte la provata
falsità di questa affermazione (gli eventi della sua biografia, nella
trasposizione romanzesca, sono stati ampiamente rimaneggiati), ciò
non toglie che Miller abbia continuato a manifestare la propria creatività
attraverso le forme dell'espressione artistica tradizionale. E' vero, come
scrisse Anais Nin in una prefazione a Tropico del Cancro, che "il
poetico si scopre togliendo i paludamenti dell'arte, scendendo a [...] la
solida ossatura della forma" 31, ma da questa immersione in profondità
occorre risalire per rianimare le forme dell'arte che si trovano in
superficie. Poco importa poi che Miller attribuisse più importanza al
piano esistenziale rispetto a quello artistico: ciò non toglie che sia
giudicato e stimato in base ai suoi prodotti artistici, e che questi siano
tutto ciò che ci rimane e che ci può rimanere della sua creatività.
Una seconda e più grave contraddizione emerge se confrontiamo il
momento finale del percorso milleriano con le esigenze dal quale era
partito. Miller cercava di fondare oggettivamente la validità dell'arte, la
sua autonomia come forma di conoscenza, attraverso un legame il più
stretto ed immediato possibile con la vita. Tuttavia, l'identificazione
arte-vita che doveva essere il compimento di questo processo ne
rappresenta invece la totale negazione: l'arte in questo modo perde
completamente la propria autonomia. Miller è molto chiaro ed
esplicito, e non lascia spazio a dubbi: le creazioni dell'arte non hanno
valore in sé, la vera arte è la vita, ed in essa converge la creatività che
162
animava le forme tradizionali dell'arte. L'arte diventa una fase
transitoria e non più un valore fondante, perché perde l'esclusiva del
concetto di creatività. Se all'arte si toglie la sua essenza creativa e la si
ripone nella soggettività umana, viene meno non solo la sua oggettività,
ma la sua stessa ragion d'essere, e l'arte finisce per dissolversi
misticamente nell'identificazione con la vita.
C'è da dire che queste affermazioni convivono con quelle che
sottolineano il valore e l'autonomia della sfera estetica. Si è fatto
riferimento a Sexus, a Nexus, a Il Tempo degli Assassini: tutte queste
opere sono cronologicamente contemporanee o di poco successive a
'Of Art and the Future' e The Wisdom of the Heart, dove
l'identificazione arte-vita è enunciata e portata alle estreme
conseguenze. Questa contraddizione non viene risolta da Miller, e può
restare come testimonianza di un intimo dissidio tra la volontà di
affermazione dell'arte e la necessità di farne uno strumento di
rigenerazione spirituale, di inquadrarla in un più ampio progetto di
palingenesi dell'umanità (con la naturale conseguenza che, una volta
che abbia forgiato la nuova forma del mondo, l'arte diventa inutile:
collocando il proprio fine in un obiettivo localizzabile e raggiungibile,
l'arte estranea la propria essenza e rinuncia così ad ogni possibile
autonomia di significato).
Quanto al rapporto di queste posizioni con Spengler, un'apparente
affinità nasconde una profonda divergenza. E' evidente come l'accento
sull'imminente e radicale trasformazione della forma del mondo, e
conseguentemente dell'arte, trovi corrispondenza con il sentimento che
anima Il Tramonto dell'Occidente. Anche Spengler richiamava
l'attenzione sul fatto che l'arte dell'avvenire sarebbe stata molto diversa
dalla sua immagine tradizionale. Il futuro non attendeva un nuovo
Goethe, bensì un nuovo Cesare: la nuova poesia sarebbe stata forgiata
nel cemento e nell'acciaio, con la risolutezza del dominatore e la
tempra dell'animale da preda32. La nuova Era del Cesarismo non era
destinata ad una "grande arte" 33, anche se ciò non significa che essa
non avesse una sua propria grandezza, per nulla inferiore a quelle
civiltà, come quella greca, che una grande arte l'avevano prodotta. Qui
163
le posizioni di Miller e Spengler possono essere interpretate come due
diverse declinazioni del concetto nietzscheano di "oltreuomo".
Nietzsche è una presenza forte la cui influenza è da entrambi dichiarata,
e, nel caso di Spengler, programmaticamente rivendicata. Il Tramonto
dell'Occidente accentua il carattere di durezza dell'uomo nuovo, la
durezza dell'oltreuomo che sa affrontare la vita guardandola negli
occhi, senza lo schermo rassicurante degli schemi dell'intelletto o della
fede religiosa: l'oltreuomo è l'uomo che supera ogni distinzione
secondaria e giunge alla pura essenza dell'umano. Questo aspetto
atemporale e metafisico è accentuato in Miller, dove l'uomo
dell'avvenire si configura come colui che distrugge il ciclo delle culture
e pone fine alla storia, portando a compimento il millenario percorso
dell'umanità verso la propria purificazione e perfezione. Inoltre,
l'immagine dell'oltreuomo si può applicare anche al piglio con cui
Spengler affronta la storia, prendendo sulle spalle il destino di darle un
senso, e al carattere di iniziazione dei romanzi di Miller, che vengono a
costituire altrettante tappe della purificazione spirituale dell'uomo,
dall'inferno parigino al paradiso greco de Il colosso di Maroussi.
L'affinità tuttavia si ferma qui. Miller e Spengler sono divisi dal senso
del tramonto della civiltà occidentale: per Spengler essa rappresenta un
fenomeno naturale ricorrente nella storia, che si caratterizza per questa
dinamica ciclica cui non si sfugge. Miller è esattamente all'opposto:
l'arte che si fa vita è il simbolo di una rivoluzione che spezza la ciclicità
delle culture e che pone fine alla storia34. Ne Il Tramonto
dell'Occidente la catastrofe dell'Occidente si inquadra in una storia che
ha nel proprio futuro la ripetizione di un modulo sempre identico. In
Miller, lo stesso evento diventa l'avvio di una rigenerazione spirituale
che si pone come obiettivo il raggiungimento di una condizione eterna,
metastorica, finale ed immutabile. In Spengler il valore dell'arte rimane
costante, pur nel mutare delle civiltà: in Miller esso è storicamente
subordinato all'instaurazione dell'"Era dello Spirito Umano", e con
34 - "Io non credo che questo circolo di insanità che viene chiamato
storia continuerà per sempre. Penso che vi si aprirà un grande
varco" ("Io do not believe that this repetitious cycle of insanity
which is called history will continue forever. I believe there will be a
great break-through") (Art, pp. 157-8).
164
l'avvento di quest'era che chiude la storia anche l'arte perde il proprio
significato e si stempera nella totalità indistinta della vita.
165
V
UNA LETTURA SPENGLERIANA DI "TROPICO DEL
CANCRO"
V. 1. La fase Bergson-Spengler
1 - Questa è la data che secondo Jay Martin, biografo di Miller, fa da spartiacque tra il
periodo parigino e la "fase orientale" o zen. Vedi J. Martin, Always Merry and Bright:
166
dall'esperienza parigina, dalla fine del tormentato rapporto con la
moglie June (che compare come "Mona" in quasi tutti i suoi romanzi),
ma anche dalla certezza di aver trovato la propria vocazione nella
scrittura: non a caso, gli anni fra il '31 e il '38 rappresentano il suo
periodo più intenso e fecondo, e vedono la nascita dei suoi romanzi
più celebri e riusciti.
Alla fine degli anni trenta, come detto, si verifica una cesura: a
Lawrence, Spengler, Bergson e Nietzsche subentra il pensiero
orientale, il misticismo indiano, la saggezza cinese dei Tao, dei Ching e
soprattutto dello Zen. Miller, che era sempre rimasto affascinato da
figure profetiche e visionarie come Lawrence, Whitman o Nietzsche,
accentua ora l'aspetto mistico della sua scrittura attraverso un
avvicinamento alla cultura dell'Oriente. Così scriverà a Lawrence
Durrell, alcuni anni dopo:
the Life of Henry Miller, cit.. Critici e biografi sono tutti pressoché concordi su questa
periodizzazione.
2 - L. Durrell-H.Miller, I fuorilegge della parola, cit., p. 190.
167
della balena" ed essere disceso negli "inferi" 3 del nichilismo
occidentale, Miller trova nella Grecia, nel suo passato classico ma
anche nella sua realtà naturale, selvaggia ed incontaminata, una
dimensione eterna dello spirito. Sin dalle prime pagine si percepisce il
senso di un distacco dal passato, e lo stupore dell'ingresso in una
realtà nuova:
3 - "Scende all'inferno come Dante e poi ascende la montagna per trovare le porte del
paradiso in Grecia. New York è l'ingresso agli inferi, Parigi l'ingresso al purgatorio, la
Grecia l'ingresso al paradiso." (Erica Jong, Il diavolo fra noi, Milano, Bompiani, 1993,
p. 157).
168
Per Miller è un paradiso in terra, l'espressione tangibile di una
dimensione spirituale che appare senza tempo, un panorama naturale
incontaminato dove corpo e spirito sono in armonia e dove l'uomo
non è più estraneo alla creazione, ma parte integrante di essa. L'uomo
ritrova la propria dimensione all'interno del cosmo accettandone i ritmi
e le leggi:
169
Con il viaggio in Grecia si apre un nuovo capitolo della vita di Miller:
è da qui che comincia il suo interesse per la filosofia Zen. Il pensiero
dell'"accettazione", l'idea che l'uomo debba lasciarsi fluire nella
corrente della Vita, accettando la legge del divenire, tutto ciò trovava
corrispondenza nel pensiero dei grandi saggi orientali, e
nell'intonazione mistica della loro filosofia; l'aspetto profetico, già
presente in Miller, si accentua. La prospettiva spengleriana è data
come assorbita e, per così dire, consumata4, mentre è la saggezza
orientale ora a fornire gli strumenti concettuali per la comprensione del
presente. L'elemento sapienziale si fa più forte, dominante5, tant'è che
sarà proprio questa prospettiva a caratterizzare la figura di Miller
nell'immediato dopoguerra: la sua popolarità presso gli scrittori
americani della "beat-generation" sarà legata ad un'immagine da "guru",
da santone, pensatore mistico ed apostolo del sesso come espressione
di liberazione spirituale6.
Abbiamo situato più o meno attorno al 1939 una cesura
fondamentale: da una parte il Miller della trilogia parigina, dall'altra il
Miller "orientale" di Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch e della
4 - Il Tramonto dell'Occidente cede il passo alle nuove letture, ma non sparisce del
tutto. Ne Il Colosso di Maroussi la prospettiva sulla Grecia risente dell'interpretazione
spengleriana: "C.B. [l'intervistatore Christian de Bartillat, N.d.C.] - Spengler diceva che
in Grecia tutto è corpo, che l'architettura è in realtà scultura, e che il cosmo stesso è un
grande corpo di cui l'uomo è il centro assoluto. H.M. - In India, mi sembra che non si
sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito: sono sempre stati legati tra loro, e
come in Grecia fanno tutt'uno." (Conversazioni, p. 81). Si vedano anche alcuni passi de
Il Colosso di Maroussi: "Siamo diventati dei nomadi spirituali" (Colosso, p. 155), "La
più antica costruzione di Erakleion sopravviverà alla più moderna costruzione
americana. Gli organismi muoiono, la cellula continua a vivere. La vita è nelle radici"
(ibidem, p. 179).
5 - "D' un tratto le lunghe frasi tortuose di Tropico del Cancro e Tropico del
Capricorno, piene di oltraggiose e surreali contraddizioni, sono diventate brevi, chiare,
rilucenti in Il Colosso di Maroussi. Lo scrittore si è sublimato in veggente" (Erica Jong,
Il diavolo fra noi, cit., p. 156). Poco più avanti si legge: "Fu in Grecia che trovò la sua
vera vocazione di autore/saggio" (ibidem, p. 157).
6 - Questa è anche l'immagine che emerge da buona parte della critica milleriana.
L'esempio più eclatante è quello di K. Shapiro, che parla di Miller come di uno
"scrittore sapienziale", un "santo", un "Gandhi col pene", "scrittore di Saggezza,
intendendo per letteratura di Saggezza un tipo di letteratura che sta tra la letteratura e le
Scritture" (K. Shapiro, 'Il più grande autore vivente' in Riva Valerio (a cura di),
H.Miller, il sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp. 41-61).
170
trilogia americana. Questa distinzione ci consente di non indugiare sulle
opere del secondo periodo: come abbiamo visto, esso procede sotto
l'influenza di sistemi di pensiero lontani da Il Tramonto dell'Occidente,
e, se è vero che proprio in Plexus (1953) troviamo il contributo più
corposo su Spengler, non dobbiamo dimenticare che esso avviene
retrospettivamente, collocandosi nel quadro di una rievocazione degli
anni della Grande Depressione negli Stati Uniti. D'altra parte, quel
fondo di temi spengleriani che attraversa tutta l'opera di Miller si
trovano, con bel altro peso e come assi portanti, nella produzione
parigina e specificatamente nel primo e più celebre romanzo.
La lettura spengleriana si concentrerà quindi su Tropico del Cancro:
è solo lì che gli sparsi elementi spengleriani trovano la ricomposizione
in un tutto organico. Ne emerge una visione della contemporaneità,
un'immagine della storia e del divenire, una teoria della vita e dell'arte
che mostrano la loro vicinanza alle posizioni spengleriane, e dove i
simboli della decadenza, come quelli del riscatto, procedono sulla
falsariga della filosofia de Il Tramonto dell'Occidente.
Il periodo che va dalla seconda metà degli anni venti fino al 1934,
anno della pubblicazione di Tropico del Cancro, è il più intenso per la
formazione di Miller: accanto a Joyce, Proust, Nietzsche, Spengler vi
occupa un posto di primo piano. Il peso della sua presenza lo si
avverte scorrendo l'epistolario Miller-Nin. Anais Nin, scrittrice e per
breve tempo amante di Miller, fu soprattutto un'amica che lo
incoraggiò come scrittore e lo sostenne economicamente,
finanziandogli la pubblicazione del primo romanzo; inoltre, si dimostrò
un'interlocutrice acuta e sensibile.
Scorrendo l'indice analitico alla fine delle Lettere ad Anais Nin e di
Storia di una passione. Lettere 1932-19537, ci si rende conto che
Spengler è l'intellettuale più citato dopo D.H. Lawrence. Se
controlliamo le citazioni, vedremo che il suo nome compare
prevalentemente nel periodo tra il febbraio del '32 (Miller e la Nin si
conoscono alla fine del '31) e la fine del '33: esattamente gli anni della
stesura definitiva di Tropico del Cancro, di Tropico del Capricorno e
dell'inizio di Primavera Nera. È Miller che fa conoscere il filosofo
tedesco alla Nin:
7 - Lettere ad Anais Nin copre un arco di tempo dal 1931 al 1946. Le due raccolte
presentano, tranne in rari casi, lettere diverse.
171
"Sto leggendo Spengler e ne sono entusiasta. Non
mi sarei mai aspettata di provare un tale senso di
meraviglia, vastità e ricchezza. Mi piacerebbe poterne
parlare con te. Non voglio leggere altro." (Nin-
Miller, p. 95; lettera del 22 luglio 1932)
8 - In una lettera del febbraio 1932 Miller ad esempio scrive, riferendosi alla sua
esperienza di insegnante al Liceo Carnot di Digione: "Ho contagiato i surveillants con il
virus di Spengler" (Nin, p. 64). Il nome di Spengler ricompare nell'ottobre 1932:
"Devo, ad esempio, dare un'occhiata [...] al primo volume di Spengler (per il
Rinascimento)" (ibidem, p. 141). In una lettera del marzo 1933 si legge che "quella di
Spengler è stata la descrizione del corso sismografico dell'uomo che vive nelle Civiltà."
(ibidem, p. 159). E le citazioni proseguono con questa cadenza fino alla fine del 1933;
da qui diventano sempre più rare fino a sparire.
9 - J. Martin, nella sua biografia, riferendosi alla genesi del romanzo scrive: "Furono
inseriti i dipinti di George Grosz's, e le idee di Grosz e Spengler riguardo all'uomo della
cosmopoli'" ("George Grosz's paintings, as well as Grosz's and Spengler's ideas about
'the late-city man', were inserted", J. Martin, Always Merry and Bright, cit., p. 251).
Vedi anche gli appunti di Miller con il piano di lavoro degli anni 1932-'33 (Writing, p.
161).
172
Sono le profezie di Spengler che tu materializzi, a
ogni tuo romanzo." (ibidem, p. 113)
Qui egli mette bene a fuoco l'altro aspetto della filosofia spengleriana,
e, di riflesso, della propria lettura della modernità: al di là della denuncia
del tramonto c'è anche la fiducia nel divenire della storia, o, in termini
milleriani, nel "flusso della Vita". Dall'indagine sugli aspetti distruttivi
della morte si passa senza soluzione di continuità alla prospettiva della
vita. Morte e vita si configurano come i due poli della riflessione; tutta
l'analisi di Tropico del Cancro si svolgerà sulla falsariga di questa
impostazione dialettica.
173
ottenne anche un clamoroso successo, tanto che ne fu stampata subito
una seconda edizione. La diffusione in Europa e poi nel mondo fu
immediata, con l'eccezione dei paesi di lingua inglese, dove Tropico
del Cancro e buona parte della produzione successiva di Miller furono
banditi come "osceni", in ciò seguendo una tradizione illustre di
censurati, da L'amante di Lady Chatterley a Ulisse di Joyce. Il
romanzo tuttavia circolò, clandestinamente, anche negli Stati Uniti.
Il "Cancro" del titolo è simbolico, ed in più sensi. Cancro è
innanzitutto una malattia, un tumore maligno che divora la civiltà
occidentale dal suo interno. Ma non solo:
174
"Boris mi ha fornito poco fa un compendio di come la
vede. È un profeta del tempo. Farà brutto ancora,
dice. Ci saranno ancora calamità, ancora morte,
disperazione. Non c'è il minimo indizio di
cambiamento. Il cancro del tempo ci divora. I nostri
eroi si sono uccisi, o s'uccidono. Protagonista,
dunque, non è il Tempo, ma l'Atemporalità.
Dobbiamo metterci al passo, passo serrato verso la
prigione della morte. Non c'è scampo. Non cambierà
stagione." (Cancro, p. 5)
10- "Sono Cancro, il granchio, che si muove di lato e in avanti e all'indietro, a volontà.
Agisco in tropici strani e tratto in esplosivi potenti, liquidi per imbalsamare, diaspro,
mirra, smeraldi, moccio sottile e ditini di porcospino." (Primavera, p. 674).
175
dell'Occidente per leggere l'opera di Miller, i suoi simboli e la sua
stessa figura di artista; in sostanza, cerchiamo di scorgere il volto di
un'epoca attraverso il senso delle sue forme. I grandi movimenti della
vita del macrocosmo acquisteranno così una visibilità concreta e
sintetica nella dimensione estetica del simbolo.
È però un'intenzione che ci illumina sul significato del romanzo: c'è alla
base la volontà di trasferire la vita stessa dalla realtà alla pagina scritta,
e l'idea che sia la realtà stessa, coerentemente con un'estetica che vede
nell'artista uno strumento passivo soggetto a forze impersonali che lo
sovrastano e lo dominano 11. È anche vero che questo carattere
"passivo" dell'arte lega inestricabilmente Miller e Spengler attraverso il
concetto di "simbolo". Proviamo a utilizzare le categorie de Il
Tramonto dell'Occidente; nella prefazione all'edizione definitiva,
Spengler scrive:
176
nell'artista il simbolo prescelto per esprimere una storia, che sarà
necessariamente la storia sua e dei suoi tempi. I concetti spengleriani di
"simbolo" e "destino" ci consentono una lettura di Miller come
espressione dei tempi, lettura la cui plausibilità è rafforzata da alcune
sue affermazioni:
177
Stile informe e barocco, disarmonico e frammentario, linguaggio
crudo e osceno a testimonianza di una predilizione per tutto quanto è
sordido e degradante: queste sono le definizioni, ora in positivo ora in
negativo, che la critica ha di volta in volta attribuito all'opera di Miller.
Anche la sua figura sociale di artista trova riscontro nella descrizione
di Spengler:
discordante e disarmonico della narrazione, dal linguaggio triviale, dalla superficialità dei
riferimenti culturali, dalla ingenuità delle soluzioni utopistiche, per poi concludere: "Nel
complesso [...] nulla acquista una forma precisa". (Julius Evola, 'Il fenomeno Henry
Miller', in J. Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Edizioni Mediterranee,
1974, pp. 173-177).
15 - Vedi Mario Praz, 'Civiltà in sfacelo' in Valerio Riva (a cura di), Henry Miller, il
sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp. 108-111.
178
ammirato della millenaria cultura europea, artista dalla scrittura cruda e
fortemente espressiva ed al contempo visionario e metafisico, carnale
ma anche fortemente intellettuale (pochi scrittori hanno citato tanto altri
artisti quanto Miller), un uomo che è perfettamente consapevole del
precipitare della situazione in Europa ma che dall'alto delle profezie sul
tramonto della civiltà rifiuta ogni intervento attivo, nella convinzione
che sia inutile cercare di accelerare o frenare una fine ormai
imminente16. Artista che esprime tutte le lacerazioni del proprio tempo,
dal disagio sociale dell'artista al contrasto tra i successi della tecnica e
la disperazione della condizione umana, dall'odio per la macchina,
forma simbolo del mondo tecnologico, alla tensione verso una perduta
purezza che si risolve nell'abbandono della volontà allo scorrere della
Vita, con tutte le disillusioni e le ingenuità che questo comporta.
Molti di questi elementi erano stati indicati da Spengler, che d'altra
parte non aveva negato il valore simbolico e rappresentativo di questa
figura di artista: nella sua negatività essa costituisce l'immagine più
efficace del tramonto dell'occidente. Tuttavia, non c'è solo un aspetto
passivo e necessitante in Miller: la simbolicità, che finora abbiamo
visto applicata alla sua immagine di artista, va applicata anche alla sua
opera, e poi alle forme che la costruiscono. Tropico del Cancro ha
questa simbolicità, ma non in senso negativo. Occorre svuotare il
concetto di simbolo dalla negatività che assume nel pensiero
spengleriano quando viene applicato all'interpretazione dell'arte
contemporanea. Il filosofo tedesco non riesce a scorgere che, dietro
l'apparente caos delle forme espressive dell'avanguardia, si cela in
realtà una grande elaborazione simbolica, e che quello che può apparire
caos testimonia certo della frammentarietà del reale, ma nella forma
mediata dell'espressione estetica17.
Se ritorciamo su Spengler i suoi stessi principi, vediamo come anche
la sua figura presenti una certa ambiguità. Anche Spengler ha tutti i
caratteri per essere un simbolo del proprio tempo, con quella duplicità
di aspetti passivi e attivi che abbiamo riscontrato in Miller. Costruisce
16 - Questo diceva ad Orwell, che si accingeva a partire per la guerra civile spagnola.
Vedi George Orwell, 'Il ventre della balena', prefazione a Cancro, pp. V-LI. Anche in
Valerio Riva (a cura di), H. Miller, il sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp.
62-97. Vedi più avanti Capitolo V.6.2., pp. 199-205.
17 - Vedi in merito anche il Capitolo IV.3., pp. 140-145.
179
una serie di forme simboliche con le quali spiega la modernità, e nella
quale anch'egli rientra di diritto, simbolo dell'epoca con tutti i pregi e
con tutti quei limiti e difetti che proprio la sua opera ha contribuito ad
illuminare18. D'altra parte Spengler non ha mai nascosto questo
carattere relativo e simbolico de Il Tramonto dell'Occidente19,
sorvolando, però, sul portato negativo del concetto di simbolo
quando applicato alle forme della civilizzazione.
Per Spengler l'arte moderna non ha più portata simbolica ed è
l'immagine della morte di un'anima: ma, se Il Tramonto dell'occidente
pone l'arte su un terreno dove non si intravede la possibilità di un
futuro, Tropico del Cancro rappresenta una risposta su questo stesso
terreno, quasi a significare che anche nel deserto di una metropoli
possono crescere i simboli della cultura. Sembra quasi che Miller
accetti integralmente le regole del gioco stabilite da Spengler, per
dimostrare che nonostante tutto l'artista riesce ancora a ritagliarsi un
spazio proprio ed espressivo. Ed è così che Tropico del Cancro
assume quasi il sapore di una scommessa vinta.
18 - Theodor W. Adorno mette bene in rilievo questo aspetto: "A voler applicare allo
stesso Spengler il linguaggio delle forme della civilizzazione da lui denunziata e nei modi
a lui propri, non si potrebbe che paragonare 'Il tramonto dell'occidente` ad un gran
magazzino dove sono offerti in vendita i frutti secchi delle letture che il gerente
intellettuale ha arraffato a basso prezzo nella massa fallimentare della cultura." T. W.
Adorno, 'Spengler dopo il tramonto', in Prismi, Torino, Einaudi, 1972, p. 52.
19 - "la mia stessa filosofia non esprime e non riflette che l'anima occidentale, [...] e, a
dire il vero, essa la esprime solo nel suo attuale stadio di civilizzazione. Così resta
fissato il suo contenuto quale visione del mondo, la sua portata pratica e l'ambito della
sua validità." (Tramonto, p. 81).
180
Siamo nel 1930-'31: gli Stati Uniti subiscono i postumi della grave
crisi economica del '29, l'Italia è da un decennio sotto il regime
fascista, la Germania assiste all'ascesa di Hitler ed al crollo della
repubblica di Weimar, mentre in Spagna nasce quella Repubblica che
di lì a poco sarebbe stata teatro di una sanguinosa guerra civile,
nell'indifferenza delle democrazie occidentali. Si andava sgretolando
l'ordine europeo sancito a Versailles alla fine della prima guerra
mondiale:
20 - Michael Fraenkel, 'Genesi del Tropico del Cancro', in Valerio Riva (a cura di),
Miller, il sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp. 112-113.
21 - ibidem, p. 115.
181
spengleriana, accettando il proprio destino. Questa lettura della
modernità aveva fatto la fortuna di Spengler, ma ne aveva anche
decretato il successivo, rapido oblio (in quanto pensatore dilettante e
reazionario); tuttavia, attorno agli anni venti tutti leggevano Il Tramonto
dell'Occidente22, e Spengler era diventato il filosofo del momento.
Il tema della decadenza permeava tutta la cultura occidentale fra le due
guerre. Basta passare in rassegna qualche titolo per rendersene conto:
Il disagio della civiltà di Freud è del 1929, La crisi della civiltà di
Huizinga (che ha come riferimento polemico proprio Spengler) è del
1935, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale
di Husserl del 1936, La situazione spirituale del nostro tempo di
Jaspers del 1931. Quanto alla letteratura, si possono ricordare opere
come La montagna incantata di Mann (1924), L'uomo senza qualità di
Musil (1930-33), Terra desolata di Eliot (1922) oppure i Cantos di
Ezra Pound (pubblicati a partire dal 1925). La crisi dell'occidente
portava con sé tutta una serie di approfondimenti sulla problematicità
del mondo moderno e sulle sue prospettive: ne è un esempio la grande
riflessione sulla tecnica e sul rapporto tra l'uomo e la moderna realtà
tecnologica, riflessione che vede in quegli anni i contributi di
Heidegger, Husserl, Junger, Spengler. Questo per dire come la
questione sollevata da quest'ultimo avesse colto nel segno.
In questa storia una parte importante è quella di Tropico del Cancro,
in cui Michael Fraenkel vede uno specchio dei tempi:
182
Se ci soffermiamo ad osservare il tono complessivo del romanzo, ci
accorgiamo che l'atteggiamento non è quello di chi si accinga ad
esaminare il problema isolandone minuziosamente gli elementi positivi
da quelli negativi; è piuttosto un rifiuto radicale e violento, che non fa
distinzioni né vuole farle, che non tollera sottigliezze e sordine: "Ora
avremo un recipiente in cui versare il liquido vitale, una bomba che, a
gettarla, sconvolgerà il mondo." (Cancro, p. 31). Nella metafora
anarchica del libro come esplosivo scorgiamo l'intento di mettere una
pietra sul passato: la storia dell'occidente è la storia di un errore di
percorso, una deviazione dal senso autentico dell'esistenza.
La negazione dell'occidente coinvolge quindi non solo le forme
estreme della sua decadenza, ma anche e soprattutto i suoi
principi fondanti. Ogni valore viene rifiutato:
183
sulla necessità di un annullamento preventivo Miller non ha dubbi; ecco
perché con Tropico del Cancro non vuole scrivere della "letteratura",
ma "il Libro", non un prodotto da museo, ma un testo sacro:
24 - "'Tutto ciò che è caduco è solo un simbolo'. Partendo da questa verità si possono
raggiungere soluzioni e prospettive finora nemmeno sospettate. [...] La fisiognomica
dell'avvenire mondiale sarà l'ultima filosofia faustiana" (Tramonto, p. 249).
184
La trama di Tropico del Cancro è estremamente esile e povera
d`azione: è la storia di un breve periodo della vita parigina di Miller,
quando, venuto meno il sostegno economico di alcuni ricchi amici, è
costretto ad accettare prima il lavoro di correttore di bozze in un
quotidiano, e poi quello di professore d`inglese in un collegio di
Digione, che lascerà dopo poche settimane per tornare a Parigi. Lo
spirito del romanzo non si lascia catturare da queste scarne indicazioni:
la vera struttura è quella creata dalle riflessioni, dalla frammentarietà dei
sogni, dei ricordi e dei deliri, dall'escatologia del protagonista
autobiografico, Henry. Attorno a lui ruota tutta una galassia di
personaggi, gli amici Carl, Van Norden, Boris, Cronstadt, Fillmore, i
coniugi Wren, Germaine, Tania, Llona, Irene e tutte le altre prostitute
dei sobborghi parigini, Mona la donna amata, e tanti altri.
Il primo simbolo che si incontra nel romanzo, fin dal titolo e
ripetutamente nelle prime pagine, è il "Cancro". La sua figura sintetizza
tutta la gamma di significati che il romanzo cerca di esprimere, "fase
distruttiva" e "costruttiva" al contempo. Le figure del degrado e le
forze che sostengono la speranza convivono nella sua articolata
simbologia.
I sintomi del malessere dominano complessivamente il romanzo: nel
formulare una diagnosi la più precisa possibile consiste il primo passo
per ogni futura guarigione25. La civiltà è trattata come un essere
vivente, come una realtà organica: si ammala, viene divorata da un
cancro, contrae infezioni ed epidemie ed emana cattivi odori. È la
stessa prospettiva organicista che informa la simbologia del
"tramonto". In Miller questo stesso organicismo si esprime attraverso
la presenza di simboli come la malattia, il tumore, la carne e il sangue,
la morte, tutte espressioni di una realtà vivente e, in Tropico del
Cancro come ne Il Tramonto dell'Occidente, morente. Sarà proprio
questa prospettiva ad aprire la possibilità di un destino oltre la crisi:
all'orizzonte del tramonto si scorgono già le prime luci di una nuova
alba.
185
L'attacco del romanzo è segnato dalle profezie di Boris: se il mondo
è un "cancro che si divora", se l'uomo viene divorato dal "cancro del
tempo", ciò che segue sarà una celebrazione del potere della morte. I
suoi simboli dominano e sono visibili ovunque, nei tratti degli uomini e
sul volto della città: ovunque si vada tutto è "cancro e sifilide".
Accelerare il decorso della malattia e lasciare che il destino si compia,
questo è il compito dell'artista. Miller è convinto che si debba
accettare il destino di morte e viverlo fino in fondo, per portarlo a
compimento e ricominciare da capo una nuova vita. La sua vuole
essere una "danza della morte", un rituale macabro che "chiama" la
morte come unica soluzione per affrettare l`avvento di una nuova era:
186
apocalisse biblica che distrugge ogni ordine ed unisce
indiscriminatamente le immagini della morte a quelle della vita:
La danza dei simboli della morte ricorda l'avvicinarsi della fine dei
tempi, contiene un monito e un giudizio. La danza è movimento del
corpo, esplosione di vita come il riso, e nel suo accostamento
straniante alle maschere della morte fissa l'immagine di un mondo che
si avvia alla fine con colpevole inconsapevolezza:
187
È così che nasce lo stile ruvido, violento, osceno di Miller, dalla
volontà sistematica di non tralasciare nulla 26: uno specchio che non si
cura di quanto sia scomodo o rivoltante ciò che riflette, ma che si
limita a rispecchiarlo fedelmente. La mancanza di pietà per il degrado
forma la violenza del linguaggio milleriano:
26 - Questo fa dire a Van Norden: "Un giorno scriverò un libro su di me, sui miei
pensieri. Non voglio dire un saggio di analisi introspettiva...Voglio dire che mi stenderò
sul tavolo operatorio e metterò in mostra le budella, ogni cosa, accidenti." (ibidem, pp.
141-2).
188
e anche se ha l'anima di uno scarafaggio, e se n'è
magari accorto, dategli un fucile, un coltello, ma
anche le unghie e basta, e lui continuerà la strage [...]"
(ibidem, pp. 152-3)
189
che macinano e macinano senz'altro motivo che i
quindici franchi, dilava ogni sentimento che io ho,
tranne quello disumano di soddisfare la mia curiosità."
(ibidem, pp. 153-4)
190
Su un mondo del genere, anche il sole "tramonta in fretta". I colori
muoiono, bambini pallidi e ossuti strillano, c'è un odore fetido che
trasuda dai muri, l'odore di un millennio di storia dell'Europa, creatura
"medievale, grottesca, mostruosa sinfonia in si bemolle" (ibidem, p.
47). I simboli della vita, la luce, il colore, la gioia di un bambino,
sbiadiscono e scompaiono. Accanto alla disperazione, le immagini
brillanti di un cinema, che proietta 'Metropolis' per la sua "distinta
clientela". Il degrado delle piccole viuzze parigine è dietro l'angolo
delle luci delle avenués e dei Boulevard. La morte, sembra indicare
Miller, è al lavoro dietro di esse.
191
Parigi è stata la levatrice di Tropico del Cancro perché ha
rappresentato il distacco dal mondo americano e dai "valori borghesi"
della famiglia e del lavoro. È una città carica di fascino dove persino i
nomi delle vie sono evocativi ed ispirano la fantasia di un'artista; è un
carnevale perpetuo, quella che Hemingway chiamerà "festa mobile", un
palcoscenico dove Miller ha la parte dell'attore e dello spettatore.
Attore, perché mette in scena il proprio dramma personale, compie
quella metamorfosi che lo porta ad abbandonare ogni incertezza ed a
scegliere la propria vocazione di artista: nascono così Tropico del
Cancro, Tropico del Capricorno e Primavera Nera. Spettatore, perché
Parigi è un palcoscenico dove l'Occidente mette in scena il proprio
tramonto. Il palcoscenico ruota e mostra tutte le fasi del conflitto, ogni
sfaccettatura; è una terra di nessuno, un palcoscenico artificiale che,
proprio per la sua neutralità, costituisce lo sfondo ideale per i drammi
di tutti, un'incubatrice di feti giunti da ogni parte del mondo. Parigi è la
metropoli dell'era della civilizzazione, l"ultima città" per usare un
termine spengleriano ripreso da Miller27:
Parigi è come Roma, come Ninive, città simbolo di una civiltà. Roma,
Ninive, Parigi sono i simboli della decadenza: le "culle della civiltà"
mostrano nella loro immagine il cancro del declino. Qui c'è tutta la
simbologia negativa di Parigi come realtà devitalizzata, ma anche tutto il
suo fascino di città decadente, che libera le ultime forze della civiltà nel
celebrare la propria fine. È una Parigi che bisogna vivere, perché
l'esperienza del tramonto va vissuta fino in fondo, sino al suo pieno
compimento. Se il destino è il tramonto, direbbe Spengler, occorre
tramontare:
192
"È una Parigi che bisogna vivere, che bisogna
provare giorno per giorno in mille diverse forme di
tortura, una Parigi che ti cresce dentro come un
cancro e cresce finché non ti ha divorato." (ibidem,
p. 191)
193
babilonici lussi della decadenza" 28. Vivere Parigi significa immergersi
nelle visceri della terra, là dove si svolgono i movimenti fondamentali:
l'atteggiamento di Miller è identico a quello del naturalista che osservi
con distacco e con una certa curiosità lo svolgersi di eventi fisici. Le
visceri sono l'origine della vita, e stesso significato ha l'utero: Miller
ripete spesso il suo desiderio di "tornare nell'utero", volendo intendere
il ritorno alla fonte stessa della vita: nell'utero si svolgono i processi
essenziali. È questo accostamento che dona a Parigi il suo fascino e la
sua "positività"; qui si svolgono processi mortali ma anche vitali nella
loro distruttività, si assiste alla morte ma anche ai primi sintomi della
vita. Nella metropoli c'è tutto lo sfascio della civiltà ma anche tutta la
forza della Vita. Non tutte le energie liberate nella decadenza sono
negative; così, Miller entra spontaneamente nel ventre della balena per
registrarne i movimenti segreti e studiarne flora e fauna29.
28 - The World of Sex, Chicago, Argus Book Shop, 1941. Ediz. italiana consultata Il
mondo del sesso, Milano, Mondadori, 1992, p. 15.
29 - 'Nel ventre della balena' è anche il titolo di un celebre saggio di G. Orwell su Miller.
Vedi più avanti, Capitolo V.6.2, pp. 199-205.
194
evitarne il dolore e godere pienamente il fascino della decadenza.
Hanno perduto il contatto con il senso positivo della vita; Miller invece
questo contatto cerca di non perderlo mai, perché su questo si basa la
possibilità di scorgere un futuro oltre la disperazione del presente del
presente.
Altro attore è Van Norden, il grande mistificatore del sesso, cinico e
spregiudicato. La sua brutalità ed il suo nichilismo fanno dell'amplesso
il movimento di una macchina e del mistero della creazione un segreto
anatomico da svelare illuminando con una torcia elettrica l'utero di una
prostituta30. Van Norden in certo senso è l'opposto di Boris e
Cronstadt: là, astrazione e intellettualismo come mediazioni che
allontanano dalla vita, qui il medesimo effetto attraverso una totale
assenza di significato della vita stessa, privata di sentimenti umani e
ridotta ad ingranaggio. Il mondo perde di significato e la vita diventa il
pretesto per un lamento continuo:
30 - "Tutto questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un vuoto e basta. Non
sarebbe divertente trovarci dentro un'armonica...oppure un calendario ? Invece non c'è
nulla...nulla di nulla. È schifoso" (Cancro, p. 150).
195
caleidoscopio delle prostitute, Germaine, Tania, Irene, Llona, che
nella visione di Miller rappresentano il rifugio estremo della vita,
le custodi di un senso sacrale del sesso come passione e come
forza che supera e sradica i limiti delle convenzioni.
V. 6. 1. La Vita
196
accendersi e spegnersi, nascere e morire di forme. Nasce così quel
ricco repertorio spengleriano di immagini organiche: la civilizzazione
diventa "senilità", "ceneri che si spengono lentamente", l'amore è la
"fiamma" mentre l'odio è il "freddo", la procreazione è un "momento
di calore", l'accendersi della scintilla che sprigiona la forza del fuoco.
È il "magico fascino del rosso di sera, del fuoco che arde nel
camino..." (ibidem, p. 55). La fiamma "è" il tempo, il divenire con la
sua imprevedibilità e mutevolezza, è la combustione, l'eterna
trasformazione, ma più corretto sarebbe dire che la fiamma "non è ma
diviene" (ibidem, p. 56).
Questa visione "vitalistica" spiega i fenomeni della storia ma
soprattutto rassicura sul destino dell'uomo. Tutta la realtà si definisce
non in base a categorie statiche ma secondo la sua evoluzione ed il suo
continuo ridefinirsi nel tempo. In questo modo la decadenza viene fatta
rientrare nella normale fisiologia di un organismo vivente, figura
simbolica di una ciclicità naturale. La "vita" rimane un mistero
insondabile, ma la sua presenza è certa: la vita è una fiamma che arde
sempre, che trova sempre nuovo materiale da combustione, lo
consuma e si volge altrove per ardere di nuovo. La vita sfugge agli
"oggetti" che crea perché "non è alcunché di oggettivo ma puro
movimento" (ibidem, p. 51)32. La fine di una civiltà non coincide con la
fine della vita: essa cambia solo la forma del suo manifestarsi, alla luce
di nuovi bisogni e nuovi interrogativi.
La positività del richiamo al concetto di "vita" è presente ne Il
Tramonto dell'Occidente, ma emerge ancora più chiaramente in
Urfragen. Essere umano e destino, la grande opera "metafisica" in
frammenti e aforismi che rappresenta lo sbocco naturale del percorso
tracciato nel primo trattato. Scrive Spengler:
32 - Per tutta la spiegazione del "divenire" e della "vita"come "fiamma", vedi Urfragen,
pp. 43-91 (tutto il capitolo dal titolo 'Fiamma').
33 - Citato nell'introduzione a Urfragen, p. 12.
197
Con Urfragen. Essere umano e destino Spengler vuole andare a fondo
fino a scoprire quell'elemento originario delle civiltà della storia, e a
delineare quei tratti metastorici, antropologici dell'umanità, che
testimonino la presenza di un "fondamentale, omogeneo fluire di una
sola civiltà" 34. E' un'opera che testimonia l'affermarsi di una
prospettiva, che già ne Il Tramonto dell'Occidente aveva trovato modo
di esprimersi, ma alla quale non era stata data la dovuta importanza,
perché l'accento sulle immagini del declino dell'Occidente e
sull'aspetto catastrofico della fine della "Zivilisation" l'avevano posta in
secondo piano.
Questo è l'aspetto "positivo" di Spengler, il suo sostrato costruttivo,
reso evidente dalla simbologia organica delle immagini del "tramonto"
e della "fiamma"; una identica positività informa le figure del romanzo
di Miller. Se il Cancro indica un malessere, esso intravede anche un
percorso e quindi una nuova prospettiva. Come Spengler, anche Miller
ha dovuto fare i conti con l'accusa di essere un "menagramo", accusa
che gli ha permesso di chiarire definitivamente i termini del suo
concetto di decadenza:
Ciò che si consuma a Parigi non sono "gli ultimi giorni dell'umanità",
ma gli ultimi giorni dell'occidente. La distinzione è indispensabile per
comprendere i percorsi di Miller e di Spengler e per individuarne i
punti di contatto.
Un sentimento domina Tropico del Cancro: l'"accettazione". Tutta la
critica concorda nell'attribuire a questo sentimento un ruolo centrale
nell'opera di Miller. Innanzitutto, "accettazione" significa accogliere il
34 - ibidem, p. 20.
198
lato negativo della realtà come momento necessario, come esperienza
che va portata sino in fondo:
È questo, afferma Miller, ciò che Rimbaud vuol dire quando scrive:
"Una sera, ho preso la bellezza sulle mie ginocchia - E l'ho trovata
amara - E l'ho ingiuriata.". La vita va gustata, anche quando il sapore è
amaro e provoca disgusto; occorre attraversare il "dominio del male"
senza tirarsi indietro. Accettare significa accogliere su di sé il cancro
del presente, nutrirne i germi fino a quella esplosione della malattia che
è anche l'inizio della guarigione. In questo senso, il messaggio è
identico a quel "Ducunt fata volentem, nolentem trahunt" che chiude Il
Tramonto dell'Occidente: al destino non si deve resistere, perché è una
realtà che va accettata con piena consapevolezza e cognizione: il
percorso è già stabilito.
199
Tropico del Cancro, procuratevi Primavera Nera e
leggete specialmente le prime cento pagine. Vi
daranno un'idea di quello che si può ancora fare ai
nostri tempi con la prosa inglese. L'inglese vi è usato
come una lingua parlata, ma parlata senza paura,
cioè senza paura della retorica o dell'inusitato o del
termine poetico."35
35 - 'Inside the Whale', in G. Orwell, England Your England, London, 1954. Ediz.
italiana consultata 'Nel ventre della balena', p. XI, introduzione a Cancro.
36 - ibid., p. LI.
200
intenzioni. Perché anche l'uomo comune è passivo.
[...] È una voce della folla, del popolo minuto, una
voce che viene dal vagone di terza classe, dall'uomo
comune, dall'apolitico, amorale uomo passivo."37
37 - ibid., p. XVII.
201
atteggiamento passivo: anzi 'decadente', ammesso
che questa parola significhi qualcosa"38
202
"Questa dottrina dell'accettazione, la più difficile
eppure la più semplice tra tutte le idee radicali [...]
incarna il concetto che [...] bene e male coesistono,
anche se l'uno non è che l'ombra dell'altro, e che il
mondo, con tutti i suoi mali e i suoi difetti, fu creato
per la nostra gioia." (Come il colibrì, cit., p. 41)
203
bassi, senza trovare in questo contraddizione. La complessità
dell'esistenza trascende le possibilità umane di racchiuderla in una
definizione o in un'immagine onnicomprensiva. L'esperienza è fatta di
razionalità e di caos: vedere in essa solo una serie ordinata e sensata di
fenomeni significa occultare la verità, costruire una immagine del
mondo funzionale ai propri desideri ma falsa in quanto unilaterale,
proiezione della volontà di potenza della ragione. Gli sforzi
dell'intelletto per comprendere la realtà nelle proprie categorie, per
Miller, non cancellano quelle zone oscure che sfuggono ai tentativi
dell'uomo di stabilire un ordine e una logica. Di fronte al mondo,
allora,
40 - H. Miller, The Smile at the Foot of the Ladder, New York, Duell, Sloane &
Pearce, 1948 (ediz. italiana consultata Il sorriso ai piedi della scala, Milano, Feltrinelli,
1992 [quarta edizione], pp. 76-7).
204
e le civiltà. Tutta la realtà è animata dal principio vitalistico del divenire:
le immagini del "flusso" ci riportano al principio stesso della vita, che è
la dialettica eterna di nascita e morte. Il permanere del "flusso" oltre le
cose che esso trascina con sé indica la presenza di un valore stabile, di
una forza che è sempre presente e che sopravvive alle infinite morti
che costellano la storia dell`umanità. L'accettazione qui diventa il
"grande desiderio incestuoso" di lasciarsi andare alla corrente, di farsi
trascinare da questa energia vitale. Questo farsi trascinare ha un
riflesso, un simbolo, nel gusto milleriano per il magma verbale, per gli
elenchi, per il flusso di immagini che sembrano sgorgare
spontaneamente e senza possibilità di controllo. Scrivere significa
correre dietro a questa "eruzione" di parole, e la penna diventa un
tramite impotente tra le idee e la pagina, strumento per l'oggettivazione
del flusso in immagini:
41 - Per questa idea dello stile milleriano come "magma verbale" vedi Guido Almansi,
L'estetica dell'osceno, cit., p. 231.
205
lento fluire della Senna chiude Tropico del Cancro ad indicare che la
vita continua oltre il Cancro:
206
V. 6. 3. I simboli della vita
42- "Elsa telefona ancora, ha dimenticato di ordinare un pezzo di pancetta: -Si, un bel
pezzo di pancetta, non troppo grassa - dice...Zut alors ! Mettici anche qualche animella,
mettici coglioni di toro e, pssst, dei mitili ! Mettici anche un po' di leberwurst fritto, già
che ci sei; sarei capace di ingozzarmi tutte le mille e cinquecento commedie di Lope de
Vega in una volta sola" (ibidem, p. 36).
207
decadenza perenne e senza uscita. Ma se si riesce a ridare spazio alla
"voce della carne", allora possono aprirsi spazi all'azione:
Le idee non crescono nel vuoto, sono concrezioni del sangue, della
bile, dei succhi gastrici, hanno bisogno di acqua e sole per maturare.
Sono organismi che vogliono vivere, vogliono agire, altrimenti
appassiranno come fiori senza pioggia.
L'accento sull'agire, l'ostilità alle idee astratte e senza concretezza,
l'attacco al pensiero intellettualizzato e senza radici, sono tutti elementi
che troviamo anche in Spengler. Allo stallo della civiltà cittadina,
dominata dalla figura dell`intellettuale da metropoli, si reagisce col
ritorno alla radice del senso della vita, col ritorno alla terra, al sangue,
alla razza ed alla storia, o, nei termini milleriani, alla carne ed al sesso.
Possiamo cogliere questa dinamica attraverso le evoluzioni che Miller
fa compiere all'immagine dell"oro" (ibidem, pp. 256-7). Dapprima
esso sta ad indicare un parametro di giudizio della civiltà
contemporanea: la letteratura ha sempre "base aurea", si fonda cioè su
idee astratte e lontane dalla realtà. Superare questa base significherà
"raffigurare un essere presocratico", "erigere un mondo basato
sull'omphalos, non un`idea astratta inchiodata a una croce" (ibidem, p.
256). A questo punto, l'immagine da puramente negativa si rovescia e
l'oro diventa nuovamente simbolo della ricchezza, ma non quella
fondata sul denaro, bensì la ricchezza di una natura pienamente
umana. Scoprire l`oro significa così ritrovare nelle visceri dell'uomo la
radice di ogni simbolismo insito nelle forme create dall'uomo:
208
L'oro diverrà allora una vita che riacquista significato a partire dalla sua
realtà più viscerale, più concreta e profonda.
I più importanti simboli della vita sono il "sesso" e l'immagine che
tradizionalmente più lo incarna, la "donna". Questo tema, che è il
Leitmotiv dell'intera produzione milleriana, si connette al motivo del
fluire e dello scorrere, e con la sua ricca articolazione ci consente di
farci una idea più chiara di concetti come "vita", "flusso" e "divenire".
Il sesso è una forza creatrice: crea un proprio mondo, fissa rapporti e
legami che annientano ogni ordine precedente. È un potere eversivo
che supera le distinzioni operate dalla storia perché il suo linguaggio ha
radici anteriori a quelle; costruisce dalla fondamenta, è il fondamento
dell'esistenza come riproduzione della specie ma soprattutto come
creazione del legame tra sé e l'altro. Di fronte al sesso l'uomo torna ad
una nudità che non è solo corporea ma anche ideale, torna alla propria
primitività e riscopre la sua essenza profonda occultata dalle
sovrastrutture intellettuali.
Alla nudità si connette il significato dell"osceno" in Miller: l'osceno è
una violazione dell`ordine sociale, la sua sostituzione con un ordine
più antico, quel macrocosmo naturale. Tramite l'osceno, l'arte
rappresenta l'uomo nella sua condizione originaria, "presocratica",
precedente ad ogni ulteriore distinzione operata dalla ragione:
209
significato: essa è una preghiera, è l'annullamento radicale, la morte che
preclude ad una nuova vita. La violenza non ammette sfumature: o vita
o morte, le posizioni sono radicali. La violenza e l'oscenità del sesso
milleriano precludono alla nascita di una nuova forma di eros, un eros
"totale", senza esclusioni, un eros come completa accettazione della
pienezza della Vita.
Questo senso dell'eros fa luce su un altro aspetto decisivo dell'idea
milleriana del sesso: il suo potere spersonalizzante, la sua capacità di
trasformare due polarità distinte in pedine di un flusso vitale che le
sovrasta, le domina, le piega alle proprie leggi. In Il mondo del sesso si
legge:
43 - Questa era la critica che Ernst Junger muoveva a Miller: "il sesso viene
contrapposto alla tecnica. [...]" ma in realtà "in sesso non contrasta con i processi
tecnici, è anzi il loro corrispettivo nell'ambito organico" (Ernst Junger-Martin Heidegger,
Oltre la linea, Milano, Adelphi, 1989, p. 97).
210
all'uomo la sua essenza e lo allontana dalla vita ottundendolo con la
ripetitività dei comportamenti che impone. È qui che il sesso mostra
tutta la sua negatività, la monotonia, la volontà di sopraffazione, il
vuoto di significato, la brutalità, la violenza; diventa una macchina cui
manca la mano del meccanico:
211
non comprensibile dalla ragione, mistero perché racchiude in sé
energie e potenzialità da esplorare.
Quando l'eros è passione autentica, ogni copula è diversa dall'altra,
ogni copula è reinvenzione del mondo. L'atto sessuale non ripete mai
sé stesso, ma reinventa continuamente le sue forme, come la Vita.
Nella raffigurazione artistica, ogni copula diventa l'attivazione di un
senso nascosto dell'esistenza. Ecco allora la metafora della
penetrazione come attraversamento di una città:
"Tutti gli uomini con cui è stata e ora tu, proprio tu, e
le chiatte che passano, alberi e scafi, tutta la
maledetta corrente della vita che fluisce in te, in lei, in
tutti quelli che ci son stati prima di te, dopo di te, i
fiori e gli uccelli e il sole che inonda e la sua fragranza
che ti soffoca, ti annulla." (ibidem, pp. 50-1)
212
di sé. Se qualcuno osasse portare alla luce questa realtà, cadrebbe ogni
"sovrastruttura", che è sempre "menzogna" fondata su "una paura
trepidante" (ibidem, pp. 261-2). Il mondo si regge su forme decrepite,
e basterebbe un solo sguardo al mistero del sesso o dell"osceno" per
farlo crollare. Fondando una vera e propria "estetica dell'osceno",
Miller indica nella copula e nella sua raffigurazione artistica l'elemento
che può scuotere l'uomo, perché l'artista sa dove collegarsi per trovare
la corrente elettrica del sesso. La presa è nelle interiora, nelle viscere
dell'uomo, nella sua parte più carnale e più prossima alla sua ancestrale
animalità:
Questo contatto con la vita ha salvato Miller dal seguire la sorte dei
"facchini in livree di gesso che aprono le mascelle dell'inferno", lo ha
salvato dalle "fauci zannute delle macchine" e della metropoli:
213
caos, la beffa della vita" il "modulo invisibile", il "pigmento
metafisico" della realtà. Anche in un mondo che va a pezzi "c'è un
uomo che rimane al nocciolo", e questo nocciolo ha connotati
sessuali, "vibra di chiari, ansanti orgasmi" ed è "denso di sperma
stagnante" (ibidem, pp. 173-177)44. La ricchezza cromatica e la ricerca
formale di Matisse diventano i simboli di un'arte che non si nega nulla
della ricchezza dell'esistenza perché mira a rappresentarla
integralmente, come totalità.
Il futuro è dell'Oriente, dell'India 45 che deve lottare contro il virus
diffuso dall'America, "l'ossessione del tempo, la marcia inarrestabile
dell'orologio" (ibidem, p. 103); l'Oriente è il simbolo di una intatta
purezza spirituale che deve resistere al modello di progresso offerto, o
meglio imposto, dall'Occidente46, rappresentato dall'America,
"incarnazione medesima della dannazione" (ibidem, p. 103).
Il futuro, soprattutto, è della donna, accostata da Miller all'Oriente
come simbolo di una natura umana intatta47. La donna è il simbolo del
sesso e della forza della natura: sotto le sue molteplici incarnazioni
(Mona, Una Gifford, Germaine, Llona, Irene, Claude) resta l'archetipo
della Donna Madre, culto di popoli primitivi. E' la donna depositaria
del mistero della nascita, donna come valore eterno e come garanzia
214
del perpetuarsi della legge del divenire; è lei ad alimentare il flusso della
vita.
Riconducendo il simbolo della donna all'elemento del "divenire", il
legame con Spengler diventa evidente, e conferma quell'affinità che era
già emersa esplicitamente in The World of Lawrence48, non a caso
contemporaneo alla stesura di Tropico del Cancro. Germaine è la
dinamicità dell'esistenza, la corrente del divenire che, come una forza
impersonale e irrefrenabile, travolge ogni difesa dell'individuo e lo
trascina nel suo flusso. Le successive identificazioni tra l'eros e la
donna, tra questa e la corrente della Senna e tra il fiume e il flusso
vitale, connettono la donna al principio della Vita e ne fanno il simbolo
più espressivo. Lo stesso senso emerge, ne Il Tramonto
dell'Occidente, dall'identificazione tra donna e storia: l'uomo "fa" la
storia, la donna "è" la storia, "la storia eterna, materna, vegetale [...] la
storia senza civiltà della mera successione delle generazioni"
(Tramonto, p. 1132).
215
Si può vedere in questo simbolo l'origine di due percorsi che saranno
spesso divergenti, ma che comunque procedono da uno stesso
fondamento positivo.
CONCLUSIONI
APPENDICE
216
dal quale partono i raggi, cioè le vicende e i personaggi che si
sprigionano, quasi per evocazione, dal nome della strada newyorkese.
Questo procedimento, se può essere fatto rientrare in quella tendenza
alla raffigurazione visiva testimoniata dalla passione per l'acquarello 2 ,
ci mostra però anche la fascinazione milleriana per le rappresentazioni
simboliche. Il senso di questa passione è il tentativo costante di una
rappresentazione onnicomprensiva della realtà, lo sforzo di
comprendere l'esistenza e le sue contraddizioni in una immagine
complessiva, dominabile con un solo sguardo. Sentimento, per inciso,
che ritroviamo anche nella "prospettiva dell'aquila" di Spengler.
Espressioni entrambe di un pensiero che si fonda più sulle capacità
d'intuizione di una immagine che sulla consequenzialità rigorosa dei
concetti.
2 - Henry Miller cominciò negli anni Trenta a coltivare questa passione, che per un
breve periodo divenne dominante. In alcuni casi la vendita di acquarelli lo aiutò a
sopravvivere. Raggiunta la celebrità fece anche delle mostre dei suoi lavori, ed alcuni
sono raccolti in H. Miller, L'angelo è la mia filigrana, Milano, il Saggiatore, 1961.
Leggendo il suo programma di lavoro degli anni 1932-1933, troviamo, accanto ai piani
di scrittura, anche un "painting program", un programma di pittura.
3 - L'illustrazione è riprodotta in Lawrence, p. 2.
4 - Questa immagine, presente in quasi tutte le mitologie, ricorre spesso in Miller.
217
portante de Il Tramonto dell'Occidente. Altra polarità è quella tra
forma ("form") e mondo ("world"), tra le strutture create dall'uomo ed
il flusso della vita del cosmo, che non si lascia congelare in schemi.
Anche qui abbiamo l'eco di una distinzione spengleriana, quella tra
forme al tramonto e forme vitali, tra "Zivilisation" e "Kultur", tra le
astrazioni dell'intelletto ed il pulsare della vita. Così come spengleriano
è quel richiamo al destino ed alla storia della razza ("History of race.
The time spirit. Destiny"), che nella figura compare in basso a destra.
Dal microcosmo e dalle radici parte quel flusso vitale che costruisce
l'albero. Ciò che lo tiene insieme è il fusto, che simboleggia la fede
religiosa ("religious faith"), fede nella realtà spirituale dell'uomo e
nell'essenza metafisica della realtà. Essa permette la crescita dell'istinto
vitale ("vital instinct of life"), che si concretizza nel "sacred body", nel
corpo sacralizzato: lo spirito non è qualcosa di separato dal corpo, ma
proprio nella dimensione del corpo trova il proprio inveramento. Ed è
proprio dal passaggio attraverso una fase dionisiaca, passionale
("dionysian type" e "passionate experience"), che si arriva alla
ideologia ed ai cieli del macrocosmo: la scoperta dello spirito passa
attraverso la realtà del corpo. Da qui partono i rami dell'albero, verso il
mondo delle idee (a destra) e verso il mondo dell'arte (a sinistra).
Il flusso vitale, come nutre, ascendendo lungo il tronco, l'essenza
spirituale dell'uomo, così rigenera continuamente le sorgenti della vita.
La sua energia si spinge verso l'alto e poi defluisce verso il basso: è il
concetto di morte creativa ("creative death"). Osserviamo la parte
sinistra del disegno, poco sopra il livello del suolo: "the whole form of
our world mustys", cioè l'intera forma del nostro mondo avvizzisce.
Questo sentenzia il "Profeta del Fato" ("Prophet of the Doom"),
probabilmente lo stesso Spengler. La morte delle vecchie forme è però
creativa, e nel disegno è connessa con la crescita ("growth"): spazzare
via i rami secchi significa aprire spazi per altre creazioni e per il sorgere
di nuovi germogli. In questo senso la morte creativa riporta la vita
al'origine, al suolo, e con essa lo nutre. Il flusso vitale scorre
incessantemente verso l'alto e verso il basso, ed il suo movimento
consente a microcosmo e macrocosmo di perpetuarsi. E' l'ennesima
immagine del monismo milleriano, che fa sì che opposti quali vita e
morte, creazione e distruzione possano coesistere in una immagine
ciclica del movimento della vita; ed anche qui la vicinanza alla filosofia
218
di Spengler, allo svolgersi della storia secondo lo schema di una
ciclicità naturale, appare evidente.
In conclusione, l'immagine che il disegno ci offre, attraverso la
simbologia dell'albero della vita, è quella di una realtà naturale fondata
su opposti o quantomeno su realtà parallele, sincroniche: microcosmo
e macrocosmo, utero e cieli, forma e mondo, realtà e metafisica,
nascita e morte, morte creativa e morte non-creativa. Le opposte
polarità però li tengono uniti, in un serrato rapporto dialettico che
forma la realtà. Ecco allora la raffigurazione sintetica, l'immagine
simbolica della pianta, che, pur diramandosi in ogni direzione, trova un
elemento originario di coesione nell'essere attraversata senza soluzione
di continuità dalle linee del flusso vitale, veri e propri canali linfatici
dell'organismo macrocosmico.
ILLUSTRAZIONE N. 1
219
ILLUSTRAZIONE N. 2
220
CONCLUSIONI
216
forma degli elogi tributati possono rivestire una certa importanza nel
determinare i contorni dell'approccio milleriano.
E' proprio partendo dagli aspetti "marginali" che sono venuti
rivelandosi i contorni di una sintonia profonda tra i due intellettuali,
puntuale nell'indirizzo generale della riflessione e nelle sue
articolazioni, anche le più specifiche e particolari; una sintonia che si
riscontra già nell'impostazione del discorso e che si mantiene costante
nel suo sviluppo e, fondamentalmente, anche nelle conclusioni.
Il primo e più immediato elemento di raccordo è stato rilevato in una
certa affinità di stile e di tono: la riflessione di Miller e di Spengler
procede con disinvoltura e a grandi balzi, stabilisce nessi ed analogie
tra fenomeni distanti nel tempo e nello spazio, sovrappone le
immagini di un quadro di Rembrandt con l'architettura musicale di
un'opera wagneriana, salta con disinvoltura dall'ellenismo alla
rivoluzione industriale, da Cesare a Napoleone, da Buddha al
socialismo, da Boccaccio a Whitman. Anche lo stile, pur con le
dovute differenze, presenta tratti comuni, nella plasticità della parola,
nel tono lapidario e apodittico, nel gusto per le immagini evocative e
per una simbologia capace di creare suggestioni.
Parlando de Il Tramonto dell'Occidente, Miller usa espressioni
come "stupendo poema sinfonico morfologico, o fenomenologico",
"poema del mondo", "elisir di vita", "opera immensa in cui si svolge
il panorama del destino umano". Il tono di queste definizioni non
lascia dubbi sul fatto che la lettura milleriana del testo non sia
rigorosamente ortodossa, e venga a tratti offuscata dall'ammirazione
per il filosofo dallo stile brillante e dall'intelligenza tagliente; se questo
approccio comporta il rischio di degenerare in un misticismo
visionario che dissolve la complessità della storia senza risolverla,
tuttavia esso ci mostra come Miller abbia intuito il senso profondo
dell'opera spengleriana.
Questa acuta comprensione ha la sua testimonianza più espressiva
nel fatto che Miller non si ferma all'immagine più evidente e popolare
de Il Tramonto dell'Occidente, cioè al suo aspetto critico e
"negativo". Il tema della decadenza è certamente uno snodo
importante del pensiero spengleriano e rappresenta un punto
d'incontro con la prospettiva milleriana: la sintonia qui è profonda, e
tradisce non solo una comune Weltanschauung, ma anche una
217
puntuale analogia nelle sue articolazioni più particolari: è su questa
traccia che prendono corpo temi come la "macchina", la "metropoli",
la "tecnica", l'"antintellettualismo" e la figura dell'uomo come
"nomade intellettuale"; questi sono i cardini del pensiero di Miller, ed
il percorso di citazioni dell'ultimo capitolo di Plexus ne ha messo
bene in rilievo la derivazione spengleriana. Tuttavia, risolvere il
rapporto tra i due in un confronto sul tema della decadenza
significava appiattire la riflessione e travisarne il senso.
E' quando Miller coglie e mette in luce l'aspetto "positivo",
"affermativo" de Il Tramonto dell'Occidente che emerge con
chiarezza la sua comprensione del senso della riflessione
spengleriana, e si delinea una nuova prospettiva comune, meno
scontata, meno evidente dell'altra ma egualmente importante e
fondata. Immediatamente dopo l'uscita della sua prima opera e in
conseguenza dello straordinario successo editoriale che questa aveva
avuto, Spengler aveva dovuto fare i conti con un coro di accuse, tra
le quali spiccava quella di "pessimismo": ad essa rispose con un
saggio dal titolo significativo, 'Pessimismus?', in cui si sottolineava
come la polemica fosse scaturita dal fraintendimento del significato
della parola "tramonto". Semanticamente, l'immagine che emergeva
con maggiore evidenza era quella negativa, per cui il tramonto veniva
ad essere identificato con la morte e con la fine del mondo. La realtà
sulla quale Spengler voleva fare luce era in realtà più complessa e
sfaccettata: il senso autentico del tramonto è il "compimento", parola
goethiana che sta ad indicare la compresenza, nella metafora organica
del declino del sole, del momento negativo (la fine del giorno) e di
quello positivo (la certezza di nuova alba).
L'ambivalenza della simbologia rispecchiava una struttura
concettuale fondamentalmente dicotomica: tutta la filosofia di
Spengler si costruisce sulla polarità tra "civiltà" e "civilizzazione",
"natura" e "storia", "vivere" e "conoscere", "anima" e "conoscenza",
dove i due termini non si eliminano reciprocamente, ma si
completano. La "civilizzazione", ad esempio, possiede certamente
una forte caratterizzazione negativa che si ripercuote sul destino
dell'Occidente, che vive appunto la sua fase di Zivilisation. La
civilizzazione è il crepuscolo della civiltà, la forma di un'anima che
non ha più nulla da esprimere. Tuttavia anch'essa ha una sua necessità
218
in quanto, come la Kultur, è una fase naturale e necessaria della vita
dell'organismo-civiltà.
Miller mostra di avere piena consapevolezza di questa dicotomia
essenziale quando richiama, in The World of Lawrence, il saggio
sopracitato di Spengler. La comprensione della prospettiva
spengleriana gli proviene dall'essere questa profondamente in sintonia
con un concetto che per Miller è di fondamentale importanza: l'idea
della "morte vitale". La morte e la distruzione, intese come fase finale
della storia di una civiltà, vengono ricondotte ad una fondamentale
positività, in quanto premesse necessarie per il sorgere di nuove realtà
e per il ricominciamento della storia. L'immagine ossimorica della
"morte vitale" si fonda sull'idea che la storia segua i ritmi della
fisiologia naturale, quelle fasi di nascita, maturazione, senescenza e
morte che ne Il Tramonto dell'Occidente cadenzavano il destino delle
civiltà. Questo, se da una parte comporta l'impossibilità da parte
dell'uomo di sfuggire ai limiti sanciti dalle leggi di natura, dall'altra
sancisce la presenza di un valore stabile e positivo oltre il destino di
morte delle forme umane.
E' questo valore che, presente in Miller come in Spengler, mette
fuori gioco ogni lettura pessimistica de Il Tramonto dell'Occidente e
di Tropico del Cancro. Perché c'è anche questa coincidenza, per cui
entrambi hanno dovuto subire accuse di ciarlataneria e di pessimismo
compiaciuto: Spengler per le profezie sul destino del mondo euro-
occidentale, Miller per la brutalità e la schiettezza del suo linguaggio,
giudicato e condannato come rappresentazione falsa e parziale della
realtà, fondata solo su una personale e sinistra predilizione per gli
aspetti più sordidi dell'esistenza. In realtà anche il simbolo del
"cancro" ha l'ambivalenza del "tramonto": il cancro è l'animale che
può camminare in ogni direzione con uguale facilità, e questo significa
che il luogo del cancro, il suo "tropico", non è solo un dominio della
morte, ma anche il momento di una ritrovata libertà d'azione per cui
ogni via è aperta e si rende possibile, anzi necessaria, la scelta di un
nuovo percorso.
I due aspetti, positivo e negativo, costruiscono insieme un pensiero
che è più complesso di quanto l'immediata evidenza di alcune
immagini potrebbe far credere. La filosofia di Spengler non è
pessimista tout court né nichilista: non si ferma al momento negativo
219
della denuncia della decadenza, ma indica concrete possibilità
d'azione per l'uomo dell'avvenire. Pessimismo è la rinuncia ad agire,
la mancanza di obiettivi; "al contrario," scrive Spengler, "io ne vedo
tanti ancora non raggiunti, che temo ci mancheranno il tempo e gli
uomini per conseguirli.". Si può dire che il momento positivo
scaturisca necessariamente dall'azione preliminare di distruzione: se
già ne Il Tramonto dell'Occidente la polarità positiva era comunque
presente, in Urfragen. Essere umano e destino essa prende il
sopravvento; la ricerca sulle forme della storia diventa la ricerca
sull'arché, sul principio primo della creazione, il "primissimo
embrione" delle civiltà.
La stessa dinamica è riscontrabile in Miller: in Tropico del Cancro
alle figure della crisi (la metropoli, la macchina, l'intellettuale incapace
di vivere) si affiancano, fino a prevalere nella seconda parte del
romanzo, i simboli del riscatto, come l'immagine del flusso eterno
della Vita, il sesso come esperienza di liberazione e la donna come
immagine della potenza cosmogonica dell'eros. Dicotomia che è
pervasiva e che si riscontra anche ad un altro livello, qui
particolarmente importante, e cioè sul piano delle forme dello stile;
qui, a momenti di violento realismo si alternano slanci lirici e
"intermezzi metafisici", in una struttura a contrappunto che cerca di
riprodurre la realtà nei suoi aspetti contraddittori.
220
APPENDICE
171
sintetizza la propria visione del mondo, sulla scorta della lettura di
Lawrence.
L'albero rappresenta, nella forma e nella fisiologia, il movimento della
vita. Alla radice c'è la madre terra ("mother earth"), l'utero ("womb"),
che è origine ma anche fine ("grave", tomba) di ogni cosa. E' l'humus
da cui comincia la vita ed a cui la vita ritorna, con la morte. Da questo
seme partono le radici, che sono il flusso vitale ("life stream"), e che
generano il microcosmo, cioè l'uomo. Al suo opposto, in alto, stà il
macrocosmo, il clima mentale ("mental climate"), l'ideologia come
"restaurazione di una unità perduta", "quella del sé con il cosmo"
("restauration of a lost unity" "of the self with the cosmos"), come
raggiungimento dell'armonia tra l'uomo e la sua essenza spirituale. La
stessa polarità tra microcosmo e macrocosmo fonda la struttura
portante de Il Tramonto dell'Occidente. Altra polarità è quella tra
forma ("form") e mondo ("world"), tra le strutture create dall'uomo ed
il flusso della vita del cosmo, che non si lascia congelare in schemi.
Anche qui abbiamo l'eco di una distinzione spengleriana, quella tra
forme al tramonto e forme vitali, tra "Zivilisation" e "Kultur", tra le
astrazioni dell'intelletto ed il pulsare della vita. Così come spengleriano
è quel richiamo al destino ed alla storia della razza ("History of race.
The time spirit. Destiny"), che nella figura compare in basso a destra.
Dal microcosmo e dalle radici parte quel flusso vitale che costruisce
l'albero. Ciò che lo tiene insieme è il fusto, che simboleggia la fede
religiosa ("religious faith"), fede nella realtà spirituale dell'uomo e
nell'essenza metafisica della realtà. Essa permette la crescita dell'istinto
vitale ("vital instinct of life"), che si concretizza nel "sacred body", nel
corpo sacralizzato: lo spirito non è qualcosa di separato dal corpo, ma
proprio nella dimensione del corpo trova il proprio inveramento. Ed è
proprio dal passaggio attraverso una fase dionisiaca, passionale
("dionysian type" e "passionate experience"), che si arriva alla
ideologia ed ai cieli del macrocosmo: la scoperta dello spirito passa
attraverso la realtà del corpo. Da qui partono i rami dell'albero, verso il
mondo delle idee (a destra) e verso il mondo dell'arte (a sinistra).
Il flusso vitale, come nutre, ascendendo lungo il tronco, l'essenza
spirituale dell'uomo, così rigenera continuamente le sorgenti della vita.
La sua energia si spinge verso l'alto e poi defluisce verso il basso: è il
concetto di morte creativa ("creative death"). Osserviamo la parte
172
sinistra del disegno, poco sopra il livello del suolo: "the whole form of
our world mustys", cioè l'intera forma del nostro mondo avvizzisce.
Questo sentenzia il "Profeta del Fato" ("Prophet of the Doom"),
probabilmente lo stesso Spengler. La morte delle vecchie forme è però
creativa, e nel disegno è connessa con la crescita ("growth"): spazzare
via i rami secchi significa aprire spazi per altre creazioni e per il sorgere
di nuovi germogli. In questo senso la morte creativa riporta la vita
al'origine, al suolo, e con essa lo nutre. Il flusso vitale scorre
incessantemente verso l'alto e verso il basso, ed il suo movimento
consente a microcosmo e macrocosmo di perpetuarsi. E' l'ennesima
immagine del monismo milleriano, che fa sì che opposti quali vita e
morte, creazione e distruzione possano coesistere in una immagine
ciclica del movimento della vita; ed anche qui la vicinanza alla filosofia
di Spengler, allo svolgersi della storia secondo lo schema di una
ciclicità naturale, appare evidente.
173
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Henry Miller
Opere
226
Ediz. ital. Ricordati di ricordare, Torino, Einaudi, 1979 (I ediz.
1965).
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Ediz. ital. Il sorriso ai piedi della scala, Milano, Feltrinelli, 1992 (I
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- Big Sur and the Oranges of Hieronymus Bosch, New York, New
Directions, 1957.
227
Ediz. ital. Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Torino,
Einaudi, 1979 (I ediz. 1978).
- Stand Still Like the Hummigbird, New York, New Directions, 1962.
Ediz. ital. Come il colibrì , Milano, Rizzoli, 1970.
Epistolario
228
- Art and Outrage: Lawrence Durrell and Alfred Perlès, New York,
Dutton, 1961.
Ediz. Ital. Arte e oltraggio, Milano, Feltrinelli, 1961.
229
Raccolte
Critica
(AVVERTENZA: nella bibliografia che segue sono stati riportati, dei
molti articoli usciti su quotidiani, riviste e periodici, solo quelli più
importanti. Quanto agli articoli ripubblicati in opere critiche si fa
riferimento a queste ultime. Per un elenco completo vedi la bibliografia
di Mitchell Edward (edited by), H. Miller: Three Decades of Criticism,
cit.)
230
Ediz. ital. 'Il profeta del millennio' in H. Miller, Conversazioni a
Pacific Palisades, cit.
231
- FERGUSON ROBERT, H. Miller: a life, London, Hutchinson, 1991.
- JONG ERICA, The Devil at Large, New York, Turtle Bay Books,
1993.
Ediz. ital. Il diavolo fra noi, Milano, Bompiani, 1993.
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- " " ", Genius and Lust: A Journey Through the Major Writings of
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- MARTIN JAY, Always Merry and Bright: The life of H. Miller, Santa
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233
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- " " ", 'H. Miller, amore fino in fondo' in Corriere della Sera,
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234
- ROSSANI WOLFANGO, 'La contestazione di H. Miller' in
Patriarchi del Novecento, Milano, Pan Editrice, 1974.
- " " " (edited by), H. Miller and the Critics, Carbondale, Southern
Illinois University Press, 1963. Saggi di Alfred Perlès 'My Friend H.
Miller', Samuel Putnam 'H. Miller in Montparnasse', Walter Lowenfels
'A Note on Tropic of Cancer', Frederick J. Hoffman 'The Booster',
Blaise Cendrars 'Un ècrivain amèricain nous est nè', Edmund Wilson
'Twilight of the Expatriates, G. Orwell 'Inside the Whale', Herbert J.
Muller 'The World of H. Miller', Lawrence Clark Powell 'The Miller of
Big Sur', Walker Winslow 'H. Miller: Bigotry's Whipping Boy', Philiph
Rahv 'Sketches in Criticism', Lawrence Durrell 'Studies in Genius' con
una lettera di Miller a Durrell, H. Read 'H. Miller', K. Rexroth 'The
Reality of H. Miller', Kingley Widmer 'The Rebel-buffoon: H. Miller's
Legacy, Marry T. Moore 'From Under the Counter to Front Shelf',
Stanley Kauffmann 'An Old Shocker Comes Home', 'Commonwealth
of Massachusetts vs., witness Mark Schorer, witness Harry Levin',
Aldous Huxley 'Statement for the Los Angeles Trial', Elmer Gertz 'H.
Miller and the Law', più un testo di Miller, Draconian Postscript.
-" " ", H. Miller down and out in Paris, London, Village Press,
1974.
235
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Oswald Spengler
Opere
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Ediz. ital. (parziale) Il socialismo prussiano, Parma, 1980.
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am Main, Suhrkamp Verlag, 1955.
Ediz. ital. Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Torino, Einaudi,
1972.
- ZECCHI STEFANO (a cura di) Estetica 1991. Sul destino , con saggi
di F. Volpi ('Heidegger lettore edito e inedito di Spengler'), D. Felken
('S. e il nazionalsocialismo'), M. Staglieno ('S., Thomas Mann, Carl
Schmitt'), G. Moretti ('Unter-Gehen. Considerazioni su S. e il
romanticismo'), G. Gurisatti ('Il tramonto dell'espressione. S. e la
fisiognomica'), cit.
238
Desidero ringraziare il dott. Claudio
Italia per l'assistenza nel lavoro di
elaborazione e revisione di questa
tesi.
239