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ROBERT B.

DILTS

STRATEGIE DEL GENIO


Come modellare l’eccellenza
Vol. 1

In collaborazione con

Ebook a cura di

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Titolo
“STRATEGIE DEL GENIO”

Autore
Robert B. Dilts

Edizione Originale: Strategies of Genius. Volume 1,  by Robert B. Dilts, ©


1994, Meta Publications

Edizione Italiana: Strategie del Genio. Come modellare l’eccellenza.


Volume 1, di Robert B.Dilts, © 2007 Sangiovanni’s srl

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge. Nessuna parte di questo libro può
essere riprodotta con alcun mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Autore e
dell’Editore. Le strategie riportate in questo libro sono frutto di anni di studi e
specializzazioni, quindi non è garantito il raggiungimento dei medesimi risultati
di crescita personale o professionale. Il lettore si assume piena responsabilità
delle proprie scelte, consapevole dei rischi connessi a qualsiasi forma di
esercizio. Il libro ha esclusivamente scopo formativo e non sostituisce alcun tipo
di trattamento medico o psicologico. Se sospetti o sei a conoscenza di avere dei
problemi o disturbi fisici o psicologici dovrai affidarti a un appropriato
trattamento medico.

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Sommario

Dedica pag. 5
Riconoscimenti pag. 6
Prefazione pag. 7
Introduzione pag. 17
Programmazione neurolinguistica pag. 20
Parte 1 pag. 43
Capitolo 1 pag. 45
Capitolo 2…………… pag. 92

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Dedica

Ai miei co-autori di Programmazione neuro-linguistica: lo studio


della struttura dell’esperienza soggettiva ‒ John Grinder, Richard
Bandler, Judith De Lozier e Leslie Lebeau ‒ che hanno
contribuito alla nascita di questa visione e missione, a David
Gordon, Todd Epstein, Gino Bonissone e i molti altri che da
allora hanno condiviso con me la visione.

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Riconoscimenti

Vorrei esprimere il mio riconoscimento a:


I miei genitori, Patricia e Robert, che mi hanno trasmesso la gioia
e l’interesse per la scienza, la letteratura, l’arte, la musica e la
preziosità della vita.
I miei fratelli Mike, Dan e John e mia sorella Mary che hanno
condiviso con me il fascino e l’eccitazione di esplorare questo
incredibile e bel pianeta.
Mia moglie Anita e i miei figli Andrew e Julia la cui
comprensione e pazienza nei miei confronti è stata quasi
sovraumana. Senza il loro sostegno, non sarei mai riuscito a
portare a termine un’opera come questa.
Todd e Teresa Epstein che nel corso degli anni hanno sostenuto i
miei sforzi creativi e pubblicato le prime versioni di alcune di
queste strategie per Dynamic Learning Publications.
Michael Pollard e Ami Sattinger che sono stati il mio Realista e il
mio Critico nel trasformare in libro queste idee.
Tutti quelli che negli anni mi hanno inviato materiale e mi hanno
sostenuto e incoraggiato nella mia missione.
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Prefazione

Nella prefazione di Programmazione neuro-linguistica: lo studio


della struttura dell’esperienza soggettiva i miei co-autori e io
abbiamo tentato di definire l’ambito e lo scopo del campo che
avevamo contribuito a creare insieme, sottolineando che:

“La PNL potrebbe essere considerata un’estensione della


linguistica, della neurologia o della psicologia, separazioni
queste che benché possano di fatto essere fittizie in natura sono
effettivamente utili per l'apprendimento dell'uomo e lo sviluppo di
conoscenze pratiche in grado di influire sulle nostre vite [...] [La
PNL non è] formata solo da modelli e schemi formalizzati derivati
da varie attività, ma è un’estensione di come questi modelli e
schemi sono stati messi in atto, perciò tratta un campo sia
informativo che pratico, ma soprattutto[…] ha uno scopo e una
metodologia unici”.

I miei co-autori e io abbiamo cercato di identificare un futuro


ampio e stimolante per questo settore di studio, inteso come
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scienza cognitiva, nonché espresso dalla convinzione che, grazie
alla PNL “[…] il sapere e le esperienze derivati da campi
totalmente diversi hanno la possibilità di combinare conoscenze
ed esperienza in strutture che permettono un’ulteriore crescita,
comprensione e influenza su noi stessi come esseri umani”.

Nel libro, abbiamo definito un sistema di distinzioni e una


metodologia per studiare la “struttura dell’esperienza soggettiva”,
nonché identificato una serie di strumenti con cui scoprire e
descrivere la programmazione mentale di un individuo sotto
forma di “strategie” cognitive. Nel volume sono stati poi trattati i
principi di induzione, utilizzo, progettazione, e istallazione di
simili strategie. Per illustrare tali principi, abbiamo proposto
alcune possibili applicazioni di questa nuova tecnologia mentale
nelle aree della salute, dell’apprendimento, della direzione e
organizzazione aziendale e della psicoterapia.

Nella conclusione di Programmazione neuro-linguistica: lo


studio della struttura dell’esperienza soggettiva, promettevamo:

“[…] il prossimo volume della serie, “Programmazione neuro-

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linguistica: volume II”, nel quale utilizzeremo il modello
sviluppato in questo libro per presentare e analizzare le strategie
che abbiamo scoperto essere le più efficaci e corrette per
raggiungere gli obiettivi per i quali sono state create. Nel
secondo volume, presenteremo le strategie che si sono dimostrate
le più efficaci e raffinate nel raggiungimento di risultati di
successo in varie aree e discipline – dall'apprendimento della
fisica all’abilità nel giocare a scacchi, dal processo decisionale,
allo studio di uno strumento musicale – per creare personali
modelli del mondo del tutto nuovi. Nel secondo volume, inoltre
analizzeremo più in dettaglio come applicare la programmazione
neurolinguistica al proprio lavoro e alla propria vita
quotidiana”.

Per una serie di ragioni, non siamo stati in grado di mantenere


questo impegno. Ma quella promessa, e la visione su cui si
basava, sono rimaste con me per tutti questi anni, sin da quando
ho prima ideato e poi scritto Programmazione neuro-linguistica:
lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva.

Sotto molti punti di vista, questa serie di volumi sulle strategie

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del genio intende mantenere la promessa di un “Programmazione
neuro-linguistica: lo studio della struttura dell’esperienza
soggettiva - volume II”.

A un altro livello, quest’opera è la realizzazione di una visione


iniziata quasi vent’anni fa, almeno cinque anni prima della
pubblicazione di Programmazione neuro-linguistica: lo studio
della struttura dell’esperienza soggettiva. Durante una lezione
presso l’Università della California a Santa Cruz, intitolata
pragmatica della comunicazione umana, discussi con John
Grinder la possibilità di mappare la sequenza in cui persone
eccezionali impiegavano inconsciamente i propri sensi durante il
processo di pensiero. All’epoca io ero uno studente al penultimo
anno di college e John Grinder un professore di linguistica.

Quella discussione insinuò in me il germe di uno studio più ampio


sugli schemi cognitivi utilizzati da geni famosi, che da una parte
onorasse il loro eccezionale talento e al tempo stesso lo spiegasse
e lo arricchisse di applicazioni più pratiche. L’idea si basava in
parte sulla convinzione che queste strategie potevano essere
codificate in elementi basilari ma abbastanza semplici da poter

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essere, per certi versi, insegnati addirittura ai bambini nel
prepararli alle sfide che si troveranno ad affrontare nella loro vita
da adulti.

Quel germe era destinato a diventare questo lavoro sulle strategie


del genio.

Questo libro è il primo volume di una serie dedicata alle strategie


del genio. In esso, analizzerò i processi cognitivi di quattro
importanti personaggi, molto diversi tra loro, che hanno dato un
contribuito positivo al mondo moderno: Aristotele, Sherlock
Holmes, Walt Disney e Wolfgang Amadeus Mozart. Questi
personaggi hanno operato in aree comportamentali molto diverse,
e uno di loro è in realtà un personaggio inventato. Tuttavia, hanno
tutti una cosa in comune: strategie uniche e potenti per analizzare
e risolvere i problemi o creare, che ancor oggi continuano ad
affascinarci e divertirci.

Il secondo volume di quest’opera è invece interamente dedicato a


Albert Einstein. L’effettiva portata e importanza dei suoi
contributi alla nostra percezione di noi stessi e del nostro universo

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meritano infatti un intero volume.

I volumi successivi comprenderanno studi su Leonardo Da Vinci,


Sigmund Freud, John Stewart Mill, Nicola Tesla e alcuni 'geni'
più recenti come Greagory Bateson, Moshe Feldenkrais e il
medico Milton H. Erickson.

La scelta degli individui studiati in questa opera non è frutto di un


piano deliberato. Sono piuttosto persone che erano state per me
fonte di incoraggiamento o ispirazione, oppure che sembravano
rappresentare qualcosa di profondamente fondamentale. Spesso il
materiale chiave utilizzato per l’analisi mi è stato fortunatamente
fornito da qualcuno che mi sapeva interessato a un determinato
individuo o impegnato in ricerche sulle strategie dei geni. Il
progetto si è sviluppato organicamente in un modo simile ai
processi usati dai geni stessi.

Benché i capitoli di questo libro rimandino l'uno all'altro, non è


necessario leggerli consecutivamente; i lettori, se lo vogliono,
possono procedere a salti. Ovviamente, i diversi geni studiati nei
singoli capitoli operavano in campi diversi e avevano approcci

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diversi, che possono essere più o meno interessanti per il lettore.
Aristotele, per esempio, era un filosofo, perciò le sue idee sono
per forza di cose di natura più filosofica che pragmatica. Se
alcune vi sembreranno troppo difficili o non rilevanti, potete
saltare direttamente a uno dei capitoli successivi e ritornare ad
Aristotele in seguito. Lo stesso vale per qualsiasi altro capitolo.
Ho ricordato in precedenza che questo studio è germinato in me
per quasi vent’anni. In questo periodo di tempo, la mia
comprensione delle strategie del genio è maturata così come sono
maturato io. Mi auguro, attraverso questo lavoro, di essere in
grado di trasmettere almeno in parte le immense possibilità e
opportunità offerte della ricca trama della mente umana e
dell’“esperienza soggettiva”. Spero che il viaggio vi sia gradito.

“Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa


questo o quel fenomeno in particolare. Voglio penetrare a fondo
il suo pensiero. Il resto sono solo minuzie” - Albert Einstein

“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era una massa
senza forma e vuota; le tenebre ricoprivano l’abisso e sulle acque
aleggiava lo Spirito di dio. Iddio disse: ‘Sia la luce’: e la luce fu.

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Vide Iddio che la luce era buona e separò la luce dalle tenebre; e
chiamò la luce ‘giorno’ e le tenebre ‘notte’. Così fu sera, poi fu
mattina: primo giorno.
“Dio disse ancora: ‘Via sia fra le acque un firmamento, il quale
separi le acque superiori dalle acque inferiori’. E così fu. E Iddio
fece il firmamento, separò le acque che sono sotto il firmamento,
da quelle che sono al di sopra; e chiamò il firmamento ‘cielo’. Di
nuovo fu sera, poi fu mattina: secondo giorno.
“Poi Iddio disse: ‘Si radunino tutte le acque, che sono sotto il
cielo, in un sol luogo e apparisca l’Asciutto’. E così fu. E chiamò
l’Asciutto Terra e la raccolta delle acque chiamò Mari. E Iddio
vide che ciò era buono. Dio disse ancora: ‘Produca la terra erbe,
piante, che facciano semi e alberi fruttiferi che diano frutti
secondo la loro specie e che abbiano in sé la propria semenza
sopra la terra’. E così fu. Quindi la terra produsse erbe, piante,
alberi che danno frutti secondo la loro specie e che hanno in sé la
propria semenza. E Iddio vide che ciò era buono. Di nuovo fu
sera, poi fu mattina: terzo giorno.
“Poi dio disse: ‘siano dei luminari nel firmamento del cielo per
separare il giorno dalla notte, e siano some segni per distinguere
le stagioni, i giorni e gli anni, e servano come luminari nel

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firmamento del cielo per dare la luce sopra la terra'. E così fu. E
Iddio fece i due grandi luminari: il luminare maggiore per
presiedere al giorno e il luminare minore per presiedere alla
notte, e le stelle. E Iddio li pose nel firmamento del cielo per dar
luce sopra la terra, e presiedere al giorno e alla notte e per
separare la luce dalle tenebre. E Iddio vide che ciò era buono. Di
nuovo fu sera, e poi fu mattina: quarto giorno.
“Poi disse Iddio: ‘Brulichino le acque di una moltitudine di esseri
viventi, e volino gli uccelli al di sopra della terra in faccia al
firmamento del cielo’. Così Iddio creò i grandi animali acquatici
e tutti gli esseri viventi che si muovono e di cui brulicano le
acque, secondo la loro specie, e tutti i volatili secondo la loro
specie. Ed egli vide che ciò era buono. E Iddio li bendì, dicendo:
‘Prolificate, moltiplicatevi e riempite le acque dei mari: e si
moltiplichino pure gli uccelli sopra la terra’. Di nuovo fu sera, e
poi fu mattina: quinto giorno.
“Poi Iddio disse: ‘Produca la terra animali viventi secondo la
loro specie: animali domestici, rettili, bestie selvagge della terra,
secondo la loro specie’. E così fu. […] Ed egli vide che ciò era
buono. Poi Iddio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine,
secondo la nostra somiglianza: domini sopra i pesci del mare e su

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gli uccelli del cielo, su gli animali domestici, su tutte le fiere della
terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie. E
Dio li benedì e disse loro: 'Prolificate, moltiplicatevi e riempite il
mondo, assoggettatelo e dominate sopra i pesci del mare e su tutti
gli uccelli del cielo e sopra tutti gli animali che si muovono sopra
la terra'. Iddio disse ancora: 'Ecco, io vi dò ogni pianta che fa
seme, su tutta la superficie della terra e ogni albero fruttifero’
che fa seme: questi vi serviranno per cibo. E a tutti gli animali
della terra e a tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che sulla terra
si muove, e che ha in sé anima vivente, io do l’erba verde per
cibo’. E così fu. E Iddio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco,
era molto buono. Di nuovo fu sera, poi fu mattina: sesto giorno.
“furono così compiuti il cielo e la terra e l’organizzazione di tutti
gli esseri. Avendo Iddio ritenuta finita, al settimo giorno, l’ opera
che aveva compiuto, il giorno settimo cessò da ogni opera da lui
fatta". - Genesi 1 : 1 – 2 : 3

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Introduzione

Le potenti ed emozionanti parole della Genesi raccontano una


storia di creazione a diversi livelli. Oltre a quanto creato, esse
descrivono un processo che riguarda il come ciò fu creato. Ci
forniscono una descrizione dei ‘pensieri di Dio’ sotto forma di
strategia creativa dotata di una struttura specifica. Si tratta di una
strategia formata da una serie di passaggi che si dispiegano nel
tempo in una sorta di circuito di retroazione. La creazione inizia
con l’atto di operare una distinzione, di creare una differenza.
Questo primo atto conduce a un secondo, che a sua volta ne
produce un altro e poi un altro ancora: ogni idea conduce al
potenziale per la successiva. Ogni atto di creazione comprende la
reiterazione di un ciclo che implica tre processi fondamentali:

1. Concettualizzazione – E Dio disse, “Sia…”


2. Implementazione – “E Dio fece…”
3. Valutazione – “E Dio vide che ciò era buono.”

Ogni ciclo porta a un’espressione di idee progressivamente più


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rifinita e personale. A ogni ciclo l’idea assume sempre di più una
vita propria – l’idea in sé è in grado di ‘portare avanti’,
‘moltiplicare’ e sostenere altre idee. L’espressione finale riflette
così tanto il processo del creatore da essere in grado di ‘rifornire’
tutte le altre creazioni, nonché di moltiplicare se stessa.

In un certo senso, questa serie di libri sulle ‘strategie di genio’


racconta la stessa storia. È uno studio del processo inerente alla
creazione di idee che in qualche modo hanno avuto influenza sul
nostro mondo. L’attenzione di questi testi non è incentrata sulle
idee in quanto tali, ma piuttosto sulle strategie che hanno condotto
alle idee e alle loro espressione concreta.

Il commento di Einstein a proposito del suo sforzo di conoscere ‘i


pensieri di Dio’ ben rappresenta l’essenza del genio e la visione
che ispira questo lavoro. Il contenuto di un atto di creazione o di
genio non è il fine, ma ciò che noi possiamo imparare sulla
‘mente di Dio’ durante il processo di creazione.

Uno dei simboli che preferisco per rappresentare il genio è


l’affresco di Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina.

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Raffigura Adamo che giace sulla Terra con la mano stesa verso il
cielo e Dio che tende la sua dall’alto. Le loro dita sono protese
l’una verso l’altra, proprio sul punto di toccarsi. Per me, il
miracolo è in quella scintilla fra le due dita. Quella scintilla è il
genio. E questo è proprio quanto cerco di esplorare in questo
libro: l’interazione tra sacro e profano, tra mappa e territorio, tra
visione e azione.

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Programmazione neurolinguistica

“La storia umana è fondamentalmente una storia di idee”


H. G. Wells, The Outline of History

Si dice che la storia umana altro non sia che la registrazione delle
azioni e delle idee di grandi uomini e donne. Sin dai primi albori
della storia documentata lo scopo di storici, filosofi, psicologi,
sociologi e degli altri cronisti della nostra specie è stato
identificare e registrare gli elementi cruciali che hanno prodotto
quelle azioni e quelle idee.

In particolare, uno degli scopi essenziali della psicologia è stato


tentare di definire gli elementi chiave che hanno contribuito
maggiormente all’evoluzione delle idee. Fin dal primo momento
in cui noi esseri umani abbiamo iniziato a rivolgere la nostra
attenzione verso l’interno di noi stessi, per esaminare i nostri
processi di pensiero, una delle promesse e delle speranze
dell’indagine psicologica è stata mappare le caratteristiche

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cruciali della ‘mente’ che permetteranno ai nostri pensieri di
elevarsi a fianco dei giganti della storia.

La programmazione neurolinguistica (PNL) fornisce un nuovo


insieme di strumenti che ci permetterà di muovere grandi passi
verso questa promettente, ma sfuggente finalità. La missione della
PNL è stata definire ed estendere i confini estremi della
conoscenza umana, e in particolare quelli della conoscenza umana
sugli umani. Questo testo, che è uno studio sulle strategie del
genio, rientra in questa missione. Il mio scopo è stato modellare le
strategie di personaggi che non solo hanno contribuito alla
conoscenza del mondo che ci circonda, ma anche alla conoscenza
di noi stessi, e scoprire come usare le loro strategie per contribuire
ulteriormente all’evoluzione degli esseri umani.

La PNL è una scuola di pensiero pragmatica, un’epistemologia,


che considera i tanti livelli presenti nell’essere umano; è un
processo multidimensionale che comprende lo sviluppo di
competenze e flessibilità comportamentali, ma che implica anche
il pensiero strategico e la comprensione dei processi mentali e
cognitivi alla base del comportamento.

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La PNL fornisce strumenti e competenze per lo sviluppo di stati di
eccellenza individuale, ma stabilisce anche un sistema di
corroboranti convinzioni e presupposti su ciò che gli esseri umani
sono, nonché su che cosa siano la comunicazione e il processo di
cambiamento. A un altro livello, inoltre, la PNL riguarda la
scoperta del sé, l’esplorazione della propria identità e missione.
Essa fornisce una cornice in cui comprendere e porsi in relazione
con la parte ‘spirituale’ dell’esperienza umana che va oltre la
nostra dimensione individuale. La PNL non riguarda soltanto
competenza ed eccellenza, ma anche saggezza e visione. Elementi
questi tutti necessari per il genio.

I tre elementi di maggiore influenza tra quelli implicati nella


produzione dell’esperienza umana sono la neurologia, il
linguaggio e la programmazione. Il sistema neurologico regola il
funzionamento del nostro corpo, il linguaggio determina la nostra
interazione e comunicazione con gli altri e la nostra
programmazione definisce i diversi modelli del mondo da noi
creati. La programmazione neurolinguistica descrive le dinamiche
fondamentali fra mente (‘neuro’) e linguaggio (‘linguistica’) e il
modo in cui la loro interazione agisce sul corpo e sul nostro

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comportamento (‘programmazione’).

Uno dei grandi contributi della PNL è fornire un mezzo per


guardare oltre il contenuto comportamentale di ciò che fanno le
persone, verso le forze meno visibili che si celano dietro quei
comportamenti, verso le strutture di pensiero che hanno permesso
ai geni di fare ciò che hanno fatto. La PNL fornisce una struttura e
un linguaggio che permettono di organizzare in un insieme di
‘blocchi’ (chunks), o passaggi, i processi mentali rilevanti
utilizzati da un Leonardo o da un Einstein, in modo tale da poter
essere insegnati ad altri.

L’altro enorme contributo della PNL è che, osservando la struttura


alla base del comportamento, ci permette di trascendere il
contenuto al punto da renderci in grado di applicare il processo
mentale del genio di un determinato campo a un’altra area di
contenuto del tutto differente. Possiamo scoprire in che modo
Einstein rifletteva sulla fisica, la sua ‘strategia’ di pensiero nei
riguardi della fisica, e applicarla al pensiero sociale o alla
risoluzione di un problema personale. Allo stesso modo possiamo
estrapolare elementi chiave della strategia usata da Mozart per

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comporre musica e trasferirli dalla musica alla risoluzione di un
problema organizzativo o all’insegnamento della lettura ai
bambini.

Secondo il sistema di credenze della PNL, l’elemento più


importante nella creazione di qualcosa come il genio è il processo
di pensiero alla base del risultato. E lo stesso fattore che rende
efficace una strategia in cucina può essere applicato a una
strategia per girare un film o a una per scrivere libri. Come i miei
colleghi e io affermavamo in “Programmazione neurolinguistica:
volume I”:

Identificando le sequenze [mentali] che conducono a risultati


specifici possiamo, fondamentalmente, replicare (o ‘clonare’)
qualunque comportamento, sia quello di un uomo d’affari,
scienziato, terapeuta, atleta, musicista, sia quello di chiunque
altro faccia bene qualcosa. Grazie agli strumenti forniti dalla PNL
riteniamo che chiunque possa essere trasformato in una persona
appartenente a un moderno ‘rinascimento’.

Fondamentalmente, tutta la PNL si basa su due premesse di base:

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1. La mappa non è il territorio. In quanto esseri umani non
possiamo conoscere la realtà. Possiamo solo conoscere le nostre
percezioni della realtà. Facciamo esperienza e rispondiamo al
mondo che ci circonda principalmente attraverso i nostri sistemi
rappresentazionali sensoriali. Sono le nostre mappe
‘neurolinguistiche’ della realtà a determinare il nostro modo di
comportarci e a dare significato ai nostri comportamenti, non la
realtà in sé. Generalmente non è la realtà a limitarci o a
potenziarci, bensì la nostra mappa della realtà.

2. Vita e ‘mente’ sono processi sistemici. I processi che hanno


luogo in un essere umano e che intercorrono tra esseri umani e il
loro ambiente sono sistemici. I nostri corpi, le nostre società e il
nostro universo formano un’ecologia di sistemi e sottosistemi
complessi, ognuno dei quali interagisce con gli altri in una
condizione di reciproca influenza. Non è possibile isolare
completamente una parte del sistema rispetto alle altre. Sistemi
del genere si basano su principi di ‘auto-organizzazione’ e per
loro stessa natura ricercano stati ottimali di equilibrio o
omeostasi.

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Tutti i modelli e le tecniche della PNL si fondano sulla
combinazione di questi due principi. Nel sistema di credenze della
PNL non è possibile per gli esseri umani conoscere la realtà
oggettiva. Saggezza, etica ed ecologia non derivano dal possedere
una mappa del mondo ‘giusta’ o ‘corretta’, perché gli esseri
umani non sarebbero in grado di costruirne una. Il fine è piuttosto
creare la mappa più ricca possibile che rispetti il carattere
sistemico della natura ed ecologia di noi stessi e del mondo in cui
viviamo.

Modelli individuali del mondo


La migliore descrizione dell’ambito a cui si rivolge la PNL è
‘esperienza soggettiva’. Questa comprende quanto è stato
variamente definito come ‘pensiero’, ‘mente’ o ‘intelligenza’, e
nel suo senso più ampio si riferisce all’attività complessiva dei
nostri sistemi nervosi. È attraverso la nostra personale esperienza
soggettiva che conosciamo il mondo intorno a noi. Ecco quanto
hanno messo in evidenza Richard Bandler e John Grinder,
insieme creatori della PNL, nel loro primo libro, La struttura della
magia:

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“Molti nella storia della civiltà sono convenuti nel riconoscere
un’insanabile differenza tra il mondo e l’esperienza che abbiamo
di esso. In quanto esseri umani noi non agiamo direttamente sul
mondo, ma ognuno di noi crea una rappresentazione del mondo
in cui vive, cioè creiamo una mappa, o modello, che utilizziamo
per determinare il nostro comportamento. La nostra
rappresentazione del mondo determina in gran parte ciò che sarà
la nostra esperienza del mondo, come noi lo percepiremo e quali
scelte ci appariranno possibili vivendo in quel mondo […]. Non
esistono due esseri umani che abbiano esattamente le stesse
esperienze. Il modello che creiamo per guidarci nel mondo si
fonda in parte sulle nostre esperienze. Ognuno di noi ha quindi la
possibilità di creare un diverso modello del mondo che
condividiamo e di vivere pertanto una realtà in qualche modo
differente da ogni altra”.

Perciò, è il nostro modello mentale di realtà, piuttosto che la realtà


in sé stessa, che determinerà il modo in cui agiremo. Prima che
qualcuno creasse mentalmente una mappa dell’‘atomo’, del
‘virus’ o del ‘mondo sferico’, quegli aspetti di ‘realtà’ non
potevano avere effetto sulle azioni dei nostri antenati o di noi

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stessi. Bandler e Grinder continuano mettendo in evidenza il fatto
che la differenza fra chi risponde in maniera efficace e chi
reagisce in modo non adeguato nel mondo che li circonda dipende
in gran parte dal proprio modello interiore del mondo.

"Le persone che rispondono creativamente e sanno affrontare


efficacemente […] hanno una rappresentazione, o modello, ricchi
della propria situazione, in cui percepiscono un’ampia gamma di
opzioni nella scelta delle azioni da intraprendere. Le altre
persone hanno la sensazione di avere poche possibilità di scelta,
nessuna di loro gradimento […]. Ciò che abbiamo riscontrato
non è che il mondo sia troppo limitato, o che non ci siano scelte,
ma che queste persone impediscono a loro stesse di vedere le
opzioni e possibilità che si aprono loro, dal momento che esse
non sono disponibili nei loro modelli del mondo”.

Come ho messo precedentemente in evidenza, la PNL parte dal


presupposto che “la mappa non è il territorio”. Ciascuno possiede
un proprio modello, o mappa, del mondo, unico e non più ‘vero’ o
‘reale’di qualunque altro. Le persone più efficienti sono quelle
che hanno una mappa del mondo che permette loro di percepire il

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numero più elevato di scelte e prospettive disponibili. Una
persona ‘genio’, pertanto, possiede semplicemente un modo più
ricco e ampio di percepire, organizzare e rispondere al mondo. La
PNL fornisce una serie di procedimenti per arricchire le scelte che
abbiamo, e percepiamo come disponibili, nel mondo che ci
circonda.

Lo scopo di questo libro è usare la PNL per trovare, secondo le


parole dell’antropologo Gregory Bateson, “la differenza che fa la
differenza”. Vogliamo costruire un modello dei modelli del
mondo elaborati da alcuni grandi personaggi della storia.
Utilizzata in questo modo, la PNL può essere definita un ‘meta-
modello’. In altre parole, un modello di modelli.

Creare modelli

“Non esiste propriamente la storia, ma solo la biografia.”


(Emerson, Saggi)

Il modellamento è il procedimento attraverso il quale si prende un


evento complesso o una serie di eventi e li si frammenta in

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blocchi abbastanza piccoli da poter essere ripetuti agevolmente. Il
settore di studio della programmazione neurolinguistica si è
sviluppato dal modellamento delle capacità di pensiero umane.

Il processo di modellamento della PNL implica scoprire come


funziona il cervello (‘neuro’) tramite l’analisi di modelli
linguistici (‘linguistica’) e di comunicazione non verbale. I
risultati di questa analisi vengono quindi organizzati in strategie o
programmi (‘programmazione’) di tipo graduale che possono
essere utilizzati per trasferire la capacità ad altre persone e aree di
contenuto.

In concreto la PNL ebbe inizio quando Richard Bandler e John


Grinder modellarono i modelli linguistici e comportamentali
rilevati nell’attività di Fritz Perls (fondatore della terapia della
Gestalt), Virginia Satir (una dei fondatori della terapia di famiglia
e della terapia sistemica) e del medico Milton H. Erickson,
(fondatore della American Society of Clinical Hypnosis).

Le prime tecniche di PNL derivarono dai modelli chiave, verbali e


non verbali, che Grinder e Bandler avevano osservato nel

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comportamento di questi eccezionali terapeuti. Nel titolo del loro
primo libro, La struttura della magia, era implicito che quanto
appariva magico e inspiegabile possedeva spesso una struttura più
profonda che, una volta portata alla luce, poteva essere compresa,
comunicata e attivata anche da chi non faceva parte dei pochi ed
eccezionali ‘maghi’ che per primi avevano compiuto la ‘magia’.

La PNL è il processo che ha permesso di scoprire e quindi


organizzare in un modello operativo gli elementi rilevanti del
comportamento di queste persone. Essa ha sviluppato tecniche e
distinzioni con cui identificare e descrivere modelli di
comportamento verbale e non verbale, ossia aspetti chiave di ciò
che le persone dicono e fanno. Gli obiettivi fondamentali della
PNL sono modellare abilità speciali o eccezionali e contribuire a
renderle trasferibili ad altri. Il fine di questo tipo di modellamento
è mettere in atto ciò che è stato osservato e descritto in modo
produttivo e arricchente.

Gli strumenti di modellamento della PNL ci permettono di


identificare modelli specifici e riproducibili, nel linguaggio e nel
comportamento, di efficaci modelli di ruolo. Sebbene la maggior

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parte dell’analisi della PNL venga eseguita osservando e
ascoltando realmente il modello di ruolo in azione, una certa
quantità di informazioni utili può essere ricavata anche dallo
studio di documenti scritti.

In questo libro cercherò di modellare i processi di pensiero di


alcuni personaggi storici che sono stati considerati geni di qualche
genere, analizzando i modelli linguistici che ci hanno tramandato
attraverso i loro scritti. Esaminerò anche i prodotti del loro genio
quando ciò si dimostrerà appropriato per quanto potrebbero dirci
sul processo creativo che li ha prodotti. La sintesi di queste
informazioni sarà quindi organizzata in ‘programmi’ o strategie
che potremo, auspicabilmente, utilizzare per accrescere i nostri
personali processi di creatività e intelligenza.

Livelli di modellamento
Nel modellamento di un individuo possiamo esplorare numerosi
aspetti, o livelli, diversi dei vari sistemi e sottosistemi in cui la
persona ha operato.

Possiamo prendere in considerazione l’ambiente storico e

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geografico in cui l’individuo ha vissuto: per esempio quando e
dove la persona operava. Possiamo esaminare i comportamenti e
le azioni specifiche: per esempio che cosa la persona faceva in
quell’ambiente. Possiamo anche considerare le capacità e le
strategie intellettuali e cognitive con le quali l’individuo ha
selezionato e guidato le sue azioni nell’ambiente: per esempio
come la persona ha generato questi comportamenti in quel
contesto. Potremmo inoltre analizzare le convinzioni e i valori che
hanno motivato e formato le strategie e le capacità che l’individuo
ha sviluppato per raggiungere le sue mete comportamentali
nell’ambiente: per esempio perché la persona ha agito nel modo
in cui ha agito, e in quei tempi e luoghi.

Potremmo effettuare un’osservazione più approfondita per


indagare sulla percezione che l’individuo aveva del proprio sé o
identità che stava manifestando mediante quell’insieme di
convinzioni, capacità e azioni in quell’ambiente: per esempio il
chi che sta dietro il perché, il come, il cosa, il dove e il quando.

Potremmo anche volere esaminare il modo in cui l’identità


dell’individuo si manifestava in relazione a famiglia, colleghi,

33
contemporanei, società e cultura occidentali, il pianeta, Dio: per
esempio chi era la persona in relazione a chi altri. In altre parole,
in che modo i comportamenti, le capacità, le convinzioni, i valori
e l’identità dell’individuo hanno influito e interagito con sistemi
più grandi, dei quali egli faceva parte da un punto di vista
personale, sociale e infine spirituale?

Un modo di visualizzare le relazioni fra questi elementi è una rete


di sistemi generativi che si concentrano o convergono sull’identità
dell’individuo in quanto centro del processo di modellamento.
Riassumendo, il modellamento del processo del genio può
includere l’esplorazione delle interazioni di numerosi livelli
diversi di esperienza, tra cui:
Spirituale Visione e proposito
A. Chi sono – Identità missione
B. Il mio sistema di convinzioni valori, metaprogrammi,
permesso e motivazione
C. Le mie capacità stati, strategie, direzione
D. Che cosa faccio comportamenti specifici,
azioni
E. Il mio ambiente contesto esterno, reazioni

34
● L’ambiente determina le opportunità esterne o i limiti con cui
una persona deve rapportarsi. Si collega al dove e al quando del
genio.
● I comportamenti sono le azioni o le reazioni specifiche di una
persona all’interno dell’ambiente. Si collegano al che cosa del
genio.
● Le capacità guidano e indirizzano le azioni comportamentali
mediante una mappa mentale, un piano o una strategia. Si
collegano al come del genio.
● Le convinzioni e i valori forniscono il rinforzo (motivazione e
permesso) che sostiene o inibisce le capacità. Si collegano al
perché del genio.
● L’identità implica il ruolo di una persona, la sua missione e/o il
suo senso del sé. Si collega al chi del genio.
● Lo spirituale implica il sistema più allargato di cui si è parte e
l’influenza di quel sistema sulla guarigione. Si collega al chi
altri e al che cos’altro del genio.

All’interno del processo di modellamento, possiamo dunque


identificare diversi livelli di strategie.

35
Strategie
Una strategia è una particolare area del modellamento in cui si
cerca specificatamente una mappa mentale usata dall’individuo
che si sta modellando al fine di orchestrare o organizzare le
proprie attività in modo tale da raggiungere un risultato efficace.

La programmazione neurolinguistica fornisce una serie di


strumenti e distinzioni che ci permettono di mappare i processi
cognitivi alla base delle opere di persone creative ed eccezionali.
Invece di concentrarsi sul contenuto dell’opera dell’individuo
oggetto del modellamento, la PNL cerca la struttura più profonda
che ha prodotto quei risultati.

In particolare, la PNL indaga il modo in cui vengono utilizzati i


processi neurologici fondamentali come i sensi (vista, udito, tatto,
olfatto e gusto), come questi processi vengono plasmati e riflessi
dal linguaggio, e come le due cose si combinano per produrre un
particolare programma o strategia. Secondo il modello della PNL,
è il modo in cui organizziamo le nostre funzioni sensoriali e
linguistiche in una sequenza programmata di attività mentale a
determinare in larga misura il modo in cui percepiremo e

36
risponderemo al mondo che ci circonda.

Storicamente, la programmazione neurolinguistica ha avuto


origine in California nello stesso momento in cui nasceva un’altra
importante rivoluzione tecnologico-sociale: il personal computer.
Come è successo anche in altri momenti storici, gli sviluppi nella
comprensione della mente si sono riflessi nella tecnologia (e
viceversa). Gran parte dell’approccio della PNL alla mente si
fonda sulla convinzione che il cervello funzioni per certi versi più
o meno come un computer. Infatti molta terminologia della PNL (e
il suo stesso nome) è mutuata dal linguaggio dell’informatica.

Una strategia è simile a un programma di un computer: indica che


cosa fare con le informazioni che si stanno ricevendo e, come
succede con i programmi, è possibile usare la stessa strategia per
elaborare una quantità di informazioni di genere diverso. Un
programma informatico potrebbe dire al computer di prendere due
blocchi di dati, metterli insieme e sistemare il risultato in un certo
punto della memoria. Il programma è indipendente dal contenuto
che elabora. Non si cura di quale contenuto sia stato messo
insieme e spostato. Esistono programmi più efficaci di altri,

37
programmi che permettono di elaborare le informazioni in un
maggior numero di modi rispetto ad altri, programmi che sono
stati progettati per prendere una grande quantità di informazioni e
ridurla in pacchetti molto piccoli, e programmi costruiti allo
scopo di prendere solo alcune informazioni e poi con queste
eseguire proiezioni. Esistono anche programmi progettati per
trovare modelli e caratteristiche all’interno delle informazioni
fornite.

La stessa cosa si verifica nell’ambito delle strategie umane. Per


fare un’analogia, esse sono il software mentale utilizzato dal bio-
computer del cervello. In un certo qual modo possiamo dire che il
più potente personal computer del mondo è quello che si trova fra
i nostri orecchi. Il problema è che ci è stato fornito senza il
manuale d’istruzioni, e si tratta di un software non molto user
friendly.

Lo scopo della psicologia, e della PNL in particolare, è scoprire il


‘linguaggio di programmazione’ del sistema nervoso umano, in
modo da riuscire a fargli fare – al nostro e a quello degli altri – ciò
che vogliamo in maniera più elegante, efficace ed ecologica.

38
Possiamo essere ‘maghi della programmazione’ e codificare in un
nuovo linguaggio alcuni software utilizzati da persone che hanno
imparato a utilizzare quel computer molto bene.

Micro, macro e meta strategie


Le strategie esistono a livelli diversi: ci sono infatti micro-
strategie, macro-strategie e meta-strategie.

- Una micro-strategia prende in considerazione in che modo


esattamente sta pensando una certa persona in un dato momento
per realizzare un determinato compito. Se qualcuno è
impegnato nell’attività di ricordare un’informazione in
particolare, per esempio un numero di telefono, come gestisce
l’informazione per immagazzinarla e recuperarla all’interno del
suo cervello o ‘bio-computer’? A questo micro-livello si
potrebbe voler conoscere esattamente la grandezza con cui
quella persona sta visualizzando il numero nella sua mente,
oppure se viene visualizzato in un colore specifico. E inoltre: la
persona ripete il numero dentro di sé? Prova una sensazione in
una parte del corpo? Questo è un esempio di micro-strategia.
Sarebbe come assemblare un linguaggio o un codice macchina

39
in un computer.

- Una macro-strategia invece è più simile al modellamento del


‘successo’ o della ‘leadership’. Una strategia generale per il
successo o la leadership non sarà una micro-strategia ma
piuttosto un programma di livello più elevato che includerà
molte micro-strategie. Potrebbe richiedere un periodo di tempo
molto più lungo. Talvolta per raggiungere un determinato
risultato sono importanti i passaggi più generali di un processo,
mentre il modo particolare in cui si arriva da A a B a C a micro-
livello non conta molto, oppure può richiedere una variazione
significativa. L’importante è arrivare da A a C a prescindere dai
micro-passaggi. La strada per arrivare al traguardo è una scelta
personale. Pertanto una macro-strategia riguarderà le operazioni
e i passaggi più generali di un processo di pensiero.

- Una meta-strategia o un meta-modello è fondamentalmente un


modello per costruire modelli, una strategia per individuare
strategie o un modello per modellare. In un certo senso, gran
parte di ciò che state per apprendere in questo libro è un meta-
modello e un insieme di meta-strategie: strategie e modelli per

40
trovare le strategie di individui eccezionali e per costruire
modelli pratici, ottenuti mediante quelle strategie.

Strategie di modellamento del genio


Riassumendo, il proposito del modellamento non è costruire
l’unica, ‘vera’ mappa o modello di qualcosa, ma piuttosto
arricchire le nostre percezioni in un modo che ci permetta di
essere sia più efficienti sia più ecologici nelle nostre modalità di
interazione con la realtà. Un modello non intende essere la realtà,
ma piuttosto rappresentare certi aspetti di quella realtà in maniera
pratica e concreta.

Lo scopo di questo libro è mostrare come si possano utilizzare gli


strumenti della PNL per analizzare figure storiche importanti,
elaborando ‘strategie di genio’ pratiche ed efficaci che possano
essere apprese e applicate in altri contesti. In particolare, riguardo
alla mia missione, mi interessa applicare queste strategie di genio
alle questioni umane. In altre parole, esplorare come sia possibile
applicare queste strategie in modo tale da renderci più
consapevoli dei nostri processi umani. Come i miei colleghi e io
stesso abbiamo affermato nel primo volume di Programmazione

41
neurolinguistica:

“Compresa e utilizzata con l’eleganza e il pragmatismo con cui la


PNL è stata creata, possiamo scoprire non solo come Freud rese
possibili le teorie di Einstein, ma anche un modo per
condizionare e prevedere gli elementi stessi che renderebbero gli
uomini capaci di essere esseri umani, valutando soggettivamente
quali creazioni il creare possa offrire.”

Forse, se potessimo prendere l’abilità con cui Mozart strutturava


le note in musica, la capacità di Einstein nel rielaborare la nostra
percezione dell’universo o quella di Leonardo nel trasformare la
sua immaginazione in disegno o pittura, e applicassimo tutto ciò
al modo in cui le persone interagiscono nelle organizzazioni
sociali, potremmo essere in grado di far progredire realmente il
corso della storia umana. Questo è il mio sogno, la visione che
ispira questo mio lavoro.

42
PARTE 1
ARISTOTELE
Creare una struttura per il genio

Cosa scoprirete nella prima parte?


● I blocchi costitutivi del genio
I ‘principi primi’
Le domande fondamentali
La strategia per trovare il ‘medio’
I sillogismi come espressioni dei ‘principi primi’
Il modello SOAR
Tipi fondamentali di cause
Cause formali
Cause antecedenti
Cause limitanti
Cause finali
Il ruolo della percezione del tempo
La valutazione delle premesse
● Il modello della mente di Aristotele
Il modello TOTE

43
Macro-strategie e TOTE
Micro-strategie e i cinque sensi
Il ruolo di memoria e immaginazione
I sensibili comuni
● Micro-strategie di modellamento: il modello ROLE
● Il linguaggio come strumento di pensiero e modellamento
● Modellare le micro-strutture della strategia di pensiero di Aristotele
● Applicazioni delle strategie di Aristotele
Il modello SCORE: implementare la strategia di Aristotele per
definire uno ‘spazio problema’
Implementare la strategia di Aristotele per esplorare e organizzare
uno spazio problema
Trovare un sistema di cause in uno spazio problema
● Riepilogo
● Bibliografia della parte 1

44
CAPITOLO 1
I blocchi costitutivi del genio

Il primo genio di cui vorrei modellare la strategia per questo


studio è il filosofo greco Aristotele (385-322 a.C.). Considerato il
‘padre della scienza moderna’, Aristotele è senza dubbio uno dei
geni di maggiore influenza della civiltà occidentale. Il suo ambito
di riflessione riguardò un’incredibile varietà di discipline – tra cui
fisica, logica, etica, politica, retorica, biologia, poetica, metafisica,
psicologia – e, nella maggior parte dei casi, le sue scoperte e i
suoi contributi sono stati così fondamentali da costituire per secoli
i fondamenti in ognuno di questi campi.

Evidentemente c’era qualcosa di molto speciale nella strategia


con cui Aristotele organizzava le proprie osservazioni sul mondo,
così speciale da permettergli di realizzare un atto intellettuale di
tale portata. I suoi processi mentali gli permettevano di esaminare
creativamente e di organizzare utilmente informazioni provenienti
da molte diverse aree della vita (Platone lo definiva “la mente”).

45
È infatti alla riscoperta del modo di pensare di Aristotele che
vengono attribuiti l’uscita della civiltà occidentale dalle epoche
buie e il suo ingresso nel Rinascimento.

Dal punto di vista della PNL, Aristotele possedeva una personale


ed efficace strategia di modellamento. Egli era in effetti un
‘modellatore’. Esaminava le aree più essenziali dell’esperienza
umana e creava con esse dei modelli molto potenti. Pur non
essendo ‘specializzato’ in nessuna area in particolare, fu capace di
raggiungere un profondo livello di conoscenza dei differenti
aspetti del mondo che esaminava.

Per noi, in quanto ‘meta’-modellatori di Aristotele, l’aspetto


maggiormente interessante è il modo in cui egli considerava le
sue esperienze. Applicando le procedure di modellamento della
PNL agli scritti di Aristotele possiamo mappare alcuni degli
elementi specifici della sua strategia, in modo tale da poter fornire
alcuni nuovi e pratici elementi di conoscenza circa la sua
impressionante genialità e i modi in cui possiamo impiegarla oggi
nella nostra vita.

46
È interessante notare che uno degli argomenti che Aristotele non
prese mai in particolare considerazione è proprio quello che noi
stiamo cercando di trattare in questo libro: il ‘genio’. Ed è
stimolante chiedersi quale sarebbe stato il suo approccio alla
comprensione di questo fenomeno. Aristotele ovviamente non è
in grado di fornirci una risposta, non essendo più tra noi, ma nei
suoi scritti ha lasciato molti indizi e suggerimenti sul tipo di
strategia che avrebbe adottato. Appare del tutto appropriato quindi
cominciare la nostra indagine sulle strategie del genio e sulle loro
applicazioni evidenziando la strategia investigativa e analitica di
Aristotele e utilizzandola per la nostra analisi.

I principi primi
L’aspetto più importante del genio di Aristotele fu forse la
capacità di scoprire modelli o ‘leggi’ fondamentali in qualunque
campo di esperienza abbia scelto di esplorare. Come egli stesso
spiega nel trattato Fisica:

“[…] il sapere e il conoscere scientificamente, nell’ambito di tutte


le ricerche di cui vi sono principi o cause o elementi, derivano
dall’acquisire cognizione di questi (infatti, pensiamo di conoscere

47
ciascuna cosa nel momento in cui abbiamo acquisito cognizione
delle cause prime e dei principi primi e fino agli elementi)...”

“Per noi dapprima sono chiare e note le cose che maggiormente


sono mescolate insieme; poi, da queste, per coloro che le
distinguono diventano noti gli elementi e i principi. Perciò
bisogna procedere dalle cose globali alle singole determinazioni
[…] [come] i bambini dapprima chiamano padri tutti gli uomini e
madri tutte le donne ma poi distinguono ciascuno di questi.”
[trad. M. Zanatta]

Nel linguaggio della PNL, il processo che Aristotele descrive è


conosciuto con il nome di chunking, frazionamento. A quanto
pare infatti la strategia utilizzata da Aristotele per arrivare ai
‘principi primi’ consiste nel “procedere dalle cose globali alle
singole determinazioni”, cominciando dai ‘blocchi’ [chunks] più
grandi che sono disponibili per la percezione sensoriale, e nel
portare a termine un processo analitico che ‘frazioni’ questa
esperienza nei suoi elementi “più semplici”, più basilari e liberi da
contenuto.

48
Seguendo l’indicazione di Aristotele, lo scopo di questo studio
sulle strategie del genio dovrebbe essere quello di ridurre
progressivamente in blocchi sempre più piccoli le informazioni
sul genio di cui disponiamo, al fine di scoprirne le “cause prime e
principi primi” attraverso l’identificazione dei suoi “elementi più
semplici”.

In altre parole, una ‘strategia del genio’ definirebbe le ‘condizioni


di base’ e i ‘principi primi’ dei processi collegati al genio nei
termini dei suoi elementi primari. Naturalmente la nostra sfida
consiste nel come fare, specificamente, a estrarre da queste
“[informazioni] che maggiormente sono mescolate insieme” i loro
“elementi più semplici” e principi primi.

Le domande fondamentali
Secondo Aristotele la scoperta di questi elementi e principi di
base “diviene nota” attraverso “l’analisi” (dal Greco analytica,
che significa ‘dipanare’) delle nostre percezioni. In Analitici
secondi, Aristotele fornisce alcune descrizioni specifiche del suo
approccio analitico. Come nel caso del suo insegnante e mentore
(nonché genio suo pari) Platone, il procedimento analitico di

49
Aristotele iniziava con il porre domande basilari. È chiaro che i
generi di risposte che si ottengono sono determinati dal tipo di
domande che si pongono. Secondo Aristotele:

“Gli argomenti che sono oggetto di ricerca, sono uguali di


numero a quanti conosciamo. Cerchiamo quattro cose: il ‘che’, il
‘perché’, ‘se è’, ‘che cos’è’".
“Quando infatti, ponendo un solo numero di cose, cerchiamo se
‘è questo o quest’altro’: per esempio, se il sole eclissa o no,
cerchiamo il ‘che’. […] Invece quando abbiamo visto il ‘che’,
cerchiamo il 'perché': per esempio, avendo visto che il sole
eclissa e che la terra si muove, cerchiamo 'perché' eclissa o
'perché' si muove. Queste cose, dunque, cerchiamo così, alcune
altre in modo diverso: per esempio, ‘se’ è o non è uin centauro o
un dio; […] E avendo conosciuto ‘che’ è, cerchiamo ‘che cos’è’:
che cos’è dunque, per esempio, un dio, o che cos’è un uomo?”.
“Dunque le cose che cerchiamo e quelle che, avendole trovate,
sappiamo, sono queste e di questo numero.” [trad. M. Zanatta]

Per applicare la strategia di Aristotele allo studio del genio


dobbiamo continuamente porci queste quattro domande

50
fondamentali (in questo caso la ‘cosa’ che stiamo esplorando è il
‘genio’. Modificando leggermente l’ordine delle domande di
Aristotele, dobbiamo chiederci:

1. Esiste effettivamente il ‘genio’?


2. Se esiste, qual è la natura del ‘genio’ e quali i suoi ‘attributi’?
3. Quando abbiamo identificato ciò che riteniamo essere gli
attributi del genio dobbiamo quindi chiederci: “Quegli attributi
sono effettivamente connessi al ‘genio’ ”?
4. Se lo sono, qual è la ragione o la causa di questa connessione?

In realtà lo scopo di Aristotele nel porre queste quattro domande


non era ottenere quattro risposte diverse, bensì convergere su
un’unica risposta, un ‘principio primo’. Secondo Aristotele,
“conoscere la natura di una cosa è conoscere la ragione per cui
essa è”:

“[…] Ché in tutte queste questioni è evidente che il ‘che cos’è’ e


il ‘perché è’ sono una stessa cosa. Che cos’è un’eclissi?
Privazione della luce dalla luna ad opera del frapporsi della
terra. Perché vi è un’eclissi, o perché eclissa la luna? A causa del

51
venir meno della luce, frapponendosi la terra.” [trad. M. Zanatta]

Questo implica una forte relazione tra conoscenza e applicazione


nel sistema di Aristotele e indica che esiste un’equivalenza tra
‘attributi’ e ‘ragioni’. In altre parole, se affermiamo, per esempio,
che il “genio è colui che sa quali sono le domande giuste da fare”
dovremmo anche essere in grado di dire che “un genio è tale
perché sa quali sono le domande giuste da fare”. Un autentico
‘principio primo’ è quindi quello che possiede questa doppia
capacità: non è solo ‘istruttivo’ ma anche ‘strumentale’. Ovvero
non solo un principio primo ci permette di capire qualcosa, ma ci
informa anche su quale ne è la causa e come viene influenzato.

Questi elementi di base, sia ‘attributi’ che ‘cause’ di qualcosa,


erano ciò che Aristotele chiamava il ‘medio’, ossia qualcosa che
stava a metà tra conoscenza generale e casi specifici. Anche se
Aristotele ribadiva che è necessario “procedere dalle cose globali
alle singole determinazioni”, non è possibile fermarsi
semplicemente a queste ultime. Come diceva lo stesso Aristotele,
“ché dal percepire che per noi si originerebbe anche il sapere
l’universale”.

52
Una volta che abbiamo scomposto qualcosa riducendolo ai suoi
particolari, dobbiamo ricomporlo per trovare il ‘medio’. Secondo
Aristotele, “tutte le domande sono finalizzare alla ricerca del
‘medio’” che collega l’universale a un particolare.

“Pertanto in tutte le ricerche avviene di cercare se vi è un medio


o qual è il medio. Ché il medio è la causa, ed è questa che si
cerca in tutte le indagini. Forse che eclissa? Forse che vi è
qualche causa o no? Dopo ciò, avendo conosciuto che ve n’è una,
cerchiamo quale dunque è questa.” [trad. M. Zanatta]

Secondo il modo di ragionare di Aristotele la domanda


“Aristotele era un genio?” significa “c’è o non c’è una causa che
produce il genio in Aristotele?” Se rispondiamo alla prima
domanda dicendo: “Aristotele era un genio perché poneva
domande fondamentali” stiamo al tempo stesso dicendo
implicitamente che “porre domande fondamentali è la causa del
genio di Aristotele”. La ‘causa’ (porre domande fondamentali) è il
‘medio’, ovvero il collegamento fra la proprietà generale del
‘genio’ e il ‘particolare’ caso di ‘Aristotele’. Definire un
‘principio primo’ è stabilire una tale causa.

53
La strategia per trovare il ‘medio’
Una volta che iniziamo a porci domande del genere, abbiamo
bisogno di un metodo per ottenere risposte rilevanti e
significative. Potremmo giustamente chiederci: “In che modo
esattamente è possibile affrontare la questione del trovare cause,
principi primi, condizioni fondamentali e ‘l’universale’ nei
particolari?” In Analitici secondi, Aristotele fornisce una
descrizione specifica della sua strategia per ‘riorganizzare
l’esperienza di blocchi più grandi’ partendo dai particolari, al fine
di trovare attributi più ‘universali’.

“Volgendo lo sguardo alle cose simili ed indifferenziate si deve


cercare, in primo luogo, che cosa hanno tutte di identico.” [trad.
M. Zanatta]

Per chiarire il concetto, Aristotele fornisce l’esempio seguente:

“dico per esempio che, se cercassimo che cos’è la magnanimità,


bisogna indagare nel caso dei magnanimi – quelli che
conosciamo – che cosa hanno tutti di unico in quanto tali. Per
esempio, se Alcibiade o Achille ed Aiace sono magnanimi, che

54
cosa hanno tutti di identico? Il non sopportare quando sono
oltraggiati. Infatti, il primo combatté, il secondo impazzì e il terzo
si suicidò.” [trad. M. Zanatta]

Alcibiade, Achille e Ajace sono ‘simili ed indifferenziati’ perché


erano tutti capi militari ateniesi che commisero azioni del tutto
sconsiderate a causa del proprio orgoglio. Aristotele sceglie di
illustrare il concetto portando l’esempio di tre individui. Pur non
affermando esplicitamente l’importanza del fatto che gli esempi
siano proprio tre, l’impressione è che se fossero meno non si
potrebbe avere la certezza che l’insieme sia abbastanza grande da
produrre una base di similarità sufficiente. Se invece si cerca di
confrontare troppi esempi si ottiene un effetto di confusione e
pesantezza.

Una volta che abbiamo trovato ciò che è simile nel nostro insieme
di esempi, Aristotele ci dice:

“indi, a sua volta, alle altre che sono nel medesimo genere di
quelle e sono identiche per la specie a se stesse, ma diverse da
quelle.” [trad. M. Zanatta]

55
Continuando la sua spiegazione su come si esamina l’orgoglio
Aristotele dice:

“A sua volta bisogna indagare che cosa vi è di unico nel caso di


altre persone: per esempio di Lisandro o di Socrate.” [trad. M.
Zanatta]

Lisandro e Socrate sono ‘identici per la specie’ (uomini) e ‘del


medesimo genere’ di Alcibiade, Achille e Ajace in quanto
anch’essi famosi ‘orgogliosi’. Sono tuttavia ‘diversi’, poiché
Lisandro era un capo militare spartano e Socrate un filosofo.

Nel passo successivo della sua strategia Aristotele trova tutte le


similarità esistenti fra gli individui del secondo gruppo:

“E quando, nel caso di queste, si sia assunto che cosa hanno tutte
di identico, e similmente si sia fatto anche nel caso delle altre, a
sua volta si deve indagare, per le cose così assunte, se vi è una
determinazione identica, fino a pervenire ad un unico discorso
definitorio: che questa sarà le definizione della cosa. Se non si
giunga ad un unico discorso definitorio, a a due o più, è chiaro

56
che quel che si cerca non potrebbe essere alcunché di unico, ma
più cose.” [trad. M. Zanatta]

Ciò che Aristotele intende per ‘determinazione identica’ è una


qualità condivisa da entrambi i gruppi di individui messi a
confronto. Come egli stesso spiega:

“Ora, se [nel caso di Socrate e Lisandro] è l’essere indifferenti


quando ebbero buona sorte e quando ebbero cattiva sorte,
assumendo queste due determinazioni indago che cos’hanno di
identico l’imperturbabilità nell'ambito dei mutamenti della sorte e
l'impazienza quando si è disonorati. E se non vi è nulla, vi
sarebbero due specie di magnanimità.” [trad. M. Zanatta]

Riassumendo, la strategia analitica di Aristotele implica un


procedimento ‘induttivo’ composto dai seguenti passaggi:

1. Raccogliere un gruppo di esempi simili che condividano la


qualità da analizzare.
2. Confrontare gli esempi e cercare una qualità che li accomuni
tutti.

57
3. Raccogliere quindi un secondo gruppo di esempi diversi che
condividono anch’essi la qualità in questione e confrontarli
nella stessa maniera.
4. Confrontare la qualità che accomuna il primo gruppo con la
qualità accumuna il secondo, per scoprire quale qualità,
eventualmente, potrebbero condividere.

Se la qualità unificante del gruppo 1 ha qualcosa in comune con


la qualità unificante del gruppo 2, ci siamo avvicinati di un altro
passo a un ‘principio primo’.

Verosimilmente il processo potrebbe continuare con altri gruppi


fino alla scoperta di quella qualità che tutti gli esempi del
fenomeno hanno in comune. Ogni successivo confronto dovrebbe
portarci a blocchi sempre più piccoli, composti di elementi
sempre più semplici e privi di contenuto. Il gruppo di esempi
costituisce un ‘blocco’ di dimensioni molto grandi. La qualità che
unifica questo gruppo è più semplice e più piccola. La qualità che
è in comune agli elementi unificanti di entrambi il gruppo 1 e il
gruppo 2 dovrebbe essere un blocco ancora più semplice e
piccolo, e così via.

58
Se volessimo applicare la strategia di Aristotele allo studio del
‘genio’, invece che all’orgoglio, dovremmo innanzitutto
identificare un insieme di ‘individui simili ed indifferenziati’ che
condividano tutti questa caratteristica. Per esempio, potremmo
selezionare un insieme di scienziati considerati in possesso della
qualità del ‘genio’, come Albert Einstein, Nicola Tesla, Gregory
Bateson, o persino lo stesso Aristotele. Poi dovremmo prendere in
considerazione quali elementi hanno in comune.

Quindi dovremmo ripetere il procedimento con un altro insieme


di individui che siano ‘nel medesimo genere di quelli e sono
identici per la specie a se stessi, ma diverse da quelli’. Per
esempio, potremmo scegliere individui considerati geni ma che
erano creativi o artisti invece di scienziati: Wolfgang Amadeus
Mozart, Leonardo da Vinci e Walt Disney, per esempio. Quindi,
dovremmo cercare di trovare che cosa questi tre individui
avevano in comune.

Il passaggio successivo sarebbe scoprire se gli elementi o attributi


comuni degli scienziati avevano qualcosa in comune con gli
attributi condivisi dai creativi o artisti. Se così non è, potremmo

59
arrivare alla conclusione che il genio scientifico e quello artistico
sono in effetti due generi diversi di genio. Se invece i due gruppi
hanno davvero alcuni attributi comuni avremmo trovato una
potenziale ‘condizione di base’ o ‘principio primo’ del genio.
Potremmo quindi ripetere il procedimento con un altro genere di
‘geni’, per esempio terapeuti o guaritori, come il medico Milton
H. Erickson, Sigmund Freud e Moshe Feldenkrais. Per molti
versi, la struttura di questa serie di studi sul genio si basa proprio
su questa strategia.

I sillogismi come espressioni dei principi primi


Naturalmente, trovare gli elementi e le cause comuni è solo un
primo passo. Dobbiamo anche essere in grado di esprimere le
nostre conclusioni e determinarne rilevanza e utilità. Aristotele è
stato riconosciuto genio non solo per ciò che sapeva, ma per
quanto fu capace di esprimere su ciò che sapeva. Infatti la sua
capacità di spiegare i principi primi fu altrettanto importante della
sua capacità di scoprirli.

La strategia di Aristotele per identificare la relazione tra il


generale e il particolare, trovando il ‘medio’ o la causa, costituiva

60
la base dei suoi famosi ‘sillogismi’. Aristotele teorizzò il
sillogismo come una struttura linguistica atta ad esprimere i
principi che risultavano dalla sua analisi. Così infatti spiegava in
Analitici primi:

“Sillogismo è il discorso nel quale, poste alcune cose, segue di


necessità qualcos’altro da ciò che è posto per il fatto di sussistere
queste cose.” [trad. M. Zanatta]

In termini essenziali, un sillogismo fornisce il ponte tra la


conoscenza e la sua applicazione, mettendo a fuoco le
conseguenze di quella conoscenza. Espressa in questa maniera, la
conoscenza diventa uno ‘strumento’, ovvero ciò che Aristotele
chiamava organon (che significa ‘utensile’).

Una volta che è stato identificato attraverso la strategia ‘induttiva’


descritta precedentemente, un principio può essere applicato
‘deduttivamente’ tramite la struttura di un sillogismo. Un
‘sillogismo’ definisce la relazione tra le ‘cose’ e gli ‘attributi’ che
le accompagnano. In particolare, un sillogismo collega gli
attributi di una classe generale ai membri ‘particolari’ di quella

61
classe, come nel classico esempio:

Tutti gli uomini muoiono.


Socrate è un uomo.
Dunque Socrate morirà.

Il termine ‘medio’ è l’attributo, o causa, che unisce la classe e i


suoi membri individuali. Secondo Aristotele: “chiamo medio
quello che e di per sé è contenuto in un altro termine e l’altro è
contenuto in esso […]” [trad. M. Zanatta]

Nell’esempio di Socrate, essere un ‘uomo’ è uno degli attributi


che collega il particolare individuo ‘Socrate’ alla condizione
primaria del ‘morire’. Espressa in linea generale, la struttura di un
sillogismo risulterebbe più o meno la seguente:

Un fenomeno o classe di cose ha un certo attributo o causa.


Una situazione o individuo particolare possiede quell’attributo o
causa.
Quella particolare situazione o individuo sarà un esempio o
manifestazione del fenomeno o classe di cose.

62
Dal punto di vista linguistico, un sillogismo contiene di solito tre
‘termini’: i due ‘estremi’ A (il fenomeno generale) e C (lo
specifico individuo o caso), e il ‘medio’ B, che collega C ad A.
Per esempio, in relazione all’esempio dell’eclisse, Aristotele così
spiegava: “Poniamo che A indichi ‘eclisse’, che C indichi ‘luna’,
che B indichi ‘interposizione della terra’. In tal caso, l’indagare
se vi sia eclisse, o no, consiste nel cercare se B sussista o meno.”

Pertanto, per diventare uno ‘strumento’, è necessario che le


risultanze di un’indagine siano immesse in una struttura in cui:B
sia un attributo o causa del fenomeno generale A.
C sia un caso specifico in possesso dell’attributo o causa B.
C sia un esempio o espressione di A

In relazione al nostro studio sul genio, se ‘porre domande


fondamentali’ è un ‘attributo’ e ‘causa’ (B) del ‘genio’ (A),
potremmo formare un sillogismo avente la struttura seguente:

Porre domande fondamentali (B) è un attributo del genio (A).


Aristotele (C) poneva domande fondamentali.
Dunque Aristotele (C) era un genio.

63
Aristotele credeva che la conoscenza, strutturata in questo modo,
potesse essere applicata e messa in azione.

Il modello SOAR
Per molti versi, il procedimento di Aristotele riflette alcuni dei più
avanzati modelli attuali di intelligenza artificiale. In particolare, è
straordinariamente simile al modello SOAR. Quest’ultimo è un
modello generale per la risoluzione di problemi e un sistema di
apprendimento sviluppato originariamente da Allen Newell,
Herbert Simon e Clifford Shaw negli anni Cinquanta.
Inizialmente fu utilizzato per creare i software per giocare a
scacchi al computer: si insegnava alla macchina come diventare
esperta del gioco apprendendo dalla sua stessa esperienza,
attraverso la memorizzazione delle modalità di soluzione dei
problemi già affrontati.

Questi programmi di scacchi sono stati fino ad ora le applicazioni


di maggior successo dell’intelligenza artificiale.

SOAR significa ‘State Operator And Result’ (‘stato operatore e


risultato’) e definisce i passaggi fondamentali impliciti nel

64
processo di mutamento di un qualunque sistema. Uno ‘stato’ è
definito in relazione a uno ‘spazio problema’ più grande. Gli
‘operatori’ stimolano un mutamento nello stato alterando qualche
suo aspetto, provocando come ‘risultato’ un nuovo stato. Lo stato
desiderato viene raggiunto attraverso un percorso di ‘stati di
transizione’ che culminano nell’obiettivo finale.

“Secondo il modello, tutta l’attività mentale finalizzata a un dato


compito ha luogo entro un’arena cognitiva chiamata ‘spazio
problema’. Uno spazio problema consiste a sua volta in un
insieme di stati che descrivono la situazione in ogni dato
momento, e in un insieme di operatori che descrivono come il
solutore del problema può cambiare la situazione da uno stato a
un altro. Negli scacchi, per esempio, lo spazio problema sarebbe
[l’insieme dei parametri che definiscono], ‘una partita di
scacchi’ [come i due avversari, la scacchiera, eccetera], uno
stato consisterebbe in una configurazione specifica di pezzi sulla
scacchiera, e un operatore consisterebbe in una mossa regolare,
come ‘Cavallo a Re-4’. Il compito del solutore del problema è
cercare la sequenza di operatori che lo porterà da un dato stato
iniziale (per esempio con i pezzi allineati all’inizio della partita)

65
a un dato stato di soluzione (il re dell’avversario in scacco
matto).” (Waldrop, 1988.)

Una volta che i parametri rilevanti sono stati definiti, il solutore


del problema deve formulare una strategia guida per trovare la
sequenza di operatori che condurrà dallo stato iniziale a quello
finale. Questo ha luogo attraverso un insieme di regole
condizione-azione sistemate secondo un ordine di priorità nella
forma di ‘SE percepisci un certo stato, ALLORA applica una
certa sequenza di operatori’. Se si raggiunge un’impasse, per cui
non è possibile progredire verso lo stato finale, il problema viene
‘frazionato’ in sotto-obiettivi e sotto-operazioni fino a quando si
trova un nuovo percorso.

Questi nuovi ‘blocchi’ vengono quindi memorizzati come altre


regole condizione-azione. Continuando in questo modo, il
solutore del problema parte da una strategia guida per tentativi
(principiante) e arriva al livello di esperto, con una strategia che
implica l’uso di analisi ‘mezzi-fine’, passando per una in cui si fa
ciò che sembra meglio al momento (strategia tipo Hill Climbing,
‘corsa in salita’).

66
La struttura SOAR occupa una posizione centrale nel processo di
modellamento della PNL. Le caratteristiche della SOAR ci
forniscono la meta-strategia, o meta-modello, con cui identificare
e definire macro e micro-strategie efficienti. La SOAR fornisce una
struttura molto essenziale con la quale modellare performance
efficaci in molte diverse aree di attività. In un computer, per
esempio, l’hardware crea uno spazio-problema che può produrre
molti stati diversi. Le istruzioni software di un computer fungono
da operatori che producono cambiamenti in questi stati al fine di
ottenere risultati specifici.

Un altro esempio potrebbe essere la preparazione di un pasto. La


cucina definisce uno spazio problema in cui hanno luogo vari
stadi, o stati, della preparazione del cibo. Gli strumenti e gli
utensili da cucina sono gli operatori che producono cambiamenti
nello stato del cibo. Ogni ‘operazione’ conduce a un risultato che
viene quindi sottoposto a nuove operazioni, fino a quando viene
prodotto il pasto nella sua forma definitiva.

Un terzo esempio si può ricavare dal passaggio di apertura della


Genesi citato all’inizio di questo libro. ‘Cielo e Terra’ definiscono

67
uno spazio problema sul quale Dio opera per produrre un insieme
di stati gradualmente più definiti che hanno come risultato la
creazione di ‘uomo e donna’.

L’approccio di Aristotele all’acquisizione della conoscenza era


molto simile al modello SOAR Fisica, logica, retorica, politica,
eccetera sono tutti ‘spazi problema’. Aristotele cominciava a
definire tali spazi problema identificando i “principi, condizioni
ed elementi” a partire dai quali essi erano costruiti. I fenomeni che
costituiscono ogni campo sarebbero i vari stati all’interno dello
spazio problema. Come nel processo di apprendimento basilare
del SOAR, Aristotele riduceva in blocchi più piccoli, passando
dalle “dalle cose globali alle singole determinazioni”, ed
elaborando successivamente maggiori dettagli. I ‘termini medi’ e
le ‘cause’ che Aristotele ricercava sono simili agli operatori che
determinano e influenzano gli stati all’interno dello spazio
problema. I sillogismi di Aristotele sono come le regole
‘condizione-azione’ attraverso cui la conoscenza viene
accumulata nella struttura SOAR.

Pertanto, il nostro modellamento delle meta-strategie dei vari geni

68
deve tenere conto di come essi percepivano e concettualizzavano
lo spazio problema in cui stavano operando. Deve inoltre tener
conto del modo in cui essi identificavano e frazionavano in
blocchi più piccoli gli stati desiderati e gli stati di transizione
rilevanti all’interno di quello spazio. Infine, e più importante di
tutto, dobbiamo identificare gli operatori che essi usavano per
creare i propri percorsi nello spazio problema per raggiungere gli
stati da essi desiderati.

Tipi fondamentali di cause


Gli ‘elementi’ comuni, i ‘termini medi’ e le ‘cause’ che Aristotele
ricercava costantemente sono essenzialmente ‘operatori’ del
modello SOAR. Quando chiediamo “quale era la ‘causa’ del genio
di Einstein, Mozart, Leonardo o Aristotele”, stiamo
fondamentalmente chiedendo “quali operatori o operazioni li
hanno messi in grado di realizzare le imprese intellettuali e
artistiche per le quali sono noti?” Un aspetto fondamentale di
questo studio riguarda pertanto i tipi di operazioni, o cause, che
potrebbero essere rilevanti.

Secondo Aristotele (Analitici secondi), esistevano quattro tipi di

69
cause fondamentali: 1. cause ‘formali’, 2. cause ‘antecedenti’,
‘necessitanti’ o ‘precipitanti’, 3. cause ‘efficienti’ o ‘limitanti’ e 4.
cause ‘finali’.

Cause formali
Le cause formali riguardano essenzialmente le definizioni e le
percezioni fondamentali di qualcosa. La ‘causa formale’ di un
fenomeno è quella che fornisce la definizione del suo carattere
primario. Noi chiamiamo ‘cavallo’ una statua di bronzo che
raffigura un animale a quattro zampe con criniera, zoccoli e coda
perché mostra la forma, ovvero le caratteristiche ‘formali’, di un
cavallo. Diciamo che “la ghianda è cresciuta diventando una
quercia” perché definiamo come ‘albero di quercia’ qualcosa con
un tronco, rami e foglie di una certa forma.

Le cause formali in effetti dicono di più sul percettore che sul


fenomeno percepito. Identificare le cause formali implica rendere
visibili le nostre basilari supposizioni e mappe mentali riguardo a
un soggetto. Quando un artista come Picasso accosta il manubrio
di una bicicletta al sellino per formare la testa di una ‘capra’, egli
agisce sulle ‘cause formali’ perché sta operando con gli elementi

70
essenziali della forma di qualcosa.

Questo tipo di causa è collegato a ciò che Aristotele chiamava


‘intuizione’. Prima di poter cominciare a indagare
scientificamente su qualcosa come la fisica, l’etica, l’orgoglio o il
genio dobbiamo avere l’idea che tali fenomeni possano esistere.
Anche la scelta dei nostri esempi di persone ‘orgogliose’ implica
che abbiamo l’intuizione che questi individui siano esempi di ciò
che stiamo cercando. Come Aristotele faceva notare:

“[…] si avrà intellezione dei principi, tanto se si indaga a partire


da queste considerazioni quanto da quella che il principio della
dimostrazione non è una dimostrazione, per cui neppure il
principio della scienza è una scienza. […] l’intellezione sarà
principio di scienza.” [trad. M. Zanatta]

Identificare le cause formali del genio, per esempio,


comprenderebbe esaminare le nostre definizioni, intuizioni e
supposizioni sul genio. Potremmo dire, per esempio: “Aristotele
era un genio perché noi definiamo ‘geni’ le persone che hanno
influito diffusamente e in modo fondamentale sulla nostra

71
società”. Modellare le cause formali del genio nel caso di una
persona particolare implicherebbe l’identificazione dei suoi
presupposti fondamentali riguardo all’area, o alle aree, in cui il
suo genio si è espresso.

Cause antecedenti
Le cause antecedenti, o precipitanti, riguardano eventi, azioni o
decisioni passate che influiscono sullo stato attuale di una cosa, o
evento, lungo una catena lineare di ‘azione e reazione’. Questa è
probabilmente la forma più comune di spiegazione causale che
possiamo utilizzare per descrivere le cose. Per esempio diciamo:
“La ghianda è diventata un albero di quercia perché l’uomo l’ha
piantata, innaffiata e fertilizzata”. “L’uomo ha abbattuto l’albero
perché di recente egli aveva comprato un’ascia nuova.” Oppure:
“L’albero è caduto perché l’uomo ha fatto un taglio profondo nel
tronco con la sua ascia”.

Cercare le cause precipitanti del genio implicherebbe ricercare la


catena degli eventi, nelle varie storie personali dei geni, che
conducono allo sviluppo delle loro straordinarie capacità, come i
loro caratteri genetici o le loro esperienze. Per esempio potremmo

72
dire: “Il genio di Aristotele fu prodotto dall’educazione ricevuto
all’Accademia di Atene con Socrate e Platone, e dal suo interesse
per la biologia e la scienza ereditato da suo padre, che era un
medico di corte”.

Cause limitanti
Le cause limitanti comprendono le relazioni, i presupposti e le
condizioni limitanti (o l’assenza di limiti) presenti all’interno di
un sistema che ne mantengano lo stato (a prescindere dalla catena
di eventi che l’ha portato al punto in cui si trova). Per esempio,
applicando questo tipo di causa potremmo dire: “La ghianda è
diventata una quercia perché non c’era una significativa
competizione per l’acqua e la luce da parte degli alberi lì intorno”.
“L’uomo ha tagliato l’albero perché le condizioni del tempo
hanno limitato la sua possibilità di addentrarsi maggiormente nel
bosco e di selezionare un altro albero.” “L’albero è caduto perché
il campo gravitazionale della Terra l’ha attratto verso il suo centro
e l’ha mantenuto sul terreno.”

Ricercare le cause limitanti del genio comprenderebbe l’esame


delle condizioni in cui si trovava la persona al tempo in cui il suo

73
genio si esprimeva, come le condizioni sociali prevalenti e la
reazione e il supporto che essi ricevevano dagli altri. Per esempio
potremmo dire: “Aristotele fu un genio perché il sistema
governativo ateniese e la sua posizione di tutore di Alessandro
Magno gli offrirono le possibilità e l’opportunità di concentrarsi
sui suoi interessi. Egli non aveva concorrenti degni di nota perché
all’epoca solo poche persone avevano iniziato a pensare in modo
scientifico e l’istruzione era ancora rara, se non nella classe
sociale superiore.

Molte delle sue opere chiave sono state tratte dalle sue lezioni, in
seguito trascritte e redatte dai suoi studenti”. Le cause limitanti
sono per loro natura tendenzialmente più ‘sistemiche’, e possono
essere definite sia in termini di potenziali limiti non presenti sia in
termini di limiti effettivamente presenti.

Cause finali
Le cause finali riguardano i futuri obiettivi, traguardi o visioni
che guidano o influenzano lo stato presente del sistema, dando
significato, rilevanza o scopo alle azioni in corso. Le cause finali
comprendono i motivi, o ‘fini’, per cui qualcosa esiste. In tal

74
senso le cause finali sono spesso collegate al ruolo o all’‘identità’
di una cosa, rispetto al sistema più allargato di cui essa fa parte.
Specialmente nelle sue ricerche in campo biologico, Aristotele si
concentrò in modo particolare su questo tipo di causalità,
l’aspirazione o il fine intenzionale della natura, che egli
considerava distinta dalla causalità meccanica, operativa anche
nei fenomeni inorganici.

Pertanto, se da un lato Aristotele tendeva a cercare cause


antecedenti in casi di fenomeni meccanici e non viventi, egli
considerava più rilevanti le cause finali per quanto attiene ai
fenomeni mentali e biologici, dichiarando che “qualunque cosa
faccia, la mente lo fa sempre nell’interesse di qualcosa, e questo
qualcosa è il suo fine”.

Egli notava che se si brucia una ghianda la si distrugge in maniera


meccanica ma che, se le si dà una possibilità, essa trasforma se
stessa in una quercia. Pensando nei termini di questo genere di
causa potremmo dire che “la ghianda è cresciuta fino a diventare
un albero perché la sua natura è diventare un albero”. “L’uomo ha
abbattuto l’albero perché voleva riscaldarsi e aveva bisogno di

75
legna per fare un fuoco”. “L’albero è caduto perché era suo
destino fornire sostegno ad altre creature su questo pianeta”.

Cercare le cause finali del genio implica quindi il prendere in


considerazione gli obiettivi e gli scopi programmati, nonché i
risultati desiderati, che hanno guidato o ispirato i pensieri e le
azioni degli individui che stiamo studiando. Oltre a ciò bisogna
considerare le percezioni che gli individui avevano della propria
identità entro i sistemi sociali e ambientali in cui operavano.
Potremmo dire, per esempio: “Il genio di Aristotele era causato
dal suo costante desiderio di scoprire e condividere i principi
primi che univano e apportavano equilibrio a tutti i fenomeni del
mondo naturale”.

È chiaro che ognuna di queste cause, se considerata di per sé


stessa come spiegazione del tutto, produrrebbe probabilmente un
quadro incompleto. Nella scienza attuale ricerchiamo soprattutto
le cause meccaniche, ovvero quelle che Aristotele chiamava cause
‘antecedenti’. Quando studiamo scientificamente un fenomeno
tendiamo a cercare la catena lineare di causa-effetto che l’ha
prodotto.

76
Diciamo per esempio: “Il nostro universo è stato causato dal big
bang’ avvenuto miliardi di anni fa”. Oppure: “L’AIDS è causato da
un virus che penetra nel corpo e interferisce con il sistema
immunitario”. O ancora: “Questa azienda ha successo perché ha
fatto quei determinati passi in quei determinati momenti”. Queste
conoscenze sono certamente utili e importanti ma non ci
informano necessariamente sulla realtà complessiva dei fenomeni.

Per identificare le cause formali dell’‘universo’, di un’‘azienda di


successo’ o dell’‘AIDS’ è necessario esaminare le nostre
supposizioni e intuizioni fondamentali riguardo al fenomeno. Che
cosa intendiamo esattamente quando parliamo del nostro
‘universo’, del ‘successo’ o dell’‘AIDS’? Quali sono i nostri
presupposti riguardo alla loro struttura e ‘natura’? (Questi erano i
tipi di domande che condussero Albert Einstein a riformulare tutta
la nostra percezione di tempo, spazio e struttura dell’universo.)

Per identificare le cause limitanti è necessario esaminare che cosa


mantiene in essere la struttura attuale di un determinato
fenomeno, a prescindere da ciò che ve l’ha condotta. Per esempio,
qual è la ragione per cui molte persone contagiate dal virus

77
dell’AIDS non manifestano alcun sintomo fisico? Se l’universo va
espandendosi dopo il Big Bang, che cosa determina la sua attuale
velocità di espansione? Quali limiti provocheranno la fine
dell’espansione dell’universo? Quali sono gli attuali limiti, o
assenza di limiti, che potrebbero portare un’azienda a fallire o a
decollare improvvisamente, a prescindere dalla sua storia?

Per ricercare le cause finali è necessario analizzare le tendenze, o


i fini, di questi fenomeni rispetto al resto della natura. Per
esempio chiedersi se l’AIDS sia semplicemente un flagello, una
lezione o un processo evolutivo. Dio sta ‘giocando a dadi’ con
l’universo o ha uno scopo? Quali sono le visioni e gli obiettivi che
portano un’azienda al successo?

Lo stesso genere di considerazioni è rilevante per il nostro studio


del genio. Il tentativo di trovare le cause formali del genio ci
porta a vederlo in funzione delle definizioni e supposizioni che
applichiamo alla vita e alle azioni di una persona. Ricercare la
cause precipitanti ci induce a vedere il genio come un risultato di
eventi ed esperienze speciali nella vita di una persona. La ricerca
delle cause limitanti ci porta a percepire il genio come il prodotto

78
delle condizioni uniche o straordinarie in cui la persona viveva.
Prendere in considerazione le cause finali ci porta a percepire il
genio come un risultato delle motivazioni o del destino di una
persona.

Il ruolo della percezione del tempo


Appare chiaro che i vari tipi di cause di Aristotele implicano
relazioni ‘temporali’ diverse tra i fenomeni. Le cause antecedenti
sono relative al ‘passato’, quelle finali al ‘futuro’. Le cause
limitanti sono relative al ‘presente’, mentre quelle formali sono le
uniche non direttamente collegate al tempo.

Per Aristotele la percezione del ‘tempo’, come altri concetti, era


uno ‘strumento’ da usarsi in modi diversi. Infatti, nel trattato
Fisica egli mette in discussione, in un certo qual modo
umoristicamente, perfino l’esistenza stessa del tempo:

“Che dunque o non esista affatto, o che esista a stento e in modo


oscuro, si potrebbe supporre da queste considerazioni. In effetti,
una parte di esso è stata e non è, una parte sarà e non è ancora.
Di queste cose è costituito sia il tempo infinito che quello che si

79
assume di volta in volta. Ma ciò che è costituito di cose che sono
– tutti ne converranno -, è impossibile che partecipi di una
sostanza.” [trad. M. Zanatta]

Uno dei risultati più importanti del processo di modellamento è


certamente l’organizzazione di sequenze di influenze, cognitive e
comportamentali, rilevanti rispetto al tempo. Il modo in cui
organizziamo e collochiamo gli eventi nel tempo può influenzare
notevolmente la nostra percezione dei suoi effetti.

Così come operava delle distinzioni in base alla rilevanza di


differenti tipi di cause nell’opposizione tra processo organico e
meccanico, Aristotele sembra aver avuto modi diversi di percepire
l’influenza del tempo in relazione a differenti tipi di fenomeni.
Per la causalità meccanica Aristotele tendeva ad applicare la
visione tradizionale del tempo, inteso quindi come qualcosa di
lineare. Le cause antecedenti, per esempio, formavano una
sequenza lineare di reazioni. Spiega infatti:

“E allora affermiamo che è trascorso del tempo, quando nel


movimento assumiamo percezione del prima e del poi.

80
“Ma definiamo queste determinazioni supponendo che siano altra
e altra cosa, e un alcunché di intermedio diverso da esse. Quando
infatti pensiamo gli estremi come diversi dal medio e l’anima dice
che gli istanti sono due, uno anteriore e uno posteriore, allora
diciamo anche che questo è tempo. Infatti, ciò che è definito con
l’istante sembra essere tempo. […] giacché il tempo è questo,
numero del movimento secondo il prima e il poi. […] giacché
pure il punto e rende continua la lunghezza e la determina. In
effetti, è principio di una cosa e fine di un’altra. .” [trad. M.
Zanatta]

Questa percezione del tempo come ‘punti’ ‘lungo’ una linea per
quantificare gli eventi, cosicché il presente, o ‘ora’, viene ‘dopo’
il passato (A) e ‘prima’ del futuro (B), è stata da allora adottata
dagli scienziati e dai progettisti. Infatti, le ‘linee del tempo’ sono
diventate il principale modo di concepire il tempo nella società
occidentale.

81
Nel modello di base della PNL esistono due prospettive
fondamentali rispetto al tempo: percepire qualcosa ‘nel tempo’
oppure ‘attraverso il tempo’.1

Quando si percepisce un evento ‘attraverso il tempo’ si assume un


punto di vista che si trova al di fuori della sequenza di eventi,
dissociato da qualunque cosa venga osservata o modellata. Da
questa prospettiva la ‘linea del tempo’ è di solito vista in modo
tale che il ‘prima’ e il ‘dopo’ siano linee che si estendono
all’esterno, verso sinistra e destra, con l’‘ora’ posizionato in un
qualche punto intermedio.

Percepire un evento ‘nel tempo’ implica invece assumere un


punto di vista interno all’evento che si sta verificando. Da questa
posizione percettiva, l’‘ora’ equivale alla nostra attuale posizione
fisica, mentre il futuro è rappresentato da una linea che si estende
all’esterno nella direzione verso cui siamo rivolti e il passato ci
1
Il concetto di linee del tempo ‘nel tempo’ e ‘attraverso il tempo’ si sviluppò
inizialmente in PNL nel 1979, con l’avvento dei cosiddetti modelli di ‘meta-
programma’. L’esplorazione di altre forme di percezione temporale fu condotta nei
primi anni Ottanta da studiosi come Richard Bandler e il sottoscritto. Le specifiche
applicazioni delle linee tempo sotto forma di tecniche iniziarono dalla metà fino agli
ultimi anni Ottanta, soprattutto da parte di Tad James e Wyatt Woodsmall (1987), Steve
e Connirae Andreas (1987) e con il mio lavoro sulla fisicizzazione delle linee temporali
(1987).
82
insegue alle spalle, un po’ come se stessimo camminando verso il
futuro lasciandoci il passato dietro di noi.

Le due prospettive (che si possono rappresentare sia visivamente


sia utilizzando uno spazio fisico reale), determinano percezioni
diverse dello stesso evento. La prospettiva ‘attraverso il tempo’ è
efficace per l’analisi quantitativa ma è più passiva in quanto
dissociata. La prospettiva ‘nel tempo’ è più attiva e coinvolta ma
rende più facile ‘perdere la visione d’insieme’.

Nel modo di vedere di Aristotele, comunque, questi metodi lineari


per la percezione e la misurazione del tempo costituivano
solamente uno dei modi possibili e valevano soprattutto rispetto
alle cause meccaniche. Egli considerava diversamente l’influenza
del tempo rispetto ai fenomeni biologici e mentali:

“Si dice infatti che le cose umane sono un circolo, e che lo siano
anche la generazione e la corruzione delle altre cose che hanno
un movimento naturale. E ciò perché tutte queste cose sono
misurate col tempo, e assumono la loro fine e il loro principio
come se avvinsero secondo un certo periodo. E infatti lo stesso

83
tempo sembra essere un certo circolo. […] Di conseguenza, il
dire che quelle fra le cose che avvengono sono un circolo
equivale al dire che vi è un qualche circolo del tempo. E ciò
perché si misura con la traslazione circolare.” [trad. M. Zanatta]

Pertanto, il tempo che si collega ai processi meccanici basati sulla


percezione di ‘prima’ e ‘dopo’ legati a ‘ora’ può essere
rappresentato dalla classica ‘linea del tempo’. Tuttavia, il tempo
che si collega a processi più organici, che implicano il
“movimento naturale della generazione e della corruzione”, può
essere meglio rappresentato in forma di cerchi e ‘cicli’.

Questi modi diversi di percepire il tempo ci porteranno a


concentrare l’attenzione su tipi differenti di cause. La linea
temporale ‘attraverso il tempo’, per esempio, ci porta verso la
percezione di cause antecedenti o precipitanti. Una prospettiva
‘nel tempo’ mette in rilevo le cause limitanti, mentre una linea del
tempo ciclica tenderà a evidenziare cause finali e formali.

In maniera simile, tipi diversi di linee del tempo tendono a essere


più appropriati per livelli diversi di processi. Per esempio, la

84
preparazione per mettere in atto comportamenti fisici può essere
fatta meglio tramite una linea temporale ‘nel tempo’. Progettare
un piano d’azione o prendere in considerazione le capacità di
qualcuno richiede la prospettiva più ampia offerta dalla linea
temporale ‘attraverso il tempo’. Processi relativi alle convinzioni
e all’identità sono spesso meglio rappresentati in forma di cicli,
poiché tendono a comprendere modelli ricorrenti piuttosto che
singoli eventi lineari.

Nel nostro studio sul genio sembra che sarà importante


considerare la rilevanza del tempo da tutte queste diverse
prospettive. Una linea temporale ‘attraverso il tempo’ ci metterà
in grado di identificare e descrivere sequenze di passaggi
specifiche e distinte. Una linea temporale ‘nel tempo’ ci sarà
d’aiuto per calarci più facilmente nei panni dei geni che stiamo
modellizzando e per vedere le loro azioni nella storia così come
essi stessi le hanno vissute. Percepire gli eventi nel ‘cerchio’, o
‘ciclo’, del tempo ci aiuterà a riconoscere i modelli ricorrenti, a
vedere i processi nella loro interezza e a identificare la relazione
dei diversi passaggi con il ‘movimento naturale’ dell’insieme.

85
La valutazione delle premesse
Ricercare i differenti tipi di cause ci porta a conclusioni di tipo
diverso e prendere in considerazione gli eventi in riferimento a
modi diversi di rappresentare il tempo altererà le percezioni che
abbiamo di essi. Pertanto, appare evidente che è necessario un
sistema per accertare o valutare le conclusioni a cui giungiamo
attraverso le nostre esplorazioni.

Secondo Aristotele, la chiave dell’efficacia delle nostre


conclusioni in merito a un principio è la forza e l’‘universalità’
della relazione fra un fenomeno e gli attributi o le cause che
abbiamo scoperto. Questa relazione è ciò che Aristotele chiamava
la ‘premessa’ della conclusione.

“[…] ogni preposizione dice o l’appartenere o l’appartenere di


necessità o l’appartenere contingente, e tra queste la une sono
affermative, le altre negative, secondo ciascun tipo di attribuzione
[…].” [trad. M. Zanatta]

Nel primo caso possiamo dire che cosa è o che cosa non è
qualcosa. Per esempio, possiamo dire che un essere umano è un

86
animale e che un essere umano non è un vegetale.

In riferimento al secondo tipo di premessa possiamo affermare


che un essere umano deve avere la capacità del linguaggio e che
un essere umano non deve avere la coda.

Nel terzo tipo di premessa possiamo dire che alcuni esseri umani
possono essere capaci di scolpire statue o che alcuni esseri umani
possono non essere capaci di parlare greco.

Questi diversi tipi di premesse sono essenzialmente i primi due


termini di un ‘sillogismo’: (A) il fenomeno generale e (B) il
‘medio’ o le cause e gli attributi associati con quel fenomeno. La
validità di questi due termini determina la validità di qualunque
conclusione sia tratta da essi.

Il primo test per queste varie premesse consisteva in ciò che


Aristotele chiamava la loro ‘convertibilità’:

“è necessario che quella privativa consistente nell’appartenere


universalmente si converta nei suoi termini: per esempio, se

87
nessun piacere è un bene, neppure nessun bene sarà un piacere.
Invece quella predicativa è necessario che si converta, ma non
universalmente, bensì particolarmente: per esempio, se ogni
piacere è un bene, anche qualche bene è necessario che sia un
piacere.
“Delle preposizioni particolari è necessario che quella
affermativa si converta particolarmente (se infatti qualche
piacere è un bene, anche qualche bene sarà un piacere), mentre
quella privativa non è necessario che si converta (infatti se
l'uomo non appartiene a qualche vivente, non per questo il
vivente non appartiene a qualche uomo.” [trad. M. Zanatta]

Dal punto di vista di Aristotele, quindi, la valutazione di un


‘principio primo’ consisteva essenzialmente nel cercare
‘controesempi’, o eccezioni alla regola, che ne mettessero in
dubbio l’‘universalità’ utilizzando le regole di ‘conversione’. La
validità di queste ultime, tuttavia, doveva essere confermata anche
dall’osservazione. Aristotele riteneva che l’unica ‘prova’ effettiva
di un principio primo si ottenesse con la ‘dimostrazione’. Una
volta formulato un principio, questo doveva essere applicato e
convalidato tramite l’esperienza. In altre parole, la mappa si deve

88
dimostrare utile rispetto alla sua capacità nell’aiutarci a navigare
il territorio. Come lo stesso Aristotele affermava nel trattato Della
generazione degli animali: “bisognerà dar credito
all’osservazione piuttosto che alle teorie, e alle teorie solo se ciò
ch’esse affermano si accorda con i fatti osservati”.

Il valore delle regole di conversione è che ci dicono dove


guardare per trovare possibili controesempi. Perciò, se
affermiamo che “tutti gli uccelli hanno le ali”, non dovrebbe
essere possibile trovare uccelli che non abbiano ali. Ma possiamo
trovare animali con le ali che non sono uccelli. Se diciamo
“nessun uccello è senza piume”, allora non dovrebbe essere
possibile trovare alcuna creatura senza piume che sia un uccello.

La struttura essenziale del reperimento di controesempi attraverso


le regole di conversione consiste nel verificare la forza della
relazione implicata nella premessa. Per esempio, se una premessa
è del tipo:
Tutto A ha B
oppure
A causa B

89
Per trovare controesempi dovremmo prima di tutto chiederci:

Esiste un A che non abbia B?


oppure
Esiste un A che non causi B?

Successivamente ‘convertiremo’ i termini per domandarci:

Esiste qualcosa che ha B e che non è A?


oppure
Esiste un B che non è causato da A?

Perché un attributo sia veramente decisivo non dovrebbe essere


possibile trovare alcun controesempio. Per esempio: non tutti gli
uccelli volano ma tutti gli uccelli hanno le ali. Tuttavia non tutti
gli essere viventi con le ali sono uccelli: anche insetti, pipistrelli e
qualche dinosauro hanno o avevano le ali. Ma se diciamo che tutti
gli animali con le ali e il becco sono uccelli ci saranno meno
probabilità di trovare controesempi, ossia animali che non sono
uccelli ma che hanno le ali e il becco.

90
Possiamo applicare questa stessa procedura di verifica al nostro
studio sulle strategie del genio. Dopo aver formulato un’ipotesi
(basata sulla scoperta di alcuni ‘elementi comuni’ in un certo
numero di esempi) in forma di premessa, cercheremo quindi
potenziali controesempi. Perciò, se scopriamo che “tutti i geni
pongono domande fondamentali”, allora dovremmo vedere se c’è
un esempio di genio che non pone domande fondamentali.
Mozart, per esempio, poneva domande fondamentali? E se sì,
quali? Dovremmo anche scoprire se esistono persone che
pongono domande fondamentali e non sono geni. Meno
controesempi ci sono e più l’attributo, o la causa, è ‘universale’.

Trovare un controesempio non significa comunque che la nostra


premessa sia ‘sbagliata’, ma generalmente che il sistema, o
fenomeno, che stiamo esplorando o studiando è più complesso di
quanto lo percepiamo noi, oppure che non abbiamo ancora
raggiunto i suoi elementi più semplici.

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CAPITOLO 2
Il modello della mente secondo Aristotele

La ricerca di cause universali e attributi presuppone di sapere


quali elementi cercare come possibili cause o attributi. Secondo le
indicazioni di Aristotele, vanno ricercati gli ‘elementi più
semplici’. Quali sono gli elementi più semplici che formano le
‘cause’ e gli ‘attributi’ del genio? Ovviamente essi devono avere a
che fare con la ‘mente’. E sebbene Aristotele non abbia scritto
nulla di particolare sul genio, aveva però tanto da dire sulla natura
della mente.

Per molti versi infatti Aristotele fu la prima persona a praticare la


PNL. Certamente egli è all’origine di molti dei suoi principi
ispiratori e fu una delle prime persone nella storia a cercare di
definire e categorizzare i vari aspetti della ‘mente’ e del processo
di pensiero. Nel trattato Dell’anima, per esempio, Aristotele
sosteneva che noi sappiamo che qualcosa è vivente, e quindi
possiede ‘anima’ o ‘psiche’, perché può percepire le cose e può

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muoversi grazie a un’energia propria. Scriveva infatti:
“[…] l’anima, e intendo l’anima degli animali, è stata definita
per mezzo di due facoltà, quella di giudicare, che è funzione
dell’intelletto e del senso, e, poi, quella di muovere localmente.”
[trad. R. Laurenti]

Noi sappiamo che qualcosa ha una psiche perché è in grado di


percepire le caratteristiche del proprio mondo, discriminare su ciò
che percepisce e originare movimento autonomo in relazione alle
discriminazioni sensoriali operate.

Queste distinzioni fondamentali ben si adattano al modello di


elaborazione delle informazioni proposto dalla PNL, ovvero che il
cervello è come un microcomputer e funziona tramite input e
output. I movimenti sono originati e diretti dalle discriminazioni
mentali che operiamo nei riguardi dei nostri input.

A differenza dei moderni comportamentalisti, tuttavia, Aristotele


non considerava questo processo una semplice azione riflessiva.
Come detto in precedenza, egli affermava che “qualunque cosa
faccia, la mente lo fa sempre nell’interesse di qualcosa, e questo

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qualcosa è il suo fine”. Pertanto, secondo Aristotele, tutta
l’esperienza psicologica era organizzata per un qualche fine. Di
conseguenza la percezione sensoriale e la discriminazione delle
differenze in ciò che percepiamo avvengono sempre in relazione a
uno scopo. Tutta la percezione sensoriale assume significato nei
termini della sua relazione con uno ‘scopo’. In altre parole, per
Aristotele ‘psiche’ significava la capacità di avere uno scopo, di
essere in grado di percepire la relazione con il proprio scopo e di
variare il proprio comportamento per raggiungere tale scopo.

William James (lo psicologo americano generalmente considerato


il padre della psicologia cognitiva) ha definito la mente in modo
simile, ossia dotata della capacità di avere una finalità futura
prefissata e una gamma di scelte molto ampia per raggiungerla:

“Il perseguimento di finalità future e la scelta dei mezzi per il loro


raggiungimento costituiscono perciò un segnale e un criterio
della presenza di attività mentale in un fenomeno.”

Utilizzando il linguaggio della PNL, Aristotele e William James


stavano entrambi descrivendo il processo TOTE (Miller et al.,

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1960) in cui si afferma che il comportamento intelligente dipende
dal possesso di test e operazioni che guidino verso una finalità
futura prefissata: una ‘causa finale’. Come il SOAR, anche il
modello TOTE definisce un percorso specifico attraverso lo spazio
problema. In questo senso, il TOTE è la struttura fondamentale con
cui si definisce la macro-strategia di una perso

Il modello TOTE
TOTE significa ‘Test-Operate-Test-Exit’ e definisce il basilare
circuito di retroazione (feedback loop) con cui cambiamo
sistematicamente gli stati. In base al modello TOTE, in genere noi
operiamo su uno stato per cambiarlo allo scopo di raggiungere un
obiettivo. Verifichiamo continuamente lo stato in essere rispetto a
certe prove, o a certi criteri, per scoprire se l’obiettivo è stato
raggiunto.

Quindi modifichiamo le nostre operazioni in base ai risultati del


test. Ovvero, per prima cosa, si verifica la propria relazione
rispetto all’obiettivo da raggiungere; se non si sta raggiungendo
l’obiettivo, si opera in maniera tale da variare in qualche modo il
proprio comportamento. Poi si verifica nuovamente il risultato di

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quella mossa e, se ha avuto successo, si opera l’uscita e si procede
al passo successivo. In caso contrario si modifica nuovamente il
proprio comportamento e si ripete il procedimento.

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