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Ma noi non facciamo più cristiani! Questa è la prima reazione alle parole
di Gesù ed è la costatazione dalla quale con molta onestà dobbiamo e
vogliamo iniziare. A fronte delle parole di Gesù che consegna ai suoi amici
il Vangelo affinché facciano a loro volta discepoli, noi oggi misuriamo uno
scarto doloroso.
Gli anni di catechismo non danno più il risultato atteso e sperato. Al loro
compimento, i ragazzi e le ragazze, abbandonano, se ne vanno
semplicemente, senza sbattere la porta, senza contestare nulla, senza
avanzare una qualche pretesa. Quando come parroco celebravo le prime
comunioni e le cresime, quel clima di festa e di gioia, era accompagnato
da un retrogusto piuttosto amaro. Mi rendevo sempre più conto che il
sacramento della confermazione non confermava proprio un bel nulla.
Le famiglie davano il meglio di sé in vestiti, ricevimenti e regali… ma Gesù
e il suo Vangelo erano subito dimenticati.
Non si tratta qui di colpevolizzare o di criminalizzare qualcuno. Se
vogliamo essere sinceri e veri, se vogliamo una chiesa di giovani e non
solo per i giovani, ma soprattutto se vogliamo essere fedeli al mandato di
Gesù dobbiamo interrogarci seriamente e cogliere l’obsolescenza di una
mentalità pastorale che viene ancora pervicacemente messa in atto, ma
che non ottiene ciò per cui è stata pensata, vale a dire la possibilità di fare
nascere al mondo nuove cristiane, nuovi cristiani.
Dico pervicacemente perché continuiamo a credere che facendo le cose
di sempre, prima o poi, magari quest’anno o forse il prossimo, si
otterranno risultati differenti. In realtà le cose di ‘sempre’, vengono da un
preciso contesto sociale, culturale e umano che si è consolidato per
qualche secolo e che ora è semplicemente venuto meno. Dobbiamo
prenderne atto.
Papa Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium al n. 27 dice molto
chiaramente che ogni cosa della pastorale concreta deve essere
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