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Parafrasi Sonetti Romani

Baldi
Letteratura Italiana
Università di Torino
12 pag.

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Downloaded by: sabrina-grasso-4 (valter.vighetti@virgilio.it)
Sonetto IV - Sopra le mura più moderne
Quando il Po si muove rapidamente(perché ha una corrente impetuosa)
e tutto pieno di acqua e fango
e fa un rumore come fosse una mandria di mucche che muggiscono colpendo ora una ora l’altra sponda
colpendo gli argini e smuove gli argini
e qualche volta (quando esonda) si volge altrove così lontano
e inonda dei campi non abituali
e non si può più dire come il primo letto del fiume= quello originario corrisponda=sia situato rispetto alle
nuove valli, ossia gli avvallamenti invasi dal fiume.
Due rapidi torrenti ti hanno fatto cambiare sito e luogo alle tue mura,
o vecchia Roma e ti hanno fatta diversa da come eri un tempo (in pratica sta dicendo che non è più cosi
facile ricostruire il tracciato delle mura originali perché i barbari e il tempo che hanno travolto il tessuto
urbanistico di Roma sono due rapidi torrenti in grado di travolgere tutto come quando il Po esonda).
Barbarico furore di gente non nobile e disprezzabile= i barbari sono popoli non ancora civilizzati e il tempo
che sembra dormire con aria sonnacchiosa e tranquilla, ma non dorme mai e domina tutte le cose.
(I barbari e il tempo hanno abbattuto Roma e questa concetto usurato dalla poesia precedente viene
reinterpretato da Baldi con il Po che travolge ogni cosa).
Barbarico furore di gente ignobile cioè i barbari e l’altro è il tempo che sembra nel suo lento trascorrere
rappresentato pittoricamente come un vecchio sonnacchioso e addormentato, ma non dorme per niente e
domina su ogni cosa distruggendola.

Sonetto V - Sopra l’obelisco del Vaticano


Tra le vaste rovine , dove giace ricoperta da se stessa l’antica
Roma, si erge il
Grande obelisco non vinto e domina
La barbarica in lui conversa.
Ebbero timore la gente nemica al nostro nome,
Di turbare le ossa sacre di Cesare cioè colui che avendo la testa cinta
D’alloro si nomina per il suo valore da Occidente ad Oriente (da Atlantico a Golfo Persico).
Già quando questo obelisco era stato eretto nel mondo egizio
Che lasciasti che il Nilo fertile allaga,
Per fare più famoso il Vaticano:
Siedi in riva al Tevere,
Disprezzatore della mano nemica,
Scelto dalla benevola volontà celeste per essere consacrato.

Sonetto VII - Sopra un Mercurio di bronzo alla vigna de’ Medici

Si muove o sbaglio? Anzi sembra proprio muoversi questo mirabile metallo


e sembra che stia per spiccare il volo: infatti non è questo il figlio di Maia
i cui piedi veloci e presti=veloci (si tratta di una endiadi)
calpestano l’aria arrivando fino in cielo (cioè il Dio è in grado di volare)?
Ma se ha moto, come mai quasi come un’aquila alzata a volo,
non va a porgere a Giove i fulmini, benevoli per i buoni e distruttivi per i colpevoli?
Quale pigrizia fa in modo che non abbandoni il terreno?
L’arte unisce insieme due contrari e opposti che la natura non può fare:
l’immoto cioè il bronzo che non può muoversi e la sua rappresentazione così perfetta che sembra quasi che la
statua stia per muoversi, l’arte è in grado di unire paradossalmente queste due opposizioni.
L’occhio ci dice che si muove, ma ci dice anche che non ha moto e quindi tu che sei un dio e per di più dio
dell’eloquenza spiega tu se almeno riesci a muovere la lingua .

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Sonetto IX - Sopra la Niobe
Il mito di Niobe : questa donna, che aveva 12 figli, prese in giro la dea Latona perché madre di soli 2 figli,
ovvero Apollo e Artemide, e questo ebbe delle conseguenze terribili perché a quel punto Apollo e Artemide
uccidono tutti i figli di Niobe per vendicare l’offesa fatta alla madre. Dopo ciò Niobe rimane impietrita dal
dolore e diventa effettivamente pietra.

Nel sonetto la cosa curiosa e che si finge che la statua che raffigura Niobe atterrita e desolata alla vista dei
figli uccisi sia la stessa Niobe. E quindi vi è la ripresa del tema arte e natura che si confondono cioè l’arte
non è più soltanto imitatrice di natura ma arriva quasi a riprodurla e in questo caso Niobe è si statua ma
anche Niobe medesima che è stata resa pietra.

Sonetto X - Sopra il sepolcro d’Augusto


Queste rovine sparse in riva al Tevere,

che sono testimonianza (vestigia) di un sepolcro grande (ampio) e molto antico,

accolsero in seno le ossa del grande Augusto (sono il sepolcro di Ottaviano Augusto),

onore di Marte, vincitore dei popoli, (Augusto è anche vincitore delle genti e orgoglio di Marte).

Non contenta dei nostri marmi, l’arte

per dare una dimora all’altezza del seppellito

spogliò di marmi il nord (freddo), l’Africa (lido adusto ovvero bruciato),( l’occidente e l’oriente quindi per
rendere più ricco e più nobile il sepolcro di Augusto non ci si accontenta dei marmi bianchi mediterranei ma
si cercano marmi esotici in tutte le parte dell’impero),

Ma a cosa serve che una mano generosa (prodiga)

costruisca per se o per altri un colosso o un obelisco inciso di geroglifici presi in Persia che è bagnata
dall’Eufrate o in Egitto bagnato dal Nilo se alla fine anche questi cadono?

Lo sfarzo diventa polvere ma non solo diventa anche motivo di scherno e la gloria umana viene nascosta
dalle sue stesse rovine?

Sonetto XI - Sopra le rovine del Ponte Trionfale


Io che per lungo tempo comandai su tutto l’universo.

È come se il Tevere, fiume di Roma, tiene le redini/ comanda l’Eufrate ovvero il fiume che scorre in
Persia, il Nilo quindi l’Egitto, il Po quindi le zone celtiche del nord Italia, il Don (la Tana) che è un
fiume russo, il Reno che scorre in Germania, il Danubio (l’Istro), la Senna e l’Ebro (tenebroso Ibero)
che da appunto nome alla penisola iberica.

Io che, il mio corno più che ricco d’acqua è ricco di fama

e che più gloria che onde al mar Tirreno.

Adesso devo vergognarmi di me stesso e diventare oggetto di irrisione (trastullo e scherno) sia ai
popoli africani che a quelli europei?

Così disse il Tevere e col muggito di un fiume in piena urtò il nobile ponte che portò su di se/che
permise di attraversare il Tevere alla processione trionfante (pompa) dei romani (trionfanti). (Lo urta
perché non vuole che passi su di lui un popolo vittorioso contro Roma).

Gli archi si spezzarono cedendo al gran furore e il tempo conserva di loro solo quella piccola
traccia che oggi il romano mostra agli altri gemendo, addolorato perché rappresenta il ricordo
della sconfitta.

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Sonetto XII - Sopra la Cleopatra del Vaticano
Io , che le sponde del Nilo mi hanno vista così spesso felice mentre adesso il Tevere mi vede
mesta e dolente, fuggendo dallo sfarzo e dall’ira del romano vincitore ovvero Ottaviano, mi diedi la
morte e non provai dolore.

Il mio collo reale non vuole sopportare di essere incatenato dato che prima aveva portato collane
formate dai più preziose pietre, per cui (onde) ringrazio il veleno che viene prodotto dal serpente
(angue) che si aggira intorno alle mia membra fredde e ringrazio anche la parca Atropo che mi ha
donato la morte. (3 signore anziane che venivano dette parche e che filavano i destini: una filava,
l’altra tirava il filo che rappresentava la vita dell’individuo e infine l’ultima Atropo tagliava il filo
donando così la morte)

Non può tutto chi vince: io non fui ornamento del suo superbo Trionfo (del trionfale ritorno a Roma
di Ottaviano) anche se lui fece costruire un marmo bianco ovvero una statua che mi raffigura.

Fui regina d’Egitto e anche il destino contrario non mi tolse la libertà, cioè fui libera di decidere il
mio destino, e quando scesi all’inferno con il mio spirito sciolto dal corpo, anche come ombra ero
libera.

Sonetto XIII - Sopra il Laocoonte del Vaticano


In questa statua antica e celebre, che le logge del Vaticano conservano tra mille altre si conserva
anche l’antica fama de nobili scultori, e la statua chiede per loro nuova fama perché sono stati
famosi nel mondo antico ma bisogna rinnovarla anche per noi moderni per la bellezza di questa
scultura.

L’arte ingegnosa scioglie cosi bene la durezza del marmo che se il tempo crudele si arma contro
di lui, (la scultura un po’ si è rovinata col passare del tempo) però di fronte alla bellezza di questa
statua anche il tempo non osa offenderla e si ritrae.

Un orribile serpente (angue) circonda con stretti nodi e numerosi giri i figli (l’uno e l’altro) e anche
Laocoonte (il genitor dolente).

Il volto è sfigurato, dolorante ma non sente il proprio mal. Sembra che aspiri solo alla liberazione
dei suoi figli che sono allo stremo delle forze e che stanno morendo stritolati dal serpente.

Sonetto XIV - Sopra il ponte Sant’Angelo


(Dato che il ponte trionfale è stato abbattuto) quando il pellegrino stanco e afflitto raggiunge la
sponda toscana del Tevere si deve fermare suo malgrado perché vede davanti a se le acque del
Tevere che sono rapide e profonde e si rammarica.

Adriano (Elio) muove le montagne per procurarsi i marmi perché decide di costruire la sua tomba
(mole) proprio dove i pellegrini sono costretti a fermasi e anche un ponte per unire il lato destro e
quello sinistro che sono divisi dal Tevere (gran fiume roman) che porta le sue acque.

(Questo ponte una volta costruito diventa molto utilizzato) per passare su di lui si vede gareggiare,
per chi vi pone l’attenzione, quelli che vanno da una parte e quelli che vanno dall’altra ed è difficile
decidere chi dei due vince perché nessuna delle due correnti di passanti cede all’altra.

Allo stesso modo il nocchiero presso lo stretto di Messina (Cariddi), vede questi correnti opposte
che si scontrano e creano un turbine voluminoso e volubile che viene paragonato al passaggio dei
pedoni sul ponte sant’Angelo.

Sonetto XV - Sopra la Mole d’Adriano


“Elio per quale ragione hai alzato al tuo corpo (per conservare il corpo defunto) un edificio così
ampio che ingombra tutte le campagne: non sapevi che alla poca polvere che rimane della vita
umana (il cadavere) è più che sufficiente poca terra e una lapide?

Inutilmente hai opposto metalli e marmi (materiali preziosi per erigere la tomba) al tempo che
cancella i nomi e velocemente butta giù tutto, e non c’è nessuno che possa vincere con lui.
Tutte le storie ti descrivono animato da idee diverse, qual è il fine che ti ha mosso a cercare di fare
un edificio il più monumentale possibile per custodire il tuo corpo, se non fu quello che stima il
desiderio di immortalità? ”

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“Lo so benissimo che bastava una piccola urna oppure una grotta ma ho voluto lasciare una
testimonianza/traccia in parte che fosse di uguale grandezza della mia gloria.

Sonetto XVII - Sopra la Rotonda


“Mentre ammiro contemplando questi marmi (che all’interno abbelliscono il Pantheon), grazie ai
quali il tempio Rotondo ha tetto e mura, mi interrogo e non riesco ad avere la certezza su quali
individui poterono aprire i monti per ricavare questi marmi.

Perché, se Encelado (il capo dei giganti che si ribellarono a Giove) e gli altri giganti si sono uniti
per fare ciò, come ha potuto una mano empia avere avuto una cura così pietosa?

Ma se invece sono stati gli uomini nella mia mente si aggira un dubbio ancora maggiore (che
uomini potevano costruire un’opera del genere?).

Per far finire questo mio affannarsi per capire cosa sia successo, chi mi aiuta a scoprire la nuda
verità?”
“No, non sono stati i giganti che hanno alzato il prestigioso edificio che vedi, ti basti sapere che fu
un romano (architetto Agrippa nel 27 a.C).

Sonetto XX - Sopra la Colonna Traiana


Tu (Baldi si riferisce al guerriero sulla colonna) che intorno ai capelli hai un turbante e che
sembreresti essere parto a causa delle frecce nella faretra sulla schiena (Parti= arcieri):

fermati (non pensare di invadere Roma o l’Europa)! La colonna è qui, che Roma innalzò a colui
che pose un forte collare/dominio al Tigre (il fiume) vinto, a chi, dopo aver domato il collo (ha fatto
piegare il capo), fece una strage tale da tingere l’Eufrate del sangue dell’esercito. Guarda bene le
storie che sono qui raffigurate, quei segni grazie ai quali vedi scolpiti tutto intorno questi alti e
gloriosi marmi, la Fama ha inciso quei segni con uno scalpello immortale.

I trofei di insegne e di armi rubati dal nemico che abbelliscono il giro della base, consacrati dalla
gloria che favorì a una cosi grande opera.

Sonetto XXI - Sopra le Terme di Diocleziano


Queste mura, che si vedono alzare superbe verso il cielo le spalle e le fronti carichi di cespugli ed
erbe (ormai rovine, quindi ricoperte dalla natura), sono edifici o sono monti?

Ma se è un’opera d’arte, l’ardire umano non conserva ancora nella propria mente il caso dei
giganti, così pronti a combattere Giove (la costruzione delle terme di Diocleziano in parallelo con il
mito dei giganti che mettono i monti sopra i monti)?

La superbia di Diocleziano, che ingiusto ed empio, volle opprimere la chiesa ai suoi inizi,
ingombrò questo famoso colle (il colle del Viminale).

Ma pur s’alzò, né la represse lo scempio e ora, a vergogna di Diocleziano, innalza proprio là (dove
Diocleziano l’ha offesa) alla Madonna un candido tempio (la chiesa di Santa Maria degli Angeli).

Sonetto XXII - Sopra l’Isola Tiberina


Non è una nave (a prima vista sembrerebbe esserlo ma è un’isola) questa che fende il Tevere,
superba in vista:

lo sanno bene i re estinti (finisce la monarchia) e Tarquinio il Superbo, il cui solo nome offende le
persone oneste:

perché il grano accumulato che i romani non diedero fuoco, ma buttarono nel Tevere arresta il
corso e per volontà divina diventa la testimonianza di un’antica infamia.

La mole dell’isola sostiene i templi di Giove e di Fauno e di colui che restituiva i figli ai loro padri
addolorati (si parla di Esculapio, il dio della medicina);

scolpiti nel marmo (delle pareti dell’isola Tiberina) porgono ancora segni del vero i serpenti
tranquilli (simbolo della medicina) che furono simbolo di Esculapio.

Sonetto XXIII - Sopra il Teatro di Marcello


Marcello morì, e la sua morte trafisse così forte il cuore dell’imperatore Augusto, dando la colpa al destino
ingiusto e visse per un pò disperato, depresso, piangente.
Dopo di che, una volta che diede termine al dolore, edificò una tomba (Mausoleo), per vederlo ancora più
ricco con un gusto letteralmente carico di una gloria maggiore, andò a cavare pietre per costruire un grande
edificio.
Aprì i Monti e fondò questo altro teatro, gloria del Tevere e onore eterno al nome amato del sospirato figlio;
come testimonianza di questo amore per questo giovane e nipote, figlio perché veniva adottato come futuro
imperatore.
Ma vedi tu (rivolto al lettore) come anche queste pietre come ricavate dal fianco dei monti, ogni duro smalto
cede al resistente artiglio del tempo. E nulla rimane nel suo stato originale, cioè il teatro rimasto in piedi ma
non nell’eccellente stato in cui era stato concepito.

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Sonetto XXIV - Sopra il Campidoglio
Superbo colle, a cui abbassarono la testa in segno di sconfitta, quelle fronti dei monti che sono
ricoperte di foreste e di neve, di ghiaccio, anche i monti più alti( orridi nel senso difficili da scalare) che
alzano di più verso il cielo le proprie foreste, questi monti che sono figli della terra:
Questi monti rimbombano i tuoi onori famosi e conosciuti, ricchi di fama;
il velo nevoso sono i ghiacciai e occupa eterno, perché non si scioglie mai, il suolo anche dove Febo
(dio Apollo) il sole non lascia neanche venire i fiori perché li prosciuga tutti e asciuga le fonti d’acqua
dei fiumi.
In te, colle del campidoglio, Roma rinacque il giorno in cui Brenno ti circondò di armi nemiche, prima
che l’oro pesato gli apportasse il grave scempio, gli provocasse la dura sconfitta.
Ti hanno fatto glorioso sopra tutti gli altri colli gli eroi che nella processione trionfale avevano la testa
cinta dall’oro, gli riempirono di ricche prede il tuo tempio al termine del trionfo.
Sonetto XXVII - Sopra la statua equestre di M. Aurelio in Campidoglio
L’arte ingegnosa, voleva diffondere vita nel metallo ardente, (il cavallo che si sta fondendo nella scultura). Il
cavallo già frammenta nella fornace, (è un’immagine di un cavallo in un movimento solenne, nobile) stende
il passo scuotendo la criniera, la cervice è letteralmente il collo.
Ma natura anticipa la rovente materia, questo bronzo in fusione che sembrava riempire il cielo di nitriti che è
il crepitio delle fiamme, (il rumore che fa la fornace mentre sta fondendo il bronzo sembra quasi il cavallo
che nitrisce) ,tenta di esprimere questa vitalità ancora dentro la fornace, ma natura anticipa l’arte e invece gli
toglie la voce velocemente lo irrigidì.
Marco Aurelio, che allora stava combattendo in Pannonia, corrisponde all’attuale Ungheria, nella zona del
Danubio (l’Istro è il Danubio) e questi barbari pannonici che vivevano in queste zone, le steppe venivano
soggiogati dall’Impero Romano.
E come vinse sé l’ira e allo stesso modo vinse gli eserciti nemici.
Per questa ragione, Roma diede alla statua di Marco Aurelio, figlio di Roma, il nobile cavallo che che ancora
oggi ammiriamo in Campidoglio.
Sonetto XXVIII - Sopra la Lupa di bronzo del Campidoglio
Fiera, belva, ma così pia, (gesto sacro, religioso), offri le mammelle ai figli di altri e sull’erba (avendo
abbandonato il tuo carattere di animale feroce), prendi amica nel grembo entrambi i gemelli.
Tu sai bene che ti sto aiutando, comprendi bene quanta gloria il tuo latte ti riserva, cioè ti fornisce, ti
offre, diventerai immortale come la nutrice del fondatore di Roma.
Da questo episodio impara, tu madre offendi crudelmente il tuo sangue, (indirizzato a tutte le madri
che non sono altrettanto pie nei confronti dei propri figli).
Vedi come la lupa, accarezza con la lingua entrambi i gemelli e com’è contenta che le curino i peli con
le mani, l’orrida coma che le trattin con mano, invece di lamentarsi i due gemelli le tirano il pelo e tutta
contenta vede che stan bene.
Mille poeti scrivono, cantano la tua lode, fera ma gentile, poiché da te e dai tuoi nutriti (figli) il mondo
ha Roma, significa che grazie a te il mondo ha potuto avere la città di Roma.
Celebrazione della lupa di Roma.
Sonetto XXIX - Sopra l’Ercole giovenetto del Campidoglio
Questo è Alcide: ecco l’irsuta pelle del leone di Nemea, ecco la famosa e pesante clava di ercole
grazie al quale uccise tanti animali feroci e uomini cacciando dai loro corpi delle anime ribelli.
È ancora un giovinetto, tant’è vero che dalle belle guance, non ha ancora la barba.
E però anche giovinetto ha un’immagine di forza tale che fin da adesso potrebbe imporvi il grave peso
(il grave carco) delle stelle.
Vago, desideroso di acquisire un vero onore, evitò la strada aperta, facile, che alla fine porta alla morte
tanti incauti, donna ingannatrice, gli indica.
Sopra un alto colle, in una parte montagnosa e ripida erta siede la virtù, ma per chi (Ercole) è
desideroso di vero onore sceglie la strada più difficile, quella in salita, ripida, rinunciando alla comoda
discesa indicatagli dal vizio.

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Sonetto XXXII - Sopra il Carcere tulliano
Tullio con pietosa crudeltà fondò sottoterra questo spaventoso recinto di marmi, con testimonianza
(gli empi sono quelli che perseguitano San Pietro e quindi il luogo cosi spaventoso in cui è stato
incarcerato mostra il segno della sua fede e quindi della giusta guerra contro i malvagi che lo
perseguitavano) forte e salda (scavata nella roccia) si mostra come hai difeso la città dai malvagi
buttandoli in questo carcere che chiude nel suo grembo squallore ombra e terrore dove non c’è
differenza tra giorno e notte. Si è sepolti sotto terra.
Questa grotta del tutto diversa rispetto alla nostra epoca, che spesso opprime il buono e lascia liberi i
malvagi.
La prigionia in questo antro orrendo era più una morte che una vita e non so se sia giusto chiamarlo
albergo quindi luogo di detenzione o tomba tenebrosa.
Penna che mi fai descrivere questo luogo orrendo tu stessa devi aver paura. Nel descrivere il luogo si
risvegliassero le anime di quelli che sono stati prigionieri, si può sentire il loro pianto e sentire il rumore
delle catene trascinate e i carcerati incatenati nella roccia che fanno rumore di ferraglia.
Sonetto XXXIII - Sopra l’Arco di Settimo Severo
Se il germe/seme straniero trasferito fuori dal proprio terreno abituale qualche volta non rende come
dovrebbe o muore, perde vigore, altre volte (l’esperienza lo dimostra), vive meglio per dare un frutto
migliore vi mette radici e prospera.
Per Settimio Severo quindi l’Africa anche se tante volte è stata madre maligna del nostro impero
questa volta essa diede all’Italia questo imperatore che è stato uno dei migliori imperatori che l’Italia
abbia avuto.
Vedi sui fregi, il segno del suo valore è raffigurato nell’arco a lui dedicato dove si vedono le navi e le
armi, più di una città nemica, più di un re vinto e di catene.
Il trionfo di Settimio Severo raffigurato in questi marmi che spiegano ma la fama si lamenta che il
nobile arco sia troppo poco in grado di contenerne.
Sonetto XXXV - Sopra le urine del Tempio della Pace
Il vecchio crudele è cosi affamato e divoratore che con il suo dente sacrilego e rugginoso, che per
soddisfare la sua fama inarrestabile osa persino consumare i templi degli dei?
Dunque gli piace guerreggiare così tanto, che osa fare con un’azione non abitudinarie (negativa) un
orrido scempio degli edifici meglio costruiti e osa cacciare la Pace dal tempio a lei dedicato?
Ahimè, chi può resistergli e chi può porre un limite alla sua ira? Queste caduche mura di mattoni
furono una volta ricche di marmi, porpora e oro.
Tuttavia ne conserva traccia e la sabbia (polvere) disadorna (che ricopre in parte il monumento) che lo
sommerge non lo oscura al punto tale che l’uomo non possa ammirare questo lavoro divino che tu,
Vespasiano hai donato alla città.
Sonetto XXXVII - Sopra l’Arco di Tito
La giudea vinta siede sola lacrimosa e afflitta, è già stata la Gran madre dei giudei regi e, il ricordo di
quanto è stata grande al omento della giustizia li getta in cuore un dolore profondo. Invece di essere
incoronata di oro e gemme preziose vi sono orribili offese (offesa maggiore è la distruzione del tempio
di Gerusalemme) e al posto di un mantello regale e ornamenti ha una veste lacerata e una catena
servile.
Ingrata,Il braccio è un dito di Dio, ti ha salvato dalla mano barbara di un malvagio barbaro e tu fai
scempio e uccidi Cristo?
Tito, flagello del cielo, mostra al mondo il tuo perpetuo danno ovvero la punizione eterna che ti è stata
inflitta privato dell’onore e del tempio.

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Sonetto XXXIX - Sopra il Colle Palatino
Queste nascoste e orribili grotte nelle quali fanno il nido i serpenti e i lupi, gli animali selvatici,
questi dirupi, luoghi scoscesi, pendenti e franosi che producono un’altissima paura a chi li osserva.
Queste avanzi eterni di opere rese dall’uomo, pietre cadute dalla loro sede, rupe franose, occupate
dai rovi e dalla sabbia, questo posto selvaggio furono un tempo case simili alle case degli dei.
Romolo su queste cime alzò una capanna, ma poi i re lo occuparono con edifici superbi e poi gli
imperatori con case molto preziose.
Adesso il colle conserva soltanto rovine e i suoi templi di marmo bruciati in un solo momento.
Trascuratezza e squallore eterno lo opprime.
Sonetto XLI - Sopra il Circo Massimo
Per quel bianco sentiero cosparso di Stelle (Via Lattea) che di notte divide il cielo sereno,
Li correva il carro di Apollo prima di portare il sole in un altro emisfero dove ancora è incenerito e arso.
In questa valle, dove il terreno è cosparso di pietre antiche e pieno d’erbe, mille carri veloci sono volati
su quel terreno (proprio come Febo nella via lattea cosi quelli delle bighe).
Ciascuno desideroso e avido di gloria immortale,
Il viaggiatore indica il cammino del sole nelle notti chiare, di giorno invece indica le tracce sparse del
lungo circuito.
Quindi se Roma è come un cielo e ha il grembo (terreno) adorno di antiche meraviglie come può uno
scrittore umano scrivere su essa, dichiarazione di potenza del poeta il quale dichiara che Roma è cosi
piena di ricchezze da non riuscire a descriverle tutte?
Sonetto XLIV - Sopra l’Anfiteatro detto il Colosseo
(Il poeta è da solo al centro del Colosseo, circondato dalle rovine) Da questo campo abbandonato e
solitario, a cui alte rovine fanno larga corona, ogni persona mortale può comprendere come ogni
scudo (possibilità di difesa) contro il tempo venga a meno ( il tempo distrugge tutto).
Oh fugaci bellezze architettoniche, oh mondo malato, la nostra fama che dura così poco sei come un
cielo nuvoloso che lampeggia e tuona tutto in un unico momento e non ce nulla di duraturo e stabile
nel mondo terreno.
Ora sono polvere quelle superbe genti, che ormai stanche di dominare l’universo, si sedettero qui felici
per vedere lo spettacolo.
Perché allora, noi uomini che siamo foglie cadenti, fantasmi corporei, fango immondo ci vantiamo di
dignità, di nobiltà, di impero?
Sonetto XLV - Vigna de’ Cesarini
Tra questi marmi antichi e onorati, grazie ai quali, dopo il passare di tanti anni, vediamo i simili di
uomini illustri contro cui sembra che il tempo s'armi invano (contraddizione di ciò che è stato detto nel
sonetto prima) .
Io ammiro il sacro capo di Omero e mi sembra che gli illustri cantando i fortissimi eroi: vedo insieme a
lui altri uomini illustri, poeti e bocche in genio se, sento uscire poesie chiare e armoniose.
Altri mi spiegano i segreti della Natura che rimescola se stessa: altri con stile ornato mi insegnano a
calcolare le orbite di quei corpi celesti, anche quelli meno visibili.
Dunque può l’uomo vincere il destino?
Dura eternamente la vita umana?
E’ dunque vero che chi è già morto ancora vive e respira? (soluzione per l'uomo per vincere il tempo)
Sonetto XLVIII - Sopra i Trofei di Mario
Nacqui dal tuo sangue, da una antica stirpe, (quella Caia): un tempo vissi umile tre uomini bifolchi e
contadini finché desiderando la corona di quercia e allora, sdegnai la vita umile e boschereccia.
Roma gradi cosi tanto il mio nuovo comportamento, fu cosi favorevole verso Mario, che alzandomi a
carriera politica mi fece crescere in dignità e in onori (da dargli il consolato).

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Se feci il soldato in modo valoroso e saggio, lo sa bene Giugurta ( re africano, sconfitto da Mario), che
fu condotto in catene a Roma e onorò i miei trionfi davanti al carro. In guerra vinsi i fieri Cimbri(Africa)
e i Tedeschi (Nord Italia):
Ma siccome voglio essere modesto nel lodare me stesso, leggi quello che io non racconto in questi
trofei.
Sonetto LI - Sopra le Terme d’Antonino
Chi sarà capace di celebrare degnamente su carta le opere cosi magnifiche che io vedo? A stento
crede, stupefatto l’intelletto a quello che vede l'occhio che le contempla da parte a parte (un po’ alla
volta).
Ora se le mura cadute/sparpagliate riempiono di stupore, chissà come erano belle quando erano
intatte si innalzavano fino al cielo con il tetto, cosparse di gemme , oro e colori?
Quanti marmi cavò l’artigiano cretese dai suoi monti, quanti incise col ferro l’artigiano d'Imetto
( marmo pregiato) il carristio( città all'estremità meridionale dell'Eubea) l'eritreo (zona dell'Egitto),
Per osare queste terme in varie forme,
Caracalla spende tutto quello che può per ornare le sue terre.
Che brutta cosa Roma non riuscì a sottomette tutto il mondo allo stesso modo, come Caracalla è
riuscito a ornare di marmi.
Sonetto LII - Sopra la Piramide di Cestio
Questa che sorge a punta verso le stelle e ingombra il terreno con una mossa smisurata, superbo
edificio a cui la lingua greca porge il nome di Piramide, dal nome della fiamma (la pira), simili in parte a
quelli che Menfi vede,
Menfi che è famosa solo grazie a loro (le piramidi) , Roma la mostra fra le altre meraviglie, Roma che
risorge da un profondo tramonto.
Il pellegrino indica le antiche iscrizioni sulla piramide nella quale è riportato che questa è la tomba di
Cestio, il cui corpo ( caduco) è conservato nella tomba: (ma Baldi si corregge) non tomba ma alto
monte.
Stupore! Il sole non aveva ancora finito un giro , che questa (la tomba) era già ergeva superba l’alta
punta (fatta).

NELL’ANNUALE FONDAZIONE DI ROMA


Aprile incoronato di fiori rossi vide Roma emergere sul Colle Palatino in cui Romolo traccia il solco su
cui viene fondata, minacciosa guarda la campagna incolta:
Dopo tante vittorie che si sono succedute nell’arco dei secoli, aprile ti illumina sublime e massima, e
tutta l’Italia ti saluta, o Roma, Flora della nostra gente.
Se anche adesso non c’è più la processione delle vestali silenziose che salgono sul Campidoglio dietro
il pontefice, ne si muove più per la via sacra il carro trainato dai quattro bianchi cavalli (processione
trionfale),
Tuttavia questa solitudine del tuo foro (silenzio) vince/è superiore ad ogni rumore, ogni gloria; e tutto
ciò che al mondo (rappresenta la civiltà) è civile, grande e nobile, è ancora romano.
Salve Roma! Chi non riconosce che la civiltà è romana (nata da Roma) ha la testa circondata dal buio
e dentro il suo cuore cresce torbida una foresta di barbarie (disprezzo verso la civiltà romana).
Salve Roma! Chinato sulle rovine dei fori coperti dalla terra, ti guardo piangendo, e adoro le tue rovine
sparse che non si riconoscono, patria, diva, santa genitrice.
Io sono cittadino d’Italia come sono poeta di una civiltà che tu, madre dei popoli, diffondesti lo spirito
nel mondo e in Italia l’impronta della tua gloria.
Ecco a te (si riferisce alla Breccia di Porta Pia) questa Italia che Roma unì, ritorna, ti abbraccia,
fissando nei tuoi occhi d’aquila (di dominatrice).

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E tu Roma dal colle Palatino (dalla quale sei stata fondata) stendi le braccia marmoree sul foro per
riabbracciare la figlia liberatrice (Italia) indicando le colonne e gli archi del foro:
Gli archi aspettano nuovi trionfi non più di (cesarei) imperatori/ militari in cui si vedevano in catene le
braccia legate dei re sconfitti trascinati dai carri rivestiti d’avorio.
O popolo d’ Italia, il trionfo che ci aspetta è il trionfo sull’età dell’oscurantismo religioso, della
restaurazione, sul ritorno all’illuminismo, sulla superstizione tirannica, dai quali tu con imparziale
giustizia renderai libera la gente.
O Italia o Roma! Quel giorno, in cui ci sarà il nuovo trionfo, il cielo tornerà sereno sul Foro, e canti di
gloria, gloria, gloria si alzeranno per il cielo azzurro (infinito).

DINANZI ALLE TERME DI CARACALLA


Le nuvole corrono fosche tra i due colli il Celio e l’Aventino: il vento si muove umido per la pioggia che
sta arrivando, in fondo ci sono i colli Albani (che si trovano a sud di Roma) pieni di neve (nel mese di
marzo/aprile).
Davanti le terme di Caracalla c'è una turista inglese anziana con trecce grigie, sposta il velo verde che
le copre il viso per cercare nella guida le mura delle terme di Roma che minacciano il cielo (le mura
arrivano a toccare il cielo) e il tempo (il grande rivale di Roma è il tempo divoratore che non riesce a
buttare giù le mura di Caracalla).
In continuità, l’uno dopo l’altro, a stormi, che gracchiano, i corvi si gettano a ondate contro le mura
perché più altri degli altri, resistono e sono ancora in piedi.
I corvi sembrano interrogare le mura, anche loro hanno riconosciuto nelle mura una minaccia nel cielo
e nelle divinità, “vecchi giganti perché sfidate il cielo?” Dalla Basilica di Laterano attraverso l’aria
giunge lento, lugubre un suono di campane.
E un pastore avvolto nel mantello, fischia tra la folta barba passa e non guarda le rovine. Febbre, io ti
invoco come divinità qui presente.
Se ti furono cari i grandi occhi in lacrime delle madri che tenevano il capo dei loro figli (avevano la
malaria) ti pregavano di lasciarli in pace:
Se ti fu caro l’antico altare sul Palatino, (a quell’epoca il Tevere bagnava ancora le falde del Palatino e,
navigando verso sera tra Campidoglio
e Aventino, il romano, che tornava a casa con la sua barca, guardava la città sul colle baciata dal sole
e mormorava una preghiera antica in versi saturni);
Febbre ascoltami. Respingi da qui i nuovi romani (moderni) e coloro che vogliono fare speculazione
edilizia (allontana la modernità): questo orrore è religioso: la dea qui dorme.
Dea Roma che poggia il capo sul monte Palatino, le braccia una all’Aventino l’altra al Celio, le spalle
toccano Porta Capena, mentre il corpo è disteso per la via Appia.

ALLA VITTORIA
Vergine divina, hai agitato le tue ali che sono auspicio di vittoria, le hai scosse sugli elmi appassati dei
greci con ginocchio dato allo scudo e con l’asta prostesa verso il nemico?
Oppure hai volato davanti alle aquile tomane, davanti alle schiere delle legioni romane, col loro
meraviglioso splendore delle loro armi, mentre respingevano l’assalto alla cavalleria dei Parti?
Adesso che non voli più (ali raccolte), alzi il ginocchio e appoggi il piede sopra l’elmo del vinto e quale
nome stai scrivendo sullo scudo di capitano vittorioso?
E’ il nome di un arconte (vittoria civile) che rese gloriose le sante leggi degli uomini liberi sopra i
tiranni? O è un console romano che allargò i confini e il terrore in nome dell’Impero Romano?
Vorrei vederti sulle Alpi, splendida fra le tempeste di montagna, per i secoli futuri emettere questo
bando: “o popoli, l’Italia è giunta fino qua (confine con Alpi) rivendicando per sé il proprio nome e il
diritto di governare fino lì”.

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Ma Lidia intanto dei fiori che l’ottobre educa mesti (prima dell’inverno) in mezzo a queste rovine
romane e sceglie una ghirlanda in omaggio alla statua, e la pone ai piedi di essa.
“Che cosa hai pensato, o Vittoria, mentre eri sepolta sottoterra per tanti anni? Sentisti i cavalli
tedeschi sul tuo greco capo?”
La statua rispose:” Li sentii” e folgora (lampo di sdegno) “perché io sono la gloria ellenica (greca), sono
la forza del Lazio che attraversa i tempi nel bronzo.”
Passarono i secoli simili ai 12 avvoltoi tristi visti da Romolo, risorsi annunziando “O Italia,i tuoi morti, i
caduti per la tua libertà e grandezza e gli dei combattono per te.”
Mi ha raccolto Brescia felice del nuovo destino, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa
d’Italia che ha estinto la sete di vendetta e di libertà nel sangue dei nemici.

ALLE FONTI DEL CLITUMNO


Ancora oggi, come nei tempi antichi, dal monte, che ondeggia di densi frassini al vento mormoranti
(stormire delle foglie) e da lontano attraverso l’aria arriva un fresco profumo di salvia e timo
selvatici,
Scendono nella sera umida, o Clitumno, in te le greggi: in te (le fonti) l’umbro fanciullo immerge
nell’onda la riluttante pecora,
mentre verso di lui, dal seno della madre abbronzata, che sta seduta scalza a casa e canta, si volge
una poppante e sorride dal viso tondo/ben nutrito.
Silenzioso il padre, con i fianchi coperti di pelle di capra (pantaloni) come gli antichi fauni, guida il
carro (a grandi ruote) dipinto e la forza dei buoi giovani
Dei buoi giovani dal petto ampio e robusto, erette sul capo le corna lunate (curve come la falce della
luna), dallo sguardo pieno di dolcezza, che il buon Virgilio amava.
Intanto le nubi/nebbia salgono (quasi sfaldandosi) temporalesche sull’Appennino; l’Umbria guarda,
grande, solenne/severa,
e verde dalle montagne che discendono lentamente in larga chiostra. (Visione ANIMISTA)
Salve, Umbria verde, e anche tu dalla fonte limpida nume (divinità tutelare) Clitumno! Sento nel
cuore l’antica patria (dei popoli italici) e come un soffio spirarmi sulla commossa fronte gli dei
italici.
Chi ha piantato questi calici piangenti sulle rive sacre? (piante che non sono italiche), ti strappi via
il vento dell’Appennino, o molle pianta, amore di servili tempi! (Spera che il vento dell’Appennino
porti via questa pianta umile e sottile che rappresenta il romantico)
Qui combatta il leccio nero contro l’inverno e narri fremendo di sdegno le misteriose storie, con
l’arrivo di maggio fremente di vita (primavera, rigoglio della natura), a cui l’edera riveste il tronco
di rigogliosa giovinezza:
Qui folti intorno al dio emergente (dalle acque), stanno, come giganti che fanno la guardia, i
cipressi; e tu fra queste ombre narri i canti fatali, o Clitumno.
Te che hai visto la nascita dei tre imperi/governi, narraci come il forte umbro (lento per le armature)
cedette nella battaglia, nonostante fosse atroce, al soldato armato semplicemente di asta e si ampliò/
formò la forte Etruria:
dicci come sopra le città etrusche, dal superbo Cimino a grandi marce poi scende Gradivo
(Marte=esercito romano), piantando le insegne romane.
Ma tu facevi miti/placavi, o divinità italica del luogo comune (ai tre popoli), (le discordie a
entrambi) i vincitori verso i vinti, e quando suonò la notizia del furore dei cartaginesi dal
Trasimeno,
Dalle tue profondità salì il grido, e la tromba ricurva risuonò dai monti: o tu che fai pascolare i buoi
presso Bevagna nebbiosa,

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e tu che ari i colli in discesa sulla sponda sinistra della Nera, e tu che abbatti i boschi verdi sopra
Spoleto oppure tu che nella Todi sacra a Marte celebri le nozze,
lascia il bue grasso tra le canne, lascia il toro bianco/rossiccio, lascia il cuneo nella già piegata
quercia, lascia la sposa all’altare;
Lascia ciò che stavi facendo e corri! Corri con l’accetta, con i dardi, con la clava e l’asta! Corri! Il
crudele Annibale minaccia le case italiche,
o come splendette di luce divina il sole per questa valle chiusa dai bei monti, quando l’alta Spoleto
vide urlanti e in fuga rovinosa i feroci/terribili Mauri (soldati mercenari dei cartaginesi)
E i cavalieri della Numidia (Algeria), con battaglia feroce/sanguinosa, e sopra loro vede nubi
temporalesche, getti di olio bollente e i canti della vittoria!
Tutto ora tace. Nel fondo limpido della fonte osservo la vena sottile che sale dal fondo: trema, e
segno di un leggero incresparsi lo specchio dell’acqua.
Una piccola vegetazione (subacquea o piante che sorgono e che si specchiano accanto al lago)
manda riflessi luminosi nel profondo; e si distende qua e là immobile: il giallognolo pare che si
mischi in un flessuoso intrecciarsi con il violetto
E i fiori sembrano blu, e hanno i riflessi del freddo/durissimo diamante e sfavillano attenuati dalla
trasparenza e invitano ai silenzi del profondo verde fondo.
O Italia, l’origine della tua poesia è qui ai piedi di questi monti e all’ombra delle querce e nei fiumi
vissero le ninfe, vissero: e questo è un lutto nuziale divino (dove si unirono Giano e Camesena).
Ergevano agili nei veli sinuosi/sciolti le ninfe azzurre, e per la tranquilla sera chiamavano ad alta
voce le ninfe dei monti,
E guidavano le danze sotto l’imminente luna, liete ricantano in coro dell’eterno Giano e quanto
amore lo vinse per Camesena.
Egli disceso dal cielo, lei donna del posto guerriera: fu letto dall’Appennino circondato dalle nubi:
le nuvole nascosero il solenne amplesso, e nacque la gente italica.
Tutto ora tace, o vedovo Clitumno, tutto: dei tuoi bei tempietti ne rimane uno solo e dentro ,tu dio in
pretesta, non vi hai più la tua sede.
Le processioni trionfali non conducono più i tori/buoi purificati nelle tue sacre acque, vittime
splendide, a templi antichi, perché Roma non trionfa più.
Più non trionfa dopo che uno straniero dalla chioma ramata (insanguinata) conquistò il campidoglio
(Gesù Cristo, cristianesimo), le gettò in braccio la sua croce e disse –portala e servi.
Le ninfe scappano a piangere nei fiumi, nascoste, e dentro le cortecce degli alberi, oppure gridando
di paura si dileguavano come nuvole ai monti.
Quando una strana/diversa processione, si mosse lentamente, tra i bianchi templi spogliati (tolte le
statue) e distrutti i colonnati, avvolte in nere e rozze tuniche, mormorando/pronunciando litanie/
preghiere.
E sopra i campi lavorati, un tempo risuonanti e i colli di Roma che testimoniavano lo splendore
dell’impero romano fecero deserto e lo chiamarono regno di Dio
Strappano i contadini ai lavori della campagna, i giovani ai vecchi padri che aspettavano il loro
aiuto, alle mogli nel fiore della giovinezza: sempre maledissero ogni luogo dove il sole splendeva
benefico.
Maledissero le opere della vita e dell’amore e ammirarono in un delirio gli inumani congiungimenti
di dolore con Dio in luoghi deserti e appartati:
Discesero esaltati dal desidero di dissolvimento alla città, e con danze sfrenate supplicarono al
crocifisso, nella loro empietà, di essere spregevoli/vili.
Salve anima umana, serena dell’antica Grecia, intera e diretta in Roma! (Alle divine spiagge del
Tevere) I giorni foschi (dell’ascetismo medievale) sono passati risorgi e regna.

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E tu, affettuosa madre di bovini infaticabili, ad arare e rinnovare i campi, e d’indomiti cavalli che
nitriscono in battaglia, o madre Italia,
Madre di frumento, di viti, di leggi eterne e di arti mobili a rendere piacevole la vita, salve! A te io
rinnovo i canti dell’antica lode.
Applaudono i monti alla lode di Virgilio e i boschi e le acque della verde Umbria: davanti a noi
fumando e correndo verso le nuove industrie, di corsa fischia il treno.

ROMA
Roma, lancio l’anima altera (nobile) volante nella tua aria, tu accoglila, o Roma, e avvolgi l’anima
mia di luce.
Non sono venuto a te curioso delle piccole cose (non vengo per occuparmi di politica). Chi cerca le
farfalle (politica contemporanea) sotto l’arco di Tito? [il presente è da disprezzare]
Che importa a me se l’irto spettral (Agostino De Pretis, irto spettral perché molto magro) vinattier
(produttore di vino) di Stradella mescola in Parlamento battute spiritose celtiche hai raggiri?
O se l’operoso tessitore di Biella, rappresentato come un ragno che tesse la ragnatela nella quale
s’impiglia lui stesso? [Si riferisce a Quintino Sella, colui che riuscì a realizzare il pareggio di
bilancio, ovvero pagare il debito pubblico]
Circondami o Roma, d’azzurro, illuminami di sole, o Roma: il sole irraggia divino nel tuo cielo
azzurro.
E illumina in minaccioso Vaticano, il bel Quirinale, il vecchio Capitolino immerso tra le rovine;
E tu, Roma, dai sette colli protendi le braccia all’amore che splende diffuso per l’aria serena.
Oh, grande letto nunziale, in queste solitudini della Campagna! E tu, Soratte grigio (monte più alto
vicino Roma), che dall’alto guardi Roma!
Monti albani (a sud di Roma), cantate sorridenti l’epitalamo (canto di nozze tra Roma e Amor);
Tuscolo verde (collina di Frascati), canta; canta, Tivoli ricca di acque;
mentre io dal Gianicolo (monte che sta sopra al vaticano, non fa parte dei 7 colli di Roma perché era
fuori dalle mura) ammiro l’immagine della città, nave immensa lanciata verso l’impero del mondo.
[immagine della nave è oraziana: rappresenta Roma con una forma allungata].
O nave, che tocchi con la poppa la profonda immensità dei cieli, trasposta la mia anima alle spiagge
misteriose.
Alla sera i cespugli risplendenti di un roseo candore sulla via Flamigna,
l’ora della morte mi sfiora la fronte silenziosamente e, lo passi ignoti nella serena pace, passi alle
riunioni delle anime dei grandi del passato [come nei campi Edisi, ovvero i paradisi dei grandi
antichi], riveda agli spiriti grandi dei padri (che hanno fondato Roma), nel Tevere i grandi si trovano
a conversare.
[Ovvero vuole affidare la sua anima a Roma]

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