Sei sulla pagina 1di 5

Julian Baggini

martedì 30 novembre 2021 16:39

Neo-humiano
2 parte del libro -> "Costruzioni", affronta il tema del sé molteplice e del sé sociale
|molta parte è finalizzata a dire ciò che non è l'io, a cosa non dobbiamo ridurre il self. Proverà a dare poi una
definizione molto vicina a quella di Hume|

Sé molteplice
più io molteplici -> più facce dell'io.
Esempio di Brooke Magnanti (neurotossicologa, blogger, prostituta) -> triplice self, a suo agio con le diverse
caratteristiche del suo unico sé
Quando la gente chiede come ha gestito la difficoltà di vivere coi suoi diversi personaggi e ruoli la domanda è
fuorviante -> chi la fa non è consapevole del fatto che la Magnanti regola ciò che sta rappresentando al mondo. Si
ha la fantasia di dare al mondo il 100 percento sempre -> non è così, non c'è un me stesso univoco
MA non si può neanche negare il problema di come gli altri ci vedono (nonostante noi possiamo avere una versione
molto chiara e autorappresentativa delle facce del nostro sé)
Perché la Magnanti ha smesso di essere queste tre persone diverse, separate e rispetto al mondo non note
l'una come l'altra? Non voleva essere degli io diversi, voleva essere le diverse parti di se stessa separate ma
integrate in qualcosa, che è questo self
Baggini abbraccia questa idea che lo tiene lontano dai self separati, che è come se fossero più io cartesiani, l'idea di
aspetti diversi di un self che non si risolve in nessuno e che in un certo senso è la somma di tutti senza essere niente
di più
Aspetti che affascinano Baggini della vicenda:
1) Nessuna di quelle facce è sufficiente per fare una persona, e non si tratta di sceglierne una o tenerle separate
in maniera problematica. La "Brooke buona" non è abbastanza per fare una persona -> una persona completa
ha molte facce -> disturbo dell'identità dissociativa è un disturbo, ogni alter non ha abbastanza per essere un
individuo completo -> la completezza sta nell'integrazione consapevole dei vari aspetti (Che c'è appunto nella
Magnanti)
○ Cerca di fissare differenza tra il normale (colui che gestisce consapevolmente i diversi lati del suo self) e
il patologico (chi passa da un lato all'altro come se fossero entità diverse, una in sostituzione dell'altra,
una inconsapevole dell'altra) -> disturbo di identità dissociativa
2) Il fatto che la Magnanti ha adottato il modo sbagliato di pensare del suo ex ragazzo (è la Brooke buona,
mostrare solo quella) è un avvertimento sul come sia importante il modo in cui concettualizziamo le variazioni
dentro di noi -> per quanto non voglia reintrodurre un self cartesiano e per quanto guardi con tranquillità ad
un self molteplice, afferma che guadagniamo di più a pensarci come un self composto di tanti lati piuttosto
che come una molteplicità di self come pezzi separati in serie in cui saltiamo dall'uno all'altro -> critica al
postmoderno: sembra voler moltiplicare in modo sbagliato (un conto sono gli io molteplici, un conto le
molteplici facce dell'io)
Affascinante rendersi conto di quanto spazio abbiamo per cambiare il modo in cui pensiamo noi stessi
- Cita Wittgenstein: Dottor Jacky e Mister Hyde erano la stessa persona o due persone diverse? Possiamo dire
quello che vogliamo, non siamo costretti a pensare ad una doppia personalità -> Baggini risponde che anche
se possiamo dire ciò che vogliamo in alcuni casi un modo di parlare può essere meno fuorviante di un altro
-> è fuorviante pensare a noi stessi come multipli piuttosto che multiformi, nonostante non sia incoerente
farlo (va molto cauto in vista di potenziali critiche ontologiche del tipo "come fai a escludere che…")
Prosegue affermando come potremmo anche pensarci come una pluralità ma ciò ci disgrega -> non abbiamo più
bisogno di disgregarci nel momento in cui scartiamo l'io cartesiano -> l'insistenza del post-moderno sulla
molteplicità è solo una forma di reazione culturale a quel rigidismo del modello cartesiano
Tira in ballo Nietzsche che insiste sulla molteplicità dell'io:
- Quando N. dice che non c'è unità nell'io e anzi è molteplice, non ci sta dicendo che dobbiamo contare (no
somma che forma unità); è come quando diciamo c'è del latte in inglese (countable e uncountable)
--> "l'identità personale diventa materia di gradi del più o del meno, non dell'uno, due o tre"

Sé sociale
Parte dall'idea che noi giochiamo dei ruoli -> a livello sociale noi abbiamo dei ruoli, quindi come degli attori
giochiamo questi ruoli

Julian Baggini Pagina 1


giochiamo questi ruoli
(vado in scena e fingo di essere Amleto; poi vado in scena un'altra volta e per esempio faccio il personaggio di
Pirandello; quando non vado in scena invece, sono io -> come se ci fosse un self più importante, al di là del
ruolo che sto agendo come attore)
Ma cosa rimane di un uomo se togliamo tutti i ruoli sociali che noi agiamo?
Quando è che una persona è fuori da tutti i suoi ruoli?

Concetto che rimanda ad una forma di interiorità -> come se ci si dovesse ritirare da un fuori per ritrovare il vero me
stesso -> solo nei momenti di solitudine in cui io sono da solo con me stesso sarei davvero me stesso
- La nostra tradizione ha elaborato molto sull'idea interno-esterno: c'è qualcosa di importante interno da
preservare e guardare per capirsi meglio (per capire dove sta la felicità, dio, ecc.)

Ma non conosco una persona soltanto osservandola in quella determinata situazione, in questo caso in solitudine
(solipsismo, introspezione pura) -> noi siamo tutti quegli io, tutte quelle situazioni
- Cita Janet Radcliffe Richards: "non ha senso pensare che la vera natura di qualcosa si riveli solo quando viene
astratta o rimossa da qualche ambiente particolare nessun singolo ambiente può mostrare la natura di
qualcosa perché conoscere la natura di qualcosa è conoscere il suo potenziale, che se è in un ambiente
apparirà o si comporterà in un modo, che se è in un altro può essere diverso. Allo stesso modo conoscere la
natura di una persona è sapere come si comporta in diverse situazioni e in diversi ruoli, non come si comporta
in un ruolo isolato"

Solitudine -> è una delle situazioni tra le tante, non è lo stato che rivela la verità su come siamo
- Non è ovvio che non giochiamo nessun ruolo quando siamo soli -> anche se sono solo è possibile che stia
giocando per esempio il ruolo dell'eremita, dell'introspettivo ecc.
- Spesso la privacy ci permette di indulgere alle fantasie più illusorie sulle nostre identità (molti giocano il ruolo
di grande pensatore quando non c'è nessun altro a sfidare i propri pensieri) -> da soli l'immagine che noi
abbiamo di noi stessi non è più un riflesso ma può essere un ritratto lusinghiero prodotto dallo specchio della
vanità
○ Molto Humiano -> quello che conta è ciò che ci restituiscono gli altri su noi stessi
-> riconoscere questo è importante per la conoscenza di sé
- Potremmo sentirci meglio con noi stessi nella solitudine, ma la nostra conoscenza di sé è limitata se non
riusciamo a vedere come le nostre interazioni con gli altri rivelino anche importanti verità su chi siamo
- Quello che vediamo quando siamo da soli con noi stessi non è il vero sé ma uno scorcio parziale del nostro sé
(una faccia, una prospettiva ma ce ne sono tante altre; è un odei ruoli, non c'è un attore senza i ruoli)
- Estroverso per esempio prende vita solo davanti agli altri (prende via psicologica)

--> la metafora teatrale quindi non ha senso se pone il vero sé come attore fuori scena
- l'attore quando è fuori scena è il vero sé, gli altri sono maschere che mette in scena
- Discorso sulle maschere -> filosofia sociale studia questo tema, oggi molto attuale: viviamo in un'epoca in cui
l'esposizione e le maschere sono all'ordine del giorno grazia ai social, nei quali contiamo a metterci delle
maschere e a voler apparire in certi modi, creando versioni di noi stessi per gli altri finendo spesso per avere
problemi nella gestione di tutto questo apparato -> spesso uno dei problemi è che qualcosa che noi volevamo
tenere nascosto viene scoperto dagli altri oppure che un qualcosa che tiriamo fuori per gli altri
inaspettatamente viene attaccato ecc.
Ultimamente ci sono proposte interessanti che vanno verso l'idea di pensare noi stessi come una serie di
maschere (che però non rimandano ad altro) che noi gestiamo in maniera strategica -> alcune le condivido in
un modo, altre in un altro modo, alcune non le condivido, ho sempre delle riserve; gestisco questi pezzi del
mio io in una maniera strategica pensando che però non ce n'è qualcuno di più importante o fragile, e se ci
fosse allora quella parte vanno protette e nascoste con più cautela.
Sociologi come Goffman, … (prima metà 900)

--> altra interpretazione suggerita da Jaques in "As you like it": noi siamo solo attori, siamo la somma dei nostri
ruoli, né più né meno. Quando esercito il ruolo di figlio sono una versione di me, non è un qualcosa di estrinseco
rispetto ad un io interiore portante.
- Padre che gioca a calcio col figlio e poi riflette nella stanza a tarda notte: sono due facce della stessa persona
che hanno lo stesso statuto.

Sia la visione dell'io multiplo (io numerati) sia questa dell'io risolto nei vari personaggi dicono qualcosa di vero ma

Julian Baggini Pagina 2


Sia la visione dell'io multiplo (io numerati) sia questa dell'io risolto nei vari personaggi dicono qualcosa di vero ma
non sono l'interpretazione migliore

…?
- Errore attribuito a Goffman -> lettura banale che viene fatta del suo libro "Presentation of self in every day
life": qui propone di studiare l'io sociale adottando il modello teatrale come una prospettiva sociologica da cui
la vita sociale può essere studiata (io sociale come personaggi)
- Spingere così a lungo una metafora = una manovra (fine libro)
Regoliamo il nostro io sulla situazione e siamo attenti a come saremo visti -> non significa che tradiamo il
nostro io. Siamo registi di noi stessi
…?

Siamo in continua scena ma siamo questo qualcosa che ha una dimensione psicologica che non è più vera quando si
separa dalla situazione sociale ecc.
Attenzione a ridurre tutto l'io al se sociale

QUINDI non è una perfetta metafora quella dell'io multiplo e non è una perfetta metafora quella dell'io sociale

Continua sul discorso culturale -> è vero che ci sono differenze culturali (Hume) ma c'è un senso del self che è
universale: quando ci riferiamo al nostro io facciamo un qualcosa di universale, valido per tutti

GUARDA PARTE FINALE DAGLI ALTRI

09|11|2921

(ultime battute finali della parte seconda)


Ma allora questo self è un illusione?
- Risponde facendo riferimento alle "teorie del fascio" (Hume)
"Le teorie del fascio spiegano perché crediamo di essere persone individuali che esistono nel tempo ma negano che
tali esseri esistano davvero. Questa idea radicale ha una storia che risale alla prima teoria del fascio di tutti, quella
del Buddha"
Introduce la sua connessione Hume-Buddha, e per farlo si appoggia ad uno studioso buddista: Stephen Batchelor
che scrive "Buddhism Without Beliefs"
- Suo contributo sarebbe quello di tradurre il concetto buddista di "Anatta" -> normalmente tradotto come "no
self", Batchelor propone di tradurlo come "not self" -> non è che non esiste il self nel buddismo ma c'è un
qualcosa che viene negato in questa espressione -> che cosa viene negato? Cos'è l'atta che viene negato?
- Il se che viene negato in Anatta è solo una concezione molto particolare del se, non viene negata l'idea che
esiste il se ma una sua certa versione -> Baggini cerca di conciliare la sua idea che comunque si può parlare di
se (con tutte le cautele e le varie premesse) e l'idea che il buddismo faccia la stessa cosa
- Atta non è visto come problematico, Buddha punta ad una visione del se come un progetto da realizzare
piuttosto che qualcosa insito in noi in maniera trascendente (se cartesiano, essenza ecc.)… l'idea del se di
Buddha è un qualcosa che noi creiamo -> la persona crea se stessa attraverso le sue azioni:
○ --> Viene fuori una concezione performativa del se. La nostra identità si forma attraverso le nostre
azioni e questo è possibile perché non c'è un se fisso, una sostanza immutabile a cui quegli attribuiti
vengono attaccati (perfettamente compatibile con Hume)

Quindi il se non è un'illusione, ciò che è illusorio è un'idea di se che lo vede come un'essenza immutabile immortale

Esempio del se come una nuvola -> appare come un singolo oggetto dall'esterno e si sente come tale dall'interno
(ma quando ci avviciniamo notiamo che ecc.)

La solidità del se è un'illusione, il se no

Concetto di carattere -> concetto tipicamente Humiano ed empirista

Julian Baggini Pagina 3


Concetto di carattere -> concetto tipicamente Humiano ed empirista
- Critica al neo aristotelismo che ha riportato in auge il concetto di carattere -> ma non c'è un posizionamento
di Baggini rispetto a Hume, che anche lui parla di carattere
- Smonta il peso del carattere quando una letteratura della psicologia/cognitivismo -> fiducia nel conoscere il
carattere degli altri è mal riposta, il carattere non è così costante come pensiamo
- Il carattere varia a seconda delle situazioni, ma poi viene recuperato Humianamente parlando di coerenza:
○ Viene creata una tassonomia che colloca le persone in relazione a certi elementi naturali e nell'intreccio
della situazione cosa si determina dal punto di vista del carattere
○ Ci sono elementi stabili e elementi variabili nel carattere -> come si spiega? Distinguendo tra due
significati del carattere: attivo e passivo
▪ Passivo: insieme d disposizioni che ci capita di avere come risultato dei nostri geni,
dell'educazione, dell'esperienza senza alcuno sforzo particolare da parte nostra (veniamo formati
cosi, da un misto di natura e cultura)
▪ Attivo: insieme di disposizioni che abbiamo perché abbiamo lavorato per svilupparle
(disposizioni…Aristotele e Hume)
○ Possiamo inserire il carattere di qualsiasi persona in una gerarchia di tipi:
 Carattere passivo e variabile (il più debole)
 Carattere passivi e costanti (hanno una qualche coerenza)
 Carattere attivo e variabile (scelti da noi sono più pienamente nostri ma no costanza)
☺ Carattere attivo e costante (I più caratteriali)
Ogni persona mostrerà un misto di questi tratti

Creazione di se o autocreazione
Baggini parteggia per una serie di interpreti che vanno a criticare Parfit non appoggiandosi al secondo Hume, ma
richiamando in chiave anti-mentalista un discorso sull'agency (Attori di noi stessi) prendendo come punto di
riferimento Kant -> dibattito angloamericano per correggere elementi del mentalismo utilizza Kant
Baggini si rende conto che queste correzioni al mentalismo di Parfit sono corrette
Questi interpreti criticano Parfit su due piani: quello dell'agency e quello del corpo (lo ha messo in secondo piano)

Cita Christine Korsgaard --> critica Parfit attribuendogli l'idea che l'identità personale sia una semplice questione di
connessioni e continuità psicologiche. (non basta che esistano continuità e connessioni psicologiche, bisogna
impegnarsi a crearne delle nuove --> esempio promessa di matrimonio, il buon matrimonio è quello in cui ci si
mette in discussione sempre)
- Baggini dice che la visione di Korsgaard mette l'etica laddove alcuni vedono solo metafisica -> se ciò che siamo
non è semplicemente dato dobbiamo scegliere ciò che diventiamo, e tali scelte hanno una dimensione etica
perché possiamo scegliere di essere onesti o disonesti, generosi o meschini ecc.; siamo responsabili delle
nostre azioni non perché sono nostri prodotti ma perché noi siamo ciò che facciamo -> l'autocreazione non è
eroica, è necessaria

Cita Karol Rovan


Cita Marya Schechtman (The constitution of selves) --> non cita mai direttamente Hume
- Dire che questi esempi portati da Parfit sono casi eccezionali, noi normalmente ci collochiamo in una parte
più centrale di questo "spettro". La nostra norma è di avere corpi che hanno una continuità non corpi che
vengono teletrasportati ecc… Parfit sembrerebbe parlare di cose che non fanno parte della nostra
dimensione di esperienza, e perché calibrare tutta la tua teoria su una dimensione che non esperiamo

Parte finale ricorda moltissimo Parfit

Julian Baggini Pagina 4


Julian Baggini Pagina 5

Potrebbero piacerti anche