Neo-humiano
2 parte del libro -> "Costruzioni", affronta il tema del sé molteplice e del sé sociale
|molta parte è finalizzata a dire ciò che non è l'io, a cosa non dobbiamo ridurre il self. Proverà a dare poi una
definizione molto vicina a quella di Hume|
Sé molteplice
più io molteplici -> più facce dell'io.
Esempio di Brooke Magnanti (neurotossicologa, blogger, prostituta) -> triplice self, a suo agio con le diverse
caratteristiche del suo unico sé
Quando la gente chiede come ha gestito la difficoltà di vivere coi suoi diversi personaggi e ruoli la domanda è
fuorviante -> chi la fa non è consapevole del fatto che la Magnanti regola ciò che sta rappresentando al mondo. Si
ha la fantasia di dare al mondo il 100 percento sempre -> non è così, non c'è un me stesso univoco
MA non si può neanche negare il problema di come gli altri ci vedono (nonostante noi possiamo avere una versione
molto chiara e autorappresentativa delle facce del nostro sé)
Perché la Magnanti ha smesso di essere queste tre persone diverse, separate e rispetto al mondo non note
l'una come l'altra? Non voleva essere degli io diversi, voleva essere le diverse parti di se stessa separate ma
integrate in qualcosa, che è questo self
Baggini abbraccia questa idea che lo tiene lontano dai self separati, che è come se fossero più io cartesiani, l'idea di
aspetti diversi di un self che non si risolve in nessuno e che in un certo senso è la somma di tutti senza essere niente
di più
Aspetti che affascinano Baggini della vicenda:
1) Nessuna di quelle facce è sufficiente per fare una persona, e non si tratta di sceglierne una o tenerle separate
in maniera problematica. La "Brooke buona" non è abbastanza per fare una persona -> una persona completa
ha molte facce -> disturbo dell'identità dissociativa è un disturbo, ogni alter non ha abbastanza per essere un
individuo completo -> la completezza sta nell'integrazione consapevole dei vari aspetti (Che c'è appunto nella
Magnanti)
○ Cerca di fissare differenza tra il normale (colui che gestisce consapevolmente i diversi lati del suo self) e
il patologico (chi passa da un lato all'altro come se fossero entità diverse, una in sostituzione dell'altra,
una inconsapevole dell'altra) -> disturbo di identità dissociativa
2) Il fatto che la Magnanti ha adottato il modo sbagliato di pensare del suo ex ragazzo (è la Brooke buona,
mostrare solo quella) è un avvertimento sul come sia importante il modo in cui concettualizziamo le variazioni
dentro di noi -> per quanto non voglia reintrodurre un self cartesiano e per quanto guardi con tranquillità ad
un self molteplice, afferma che guadagniamo di più a pensarci come un self composto di tanti lati piuttosto
che come una molteplicità di self come pezzi separati in serie in cui saltiamo dall'uno all'altro -> critica al
postmoderno: sembra voler moltiplicare in modo sbagliato (un conto sono gli io molteplici, un conto le
molteplici facce dell'io)
Affascinante rendersi conto di quanto spazio abbiamo per cambiare il modo in cui pensiamo noi stessi
- Cita Wittgenstein: Dottor Jacky e Mister Hyde erano la stessa persona o due persone diverse? Possiamo dire
quello che vogliamo, non siamo costretti a pensare ad una doppia personalità -> Baggini risponde che anche
se possiamo dire ciò che vogliamo in alcuni casi un modo di parlare può essere meno fuorviante di un altro
-> è fuorviante pensare a noi stessi come multipli piuttosto che multiformi, nonostante non sia incoerente
farlo (va molto cauto in vista di potenziali critiche ontologiche del tipo "come fai a escludere che…")
Prosegue affermando come potremmo anche pensarci come una pluralità ma ciò ci disgrega -> non abbiamo più
bisogno di disgregarci nel momento in cui scartiamo l'io cartesiano -> l'insistenza del post-moderno sulla
molteplicità è solo una forma di reazione culturale a quel rigidismo del modello cartesiano
Tira in ballo Nietzsche che insiste sulla molteplicità dell'io:
- Quando N. dice che non c'è unità nell'io e anzi è molteplice, non ci sta dicendo che dobbiamo contare (no
somma che forma unità); è come quando diciamo c'è del latte in inglese (countable e uncountable)
--> "l'identità personale diventa materia di gradi del più o del meno, non dell'uno, due o tre"
Sé sociale
Parte dall'idea che noi giochiamo dei ruoli -> a livello sociale noi abbiamo dei ruoli, quindi come degli attori
giochiamo questi ruoli
Concetto che rimanda ad una forma di interiorità -> come se ci si dovesse ritirare da un fuori per ritrovare il vero me
stesso -> solo nei momenti di solitudine in cui io sono da solo con me stesso sarei davvero me stesso
- La nostra tradizione ha elaborato molto sull'idea interno-esterno: c'è qualcosa di importante interno da
preservare e guardare per capirsi meglio (per capire dove sta la felicità, dio, ecc.)
Ma non conosco una persona soltanto osservandola in quella determinata situazione, in questo caso in solitudine
(solipsismo, introspezione pura) -> noi siamo tutti quegli io, tutte quelle situazioni
- Cita Janet Radcliffe Richards: "non ha senso pensare che la vera natura di qualcosa si riveli solo quando viene
astratta o rimossa da qualche ambiente particolare nessun singolo ambiente può mostrare la natura di
qualcosa perché conoscere la natura di qualcosa è conoscere il suo potenziale, che se è in un ambiente
apparirà o si comporterà in un modo, che se è in un altro può essere diverso. Allo stesso modo conoscere la
natura di una persona è sapere come si comporta in diverse situazioni e in diversi ruoli, non come si comporta
in un ruolo isolato"
Solitudine -> è una delle situazioni tra le tante, non è lo stato che rivela la verità su come siamo
- Non è ovvio che non giochiamo nessun ruolo quando siamo soli -> anche se sono solo è possibile che stia
giocando per esempio il ruolo dell'eremita, dell'introspettivo ecc.
- Spesso la privacy ci permette di indulgere alle fantasie più illusorie sulle nostre identità (molti giocano il ruolo
di grande pensatore quando non c'è nessun altro a sfidare i propri pensieri) -> da soli l'immagine che noi
abbiamo di noi stessi non è più un riflesso ma può essere un ritratto lusinghiero prodotto dallo specchio della
vanità
○ Molto Humiano -> quello che conta è ciò che ci restituiscono gli altri su noi stessi
-> riconoscere questo è importante per la conoscenza di sé
- Potremmo sentirci meglio con noi stessi nella solitudine, ma la nostra conoscenza di sé è limitata se non
riusciamo a vedere come le nostre interazioni con gli altri rivelino anche importanti verità su chi siamo
- Quello che vediamo quando siamo da soli con noi stessi non è il vero sé ma uno scorcio parziale del nostro sé
(una faccia, una prospettiva ma ce ne sono tante altre; è un odei ruoli, non c'è un attore senza i ruoli)
- Estroverso per esempio prende vita solo davanti agli altri (prende via psicologica)
--> la metafora teatrale quindi non ha senso se pone il vero sé come attore fuori scena
- l'attore quando è fuori scena è il vero sé, gli altri sono maschere che mette in scena
- Discorso sulle maschere -> filosofia sociale studia questo tema, oggi molto attuale: viviamo in un'epoca in cui
l'esposizione e le maschere sono all'ordine del giorno grazia ai social, nei quali contiamo a metterci delle
maschere e a voler apparire in certi modi, creando versioni di noi stessi per gli altri finendo spesso per avere
problemi nella gestione di tutto questo apparato -> spesso uno dei problemi è che qualcosa che noi volevamo
tenere nascosto viene scoperto dagli altri oppure che un qualcosa che tiriamo fuori per gli altri
inaspettatamente viene attaccato ecc.
Ultimamente ci sono proposte interessanti che vanno verso l'idea di pensare noi stessi come una serie di
maschere (che però non rimandano ad altro) che noi gestiamo in maniera strategica -> alcune le condivido in
un modo, altre in un altro modo, alcune non le condivido, ho sempre delle riserve; gestisco questi pezzi del
mio io in una maniera strategica pensando che però non ce n'è qualcuno di più importante o fragile, e se ci
fosse allora quella parte vanno protette e nascoste con più cautela.
Sociologi come Goffman, … (prima metà 900)
--> altra interpretazione suggerita da Jaques in "As you like it": noi siamo solo attori, siamo la somma dei nostri
ruoli, né più né meno. Quando esercito il ruolo di figlio sono una versione di me, non è un qualcosa di estrinseco
rispetto ad un io interiore portante.
- Padre che gioca a calcio col figlio e poi riflette nella stanza a tarda notte: sono due facce della stessa persona
che hanno lo stesso statuto.
Sia la visione dell'io multiplo (io numerati) sia questa dell'io risolto nei vari personaggi dicono qualcosa di vero ma
…?
- Errore attribuito a Goffman -> lettura banale che viene fatta del suo libro "Presentation of self in every day
life": qui propone di studiare l'io sociale adottando il modello teatrale come una prospettiva sociologica da cui
la vita sociale può essere studiata (io sociale come personaggi)
- Spingere così a lungo una metafora = una manovra (fine libro)
Regoliamo il nostro io sulla situazione e siamo attenti a come saremo visti -> non significa che tradiamo il
nostro io. Siamo registi di noi stessi
…?
Siamo in continua scena ma siamo questo qualcosa che ha una dimensione psicologica che non è più vera quando si
separa dalla situazione sociale ecc.
Attenzione a ridurre tutto l'io al se sociale
QUINDI non è una perfetta metafora quella dell'io multiplo e non è una perfetta metafora quella dell'io sociale
Continua sul discorso culturale -> è vero che ci sono differenze culturali (Hume) ma c'è un senso del self che è
universale: quando ci riferiamo al nostro io facciamo un qualcosa di universale, valido per tutti
09|11|2921
Quindi il se non è un'illusione, ciò che è illusorio è un'idea di se che lo vede come un'essenza immutabile immortale
Esempio del se come una nuvola -> appare come un singolo oggetto dall'esterno e si sente come tale dall'interno
(ma quando ci avviciniamo notiamo che ecc.)
Creazione di se o autocreazione
Baggini parteggia per una serie di interpreti che vanno a criticare Parfit non appoggiandosi al secondo Hume, ma
richiamando in chiave anti-mentalista un discorso sull'agency (Attori di noi stessi) prendendo come punto di
riferimento Kant -> dibattito angloamericano per correggere elementi del mentalismo utilizza Kant
Baggini si rende conto che queste correzioni al mentalismo di Parfit sono corrette
Questi interpreti criticano Parfit su due piani: quello dell'agency e quello del corpo (lo ha messo in secondo piano)
Cita Christine Korsgaard --> critica Parfit attribuendogli l'idea che l'identità personale sia una semplice questione di
connessioni e continuità psicologiche. (non basta che esistano continuità e connessioni psicologiche, bisogna
impegnarsi a crearne delle nuove --> esempio promessa di matrimonio, il buon matrimonio è quello in cui ci si
mette in discussione sempre)
- Baggini dice che la visione di Korsgaard mette l'etica laddove alcuni vedono solo metafisica -> se ciò che siamo
non è semplicemente dato dobbiamo scegliere ciò che diventiamo, e tali scelte hanno una dimensione etica
perché possiamo scegliere di essere onesti o disonesti, generosi o meschini ecc.; siamo responsabili delle
nostre azioni non perché sono nostri prodotti ma perché noi siamo ciò che facciamo -> l'autocreazione non è
eroica, è necessaria