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Reati ambientali
Fabio De Matteis
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PREFAZIONE

Scopo del presente volume è di offrire un primo, cursorio, esame delle nuove
fattispecie di reato introdotte con la L. 22 maggio 2015, n. 68, recante
«Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», entrata in vigore il 29
maggio 2015.
Il Parlamento ha, infatti, licenziato, in quarta lettura, il testo definitivo della
riforma della tutela penale del bene ambiente, il cui baricentro gravita attorno al
titolo VI-bis del libro secondo del codice penale, denominato «Dei delitti contro
l’ambiente». Nei dodici articoli [dal 452-bis al 452-terdecies] che compongono
la novella, accanto ad un catalogo di reati – cinque delitti dolosi e due colposi
oltre ad una speciale ipotesi di aberratio delicti plurilesiva – e di circostanze –
aggravanti e attenuanti – di nuovo conio, si collocano specifiche previsioni in
materia di confisca, di pene accessorie, di ripristino dello stato dei luoghi che,
nelle intenzioni del legislatore, dovrebbero comporre lo statuto penale
dell’ambiente, attraendo, almeno per le più gravi aggressioni alle matrici
ambientali, lo spazio di tutela, di marca prettamente contravvenzionale, finora
occupato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell’ambiente) e dai
delitti di comune pericolo, nelle vesti, in particolare, del disastro innominato
previsto all’art. 434 c.p.
In tale direzione, oltre che di auspicata deflazione dei procedimenti penali
per le aggressioni di minor spessore all’ambiente, muove per i procedimenti
successivi alla entrata in vigore della nuova legge, il subprocedimento di
estinzione delle contravvenzioni “inoffensive”, ossia senza danno o pericolo
concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche
protette, al quale il contravventore potrà accedere a condizione di realizzare
taluni adempimenti di natura riparatoria.
Completano la novella ulteriori disposizioni, di natura sostanziale e
processuale, il cui tratto comune, e coerente al severo trattamento sanzionatorio
previsto per le inedite fattispecie incriminatrici, è quello di rafforzare, con una
intensità senza precedenti, il sistema di prevenzione e repressione di talune
condotte di inquinamento, anche se reversibile, dell’ecosistema: il raddoppio dei
termini di prescrizione per i nuovi delitti ambientali, l’estensione ad alcuni di
tali delitti della confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità in valore
sproporzionato al reddito del condannato e di cui non sia giustificata la
provenienza, l’inserimento di taluni delitti ambientali fra i reati presupposti
della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, il
coordinamento investigativo fra Procure della Repubblica propiziato dalla
comunicazione dei procedimenti per i delitti in esame al procuratore generale
presso la corte d’appello, sono il segno tangibile della scelta politico criminale
di elevare i delitti ambientali fra i reati di maggior allarme sociale.

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8 Prefazione

Una scelta influenzata certamente dal disvelamento di allarmanti fenomeni


di inquinamento ambientale realizzati su ampie porzioni del territorio nazionale
sovente quale effetto “collaterale” di traffici illeciti gestiti dalla criminalità
organizzata (le c.d. ecomafie) con i connessi rischi per la salute umana, ma sulla
quale ha esercitato una pressione anche l’ordinamento comunitario: in
particolare, la Direttiva europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla
protezione dell’ambiente mediante il diritto penale, pur indicando in via del
tutto generale lo standard minimo comune di tutela dell’ambiente per gli
ordinamenti nazionali, precisa che «attività che danneggiano l’ambiente, le
quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento
significativo della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo,
dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie»
esigono sanzioni penali dotate di maggiore dissuasività (preambolo, art. 5).
Con questi “appunti”, si intende compiere una prima disamina degli elementi
costitutivi delle singole fattispecie delittuose con le quali il legislatore ha dato
attuazione al progetto di riforma, anche in rapporto alle fattispecie finora
impiegate nel contrasto alle aggressioni al bene ambiente, introducendo accenni
alle potenziali questioni interpretative che, già ad un primo sommario sguardo,
le soluzioni normative adottate potrebbero sollevare, prima di tutto, in rapporto
ai principi, di rango costituzionale, di proporzionalità, precisione, tassatività e
offensività.

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CAPITOLO I
I NUOVI REATI AMBIENTALI

SOMMARIO: 1. L’«Inquinamento ambientale» - 2. «Morte o lesioni come conseguenza del delitto di


inquinamento ambientale» - 3. Il «Disastro ambientale» - 4. Il «Traffico e abbandono di materiale ad alta
radioattività» - 5. L’«Impedimento del controllo» - 6. L’«Omessa bonifica».

1. L’«Inquinamento ambientale»
Art. 452-bis c.p. «I - È punito con la reclusione da due a sei anni e con la
multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una
compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque
o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di
un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. II -
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a
vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologi-
co, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata».

Il nuovo reato introduce, per la prima volta nell’ordinamento, uno strumento


repressivo delle condotte di inquinamento destinato, almeno in relazione alle
forme più gravi e sfociate in uno degli eventi tipicizzati dal Legislatore, a sosti-
tuire la fattispecie contravvenzionale dell’art. 674 c.p. tradizionalmente impie-
gata dalla magistratura per sopperire alle lacune del sistema a protezione della
salute e dell’ambiente da fenomeni emissivi molesti 1.

1
In via esemplificativa, in tema di inquinamento elettromagnetico: “Il fenomeno della emis-
sione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di interpretazione estensiva, nella previsione
dell’art. 674 c.p. Detta contravvenzione è configurabile soltanto allorché sia stato provato, in
modo certo e oggettivo, il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti
dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata un’effettiva e concreta idoneità delle
emissioni a offendere o molestare le persone esposte, ravvisata non in astratto, per il solo supe-
ramento dei limiti, ma a seguito di un accertamento (da compiersi in concreto) dell’effettivo peri-
colo oggettivo e non meramente soggettivo» (Cass. Pen., sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 23262; in
termini, Cass. Pen., sez. III, 8 aprile 2010, n. 17967; Cass. Pen., sez. I, 12 marzo 2002, n. 15717;
Cass. Pen., sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102; Cass. Pen., sez. I, 14 ottobre 1999, n. 5626; Cass.
Pen., sez. I, 13 ottobre 1999, n. 5592); in tema di getto di liquami in danno delle colture: “La fatti-
specie prevista dall’art. 674 c.p. è collocata nell’ambito delle contravvenzioni di polizia ed è po-
sta a tutela della incolumità pubblica; i nocumenti, più o meno gravi, che la norma intende evita-
re devono essere messi in relazione alla loro capacità lesiva nei confronti delle persone che dal
getto pericoloso di cose vengono imbrattate, offese nella loro integrità fisica o molestate e turbate
nella loro tranquillità; l’idoneità lesiva della condotta è correlabile anche ad oggetti, ma in que-
sto caso il fatto non ha rilevanza penale. Di conseguenza, il reato non si perfeziona quando i
comportamenti enucleati nella norma sono idonei a danneggiare esclusivamente delle ‘res’ (fatti-
specie relativa a getto di liquami atti ad imbrattare che causa danni solo alle colture senza river-
beri negativi sulle persone)” (Cass. Pen., sez. III, 13 aprile 2010, n. 22032). “È possibile il con-
corso tra l’art. 674, c.p. e le norme speciali in materia ambientate (con riferimento

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10 Capitolo I

Il nuovo delitto di «Inquinamento ambientale» si presenta, sul piano della


condotta materiale, come un reato di evento a “forma libera”.
Salvo quanto si avrà modo di precisare in ordine al significato dell’avverbio
«abusivamente», la scelta del legislatore sembra essersi orientata a punire qua-
lunque comportamento materiale al quale sia eziologicamente ascrivibile
l’evento descritto dalla fattispecie.
La condotta potrà essere tanto attiva, quanto, in forza della nota clausola di
equivalenza di cui all’art. 40, co. 2, c.p., di tipo omissivo (non impeditivo) limi-
tatamente al titolare, secondo la normativa ambientale, di una posizione di ga-
ranzia avente ad oggetto l’adempimento di specifici obblighi di prevenzione di
eventi dannosi o pericolosi per l’ambiente.
La condotta, in particolare, deve avere prodotto, secondo un preciso rapporto
causale da accertarsi alla stregua del criterio condizionalistico della “condicio
sine qua non” integrato con il riferimento alle leggi scientifiche di copertura,
«una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili»
dell’ambiente.
La formula combina, in realtà, nozioni già impiegate nella normativa am-
bientale, dalla quale, pertanto, è opportuno muovere per ricercare un canone
ermeneutico utile per ricostruire i confini dell’evento.
Il D.Lgs. n. 152/2006 [c.d. codice dell’ambiente], all’art. 5 i-ter) definisce
l’inquinamento come «l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività
umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici
o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute
umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali,
oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi le-
gittimi usi».
Certamente la definizione offerta dal codice dell’ambiente consente di indi-
rizzare l’interprete verso le manifestazioni, in concreto, più frequenti di condot-
te idonee a provocare un’alterazione deteriore dell’integrità ambientale. Tutta-
via, l’art. 452-bis c.p., proiettandovi il disvalore tipico della fattispecie e il cor-
relato severo trattamento sanzionatorio, richiede, anche in presenza di una con-
dotta inquinante, un quid pluris ai fini della integrazione del delitto ossia l’avere
generato l’effettiva modificazione dello status quo, compromettendo o deterio-
rando l’ambiente, sia sotto il profilo qualitativo [«significativo»] che quantitati-
vo [«misurabile»].
Si tratta di stabilire se il deterioramento e la compromissione corrispondano

all’inquinamento atmosferico, idrico ed elettromagnetico), ma non sussiste rapporto di specialità


ex art. 9, l. n. 689 del 1981 tra la norma di cui all’art. 54 d.lg. n. 152 del 1999 (effettuazione di
scarichi di acque reflue domestiche senza la prescritta autorizzazione) e quella di cui all’art. 674,
c.p., trattandosi di norme dirette alla tutela di beni giuridici diversi e fondate su diversi presup-
posti, in quanto esula dalla previsione della fattispecie sanzionata in via amministrativa il fatto di
avere cagionato offesa o molestia alle persone” (Cass. Pen., sez. III, 7 novembre 2007, n. 6419).

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Reati ambientali 11

a diversi e distinguibili pregiudizi per l’ambiente o esprimano, in sostanza, un


medesimo risultato lesivo della condotta.
Sul punto, la normativa ambientale non offre rassicuranti criteri guida.
Ad esempio, l’art. 18 della L. 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero
dell’ambiente, abrogato dall’art. 318, co. 2, lett. a), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152 prevedeva che «Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposi-
zioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta
l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggen-
dolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti
dello Stato». Una formulazione, quindi, che colloca(va) il deterioramento entro
una sequenza di possibili e progressive manifestazioni della compromissione2.
Il solo concetto di deterioramento compare invece all’art. 300 del D.Lgs. n.
152/2006 [Danno ambientale]: «È danno ambientale qualsiasi deterioramento
significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità
assicurata da quest’ultima» 3.
Sul piano formale e semantico, coerente anche all’uso della disgiuntiva “o”, i
due concetti potrebbero distinguersi per la connotazione rovinosa e irreversibile
del danno, nell’ipotesi di compromissione, e per l’alterazione, parziale o totale,
dell’integrità ambientale, ma reversibile, in particolare tramite interventi di bo-
nifica o di ripristino, nell’ipotesi del deterioramento.

2
«Il concetto di danno ambientale, sviluppatosi a partire dall’art. 18, l. 8 luglio 1986 n. 349,
denota un tipo di compromissione, consistente nell’alterazione, deterioramento, distruzione, in
tutto o in parte, dell’ambiente; il danno ambientale supera e trascende il danno ai singoli beni
che ne fanno parte e con esso l’ordinamento ha voluto tener conto non solo del profilo risarcito-
rio, ma anche di quello sanzionatorio, che pone in primo piano non solo e non tanto le conse-
guenze patrimoniali del danno arrecato, ma anche e soprattutto la stessa produzione dell’evento,
e cioè l’alterazione, il deterioramento, la distruzione, in tutto o in parte dell’ambiente, e cioè la
lesione in sé del bene ambientale» (T.A.R. Lombardia, sez. I, 25 luglio 2013, n. 1957).
3
In base al co. 2, «Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il dete-
rioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat natu-
rali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157,
recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del
Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE
della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di
Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre
1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla con-
servazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, non-
ché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di
attuazione; b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente nega-
tivo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque
interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si ap-
plica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva; c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel
mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali; d) al terre-
no, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche
indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di
sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente».

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12 Capitolo I

Tuttavia, in assenza di una nitida presa di posizione, ora come in passato, sul
piano normativo, l’esigenza di coordinamento fra il delitto di inquinamento am-
bientale con quello di disastro ambientale [vd. postea], come vedremo, focaliz-
zato su di un evento di alterazione «irreversibile e particolarmente oneroso»
dell’ecosistema, suggeriscono di disegnare i confini dell’evento in esame, entro
l’alterazione non irrimediabile del sistema.
La compromissione o il deterioramento devono, inoltre, risultare «significa-
tivi» e «misurabili».
Replicando, come visto, i requisiti previsti dall’art. 300 del codice
dell’ambiente 4 dettato in relazione al danno ambientale risarcibile in favore del
Ministero dell’Ambiente, l’art. 452-bis c.p. esige la prova che l’evento dannoso
accertato presenti una oggettiva evidenza qualitativa e quantitativa: la condotta
cioè deve avere prodotto, per l’estensione dell’area colpita, per la tipologia delle
matrici ambientali, un notevole, per quanto non irreparabile, pregiudizio, quan-
tificabile, deve ritenersi, secondo parametri scientificamente accreditati, e che
dovrà formare oggetto di uno specifico accertamento, presumibilmente, con
l’ausilio, almeno nei casi più controversi, di consulenti tecnici (biologi, chimici,
ingegneri, ecc.).
Quanto all’oggetto materiale sul quale deve ricadere la condotta dannosa, la
norma penale elenca espressamente, e alternativamente, oltre alle acque e
all’aria, «porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo», attribuendo
rilievo non solo alle aggressioni portate su ampia scala, ma anche alle ricadute
su aree circoscritte, ma di notevole pregio (si pensi ad oasi naturali non ancora
protette, o a zone circoscritte ma ricche di specie vegetali rare). L’elenco com-
prende anche «un ecosistema», ossia anche un singolo insieme, composto da
organismi viventi o da materia non vivente, autosufficiente e in equilibrio (ad
es. un lago, uno stagno, ecc.), «la biodiversità, anche agraria, della flora o della
fauna».
La condotta causativa dell’evento tipico deve essere stata realizzata «abusi-
vamente». La formula, che ritroveremo anche nel delitto di «disastro ambienta-
le», esige che la condotta materiale abbia anche una connotazione illecita, ovve-
ro sia stata posta in essere in contrasto con una (non meglio definita) norma ex-
trapenale; il testo definitivo dell’art. 452-bis c.p., in effetti, ha sostituito la pre-
cedente formulazione del progetto di legge, secondo la quale la condotta doveva
essere attuata «in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o ammi-
nistrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza co-
stituisce di per sé illecito amministrativo o penale», con l’effetto di estendere la
rilevanza penale del fatto anche alla violazione di norme poste in via immediata

4
Anche l’art. 2 della dir. europea n. 2004/35/CE del 21 aprile 2004 «Sulla responsabilità am-
bientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale» definisce, al co. 2, il
«danno» come «un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento
misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente».

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Reati ambientali 13

a protezione di beni diversi, benché ad esso ricollegabili, dall’ambiente (si pensi


alla salute o alla sicurezza sul lavoro).
Al fine preservare la fattispecie da eventuali deficit di legalità, sotto il profilo
dei corollari principi di precisione e determinatezza della fattispecie, si ritiene che
l’avverbio «abusivamente» debba connotare la speciale illiceità della condotta di
«inquinamento ambientale», solo sulla base di fonti strettamente normative, con
esclusione di principi di ordine generale (ad esempio il principio di precauzione o
di prevenzione pure esplicitati nel testo del codice dell’ambiente) 5 o perfino di
provvedimenti amministrativi emessi a presidio di interessi difformi da quello di
tutela ambientale6.
Per stabilire in quali ipotesi la condotta materiale causativa della compro-
missione o del deterioramento ambientale possa qualificarsi “abusiva” o, al con-
trario, lecita e quindi non punibile, non pare superfluo affidarsi, in chiave orien-
tativa, alla giurisprudenza formatasi rispetto a fattispecie di reato caratterizzate
da analoga nota di illiceità.
In particolare, in relazione al rapporto fra condotta e autorizzazione ammini-
strativa, che, presumibilmente, costituirà il più delicato banco di prova della
nuova fattispecie, la Suprema Corte, in tema di traffico illecito di rifiuti, ha sta-
tuito che «la nozione di condotta abusiva comprende anche quelle attività che
per le modalità concrete in cui si esplicano risultano totalmente difformi da
quanto autorizzato», precisando che «il carattere abusivo dell’attività organiz-
zata di gestione dei rifiuti – idoneo ad integrare il delitto di cui al d.lg. n. 22 del
1997, art. 53 bis (oggi riprodotto nell’art. 260 d.lg. n. 152 del 2006) – sussiste
qualora essa si svolga continuativamente nell’inosservanza delle prescrizioni
delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni man-

5
L’art. 3-ter del D.Lgs. n. 152/2006 [Principio dell’azione ambientale] stabilisce che «La tu-
tela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da
tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante
una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi
inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano
la politica della comunità in materia ambientale».
6
Nella seduta del Senato n. 452 del 19 maggio 2015 di discussione e approvazione finale del di-
segno di legge S-1345-B «Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», è stato precisato che
«il termine “abusivamente” […] è stato ideato ed identificato quale termine ampio, volto a contenere
al suo interno anche le violazioni formali, cioè l’assenza di eventuale di titoli autorizzativi, ma cer-
tamente in un’ottica ben più onnicomprensiva, tanto da poter comprendere, per ipotesi, anche un ca-
so scolastico. Si pensi ad esempio al caso in cui lo stesso titolo di natura amministrativa esistente sia
frutto di un iter illegittimo in senso lato, dal punto di vista amministrativo o penale: insomma, nel
caso di una licenza, una DIA o qualsiasi titolo autorizzativo ottenuto magari con la corruzione di un
pubblico ufficiale, il termine “abusivamente” permetterebbe di svuotare di forza precettiva o dello
scudo penale anche l’eventuale regolarità formale di ogni tipo di autorizzazione. Con il termine
“abusivamente” siano dell’idea che sarà possibile operare una valutazione complessiva della condot-
ta in relazione a tutte le norme e ai principi giuridici» […] «Il termine “abusivamente” non vuol dire
“in assenza di autorizzazione amministrativa”» (senatore Buccarella M5S), in www.senato.it.

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14 Capitolo I

chino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano
scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti
ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati» (Cass. Pen., sez. III,
20 novembre 2007, n. 358; in termini, Cass. Pen., sez. V, 11 ottobre 2006, n.
40330, Pellini; Cass. Pen., sez. III, 6 ottobre 2005, n. 40828).
Dunque, potrebbe ritenersi illecita non solo, ovviamente, la condotta posta in
essere sine titulo, ma anche quella che pur fondandosi su una formale autorizza-
zione, se ne discosti a tal punto da potersi ritenere con essa in contrasto. Al di fuo-
ri, tuttavia, delle ipotesi più estreme, il connotato di abusività tende a stemperarsi
quanto maggiore è l’incertezza sulla conformità della condotta tenuta rispetto ad
un titolo autorizzativo esistente e legittimo, e sul quale l’agente può avere riposto
un ragionevole affidamento quale fonte di legittimazione del proprio operato.
A ben guardare, in tali casi, il rapporto fra l’autorizzazione e il comportamento
tenuto dall’agente assumerà rilievo non solo sul piano della liceità o meno della
condotta oggettiva, ma anche del dolo generico richiesto dalla fattispecie.
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la compro-
missione o il deterioramento ambientale, accertamento non agevole nei casi in
cui tale evento lungi dall’essere istantaneo si realizza attraverso dinamiche, le-
gate anche alle peculiari caratteristiche dell’habitat aggredito, complesse e ripe-
tute nel tempo.
Il co. 2 dell’art. 452-bis c.p. prevede una circostanza aggravante comune, os-
sia con aumento della pena fino a un terzo della pena, nei casi di inquinamento
delle aree tutelate o in danno di specie animali e vegetali protette.
Il termine di prescrizione, decorrente dalla consumazione del reato, è pari al-
la pena massima prevista per il delitto in esame, di anni sei, ma raddoppiato, ad
anni dodici, in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1, co. 6,
della L. 22 maggio 2015, n. 68.
È stata estesa la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione anche ai condannati per i reati di “inquinamento ambientale”.
Il legislatore ha previsto, altresì, in caso di condanna o di patteggiamento, fra
gli altri, per il delitto di “inquinamento ambientale”, la confisca obbligatoria,
anche per equivalente 7, e salvi i diritti dei terzi estranei al reato, delle cose che

7
Giova rammentare che «In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista
dall’art. 322 ter c.p., costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con
somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente col-
legabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo» (Cass. Pen.,
SS.UU., 25 ottobre 2008, Miragliotta); «In tema di reati tributari commessi dal legale rappre-
sentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equiva-
lente prevista dalla l. n. 244 del 2007, art. 1 comma 143, e art. 322 ter cod. pen. non può es-
sere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e
rappresenti solo uno schermo attraverso cui il reo agisca come effettivo titolare dei beni»
(Cass. Pen., sez. III, 7 gennaio 2015, n. 5191); «L’estinzione del reato preclude la confisca
delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240, co. 2, n. 1

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Reati ambientali 15

costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il


reato, con destinazione vincolata di quanto confiscato alla bonifica dei luoghi.
Solo nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in
sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei
luoghi, la confisca non trova applicazione.
Con la sentenza di condanna o di patteggiamento il giudice ordina, ai sensi
dell’art. 452-duodecies, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino
dello stato dei luoghi secondo le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale, ponendone
l’esecuzione a carico del condannato nonché delle persone giuridiche, diverse
dagli enti pubblici territoriali, fra quelle sottoposte al ruolo di obbligati civili per
il pagamento della multa e dell’ammenda ai sensi dell’art. 197 c.p.
Analogamente alle ulteriori ipotesi di reato in esame per le quali tale con-
danna è prevista, si tratterà di chiarire se il coinvolgimento dell'ente nell'esecu-
zione dell'ordine del giudice venga inteso nella stessa modalità sussidiaria ed
eventuale rispetto al condannato insolvente con la quale l'art. 197 c.p. configura
l'obbligazione di pagamento della pena pecuniaria a carico della persona giuri-
dica, o se, come parrebbe dalla formula impiegata - «ponendone l'esecuzione a
carico del condannato e dei soggetti di cui all'articolo 197 del presente codice» -
si tratti di obbligazione solidale fra condannato, e persona giuridica.
In caso di condanna è stata estesa al reo la pena accessoria della incapacità di
contrattare con la pubblica amministrazione.
L’inquinamento ambientale, ai sensi dell’art. 25-undecies, D.Lgs. n.
231/2001, anche nella forma colposa, è inserito fra i c.d. reati presupposto del-
la responsabilità amministrativa degli enti, il cui illecito è sanzionato, oltre
che con pena pecuniaria (da 250 a 600 quote in relazione all’inquinamento do-
loso e da 200 a 500 quote in relazione all’inquinamento colposo), con una del-
le sanzioni interdittive ex art. 9, D.Lgs. n. 231/2001, per una durata non supe-
riore a un anno (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca
di autorizzazioni, licenze o concessioni; divieto di contrattare con la pubblica
amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sus-
sidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni e
servizi).
In forza dell’art. 452-quinquies c.p., il delitto di inquinamento ambientale è

c.p.» (Cass. Pen., SS.UU., 10 luglio 2008, De Maio); «In tema di responsabilità da reato de-
gli enti collettivi, il profitto del reato oggetto della confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 si
identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato
presupposto, ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinal-
lagmatico, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal dan-
neggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni che il contratto gli
impone» (Cass. Pen., SS.UU., 27 marzo 2008, Fisia Italimpianti); «L’art. 25 co. 2 Cost. vieta
l’applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per
equivalente”» (Corte Cost. n. 97/2009).

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16 Capitolo I

punibile anche per colpa, con diminuzione della pena prevista dall’ipotesi dolo-
sa da un terzo a due terzi.
Sul piano processuale, il delitto di omessa bonifica rientra fra i reati per i
quali è prevista l’udienza preliminare, mentre la relativa cognizione compete, ai
sensi dell’art. 33-ter c.p.p., al Tribunale in composizione monocratica. Sono, al-
tresì, applicabili, ex art. 280 c.p.p., misure cautelari personali, e sono ammissibi-
li, ex art. 266 c.p.p., intercettazioni di conversazioni e comunicazioni.

2. «Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento


ambientale»
Art. 452-ter c.p. «I - Se da uno dei fatti di cui all’articolo 452-bis deriva,
quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione del-
le ipotesi in cui la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni, si applica
la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva una
lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto anni; se ne deriva una le-
sione gravissima, la pena della reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva
la morte, la pena della reclusione da cinque a dieci anni. II - Nel caso di morte
di più persone, di lesioni di più persone, ovvero di morte di una o più persone e
lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per
l’ipotesi più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non
può superare gli anni venti».
Con l’art. 452-ter c.p. il legislatore ha introdotto, replicando lo schema della
speciale figura di aberractio delicti plurilesiva prevista all’art. 586 c.p.,
l’autonomo delitto di morte o lesioni come conseguenza non voluta del reato di
inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis c.p.
In particolare, sono previsti aumenti di pena graduati secondo la gravità delle
conseguenze prodotte dal delitto di inquinamento ambientale: la reclusione da 2
anni e 6 mesi a 7 anni se dall’inquinamento deriva una lesione personale (salvo
che la malattia abbia una durata inferiore a 20 giorni) la reclusione da 3 a 8 anni
se deriva una lesione grave; la reclusione da 4 a 9 anni se deriva una lesione
gravissima; la reclusione da 5 a 10 anni in caso di morte della persona. In caso
di pluralità di eventi lesivi in danno di più persone, si applica la pena che do-
vrebbe infliggersi per il reato più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena fi-
nale non può oltrepassare il limite di 20 anni di reclusione.
Il reato in esame si presenta, dunque, come ipotesi speciale rispetto a quella
di cui all’art. 586 c.p., differenziandosene in quanto l’attività di base dolosa è
costituita dal reato di «Inquinamento ambientale», e condividendo, per il resto,
la previsione di un aggravamento sanzionatorio per la consequenziale produzio-
ne non voluta, neppure a titolo di dolo eventuale, dell’evento morte o lesione.
Se sul piano oggettivo, si richiede che fra inquinamento ambientale ed even-
to morte o lesione debba intercorrere un nesso di casualità, non interrotto da

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Reati ambientali 17

cause eccezionali sopravvenute, sul versante dell’imputazione soggettiva


dell’evento non voluto all’autore del reato base, si ritiene debbano valere i me-
desimi approdi giurisprudenziali consolidatisi rispetto all’ipotesi di cui all’art.
586 c.p.
In particolare, in tanto la morte o la lesione sono rimproverabili all’autore
dell’inquinamento ambientale, in accordo al principio costituzionale di colpevo-
lezza, in quanto sia “accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento
soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola pre-
cauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un
coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene del-
la vita”, “valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi
nella concreta situazione dell’agente reale ed alla stregua di tutte le circostanze
del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale” (cfr., Cass. Pen.,
SS.UU., 22 gennaio 2009, n. 22676, Ronci).
Il delitto si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verificano gli eventi
morte o lesioni personali.
Giova osservare che il medesimo meccanismo di aggravio sanzionatorio ri-
spetto ai limiti edittali altrimenti previsti per il reato di omicidio e lesioni colpo-
se in concorso con il delitto di inquinamento ambientale, non è stato esteso al
delitto di «disastro ambientale», benché, come vedremo, tale fattispecie includa
l’ipotesi dell’offesa «alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto
per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il nu-
mero delle persone offese o esposte a pericolo».
Con la sentenza di condanna o di patteggiamento il giudice ordina, ai sensi
dell’art. 452-duodecies, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino
dello stato dei luoghi secondo le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale, ponendone
l’esecuzione a carico del condannato nonché delle persone giuridiche, diverse
dagli enti pubblici territoriali, fra quelle sottoposte al ruolo di obbligati civili per
il pagamento della multa e dell’ammenda ai sensi dell’art. 197 c.p.
I termini di prescrizione, pari all’aumento massimo della pena previsto per
ciascuna delle ipotesi di aggravamento previsto dall’art. 452-ter c.p., sono rad-
doppiati in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1, co. 6, della
L. 22 maggio 2015, n. 68.

3. Il «Disastro ambientale»
Art. 452 quater c.p. «I - Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque
abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da
cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1)
l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione
dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente one-

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18 Capitolo I

rosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubbli-


ca incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della com-
promissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese
o esposte a pericolo. II - Quando il disastro è prodotto in un’area naturale pro-
tetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, archi-
tettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette,
la pena è aumentata».
Una delle più importanti novità della recente riforma dei reati ambientali ri-
siede nell’introduzione del delitto di disastro ambientale, entro il quale, nelle
intenzioni del legislatore, dovrebbero ricadere i fatti di più grave offesa (per
estensione, pervasività, insanabilità, numerosità delle persone coinvolte, ecc.)
all’ambiente, finora sussunti entro la fattispecie di disastro c.d. innominato di
cui all’art. 434 c.p.
Accanto all’istanza politico criminale, sotto la spinta di una orami radicata
sensibilità collettiva e dei vincoli di fonte comunitaria, di munire il bene am-
biente di una tutela penale autonoma e “dissuasiva” 8, il processo di riforma del-
la fattispecie in esame ha risentito, sul piano della tipicizzazione del reato, an-
che dell’ampio e acceso dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, sulla compatibili-
tà strutturale fra l’ipotesi (residuale) ex art. 434 c.p., e i fenomeni di c.d. disastro
ambientale i cui eventi offensivi presentino caratteristiche e decorsi causali non
assimilabili a quelli previsti nei delitti di comune pericolo mediante violenza.
Si pensi, in particolare, ai disastri “ecologici” provocati da un lento, progres-
sivo e, sovente, impercettibile, fino al suo esito finale, processo di compromis-
sione delle matrici ambientali correlato a fenomeni di inquinamento “storico”
rispetto ai quali non è ravvisabile materialmente quella condotta “violenta” di
portata “distruttiva” e “tale da provocare un effettivo pericolo alla vita e/o
all’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone” nei cui confini la
migliore dottrina9 ha compendiato la nozione unitaria di disastro plasmata sui
reati compresi nel Titolo VI del libro II del codice penale (“strage”, “incendio”,
“inondazione”, “frana”, “valanga”, “naufragio”, “sommersione”, “disastro avia-
torio”, “disastro ferroviario”, attentato alla sicurezza dei trasporti”, “attentato
alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbli-
che comunicazioni”, “crollo di costruzioni”).

8
La dir. europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla protezione dell’ambiente mediante
il diritto penale, pur indicando in via del tutto generale lo standard minimo comune di tutela
dell’ambiente per gli ordinamenti nazionali, precisa che «attività che danneggiano l’ambiente,
lequali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità
dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la con-
servazione delle specie» esigono sanzioni penali dotate di maggiore dissuasività (preambolo, art.
5).
9
S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, in Trattato di Dir. Pen., p.s., a cura di G.
Marinucci - E. Dolcini, Padova, p. 630.

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Reati ambientali 19

Di qui i dubbi sulla natura estensiva, consentita, o analogica, vietata in mate-


ria penale, del percorso interpretativo col quale, diversamente, i giudici di meri-
to e di legittimità hanno ricondotto entro la fattispecie di “comune pericolo” fat-
ti di grave compromissione delle matrici ambientali generatisi e manifestatisi in
forme diverse da quelle proprie del disastro “innominato”.
Valga per tutte, la statuizione della Suprema Corte nel processo c.d. di “Por-
to Marghera” per la quale nel concetto di “altro disastro” ai sensi dell’art. 434
c.p. possono rientrare «non soltanto gli eventi disastrosi di grande immediata
evidenza (crollo, naufragio, deragliamento, ecc.) che si verificano magari in un
arco di tempo ristretto, ma anche quegli eventi non immediatamente percepibi-
li, che possono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, che pu-
re producano quella compromissione imponente delle caratteristiche di sicurez-
za, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che
consentono di affermare l’esistenza di una lesione della pubblica incolumità»10.
Un dissidio interpretativo che, lungi dallo stemperarsi, sfociò, poco tempo
dopo la citata pronuncia, nel promovimento di un incidente di costituzionalità in
relazione all’art. 434 c.p. per contrasto con l’art. 25, co. 2, 24 e 27 Cost.
Pare opportuno soffermarsi su alcuni passaggi dell’ordinanza di rimessione
che introducono, con estrema lucidità e chiarezza, i temi essenziali ai quali la
Corte costituzionale ha dato risposta attraverso una sentenza interpretativa di
estrema rilevanza ai fini della recente riforma del delitto di disastro ambienta-
le.
Il giudice di merito 11, in particolare, aveva dubitato della legittimità costitu-
zionale dell’art. 434 c.p. nella parte in cui la norma contempla la fattispecie in-
criminatrice del cosiddetto disastro innominato, nel confronto con la riserva as-
soluta di legge in materia penale consacrata dall’art. 25, co. 2, Cost., e, più spe-
cificamente, con il «principio di tassatività», […] «e per tal via» dei «principi
consacrati dagli articoli… 24 e 27 cost.». «La fattispecie – rilevava il giudice a
quo – ricalca lo schema delle incriminazioni di reati d’evento causalmente
orientate, piuttosto frequenti tra quelle poste a tutela di beni giuridici di partico-
lare rilevanza costituzionale, ove l’intento legislativo di protezione integrale del

10
Cass. Pen., sez. IV, 17 maggio 2006, n. 4675.
11
L’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale venne pronunciata dal G.U.P. del Tri-
bunale di Santa Maria Capua Vetere nel corso dell’udienza preliminare celebrata nei confronti di
plurimi imputati per delitti di associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti, realizzazione
e gestione di discariche abusive, truffa in danno di enti pubblici (giudicati separatamente con de-
creto che dispone il giudizio e sentenza parziale di non luogo a procedere) e disastro c.d. innomi-
nato, in relazione alla gestione dolosa del traffico illecito di rifiuti che, attraverso l’utilizzo di nu-
merosi terreni agricoli trasformati in vere e proprie discariche abusive di rifiuti pericolosi, abban-
donati “tal quali” nell’ambiente, «determinavano un doloso disastro ambientale in un’ampia zona
territoriale interessante i comuni di Villa Literno, San Tammaro, Castel Volturno e Falciano del
Massico, a causa dell’imponente smaltimento di rifiuti estremamente inquinanti il terreno e
l’ecosistema» (ord. G.U.P. Trib. S. Maria Capua Vetere, 12 dicembre 2006).

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20 Capitolo I

bene giuridico suggerisce una tecnica redazionale concentrata sulla descrizione


dell’evento piuttosto che sulla selezione delle condotte causative».
Mentre, tuttavia, «la tecnica redazionale non pone particolari problemi di
comprensione nella parte relativa all’incriminazione del crollo» corrispondente
«a dati naturalistici di esperienza comune, che la giurisprudenza e la dottrina
non faticano a recepire identificando la nozione nei fenomeni di disintegrazione
delle strutture essenziali di una costruzione» […] «insufficiente è la capacità in-
formativa di quella parte della disposizione che invece incrimina il comporta-
mento di chi compia atti diretti a cagionare o effettivamente cagioni altro disa-
stro». «In questa parte infatti la norma – rilevava il G.U.P. – oltre a trascurare la
descrizione di una condotta, manca di determinare con adeguata precisione sia
l’evento intermedio che il fatto dev’essere obiettivamente diretto a cagionare
(disastro), sia gli eventi ulteriori di pericolo (pericolo per la pubblica incolumi-
tà) o di danno (se il disastro avviene) che consumano il delitto o l’aggravano».
Mentre in relazione agli altri delitti di comune pericolo mediante violenza «i
riferimenti al disastro e/o al pericolo per la pubblica incolumità s’inseriscono in
tipi nei quali è intelligibile il comportamento o almeno il contrasto comporta-
mentale nel quale gli eventi (di danno o di pericolo) devono andare a collocar-
si», e i relativi termini «sono impiegati come formule che designano una parti-
colare qualità dimensionale degli effetti di una condotta umana adeguatamente
descritti, ovvero sono impiegati per designare l’evento primario di una condotta
che è essa stessa in qualche modo selezionata dal legislatore» […] nella disposi-
zione incriminatrice in esame «nessuna delimitazione viene introdotta nella
condotta, nella definizione dell’evento primario, in quella del contesto compor-
tamentale o del settore della vita sociale nel quale si colloca il fatto incrimina-
to».
«Nel caso in esame il problema – si aggiunge – risiede appunto nel fatto che
le formule elastiche qui censurate polarizzano tutta la descrizione del fatto tipi-
co e nessun ausilio informativo o interpretativo può venire dalle fattispecie dello
stesso titolo, delle quali anzi la fattispecie di disastro innominato – con la clau-
sola di sussidiarietà che la introduce (fuori dei casi preveduti dagli articoli pre-
cedenti) – presuppone l’esclusione», né dalla stessa fattispecie «topografica-
mente contigua di crollo di costruzione», «costantemente e condivisibilmente
interpretata come categoria eterogenea rispetto al disastro innominato sanziona-
to sotto la stessa rubrica»12.

12
Affermava, altresì, il Giudice che nessun contributo all’intelligibilità del precetto da parte
del cittadino destinatario, né alla delimitazione della discrezionalità del giudice recava “la volun-
tas legis” nella indicazione corrispondente alla relazione ministeriale sul progetto del codice pe-
nale, parte II, p. 224, nella quale si legge che «la disposizione dell’art. 440 (oggi art. 434) nella
parte che riguarda gli altri disastri ha carattere integrativo, che essa intende cioè colmare ogni
eventuale lacuna che di fronte alla multiforme varietà dei fatti possa presentarsi nel titolo concer-
nente la tutela della pubblica incolumità», in quanto essa «lungi dal risolvere il problema di iden-

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Reati ambientali 21

La Corte Costituzionale, pur rigettando la sollevata questione di legittimità,


fissava i criteri ai quali ancorare un’interpretazione costituzionalmente fedele, e
dunque percorribile, dell’art. 434 c.p. anticipando, di fatto, i requisiti de jure
condendo per l’introduzione di un’autonoma fattispecie di disastro ambientale.
La Corte, in particolare, dopo avere premesso che l’art. 434 c.p., nella parte
in cui punisce il disastro innominato, assolve pacificamente ad una funzione di
«“chiusura” del sistema di tutela della incolumità pubblica»13 al fine di «colma-
re ogni eventuale lacuna, che di fronte alla multiforme varietà dei fatti possa
presentarsi nelle norme [...] concernenti la tutela della pubblica incolumità»
«anche e soprattutto in correlazione all’incessante progresso tecnologico, che fa
continuamente affiorare nuove fonti di rischio e, con esse, ulteriori e non pre-
ventivabili modalità di aggressione del bene protetto (in questo senso, la rela-
zione del Ministro guardasigilli al progetto definitivo del codice penale)» ha ri-
costruito i tratti essenziali comuni fra le specifiche figure di disastro compresi
nel capo I del titolo VI e l’«altro disastro», cui fa riferimento l’art. 434 c.p.
«Al riguardo – ha affermato la Corte – si è evidenziato in dottrina come – al
di là delle caratteristiche particolari delle singole figure (inondazione, frana,
valanga, disastro aviatorio, disastro ferroviario, ecc.) – l’analisi d’insieme dei
delitti compresi nel capo I del titolo VI consenta, in effetti, di delineare una no-
zione unitaria di ‘disastro’, i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un dupli-
ce e concorrente profilo. Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al
cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non ne-
cessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed este-
si. Dall’altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare
– in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione
(la ‘pubblica incolumità’) – un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un

tificazione del nucleo del comportamento incriminato, non fa che fissarne la premessa storica».
«In buona sostanza – chiosava l’ordinanza di rimessione – il legislatore fascista esplicita la volon-
tà di colmare con una clausola generale il divario inevitabile tra le evoluzioni della tecnica e le
esigenze di tutela dei beni giuridici e sceglie di comporre l’inevitabile conflitto sbilanciandosi in
favore di esigenze di integrale penalizzazione, a scapito delle istanze della certezza del diritto e
del contenimento dell’arbitrio dei giudici». «La fuga verso le clausole generali è del resto caratte-
ristica propria del diritto penale italiano e tedesco degli anni ’30 e corrisponde ad una temperie
culturale che esaltava il ruolo creativo del giudice all’insegna di un accentuato ripudio della cer-
tezza del diritto. Il problema del giudice costituzionale non può allora risolversi nell’appiattirsi
sulle ragioni che indussero il legislatore pre-costituzionale ad una determinata scelta definitoria,
ma consiste nell’interrogarsi sulla presenza nel tatbestand di costruzione legislativa di quote ac-
cettabili di precisione descrittiva e determinatezza» (ord. 12 dicembre 2006, cit.)
13
La Relazione del Guardiasigilli al Codice penale afferma che l’art. 434 c.p. «è destinata a
colmare ogni eventuale lacuna, che di fronte alla multiforme varietà dei fatti possa presentarsi nel-
le norme [...] concernenti la tutela della pubblica incolumità»: giacché «la quotidiana esperienza
dimostra come spesso le elencazioni delle leggi siano insufficienti a comprendere tutto quanto
avviene, specie in vista dello sviluppo assunto dalla attività industriale e commerciale, ravvivata e
trasformata incessantemente da progressi meccanici e chimici».

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22 Capitolo I

numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche


l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti».
«Tale nozione – avvalorata una volta ancora dai lavori preparatori del co-
dice (e, segnatamente, dalla relazione ministeriale al progetto definitivo, nella
parte illustrativa del ‘disastro ferroviario’, di cui all’attuale art. 430 c.p.) –
corrisponde sostanzialmente alla nozione di disastro accolta dalla giurispru-
denza di legittimità, con un indirizzo che – contrariamente a quanto sostiene il
rimettente – appare apprezzabile, ai presenti fini, in termini di ‘diritto vivente’.
Pronunciandosi, infatti, non soltanto sul delitto di disastro innominato doloso,
di cui all’art. 434 c.p., e sulla corrispondente ipotesi colposa, di cui all’art. 449
c.p. (figure in ordine alle quali si registrano plurime recenti pronunce della
Corte di cassazione), ma anche sugli altri delitti del capo I del titolo VI rispetto
ai quali viene in rilievo il sostantivo in questione, la giurisprudenza ha da tem-
po enucleato – senza oscillazioni significative rispetto a quanto qui rileva – un
concetto di ‘disastro’ che fa perno, per l’appunto, sui due tratti distintivi (di-
mensionale e offensivo) in precedenza indicati».
«Con riguardo, poi, all’ulteriore concetto sul quale si appuntano i dubbi di
costituzionalità del giudice a quo, si deve rilevare come, nell’ipotesi descritta
dall’art. 434 cod. pen., il ‘pericolo per la pubblica incolumità’ – implicito, per
quanto osservato dianzi, rispetto alla fattispecie di evento contemplata dal se-
condo comma (verificazione del ‘disastro’) – risulti espressamente richiesto an-
che in rapporto al delitto di attentato previsto dal primo comma (compimento di
fatti diretti a cagionare un disastro). Diversamente da quanto assume il rimet-
tente, peraltro, la predetta espressione – nella quale si compendia il momento
dell’offesa all’interesse protetto – non può ritenersi priva di un senso sufficien-
temente definito (salvi, naturalmente, i problemi interpretativi connessi alla ve-
rifica dell’elemento in questione nella concretezza delle singole fattispecie). Per
opinione praticamente unanime, e conformemente alle indicazioni della rela-
zione ministeriale, il concetto di ‘incolumità’ deve essere difatti inteso – agli
effetti del titolo VI del libro II del codice penale – ‘nel suo preciso significato
filologico, ossia come un bene, che riguarda la vita e l’integrità fisica delle per-
sone’ (da ritenere naturalmente comprensiva anche della salute). Il ‘pericolo
per la pubblica incolumità’ viene cioè a designare – come già anticipato – la
messa a repentaglio di un numero non preventivamente individuabile di perso-
ne, in correlazione alla capacità diffusiva propria degli effetti dannosi
dell’evento qualificabile come ‘disastro’».
L’individuazione del requisito dimensionale e offensivo del disastro, rispet-
tivamente enucleato nella portata distruttiva dell’evento e nella conseguente
esposizione ad un pericolo concreto della vita o dell’integrità fisica di un nume-
ro indeterminato di persone, cui la Corte Costituzionale ha affidato la tenuta
della fattispecie di pericolo di disastro rispetto al principio di determinatezza e
offensività, costituisce, vedremo, valido criterio guida anche ai fini

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Reati ambientali 23

dell’interpretazione del nuovo disastro ambientale, di cui proprio la sentenza


della Corte Costituzionale auspicava l’introduzione: «Ferma restando la con-
clusione raggiunta, è tuttavia auspicabile – affermavano incidentalmente i giu-
dici – che talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpre-
tative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del di-
sastro innominato – e tra esse, segnatamente, l’ipotesi del cosiddetto disastro
ambientale, che viene in discussione nei giudizi a quibus – formino oggetto di
autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell’ottica
dell’accresciuta attenzione alla tutela ambientale ed a quella dell’integrità fisi-
ca e della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose» 14.
Pur salvaguardando, sul piano della legittimità costituzionale, la fattispecie
di disastro innominato, la sentenza della Corte, in effetti, non ha trovato, proprio
con riguardo ai fenomeni di inquinamento/contaminazione ambientale, coerenti
e condivise soluzioni nella giurisprudenza successiva, in particolare, nella indi-
viduazione, nei casi concretamente affrontati, di quei requisiti dimensionali
(evento “distruttivo di proporzioni straordinarie anche non necessariamente
immani”) e offensivi (il conseguente “pericolo per la vita o per l’integrità fisica
di un numero indeterminato di persone”) al cui accertamento congiunto, e non
alternativo, la Consulta aveva ancorato l’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 434 c.p. 15.
La Corte di Cassazione, nel processo c.d. Eternit 16 ha disatteso il rilievo di-
fensivo secondo il quale la “semplice diffusione di (fibre) di amianto, per quan-
to pervasiva e pericolosa” non possa ritenersi idonea ad integrare «l’evento di-
struttivo» che, per quanto affermato dalla Corte Costituzionale, «implicitamente
connota la nozione di disastro assunta nell’art. 434 cod. pen.». Il problema –
come premesso dalla corte regolatrice, consisteva nello stabilire se
«l’individuazione del disastro in un fenomeno non dirompente ed eclatante,

14
Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327. Nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., sez. IV,
25 febbraio 2010, n. 7664, Pirovano; Cass., sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678; Cass., sez. IV, 15
dicembre 2011, n. 6965; Cass., sez. IV, 15 ottobre 2009, n. 7664, Pirovano; Cass., sez. IV, 20
febbraio 2007, n. 19342, Rubiero; Cass., sez. V, 11 ottobre 2006, n. 40330, Pellini. Sul punto la
dottrina ha affermato che «con riguardo ad entrambe le fattispecie delineate dal comma 1, per
l’integrazione del fatto occorre che la condotta abbia fatto sorgere il pericolo per l’incolumità
pubblica; il giudice deve perciò appurare se, dal compimento di un ‘fatto diretto a cagionare il
crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro’, sia sorto un pericolo
effettivo di lesione per l’incolumità pubblica» (cfr. Corbetta, in Marinucci-Dolcini, Trattato, PtS,
II, 1, p. 616; Gizzi, Codoppi-Canestrari-Manna-Papa, Pts, IV, p. 233). Secondo la dottrina dunque
«il pericolo deve essere interpretato come evento essenziale al fatto, casualmente legato alla
condotta, che rientra perciò nell’oggetto del dolo» (Corbetta, in Marinucci-Dolcini, Trattato, Pts,
II, 1, p. 617; G. Fiandaca-E. Musco, Pts, I, p. 515; Gizzi, in Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, Pts,
IV, p. 230).
15
G. Accinni, Disastro “ambientale” ed elusione fiscale: due paradigmatici esempi di so-
stanziale violazione del principio di legalità, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., fasc. II, 2015, pp. 766 ss.
16
Cass. Pen., sez. I, 19 novembre 2014 – 23 febbraio 2015, n. 7941.

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24 Capitolo I

bensì diffuso e silente, per quanto importante e penetrante, sia compatibile con
la necessità, postulata dalla esigenza di determinatezza della fattispecie, che la
teorica polivalenza del termine disastro trovi soluzione univoca nella omogenei-
tà strutturale della relativa nozione da accogliersi ai fini dell’ipotesi in esame,
rispetto ai disastri contemplati negli altri articoli compresi nel capo dei delitti di
comune pericolo mediante violenza».
Dopo avere richiamato il passo della sentenza della Consulta nel quale i giu-
dici costituzionali rilevavano che il concetto di “altro disastro” quale formula di
chiusura rispetto ai casi specifici […] è «destinato a ricevere luce dalle species
preliminarmente enumerate, le cui connotazioni di fondo debbono potersi rinve-
nire anche come tratti distintivi del genus», la Suprema Corte esclude «che la
riconducibilità dei fenomeni presi in considerazione a un macroevento di imme-
diata e dirompente forza distruttiva costituisca requisito essenziale degli stessi»,
facendo leva sulla già citata sentenza di legittimità nel processo c.d. Porto Mar-
ghera, precedente, tuttavia l’intervento della Corte costituzionale. Né per la Su-
prema Corte è apparsa «conducente» […] «per conseguenza anche
l’osservazione che la nozione di disastro innominato accolta dalla giurispruden-
za di risolverebbe così esclusivamente in un ineffabile dato quantitativo. Vale
infatti ripetere che la grandezza del fenomeno naturale prodotto è misura
dell’incriminazione non da sé sola, ma in collegamento con il criterio teleologi-
co delle finalità dell’incriminazione. L’entità dell’evento distruttivo concorre, in
altri termini, ad indicare il peso del carico offensivo del delitto, così contrasse-
gnando il limite che giustifica l’intervento punitivo per il titolo di reato in con-
siderazione, così come, per esempio per la ipotesi di devastazione rispetto a
quella di danneggiamento».
Circa, infine, l’obiezione che l’immissione di fattori inquinanti non avrebbe
carattere in sé distruttivo, la Corte di Cassazione, prendendo expressis verbis le
distanze dalla sentenza della Consulta, ha infine affermato che «assunta la defi-
nizione proveniente dalla stessa Corte costituzionale a perimetro della nozione
di disastro (conforme, per altro, all’eccezione primaria che il termine assume
nel linguaggio comune, di calamità, evento catastrofico), in tal modo, però, arbi-
trariamente si riduce la nozione di distruzione ai fenomeni macroscopici e visi-
vamente percepibili, escludendo senza fondamento la rilevanza di tutti i feno-
meni distruttivi prodotti da immissioni tossiche che come nel caso in esame, in-
cidono altresì sull’ecosistema e addirittura sulla composizione e quindi sulla
qualità dell’aria respirabile, determinando imponenti processi di deterioramento,
di lunga o lunghissima durata, dell’habitat umano»17.

17
La Suprema Corte ha inoltre escluso che nei casi di immissione di fattori inquinanti
l’evento non potrebbe considerarsi il portato di un’azione realizzata “mediante violenza” […],
osservazione questa «assunta dalla prospettiva normativa della violenza mezzo quale criterio di-
scretivo dei delitti contemplati nel Capo I del Titolo VI rispetto a quelli del Capo II (delitti di co-
mune pericolo mediante frode)». Sul punto i giudici di legittimità hanno ritenuto che «la distin-

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Reati ambientali 25

In termini sostanzialmente analoghi si era, poco tempo prima, espresso, nella


giurisprudenza di merito, il Tribunale di Rovigo nel processo c.d. Enel, avente
ad oggetto il delitto di disastro ex art. 434 c.p. (oltre che di omissione dolosa di
cautele contro infortuni sul lavoro ex art. 437 c.p.) in relazione alle conseguenze
ipotizzate in danno dell’ambiente e della salute della popolazione prodotte
dall’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti nell’esercizio di una centra-
le termoelettrica. Pur escludendo nel caso di specie la realizzazione dell’evento
di disastro e per l’effetto assolvendo gli imputati dal reato aggravato dall’evento
di cui al secondo comma dell’art. 434 c.p., i giudici di merito, richiamandosi al
principio espresso dalla sentenza della Suprema Corte del processo c.d. di Porto
Marghera, ritenevano la nozione di disastro «compatibile anche con un proces-
so prolungato nel tempo, che tuttavia produca danni alle persone, creando
l’ulteriore pericolo di nuovi e futuri danni alla salute e alla vita delle persone
esposte e non ancora interessate da alcuna patologia; purché, dunque, si verifi-
chi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della sa-
lute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affer-
mare l’esistenza di una lesione della pubblica incolumità» 18.
Alla medesima conclusione, ma con un diverso percorso argomentativo, è
pervenuta altra Corte di merito, la Corte d’Assise di Chieti 19, nel processo c.d.
Edison di Bussi riguardante il delitto di disastro ex art. 434 c.p. Partendo dalla
funzione residuale e «volutamente aperta» del delitto in esame, «prevista dal
Legislatore al fine di farvi rientrare quelle forme di condotta potenzialmente
idonee a determinare forme di pericolo diffusive, ma non tipizzabili a priori,
anche in virtù dell’evoluzione dello sviluppo tecnologico e delle conseguenti

zione accolta nel codice dei delitti commessi mediante violenza e commessi mediante frode ri-
sponde più ad esigenze di ordine classificatorio che di natura definitoria ed è espressione di criteri
criminologici improntati alla prevalenza del disvalore di certi aspetti modali piuttosto che ad altri
pure richiesti per l’integrazione della fattispecie, ma, soprattutto, che tale osservazione erronea-
mente identifica la nozione di violenza, assunta a criterio classificatorio, con la violenza reale co-
siddetta propria, o materialmente inferta dall’agente. E al contrario – prosegue la sentenza – as-
sunto consolidato e condiviso che nelle definizioni delle classi di reati che si articolano in base a
siffatte distinzioni, il riferimento alla commissione mediante violenza in contrapposizione a me-
diante frode, sta per lo più semplicemente ad indicare che il fatto postula l’impiego di un qualsi-
voglia energia o mezzo – diretto o indiretto, materiale o immateriale – idoneo a superare
l’opposizione della potenziale vittima e a produrre l’effetto offensivo senza la cooperazione di
quella. Sicché – si conclude – non è seriamente dubitabile che anche l’energia impiegata
nell’ambito di un processo produttivo che libera sostanze tossiche e l’inarrestabile fenomeno così
innescato di meccanica diffusione delle stesse, alla cui esposizione non è possibile resistere, rap-
presenta, nell’accezione considerata, violenza» (Cass. Pen., sez. I, 19 novembre 2014, cit.)
18
Trib. Rovigo, 31 marzo - 22 settembre 2014. Nel caso concreto, il Tribunale non ha «ravvi-
sato – neppure nell’ampia accezione di disastro sopra riportata, riferita ad una proiezione tem-
porale di lungo periodo – un macroevento che abbia concretamente prodotto danni gravi, com-
plessi ed estesi alle persone, tali da assumere le caratteristiche necessarie per la configurabilità
di un disastro».
19
Corte Assise Chieti, 19 dicembre - 2 febbraio 2015.

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26 Capitolo I

nuove fonti di rischio prospettabili», i giudici hanno rilevato che «proprio in


virtù della possibilità di ricondurre al disastro innominato rischi atipici, si è as-
sistito alla progressiva tendenza ad attrarre nel campo di applicazione della
norma incriminatrice tutte quelle condotte caratterizzate dalla particolare of-
fensività e diffusività di fenomeni di inquinamento, comportanti rischi per la sa-
lute umana», così individuandosi «la figura del disastro ambientale mediante la
quale sanzionare le attività produttive svolte con modalità tali da risultare peri-
colose, sia perché possono ingenerare incidenti di varia natura, sia per
l’impatto ambientale che ne può conseguire».
Se, hanno ricordato i giudici di merito «nessun dubbio può sussistere in or-
dine alla riconducibilità all’ipotesi di cui all’art. 434 c.p. del disastro ambien-
tale che consegue ad un fatto episodico e di deflagrante impatto, quale potrebbe
essere una fuoriuscita improvvisa di sostanze tossiche, ovvero incidenti indu-
striali di varia natura, ma comunque caratterizzati da una netta individuabilità
del fatto produttivo del pericolo», «maggiormente controversa è, invece, la qua-
lificabilità quale disastro innominato di quelle condotte che, pur producendo un
grave stato di inquinamento, sono frutto di contaminazioni storiche che hanno
determinato l’accumulo nel tempo di sostanze tossiche fino al punto di raggiun-
gere un livello tale da determinare il rischio per la salute pubblica».
Per la Corte d’Assise, a fronte di una scarna elaborazione giurisprudenziale
sul punto, la soluzione passa attraverso la valorizzazione del delitto di disastro
innominato come reato di evento a forma libera, la cui realizzazione dunque ri-
posa sulle caratteristiche – dimensionali ed offensive – dell’evento prodotto
piuttosto che sulle modalità – dirompenti o meno – con le quali quell’evento è
stato cagionato. Se, si afferma, «sulla base della sentenza della Consulta il con-
cetto di disastro va essenzialmente desunto dagli effetti che la condotta deter-
mina, dovendo quindi sussistere una particolare gravità e diffusività del perico-
lo, senza che sia richiesta anche l’unicità della condotta quale dato caratteriz-
zante del disastro» (…) «essendo il reato di cui all’art. 434 c.p. una fattispecie
causalmente orientata è ben possibile affermare che la selezione delle condotte
incriminate debba essere effettuata essenzialmente in virtù dell’effetto che le
stesse determinano, con la conseguenza che non sarà la modalità dell’azione a
descrivere l’elemento proprio del reato, bensì è la conseguenza della condotta
che – ove assurga al livello dimensionale e di offensività propria delle figure di
disastro tipizzato – può qualificarsi come disastro innominato». A supporto di
tale interpretazione, evidenziano i giudici di merito che «non tutte le ipotesi di
disastri tipizzati si caratterizzano anche per il requisito dell’immediata perce-
zione del fattore lesivo. Fenomeni quali inondazione e frane, pur avendo un
momento in cui la forza dirompente si estrinseca in modo unitario, possono es-
sere cagionate da fattori silenti e che determinano l’accumulo nel tempo della
forza necessaria a provocare l’evento». Concludeva la Corte d’Assise che «ap-
plicando tali principi alla fattispecie peculiare del disastro ambientale, ne con-

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Reati ambientali 27

segue che ben potranno in astratto configurare tale fattispecie quelle condotte,
protratte nel tempo e, singolarmente considerate, prive di una evidenza lesiva
immediata, che hanno concorso a determinare fenomeni di inquinamento diffu-
so e persistenti, tali da costituire un pericolo per la pubblica incolumità».
È parso opportuno riprodurre i passaggi salienti di alcune delle più importan-
ti recenti sentenze, benché alcune riguardanti processi tuttora pendenti nelle ri-
spettive fasi di impugnazione, relative al delitto di disastro c.d. innominato, per
rappresentare il contenuto delle questioni che il nuovo delitto di disastro am-
bientale avrebbe dovuto fronteggiare ed eventualmente risolvere.
Può anticiparsi che in relazione al controverso rapporto fra la fattispecie di
disastro innominato e i fenomeni di grave e diffuso inquinamento ambientale, la
nuova fattispecie di disastro ambientale non introduce rispetto alla struttura
dell’art. 434 c.p. alcun correttivo.
Il disastro ambientale ex art. 452-quater c.p. si presenta, come un reato di
evento a forma libera: salvo quanto si dirà a proposito dell’avverbio “abusiva-
mente”, già impiegato nella formulazione del delitto di inquinamento ambienta-
le, è punito chiunque “cagiona”, uno dei tre eventi descritti dalla fattispecie.
La condotta potrà essere tanto attiva, quanto, in forza della nota clausola di
equivalenza di cui all’art. 40, co. 2, c.p., di tipo omissivo (non impeditivo), limi-
tatamente al titolare, secondo la normativa ambientale, di una posizione di ga-
ranzia avente ad oggetto l’adempimento di specifici obblighi di prevenzione di
eventi dannosi o pericolosi per l’ambiente.
A fronte, pertanto, di una descrizione dettagliata del macroevento, vedremo,
sia sotto il profilo dimensionale che della offensività, il Legislatore non è inter-
venuto sui fattori causali che determinano la lesione all’ambiente o alla salute
delle persone, sicché, almeno ad un primo esame, resta immutata la questione
della realizzabilità o meno del disastro di nuovo conio attraverso «apporti di in-
quinanti stratificatisi nel tempo» 20.
La condotta causativa del disastro deve essere stata realizzata «abusivamen-
te».
La previsione di una clausola di antigiuridicità speciale costituisce, accanto
alla tipicizzazione degli eventi di disastro, la più evidente novità rispetto alla
fattispecie di disastro innominato, correlata ad una questione interpretativa di
cruciale importanza ai fini della ricerca di un equilibrio fra esercizio dell’attività
di impresa, in particolare della produzione industriale, e tutela dell’ambiente e
della salute.
La giurisprudenza, di recente anche costituzionale, ha affrontato, in partico-
lare, il tema della prospettabilità di una responsabilità penale per il reato di disa-
stro, del gestore di un impianto produttivo benché l’esercizio dell’attività risulti
conforme ai limiti previsti dalla legge o stabiliti in via amministrativa, in parti-

20
Corte Assise Chieti, 19 dicembre - 2 febbraio 2015, cit.

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28 Capitolo I

colare attraverso le prescrizioni contenute nel provvedimento di autorizzazione


integrata ambientale (c.d. Aia).
Il Tribunale di Rovigo, nella già citata sentenza nel processo c.d. Enel, ha ri-
tenuto che anche un’attività imprenditoriale consentita dalle norme
dell’ordinamento e svolta nel rispetto dei limiti da questo imposto possa integra-
re una responsabilità penale, nel caso di specie, per il delitto di disastro ai sensi
dell’art. 434, co. 1, c.p. Hanno affermato i giudici di merito che «qualora
l’esercizio del diritto abbia ad oggetto un’attività economica imprenditoriale,
riconosciuta ex art. 41 Cost., tale scriminate non può essere invocata per
escludere la rilevanza penale di condotte che ledano bensì di rango costituzio-
nale certamente superiore, quali la vita o la salute: infatti, in caso di conflitto
tra due beni di rango costituzionale quali l’iniziativa economica ed il diritto al-
la salute, deve necessariamente prevalere il secondo, sia perché esso – tutelato
dall’art. 41 Cost. stabilisce che l’iniziativa economica privata “non può svol-
gersi… in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità uma-
na”».
«L’opposta tesi – proseguiva il tribunale – non può fondarsi sulla giurispru-
denza elaborata in relazione alla fattispecie di cui all’art. 674 c.p. (“getto peri-
coloso di cose, n.d.r.”) 21, secondo la quale, per una affermazione di responsabi-
lità in ordine a detto reato, non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano
astrattamente idonee ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche
la puntuale e specifica dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri
fissati dalla norme speciali, qualora invece le emissioni, pur quando abbiano
arrecato concretamente offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia con-
tenute nei limiti di legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme di
carattere civilistico contenute nell’art. 844 c.c. In altri termini all’inciso “nei
casi non consentiti dalla legge” deve riconoscersi un valore rigido e decisivo,
tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito penale da
un lato e quello dell’illecito civile dall’altro» 22.
Tuttavia, concludevano i giudici, «le argomentazioni addotte dalla Cassa-
zione hanno un valore ermeneutico limitato alla fattispecie di cui all’art. 674
c.p., mentre non appaiono applicabili anche in relazione ad altre fattispecie di
pericolo o di danno, quale quelle previste dagli articoli 43423, 590, 589 c.p. In-

21
Giurisprudenza in tal senso maggioritaria: cfr., Cass. Pen., sez. III, 13 luglio 2011, n.
37495; Cass. Pen., sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40849; Cass. Pen., sez. III, 9 gennaio 2009, n.
15707; Cass. Pen., sez. III, 13 maggio 2008, n. 36845; Cass. Pen., sez. III, 27 febbraio 2008, n.
15653; Cass. Pen., sez. III, 11 maggio 2007, n. 21814; Cass. Pen., sez. III, 9 gennaio 2009, n.
15707; Cass. Pen., sez. III, 13 maggio 2008, n. 36845; Cass. Pen., sez. III, 27 febbraio 2008, n.
15653; Cass. Pen., sez. III, 11 maggio 2007, n. 21814; Cass. Pen., sez. III, 21 giugno 2006, n.
33971; Cass. Pen., sez. III, 1 febbraio 2006, n. 8299; Cass. Pen., sez. III, 10 febbraio 2005, n.
9503.
22
Trib. Rovigo, 31 marzo - 22 settembre 2014, cit.
23
Enfasi nostra.

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Reati ambientali 29

vero, mentre in ordine alla prima fattispecie appare ammissibile un margine di


tolleranza, previsto anche dalla fattispecie considerata, attraverso l’inciso “nei
casi consentiti dalla legge”, nessun margine di tolleranza può essere contem-
plato, nel nostro sistema giuridico, in ordine alla causazione di lesioni, morti o
di danno ambientale di dimensioni tali da integrare la nozione di disastro, atte-
sa la posizione preminente da attribuirsi ai beni della salute e dell’ambiente ri-
spetto a quello della libertà delle attività economiche» 24.
Negli stessi termini, in relazione al procedimento c.d. Tirreno Power di Sa-
vona, il Giudice per le indagini preliminari ha motivato il decreto di sequestro
preventivo dei generatori di una centrale termoelettrica; a sostegno del provve-
dimento cautelare, il Giudice ha ritenuto irrilevante ai fini della imputabilità
soggettiva della condotta di disastro ex art. 434 c.p., quanto meno nella forma
colposa ex art. 449 c.p., il formale rispetto dei limiti emissivi: «Può invero af-
fermarsi – ha motivato il G.I.P. – che se il rispetto dei limiti imposti esclude la
configurabilità del reato di cui all’art. 674 c.p., essendo ammissibile che il legi-
slatore o l’autorità amministrativa imponga ex imperio una soglia di tolleran-
za, tale presunzione di legittimità può operare solo in relazione ad un disturbo
(olfattivo o visivo) transeunte e non certo laddove si verifichi un danno alla sa-
lute integrante una lesione personale, o addirittura un decesso ovvero una plu-
ralità di tali eventi, rientranti nella più ampia nozione di disastro» 25.
Tali pronunce seguivano, per altro, l’importante intervento della Corte Costi-
tuzionale provocato dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Giudice per le Indagini Preliminari di Taranto nel procedimento c.d. Ilva, in re-
lazione al d.l. 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salu-
te, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti in-
dustriali di interesse strategico nazionale) 26.
Ha stabilito la Consulta, nel dichiarare inammissibili e non fondate le que-
stioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del d.l. 3 dicembre 2012, n.
207 che «il procedimento che culmina nel rilascio dell’Aia con le sue caratteri-
stiche di partecipazione e di pubblicità, rappresenta lo strumento attraverso il
quale si perviene all’individuazione del punto di equilibrio in ordine
all’accettabilità e alla gestione dei rischi, che derivano dall’attività oggetto
dell’autorizzazione». «Si deve mettere in rilievo – ha statuito la Corte Costitu-

24
Trib. Rovigo, 31 marzo - 22 settembre 2014, cit.
25
G.I.P. Savona, decreto 11 marzo 2014.
26
Fra le norme censurate figurava l’art. 1 del citato d.l. n. 207/2012 che prevede che, presso
gli stabilimenti dei quali sia riconosciuto l’interesse strategico nazionale con decreto del Presiden-
te del Consiglio dei ministri e che occupino almeno duecento persone, l’esercizio dell’attività di
impresa, quando sia indispensabile per la salvaguardia dell’occupazione e della produzione, possa
continuare per un tempo non superiore a 36 mesi, anche nel caso sia stato disposto il sequestro
giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una autorizzazione integra-
ta ambientale rilasciata in sede di riesame, al fine di assicurare la più adeguata tutela
dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

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30 Capitolo I

zionale – che la produzione siderurgica è in sé e per sé lecita, e può divenire


illecita solo in caso di inosservanza delle norme e delle prescrizioni dettate a
salvaguardia della salute e dell’ambiente. Mutate quelle norme e quelle pre-
scrizioni occorre una valutazione ex novo della liceità dei fatti e dei comporta-
mento, partendo dalla nuova base normativa. Né può essere ammesso che un
giudice (ivi compresa questa Corte) ritenga illegittima la nuova normativa in
forza di una valutazione di merito di inadeguatezza della stessa, a prescindere
dalla rilevata violazione di precisi parametri normativi».
E ancora: «L’incerta linea divisoria tra provvedimenti cautelari funzionali al
processo, di competenza dell’autorità giudiziaria, e provvedimenti di preven-
zione generale, spettanti, nel rispetto delle leggi vigenti, all’autorità ammini-
strativa, è facilmente oltrepassabile sia in un senso che nell’altro. Quando però
il confine risulta superato, non può certo determinarsi la conseguenza
dell’inibizione del potere di provvedere secondo le attribuzioni costituzionali ed
in particolare della possibilità, per il legislatore, di disciplinare ulteriormente
una determinata materia. L’avere l’amministrazione, in ipotesi, male operato
nel passato non è ragione giuridico-costituzionale sufficiente per determinare
un’espansione dei poteri dell’autorità giudiziaria oltre la decisione dei casi
concreti. Una soggettiva prognosi pessimistica sui comportamenti futuri non
può fornire base valida per una affermazione di competenza» 27.
Una questione, quindi, non solo di cruciale importanza per la tenuta del prin-
cipio di legalità in uno dei settori nevralgici dell’economia, ma sulla quale gli
orientamenti della giurisprudenza risultano assai contrastati.
Entro questo quadro si colloca la scelta del Legislatore di introdurre, nella
valutazione di penale rilevanza ai fini del nuovo delitto di disastro ambientale,
lo scrutinio di “illeceità” della condotta causativa di uno degli eventi di disastro
tipicizzati.
Come già rilevato in ordine alla fattispecie di «Inquinamento ambientale» la
fattispecie postula la violazione di altre disposizioni normative che stabiliscono
le condizioni soggettive e oggettive in difetto delle quali la condotta tenuta non
è consentita o è consentita nel rispetto di condizioni e limiti diversi da quelle
realizzatisi nel caso concreto. Si tratta, pertanto, di un requisito che, oltre ad es-
sere parte integrante del fatto costitutivo del reato, condiziona anche la sussi-
stenza del dolo inteso come coscienza e volontà dell’abuso 28.
La scelta dell’avverbio «abusivamente» in luogo della formulazione del pro-
getto di legge, secondo la quale la condotta doveva essere attuata «in violazione
di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste
a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito ammini-
strativo o penale», conferma la volontà del Legislatore di estendere la rilevanza

27
Corte Cost., 9 maggio 2013, n. 85.
28
Cfr., Cass. Pen., sez. VI, 18 gennaio 1996, n. 3413.

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Reati ambientali 31

penale del fatto anche alla violazione di norme poste in via immediata a prote-
zione di beni diversi, benché ad esso ricollegabili, dall’ambiente (si pensi alla
salute o alla sicurezza sul lavoro) 29.
Anche per il delitto in esame, l’esigenza di preservare la fattispecie da even-
tuali deficit di legalità, sotto il profilo dei corollari principi di precisione e de-
terminatezza della fattispecie, induce a ritenere che l’avverbio «abusivamente»
debba connotare la speciale illiceità della condotta di «inquinamento ambienta-
le», solo sulla base di fonti strettamente normative 30, con esclusione di principi

29
In tema di «Getto pericolo di cose» ex art. 674 c.p., che punisce l’emissione molesta di gas,
di vapori o di fumo, “l’antigiuridicità penale dell’emissione molesta consegue anche al fatto che
questa avvenga ‘nei casi non consentiti dalla legge’. Infatti, laddove esistano precisi limiti tabel-
lari di tollerabilità delle emissioni (come nel caso della normativa speciale in materia ambienta-
le, con riferimento all’inquinamento atmosferico, a quello idrico o a quello elettromagnetico), si
presumono consentite quelle che abbiano le caratteristiche qualitative e quantitative ammesse dal
legislatore speciale; nel caso invece in cui non esista una specifica valutazione normativa opera-
ta preventivamente, la valutazione di tollerabilità consentita andrà operata alla luce dei principi
che ispirano le specifiche leggi di settore” (Cass. Pen., sez. III, 21 febbraio 2006, n. 11556).
30
Nell’ambito del diritto ambientale, fra le prescrizioni di rilievo tecnico ai fini della valuta-
zione di illiceità della condotta materialmente inquinante è opportuno segnalare i c.d. BAT Refe-
rence Documents (“BREF”). Si tratta, in particolare, di atti amministrativi a carattere generale, a
loro volta basati sulle c.d. Best Available Techniques (“BAT”) o Migliori tecnologie disponibili
(“MTD”) destinati a fornire una prima indicazione non immediatamente vincolante in merito alle
possibili prescrizioni che le Amministrazioni competenti potranno recepire e imporre all’esito di
un singolo procedimento autorizzativo (in particolare ai fini del rilascio dell’Autorizzazione Inte-
grata Ambientale, c.d. “AIA”). Per tale ragione il Legislatore (europeo e nazionale) ha previsto
sin dalla dir. 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC)
un meccanismo di progressiva specificazione del precetto, di cui le BREF costituiscono una fase
intermedia, successiva alla individuazione delle BAT di settore e propedeutica all’individuazione
delle puntuali misure riguardanti il singolo impianto. Sono soltanto i precetti puntuali contenuti
nei singoli provvedimenti di autorizzazione a rendere concretamente cogenti nei confronti dei ge-
stori privati le previsioni di BAT e BREF. Le BREF, infatti, identificano un insieme di linee gui-
da, elaborate al termine di approfonditi studi, con le quali il concetto giuridico indeterminato di
BAT inizia ad essere declinato, diversamente in relazione alle diverse tipologie di impianti. In
materia di inquinamento derivante da attività produttiva industriale, le BAT e le BREF sono state
recepite nell’ordinamento nazionale a partire D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372 (di Attuazione della
dir. 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) il cui art. 3 con-
ferma che le BAT costituiscono uno dei «principi generali» della disciplina; le BREF sono le «li-
nee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili»; le «linee gui-
da» sono definite attraverso il «supporto tecnico» di un organismo appositamente istituito, pro-
prio in considerazione della loro natura non normativa. In relazione ad ogni settore produttivo,
dunque, sarà necessario verificare se e in che misura l’ordinamento abbia recepito a livello nor-
mativo le indicazioni di carattere generale fornite dalle Bref. Ad esempio l’art. 2, co. 7, del D.P.R.
24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle dirr. CEE nn. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concer-
nenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inqui-
namento prodotto dagli impianti industriali la Commissione Nazionale nominata ai sensi dell’art.
3 del D.Lgs. n. 372/1999), stabilisce che per “migliore tecnologia disponibile” s’intende il “siste-
ma tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la ri-
duzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente, sempre-

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32 Capitolo I

di ordine generale (ad esempio il principio di precauzione o di prevenzione pure


esplicitati nel testo del codice dell’ambiente) 31 o di provvedimenti amministra-
tivi emessi a presidio di interessi difformi da quello di tutela ambientale 32.

ché l’applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi”. Con decreto del Ministro
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro delle Attività
Produttive e con il Ministro della salute in data 15 aprile 2003 ha elaborato nel 2009 le “linee gui-
da” per gli impianti di combustione con potenza termica di combustione di oltre 50 MW (“Linee
guida”), ribadendo la “valenza di strumento per l’approfondimento delle conoscenze tecnologiche
nel settore” e non di fonte normativa contenente “indicazioni su ‘limiti di emissione’” (linee gui-
da, par. 1, p. 7) suscettibili di diretta applicabilità. Con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372 il Legisla-
tore nazionale ha recepito la dir. 96/61/CE (c.d. Integrated Pollution Prevention and Control –
IPPC) che esplicita nel considerando 17 il principio generale secondo cui i “valori limite di emis-
sione, parametri o misure tecniche equivalenti devono basarsi sulle migliori tecniche disponibili,
senza imporre l’uso di una tecnica o di una tecnologia specifica, tenendo presente le caratteristi-
che tecniche dell’impianto in questione, la sua posizione geografica e le condizioni ambientali
locali; che comunque le condizioni di autorizzazione prevedono disposizioni volte a ridurre al
minimo l’inquinamento ad ampio raggio o transfrontaliero e garantiscono un elevato livello di
tutela dell’ambiente nel suo complesso”. L’art. 9 della dir. IPPC, infatti, precisa che “i valori limi-
te di emissione, i parametri e le misure tecniche equivalenti… si basano sulle migliori tecniche
disponibili, senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto
delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle
condizioni locali dell’ambiente”. Gli artt. 15 ss. della dir. IPPC, a loro volta, disciplinano le mo-
dalità di scambio delle informazioni per individuare in linea generale quali tecnologie potessero
essere incluse nelle BAT per le diverse categorie industriali (a tal fine lo European IPPC Bureau
ha il compito di organizzare lo scambio propedeutico all’attività procedimentale propedeutico alla
approvazione delle BREF). Il D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 ed il D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 152 e
s.m.i. (c.d. “Codice dell’Ambiente”), pur introducendo sostanziali modifiche (su cui si tornerà
infra) hanno sempre confermato la struttura delle BAT come sopra descritta. Sulla natura discre-
zionale della valutazione con la quale l’Amministrazione recepisce, elabora ed impone le prescri-
zioni contenute nelle Bat e nelle Bref, nell’ambito del noto caso “Ilva”, la Corte Costituzionale
(sent. 9 aprile 2013, n. 85) in materia di AIA ha rilevato che «il punto di equilibrio contenuto
nell’AIA non è necessariamente il migliore in assoluto – essendo ben possibile nutrire altre opi-
nioni sui mezzi più efficaci per conseguire i risultati voluti – ma deve presumersi ragionevole,
avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici
e del personale competente; all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla parteci-
pazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter forma-
tivo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici
ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista» (p. 36) e che «non rientra
nelle attribuzioni del giudice una sorta di ‘riesame del riesame’ circa il merito dell’AIA, sul pre-
supposto… che le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti», in quanto «le
opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposi-
zione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente…».
Nella giurisprudenza di merito, si è affermato che «le Bat indicano i parametri emissivi previsti
dall’Unione europea al fine di limitare l’impatto ambientale degli impianti. Vero è che il rispetto
delle Bat non [era] previsto dalla legge come obbligatorio ma è altresì vero che esse costituisco-
no un’indicazione precisa in ordine alla condotta da tenere al fine di ridurre il danno ambienta-
le» (G.I.P. Savona, 11 marzo 2014, caso “Tirreno Power”).
31
L’art. 3-ter del D.Lgs. n. 152/2006 [Principio dell’azione ambientale] stabilisce che «La tu-
tela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da
tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante

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Reati ambientali 33

Costituiscono disastro ambientale, e su di essi gravita l’offensività del reato,


tre ipotesi, fra loro alternative, contrassegnate da altrettanti “eventi” finali la cui
descrizione, sul piano quantitativo ed offensivo, intende superare quel tasso di
intrinseca indeterminatezza proprio dell’“altro disastro” ai sensi dell’art. 434
c.p. 33 affiancandosi così alle figure tipiche di disastro previste dal codice (inon-
dazione, frana, valanga, disastro aviatorio, disastro ferroviario, ecc.) 34.
Il nuovo delitto segna, dunque, il passaggio dall’anticipazione della tutela ti-
pica dei reati pericolo (sia pure concreto) propria del disastro c.d. innominato ex
art. 434, co. 1, c.p. 35, alla lesione effettiva del bene protetto, facendo rifluire, re-

una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi
inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano
la politica della comunità in materia ambientale».
32
Nella seduta del Senato n. 452 del 19 maggio 2015 di discussione e approvazione finale del
disegno di legge S-1345-B «Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», è stato precisato
che «il termine “abusivamente” […] è stato ideato ed identificato quale termine ampio, volto a
contenere al suo interno anche le violazioni formali, cioè l’assenza di eventuale di titoli autorizza-
tivi, ma certamente in un’ottica ben più onnicomprensiva, tanto da poter comprendere, per ipotesi,
anche un caso scolastico. Si pensi ad esempio al caso in cui lo stesso titolo di natura amministra-
tiva esistente sia frutto di un iter illegittimo in senso lato, dal punto di vista amministrativo o pe-
nale: insomma, nel caso di una licenza, una DIA o qualsiasi titolo autorizzativo ottenuto magari
con la corruzione di un pubblico ufficiale, il termine “abusivamente” permetterebbe di svuotare di
forza precettiva o dello scudo penale anche l’eventuale regolarità formale di ogni tipo di autoriz-
zazione. Con il termine “abusivamente” siano dell’idea che sarà possibile operare una valutazione
complessiva della condotta in relazione a tutte le norme e ai principi giuridici» […] «Il termine
“abusivamente” non vuol dire “in assenza di autorizzazione amministrativa”» (senatore Buccarel-
la M5S), in www.senato.it.
33
Se è indiscutibile che non rientrano nell’art. 434 c.p. gli eventi già normativamente tipizzati
negli articoli precedenti, né gli eventi lesivi di interessi e beni diversi da quello categoriale, è pur
vero che anche questa figura presuppone i profili strutturali e teleologici che accomunano tutte le
figure di disastro contemplate nel capo in esame. “In questo senso per essere sussunto nella fatti-
specie innominata in esame, l’accadimento oltre che possedere rilevanti dimensioni e proporzioni
deva anche risultare individuabile nel tempo e nello spazio, con caratteristiche di istantaneità” (A.
Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo I, Reati di comune pericolo mediante violenza,
cit., p. 455).
34
Nei lavori preparatori del codice penale del 1930 erano esemplificati «l’incaglio della nave,
la caduta di un ascensore privato, il collocare, lanciare, far scoppiare o accendere dinamite o ma-
terie esplodenti, asfissianti o accecanti, gas o liquidi infiammabili» (Lavori preparatori, codice
penale, 225). In termini, Cass. Pen., sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678: «Ai fini della configurabi-
lità del reato di disastro innominato colposo di cui agli artt. 449 e 434 c.p., da un lato sul piano
dimensionale si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, an-
che se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi;
dall’altro lato sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare – in accordo con
l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la pubblica incolumità) – un peri-
colo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone».
35
Pur modellato sulla struttura dei delitti di attentato, nei quali come noto la consumazione è
anticipata alla soglia del tentativo, il delitto di disastro innominato rientra fra i reati di pericolo
concreto: la punibilità è subordinata al verificarsi del «pericolo per l’incolumità pubblica». Non

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34 Capitolo I

lativamente alla tutela del bene ambientale, in una autonoma fattispecie di reato
le ipotesi di verificazione dell’evento disastroso finora qualificate come aggra-
vante del delitto di attentato36.
Il legislatore, in particolare, quasi a voler tracciare, anche simbolicamente,
una linea di discontinuità rispetto alle incertezze interpretative che hanno finora
contrassegnato la sussunzione dei fenomeni di grave inquinamento ambientale
nella fattispecie di cui all’art. 434 c.p., ha riversato l’evento di danno (ambienta-
le) entro i confini, apparentemente più rassicuranti, di una norma definitoria.
L’evento di danno, in particolare, consiste, alternativamente: 1. nell’alterazione

sarà, pertanto, sufficiente ad integrare la fattispecie l’accertamento di una determinata situazione


concreta, pur astrattamente conforme alla previsione legale, ove ad essa non sia seguita
l’esposizione effettiva a pericolo del bene giuridico tutelato. Gli atti compiuti devono avere sul
piano oggettivo configurato, e se ne deve pertanto accertare l’obiettiva idoneità, secondo i caratte-
ri propri del tentativo ex art. 56 c.p. una situazione di fatto dalla quale con un giudizio di probabi-
lità possa scaturire il risultato lesivo, ossia l’esposizione a pericolo della incolumità pubblica. Il
giudizio di pericolo, come noto, deve essere condotto attraverso un giudizio prognostico: il giudi-
ce deve riportarsi mentalmente al momento del fatto e verificare se in quella data situazione empi-
rica era probabile (non semplicemente possibile) il verificarsi del risultato lesivo, in maniera del
tutto analoga a quanto avviene nell’accertamento del nesso di causalità; si deve quindi verificare
se, date certe situazioni empiriche e sulla base di una legge scientifica di copertura vi era la pro-
babilità che si sprigionasse un concreto pericolo per la salute della popolazione (cfr., Cass. Pen.,
sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678). Ed è infatti il momento in cui sorge il pericolo effettivo di le-
sione per la incolumità pubblica è a segnare il momento consumativo del reato di disastro di cui al
co. 1 dell’art. 434 c.p. «Per quanto attiene al delitto di disastro di cui all’art. 434 – statuisce la
costante giurisprudenza di legittimità – nell’ipotesi dolosa di cui al primo comma, la soglia per
integrare il reato è anticipata – diversamente dall’ipotesi colposa per la quale è necessario che
l’evento si verifichi – al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità, mentre qua-
lora il disastro si verifichi risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal secondo com-
ma dello stesso art. 434 c.p.» (cfr. Cass. Pen., sez. IV, 17 maggio 2006, n. 4675, Bartalini).
«Quindi, il delitto di disastro innominato di cui all’art. 434 c.p. comma 1, è reato di pericolo a
consumazione anticipata che si perfeziona con la condotta di immutatio loci, purché questa si
riveli idonea in concreto a mettere in pericolo l’ambiente; esso si realizza quando il pericolo
concerne un danno ambientale di eccezionale gravità, seppure con effetti non necessariamente
irreversibili» (Cass. Pen., sez. III, 14 luglio 2011, n. 46189; in termini, Cass. pen., sez. IV, 5
maggio 2011, n. 36626). Sul punto la dottrina ha affermato in relazione all’art. 434 c.p. che «con
riguardo ad entrambe le fattispecie delineate dal comma 1, per l’integrazione del fatto occorre
che la condotta abbia fatto sorgere il pericolo per l’incolumità pubblica; il giudice deve perciò
appurare se, dal compimento di un ‘fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una
parte di essa ovvero un altro disastro’, sia sorto un pericolo effettivo di lesione per l’incolumità
pubblica» (cfr. S. Corbetta, in G. Marinucci-E. Dolcini, Trattato, PtS, II, 1, p. 616; Gizzi, Codop-
pi-Canestrari-Manna-Papa, Pts, IV, p. 233; A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo
I, Reati di comune pericolo mediante violenza, Milano, 2008, p. 142). Secondo la dottrina, dun-
que, “il pericolo deve essere interpretato come evento essenziale al fatto” (S. Corbetta, in G. Ma-
rinucci-E. Dolcini, Trattato, Pts, II, 1, p. 617; G. Fiandaca-E. Musco, Pts, I, 515; Gizzi, in A. Ca-
doppi-S. Canestrari-Manna-Papa, Pts, IV, p. 230).
36
Vd., ex multis, Cass. Pen., sez. IV, 18 gennaio 2012, n. 15444, Tedesco; Cass. Pen., sez. III,
14 luglio 2011, n. 46189, Passariello; Cass. Pen., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 36626, Mazzei; Cass.
Pen., sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1332, Zonta; Cass. Pen., sez. I, 24 gennaio 2006, n. 7629, Licata.

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Reati ambientali 35

irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2. nell’alterazione dell’equilibrio di un


ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo
con provvedimenti eccezionali o 3. nell’offesa alla pubblica incolumità in ragione
della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti le-
sivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Le prime due ipotesi, in cui più evidente è il ruolo del danno al bene ambien-
te nella definizione dell’evento, fanno leva sul carattere insanabile del pregiudi-
zio arrecato all’equilibrio di un ecosistema [vedi retro par. 1] o riparabile, ma
solo in forza di ingenti investimenti e, cumulativamente, mediante l’adozione di
misure amministrative derogatrici rispetto all’ordinario governo del territorio.
Per quanto detto in relazione al reato di inquinamento ambientale, la diffe-
renza fra il delitto ex art. 452-bis c.p. e il più grave delitto di disastro ambientale
ruoterà attorno al confine, salvo ovviamente i casi eccezionali ed eclatanti, non
necessariamente nitido, fra reversibilità o meno dell’alterazione dell’equilibrio
del microsistema ambientale aggredito.
Più in generale, si profila un problema di natura squisitamente probatoria in
ordine all’accertamento, nel caso concreto, di una trasformazione radicale «irre-
versibile» di un ecosistema, ovvero del superamento di una soglia di onerosità
dell’intervento riparatore tale da legittimare l’applicazione del disastro, anziché
dell’inquinamento ambientale, e ancora delle caratteristiche che qualificano
come eccezionale il provvedimento amministrativo resosi necessario per rimuo-
vere il danno ambientale.
La terza ipotesi di disastro ambientale consiste nell’«offesa alla pubblica in-
columità», «in ragione della rilevanza del fatto per» (i) l’estensione della com-
promissione, (deve ritenersi, benché inespresso, dell’equilibrio di un ecosiste-
ma) o (ii) dei suoi effetti lesivi ovvero (iii) per il numero delle persone offese o
(iv) esposte a pericolo.
Nella formulazione prescelta si avverte l’eco della nota e citata sentenza del-
la corte costituzionale, nonché della giurisprudenza di legittimità formatasi in
relazione ai requisiti richiesti per integrare, in materia ambientale, il pericolo di
disastro di cui al co. 1 dell’art. 434 c.p.
Se, invero, per la Suprema Corte il (pericolo di) disastro innominato esige, sul
piano quantitativo (o dimensionale), che gli atti devono possedere una direzionali-
tà a cagionare un evento distruttivo, di proporzioni non comuni a cui possano ac-
compagnarsi danni gravi ed estesi e, [nel senso di congiuntamente], sul piano qua-
litativo che quegli stessi atti devono poter provocare il concreto pericolo per la
vita e l’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone37 quegli stessi re-

37
Nei lavori preparatori del codice penale del 1930 erano esemplificati «l’incaglio della
nave, la caduta di un ascensore privato, il collocare, lanciare, far scoppiare o accendere dinami-
te o materie esplodenti, asfissianti o accecanti, gas o liquidi infiammabili» (Lavori preparatori,
codice penale, 225). In termini, Cass. Pen., sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678: «Ai fini della
configurabilità del reato di disastro innominato colposo di cui agli artt. 449 e 434 c.p., da un

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36 Capitolo I

quisiti appaiano rifluiti nella terza delle nozioni di disastro previste, non senza,
tuttavia, differenze di rilievo.
Mentre il concetto di incolumità pubblica tutelato dall’art. 434 c.p. è (stato)
inteso, dalla Corte Costituzionale, e dalla Corte di Cassazione nella sola acce-
zione di integrità fisica delle persone38, la fattispecie in esame opera un acco-
stamento, fra il bene della salute e il bene ambientale che non agevola la ricerca
di un criterio interpretativo omogeneo.
La circostanza che fra gli indici rivelatori dell’offesa all’incolumità pubblica,
che dovranno trovare accertamento probatorio nel processo penale, siano previ-
sti, non già congiuntamente secondo l’indicazione della Consulta, ma, alternati-
vamente, «l’estensione della compromissione» o dei suoi «effetti lesivi», ovvero
«il numero delle persone offese o esposte a pericolo», evidenzia una persistente
incertezza sulla natura del disastro di nuovo conio, oscillante fra il disastro am-
bientale in senso stretto e il disastro sanitario.
L’uso, in particolare, della clausola disgiuntiva “ovvero” potrebbe intendersi,
pur in evidente contraddizione rispetto all’apparente volontà legislativa di rece-

lato sul piano dimensionale si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni
straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi,
complessi ed estesi; dall’altro lato sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provoca-
re – in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la pubblica
incolumità) – un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di per-
sone».
38
«Il concetto di “incolumità pubblica” esprime […] un concetto di sintesi; esso non incarna
un bene autonomo, qualitativamente diverso rispetto alla vita e all’integrità fisica individuale, ma
rappresenta un’astrazione concettuale, che abbraccia la vita e l’integrità fisica di soggetti concreti.
Il legislatore, infatti, non tutela la vita come bene astratto, a sé stante, ma tutte le vite reali di tutti
gli esseri umani, nessuno escluso. L’incolumità pubblica è perciò un bene solo apparentemente
collettivo (o superindividuale); essa, infatti, rappresenta la proiezione superindividuale di beni
individuali» (S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, in Trattato di dir. Pen. p.s., G. Ma-
rinucci-E. Dolcini (a cura di), Padova, 2003, p. 17). «La nozione di ‘altro disastro’ su cui gravita
la descrizione del fatto illecito, si connette all’impossibilità pratica di elencare analiticamente
tutte le situazioni astrattamente idonee a mettere in pericolo la pubblica incolumità e ciò, soprat-
tutto in correlazione all’incessante progresso tecnologico che fa continuamente affiorare nuove
fonti di rischio e, con esse, ulteriori e non preventivabili modalità di aggressione del bene protet-
to. Inoltre, l’avere anteposto, nella descrizione della fattispecie criminosa, al termine ‘disastro’,
l’aggettivo ‘altro’, fa si che il senso di detto concetto – spesso in sé alquanto indeterminato – ri-
ceve luce dalla specie dei disastri preliminarmente enumerati e contemplati negli articoli com-
presi nel Capo relativo ai ‘delitti di comune pericolo mediante violenza’ (c.d. disastri tipici) che
richiamano una nozione unitaria di disastro, inteso come evento distruttivo di proporzioni straor-
dinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi, gravi, complessi
ed estesi, ed idoneo a determinare un pericolo per la vita e l’integrità fisica di un numero inde-
terminato di persone (senza che sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o della
lesione di uno o più soggetti)», Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327. In termini, Cass. Pen., sez. III,
16 gennaio 2008, n. 9418 che ha riconosciuto rilievo ai fini dell’art. 434 c.p. ad una condotta di
accumulo sul territorio e di sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali alta-
mente pericolosi in quanto a sua volta in grado di provocare un effettivo pericolo per l’incolumità
fisica di un numero indeterminato di persone.

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Reati ambientali 37

pire normativamente i criteri distintivi del disastro ambientale pre riforma indi-
cati dalla Corte Costituzionale nel 2008, come superamento della c.d. concezio-
ne “bifasica” del reato in esame nel quale appunto si distinguono un evento di-
struttivo e in conseguenza del primo una situazione di pericolo per la vita e
l’incolumità di una pluralità di persone.
In relazione all’offesa alla pubblica incolumità è opportuno precisare, tutta-
via, che l’estensione della compromissione, o dei suoi effetti lesivi ovvero il
numero delle persone offese o esposte a pericolo non costituiscono eventi ulte-
riori rispetto al primo, né essi devono essere voluti dall’agente (configurandosi
diversamente, ad es., in caso di morte di più persone il reato di strage), benché il
relativo accertamento sia indispensabile per comprovarne la dimensione offen-
siva (collettiva) 39.
Mentre, pertanto, i primi due eventi di disastro designano altrettanti reati di
danno in senso naturalistico 40, il terzo non sembra discostarsi dalla fisionomia
del disastro aggravato dall’evento di cui al co. 2 dell’art. 434 c.p., dal quale la
riforma avrebbe pertanto scorporato l’ipotesi del disastro ambientale elevandola
a fattispecie autonoma di reato e precisandone, sul piano descrittivo, la dimen-
sione offensiva per la pubblica incolumità.
La configurazione del disastro ambientale come reato di evento implica
l’accertamento di un nesso eziologico non più intercorrente fra la condotta (di
inquinamento/contaminazione) e l’esposizione ad una situazione di (effettivo)
pericolo per l’integrità bene protetto 41, bensì fra quella condotta e un evento ef-

39
In relazione al disastro aggravato dall’evento, la corte regolatrice ha statuito che «La gran-
dezza del fenomeno naturale prodotto è misura dell’incriminazione non da sé sola, ma in colle-
gamento con il criterio teleologico delle finalità dell’incriminazione. L’entità dell’evento distrut-
tivo concorre, in altri termini, ad indicare il ‘peso’ del carico offensivo del delitto, così contras-
segnano il limite che giustifica l’intervento punitivo per il titolo di reato in considerazione, così
come, ad esempio, per la ipotesi di devastazione rispetto a quella di danneggiamento» (Cass.
Pen., sez. I, 23 febbraio 2015).
40
Ha di recente ribadito la Suprema Corte che «L’incolumità personale (collettiva) entra nel-
la previsione normativa del disastro innominato solamente sotto il profilo della pericolosità, o,
come dice la Corte costituzionale, della proiezione offensiva della condotta, che ha ad oggetto
specifico un evento materiale, il disastro, inteso come fatto distruttivo di proporzioni straordina-
rie, qualitativamente caratterizzato dalla pericolosità per la pubblica incolumità. Tale qualità –
prosegue la Corte – rileva ex se e in via immediata ai fini dell’incriminazione e non va confusa
con i concreti effetti per l’incolumità delle persone, che rilevano ai soli fini della dimensione of-
fensiva, com’è reso palese dalla pena comminata per la fattispecie aggravata dall’evento voluto;
inferiore nel massimo persino a quella prevista per l’omicidio plurimo”. “Sul piano teorico, non
può dimenticarsi che il pericolo non è mai, in sé stesso, un evento fisico naturale, bensì soltanto
un giudizio qualitativo di probabilità – o, se si vuole, di apprezzabile possibilità – che ad un fatto
ne segua un altro. Ciò che di naturalistico vi è nel pericolo è, in altri termini, solo il fatto – pura
condotta o condotta più evento – cui va collegato il giudizio concernente il rischio di un effetto
ulteriore» (Cass. Pen., sez. I, 23 febbraio 2015).
41
Giova rammentare che il giudizio di pericolo, al pari del nesso di causalità tipico dei reati di
danno, deve sorreggersi su leggi scientifiche, su enunciati che sulla base dell’osservazione empi-

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38 Capitolo I

fettivamente verificatosi 42. Rapporto causale da accertarsi, come noto, alla stre-
gua della teoria condizionalistica della “condicio sine qua non”, corroborata
dalla sussunzione sotto leggi scientifiche 43 del nesso causale, per cui l’azione
può qualificarsi condizione essenziale dell’evento solo in quanto il rapporto di
necessità fra antecedente e conseguente sia espresso da una legge (a carattere
universale o statistico) in grado di rappresentare una successione regolare tra
azione ed evento intesi come fenomeni generali e ripetibili 44.

rica, ripetuta e ripetibile, condotta e confermata secondo il metodo sperimentale proprio della
scienza, è in grado di stabilire, nella successione degli eventi, una regolarità: sulla scorta delle
circostanze esistenti al momento della condotta, il giudice è chiamato a individuare una legge
scientifica di copertura in grado di stabilire se, date quelle circostanze concrete, fosse probabile –
e non semplicemente possibile – il verificarsi dell’evento futuro temuto (e appunto non verificato-
si). Gli atti compiuti devono avere sul piano oggettivo configurato, e se ne deve pertanto accertare
l’obiettiva idoneità, secondo i caratteri propri del tentativo ex art. 56 c.p., una situazione di fatto
dalla quale con un giudizio di probabilità possa scaturire il risultato lesivo, ossia l’esposizione a
pericolo della incolumità pubblica, cfr. S. Corbetta, in G. Marinucci-E. Dolcini, Trattato, Pts, II,
1, p. 616).
42
In dottrina, sul diverso modo di atteggiarsi della spiegazione casuale fra reati di danno con
evento individuale e reati di pericolo con evento collettivo, assumendo, per la seconda categoria,
la inadeguatezza del modello classico di spiegazione nomologico-deduttiva e la possibilità di ri-
correre alle leggi epidemiologiche, vd. M. Donini, Imputazione oggettiva dell’evento, in Enc dir.,
Annali III, e Il garantismo della condicio sine qua non e il prezzo del suo abbandono. Contributo
all’analisi dei rapporti tra causalità e imputazione. Precisa tuttavia l’Autore che le leggi epide-
miologiche, ossia leggi (non studi) di copertura, per quanto probabilistiche, «esprimono regolari-
tà statistiche che hanno un valore esplicativo potenzialmente causale» nonché la certezza, a se-
guito di una precisa indagine, della assenza di fattori causali alternativi nella spiegazione
dell’evento. Nel caso esemplificativo citato dall’Autore si suppone che «i soggetti esposti a un
certo fattore di rischio (e non esposti ad altri noti) a confronto con quelli non esposti, si ammali-
no sempre secondo un coefficiente di probabilità 4 volte superiore per es. 4 volte su dieci, anziché
1 su dieci che è la percentuale normale a livello di popolazione». «Anche se non sapremo mai – si
legge – quali dei 10 esposti (e ammalati) in un certo caso siano i 3 che rappresentano il 30% del-
la percentuale di rischio maggiorato (40% - 10%), tuttavia ne possiamo indicare 3 come certi in
via alternativa, perché almeno 3 su 10 (gli esposti si ammalano nel numero di 4 su 10, anziché 1
su 10), si ammalano sempre a livello di popolazione».
43
Cfr., F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975.
«La legge scientifica, infatti, sulla base dell’osservazione empirica, ripetuta e ripetibile, condotta
e confermata secondo il metodo sperimentale proprio della scienza, è in grado di stabilire, nella
successione di eventi, una regolarità senza eccezioni (legge universale) ovvero in un alto numero
di casi (legge statistica). La funzione che la legge scientifica è in grado di esplicare è perciò dupli-
ce; spiegare perché un certo evento si è verificato, ovvero predire il verificarsi di un dato evento»
(S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, cit., p. 30).
44
«Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale
condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – univer-
sale o statistica –, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa
impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verifica-
to ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La conferma
dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente
dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la
validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così

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Reati ambientali 39

Il reato si consuma al verificarsi degli eventi di disastro ambientale definiti


dalla norma incriminatrice, ossia, rispettivamente, nel tempo e nel luogo in cui
si registra l’alterazione irreversibile o sanabile solo con mezzi eccezionali di un
ecosistema, ovvero si manifesta l’offesa alla incolumità pubblica alla stregua
degli indici rivelatori tipicizzati dalla norma.
Senza poter affrontare in questa sede le complesse questioni che, presumi-
bilmente, in sede applicativa si porranno in merito all’accertamento, sul piano
tecnico, dei segnalati eventi, si rileva, sul piano giuridico, in assenza di una pre-
visione normativa ad hoc45, che la classe di fenomeni che si è ritenuto di meglio
governare attraverso una nuova ipotesi di disastro ambientale, connotati da un
decorso causale non necessariamente macroscopico e percepibile, ripropone il
tema della individuazione del dies a quo della prescrizione in termini analoghi
al disastro ex art. 434 c.p.
Sia che l’evento assuma le sembianze di elemento aggravante del reato come
per l’art. 434, co. 2, c.p.46 sia quelle di elemento costitutivo del reato come nella
fattispecie in esame, resta inalterato il tema della eventuale persistenza nel tem-
po degli effetti lesivi della condotta e della esigenza di sapere individuare lo
spartiacque fra consumazione del reato e post factum penalmente irrilevante
benché produttivo di danni eventualmente risarcibili.
Nel noto caso “Eternit”, nel quale veniva imputato il disastro con evento di
pericolo ai sensi dell’art. 434, co. 2, c.p. provocato dalla immissione delle pol-
veri e dei residui della lavorazione dell’amianto prodotti dagli stabilimenti la cui
gestione era attribuita all’imputato, la Corte di Cassazione, muovendo dalla
premessa che anche l’evento debba essere considerato ai fini della individuazio-

che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alter-
nativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del
medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità
razionale” o “probabilità logica”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscon-
tro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base
all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico
rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutraliz-
zazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio» (Cass. Pen.,
SS.UU., 11 luglio 2002, n. 30328).
45
Si pensi, in tema di usura, all’art. 644-ter c.p., per il quale «La prescrizione del reato di usu-
ra decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale».
46
Ha affermato la corte regolatrice nel caso c.d. “Eternit” che «Nelle ipotesi in cui l’evento ag-
gravante è previsto come finalità originaria dell’agente, l’approfondimento della lesione è tipizzato
nella stessa norma incriminatrice alla stregua di conseguenza legata alla medesima condotta, in
relazione alla quale si configura dunque un doppio evento, il secondo dei quali non rappresenta me-
ro effetto dannoso esterno alla fattispecie astratta ma è per ogni aspetto evento interno ad essa, per-
sino sotto il profilo del dolo e perciò tipico seppure non necessario per il perfezionamento nella
forma ‘minima’, prevista per il titolo. In conclusione, deve riconoscersi che nell’ipotesi di cui
all’art. 434 secondo comma, cod. pen., la realizzazione dell’evento disastro funge da elemento ag-
gravatore ma la data di consumazione del reato comunque coincide con i momenti in cui l’evento si
è realizzato» (Cass. Pen., sez. I, 23 febbraio 2015).

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40 Capitolo I

ne della data di consumazione del reato, ha rammentato come la migliore dottri-


na e la giurisprudenza prevalente distinguono fra perfezione del reato ossia «la
realizzazione di tutti gli elementi della fattispecie nel loro contenuto “minimo”»
e consumazione dell’illecito «quale momento in cui si chiude l’iter criminis e il
reato perfetto raggiunge la massima gravità concreta riferibile alla fattispecie
astratta e si apre la fase del post factum»47.
Nel caso in cui, come sovente si registra nei fenomeni di disastro ambientale,
la consumazione non esaurisce tutti gli effetti dannosi collegati o collegabili alla
realizzazione della fattispecie, è necessario, tracciare una linea di confine fra i
due momenti, facendo decorrere dal primo il dies a quo della prescrizione e va-
lorizzare il secondo quale indice di gravità del reato o del danno risarcibile. La
Suprema Corte ha ritenuto nel caso concreto che la consumazione del reato di
disastro non potesse considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le
immissioni delle polveri e dei residui della lavorazione dell’amianto prodotto
negli stabilimenti ed oltre la cessazione dell’attività produttiva «che aveva de-
terminato e completato per accumulo e progressivo incessante incremento la
disastrosa contaminazione dell’ambiente lavorativo e del territorio circostan-
te». Né, hanno rilevato i giudici di legittimità, potrebbe attribuirsi rilievo «a ti-
tolo di protrazione della condotta costitutiva del disastro» alla mancata o in-
completa bonifica dei siti, in quanto ciò «postulerebbe che si potesse ricostruire
la fattispecie in termini bifasici: una prima commissiva e una seconda omissiva,
violativa dell’obbligo di far cessare la situazione antigiuridica prodotta», ob-
bligo, per altro, che in tale ottica, «dovrebbe operare rispetto a ogni fattispecie
che non contempli la distruzione del bene protetto, qualificando come perma-
nente il relativo reato» 48.
Nel citato processo c.d. Edison di Bussi, la Corte d’Assise di Chieti, in rela-
zione alla questione della individuazione del momento consumativo del reato di
disastro innominato, dal quale far decorrere il tempo necessario a prescrivere il
reato, ha rilevato che «nei casi in cui il disastro ambientale sia conseguito a
prolungate immissioni di sostanze inquinanti nell’ambiente, il momento consu-
mativo non va certamente individuato con riferimento alla definitiva cessazione
degli effetti dell’inquinamento, bensì va ancorato al momento in cui la condotta
di inquinamento è assurta al livello di gravità, diffusività e pericolosità per la
salute tale da integrare la nozione di disastro innominato. Ne consegue la so-
stanziale irrilevanza dell’eventuale perdurare nel tempo degli effetti nocivi del-
la condotta, proprio perché si tratta delle mere conseguenze del reato e non già
della condotta di consumazione dello stesso» 49.
Per quanto quindi non solo una situazione di pericolo ma anche di danno (as-
surge a caso di scuola in tal senso l’evento di alterazione “irreversibile” di un
47
Cass. Pen., sez. I, 23 febbraio 2015.
48
Cass. Pen., sez. I, 23 febbraio 2015.
49
Corte Assise Chieti, 19 dicembre - 2 febbraio 2015, cit.

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Reati ambientali 41

ecosistema i cui effetti sono destinati a protrarsi sine die) possono protrarre nel
tempo i propri effetti, sarà necessario ai fini della prescrizione, come detto in
assenza di una diversa disciplina, stabilire caso per quando (e dove) sia stato ca-
gionato l’evento lesivo tipicizzato, facendo decorrere da esso, e non dalla cessa-
zione di ulteriori e potenzialmente irrimediabili effetti, il termine per la prescri-
zione del reato.
La configurazione del disastro ambientale come reato di evento, sembra ren-
derlo compatibile, a differenza del reato ex art. 434, co. 1, c.p. 50 con la realizza-
zione in forma tentata ex art. 56 c.p.
La clausola di esclusione con la quale esordisce la fattispecie di disastro am-
bientale (“fuori dai casi previsti dall’articolo 434”), appare sovrabbondante,
considerato che la portata innovativa dei primi due eventi di disastro ambientale
ed estensiva della terza rispetto a quella enucleabile in via interpretativa dall’art.
434, co. 1, c.p., unitamente alla più grave previsione sanzionatoria dell’art. 452-
quater c.p. consentono già ai sensi dell’art. 2 c.p. di risolvere i rapporti di diritto
intertemporale fra le due fattispecie.
La mancata inclusione del reato in esame nell’art. 452-ter c.p., a differenza
del delitto di inquinamento ambientale, implica un concorso formale fra il delit-
to base di disastro ambientale e i delitti di omicidio colposo o lesioni personali
colpose come conseguenze appunto non voluta del primo.

50
Come noto il reato ex art. 434, co. 1, c.p., rientra nella categoria dei delitti di attentato per i
quali in virtù della anticipazione di tutela apprestata a beni stimati di particolare rilievo si punisce
a titolo di consumazione un fatto che in concreto integra gli estremi del tentativo di delitto ex art.
56 c.p. V. Manzini, in Trattato di Diritto Penale Italiano, Delitti contro la pubblica incolumità,
VI vol., V ed., Utet, p. 346; S. Corbetta, in Trattato di diritto penale, parte speciale, Delitti contro
la Pubblica incolumità, Vol. II, Tomo I, p. 584; Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327 in cui è dato
leggere “si deve rilevare come, nell’ipotesi descritta dall’art. 434 cod. pen., il ‘pericolo per la
pubblica incolumità’ risulti espressamente richiesto anche in rapporto al delitto di attentato pre-
visto dal primo comma”; G. Marinucci, voce “Crollo di costruzioni”, in Enc. Dir., Vol. XI, Mila-
no, 1962, p. 418, sul punto si è affermato che “nel comma 1 il legislatore ha ritenuto di punire
autonomamente un fatto, quello diretto alla produzione del crollo, allo stadio di incompiuta rea-
lizzazione, come manifestazione tentata di una figura base”; Gargani, in Reati contro l’incolumità
pubblica, Tomo I, Reati di comune pericolo mediante violenza, Giuffrè, 2008; sul punto cfr. an-
che A.L. Vergine, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen.,
in Ambiente & Sviluppo, 6/2013. Del resto già nella Relazione Ministeriale al codice penale si
affermava che all’espressione “… commette un fatto diretto a…” dovesse essere attribuito il me-
desimo significato già assegnatole nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato. In so-
stanza si tratta di fatti che «per la loro direzione e per la loro attitudine materiale ed obiettiva,
rientrerebbero nella sfera del tentativo rispetto all’evento voluto dall’agente, ma che la legge
considera come sufficienti alla perfezione di un delitto autonomo”, Relazione Ministeriale, in La-
vori Preparatori del cod. pen. e del cod. proc. pen., V, II, Roma, p. 226. La Cassazione ha infatti
affermato che “… si tratta di un delitto di attentato, trattandosi di un tentativo, qualunque sia
l’atto o il fatto costitutivo dell’azione», Cass. Pen., sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1332, in Banca
dati De Jure. In termini Cass., sez. I, 18 luglio 2011, n. 28238, che definisce la fattispecie di cui
all’art. 434, co. 1, c.p. “un delitto di attentato innominato”.

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42 Capitolo I

Sotto il profilo soggettivo, la costruzione del delitto di disastro ambientale


come reato di evento (di danno), introduce le premesse per una possibile rivisi-
tazione della forma di dolo richiesta in capo all’agente rispetto al reato di peri-
colo di disastro innominato di cui al co. 1 dell’art. 434 c.p.
Come noto, infatti, alla luce della più recente e consolidata giurisprudenza di
legittimità, il dolo del delitto ex art. 434 c.p. si presenta composito: è intenzio-
nale con riferimento alla condotta di attentato51, generico, anche nella forma

51
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale – con riferimento al reato di cui al co.
1 dell’art. 434 c.p. – è «da escludere che l’elemento psicologico richiesto per la configurabilità
del reato di cui all’art. 434 possa essere costituito dal dolo eventuale», essendo invece necessario
«il dolo intenzionale» (Cass., sez. I, 7 ottobre 2009, n. 41306, Scola; In particolare la Cassazione
ha affermato i seguenti principi di diritto: «a) il dolo eventuale è incompatibile con le ipotesi de-
littuose nelle quali l’elemento psicologico del reato sia tipizzato nei termini di volontà diretta al
raggiungimento di uno scopo preciso, opportunamente descritto dalla norma incriminatrice; b)
l’elemento psicologico richiesto dall’art. 434 c.p. per la sussistenza del reato, in quanto descritto
nella ipotesi tipizzata dal legislatore come volontà diretta a cagionare un crollo od altro evento
disastroso, esclude la possibilità di ipotesi concrete incriminabili a titolo di dolo eventuale”. “Se-
condo l’ormai consolidata lezione dottrinale – ha precisato la corte regolatrice – si ha dolo diret-
to o intenzionale quando la volontà dell’agente è diretta ad un determinato risultato. Si ritengono
altresì voluti i risultati di quei comportamenti che siano stati comunque previsti dal soggetto, an-
che soltanto come possibili, purché egli ne abbia accettato il rischio, o, più semplicemente, pur-
ché non abbia agito con la sicura convinzione che non si sarebbero verificati. In questa ipotesi il
dolo viene qualificato dolo indiretto o eventuale. Nell’ambito dell’elemento psicologico del reato,
però, quest’ultima categoria di dolo non è ipotizzabile per ogni tipo di condotta delittuosa dolosa.
Quando accade, infatti, che la norma incriminatrice richieda espressamente che il soggetto abbia
agito con un determinato fine, non è possibile ipotizzare che egli abbia agito a costo di determi-
narlo, poiché è evidente in tal caso l’incongruità logica tra la premessa ed il dato ad essa colle-
gato. È quanto si registra nell’ipotesi in esame. Venendo infatti alla norma incriminatrice di cui
all’art. 434 c.p., la tipizzazione codicistica richiede per la sussistenza del reato che l’agente
commetta ‘un fatto diretto a cagionare un crollo di una costruzione o di una parte di esso ovvero
ad un altro disastrò, di guisa che, nella ipotesi in cui il fatto consumato sia stato posto in essere
non già per conseguire questo risultato, e cioè un crollo rovinoso ovvero altro disastro, ma per
conseguire altra finalità, viene a mancare sia l’elemento oggettivo del reato, che per la sua con-
figurazione richiede, appunto, ‘un fatto diretto a cagionare’ crolli o disastri, sia l’elemento psico-
logico del reato, poiché il dolo delineato nella ipotesi anzi descritta dalla fattispecie criminosa in
esame, comporta la volontà diretta a cagionare detto crollo od altro disastro. In altri termini, è
possibile ipotizzare la tipologia teoretica del dolo eventuale soltanto allorché la legge non richie-
da, espressamente, che il soggetto agente si sia determinato alla consumazione della condotta
con un determinato fine». In termini, Cass., sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1332, Zonta; in termini
Cass., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 36626; Cass., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 36626. Negli stessi
termini si è espressa la prevalente dottrina, cfr. Corbetta S., in Marinucci–Dolcini, Trattato di Di-
ritto Penale, Parte Speciale, II, 1, p. 639; Gizzi, in Codoppi-Canestrari-Manna-Papa, Trattato di
Diritto Penale, Parte Speciale, IV, p. 242. Più di recente, nella giurisprudenza di merito, vd. la
sentenza della Corte App. Torino, 2 settembre 2013 (confermata dalla Cass., sez. I, 19 novembre
2014-23 febbraio 2015, n. 7941) nel noto caso “Eternit” per la quale, in riforma della sentenza del
Tribunale (del 13 febbraio 2012) il co. 1 dell’art. 434 c.p. è caratterizzato dal dolo intenzionale
laddove – viceversa – solo per la fattispecie di cui al capoverso dell’art. 434 c.p. (considerata co-
me reato autonomo) è sufficiente il dolo generico: «per quanto concerne il modo con cui si atteg-
gia il dolo nel reato di disastro innominato, occorre ricordare che la giurisprudenza è orientata a

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Reati ambientali 43

eventuale, con riguardo al pericolo (concreto) per la pubblica incolumità 52:


l’agente deve avere compiuto gli atti allo scopo di cagionare il disastro, rappre-
sentandosi effettivamente la possibilità che dalla propria condotta derivi il peri-
colo per la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone53.
L’unificazione del nuovo delitto entro lo schema del reato di evento, potrebbe
rendere sufficiente in capo all’agente, ampliando le maglie dell’incriminazione, il
solo dolo generico, dunque, anche nella forma eventuale 54.

ritenere che esso è intenzionale rispetto all’evento di disastro ed è eventuale rispetto al pericolo
per la pubblica incolumità (così Cass. pen., sez. I, 14.12.2010 n. 1332, Zonta; Cass. pen., sez. IV,
5.05.2011, n. 36626, Mazzei). La sentenza appellata, per contro, ha espresso la convinzione che il
dolo del reato in questione non possa essere limitato al dolo intenzionale, ma debba essere inteso
come dolo generico comprensivo del dolo diretto e di quello eventuale” (…) “È opinione di que-
sta Corte che il dibattito sull’argomento si possa reputare superato in forza dell’osservazione che
la fattispecie prevista dall’art. 434 cpv c.p. costituisce un titolo di reato autonomo” (…) “Qualo-
ra invece si convenga che, come ritiene questa Corte, il capoverso della norma di cui si discute
prevede una figura autonoma di disastro doloso consumato, allora l’individuazione del modo di
atteggiarsi del dolo diventa un problema facilmente risolubile. Infatti, la definizione del dolo in
tal caso va armonizzata con l’autonomia del reato di disastro consumato di cui all’art. 434 cpv
c.p., prescindendo dal riferimento alla configurazione dell’elemento soggettivo per l’ipotesi con-
templata dal comma precedente” (…) “Pertanto, posto che la disposizione del capoverso della
norma citata deve essere letta nel senso che punisce chiunque cagiona il crollo di una costruzione
o un altro disastro, è ovvio che tale formulazione postula il dolo generico. Il problema consistente
nel limitare l’elemento soggettivo al dolo intenzionale è, infatti esclusivamente legato
all’esigenza di costruirlo sopra la formulazione del primo comma, imperniata sul concetto di atti
diretti a cagionare un disastro. Una volta che tale esigenza venga meno a causa dell’autonomia
dell’ipotesi di reato contemplata dall’art. 434 cpv. c.p. l’indagine intesa a definire il modo con
cui si atteggia l’elemento soggettivo è semplificata. Non incontra perciò nessuna difficoltà
nell’ammettere che l’elemento soggettivo richiesto per la commissione del fatto costituente reato
è necessariamente il dolo generico» (pp. 473, 474 e 475). Contra, nella giurisprudenza di merito,
cfr. Trib. del Riesame di Taranto 7 agosto 2012 (caso “Ilva”), del Trib. Avellino 15 giugno 2013
(caso rifiuti Campanai) e del G.I.P. Savona 11 marzo 2014 (caso c.d. “Tirreno Power”).
52
Con riguardo all’ipotesi del crollo ma con argomenti applicabili anche al disastro innomina-
to, «Un atteggiamento finalistico verso il crollo, che rappresenta lo scopo, il fine verso cui è indi-
rizzata l’azione delittuosa, e nei cui confronti, perciò il dolo si configura come intenzione», G.
Marinucci, Crollo di costruzioni, in EdD, XI, 1962, p. 415.
53
A. Cadoppi–S. Canestrari–A. Manna–M. Papa, Trattato di dir. pen., Parte speciale, I delitti
contro l’incolumità pubblica, cit., p. 231.
54
Il dolo eventuale, come noto, designa tradizionalmente l’ipotesi in cui l’evento non costituisce
l’esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile; non è né
dolo intenzionale né dolo diretto dunque in quanto l’agente si rappresenta un possibile risultato della
condotta e ciononostante si determina ad agire accettando la prospettiva che l’accadimento abbia luo-
go. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel caso Thyssenkrupp hanno aderito all’orientamento che
individua quale tratto essenziale del dolo eventuale la «relazione tra la volontà e la causazione
dell’evento» quale «nucleo sacramentale dell’istituto». Anche nel dolo eventuale cioè «si tratta allora
di andare alla ricerca della volontà o meglio di qualcosa ad essa equivalente nella considerazione
umana, in modo che possa essere sensatamente mosso il rimprovero doloso e la colpevolezza, quindi
di concretizzi. Tale essenziale atteggiamento difetta assolutamente nella mera accettazione del ri-
schio, che trascura l’essenziale relazione tra condotta volontaria ed evento; e, come è stato osservato,
finisce col trasformare gli illeciti di evento in reati di pericolo». Ai fini dell’accertamento del dolo

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44 Capitolo I

Il delitto di disastro ambientale prevede, analogamente all’art. 452-bis c.p.,


al co. 2, una circostanza aggravante comune, ossia con aumento della pena fino
a un terzo, nei casi in cui il disastro colpisca un’area tutelate o una specie ani-
male e vegetale protette.
Anche ai condannati per il reato di “disastro ambientale” è stata estesa la pe-
na accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Il
legislatore ha previsto, in caso di condanna o di patteggiamento la confisca ob-
bligatoria, anche per equivalente, e salvi i diritti dei terzi estranei al reato, delle
cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a com-
mettere il reato, con destinazione vincolata di quanto confiscato alla bonifica dei
luoghi. Solo nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla
messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello
stato dei luoghi, la confisca non trova applicazione.
Sui medesimi presupposti, è stata, altresì, estesa al delitto di “disastro am-
bientale” la confisca ex art. 12-sexies, D.L. n. 306/1992 55 del denaro, dei beni o

eventuale, quindi, precisano le Sezioni Unite «occorrerà comprendere se l’agente si sia lucidamente
raffigurata la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effet-
to collaterale della sua condotta si sia per così dire confrontato con esso e infine, dopo avere tutto
soppesato, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare si sia consapevol-
mente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa». Non
mancano inoltre le Sezioni Unite di delineare – aspetto di notevole pregnanza nella presente vicenda –
lo standard di approfondimento e di giudizio invalicabile per dimostrare la sussistenza del dolo even-
tuale: «l’indagine demandata al giudice richiede un estremo, disinteressato sforzo di analisi e com-
prensione dei dettagli; un atteggiamento, cioè, immune dalla tentazione di farsi protagonista di scelte
politico criminali che non gli competono ed al contempo attivamente interessato alla comprensione
dei fatti, anche quelli psichici, alieno dall’applicazione pigra di meccanismi presuntivi”. “Non può
certo nascondersi – proseguono le Sezioni Unite – che un tale itinerario non è per nulla facile, non
solo e non tanto per l’affinato talento critico che richiede, ma anche perché spesso il materiale proba-
torio è povero, non consente quella completa lettura di scenario dalla quale soltanto può scaturire un
persuasivo giudizio di colpevolezza per dolo eventuale». Diversamente, hanno rilevato le sezioni uni-
te, la colpa con previsione, proprio in virtù dell’adesione riguardo alla ricostruzione del dolo eventua-
le, alla teoria della volontà, deve rimanere saldamente ancorata al versante della non-volontà –
l’evento o la condotta non devono essere volute per poter dischiuderne un eventuale rimprovero col-
poso – è pur vero che essa definisce uno spazio ulteriore rispetto alla colpa incosciente, e che ne giu-
stifica il giudizio di maggior severità sanzionatoria da parte dell’ordinamento. Nella colpa cosciente,
invero, la «verificazione dell’illecito da prospettiva teorica diviene evenienza concretamente presente
nella mente dell’agente; e mostra per così dire in azione l’istanza cautelare. L’agente ha concreta-
mente presente la connessione causale rischiosa; il nesso tra cautela ed evento. L’evento diviene og-
getto di considerazione che disvela tale istanza cautelare, ne fa acquisire consapevolezza soggettiva.
Di qui il più grave rimprovero nei confronti di chi pur consapevole della concreta temperie rischiosa
in atto, si astenga dalle condotte doverose volte a presidiare quel rischio. In questa mancanza, in que-
sta trascuratezza è il nucleo della colpevolezza colposa contrassegnata dalla previsione dell’evento:
si è, consapevolmente, entro una situazione rischiosa e per trascuratezza, imperizia, insipienza, irra-
gionevolezza o altra biasimevole ragione ci si astiene dall’agire doverosamente» (Cass. Pen., SS.UU.,
24 aprile-18 settembre 2004, n. 38343, rel. dott. Blaiotta).
55
«La confisca obbligatoria prevista nel caso di condanna (o di applicazione della pena su
richiesta) per determinati reati dall’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. con modifi-

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Reati ambientali 45

delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di


cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere
la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, di-
chiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
Con la sentenza di condanna o di patteggiamento il giudice ordina, ai sensi
dell’art. 452-duodecies, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino
dello stato dei luoghi secondo le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale, ponendone
l’esecuzione a carico del condannato nonché delle persone giuridiche, diverse
dagli enti pubblici territoriali, fra quelle sottoposte al ruolo di obbligati civili per
il pagamento della multa e dell’ammenda ai sensi dell’art. 197 c.p.
Il termine di prescrizione, decorrente dalla consumazione del reato, è pari al-
la pena massima prevista per il delitto in esame, di anni quindici, ma raddoppia-
to, ad anni trenta, in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1,
co. 6, della L. 22 maggio 2015, n. 68.
In forza dell’art. 452-quinquies c.p., il delitto di disastro ambientale è punibi-
le anche per colpa, con diminuzione della pena prevista dall’ipotesi dolosa da
un terzo a due terzi.
In caso di condanna è stata estesa al reo la pena accessoria della incapacità di
contrattare con la pubblica amministrazione.
Il disastro ambientale, ai sensi dell’art. 25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001, an-

cazioni in legge 7 agosto 1992 n. 356 (articolo aggiunto dall’art. 2 del d.l. 20 giugno 1994 n.
399, conv. con modificazioni in legge 8 agosto 1994 n. 501), può cadere solo su beni che di fatto
appartengano al condannato e sui quali egli sia in grado di esercitare una qualificata signoria, a
prescindere dal formale titolo giuridico e financo dalla stessa materiale detenzione; e ciò in
quanto l’istituto in questione – come già posto in evidenza dalla Corte costituzionale
nell’ordinanza n. 18 del 1996 – presenta ‘struttura e presupposti diversi dall’istituto generale
previsto dall’art. 240 c.p.’, giacché il necessario vincolo di pertinenzialità tra cose e reato, posto
a fondamento della confisca ‘ordinaria’, si dissolve totalmente nella particolare ipotesi di confi-
sca prevista dalla norma speciale in discorso, assumendo per quest’ultima risalto non più la cor-
relazione tra un determinato bene ed un certo reato, ma il ben diverso nesso che si stabilisce tra
il patrimonio ‘ingiustificato’ e la persona nei confronti della quale sia stata pronunciata condan-
na o disposta l’applicazione della pena” (Cass. Pen., sez. I, 25 settembre 2000, n. 5263); “La con-
fisca prevista dall’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, conv., con modificazioni, nella l. n. 356 del
1992 non può colpire beni che siano stati acquistati dopo la sentenza di condanna assunta come
presupposto per l’applicazione della misura, salva l’eventualità che il danaro utilizzato per
l’acquisto risulti essere stato in possesso del condannato fin da epoca precedente” (Cass. Pen.,
sez. I, 11 febbraio 2015, n. 12047). “La confisca introdotta dall’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992
quale misura di sicurezza patrimoniale dai contorni atipici, pur implicando un accertamento sul-
la sproporzione del patrimonio del condannato rispetto al reddito dichiarato, può essere applica-
ta dal giudice dell’esecuzione» (Cass. Pen., SS.UU., 30 maggio 2001, n. 29022). «La confisca
prevista dall’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. con modificazioni in l. 7 agosto
1992 n. 356, non può essere disposta nei confronti di persone giuridiche, operando, con riguardo
a queste ultime, ove ne ricorrano i presupposti, soltanto il disposto di cui all’art. 19 d.lg. 8 giu-
gno 2001 n. 231» (Cass. Pen., sez. I, 5 novembre 2009, n. 1116).

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46 Capitolo I

che nella forma colposa, è inserito fra i reati presupposto della responsabilità
amministrativa degli enti, il cui illecito è sanzionato, oltre che con pena pecu-
niaria (da 400 a 800 quote, in relazione al disastro ambientale doloso e da 200 a
500 quote in relazione al disastro ambientale colposo), con una delle sanzioni
interdittive ex art. 9, D.Lgs. n. 231/2001, per una durata non superiore a un anno
(interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di autorizzazioni,
licenze o concessioni; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;
esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale re-
voca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni e servizi).
Sul piano processuale, la cognizione del delitto di disastro ambientale
compete al Tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 33-bis
c.p.p. Sono, altresì, applicabili, ex art. 280 c.p.p., misure cautelari personali, e
sono ammissibili, ex art. 266 c.p.p., intercettazioni di conversazioni e comuni-
cazioni.

4. Il «Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività»


Art. 452-sexies c.p. «I - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è puni-
to con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro
50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, espor-
ta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente
di materiale ad alta radioattività. II - La pena di cui al primo comma è aumen-
tata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento: 1)
delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sotto-
suolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della
fauna. III - Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle per-
sone, la pena è aumentata fino alla metà».
Il reato di «Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività» punisce
chiunque, abusivamente, cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, pro-
cura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di mate-
riale ad alta radioattività.
Il delitto rispecchia lo schema dei reati a più fattispecie, per la cui integra-
zione è sufficiente compiere una sola delle condotte descritte, mentre unico ri-
marrà il reato ove l’agente realizzi diverse condotte tipizzate, purché nel mede-
simo contesto spazio-temporale e in relazione al medesimo materiale56.

56
La Suprema Corte, in materia di stupefacenti, statuisce «che l’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990
ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato è con-
figurabile allorché il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste,
dall’altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri
contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprez-
zabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima
sostanza stupefacente» (cfr., per tutte, Cass. Pen., sez. III, 15 gennaio 2015, n. 7404).

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Reati ambientali 47

La fattispecie configura un reato di pericolo presunto o astratto col quale il


legislatore, al fine di presidiare le matrici ambientali dalla estrema potenzialità
lesiva dei materiali radioattivi, e prevenire eventi di inquinamento o disastro
ambientale, anticipa la soglia di punibilità colpendo chiunque disponga di tali
materiali senza averne titolo o violando i limiti posti dall’ordinamento o
dall’autorità amministrativa al suo utilizzo e circolazione.
D’altro canto, la previsione, al co. 2, di una circostanza aggravante (comune)
nel caso in cui dal fatto derivi un pericolo di compromissione o deterioramento
delle matrici ambientali, conferma ai fini della consumazione del reato in esame
l’irrilevanza dell’accertamento che la condotta sia sfociata in un concreto peri-
colo per l’ambiente, il cui verificarsi appunto determina un aggravamento san-
zionatorio.
Desta, pertanto, perplessità il riferimento all’«alta» radioattività del materia-
le oggetto delle condotte punibili, in quanto, in apparente contrasto con lo scopo
di anticipazione della tutela sotteso alla fattispecie in oggetto, la norma richiede
che il materiale oggetto del traffico illecito superi una soglia, per altro da indi-
viduare nel caso concreto, oltre la quale è ben difficile immaginare che un con-
creto pericolo per le matrici ambientali non si sia già verificato. Circostanza che
rende, altresì, evanescente il confine fra il reato stesso e la circostanza aggra-
vante di cui al co. 2.
La condotta, replicando la nota di illiceità delle fattispecie di inquinamento e
di disastro ambientale, deve essere realizzata «abusivamente», pertanto, deve
ritenersi non solo sine titulo, ma anche in violazione delle norme e dei provve-
dimenti (licenze, autorizzazioni, ecc.) che regolano, nel nostro ordinamento, la
detenzione, l’uso, la circolazione, ecc. di materiali ad alta radioattività 57
Così inteso l’avverbio «abusivamente», risulterebbe pleonastico il riferimen-
to ulteriore alla “illegittimità” della condotta.
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui vengono realizzate le

57
In tema di requisiti a garanzia del trasporto in sicurezza delle materie radioattive, la fonte
di riferimento, a livello internazionale, è la regolamentazione IAEA (l’Agenzia Internazionale
dell’Energia Atomica): essa rappresenta il testo di riferimento, per le materie radioattive, di
tutti i regolamenti internazionali (ADR, RID, ADN, IMDG Code e ICAO TI) che governano il
trasporto delle merci pericolose per le diverse modalità di trasporto (terrestre, marittimo ed ae-
reo). A livello nazionale, tale regolamento trova attuazione attraverso differenti provvedimenti
normativi specifici per ogni modalità di trasporto: si veda, in particolare, la L. 31 dicembre
1962, n. 1860, come modificata dal D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, e dal D.P.R. 10 maggio
1975, n. 519, che prevede uno specifico regime autorizzativo per le attività di trasporto, e dal
D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, successivamente modificato dal D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 241,
che oltre a introdurre norme particolari per il trasporto delle materie radioattive, reca la disci-
plina generale della radioprotezione, cui le stesse attività di trasporto sono soggette. Per una
analisi nel dettaglio della regolamentazione internazionale, vd., Traduzione della pubblicazione
«Regulations for the Safe Transport of Radioactive MaterialSafety Standards Series No. TS-R-
1 © IAEA, 2005», nel sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale,
www.isprambiente.gov.it.

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48 Capitolo I

condotte di cessione, acquisto, ricezione, trasporto, importazione, esportazione


ecc. previste dalla norma in esame 58.
Si tratterà di verificare, altresì, nella prassi applicativa il rapporto fra mate-
riale ad «alta» radioattività, e materiali nucleari59, regolati dalla L. 7 agosto
1982, n. 704 [Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla protezione fisica
dei materiali nucleari, con allegati, aperta alla firma a Vienna ed a New York il
3 marzo 1980] così come modificata dalla L. 28 aprile 2015, n. 58, con partico-
lare riguardo al reato previsto dall’art. 3, L. 7 agosto 1982, n. 704 che punisce
con la reclusione fino a due anni «Chiunque, senza autorizzazione, riceve, pos-
siede, usa, trasferisce, trasforma, aliena o disperde materiale nucleare in modo
da cagionare a una o più persone la morte o lesioni personali gravi o gravissime
ovvero da determinare il pericolo dei detti eventi, ferme restando le disposizioni
degli articoli 589 e 590 del codice penale. Quando è cagionato solo un danno
alle cose di particolare gravità o si determina il pericolo di detto evento, si ap-
plica la pena della reclusione fino ad un anno».
Il co. 2 dell’art. 452-sexies c.p. prevede una circostanza aggravante comune,
con aumento della pena fino a un terzo, nell’ipotesi in cui dal fatto derivi un pe-
ricolo di compromissione o deterioramento delle matrici ambientali indicate,
mentre il co. 3 prevede un’aggravante speciale che eleva la pena detentiva fino
alla metà se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone.
Anche per i condannati a tale delitto è stata estesa la pena accessoria della
incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione
Il legislatore ha, inoltre, previsto, in caso di condanna o di patteggiamento
anche per “traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività”, la confisca
obbligatoria, anche per equivalente, e salvi i diritti dei terzi estranei al reato,
delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a
commettere il reato, con destinazione vincolata di quanto confiscato alla bonifi-
ca dei luoghi. Solo nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto

58
In materia di stupefacenti, giova rammentare che in caso di commissione di diverse condot-
te previste dall’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, quando si riferiscano alla stessa sostanza
stupefacente e siano indirizzate ad un unico fine, se consumate senza un’apprezzabile soluzione di
continuità «devono considerarsi come condotte plurime di un unico reato e, al fine della determi-
nazione della competenza per territorio, deve farsi riferimento al luogo di consumazione della
prima di esse» e solo ove tale luogo non sia identificabile, ricorrere ai criteri suppleciti di cui
all’art. 9 c.p.p.» (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., sez. IV, 19 novembre 2008, n. 6203, in termini,
Cass. Pen., sez. IV, 31 gennaio 2008, n. 9496; Cass. Pen., sez. IV, 18 ottobre 2007, n. 42740).
59
Ai sensi dell’art. 2, L. 7 agosto 1982, n. 704 «Ai fini della presente Convenzione: a) per
“materiale nucleare” si intende il plutonio ad eccezione di quello la cui concentrazione isotopica
in plutonio 238 supera l’80 per cento; l’uranio 233; l’uranio arricchito negli isotopi 235 o 233;
l’uranio contenente la mescolanza di isotopi che si trova in natura o in forma diversa da quella di
minerale o di residuo minerale; qualunque materiale contenente uno o più dei suddetti isotopi; b)
per “uranio arricchito negli isotopi 235 o 233” si intende l’uranio contenente gli isotopi 235 o 233
o entrambi in quantità tale che il rapporto di abbondanza tra la somma di questi due isotopi e
l’isotopo 238 sia superiore al rapporto tra l’isotopo 235 e l’isotopo 238 dell’uranio naturale».

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Reati ambientali 49

alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino


dello stato dei luoghi, la confisca non trova applicazione.
Con la sentenza di condanna o di patteggiamento il giudice ordina, ai sensi
dell’art. 452-duodecies, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino
dello stato dei luoghi secondo le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale, ponendone
l’esecuzione a carico del condannato nonché delle persone giuridiche, diverse
dagli enti pubblici territoriali, fra quelle sottoposte al ruolo di obbligati civili per
il pagamento della multa e dell’ammenda ai sensi dell’art. 197 c.p.
Il termine di prescrizione, decorrente dalla consumazione del reato, è pari al-
la pena massima prevista per il delitto in esame, di anni sei, ma raddoppiato, ad
anni dodici, in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1, co. 6,
della L. 22 maggio 2015, n. 68.
In caso di condanna è stata estesa al reo la pena accessoria della incapacità
di contrattare con la Pubblica Amministrazione.
Il «Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività», ai sensi dell’art.
25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001, è inserito nel catalogo dei reati presupposto
della responsabilità amministrativa degli enti, il cui illecito è sanzionato, oltre
che con pena pecuniaria (da 250 a 600 quote) con una delle sanzioni interdittive
ex art. 9, D.Lgs. n. 231/2001 (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensio-
ne o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni; divieto di contrattare con la
pubblica amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi
o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare be-
ni e servizi).
Sul piano processuale, il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta
radioattività rientra fra i reati per i quali è prevista l’udienza preliminare, mentre
la relativa cognizione compete, ai sensi dell’art. 33-ter c.p.p., al Tribunale in
composizione monocratica. Sono, altresì, applicabili, ex art. 280 c.p.p., misure
cautelari personali, e sono ammissibili, ex art. 266 c.p.p., intercettazioni di con-
versazioni e comunicazioni.

5. L’«Impedimento del controllo»


Art. 452-septies c.p. «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque,
negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato
dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo am-
bientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».
La fattispecie mira a tutelare la correttezza e l’efficacia dell’attività di vigi-
lanza e controllo svolta non solo a tutela dell’ambiente, ma anche della sicu-
rezza e igiene del lavoro, quali beni mezzo rispetto alla protezione del bene
finale.

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50 Capitolo I

Benché la norma non fornisca precisi criteri selettivi, i possibili soggetti pas-
sivi del reato possono essere le sole agenzie pubbliche istituzionalmente incari-
cate, allo svolgimento, congiunto, di una funzione di vigilanza e controllo
dell’ambiente 60, da un lato, e della sicurezza e igiene del lavoro, dall’altro. A tal

60
Senza pretesa di esaustività, si segnalano come possibili soggetti passivi del reato, in mate-
ria di vigilanza e controllo ambientale, l’ARPA (Azienda Regionale per l’Ambiente) istituita a
livello regionale, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e della L. 21 gennaio 1994, n. 61,
fra i cui compiti sono previsti quello della tutela dell’ambiente e del territorio a livello regionale, a
seconda della dislocazione di appartenenza; le diverse Regioni, nell’ambito delle proprie funzioni
in materia sanitaria e ambientale, provvedono in particolare a definire gli obiettivi generali delle
attività di prevenzione e di controllo ambientale; Il Corpo forestale dello Stato, in particolare,
preposto alla sorveglianza dei Parchi, delle Aree Naturali Protette e delle Riserve Naturali dello
Stato; gli Enti parco nazionali; il Reparto Ambientale Marino (R.A.M.) del Corpo delle Capitane-
rie di Porto istituito con L. 31 luglio 2002, n 179, che con l’entrata in vigore del Decreto Diretto-
riale 24 aprile 2008 ha assunto attribuzioni istituzionali di natura tecnico/operativa in materia, fra
l’altro, di promozione della sicurezza ambientale in mare, con riferimento al rischio di incidenti
marini; pianificazione e coordinamento, d’intesa con la Centrale Operativa del Comando generale
del Corpo delle capitanerie di porto degli interventi in caso di emergenza; monitoraggio aereo an-
tinquinamento e sorveglianza delle aree marine protette; monitoraggio del sistema di segnalamen-
to marittimo delineante le aree marine protette; monitoraggio dei dati relativi agli adempimenti
derivanti dall’applicazione della Convenzione internazionale Marpol 73/78 e dalle altre conven-
zioni IMO per la tutela dell’ambiente marino; raccolta dati relativi alle principali attività di vigi-
lanza ambientale. Fra i compiti, a carattere solo apparentemente amministrativo, assegnati al
R.A.M. si segnalano: la cura della verifica dei piani locali antinquinamento attraverso periodiche
ispezioni da eseguirsi in concomitanza alle esercitazioni all’uopo pianificate; il supporto, anche
sul posto mediante personale specializzato, alle Autorità marittime periferiche nella gestione di
dichiarate emergenze locali che comportino l’eventuale bonifica di una nave sinistrata o altre si-
tuazioni di criticità che possano richiedere un supporto decisionale complesso, nonché ulteriori ed
altrettanto importanti compiti direttivi, concernenti, in particolar modo un efficace controllo in
merito alla gestione di tutti i potenziali inquinanti prodotti dalle navi riconducibili agli annessi I,
II, IV e V della MARPOL 73/78 (idrocarburi, acque di sentina, acque nere di bordo, organismi
alieni, acque di zavorra, ecc.) le modalità di gestione dei servizi di raccolta degli inquinanti pro-
dotti dalle navi da parte dei soggetti affidatari negli ambiti portuali; la classificazione, lo sviluppo
e la valorizzazione dei dati nazionali derivanti dall’applicazione della Convenzione internazionale
Marpol 73/78 e dalle altre convenzioni IMO per la tutela dell’ambiente. In materia di sicurezza e
igiene del lavoro, in base all’art. 13, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 «La vigilanza sull’applicazione
della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla Azienda sani-
taria locale competente per territorio e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale
dei vigili del fuoco, nonché per il settore minerario, fino all’effettiva attuazione del trasferimento
di competenze da adottarsi ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive
modificazioni, dal Ministero dello sviluppo economico, e per le industrie estrattive di seconda ca-
tegoria e le acque minerali e termali dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. Le
province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente articolo,
nell’ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. 1-bis.
Nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco la vigilanza
sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusiva-
mente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni. 2. Ferme restando
le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo
del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ivi compresa quella in materia di salute e sicu-

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Reati ambientali 51

fine sarà necessario verificare, di volta in volta, dalla legge istitutiva o dallo sta-
tuto dell’organo la ricorrenza di entrambe le competenze. Dovrebbero, pertanto,
escludersi dal novero dei soggetti passivi le autorità pubbliche con funzioni di
prevenzione e contrasto delle violazioni in materia ambientale e di sicurezza e
igiene del lavoro, ma che non hanno tuttavia ad oggetto immediato il controllo
sul territorio e sui luoghi di lavoro, ovvero gli organi con funzioni di polizia
giudiziaria.
La norma configura un reato di danno, a forma vincolata, in quanto punisce
l’agente che abbia concretamente impedito, intralciato, eluso l’attività di vigi-
lanza e controllo o ne abbia compromesso gli esiti, attraverso, alternativamente,
una delle modalità descritte, ossia negando l’accesso, predisponendo ostacoli o
mutando artificiosamente lo stato dei luoghi.
Il diniego all’accesso o la predisposizione di ostacoli possono avvenire in
qualunque forma, purché senza impiego di violenza o minaccia, trovando, di-
versamente, applicazione, in accordo alla clausola di riserva inziale, i più gravi
reati di «violenza o minaccia un pubblico ufficiale» (art. 336 c.p.) o di «resi-
stenza a un pubblico ufficiale» (art. 337 c.p.).
L’immutazione artificiosa richiede, invece, un’alterazione, modifica o tra-

rezza dei lavoratori di cui all’articolo 35 della legge 26 aprile 1974, n. 191, lo stesso personale
esercita l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza
nei luoghi di lavoro nelle seguenti attività, nel quadro del coordinamento territoriale di cui
all’articolo 7: a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare la-
vori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di ope-
re fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie,
idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e galle-
rie, anche comportanti l’impiego di esplosivi; b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavo-
ri subacquei; c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della
previdenza sociale, e della salute, adottato sentito il comitato di cui all’articolo 5 e previa intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale svolge attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e
sicurezza dell’Azienda sanitaria locale competente per territorio. 3. In attesa del complessivo rior-
dino delle competenze in tema di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro, restano ferme le competenze in materia di salute e sicurezza dei
lavoratori attribuite alle autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di
sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei
lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale nonché ai servizi
sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco; i
predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presenta-
no analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con
decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e
della salute. L’Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze ar-
mate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istitui-
ti con riferimento alle strutture penitenziarie.

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52 Capitolo I

sformazione dei luoghi oggetto di vigilanza o controllo realizzate tramite


un’opera di simulazione o dissimulazione della realtà effettiva, tale da indurre in
errore l’agenzia di vigilanza e controllo sulla relativa sostanza o apparenza (si
pensi alla contraffazione dei risultati di un campionamento).
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui l’autorità di vigilanza e
controllo venga impedita, intralciata, sviata nello svolgimento dell’attività di vi-
gilanza e controllo o ne vengono compromessi gli esiti.
Dal punto di vista soggettivo è sufficiente il dolo generico.
È stata estesa la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubbli-
ca amministrazione anche ai condannati per il reato di “impedimento del con-
trollo”.
In caso di condanna o di patteggiamento è prevista la confisca obbligatoria,
anche per equivalente, e salvi i diritti dei terzi estranei al reato, delle cose che
costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il
reato, con destinazione vincolata di quanto confiscato alla bonifica dei luoghi.
Solo nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in
sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei
luoghi, la confisca non trova applicazione.
Con la sentenza di condanna o di patteggiamento il giudice ordina, ai sensi
dell’art. 452-duodecies, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino
dello stato dei luoghi secondo le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale, ponendone
l’esecuzione a carico del condannato nonché delle persone giuridiche, diverse
dagli enti pubblici territoriali, fra quelle sottoposte al ruolo di obbligati civili per
il pagamento della multa e dell’ammenda ai sensi dell’art. 197 c.p.
Il termine di prescrizione, decorrente dalla consumazione del reato, pari a sei
anni, essendo il reato punito con pena inferiore a tale limite, è raddoppiato ad
anni dodici, in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1, co. 6,
della L. 22 maggio 2015, n. 68.
In caso di condanna è stata estesa al reo la pena accessoria della incapacità
di contrattare con la pubblica amministrazione.
Sul piano processuale, la cognizione del delitto di impedimento del controllo
compete, ai sensi dell’art. 33-ter c.p.p., al Tribunale in composizione monocra-
tica.

6. L’«Omessa bonifica»
Art. 452-terdecies c.p. «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiun-
que, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di
un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero
dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni
e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».

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Reati ambientali 53

A differenza dei delitti finora esaminati, l’omessa bonifica tutela l’integrità


del bene ambientale, non già in via diretta, colpendo, in chiave preventiva, le
condotte materiali di inquinamento – siano esse o meno rilevanti ai fini dei de-
litti di cui agli artt. 452-bis c.p. e 452-quater c.p. – bensì favorendo, dietro mi-
naccia della comminatoria penale, l’attuazione delle misure volte a sanare o
contenere gli effetti di un inquinamento già verificatosi. Si tratta, dunque, di un
delitto destinato a svolgere una funzione di enforcement rispetto all’attuazione
di misure riparatorie o di contenimento delle conseguenze provocate da condot-
te inquinanti in danno all’ambiente, con ciò che ne consegue in termini di as-
sunzione, da parte dell’obbligato, di tutti gli oneri, primo fra tutti quello econo-
mico, connessi ad interventi altrimenti rimessi alla gestione pubblica 61.
Benché collocato sistematicamente nel corpus del codice penale, il delitto in
esame si pone inevitabilmente in una linea di continuità con il codice
dell’ambiente, siccome il contenuto della condotta antidoverosa punita rinvia
alla disciplina prevista dal D.Lgs. n. 152/2006 in materia di bonifica, ripristino e
recupero delle aree contaminate.
Giova rammentare, al riguardo, che, ai sensi dell’art. 240, co. 1, lett. p) del
Codice dell’ambiente, per bonifica si intende «l’insieme degli interventi atti ad
eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concen-
trazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee
ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio
(CSR)».
Il «ripristino e ripristino ambientale» sono definiti alla lett. q) come «gli in-
terventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti com-
plemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che con-
sentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazio-
ne d’uso conforme agli strumenti urbanistici».
Per quanto riguarda il «recupero», attività espressamente prevista nel D.Lgs.
n. 152/2006 in materia dei rifiuti (art. 183 ss.), potrebbe designare, ai presenti
fini, il complesso di interventi che consentono di recuperare la funzionalità o
l’utilizzabilità dell’area colpita.
Sul piano strutturale il nuovo delitto evoca il reato di «Inosservanza dei

61
I lavori parlamentari sembrano confermare la volontà del Legislatore di arginare, me-
diante il delitto di omessa bonifica, il rischio di una collettivizzazione dei costi economici ne-
cessari alla bonifica, ripristino o recupero delle aree inquinate, rafforzando, anche in chiave
antielusiva, l’attuazione delle predette misure: «Anche a questo proposito sono veramente
troppe le situazioni dove la bonifica di un sito inquinato appare quasi come un miraggio. Spes-
so i responsabili fanno di tutto per evitare di affrontare il costo del rispristino ambientale; le
imprese falliscono, si liberano di tutti i beni lasciando allo Stato i grandi problemi e gli altissi-
mi costi della bonifica, con il risultato che tante situazioni restano nell’immobilismo se non
addirittura in uno stato di abbandono» (vd., resoconto seduta del Senato n. 452 del 19 maggio
2015 di discussione e approvazione finale del disegno di legge S-1345-B «Disposizioni in ma-
teria di delitti contro l’ambiente»).

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54 Capitolo I

provvedimenti dell’Autorità», ex art. 650 c.p. 62, presentando la fisionomia di


una norma penale in bianco volta a tutelare, dietro comminatoria penale,
l’interesse (collettivo) alla bonifica, ripristino, recupero di un sito contaminato
di cui l’ordine è portatore.
La fattispecie in esame si distingue, tuttavia, dalla contravvenzione per il
più ampio spettro delle fonti dell’obbligo penalmente sanzionato.
Come noto, infatti, l’art. 650 c.p. sanziona l’inosservanza di un provvedi-
mento, inteso come atto amministrativo tipico e pertanto contrassegnato da ben
precise caratteristiche strutturali e sostanziali.
In particolare, per costante giurisprudenza, per la configurabilità di tale
reato “è necessario che ricorrano le seguenti concorrenti condizioni: 1)
l’inosservanza di un ordine specifico impartito a un soggetto determinato, in
occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio
quel soggetto ponga in essere una certa condotta per finalità di sicurezza o di
ordine pubblico, oppure di igiene o di giustizia; 2) l’inosservanza di un ordine
impartito con provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigura-
te da alcun testo di legge introduttivo di specifica e autonoma sanzione, ap-
plicabile in caso di violazione del suo contenuto obbligatorio; 3) l’emissione
del provvedimento, motivato da ragioni di giustizia, di sicurezza, di ordine
pubblico, di igiene, a tutela dell’interesse pubblico collettivo e non di soggetti
privati” (Cass. Pen., sez. I, 23 aprile 2014, n. 33779; Cass. Pen., sez. I, 25
marzo 1999, n. 5755; in termini, Cass. Pen., Sez. I, 15 ottobre 1998, n.
13048).
Presupposto, dunque, della contravvenzione è che l’autorità amministrativa
abbia emesso un ordine individuale e concreto, col quale l’organo della pubblica
amministrazione competente imponga ad uno o più destinatari determinati o de-
terminabili un obbligo di fare o di dare qualcosa (c.d. ordine comando) o il do-
vere di astenersi da determinate condotte (c.d. ordine divieto) 63.
In relazione al delitto in esame rileverà in particolare l’ordine-comando
avente ad oggetto la realizzazione della bonifica, del ripristino o del recupero
dell’area inquinata. Solo una volta completato e approvato il progetto ed esem-
pio di bonifica potrà emettersi il provvedimento coattivo la cui violazione di-
schiuderebbe la commissione del delitto in oggetto.
Sotto tale profilo vale quanto affermato dalla giurisprudenza in relazione
all’art. 257 del Codice dell’ambiente, ossia che tale reato “si estingue operando

62
Prevede l’art. 650 c.p. che «Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato
dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è
punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda
fino a 206 euro».
63
Per un approfondimento sulle categoria dei provvedimenti amministrativi in esame, vd. R.
Villata, L’atto amministrativo, in L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco,
F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, vol. IV, Bologna, 2005, pp. 859 ss.

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Reati ambientali 55

il soggetto che ha causato l’inquinamento la bonifica secondo le disposizioni


del progetto approvato dall’autorità competente ai sensi degli artt. 242 ss. dello
stesso Decreto”, e che, diversamente, il reato è configurabile “allorché il sog-
getto non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato
dall’autorità competente 64 nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 ss.,
anche qualora il soggetto… addirittura impedisca la stessa formazione del pro-
getto di bonifica, e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazio-
ne del piano di caratterizzazione necessario per predisporre il progetto di boni-
fica» 65.
Entro questa cornice dovrebbe rientrare una delle tre ipotesi assunte dall’art.
452-terdecies quale presupposto per la violazione penalmente rilevante, ossia
l’ordine di bonifica, riparazione e recupero proveniente da un’autorità pubblica.
Rispetto ad essa quindi possono valere, in chiave ermeneutica, gli approdi
giurisprudenziali maturati in sede applicativa dell’art. 650 c.p. rispetto ai requi-
siti che il provvedimento deve possedere per integrare la contravvenzione.
In particolare giova evidenziare che la corte regolatrice oltre a richiederne,
di norma, e salvo casi di particolare urgenza, la forma scritta66, subordina
l’efficacia dell’ordine alla comunicazione ai propri destinatari: “ai fini della
sussistenza del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità è necessa-
rio che il provvedimento stesso sia stato previamente reso noto al soggetto inot-
temperante e la relativa prova grava sull’accusa” (Cass. Pen., sez. I, 11 no-
vembre 2009, n. 46637) 67.
Di particolare rilievo, sia ai fini della individuazione della condotta oggettiva
di inottemperanza così come anche dell’accertamento della coscienza e volontà
della violazione è la motivazione del provvedimento col quale la pubblica auto-
rità rivolge al destinatario l’ordine (di bonifica, ripristino o recupero); sono in-
fatti le premesse e le considerazioni richiamate a fondamento dell’ordine ad in-
dicare ad esempio quali aree risultano contaminate, quali soggetti abbiano svol-
to la propria attività nei siti interessati, quali sostanze abbiano inquinato l’area e
in che misura siano stati superati i limiti di contaminazione (CSC), e soprattutto,
64
Ha precisato che «il reato di omessa bonifica previsto dall’art. 257 d.lg 152/2006 non è
configurabile in assenza di un progetto di bonifica definitivamente approvato”, e non dalla mera
“inosservanza degli adempimenti strumentali alla approvazione del progetto di bonifica», Cass.
Pen., sez. III, 13 aprile 2010, n. 22006.
65
Cass. Pen., sez. III, 19 dicembre 2012, n. 9214.
66
Cass. Pen., sez. I, 3 dicembre 1992; in termini, Cass. Pen., 7 febbraio 1996, Kowanek.
67
È stato, ad esempio, ritenuto dalla Suprema Corte strumento sufficiente a portare a cono-
scenza di tutti gli interessati un’ordinanza sindacale che ordinava la bonifica di un fondo da erbe
incolte, l’inserimento del provvedimento sul sito web del Comune l’affissione all’albo pretorio la
pubblicazione dell’ordinanza con manifesti, stante la natura del provvedimento che non consenti-
va altro tipo di notificazione che quello per “pubblici proclami”, non potendosi ritenere previa-
mente individuabili i proprietari di fondi rustici che versassero nella peculiare situazione descritta
dall’ordinanza (Cass. Pen., sez. IV, 21 giugno 2012, n. 39897; in termini, Cass. Pen., sez. I, 6
maggio 1994, n. 7749, Bevilacqua).

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56 Capitolo I

il progetto di bonifica o le misure di ripristino o recupero che costituiscono la


condotta doverosa penalmente sanzionata68.
Solo a tali condizioni il provvedimento può fornire le “indicazioni idonee a
rendere il destinatario consapevole della natura e del contenuto del provvedi-
mento” (Cass. Pen., sez. I, 12 ottobre 1995, n. 11048).
D’altro canto la motivazione consentirà, inoltre, al giudice di “verificare se
il provvedimento rimasto inottemperato assolva alla funzione legale tipica as-
segnatagli dall’ordinamento, se sia articolato in modo tale da poter essere ese-
guito nei tempi e con le modalità previsti per far fronte alle esigenze collettive
cui nel caso concreto si è inteso far fronte, se sia eventualmente affetto da vizi
tali da comprometterne la legalità formale e sostanziale” (Cass. Pen., sez. I, 23
aprile 2014, n. 33779).
Anche in relazione al delitto di omessa bonifica si pone, infatti, la questione
della funzione che l’ordine della pubblica autorità svolge nella struttura della
fattispecie e la sindacabilità dello stesso da parte del giudice penale.
Dottrina e giurisprudenza convergono, come noto, nel qualificare il provve-
dimento come un elemento normativo della fattispecie che non ne integra, tutta-
via, il precetto 69. Esso rappresenta un presupposto di fatto che, come tale, il giu-
dice penale deve sottoporre al proprio accertamento.
In particolare, per giurisprudenza costante, ferma restando la preclusione
della valutazione del merito del provvedimento 70, “ai fini del giudizio di re-
sponsabilità in ordine al reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità

68
La Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità per il reato ex art. 650 c.p. in un caso
di inottemperanza agli obblighi comportamentali assunti nella domanda di autorizzazione richia-
mata nelle premesse del provvedimento (Cass. Pen., sez. I, 4 giugno 1991).
69
In dottrina, M. Romano, Comm. Sist., vol. I, art. 2, p. 59; D. Pulitanò, L’errore di diritto
nella teoria del reato, 1976; R. Villata, “Disapplicazione” dei provvedimenti amministrativi e
processo penale, 1980.
70
«I limiti del doveroso controllo del giudice penale sulla ‘legalità’ del provvedimento che è
oggetto della tutela penale apprestata dall’art. 650 c.p. sono costituiti da tre tradizionali vizi di
incompetenza, di violazione di legge e di eccesso di potere, vale a dire dai vizi di legittimità
dell’atto amministrativo, sicché da tale ambito esorbitano quei vizi per l’accertamento dei quali
l’indagine del giudice penale deve invadere il ramo della attività meramente discrezionale della
pubblica amministrazione, con inammissibile accesso al merito. La pretesa, pertanto, di sindaca-
re l’ordine di esibizione della patente alla stregua di presupposti di merito, quali la possibilità di
conseguire le finalità accertative del provvedimento mediante l’uso di mezzi di ricerca telematica
ed elettronica, non trova spazio nell’ambito del controllo di legittimità riservato al giudice penale
dall’art. 650 c.p., poiché la ritenuta violazione del precetto di logica che si assume violato non
può essere ricompresa nel vizio di eccesso di potere” (Cass. Pen., sez. I, 24 giugno 1992, Beltra-
mi); “Nel procedimento relativo all’accertamento della contravvenzione prevista dall’art. 650
c.p., il giudice di merito, mentre è competente ad esaminare e a decidere in ordine alla legalità
sostanziale e formale del provvedimento di cui in concreto si tratta, non può invece sindacare la
discrezionalità, correlativamente alla necessità, opportunità, convenienza e speditezza, bastando
che il provvedimento risulti determinato in se stesso da ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica,
d’ordine pubblico o d’igiene» (Cass. Pen., sez. I, 20 novembre 1990, Fiorio).

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Reati ambientali 57

di cui all’art. 650 c.p., il giudice è tenuto a verificare previamente la legalità


sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato, sotto i tre profili
tradizionali della violazione di legge, dell’eccesso di potere e della incompeten-
za; ne consegue che, ove venga rilevato il difetto del presupposto della legitti-
mità, sotto uno di tali profili, l’inosservanza del provvedimento non integra il
reato in questione per la cui sussistenza è richiesto esplicitamente che il prov-
vedimento sia legalmente dato” (Cass. Pen., sez. I, 7 febbraio 2012, n. 11448) 71.
Fra i requisiti di legalità del provvedimento cui la giurisprudenza subordina
la rilevanza penale dell’inadempimento ai sensi dell’art. 650 c.p., assume, nella
prospettiva del delitto di omessa bonifica, un ruolo essenziale la corretta indivi-
duazione del soggetto destinatario dell’ordine.
Le vicende riguardanti l’avvio, lo svolgimento e la conclusione dell’iter di
elaborazione e approvazione del progetto di bonifica, particolarmente comples-
se nei casi di aree di grandi dimensioni, interessate da fenomeni di inquinamen-
to storico e dal conseguente avvicendamento nella proprietà dei siti, oltre che
nella responsabilità dell’inquinamento di plurimi soggetti, alimentano il rischio
che la pubblica autorità possa rivolgere il provvedimento a persona fisica (o giu-
ridica in persona del legale rappresentante) diversa da quella giuridicamente e
materialmente responsabile della contaminazione. Eventualità che, in caso di
inottemperanza all’ordine-comando darebbe adito ad una responsabilità “per
fatto altrui” incompatibile con il principio costituzionale di personalità della re-
sponsabilità penale.
Giova, pertanto, rammentare che, per la Corte di Cassazione “affinché
l’ordine sia legalmente dato occorre […] che esso sia rivolto a colui che in ba-
se alle finalità che la legge si ripromette di conseguire sia l’effettivo destinata-
rio” non potendosi tale mancato accertamento giustificare neppure “in conside-
razione della situazione di emergenza nella quale l’autorità pubblica si è trova-
ta ad intervenire” (Cass. Pen., sez. I, 7 febbraio 1997, n. 5363) 72.
Il controllo di legalità che il giudice penale è tenuto, d’ufficio, a compiere in
relazione al provvedimento ineseguito prescinde dalla impugnabilità dello stes-
so in sede amministrativa, e, tendenzialmente, dalla sorte del provvedimento
successivamente alla consumazione del reato. In linea teorica, trattandosi, come
visto, di elemento normativo della fattispecie che non ne integra tuttavia il pre-
cetto, l’eventuale annullamento giudiziale o revoca amministrativa successiva-

71
In termini, Cass. Pen., sez. I, 16 novembre 2010, n. 555; Cass. Pen., 13 agosto 1996, Soave;
Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2006, n. 13314; Cass. Pen., sez. V, 30 luglio 2004, n. 35576; Cass.
Pen., sez. I, 22 giugno 2004, n. 28584; Cass. Pen., sez. I, 1 giugno 2000, n. 4102; Cass. Pen., sez.
I, 3 luglio 1996, n. 7954; Cass. Pen., sez. I, 7 ottobre 1993.
72
Nel caso esaminato, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna
per il reato ex art. 650 c.p. per non avere i giudici di merito verificato se la persona indicata nel
provvedimento sindacale inottemperato quale proprietario del fondo avesse in effetti un legame
con terreno oggetto dell’ordine e se rientrasse nei suoi poteri la possibilità giuridica di provvedere
alla pulizia del fondo stesso.

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58 Capitolo I

mente alla scadenza del termine utile per l’adempimento non produrrebbe effetti
sulla rilevanza penale del fatto.
Tuttavia, nell’ipotesi, deve ritenersi teorica in materia di bonifica, che il giu-
dizio amministrativo instauratosi a seguito dell’impugnazione dell’ordine-
comando sia ancora pendente nel corso del processo penale per il delitto in
esame, il Tribunale, documentalmente provata la pendenza del giudizio, può so-
spendere, in base alle condizioni di cui all’art. 479 c.p.p., il processo penale per
omessa bonifica, in attesa della definizione del gravame riguardante la legittimi-
tà del provvedimento 73.
Per quanto riguarda la condotta di violazione del provvedimento, rilevante ai
fini dell’art. 650 c.p., ma deve ritenersi anche per la analoga trasgressione
dell’ordine di una pubblica autorità ai sensi del delitto di omessa bonifica, “è
necessario che la condotta dell’agente si concretizzi in una violazione riguar-
dante il contenuto essenziale del provvedimento dato per le ragioni ivi indicate,
mentre diventa penalmente irrilevante una condotta di scarso rilievo che violi
una modalità di esecuzione del provvedimento, qualora l’agente abbia manife-
stato concretamente l’intenzione di voler adempiere all’ordine legalmente dato
dall’autorità” (Cass. Pen., sez. I, 31 maggio 1995, n. 7633) 74.
Nel caso, invece, di inottemperanza integrale o nel suo nucleo essenziale
dell’ordine proveniente dall’autorità pubblica, il soggetto inadempiente non po-
trebbe invocare, al fine di escludere la rilevanza penale dell’omissione,
l’intervento d’ufficio del soggetto pubblico: la Suprema Corte esclude che
“l’intervento sussidiario e coattivo dell’amministrazione pubblica” per quanto
seguito dall’addebito delle spese al responsabile possa eliminare la sussistenza
del reato, di tal che “la eventuale esecuzione di ufficio successiva alla scadenza
del termine non fa venir meno la punibilità del comportamento omissivo”, e “a
maggior ragione non può essere esclusa la punibilità per il solo fatto che non
sia stata esercitata la facoltà di esecuzione coattiva” (Cass. Pen., sez. I, 7 feb-
braio 1996, n. 2562).
Certamente inedita rispetto alla fattispecie dell’art. 650 c.p. è la previsione

73
Come noto, l’art. 479 c.p.p., concernente le questioni civili e amministrative prevede che il
giudice penale possa disporre la sospensione del dibattimento, fino a che la questione non sia stata
decisa con sentenza passata in giudicato, a queste condizioni: a) che la decisione sull’esistenza del
reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa; b) che la controversia
sia di particolare complessità; c) che sia già in corso un procedimento presso il giudice competen-
te; d) che la legge non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.
74
In tema di revoca del provvedimento rilevante ai sensi dell’art. 650 c.p., la Suprema Corte,
muovendo da una premessa tuttavia diversa da quella prevalente in dottrina, ha statuito che
«l’Amministrazione rendendo inefficace, con l’esercizio del suo potere discrezionale, insindaca-
bile da parte del giudice ordinario, l’atto integrativo della norma in bianco, ha fatto venir meno
uno degli elementi essenziali della fattispecie penale ed ha così dimostrato che non ha più inte-
resse ad ottenere la prestazione a suo tempo imposta, sicché la relativa sanzione non può essere
applicata» (Cass. Pen., sez. I, 24 giugno 1996, n. 8529).

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Reati ambientali 59

da parte dell’art. 452-terdecies dell’ordine del giudice quale fonte tipica


dell’obbligo di bonifica, ripristino o recupero del sito interessato
dall’inquinamento: in relazione all’ipotesi contravvenzionale, infatti, la corte di
cassazione ha costantemente statuito che solo i provvedimenti “oggettivamente
amministrativi pur se emanati per motivi genericamente inerenti a un’attività
diretta a scopi di giustizia” rientrino fra quelli presi in considerazione dall’art.
650 c.p. in quanto “aventi come contenuto un esercizio della potestà ammini-
strativa destinata ad operare direttamente nei rapporti esterni all’attività del
giudice”, e che, di conseguenza, “fra tali provvedimenti non possono ricom-
prendersi quelli tipici di quest’ultimo (sentenza, ordinanza, decreto) che non
riguardano direttamente un interesse generale, o, anche se lo riguardano non
concernono quell’ordine pubblico in senso lato che costituisce l’oggetto sia pu-
re residuale, della tutela apprestata dall’ipotesi contravvenzionale de qua”
(Cass. Pen., sez. I, 15 aprile 1994).
Probabilmente tale previsione trova fondamento nel nuovo art. 452-
duodecies c.p. in base al quale con la sentenza di condanna o di patteggiamento
per taluni dei reati introdotti nel libro II, Titolo VI-bis del codice penale, il giu-
dice ordina, a sensi dell’art. 452-duodecies, il recupero e, ove tecnicamente pos-
sibile, il ripristino dello stato dei luoghi secondo le disposizioni di cui al titolo II
della parte sesta del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino am-
bientale, ponendone l’esecuzione a carico del condannato.
Destinatario dell’ordine del giudice, rilevante ai sensi dell’art. 452-terdecies
c.p. è la persona imputata e condannata per la condotta inquinante; l’art. 452-
duodecies, tuttavia, prevede che l’esecuzione dell’obbligo a carico del condan-
nato di recupero o ripristino si estende alle persone giuridiche, diverse dagli enti
pubblici territoriali, fra quelle sottoposte al ruolo di obbligati civili per il paga-
mento della multa e dell’ammenda ai sensi dell’art. 197 c.p.
Salvo chiarire se il coinvolgimento dell’ente nell’esecuzione dell’ordine del
giudice venga inteso nella stessa modalità sussidiaria ed eventuale 75 rispetto al
condannato insolvente con la quale l’art. 197 c.p. configura l’obbligazione di pa-
gamento della pena pecuniaria a carico della persona giuridica, o se, come par-
rebbe dalla formula impiegata – «ponendone l’esecuzione a carico del condannato
e dei soggetti di cui all’articolo 197 del presente codice» – si tratti di obbligazione
solidale fra condannato, e persona giuridica, l’estensione dell’ordine giudiziale
all’ente costituisce senza dubbio una forma di “pressione” in vista dell’assunzione
da parte della Società degli oneri necessari al ripristino o recupero del sito conta-
minato, in ragione della rischio, in caso di inottemperanza, per il legale rappresen-
tante, di commissione del delitto di omessa bonifica.
Benché, quindi, il reato di omessa bonifica non rientri fra i reati presupposto
della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001, il combinato dispo-

75
Cass. Pen., sez. III, 20 novembre 2012, n. 17713.

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60 Capitolo I

sto degli artt. 452-duodecies e 452-terdecies c.p. di fatto produce il “trascina-


mento”, dietro minaccia di sanzione penale a carico del suo legale rappresentan-
te, della Società nel procedimento, e soprattutto nel relativo onere economico, di
recupero o ripristino dei siti contaminati, in forza della commissione giudizial-
mente accertata di uno dei nuovi reati ambientali da parte persone che ne abbia-
no avuto pro tempore la rappresentanza, l’amministrazione o legate all’ente da
un rapporto di dipendenza.
Di difficile decifrazione appare, invece, l’obbligo di bonifica, ripristino o re-
cupero penalmente sanzionato dall’art. 452-terdecies c.p. imposto dalla legge.
Il legislatore ha, con tale previsione, introdotto un’ipotesi che, per ovvie ra-
gioni, esula dall’ambito applicativo della fattispecie di “Inosservanza dei prov-
vedimenti dell’Autorità” “essendo la sua sfera di operatività limitata ai provve-
dimenti impositivi di un determinato comportamento attivo od omissivo, i quali
vengano rivolti ad un soggetto o ad una cerchia di soggetti ben determinati o
determinabili (anche se non individuati), al fine di garantire esigenze di giusti-
zia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene” (Cass. Pen., sez. I, 27 settem-
bre 1996, n. 9490) 76.
D’altro canto la Suprema Corte esclude l’ipotesi di reato prevista dall’art.
650 c.p. anche in presenza dell’inosservanza di un ordine amministrativo avente
tuttavia carattere regolamentare e contenente una disposizione dettata in via
preventiva ed indirizzata ad una generalità di soggetti (Cass. Pen., sez. I, 19
marzo 2013, n. 15936; in termini, Cass. Pen., sez. I, 6 dicembre 2011, n. 47886;
Cass. Pen., sez. I, 25 marzo 1999, n. 5755).
Le ragioni che sottendono la nitida e ferma presa di posizione della giuri-
sprudenza in relazione all’art. 650 c.p. sono strettamente correlate, non solo alla
nozione di provvedimento quale presupposto di fatto del reato, ma all’esigenza
di una precisa individuazione dei soggetti gravati dell’obbligo penalmente san-
zionato, funzionale sia al rispetto del principio di tassatività e sufficiente deter-
minatezza della norma incriminatrice sia del principio di personalità della re-
sponsabilità penale.
Tali ragioni sembrano apparentemente incompatibili col carattere necessa-
riamente generale e astratto delle disposizioni contenute in leggi formali o so-
stanziali, statali o regionali, salvo che con la formulazione in esame, il Legisla-
tore abbia, nella materia de qua, procurare uno strumento sanzionatorio penale
dedicato alle c.d. leggi-provvedimento cui, in misura sempre più ricorrente, il
Parlamento ricorre «per raggiungere in via diretta ed immediata (senza, cioè, la

76
Nel caso scrutinato, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata esclusa la confi-
gurabilità del reato contravvenzionale in questione in un caso di mancata osservanza, da par-
te del titolare di uno studio medico-dentistico, delle prescrizioni dettate dall’art. 1, co. 2-ter
s., D.L. 14 dicembre 1988, n. 527, conv. con modif. in L. 10 febbraio 1988, n. 45, e dal De-
creto del Ministro dell’ambiente 25 maggio 1989, in materia di smaltimento dei rifiuti sani-
tari.

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Reati ambientali 61

mediazione delle autorità amministrative), ed avvalendosi della forza tipica


dell’atto, alcuni fini propri dello Stato sociale»77.
Le c.d. leggi provvedimento o leggi c.d. personali 78 sono definite dalla Corte
Costituzionale come quelle che «contengono disposizioni dirette a destinatari
determinati» 79 ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di desti-
natari» 80, che hanno «contenuto particolare e concreto»81 «anche in quanto ispi-
rate da particolari esigenze» 82 e che comportano l’attrazione alla sfera legislati-
va «della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità ammi-
nistrativa» 83.
Mentre il provvedimento della pubblica autorità non rientra, in quanto ele-
mento normativo esterno della fattispecie incriminatrice, nel sindacato di legit-
timità della corte costituzionale, la legittimità dell’ordine di bonifica imposto
per legge dipende, invece, dalla legittimità costituzionale della legge-
provvedimento, subordinata a ben precise condizioni profilatesi nella giurispru-
denza della Consulta 84.
L’analisi delle fonti tipicamente previste dell’ordine di bonifica è tema stret-
tamente intrecciato a quello della individuazione dei soggetti attivi del delitto ex
art. 452-terdecies c.p.
A dispetto del termine – «chiunque» – il reato in esame si presenta come rea-

77
T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 2000, p. 41.
78
Per un approfondimento sulla categoria delle c.d. leggi provvedimento e sul rapporto con i
caratteri di generalità e astrattezza della norma giuridica, vd. Mortati, Istituzioni di diritto pubbli-
co, I, Padova, 1991, pagg. 9 ss; Modugno, Norma (teoria gen.) in Enc. Dir., XXVIII, pagg. 328 ss;
Mazziotti, Norma giuridica, in, Enc. Giur., XXXI, Roma, 1990, Franco, Leggi provvedimento,
principi generali dell’ordinamento, principio del giusto procedimento (in margine all’innovativa
sent., n. 143 del 1989 della Corte costituzionale), in, Giur, cost., 1989, II, pagg. 1041 ss.; For-
sthoff, Le leggi provvedimento, in, Stato di diritto in trasformazione, Milano, 1973, pagg. 114 ss;
Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, pagg. 43 ss.
79
Corte cost., 21 giugno 2013, n. 154; Corte cot., 8 maggio 2009, n. 137; Corte cost., 10 gen-
naio 1997, n. 2.
80
Corte cost., 2 aprile 2009, n. 94.
81
Corte cost., 9 febbraio 2012, n. 20; Corte cost., 22 luglio 2010, n. 270; Corte cost., 8 mag-
gio 2009, n. 137; Corte cost., 2 luglio 2008, n. 241.
82
Corte cost. 22 luglio 2010, n. 270.
83
Corte cost.,2 aprile 2009, n. 94; Corte cost., 2 luglio 2008, n. 241.
84
Giova rilevare che se la Corte Costituzionale affermare la compatibilità della legge-
provvedimento con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione (sent. n. 85/2013 e n.
143/1989), richiama tuttavia l’esigenza di valutare se essa rispetti i limiti tracciati dalla giurispru-
denza costituzionale e, in primo luogo, quello della ragionevolezza e non arbitrarietà (sentenze n.
85/2013, n. 143/1989, n. 346/1991 e n. 429/1995); queste leggi, infatti, devono soggiacere ad un
rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in
previsioni di tipo particolare e derogatorio (sentenze n. 85/2013; in senso conforme sentenze n.
20/2012 e n. 2/1997), con l’ulteriore precisazione che «tale sindacato deve essere tanto più rigo-
roso quanto più marcata sia [...] la natura provvedimentale dell’atto legislativo sottoposto a con-
trollo (sentenza n. 153 del 1997)» (sentenza n. 137/2009; in senso conforme sentenze n. 241/2008
e n. 267/2007).

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62 Capitolo I

to proprio o comune a soggettività ristretta85, in quanto soggetto attivo potrà es-


sere, necessariamente, il (solo) destinatario, in forza di una delle fonti tipica-
mente descritte, dell’obbligo di bonifica, ripristino o recupero.
Se, in particolare, l’ordine, in una delle forme descritte dall’art. 452-
terdecies c.p., è rivolto ad una persona giuridica, il destinatario dello stesso, e
potenziale autore del delitto in esame, potrà essere il legale rappresentante
dell’ente, o colui che, anche di fatto, lo amministra 86.
L’art. 452-terdecies, sul piano descrittivo, richiama, indistintamente,
l’obbligo di bonifica imposto per legge o per ordine del giudice o dell’autorità
pubblica, senza prevedere, espressamente, che la violazione dell’obbligo debba
essere ascrivibile all’autore della condotta inquinante.
Per chiarire i termini della questione, è opportuno il confronto con la con-
travvenzione di c.d. omessa bonifica prevista dal codice dell’ambiente.
L’art. 257 del D.Lgs. n. 152/2006 punisce, infatti, con la pena dell’arresto da
sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila eu-
ro, «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona
l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque
sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio» «se non
provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità compe-
tente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti»87.

85
G. Carboni, Norme penali in bianco e riserva di legge: a proposito della legittimità costitu-
zionale dell’art. 650, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1971, pp. 459 ss.
86
In relazione al reato ex art. 650 c.p. ma con argomentazione estendibile al delitto in esame,
la Corte di Cassazione ha statuito che «Soggetto attivo del reato previsto dall’art. 650 c.p. è il
destinatario del provvedimento legalmente dato dall’autorità. Tale non è soltanto la persona fisi-
ca nei confronti della quale l’ordine sia stato emesso, ma anche il legale rappresentante di per-
sona giuridica, dal momento che né la lettera né la ratio dell’art. 650 c.p., anche interpretato alla
luce del principio costituzionale di eguaglianza, autorizzano l’interpretazione della norma come
applicabile alle sole persone fisiche» (Cass. Pen., sez. I, 24 febbraio 1994).
87
L’art. 257, co. 1, prevede, altresì, una seconda ipotesi di reato, sempre di natura contravven-
zionale, consistente nella mancata «effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242», per la
quale «il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da
mille euro a ventiseimila euro». L’art. 242 del Codice dell’ambiente prevede, in particolare, che «I -
Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile
dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà
immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. La medesima
procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora com-
portare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione. II - Il responsabile
dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla
contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che
il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al
ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla
provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L’autocertificazione
conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e
di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in
cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere

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Reati ambientali 63

La bonifica del sito contaminato costituisce, nella struttura della contravven-


zione, condizione negativa di punibilità rispetto ad una condotta di inquinamen-
to che abbia cagionato il superamento delle concentrazioni soglia di rischio88,
sicché il relativo obbligo non può che ricadere sull’autore della condotta conta-
minante. Ad analoga conclusione, tuttavia, la Corte di Cassazione è pervenuta
anche rispetto alla seconda fattispecie contravvenzionale contemplata dall’art.
257 ossia la c.d. omessa comunicazione: l’art. 257, co. 1, ult. parte, prevede, in-
fatti, che «In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui
all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un
anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro».
La corte regolatrice, invocando il principio di rango comunitario “chi inqui-
na paga”, al quale è ispirato l’intero impianto del codice dell’ambiente e facen-
do leva, sul piano sistematico, sul mancato richiamo dell’art. 245 – che amplia,
sul piano amministrativo, ai soggetti non responsabili dell’inquinamento – in
primis al proprietario o al gestore dell’area inquinata – l’obbligo di comunica-
zione agli enti territoriali competenti dell’eventuale superamento della concen-
trazione soglia di contaminazione attuando le misure di prevenzione di cui
all’art. 242, ha precisato, che non solo per la contravvenzione di omessa bonifi-
ca, in cui espressamente previsto, ma anche per quella di c.d. omessa comunica-
zione in cui nessun richiamo è presente alla pregressa condotta inquinante, “il
destinatario del precetto è tuttavia lo stesso, e, cioè, colui il quale cagiona
l’inquinamento” 89.

individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo. III -
Qualora l’indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche
per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle
province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicu-
rezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle predette amministrazioni,
nonché alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui
all’Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la regione, con-
vocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni inte-
grative. L’autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizza-
zione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione».
88
«Presupposto per la configurabilità del reato di omessa bonifica è il superamento delle
concentrazioni soglia di rischi (CSR) livello superiore ai livelli di accettabilità già definiti dal
decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471” (Cass. Pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 19962).
“Per superamento delle concentrazioni soglia di rischio, cui l’art. 257 del d.lg. 3 aprile 2006, n.
152 subordina la punibilità delle condotte in esso previste, si intende il travalicamento di livelli di
pericolo ben superiori ai previgenti parametri di concentrazione soglia di contaminazione»
(Cass. Pen., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 17817).
89
Cass. Pen., sez. III, 16 marzo 2011, n. 18503; la Corte regolatrice ha in tal modo chiarito i
possibili dubbi circa l’inclusione, nella platea dei soggetti attivi del reato di omessa comunicazio-
ne, di coloro che pur gravati dell’obbligo di intervento (e di notifica) ai sensi dell’art. 245, non
siano responsabili della potenziale contaminazione. L’art. 245 [Obblighi di intervento e di notifica
da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione], infatti, stabilisce che «I -

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64 Capitolo I

Si tratta, pertanto, di verificare nella prassi applicativa se le argomentazioni


che hanno consentito alla Suprema Corte di mantenere salda, in particolare per
il reato di omessa comunicazione, la necessaria coincidenza fra autore
dell’inquinamento e destinatario dell’obbligo – penalmente sanzionato – di co-
municazione ex art. 257 possano sortire analoga selezione dei soggetti attivi del
nuovo delitto di omessa bonifica 90.

Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disci-
plinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non re-
sponsabili. II - Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui
all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concre-
to e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne co-
municazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le mi-
sure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242. La provincia, una volta ricevute
le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto re-
sponsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario
o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per
la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibi-
lità. III - Qualora i soggetti interessati procedano ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, ovvero abbiano già provveduto in tal
senso in precedenza, la decorrenza dell’obbligo di bonifica di siti per eventi anteriori all’entrata in
vigore della parte quarta del presente decreto verrà definita dalla regione territorialmente compe-
tente in base alla pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche
o da suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interven-
ti prima del suddetto termine».
90
In base all’art. 245 del Codice dell’ambiente, infatti, «I - Le procedure per gli interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono
essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili. II - Fatti salvi gli obbli-
ghi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’articolo 242, il proprietario o il
gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della
concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla pro-
vincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la
procedura di cui all’articolo 242». «II - La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui
sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar
corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto inte-
ressato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli
interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità. III - Qualora i
soggetti interessati procedano ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data di entrata in vigo-
re della parte quarta del presente decreto, ovvero abbiano già provveduto in tal senso in preceden-
za, la decorrenza dell’obbligo di bonifica di siti per eventi anteriori all’entrata in vigore della parte
quarta del presente decreto verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla
pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche o da suoi even-
tuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interventi prima del
suddetto termine.» Se, dunque, accanto agli obblighi imposti al responsabile della potenziale con-
taminazione ai sensi dell’art. 242, è prevista la facoltà per gli “interessati non responsabili” di
promuovere l’attivazione delle procedure previste dal codice dell’ambiente per la messa in sicu-
rezza, la bonifica e il ripristino ambientale, nonché la facoltà per il proprietario o gestore dell’area
(non responsabile) di comunicare agli enti territoriali competenti il superamento o il pericolo con-
creto e attuale di superamento della concentrazione soglia di contaminazione, l’eventuale ordine a
costoro rivolto dalla pubblica autorità di procedere ad una delle misure riparatorie in oggetto po-

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Reati ambientali 65

Si ritiene debba rientrare nell’accertamento del giudice penale91 la verifica


che l’ordine della pubblica autorità rimasto inottemperato sia stato rivolto, in
sede amministrativa, al soggetto responsabile dell’inquinamento, con esclusione
di soggetti interessati alla bonifica (ripristino o recupero del sito) e coinvolti
nella relativa procedura, ma estranei alla contaminazione 92.

trebbe costituire il presupposto di fatto per l’applicazione in caso di inadempimento del delitto ex
art. 452-terdecies c.p.
91
Vd. nota n. 29.
92
Giova rilevare che il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, ha di recente ribadito, contra-
stando sia pure isolate pronunce del T.A.R., che «l’orientamento interpretativo di gran lunga pre-
valente escluda la possibilità per l’amministrazione nazionale di imporre al proprietario non re-
sponsabile della contaminazione misure di messa in sicurezza d’emergenza o di bonifica del sito
inquinato», affermando che «l’Amministrazione non possa imporre al proprietario di un’area
inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di
messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, lettere m) e p) del
decreto legislativo n. 152 del 2006». In particolare, è stato affermato che «le disposizioni contenu-
te nel Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) ope-
rano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e
quella del proprietario del sito” che “il proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì quali-
ficabile come responsabile dell’inquinamento non è tenuto a porre in essere gli interventi di mes-
sa in sicurezza d’emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli», che «gli interventi
di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul re-
sponsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo
oggettivo, l’inquinamento» (art. 244, comma 2), che «anche l’art. 250, che elenca in ordine suc-
cessivo e sussidiario i soggetti chiamati a realizzare le attività di cui al più volte richiamato titolo
V, non ha trasformato in ‘obbligo’ ciò che le altre disposizioni delineano quale mera facoltà, sta-
bilendo invece che l’onere ‘di ultima istanza’ di realizzare le misure gravi comunque su un sog-
getto pubblico”, infine che “se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non prov-
veda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risul-
tassero necessari sono adottati dall’Amministrazione competente (art. 244, comma 4)» (Cons.
Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2013, n. 21; in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013,
n. 25). «Detti principi – ha rilevato la giurisprudenza amministrativa successiva – valgono sia per
la bonifica vera e propria sia per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza», siccome tan-
to la disciplina di cui al D.Lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, co. 2), quanto quella introdotta
dal D.Lgs. n. 152/2006 (ed in particolare gli artt. 240 ss.) si ispirano al principio secondo cui
«l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione
d’inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi
dato causa”. Si è precisato, inoltre che “il principio ‘chi inquina paga’ vale, altresì, per le misure
di messa in sicurezza d’emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita
dall’art. 240, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 152 cit.». «Infatti – si prosegue – anche l’adozione
delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al sog-
getto responsabile dell’inquinamento (cfr., art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.)» (T.A.R. Toscana, 9 di-
cembre 2013, n. 1705; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 5 maggio 2014, n. 184; in termini, T.A.R.
Puglia, 24 gennaio 2014, n. 228; Tar Lombardia, 8 luglio 2014, n. 1768). Giova evidenziare che la
giurisprudenza amministrativa esclude altresì che l’obbligo di procedere alla bonifica dell’area
possa essere «desunta dall’applicazione della previsione dell’art. 2051 c.c. (che regolamenta la
responsabilità civile del custode)» in quanto «a prescindere da ogni considerazione relativa
all’aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l’accertamento della qualità di cu-
stode dell’area al momento dell’inquinamento e non in un periodo di molto successivo, come av-

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66 Capitolo I

La soluzione “estensiva” presterebbe, invero, il fianco a serie obiezioni an-


che di rilievo costituzionale. La punizione per omessa bonifica del soggetto non
responsabile (da non confondere con l’eventuale concorrente ex art. 110 c.p.
dell’autore del reato in esame) mediante una pena (la reclusione da uno a quat-
tro anni) di gran lunga più severa rispetto alla fattispecie contravvenzionale ap-
plicabile solo al responsabile dell’inquinamento introdurrebbe una disparità di
trattamento ai limiti della ragionevolezza, in particolare rispetto al principio
“chi inquina paga” al quale come noto è ispirato, dandovi attuazione, il codice
dell’ambiente 93, anche rispetto al diverso e non confondibile piano del risarci-
mento del danno ambientale 94.

venuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in
contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di messa in sicurezza e di boni-
fica previsti dagli articoli 240 e ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006, che dettano una disci-
plina esaustiva della materia, non integrabile dalla sovrapposizione di una normativa (quella del
codice civile, appunto) ispirata a ben diverse esigenze. Nel sistema di responsabilità civile, rima-
ne centrale, infatti, anche nelle fattispecie che prescindono dall’elemento soggettivo, l’esigenza di
accertare comunque il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a
titolo di illecito civile colui al quale non sia imputabile neppure sotto il profilo oggettivo l’evento
lesivo» (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2013, n. 21; in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 13
novembre 2013, n. 25, cit.).
93
Valgono a tal proposito le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione in merito
all’applicabilità della contravvenzione di omessa comunicazione prevista dal comma I ultima par-
te dell’art. 257 del Codice dell’ambiente a soggetti diversi dall’autore dell’inquinamento: «ed in-
vero – statuiva la corte regolatrice – sul piano dei principi potrebbe semmai destare perplessità
un sistema che dovendo tra l’altro farsi carico di dare specifica attuazione al principio ‘chi in-
quina paga’ prevedesse la medesima tipologia di intervento sanzionatorio per colui il quale si
rende responsabile della condotta di inquinamento e che ha, quindi, in prima persona l’obbligo
di elidere le conseguenze di quanto da lui stesso provocato e per colui che, invece, la situazione
di inquinamento abbia per così dire ‘subito’ accertandola occasionalmente in tempi successivi
senza avervi dato comunque causa. Sarebbe poi tutta da verificare – proseguiva la S.C. – la com-
patibilità della introduzione di una fattispecie di reato in precedenza mai prevista… con i limiti
imposti dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308 recante la ‘Delega al Governo per il riordino, il coor-
dinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applica-
zione’ in relazione alla disposizione dell’art. 1 comma 8, lett. I) secondo cui: ‘I decreti legislativi
di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle com-
petenze per materia delle amministrazioni statali, nonché alle attribuzioni delle regioni e degli
enti locali… e del principio di sussidiarietà, ai seguenti principi e criteri direttivi generali: (omis-
sis) i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento
e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restan-
do i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge (omissis)’»
(Cass. Pen., sez. III, 16 marzo 2011, n. 18503).
94
Numerosi sono gli indici normativi contenuti nella parte VI del codice dell’ambiente dai
quali potersi escludere, anche ai fini della riparazione del danno ambientale, qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva o per fatto altrui, fuori dunque, dal rigoroso accertamento del nesso
casuale fra il comportamento dell’operatore e l’evento dannoso: ad esempio, in base all’art.
303, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006, la parte sesta del decreto «non si applica al danno ambientale
o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non sia
stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale tra il danno e l’attività di singoli ope-

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Reati ambientali 67

Il reato in esame si consuma con l’inadempimento dell’ordine-comando ri-


volto al soggetto in forza di una delle fonti tipiche citate.
Analogamente al reato ex art. 650 c.p., anche per il delitto di omessa bonifica
si pone la questione riguardante la natura istantanea o permanente del reato, dal-
la quale, discendono rilevanti implicazioni, ad esempio, in tema di concorso di
persone, di configurabilità del tentativo, o di prescrizione.
Sul punto riguardo al reato di “Inosservanza dei provvedimenti
dell’Autorità” una più risalente giurisprudenza propendeva per la natura perma-
nente dell’illecito “che cessa quando lo stesso agente, con un comportamento
attivo, dia esecuzione all’ordine ricevuto in tal modo facendo venire meno lo
stato di illecita disobbedienza ovvero con la pronuncia della sentenza di primo
grado” (cfr., Cass. Pen., sez. I, n. 1434/1997; Cass. Pen., sez. I, n. 321/1997;
Cass. Pen., sez. I, 30 maggio 1997, n. 6202).
L’indirizzo più recente, invece, distingue l’ipotesi in cui il provvedimento
rechi un termine perentorio, espresso o implicito 95, per l’adempimento da quella
in cui tale indicazione manchi del tutto.

ratori». In forza dell’art. 313 «I - Qualora all’esito dell’istruttoria di cui all’articolo 312 sia sta-
to accertato un fatto che abbia causato danno ambientale ed il responsabile non abbia attivato le
procedure di ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto oppure ai
sensi degli articoli 304 e seguenti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con or-
dinanza immediatamente esecutiva, ingiunge a coloro che, in base al suddetto accertamento,
siano risultati responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma
specifica entro un termine fissato» «II - Qualora il responsabile del fatto che ha provocato dan-
no ambientale non provveda in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto o all’adozione
delle misure di riparazione nei termini e modalità prescritti, il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguire la comple-
ta attuazione delle misure anzidette secondo i criteri definiti con il decreto di cui al comma 3
dell’articolo 311 e, al fine di procedere alla realizzazione delle stesse, con ordinanza ingiunge
il pagamento, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, delle somme corrispondenti».
«III - Con riguardo al risarcimento del danno in forma specifica, l’ordinanza è emessa nei con-
fronti del responsabile del fatto dannoso nonché, in solido, del soggetto nel cui effettivo inte-
resse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto van-
taggio sottraendosi, secondo l’accertamento istruttorio intervenuto, all’onere economico neces-
sario per apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i comporta-
menti previsti come obbligatori dalle norme applicabili». «IV - L’ordinanza è adottata nel ter-
mine perentorio di centottanta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti di cui al com-
ma 3 dell’avvio dell’istruttoria, e comunque entro il termine di decadenza di due anni dalla no-
tizia del fatto, salvo quando sia in corso il ripristino ambientale a cura e spese del trasgressore.
In tal caso i medesimi termini decorrono dalla sospensione ingiustificata dei lavori di ripristino
oppure dalla loro conclusione in caso di incompleta riparazione del danno. Alle attestazioni
concernenti la sospensione dei lavori e la loro incompletezza provvede il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito atto di accertamento».
95
«Nei reati omissivi che consistono nell’inottemperanza a un ordine legalmente dato
dall’Autorità, occorre distinguere le ipotesi nelle quali l’Autorità medesima ha fissato un termine
perentorio all’adempimento dell’ordine, da quelle nelle quali non ne ha fissato, né direttamente,
né indirettamente, alcuno, ovvero il termine, quantunque fissato, non è perentorio. Nel primo ca-
so l’agente deve ottemperare all’ordine entro il termine perentorio, scaduto il quale la situazione

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68 Capitolo I

Nel primo caso – afferma la corte regolatrice – «qualora sia stato fissato un
termine perentorio per l’adempimento dell’ordine, scaduto tale termine la situa-
zione antigiuridica prevista dalla norma incriminatrice si è irrimediabilmente
verificata, sicché l’eventuale adempimento successivo non ha alcuna rilevanza
al fine di escludere la sussistenza del reato che ha natura istantanea e la cui pre-
scrizione incomincia a decorrere dal termine fissato» (cfr., Cass. Pen., sez. I, 30
marzo 2006, n. 17312; Cass. Pen., 20 ottobre 2004, n. 41101) 96.
Ove nessun termine ai fini della bonifica, del ripristino o del recupero sia
imposto dall’ordine, circostanza che non intaccherebbe la legalità del provve-
dimento 97, né esso possa ricavarsi dalla motivazione del provvedimento imposi-
tivo, spetterà al giudice penale valutare il termine “entro il quale ragionevol-
mente il soggetto sarebbe stato in grado di obbedire, secondo una valutazione
discrezionale del giudice, che terrà conto del caso concreto e in particolare
dell’adempimento richiesto” 98, e superato il quale “si sia concretizzata quella
situazione che impedisce l’utile osservanza del provvedimento” 99.
La Suprema Corte, invece, riconosce al reato natura (eventualmente) perma-
nente “In tutti gli altri casi nei quali l’agente, anche dopo la scadenza del ter-
mine, ove fissato dall’Autorità, può validamente far cessare la situazione anti-
giuridica sanzionata dalla norma incriminatrice, dando esecuzione, con un
comportamento attivo, all’ordine ricevuto” (Cass. Pen., sez. I, 11 luglio 1997, n.
8607).
La clausola di riserva posta in esordio dell’art. 452-terdecies implica che il
delitto di omessa bonifica non trovi applicazione, rimanendone assorbito, ove la
condotta integri altro e più grave reato posto a tutela del medesimo bene giuri-
dico 100.

antigiuridica prevista dalla norma incriminatrice si è irrimediabilmente verificata, sicché


l’eventuale adempimento successivo non ha alcuna rilevanza al fine di escludere la sussistenza
del reato, che ha natura istantanea e la cui prescrizione comincia a decorrere dal termine fissato.
In tutti gli altri casi nei quali l’agente, anche dopo la scadenza del termine, ove fissato
dall’Autorità, può validamente far cessare la situazione antigiuridica sanzionata dalla norma
incriminatrice, dando esecuzione, con un comportamento attivo, all’ordine ricevuto, il reato ha
natura permanente che cessa allorché, appunto, l’agente dà esecuzione all’ordine» (Nella fatti-
specie, relativa alla mancata ottemperanza ad un’ordinanza sindacale di bonifica, la Corte ha rite-
nuto che – in considerazione dell’espressione usata “entro e non oltre” – il termine dovesse consi-
derarsi perentorio) (Cass. Pen., sez. IV, 28 febbraio 2007, n. 21581).
96
Significativo corollario di tale indirizzo è che in presenza di una contestazione del fatto co-
me commesso in una determinata data precisamente individuata nel tempo, fissato come momento
terminale della consumazione «il giudice può tenere conto dell’eventuale successivo protrarsi
della condotta illecita soltanto qualora sia stato oggetto di una ulteriore contestazione ad opera
del P.M. ex art. 516 c.p.p.» (cfr., Cass. Pen., sez. I, 30 marzo 2006, cit.).
97
Cfr., Cass. Pen., sez. I, 7 febbraio 1997, n. 5363.
98
Cass. Pen., sez. I, 7 febbraio 1997, cit.
99
Cass. Pen., sez. I, 30 novembre 1992; in termini, Cass. Pen., sez. I, 3 dicembre 1992.
100
«La clausola di riserva ‘salvo che il fatto costituisca più grave reato’ presuppone, perché
operi in concreto il meccanismo dell’assorbimento, che il reato più grave sia posto a tutela del

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Reati ambientali 69

Ha chiarito in particolare la Suprema Corte in relazione all’art. 257 che il


reato “si estingue operando il soggetto che ha causato l’inquinamento la bonifi-
ca secondo le disposizioni del progetto approvato dall’autorità competente ai
sensi degli artt. 242 ss. dello stesso Decreto” 101, e che, diversamente, il reato è
configurabile “allorché il soggetto non provvede alla bonifica in conformità al
progetto approvato dall’autorità competente 102 nell’ambito del procedimento di
cui agli artt. 242 ss., anche qualora il soggetto… addirittura impedisca la stes-
sa formazione del progetto di bonifica, e quindi la sua realizzazione, attraverso
la mancata attuazione del piano di caratterizzazione necessario per predisporre
il progetto di bonifica” 103.
Per quanto riguarda il dolo, il delitto di omessa bonifica richiede il dolo ge-
nerico.
È opportuno segnalare che il Legislatore, con l’introduzione dell’art. 452-
terdecies ha contestualmente novellato l’art. 257, co. 4, del Codice
dell’ambiente, limitando l’operatività della bonifica come causa di non punibili-
tà solo «per le contravvenzioni», e non più «per i reati» – come da previgente
formulazione – al fine di escluderne, expressis verbis, l’eventuale estensione in-
terpretativa anche ai delitti di «Inquinamento ambientale» e «Disastro ambienta-
le», per i quali, invece, l’art. 452-decies prevede una speciale attenuante da
“ravvedimento operoso”, con significative riduzioni di pena dalla metà a due
terzi, a favore di chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata
a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, provvede, concretamente, alla messa in sicu-
rezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi 104.

medesimo bene-interesse tutelato dal reato meno grave che deve essere assorbito» (Cass. Pen.,
sez. II, 7 maggio 2013, n. 36365).
101
Cass. Pen., sez. III, 19 dicembre 2012, n. 9214.
102
Ha precisato che «il reato di omessa bonifica previsto dall’art. 257 d.lg 152/2006 non è
configurabile in assenza di un progetto di bonifica definitivamente approvato”, e non dalla mera
“inosservanza degli adempimenti strumentali alla approvazione del progetto di bonifica», Cass.
Pen., sez. III, 13 aprile 2010, n. 22006.
103
Cass. Pen., sez. III, 2 luglio 2010, n. 35774: ha argomentato sul punto la Corte di Cassa-
zione che «non si tratta di non consentita interpretazione estensiva in malam partem o di applica-
zione analogica della norma penale incriminatrice, ma dell’unica interpretazione sistematica atta
a rendere il sistema razionale e non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art.
3 cost. Invero, sarebbe manifestamente irrazionale – prosegue la S.C. – una disciplina che preve-
desse la punizione di un soggetto che dà esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette
di eseguire il conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il soggetto che addi-
rittura omette anche di adempiere al piano di caratterizzazione così ostacolando ed impedendo la
stessa formazione del progetto di bonifica».
104
La medesima attenuante speciale è prevista per chi aiuta concretamente l’autorità di polizia
o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottra-
zione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti beneficia di una riduzione della pena da un
terzo alla metà. Ove le condotte premianti indicate siano in corso di esecuzione, ma non ultimate,
l’imputato può chiedere, a tal fine, al giudice prima della dichiarazione di apertura del dibattimen-

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70 Capitolo I

L’ultimazione della bonifica, pertanto, varrà ad escludere la punibilità per la


sola ipotesi contravvenzionale, oltre che per le violazioni formali, in particolare
conseguenti al superamento delle soglie di rischio, che non si traducono tuttavia
in uno degli eventi previsti dai nuovi delitti di «Inquinamento ambientale» e
«Disastro ambientale».
Il termine di prescrizione, decorrente dalla consumazione del reato, pari a sei
anni, essendo il reato punito con pena inferiore a tale limite, è raddoppiato ad
anni dodici, in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1, co. 6,
della L. 22 maggio 2015, n. 68.
Sul piano processuale, la cognizione de delitto di omessa bonifica compete,
ai sensi dell’art. 33-ter c.p.p., al Tribunale in composizione monocratica.

to di primo grado la sospensione del procedimento per un tempo congruo, e comunque non supe-
riore a 2 anni prorogabile al massimo per un anno ulteriore, con conseguente sospensione del cor-
so della prescrizione.

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71

CAPITOLO II
LE CIRCOSTANZE DEI NUOVI REATI AMBIENTALI
E IL PROCEDIMENTO ESTINTIVO
DELLE CONTRAVVENZIONI “INOFFENSIVE”

SOMMARIO: 1. L’Aggravante “associativa” - 2. L’«Aggravante ambientale» - 3. L’attenuante del


«Ravvedimento operoso» - 4. L’estinzione delle contravvenzioni ambientali “inoffensive”.

1. L’Aggravante “associativa”
Art. 452-octies «I - Quando l’associazione di cui all’articolo 416 è diretta,
in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti pre-
visti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono au-
mentate. II - Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a
commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero
all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economi-
che, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in mate-
ria ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumenta-
te. III - Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo
alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un
pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia am-
bientale».
Con l’art. 452-octies c.p. il legislatore ha introdotto una serie di circostanze
aggravanti volte a colpire il fenomeno delle c.d. ecomafie, o più in generale,
delle organizzazioni illecite che includono nel proprio programma criminoso
la commissione dei nuovi reati ambientali, prevedendo un inasprimento san-
zionatorio a carico degli associati, in virtù della ritenuta maggiore pericolosità
di una condotta associativa finalizzata a provocare danni all’ambiente e alla
salute.
Si tratta, dunque, di circostanze di natura teleologica che pur inasprendo la
pena base dei reati di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p. il legislatore ha deciso di
includere, sistematicamente, nel medesimo titolo VI-bis relativo ai delitti di
nuovo conio, anziché novellando, come in altri frangenti avvenuto, il testo dei
reati aggravati 1.

1
Vd. i co. 6, 7 dell’art. 416 c.p., in relazione all’associazione diretta a commettere, rispetti-
vamente, taluno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602, nonché all’art. 12, co. 3-bis, del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione del-
lo straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e taluno dei delitti previsti dagli artt. 600-bis,
600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di
un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in
danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies.

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72 Capitolo II

L’art. 452-octies c.p., in particolare, prevede l’applicazione di un aumento


(fino a un terzo) della pena prevista per il delitto di associazione per delinquere
(art. 416 c.p.) quando l’associazione è diretta in via esclusiva o concorrente allo
scopo di commettere taluno dei nuovi delitti ambientali.
Elemento caratterizzante tale circostanza risiede, quindi, esclusivamente nel
dolo specifico mirante alla commissione «esclusiva» o «concorrente» di taluno
dei reati ambientali di cui al titolo VI-bis del Codice penale 2.
In assenza, assai discutibile rispetto alla ratio sottesa alla presente circostan-
za, di una clausola di esenzione dal meccanismo di bilanciamento previsto
dall’art. 69 c.p.p. 3, l’effetto dell’aggravante può essere neutralizzato dal ricono-
scimento di eventuali circostanze attenuanti.
Il medesimo aumento si applica alla pena prevista per il delitto di associa-
zione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), quando tale associazione è finalizzata a
commettere taluno dei nuovi delitti ambientali.
Configura, invece, un’aggravante c.d. di coordinazione 4 l’aumento della pe-
na relativa al delitto ex art. 416-bis c.p., se finalizzato all’acquisizione della ge-
stione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di auto-
rizzazioni, di appalti, o di servizi pubblici in materia ambientale.
La norma in esame prevede, infine, un’aggravante ad effetto speciale che
aumenta da un terzo alla metà la pena calcolata in forza dei precedenti aumenti,
se delle associazioni accertate fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un
pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambien-
tale.
L’associazione aggravata sotto il profilo ambientale, ai sensi dell’art. 25-
undecies, D.Lgs. n. 231/2001, è inserita fra i reati presupposto della responsabi-
lità amministrativa degli enti, il cui illecito è sanzionato, oltre che con pena pe-
cuniaria (da 300 a 1.000 quote) con una delle sanzioni interdittive ex art. 9,
D.Lgs. n. 231/2001 (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revo-
ca di autorizzazioni, licenze o concessioni; divieto di contrattare con la pubblica
amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi
ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni e servi-
zi).

2
La giurisprudenza costante afferma che “Non sussiste incompatibilità logico-giuridica tra la
continuazione e l’aggravante del nesso teleologico, agendo il primo sul piano della riconducibili-
tà di più reati a un comune programma criminoso ed essendo il secondo connotato dalla strumen-
talità di un reato rispetto a un altro” (Cass. Pen., sez. VI, 18 marzo 2014, n. 17622; Cass. Pen.,
sez. II, 9 novembre 2012, n. 46638). Per la Dottrina dell’aggravante del nesso teologico il giudice
dovrebbe «tener conto nel quantificare la pena ai fini dell’aumento entro il triplo della pena stabi-
lita per la violazione più grave» (G. Marinucci–E. Dolcini, Manuale di diritto penale, parte gene-
rale, Milano, 2004, p. 347.
3
Vd., ad. es., art. 600-sexies, co. 6, c.p.
4
G. Marinucci–E. Dolcini, Manuale, cit., p. 346.

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Reati ambientali 73

2. L’«Aggravante ambientale»
Art. 452-novies «Quando un fatto già previsto come reato è commesso allo
scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela
dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di
una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra
legge che tutela l’ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un terzo alla
metà e nel secondo caso è aumentata di un terzo. In ogni caso il reato è procedi-
bile d’ufficio».
Nell’art. 452-novies, sotto il medesimo titolo di «aggravante ambientale»
sono previste due circostanze aggravanti, l’una ad effetto speciale, l’altra comu-
ne.
La prima prevede un aumento della pena da un terzo alla metà se un fatto già
previsto come reato sia commesso allo scopo 5 di eseguire uno o più tra i nuovi
delitti ambientali o fra i reati previsti dal codice dell’ambiente o da altra dispo-
sizione di legge posta a tutela dell’ambiente.
Si tratta, dunque, di circostanza di natura teleologica 6 che, analogamente alle
circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61, n. 2), c.p., e salvo il più elevato
incremento sanzionatorio, «è destinata ad applicarsi ad un numero indetermina-
to di reati, in virtù di un collegamento funzionale fra essi e un delitto posto a tu-
tela dell’ambiente».
Stante la medesima natura, giova rammentare che l’aggravante comune del
nesso teleologico (art. 61, n. 2, c.p.) «costituisce un’aggravante di natura sog-
gettiva, che si fonda sulla maggiore pericolosità di chi, pur di attuare il suo in-
tento criminoso, non esita a compiere un reato-mezzo per eseguirne un altro.
Per la sua sussistenza occorre quindi dimostrare che l’aggravante era cono-
sciuta dall’agente e rientrava nella rappresentazione dell’evento, e occorre, al-
tresì, la prova che la volontà dell’agente, al momento della commissione del
reato-mezzo, era diretta proprio al fine di commettere il reato-scopo» (Cass.
Pen., sez. VI, 18 novembre 2009, n. 48552; in termini, Cass. Pen., sez. I, 16 no-
vembre 2006, n. 42371).
«Pertanto si applica per il solo fatto che l’agente commetta un reato allo
scopo di eseguirne (occultarne o conseguire il profitto di) un altro, anche se in
concorso formale, senza che assuma rilievo la mancata consumazione del reato
fine» (Cass. Pen., sez. V, 26 settembre 2000, n. 11497).
L’elevato inasprimento sanzionatorio prodotto da questa aggravante ad effet-
to speciale potrebbe suscitare dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo

5
Per la sussistenza dell’aggravante c.d. teleologica «è necessario e sufficiente che l’agente
commetta il reato per uno degli scopo suddetti: non rileva che poi l’agente non commetta il reato
fine o con consegua lo scopo che si è prefisso», G. Marinucci–E. Dolcini, Manual, cit., p. 346.
6
Vd., note nn. 72, 75.

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74 Capitolo II

della ragionevolezza ex art. 3 Cost. rispetto ai minori incrementi di pena previsti


per reati finalizzati alla commissione di reati diversi.
In forza della regola di cui all’art. 4 c.p.p., di volta in volta richiamata,
l’aggravante in esame favorisce, sul versante investigativo, potenzialmente per
tutti i delitti compatibili con il fine in esame, l’impiego delle intercettazioni
telefoniche quale strumento di ricerca della prova, ove per effetto
dell’incremento sanzionatorio essi rientrino nei limiti di applicabilità previsti
dall’art. 266 c.p.p.
E, altresì, previsto un aumento di un terzo della pena se dalla commissione
del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal codice
dell’ambiente o da altra legge che tutela l’ambiente, e che, ovviamente, non co-
stituisca a sua volta reato, se, deve ritenersi, da questi conosciuta o ignorata per
colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa, ex art. 59 c.p.
Il nesso teleologico con uno dei delitti ambientali ovvero la violazione di una
disposizione a tutela dell’ambiente che da essa deriva rende il reato eventual-
mente sottoposto a condizione di procedibilità, procedibile d’ufficio.

3. L’attenuante del «Ravvedimento operoso»


Art. 452-decies «I - Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per
il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416 aggravato ai sensi
dell’articolo 452-octies, nonché per il delitto di cui all’articolo 260 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dal-
la metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività
delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiara-
zione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente
alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei
luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta con-
cretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del
fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per
la commissione dei delitti. II - Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la so-
spensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a
due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di
consentire le attività di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso
della prescrizione è sospeso».
Secondo un meccanismo premiale già noto all’ordinamento penale, non solo
sotto forma di circostanza attenuante comune, ex art. 62, n. 6, c.p., ma anche in
materia di contrasto al terrorismo 7, alla criminalità organizzata 8 e di legislazione

7
Ai sensi dell’art. 4, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625 «Per i delitti commessi per finalità di ter-
rorismo o di eversione dell’ordine democratico, salvo quanto disposto nell’art. 289-bis del codice

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Reati ambientali 75

sugli stupefacenti 9, il legislatore della riforma dei delitti ambientali ha introdot-


to all’art. 452-decies un’attenuante speciale da «ravvedimento operoso» che
prevede significative riduzioni di pena per i reati di cui al Titolo VI-bis del co-
dice penale 10, per il delitto di associazione per delinquere aggravato ai sensi del
citato art. 452-octies e per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito
di rifiuti ai sensi dell’art. 260 del Codice dell’ambiente 11, in presenza, alternati-
vamente, di diverse condotte virtuose da parte del soggetto incolpato.

penale, nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che
l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di
polizia e l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei
concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le
altre pene sono diminuite da un terzo alla metà».
8
Ai sensi dell’art. 8, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 «Per i delitti di cui all’art. 416-bis del codi-
ce penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero
al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell’imputato che,
dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di
elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei
reati, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre
pene sono diminuite da un terzo alla metà».
9
Ai sensi dell’art. 73, co. 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, «Le pene previste dai commi da 1 a 6
sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a
conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella
sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti». In base all’art. 74 [Associazione finaliz-
zata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope], «Le pene previste dai commi da 1 a 6
sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del
reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti».
10
Giova rammentare che l’art. 434, co. 1, c.p., configurandosi come autonomo delitto di at-
tentato, a consumazione anticipata, distinto, benché affine, al delitto tentato, non si giova delle
regole generali che disciplinano il tentativo e fra esse delle ipotesi di desistenza volontaria e im-
pedimento volontario dell’evento di cui all’art. 56, co. 3,4, c.p.
11
Il reato di cui all’art. 260, D.Lgs. n. 152/2006, si compone – pedissequamente alla previ-
gente ipotesi di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti ex art. 53-bis, D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22 (Cass. Pen., sez. III, 29 novembre 2006, n. 9794) – di una pluralità di operazioni –
segnatamente – cessione, trasporto, esportazione, importazione e gestione abusiva di rifiuti – con-
trassegnate dall’allestimento di mezzi e con attività continuative e organizzate. Elemento essen-
ziale, sotto il profilo oggettivo del reato, è la predisposizione di una organizzazione finalizzata
all’esercizio continuativo, o comunque per un apprezzabile periodo di tempo, di attività economi-
che, con impiego di capitali, beni materiali, depositi, ecc., funzionale alla gestione dei rifiuti. Co-
me anche di recente statuito dalla Suprema Corte «il reato di attività organizzate per il traffico
illecito di rifiuti è abituale, perché è integrato necessariamente dalla realizzazione di più compor-
tamenti della stessa specie sostanziandosi nell’allestimento di mezzi e attività continuative orga-
nizzate finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti» (Cass. Pen., sez. III, 17 gen-
naio 2014, n. 5773). Il versante organizzativo, imprenditoriale, della gestione si salda, infatti, con
il requisito della reiterazione delle operazioni gestorie che non solo differenzia la fattispecie in
esame da quella di cui all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006, ma che ne giustifica la stessa inedita qua-
lificazione di delitto e il più severo trattamento sanzionatorio rispetto al previgente D.Lgs. n.
22/1997 (c.d. Decreto Ronchi), così come alla maggior parte delle disposizioni penali contenute
nella disciplina dei rifiuti aventi natura contravvenzionale.

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76 Capitolo II

La norma prevede, in particolare, una riduzione della pena da un terzo alla


metà, in due ipotesi accomunate da un ravvedimento post delictum.
Beneficia dello sconto di pena 12 chi si adopera per evitare che l’attività delit-
tuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado, provvede, concretamente, alla mes-
sa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi.
Si tratta, pertanto, di due situazioni, in realtà, distinte, ma egualmente valo-
rizzate dal Legislatore in chiave di mitigazione del trattamento sanzionatorio, in
quanto accomunate da una spontanea 13 ed efficace attività diretta ad elidere o
attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
La prima parte esige genericamente interventi volti a evitare le ulteriori con-
seguenze dell’attività delittuosa che dovranno formare oggetto, di volta in volta,
di una verifica rispetto alla situazione concreta ed andranno apprezzate dal giu-
dice con riferimento alla tutela del bene ambientale.
La seconda ipotesi prevede, invece, cumulativamente, la messa in sicurez-
za 14 e la bonifica 15 e, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi 16 , tipiche

12
In tema di criminalità organizzata, la Suprema Corte afferma che «La circostanza attenuan-
te della dissociazione attuosa, prevista dall’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, è sottratta alla disciplina
del bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69 c.p. e gli speciali criteri di diminuzione della
pena, in forza dei quali si applica la reclusione da dodici a venti anni in luogo dell’ergastolo, si
applicano senza che abbia rilievo se tale ultima pena sia prevista per la forma aggravata o per la
fattispecie criminosa di base. La sequenza per il calcolo della pena, in caso di applicazione della
diminuente a effetto speciale di cui all’art. 8, prevede che si proceda innanzitutto al computo del-
le variazioni sanzionatone derivanti dalle altre circostanze attenuanti e aggravanti e, quindi,
all’applicazione dell’attenuante connessa alla dissociazione attuosa» (Cass. Pen., SS.UU., 25
febbraio 2010, n. 10713).
13
Dovrebbe pertanto escludersi l’attenuante in oggetto «ove il ripristino dello stato dei luoghi
compromesso da un reato ambientale avvenga solo a seguito di un ordine dell’autorità di con-
trollo» (G. Marinucci-E. Dolcini, Manuale, cit., p. 358).
14
Ai sensi dell’art. 240, lett. m), la messa in sicurezza d’emergenza consiste in «ogni inter-
vento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla
lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la dif-
fusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti
nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza
operativa o permanente»; ai sensi della la lettera n) la messa in sicurezza operativa è «l’insieme
degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di
sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza
permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli in-
terventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino
all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione
della contaminazione all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono
essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia
delle soluzioni adottate»; ai sensi della lettera o) la messa in sicurezza permanente è «l’insieme
degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali
circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente.
In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto
alle previsioni degli strumenti urbanistici».

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Reati ambientali 77

procedure previste dal codice dell’ambiente che il soggetto attivo del reato do-
vrà attivare appunto congiuntamente per beneficiare della riduzione di pena.
L’uso dell’avverbio «concretamente» lascia intendere che le citate procedure
debbano non solo essere attivate o arrestarsi alle relative fasi preliminari alla boni-
fica (con l’indagine preliminare, la caratterizzazione e l’analisi di rischio specifica
del sito) o alla mera presentazione del progetto di bonifica o messa in sicurezza,
ma essere effettivamente portate a compimento nei termini autorizzati in seno alla
conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 242 del Codice dell’ambiente.
L’eventuale, ad anzi probabile, divaricazione fra i tempi necessari
all’esecuzione della bonifica e quelli di celebrazione del processo sta alla base
della possibilità per l’imputato di chiedere al giudice prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento 17, una proroga, in forza, deve ritenersi, di un docu-
mentato avanzamento del procedimento di messa in sicurezza, bonifica e ripri-
stino dello stato dei luoghi.
In caso di concessione della sospensione del processo è prevista per tutto il
relativo periodo – pari ad un termine massimo di due anni prorogabili per un
anno – la sospensione del corso della prescrizione.
Beneficia, altresì, della riduzione di pena da un terzo alla metà chi aiuta con-
cretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del
fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per
la commissione dei delitti.
In tema di reati di criminalità organizzata, ad esempio il riconoscimento del-
la circostanza attenuante di cui all’art. 8, D.L. n. 152/1991, richiede il “proficuo
contributo fornito alle indagini” (Cass. Pen., sez. I, 3 febbraio 2006, n. 14527;
in senso conforme, Cass. Pen., sez. I, 21 maggio 2003, Tangredi; Cass. Pen.,
sez. I, 7 novembre 2001, Alfieri).
“In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento
dell’attenuante per collaborazione ex art. 73, comma 7, D.P.R. n. 309/1990, è
sufficiente che l’imputato abbia offerto tutto il suo patrimonio di conoscenze e la
sua possibilità di collaborazione per evitare che l’attività delittuosa sia portata a

15 Ai sensi dell’art. 240, co. 1, lett. p) del Codice dell’ambiente, per bonifica si intende
«l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a
ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad
un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)».
16
Ai sensi dell’art. 240, lett. q), per ripristino e ripristino ambientale si intendono «gli inter-
venti di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli inter-
venti di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effet-
tiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici».
17
Il riferimento normativo al solo dibattimento quale momento processuale preclusivo per il
compimento delle attività post delictum utili ai fini della concessione del beneficio sanzionatorio,
ovvero per la richiesta di una proroga necessario alla ultimazione di attività già avviate, lascia ir-
risolta la questione della invocabilità dell’attenuante del ravvedimento operoso da parte
dell’imputato che abbia chiesto procedersi con rito abbreviato o con applicazione della pena su
richiesta delle parti.

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78 Capitolo II

ulteriori conseguenze, attraverso l’individuazione e la neutralizzazione dei re-


sponsabili da lui conosciuti” (Cass. Pen., sez. III, 9 maggio 2013, n. 37804). Men-
tre “non basta la mera indicazione del nominativo di qualche complice, ma oc-
corre che l’aiuto si concreti quantomeno in un risultato di utilità, nel senso che la
collaborazione prestata, nei limiti della posizione del colpevole, porti alla sottra-
zione di risorse ed eviti la commissione di altri delitti” (Cass. Pen., sez. IV, 28
gennaio 2004, n. 11555; in termini, Cass. Pen., sez. VI, 2 marzo 2010, n. 20799).
Ove le condotte premianti indicate siano in corso di esecuzione, ma non ul-
timate, l’imputato può chiedere, a tal fine, al giudice prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado la sospensione del procedimento per
un tempo congruo, e comunque non superiore a 2 anni prorogabile al massimo
per un anno ulteriore, con conseguente sospensione del corso della prescrizione.

4. L’estinzione delle contravvenzioni ambientali “inoffensive”


L’art. 1, co. 9, delle Legge di riforma dei delitti ambientali ha introdotto nel
codice dell’ambiente una Parte sesta bis, composta dagli articoli da 318-bis a
318-octies, dedicata ad una speciale procedura estintiva per tutte le ipotesi
contravvenzionali “inoffensive” in esso contenute 18.

18
La procedura in esame ricalca quella già prevista dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758
(Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro) il cui art. 20 prevede che «I -
Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle
funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al con-
travventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il
periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravven-
tore, per la particolare complessità o per l’oggettiva difficoltà dell’adempimento. In nessun caso
esso può superare i dodici mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al con-
travventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere proro-
gato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei
mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero. II -
Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente
nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore. III - Con la prescrizione l’organo di
vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salu-
te dei lavoratori durante il lavoro. IV - Resta fermo l’obbligo dell’organo di vigilanza di riferire al
pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell’art. 347 del codi-
ce di procedura penale». In relazione all’esperienza applicativa della procedura estintiva delle
contravvenzioni in materia di lavoro, è stato, in particolare statuito, che «la procedura prevista
dagli artt. 21 e segg. d.lg. n. 758/94, presuppone la sussistenza del reato già consumato e perfetto
in ogni suo elemento, oggettivo e soggettivo. L’indagine in ordine alla sussistenza dell’elemento
soggettivo non può dunque estendersi alla fase estintiva, che è successiva al perfezionarsi del
reato e opera su, un piano diverso, oggettivo. L’eventuale ritardo nel pagamento, se non dovuto a
colpa, può solo astrattamente comportare la remissione in termini, ma non può certo destruttura-
re un reato ormai già perfezionato» (Cass. Pen., sez. III, 24 giugno 2014, n. 1702). «La speciale
causa di estinzione delle contravvenzioni in materia di prevenzione antinfortunistica non opera se
il pagamento della somma determinata a titolo di sanzione amministrativa avviene oltre il termi-
ne di 30 giorni fissato dall’art. 21, comma 2, d.lg. n. 758/1994, dato che ha natura perentoria e

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Reati ambientali 79

In relazione, in particolare, alle contravvenzioni che non abbiano cagionato


danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanisti-
che o paesaggistiche protette (art. 318-bis), il contravventore potrà beneficiare di
una speciale causa di estinzione del reato (con conseguente archiviazione del
procedimento penale) a condizione di adempiere, tempestivamente, alle prescri-
zioni impartite dall’organo di vigilanza con funzioni di polizia giudiziaria, ovvero
dalla polizia giudiziaria, e asseverata tecnicamente da un ente specializzato compe-
tente nella materia trattata (art. 318-ter), oltre al pagamento di una somma pari a un
quarto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione commessa.

non ordinatoria» (Cass. Pen., sez. III, 3 luglio 2014, n. 45228); «Il pagamento della sanzione
amministrativa effettuato ex art. 24 d.lg. 19 dicembre 1994 n. 758 dal legale rappresentante della
società riverbera l’effetto estintivo anche a favore del dipendente-contravventore, che abbia ope-
rato come persona fisica all’interno dell’azienda» (Cass. Pen., sez. III, 15 febbraio 2012, n.
18914). «La sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contravventore, ammesso alla procedu-
ra di estinzione dei reati antinfortunistici o in materia di igiene del lavoro (art. 24, D.Lgs. 19 di-
cembre 1994, n. 758), non costituisce impedimento rilevante, idoneo a giustificare il mancato
espletamento della procedura estintiva» (Cass. Pen., sez. III, 28 settembre 2011, n. 44399).
«L’impossibilità della notifica, per irreperibilità del contravventore, dell’invito al pagamento
dell’oblazione determinata dall’organo di vigilanza per l’estinzione del reato (art. 24, d.lg. 19
dicembre 1994, n. 758), non osta all’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti» (Cass. Pen.,
sez. III, 7 luglio 2011, n. 41073); «La procedura di estinzione prevista dagli art. 20 ss. d.lg. 19
dicembre 1994 n. 758, trova applicazione, ai sensi dell’art. 15 comma 3 d.lg. 23 aprile 2004 n.
124, anche per le fattispecie cosiddette a condotta esaurita, ossia in presenza di reati istantanei
già perfezionatisi, nonché nei casi in cui il trasgressore abbia già autonomamente provveduto
all’adempimento degli obblighi di legge, senza attendere l’imposizione della prescrizione da par-
te dell’organo di vigilanza» (Cass. Pen., sez. III, 3 maggio 2011, n. 34750); «L’invito alla regola-
rizzazione di cui all’art. 20 d.lg. n. 758 del 1994 non deve essere reiterato in caso di sopravvenu-
to mutamento del datore di lavoro o del responsabile della sicurezza, perché costoro sono tenuti
a verificare, al momento di assunzione dell’incarico, l’esistenza di eventuali prescrizioni già im-
partite dall’organo di vigilanza» (Cass. Pen., sez. III, 7 maggio 2009, n. 29543); «L’atto con il
quale l’organo di vigilanza, ai sensi dell’art. 20 d.lg. 19 dicembre 1994, n. 758, avendo accertato
una contravvenzione alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavo-
ro, impartisca le opportune prescrizioni fissando un termine per l’eliminazione delle irregolarità,
non è annoverabile fra i provvedimenti amministrativi – dovendosi ad esso attribuire, invece, na-
tura di atto di polizia giudiziaria – ed è quindi sottratto alle impugnazioni previste per i suddetti
provvedimenti, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale» (Cass. Pen., sez. I, 14
febbraio 2000, n. 1037); «In caso di notizia di reato non pervenuta al p.m. dall’organo di vigilan-
za, non può assolutamente prescindersi, nel pervenire ad una pronuncia di condanna,
dall’accertamento se il p.m. abbia adempiuto all’obbligo di darne immediata comunicazione
all’organo di vigilanza nonché se l’organo di vigilanza abbia emesso la prescrizione diretta alla
eliminazione della contravvenzione accertata e se il contravventore abbia adempiuto alla prescri-
zione stessa ed abbia provveduto al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al
quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa; la mancata so-
spensione del procedimento penale e soprattutto la mancata comunicazione da parte del p.m.
all’organo di vigilanza affinché questo prenda le sue determinazioni, privano inammissibilmente
l’imputato della facoltà di estinguere la contravvenzione mediante l’adempimento della prescri-
zione ed il pagamento in via amministrativa della somma indicata, violando quindi in modo de-
terminante il diritto di difesa”» (Cass. Pen., sez. III, 5 ottobre 1999, n. 3216).

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80 Capitolo II

Per la regolarizzazione è previsto un termine «non superiore al periodo di


tempo tecnicamente necessario», ma in presenza di «specifiche e documentate
circostanze non imputabili al contravventore che determinino un ritardo nella
regolarizzazione, il termine può essere prorogato per una sola volta, a richiesta
del contravventore, per un periodo non superiore a sei mesi, con provvedimento
motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero» (art. 318-
ter).
Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione,
l’organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata secondo le moda-
lità e nel termine indicati dalla prescrizione.
Quando risulta l’adempimento della prescrizione, l’organo accertatore am-
mette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta
giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la
contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine
fissato nella prescrizione, l’organo accertatore comunica al pubblico ministero
l’adempimento della prescrizione nonché l’eventuale pagamento della predetta
somma (art. 318-quater).
Al fine di agevolare l’instaurazione di tale procedura, il pubblico ministero
che abbia notizia della contravvenzione ha l’obbligo di darne comunicazione
all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria affinché possano imporre al
contravventore le prescrizioni (art. 318-quinquies).
Senza pregiudizio per eventuali richieste di archiviazione o per l’assunzione
di prove con incidente probatorio né per il compimento di atti di indagine ur-
genti o del sequestro preventivo, il procedimento penale rimane sospeso dalla
iscrizione della notizia di reato fino alla comunicazione al pubblico ministero
dell’adempimento o inadempimento delle prescrizioni (art. 318-sexies).
A seguito della verifica dell’adempimento e l’irrogazione della sanzione en-
tro termini determinati e lungo una serie di fasi procedimentali (art. 318-quater),
segue l’archiviazione del procedimento da parte del pubblico ministero, e in ca-
so di adempimento tardivo o con modalità diverse della prescrizione residua la
possibilità di applicazione di un’oblazione ridotta rispetto alle previsioni di cui
agli artt. 162-bis c.p. (art. 318-septies).
Con una norma transitoria, è stata esclusa la disciplina di estinzione delle
contravvenzioni per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della
presente legge di riforma (art. 318-octies).

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81

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INDICE ANALITICO

− sospensione (della
A prescrizione); II
Aggravante associativa
− aggravante comune; II D
− aggravante speciale; II Disastro ambientale
− associazione mafiosa; II − abusivamente (violazione
− associazione per delinquere; II norme); I
− aumento della pena; II − alterazione (irreversibile); I
− bilanciamento; II − aggravante; I
− dolo specifico; II − causa (rapporto di); I
− incaricati pubblico servizio; II − confisca (per equivalente); I
− nesso di coordinazione; II − colpa; I
− nesso teleologico; II − consumazione; I
− pubblici ufficiali; II − disastro (innominato); I
− responsabilità (persona − dolo (generico); I
giuridica); II − ecosistema; I
Aggravante ambientale − evento (di); I
− aggravante comune; II − incolumità pubblica (offesa); I
− aggravante speciale; II − interventi (onerosi); I
− nesso teleologico; II − pena (accessoria); I
Attenuante del ravvedimento − prescrizione; I
operoso − provvedimenti (eccezionali); I
− aggravante speciale; II − recupero (ripristino) I;
− bonifica; II − responsabilità (persona
− contributo (alle indagini); II giuridica); I
− messa in sicurezza; II
− proroga (del termine); II E
− ravvedimento; II Estinzione delle contravvenzioni
− ripristino; II ambientali senza danno o pericolo
− sospensione (del processo); II concreto e attuale di danno

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84 Indice analitico

− archiviazione (procedimento − evento; I


penale); II − pena (accessoria); I
− asseverazione (prescrizioni); − prescrizione; I
II − responsabilità (persona
− estinzione (del reato); II giuridica); I
− oblazione (ridotta); II − recupero (ripristino); I
− organo di vigilanza; II
− norma transitoria; II M
− pagamento; II Morte o lesioni come conseguenza
− polizia giudiziaria; II del delitto di inquinamento
− prescrizioni; II ambientale
− proroga (termine); II − aberractio delicti; I
− termine (adempimento); II − aggravante; I
− compromissione; I
I − confisca (per equivalente); I
Impedimento del controllo − colpa; I
− agenzie; I − pena (aumenti di); I
− vigilanza (attività di); I − prescrizione; I
− consumazione; I
− dolo (generico); I O
− igiene (del lavoro); I Omessa bonifica
− pena (accessoria); I − bonifica; I
− prescrizione; I − causa di non punibilità
− confisca (per equivalente); I (esclusione);I
− recupero (ripristino); I − codice ambiente; I
Inquinamento ambientale − consumazione; I
− abusivamente (violazione − controllo legalità dell’ordine; I
norme); I − eccesso di potere; I
− aggravante; I − incompetenza; I
− compromissione; I − inosservanza ordine autorità; I
− confisca (per equivalente); I − motivazione (provvedimento); I
− colpa; I − obbligo (di legge); I
− deterioramento; I − ordine (del giudice); I
− dolo; I − ordine (della pubblica autorità); I

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Indice analitico 85

− prescrizione; I − abusivamente (violazione


− procedimento (bonifica); I norme); I
− progetto di bonifica; I − aggravante; I
− reato istantaneo; I − confisca (per equivalente); I
− reato permanente; I − consumazione; I
− recupero; I − compromissione (pericolo di); I
− ripristino; I − deterioramento (pericolo di); I
− termine (perentorio); I − illegittimamente; I
− termine (espresso); I − nucleare (materiali); I
− termine (implicito); I − pena accessoria; I
− violazione di legge; I − pericolo (astratto); I
− prescrizione; I
T − radioattività (alta); I
Traffico e abbandono di materiale − recupero (ripristino); I
ad alta radioattività − responsabilità (persona
giuridica); I

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