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Reati ambientali
Fabio De Matteis
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7
PREFAZIONE
Scopo del presente volume è di offrire un primo, cursorio, esame delle nuove
fattispecie di reato introdotte con la L. 22 maggio 2015, n. 68, recante
«Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», entrata in vigore il 29
maggio 2015.
Il Parlamento ha, infatti, licenziato, in quarta lettura, il testo definitivo della
riforma della tutela penale del bene ambiente, il cui baricentro gravita attorno al
titolo VI-bis del libro secondo del codice penale, denominato «Dei delitti contro
l’ambiente». Nei dodici articoli [dal 452-bis al 452-terdecies] che compongono
la novella, accanto ad un catalogo di reati – cinque delitti dolosi e due colposi
oltre ad una speciale ipotesi di aberratio delicti plurilesiva – e di circostanze –
aggravanti e attenuanti – di nuovo conio, si collocano specifiche previsioni in
materia di confisca, di pene accessorie, di ripristino dello stato dei luoghi che,
nelle intenzioni del legislatore, dovrebbero comporre lo statuto penale
dell’ambiente, attraendo, almeno per le più gravi aggressioni alle matrici
ambientali, lo spazio di tutela, di marca prettamente contravvenzionale, finora
occupato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell’ambiente) e dai
delitti di comune pericolo, nelle vesti, in particolare, del disastro innominato
previsto all’art. 434 c.p.
In tale direzione, oltre che di auspicata deflazione dei procedimenti penali
per le aggressioni di minor spessore all’ambiente, muove per i procedimenti
successivi alla entrata in vigore della nuova legge, il subprocedimento di
estinzione delle contravvenzioni “inoffensive”, ossia senza danno o pericolo
concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche
protette, al quale il contravventore potrà accedere a condizione di realizzare
taluni adempimenti di natura riparatoria.
Completano la novella ulteriori disposizioni, di natura sostanziale e
processuale, il cui tratto comune, e coerente al severo trattamento sanzionatorio
previsto per le inedite fattispecie incriminatrici, è quello di rafforzare, con una
intensità senza precedenti, il sistema di prevenzione e repressione di talune
condotte di inquinamento, anche se reversibile, dell’ecosistema: il raddoppio dei
termini di prescrizione per i nuovi delitti ambientali, l’estensione ad alcuni di
tali delitti della confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità in valore
sproporzionato al reddito del condannato e di cui non sia giustificata la
provenienza, l’inserimento di taluni delitti ambientali fra i reati presupposti
della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, il
coordinamento investigativo fra Procure della Repubblica propiziato dalla
comunicazione dei procedimenti per i delitti in esame al procuratore generale
presso la corte d’appello, sono il segno tangibile della scelta politico criminale
di elevare i delitti ambientali fra i reati di maggior allarme sociale.
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8 Prefazione
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CAPITOLO I
I NUOVI REATI AMBIENTALI
1. L’«Inquinamento ambientale»
Art. 452-bis c.p. «I - È punito con la reclusione da due a sei anni e con la
multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una
compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque
o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di
un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. II -
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a
vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologi-
co, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata».
1
In via esemplificativa, in tema di inquinamento elettromagnetico: “Il fenomeno della emis-
sione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di interpretazione estensiva, nella previsione
dell’art. 674 c.p. Detta contravvenzione è configurabile soltanto allorché sia stato provato, in
modo certo e oggettivo, il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti
dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata un’effettiva e concreta idoneità delle
emissioni a offendere o molestare le persone esposte, ravvisata non in astratto, per il solo supe-
ramento dei limiti, ma a seguito di un accertamento (da compiersi in concreto) dell’effettivo peri-
colo oggettivo e non meramente soggettivo» (Cass. Pen., sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 23262; in
termini, Cass. Pen., sez. III, 8 aprile 2010, n. 17967; Cass. Pen., sez. I, 12 marzo 2002, n. 15717;
Cass. Pen., sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102; Cass. Pen., sez. I, 14 ottobre 1999, n. 5626; Cass.
Pen., sez. I, 13 ottobre 1999, n. 5592); in tema di getto di liquami in danno delle colture: “La fatti-
specie prevista dall’art. 674 c.p. è collocata nell’ambito delle contravvenzioni di polizia ed è po-
sta a tutela della incolumità pubblica; i nocumenti, più o meno gravi, che la norma intende evita-
re devono essere messi in relazione alla loro capacità lesiva nei confronti delle persone che dal
getto pericoloso di cose vengono imbrattate, offese nella loro integrità fisica o molestate e turbate
nella loro tranquillità; l’idoneità lesiva della condotta è correlabile anche ad oggetti, ma in que-
sto caso il fatto non ha rilevanza penale. Di conseguenza, il reato non si perfeziona quando i
comportamenti enucleati nella norma sono idonei a danneggiare esclusivamente delle ‘res’ (fatti-
specie relativa a getto di liquami atti ad imbrattare che causa danni solo alle colture senza river-
beri negativi sulle persone)” (Cass. Pen., sez. III, 13 aprile 2010, n. 22032). “È possibile il con-
corso tra l’art. 674, c.p. e le norme speciali in materia ambientate (con riferimento
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10 Capitolo I
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Reati ambientali 11
2
«Il concetto di danno ambientale, sviluppatosi a partire dall’art. 18, l. 8 luglio 1986 n. 349,
denota un tipo di compromissione, consistente nell’alterazione, deterioramento, distruzione, in
tutto o in parte, dell’ambiente; il danno ambientale supera e trascende il danno ai singoli beni
che ne fanno parte e con esso l’ordinamento ha voluto tener conto non solo del profilo risarcito-
rio, ma anche di quello sanzionatorio, che pone in primo piano non solo e non tanto le conse-
guenze patrimoniali del danno arrecato, ma anche e soprattutto la stessa produzione dell’evento,
e cioè l’alterazione, il deterioramento, la distruzione, in tutto o in parte dell’ambiente, e cioè la
lesione in sé del bene ambientale» (T.A.R. Lombardia, sez. I, 25 luglio 2013, n. 1957).
3
In base al co. 2, «Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il dete-
rioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat natu-
rali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157,
recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del
Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE
della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di
Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre
1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla con-
servazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, non-
ché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di
attuazione; b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente nega-
tivo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque
interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si ap-
plica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva; c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel
mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali; d) al terre-
no, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche
indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di
sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente».
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12 Capitolo I
Tuttavia, in assenza di una nitida presa di posizione, ora come in passato, sul
piano normativo, l’esigenza di coordinamento fra il delitto di inquinamento am-
bientale con quello di disastro ambientale [vd. postea], come vedremo, focaliz-
zato su di un evento di alterazione «irreversibile e particolarmente oneroso»
dell’ecosistema, suggeriscono di disegnare i confini dell’evento in esame, entro
l’alterazione non irrimediabile del sistema.
La compromissione o il deterioramento devono, inoltre, risultare «significa-
tivi» e «misurabili».
Replicando, come visto, i requisiti previsti dall’art. 300 del codice
dell’ambiente 4 dettato in relazione al danno ambientale risarcibile in favore del
Ministero dell’Ambiente, l’art. 452-bis c.p. esige la prova che l’evento dannoso
accertato presenti una oggettiva evidenza qualitativa e quantitativa: la condotta
cioè deve avere prodotto, per l’estensione dell’area colpita, per la tipologia delle
matrici ambientali, un notevole, per quanto non irreparabile, pregiudizio, quan-
tificabile, deve ritenersi, secondo parametri scientificamente accreditati, e che
dovrà formare oggetto di uno specifico accertamento, presumibilmente, con
l’ausilio, almeno nei casi più controversi, di consulenti tecnici (biologi, chimici,
ingegneri, ecc.).
Quanto all’oggetto materiale sul quale deve ricadere la condotta dannosa, la
norma penale elenca espressamente, e alternativamente, oltre alle acque e
all’aria, «porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo», attribuendo
rilievo non solo alle aggressioni portate su ampia scala, ma anche alle ricadute
su aree circoscritte, ma di notevole pregio (si pensi ad oasi naturali non ancora
protette, o a zone circoscritte ma ricche di specie vegetali rare). L’elenco com-
prende anche «un ecosistema», ossia anche un singolo insieme, composto da
organismi viventi o da materia non vivente, autosufficiente e in equilibrio (ad
es. un lago, uno stagno, ecc.), «la biodiversità, anche agraria, della flora o della
fauna».
La condotta causativa dell’evento tipico deve essere stata realizzata «abusi-
vamente». La formula, che ritroveremo anche nel delitto di «disastro ambienta-
le», esige che la condotta materiale abbia anche una connotazione illecita, ovve-
ro sia stata posta in essere in contrasto con una (non meglio definita) norma ex-
trapenale; il testo definitivo dell’art. 452-bis c.p., in effetti, ha sostituito la pre-
cedente formulazione del progetto di legge, secondo la quale la condotta doveva
essere attuata «in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o ammi-
nistrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza co-
stituisce di per sé illecito amministrativo o penale», con l’effetto di estendere la
rilevanza penale del fatto anche alla violazione di norme poste in via immediata
4
Anche l’art. 2 della dir. europea n. 2004/35/CE del 21 aprile 2004 «Sulla responsabilità am-
bientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale» definisce, al co. 2, il
«danno» come «un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento
misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente».
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Reati ambientali 13
5
L’art. 3-ter del D.Lgs. n. 152/2006 [Principio dell’azione ambientale] stabilisce che «La tu-
tela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da
tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante
una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi
inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano
la politica della comunità in materia ambientale».
6
Nella seduta del Senato n. 452 del 19 maggio 2015 di discussione e approvazione finale del di-
segno di legge S-1345-B «Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», è stato precisato che
«il termine “abusivamente” […] è stato ideato ed identificato quale termine ampio, volto a contenere
al suo interno anche le violazioni formali, cioè l’assenza di eventuale di titoli autorizzativi, ma cer-
tamente in un’ottica ben più onnicomprensiva, tanto da poter comprendere, per ipotesi, anche un ca-
so scolastico. Si pensi ad esempio al caso in cui lo stesso titolo di natura amministrativa esistente sia
frutto di un iter illegittimo in senso lato, dal punto di vista amministrativo o penale: insomma, nel
caso di una licenza, una DIA o qualsiasi titolo autorizzativo ottenuto magari con la corruzione di un
pubblico ufficiale, il termine “abusivamente” permetterebbe di svuotare di forza precettiva o dello
scudo penale anche l’eventuale regolarità formale di ogni tipo di autorizzazione. Con il termine
“abusivamente” siano dell’idea che sarà possibile operare una valutazione complessiva della condot-
ta in relazione a tutte le norme e ai principi giuridici» […] «Il termine “abusivamente” non vuol dire
“in assenza di autorizzazione amministrativa”» (senatore Buccarella M5S), in www.senato.it.
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14 Capitolo I
chino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano
scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti
ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati» (Cass. Pen., sez. III,
20 novembre 2007, n. 358; in termini, Cass. Pen., sez. V, 11 ottobre 2006, n.
40330, Pellini; Cass. Pen., sez. III, 6 ottobre 2005, n. 40828).
Dunque, potrebbe ritenersi illecita non solo, ovviamente, la condotta posta in
essere sine titulo, ma anche quella che pur fondandosi su una formale autorizza-
zione, se ne discosti a tal punto da potersi ritenere con essa in contrasto. Al di fuo-
ri, tuttavia, delle ipotesi più estreme, il connotato di abusività tende a stemperarsi
quanto maggiore è l’incertezza sulla conformità della condotta tenuta rispetto ad
un titolo autorizzativo esistente e legittimo, e sul quale l’agente può avere riposto
un ragionevole affidamento quale fonte di legittimazione del proprio operato.
A ben guardare, in tali casi, il rapporto fra l’autorizzazione e il comportamento
tenuto dall’agente assumerà rilievo non solo sul piano della liceità o meno della
condotta oggettiva, ma anche del dolo generico richiesto dalla fattispecie.
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la compro-
missione o il deterioramento ambientale, accertamento non agevole nei casi in
cui tale evento lungi dall’essere istantaneo si realizza attraverso dinamiche, le-
gate anche alle peculiari caratteristiche dell’habitat aggredito, complesse e ripe-
tute nel tempo.
Il co. 2 dell’art. 452-bis c.p. prevede una circostanza aggravante comune, os-
sia con aumento della pena fino a un terzo della pena, nei casi di inquinamento
delle aree tutelate o in danno di specie animali e vegetali protette.
Il termine di prescrizione, decorrente dalla consumazione del reato, è pari al-
la pena massima prevista per il delitto in esame, di anni sei, ma raddoppiato, ad
anni dodici, in forza della modifica all’art. 157 c.p. introdotta dall’art. 1, co. 6,
della L. 22 maggio 2015, n. 68.
È stata estesa la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione anche ai condannati per i reati di “inquinamento ambientale”.
Il legislatore ha previsto, altresì, in caso di condanna o di patteggiamento, fra
gli altri, per il delitto di “inquinamento ambientale”, la confisca obbligatoria,
anche per equivalente 7, e salvi i diritti dei terzi estranei al reato, delle cose che
7
Giova rammentare che «In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista
dall’art. 322 ter c.p., costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con
somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente col-
legabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo» (Cass. Pen.,
SS.UU., 25 ottobre 2008, Miragliotta); «In tema di reati tributari commessi dal legale rappre-
sentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equiva-
lente prevista dalla l. n. 244 del 2007, art. 1 comma 143, e art. 322 ter cod. pen. non può es-
sere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e
rappresenti solo uno schermo attraverso cui il reo agisca come effettivo titolare dei beni»
(Cass. Pen., sez. III, 7 gennaio 2015, n. 5191); «L’estinzione del reato preclude la confisca
delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240, co. 2, n. 1
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Reati ambientali 15
c.p.» (Cass. Pen., SS.UU., 10 luglio 2008, De Maio); «In tema di responsabilità da reato de-
gli enti collettivi, il profitto del reato oggetto della confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 si
identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato
presupposto, ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinal-
lagmatico, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal dan-
neggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni che il contratto gli
impone» (Cass. Pen., SS.UU., 27 marzo 2008, Fisia Italimpianti); «L’art. 25 co. 2 Cost. vieta
l’applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per
equivalente”» (Corte Cost. n. 97/2009).
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16 Capitolo I
punibile anche per colpa, con diminuzione della pena prevista dall’ipotesi dolo-
sa da un terzo a due terzi.
Sul piano processuale, il delitto di omessa bonifica rientra fra i reati per i
quali è prevista l’udienza preliminare, mentre la relativa cognizione compete, ai
sensi dell’art. 33-ter c.p.p., al Tribunale in composizione monocratica. Sono, al-
tresì, applicabili, ex art. 280 c.p.p., misure cautelari personali, e sono ammissibi-
li, ex art. 266 c.p.p., intercettazioni di conversazioni e comunicazioni.
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Reati ambientali 17
3. Il «Disastro ambientale»
Art. 452 quater c.p. «I - Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque
abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da
cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1)
l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione
dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente one-
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18 Capitolo I
8
La dir. europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla protezione dell’ambiente mediante
il diritto penale, pur indicando in via del tutto generale lo standard minimo comune di tutela
dell’ambiente per gli ordinamenti nazionali, precisa che «attività che danneggiano l’ambiente,
lequali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità
dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la con-
servazione delle specie» esigono sanzioni penali dotate di maggiore dissuasività (preambolo, art.
5).
9
S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, in Trattato di Dir. Pen., p.s., a cura di G.
Marinucci - E. Dolcini, Padova, p. 630.
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Reati ambientali 19
10
Cass. Pen., sez. IV, 17 maggio 2006, n. 4675.
11
L’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale venne pronunciata dal G.U.P. del Tri-
bunale di Santa Maria Capua Vetere nel corso dell’udienza preliminare celebrata nei confronti di
plurimi imputati per delitti di associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti, realizzazione
e gestione di discariche abusive, truffa in danno di enti pubblici (giudicati separatamente con de-
creto che dispone il giudizio e sentenza parziale di non luogo a procedere) e disastro c.d. innomi-
nato, in relazione alla gestione dolosa del traffico illecito di rifiuti che, attraverso l’utilizzo di nu-
merosi terreni agricoli trasformati in vere e proprie discariche abusive di rifiuti pericolosi, abban-
donati “tal quali” nell’ambiente, «determinavano un doloso disastro ambientale in un’ampia zona
territoriale interessante i comuni di Villa Literno, San Tammaro, Castel Volturno e Falciano del
Massico, a causa dell’imponente smaltimento di rifiuti estremamente inquinanti il terreno e
l’ecosistema» (ord. G.U.P. Trib. S. Maria Capua Vetere, 12 dicembre 2006).
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20 Capitolo I
12
Affermava, altresì, il Giudice che nessun contributo all’intelligibilità del precetto da parte
del cittadino destinatario, né alla delimitazione della discrezionalità del giudice recava “la volun-
tas legis” nella indicazione corrispondente alla relazione ministeriale sul progetto del codice pe-
nale, parte II, p. 224, nella quale si legge che «la disposizione dell’art. 440 (oggi art. 434) nella
parte che riguarda gli altri disastri ha carattere integrativo, che essa intende cioè colmare ogni
eventuale lacuna che di fronte alla multiforme varietà dei fatti possa presentarsi nel titolo concer-
nente la tutela della pubblica incolumità», in quanto essa «lungi dal risolvere il problema di iden-
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Reati ambientali 21
tificazione del nucleo del comportamento incriminato, non fa che fissarne la premessa storica».
«In buona sostanza – chiosava l’ordinanza di rimessione – il legislatore fascista esplicita la volon-
tà di colmare con una clausola generale il divario inevitabile tra le evoluzioni della tecnica e le
esigenze di tutela dei beni giuridici e sceglie di comporre l’inevitabile conflitto sbilanciandosi in
favore di esigenze di integrale penalizzazione, a scapito delle istanze della certezza del diritto e
del contenimento dell’arbitrio dei giudici». «La fuga verso le clausole generali è del resto caratte-
ristica propria del diritto penale italiano e tedesco degli anni ’30 e corrisponde ad una temperie
culturale che esaltava il ruolo creativo del giudice all’insegna di un accentuato ripudio della cer-
tezza del diritto. Il problema del giudice costituzionale non può allora risolversi nell’appiattirsi
sulle ragioni che indussero il legislatore pre-costituzionale ad una determinata scelta definitoria,
ma consiste nell’interrogarsi sulla presenza nel tatbestand di costruzione legislativa di quote ac-
cettabili di precisione descrittiva e determinatezza» (ord. 12 dicembre 2006, cit.)
13
La Relazione del Guardiasigilli al Codice penale afferma che l’art. 434 c.p. «è destinata a
colmare ogni eventuale lacuna, che di fronte alla multiforme varietà dei fatti possa presentarsi nel-
le norme [...] concernenti la tutela della pubblica incolumità»: giacché «la quotidiana esperienza
dimostra come spesso le elencazioni delle leggi siano insufficienti a comprendere tutto quanto
avviene, specie in vista dello sviluppo assunto dalla attività industriale e commerciale, ravvivata e
trasformata incessantemente da progressi meccanici e chimici».
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22 Capitolo I
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Reati ambientali 23
14
Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327. Nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., sez. IV,
25 febbraio 2010, n. 7664, Pirovano; Cass., sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678; Cass., sez. IV, 15
dicembre 2011, n. 6965; Cass., sez. IV, 15 ottobre 2009, n. 7664, Pirovano; Cass., sez. IV, 20
febbraio 2007, n. 19342, Rubiero; Cass., sez. V, 11 ottobre 2006, n. 40330, Pellini. Sul punto la
dottrina ha affermato che «con riguardo ad entrambe le fattispecie delineate dal comma 1, per
l’integrazione del fatto occorre che la condotta abbia fatto sorgere il pericolo per l’incolumità
pubblica; il giudice deve perciò appurare se, dal compimento di un ‘fatto diretto a cagionare il
crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro’, sia sorto un pericolo
effettivo di lesione per l’incolumità pubblica» (cfr. Corbetta, in Marinucci-Dolcini, Trattato, PtS,
II, 1, p. 616; Gizzi, Codoppi-Canestrari-Manna-Papa, Pts, IV, p. 233). Secondo la dottrina dunque
«il pericolo deve essere interpretato come evento essenziale al fatto, casualmente legato alla
condotta, che rientra perciò nell’oggetto del dolo» (Corbetta, in Marinucci-Dolcini, Trattato, Pts,
II, 1, p. 617; G. Fiandaca-E. Musco, Pts, I, p. 515; Gizzi, in Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, Pts,
IV, p. 230).
15
G. Accinni, Disastro “ambientale” ed elusione fiscale: due paradigmatici esempi di so-
stanziale violazione del principio di legalità, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., fasc. II, 2015, pp. 766 ss.
16
Cass. Pen., sez. I, 19 novembre 2014 – 23 febbraio 2015, n. 7941.
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24 Capitolo I
bensì diffuso e silente, per quanto importante e penetrante, sia compatibile con
la necessità, postulata dalla esigenza di determinatezza della fattispecie, che la
teorica polivalenza del termine disastro trovi soluzione univoca nella omogenei-
tà strutturale della relativa nozione da accogliersi ai fini dell’ipotesi in esame,
rispetto ai disastri contemplati negli altri articoli compresi nel capo dei delitti di
comune pericolo mediante violenza».
Dopo avere richiamato il passo della sentenza della Consulta nel quale i giu-
dici costituzionali rilevavano che il concetto di “altro disastro” quale formula di
chiusura rispetto ai casi specifici […] è «destinato a ricevere luce dalle species
preliminarmente enumerate, le cui connotazioni di fondo debbono potersi rinve-
nire anche come tratti distintivi del genus», la Suprema Corte esclude «che la
riconducibilità dei fenomeni presi in considerazione a un macroevento di imme-
diata e dirompente forza distruttiva costituisca requisito essenziale degli stessi»,
facendo leva sulla già citata sentenza di legittimità nel processo c.d. Porto Mar-
ghera, precedente, tuttavia l’intervento della Corte costituzionale. Né per la Su-
prema Corte è apparsa «conducente» […] «per conseguenza anche
l’osservazione che la nozione di disastro innominato accolta dalla giurispruden-
za di risolverebbe così esclusivamente in un ineffabile dato quantitativo. Vale
infatti ripetere che la grandezza del fenomeno naturale prodotto è misura
dell’incriminazione non da sé sola, ma in collegamento con il criterio teleologi-
co delle finalità dell’incriminazione. L’entità dell’evento distruttivo concorre, in
altri termini, ad indicare il peso del carico offensivo del delitto, così contrasse-
gnando il limite che giustifica l’intervento punitivo per il titolo di reato in con-
siderazione, così come, per esempio per la ipotesi di devastazione rispetto a
quella di danneggiamento».
Circa, infine, l’obiezione che l’immissione di fattori inquinanti non avrebbe
carattere in sé distruttivo, la Corte di Cassazione, prendendo expressis verbis le
distanze dalla sentenza della Consulta, ha infine affermato che «assunta la defi-
nizione proveniente dalla stessa Corte costituzionale a perimetro della nozione
di disastro (conforme, per altro, all’eccezione primaria che il termine assume
nel linguaggio comune, di calamità, evento catastrofico), in tal modo, però, arbi-
trariamente si riduce la nozione di distruzione ai fenomeni macroscopici e visi-
vamente percepibili, escludendo senza fondamento la rilevanza di tutti i feno-
meni distruttivi prodotti da immissioni tossiche che come nel caso in esame, in-
cidono altresì sull’ecosistema e addirittura sulla composizione e quindi sulla
qualità dell’aria respirabile, determinando imponenti processi di deterioramento,
di lunga o lunghissima durata, dell’habitat umano»17.
17
La Suprema Corte ha inoltre escluso che nei casi di immissione di fattori inquinanti
l’evento non potrebbe considerarsi il portato di un’azione realizzata “mediante violenza” […],
osservazione questa «assunta dalla prospettiva normativa della violenza mezzo quale criterio di-
scretivo dei delitti contemplati nel Capo I del Titolo VI rispetto a quelli del Capo II (delitti di co-
mune pericolo mediante frode)». Sul punto i giudici di legittimità hanno ritenuto che «la distin-
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Reati ambientali 25
zione accolta nel codice dei delitti commessi mediante violenza e commessi mediante frode ri-
sponde più ad esigenze di ordine classificatorio che di natura definitoria ed è espressione di criteri
criminologici improntati alla prevalenza del disvalore di certi aspetti modali piuttosto che ad altri
pure richiesti per l’integrazione della fattispecie, ma, soprattutto, che tale osservazione erronea-
mente identifica la nozione di violenza, assunta a criterio classificatorio, con la violenza reale co-
siddetta propria, o materialmente inferta dall’agente. E al contrario – prosegue la sentenza – as-
sunto consolidato e condiviso che nelle definizioni delle classi di reati che si articolano in base a
siffatte distinzioni, il riferimento alla commissione mediante violenza in contrapposizione a me-
diante frode, sta per lo più semplicemente ad indicare che il fatto postula l’impiego di un qualsi-
voglia energia o mezzo – diretto o indiretto, materiale o immateriale – idoneo a superare
l’opposizione della potenziale vittima e a produrre l’effetto offensivo senza la cooperazione di
quella. Sicché – si conclude – non è seriamente dubitabile che anche l’energia impiegata
nell’ambito di un processo produttivo che libera sostanze tossiche e l’inarrestabile fenomeno così
innescato di meccanica diffusione delle stesse, alla cui esposizione non è possibile resistere, rap-
presenta, nell’accezione considerata, violenza» (Cass. Pen., sez. I, 19 novembre 2014, cit.)
18
Trib. Rovigo, 31 marzo - 22 settembre 2014. Nel caso concreto, il Tribunale non ha «ravvi-
sato – neppure nell’ampia accezione di disastro sopra riportata, riferita ad una proiezione tem-
porale di lungo periodo – un macroevento che abbia concretamente prodotto danni gravi, com-
plessi ed estesi alle persone, tali da assumere le caratteristiche necessarie per la configurabilità
di un disastro».
19
Corte Assise Chieti, 19 dicembre - 2 febbraio 2015.
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26 Capitolo I
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Reati ambientali 27
segue che ben potranno in astratto configurare tale fattispecie quelle condotte,
protratte nel tempo e, singolarmente considerate, prive di una evidenza lesiva
immediata, che hanno concorso a determinare fenomeni di inquinamento diffu-
so e persistenti, tali da costituire un pericolo per la pubblica incolumità».
È parso opportuno riprodurre i passaggi salienti di alcune delle più importan-
ti recenti sentenze, benché alcune riguardanti processi tuttora pendenti nelle ri-
spettive fasi di impugnazione, relative al delitto di disastro c.d. innominato, per
rappresentare il contenuto delle questioni che il nuovo delitto di disastro am-
bientale avrebbe dovuto fronteggiare ed eventualmente risolvere.
Può anticiparsi che in relazione al controverso rapporto fra la fattispecie di
disastro innominato e i fenomeni di grave e diffuso inquinamento ambientale, la
nuova fattispecie di disastro ambientale non introduce rispetto alla struttura
dell’art. 434 c.p. alcun correttivo.
Il disastro ambientale ex art. 452-quater c.p. si presenta, come un reato di
evento a forma libera: salvo quanto si dirà a proposito dell’avverbio “abusiva-
mente”, già impiegato nella formulazione del delitto di inquinamento ambienta-
le, è punito chiunque “cagiona”, uno dei tre eventi descritti dalla fattispecie.
La condotta potrà essere tanto attiva, quanto, in forza della nota clausola di
equivalenza di cui all’art. 40, co. 2, c.p., di tipo omissivo (non impeditivo), limi-
tatamente al titolare, secondo la normativa ambientale, di una posizione di ga-
ranzia avente ad oggetto l’adempimento di specifici obblighi di prevenzione di
eventi dannosi o pericolosi per l’ambiente.
A fronte, pertanto, di una descrizione dettagliata del macroevento, vedremo,
sia sotto il profilo dimensionale che della offensività, il Legislatore non è inter-
venuto sui fattori causali che determinano la lesione all’ambiente o alla salute
delle persone, sicché, almeno ad un primo esame, resta immutata la questione
della realizzabilità o meno del disastro di nuovo conio attraverso «apporti di in-
quinanti stratificatisi nel tempo» 20.
La condotta causativa del disastro deve essere stata realizzata «abusivamen-
te».
La previsione di una clausola di antigiuridicità speciale costituisce, accanto
alla tipicizzazione degli eventi di disastro, la più evidente novità rispetto alla
fattispecie di disastro innominato, correlata ad una questione interpretativa di
cruciale importanza ai fini della ricerca di un equilibrio fra esercizio dell’attività
di impresa, in particolare della produzione industriale, e tutela dell’ambiente e
della salute.
La giurisprudenza, di recente anche costituzionale, ha affrontato, in partico-
lare, il tema della prospettabilità di una responsabilità penale per il reato di disa-
stro, del gestore di un impianto produttivo benché l’esercizio dell’attività risulti
conforme ai limiti previsti dalla legge o stabiliti in via amministrativa, in parti-
20
Corte Assise Chieti, 19 dicembre - 2 febbraio 2015, cit.
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28 Capitolo I
21
Giurisprudenza in tal senso maggioritaria: cfr., Cass. Pen., sez. III, 13 luglio 2011, n.
37495; Cass. Pen., sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40849; Cass. Pen., sez. III, 9 gennaio 2009, n.
15707; Cass. Pen., sez. III, 13 maggio 2008, n. 36845; Cass. Pen., sez. III, 27 febbraio 2008, n.
15653; Cass. Pen., sez. III, 11 maggio 2007, n. 21814; Cass. Pen., sez. III, 9 gennaio 2009, n.
15707; Cass. Pen., sez. III, 13 maggio 2008, n. 36845; Cass. Pen., sez. III, 27 febbraio 2008, n.
15653; Cass. Pen., sez. III, 11 maggio 2007, n. 21814; Cass. Pen., sez. III, 21 giugno 2006, n.
33971; Cass. Pen., sez. III, 1 febbraio 2006, n. 8299; Cass. Pen., sez. III, 10 febbraio 2005, n.
9503.
22
Trib. Rovigo, 31 marzo - 22 settembre 2014, cit.
23
Enfasi nostra.
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Reati ambientali 29
24
Trib. Rovigo, 31 marzo - 22 settembre 2014, cit.
25
G.I.P. Savona, decreto 11 marzo 2014.
26
Fra le norme censurate figurava l’art. 1 del citato d.l. n. 207/2012 che prevede che, presso
gli stabilimenti dei quali sia riconosciuto l’interesse strategico nazionale con decreto del Presiden-
te del Consiglio dei ministri e che occupino almeno duecento persone, l’esercizio dell’attività di
impresa, quando sia indispensabile per la salvaguardia dell’occupazione e della produzione, possa
continuare per un tempo non superiore a 36 mesi, anche nel caso sia stato disposto il sequestro
giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una autorizzazione integra-
ta ambientale rilasciata in sede di riesame, al fine di assicurare la più adeguata tutela
dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.
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30 Capitolo I
27
Corte Cost., 9 maggio 2013, n. 85.
28
Cfr., Cass. Pen., sez. VI, 18 gennaio 1996, n. 3413.
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Reati ambientali 31
penale del fatto anche alla violazione di norme poste in via immediata a prote-
zione di beni diversi, benché ad esso ricollegabili, dall’ambiente (si pensi alla
salute o alla sicurezza sul lavoro) 29.
Anche per il delitto in esame, l’esigenza di preservare la fattispecie da even-
tuali deficit di legalità, sotto il profilo dei corollari principi di precisione e de-
terminatezza della fattispecie, induce a ritenere che l’avverbio «abusivamente»
debba connotare la speciale illiceità della condotta di «inquinamento ambienta-
le», solo sulla base di fonti strettamente normative 30, con esclusione di principi
29
In tema di «Getto pericolo di cose» ex art. 674 c.p., che punisce l’emissione molesta di gas,
di vapori o di fumo, “l’antigiuridicità penale dell’emissione molesta consegue anche al fatto che
questa avvenga ‘nei casi non consentiti dalla legge’. Infatti, laddove esistano precisi limiti tabel-
lari di tollerabilità delle emissioni (come nel caso della normativa speciale in materia ambienta-
le, con riferimento all’inquinamento atmosferico, a quello idrico o a quello elettromagnetico), si
presumono consentite quelle che abbiano le caratteristiche qualitative e quantitative ammesse dal
legislatore speciale; nel caso invece in cui non esista una specifica valutazione normativa opera-
ta preventivamente, la valutazione di tollerabilità consentita andrà operata alla luce dei principi
che ispirano le specifiche leggi di settore” (Cass. Pen., sez. III, 21 febbraio 2006, n. 11556).
30
Nell’ambito del diritto ambientale, fra le prescrizioni di rilievo tecnico ai fini della valuta-
zione di illiceità della condotta materialmente inquinante è opportuno segnalare i c.d. BAT Refe-
rence Documents (“BREF”). Si tratta, in particolare, di atti amministrativi a carattere generale, a
loro volta basati sulle c.d. Best Available Techniques (“BAT”) o Migliori tecnologie disponibili
(“MTD”) destinati a fornire una prima indicazione non immediatamente vincolante in merito alle
possibili prescrizioni che le Amministrazioni competenti potranno recepire e imporre all’esito di
un singolo procedimento autorizzativo (in particolare ai fini del rilascio dell’Autorizzazione Inte-
grata Ambientale, c.d. “AIA”). Per tale ragione il Legislatore (europeo e nazionale) ha previsto
sin dalla dir. 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC)
un meccanismo di progressiva specificazione del precetto, di cui le BREF costituiscono una fase
intermedia, successiva alla individuazione delle BAT di settore e propedeutica all’individuazione
delle puntuali misure riguardanti il singolo impianto. Sono soltanto i precetti puntuali contenuti
nei singoli provvedimenti di autorizzazione a rendere concretamente cogenti nei confronti dei ge-
stori privati le previsioni di BAT e BREF. Le BREF, infatti, identificano un insieme di linee gui-
da, elaborate al termine di approfonditi studi, con le quali il concetto giuridico indeterminato di
BAT inizia ad essere declinato, diversamente in relazione alle diverse tipologie di impianti. In
materia di inquinamento derivante da attività produttiva industriale, le BAT e le BREF sono state
recepite nell’ordinamento nazionale a partire D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372 (di Attuazione della
dir. 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) il cui art. 3 con-
ferma che le BAT costituiscono uno dei «principi generali» della disciplina; le BREF sono le «li-
nee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili»; le «linee gui-
da» sono definite attraverso il «supporto tecnico» di un organismo appositamente istituito, pro-
prio in considerazione della loro natura non normativa. In relazione ad ogni settore produttivo,
dunque, sarà necessario verificare se e in che misura l’ordinamento abbia recepito a livello nor-
mativo le indicazioni di carattere generale fornite dalle Bref. Ad esempio l’art. 2, co. 7, del D.P.R.
24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle dirr. CEE nn. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concer-
nenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inqui-
namento prodotto dagli impianti industriali la Commissione Nazionale nominata ai sensi dell’art.
3 del D.Lgs. n. 372/1999), stabilisce che per “migliore tecnologia disponibile” s’intende il “siste-
ma tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la ri-
duzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente, sempre-
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32 Capitolo I
ché l’applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi”. Con decreto del Ministro
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro delle Attività
Produttive e con il Ministro della salute in data 15 aprile 2003 ha elaborato nel 2009 le “linee gui-
da” per gli impianti di combustione con potenza termica di combustione di oltre 50 MW (“Linee
guida”), ribadendo la “valenza di strumento per l’approfondimento delle conoscenze tecnologiche
nel settore” e non di fonte normativa contenente “indicazioni su ‘limiti di emissione’” (linee gui-
da, par. 1, p. 7) suscettibili di diretta applicabilità. Con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372 il Legisla-
tore nazionale ha recepito la dir. 96/61/CE (c.d. Integrated Pollution Prevention and Control –
IPPC) che esplicita nel considerando 17 il principio generale secondo cui i “valori limite di emis-
sione, parametri o misure tecniche equivalenti devono basarsi sulle migliori tecniche disponibili,
senza imporre l’uso di una tecnica o di una tecnologia specifica, tenendo presente le caratteristi-
che tecniche dell’impianto in questione, la sua posizione geografica e le condizioni ambientali
locali; che comunque le condizioni di autorizzazione prevedono disposizioni volte a ridurre al
minimo l’inquinamento ad ampio raggio o transfrontaliero e garantiscono un elevato livello di
tutela dell’ambiente nel suo complesso”. L’art. 9 della dir. IPPC, infatti, precisa che “i valori limi-
te di emissione, i parametri e le misure tecniche equivalenti… si basano sulle migliori tecniche
disponibili, senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto
delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle
condizioni locali dell’ambiente”. Gli artt. 15 ss. della dir. IPPC, a loro volta, disciplinano le mo-
dalità di scambio delle informazioni per individuare in linea generale quali tecnologie potessero
essere incluse nelle BAT per le diverse categorie industriali (a tal fine lo European IPPC Bureau
ha il compito di organizzare lo scambio propedeutico all’attività procedimentale propedeutico alla
approvazione delle BREF). Il D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 ed il D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 152 e
s.m.i. (c.d. “Codice dell’Ambiente”), pur introducendo sostanziali modifiche (su cui si tornerà
infra) hanno sempre confermato la struttura delle BAT come sopra descritta. Sulla natura discre-
zionale della valutazione con la quale l’Amministrazione recepisce, elabora ed impone le prescri-
zioni contenute nelle Bat e nelle Bref, nell’ambito del noto caso “Ilva”, la Corte Costituzionale
(sent. 9 aprile 2013, n. 85) in materia di AIA ha rilevato che «il punto di equilibrio contenuto
nell’AIA non è necessariamente il migliore in assoluto – essendo ben possibile nutrire altre opi-
nioni sui mezzi più efficaci per conseguire i risultati voluti – ma deve presumersi ragionevole,
avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici
e del personale competente; all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla parteci-
pazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter forma-
tivo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici
ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista» (p. 36) e che «non rientra
nelle attribuzioni del giudice una sorta di ‘riesame del riesame’ circa il merito dell’AIA, sul pre-
supposto… che le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti», in quanto «le
opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposi-
zione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente…».
Nella giurisprudenza di merito, si è affermato che «le Bat indicano i parametri emissivi previsti
dall’Unione europea al fine di limitare l’impatto ambientale degli impianti. Vero è che il rispetto
delle Bat non [era] previsto dalla legge come obbligatorio ma è altresì vero che esse costituisco-
no un’indicazione precisa in ordine alla condotta da tenere al fine di ridurre il danno ambienta-
le» (G.I.P. Savona, 11 marzo 2014, caso “Tirreno Power”).
31
L’art. 3-ter del D.Lgs. n. 152/2006 [Principio dell’azione ambientale] stabilisce che «La tu-
tela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da
tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante
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Reati ambientali 33
una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi
inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano
la politica della comunità in materia ambientale».
32
Nella seduta del Senato n. 452 del 19 maggio 2015 di discussione e approvazione finale del
disegno di legge S-1345-B «Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», è stato precisato
che «il termine “abusivamente” […] è stato ideato ed identificato quale termine ampio, volto a
contenere al suo interno anche le violazioni formali, cioè l’assenza di eventuale di titoli autorizza-
tivi, ma certamente in un’ottica ben più onnicomprensiva, tanto da poter comprendere, per ipotesi,
anche un caso scolastico. Si pensi ad esempio al caso in cui lo stesso titolo di natura amministra-
tiva esistente sia frutto di un iter illegittimo in senso lato, dal punto di vista amministrativo o pe-
nale: insomma, nel caso di una licenza, una DIA o qualsiasi titolo autorizzativo ottenuto magari
con la corruzione di un pubblico ufficiale, il termine “abusivamente” permetterebbe di svuotare di
forza precettiva o dello scudo penale anche l’eventuale regolarità formale di ogni tipo di autoriz-
zazione. Con il termine “abusivamente” siano dell’idea che sarà possibile operare una valutazione
complessiva della condotta in relazione a tutte le norme e ai principi giuridici» […] «Il termine
“abusivamente” non vuol dire “in assenza di autorizzazione amministrativa”» (senatore Buccarel-
la M5S), in www.senato.it.
33
Se è indiscutibile che non rientrano nell’art. 434 c.p. gli eventi già normativamente tipizzati
negli articoli precedenti, né gli eventi lesivi di interessi e beni diversi da quello categoriale, è pur
vero che anche questa figura presuppone i profili strutturali e teleologici che accomunano tutte le
figure di disastro contemplate nel capo in esame. “In questo senso per essere sussunto nella fatti-
specie innominata in esame, l’accadimento oltre che possedere rilevanti dimensioni e proporzioni
deva anche risultare individuabile nel tempo e nello spazio, con caratteristiche di istantaneità” (A.
Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo I, Reati di comune pericolo mediante violenza,
cit., p. 455).
34
Nei lavori preparatori del codice penale del 1930 erano esemplificati «l’incaglio della nave,
la caduta di un ascensore privato, il collocare, lanciare, far scoppiare o accendere dinamite o ma-
terie esplodenti, asfissianti o accecanti, gas o liquidi infiammabili» (Lavori preparatori, codice
penale, 225). In termini, Cass. Pen., sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678: «Ai fini della configurabi-
lità del reato di disastro innominato colposo di cui agli artt. 449 e 434 c.p., da un lato sul piano
dimensionale si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, an-
che se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi;
dall’altro lato sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare – in accordo con
l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la pubblica incolumità) – un peri-
colo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone».
35
Pur modellato sulla struttura dei delitti di attentato, nei quali come noto la consumazione è
anticipata alla soglia del tentativo, il delitto di disastro innominato rientra fra i reati di pericolo
concreto: la punibilità è subordinata al verificarsi del «pericolo per l’incolumità pubblica». Non
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34 Capitolo I
lativamente alla tutela del bene ambientale, in una autonoma fattispecie di reato
le ipotesi di verificazione dell’evento disastroso finora qualificate come aggra-
vante del delitto di attentato36.
Il legislatore, in particolare, quasi a voler tracciare, anche simbolicamente,
una linea di discontinuità rispetto alle incertezze interpretative che hanno finora
contrassegnato la sussunzione dei fenomeni di grave inquinamento ambientale
nella fattispecie di cui all’art. 434 c.p., ha riversato l’evento di danno (ambienta-
le) entro i confini, apparentemente più rassicuranti, di una norma definitoria.
L’evento di danno, in particolare, consiste, alternativamente: 1. nell’alterazione
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Reati ambientali 35
37
Nei lavori preparatori del codice penale del 1930 erano esemplificati «l’incaglio della
nave, la caduta di un ascensore privato, il collocare, lanciare, far scoppiare o accendere dinami-
te o materie esplodenti, asfissianti o accecanti, gas o liquidi infiammabili» (Lavori preparatori,
codice penale, 225). In termini, Cass. Pen., sez. IV, 14 marzo 2012, n. 18678: «Ai fini della
configurabilità del reato di disastro innominato colposo di cui agli artt. 449 e 434 c.p., da un
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36 Capitolo I
quisiti appaiano rifluiti nella terza delle nozioni di disastro previste, non senza,
tuttavia, differenze di rilievo.
Mentre il concetto di incolumità pubblica tutelato dall’art. 434 c.p. è (stato)
inteso, dalla Corte Costituzionale, e dalla Corte di Cassazione nella sola acce-
zione di integrità fisica delle persone38, la fattispecie in esame opera un acco-
stamento, fra il bene della salute e il bene ambientale che non agevola la ricerca
di un criterio interpretativo omogeneo.
La circostanza che fra gli indici rivelatori dell’offesa all’incolumità pubblica,
che dovranno trovare accertamento probatorio nel processo penale, siano previ-
sti, non già congiuntamente secondo l’indicazione della Consulta, ma, alternati-
vamente, «l’estensione della compromissione» o dei suoi «effetti lesivi», ovvero
«il numero delle persone offese o esposte a pericolo», evidenzia una persistente
incertezza sulla natura del disastro di nuovo conio, oscillante fra il disastro am-
bientale in senso stretto e il disastro sanitario.
L’uso, in particolare, della clausola disgiuntiva “ovvero” potrebbe intendersi,
pur in evidente contraddizione rispetto all’apparente volontà legislativa di rece-
lato sul piano dimensionale si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni
straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi,
complessi ed estesi; dall’altro lato sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provoca-
re – in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la pubblica
incolumità) – un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di per-
sone».
38
«Il concetto di “incolumità pubblica” esprime […] un concetto di sintesi; esso non incarna
un bene autonomo, qualitativamente diverso rispetto alla vita e all’integrità fisica individuale, ma
rappresenta un’astrazione concettuale, che abbraccia la vita e l’integrità fisica di soggetti concreti.
Il legislatore, infatti, non tutela la vita come bene astratto, a sé stante, ma tutte le vite reali di tutti
gli esseri umani, nessuno escluso. L’incolumità pubblica è perciò un bene solo apparentemente
collettivo (o superindividuale); essa, infatti, rappresenta la proiezione superindividuale di beni
individuali» (S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, in Trattato di dir. Pen. p.s., G. Ma-
rinucci-E. Dolcini (a cura di), Padova, 2003, p. 17). «La nozione di ‘altro disastro’ su cui gravita
la descrizione del fatto illecito, si connette all’impossibilità pratica di elencare analiticamente
tutte le situazioni astrattamente idonee a mettere in pericolo la pubblica incolumità e ciò, soprat-
tutto in correlazione all’incessante progresso tecnologico che fa continuamente affiorare nuove
fonti di rischio e, con esse, ulteriori e non preventivabili modalità di aggressione del bene protet-
to. Inoltre, l’avere anteposto, nella descrizione della fattispecie criminosa, al termine ‘disastro’,
l’aggettivo ‘altro’, fa si che il senso di detto concetto – spesso in sé alquanto indeterminato – ri-
ceve luce dalla specie dei disastri preliminarmente enumerati e contemplati negli articoli com-
presi nel Capo relativo ai ‘delitti di comune pericolo mediante violenza’ (c.d. disastri tipici) che
richiamano una nozione unitaria di disastro, inteso come evento distruttivo di proporzioni straor-
dinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi, gravi, complessi
ed estesi, ed idoneo a determinare un pericolo per la vita e l’integrità fisica di un numero inde-
terminato di persone (senza che sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o della
lesione di uno o più soggetti)», Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327. In termini, Cass. Pen., sez. III,
16 gennaio 2008, n. 9418 che ha riconosciuto rilievo ai fini dell’art. 434 c.p. ad una condotta di
accumulo sul territorio e di sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali alta-
mente pericolosi in quanto a sua volta in grado di provocare un effettivo pericolo per l’incolumità
fisica di un numero indeterminato di persone.
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Reati ambientali 37
pire normativamente i criteri distintivi del disastro ambientale pre riforma indi-
cati dalla Corte Costituzionale nel 2008, come superamento della c.d. concezio-
ne “bifasica” del reato in esame nel quale appunto si distinguono un evento di-
struttivo e in conseguenza del primo una situazione di pericolo per la vita e
l’incolumità di una pluralità di persone.
In relazione all’offesa alla pubblica incolumità è opportuno precisare, tutta-
via, che l’estensione della compromissione, o dei suoi effetti lesivi ovvero il
numero delle persone offese o esposte a pericolo non costituiscono eventi ulte-
riori rispetto al primo, né essi devono essere voluti dall’agente (configurandosi
diversamente, ad es., in caso di morte di più persone il reato di strage), benché il
relativo accertamento sia indispensabile per comprovarne la dimensione offen-
siva (collettiva) 39.
Mentre, pertanto, i primi due eventi di disastro designano altrettanti reati di
danno in senso naturalistico 40, il terzo non sembra discostarsi dalla fisionomia
del disastro aggravato dall’evento di cui al co. 2 dell’art. 434 c.p., dal quale la
riforma avrebbe pertanto scorporato l’ipotesi del disastro ambientale elevandola
a fattispecie autonoma di reato e precisandone, sul piano descrittivo, la dimen-
sione offensiva per la pubblica incolumità.
La configurazione del disastro ambientale come reato di evento implica
l’accertamento di un nesso eziologico non più intercorrente fra la condotta (di
inquinamento/contaminazione) e l’esposizione ad una situazione di (effettivo)
pericolo per l’integrità bene protetto 41, bensì fra quella condotta e un evento ef-
39
In relazione al disastro aggravato dall’evento, la corte regolatrice ha statuito che «La gran-
dezza del fenomeno naturale prodotto è misura dell’incriminazione non da sé sola, ma in colle-
gamento con il criterio teleologico delle finalità dell’incriminazione. L’entità dell’evento distrut-
tivo concorre, in altri termini, ad indicare il ‘peso’ del carico offensivo del delitto, così contras-
segnano il limite che giustifica l’intervento punitivo per il titolo di reato in considerazione, così
come, ad esempio, per la ipotesi di devastazione rispetto a quella di danneggiamento» (Cass.
Pen., sez. I, 23 febbraio 2015).
40
Ha di recente ribadito la Suprema Corte che «L’incolumità personale (collettiva) entra nel-
la previsione normativa del disastro innominato solamente sotto il profilo della pericolosità, o,
come dice la Corte costituzionale, della proiezione offensiva della condotta, che ha ad oggetto
specifico un evento materiale, il disastro, inteso come fatto distruttivo di proporzioni straordina-
rie, qualitativamente caratterizzato dalla pericolosità per la pubblica incolumità. Tale qualità –
prosegue la Corte – rileva ex se e in via immediata ai fini dell’incriminazione e non va confusa
con i concreti effetti per l’incolumità delle persone, che rilevano ai soli fini della dimensione of-
fensiva, com’è reso palese dalla pena comminata per la fattispecie aggravata dall’evento voluto;
inferiore nel massimo persino a quella prevista per l’omicidio plurimo”. “Sul piano teorico, non
può dimenticarsi che il pericolo non è mai, in sé stesso, un evento fisico naturale, bensì soltanto
un giudizio qualitativo di probabilità – o, se si vuole, di apprezzabile possibilità – che ad un fatto
ne segua un altro. Ciò che di naturalistico vi è nel pericolo è, in altri termini, solo il fatto – pura
condotta o condotta più evento – cui va collegato il giudizio concernente il rischio di un effetto
ulteriore» (Cass. Pen., sez. I, 23 febbraio 2015).
41
Giova rammentare che il giudizio di pericolo, al pari del nesso di causalità tipico dei reati di
danno, deve sorreggersi su leggi scientifiche, su enunciati che sulla base dell’osservazione empi-
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38 Capitolo I
fettivamente verificatosi 42. Rapporto causale da accertarsi, come noto, alla stre-
gua della teoria condizionalistica della “condicio sine qua non”, corroborata
dalla sussunzione sotto leggi scientifiche 43 del nesso causale, per cui l’azione
può qualificarsi condizione essenziale dell’evento solo in quanto il rapporto di
necessità fra antecedente e conseguente sia espresso da una legge (a carattere
universale o statistico) in grado di rappresentare una successione regolare tra
azione ed evento intesi come fenomeni generali e ripetibili 44.
rica, ripetuta e ripetibile, condotta e confermata secondo il metodo sperimentale proprio della
scienza, è in grado di stabilire, nella successione degli eventi, una regolarità: sulla scorta delle
circostanze esistenti al momento della condotta, il giudice è chiamato a individuare una legge
scientifica di copertura in grado di stabilire se, date quelle circostanze concrete, fosse probabile –
e non semplicemente possibile – il verificarsi dell’evento futuro temuto (e appunto non verificato-
si). Gli atti compiuti devono avere sul piano oggettivo configurato, e se ne deve pertanto accertare
l’obiettiva idoneità, secondo i caratteri propri del tentativo ex art. 56 c.p., una situazione di fatto
dalla quale con un giudizio di probabilità possa scaturire il risultato lesivo, ossia l’esposizione a
pericolo della incolumità pubblica, cfr. S. Corbetta, in G. Marinucci-E. Dolcini, Trattato, Pts, II,
1, p. 616).
42
In dottrina, sul diverso modo di atteggiarsi della spiegazione casuale fra reati di danno con
evento individuale e reati di pericolo con evento collettivo, assumendo, per la seconda categoria,
la inadeguatezza del modello classico di spiegazione nomologico-deduttiva e la possibilità di ri-
correre alle leggi epidemiologiche, vd. M. Donini, Imputazione oggettiva dell’evento, in Enc dir.,
Annali III, e Il garantismo della condicio sine qua non e il prezzo del suo abbandono. Contributo
all’analisi dei rapporti tra causalità e imputazione. Precisa tuttavia l’Autore che le leggi epide-
miologiche, ossia leggi (non studi) di copertura, per quanto probabilistiche, «esprimono regolari-
tà statistiche che hanno un valore esplicativo potenzialmente causale» nonché la certezza, a se-
guito di una precisa indagine, della assenza di fattori causali alternativi nella spiegazione
dell’evento. Nel caso esemplificativo citato dall’Autore si suppone che «i soggetti esposti a un
certo fattore di rischio (e non esposti ad altri noti) a confronto con quelli non esposti, si ammali-
no sempre secondo un coefficiente di probabilità 4 volte superiore per es. 4 volte su dieci, anziché
1 su dieci che è la percentuale normale a livello di popolazione». «Anche se non sapremo mai – si
legge – quali dei 10 esposti (e ammalati) in un certo caso siano i 3 che rappresentano il 30% del-
la percentuale di rischio maggiorato (40% - 10%), tuttavia ne possiamo indicare 3 come certi in
via alternativa, perché almeno 3 su 10 (gli esposti si ammalano nel numero di 4 su 10, anziché 1
su 10), si ammalano sempre a livello di popolazione».
43
Cfr., F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975.
«La legge scientifica, infatti, sulla base dell’osservazione empirica, ripetuta e ripetibile, condotta
e confermata secondo il metodo sperimentale proprio della scienza, è in grado di stabilire, nella
successione di eventi, una regolarità senza eccezioni (legge universale) ovvero in un alto numero
di casi (legge statistica). La funzione che la legge scientifica è in grado di esplicare è perciò dupli-
ce; spiegare perché un certo evento si è verificato, ovvero predire il verificarsi di un dato evento»
(S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, cit., p. 30).
44
«Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale
condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – univer-
sale o statistica –, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa
impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verifica-
to ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La conferma
dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente
dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la
validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così
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Reati ambientali 39
che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alter-
nativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del
medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità
razionale” o “probabilità logica”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscon-
tro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base
all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico
rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutraliz-
zazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio» (Cass. Pen.,
SS.UU., 11 luglio 2002, n. 30328).
45
Si pensi, in tema di usura, all’art. 644-ter c.p., per il quale «La prescrizione del reato di usu-
ra decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale».
46
Ha affermato la corte regolatrice nel caso c.d. “Eternit” che «Nelle ipotesi in cui l’evento ag-
gravante è previsto come finalità originaria dell’agente, l’approfondimento della lesione è tipizzato
nella stessa norma incriminatrice alla stregua di conseguenza legata alla medesima condotta, in
relazione alla quale si configura dunque un doppio evento, il secondo dei quali non rappresenta me-
ro effetto dannoso esterno alla fattispecie astratta ma è per ogni aspetto evento interno ad essa, per-
sino sotto il profilo del dolo e perciò tipico seppure non necessario per il perfezionamento nella
forma ‘minima’, prevista per il titolo. In conclusione, deve riconoscersi che nell’ipotesi di cui
all’art. 434 secondo comma, cod. pen., la realizzazione dell’evento disastro funge da elemento ag-
gravatore ma la data di consumazione del reato comunque coincide con i momenti in cui l’evento si
è realizzato» (Cass. Pen., sez. I, 23 febbraio 2015).
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40 Capitolo I
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Reati ambientali 41
ecosistema i cui effetti sono destinati a protrarsi sine die) possono protrarre nel
tempo i propri effetti, sarà necessario ai fini della prescrizione, come detto in
assenza di una diversa disciplina, stabilire caso per quando (e dove) sia stato ca-
gionato l’evento lesivo tipicizzato, facendo decorrere da esso, e non dalla cessa-
zione di ulteriori e potenzialmente irrimediabili effetti, il termine per la prescri-
zione del reato.
La configurazione del disastro ambientale come reato di evento, sembra ren-
derlo compatibile, a differenza del reato ex art. 434, co. 1, c.p. 50 con la realizza-
zione in forma tentata ex art. 56 c.p.
La clausola di esclusione con la quale esordisce la fattispecie di disastro am-
bientale (“fuori dai casi previsti dall’articolo 434”), appare sovrabbondante,
considerato che la portata innovativa dei primi due eventi di disastro ambientale
ed estensiva della terza rispetto a quella enucleabile in via interpretativa dall’art.
434, co. 1, c.p., unitamente alla più grave previsione sanzionatoria dell’art. 452-
quater c.p. consentono già ai sensi dell’art. 2 c.p. di risolvere i rapporti di diritto
intertemporale fra le due fattispecie.
La mancata inclusione del reato in esame nell’art. 452-ter c.p., a differenza
del delitto di inquinamento ambientale, implica un concorso formale fra il delit-
to base di disastro ambientale e i delitti di omicidio colposo o lesioni personali
colpose come conseguenze appunto non voluta del primo.
50
Come noto il reato ex art. 434, co. 1, c.p., rientra nella categoria dei delitti di attentato per i
quali in virtù della anticipazione di tutela apprestata a beni stimati di particolare rilievo si punisce
a titolo di consumazione un fatto che in concreto integra gli estremi del tentativo di delitto ex art.
56 c.p. V. Manzini, in Trattato di Diritto Penale Italiano, Delitti contro la pubblica incolumità,
VI vol., V ed., Utet, p. 346; S. Corbetta, in Trattato di diritto penale, parte speciale, Delitti contro
la Pubblica incolumità, Vol. II, Tomo I, p. 584; Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327 in cui è dato
leggere “si deve rilevare come, nell’ipotesi descritta dall’art. 434 cod. pen., il ‘pericolo per la
pubblica incolumità’ risulti espressamente richiesto anche in rapporto al delitto di attentato pre-
visto dal primo comma”; G. Marinucci, voce “Crollo di costruzioni”, in Enc. Dir., Vol. XI, Mila-
no, 1962, p. 418, sul punto si è affermato che “nel comma 1 il legislatore ha ritenuto di punire
autonomamente un fatto, quello diretto alla produzione del crollo, allo stadio di incompiuta rea-
lizzazione, come manifestazione tentata di una figura base”; Gargani, in Reati contro l’incolumità
pubblica, Tomo I, Reati di comune pericolo mediante violenza, Giuffrè, 2008; sul punto cfr. an-
che A.L. Vergine, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen.,
in Ambiente & Sviluppo, 6/2013. Del resto già nella Relazione Ministeriale al codice penale si
affermava che all’espressione “… commette un fatto diretto a…” dovesse essere attribuito il me-
desimo significato già assegnatole nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato. In so-
stanza si tratta di fatti che «per la loro direzione e per la loro attitudine materiale ed obiettiva,
rientrerebbero nella sfera del tentativo rispetto all’evento voluto dall’agente, ma che la legge
considera come sufficienti alla perfezione di un delitto autonomo”, Relazione Ministeriale, in La-
vori Preparatori del cod. pen. e del cod. proc. pen., V, II, Roma, p. 226. La Cassazione ha infatti
affermato che “… si tratta di un delitto di attentato, trattandosi di un tentativo, qualunque sia
l’atto o il fatto costitutivo dell’azione», Cass. Pen., sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1332, in Banca
dati De Jure. In termini Cass., sez. I, 18 luglio 2011, n. 28238, che definisce la fattispecie di cui
all’art. 434, co. 1, c.p. “un delitto di attentato innominato”.
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42 Capitolo I
51
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale – con riferimento al reato di cui al co.
1 dell’art. 434 c.p. – è «da escludere che l’elemento psicologico richiesto per la configurabilità
del reato di cui all’art. 434 possa essere costituito dal dolo eventuale», essendo invece necessario
«il dolo intenzionale» (Cass., sez. I, 7 ottobre 2009, n. 41306, Scola; In particolare la Cassazione
ha affermato i seguenti principi di diritto: «a) il dolo eventuale è incompatibile con le ipotesi de-
littuose nelle quali l’elemento psicologico del reato sia tipizzato nei termini di volontà diretta al
raggiungimento di uno scopo preciso, opportunamente descritto dalla norma incriminatrice; b)
l’elemento psicologico richiesto dall’art. 434 c.p. per la sussistenza del reato, in quanto descritto
nella ipotesi tipizzata dal legislatore come volontà diretta a cagionare un crollo od altro evento
disastroso, esclude la possibilità di ipotesi concrete incriminabili a titolo di dolo eventuale”. “Se-
condo l’ormai consolidata lezione dottrinale – ha precisato la corte regolatrice – si ha dolo diret-
to o intenzionale quando la volontà dell’agente è diretta ad un determinato risultato. Si ritengono
altresì voluti i risultati di quei comportamenti che siano stati comunque previsti dal soggetto, an-
che soltanto come possibili, purché egli ne abbia accettato il rischio, o, più semplicemente, pur-
ché non abbia agito con la sicura convinzione che non si sarebbero verificati. In questa ipotesi il
dolo viene qualificato dolo indiretto o eventuale. Nell’ambito dell’elemento psicologico del reato,
però, quest’ultima categoria di dolo non è ipotizzabile per ogni tipo di condotta delittuosa dolosa.
Quando accade, infatti, che la norma incriminatrice richieda espressamente che il soggetto abbia
agito con un determinato fine, non è possibile ipotizzare che egli abbia agito a costo di determi-
narlo, poiché è evidente in tal caso l’incongruità logica tra la premessa ed il dato ad essa colle-
gato. È quanto si registra nell’ipotesi in esame. Venendo infatti alla norma incriminatrice di cui
all’art. 434 c.p., la tipizzazione codicistica richiede per la sussistenza del reato che l’agente
commetta ‘un fatto diretto a cagionare un crollo di una costruzione o di una parte di esso ovvero
ad un altro disastrò, di guisa che, nella ipotesi in cui il fatto consumato sia stato posto in essere
non già per conseguire questo risultato, e cioè un crollo rovinoso ovvero altro disastro, ma per
conseguire altra finalità, viene a mancare sia l’elemento oggettivo del reato, che per la sua con-
figurazione richiede, appunto, ‘un fatto diretto a cagionare’ crolli o disastri, sia l’elemento psico-
logico del reato, poiché il dolo delineato nella ipotesi anzi descritta dalla fattispecie criminosa in
esame, comporta la volontà diretta a cagionare detto crollo od altro disastro. In altri termini, è
possibile ipotizzare la tipologia teoretica del dolo eventuale soltanto allorché la legge non richie-
da, espressamente, che il soggetto agente si sia determinato alla consumazione della condotta
con un determinato fine». In termini, Cass., sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1332, Zonta; in termini
Cass., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 36626; Cass., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 36626. Negli stessi
termini si è espressa la prevalente dottrina, cfr. Corbetta S., in Marinucci–Dolcini, Trattato di Di-
ritto Penale, Parte Speciale, II, 1, p. 639; Gizzi, in Codoppi-Canestrari-Manna-Papa, Trattato di
Diritto Penale, Parte Speciale, IV, p. 242. Più di recente, nella giurisprudenza di merito, vd. la
sentenza della Corte App. Torino, 2 settembre 2013 (confermata dalla Cass., sez. I, 19 novembre
2014-23 febbraio 2015, n. 7941) nel noto caso “Eternit” per la quale, in riforma della sentenza del
Tribunale (del 13 febbraio 2012) il co. 1 dell’art. 434 c.p. è caratterizzato dal dolo intenzionale
laddove – viceversa – solo per la fattispecie di cui al capoverso dell’art. 434 c.p. (considerata co-
me reato autonomo) è sufficiente il dolo generico: «per quanto concerne il modo con cui si atteg-
gia il dolo nel reato di disastro innominato, occorre ricordare che la giurisprudenza è orientata a
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Reati ambientali 43
ritenere che esso è intenzionale rispetto all’evento di disastro ed è eventuale rispetto al pericolo
per la pubblica incolumità (così Cass. pen., sez. I, 14.12.2010 n. 1332, Zonta; Cass. pen., sez. IV,
5.05.2011, n. 36626, Mazzei). La sentenza appellata, per contro, ha espresso la convinzione che il
dolo del reato in questione non possa essere limitato al dolo intenzionale, ma debba essere inteso
come dolo generico comprensivo del dolo diretto e di quello eventuale” (…) “È opinione di que-
sta Corte che il dibattito sull’argomento si possa reputare superato in forza dell’osservazione che
la fattispecie prevista dall’art. 434 cpv c.p. costituisce un titolo di reato autonomo” (…) “Qualo-
ra invece si convenga che, come ritiene questa Corte, il capoverso della norma di cui si discute
prevede una figura autonoma di disastro doloso consumato, allora l’individuazione del modo di
atteggiarsi del dolo diventa un problema facilmente risolubile. Infatti, la definizione del dolo in
tal caso va armonizzata con l’autonomia del reato di disastro consumato di cui all’art. 434 cpv
c.p., prescindendo dal riferimento alla configurazione dell’elemento soggettivo per l’ipotesi con-
templata dal comma precedente” (…) “Pertanto, posto che la disposizione del capoverso della
norma citata deve essere letta nel senso che punisce chiunque cagiona il crollo di una costruzione
o un altro disastro, è ovvio che tale formulazione postula il dolo generico. Il problema consistente
nel limitare l’elemento soggettivo al dolo intenzionale è, infatti esclusivamente legato
all’esigenza di costruirlo sopra la formulazione del primo comma, imperniata sul concetto di atti
diretti a cagionare un disastro. Una volta che tale esigenza venga meno a causa dell’autonomia
dell’ipotesi di reato contemplata dall’art. 434 cpv. c.p. l’indagine intesa a definire il modo con
cui si atteggia l’elemento soggettivo è semplificata. Non incontra perciò nessuna difficoltà
nell’ammettere che l’elemento soggettivo richiesto per la commissione del fatto costituente reato
è necessariamente il dolo generico» (pp. 473, 474 e 475). Contra, nella giurisprudenza di merito,
cfr. Trib. del Riesame di Taranto 7 agosto 2012 (caso “Ilva”), del Trib. Avellino 15 giugno 2013
(caso rifiuti Campanai) e del G.I.P. Savona 11 marzo 2014 (caso c.d. “Tirreno Power”).
52
Con riguardo all’ipotesi del crollo ma con argomenti applicabili anche al disastro innomina-
to, «Un atteggiamento finalistico verso il crollo, che rappresenta lo scopo, il fine verso cui è indi-
rizzata l’azione delittuosa, e nei cui confronti, perciò il dolo si configura come intenzione», G.
Marinucci, Crollo di costruzioni, in EdD, XI, 1962, p. 415.
53
A. Cadoppi–S. Canestrari–A. Manna–M. Papa, Trattato di dir. pen., Parte speciale, I delitti
contro l’incolumità pubblica, cit., p. 231.
54
Il dolo eventuale, come noto, designa tradizionalmente l’ipotesi in cui l’evento non costituisce
l’esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile; non è né
dolo intenzionale né dolo diretto dunque in quanto l’agente si rappresenta un possibile risultato della
condotta e ciononostante si determina ad agire accettando la prospettiva che l’accadimento abbia luo-
go. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel caso Thyssenkrupp hanno aderito all’orientamento che
individua quale tratto essenziale del dolo eventuale la «relazione tra la volontà e la causazione
dell’evento» quale «nucleo sacramentale dell’istituto». Anche nel dolo eventuale cioè «si tratta allora
di andare alla ricerca della volontà o meglio di qualcosa ad essa equivalente nella considerazione
umana, in modo che possa essere sensatamente mosso il rimprovero doloso e la colpevolezza, quindi
di concretizzi. Tale essenziale atteggiamento difetta assolutamente nella mera accettazione del ri-
schio, che trascura l’essenziale relazione tra condotta volontaria ed evento; e, come è stato osservato,
finisce col trasformare gli illeciti di evento in reati di pericolo». Ai fini dell’accertamento del dolo
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44 Capitolo I
eventuale, quindi, precisano le Sezioni Unite «occorrerà comprendere se l’agente si sia lucidamente
raffigurata la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effet-
to collaterale della sua condotta si sia per così dire confrontato con esso e infine, dopo avere tutto
soppesato, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare si sia consapevol-
mente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa». Non
mancano inoltre le Sezioni Unite di delineare – aspetto di notevole pregnanza nella presente vicenda –
lo standard di approfondimento e di giudizio invalicabile per dimostrare la sussistenza del dolo even-
tuale: «l’indagine demandata al giudice richiede un estremo, disinteressato sforzo di analisi e com-
prensione dei dettagli; un atteggiamento, cioè, immune dalla tentazione di farsi protagonista di scelte
politico criminali che non gli competono ed al contempo attivamente interessato alla comprensione
dei fatti, anche quelli psichici, alieno dall’applicazione pigra di meccanismi presuntivi”. “Non può
certo nascondersi – proseguono le Sezioni Unite – che un tale itinerario non è per nulla facile, non
solo e non tanto per l’affinato talento critico che richiede, ma anche perché spesso il materiale proba-
torio è povero, non consente quella completa lettura di scenario dalla quale soltanto può scaturire un
persuasivo giudizio di colpevolezza per dolo eventuale». Diversamente, hanno rilevato le sezioni uni-
te, la colpa con previsione, proprio in virtù dell’adesione riguardo alla ricostruzione del dolo eventua-
le, alla teoria della volontà, deve rimanere saldamente ancorata al versante della non-volontà –
l’evento o la condotta non devono essere volute per poter dischiuderne un eventuale rimprovero col-
poso – è pur vero che essa definisce uno spazio ulteriore rispetto alla colpa incosciente, e che ne giu-
stifica il giudizio di maggior severità sanzionatoria da parte dell’ordinamento. Nella colpa cosciente,
invero, la «verificazione dell’illecito da prospettiva teorica diviene evenienza concretamente presente
nella mente dell’agente; e mostra per così dire in azione l’istanza cautelare. L’agente ha concreta-
mente presente la connessione causale rischiosa; il nesso tra cautela ed evento. L’evento diviene og-
getto di considerazione che disvela tale istanza cautelare, ne fa acquisire consapevolezza soggettiva.
Di qui il più grave rimprovero nei confronti di chi pur consapevole della concreta temperie rischiosa
in atto, si astenga dalle condotte doverose volte a presidiare quel rischio. In questa mancanza, in que-
sta trascuratezza è il nucleo della colpevolezza colposa contrassegnata dalla previsione dell’evento:
si è, consapevolmente, entro una situazione rischiosa e per trascuratezza, imperizia, insipienza, irra-
gionevolezza o altra biasimevole ragione ci si astiene dall’agire doverosamente» (Cass. Pen., SS.UU.,
24 aprile-18 settembre 2004, n. 38343, rel. dott. Blaiotta).
55
«La confisca obbligatoria prevista nel caso di condanna (o di applicazione della pena su
richiesta) per determinati reati dall’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. con modifi-
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Reati ambientali 45
cazioni in legge 7 agosto 1992 n. 356 (articolo aggiunto dall’art. 2 del d.l. 20 giugno 1994 n.
399, conv. con modificazioni in legge 8 agosto 1994 n. 501), può cadere solo su beni che di fatto
appartengano al condannato e sui quali egli sia in grado di esercitare una qualificata signoria, a
prescindere dal formale titolo giuridico e financo dalla stessa materiale detenzione; e ciò in
quanto l’istituto in questione – come già posto in evidenza dalla Corte costituzionale
nell’ordinanza n. 18 del 1996 – presenta ‘struttura e presupposti diversi dall’istituto generale
previsto dall’art. 240 c.p.’, giacché il necessario vincolo di pertinenzialità tra cose e reato, posto
a fondamento della confisca ‘ordinaria’, si dissolve totalmente nella particolare ipotesi di confi-
sca prevista dalla norma speciale in discorso, assumendo per quest’ultima risalto non più la cor-
relazione tra un determinato bene ed un certo reato, ma il ben diverso nesso che si stabilisce tra
il patrimonio ‘ingiustificato’ e la persona nei confronti della quale sia stata pronunciata condan-
na o disposta l’applicazione della pena” (Cass. Pen., sez. I, 25 settembre 2000, n. 5263); “La con-
fisca prevista dall’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, conv., con modificazioni, nella l. n. 356 del
1992 non può colpire beni che siano stati acquistati dopo la sentenza di condanna assunta come
presupposto per l’applicazione della misura, salva l’eventualità che il danaro utilizzato per
l’acquisto risulti essere stato in possesso del condannato fin da epoca precedente” (Cass. Pen.,
sez. I, 11 febbraio 2015, n. 12047). “La confisca introdotta dall’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992
quale misura di sicurezza patrimoniale dai contorni atipici, pur implicando un accertamento sul-
la sproporzione del patrimonio del condannato rispetto al reddito dichiarato, può essere applica-
ta dal giudice dell’esecuzione» (Cass. Pen., SS.UU., 30 maggio 2001, n. 29022). «La confisca
prevista dall’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. con modificazioni in l. 7 agosto
1992 n. 356, non può essere disposta nei confronti di persone giuridiche, operando, con riguardo
a queste ultime, ove ne ricorrano i presupposti, soltanto il disposto di cui all’art. 19 d.lg. 8 giu-
gno 2001 n. 231» (Cass. Pen., sez. I, 5 novembre 2009, n. 1116).
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46 Capitolo I
che nella forma colposa, è inserito fra i reati presupposto della responsabilità
amministrativa degli enti, il cui illecito è sanzionato, oltre che con pena pecu-
niaria (da 400 a 800 quote, in relazione al disastro ambientale doloso e da 200 a
500 quote in relazione al disastro ambientale colposo), con una delle sanzioni
interdittive ex art. 9, D.Lgs. n. 231/2001, per una durata non superiore a un anno
(interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di autorizzazioni,
licenze o concessioni; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;
esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale re-
voca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni e servizi).
Sul piano processuale, la cognizione del delitto di disastro ambientale
compete al Tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 33-bis
c.p.p. Sono, altresì, applicabili, ex art. 280 c.p.p., misure cautelari personali, e
sono ammissibili, ex art. 266 c.p.p., intercettazioni di conversazioni e comuni-
cazioni.
56
La Suprema Corte, in materia di stupefacenti, statuisce «che l’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990
ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato è con-
figurabile allorché il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste,
dall’altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri
contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprez-
zabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima
sostanza stupefacente» (cfr., per tutte, Cass. Pen., sez. III, 15 gennaio 2015, n. 7404).
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Reati ambientali 47
57
In tema di requisiti a garanzia del trasporto in sicurezza delle materie radioattive, la fonte
di riferimento, a livello internazionale, è la regolamentazione IAEA (l’Agenzia Internazionale
dell’Energia Atomica): essa rappresenta il testo di riferimento, per le materie radioattive, di
tutti i regolamenti internazionali (ADR, RID, ADN, IMDG Code e ICAO TI) che governano il
trasporto delle merci pericolose per le diverse modalità di trasporto (terrestre, marittimo ed ae-
reo). A livello nazionale, tale regolamento trova attuazione attraverso differenti provvedimenti
normativi specifici per ogni modalità di trasporto: si veda, in particolare, la L. 31 dicembre
1962, n. 1860, come modificata dal D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, e dal D.P.R. 10 maggio
1975, n. 519, che prevede uno specifico regime autorizzativo per le attività di trasporto, e dal
D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, successivamente modificato dal D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 241,
che oltre a introdurre norme particolari per il trasporto delle materie radioattive, reca la disci-
plina generale della radioprotezione, cui le stesse attività di trasporto sono soggette. Per una
analisi nel dettaglio della regolamentazione internazionale, vd., Traduzione della pubblicazione
«Regulations for the Safe Transport of Radioactive MaterialSafety Standards Series No. TS-R-
1 © IAEA, 2005», nel sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale,
www.isprambiente.gov.it.
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48 Capitolo I
58
In materia di stupefacenti, giova rammentare che in caso di commissione di diverse condot-
te previste dall’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, quando si riferiscano alla stessa sostanza
stupefacente e siano indirizzate ad un unico fine, se consumate senza un’apprezzabile soluzione di
continuità «devono considerarsi come condotte plurime di un unico reato e, al fine della determi-
nazione della competenza per territorio, deve farsi riferimento al luogo di consumazione della
prima di esse» e solo ove tale luogo non sia identificabile, ricorrere ai criteri suppleciti di cui
all’art. 9 c.p.p.» (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., sez. IV, 19 novembre 2008, n. 6203, in termini,
Cass. Pen., sez. IV, 31 gennaio 2008, n. 9496; Cass. Pen., sez. IV, 18 ottobre 2007, n. 42740).
59
Ai sensi dell’art. 2, L. 7 agosto 1982, n. 704 «Ai fini della presente Convenzione: a) per
“materiale nucleare” si intende il plutonio ad eccezione di quello la cui concentrazione isotopica
in plutonio 238 supera l’80 per cento; l’uranio 233; l’uranio arricchito negli isotopi 235 o 233;
l’uranio contenente la mescolanza di isotopi che si trova in natura o in forma diversa da quella di
minerale o di residuo minerale; qualunque materiale contenente uno o più dei suddetti isotopi; b)
per “uranio arricchito negli isotopi 235 o 233” si intende l’uranio contenente gli isotopi 235 o 233
o entrambi in quantità tale che il rapporto di abbondanza tra la somma di questi due isotopi e
l’isotopo 238 sia superiore al rapporto tra l’isotopo 235 e l’isotopo 238 dell’uranio naturale».
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Reati ambientali 49
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50 Capitolo I
Benché la norma non fornisca precisi criteri selettivi, i possibili soggetti pas-
sivi del reato possono essere le sole agenzie pubbliche istituzionalmente incari-
cate, allo svolgimento, congiunto, di una funzione di vigilanza e controllo
dell’ambiente 60, da un lato, e della sicurezza e igiene del lavoro, dall’altro. A tal
60
Senza pretesa di esaustività, si segnalano come possibili soggetti passivi del reato, in mate-
ria di vigilanza e controllo ambientale, l’ARPA (Azienda Regionale per l’Ambiente) istituita a
livello regionale, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e della L. 21 gennaio 1994, n. 61,
fra i cui compiti sono previsti quello della tutela dell’ambiente e del territorio a livello regionale, a
seconda della dislocazione di appartenenza; le diverse Regioni, nell’ambito delle proprie funzioni
in materia sanitaria e ambientale, provvedono in particolare a definire gli obiettivi generali delle
attività di prevenzione e di controllo ambientale; Il Corpo forestale dello Stato, in particolare,
preposto alla sorveglianza dei Parchi, delle Aree Naturali Protette e delle Riserve Naturali dello
Stato; gli Enti parco nazionali; il Reparto Ambientale Marino (R.A.M.) del Corpo delle Capitane-
rie di Porto istituito con L. 31 luglio 2002, n 179, che con l’entrata in vigore del Decreto Diretto-
riale 24 aprile 2008 ha assunto attribuzioni istituzionali di natura tecnico/operativa in materia, fra
l’altro, di promozione della sicurezza ambientale in mare, con riferimento al rischio di incidenti
marini; pianificazione e coordinamento, d’intesa con la Centrale Operativa del Comando generale
del Corpo delle capitanerie di porto degli interventi in caso di emergenza; monitoraggio aereo an-
tinquinamento e sorveglianza delle aree marine protette; monitoraggio del sistema di segnalamen-
to marittimo delineante le aree marine protette; monitoraggio dei dati relativi agli adempimenti
derivanti dall’applicazione della Convenzione internazionale Marpol 73/78 e dalle altre conven-
zioni IMO per la tutela dell’ambiente marino; raccolta dati relativi alle principali attività di vigi-
lanza ambientale. Fra i compiti, a carattere solo apparentemente amministrativo, assegnati al
R.A.M. si segnalano: la cura della verifica dei piani locali antinquinamento attraverso periodiche
ispezioni da eseguirsi in concomitanza alle esercitazioni all’uopo pianificate; il supporto, anche
sul posto mediante personale specializzato, alle Autorità marittime periferiche nella gestione di
dichiarate emergenze locali che comportino l’eventuale bonifica di una nave sinistrata o altre si-
tuazioni di criticità che possano richiedere un supporto decisionale complesso, nonché ulteriori ed
altrettanto importanti compiti direttivi, concernenti, in particolar modo un efficace controllo in
merito alla gestione di tutti i potenziali inquinanti prodotti dalle navi riconducibili agli annessi I,
II, IV e V della MARPOL 73/78 (idrocarburi, acque di sentina, acque nere di bordo, organismi
alieni, acque di zavorra, ecc.) le modalità di gestione dei servizi di raccolta degli inquinanti pro-
dotti dalle navi da parte dei soggetti affidatari negli ambiti portuali; la classificazione, lo sviluppo
e la valorizzazione dei dati nazionali derivanti dall’applicazione della Convenzione internazionale
Marpol 73/78 e dalle altre convenzioni IMO per la tutela dell’ambiente. In materia di sicurezza e
igiene del lavoro, in base all’art. 13, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 «La vigilanza sull’applicazione
della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla Azienda sani-
taria locale competente per territorio e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale
dei vigili del fuoco, nonché per il settore minerario, fino all’effettiva attuazione del trasferimento
di competenze da adottarsi ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive
modificazioni, dal Ministero dello sviluppo economico, e per le industrie estrattive di seconda ca-
tegoria e le acque minerali e termali dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. Le
province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente articolo,
nell’ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. 1-bis.
Nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco la vigilanza
sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusiva-
mente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni. 2. Ferme restando
le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo
del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ivi compresa quella in materia di salute e sicu-
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Reati ambientali 51
fine sarà necessario verificare, di volta in volta, dalla legge istitutiva o dallo sta-
tuto dell’organo la ricorrenza di entrambe le competenze. Dovrebbero, pertanto,
escludersi dal novero dei soggetti passivi le autorità pubbliche con funzioni di
prevenzione e contrasto delle violazioni in materia ambientale e di sicurezza e
igiene del lavoro, ma che non hanno tuttavia ad oggetto immediato il controllo
sul territorio e sui luoghi di lavoro, ovvero gli organi con funzioni di polizia
giudiziaria.
La norma configura un reato di danno, a forma vincolata, in quanto punisce
l’agente che abbia concretamente impedito, intralciato, eluso l’attività di vigi-
lanza e controllo o ne abbia compromesso gli esiti, attraverso, alternativamente,
una delle modalità descritte, ossia negando l’accesso, predisponendo ostacoli o
mutando artificiosamente lo stato dei luoghi.
Il diniego all’accesso o la predisposizione di ostacoli possono avvenire in
qualunque forma, purché senza impiego di violenza o minaccia, trovando, di-
versamente, applicazione, in accordo alla clausola di riserva inziale, i più gravi
reati di «violenza o minaccia un pubblico ufficiale» (art. 336 c.p.) o di «resi-
stenza a un pubblico ufficiale» (art. 337 c.p.).
L’immutazione artificiosa richiede, invece, un’alterazione, modifica o tra-
rezza dei lavoratori di cui all’articolo 35 della legge 26 aprile 1974, n. 191, lo stesso personale
esercita l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza
nei luoghi di lavoro nelle seguenti attività, nel quadro del coordinamento territoriale di cui
all’articolo 7: a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare la-
vori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di ope-
re fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie,
idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e galle-
rie, anche comportanti l’impiego di esplosivi; b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavo-
ri subacquei; c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della
previdenza sociale, e della salute, adottato sentito il comitato di cui all’articolo 5 e previa intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale svolge attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e
sicurezza dell’Azienda sanitaria locale competente per territorio. 3. In attesa del complessivo rior-
dino delle competenze in tema di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro, restano ferme le competenze in materia di salute e sicurezza dei
lavoratori attribuite alle autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di
sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei
lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale nonché ai servizi
sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco; i
predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presenta-
no analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con
decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e
della salute. L’Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze ar-
mate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istitui-
ti con riferimento alle strutture penitenziarie.
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52 Capitolo I
6. L’«Omessa bonifica»
Art. 452-terdecies c.p. «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiun-
que, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di
un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero
dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni
e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».
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Reati ambientali 53
61
I lavori parlamentari sembrano confermare la volontà del Legislatore di arginare, me-
diante il delitto di omessa bonifica, il rischio di una collettivizzazione dei costi economici ne-
cessari alla bonifica, ripristino o recupero delle aree inquinate, rafforzando, anche in chiave
antielusiva, l’attuazione delle predette misure: «Anche a questo proposito sono veramente
troppe le situazioni dove la bonifica di un sito inquinato appare quasi come un miraggio. Spes-
so i responsabili fanno di tutto per evitare di affrontare il costo del rispristino ambientale; le
imprese falliscono, si liberano di tutti i beni lasciando allo Stato i grandi problemi e gli altissi-
mi costi della bonifica, con il risultato che tante situazioni restano nell’immobilismo se non
addirittura in uno stato di abbandono» (vd., resoconto seduta del Senato n. 452 del 19 maggio
2015 di discussione e approvazione finale del disegno di legge S-1345-B «Disposizioni in ma-
teria di delitti contro l’ambiente»).
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54 Capitolo I
62
Prevede l’art. 650 c.p. che «Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato
dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è
punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda
fino a 206 euro».
63
Per un approfondimento sulle categoria dei provvedimenti amministrativi in esame, vd. R.
Villata, L’atto amministrativo, in L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco,
F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, vol. IV, Bologna, 2005, pp. 859 ss.
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Reati ambientali 55
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56 Capitolo I
68
La Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità per il reato ex art. 650 c.p. in un caso
di inottemperanza agli obblighi comportamentali assunti nella domanda di autorizzazione richia-
mata nelle premesse del provvedimento (Cass. Pen., sez. I, 4 giugno 1991).
69
In dottrina, M. Romano, Comm. Sist., vol. I, art. 2, p. 59; D. Pulitanò, L’errore di diritto
nella teoria del reato, 1976; R. Villata, “Disapplicazione” dei provvedimenti amministrativi e
processo penale, 1980.
70
«I limiti del doveroso controllo del giudice penale sulla ‘legalità’ del provvedimento che è
oggetto della tutela penale apprestata dall’art. 650 c.p. sono costituiti da tre tradizionali vizi di
incompetenza, di violazione di legge e di eccesso di potere, vale a dire dai vizi di legittimità
dell’atto amministrativo, sicché da tale ambito esorbitano quei vizi per l’accertamento dei quali
l’indagine del giudice penale deve invadere il ramo della attività meramente discrezionale della
pubblica amministrazione, con inammissibile accesso al merito. La pretesa, pertanto, di sindaca-
re l’ordine di esibizione della patente alla stregua di presupposti di merito, quali la possibilità di
conseguire le finalità accertative del provvedimento mediante l’uso di mezzi di ricerca telematica
ed elettronica, non trova spazio nell’ambito del controllo di legittimità riservato al giudice penale
dall’art. 650 c.p., poiché la ritenuta violazione del precetto di logica che si assume violato non
può essere ricompresa nel vizio di eccesso di potere” (Cass. Pen., sez. I, 24 giugno 1992, Beltra-
mi); “Nel procedimento relativo all’accertamento della contravvenzione prevista dall’art. 650
c.p., il giudice di merito, mentre è competente ad esaminare e a decidere in ordine alla legalità
sostanziale e formale del provvedimento di cui in concreto si tratta, non può invece sindacare la
discrezionalità, correlativamente alla necessità, opportunità, convenienza e speditezza, bastando
che il provvedimento risulti determinato in se stesso da ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica,
d’ordine pubblico o d’igiene» (Cass. Pen., sez. I, 20 novembre 1990, Fiorio).
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Reati ambientali 57
71
In termini, Cass. Pen., sez. I, 16 novembre 2010, n. 555; Cass. Pen., 13 agosto 1996, Soave;
Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2006, n. 13314; Cass. Pen., sez. V, 30 luglio 2004, n. 35576; Cass.
Pen., sez. I, 22 giugno 2004, n. 28584; Cass. Pen., sez. I, 1 giugno 2000, n. 4102; Cass. Pen., sez.
I, 3 luglio 1996, n. 7954; Cass. Pen., sez. I, 7 ottobre 1993.
72
Nel caso esaminato, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna
per il reato ex art. 650 c.p. per non avere i giudici di merito verificato se la persona indicata nel
provvedimento sindacale inottemperato quale proprietario del fondo avesse in effetti un legame
con terreno oggetto dell’ordine e se rientrasse nei suoi poteri la possibilità giuridica di provvedere
alla pulizia del fondo stesso.
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58 Capitolo I
mente alla scadenza del termine utile per l’adempimento non produrrebbe effetti
sulla rilevanza penale del fatto.
Tuttavia, nell’ipotesi, deve ritenersi teorica in materia di bonifica, che il giu-
dizio amministrativo instauratosi a seguito dell’impugnazione dell’ordine-
comando sia ancora pendente nel corso del processo penale per il delitto in
esame, il Tribunale, documentalmente provata la pendenza del giudizio, può so-
spendere, in base alle condizioni di cui all’art. 479 c.p.p., il processo penale per
omessa bonifica, in attesa della definizione del gravame riguardante la legittimi-
tà del provvedimento 73.
Per quanto riguarda la condotta di violazione del provvedimento, rilevante ai
fini dell’art. 650 c.p., ma deve ritenersi anche per la analoga trasgressione
dell’ordine di una pubblica autorità ai sensi del delitto di omessa bonifica, “è
necessario che la condotta dell’agente si concretizzi in una violazione riguar-
dante il contenuto essenziale del provvedimento dato per le ragioni ivi indicate,
mentre diventa penalmente irrilevante una condotta di scarso rilievo che violi
una modalità di esecuzione del provvedimento, qualora l’agente abbia manife-
stato concretamente l’intenzione di voler adempiere all’ordine legalmente dato
dall’autorità” (Cass. Pen., sez. I, 31 maggio 1995, n. 7633) 74.
Nel caso, invece, di inottemperanza integrale o nel suo nucleo essenziale
dell’ordine proveniente dall’autorità pubblica, il soggetto inadempiente non po-
trebbe invocare, al fine di escludere la rilevanza penale dell’omissione,
l’intervento d’ufficio del soggetto pubblico: la Suprema Corte esclude che
“l’intervento sussidiario e coattivo dell’amministrazione pubblica” per quanto
seguito dall’addebito delle spese al responsabile possa eliminare la sussistenza
del reato, di tal che “la eventuale esecuzione di ufficio successiva alla scadenza
del termine non fa venir meno la punibilità del comportamento omissivo”, e “a
maggior ragione non può essere esclusa la punibilità per il solo fatto che non
sia stata esercitata la facoltà di esecuzione coattiva” (Cass. Pen., sez. I, 7 feb-
braio 1996, n. 2562).
Certamente inedita rispetto alla fattispecie dell’art. 650 c.p. è la previsione
73
Come noto, l’art. 479 c.p.p., concernente le questioni civili e amministrative prevede che il
giudice penale possa disporre la sospensione del dibattimento, fino a che la questione non sia stata
decisa con sentenza passata in giudicato, a queste condizioni: a) che la decisione sull’esistenza del
reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa; b) che la controversia
sia di particolare complessità; c) che sia già in corso un procedimento presso il giudice competen-
te; d) che la legge non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.
74
In tema di revoca del provvedimento rilevante ai sensi dell’art. 650 c.p., la Suprema Corte,
muovendo da una premessa tuttavia diversa da quella prevalente in dottrina, ha statuito che
«l’Amministrazione rendendo inefficace, con l’esercizio del suo potere discrezionale, insindaca-
bile da parte del giudice ordinario, l’atto integrativo della norma in bianco, ha fatto venir meno
uno degli elementi essenziali della fattispecie penale ed ha così dimostrato che non ha più inte-
resse ad ottenere la prestazione a suo tempo imposta, sicché la relativa sanzione non può essere
applicata» (Cass. Pen., sez. I, 24 giugno 1996, n. 8529).
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75
Cass. Pen., sez. III, 20 novembre 2012, n. 17713.
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60 Capitolo I
76
Nel caso scrutinato, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata esclusa la confi-
gurabilità del reato contravvenzionale in questione in un caso di mancata osservanza, da par-
te del titolare di uno studio medico-dentistico, delle prescrizioni dettate dall’art. 1, co. 2-ter
s., D.L. 14 dicembre 1988, n. 527, conv. con modif. in L. 10 febbraio 1988, n. 45, e dal De-
creto del Ministro dell’ambiente 25 maggio 1989, in materia di smaltimento dei rifiuti sani-
tari.
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77
T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 2000, p. 41.
78
Per un approfondimento sulla categoria delle c.d. leggi provvedimento e sul rapporto con i
caratteri di generalità e astrattezza della norma giuridica, vd. Mortati, Istituzioni di diritto pubbli-
co, I, Padova, 1991, pagg. 9 ss; Modugno, Norma (teoria gen.) in Enc. Dir., XXVIII, pagg. 328 ss;
Mazziotti, Norma giuridica, in, Enc. Giur., XXXI, Roma, 1990, Franco, Leggi provvedimento,
principi generali dell’ordinamento, principio del giusto procedimento (in margine all’innovativa
sent., n. 143 del 1989 della Corte costituzionale), in, Giur, cost., 1989, II, pagg. 1041 ss.; For-
sthoff, Le leggi provvedimento, in, Stato di diritto in trasformazione, Milano, 1973, pagg. 114 ss;
Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, pagg. 43 ss.
79
Corte cost., 21 giugno 2013, n. 154; Corte cot., 8 maggio 2009, n. 137; Corte cost., 10 gen-
naio 1997, n. 2.
80
Corte cost., 2 aprile 2009, n. 94.
81
Corte cost., 9 febbraio 2012, n. 20; Corte cost., 22 luglio 2010, n. 270; Corte cost., 8 mag-
gio 2009, n. 137; Corte cost., 2 luglio 2008, n. 241.
82
Corte cost. 22 luglio 2010, n. 270.
83
Corte cost.,2 aprile 2009, n. 94; Corte cost., 2 luglio 2008, n. 241.
84
Giova rilevare che se la Corte Costituzionale affermare la compatibilità della legge-
provvedimento con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione (sent. n. 85/2013 e n.
143/1989), richiama tuttavia l’esigenza di valutare se essa rispetti i limiti tracciati dalla giurispru-
denza costituzionale e, in primo luogo, quello della ragionevolezza e non arbitrarietà (sentenze n.
85/2013, n. 143/1989, n. 346/1991 e n. 429/1995); queste leggi, infatti, devono soggiacere ad un
rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in
previsioni di tipo particolare e derogatorio (sentenze n. 85/2013; in senso conforme sentenze n.
20/2012 e n. 2/1997), con l’ulteriore precisazione che «tale sindacato deve essere tanto più rigo-
roso quanto più marcata sia [...] la natura provvedimentale dell’atto legislativo sottoposto a con-
trollo (sentenza n. 153 del 1997)» (sentenza n. 137/2009; in senso conforme sentenze n. 241/2008
e n. 267/2007).
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62 Capitolo I
85
G. Carboni, Norme penali in bianco e riserva di legge: a proposito della legittimità costitu-
zionale dell’art. 650, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1971, pp. 459 ss.
86
In relazione al reato ex art. 650 c.p. ma con argomentazione estendibile al delitto in esame,
la Corte di Cassazione ha statuito che «Soggetto attivo del reato previsto dall’art. 650 c.p. è il
destinatario del provvedimento legalmente dato dall’autorità. Tale non è soltanto la persona fisi-
ca nei confronti della quale l’ordine sia stato emesso, ma anche il legale rappresentante di per-
sona giuridica, dal momento che né la lettera né la ratio dell’art. 650 c.p., anche interpretato alla
luce del principio costituzionale di eguaglianza, autorizzano l’interpretazione della norma come
applicabile alle sole persone fisiche» (Cass. Pen., sez. I, 24 febbraio 1994).
87
L’art. 257, co. 1, prevede, altresì, una seconda ipotesi di reato, sempre di natura contravven-
zionale, consistente nella mancata «effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242», per la
quale «il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da
mille euro a ventiseimila euro». L’art. 242 del Codice dell’ambiente prevede, in particolare, che «I -
Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile
dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà
immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. La medesima
procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora com-
portare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione. II - Il responsabile
dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla
contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che
il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al
ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla
provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L’autocertificazione
conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e
di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in
cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere
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Reati ambientali 63
individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo. III -
Qualora l’indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche
per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle
province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicu-
rezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle predette amministrazioni,
nonché alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui
all’Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la regione, con-
vocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni inte-
grative. L’autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizza-
zione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione».
88
«Presupposto per la configurabilità del reato di omessa bonifica è il superamento delle
concentrazioni soglia di rischi (CSR) livello superiore ai livelli di accettabilità già definiti dal
decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471” (Cass. Pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 19962).
“Per superamento delle concentrazioni soglia di rischio, cui l’art. 257 del d.lg. 3 aprile 2006, n.
152 subordina la punibilità delle condotte in esso previste, si intende il travalicamento di livelli di
pericolo ben superiori ai previgenti parametri di concentrazione soglia di contaminazione»
(Cass. Pen., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 17817).
89
Cass. Pen., sez. III, 16 marzo 2011, n. 18503; la Corte regolatrice ha in tal modo chiarito i
possibili dubbi circa l’inclusione, nella platea dei soggetti attivi del reato di omessa comunicazio-
ne, di coloro che pur gravati dell’obbligo di intervento (e di notifica) ai sensi dell’art. 245, non
siano responsabili della potenziale contaminazione. L’art. 245 [Obblighi di intervento e di notifica
da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione], infatti, stabilisce che «I -
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64 Capitolo I
Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disci-
plinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non re-
sponsabili. II - Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui
all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concre-
to e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne co-
municazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le mi-
sure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242. La provincia, una volta ricevute
le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto re-
sponsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario
o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per
la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibi-
lità. III - Qualora i soggetti interessati procedano ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, ovvero abbiano già provveduto in tal
senso in precedenza, la decorrenza dell’obbligo di bonifica di siti per eventi anteriori all’entrata in
vigore della parte quarta del presente decreto verrà definita dalla regione territorialmente compe-
tente in base alla pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche
o da suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interven-
ti prima del suddetto termine».
90
In base all’art. 245 del Codice dell’ambiente, infatti, «I - Le procedure per gli interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono
essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili. II - Fatti salvi gli obbli-
ghi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’articolo 242, il proprietario o il
gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della
concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla pro-
vincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la
procedura di cui all’articolo 242». «II - La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui
sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar
corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto inte-
ressato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli
interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità. III - Qualora i
soggetti interessati procedano ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data di entrata in vigo-
re della parte quarta del presente decreto, ovvero abbiano già provveduto in tal senso in preceden-
za, la decorrenza dell’obbligo di bonifica di siti per eventi anteriori all’entrata in vigore della parte
quarta del presente decreto verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla
pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche o da suoi even-
tuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interventi prima del
suddetto termine.» Se, dunque, accanto agli obblighi imposti al responsabile della potenziale con-
taminazione ai sensi dell’art. 242, è prevista la facoltà per gli “interessati non responsabili” di
promuovere l’attivazione delle procedure previste dal codice dell’ambiente per la messa in sicu-
rezza, la bonifica e il ripristino ambientale, nonché la facoltà per il proprietario o gestore dell’area
(non responsabile) di comunicare agli enti territoriali competenti il superamento o il pericolo con-
creto e attuale di superamento della concentrazione soglia di contaminazione, l’eventuale ordine a
costoro rivolto dalla pubblica autorità di procedere ad una delle misure riparatorie in oggetto po-
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Reati ambientali 65
trebbe costituire il presupposto di fatto per l’applicazione in caso di inadempimento del delitto ex
art. 452-terdecies c.p.
91
Vd. nota n. 29.
92
Giova rilevare che il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, ha di recente ribadito, contra-
stando sia pure isolate pronunce del T.A.R., che «l’orientamento interpretativo di gran lunga pre-
valente escluda la possibilità per l’amministrazione nazionale di imporre al proprietario non re-
sponsabile della contaminazione misure di messa in sicurezza d’emergenza o di bonifica del sito
inquinato», affermando che «l’Amministrazione non possa imporre al proprietario di un’area
inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di
messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, lettere m) e p) del
decreto legislativo n. 152 del 2006». In particolare, è stato affermato che «le disposizioni contenu-
te nel Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) ope-
rano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e
quella del proprietario del sito” che “il proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì quali-
ficabile come responsabile dell’inquinamento non è tenuto a porre in essere gli interventi di mes-
sa in sicurezza d’emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli», che «gli interventi
di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul re-
sponsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo
oggettivo, l’inquinamento» (art. 244, comma 2), che «anche l’art. 250, che elenca in ordine suc-
cessivo e sussidiario i soggetti chiamati a realizzare le attività di cui al più volte richiamato titolo
V, non ha trasformato in ‘obbligo’ ciò che le altre disposizioni delineano quale mera facoltà, sta-
bilendo invece che l’onere ‘di ultima istanza’ di realizzare le misure gravi comunque su un sog-
getto pubblico”, infine che “se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non prov-
veda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risul-
tassero necessari sono adottati dall’Amministrazione competente (art. 244, comma 4)» (Cons.
Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2013, n. 21; in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013,
n. 25). «Detti principi – ha rilevato la giurisprudenza amministrativa successiva – valgono sia per
la bonifica vera e propria sia per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza», siccome tan-
to la disciplina di cui al D.Lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, co. 2), quanto quella introdotta
dal D.Lgs. n. 152/2006 (ed in particolare gli artt. 240 ss.) si ispirano al principio secondo cui
«l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione
d’inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi
dato causa”. Si è precisato, inoltre che “il principio ‘chi inquina paga’ vale, altresì, per le misure
di messa in sicurezza d’emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita
dall’art. 240, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 152 cit.». «Infatti – si prosegue – anche l’adozione
delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al sog-
getto responsabile dell’inquinamento (cfr., art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.)» (T.A.R. Toscana, 9 di-
cembre 2013, n. 1705; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 5 maggio 2014, n. 184; in termini, T.A.R.
Puglia, 24 gennaio 2014, n. 228; Tar Lombardia, 8 luglio 2014, n. 1768). Giova evidenziare che la
giurisprudenza amministrativa esclude altresì che l’obbligo di procedere alla bonifica dell’area
possa essere «desunta dall’applicazione della previsione dell’art. 2051 c.c. (che regolamenta la
responsabilità civile del custode)» in quanto «a prescindere da ogni considerazione relativa
all’aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l’accertamento della qualità di cu-
stode dell’area al momento dell’inquinamento e non in un periodo di molto successivo, come av-
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66 Capitolo I
venuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in
contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di messa in sicurezza e di boni-
fica previsti dagli articoli 240 e ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006, che dettano una disci-
plina esaustiva della materia, non integrabile dalla sovrapposizione di una normativa (quella del
codice civile, appunto) ispirata a ben diverse esigenze. Nel sistema di responsabilità civile, rima-
ne centrale, infatti, anche nelle fattispecie che prescindono dall’elemento soggettivo, l’esigenza di
accertare comunque il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a
titolo di illecito civile colui al quale non sia imputabile neppure sotto il profilo oggettivo l’evento
lesivo» (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2013, n. 21; in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 13
novembre 2013, n. 25, cit.).
93
Valgono a tal proposito le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione in merito
all’applicabilità della contravvenzione di omessa comunicazione prevista dal comma I ultima par-
te dell’art. 257 del Codice dell’ambiente a soggetti diversi dall’autore dell’inquinamento: «ed in-
vero – statuiva la corte regolatrice – sul piano dei principi potrebbe semmai destare perplessità
un sistema che dovendo tra l’altro farsi carico di dare specifica attuazione al principio ‘chi in-
quina paga’ prevedesse la medesima tipologia di intervento sanzionatorio per colui il quale si
rende responsabile della condotta di inquinamento e che ha, quindi, in prima persona l’obbligo
di elidere le conseguenze di quanto da lui stesso provocato e per colui che, invece, la situazione
di inquinamento abbia per così dire ‘subito’ accertandola occasionalmente in tempi successivi
senza avervi dato comunque causa. Sarebbe poi tutta da verificare – proseguiva la S.C. – la com-
patibilità della introduzione di una fattispecie di reato in precedenza mai prevista… con i limiti
imposti dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308 recante la ‘Delega al Governo per il riordino, il coor-
dinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applica-
zione’ in relazione alla disposizione dell’art. 1 comma 8, lett. I) secondo cui: ‘I decreti legislativi
di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle com-
petenze per materia delle amministrazioni statali, nonché alle attribuzioni delle regioni e degli
enti locali… e del principio di sussidiarietà, ai seguenti principi e criteri direttivi generali: (omis-
sis) i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento
e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restan-
do i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge (omissis)’»
(Cass. Pen., sez. III, 16 marzo 2011, n. 18503).
94
Numerosi sono gli indici normativi contenuti nella parte VI del codice dell’ambiente dai
quali potersi escludere, anche ai fini della riparazione del danno ambientale, qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva o per fatto altrui, fuori dunque, dal rigoroso accertamento del nesso
casuale fra il comportamento dell’operatore e l’evento dannoso: ad esempio, in base all’art.
303, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006, la parte sesta del decreto «non si applica al danno ambientale
o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non sia
stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale tra il danno e l’attività di singoli ope-
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Reati ambientali 67
ratori». In forza dell’art. 313 «I - Qualora all’esito dell’istruttoria di cui all’articolo 312 sia sta-
to accertato un fatto che abbia causato danno ambientale ed il responsabile non abbia attivato le
procedure di ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto oppure ai
sensi degli articoli 304 e seguenti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con or-
dinanza immediatamente esecutiva, ingiunge a coloro che, in base al suddetto accertamento,
siano risultati responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma
specifica entro un termine fissato» «II - Qualora il responsabile del fatto che ha provocato dan-
no ambientale non provveda in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto o all’adozione
delle misure di riparazione nei termini e modalità prescritti, il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguire la comple-
ta attuazione delle misure anzidette secondo i criteri definiti con il decreto di cui al comma 3
dell’articolo 311 e, al fine di procedere alla realizzazione delle stesse, con ordinanza ingiunge
il pagamento, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, delle somme corrispondenti».
«III - Con riguardo al risarcimento del danno in forma specifica, l’ordinanza è emessa nei con-
fronti del responsabile del fatto dannoso nonché, in solido, del soggetto nel cui effettivo inte-
resse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto van-
taggio sottraendosi, secondo l’accertamento istruttorio intervenuto, all’onere economico neces-
sario per apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i comporta-
menti previsti come obbligatori dalle norme applicabili». «IV - L’ordinanza è adottata nel ter-
mine perentorio di centottanta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti di cui al com-
ma 3 dell’avvio dell’istruttoria, e comunque entro il termine di decadenza di due anni dalla no-
tizia del fatto, salvo quando sia in corso il ripristino ambientale a cura e spese del trasgressore.
In tal caso i medesimi termini decorrono dalla sospensione ingiustificata dei lavori di ripristino
oppure dalla loro conclusione in caso di incompleta riparazione del danno. Alle attestazioni
concernenti la sospensione dei lavori e la loro incompletezza provvede il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito atto di accertamento».
95
«Nei reati omissivi che consistono nell’inottemperanza a un ordine legalmente dato
dall’Autorità, occorre distinguere le ipotesi nelle quali l’Autorità medesima ha fissato un termine
perentorio all’adempimento dell’ordine, da quelle nelle quali non ne ha fissato, né direttamente,
né indirettamente, alcuno, ovvero il termine, quantunque fissato, non è perentorio. Nel primo ca-
so l’agente deve ottemperare all’ordine entro il termine perentorio, scaduto il quale la situazione
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68 Capitolo I
Nel primo caso – afferma la corte regolatrice – «qualora sia stato fissato un
termine perentorio per l’adempimento dell’ordine, scaduto tale termine la situa-
zione antigiuridica prevista dalla norma incriminatrice si è irrimediabilmente
verificata, sicché l’eventuale adempimento successivo non ha alcuna rilevanza
al fine di escludere la sussistenza del reato che ha natura istantanea e la cui pre-
scrizione incomincia a decorrere dal termine fissato» (cfr., Cass. Pen., sez. I, 30
marzo 2006, n. 17312; Cass. Pen., 20 ottobre 2004, n. 41101) 96.
Ove nessun termine ai fini della bonifica, del ripristino o del recupero sia
imposto dall’ordine, circostanza che non intaccherebbe la legalità del provve-
dimento 97, né esso possa ricavarsi dalla motivazione del provvedimento imposi-
tivo, spetterà al giudice penale valutare il termine “entro il quale ragionevol-
mente il soggetto sarebbe stato in grado di obbedire, secondo una valutazione
discrezionale del giudice, che terrà conto del caso concreto e in particolare
dell’adempimento richiesto” 98, e superato il quale “si sia concretizzata quella
situazione che impedisce l’utile osservanza del provvedimento” 99.
La Suprema Corte, invece, riconosce al reato natura (eventualmente) perma-
nente “In tutti gli altri casi nei quali l’agente, anche dopo la scadenza del ter-
mine, ove fissato dall’Autorità, può validamente far cessare la situazione anti-
giuridica sanzionata dalla norma incriminatrice, dando esecuzione, con un
comportamento attivo, all’ordine ricevuto” (Cass. Pen., sez. I, 11 luglio 1997, n.
8607).
La clausola di riserva posta in esordio dell’art. 452-terdecies implica che il
delitto di omessa bonifica non trovi applicazione, rimanendone assorbito, ove la
condotta integri altro e più grave reato posto a tutela del medesimo bene giuri-
dico 100.
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Reati ambientali 69
medesimo bene-interesse tutelato dal reato meno grave che deve essere assorbito» (Cass. Pen.,
sez. II, 7 maggio 2013, n. 36365).
101
Cass. Pen., sez. III, 19 dicembre 2012, n. 9214.
102
Ha precisato che «il reato di omessa bonifica previsto dall’art. 257 d.lg 152/2006 non è
configurabile in assenza di un progetto di bonifica definitivamente approvato”, e non dalla mera
“inosservanza degli adempimenti strumentali alla approvazione del progetto di bonifica», Cass.
Pen., sez. III, 13 aprile 2010, n. 22006.
103
Cass. Pen., sez. III, 2 luglio 2010, n. 35774: ha argomentato sul punto la Corte di Cassa-
zione che «non si tratta di non consentita interpretazione estensiva in malam partem o di applica-
zione analogica della norma penale incriminatrice, ma dell’unica interpretazione sistematica atta
a rendere il sistema razionale e non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art.
3 cost. Invero, sarebbe manifestamente irrazionale – prosegue la S.C. – una disciplina che preve-
desse la punizione di un soggetto che dà esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette
di eseguire il conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il soggetto che addi-
rittura omette anche di adempiere al piano di caratterizzazione così ostacolando ed impedendo la
stessa formazione del progetto di bonifica».
104
La medesima attenuante speciale è prevista per chi aiuta concretamente l’autorità di polizia
o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottra-
zione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti beneficia di una riduzione della pena da un
terzo alla metà. Ove le condotte premianti indicate siano in corso di esecuzione, ma non ultimate,
l’imputato può chiedere, a tal fine, al giudice prima della dichiarazione di apertura del dibattimen-
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70 Capitolo I
to di primo grado la sospensione del procedimento per un tempo congruo, e comunque non supe-
riore a 2 anni prorogabile al massimo per un anno ulteriore, con conseguente sospensione del cor-
so della prescrizione.
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71
CAPITOLO II
LE CIRCOSTANZE DEI NUOVI REATI AMBIENTALI
E IL PROCEDIMENTO ESTINTIVO
DELLE CONTRAVVENZIONI “INOFFENSIVE”
1. L’Aggravante “associativa”
Art. 452-octies «I - Quando l’associazione di cui all’articolo 416 è diretta,
in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti pre-
visti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono au-
mentate. II - Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a
commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero
all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economi-
che, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in mate-
ria ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumenta-
te. III - Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo
alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un
pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia am-
bientale».
Con l’art. 452-octies c.p. il legislatore ha introdotto una serie di circostanze
aggravanti volte a colpire il fenomeno delle c.d. ecomafie, o più in generale,
delle organizzazioni illecite che includono nel proprio programma criminoso
la commissione dei nuovi reati ambientali, prevedendo un inasprimento san-
zionatorio a carico degli associati, in virtù della ritenuta maggiore pericolosità
di una condotta associativa finalizzata a provocare danni all’ambiente e alla
salute.
Si tratta, dunque, di circostanze di natura teleologica che pur inasprendo la
pena base dei reati di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p. il legislatore ha deciso di
includere, sistematicamente, nel medesimo titolo VI-bis relativo ai delitti di
nuovo conio, anziché novellando, come in altri frangenti avvenuto, il testo dei
reati aggravati 1.
1
Vd. i co. 6, 7 dell’art. 416 c.p., in relazione all’associazione diretta a commettere, rispetti-
vamente, taluno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602, nonché all’art. 12, co. 3-bis, del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione del-
lo straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e taluno dei delitti previsti dagli artt. 600-bis,
600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di
un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in
danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies.
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72 Capitolo II
2
La giurisprudenza costante afferma che “Non sussiste incompatibilità logico-giuridica tra la
continuazione e l’aggravante del nesso teleologico, agendo il primo sul piano della riconducibili-
tà di più reati a un comune programma criminoso ed essendo il secondo connotato dalla strumen-
talità di un reato rispetto a un altro” (Cass. Pen., sez. VI, 18 marzo 2014, n. 17622; Cass. Pen.,
sez. II, 9 novembre 2012, n. 46638). Per la Dottrina dell’aggravante del nesso teologico il giudice
dovrebbe «tener conto nel quantificare la pena ai fini dell’aumento entro il triplo della pena stabi-
lita per la violazione più grave» (G. Marinucci–E. Dolcini, Manuale di diritto penale, parte gene-
rale, Milano, 2004, p. 347.
3
Vd., ad. es., art. 600-sexies, co. 6, c.p.
4
G. Marinucci–E. Dolcini, Manuale, cit., p. 346.
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Reati ambientali 73
2. L’«Aggravante ambientale»
Art. 452-novies «Quando un fatto già previsto come reato è commesso allo
scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela
dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di
una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra
legge che tutela l’ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un terzo alla
metà e nel secondo caso è aumentata di un terzo. In ogni caso il reato è procedi-
bile d’ufficio».
Nell’art. 452-novies, sotto il medesimo titolo di «aggravante ambientale»
sono previste due circostanze aggravanti, l’una ad effetto speciale, l’altra comu-
ne.
La prima prevede un aumento della pena da un terzo alla metà se un fatto già
previsto come reato sia commesso allo scopo 5 di eseguire uno o più tra i nuovi
delitti ambientali o fra i reati previsti dal codice dell’ambiente o da altra dispo-
sizione di legge posta a tutela dell’ambiente.
Si tratta, dunque, di circostanza di natura teleologica 6 che, analogamente alle
circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61, n. 2), c.p., e salvo il più elevato
incremento sanzionatorio, «è destinata ad applicarsi ad un numero indetermina-
to di reati, in virtù di un collegamento funzionale fra essi e un delitto posto a tu-
tela dell’ambiente».
Stante la medesima natura, giova rammentare che l’aggravante comune del
nesso teleologico (art. 61, n. 2, c.p.) «costituisce un’aggravante di natura sog-
gettiva, che si fonda sulla maggiore pericolosità di chi, pur di attuare il suo in-
tento criminoso, non esita a compiere un reato-mezzo per eseguirne un altro.
Per la sua sussistenza occorre quindi dimostrare che l’aggravante era cono-
sciuta dall’agente e rientrava nella rappresentazione dell’evento, e occorre, al-
tresì, la prova che la volontà dell’agente, al momento della commissione del
reato-mezzo, era diretta proprio al fine di commettere il reato-scopo» (Cass.
Pen., sez. VI, 18 novembre 2009, n. 48552; in termini, Cass. Pen., sez. I, 16 no-
vembre 2006, n. 42371).
«Pertanto si applica per il solo fatto che l’agente commetta un reato allo
scopo di eseguirne (occultarne o conseguire il profitto di) un altro, anche se in
concorso formale, senza che assuma rilievo la mancata consumazione del reato
fine» (Cass. Pen., sez. V, 26 settembre 2000, n. 11497).
L’elevato inasprimento sanzionatorio prodotto da questa aggravante ad effet-
to speciale potrebbe suscitare dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo
5
Per la sussistenza dell’aggravante c.d. teleologica «è necessario e sufficiente che l’agente
commetta il reato per uno degli scopo suddetti: non rileva che poi l’agente non commetta il reato
fine o con consegua lo scopo che si è prefisso», G. Marinucci–E. Dolcini, Manual, cit., p. 346.
6
Vd., note nn. 72, 75.
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74 Capitolo II
7
Ai sensi dell’art. 4, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625 «Per i delitti commessi per finalità di ter-
rorismo o di eversione dell’ordine democratico, salvo quanto disposto nell’art. 289-bis del codice
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Reati ambientali 75
penale, nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che
l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di
polizia e l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei
concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le
altre pene sono diminuite da un terzo alla metà».
8
Ai sensi dell’art. 8, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 «Per i delitti di cui all’art. 416-bis del codi-
ce penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero
al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell’imputato che,
dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di
elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei
reati, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre
pene sono diminuite da un terzo alla metà».
9
Ai sensi dell’art. 73, co. 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, «Le pene previste dai commi da 1 a 6
sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a
conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella
sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti». In base all’art. 74 [Associazione finaliz-
zata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope], «Le pene previste dai commi da 1 a 6
sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del
reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti».
10
Giova rammentare che l’art. 434, co. 1, c.p., configurandosi come autonomo delitto di at-
tentato, a consumazione anticipata, distinto, benché affine, al delitto tentato, non si giova delle
regole generali che disciplinano il tentativo e fra esse delle ipotesi di desistenza volontaria e im-
pedimento volontario dell’evento di cui all’art. 56, co. 3,4, c.p.
11
Il reato di cui all’art. 260, D.Lgs. n. 152/2006, si compone – pedissequamente alla previ-
gente ipotesi di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti ex art. 53-bis, D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22 (Cass. Pen., sez. III, 29 novembre 2006, n. 9794) – di una pluralità di operazioni –
segnatamente – cessione, trasporto, esportazione, importazione e gestione abusiva di rifiuti – con-
trassegnate dall’allestimento di mezzi e con attività continuative e organizzate. Elemento essen-
ziale, sotto il profilo oggettivo del reato, è la predisposizione di una organizzazione finalizzata
all’esercizio continuativo, o comunque per un apprezzabile periodo di tempo, di attività economi-
che, con impiego di capitali, beni materiali, depositi, ecc., funzionale alla gestione dei rifiuti. Co-
me anche di recente statuito dalla Suprema Corte «il reato di attività organizzate per il traffico
illecito di rifiuti è abituale, perché è integrato necessariamente dalla realizzazione di più compor-
tamenti della stessa specie sostanziandosi nell’allestimento di mezzi e attività continuative orga-
nizzate finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti» (Cass. Pen., sez. III, 17 gen-
naio 2014, n. 5773). Il versante organizzativo, imprenditoriale, della gestione si salda, infatti, con
il requisito della reiterazione delle operazioni gestorie che non solo differenzia la fattispecie in
esame da quella di cui all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006, ma che ne giustifica la stessa inedita qua-
lificazione di delitto e il più severo trattamento sanzionatorio rispetto al previgente D.Lgs. n.
22/1997 (c.d. Decreto Ronchi), così come alla maggior parte delle disposizioni penali contenute
nella disciplina dei rifiuti aventi natura contravvenzionale.
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76 Capitolo II
12
In tema di criminalità organizzata, la Suprema Corte afferma che «La circostanza attenuan-
te della dissociazione attuosa, prevista dall’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, è sottratta alla disciplina
del bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69 c.p. e gli speciali criteri di diminuzione della
pena, in forza dei quali si applica la reclusione da dodici a venti anni in luogo dell’ergastolo, si
applicano senza che abbia rilievo se tale ultima pena sia prevista per la forma aggravata o per la
fattispecie criminosa di base. La sequenza per il calcolo della pena, in caso di applicazione della
diminuente a effetto speciale di cui all’art. 8, prevede che si proceda innanzitutto al computo del-
le variazioni sanzionatone derivanti dalle altre circostanze attenuanti e aggravanti e, quindi,
all’applicazione dell’attenuante connessa alla dissociazione attuosa» (Cass. Pen., SS.UU., 25
febbraio 2010, n. 10713).
13
Dovrebbe pertanto escludersi l’attenuante in oggetto «ove il ripristino dello stato dei luoghi
compromesso da un reato ambientale avvenga solo a seguito di un ordine dell’autorità di con-
trollo» (G. Marinucci-E. Dolcini, Manuale, cit., p. 358).
14
Ai sensi dell’art. 240, lett. m), la messa in sicurezza d’emergenza consiste in «ogni inter-
vento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla
lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la dif-
fusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti
nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza
operativa o permanente»; ai sensi della la lettera n) la messa in sicurezza operativa è «l’insieme
degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di
sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza
permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli in-
terventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino
all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione
della contaminazione all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono
essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia
delle soluzioni adottate»; ai sensi della lettera o) la messa in sicurezza permanente è «l’insieme
degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali
circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente.
In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto
alle previsioni degli strumenti urbanistici».
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Reati ambientali 77
procedure previste dal codice dell’ambiente che il soggetto attivo del reato do-
vrà attivare appunto congiuntamente per beneficiare della riduzione di pena.
L’uso dell’avverbio «concretamente» lascia intendere che le citate procedure
debbano non solo essere attivate o arrestarsi alle relative fasi preliminari alla boni-
fica (con l’indagine preliminare, la caratterizzazione e l’analisi di rischio specifica
del sito) o alla mera presentazione del progetto di bonifica o messa in sicurezza,
ma essere effettivamente portate a compimento nei termini autorizzati in seno alla
conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 242 del Codice dell’ambiente.
L’eventuale, ad anzi probabile, divaricazione fra i tempi necessari
all’esecuzione della bonifica e quelli di celebrazione del processo sta alla base
della possibilità per l’imputato di chiedere al giudice prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento 17, una proroga, in forza, deve ritenersi, di un docu-
mentato avanzamento del procedimento di messa in sicurezza, bonifica e ripri-
stino dello stato dei luoghi.
In caso di concessione della sospensione del processo è prevista per tutto il
relativo periodo – pari ad un termine massimo di due anni prorogabili per un
anno – la sospensione del corso della prescrizione.
Beneficia, altresì, della riduzione di pena da un terzo alla metà chi aiuta con-
cretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del
fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per
la commissione dei delitti.
In tema di reati di criminalità organizzata, ad esempio il riconoscimento del-
la circostanza attenuante di cui all’art. 8, D.L. n. 152/1991, richiede il “proficuo
contributo fornito alle indagini” (Cass. Pen., sez. I, 3 febbraio 2006, n. 14527;
in senso conforme, Cass. Pen., sez. I, 21 maggio 2003, Tangredi; Cass. Pen.,
sez. I, 7 novembre 2001, Alfieri).
“In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento
dell’attenuante per collaborazione ex art. 73, comma 7, D.P.R. n. 309/1990, è
sufficiente che l’imputato abbia offerto tutto il suo patrimonio di conoscenze e la
sua possibilità di collaborazione per evitare che l’attività delittuosa sia portata a
15 Ai sensi dell’art. 240, co. 1, lett. p) del Codice dell’ambiente, per bonifica si intende
«l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a
ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad
un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)».
16
Ai sensi dell’art. 240, lett. q), per ripristino e ripristino ambientale si intendono «gli inter-
venti di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli inter-
venti di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effet-
tiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici».
17
Il riferimento normativo al solo dibattimento quale momento processuale preclusivo per il
compimento delle attività post delictum utili ai fini della concessione del beneficio sanzionatorio,
ovvero per la richiesta di una proroga necessario alla ultimazione di attività già avviate, lascia ir-
risolta la questione della invocabilità dell’attenuante del ravvedimento operoso da parte
dell’imputato che abbia chiesto procedersi con rito abbreviato o con applicazione della pena su
richiesta delle parti.
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78 Capitolo II
18
La procedura in esame ricalca quella già prevista dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758
(Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro) il cui art. 20 prevede che «I -
Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle
funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al con-
travventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il
periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravven-
tore, per la particolare complessità o per l’oggettiva difficoltà dell’adempimento. In nessun caso
esso può superare i dodici mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al con-
travventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere proro-
gato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei
mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero. II -
Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente
nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore. III - Con la prescrizione l’organo di
vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salu-
te dei lavoratori durante il lavoro. IV - Resta fermo l’obbligo dell’organo di vigilanza di riferire al
pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell’art. 347 del codi-
ce di procedura penale». In relazione all’esperienza applicativa della procedura estintiva delle
contravvenzioni in materia di lavoro, è stato, in particolare statuito, che «la procedura prevista
dagli artt. 21 e segg. d.lg. n. 758/94, presuppone la sussistenza del reato già consumato e perfetto
in ogni suo elemento, oggettivo e soggettivo. L’indagine in ordine alla sussistenza dell’elemento
soggettivo non può dunque estendersi alla fase estintiva, che è successiva al perfezionarsi del
reato e opera su, un piano diverso, oggettivo. L’eventuale ritardo nel pagamento, se non dovuto a
colpa, può solo astrattamente comportare la remissione in termini, ma non può certo destruttura-
re un reato ormai già perfezionato» (Cass. Pen., sez. III, 24 giugno 2014, n. 1702). «La speciale
causa di estinzione delle contravvenzioni in materia di prevenzione antinfortunistica non opera se
il pagamento della somma determinata a titolo di sanzione amministrativa avviene oltre il termi-
ne di 30 giorni fissato dall’art. 21, comma 2, d.lg. n. 758/1994, dato che ha natura perentoria e
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Reati ambientali 79
non ordinatoria» (Cass. Pen., sez. III, 3 luglio 2014, n. 45228); «Il pagamento della sanzione
amministrativa effettuato ex art. 24 d.lg. 19 dicembre 1994 n. 758 dal legale rappresentante della
società riverbera l’effetto estintivo anche a favore del dipendente-contravventore, che abbia ope-
rato come persona fisica all’interno dell’azienda» (Cass. Pen., sez. III, 15 febbraio 2012, n.
18914). «La sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contravventore, ammesso alla procedu-
ra di estinzione dei reati antinfortunistici o in materia di igiene del lavoro (art. 24, D.Lgs. 19 di-
cembre 1994, n. 758), non costituisce impedimento rilevante, idoneo a giustificare il mancato
espletamento della procedura estintiva» (Cass. Pen., sez. III, 28 settembre 2011, n. 44399).
«L’impossibilità della notifica, per irreperibilità del contravventore, dell’invito al pagamento
dell’oblazione determinata dall’organo di vigilanza per l’estinzione del reato (art. 24, d.lg. 19
dicembre 1994, n. 758), non osta all’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti» (Cass. Pen.,
sez. III, 7 luglio 2011, n. 41073); «La procedura di estinzione prevista dagli art. 20 ss. d.lg. 19
dicembre 1994 n. 758, trova applicazione, ai sensi dell’art. 15 comma 3 d.lg. 23 aprile 2004 n.
124, anche per le fattispecie cosiddette a condotta esaurita, ossia in presenza di reati istantanei
già perfezionatisi, nonché nei casi in cui il trasgressore abbia già autonomamente provveduto
all’adempimento degli obblighi di legge, senza attendere l’imposizione della prescrizione da par-
te dell’organo di vigilanza» (Cass. Pen., sez. III, 3 maggio 2011, n. 34750); «L’invito alla regola-
rizzazione di cui all’art. 20 d.lg. n. 758 del 1994 non deve essere reiterato in caso di sopravvenu-
to mutamento del datore di lavoro o del responsabile della sicurezza, perché costoro sono tenuti
a verificare, al momento di assunzione dell’incarico, l’esistenza di eventuali prescrizioni già im-
partite dall’organo di vigilanza» (Cass. Pen., sez. III, 7 maggio 2009, n. 29543); «L’atto con il
quale l’organo di vigilanza, ai sensi dell’art. 20 d.lg. 19 dicembre 1994, n. 758, avendo accertato
una contravvenzione alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavo-
ro, impartisca le opportune prescrizioni fissando un termine per l’eliminazione delle irregolarità,
non è annoverabile fra i provvedimenti amministrativi – dovendosi ad esso attribuire, invece, na-
tura di atto di polizia giudiziaria – ed è quindi sottratto alle impugnazioni previste per i suddetti
provvedimenti, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale» (Cass. Pen., sez. I, 14
febbraio 2000, n. 1037); «In caso di notizia di reato non pervenuta al p.m. dall’organo di vigilan-
za, non può assolutamente prescindersi, nel pervenire ad una pronuncia di condanna,
dall’accertamento se il p.m. abbia adempiuto all’obbligo di darne immediata comunicazione
all’organo di vigilanza nonché se l’organo di vigilanza abbia emesso la prescrizione diretta alla
eliminazione della contravvenzione accertata e se il contravventore abbia adempiuto alla prescri-
zione stessa ed abbia provveduto al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al
quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa; la mancata so-
spensione del procedimento penale e soprattutto la mancata comunicazione da parte del p.m.
all’organo di vigilanza affinché questo prenda le sue determinazioni, privano inammissibilmente
l’imputato della facoltà di estinguere la contravvenzione mediante l’adempimento della prescri-
zione ed il pagamento in via amministrativa della somma indicata, violando quindi in modo de-
terminante il diritto di difesa”» (Cass. Pen., sez. III, 5 ottobre 1999, n. 3216).
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80 Capitolo II
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81
BIBLIOGRAFIA
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82 Bibliografia
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83
INDICE ANALITICO
− sospensione (della
A prescrizione); II
Aggravante associativa
− aggravante comune; II D
− aggravante speciale; II Disastro ambientale
− associazione mafiosa; II − abusivamente (violazione
− associazione per delinquere; II norme); I
− aumento della pena; II − alterazione (irreversibile); I
− bilanciamento; II − aggravante; I
− dolo specifico; II − causa (rapporto di); I
− incaricati pubblico servizio; II − confisca (per equivalente); I
− nesso di coordinazione; II − colpa; I
− nesso teleologico; II − consumazione; I
− pubblici ufficiali; II − disastro (innominato); I
− responsabilità (persona − dolo (generico); I
giuridica); II − ecosistema; I
Aggravante ambientale − evento (di); I
− aggravante comune; II − incolumità pubblica (offesa); I
− aggravante speciale; II − interventi (onerosi); I
− nesso teleologico; II − pena (accessoria); I
Attenuante del ravvedimento − prescrizione; I
operoso − provvedimenti (eccezionali); I
− aggravante speciale; II − recupero (ripristino) I;
− bonifica; II − responsabilità (persona
− contributo (alle indagini); II giuridica); I
− messa in sicurezza; II
− proroga (del termine); II E
− ravvedimento; II Estinzione delle contravvenzioni
− ripristino; II ambientali senza danno o pericolo
− sospensione (del processo); II concreto e attuale di danno
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84 Indice analitico
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Indice analitico 85
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