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DISPENSE SEMINARIO SUL CONDOMINIO “RIFORMATO”

a cura di Alberto Celeste

LE MODIFICHE ALLA RIFORMA DEL CONDOMINIO

DOPO IL DECRETO-LEGGE C.D. DESTINAZIONE ITALIA

A soli sei mesi dal maquillage della disciplina in materia di condominio ad opera della legge 11

dicembre 2012, n. 220 (entrata in vigore il 18 giugno 2013), le disposizioni codicistiche si rifanno

nuovamente il trucco a seguito del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 - recante “Interventi urgenti di

avvio del piano ‘Destinazione Italia’, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei

premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure

per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015” - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23

dicembre 2013 (salva la conversione, con eventuali modifiche, entro il termine di 60 giorni).

In particolare, tra le pieghe del solito provvedimento omnibus - in ordine al quale si nutrono dubbi circa

il requisito della “straordinarietà” del caso e la “necessità ed urgenza” di intervenire ex art. 77 Cost., ma

oramai occorre rassegnarsi sulle modalità operative del patrio legislatore - l’art. 1, avente ad oggetto

“Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, e per l’introduzione di un sistema

incentivante opzionale offerto ai produttori di energia elettrica rinnovabile, per gli indirizzi strategici

dell’energia geotermica ed in materia di certificazione energetica degli edifici e di condominio” - introduce, al

comma 9, le seguenti integrazioni:

a) con Regolamento del Ministro della Giustizia, emanato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge

23 agosto 1988, n. 400, sono determinati i requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione degli

amministratori di condominio nonché i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi della

formazione iniziale e periodica prevista dall’art. 71-bis, comma 1, lett. g), disp. att. c.c., come modificato dalla

legge n. 220/2012;

b) all’art. 1120, comma 2, n. 2, c.c. - come modificato dalla legge n. 220/2012 - le parole “, per il

contenimento del consumo energetico degli edifici” sono soppresse;

c) all’art. 1130, comma 1, n. 6, c.c. - come modificato dalla legge n. 220/2012 - dopo le parole:

“nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza” sono inserite le seguenti: “delle parti comuni

dell’edificio”;

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d) all’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c. - come modificato dalla legge n. 220/2012 - è aggiunto, in fine, il

seguente periodo: “; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento

graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai

singoli pagamenti dovuti”;

e) all’art. 70 disp. att. c.c. - come modificato dalla legge n. 220/2012 - dopo le parole: “spese ordinarie”

sono aggiunte le seguenti: “l’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di

cui al secondo comma dell’articolo 1136 del codice”.

Tali integrazioni - come evidenzia la Relazione che ha illustrato tale decreto d’urgenza - introducono

alcuni correttivi mirati, volti a superare le difficoltà che si sono manifestate nella fase di prima applicazione

della riforma di cui sopra, anche se forse erano maggiori le aspettative poste dagli operatori pratici a fronte

delle numerose criticità che aveva provocato la nuova disciplina.

Più nel dettaglio - in estrema sintesi - la modifica sub a) si occupa espressamente del c.d. pacchetto

formativo, ed è volta colmare quel vuoto legislativo esistente nella legge n. 220/2012, la quale, pur

prevedendo la formazione obbligatoria degli amministratori di condominio - iniziale e periodica - non recava

alcun rinvio ad una fonte secondaria che individuasse sia i requisiti che dovevano essere posseduti per

esercitare l’attività di formazione/aggiornamento, sia i criteri e le modalità di svolgimento dei corsi.

Orbene, la lacuna viene colmata - sia pure con un certo ritardo - prevedendo che vengano stabiliti, in

modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, gli standards per lo svolgimento della suddetta formazione,

sperando, ovviamente, che il competente Ministero provveda rapidamente a regolamentare questo aspetto

importante per l’intera realtà condominiale.

Per quanto concerne la modifica sub b), il decreto d’urgenza introduce un’importante novità per il

settore delle fonti rinnovabili, tutte improntate al fine di ridurre il peso sui consumatori dei costi dell’energia

elettrica, con un notevole impatto sugli oneri di sistema.

In quest’ottica, al fine di stimolare e favorire gli interventi volti a conseguire il risparmio energetico, si

riduce la maggioranza richiesta per l’adozione delle relative decisioni da parte dell’assemblea condominiale:

eliminando il quorum della metà del valore dell’edificio, al suo posto viene inserito quello pari a un terzo

limitatamente ai lavori attinenti il risparmio energetico, purché sempre gli interventi de quibus, volti al

contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia, siano individuati attraverso

un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato.

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Tale modifica, tuttavia, è stata eliminata in sede di conversione ad opera della legge n. 9/2014,

facendo, in pratica, retroagire la situazione a quella delineata dalla Riforma della normativa condominiale,

entrata in vigore il 18 giugno 2013 (v. funditus appresso).

In ordine alla modifica sub c), ossia quella concernente la c.d. anagrafe condominiale, i dati relativi

alle condizioni di sicurezza da inserire in essa solo quelli relativi alle parti comuni dell’edificio di cui all’art.

1117 c.c., evitando così che la formulazione normativa previgente, nella sua genericità, potesse dar luogo a

intromissioni nelle proprietà individuali, anche quando le attività ivi realizzate non interferissero in alcun

modo con la tutela delle strutture essenziali e comuni (tra cui quelle portanti dell’edificio), indicate nello

stesso art. 1117.

In concreto, non saranno più indispensabili le dichiarazioni emesse dai singoli condomini sulle

condizioni di sicurezza delle loro unità immobiliare, e la modifica non è di poco conto, considerando che, fino

ad oggi, sia i condomini che gli amministratori, in base alla precedente norma, erano stati chiamati a

svolgere un'attività particolarmente complicata, piena di difficoltà operative e fonte di possibili responsabilità;

si ricorda, infatti, che, fino al 23 dicembre 2013, l'amministratore doveva richiedere ai condomini - e questi

ultimi erano tenuti conseguentemente a fornirgli - i dati relativi ai propri impianti o, addirittura, doveva essere

rispettivamente richiesta e inviata la (dettagliata e aggiornata) documentazione afferente a tali dati.

Circa la modifica sub d), si mira a superare le problematiche che si erano riscontrate, da parte di

amministratori e proprietari, a causa dell’obbligatorietà dell’integrale costituzione anticipata del c.d. fondo

lavori: invero, l’esborso integrale ed anticipato dell’intera somma impegnata costituiva uno dei principali

disincentivi all’adozione di nuove deliberazioni per l’avvio di ampi lavori di ristrutturazione, provocando un

sensibile impatto negativo sul settore dell’edilizia (peraltro, mercato che già da tempo risentiva della

sfavorevole congiuntura economica in atto).

La norma proposta, senza snaturare la ratio della riforma, reca un correttivo all’istituto del suddetto

fondo, contemperando le ragioni creditorie dell’appaltatore con le esigenze economiche dei condomini, i

quali - specie in questo momento di recessione economica - hanno notevoli difficoltà ad anticipare l’intera

somma dovuta.

In concreto, si contempla la possibilità di costituire il fondo - che, comunque, resta obbligatorio e che

deve sempre essere anticipato, ma - in relazione ai singoli pagamenti dovuti all’appaltatore per ogni stato di

avanzamento dei lavori, presupponendo, però, che i lavori debbano essere eseguiti in base ad un contratto

con pagamento graduale a tale stato di avanzamento.

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In altri termini, a seguito di questa modifica, il c.d. fondo speciale per l'esecuzione dei lavori di

manutenzione straordinaria e per le innovazioni potrà essere costituito, anziché con l'immediato versamento

integrale del complessivo ammontare dei lavori, con versamenti parziali, corrispondenti alle singole rate dei

S.A.L. (a questo punto, risulta importante il riferimento al contratto di appalto, che dovrà contenere una o più

specifiche clausole disciplinanti le modalità ed i tempi dei pagamenti).

Si tratta sempre di un'alternativa - la norma stabilisce che “il fondo può ” - rispetto all'obbligo sancito

dalla formulazione originaria della norma di costituire un fondo pari all'intero importo dei lavori, nel senso che

la nuova disposizione prevede una possibilità di scelta lasciata interamente ai condomini fra questa

possibilità e l'altra, cioè quella di costituire il fondo per stati di avanzamento lavori.

Relativamente alla modifica sub e), si colma un’altra lacuna della recente riforma, nella quale il

meccanismo per l’irrogazione delle sanzioni per la violazione del regolamento condominiale non era stato

specificato dalla legge n. 220/2012, vanificando, di fatto, ogni possibilità di ottenere qualcosa dai condomini

inadempienti agli obblighi imposti dal regolamento condominiale: l’integrazione proposta affida le scelte

sanzionatorie in proposito direttamente all’assemblea, che decide con la maggioranza degli intervenuti e con

almeno cinquecento millesimi dell’edificio.

Augurandosi sempre un certo effetto deterrente dell’istituto, al fine di scoraggiare pratiche

ostruzionistiche e dilatorie dei condomini, viene così ribadito il ruolo centrale dell'assemblea con riferimento

alle deliberazioni relative all'ammontare delle sanzioni da infliggere ex art 70 disp. att. c.c. ai condomini per

le infrazioni al regolamento di condominio, anche se, già in precedenza, alcuni sostenevano che, pur

spettando all'amministratore, quale organo esecutivo del condominio, irrogare la sanzione, ciò potesse

avvenire solo in forza di una delibera assembleare che lo autorizzasse a tanto.

Per completezza, va segnalato che, nello stesso decreto-legge n. 145/2003, è stata prevista una

modifica in merito al sistema sanzionatorio in caso di mancanza dell’attestato di prestazione energetica

(A.P.E.), nel senso che non comporterà più la nullità del contratto, bensì una vera e propria sanzione

pecuniaria.

In particolare, l’acquirente, il venditore, il locatore, il conduttore, dovranno pagare, in solido e in parti

uguali, una sanzione compresa tra € 3.000,00 e € 18.000,00, che scende in un range compreso tra €

1.000,00 e € 4.000,00 per i casi di mancata dichiarazione relativi ai contratti di locazione di singole unità

immobiliari (se la durata della locazione non supera i tre anni, la sanzione viene dimezzata).

Secondo quanto previsto, all’atto di acquisto o affitto di un immobile, il soggetto interessato dovrà

dichiarare di aver ricevuto informazioni e documentazione circa l’A.P.E. con un’apposita clausola ad hoc che
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viene inserita nei contratti di compravendita o di locazione; lo stesso attestato dovrà essere allegato al rogito

ed in qualsiasi atto di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile, così come ai contratti di affitto.

Peraltro, l’A.P.E. è obbligatorio anche per gli edifici in fase di costruzione, per i quali deve riportare la

futura prestazione energetica dell’immobile e che diverrà attestato definitivo al termine dei lavori (essendo

compito del costruttore redigerne una copia), e lo stesso dicasi per gli immobili sottoposti ad interventi di

ristrutturazione piuttosto rilevanti.

IL CONTENIMENTO DEL CONSUMO ENERGETICO

NELLA RECENTE STRATIFICAZIONE NORMATIVA

Occorre prendere le mosse dall’art. 26 della legge 9 gennaio 1991, n. 10 - recante “Norme per

l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e

di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia” - il quale, al comma 2, recitava: “per gli interventi in parti comuni

di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi, ed all’utilizzazione delle fonti di

energia di cui all’articolo 1, ivi compresi quelli di cui all’articolo 8, sono valide le relative decisioni prese a

maggioranza delle quote millesimali”.

La nuova norma introduceva, dunque, una nuova maggioranza, che faceva riferimento ad un quorum

basato esclusivamente sulle “quote millesimali”, contrariamente alla generalità delle delibere condominiali

che, secondo il disposto di cui all’art. 1136 c.c., richiamavano la c.d. doppia maggioranza, vale a dire

rapportata sia alle quote di valore che alle “teste” relative agli intervenuti in assemblea o partecipanti al

condominio (maggioranza, peraltro, richiamata nelle altre leggi speciali che, specie a cavallo degli stessi

anni novanta, avevano introdotto quorum agevolati per altri settori specifici, come la legge n. 122/1989 sulla

realizzazione dei parcheggi o la legge n. 13/1989 sull’eliminazione delle barriere architettoniche).

Il legislatore si era nuovamente occupato della materia verso la fine del 2006, emendando un suo

precedente che non aveva rispettato i dettati comunitari, e disciplinando - diversamente dal passato e, forse,

in parte inconsapevolmente - la materia degli interventi sugli impianti condominiali volti al contenimento del

consumo energetico: segnatamente, la norma de qua (entrata in vigore il 2 febbraio 2007) è contenuta in un

(quasi nascosto) comma 1-bis dell’art. 7 del d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 311, avente ad oggetto “Disposizioni

correttive ed integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della Direttiva

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2002/91/CE, relativa al rendimento energetico nell’edilizia” (decreto legislativo, quest’ultimo, entrato in vigore

l’8 ottobre 2005).

Il disposto in questione prevedeva che il summenzionato comma 2 dell’art. 26 della legge n. 10/1991

fosse sostituito dal seguente: “per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo

energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1, individuati attraverso un attestato di

certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni

condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali”.

Per comprendere appieno la portata della modifica - sempreché di modifica si tratti, v. appresso -

conviene confrontare il nuovo testo con quello previgente: a prescindere dal discutibile linguaggio giuridico

utilizzato - si parlava, in entrambi i casi, di “decisioni condominiali” quando sarebbe stato più appropriato

l’uso dell’espressione tecnica “deliberazioni dell’assemblea” che, d’altronde, compariva nella sedes materiae

dell’art. 1137 c.c. - dal raffronto tra le suddette norme risultavano due novità, che concernevano, da un lato,

l’àmbito di applicazione e, dall’altro, i quorum prescritti.

Sotto il primo profilo, a parte qualche lieve differenza terminologica - la versione del 2006 parlava di

“interventi sugli edifici e sugli impianti” mentre quella del 1991 riguardava gli “interventi in parti comuni di

edifici” - interessava soprattutto il fatto che tali interventi fossero “volti al contenimento del consumo

energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia”, laddove il d.lgs. n. 311/2006 si riferiva a quegli interventi

di cui all’art. 1 della legge n. 10/1991, non richiamando più, come faceva il vecchio testo, il disposto dell’art.

8, che elencava dettagliatamente, incentivandoli in varia misura, una serie di iniziative dirette alle suddette

finalità, tra le quali: a) coibentazione negli edifici esistenti, b) installazione di nuovi generatori di calore ad

alto rendimento, c) installazione di pompe di calore per riscaldamento ambiente o acqua sanitaria o di

impianti per l’utilizzo di fonti rinnovabili di energia, d) installazione di apparecchiature per la produzione

combinata di energia elettrica e di calore, e) installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia

elettrica, f) installazione di sistemi di controllo integrati e di contabilizzazione differenziata dei consumi di

calore, g) trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas per il

riscaldamento e la produzione di acqua calda, h) installazione di sistemi di illuminazione ad alto rendimento

anche nelle aree esterne.

La norma entrata in vigore nel 2007, quindi, si rapportava soltanto all’art. 1 della legge n. 10/1991, il

che, però, comportava, stante la genericità delle espressioni ivi contenute, un allargamento dell’àmbito di

applicazione, rinvenendosi espressioni di carattere programmatico, volendo realizzare le finalità di

“migliorare i processi di trasformazione dell’energia”, di “ridurre i consumi di energia”, di “migliorare le


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condizioni di compatibilità ambientale dell’utilizzo dell’energia a parità di servizio reso e di qualità della vita”,

nonché intendendo favorire ed incentivare “l’uso razionale dell’energia”, “il contenimento dei consumi di

energia nella produzione e nell’utilizzo dei manufatti”, “l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia”, “la

riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi”, “una più rapida sostituzione degli impianti

in particolare nei settori a più elevata densità energetica, anche attraverso il coordinamento tra le fasi di

ricerca applicata, di sviluppo dimostrativo e di produzione industriale”.

Tale mancato richiamo, pertanto, ampliava lo spettro operativo della norma, finendo nel

ricomprendere nel suo raggio d’azione anche interventi, sempre strumentali alle finalità summenzionate, allo

stato non prevedibili, ma potenzialmente realizzabili in base alle future tecnologie.

Sotto il secondo profilo, un punto molto controverso era quello riguardante i quorum che dovevano

essere rispettati per l’approvazione in sede assembleare della relativa iniziativa.

Anche qui, per una corretta risoluzione della questione, occorre riportare il testo delle norme in

raffronto: quello del 1991 prevedeva che fossero “valide le relative decisioni prese a maggioranza delle

quote millesimali”, mentre quello in vigore per le delibere condominiali assunte dopo il 2 febbraio 2007

prescriveva che fossero “adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali” (in buona sostanza,

l’art. 7, comma 1-bis, del d.lgs. n. 311/2006 aveva aggiunto soltanto l’aggettivo “semplice” alla maggioranza

richiesta per la suddetta trasformazione).

Ad una prima lettura, si era ritenuto che il quorum fosse quello del comma 3 dell’art. 1136 c.c., ossia

un numero di voti che rappresentasse un terzo dei partecipanti al condominio ed almeno un terzo del valore

dell’edificio (quindi, sarebbe stata valida la deliberazione che, presenti 400 millesimi, incontrasse il voto

favorevole di 334); tanto era dato intendere ponendo a mente al vecchio testo, che già consentiva

l’approvazione delle delibere del genere di quelle in discorso con 500 millesimi, e al senso della modifica che

era stata espressamente dettata dalla volontà di introdurre regole che rendessero più agevole il formarsi di

idonee maggioranze.

Al riguardo, era stato, innanzitutto, evidenziato che l’aggettivo “semplice” non compariva nel testo

dell’art. 1136 c.c.; piuttosto, secondo il suo significato semantico, tale aggettivo, riferito al principio

maggioritario che regolava gli organi collegiali, sembrava contrapporsi a quello di “qualificata”, nel senso di

ritenere sufficiente il quorum di 500 millesimi.

Poteva, altresì, sostenersi che si fosse voluto ribadire il concetto secondo cui, per tale intervento, si

doveva prescindere dalle “teste”, sicché, in seconda convocazione, laddove sembrava che si potesse fare a

meno del quorum costitutivo, sarebbe bastata un’assemblea formata da un solo condomino rappresentante -
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prima 500, e ora - 334 millesimi per deliberare l’approvazione dell’intervento.

L’interpretazione data “a caldo” aveva l’indubbio pregio, aldilà di ogni aggancio normativo, di reinserire

anche questa decisione dell’assemblea condominiale nell’alveo codicistico - che contemplava il sistema c.d.

misto, per carature millesimali e per teste - abbassando il quorum dalla metà ad un terzo, ma offrendo

maggior peso al numero dei partecipanti (al condominio o presenti alla riunione); del resto, tale riduzione di

maggioranza avrebbe potuto trovare il suo “contrappeso” nella richiesta attestazione tecnica di cui sopra: era

vero che era sufficiente la maggioranza ordinaria, ma era altrettanto vero che i condomini dovevano adottare

quella delicata decisione con maggiore avvedutezza e, comunque, confortati dalla certificazione energetica

proveniente da un tecnico abilitato.

In realtà, era apparso ai più che - anche in questo caso e, purtroppo, come avveniva sempre più

spesso - si fosse trattato di una svista del legislatore, che si era fatto sfuggire l’aggettivo “semplice” senza

rendersi conto delle ricadute pratiche; peraltro, sembrava che fossimo in presenza di un eccesso di delega,

considerando che il d.lgs. n. 311/2006 era stato emanato solo per apportare le modifiche e le integrazioni

necessarie al fine di meglio conformare le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 192/2005 alla Direttiva

2000/91/CE, laddove l’Unione Europea aveva rimproverato l’Italia, mediante apposita nota di infrazione,

perché quest’ultima aveva applicato le norme comunitarie sul risparmio energetico soltanto agli edifici di

nuova costruzione, totalmente ristrutturati o demoliti e ricostruiti, comprendendo ora - sia pure con cadenze

temporali differenziate a seconda dell’anno di costruzione - tutti gli edifici esistenti adibiti a residenza.

Per completezza, si osserva che il comma 1-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 311/2006, rispetto al testo

precedente dell’art. 26, comma 2, della legge n. 10/1991, aggiungeva che le decisioni condominiali

dovessero essere “pertinenti”, con riferimento agli “interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento

del consumo energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia”, ma questo era implicito nel richiamo

espresso all’art. 1 della legge n. 10/1991, e poi ciò risultava supportato attraverso l’attestato di certificazione

energetica o la diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato (nemmeno poteva sostenersi che le

decisioni assembleari dovessero essere “pertinenti” rispetto agli argomenti di cui all’ordine del giorno, perché

già esisteva la norma generale di cui all’art. 1105, comma 3, c.c.).

In quest’ottica, era opportunamente intervenuto l’art. 28, comma 1, della legge 11 dicembre 2012, n.

220, di riforma della normativa condominiale (entrata in vigore il 18 giugno 2013), disponendo che, all'art. 26,

comma 2, della legge n. 10/1991 - come sopra modificato - le parole “semplice delle quote millesimali

rappresentate dagli intervenuti in assemblea” fossero sostituite dalle seguenti “degli intervenuti, con un

numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio”.


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Scompariva, dunque, ogni riferimento alla “maggioranza semplice” e alle sole “quote millesimali”,

riconducendo la relativa decisione assembleare nell’alveo tradizionale dei quorum ordinari prescritti in

seconda convocazione dall’art. 1136, comma 3, c.c., che appunto prevedeva la validità della delibera “se

approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del

valore dell’edificio”.

Al contempo, però, lo stesso legislatore del 2013 era intervenuto disciplinando diversamente le

innovazioni, nel senso che, dopo il comma 1 dell’art. 1120 c.c. - che si occupava, come in precedenza, delle

innovazioni c.d. ordinarie, ossia “dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle

cose comuni”, che richiedevano l’elevato quorum di cui all’art. 1136, comma 5, c.c. (maggioranza dei

partecipanti al condominio e due terzi del valore dell’edificio”) - seguivano due capoversi, che si occupavano

delle innovazioni di interesse sociale o, comunque, volte a recepire le moderne tecnologie finalizzate al

complessivo miglioramento della qualità della vita, da un lato, specificando quali interventi nell’edificio

meritassero una particolare agevolazione e, dall’altro, prescrivendo modalità più stringenti per l’adozione

delle relative delibere.

Eravamo in presenza, comunque, di innovazioni considerate dal legislatore, per così dire, virtuose e,

quindi, premiate con quorum più abbordabili, da incentivare proprio per la loro propensione sociale a

beneficiare (anche) la collettività e non (solo) il singolo condominio che le disponeva.

Per quel che rileva in questa sede, sotto il profilo della descrizione degli interventi facilitati, il comma 2

del novellato art. 1120 stabiliva che i condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’art.

1136 c.c., potevano disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, avevano ad oggetto:

“2) le opere e gli interventi previsti . per il contenimento del consumo energetico”.

Si trattava del quorum correlato ad un numero di voti che rappresentasse la maggioranza degli

intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio, aggiungendo che le innovazioni de quibus dovessero

avvenire, “nel rispetto della normativa di settore”, specificazione forse pleonastica, essendo pacifico che non

potesse deliberarsi contra legem.

Pertanto, nel regime introdotto dalla Riforma, l’art. 1120, comma 2, n. 2), c.c. prescriveva il quorum

dell’art. 1136, comma 2, c.c., ossia un numero di voti che rappresentasse la maggioranza degli intervenuti

ed almeno la metà del valore dell’edificio, per “le opere e gli interventi previsti per il contenimento del

consumo energetico”, mentre il novellato testo dell’art. 26, comma 2, della legge n. 10/1991, così come

modificato dall’art. 28 della stessa legge n. 220/2012, prevedeva che “per gli interventi sugli edifici e sugli

impianti volti al contenimento del consumo energetico individuati attraverso un attestato di certificazione
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energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali

sono valide se adottate con la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno

un terzo del valore dell’edificio”.

Era, dunque, pacifico che, dal 18 giugno 2013, tutti gli interventi, approvati dall’assemblea

condominiale, finalizzati al contenimento del consumo energetico fossero da considerarsi innovazioni di

interesse sociale e, come tali, agevolate sotto il profilo del quorum richiesto, che era meno elevato di quello

contemplato per le innovazioni c.d. ordinarie (maggioranza degli intervenuti e due terzi dei millesimi), ma

restava il fatto che l’art. 1120 c.c. prescrivendo una maggioranza correlata alla metà del valore dell’edificio

mal si conciliava con l’art. 26, comma 2, della legge n. 10/1991, che, per i medesimi interventi, riteneva

sufficiente quella di un terzo, a sua volta, aumentando rispetto a quanto richiesto fino al 17 giugno 2013,

ossia la “maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentate dagli interventi in assemblea” (che, in

certo qual modo, tendeva a invogliare i condomini alla partecipazione assembleare per far valere la propria

posizione, favorevole e contraria che fosse).

A soli sei mesi dall’entrata in vigore della riforma della disciplina in materia di condominio ad opera

della legge n. 220/2012, era opportunamente intervenuto il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante

“Interventi urgenti di avvio del piano ‘Destinazione Italia’, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas,

per la riduzione dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle

imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015” (pubblicato nella Gazzetta

ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2013).

In particolare, tra le pieghe del solito provvedimento omnibus - in ordine al quale, peraltro, potevano

nutrirsi dubbi circa il requisito della “straordinarietà” del caso e la “necessità ed urgenza” ex art. 77 Cost. -

l’art. 1, avente ad oggetto “Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, e per

l’introduzione di un sistema incentivante opzionale offerto ai produttori di energia elettrica rinnovabile, per gli

indirizzi strategici dell’energia geotermica ed in materia di certificazione energetica degli edifici e di

condominio” - introduceva, al comma 9, per quel che interessa da vicino, la seguente integrazione: “ b)

all’art. 1120, comma 2, n. 2, c.c. - come modificato dalla legge n. 220/2012 - le parole ‘, per il contenimento

del consumo energetico degli edifici’ sono soppresse”.

Secondo la Relazione illustrativa del suddetto decreto d’urgenza, era stata introdotta un’importante

novità per il settore delle fonti rinnovabili, tutte improntate al fine di ridurre il peso sui consumatori dei costi

dell’energia elettrica, con un notevole impatto sugli oneri di sistema.

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In quest’ottica, al fine di stimolare e favorire gli interventi volti a conseguire il risparmio energetico, si

riduceva la maggioranza richiesta per l’adozione delle relative decisioni da parte dell’assemblea

condominiale: eliminando il quorum della metà del valore dell’edificio, al suo posto veniva inserito quello pari

ad un terzo limitatamente ai lavori attinenti il risparmio energetico, purché sempre gli interventi de quibus,

volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia, fossero individuati

attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico

abilitato.

Stando così le cose, i rimanenti interventi, pur sempre diretti al contenimento del consumo energetico,

ma privi del suddetto attestato o della suddetta diagnosi, non potendo più beneficiare del regime agevolato

delle innovazioni c.d. speciali, avrebbero dovuto scontare l’ordinario quorum dei due terzi, per il combinato

disposto degli artt. 1120, comma 1, e 1136, comma 5, c.c.

Curiosamente, in sede di conversione, con la legge 21 febbraio 2014, n. 9 (pubblicata nella Gazzetta

ufficiale n. 43 del 21 febbraio 2014), la lett. b) del comma 9 dell’art. 1 del decreto-legge n. 145/2013 è stata

soppressa, conseguendone il ripristino dello status quo ante: in pratica, sopprimendo la norma che

sopprimeva il riferimento al “contenimento del consumo energetico”, il testo dell’art. 1120, comma 2, n. 2,

c.c. è rimasto quello innovato dalla legge n. 220/2012; vanificando le positive novità apportate dal decreto-

legge c.d. destinazione Italia, per quanto concerne gli interventi lato sensu finalizzati al risparmio energetico

nel condominio, rimane sempre la difficoltà di coordinare questa norma con l’art. 26, comma 2, della legge n.

10/1991, anch’esso modificato dalla novella del 2012.

Nel tentativo di dare una razionale composizione tra le due disposizioni, si potrebbe sostenere che il

campo di applicazione dell’art. 1120, comma 2, n. 2), c.c. si riferisca solo alle “innovazioni”, ossia alla

realizzazione nel condominio di “opere” nuove, prima non esistenti, ma resta il fatto che anche il

summenzionato art. 26 utilizza la stessa espressione, ossia gli “interventi” sugli edifici, contemplata nella

norma codicistica; più semplicemente, può opinarsi che, nella seconda ipotesi, la decisione si fondi su un

preventivo attestato di prestazione energetica o su una diagnosi energetica - comunque, precedente alla

delibera e non rimandata alla fase attuativa - che consenta ai condomini di effettuare una valutazione più

precisa e una scelta più ponderata, meritando così il quorum più ridotto, mentre, ove lo stesso intervento,

pur volto al contenimento energetico, ne sia privo, rimane la maggioranza dei 500 millesimi.

Nulla esclude che, nel breve lasso di tempo di vigenza del decreto-legge di cui sopra, ossia dal 24

dicembre 2013 al 22 febbraio 2014, qualche assemblea condominiale abbia adottato delibere dirette al

risparmio energetico alla luce delle modifiche introdotte, approvando l’intervento innovativo con la
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maggioranza di un terzo purché “certificata” oppure, senza, con i due terzi; si conviene che il giudizio di

validità di tali decisione va correlato alla normativa vigente al momento della sua adozione, ma l’art. 77,

comma 3, Cost. prevede che i decreti-legge, non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro

pubblicazione, “perdono efficacia fin dall’inizio” (salva diversa regolazione, con la stessa legge di

conversione, dei rapporti giuridici sorti in base ad essi, situazione, però, non ricorrente nel caso di specie).

Resta fermo, sul versante operativo, il comma 3 del novellato art. 1120 c.c., il quale prescrive che, per

l’adozione delle delibere di cui al capoverso precedente - tra cui le (resuscitate) innovative opere per il

contenimento del consumo energetico - l’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni

dalla richiesta anche di un solo condomino interessato; la richiesta di quest’ultimo “deve contenere

l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti” e, in mancanza,

“l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni”.

Viene così previsto un onere dell’amministratore connesso alla sollecitazione del condomino

interessato, sollecitazione che, però, deve essere corredata da tutte le informazioni utili per l’adozione

dell’intervento energetico di cui trattasi, mantenendo pur sempre il termine ordinario di cinque giorni per

l’adunanza ex art. 66, comma 3, disp. att., c.c., mentre non vengono contemplate le modalità più

impegnative di cui all’art. 1117-ter c.c. per le “modificazioni delle destinazioni d’uso” delle parti comuni

(quanto a affissione dell’avviso, convocazione con date forme, precisazione degli interventi a pena di nullità).

L’eventuale inerzia da parte del suddetto amministratore, a fronte della puntuale istanza del singolo

partecipante, può essere valutata dal magistrato ai fini della sua destituzione, costituendo “grave irregolarità”

ai sensi del novellato art. 1129, comma 12, n. 1, ultima parte, c.c. (“ l’omessa convocazione

dell’assemblea negli altri casi stabiliti dalla legge”).

Ai sensi del d.p.r. n. 115/2002 e succ. mod. e int., il valore della presente procedura si
dichiara pari ad € 13.728,60 e lo stesso, pertanto, va soggetto a contribuzione
unificata pari ad € 118,50.

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