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La scultura in età classica

Quando si parla di età classica, bisogna prima di tutto pensare al contesto sociopolitico in cui questa si
sviluppa. In seguito alla vittoria conseguita nelle guerre persiane, Atene assume una posizione di
predominanza nel contesto geopolitico ellenico, e grazie ai capitali che giungono dalla Lega di Delo, di cui è
a capo, si può permettere di finanziare un imponente programma di riqualificazione della città, devastata
dagli invasori. La vivacità culturale e la disponibilità di commissioni attirano ad Atene numerosi artisti, tra i
quali non si possono non annoverare Mirone e Policleto.
Mirone, originario della Beozia, è considerato un preclassico, ancora legato allo stile severo, che però
converge sulla ricerca del movimento, abbandonando definitivamente la composizione simmetrica che
aveva caratterizzato gran parte della produzione scultorea fino a quel momento. La massima espressione
della sua tecnica è rintracciabile nel Discobolo, un giovane atleta colto nel momento immediatamente
precedente al lancio del disco, i cui movimenti antecedenti e successivi sono facilmente intuibili grazie alla
posizione del personaggio. Il corpo è costruito su un grande arco che sottolinea la tensione del momento, e
il gioco di alternanze tra sporgenze e rientranze sul lato sinistro crea un particolare effetto a molla. Le
proporzioni del corpo sono perfette e le forze ben bilanciate. La posizione non è realistica, perlomeno non
funzionale al lancio del disco, ma ciò è dovuto al processo di mimesis che preferisce un’imitazione
migliorata della realtà. Colpiscono la distensione del volto e l’espressività controllata anche nel momento di
massima tensione e concentrazione. Nonostante l’originale in bronzo non si sia conservato, fortunatamente
ci sono giunte numerose copie ad opera dei Romani, presso cui il Discobolo era piuttosto amato.
Policleto, nonostante sia meno conosciuto, è il primo artista che può essere propriamente definito
“classico”. Originario di Argo, avvia degli studi di statistica, racchiusi nel “Canone”, volti a individuare le
proporzioni ideali delle varie parti del corpo rispetto a un modulo scelto (la testa). Massima espressione
della sua scultura è il Doriforo, un portatore di lancia colto sul punto di iniziare a camminare. La statua si
caratterizza per un dinamismo controllato, un dolce ritmo compositivo che lascia però trasparire la virilità
del personaggio. La linea alba e le linee di forza sono leggermente flesse, non più rigide, mentre le parti in
tensione e quelle in riposo si corrispondono secondo uno schema contrapposto a chiasmo, che permette
una distribuzione ponderata del peso. La gamba sinistra, non portante, è flessa e spinta indietro, facendo
sollevare leggermente il bacino verso destra, mentre il braccio sinistro è flesso per sorreggere la lancia. A
destra, invece, la gamba è portante, mentre il braccio è a riposo lungo il fianco. Il volto è impassibile, a
causa della tendenza di quel periodo di dare maggiore attenzione allo studio del movimento piuttosto che
alle emozioni. Il Doriforo è un raffinato esempio di rappresentazione perfetta del corpo umano, che rispetta
i precisi canoni stabiliti dal suo scultore.
Il Partenone
In un contesto in cui Atene ricopre una posizione di predominanza nello scenario geopolitico ellenico in
seguito alla vittoria sui Persiani, su volere di Pericle viene avviato un ambizioso programma di
rinnovamento della città, finanziato con i fondi della Lega di Delo e incentrato soprattutto sull’area
dell’Acropoli, la più danneggiata dall’invasione. Su di essa si decide di affidare al lavoro congiunto di Ictino,
Callicrate e Fidia la costruzione di un imponente tempio dedicato alla dea Atena, protettrice della città.
Il tempio, periptero e octastilo, fonde insieme gli stili dorico e ionico, a sottolineare il suo carattere
panellenico. La cella, retta da due ordini di colonne (doriche sotto e ioniche sopra), ospitava l’Athena
Parthenos, la perduta statua crisoelefantina di scuola fidiaca che si ergeva per tutta l’altezza dell’ambiente.
Nel lato posteriore si trova il Parthenon, un ambiente nuovo della stessa ampiezza della cella, ma più corto,
retto da quattro imponenti colonne ioniche, in cui la ragazze vergini prescelte nella città si intrattenevano
preparando doni per la dea.
Ciò che colpisce maggiormente del Partenone è la sua imponenza, che rimane tuttavia controllabile: la
struttura è costruita su relazioni matematiche come la proporzione aurea (legata a √2) e il rapporto
proporzionale 9:4.
La decorazione, affidata alla maestria di Fidia e della sua bottega, si articola su più livelli. All’esterno, come
tipico del tempio dorico, si trovano alternate ai triglifi le metope, che rappresentano in altorilievo miti che
vedono coinvolta la dea Atena e che celebrano la sapienza, quali l’Ilioupersis (nord), la gigantomachia (est),
la centauromachia (sud) e l’amazzonomachia (ovest). All’interno, la cella presenta un fregio continuo
tipicamente ionico, che espone in bassorilievo l’imponente processione organizzata in occasione delle
Panatenee e le gare dei cavalli che si svolgevano nei giorni successivi; i personaggi del fregio continuo sono
idealizzati, secondo il tipico processo di mimesis, affinché tutti ci si potessero ritrovare. Infine, sui due
frontoni si trovano sculture a tutto tondo (funzionali a migliorare la resa da terra) che narrano due dei
momenti più importanti della storia di Atena, la nascita (est) e la contesa con Poseidone per Atene (ovest);
la maestria di Fidia, oltre che nella raffinata tecnica scultorea, sta nell’adozione di un unico canone
proporzionale per tutte le statue, anche nei punti più esterni (e bassi) del frontone, dove l’artista risolve il
problema del posizionamento sdraiando i personaggi.
Nella costruzione del tempio sono state adottate numerose correzioni ottiche volte a migliorare la resa dal
punto di vista dell’osservatore. Troviamo infatti lo stilobate convesso, per contrastare l’effetto ottico che ci
fa sembrare concave le linee orizzontali da lontano, e le colonne leggermente inclinate verso l’interno,
affinché non sembrassero inclinate verso l’osservatore.
Nonostante la sua struttura abbia subito danni e spoliazioni notevoli nel corso della sua travagliata storia, si
vedano il bombardamento veneziano nel corso dell’assedio di Atene o i marmi trafugati da Lord Elgin,
tuttavia il Partenone rimane tutt’oggi il più importante e famoso simbolo di tutta la grecità.
L’Eretteo
All’interno dell’ambizioso progetto di riqualificazione di Atene promosso da Pericle, trova grande spazio
l’area dell’Acropoli, pesantemente danneggiata dall’invasione persiana. Essa viene concepita come il nuovo
centro religioso della città e a tale scopo viene eretto qui l’imponente tempio del Partenone. Nonostante
quest’ultimo sia divenuto il simbolo dell’Acropoli, in realtà il vero cuore sacro di Atene sorge però pochi
metri più a nord, nel mitico luogo dello scontro tra Atena e Poseidone per il possesso della città, e consiste
in una struttura ionica di dimensioni contenute e piuttosto anomala, l’Eretteo. La sua planimetria irregolare
nasce dall’esigenza di riunire in un’unica struttura templare distribuita su più livelli i luoghi sacri più
importanti di Atene, quali il tempio di Athena Polias (dimora del Palladio), le tombe di Cecrope ed Eretteo, il
santuario di Pandroso, l’ulivo donato da Atena e le impronte del tridente di Poseidone.
Sulla facciata sud, addossata al corpo centrale, si trova la “Loggia delle Cariatidi”, un portico caratterizzato
da una particolare copertura piana cassettonata. A sorreggere l’architrave decorata troviamo delle eleganti
statue-colonna di scuola fidiaca (forse Alcamene) raffiguranti le Cariatidi, korai portatrici di fiale per
libagioni. Vitruvio identifica le Cariatidi con le donne della città di Caria che, dopo la sconfitta da parte dei
Greci, furono ridotte in schiavitù pur mantenendo gli abiti matronali, e per questo vengono posizionate a
sorreggere il peso dell’edificio (sono la versione maschile dei Telamoni e degli Atlanti). Perfetta sintesi tra
esigenza statica e bellezza estetica, colpisce sicuramente la loro imperturbabilità, che ha portato alcuni
studiosi a preferire l’interpretazione secondo cui esse rappresentano semplicemente delle fanciulle
danzanti di Caria, città famosa per i suoi cori annuali.
La raffinatezza delle Cariatidi, oggi sostituite con delle copie per preservarle, ha ispirato numerosi artisti
anche nei secoli successici, che le hanno scelte per inserirle nelle loro opere.

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