Il dramma della povertà è uno dei più gravi temi su cui si sono confrontate le organizzazioni
cui estensione non può lasciarci indifferenti, sia per ragioni di stabilità economica, politica e
La maggior parte degli intellettuali1 è concorde nel prendere in variabili di studio la distribuzione
dei beni all’interno della famiglia o gli standard di vita che caratterizzano un determinato contesto
L’indigenza si può considerare sia scarsità di reddito, sia mancanza di sviluppo umano, Inabilità a
partecipare alla vita sociale in ogni sua dimensione, e impossibilità di raggiungere il livello minimo
di sussistenza. Ma è sufficiente considerare soltanto gli indici di reddito pro capite ed aggregato o è
necessario tenere conto anche dei dati sulle aspettative di vita, sul livello di alfabetizzazione, sulle
sicurezza sociale?
Le difficoltà che gli economisti hanno incontrato nel rispondere a questo quesito trae probabilmente
origine dalla complessità del fenomeno: la povertà2, infatti, è uno stato che coinvolge la vita
dell’individuo nella sua interezza e riguarda, non solo la sua sopravvivenza fisica, ma anche la sua
crescita morale, intellettiva e sociale. Essa può essere endemica o temporanea ed indurre ad un
generata da un insieme di relazioni economiche e politiche che analizza lo stile di vita individuale.
1
Vedi ad esempio Sachs J. D., La fine della povertà. Come i paesi ricchi potrebbero eliminare
definitivamente la miseria dal pianeta, Milano, 2005.
2
Molto interessante sul tema il testo di Sylos Labini P., Miseria e sottosviluppo. Come uscirne, Il Sole 24
ore, 2007.
Essa denota, indubbiamente, uno stato di privazione e di mancanza, di non disponibilità di qualcosa
Ma quali sono quegli elementi di cui non possiamo fare a meno? Cos’è indispensabile per l’umana
esistenza?
Tra le molteplici risposte che sono state fornite a questi interrogativi, quella forse più interessante e
significativa è stata elaborata da Amartya Sen, economista e filosofo contemporaneo, premio Nobel
per l’economia nel 1998, rettore del Trinity College a Cambridge e docente di economia e filosofia
Sen recupera la dimensione etica all’interno dell’economia in modo innovativo 4 rispetto alla storia
del pensiero economico precedente. La sua teoria si sviluppa attorno al concetto di libertà
individuale5, diventa il baricentro di un’ articolata struttura teorica. In Sen, la povertà viene descritta
come uno stato deplorevole che impedisce, a chi ne sia colpito, di dispiegare la propria
individualità. Essa, però, non è né scarsità di reddito e di merci, né mancanza di sviluppo umano,
La strada da percorrere per sradicare la povertà non può che coincidere, pertanto, con
l’ampliamento della sfera delle libertà reali 6, come quella di pensiero, di scelta, di azione che
3
Amartya Kumar Sen nacque nel 1933 a Santiniketan (in Bengala). Egli divenne docente presso l’università
di Calcutta, presso il Trinity College di Cambridge, poi a Nuova Delhi, alla London School of Economics, a
Oxford e, successivamente, all’università di Harvard. Nel 1998, pur mantenendo la sua carica di docente ad
Harvard, ha fatto ritorno come rettore al Trinity College. Venne nominato presidente della Economic Society,
della International Economic Association e della Indian Economic Association. Nello stesso anno, a Sen è
stato conferito il Premio Nobel per l’economia. Egli è autore di numerosissime opere, delle quali meritano
sicuramente di essere ricordate Choice, Welfare and Measurement, Development as Freedom, On Ethics and
Economics. Si aggiungano ancora i fondamentali studi di economia dello sviluppo e soprattutto l'analisi delle
carestie, e si avrà un quadro completo per comprendere anche la riflessione più recente culminata in volumi
come Inequality Reexamined.
4
Sen A., Poverty and Famines: An Essay on Entitlement and Deprivation, Oxford
1981; trad. it., Milano, 1997, p. 34 ss.
5
Sen A., The Quality of Life, (edito con Martha Nussbaum), Oxford, 1993; pp. 21 ss.
6
Sen A., Development as Freedom, Oxford, 1999, pp. 46 ss.
Ma vediamo le premesse: l’impostazione dominante è quella di una macroeconomia fondata su
quella che lo studioso indiano definisce “divinizzazione del Prodotto Interno Lordo”, che
sostanzialmente somma i valori delle merci prodotte e scambiate a prescindere da come, chi, dove e
un paese. Da anni alcuni psichiatri, antropologi, sociologi assieme ad economisti di matrice liberale
sono tornati a riflettere insieme, convinti che la prima caratteristica necessaria per ogni dibattito
dell’happiness7”. Uno di questi è appunto, Amartya Sen. Gli esperti riuniti nei nuovi studi sul
benessere ci dicono che tra i paesi relativamente ricchi non esiste correlazione tra PIL e felicità.
Parlare di povertà significa, dunque, affrontare questioni molto più articolate e complesse.
Secondo Sen la povertà è il mancato riconoscimento e rispetto dei diritti umani da parte dei governi
di tutto il mondo: questi ultimi tendono ad una allocazione delle risorse “errata”. Lo studioso
prospetta un approccio sia individuale che macroeconomico della povertà: da un lato, l’individuo e
le sue chances sono al centro della discussione, in quanto a seconda del sistema economico di cui fa
parte, può o meno attuare la propria personalità; dall’altro, il sistema economico di radice
occidental-capitalista ( frutto delle teorie economiche del valore, da Adam Smith 8 fino a Karl
Marx9) dovrebbe essere inserito in un contesto di matrice prettamente etica, quindi necessariamente
da rivisitare ex novo.
7
Certamente nuovo e articolato è il tema delle capabilities, che nella definizione di felicità sottolinea la
dimensione della fioritura umana, sintetizzandone le condizioni e le possibilità concrete. Portato
all'attenzione dall'economista indiano e premio Nobel Amartya Sen, questo è un approccio che richiede
approfondimenti in discipline e contesti diversi, perché pone l'accento su quella preziosa e delicata risorsa
che è il capitale umano e il suo diritto ad una piena realizzazione. Ecco che il confronto assume allora una
prospettiva nuova, che pur mantenendo la dovuta attenzione ai livelli di produzione e reddito, si apre alla
natura più profonda dell'uomo, nella sua relazione con sé stesso e con gli altri. L'aspetto dell' happiness
invece guarda più specificamente al vissuto, all'esperienza che porta alla felicità, alle caratteristiche di tale
esperienza piuttosto che al percorso e alle condizioni che l'hanno sostenuta, analizzando le modalità per
garantirla e ripeterla.
8
Cfr. Smith A., An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, Londra, 1904.
9
Cfr., Marx K., Il Capitale. Critica dell'Economia Politica, Roma, 1964.
Secondo Sen, il riconoscimento dei diritti umani come diritti naturali sarebbe sufficiente ad imporne
la cogenza applicativa, alla stegua della Grundnorm kelseniana10, obbligando eticamente le parti
sociali forti a riallocare le risorse, dimodochè l’individuo possa finalmente esprimere se stesso nella
insufficiente, in quanto - come ben dice Grossi 11 - la libertà è la più grossa responsabilità che possa
esistere ed è necessario che l’individuo sia in grado di farne buon uso: molto più di frequente invece
ci troviamo davanti ad individui che necessitano di una guida costante per l’intera vita, incapaci di
prendere decisioni autonome. La responsabilità della libertà si rivela pertanto come un problema
altrettanto importante, in quanto, eventualmente disponendo delle risorse, il loro impiego potrebbe
essere vanificato dall’incapacità degli individui di una corretta gestione delle stesse.
Sen ha scritto saggi e libri, rilasciato interviste, utilizzato la sua voce per difendere i più deboli e
continua tuttora a farlo, non trascurando le nuove voci nel campo dei diritti umani 12. Per Sen è
necessario concettualizzare e definire ciò che manca ad una piena realizzazione di un benessere
L'India è oggi, per Amartya Sen13, un enorme stato laico che ha ancora molti problemi da risolvere.
E' il grande esperimento, in parte incompiuto, nel quale aveva creduto Nehru. L'India, che gli
occidentali considerano indù, conta 120 milioni di musulmani, ma anche cristiani, sufi, sikh,
gianisti. L'ateismo e il materialismo hanno prodotto la più copiosa letteratura del mondo. Il
buddhismo stesso è una forma di agnosticismo e il dio Rama, venerato dai nazionalisti indù, in
alcune zone è considerato solo un sovrano pio e bonario. L'India non è solo il paese di origine di
Amartya Sen, ma è anche la società privilegiata per comprendere il senso e l'originalità della sua
10
Cfr. Kelsen H., Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1994.
11
Cfr. Grossi P., I diritti di libertà ad uso di lezioni, Torino, 1991.
12
Cfr. Vizard P., Poverty and human rights: Sen’s capability perspective explored, Oxford, 2006.
13
I concetti espressi in questo paragrafo sono tratti dalla raccolta di saggi curata da Massarenti A., Laicismo
indiano, Milano, 1998, pp. 3 e ss.
riflessione di filosofo morale e di economista14, il luogo della concretezza sul quale si fonda l'intero
Il filosofo riformista è noto per le sue critiche all'utilitarismo: esso ha contribuito - nell'Inghilterra
degli individui, senza però includere il “tasso di libertà” nel calcolo utilitaristico. A questo
proposito, nel discorso tenuto a Torino nel 1990 in occasione del conferimento del Premio Agnelli
per l'etica, intitolato La libertà individuale come impegno sociale per il testo omonimo, riferendosi a
un episodio della sua infanzia che lo hanno segnato profondamente, egli ha parlato
significativamente del rapporto tra “idee astratte e orrori concreti”. L’episodio riguarda la carestia
che colpì il Bengala nel 1943, durante la quale morirono tre milioni di persone. Sen aveva nove anni
e studiava in una scuola di una zona rurale del Bengala, quando si presentò nel recinto della scuola
“un uomo di estrema magrezza, mostrando un comportamento poco equilibrato, è un segno tipico
di prolungate sofferenze da inedia”. Era solo il primo di una serie di decine, e poi centinaia e
migliaia di persone che provenivano da villaggi lontani con le stesse sofferenze scavate sul volto.
La carità privata, che pure fu considerevole, si dimostrò del tutto inadeguata per salvare milioni di
persone. Le autorità britanniche non riuscirono a organizzare alcunché, e gli aiuti iniziarono
tardivamente, sei mesi dopo l'inizio della carestia. Sen vide morire davanti ai suoi occhi migliaia di
persone. In seguito, con le sue analisi pioneristiche, egli chiarì molti anni più tardi che la scarsità di
cibo non era il fattore determinante della morte di quella gente. A mancare erano piuttosto i mezzi
per procurarsi il cibo. Mezzi che, durante le carestie, talvolta scarseggiano per il mancato
funzionamento dei meccanismi di mercato, altre volte per l'inefficacia o per la totale assenza di
intervento da parte delle autorità pubbliche, altre volte ancora per un effetto combinato di questi due
fattori. Vi sono state addirittura carestie che sono avvenute in periodi in cui la disponibilità di cibo
14
Sen A., Choice, Welfare and Measurement, Oxford, 1982. Sen A., Development as Freedom, Oxford, 1999.
Sen A., Choice of Techniques: An Aspect of the Theory of Planned Economic Development, Oxford 1960;
Sen A., Poverty and Famines, Oxford 1981. Sen A., Inequality Reexamined, Harvard, 1995.
era massima. Fortunatamente, in India, l'adozione di una serie di politiche di sostegno al reddito
delle categorie a rischio ha evitato che durante tutto il periodo postcoloniale fenomeni di quel tipo si
ripetessero.
Ma Sen si chiede come mai, nonostante i Codici per la carestia che prevedevano misure adeguate
per fronteggiare le emergenze esistessero già in epoca coloniale fin dal 1880, essi siano stati così
dopo l'indipendenza. In presenza di una stampa relativamente libera, con elezioni periodiche e con
attivi partiti di opposizione, nessun governo può sfuggire a severe sanzioni nel caso si verifichino
ritardi nell'applicazione di misure di prevenzione e si consenta alla carestia di scatenarsi. E' questa
minaccia che mantiene i governi all'erta”. In questo contesto, Sen anticipa l’importanza della libera
Ma vi sono anche motivazioni più concrete che lo hanno condotto in questa direzione, per illustrare
le quali egli ha fatto riferimento “ai due maggiori insuccessi sociali” del suo paese: la
diseguaglianza tra i sessi e l'analfabetismo, tuttora assai diffusi. Una serie di studi sul campo –
alcuni dei quali condotti dallo stesso Sen – dimostra che la donna in India è “sistematicamente
svantaggiata rispetto all'uomo in gran parte del paese, specialmente nelle zone rurali”. Ma a chi
proponeva politiche per un miglioramento di questa situazione è stato risposto che in realtà le donne
dell'India rurale non ambiscono a cambiare la loro condizione: non provano nessuna invidia per i
diritto, amore per il prossimo sono solo occidentali? Amartya Sen sostiene di no 15. In un mondo in
preda alle peggiori atrocità, la possibilità di utilizzare la ragione rappresenta sempre una speranza.
La ragione ci può aiutare a prendere coscienza dei nostri errori e a fare in modo di non ripeterli. Sen
evidenzia però che l'idea della fede nella ragione sia un approccio occidentale, in quanto frutto delle
idee di giustizia sviluppate dai filosofi occidentali, da Immanuel Kant16 a John Rawls17.
Secondo Sen, i valori della tolleranza, della libertà e del rispetto reciproco vengono considerati
come “specifici di una cultura” e fondamentalmente limitati al mondo occidentale (teoria della
«frontiera culturale»)18. In secondo luogo, è vero che degli individui cresciuti in diverse culture
possano mancare di compassione e di rispetto gli uni verso gli altri (teoria della «incompatibilità
culturale»). Sen prende ad esempio i genocidi, azioni di una comunità contro un'altra. La capacità
di capire e di interpretare potrebbe interrompere ogni azione impulsiva. Spesso si sente dire, ad
esempio, che le civiltà non occidentali sono sprovviste di questo spirito critico e analitico, essendo
così straniere rispetto al “razionale occidentale”. Lo stesso succede per il “liberalismo occidentale”
Himmelfarb.
Prendiamo ad esempio il concetto di libertà individuale19, spesso considerato parte integrante del
liberalismo occidentale. L'Europa moderna e l'America, sin dall'Illuminismo hanno giocato un ruolo
preponderante nell'evoluzione dell'idea di libertà e delle sue diverse forme. Queste idee si sono
diffuse da un paese all'altro in Occidente, ma anche altrove, in un modo paragonabile a quella che
15
Sen A., La democrazia degli altri, Milano, 2004, pp. 35 e ss.
16
Kant postula l'esistenza di un imperativo categorico o voce della coscienza che universalmente in ogni
individuo spinge al rispetto di regole morali universali che si traducono in azioni differenti fra i vari contesti.
Le regole etiche ed estetiche sono le stesse in ogni individuo ed egualmente la loro applicazione: qualunque
individuo purché razionale, nella stessa situazione, avrebbe fatto la stessa cosa e considerato bella una certa
opera.
17
Rawls J., A theory of justice, Harvard, 1971.
18
Sen A., Identity and violence, cit., pp. 68 e ss.
19
Ibid., 85 e ss.
fu l'espansione industriale e tecnologica. Considerare le idee liberali come dei prodotti
individuale20 viene spesso utilizzata come criterio di classificazione e considerata come facente
parte di una eredità occidentale. Certo si trova facilmente nei grandi testi classici occidentali
l'espressione di una apologia della libertà individuale, come ad esempio, in Aristotele, anche se era
riservata agli uomini (esclusi quindi le donne e gli schiavi). Ma tale valore si può riscontrare anche
in parte della letteratura non occidentale. La conseguenza della supremazia occidentale in tema di
libertà è che le altre culture e tradizioni vengono spesso identificate e definite in opposizione al
modello occidentale. Per il fatto che esistono in Asia molti sistemi di valori e di tipi di
ragionamento, i “valori asiatici” possono essere definiti in mille modi: selezionando le citazioni di
Confucio, l'impressione è che i valori asiatici veicolano la disciplina e l'ordine, piuttosto che la
libertà e l'autonomia. Come reazione, alcuni asiatici 21 hanno preferito reagire con distanza e
fierezza, piuttosto che con risentimento, alla pretesa supremazia dell'Occidente. E' così che questa
pratica di conferire un'identità per opposizione, si perpetua, incoraggiata sia dai tentativi degli
occidentali di stabilire la loro propria identità, sia da quelli, contrari, degli asiatici di stabilire la
propria.
Mettere in questo modo l'accento su ciò che altrove differisce dal modello occidentale, può rivelarsi
21
Nessuno nega che la nozione di "valori asiatici" abbia tuttora un ruolo centrale nel discorso accademico e
non accademico contemporaneo. Tuttavia sorgono vari problemi nel momento di proporre una definizione
teorica appropriata di questa nozione. I valori asiatici hanno origine nel campo politico, anche se il dibattito
successivo è stato condotto altresì dalla comunità scientifica internazionale allo scopo principale di
investigare se tale nozione sia sostenibile a livello teorico e quali siano le sue caratteristiche principali.
Proponendo la nozione di valori asiatici, i suoi sostenitori sottolineano l'esistenza di una "identità comune"
agli abitanti dei diversi paesi della regione asiatica, e così facendo hanno bisogno di un concetto
fondamentale di "Asia" contrapposto a quello di "Occidente". In questo senso il discorso sui valori asiatici
può essere sicuramente interpretato nel contesto del noto dibattito su orientalismo e occidentalismo che ebbe
inizio alla fine degli anni settanta con l'opera pionieristica di Said E., Orientalism, New York, 1978.
Ma in realtà è difficile sostenere la tesi di una opposizione radicale tra Oriente e Occidente.
Una volta accettata l'idea che molte delle nozioni considerate come fondamentalmente occidentali
possono ritrovarsi in altre civiltà, allora si vede bene che queste nozioni non sono specifiche di una
sola cultura.
Troppo spesso viene esaltata solo la libertà di scelta dell'economia di mercato. Meno
frequentemente ci si sofferma sulle reali condizioni di tale libertà. Eppure la libertà sostanziale è la
sfida che l'economia di mercato ha di fronte a sé per non essere iniqua. Tuttavia anche la libertà
sostanziale non può essere definita una volta per tutte: intervengono qui valori morali e culturali
raramente presi in considerazione dagli economisti, convinti perlopiù che la massimizzazione dei
profitti sia universale. Non solo contesti storici diversi impongono una comprensione differente del
successo economico e del senso di equità. Secondo Sen è sempre necessario mantenere una doppia
ottica sull’azione politica o sociale: non solo gli aspetti economici di vantaggio nel breve termine,
Partendo da un esame critico di Economia del benessere, che ha portato fra l'altro alla definizione di
nuovo alla teoria dell'eguaglianza e delle libertà. In particolare, Sen ha proposto le due nuove
nozioni di capacitazioni e funzionamenti come misure più adeguate della libertà e della qualità della
vita degli individui. La capacitazione23 è la libertà di realizzare diversi tipi di vita alternativi, dove
sviluppo umano, la libertà, la vita civile, il consumo di beni creativi e stimolanti. L’economista
riassume tutto questo con la definizione “fioritura umana”, dove il benessere di una società è
proporzionale alla quantità di scelte possibili, di libertà godibili e consentite dalle leggi.
22
Sen A., Development as Freedom , cit., pp. 11 e ss. Sen A., Well-being, agency and freedom, in The
Journal of philosophy, 1985, 4, pp.169-221.
23
Smith A., The Theory of Moral Sentiments, 1759.
Gli utilitaristi difendono il principio delle "utilità" di tutti gli individui. Rawls la descri ve come un
paniere di beni primari di cui tutti dovrebbero disporre come dotazione iniziale e Dworkin ne parla
in termini di risorse24. Sen propone invece di studiare la povertà, la qualità della vita e
l'eguaglianza non solo attraverso i tradizionali indicatori della disponibilità di beni materiali
esperienze o situazioni cui l'individuo attribuisce un valore positivo. Non solo, quindi, la possibilità
di nutrirsi e avere una casa adeguata, ma anche essere rispettati dai propri simili, partecipare alla
I funzionamenti sono invece le esperienze effettive che l'individuo ha deciso liberamente di vivere,
L’approccio di Sen ha convinto molti studiosi a considerare i tradizionali indicatori monetari del
benessere (indici di povertà e diseguaglianza basati sul reddito o sulla spesa per consumi) come
misure incomplete e parziali della qualità di vita di un individuo. Il grado di eguaglianza di una
determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie
Fedele a questa impostazione, Sen è giunto a tratteggiare una teoria dello sviluppo umano in termini
di libertà (development as freedom). E, nel fare ciò, si è direttamente riallacciato alla tradizione
affatto alla sua usuale traduzione inglese in happiness (felicità), ma ha piuttosto a che vedere col
termine fulfillment, che vuol dire realizzazione completa di sè e che può essere resa con la bella
immagine di una “vita fiorente” (flourishing life), ossia di una vita che fiorisce in tutte le sue
potenzialità.
24
Sen A., intervista a Il Sole 24 ore, 21 febbraio 1989.
25
Grossi P., I diritti di libertà ad uso di lezioni, cit.
L’eudaimonìa quale la intende Sen si contrappone direttamente al vecchio ideale di Welfare
economics, che bada soltanto al benessere materiale: ma Sen si oppone anche alla formulazione
monistica che dell’eudaimonìa ha dato lo stesso Aristotele. Secondo Sen, infatti, l’eudaimonìa deve
portare ad uno sviluppo pluralistico, per cui “esiste una pluralità di fini e di obiettivi che gli uomini
possono perseguire”. L’errore commesso da Aristotele sta nell’aver individuato una “lista” di
essendo tanti i fini e gli obiettivi che ciascun individuo può legittimamente perseguire, anche le
Le considerazioni di Sen si riflettono quindi, più in generale sul concetto di razionalità. Le ragioni
per apprezzare qualcosa non sono soltanto economiche. Sen attacca l'idea della razionalità che
comportamento effettivo dei consumatori e degli attori economici. Argomenta Sen: “Chi sostiene la
visione della razionalità come massimizzazione del proprio interesse si richiama in genere alle
classiche considerazioni di Adam Smith sull'homo aeconomicus”. L’approccio di Sen è di tipo del
tutto idealistico su base solidaristica; egli continua a sottolineare la responsabilità delle parti sociali
forti nel riconoscere una necessità di “concessione” nei confronti dei più deboli. Sen giunge alla
stessa maturità di26 Grossi, che manifesta senza reticenze: “la felicità è in primo luogo il frutto
culturale dell’individuo che manifesta le proprie esigenze con cognizione di causa e con la
maturata capacità di gestire con buon senso la propria libertà, fino a giungere ad un ruolo in veste
di animale sociale del tutto coerente sia con il proprio istinto di sopravvivenza, sia con quell’istinto
di condivisione e compassione professato da Dio che si sostanzia nella locuzione ama il tuo
Sen mostra che etica ed economia sono due discipline che devono sorreggersi a vicenda. Per inciso,
la critica di Sen27 nei confronti dei teorici dell’etica si rivela del tutto coerente, poiché è evidente
26
Sen A., Rationality and Freedom, Harvard, 2002.
27?
Sen A., Rationality and Freedom, cit., p. 86.
che questa disciplina non è stata ancora in grado di affermarsi in modo dignitoso senza dipendere
dalla filosofia. L'analisi economica, al contrario,28ha una dignità tutta sua, specialmente quando
insiste sulla valutazione delle conseguenze nel teorema fisico di azione e reazione. Sen, da buon
capacità di valutare realisticamente parte da Rawls ed è per Sen decisiva: a partire dalla meditazione
dell'opera rawlsiana, Sen comincia a mutare il suo percorso teorico in una direzione etico-
umanistica. L'economia, in questa prospettiva, non è più (solo) una scienza descrittiva, ma diventa
una “scienza normativa” che spiega anche come dovrebbero essere regolati i fenomeni economici.
autocorrettivo: alcune istanze etiche presenti nei movimenti no-global possono essere
4. la libertà è l'ideale regolativo che dobbiamo adottare nel nostro sforzo di correggere gli
sociale);
5. tutte le istituzioni (il mercato, lo stato, i media, i partiti politici, le scuole, le organizzazioni
non governative) devono concorrere all'accrescimento delle libertà degli individui e potremo
28?
Rawls J., A Theory of Justice, cit.
parlare di autentico sviluppo globale qualora riusciremo a realizzare una effettiva
promozione di ogni forma di libertà politica e sociale. Abbiamo il dovere di non rassegnarci
fatalisticamente29.
Secondo Sen vi sono due diverse concezioni della libertà: la prima interpretata in senso positivo
“riguarda ciò che, tenuto conto di tutto, una persona può o meno conseguire” 30 ; la seconda, intesa
in senso negativo, “si concentra precisamente sull’assenza di una serie di limitazioni che una
persona può imporre a un’altra (o che lo Stato o altre istituzioni possono imporre agli individui)”31.
Su questo punto Sen abbozza una teoria dei diritti umani, distinguendo i due aspetti della libertà:
quella concessa dall’alto e quella che il singolo individuo deve essere in grado di gestire. Sen, pur
all’affermazione dell’individuo nella società), è tuttavia convinto che l’intervento dello Stato, in
certe situazioni, si configuri come l’unico elemento in grado di salvaguardare in maniera sostanziale
le libertà positive: è il caso delle carestie avvenute nel paese natale dell’autore, l’India, dove un
basate su forme di integrazione di reddito delle fasce più vulnerabili della popolazione ha consentito
di limitare gli effetti atroci di queste situazioni che, come avverte lo stesso Sen, “sono avvenute
L’autore prosegue la sua analisi, focalizzando l’attenzione sul rapporto evidente che intercorre tra
l’intervento statale nell’erogazione di servizi pubblici e il tasso di mortalità: “gli uomini hanno
meno probabilità di raggiungere i quaranta anni nei sobborghi neri di Harlem a New York che
29
Sen A,, Rationality and Freedom, cit., p. 28
30
Ibid., p. 9.
31
Ibid., p. 10.
32
Ibid., p. 14.
33
Ibid., p. 32.
materia di sanità. Ciò che Sen rende evidente è il modo in cui uno Stato, con le sue scelte sociali 34,
influisce sulle libertà dell’individuo, in base ad una scala di valori che saranno (o così dovrebbe
essere), in un paese democratico nel costante confronto tra forze politiche diverse. Sen sostiene con
decisione la tesi secondo la quale la democrazia, e soprattutto un uso corretto degli efficaci mezzi di
per garantire ed estendere le libertà dell’individuo: “se le notizie di carestie, pubblicate sui giornali,
sconvolgono il pubblico e mettono sotto pressione il governo, questo avviene proprio perché le
Sulla stessa linea prosegue Sen quando analizza il rapporto tra l’impegno sociale ed i doveri di
rigore e conservatorismo finanziario volti a non eccedere nella spesa pubblica 36: da un lato, quindi,
l’impegno della società a raggiungere un’eguaglianza sostanziale di tutti gli individui, e dall’altro,
la costante preoccupazione dei governi di tenere sotto controllo il bilancio dello Stato.
Dopo aver accennato all’importanza dei movimenti socialisti sorti come critica al capitalismo e al
conseguente rischio che la prosperità economica possa avvantaggiare solo alcuni ceti sociali, Sen
critica le scelte monetarie e fiscali europee degli anni Novanta. Tali scelte puntavano
Il rapporto tra disoccupazione ed impegno sociale è stato analizzato da diversi studiosi, tra i quali il
sociologo Zygmunt Bauman38, il quale, come Sen, afferma che in Europa sia scomparso il dovere di
34
Si ricorda che in uno stato democratico i rappresentanti del popolo vengono direttamente eletti dallo stesso.
Pertanto, è il popolo che necessita di consapevolezza circa le proprie azioni e non viceversa. Differente i il
discorso per ciò che concerne gli stati totalitari o dittatoriali.
35
Ibid., p. 42.
36
Ibid., pp. 45 ss.
37
Ibid., p. 78.
38
Zygmunt Bauman è un sociologo britannico di origini ebraico-polacche. Dal 1971 al 1990 è stato
professore di Sociologia all'Università di Leeds. Egli ha scritto innumerevoli saggi sociologici.
protezione sociale verso le fasce più deboli della popolazione: svilimento delle tutele del lavoratore,
L’estremismo nelle scelte finanziarie degli Stati non deve ridimensionare quelle priorità sociali
(salute, istruzione, libero accesso alle posizioni sociali, uguaglianza di capacità), che fungono da
sistemi di bilanciamento e di garanzia delle libertà e dei diritti fondamentali. Una politica
unidirezionale porta ad esiti rovinosi che non possono durare a lungo: Sen porta l’esempio di Chirac
e degli interventi sulle spese sociali che il suo governo intraprese senza alcuna preventiva
consultazione con le parti interessate. Una politica di tal genere è anche il frutto dell’eccessivo
potere dato ai tecnocrati: il loro operato non può essere d’impedimento alla realizzazione degli
obblighi sociali. È questo il messaggio finale che ci consegna l’autore, avvertendo nel contempo che
le scelte dei governi non possono essere disgiunte dal confronto sociale e dalla concertazione.
Sen39 si pone l’interrogativo se anche multiculturalismo non contenga un tranello, cioè, invece di
porre sullo stesso piano le diverse culture, non si finisca invece per cristallizzarle, in modo non
soltanto formale, ma sostanziale, al fine di riprodurre invece proprio l'ostilità tra le culture. “La
tragedia”, scrive Sen “è che, quando lo slogan del multiculturalismo ha guadagnato terreno, è
aumentata anche la confusione su quali fossero i suoi requisiti. La prima confusione è quella tra il
conservatorismo culturale e la libertà culturale. Essere nati in una particolare comunità non è di
per sé un esercizio di libertà culturale, dal momento che non è una scelta. Al contrario, la decisione
di restare saldamente all’interno della tradizione sarebbe un atto di libertà se la scelta fosse fatta
dopo aver preso in esame diverse alternative. Nello stesso modo, la decisione di allontanarsi - di
sarebbe anch’essa un atto di libertà multiculturale. I leader politici ora si rivolgono spesso ai
diversi gruppi di appartenenti alla stessa religione come a comunità separate. I portavoce religiosi
39
Dall’intervista ad Amartya Sen pubblicata su La Stampa, 23 gennaio 2006.
dei gruppi di immigrati vengono presi in considerazione - e hanno accesso ai corridoi del potere -
Essendo il globalismo basato sul multiculturalismo, sull'interpenetrazione dei destini, nasce una
responsabilità di tutti verso tutti. Una nuova responsabilità sociale, economica ed ecologica con una
rinvigorita responsabilità civica. E questo è un processo irreversibile. Il ruolo del pensiero è quello
responsabilità, perché nell'epoca della velocità elettrica siamo tutti vicini e il problema di un vicino
è anche un mio problema, sia che si parli di politica, di diritti umani, di economia, di guerra e di
privilegi41. La globalizzazione si presenta sia come mezzo di apertura delle coscienze, in quanto la
percezione della moltitudine simultanea di individui diventa molto più tangibile rispetto al passato
(grazie soprattutto all’impiego massiccio dei mass-media), sia come strumento di schiavitù, in
quanto gli stessi mezzi di comunicazione vengono monopolizzati sempre più articolatamente dalle
classi di potere che non sono più piccoli gruppi dirigenti nazionali, ma sono diventati organismi
molto più complessi, a forma di “reticolo” sull’intero pianeta. In questo senso 42 è possibile
affermare una “metamorfosi globalizzante” delle classi dirigenti di tutti gli Stati mondiali. La
discussione sulla globalizzazione provoca un interesse rinnovato per quello che si è soliti chiamare
lo "scontro delle civiltà", secondo la definizione proposta da Samuel Huntington nel suo celebre e
ambizioso The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, pubblicato cinque anni
prima degli attentati al World Trade Center. Parecchi commentatori, hanno subito intravisto uno
stretto legame tra i conflitti globali e i confronti tra civiltà diverse (ad esempio, tra la civiltà
"occidentale" e quella "islamica"). Questa tesi presenta un interesse epistemico per l'enorme
importanza che la questione ha sull'agire politico nel mondo contemporaneo. La tesi dello scontro
delle civiltà può essere indicata come la categorizzazione della popolazione mondiale secondo un
40
Da un’intervista Amartya Sen del settembre 2002 pubblicata sulla rivista online Micromega,
www.micromega.repubblica.it
41
Sen A., Identity and Violence. The Illusion of Destiny W&W Norton, New York, 2006.
42
Sen A., Identity and Violence.The Illusion of Destiny, cit.,p. 8.
unico sistema di classificazione, che opera scegliendo quello che sarebbe un tratto predominante e
distintivo. Sen spiega: “Considerare una persona soltanto, o anche soprattutto, come membro di
una cosiddetta civiltà (ad esempio, per riprendere le categorie di Huntington, un membro del
"mondo occidentale", del "mondo islamico", del "mondo induista", del "mondo buddista"…) già
significa ridurre la gente a una sola dimensione. Incasellare storie differenti sociali e individuali,
approccio che considera gli esseri umani come membri di un solo gruppo, anziché persone
”diversamente differenti”. I rischi del solitarismo sono legati allo sviluppo della violenza.
Promuoverla è molto facile, quando ci si basa su «un sentimento di inevitabilità riguardo a una
qualche presunta identità unica – spesso belligerante – che noi possederemmo. La storia dei
connivente del gregge, indotto a scoprire e identificarsi in un’identità che non può essere
Sen precisa che nessuna di queste collettività può essere considerata come la sola identità della
persona o come il suo solo gruppo di appartenenza. Data la nostra inevitabile identità multipla,
dobbiamo stabilire l'importanza relativa delle nostre associazioni e delle nostre affiliazioni in un
dato contesto. Centrale nella vita umana è dunque – secondo Sen - la responsabilità di scelta e di
ragionamento, che può essere considerata sia un diritto sia un dovere 43. Viceversa, la violenza è
alimentata dal coltivare il senso di inevitabilità di un'identità unica. Purtroppo, molti onesti tentativi
di arrestare la violenza sono penalizzati dalla percezione che non è dato scegliere la propria identità .
L'etica sociale - dice Sen - può svolgere un ruolo essenziale nell'arrestare questa tendenza a
43
A questa conclusione giunge parimenti P. Grossi, in I diritti di libertà ad uso di lezioni, cit., dove al
concetto di libertà appunto associa quello di responsabilità, sostenendo che non è sufficiente voler essere
liberi, ma è necessario essere in grado di esserlo. Avendone gli strumenti, il diritto di libertà si trasforma
automaticamente nella più grande delle responsabilità.
riconoscere il diritto delle persone di scegliere le proprie priorità come vogliono. Questa potrebbe
Sen alterna capitoli di maggiore impegno teorico-normativo (che toccano il plesso concettuale
democrazia - liberalismo - diritti umani) a capitoli che trattano temi di carattere prettamente
economico (come la produzione alimentare o l'efficienza dei mercati). In “Libertà è sviluppo”, Sen
fornisce utili spunti di riflessione. Sen difende l'idea di diritti umani ed argomenta l'impiego della
In particolare, sono interessanti le repliche di Sen alla classica nozione di diritto umano, secondo
cui gli individui non nascono già "vestiti" di diritti. Secondo Sen i diritti umani sono essenzialmente
"rivendicazioni etiche", che, come tali, non debbono necessariamente essere identificate con diritti
esplicitamente riconosciuti da un sistema giuridico; in secondo luogo, vanno visti come richieste
generiche rivolte a chi sia in grado di fare qualcosa per renderli effettivi (a questo proposito Sen
recupera la nozione kantiana di "obbligo imperfetto"); infine, compaiono non solo nelle tradizioni
occidentali, ma anche in quelle asiatiche: “Lo sviluppo umano può essere visto come un processo di
espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani e pertanto si richiede che siano eliminate le
principali fonti di illibertà: la miseria come la tirannia, l'angustia delle prospettive economiche
Sen argomenta questa idea con un esempio: "un benestante che digiuni [...] può anche funzionare,
sul piano dell'alimentazione, allo stesso modo di un indigente costretto a fare la fame, ma il primo
44
Ibid., p. 9.
ha un "insieme di capacitazioni" diverso da quello del secondo (l'uno può decidere di mangiar bene
In Inequality Reexamined Sen si muove sul terreno più vasto della filosofia politica e dell'etica
pubblica. I riferimenti sono a John Rawls 46, Bemard Williams47, John Harsanyi48, Robert Nozick49,
Ronald Dworkin50, James Buchanan51, tutti studiosi - alcuni filosofi, altri economisti - che si sono
occupati di un problema normativo di vastissima portata: quello di stabilire quali siano i criteri
generali per valutare il grado di giustizia delle società in cui viviamo. Un terreno che, com'è noto,
non è affatto estraneo alla scienza economica, visto che essa, attraverso il welfare economics52, ha
inglobato nella sua parte più squisitamente normativa i principi di quello che storicamente è stato il
primo vero tentativo organico di formulare un'etica pubblica: l'utilitarismo di Jeremy Bentham.
Le istituzioni e le politiche pubbliche, sosteneva Bentham sul finire del XVIII secolo, devono essere
valutate, e se necessario criticate e riformate, sulla base del "principio della massima felicità per il
morale dei paesi di lingua inglese per due secoli, finché non è stato messo in discussione nel 1971
dal testo di Rawls A Theory of Justice, cui è seguito un ampio dibattito tuttora in corso, di cui Sen è
uno dei protagonisti. Ciò che Amartya Sen si propone di porre al centro della propria riflessione è la
discussione sulla disuguaglianza53, letta però in una nuova direzione che si contrappone a quelle
tradizionali: l’idea di disuguaglianza (inequality) deve confrontarsi con due diversi ostacoli: la
45
Ibid., p. 81.
46
Rawls J., A Theory of Justice, cit.. Dworkin R., Taking Rights Seriously, Cambridge Mass., 1977.
47
Il filosofo morale di Oxford con cui Sen ha curato la celebre raccolta di saggi Utilitarianism and Beyond,
Cambridge 1982.
48
Harsanyi J. L'utilitarismo, raccolta di saggi a cura di S. Morini, Milano 1988.
49
Nozick R., Anarchy, State and Utopia, New York 1974.
50
Dworkin R., cit.
51
Buchanan J., Freedom in Constitutional Contract, Londra, 1977.
52
Ramo della scienza economica che si occupa delle tecniche e dei principi volti a massimizzare il benessere
collettivo di una società.
53
Sen A., Inequality Reexamined, cit., pp. 18 ss.
sostanziale eterogeneità degli esseri umani e la molteplicità dei punti focali dai quali la
Al di là della “potente retorica dell’uguaglianza”, che trova il suo apice nella nota asserzione per
cui “tutti gli uomini nascono uguali”, Sen è convinto che gli individui siano del tutto diversi gli uni
dagli altri e che, dunque, il pur ambizioso progetto egualitario debba muoversi “in presenza di una
robusta dose di preesistente disuguaglianza”. Sen è d’altro canto convinto che la misurazione della
disuguaglianza dipenda dalla variabile focale54 (felicità, reddito, ricchezza, ecc) attraverso cui si
fanno i confronti: la misurazione della disuguaglianza dipende cioè dai parametri assunti per
definirla. La prima conseguenza di ciò sta nel fatto che, se tutte le persone fossero identiche,
l’eguaglianza in una sfera (ad esempio nelle opportunità o nel reddito) tenderebbe ad essere
coerente con eguaglianze di altre sfere (ad esempio, l’abilità di funzionare). Ma poiché le persone
non sono affatto identiche, ne segue che l’eguaglianza in una sfera tende a coesistere con
disuguaglianze in altre sfere: così, ad esempio, redditi uguali possono coesistere con una forte
disuguaglianza nell’abilità di fare ciò che si ritiene importante (un sano e un malato, pur avendo lo
La seconda conseguenza fondamentale scaturisce dal fatto che la misurazione della disuguaglianza
dipende dai parametri assunti per definirla. Ciò vuol dire che per poter parlare di eguaglianza
equality of what? (“eguaglianza di che cosa?”). Non si può infatti pretendere di difendere
l’eguaglianza (o di criticarla) senza sapere quale sia il suo oggetto, ossia quali siano le
caratteristiche da rendere uguali (redditi, ricchezze, opportunità, libertà, diritti, ecc). Interrogarsi
54
La scelta della variabile focale è senza dubbio critica: vista la diversità degli esseri umani, il
raggiungimento dell’equità in base ad una data variabile implica delle iniquità sotto altre dimensioni. Ma le
molteplici teorie a riguardo non concordano su quale sia tale variabile rilevante.
55
Nussbaum – Sen (a cura di), Equality of what? On welfare, goods, and capabilities, The quality of life,
Oxford, 1993, pp. 9-30.
sull’uguaglianza significa dunque innanzitutto interrogarsi su quali siano gli aspetti della vita umana
La storia della filosofia ci offre una molteplicità di esempi diversi di soluzioni: Rawls 56 descrive
l’eguaglianza come un paniere di beni primari di cui tutti gli individui dovrebbero disporre;
Dworkin57 come eguaglianza di risorse; gli utilitaristi come eguale considerazione delle preferenze
Rendendo il fattore umano centrale rispetto ai fenomeni economici, Sen parte da un esame critico
dell'economia del benessere, che lo porta fra l'altro alla definizione di un indice di povertà che viene
misurazione del grado di sviluppo. Questo introduce nuovi parametri per valutare la reale ricchezza
Sen collega il valore eguaglianza al valore libertà: quest’ultima è da lui connessa ai concetti di
“funzionamenti” e “capacità”. Non è un caso che, in origine, Sen voleva che l’opera La
Amartya Sen è un convinto assertore della democrazia quale discussione pubblica. Non il diritto di
voto, non il diritto ad essere eletti, ma il diritto di esprimere opinioni e proposte, e, quando occorra,
anche protestare, poichè la definizione delle capacità irrinunciabili può essere stabilita soltanto
mediante la discussione pubblica, e non una volta per tutte in sede teorica. Questa è la differenza tra
56
Rawls, J., A theory of justice, cit., pp. 441 e ss.
57
Dworkin, R., What is equality? Part I: Equality of welfare, in "Philosophy and Public Affairs", 1981, 10,
pp.183-245
Negli scritti sull'India queste riflessioni acquistano una grande concretezza. Inevitabilmente, le
società libere, dove le opinioni circolano insieme alle informazioni, e queste ultime vengono da più
fonti, sono meno esposte al rischio di crisi e catastrofi. Terremoti ed epidemie comprese. Se in Cina
ci fosse stata democrazia, dice Sen, la Sars non avrebbe fatto i danni colossali che conosciamo.
Criminale quel ministro della sanità che nascose le informazioni. Mai sufficientemente criticato
quel regime e quel costume politico che rese possibile la cosa. Ma la democrazia, così intesa, dice
Sen, non è affatto un'invenzione occidentale. Esisteva in Africa, in Cina, nell'India dell'imperatore
buddhista Asoka: “Indubbiamente la tolleranza è stata in gran parte una caratteristica significativa
Tuttavia qui non c'è affatto un grande spartiacque che divida la tolleranza occidentale dal
La crescita degli elementi essenziali del Dharma (il comportamento corretto nella cultura induista) è
possibile in molti modi. Ma la sua radice sta nel misurato controllo delle parole, in modo che non ci
sia l'esaltazione della propria setta o la denigrazione di altre sette in occasioni inappropriate, e si
deve mantenere un atteggiamento moderato anche nelle occasioni appropriate. Chiarimenti utili a
capire che nelle culture e nelle filosofie degli altri esiste un quantum di tolleranza non inferiore al
nostro. “Di fatto non c'è alcuna testimonianza convincente che il governo autoritario e la
soppressione dei diritti civili e politici favoriscano davvero lo sviluppo economico. Le ricerche sul
campo non offrono alcun sostegno concreto alla tesi dell'esistenza di una contraddizione di fondo
tra diritti civili ed efficienza economica. Il carattere e l'andamento del rapporto sembrano
dipendere da molti altri fattori”. La tesi di Sen è che libertà e democrazia siano valori in sé e
quindi, anche se fosse vero che l'autoritarismo garantisce una maggiore efficienza, non dovremmo
mai avere dubbi su cosa scegliere. Ma, ciò non è. Solo la democrazia e la libertà portano alla
responsabilizzazione diffusa, che è anche la chiave per accettare "la disciplina del lavoro" e quindi
ad una maggiore efficienza, quella garantita dalla responsabilità dei produttori. Non a caso questi
concetti non riescono ad essere confutati da alcuna tesi ragionevole, in quanto – proprio come
afferma Sen – democrazia e libertà vengono percepiti da tutti gli individui – non importa di che
appartenenza politica, religiosa, culturale – come valori assoluti, tali da essere definiti “diritti
umani”.
Diamo uno sguardo all’assetto giuridico italiano ed alla sua storia per vedere come si siano
affermati alcuni diritti di libertà nel nostro ordinamento, ai fini di una comparazione con gli altri
stati di civil law per osservare come questi hanno interagito58. Teniamo a mente che il pensiero di
La disciplina formale dei diritti di libertà costituiscono due aspetti significativi nella definizione
predisporre strumenti di garanzia a tutela delle stesse caratterizzano il modo in cui si articolano i
rapporti tra lo Stato e la società civile. L’evoluzione storica delle diverse forme di Stato coincide
Nella forma di stato liberale i diritti di libertà erano concepiti come “libertà dallo stato” (libertà
negative) e si configuravano quali strumenti di tutela della sfera di autonomia dei singoli dai
possibili abusi da parte dei pubblici poteri. La codificazione all’interno dei testi costituzionali del
periodo liberale rappresenta la tutela della loro sfera di autonomia e segna il definitivo superamento
della forma di stato assoluto. In Italia, lo Statuto Albertino del 1848 prevedeva un elenco di diritti
(artt. 24-32) in cui era possibile riscontrare gli elementi di una forma di Stato liberale. L’articolo 24
dello Statuto riconosceva una dimensione meramente formale del principio di eguaglianza sancendo
che “tutti i Regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado sono eguali di fronte alla legge. Tutti
De Vergottini G., Diritto costituzionale comparato, Padova, 2007, pp. 81 e ss.; Grossi P., cit., 1991, pp. 135
58
e ss. Si tenta di tracciare il fondamento della faticosa conquista dei diritti di libertà nelle società
contemporanee, cercandone le radici in primis nella storia giuridica italiana e poi successivamente in quella
europea, per poi compararla con l’idea di Sen in relazione ai problemi da lui affrontati.
godono egualmente i diritti civili e politici e sono ammissibili alle cariche civili e militari, salvo le
Vediamo come questi principi siano poi trasmigrati nella odierna Carta Costituzionale italiana.
L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana segna il definitivo e formale superamento della
forma di Stato liberale e l’adozione di un modello di Stato sociale in cui il catalogo dei diritti di
libertà, sino a quel momento costituito dalle sole libertà dallo Stato /libertà negative, si arricchisce
di una nuova dimensione data dalle c.d. libertà positive/ libertà nello Stato, intese come strumenti di
partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita politica e sociale del Paese.
L’articolo 3.2 della Costituzione del 1948 aggiunge all’eguaglianza formale di cui al primo comma,
l’eguaglianza sostanziale. Questa nuova eguaglianza attribuisce allo Stato non solo il compito di
garantire il rispetto delle sfere individuali dei singoli, come già era previsto nello Statuto Albertino,
che di fatto risultano diversi dagli altri, di godere degli stessi diritti e di esercitare le stesse libertà.
L’eguaglianza consta nella riserva di legge, che rappresenta oggi un importante strumento
costituzionale garante del fatto che solo il legislatore può porre la disciplina della materia e che
affida unicamente all’autorità giudiziaria la facoltà di imporre limitazioni alle sfere di libertà dei
La previsione della nostra attuale Carta Costituzionale include i seguenti diritti di libertà:
• Libertà personale: art. 13 Cost.;
art. 15 Cost.;
Nell'affrontare i profili costituzionali dei diritti di libertà secondo l'approccio tradizionale, in primo
luogo viene da rilevare che nell'articolo 2 della Costituzione c'è scritta l'espressione "doveri .... di
solidarietà". Non intesa come restrizione della libertà di chi deve adempiere a tale dovere, bensì
come condizione per consentire il pieno e libero sviluppo della personalità di tutti. Di qui
l’importanza di una conoscenza sistematica dei diritti umani, premessa indispensabile alla
formazione di una coscienza civile e democratica che superi il livello semplicemente dichiaratorio,
condizione indispensabile per ridurre la frattura tra etica e politica tra assunzione di norme
giuridico-politiche e prassi, tra realtà quotidiane di sistematiche violazioni dei diritti umani e diffusa
sensazione di impotenza. Senz’altro la lontananza tra le sedi di elaborazione dei diritti umani e i
Le attività della Repubblica nei confronti delle persone con disabilità non possono essere finalizzate
soltanto alla sopravvivenza fisica dei destinatari, bensì devono tener conto anche di tutte le altre
esigenze della normale vita quotidiana, incluse prima di tutto quelle riconducibili ai diritti di libertà,
alla tutela dei diritti inviolabili e del pieno sviluppo della personalità previsti nell'articolo 2. Un'altra
questione fondamentale riguarda il secondo comma dell'articolo 3 Cost. che vincola la Repubblica a
rimuovere gli ostacoli che impediscono anche alle persone con disabilità di vivere come gli altri. La
tesi per cui questa norma avrebbe un contenuto esclusivamente programmatico non pare
condivisibile, se non altro perché si tratta di una disposizione che va letta in stretta relazione con
la disposizione del comma 2 citato è anche precettiva e obbliga la repubblica ad agire tramite i suoi
organi, soprattutto legislativi, "in un dato modo e entro certi limiti" per "il conseguimento di
determinati fini". Tanto è vero che il comma 2 citato viene giustamente inteso anche come dovere di
dare la più ampia realizzazione alle possibilità di vivere i diritti di libertà. Inoltre, se si vuol
dell'articolo 38 della Costituzione, anche se queste norme non vincolano l'azione propositiva del
legislatore, in ogni caso vietano a questo l'emanazione di disposizioni che perseguono obiettivi
Va ricordato che il supremo principio di eguaglianza previsto nel comma 1 dell'articolo 3 della
Costituzione vieta sicuramente discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità. Sempre
restando al comma 1 dell'articolo 3, va evidenziato che questo impone di non trattare tutti allo
differenti”. Può esserci pieno rispetto del principio di eguaglianza soltanto se tutti hanno pari
L'inviolabilità da cui sono caratterizzate queste libertà, sta a significare che esse sono così
importanti da non poter essere ridotte neppure in un'eventuale sede di revisione costituzionale59.
In ogni caso, la dottrina è unanime sul fatto che il legislatore ordinario non può comunque
comprimere le possibilità che hanno le persone di esercitare i diritti inviolabili 60. Da ciò scaturisce il
fatto che, nella misura in cui le necessità delle persone con disabilità sono riconducibili
59
La Costituzione non promette l'effettiva uguaglianza di tutti i cittadini sul piano economico e sociale, ma
impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, in altre parole ad intervenire
attivamente per fornire ai soggetti più deboli i mezzi per esercitare effettivamente i propri diritti prevedendo
leggi speciali a favore delle categorie più deboli.
60
Sentenza della Corte Costituzionale n. 3 del 26.01.1957
all'inviolabilità delle libertà, i servizi pubblici finalizzati a questo non possono essere ridotti per
necessità di bilancio. Infatti le necessità di bilancio sono stabilite dalle maggioranze politiche, e far
Il punto è che in tema di esigenze fondamentali della vita prima si determina il bisogno, e poi il
bilancio va adeguato ad esso perché far dipendere la possibilità di godere effettivamente di taluni
diritti dall'utilità complessiva della collettività significa subordinare il diritto all'economia, mentre
diritto vuol dire tutela delle minoranze contro la maggioranza. I diritti non possono essere limitati
per ragioni utilitaristiche o tesi maggioritarie. Uno stato civile deve puntare non alla governabilità a
tutti i costi, bensì ad essere funzionale al benessere e alla felicità della popolazione. Perché il
nocciolo del problema non è certamente nuovo, ed è riconducibile alla questione se le persone con
Un altro aspetto connesso con l'articolo 2 riguarda il fatto che in esso è previsto il pieno sviluppo
della persona umana. Poiché per realizzare questo sviluppo per le persone con disabilità sono
necessari più servizi che per le persone normodotate, a seguito del supremo principio di
destinati a chi ha delle menomazioni prima che per quelli destinati al resto della popolazione.
Viste quindi le numerose inadempienze del legislatore in tema di libertà, diventa di rilievo il fatto
che, mentre l'aspetto "negativo" di queste può essere comunque tutelato dall'intervento della Corte
costituzionale, per l'aspetto "positivo" delle medesime risulta ancor più imperativa la necessità
dell'intervento del legislatore perché le lacune risultano insuperabili. Tutto ciò può essere ottenuto
prestazioni necessarie all’individuo per espletare le sua libertà, semprechè gli enti preposti siano
persone laddove viene usata la dizione "nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità".
La questione di centrale importanza per l'assistenza personale alle persone con disabilità è il fatto
che fra le libertà inviolabili c'è senz'altro il diritto di alzarsi la mattina e coricarsi la sera all'ora
preferita, il diritto di poter uscire a fare quattro passi quando se ne ha voglia, il diritto di poter
comprimere quella che è forse la più importante delle libertà: la libertà personale. Tant'è vero che
un'autorevole e condivisibile giurisprudenza61 sostiene che: "la carenza delle potenzialità fisiche o
della libertà personale e di circolazione.". E quindi diventa di rilievo il fatto che l'assistenza
personale serve proprio a procurarsi i supporti umani necessari a sopperire a tali carenze. Volendo
concludere con un esempio significativo si può citare che Rosanna Benzi viveva nel polmone
d'acciaio al pronto soccorso di un ospedale di Genova. Viceversa l'amico Kalle Könkköla, pur
avendo una menomazione non molto diversa, ma disponendo di ben differenti e meno costosi
servizi assistenziali, è stato membro sia del Parlamento che del Consiglio comunale di Helsinki e
Ma diamo uno sguardo al resto del mondo. Nel corso del XX secolo in Europa e nell’America
settentrionale molti gruppi e movimenti riuscirono a ottenere profondi cambiamenti sociali in nome
dei diritti umani, creando un rapido miglioramento delle condizioni di vita. I sindacati dei lavoratori
lottarono per il riconoscimento del diritto di sciopero, per garantire condizioni dignitose di lavoro e
per proibire o limitare il lavoro minorile. Il movimento per i diritti delle donne guadagnò il
suffragio universale. All'indomani della Grande Guerra fu messo in piedi un sistema di protezione
delle minoranze nazionali di razza, di lingua e di religione, grazie al quale molti gruppi lungamente
61
Sent. nn. 215 e 561 del 1987. Sent. n. 38 del 1973.
oppressi riuscirono ad ottenere diritti civili e politici. Nello stesso periodo, i movimenti di
liberazione nazionale poterono affrancare le nazioni colonizzate dal giogo delle potenze coloniali.
Importantissimo in tema di diritti umani fu il movimento non violento del Mahatma Gamdhi che
portò l’India all’indipendenza dal dominio britannico. Con la nascita dell’ONU e la proclamazione
della Dichiarazione universale del 1948, la tutela dei diritti umani è divenuta una delle priorità della
comunità internazionale, portando all'imposizione di limiti sempre più stringenti alla sovranità degli
protezione azionabili dagli individui, tanto sul piano universale quanto sul piano regionale. Con
questa Carta si stabiliva, per la prima volta nella storia moderna, l'universalità di questi diritti, non
più limitati unicamente ai paesi occidentali, ma rivolti ai popoli del mondo intero, e basati su un
altre cose il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale; all'uguaglianza di fronte alla
legge; a garanzie specifiche nel processo penale; alla libertà di movimento e di emigrazione;
all'asilo; alla nazionalità; alla proprietà; alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; alla
giuste e favorevoli e alla libertà sindacale; a un livello adeguato di vita e di educazione. Da questo
momento in poi il posto occupato dall’ONU nel processo di legittimazione e promozione dei diritti
dell’uomo è fondamentale. Ma anche gli Stati europei hanno fatto un ulteriore passo avanti nel 1950
attraverso una convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tra
le altre cose, la convenzione stabilisce che il godimento dei diritti da essa garantiti non è soggetto ad
alcuna discriminazione fondata su ragioni di razza, lingua, religione, opinione pubblica, origine
nazionale o sociale.
Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, p. 1032. Crisafulli V., La Costituzione e le sue
62
disposizioni di principio, Milano, 1952, pp. 37 e ss. Barile P., L'affermazione delle libertà democratiche
dalla Costituente ad oggi, in AA. VV., La Costituzione italiana: I principi - La realtà, Milano, 1977, p. 40.
Il Protocollo n. 14 della CEDU, adottato il 13 maggio 2004 riforma profondamente il sistema
europeo di protezione dei diritti umani dinanzi alla Corte di Strasburgo, introducendo una nuova
condizione di ricevibilità dei ricorsi individuali e delle procedure semplificate. In ogni caso, è
sempre possibile il ricorso davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani.
La Dichiarazione universale, sebbene non ponga obblighi sotto lo stretto profilo giuridico, tuttavia
indicava agli Stati membri l'urgenza di promuovere un insieme di diritti umani, civili, economici e
sociali, affermando che questi diritti sono parte delle "fondamenta di libertà, giustizia e pace nel
La questione dei rapporti tra diritto comunitario e Convenzione europea dei diritti umani si è posta
all’attenzione degli studiosi e delle istituzioni comunitarie a partire dagli anni ’70. In quegli anni la
garantiti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e dai trattati internazionali.
Lungo questa linea evolutiva va collocato il Trattato di Maastricht del 7 Febbraio 1992 (detto anche
Trattato sull’Unione Europea) il quale, con il suo art. F, si è limitato a ufficializzare qualcosa che
già ufficiosamente faceva parte dell’acquis communautaire: il rispetto e la protezione dei diritti
sistema comunitario, quasi a divenire un parametro con cui misurare il grado di legittimità degli atti
comunitari, sono sorti nuovi e imprevisti problemi tuttora di non facile soluzione.
Tradizionalmente, nel linguaggio politico occidentale, si pensa ai diritti umani soprattutto in termini
di libertà negative. Questa prospettiva non è riproponibile; se si guarda con attenzione alla stessa
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’Onu, si potrà notare come essa vada ben oltre
politici e le società dei popoli come possibile strumento di difesa della pace. Per Rawls i diritti
umani si distinguono per la loro “particolare urgenza”: libertà dal genocidio e dalla schiavitù. Rawls
Martha Nussbaum ha portato un contributo molto importante al dibattito sui diritti umani con il suo
capabilities approach, risultato anche della sua lunga collaborazione con Amartya Sen. La
prospettiva di Sen e Nussbaum è politicamente più esigente e filosoficamente molto più densa di
quella rawlsiana. L’aspetto di maggiore interesse nella riflessione di Sen e Nussbaum sta nel partire
dall’individuo che deve esprimere una certa rivendicazione e non dall’oggetto della rivendicazione
Ma il punto più significativo dell’analisi svolta da Sen e Nussbaum è lo stretto legame fra diritti e
giustizia, che non si concentra semplicemente sulla necessità di stabilire garanzie e rimuovere di
ostacoli; piuttosto, si preoccupano di sviluppare nelle persone quelle capacità che le metteranno in
grado di vivere una vita degna di essere vissuta. Se dunque ogni essere umano ha diritto a poter
acquisire attivamente un numero minimo di capacità, si pone in modo non più eludibile il problema
La possibilità di elaborare una “teoria della giustizia” su scala planetaria è al centro del lavoro di
Thomas Pogge63. La prospettiva rawlsiana rientra quindi in gioco. Pogge parte da una
considerazione che riguarda i compiti della politica in età di globalizzazione. I cittadini del primo
mondo, osserva, sono pronti ad accettare come un dato di fatto che siano presenti livelli di
disuguaglianza in diverse aree del pianeta. La situazione di global interconnectedness non permette
più di considerare questi squilibri come “un problema di qualcun altro”; al contrario, esiste una
precisa responsabilità politica e morale di garantire a chiunque il proprio “flourishing” e quindi del
63
Pogge T., Global Justice and Human Rights, Blackwell, 2001.
proprio diritto ad un “minimally adequate share of basic goods”64; ed è esattamente l’accesso a
questi beni primari che deve essere considerato l’oggetto dei diritti umani. L’appartenere a un
gruppo quale la “nazione” non costituisce una ragione valida né per considerarsi gli unici titolari dei
Molto simile è anche la prospettiva di Peter Singer nel suo One world, dove afferma con decisione
il dovere morale alla condivisione e la necessità urgente di pensare a come realizzare una maggiore
giustizia su scala globale. Singer e Pogge non si accontentano di un generico richiamo alla capacità
o al senso morale degli esseri umani: al contrario, le loro rivendicazioni di giustizia globale si
fondano sulla convinzione che esista una precisa responsabilità non solo etica, ma anche politica66.
ingiustizie più atroci. E’ difficile pensare ad un compito più drammaticamente “politico” che non la
necessità di arrivare ad una meno iniqua distribuzione delle risorse – sempre più scarse – del
Se dunque la questione dei diritti umani non può prescindere dalla questione della giustizia globale,
assoluta emergenza in cui si trova ad operare, se abbia veramente elaborato il fatto di trovarsi di
fondamentale della politica moderna67, Ma il nesso che lega obbedienza, protezione, e sicurezza non
64
Pogge T., World Poverty and Human Rights, Cambridge, 2002. I beni primari di cui parla Pogge sono
physical integrity, substinence supplies, freedom of movement and action, basic education, economic
participation, p. 49.
65
Questa è la posizione che Pogge definisce explanatory nationalism.
66
A questo proposito, la prospettiva di Rawls rivela ulteriori aspetti di debolezza. In particolare, Rawls
accetta sostanzialmente una spazializzazione tradizionale della politica. Nella sua società mondiale i popoli
accettano sì di porre dei limiti alla propria sovranità, ma lo fanno in base a un contratto, sottoscritto perché i
popoli – come i cittadini di A Theory of Justice - condividono un basic sense of justice.
67
Tale variabile è particolarmente evidente nell linea genealogica che va da Hobbes a Schmitt.
è l’unico ambito in cui spazialità e politica si intrecciano. Habermas ricorda come anche i diritti di
cittadinanza si siano articolati seguendo la polarità inclusione-esclusione. Infatti, nella storia del
discorso politico occidentale i diritti sono stati sì proclamati come droits de l’homme, ma nella
pratica storica sono stati immediatamente declinati e concretizzati come droits du citoyen, ovvero di
Il discorso dei diritti umani si intreccia dunque alla crisi della dimensione territoriale della politica.
Ciò dipende dalla crisi del concetto di ”sovranità popolare”, il principio della legittimità
democratica. Anche la sovranità popolare, infatti, si è teoricamente fondata sui “diritti naturali”
propri di tutta l’umanità, ma si è poi storicamente articolata nella dimensione territoriale della
politica.
Che cosa cambia con la globalizzazione? Da parte di molti si è osservato che ormai stiamo già
vivendo in una sorta di cosmopolis di fatto, a proposito della quale si può parlare di Human Rights
regime68. In questa prospettiva, una fitta rete di accordi e convenzioni in difesa dei diritti umani
limiterebbe sostanzialmente l’effettiva sovranità degli stati: ma basta uno sguardo alla situazione
effettiva della politica internazionale per capire quanto si sia lontani da questo scenario. Ben più
realistico è affermare, con Bertrand Badie, che i diritti umani si trovano ancora sospesi entre ruse et
raison, in una sorta di limbo fra una razionalità strumentale miope e una vera ragione pubblica69.
Il punto da chiarire quindi è come i diritti umani possano abbandonare questa zona grigia. Badie
ricorda che gli attori statuali, anche se in buona fede, non sembrano in grado di svolgere nei
confronti della società civile e della sfera pubblica una funzione essenziale, ovvero di
68
A questo proposito, Krasner interpreta la grande proliferazione di trattati sui diritti umani tipica del secolo
appena trascorso come una sorta di autocoscienza della politica moderna: signing human rights declaration is
part of the script of modernity; cfr. S.D. Krasner, Sovereignty, organised hypocrisy, Princeton, 1999, p. 122.
69
Cfr. Badie B., Un monde sans souveraineté. Les Etats entre ruse et raison, Paris, 1999.
istituzionalizzare i presupposti comunicativi indispensabili per una formazione ragionevole della
volontà politica e per l’esercizio di quella che Habermas definisce “sovranità popolare
“fluida”? I diritti umani non possono più essere declinati, come lo sono stati nella grande narrazione
del moderno, in termini di diritti del cittadino, né la sovranità popolare può essere declinata in
termini di “comunità naturale”. La crisi della politica su base territoriale/nazionale non ha come
regionali rappresenta una alternativa molto più credibile. Un livello regionale offre infatti più
chances effettive di arrivare alla formazione reale di una volontà pubblica, rappresentando un
contesto in cui tale idea non sembri più solo un monumento alle buone intenzioni, luogo in cui i
diritti umani siano oggetto del grande “discorso della politica” inteso come processo fluido e non
statico. Si tratterebbe di reti discorsive tali da render possibile una costante rielaborazione e
riflessione sulle “capabilities” degli esseri umani, come si è visto con Nussbaum. Per questo la
prospettiva rawlsiana di Law of the peoples sembra decisamente insoddisfacente, in quanto accetta,
nonostante gli inevitabili distinguo, una divisione fra politica estera e politica interna difficilmente
difendibile alla luce delle grandi sfide e dei grandi rischi che si incontrano in epoca di
globalizzazione.
Una politica post-nazionale, dunque, non può lasciarsi andare alla nostalgia delle comunità
“naturali”. Tuttavia, non si può trascurare il fatto che i diritti umani siano stati originariamente
fondati e radicati proprio in una dimensione di naturalità. La necessità di dare una fondazione non
contemporaneo70 non è certo senza passato. L’idea di condizione umana suggerisce immediatamente
una nozione di storicità, temporalità e narratività che permette di render conto anche delle
70
Cfr. il saggio di F. Cerutti, Le sfide globali e l’esito della modernità, in D. D’Andrea eE. Pulcini, a c.d.,
Filosofie della Globalizzazione, Pisa, 2002.
trasformazioni più stravolgenti che il bios umano sta subendo. I diritti umani sono quei punti
d’appoggio che garantiscono ad ogni essere umano di pensarsi e di progettarsi, di diventare ciò che
si è. L’idea di una rete di norme di protezione dei diritti umani consentirebbe quindi di affermare la
e dalla caducità.
Il pioniere degli studi sulla cittadinanza moderna è il sociologo inglese Thomas Humphrey Marshall
(1983-1981), che nel 1950 pubblicò l'ormai celebre Cittadinanza e classe sociale71. Secondo
prerogativa conferita a tutti coloro che ne sono membri, che diventano eguali nei diritti e nei doveri.
Se è vero che gli esseri umani condividono una condizione fondamentale di eguaglianza in quanto
appartengono alla stessa specie, allora si può dire che la cittadinanza l'abbia arricchita
aggiungendovi ciò che Marshall chiama "una nuova sostanza" sociale e storica.
Un inedito rilievo viene assunto dai diritti sociali: abbiamo qui un’immagine fortemente inclusiva e
progressiva che colloca lo stesso Stato sociale all’interno di un lungo ciclo storico di espansione
(nel senso che soggetti originariamente esclusi sono stati progressivamente inclusi nel suo spazio) e
di arricchimento intensivo (nel senso che i suoi contenuti si sono moltiplicati e qualitativamente
Questa immagine della cittadinanza ricapitola un insieme di sviluppi dottrinali (si pensi allo
sviluppo delle tematiche del “diritto sociale” in Germania negli anni di Weimar) e storici 72
della semantica del progresso e della democrazia del benessere. In questo contesto possono essere
analizzate le trasformazioni che investono negli anni Cinquanta le principali correnti politiche – dal
Per ricostruire la storia del pensiero politico occidentale nel dopoguerra, tuttavia, non è sufficiente
indagare le trasformazioni delle principali ideologie politiche. Essa deve piuttosto essere integrata
dallo studio dei modi in cui la dimensione sociale della cittadinanza è stata analizzata dalla scienza
giuridica74. Si è poi mostrato il rilievo nel discorso politico degli anni ’40 e ’50 della sociologia, con
trasformazioni dei paradigmi dell’economia politica che corrispondono allo sviluppo dello Stato
sociale, offrendo una breve analisi della “rivoluzione keynesiana” e dell’“economia sociale di
mercato” tedesca, ma anche insistendo sulle nuove forme di “democrazia industriale” che si
sviluppano nella cornice della produzione di massa. Negli anni in questione si è verificato un nesso
strettissimo tra cittadinanza sociale e lavoro come una vera e propria apologia della “cooperazione
sociale”. Marshall ci insegna che il modello della cittadinanza sociale si fonda strutturalmente sul
Marshall suddivide i diritti dell’individuo all’interno della società. Essi possono essere raggruppati
in tre tipi distinti, che sono gli elementi costitutivi della cittadinanza: l'elemento civile, formato dai
diritti che sono le condizioni della libertà individuale 75; l'elemento politico, ovvero il diritto di
partecipare all'esercizio del potere politico; infine, l'elemento sociale, un sottoinsieme piuttosto
indeterminato di prerogative che vanno dal diritto a minime garanzie di sussistenza economica al
della crescita a casaccio e a pezzi del sistema di sicurezza sociale nel cinquantennio precedente. Lord
Beveridge, un liberale che dirige con prestigio la London School of Economics, e che ha presieduto i lavori
del Comitato, ne assume la paternità esclusiva. Il testo, infatti, non ha ricevuto il sostegno dei membri del
Comitato.
74
Con riferimento particolare ai lavori di G. Gurvitch, C. Mortati ed E. Forsthoff.
75
Libertà personale, libertà di parola, di pensiero, di coscienza, diritto alla proprietà e a stipulare contratti,
diritto alla giustizia di fronte alla legge.
diritto all'accesso effettivo alla ricchezza societaria nelle sue varie componenti (lavoro, cure
Il Sessantotto, inteso come insieme plurale di movimenti di rifiuto del “sacrificio”, ha costituito un
decisivo punto di svolta nella storia della cittadinanza e dello stesso pensiero politico occidentale.
Nell'età moderna la classe operaia è stata inclusa nella comunità politica grazie alla graduale
acquisizione (o concessione, a seconda dei casi) della cittadinanza: gli operai hanno ottenuto diritti
civili, poi politici e infine sociali (soprattutto nel XX secolo), divenendo così pienamente parte della
comunità civile e conseguendo, attraverso la cittadinanza, anche esistenza politica. Il progresso dei
diritti di cittadinanza è stato nello stesso tempo un progresso dell'eguaglianza. Per Marshall tuttavia
la cittadinanza non è semplicemente una condizione fatta di diritti e responsabilità, era anche uno
strumento di creazione di identità che egli credeva potesse svolgere due compiti: includere la calsse
Il saggio di Marshall ha suscitato repliche e critiche per circa cinquant'anni. Fra gli altri, Brian
l'estensione dei diritti di cittadinanza avvenuta tramite l'azione di movimenti politici e sociali (dal
basso, per così dire) oppure tramite concessione da parte dei governanti (dall'alto), con risultati
molto diversi; inoltre, l'analisi di Marshall non tiene conto dei diversi modi in cui l'estensione dei
diritti di cittadinanza ha influenzato o è stata influenzata dai cambiamenti nei rapporti fra pubblico e
privato. Tom Bottomore ha notato che le tesi di Marshall devono essere riferite al contesto storico
della loro enunciazione, ovvero alla fine degli anni Quaranta, quando il governo laburista inglese
76
Turner B., Outline of a Theory of Citizenship, in C. Mouffe (a cura di), Dimensions of Radical Democracy.
Pluralism, Citizenship, Community, New York, 1992, pp. 33-62.
stava creando un servizio sanitario nazionale e di istruzione pubblica che sarebbero stati di esempio
per tutta l'Europa miranti a contrastare i privilegi di classe. Molti osservatori, incluso Marshall,
pensavano che l'Inghilterra fosse avviata a diventare una società democratica, egualitaria, forse
anche socialista, e non avevano dubbi circa la possibilità di estendere a tutti i diritti sociali. Nessuno
poi dubitava che la società inglese fosse unitaria e omogenea, superando l'unica vera divisione
sociale, quella fra le classi. La questione dell'integrazione fra culture ed etnie differenti non
appariva ancora all'orizzonte77 Questo infatti può essere considerato il limite più serio dell'analisi di
Marshall, semplicemente perché negli ultimi cinquant'anni gli Stati europei sono diventati sempre
più eterogenei dal punto di vista della cultura, dell'etnia, della religione, dei valori, dell'accesso alle
assimilazione. La cittadinanza non viene più concepita come strumento equalizzatore ma come
conferimento di identità78.
Giovanna Zincone79 sostiene che i diritti di cittadinanza si sono affermati in modo discontinuo, in
ordine sparso, per così dire, e che la sequenza ricostruita da Marshall (prima i diritti civili, poi i
diritti politici, infine i diritti sociali) non è affatto l'unica via alla piena cittadinanza. Zincone nota
che da un punto di vista storico-sociologico la cittadinanza si deve intendere come l'esito di una
gara fra élite concorrenti che tendono a massimizzare la fedeltà del popolo distribuendo benefici e
vantaggi. Tuttavia, il fatto che l'estensione dei diritti di cittadinanza sia il risultato di una lotta per il
potere in via più formale che sostanziale, i diritti di cittadinanza hanno modificato ampiamente le
condizioni dell’esistenza delle persone negli ultimi duecento anni, sia nel privato che nel sociale.
77
Cfr. Bottomore T., Citizenship and Social Class, Forty Years On, in T. H. Marshall e T. Bottomore,
Citizenship and Social Class, Londra, 1992.
78
Kymlicka, W. e Norman, W., The Return of the Citizen", in R. Beiner (a cura di), Theorizing Citizenship,
Albany, 1995, pp. 283-322.
79
Cfr. Zincone G., Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e le vie della società civile, Bologna, 1992.
Malgrado i limiti e i difetti anche seri della loro applicazione, malgrado la funzione politica
ambigua (integrare gli attori sociali marginali o riluttanti, neutralizzare il dissenso sociale,
manipolare il consenso politico: si pensi alla celebre critica di Marx dei diritti "borghesi"), i diritti di
cittadinanza sono stati lo strumento più efficace, forse l'unico, con cui migliorare la vita dei gruppi
Ciò che accade perciò è che il 'catalogo dei diritti' sia incline ad espandersi cumulativamente per
successive 'generazioni' o per interpolazioni normative legate a pure circostanze di fatto 81. E non
sono mancati filosofi e giuristi occidentali che hanno proposto un'estensione della teoria dei diritti
fondamentali anche agli embrioni umani, agli esseri viventi diversi dall'uomo e persino agli oggetti
inanimati. Ma è chiaro che l'espansione anomica del repertorio dei diritti fondamentali solleva
un'incontestabile aporia: se tutto è fondamentale, niente è fondamentale. D'altra parte è intuitivo che
i diritti fondamentali non possono essere tutti uguali - di eguale peso normativo - tanto più quando
si trovino in tensione gli uni con gli altri. Alain Laquièze ha giustamente sostenuto che più il
predicato 'fondamentale' si estende includendo una quantità crescente di diritti diversi, più
La tesi del fondamento filosofico e della universalità normativa dei diritti dell'uomo è dunque un
postulato dogmatico del giusnaturalismo e del razionalismo etico che manca di conferme sul piano
80
Zincone G., Da sudditi a cittadini, cit. pp. 142 e ss.
81
L'espressione 'generazioni' è di Bobbio ed è priva di ambizioni teoriche. P. Barile, in Diritti dell'uomo e
libertà fondamentali, Bologna, 1984, si limita ad una compilazione di diritto costituzionale positivo. Tentativi
di elaborazione teorica di devono ad autori come R. Alexy, Theorie der Grundrechte, Baden-Baden, Nomos
Verlagsgesellschaft, 1985; J. Rawls, The Basic Liberties and Their Priorities, in S.M. McMurrin (a cura di),
The Tanner Lectures on Human Values, vol. 3, Salt Lake City, 1982, pp. 1-87, trad. it. in H.L.A. Hart, J.
Rawls, Le libertà fondamentali, Torino, 1994; G. Peces-Barba Martínez, Curso de derechos fundamentales,
Madrid, 1991; L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, Roma-Bari, 2001.
82
Cfr. Laquièze A., Lo Stato di diritto e la sovranità nazionale in Francia, in P. Costa, D. Zolo (a cura di),
Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Milano, 2002. Laquieze ricorda che in Francia Etienne Picard
(L'émergence des droits fondamentaux en France, 'Actualité Juridique. Droit Administratif', 1998, numero
speciale su Les Droits fondamentaux, pp. 6 ss.) ha proposto di istituire una 'scala di fondamentalità'.
teorico, e che viene contestato con buoni argomenti sia dalle filosofie occidentali di orientamento
storicistico e realistico, sia dalle culture non occidentali. Da questa conclusione Bobbio ha inferito
un importante corollario pratico: ciò che è rilevante per l'attuazione concreta dei diritti dell'uomo
non è la prova della loro fondatezza e della validità universale 83. Anzi, questa dimostrazione rischia
di rendere intollerante e aggressivo il linguaggio stesso dei diritti. Ciò che realmente conta è che i
diritti soggettivi godano di un ampio consenso politico e che si diffonda il 'linguaggio dei diritti'
empirico e storicamente contingente, oltre che difficilmente accertabile in termini rigorosi. Per di
più, al consenso e alla moltiplicazione dei Bills of rights non corrisponde, se non molto
parzialmente e ambiguamente, l'attuazione concreta dei diritti. Una cosa è la loro rivendicazione,
Sen sostiene fortemente l'adozione di un concetto positivo di libertà, cioè una visione della libertà
come abilità concreta di fare qualcosa e di essere qualcuno, in opposizione a un concetto negativo,
Un tema importante per Sen è la rilevanza della teoria dei funzionamenti per le politiche pubbliche.
Si tratta di un tema complesso e, in modo sintetico, si può dire che la teoria dei funzionamenti
protende favorevolmente verso la fornitura pubblica di alcuni beni essenziali, come la sanità,
l'istruzione, la sicurezza sociale. A giudizio di Sen, è la presenza di tale forma di intervento statale
83
Bobbio N., L'età dei diritti, Torino, 1990, pp. 14-16.
84
Bobbio N., L'età dei diritti, cit., p. XX.
85
Vedi Sen A., Elements of a theory of human rights, in Philosophy & Public Affairs, Vol. 2, 4, 2004 , pp.
315-356.
l'incremento della ricchezza; dall'altro, la rete dei servizi pubblici fa sì che questo incremento possa
Il contributo di queste idee ad economia ed alla teoria ed alla pratica di sviluppo è ben noto e
documentato ed ha provocato un corpo di nuovi dibattiti di politica e di ricerca. Tuttavia, meno nota
fra gli economisti di sviluppo è l'importanza di queste stesse idee nel campo dei diritti dell'uomo,
soprattutto nella lotta contro la povertà. La verità è che molti professionisti dello sviluppo
rimangono altamente scettici sull'idea che i diritti dell'uomo possano essere il nocciolo centrale
delle estremità (ricchezza / povertà) e dei mezzi di sviluppo. Quella dei diritti umani è una categoria
essere considerata come una sorta di codice etico e giuridico universale non privo di imprecisioni e
confusione concettuale.
Lo sviluppo dei diritti dell'uomo è un concetto che comincia a prendere corpo verso la fine degli
anni ‘90, con gli eruditi dei diritti dell'uomo e gli attivisti, in concomitanza con la presa di coscienza
del problema della povertà globale. Si accorsero così che non vi era protezione adeguata contro la
povertà e i diritti dell'uomo venivano ampiamente calpestati. Oggi i diritti umani sono
accompagnati da un attivismo diffuso nelle società civili che si esplica con l’attività di
organizzazioni non governative internazionali come Amnesty International o Human Rights Watch.
Accanto ad esse, istituzioni come l’ONU hanno messo i diritti umani al centro di un vasto progetto
interdipendenze commerciali, economiche e politiche tra i paesi del mondo, si è venuta affermando
sempre di più l’idea che i diritti umani potessero anch’essi avere una valenza globale.
Mary Robinson, già alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, ha svolto un ruolo
essenziale a tal proposito, mettendo spesso la povertà globale all’ordine del giorno, chiamandola "la
sfida più grande dell'uomo"86. Colei che le succedette, Louise Arbour, portò avanti la sua istanza87.
86
Fonte ONU 2003.
87
Fonte ONU 2007.
Sen pone come paradigma della sua analisi il commercio degli schiavi che chiama “abitudine
inumana” ed “insulto atroce” all’umanità, al fine di capire che valenza abbia in effetti la legge nel
Partendo dall’istanza etica, è necessario verificare quanta parte occupa la formalità legale. Citando
Mary Wollstonecraft, Sen ci fa presente che esiste qualcosa che fa appello semplicemente ed
immediatamente alla presunzione che ogni persona ovunque nel mondo - indipendentemente da
cittadinanza e residenza – può porre alcuni reclami di base all'attenzione di altre persone in modo
pressochè universale.
Ma come un reclamo dovrebbe essere per esistere come diritto legale? Qual è il principio secondo il
quale un diritto diviene basilare per l’umanità? Qual è la natura della disciplina di fondo della
discussione politica?
Non ci si sorprende se abbiamo una forte tentazione di collegare i diritti dell'uomo alla legge. Vi
In primo luogo, anche se l'idea dei diritti dell'uomo ha un’origine relativamente recente, il concetto
dei diritti legali è vecchio, affermato ed ampiamente usato; vi è inoltre un ovvio stimolo a
In secondo luogo, la lingua che tratta dei diritti dell'uomo è influenzata chiaramente dalla
terminologia legale. Coloro che combattono per i diritti dell'uomo abbastanza spesso utilizzano
questo vocabolario per promuovere la nuova legislazione, di modo che il collegamento fra i diritti
Sen però prospetta che tali itinerari non sono soltanto ingannevoli, ma possono essere anche errati.
La retorica dei diritti dell'uomo porta a pensare che i diritti riconosciuti sono tali proprio in quanto
riconosciuti. Ma la vera domanda che pone Sen è piuttosto se i diritti dell’uomo sono tutti lì, cioè se
sono soltanto quelli riconosciuti o ve ne sono altri che ancora non sono stati identificati e
formalizzati. Essi diventano reali soltanto una volta trasposti nella legge?
Ancora, dobbiamo esaminare se la legislazione è l'unico percorso tramite cui i diritti dell'uomo
possano essere resi efficaci. Ci sono buoni motivi per essere scettici circa la funzione formale della
legge, che Sen chiama “parassitaria” nei confronti dei diritti dell'uomo.
D'altro canto, l'idea che gli esseri umani possano avere alcuni diritti anche senza alcuna legislazione
Il rapporto fra legge e diritti dell'uomo richiede un esame più vicino. Dobbiamo vedere i diritti
dell'uomo in un contesto più ampio, ove motivazione legale, legislazione reale e forma giudiziaria
I dibattiti a questo proposito si sono presentati per più di duecento anni. La dichiarazione di
indipendenza americana ha indicato la ragion d’essere dei diritti umani come "manifesta" e, tredici
anni più tardi, nel 1789, la dichiarazione francese dei diritti dell'uomo asseriva che "gli uomini sono
Bentham al contrario, insisteva sul fatto che "i diritti naturali sono assurdità semplice: i diritti
naturali e imprescrittibili, assurdità retorica". Tale dicotomia rimane oggi molto viva.
In realtà, nella misura in cui i diritti dell'uomo sono presi come reclami etici significativi, il fatto
Una comprensione etica delle libertà umane significa vedere tali diritti non come "leggi in attesa”.
L'etica dei diritti dell'uomo può manifestarsi con una varietà di strumenti correlati ed una grande
versatilità dei mezzi. Ciò è una delle ragioni per le quali è importante dare alla condizione etica
generale dei diritti dell'uomo il relativo credito, piuttosto che bloccarla all'interno della stretta
Roma dal titolo I diritti umani fra identità e povertà organizzato dall’associazione Humanity e dalla
l’intersezione tra il discorso sui diritti umani e quello su identità e povertà, c’erano tra gli altri il
Il discorso di Sen parte proprio dalle dichiarazioni settecentesche e, passando per la confutazione
delle critiche che Jeremy Bentham, muove alla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo,
arrivando a dimostrare che i diritti umani sono diritti di natura, e cioè appartengono all’uomo in
Bentham88, nella sua opera Anarchical Fallacies scritta tra il 1791 e il 1792, sostiene l’assurdità
(«bowling upon paper»). In sostanza dice Bentham non esistono diritti se non c’è una legge che li fa
rispettare.
Secondo Sen è riduttivo includere la classe dei diritti umani in quella dei diritti tutelati dalla legge,
perché i primi sono piuttosto una rivendicazione etica che una disposizione giuridica. Esistono
infatti dei riconoscimenti (ad es. il Diritto allo sviluppo del 1986) che hanno una valenza
internazionale anche in assenza di leggi. Non si possono considerare i diritti dell’uomo come
La classe dei diritti dell’uomo è in continua espansione rispetto alle dichiarazioni del ‘700. Alle
richieste dell’epoca, quali la libertà personale e politica, se ne sono aggiunte di altre nel corso del
continua espansione, si arriva quindi al punto più controverso del dibattito: l’universalità dei diritti
umani89. Interrogarsi sulla loro universalità vuol dire chiedersi entro che limiti sia possibile
estenderne la validità. Il retroterra teorico è quindi quello classico del rapporto tra universalismo e
relativismo, quello del ‘700. Essi sono quindi espressione della società occidentale prima ancora
Esiste a tal proposito una visione deflazionistica basata sulla distinzione tra nucleo sottile, il
cosiddetto “core” di diritti universali ela profondità delle culture locali, che invece trovano spazio
in una parte accessoria di diritti non universalmente condivisa. In sostanza, ci sarebbe una parte
minimale che è comune a tutti gli uomini, e una sostanziale che invece dipende dalla storia concreta
Il sistema deflazionistico minimale entra però in crisi spesso e volentieri, così come Sen evidenzia.
Finora abbiamo parlato di culture come un unicum, ma la realtà dei fatti è più complessa.
Nonostante oggi sia sempre più diffusa la visione del mondo come una sorta di insieme di religioni
e di civiltà secondo la convinzione che i paesi possano essere classificati suddividendoli in categorie
religiose e culturali, essa si presenta come alquanto riduttiva. All’interno di una stessa cultura
esistono persone che hanno opinioni diverse tra loro contrapposte, anche se condividono la stessa
cultura. E in genere all’interno di ogni cultura esiste un potenziale critico che rende possibile lo
svviluppo culturale al suo interno. Imporre un identità singola significa inevitabilmente provocare
dei conflitti. I fanatismi religiosi ne sono un esempio lampante. Il conflitto politico dal 1945 in poi,
(in clima di guerra fredda) ruotava esclusivamente intorno alla questione economico-sociale
motivata dalla lotta di classe. Dopo il 1989 (il crollo del muro di Berlino) esso subì una radicale
mutazione. Da quel momento in poi infatti si cominciò a parlare di identità, e cioè di religione,
89
Questo punto verrà approfondito nel prosieguo, sulla base del saggio di Sen e la posizione che Vizard
Polly manifesta nei suoi scritti più recenti.
cultura, civiltà, tradizione come veri e propri motori della lotta ideologica. Ad esse si aggiungeva la
nuova contrapposizione di classe, figlia del post-comunismo e cioè quella tra ricchi e poveri.
Qualche dato può dare l’idea di quanto questa nuova contrapposizione sia radicale e in espansione.
Oggi l’1% della popolazione mondiale (i 60 milioni di persone più ricche) ha un reddito pari a
quello posseduto dal 57% della popolazione del pianeta. Le 200 persone più ricche della Terra
dispongono di più risorse dei 2 miliardi di persone più povere. Nel mondo 800 milioni di persone
patiscono la fame, mentre altri 800 milioni hanno, all’opposto, problemi per l’eccesso di cibo che
consumano. Il bilancio di una singola grande azienda americana come la General Motors supera di
circa il 25% quello del più ricco paese dell’Africa sub-sahariana, il Sud Africa. In una grande
azienda dell’occidente lo stipendio dell’amministratore delegato spesso supera quello di 150 dei
Mai nella storia dell’uomo la ricchezza era stata ridistribuita in maniera così ineguale, tra le nazioni
e all’interno delle nazioni stesse. Non c’è dubbio quindi che le disuguaglianze, accanto alle identità,
stanno assumendo un ruolo sempre più predominante nell’interpretazione della società globalizzata,
Amartya Sen cerca quindi una quarta via al problema deflazionistico che non sia una soluzione
interculturale”: esso comporta un doppio vantaggio. Da un lato rende più facile, attraverso la
frequentazione reciproca, conoscere l’alterità delle diverse culture, con i punti di convergenza e
quelli di divergenza, e al tempo stesso promuove la consapevolezza dei problemi, da cui dipende in
ultima analisi la struttura dei diritti umani. Fondamentale è il ruolo della comunicazione fra esseri
differenti. L’occidente non solo è il luogo che ha dato origine alla teorizzazione dei diritti umani, ma
è anche la società che più li ha violati. Più è ampia la partecipazione al dialogo interculturale delle
società del mondo, più è largo il confronto che da questo deriva. Non esiste quindi una comunità o
una società che si possa elevare su tutte le altre e possa imporre la propria visione. Naturalmente il
dialogo interculturale dovrà rispettare alcune condizioni formali e sostanziali, dovendo essere libero
In sintesi, si può affermare che non esiste un nucleo statico di diritti umani valido attraverso tutte le
culture, ma esistono piuttosto articolazioni complesse di diritti di base, la cui formulazione risente
universale in specifici contesti storici e normativi. In sostanza, i diritti umani vanno mediati
attraverso la rete delle culture e delle situazioni storiche, ma al tempo stesso essi costituiscono un
limite alla auto-indulgenza culturale, ossia pongono un freno alla tentazione di giustificare tutto ciò
che proviene dalla propria tradizione culturale. Questa concezione prevede un doppio livello di
appartenenza da parte dell’individuo. Il primo è il livello etico e metafisico della propria prospettiva
culturale tradizionale, e/o delle proprie convinzioni personali. Il secondo è il livello politico, a cui
l’individuo converge insieme agli altri membri della comunità in una visione superiore composta da
elementi comuni.
Ma vediamo nel concreto come Sen affronta il tema e la ratio dei diritti umani.
Egli, nel suo saggio Elements of a theory of human rights 90 evidenzia immediatamente quanto poco
siano citati, nelle discussioni politiche contemporanee, i diritti dell’uomo. L'appello morale dei
diritti dell'uomo è stato usato soltanto per una varietà di scopi (tortura, incarcerazione arbitraria,
ecc.)91. “Vi è qualcosa profondamente attraente nell'idea che ogni persona dovunque nel mondo,
indipendentemente dalla cittadinanza o dalla legislazione territoriale, ha alcuni diritti di base, che
gli altri sono tenuti a rispettare. L'idea centrale dei diritti dell'uomo come qualcosa che la gente ha
90
Cfr. Sen A., Elements of a Theory of Human Rights, cit
91
Ibid., p. 315. Cfr. International Human Rights in Context: Law, Politics and Morals, ed. Henry J. Steiner
and Philip Alston, New York, 2000; Richard Falk, Human Rights Horizons: The Pursuit of Justice in a
Globalizing World, New York, 2000; Jack Donnelly, Universal Human Rights in Theory and Practice, Ithaca,
2003; Micheline R. Ishay, The Human Rights Reader: Major Political Writings, Essays, Speeches, and
Documents from the Bible to the Present, New York, 1997.
anche senza alcuna legislazione specifica, è visto da molti come fondamentalmente dubbio. Una
Sen prende ad esempio la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776, e la
dichiarazione francese "dei diritti dell'uomo", dove viene affermato che i diritti dell’uomo
semplicemente “sono”, esistono e sono inalienabili. Poi paragona queste Carte al pensiero di
Bentham. Sen ci spiega che Bentham tentava di intaccare la forza nella credenza di un nuovo
giorno, in cui le persone comuni avrebbero potuto far sentire la propria voce in virtù della loro
semplice umanità. Questo perché questa forza disturba quella politica che mira a detenere un potere
sulle masse.
Oltre alla teoria benthiana, vi è una categoria di persone che accetta l’idea dei diritti fondamentali,
ma non ammette che da essi possa dipendere la ragionevolezza di alcune istituzioni pubbliche come
le cure sanitarie e così via. L’aggiunta dei diritti di seconda generazione ha suscitato uno scetticismo
ancor più specializzato, dove i critici si concentrano sui problemi di fattibilità e sulla dipendenza da
Secondo Sen i dubbi concettuali devono anche essere indirizzati in maniera soddisfacente. Ecco che
lo stesso economo evidenzia la necessità impellente di formulare una teoria dei diritti umani.
Sen ci propone una teoria basata sulla coerenza, la cogenza e la legittimità. Prima di diventare leggi
accettate e rispettate dalla comunità, le idee devono prima passare da una fase teorica che si adatti
alla realtà, tanto che tale teoria entra poi a fare parte del pensiero collettivo della comunità stessa.
Questa è la condizione prelegislativa affinchè i diritti possano poi essere cristallizzati in una
normativa adeguata.
(4) attraverso che azioni possono essere promossi i diritti dell'uomo?; ed in particolare se la
come?;
(5) i diritti economici e sociali di seconda generazione vanno ragionevolmente inclusi fra i diritti
dell'uomo?;
(6) infine, come possono i diritti dell'uomo essere difesi in modo universale, dati gli svariati
(1) I diritti dell'uomo possono essere visti come richieste soprattutto etiche. Non sono
ispirare la legislazione, questa è un ulteriore fatto, piuttosto che una caratteristica costitutiva dei
diritti dell'uomo.
(2) L'importanza dei diritti dell'uomo si riferisce all'importanza delle libertà che formano il tema di
questi diritti. Sia la funzione di opportunità che la funzione di processo possono contare. Per
qualificarsi come base dei diritti dell'uomo, le libertà garantite devono essere:
- di speciale importanza;
- di influenzamento sociale.
(3) i diritti dell'uomo generano lo stimolo nelle persone con posizione forte di aiutare altri nella
promozione o nella salvaguardia delle libertà di fondo. Le statuizioni devono inoltre essere in grado
(4) l'implementazione dei diritti dell'uomo può andare ben oltre la legislazione; una teoria dei diritti
dell'uomo non può essere limitata all'interno del modello giuridico a cui è spesso incatenata. Inoltre,
alcuni diritti dell'uomo alle volte sono meglio rappresentati con altri mezzi, come la pubblica
apprezzabile. Se non possono essere realizzati a causa di istituzioni inadeguate, allora la riforma
delle stesse può costituire una parte degli obblighi. “L’irrealizzabilità degli stessi non li converte in
non-diritti”94.
(6) l'universalità dei diritti dell'uomo si riferisce ad una discussione pubblica e aperta a tutte le
Il dibattito pubblico aperto consente di colmare tutte le lacune, in particolar modo in relazione ai
casi cd. imperfetti. Una teoria dei diritti dell'uomo può, quindi, permettere variazioni interne
concetto dei diritti dell'uomo: infatti, i diritti morali sono spesso serviti come la base di nuove
legislazioni. E’ utile anche valutare i diritti umani in ragione della loro soglia: non tutti i temi
affrontati nelle discussioni pubbliche possono assurgere a rango di diritti umani, anche tenendo
La prospettiva di chance si concentra sulle occasioni reali95 che una persona ha (Sen porta
l’esempio della persona abile e quella disabile) e i funzionamenti che da queste discendono.
Altrettanto importante è la valutazione dei processi: poiché le libertà sono importanti, le persone
hanno ragione nell’invocare il rispetto delle stesse ed hanno il diritto di conoscere quali sono i mezzi
94
Ibid., p. 319.
95
Ibid., p. 342.
96
Ibid., p. 346.
Dalla violazione, o dalla non-realizzazione dei diritti significativi di fondo, l’individuo parte alla
conquista di determinati diritti. Inoltre, la persona deve essere in grado di giudicare l’incidenza della
Chiunque in una posizione di favore può fornire ragionevolmente aiuto ad altri: questo è ciò che
viene considerato da Sen come il coronamento di quegli obblighi imperfetti di cui parlava Kant.
Ma il ragionamento, sebbene sia parte del territorio etico, non può limitarsi soltanto a questo: esiste
una serie di ragionamenti pratici ai quali è necessario allenarsi. La legislazione pubblica è senz’altro
la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ONU del 1948 (forse il movimento più importante
tra le attività globali sui diritti dell'uomo nel secolo scorso) cade in questa categoria: come altre
categoria o movimenti popolari, che sollecitano la conformità a determinati reclami di base di tutti
gli esseri umani, generando una pressione sociale efficace anche attraverso una continua discussione
etiche.
all'emissione generale della corrispondenza esatta fra i diritti riconosciuti ed i corrispettivi doveri
precisamente formulati legislativamente. Le attività di appoggio delle organizzazioni sociali spesso
sono mirate al cambiamento istituzionale; queste attività possono essere effettivamente viste come
componente degli obblighi imperfetti che gli individui ed i gruppi hanno in una società in cui i
La valutazione di possibilità prende le mosse dal fatto che, anche con tutte le energie e gli sforzi
possibili, non è possibile realizzare tutti i diritti economici e sociali di cui le persone necessitano.
Questo tipo di considerazione è pragmatico. Dice Sen97: “Come possono i governi di quelle zone
previdenza sociale e le ferie pagate per milioni di gente che abita quei posti partendo da condizioni
così differenti dai paesi occidentalizzati?”. A questo proposito, allora è necessario ampliare lo
spettro delle possibilità attraverso la cooperazione mondiale e così via. Il buon senso suggerisce la
Sakiko Fukuda-Parr è un’economista che ha ottenuto il riconoscimento per il suo lavoro con il
Programm a di Sviluppo ONU (UNDP), per i suoi libri e pubblicazioni, tra cui il Journal of Human
Development, che ha fondato. Nel 1973, Fukuda-Parr lavorava presso la Banca Mondiale ed ha
giocato un ruolo importante nella scena della globalizzazione, la povertà, l’economia, la tecnologia
e i diritti umani. Nonostante l'enorme squilibrio internazionale di distribuzione delle risorse e della
ricchezza, Fukuda-Parr si dimostra ottimista per quanto concerne uno sviluppo equo. Ella ha
partecipato alla redazione del Human Development Report per dieci anni. Inoltre si è occupata
dell’attività svolta da Sen nel campo dei diritti dell'uomo in via di sviluppo.
Fukuda–Parr rivela che molti dei professionisti dello sviluppo rimangono altamente scettici sull'idea
dei diritti dell'uomo come epicentro dei mezzi di sviluppo. Ma in ogni caso, una nuova attenzione si
97
Ibid., p. 355.
è sviluppata alla conclusione della guerra fredda, aprendo lo sguardo della comunità occidentale
Mary Robinson, allora alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, ha scelto spesso
Grazie a queste due voci femminili, la comunità internazionale ha cominciato ad occuparsi della
discriminazione nei confronti delle donne e della protezione a tutto tondo dei diritti dei bambini,
tentando di usare la cooperazione come arma per esercitare la pressione sui governi meno tolleranti
e maggiormente repressivi.
Le origini dei diritti dell’uomo in via di sviluppo sono norme etiche prodotte dal ragionamento
sociale pubblico, così come insegna Sen nel corso della sua intera opera. Le norme che riconoscono
i diritti dell'uomo si sviluppano perché gli individui manifestano la necessità di migliorare alcuni
stati di vita umani che non si presentano come adeguati alla realizzazione della loro personalità
Queste norme inoltre si sviluppano perché, attraverso i mass media, la gente ha maggiore
opportunità di confrontare il proprio stato di vita con quello altrui e riconosce più chiaramente le
L'emersione recente dei diritti umani in via di sviluppo deve essere concepita come istanza guidata
dalla preoccupazione per la povertà globale come affronto alla libertà ed alla dignità umane e come
ingiustizia, dice Fukuda–Parr. Diversa è l’analisi economica della povertà come risultato economico
rapportato alle risorse e alle politiche inadeguate come causa stessa. I diritti in via di sviluppo
necessitano di una spiegazione, chiedendo un’azione effettiva anche da parte delle istituzioni di
controllo. Si pone come sfida globale tra la concezione improntata sulle leggi di mercato e le
riforme di protezione sociale. Inoltre, i diritti umani in via di sviluppo sono un'approvazione e un
supporto ai processi di democratizzazione che aumentano la responsabilità dei singoli e dei governi
stessi.
La nozione di “buon governo” (good governance) occupa uno spazio centrale nei documenti delle
La nozione di buon governo, pur delineando uno spazio teorico aperto al riconoscimento del ruolo
attivo della società civile nella definizione e attuazione di politiche di sviluppo e di cooperazione
allo sviluppo, finisce spesso per essere utilizzata prevalentemente all’interno di strategie volte ad
come universali. Significativamente, tale prassi diviene di per sé illustrativa delle tendenze generali
dell'uomo. Si tratta di una responsabilità e non di un atto di carità. Il sistema internazionale di tutela
dei diritti umani oggi crea, quando riesce, responsabilità statali. Ma è necessario andare verso un
Trade Organization (WTO) – sono in grado di avere un impatto immenso sui diritti degli individui.
protezione dei diritti umani che coinvolga non solo gli Stati, ma anche le imprese, le organizzazioni
Ancora oggi i diritti sociali appaiono all’interno di un sistema internazionale di tutela dei diritti
umani deboli. Ma oggi è risaputo che i diritti civili e politici senza i diritti economici e sociali sono
vuoti. Non è vero che la garanzia dei diritti economici e sociali richiede risorse economiche che non
tutti gli Stati hanno. Alcuni diritti non sono costosi e che non necessitano di una realizzazione
graduale, come ad esempio rimuovere le discriminazioni - tra uomini e donne, tra etnie, tra caste -
risorse o prospettare una possibilità di realizzazione soltanto graduale. Per i diritti economici e
sociali che invece richiedono dispendio di risorse e di tempo – per esempio il diritto al lavoro, alla
nazionale e locale verso una definizione delle proprie priorità e l’impegno della comunità
Fino ad oggi la prospettiva dei diritti umani a livello internazionale è stata troppo spesso
esclusivamente una prospettiva "punitiva": la denuncia delle violazioni dei diritti umani è
ragione oggi che l’era dell’informazione permette attraverso un computer di aderire a campagne
internazionali, movimenti e appelli. Ma la denuncia e il biasimo non vanno però confusi con la
condizionalità degli aiuti internazionali, in base alla quale alcuni Stati ricchi decidono di togliere o
non iniziare a dare aiuti a Stati poveri che non rispettano i diritti umani. Il venir meno di tali aiuti
peggiora certamente le condizioni economiche e sociali delle persone più povere, ma probabilmente
non sfiora neppure i governanti dello Stato "incriminato". Allora sarebbe forse meglio che gli Stati
ricchi adottassero una politica "positiva" dei diritti umani, per esempio premiando i paesi che
migliorano la propria situazione dei diritti umani con maggiori aiuti internazionali.
Nessun sistema internazionale di tutela senza la volontà, politica e operativa, di ciascuno Stato. È
allora necessario un maggior impegno perché i diritti umani siano riconosciuti e tutelati all’interno
delle Costituzioni. Ciò non significa negare il riconoscimento delle differenze culturali e sociali o
voler occidentalizzare il mondo, ma riconoscere che il rispetto e la dignità della persona umana, che
Nei suoi saggi, la Vizard evidenzia quanto i diritti umani siano stati negletti dai governi. Inoltre,
continua nell’analisi di diritti positivi e negativi, quella cominciata con Kant e finita con Sen.
ribadendo la necessità di stilare un elenco dei diritti umani il più vasto possibile.
La scrittrice si propone peraltro di fornire le basi di una struttura governativa 101 che non sia
assolutista, ma piuttosto capace di riconoscere i diritti umani in nuce. Cosa che sinora non è mai
accaduta: non per niente la dura lotta per il riconoscimento dei diritti umani è costellata di guerre
L’autrice ribadisce il diritto ad una corretta alimentazione nella categoria dei diritti umani da
particolare, appare evidente ripartire dal concetto principale di Sen, che pone al centro della sua
intera analisi l’uomo in sé, e solo come corollario delega agli stati e agli organi sovranazionali la
responsabilità di apportare modifiche agli assetti sociali, in quanto non è tanto la legge a dare una
pregnanza a taluni valori, ma sono gli uomini stessi a dare voce alle proprie istanze e a pretendere
Sen, correttamente aveva accennato alla responsabilità dell’individuo come requisito importante ai
fini del riconoscimento dei diritti di libertà. Nell’aprile 2006, Sen redigeva un saggio 102 nel quale
evidenziava i limiti della legge nella conquista dei diritti di libertà (o diritti umani). Sen ha sempre
98
La Vizard è dottore di ricerca per ESRC, centro per analisi dell'esclusione sociale, presso la London School
of Economics.
99
Vizard P., Definition of equality and framework for measurement: Final Recommendations of the
Equalities Review Steering Group on Measurement [CASE/120], aprile 2007; Developing a capability list:
Final Recommendations of the Equalities Review Steering Group on Measurement [CASE/121], aprile 2007;
The Contributions of Professor Amartya Sen in the Field of Human Rights [CASE 091], gennaio 2005.
100
Vizard P., Poverty and Human Rights : Sen's 'Capability Perspective' Explored, Nuova Dehli, 2006.
101
Vizard P., Work in progress, Freedom From Poverty as a Basic Human Right: Preliminary Classifications
Using Deontic Logic, Pavia, 2003.
102
Sen A., Human rights and the limits of law, in n. 27 Cardozo Law Review 2913, 2006.
prospettato la questione in termini di etica, un movimento individuale suddiviso in “possibilità” e
“processi”. Questo altro non è che la responsabilità del singolo, opportunamente dotato di strumenti
intellettuali idonei, anche riconoscendo i propri obblighi “negativi” nei confronti degli altri soggetti.
Questa impostazione non è stata ancora sufficientemente formalizzata, ma molte sono le voci che si
stanno levando per aiutare eticamente (e quindi non economicamente) le persone svantaggiate a
dotarsi di mezzi (soprattutto intellettivi e culturali) che consentano loro di difendere i propri diritti.
L’affermazione esplicita del valore della dignità nelle carte costituzionali europee assume un
significato preciso e vincolante: vedere nella dignità il segno distintivo della comune appartenenza
all’umanità in un reciproco riconoscimento. Al rifiuto della logica del totalitarismo, della shoa, dello
sterminio, in negativo, si contrappone l’affermazione della dignità umana come valore fondante di
Il ponte fra passato e futuro è rappresentato da questo punto di riferimento: la persona, con le sue
evidenzia sempre nuove e diverse possibilità di offesa e relative esigenze di tutela: la dignità
sempre uguale e sempre suscettibile di nuove aggressioni che necessitano di nuovi diritti. La
considerazione della dignità umana come premessa di tutti i diritti fondamentali della condizione
umana è largamente condivisa, così come lo è la richiesta di riconoscimento dei nuovi diritti, quali
quelli di terza e di quarta generazione: si pensi, per tutti, al diritto all’ambiente, al territorio, allo
sviluppo sostenibile. Se mai, v’è da restare perplessi di fronte alla constatazione che al
riconoscimento dei nuovi diritti troppo spesso si accompagnano l’indifferenza e il disinteresse per la
violazione dei diritti fondamentali più classici e tradizionali: quello alla vita, all’acqua, al cibo, alla
salute.
L’approccio al tema della dignità nelle carte costituzionali può essere duplice: o attraverso
l’affermazione di essa e della sua tutela in via preliminare (come nell’art. 1 della Costituzione
tedesca o della Carta europea dei diritti fondamentali) o attraverso specifici richiami ad essa. Il
significato letterale della dignità esprime una condizione di onorabilità, nobiltà morale,
meritevolezza di rispetto, derivanti dalle proprie qualità. Essa si traduce in un giudizio di valore. Il
passaggio dal significato letterale a quello giuridico del termine non è agevole per la sua ambiguità,
per la sua oscillazione – mutuata dal linguaggio comune – fra autonomia e libertà. La dignità è vista
nelle tradizioni costituzionali europee come valore ultimo non privo di obblighi “negativi” nei
confronti degli altri soggetti. Essa è il presupposto di qualsiasi libertà, alla quale l'uomo non può
mai rinunciare: essa è essenziale in quanto valore personale, educa all'autodisciplina, forma il
carattere e la personalità, permette lo sviluppo del singolo e quindi, per estensione, dell'intera
società civile.
Non a caso il concetto di etica della responsabilità, Verantwortungsethik, occupa uno spazio centrale
necessità di una azione educativa da parte dello Stato. Ma se tale soggetto è responsabile in quanto
contrae liberamente un patto con i propri simili, alienando in direzione del garante (lo Stato) la
quota più piccola possibile della propria libertà in funzione della difesa dalle aggressioni esterne,
allora tutto il suo agire è, per definizione, razionale e di tutto il suo agire egli è pienamente e
concetto: lo scopo della pena non è la riabilitazione sociale del reo (la qual cosa presupporrebbe
un’idea dello Stato pedagogo e quindi postulerebbe la tirannide come la migliore forma possibile di
complementari: solo l’uomo libero può rispondere delle proprie azioni e solo chi può rispondere
responsabilità e quindi come lotta contro l’apparato di dominio dello Stato assoluto. E’ per questo
che la teoria liberale è severissima riguardo ai confini da porre all’arbitrio del potere statale, in
quanto ogni limitazione della libertà individuale è anche una limitazione della responsabilità
individuale. Se nessuno è libero, infatti, nessuno risponde delle proprie azioni. Spogliando il singolo
di qualunque libertà e perciò anche di qualunque responsabilità grazie alle teorie politiche stataliste,
egli eguaglia un minorato in completa balia dell’autorità statale, che se ne fa carico sottraendogli
La libertà invece esige responsabilità, che si configura, anzitutto, come forma logica che consente di
rispondere del proprio operato. Qualunque azione tesa a limitare la libertà deve essere messa in
sostituisce ai singoli. Riappropriarsi degli spazi di libertà che dovessero essere stati sottratti dallo
Stato è pertanto un atto di piena responsabilità. Infine, non si ha libertà e responsabilità senza
l’esistenza di una comunità tesa a a definirne i limiti. L’azione politica della ricerca di un’etica
dell’agire umano è quindi possibile al di fuori dei confini della sfera di influenza dello Stato, nel