Essere e apparire come “noi kanak” (nuova caledonia)
Ci troviamo in Caledonia (comunità francese d’oltremare situata nel pacifico vicino all’australia) e riflettiamo su “noi, kanak” formato in epoca coloniale. David Chappell, uno storico ne parla come un arena di etnogenesi, dove le comunità culturali si differenziano dalla percezione che ne hanno gli altri. Il festival della Melanesia del 2000 è considerato il momento il cui il popolo kanak prende coscienza di essere tale, di essere una realtà tangibile e visibile, portatrice di una cultura. Questi abitanti di questa zona si riunirono per la prima volta in prossimità della città di Noumea per esibire la propria cultura, seppur contente all’interno una rilevante eterogeneità. Kanakè titolo di una pièce teatrale che metteva in scena l’incontro tra i conquistatori europei (soldato, missionario, commerciante) e il popolo kanak, con l’idea di far rivivere allo spettatore quei momenti, per mettere in atto un nuovo modo di gestire in futuro le relazioni fra etnie differenti, sulla base di un reciproco riconoscimento. La trama della pièce è scritta da Jean Marie Tijbaou, leader del movimento indipendentista kanak, con la collaborazione di uno scenografo europeo, mise in scena la vita, la morte e la resurrezione della società kanak, mise in scena l’incontro (Coutume = insieme di pratiche rituali, la vita di questa comunità si divide in 3 grandi momenti, nascita, matrimonio, morte.) tra la comunità autoctona e quella europea in uno slancio di rinascita comune. I kanak dopo aver preso coscienza di essere stati messi nelle riserve e considerati tribù durante il regime dell’indigenato (1887-1946) i kanak rivendicano ora il primato di autoctonia del territorio, e chiedono di essere riconosciuti come parte della storia. Questa colonia fu fondata nel 1853, era una colonia penale, fu il risultato di un esperimento sociale che voleva costruire una nuova società mescolando i migranti condannati con quelli attratti dalla promessa di un futuro brillante in queste terre lontane. I francesi ne fecero un contenitore per le classi pericolose e umili. Il codice civile francese non era esteso infatti a tutti gli abitanti delle colonie, c’era differenza fra cittadini e soggetti francesi (solo nel 1946 si da la cittadinanza anche agli abitanti delle colonie). Secondo Isabelle Merle nella nuova caledonia gli autoctoni furono lasciati in una situazione di non definizione, in un testo giuridico del 1915 si definiva indigeno chi era di razza malesiana o polinesiana, e non avevano gli stessi diritti dei cittadini francesi. Qui a differenza di altre zone dell’oceano indiano non si formarono gruppi intermedi fra kanak e non kanak, il bambino nato da un matrimonio misto, poteva diventare sia kanak sia europeo a seconda della linea di discendenza. Era quindi lo statuto giuridico insieme all’appartenenza e non il colore della pelle a decretare se si apparteneva a una o all’altra società. Gli anni 70 del 1900 furono molto importanti per tutta l’Oceania, perché alcune isole ottennero l’indipendenza dai governi coloniali europei. In caledonia ci furono numerosi fermenti, assistiamo a forti ondate migratorie da isole vicine a causa della crescita del prezzo del nichel. Dall’altra parte questa zona si stava occidentalizzando grazie a gruppi rivoluzionari. In questi anni emerge la figura di Jean Marie Tjibaou che ebbe l’abilità di proiettare la società kanak nel “non ancora”, si chiedeva come si poteva essere kanak nel mondo moderno, di fronte ai cupi scenari della colonizzazione. Questo lo portò a domandarsi chi è kanak e da dove proviene, il suo testo “come un vasto inventario culturale” aveva l’obiettivo di svegliare un popolo oppresso da una condizione di sfiducia e vergogna e portare alla luce le proprie fondamenta storiche e culturali ricordando i legami sociali fra le varie tribù che erano state spazzate via dal regime indigeno. Questa necessità di identificarsi come kanak è il primo passo per una conquista identitaria. Ci si chiede se questa necessità di auto identificarsi nasce come risposta alla presenza coloniale, in che misura era già presente questo popolo kanak. In questo capitolo ci si domanda se i kanak siano un’invenzione coloniale o occidentale. Oltre il paradigma “costruzionista” Nonostante il grande successo il festival Melanesia 2000 venne criticato e boicottato dagli estremisti kanak, alcuni di loro laureati in Francia accusarono il festival di aver folklorizzato e prostituito la cultura kanak. Mentre Tjibaou considerava l’emancipazione politica in termini culturali, psicologici e etnici, Fote Trolue uno tra gli studenti dissidenti era convinto che il più grande errore di Melanesia 2000 era quello di voler fare della cultura un strumento politico di rivendicazione, in quest’ottica il festival appare come una strumentazione della cultura kanak. L’antropologo Alain Badadzan nel suo “le spectacle de la culture” secondo lui con il festival si volle promuovere il valore della cultura indigena con fini nazionalistici. Tra gli anni 80 e 90 in ambito antropologico si sviluppò un dibattito sulle politiche della tradizione, con riferimento ai movimenti autoctoni e anticoloniali che pervasero le società native delle isole del pacifico. Negli anni 70 quando emersero alcuni stati indipendentisti queste popolazioni iniziarono a domandarsi quale stile di vita se quello Occidentale o quello Malesiano oppure entrambi potessero resistere al mondo moderno. Questa rinascita culturale venne analizzata da alcuni antropologi tra cui Tonkinson come un’ideologia politica malesiana. Questo paradigma detto anche “invenzione delle tradizioni” venne studiato da molti antropologi per comprendere gli usi politici e strategici nelle aree francofone. Da qui le posizioni dei costruzionisti e dei primordialisti, per i primi il processo di etnogenesi della società kanak si ridurrebbe alla fabbricazione della cultura occidentale, mentre per i secondi i kanak sarebbero sempre esistiti come gruppo etnico che ha una propria cultura, religione e storia. Per l’antropologo Paul Connerton ogni inizio è collegato a qualcosa di preesistente, noi fondiamo le nostre esperienze su un contesto preesistente, e queste tradizioni, questi pensieri impediscono la creazione di una nuova realtà. Questa idea ci riporta al pensiero di Tijbaou primo a aver teorizzato la “riformulazione permanente” si tratta per lui della capacità di dialettica di posizionarsi nel presente storico e allo stesso tempo di guardare oltre, verso il futuro kanak degli anni 2000, un costante gioco di equilibrio fra la ricerca dell’identità e l’acquisizione di nuovi elementi culturali che fanno parte della vita quotidiana. Tuttavia Tijbaou non si inserì mai completamente dentro l’idea del “pacif way” può forse essere accostato all’esperienza del “we are oceans” proprio perche rifiutò di confinarsi in un politica esclusivamente etnica o nazionale, progettò più una politica indigeno-cosmopolita, qui si cita Remotti secondo cui per la costruzione di un noi bisogna guardare si alla coerenza e alla stabilità del noi ma anche ai valori della molteplicità e del mutamento. Malesia 2000 fu una sorta di sintesi identitaria della società kanak risultato dell’unione fra lo sguardo esterno e interno. Secondo Eric Wittersheim furono 2 gli aspetti principali dei movimenti di rinascita culturale degli anni 70: la riappropriazione e la rivitalizzazione, spinti dalla necessità di conoscere la propria cultura. Così il noi kanak viene incorporato al noi europeo. Fabietti infatti afferma che i nomi dei popoli sono spesso il frutto di un’imposizione esterna e di un’elaborazione culturale del gruppo dominante. Kanaka è un termine polinesiano di origine hawaiana che significa essere umano. Grazie ai marinai e ai commercianti anglofoni si diffuse in tutto il pacifico. Come afferma Frederich Angleviel, caledone, autore di uno studio approfondito tra il 1840-72 il termine kanak venne assorbito nel francese locale per indicare gli indigeni del territorio. Secondo il suo studio dal 1970 il termine “canaque” venne via via sempre più utilizzato per indicare gli indigeni, mentre per i coloni si utilizzava il termine caledoni. La dicitura kanak è stato il frutto di un’elaborazione interna, inizialmente kanak veniva usato dai francesi in termini dispregiativi, ma gli indigeni lo utilizzarono come segno di protesta per identificarsi, e alla fine diventò un termine di orgoglio etnico. Simile è la storia del termine “coutume” termine che gli europei utilizzano per indicare tutte le cose che non comprendono, per i kanak è invece la loro maniera di vivere. L’associazione tra kanak e coutume divenne fondamentale nel processo di creazione dell’identità kanak. Ci si domanda se in qualche modo l’assenza di un etnonimo in età coloniale potesse rappresentare l’assenza di un’unità collettiva. I francesi hanno gettato senza dubbio le basi per un’organizzazione sociale o politica, ma prima del loro arrivo esistevano già raggruppamenti di persone che parlavano uno stesso dialetto, avevano un gruppo parentale e appartenevano a un territorio, che poi nel XIX saranno chiamati clan. Maurice Lenormand figura di spicco nella Caledonia degli anni 50 e 60 del 900 affermava che inizialmente il concetto di collettività si legava a quello di parentela, e così si nascevano questi clan che si spartivano il territorio e la politica. Nonostante le cose oggi siano cambiate, persiste il concetto di clan. La sua organizzazione è così ripartita: chef ovvero il primogenito, colui che è legato con lo spirito ancestrale, il garante della memoria e del passato del gruppo, come si legge nella charte du peuple kanak, il ruolo dello chef assicura la coesione del clan, consulta gli altri capi clan prima di prendere decisioni importanti. Ci troviamo di fronte a un’organizzazione “radio-concentrica” questa si riflette anche nella forma architettonica, la capanna è il simbolo della società kanak. Sul tetto delle case, spicca una figura di legno, che rappresenta l’essere ancestrale. Il potere dello chef è un potere spirituale. La società kanak è forma da gruppi individuali, anche se con Melanesia 2000 si è arrivati a una nozione unitaria fra tutti questi vari clan sparsi sul territorio.
Nous le kanak, on est d’ici et pas d’ailleurs
Fin dai primi anni della colonizzazione la popolazione kanak venne confinata in spazi limitati, con il sistema delle riserve si limitarono dei territori, creati apposta per gli indigeni, infatti la popolazione kanak non fu riconosciuta subito come fonte di manodopera e utilizzata. Il regime de l’indigenat istituito in caledonia nel 1887 proibiva ai kanak di uscire dalle loro tribù, li obbligava a pagare imposte e li accusava di stregoneria e nudità, e questo regime fu in vigore fine al 1946. Gia in epoca pre coloniale i kanak svilupparono come afferma Chappell una tradizione di diversità, di movimento. La terra era l’elemento che esprimeva l’identità personale, classificando le persone come nativi o stranieri, secondo la cultura kanak è il luogo a formare l’identità sociale. L’idea della terra, fu una questione portata avanti dai primi politici indipendentisti che sostenevano che le terre dovessero essere restituite ai kanak in quanto elemento costitutivo della loro identità sociale. Quindi il primo passo per ritrovare la propria identità era ritrovare il loro spazio vitale. A partire dagli anni 70 si è aperta la questione se i kanak fossero stati gli ultimi abitanti prima dell’arrivo degli europei o i primi (popolazioni che si stabilirono qui prima). Quindi hanno fissato a 3000 anni prima dell’arrivo degli europei l’inizio della loro storia e cultura. Per rispondere alla domanda se i kanak siano un’invenzione occidentale e coloniale, possiamo ammettere che i kanak erano già esistenti sul territorio prima dell’arrivo degli europei, seppur in forma diversa dall’idea di “popolo”. Dall’altra parte la colonizzazione ha sicuramente portato i kanak a identificarsi in un popolo autoctono che lotta per la propria indipendenza, che è arrivata con l’accordo di Noumea. In questo senso Malesia 2000 può essere considerato l’inizio del percorso sul modo di essere kanak. Il riferimento principale è stato sicuramente a una concezione patrimoniale e nazionalistica della cultura a imitazione di quella europea.