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UNA COSA CHE COMINCIA PER ELLE

(rivisitazione di un racconto di Buzzati)

Arrivato al paese di Sisto e sceso alla solita locanda, dove soleva capitare due tre volte all'anno,
Cristoforo Schroder, mercante in legnami, andò subito a letto, perché non si sentiva bene. Mandò
poi a chiamare il medico dottor Lugosi, ch'egli conosceva da anni. Il medico venne e sembrò
rimanere perplesso. Escluse che ci fossero cose gravi, si fece dare una bottiglietta di orina per
esaminarla e promise di tornare il giorno stesso.
Il mattino dopo lo Schroder si sentiva molto meglio, tanto che volle alzarsi senza aspettare il
dottore.
Si sporse alla finestra della locanda: l’incerto clima di marzo apriva finalmente le porte ad aprile,
ai primi tepori e alla fioritura di azalee e magnolie. Nei campi l’esplosione dei fiori di pesco
sembrava volgere a mani aperte verso il cielo il canto delle primule e delle margherite.
“Presagi” pensò “magnifici presagi, messaggi di vita da custodire”, e tornò alle sue
occupazioni.
Stava facendosi la barba quando si presentò il medico. Entrato che fu, si affrettò a comunicare
che nelle orine non vi era nulla di preoccupante, ed annunciò una compagnia, un certo don
Valerio, che lo avrebbe accompagnato per la visita successiva e che invitò ad accomodarsi.
"Sono qui in qualità di amico” disse il medico come per giustificarsi “le vostre condizioni sono
ottime ma vorrei farvi un piccolo salasso. Vi farà sentire bene. Questione di due minuti".
Schroder acconsentì quasi senza fiatare. I presagi mattutini erano ancora vividi nella sua mente
perché vi fosse spazio per bizzarre insinuazioni. Applicò da solo le sanguisughe ai polsi, mentre
il medico e l’individuo che lo accompagnava osservavano a distanza.
Un lungo mantello avvolgeva lo sconosciuto nonostante il clima mite suggerisse meno cautela
e ad una più attenta osservazione entrambi gli ospiti mal celavano una certa circospezione.
Pian piano si avviò una conversazione che assunse i tratti di un quiz, procedendo lentamente e
per indizi: don Valerio conosceva Schroder, ma Schroder non conosceva don Valerio; giorni
prima don Valerio aveva visto Schroder strattonare un mendicante perché lo aiutasse a tirar su
la carrozza fuori strada per via del mal tempo, ma Schroder non aveva visto don Valerio e
d’altro canto come avrebbe potuto? Costui si trovava al riparo dalla pioggia dietro un cespuglio.
“Quindi?” chiese il medico con atteggiamento inquisitorio.
“Quindi?” rispose Schroder il cui aspetto da rubicondo che era iniziava a tramutarsi in cereo al
contrario di quello delle sanguisughe.
“Ricordate il campanello che il mendicante portava con sé suonandolo in continuazione?”
chiese don Valerio.
“Il campanello?” ripeté il mercante. Più parlavano e più la vicenda anziché dipanarsi si faceva
confusa.
Insomma, tra una domanda e l’altra alla fine si dimostrò che l’incontro con il mendicante dal
campanello facile era la causa di quella visita inaspettata. La conclusione gettava il povero
Schroder in uno stato di sconcerto acuito dalla sensazione che gli oggetti della stanza stessero
perdendo i contorni. Fu allora che gli fu rivolta la frase decisiva, che però giunse al povero
mercante impastata:
“Oggi, mio caro Schroder, io e don Valerio siamo qui a causa di una cosa che comincia per…” e
pronunciarono una lettera che prontamente si perse nel ronzio che impossessava la testa di
Schroder. Ora ogni cosa gli arrivava dilatata a dismisura: le sanguisughe, la bocca del medico, gli
occhi di don Valerio, le loro parole e quella lettera espansa. Una eeessssseeee. Una
eeeemmmmeeeee. Una eeeeeffffffeeeeee. Una eeeeellllllleeeee.
“Sì, una ELLE! Una cosa che comincia per elle! Allora elle, elle fa rima con bretelle, fiammelle,
sorelle, ciambelle”.
“No, non deve fare rima ma deve iniziare per elle” insistevano i due amici ancora più enigmatici
incapaci ormai di celare il loro fremito.
“Su, Schroder, su, per elle, EL-LE”.
Al povero Schroder scoppiava la testa, il ronzio aumentava, la luce si affievoliva, udiva dei suoni
come di campane. Fu allora che si rese conto che elle faceva rima con campanelle, e ripensò al
mendicante, al suo volto nero e alla campanella. Che stupido era stato, che stupido, pensò. Elle,
elle come LEBBRA.
“La lebbra” pronunciò con un filo di voce, il volto esangue, “la lebbra”.
“La lebbra” ripeterono sconfortati, “non la lebbra, non la lebbra. Un’altra elle, Schroder,
un’altra elle” e vedendo l’uomo smarrito più che mai il medico non si trattenne più e urlò:
… la LISCÌA… la cosa con la elle è la LISCÌA…”. E poi in coro: “Pesce d’Aprile!”, spernacchiando
in una sonora risata. Eccitato il medico fece cenno a don Valerio di aprire il mantello. Sotto
apparve, sussultante a suon di risate, il disegno di un grosso pesce sferico e colorato su cui
spiccava la scritta “Pesce d’Aprile”. Poi si presero a braccetto e ballarono intonando:
“parapapparapapparapappà, parapapparapapparapappà,
parapapparapapparapapparapparapparapapparapappà”
ridendo, ridendo a squarciagola e con le lacrime.
“La liscìa” ripetevano, “la liscia” e ridevano, e ballavano, e cantavano:
“parapapparapapparapappà, parapapparapapparapappà,
parapapparapapparapapparapparapparapapparapappà…, su, Schroder, balli con noi,
parapapparapapparapappappa”.
Schroder, ormai sulla soglia del deliquio, era completamente alienato, non distingueva più tra
gli ospiti e le sanguisughe. Si sentiva come se queste si fossero messe a ballare su di lui. “La
lebbra”, pensò, “La lebbra! Che brutta bestia! Ti si insinua sotto pelle, nelle cavità cerebrali, ti
invade e si appropria di te togliendoti ciò che non vorresti mai cedere: la dignità”.
“La lebbra, brutta bestia” furono le ultime parole che sussurrò tra gli schiamazzi del medico e
di don Valerio.
Fu allora che bussarono insistentemente alla porta. Il medico ricomponendosi andò ad aprire
mentre don Valerio continuava a cantare a squarciagola:
“parapapparapapparapappà, parapapparapapparapappà,
parapapparapapparapapparapparapparapapparapappà”.
Nella penombra del pianerottolo un uomo porgeva un cappello: “È del signore che alloggia in
questa stanza, può darglielo per cortesia?”
“Volentieri” rispose il medico.
Chiuse la porta e tornò da don Valerio. Ad un tratto uno scampanellio rimbombò nel corridoio.
Il medico sbiancò, poi però non si udì più nulla.

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