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20 ottobre 2022 - 08:55 > Versione online

Bo, Gadda e Piccioni letteratura e fedeltà

Letteratura come vita. È una scelta che ha investito tutti i campi dell’esistenza dei tre
scrittori, legati tra loro nell’arco dell’intera vita. Come testimoniano le lettere inedite tra i
due critici letterari di cui si è parlato alla Fondazione Carlo e Marise Bo
“Col nuovo sole ti disturberò – Lettere, scritti e detti memorabili” di Carlo Emilio Gadda e
Leone Piccioni (Succedeoggi Libri 2022), e “Leone Piccioni una vita per la letteratura”,
che raccoglie gli atti del convegno a lui dedicato (Succedeoggi Libri, 2021). Sono i due
volumi di cui si è parlato alla Fondazione Carlo e Marise Bo di Urbino. Ne hanno
conversato Salvatore Ritrovato, Alberto Fraccacreta, Roberto M. Danese, Silvia Zoppi
Garampi (che li ha curati) e Gloria Piccioni, di cui pubblichiamo la relazione dedicata al
rapporto tra suo padre Leone e Carlo Bo .

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Sono grata e intimidita di trovarmi a parlare in questo tempio della cultura intitolato a
Carlo e Marise Bo. Me lo consente il mio ruolo di “editore” – insieme a Nicola Fano e
Rossella Baldi – di Succedeoggi Libri, e sono orgogliosa di rivestirlo avendo pubblicato
volumi come Col nuovo sole ti disturberò di Carlo Emilio Gadda e Leone Piccioni e
Leone Piccioni una vita per la letteratura – i due libri di cui qui parleremo – ma anche
come Le Romantiche di Marise Ferro e Un segno indecifrabile di Carlo Bo . Ma c’è
un’altra specificità nella quale mi piace riconoscermi e che vorrei che motivasse anche
meglio il mio essere qui oggi. È quella di testimone: una figlia che testimonia della
relazione di suo padre con il suo grande amico Carlo Bo . Se me lo consentite,
dunque, vorrei brevemente intrattenervi sulla relazione tra Carlo Bo e Leone Piccioni,
in cui è ovviamente presente Marise Ferro e che si ricollega anche a Carlo Emilio Gadda
che Bo ben conosceva. (Ricordo come Carlo, alla fine di molte cene condivise,
sollecitasse il Babbo a raccontare di Gadda, dei suoi “detti memorabili” contenuti nel
libro Col nuovo sole ti disturberò…).

Ma per dire di Carlo e il Babbo, non ricorrerò al mio lacunoso sapere, né ai miei ricordi –
che sono tuttavia tanti e che riguardano ogni tempo della mia vita in cui ho avuto il
privilegio di entrare in questa relazione, vivendo un legame che poi nel tempo si è
saldato in modo autonomo, anche qui a Urbino quando frequentavo l’Università. Per dire
di Carlo Bo e di Leone Piccioni, ricorro al fitto e prolungato scambio epistolare che i
due hanno intrattenuto dal 1950, via via diradandosi fino al 1980, quando l’abitudine di
sentirsi al telefono ha sostituito la parola scritta. La mia ricognizione, del tutto
“impressionistica” – la ricognizione di “una non addetta ai lavori”– si è potuta svolgere
consultando la corrispondenza di Carlo indirizzata a Leone, conservata insieme agli altri
epistolari di mio padre e a una parte della sua biblioteca, all’Archivio Centrale dello Stato
di Roma. Molte lettere brevi, forse un centinaio data la mole della cartella che le contiene
e la finezza della carta da lettere. Sono lettere che probabilmente deluderebbero chi si
aspettasse di trovarvi considerazioni sui massimi sistemi della letteratura, ma in cui

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molto traspare della letteratura di cui Bo e Piccioni hanno contribuito a fare la storia.
Nelle prime missive datate 1950, Carlo si rivolge a Leone con il “lei”, ma quando si
passa al “tu” si avverte subito che tra loro si è stabilita molta confidenza. Le prime lettere
riguardano i termini della collaborazione alla Terza pagina del “Popolo” diretta da mio
padre, nella quale aveva appunto invitato Carlo a collaborare. Una collaborazione che
da lì in poi si estende alla radio per cui Carlo propose e condusse una serie di interviste
che si doveva articolare in 10/12 puntate. A questo proposito Carlo racconta di come gli
intervistati (Ferrata e Sereni, per esempio) fossero bisognosi di guadagnare e dunque di
ricevere un compenso per l’intervista (Carlo ne parla ad Angioletti, di cui ricorre il nome
insieme a quello di Seroni, di Gadda e di Cattaneo, a cui Bo invia attraverso Leone i suoi
saluti). Per la “rivista” e per il giornale, Carlo chiede di recensire libri di Ungaretti, di
Gadda e di autori francesi. In una lettera di Bo del gennaio del ’51, si legge. «Ho avuto la
visita del bischeraccio: ti dirò a voce le sue incredibili osservazioni (ma ci siamo
accordati)». Mistero fitto, almeno per me, su chi sia “il bischeraccio”. Nel marzo del ’51,
allegato a una lettera che riporta quella data, c’è un lungo testo con sei risposte raccolte
da Carlo sul neorealismo nel cinema italiano, destinate alla sua rubrica radiofonica di
interviste e successivamente raccolte in volume. Forse lette alla radio in quella stessa
circostanza che dà al Babbo lo spunto per raccontare un aneddoto in “Identikit per Carlo
Emilio”? «(Gadda) – scrive Piccioni – correggendo il testo di una rassegna
cinematografica, trovò un elogio del cinema neorealista italiano. Al lato del foglio scrisse
un suo giudizio, come del resto faceva spesso: “Macaco!”. Quando l’annunciatore lesse
il testo fornitogli, pronunciò: «Il neorealismo macaco del cinema italiano».
Dal febbraio del ’52, alcune lettere alludono ai colloqui avuti o da combinare con
Vallecchi per far nascere una nuova rivista. E si nominano iniziative per la nascita di
altre rivista, una diretta da De Benedetti, un’altra da Vittorini. In data 12 aprile 1952:
«Carissimo, un piccolo grazie per Dizzy (immagino sia un disco di Gillespie, passione
che Leone ha voluto condividere con l’amico). Le 100 dei Fabbri erano poi 80: i misteri
dei milionari sono infiniti come quelli di Dio. A parte gli scherzi ti avverto che la Vittoria
Guerrini (Cristina Campo) farebbe volentieri la segretaria della rivista». E nel post
scriptum di Marise: «Caro Leone, si ricorda la mia proposta su George Sand? Se
accetta, mi dica di quante pagine deve essere il manoscritto. Buona Pasqua e molti
affettuosi saluti dalla sua Marise». Per l’“Approdo”, Carlo prepara uno scritto su Santa
Teresa. Per un numero della “Fiera letteraria”, curato da Leone e interamente dedicato a
Ungaretti, vuole scrivere di Un grido e paesaggi.
Premi letterari: si parla del Premio Taranto, del Pietrasanta che
Angioletti vuol fare rinascere, del Marzotto. C’è una lettera di Bo,
datata 10 settembre 1956, che se fosse datata un anno più tardi si
potrebbe riferire al mancato premio Marzotto a Gadda. Suona così:
«Carissimo Leone, quella sera scappai da Roma schiumante di
rabbia per la mascalsonaggine di certi individui e la viltà degli altri.
Dal mio silenzio avrai capito che purtroppo rimasi soccombente. Per il
grosso non si decise nulla: ci si ritroverà il 21. (…) Mi è rincresciuto
molto non essere riuscito in quello che era un mio vivo desiderio e mi
sembrava un atto di giustizia: spero che lo capirai». Certamente
Carlo si riferisce a tutt’altro, ma la non designazione di Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana come libro vincente al Marzotto del 1957, come
bene ricostruisce in Col nuovo sole ti disturberò Silvia Zoppi Garampi, fu piuttosto
clamorosa. Scrive Piccioni a Gadda il 5 agosto 1957 di aver visto Bo a Firenze, che gli
ha riferito della «brutta impressione» ricevuta da alcune «merde del Marzotto», quei due
o tre giurati che «non gradirono il feroce sarcasmo del Pasticciaccio nei confronti di
Mussolini». Del resto Gadda, che sul premio riponeva qualche speranza, del resto
alimentata dalla stessa speranza di Piccioni, scrive a Leone: «Al Marzapane vorrei non
pensare, perché una lunga alternazione di speranze-delusioni mi stanca: e poi, se sono

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nemici e neo-fessi, come mi hai detto di P.e di S., non posso e non voglio avere un
premio dai nemici». Il riferimento è ad Antonio Pagliaro e a Edoardo Soprano.
Del ‘53 una lettera che si riferisce al libro di Leone Sui contemporanei pubblicato dai
Fratelli Fabbri Editori: «Carissimo Leone, oggi i Fabbri mi hanno dato il tuo libro. L’ho
subito sfogliato e poi ho letto il capitolo che mi hai dedicato. Te ne ringrazio di cuore, sei
stato così buono da farmi arrossire, da stentare il riconoscimento. Soprattutto se penso
alle mie colpe, alla mia miseria, a tutto quello che ho sciupato per inerzia e accidia. Mi
auguro che un consenso così largo come il tuo mi aiuti a riprendere lena e coraggio.
Grazie dunque di cuore a abbiti un abbraccio fraterno, Carlo. P.S. Saluta Osanna anche
da parte di Marise. Risponde Leone: «Carlo Carlino, ricevo la tua lettera che mi ha
davvero commosso anche perché quelle poche pagine che ti ho dedicato mi parvero
frettolose e insufficienti a precisare i motivi della mia ammirazione per te e per il tuo
lavoro. Ma grazie di aver compreso l’intenzione che mi guidava. Più in qua, quando ne
avrai avuto con calma il tempo, ti sarò grato se mi dirai francamente cosa pensi del
libro… ». Più tardi Carlo chiede, in una lettera del ’54, di poter recensire Sui
contemporanei perché gli «consentirebbe un lungo discorso sulla critica ai giovani». Non
mancano altri scambi successivi per ringraziarsi dell’interesse espresso in libri, giornali o
riviste, ora dall’uno ora dall’altro, su reciproche o altrui opere. In un telegramma:
«Appena tornato leggo tuo splendido articolo che mi commuove Gratissimo
penetrazione et intelligenza critica Abbraccioti molto affettuosamente Grazie Carlo».
Altro telegramma: «Ricevuto libro ringrazioti dedica che mi onora et commuove Ti
abbraccio». O, in una lettera di Carlo: «… (il tuo pezzo su Pavese è piaciuto molto e non
solo a me: sei rimasta l’unica voce libera, e quale elogio più bello ti si può fare?).

Leone e Piero Piccioni a Venezia nel 1957, anno del processo per il Caso Montesi
In molte occasioni i due amici si testimoniano affettuosa vicinanza in momenti dolorosi
della loro vita: nel ’61, rispondendo a Leone nella circostanza della morte della sorella,
Carlo la definisce un’esperienza «spaventosa, al di là della più disperata
immaginazione». Prima, nel ’53 e nel ’54, Carlo è molto presente nei giorni cruciali del
Caso Montesi, la terribile vicenda giudiziaria in cui fu coinvolto Piero Piccioni, nata per
colpire il padre Attilio destinato a succedere a De Gasperi. Piero fu completamente

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scagionato dall’accusa di omicidio nel 1957: «Caro Leone… spero che presto sia
passata per voi questa mareggiata di miserie e di fandonie»… Da Sestri, il 14 agosto del
‘53: «Carissimo Leone, ho pensato molto a te e a tuo Padre in questi giorni, alla fatica,
alla noia e alla rabbia: ti ho seguito anche sulle foto dei giornali e ho notato le tue
smorfie di disgusto. Deve essere meglio la letteratura, e ancora!». E nei giorni successivi
all’arresto di Piero, nel settembre del ’54: «Carissimo Leone, se non ti ho mai scritto in
questi giorni dà la colpa alla mia vergognosa inerzia ma credi che ti siamo stati e ti
siamo costantemente vicini col cuore. Vicino a te, a Osanna e ai tuoi. Coraggio, se ti può
in qualche modo portare un po’ di sollievo sappi che i tuoi amici ti vogliono bene e ti
augurano la serenità… Ti abbraccio Carlo». E, per mano di Marise: «Ti sono vicina con
tutto il cuore». Risponde Leone: «Caro Carlo, come non esserti grato? Non solo del tuo
biglietto, così tempestivo e così affettuoso (ed ho preso buona nota dell’altra firma e dì a
lei del mio ricordo affettuoso e del mio grazie!), ma per tante altre gesta tue, ho saputo,
in piazze, bar e strade di Firenze in difesa di Piero e dunque di me, e dunque di noi. Ti
abbraccio affettuosamente e a presto spero, il tuo Leone». Nonostante il drammatico
momento non manca in una di queste lettere una chiusa divertente. Conclude Carlo,
nell’agosto del ‘53: «Le ragazzine del Forte (Forte dei Marmi) non si vedono in nessun
altro luogo: qui da noi è roba di famiglia, a Portofino ci sono delle vecchiacce». Del resto
i due personaggi non mancavano di spirito, e anche tra loro il gioco dell’ironia era molto
frequentato. Scrive Leone in chiusura di una lettera del ’54: «Marise? Ha sempre
intenzione a passarti un mensile e a lasciarti libero? Salutala tanto anche da parte di
Osanna… ».
Nel maggio del ’57 Carlo e Leone si scambiano lettere per l’organizzazione della
presenza a Urbino di Ungaretti. L’“Antico” sarà ospite dell’Università. Tra i presenti
anche Nicola Lisi. Scrive Carlo: «…faremo una bella festa al vecchio, le ragazze sono
già eccitate e lo aspettano». Nel maggio del ’61 Carlo invia all’“Approdo” le bozze
correte di Hemingway e la “rassegna”. E alla fine rivolge rallegramenti all’amico,
chiedendogli se è contento: forse per una nuova nomina in Rai. Il 24 dicembre dello
stesso anno, righe toccanti nell’imminenza del Natale: «Carissimo, grazie degli auguri
che ti ricambiamo con il cuore di sempre. E grazie del bene e dell’affetto che ci dimostri
in ogni occasione. Nella mia vita non è rimasto altro: se penso a Sestri, non riesco a
vincere le lacrime. Ma ho perduto troppo. Ciao Leone, lavora e sii felice. Te lo auguriamo
di cuore Marise e io e lo diciamo anche a Osanna. Ti abbraccio, Carlo». Nel ’66 una
lettera-memorandum su come si articolerà la presenza di Leone a Urbino tra lezioni e
conferenze durante i corsi estivi, meta consueta spesso anche per noi che lo
accompagnavamo: prima lezione il 10 luglio, ore 18 (Leopardi); conferenza l’11, ore 18,
crisi del romanzo; seconda lezione il 12, ore 11 (Foscolo). Quanto vorrei aver assistito a
quelle lezioni! Ancora note malinconiche in chiusura di una lettera del 3 aprile del ’67:
«Ho visto che l’Antico si è imbarcato per il Brasile, è davvero prodigioso. Marise ti saluta
e ti ringrazia sempre per il nuovo lavoro che le hai dato. Siamo stati una settimana a
Sestri, è stato abbastanza bello, nonostante la tristezza dei ricordi e i segni della
vecchiaia. Ciao, Leone, ti abbraccio e credi al mio costante affetto».

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Piccioni, Bo e Luzi, giurati al Premio Ceppo


Ha scritto mio fratello Giovanni, nella sua relazione sulla formazione di Leone Piccioni al
convegno a lui dedicato, contenuta nel libro Leone Piccioni una vita per la letteratura che
ne raccoglie gli Atti e che ci porta con Gadda qui, oggi: «Fino dagli anni fiorentini il lavoro
di Carlo Bo esercitò su mio padre una grande suggestione. Il suo impegno, il suo
modo di intendere, di proporre e soffrire il rapporto tra letteratura e vita (…) Le scelte di
Bo come lettore di testi contemporanei sono guidate dall’impegno per una visione
morale e sociale. Attraverso la letteratura è intriso di una passione per l’umanità. Una
letteratura che non nasce in una torre d’avorio, ma che sgorga dal contatto con
l’esperienza della vita, che tiene conto delle ragioni morali delle persone. Fu così che
mio padre si convinse che era più giusto impegnarsi per una letteratura viva, meditando
sull’esistenza che ci circonda piuttosto che chiudersi nella filologia». Ecco l’impressione
che ho ricevuto dalla lettura di queste lettere che ho cercato di raccontare, ma che –
insieme alle 91 di Leone a Carlo conservate in questa Fondazione – meritano l’interesse
di uno studioso che voglia auspicabilmente ricavarne un libro… l’impressione che ho
ricevuto, dicevo, è che il forte legame che per tutta la vita Carlo Bo e Leone Piccioni
hanno mantenuto è inscritto nel solco di “letteratura come vita”. Una postura
esistenziale, un modo di essere, di percepire, di vivere i rapporti interpersonali che per
essere autentico viene nutrito con un indispensabile ingrediente: la Fedeltà. Fedeltà ai
Maestri e agli Amici. Per mio padre fedeltà a Leopardi, a De Robertis, a Ungaretti, a
Gadda, a Luzi e ad altri amati. E fedeltà a Carlo Bo , la stessa fedeltà che Carlo Bo
ha pienamente sentito, vissuto, ricambiato.

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