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2. GLI ELEMENTI DELLA SITUAZIONE COMUNICATIVA. LA LINGUA D’USO.

LA NEGOZIAZIONE DEL SIGNIFICATO.

Indice

1. Introduzione........................................................................................................................... 2

2. La comunicazione secondo Balboni: una prospettiva interculturale………………… 2

3. Le variabili della situazione comunicativa.............................................................................3

3.1 Gli elementi del processo di comunicazione: il modello di Jakobson ed oltre.................... 5

4. Definizione del concetto di lingua dell’uso, il contributo della pragmatica: Austin-Searle e


Dell Hymes.................................................................................................................................7

5. L’interazione e la negoziazione del significato: Krashen, Longman, Hatch e Pica...............8

6. Le interazioni come pernio delle attività di classe.................................................................9

7. Conclusioni.......................................................................................................................... 10

8. Bibliografia.......................................................................................................................... 11

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2. GLI ELEMENTI DELLA SITUAZIONE COMUNICATIVA. LA LINGUA D’USO.
LA NEGOZIAZIONE DEL SIGNIFICATO.

1. Introduzione
In questo lavoro si tratteranno gli elementi che costituiscono la situazione comunicativa, il
concetto di lingua dell’uso, la dinamica dell’interazione ed il processo di negoziazione del
significato. In primo luogo, si introdurrà il concetto di comunicazione, cercando di
circoscrivere una nozione tan amplia secondo una prospettiva interculturale, che prende in
considerazione il fine, l’intenzionalità e la compenetrazione di elementi verbali e non verbali
nell’atto comunicativo. Successivamente si prenderà in considerazione la definizione di
situazione comunicativa e si delineeranno le variabili che influiscono nell’atto comunicativo.
A seguito, si presenterà il modello comunicativo di Jakobson, integrandolo con altri elementi
essenziali nel processo di comunicazione. Si passerà poi alla definizione del concetto di
lingua dell’uso, mettendolo in relazione con gli studi pragmatici del secolo scorso. In base a
queste premesse sarà possibile parlare dell’interazione e della negoziazione del significato. In
questo capitolo, si delineeranno gli importanti contributi di Krashen, Michael Long, Evelyn
Hatch e Teresa Pica. Seguiranno delle riflessioni sulla priorità dell’interazione nella realtà
della classe di lingua straniera e si terminerà con un capitolo conclusivo, nel quale si
cercheranno di valutare le reali applicazioni delle teorie trattate nella didattica attuale.

2. La comunicazione secondo Balboni: una prospettiva interculturale


Il verbo “comunicare” descrive l’atto volontario, programmato, consapevole di scambiare
messaggi per perseguire il proprio fine.
La parola “comunicazione” significa mettere in comune, condividere, trasmettere, implica
quindi una forma di partecipazione e di scambio, che ha un maggior o minor grado
d’intenzionalità. Quando si comunica, infatti, si mettono in comune messaggi e informazioni
con altre persone. In qualsiasi situazione ci troviamo i nostri comportamenti esprimono
sempre qualche cosa, indipendentemente dalla nostra volontà.

La maggior parte della comunicazione è dialogica, ma anche quando è monologica, come in


una conferenza, il conferenziere che sa comunicare tiene molto in considerazione il feedback
dato dal sorriso degli ascoltatori, dalla loro postura, dal fatto che continuino o smettano di
prendere appunti. Allo stesso modo il saggista si pone il problema della chiarezza concettuale
ed espositiva che facilita il compito del lettore, della necessità di definire i termini che forse il
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LA NEGOZIAZIONE DEL SIGNIFICATO.

lettore non conosce: il lettore, per quanto implicito, è ben presente nella mente di chi sa
comunicare per iscritto.
La comunicazione umana si avvale di segni linguistici ed extralinguistici, che possono essere
espressi con diverso grado di intenzionalità. Viviamo immersi in un mondo di segni, questi ci
comunicano di continuo informazioni, si pensi a quando incontriamo una persona, il suo
modo di vestire, la sua espressione, sono tutti segnali che ci comunicano, secondo modalità
diverse, messaggi diversi. Riceviamo continuamente messaggi, e nello stesso tempo
continuamente ne inviamo. Essi spesso non sono intenzionali né intenzionalmente rivolti a
noi, ci sono, noi li riceviamo e ci comportiamo di conseguenza.

Quando si considera il linguaggio umano, non ci si può soltanto soffermare sull’aspetto


verbale. Esistono numerose forme di comunicazione non verbale, che rappresentano sistema
semiotici alternativi che fungono da strumento di comunicazione e di rappresentazione della
realtà. La comunicazione non verbale, fra l’altro, rappresenta un aspetto essenziale che
ancora il linguaggio alla comunità culturale dove si sviluppa. Balboni, in Sfide di Babele,
menziona l’importanza della cinesica, ovvero i gesti, le espressioni del visto, i movimenti del
corpo, della prossemica, della distanza mantenuta fra gli interlocutori, dell’oggettemica e
della vestemica, ossia dell’uso di particolari oggetti o modi di vestire come espressione di
uno status sociale.

Infine, quando si comunica si persegue un macro-scopo (raggiungere un accordo all’interno


di un gruppo di progetto, condurre a buon fine una trattativa, convincere un’università
straniera a cooperare in un progetto Socrates, ecc.) per mezzo di una serie di atti comunicativi
che perseguono dei micro-scopi: nella metafora della comunicazione come partita a scacchi
questi atti corrispondono a delle “mosse” comunicative: attaccare, rinunciare, rimandare,
interrompere, ironizzare, e così via.

Un’ulteriore definizione della comunicazione ce la fornisce la semiotica perché la


comunicazione si esprime attraverso un segno, ovvero l’elemento percepibile dai sensi, il
significante, sia esso una parola, un gesto, un’espressione del viso, il quale richiama uno o
più concetti o idee ad esso collegati, il significato.

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3. Le variabili della situazione comunicativa


La comunicazione non si realizza se non in “eventi” che hanno luogo in un “contesto
situazionale”. Il concetto di situazione comunicativo si è delineato nel corso della seconda
metà del secolo scorso, attraverso i contributi di vari studiosi, fra i quali spiccano
Malinowsky, Fishman e Dell Hymes. Esistono diverse variabili da prendere in
considerazione, fra le quali:

- il luogo, tanto come setting fisico come scena culturale. Difatti, a parte l’importanza del
luogo fisico dove si svolge l’evento comunicativo, altrettanto importante è considerare il
background culturale dei partecipanti all’atto comunicativo, i quali agiscono in base alle
regole e ai valori del luogo da cui provengono;

- il tempo, una variabile culturale che influisce notevolmente nella comunicazione. Basti
pensare al tempo dedicato ai convenevoli, che possono avere più o meno importanza da una
cultura all’altra; mentre invece in altre culture si va dritto al sodo, in una concezione
prettamente occidentale di tempo come denaro, da non sprecare;

- l’argomento: si tratta di un fattore di rischio perché può portare a fraintendimenti, a seconda


del valore che gli interlocutori danno al tema trattato;

- il ruolo dei partecipanti: è un altro elemento di grave difficoltà, in quanto in ogni cultura lo
status sociale viene attribuito e mantenuto secondo valori e regole proprie.

Dagli anni Settanta in poi la ricerca sociolinguistica, quella pragmatica e quella di


etnometodologia della comunicazione hanno aggiunto altri fattori da tenere in considerazione
nel momento in cui si vuole analizzare un “evento comunicativo”.
 Oltre agli elementi della situazione un evento include:

- un testo linguistico;

- dei messaggi extralinguistici, ai quali spesso non si dà la dovuta attenzione. Nella


comunicazione interculturale, che è di solito condotta in inglese le norme linguistiche sono
abbastanza condivise e proprio sulla lingua si focalizzano l’attenzione e lo sforzo di chi parla:
cercare il lessico appropriato, evitare errori grossolani, ecc.; invece le norme dei linguaggi
non verbali non vengono prese in considerazione, quasi che i gesti, la mimica facciale, le
distanze interpersonali;

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- degli scopi dichiarati e non che i partecipanti perseguono: i messaggi sono vincenti nella


misura in cui questi scopi pragmatici sono raggiunti; le varie culture regolano in maniera
diversa il modo in cui si possono rendere espliciti certi scopi. Si tratta di regole che
coinvolgono valori fortemente marcati come la gerarchia, lo status, il rapporto uomo-donna:
il modo di velare o enfatizzare gli scopi cambia da cultura a cultura – e anche all’interno della
stessa cultura, della stessa famiglia;

-gli atteggiamenti psicologici  (o “chiavi”, come le chiama Hymes 1972) che i partecipanti


hanno nei confronti degli interlocutori, della sua cultura, della sua azienda, istituzione o
università: sarcasmo, ironia, rispetto, ammirazione, diffidenza, ecc., emergono nel testo
linguistico e soprattutto nei linguaggi non verbali, per cui informano l’interlocutore su
atteggiamenti che certo non si vorrebbero comunicare. Spesso su questo piano possono
sorgere fraintendimenti: la sensazione di imbarazzo e di difficoltà di un asiatico si esprime,
come indicatore di “chiave”, con un sorriso, che l’occidentale prende come indicatore di una
chiave diversa, positiva, disponibile e rilassata;

- sequenza prevista per un dato evento, che in alcune culture può essere ritualizzata o
abbastanza rigida e prevedibile, mentre in altre porta ad avere una maggiore flessibilità: ne
consegue che chi viene da una cultura del primo tipo ha la sensazione di trovarsi nelle sabbie
mobili, nell’incapacità di gestire l’evento comunicativo. Alcuni eventi possono essere
brevissimi, altri possono richiedere anche mesi, come alcune operazioni commerciali (dalla
visita alla fiera alla ricevuta di pagamento, passando attraverso preventivi, ordinativi, fatture
pro-forma e reali, lettere di addebito e accredito, eventuali reclami, giustificazioni, ecc.):
maggiore è la durata dell’evento, più probabile è lo scontro deliberato o l’errore involontario
sul piano culturale. Ci sono poi degli eventi particolarmente ritualizzati (una cena formale,
una conferenza, una riunione di un consiglio d’amministrazione, una presentazione, ecc.) che
ogni cultura gestisce secondo regole proprie, la cui mancata conoscenza porta a situazioni
spiacevoli in cui la comunicazione viene fortemente appesantita e, in alcuni casi, diviene
impossibile.

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LA NEGOZIAZIONE DEL SIGNIFICATO.

3.1 Gli elementi del processo di comunicazione: il modello di Jakobson ed oltre.


Negli anni sessanta del secolo scorso Roman Jakobson identificava sei elementi essenziali nel
processo di comunicazione: il mittente, il messaggio, il destinatario, il canale, il codice ed il
contesto.

Il mittente è colui che trasmette il messaggio, ovvero un insieme di informazioni, che può
avere varie forme, visuale, acustica o scritta ad esempio, o può esprimersi attraverso altri
aspetti sociali ed espressivi. Il mittente trasmette un maggiore o minor grado d’informazione
ad un destinatario, al quale l’atto comunicativo è destinato.

Il canale è il mezzo fisico di trasmissione.

L’atto comunicativo si realizza attraverso l’uso di un determinato codice, verbale o non


verbale, conosciuto sia dal mittente che dal destinatario. In questo processo avviene
un’operazione di codificazione attraverso la formulazione del messaggio, un atto di
decodificazione nell’interpretazione da parte del destinatario e un processo di
transcodificazione, quando si trasporta il messaggio da un codice ad un altro. Il linguaggio
gestuale o le varianti dialettali sono altri codici la cui conoscenza è indispensabile affinché la
comunicazione sia assicurata.

Il contesto, infine, consiste nell’insieme di riferimenti linguistici, culturali e situazionali che


consentono la comprensione del messaggio, sempre e quando siano comuni al mittente ed al
destinatario. La conoscenza del codice, infatti, non garantisce la comprensione del messaggio
e quindi il realizzarsi della situazione comunicativa. Il messaggio decodificato viene
rapportato ad un insieme di informazioni possedute dal destinatario e comuni all’emittente, e
solo allora è possibile la comprensione.

Vi sono altri elementi che concorrono alla realizzazione di un atto comunicativo, non definiti
da Jakobson, che sono il rumore, la ridondanza e la retroazione o feedback.

Con rumore si intende l’elemento di disturbo che può interferire nel processo di
comunicazione. I disturbi di pronuncia degli studenti potrebbe essere un esempio di rumore
legato al mittente o il rumore che si genera in classe, durante un’attività di produzione orale
organizzata in coppie, varrebbe come esempio di rumore dovuto al contesto; infine, un
disturbo legato al canale si potrebbe menzionare l’ascolto di un audio o la visione di un
video, il cui segnale non sia chiaro.

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La ridondanza consiste nella ripetizione della stessa informazione, magari usando codici
diversi, per esempio gestuali. Nelle interazioni la ridondanza facilita la comunicazione.

Infine, un elemento essenziale nel processo di comunicazione è la retroazione o feedback,


ovvero le informazioni di ritorno che comunicano l’effetto sortito. Dalle reazioni o dalle
risposte degli interlocutori si può capire il maggiore o minor grado di recezione del
messaggio ed eventualmente operare una riformulazione del messaggio o l’utilizzo di
elementi extra linguistici per facilitare la comunicazione.

Il modello di Jakobson, se pur ancora valido, devono essere integrato con riflessioni che si
adeguino alla società attuale. Attualmente, la comunicazione non si limita alle relazioni tra
emittente e recettore, basti pensare alle reti sociali, dove la componente sociale svolge un
ruolo fondamentale nella cultura collettiva.

4. Definizione del concetto di lingua dell’uso, il contributo della pragmatica: Austin-


Searle e Dell Hymes
La considerazione di tutti gli aspetti che costituiscono la situazione comunicativa implica
necessariamente una riformulazione del concetto di lingua come lingua dell’uso. Con
l’espressione “lingua d’uso” si soleva indicare la lingua parlata in contrapposizione alla
lingua scritta. La fortuna della parola è proporzionale all’interesse crescente con cui la
linguistica, dopo essersi concentrata quasi esclusivamente sulle lingue letterarie, a partire
dalla seconda metà dell’Ottocento si è fatta attenta alla lingua parlata e alla comunicazione
orale. La pragmatica, in particolare, si è occupata dell'uso contestuale della lingua come
azione reale e concreta e ha osservato come e per quali scopi la lingua viene utilizzata,
individuandone la misura con cui soddisfa esigenze e scopi comunicativi. Più nello specifico,
la pragmatica si è occupata di come il contesto influisca sull'interpretazione dei significati. In
questo caso, per "contesto" si intende "situazione", cioè l'insieme dei fattori extralinguistici
(sociali, ambientali e psicologici) che influenzano gli atti linguistici. Numerosi studiosi hanno
contribuito alla definizione del concetto di lingua dell’suo. La teoria degli atti linguistici di
Austin e Searle ha evidenziato la triplice funzione locutiva, illocutiva e perlocutiva del
linguaggio, per cui l’atto linguistico si esprime come un contenuto semantico che svolge una
precisa funzione e sortisce effetti sul destinatario. Dell Hymes definì il valore primario della
competenza d’suo nella comunicazione. Da allora l’insegnamento della lingua si è orientato a

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fornire occasioni di sviluppo della lingua in contesto. Centrale è lo scambio interattivo, sia fra
docente e classe che fra alunni, e fondamentale l’aggancio della comunicazione ad un
significato e ad un compito (task) motivante. Di queste ultime caratteristiche si parlerà a
continuazione.

5. L’interazione e la negoziazione del significato: Krashen, Longman, Hatch e Pica.


L' ipotesi dell'interazione è una teoria dell'acquisizione della seconda lingua che afferma che
lo sviluppo della competenza linguistica è promosso dall'interazione e dalla comunicazione
faccia a faccia. Il suo focus principale è sul ruolo dell'input, dell'interazione e dell'output
nell'acquisizione della seconda lingua.  Il concetto di negoziazione del significato nasce
nell’ambito degli studi sull’interazione. Presuppone che il livello della lingua a cui è esposto
uno studente deve essere tale che lo studente sia in grado di comprenderlo e che uno studente
che modifichi il proprio discorso in modo da renderlo comprensibile faciliti la sua capacità di
acquisire la lingua in questione. A riguardo sono significativi i contributi di Evelyn Hatch e di
Michael Long, negli anni ottanta. Il processo d’interazione avviene attraverso una dinamica
correlazione tra input ed output. L’input è l’informazione prodotta da un interlocutore o da un
testo: un brano letto o ascoltato, le parole proferite da un compagno o dal professore.
L’output è tutto ciò che viene prodotto dal ricevente, una volta ricevuta l’informazione.
Nell’acquisizione di una lingua sono parimenti necessari l’assimilazione di un input come la
produzione di un output, ovvero il momento di produzione. L’interazione assicura tanto
l’assimilazione dei contenuti come la messa in pratica degli stessi in classe o fuori.

L'input comprensibile è un requisito per l'acquisizione della seconda lingua e l'input è reso
comprensibile allo studente attraverso la negoziazione del significato nelle conversazioni.
Quando si parla d’interazione si tende a privilegiare la dimensione della conversazione.
Durante questi momenti, infatti, si creano delle situazioni in cui si verifica un’interruzione di
comunicazione, che gli interlocutori tentano di superare.  Uno dei partecipanti dirà qualcosa
che l'altro non capisce; i partecipanti utilizzeranno poi diverse strategie comunicative per
aiutare l'interazione a progredire, ad esempio, richieste di chiarimento, riformulazioni e
correzioni. Il processo avvenuto aiuta una migliore comprensione e si caratterizza come un
momento di apprendimento significativo.

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LA NEGOZIAZIONE DEL SIGNIFICATO.

Simile all'ipotesi dell'input di Krashen, l'ipotesi dell'interazione afferma che l’input


comprensibile, che è caratterizzato come una varietà di lingua che può essere compresa da
uno studente,  è importante per l'apprendimento delle lingue. Esistono diversi modi in cui
l'input può essere modificato a beneficio dello studente. Si può ricorrere a la lingua 1 dello
studente per esempio, o si può riformulare con parole più semplici quanto affermato.

Nel suo lavoro del 1980 The Input Hypothesis,  Stephen Krashen propone che l'acquisizione
della seconda lingua avvenga solo quando lo studente è esposto a input comprensibili che
sono appena al di là del loro attuale livello di comprensione. Questa ipotesi di input è
caratterizzata da i + 1, in cui i rappresenta il livello linguistico attuale dello studente e + 1
rappresenta il seguente livello di acquisizione della lingua. La prova a sostegno di questa
affermazione si presenta sotto forma di discorso che viene modificato a beneficio di uno
studente, come il discorso di uno straniero e il discorso dell'insegnante, in cui il discorso è
rallentato o semplificato per facilitare la comprensione dell'ascoltatore. Questa ipotesi ha
fornito le basi che sarebbero state successivamente sviluppate da Michael Long, al quale
l'ipotesi di interazione è più strettamente associata.

Nel suo lavoro del 1987 Acquisizione della seconda lingua, interazione sociale e
classe Teresa Pica postula anche che le interazioni, comprese le negoziazioni di significato
tra un insegnante e uno studente, potrebbero non essere così efficaci per l'acquisizione di una
seconda lingua a causa dello squilibrio del rapporto insegnante-studente. Un esempio di
questo squilibrio è che gli studenti si astengono dal fare richieste di chiarimento nel tentativo
di evitare che vengano percepiti come una sfida alle conoscenze dell'insegnante. Piuttosto, si
ritiene che le interazioni tra gli studenti siano più efficaci poiché la loro relazione reciproca è
uguale. Pertanto, sostiene che deve essere aggiunto un ulteriore terzo pilastro dell'ipotesi di
base: che oltre al requisito di input comprensibili e negoziazione di significato, è richiesto
anche l'equilibrio delle relazioni tra gli interlocutori e obiettivi comunicativi condivisi per
un'acquisizione della seconda lingua più efficace.

6. Le interazioni come pernio delle attività di classe


Le interazioni dovrebbe costituire la prassi normale di una classe di lingua. Il lavoro a coppie
o in gruppo è la più ovvia applicazione pratica, oltre ad essere una condizione sine qua non di
un corso di italiano L2/LS che abbia l’obiettivo di produrre studenti “parlanti.

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La possibilità di utilizzare le interazioni in classe è direttamente proporzionale al livello di


conoscenza della lingua da parte degli studenti. Tuttavia, già nei corsi di livello A2, può
essere sfruttata fin dall’inizio partendo dalle forme di saluto; in tal modo essa costituisce un
modo divertente per rompere il ghiaccio e conoscere i propri compagni di classe il primo
giorno di lezione.

Nella progettazione didattica non devono mancare i momenti di lavoro individuale in classe,
di studio autonomo o di approfondimento personale. Senza dubbio anche l’iniziale lavoro
individuale su qualsiasi attività proposta può essere seguito dal confronto a coppie, seguito
dallo scambio di coppie, prima di arrivare al confronto con l’insegnante. Quest’ultimo, in
ogni modo, dovrebbe mantenere sempre una posizione di osservatore e guida che, senza dar
esplicitamente la risposta corretta, guida però i suoi alunni alla scoperta della stessa, appunto
attraverso la riflessione linguistica ed il confronto fra pari.

L’interazione è inoltre un buon strumento per abbattere i filtri affettivi degli studenti. Il
confronto fra pari, infatti, può risultare motivante quando gli studenti scoprono che possono
arrivare alla soluzione dei dubbi insieme, che nessuno o quasi ha la risposta a tutti i quesiti e
che, aspetti difficili per uno studente possono risultare facile ad un altro e viceversa.
L’interazione alleggerisce il confronto diretto con l’insegnante.

Inoltre, quando gli apprendenti sono invitati a svolgere un’attività di cooperazione per la
soluzione di un problema, mettono in gioco ciascuno le proprie competenze. I bisogni
comunicativi si traducono di fatto in competenze. Il ruolo di ciascun elemento nella coppia (e
nel gruppo) è variabile e condizionato dalle competenze e dalle conoscenze dell’altro, per cui
nello svolgimento della stessa attività si può essere “trainanti” o “gregari” o “alla pari”. In
quest’ottica il lavoro di gruppo genera equilibrio, accorcia le distanze tra gli elementi più forti
e quelli più fragili, smussa la competizione individuale a favore del gioco di squadra.

Le interazioni forniscono un contesto in cui gli studenti possono ricevere feedback sulla
correttezza o inesattezza del loro uso della lingua. Infine, la ripetizione e la riformulazione
del contenuto facilita l’apprendimento, che si svolge a stadi, con una progressiva acquisizione
delle conoscenze.

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7. Conclusioni
Le situazioni comunicative sono caratterizzate dalla complessità, in esse, infatti, influiscono e
confluiscono diversi fattori. La varietà degli elementi a considerare complica notevolmente
l’esecuzione di un atto comunicativo efficace. Tuttavia, lo studio degli aspetti variegati
presenti deve essere visto come un’occasione di ulteriore e successivo approfondimento, non
come un impedimento al processo di comunicazione. Nessun corso di lingua può essere
esaustivo a riguardo, in quanto sarebbe impensabile coprire tutte le componenti culturali,
sociali e linguistiche esistenti. Da qui, il fondamentale compito dell’insegnante, il quale
sceglie di quale elementi occuparsi a seconda del gruppo con cui lavora. E per gruppo non ci
si riferisce al semplice livello del corso, ma al gruppo di studenti presenti, diversi per età,
sesso, estrazione sociale o background culturale. Non esiste la formula magica, però sì deve
esistere il docente aperto, pronto a modificare il suo programma in base alle valutazioni che
scaturiscono in itinere e ad adattare la metodologia al particolare contesto classe.
L’insegnante è davvero un direttore d’orchestra che guida, coordina e crea unità in un gruppo
caratterizzato dalla varietà.

8. Bibliografia
P. E. BALBONI, Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale,
Venezia, Marsilio Editore, 1999.

KRASHEN, S. (1980), The Input Hypothesis: issues and implications, Londra, Longmann.

LONG, M., (1981), Input, interazione e acquisizione della seconda lingua. 

LONG, M., (1996) Il ruolo dell’ambiente linguistico nell’acquisizione della seconda lingua.
In Ritchie, William; Bhatia, Tej (a cura di). Manuale di acquisizione della seconda lingua.
San Diego: Academic Press. pagg. 413–468.

PICA, T.(1987),  Acquisizione della seconda lingua, interazione sociale e classe 

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