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Economia dei sistemi produttivi

L’attività di un ingegnere è di due tipi:


• Attività a contenuto tecnico
• Attività a contenuto economico
Noi non sviluppiamo un impianto, se non ci sono degli acquirenti pronti ad acquistare ciò che esso produce,
sarebbe un impianto completamente in perdita.
Cosa vuol dire in perdita?
Vuol dire che per ogni attività per la quale noi andremo a lavorare, dovrà considerare la convenienza
economica dei propri investimenti e delle proprie scelte strategiche.
Per la convenienza i ricavi devono essere maggiore dei costi.
Lo scopo fondamentale della disciplina dell’Economia applicata all’ingegneria è di sviluppare e applicare i
principi e le metodologie necessari per rispondere a quegli interrogativi di carattere economico che stanno
sempre alla base di qualsiasi progettazione tecnica.
Esempi del tipo:
• Se conviene avviare la realizzazione di un nuovo prodotto?
• Qual è il progetto economicamente più conveniente per il nuovo impianto di termovalorizzazione da
costruirsi in una data località?
• Quale offerta accettare per un sistema automatico di saldatura?
• Sostituire o no la stazione CAD per il disegno automatico?
• Se il nostro reparto ricerca e sviluppo ha inventato un nuovo carburante che riduce i consumi del
10% di un’autovettura media, quanto può spendere la nostra impresa per implementare questa
invenzione e trarne adeguato profitto?
• Qual è il sistema di verniciatura robotizzata più conveniente per il nostro reparto di assemblaggio di
elettrodomestici?
• È meglio acquistare o prendere in leasing la flotta di autoveicoli per il nuovo servizio di consegne a
domicilio della nostra impresa?
• Per quanto tempo ancora ci conviene mantenere in esercizio il nostro telaio prima di sostituirlo con
un modello più avanzato tecnologicamente?
Qual è la differenza tra profitto e fatturato?
Profitto: la differenza fra ricavi e costi, quello che effettivamente l’azienda ha guadagnato.
Fatturato: è tutta la quantità economica che ha ottenuto dalla vendita del proprio prodotto o servizio?
Una tipologia di attività che vendono servizi sono le aziende di consulenze, un esempio sono le big four: sono
le quattro più grandi società di consulenza: PricewaterhouseCoopers (Pwc), Ernst & Young, Deloitte Touche
Tohmatsu, KPMG. Vendono idee, sembra banale ma così non è, perché vi è lo studio della struttura aziendale.
Per l’esempio del leasing vedremo a fine del corso quanto ciò convenga, infatti comprare una macchina one
shot, non mi permetterebbe di investire altre risorse economiche su altri progetti. È vero che in questo modo
io pago un tasso di interesse: il ritorno economico che un soggetto ottiene per aver prestato denaro a
qualcuno. Stesso ragionamento vale sia nel pubblico che nel privato.
L’economia applicata all’ingegneria è dunque la disciplina che studia i metodi e gli approcci alla valutazione
sistematica dei benefici economici e dei costi delle diverse possibili soluzioni tecniche che vengono proposte
per risolvere problemi di carattere ingegneristico ha a che fare con:
• Progetti (di ingegneria)
• Investimenti (fisici/tecnici/industriali)
• Problemi di valutazione economica (Quantificazione di: costi, ricavi, benefici, tempi di recupero). La
valutazione economica può essere di breve-medio-lungo periodo, il tempo però è una variabile
fondamentale e comporterà che le tipologie di analisi siano molto differenti.
Facciamo un esempio, vi è la nascita di un’azienda. Coloro che fondano la società vanno dal notaio,
che certifica l’apertura della società, chiederà di versare una prima somma, es:3000 euro, che viene
detto capitale sociale il quale è un elemento distintivo di riconoscimento delle società.
Costituiscono questa società che produce telefoni, quindi devono comprare un luogo fisico per la
produzione. Questo è un costo fisso, che per l’espletamento del business è fondamentale.
Si inizia con 3 dipendenti, il mercato compra il prodotto, aumentano gli impianti e i dipendenti, i costi
nel breve e lungo periodo cambiano. Avere più impianti e dipendenti, nel lungo periodo, da fissi
diventano variabili, perché rispondono alla domanda di mercato.
• Problemi di scelta e decisione (Confronti tra progetti differenti per supportare le decisioni
relativamente ad essi). Sono decisioni dettate dal nostro portafoglio e comportano determinate
rinunce.
La definizione di investimento è: “Useremo l’espressione investimento per far riferimento agli impegni di
risorse effettuati nella speranza di realizzare benefici il cui verificarsi sia previsto in un periodo di tempo
presumibilmente lungo nel futuro (Bierman, Schmidt, 1993)
Gli elementi di base dell’economia applicata all’ingegneria sono:
• Il concetto di alternativa: sviluppare e definire chiaramente le differenti alternative praticabili per
soddisfare un determinato obiettivo, al fine di poter scegliere quella più conveniente. Si valuta anche
l’opzione zero, ovvero non implementare quel dato impianto o quella catena di produzione o non
assumere quel personale
• La focalizzazione sulle differenze, tra i possibili esiti. Esempio: se tra due possibili alternative di
alloggio venissero prese in considerazione due case con lo stesso prezzo di affitto, il prezzo
diventerebbe trascurabile ai fini della scelta, che invece dipenderebbe da altri fattori che
risulterebbero differenti (quali ad esempio le spese condominiali annue, la dimensione
dell’appartamento, ecc).
È fondamentale ai fini del confronto e delle scelte tra alternative.
• La coerenza della prospettiva: la valutazione può dare risultati molto diversi a seconda della
prospettiva che viene assunta, questa pertanto dovrebbe essere esplicitata a priori in modo
razionale, e poi adottata coerentemente nella descrizione, nell’analisi e nel confronto fra le diverse
alternative. (Ad esempio, azienda privata vs Agenzia pubblica per costruire metropolitana)
• L’unità di misura: l’utilizzo di un’unica unità di misura semplifica l’analisi e soprattutto rende
possibile il confronto diretto delle diverse alternative. In questa materia la tipica unità di misura per
la descrizione delle alternative e per il loro confronto è naturalmente l’unità monetaria: necessità di
quantificare monetariamente tutti gli elementi
• Il criterio di valutazione: il criterio tipico che viene adottato anche in questi studi, è la rendita
finanziaria a lungo termine di chi investe il denaro, nell’ipotesi che il capitale disponibile venga
allocato in modo da generare i massimi profitti agli investitori.
• La consapevolezza dell’incertezza: l’incertezza è un fattore insito in un qualsiasi progetto, così come
nelle previsioni che noi facciamo dei suoi possibili esiti futuri. È necessaria la valutazione margini di
rischio.
• L’analisi ex-post: la valutazione dei risultati in rapporto agli sviluppi stimati inizialmente per le
alternative scelte viene spesso considerato difficile, impraticabile, o addirittura non conveniente. È
l’importanza del controllo in itinere e la valutazione ex-post dei risultati.

Storia economia applicata all’ingegneria:


Il pioniere di questa materia, ossia il primo che ha compreso la stretta collaborazione fra l’economia e il
mondo dell’ingegneria, fu Arthur Wellington. Lui, ingegnere civile del diciannovesimo secolo che scrisse: “The
Economic Theory of the location of Railways”
Negli 30-40, i primi “textbook”, nel 1930 Eugene Grant pubblicò la prima edizione del suo manuale “Principles
of Engineering Economy “e nel 1942 Woods & DeGarmo scrissero la prima edizione del loro libro intitolato
Engineering Economy.
Secondo dopoguerra (USA): specializzazione della disciplina, diffusione dei manuali, di corsi specializzati nelle
facoltà di ingegneria
Oggi (Italia): nei corsi di laurea in ingegneria

Processo di progettazione ingegneristica (Middendorf, 1986)


1. Descrizione del problema/fabbisogno
2. Formulazione e valutazione del problema/fabbisogno
3. Sintesi delle possibili soluzioni (alternative)
4. Analisi, ottimizzazione, valutazione
5. Indicazione dettagliata dell’alternativa progettuale scelta
6. Comunicazione e illustrazione del progetto
IL processo di valutazione economica di un progetto è influenzato da:
-  investimento iniziale
-  costi di materiale
-  costo del lavoro
-  costi di manutenzione
-  costi del capitale circolante (il capitale circolante, sono quei guadagni che generate a fronte della vostra
azienda e che utilizzante nella vostra attività)
-  costo dell’energia
-  costi di assicurazione
-  imposte e tasse
-  interessi sui prestiti (passivi)
-  costi legati alla qualità e/o dovuti a scarti di produzione
-  costi indiretti; generali
-  costi di dismissione, smaltimento ecc.
-  altri costi
La prossima potrebbe essere una domanda d’esame.
Adesso andiamo a vedere e confrontare i processi di valutazione ingegneristica, punto per punto, e quelli di
valutazione economia. Cosa accomuna i due processi di valutazione dei progetti di investimento ai fini
decisionale? Sono entrambi metodi e criteri razionali di valutazione, caratterizzati da processi o approcci
strutturati e sistematici. Come possiamo vedere di seguito, essi hanno diversi punti in comune (sottolineati
nello stesso modo i passaggi che corrispondono all’altro processo)
Processo di progettazione Ingegneristica:
1. Descrizione del problema/fabbisogno
2. Formulazione e valutazione del problema/fabbisogno
3. Sintesi delle possibili soluzioni (alternative)
4. Analisi, ottimizzazione, valutazione
5. Indicazione dettagliata dell’alternativa progettuale scelta
6. Comunicazione e illustrazione del progetto
Processo di valutazione economica:
1. Identificare il problema
2. Formulare le alternative
3. Stimare gli elementi economici
4. Stabilire il criterio e metodo di valutazione
5. Effettuare la valutazione
6. Scegliere l’alternativa
1 Introduzione
1.1 Introduzione all’economia
Che cos’è l’economia?
Qual è la questione fondamentale di cui si occupa?
Di quali argomenti tratta?
Si occupa di: lavoro, imprese, produzione di beni e servizi, acquisti, vendite, merci, prezzi, mercato,
concorrenza, monopolio; consumo, risparmio, debito, spese, tasse, pensioni disoccupazione, inflazione
moneta, euro, dollaro, azioni, borsa, espansione, sviluppo, globalizzazione; ecc.
Oggetto di studio della Scienza Economica è il comportamento umano nella produzione, scambio e uso di
beni e servizi. Problema economico fondamentale: risolvere il conflitto tra bisogni e desideri illimitati di beni
e servizi degli individui e le risorse scarse a disposizione per la loro produzione.

Una cosa è scarsa se si verificano due circostanze:


• Qualcuno la vuole (gli serve, la desidera, gli è utile);
• Non ce ne è abbastanza per tutti

L’economia è la scienza che studia il comportamento di tutti i componenti della società osservata, per capire
come le proprie risorse scarse vengono prodotte, distribuite e utilizzate.
Qual è la differenza tra economia osservata e non osservata?
L’economia non osservata sarebbe, tutto quel settore economico che deriva dalla criminalità che non si può
analizzare.
Facciamo un esempio, gioco d’azzardo. È soggetto a monopolio di stato, ossia una forma di mercato dove
opera una sola azienda, perché se è un monopolio legale ovvero sottoposto dallo stato, è fatto per garantire
o un servizio ai cittadini ad un prezzo accessibile, oppure per evitare che taluni settori nocivi, possano
peggiorare il benessere della popolazione. Visto che non possiamo eliminare totalmente un comparto dal
mercato, sapendo che esso può comportare determinati aspetti negativi come in questo caso la ludopatia,
dobbiamo cercare quanto meno di contenere questo mercato, l’unico modo per farlo è regolamentarlo, cioè
controllarlo, cioè, dobbiamo imporre un monopolio.
Un monopolio può essere svolto dallo stato o dal privato (attraverso un bando)
Cosa comporta il gioco e il tabacco per lo stato?
I monopoli compartecipano al gettito dello stato. Cosa vuol dire? Vuol dire che come settore regolamentato,
posso imporre che una tot parte debba essere versata allo stato. Devo garantire un’entrata allo stato, che
poi viene utilizzata dallo stato per altre misure (ad esempio reddito di cittadinanza)
Il possesso di una cosa scarsa consente diverse

Tornando al discorso precedente, il possesso di una cosa scarsa consente diverse possibilità:
• Consumo (suo utilizzo per soddisfare un bisogno)
• Scambio (vendita per acquistare altro)
Una risorsa è ogni mezzo scarso impiegabile per scopi alternativi. L’insieme di un soggetto costituisce la sua
ricchezza.
L’economia è quindi la scienza che studia i problemi (di Scelta e di Coordinamento) che hanno a che fare con
l’utilizzo di mezzi scarsi suscettibili di impieghi alternativi.
L’economia studia, in quanto rientrano negli affari degli uomini, le interazioni tra gli stessi, le forze che
influenzano i sistemi economici nel loro complesso e le sue tendenze o le evoluzioni nel tempo.
La scienza economica studia la condotta umana come una relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili ad usi
alternativi.
Ha quindi l’obiettivo di fornire uno schema di interpretazione della realtà mediante:
• Scoperta delle leggi alla base dei fenomeni economici
• Formulazioni di previsioni
Il metodo di analisi può essere di tipo deduttivo (dal generale al particolare) o Induttivo (dal particolare al
generale), basato su rappresentazione con modelli, ipotesi di razionalità e ipotesi di equilibrio. Andiamo
adesso a studiare questi tre elementi:
Un modello è una rappresentazione semplificata (e stilizzata) del pezzo di realtà che si vuole studiare. Un
modello elimina tutti i particolari che vengono giudicati non importanti in modo da mettere a fuoco
l’essenziale.
Prima di suddividere i tipi di variabili, vediamo un’altra cosa importante.
Nel mercato ci sono 3 grandi macro-categorie:
• Consumatori (operano nel mercato mediante la loro domanda di bene e servizi)
• Imprese (operano nel mercato come offerenti di beni e servizi)
• Lo stato, governi, pubblica amministrazioni (con i quali le alte categorie interagiscono)
Le imprese devono per forza interagire con il pubblico, perché c’è un contesto regolatorio, legislativo,
normativo che consente a quelle stesse di operare nel mercato.
Ci sono due tipi di variabili:
• Variabili esogene: provengono dall’esterno del modello ed il loro valore viene determinato dal
modello e viene preso per dato. (Variabili non controllabili, catastrofi naturali, alluvioni, terremoti,
ecc) Sono variabili esterne alla responsabilità dell’impresa, che si possono verificare e che in taluni
modelli vengono considerate a parte
• Variabili endogene: saranno variabili che possono influire sul processo produttivo, sul business
dell’azienda interne (variazioni di costi di produzione, di personale, etc.)
Il modello spiega il comportamento delle variabili endogene in relazione alle esogene.
Problemi diversi richiedono modelli diversi.
• Un soggetto prende una decisione (economica) in modo razionale se:
- Prende in considerazione tutte le alternative (e solo quelle)
Formula una graduatoria completa e coerente delle alternative sulla base delle sue preferenze;
- Sceglie l’alternativa (tra quelle realizzabili) più alta in graduatoria.
• Un sistema economico è in equilibrio quando sono soddisfatte due condizioni:
- Ciascun soggetto economico non ha motivo di cambiare la propria scelta
- Le scelte dei vari soggetti coinvolti sono compatibili tra loro
L’ipotesi di razionalità è rilevante soprattutto per i problemi di scelta quella di equilibrio per i problemi di
coordinamento
• Economia Politica:
- Studia i fenomeni economici dei grandi aggregati, regionali, nazionali ed internazionali (MACRO)

- Studia il problema economico inerente il singolo produttore e consumatore (MICRO)

• Economia Industriale:
- Studia e supporta i processi di sviluppo o di ristrutturazione dei settori industriali o di aggregati
di aziende, definiti in base al processo produttivo o al prodotto finale (settore tessile, orafo, ecc.)

- È un scienza “intermedia” che osserva più da vicino la realtà su cui intervenire tramite politiche
di intervento più analitiche e adatte allo specifico andamento del territorio/settore analizzato
• Economia Aziendale:
- Studia i fenomeni economici a livello di singola azienda o di classi particolari di aziende, si
interessa delle scelte operate dagli uomini al fine di adattare gli scarsi mezzi a disposizione ai
molteplici fini aziendali

• Economia dello sviluppo:


- Si occupa dell’andamento di un sistema economico nel lungo periodo, tratta della definizione
e misurazione dello sviluppo economico, delle principali teorie dello sviluppo, dei temi e
problemi relativi al sottosviluppo, dell'impatto dello sviluppo sull'ambiente. (Esempio plastic tax)

• Economia Monetaria:
- Studia le determinanti della domanda e dell'offerta di moneta, analizza le diverse funzioni della
moneta, le sue diverse definizioni, il ruolo delle Banche centrali, gli strumenti da esse adottati.
(Esempio: svalutazione della moneta)

• Politica Economica
- Costituisce un esempio di economia applicata, in quanto si occupa della individuazione di scelte
che un governo possa concretamente adottare per realizzare un obiettivo ritenuto socialmente
desiderabile.
- Si avvale spesso dell'econometria (tutte le statistiche che noi troviamo, che vengono richieste
per supportare il Police Maker, ossia il governo, per capire quali politiche adottare a favore del
paese), che consente sia di sottoporre a verifica empirica alcune ipotesi teoriche, sia di stimare
gli effetti di diverse scelte di politica economica.

1.2 Introduzione alla economia industriale


L’Economia industriale studia il funzionamento del mercato, le modalità di competizione in una industria e il
legame tra la struttura industriale e le strategia delle imprese.
Esistono diversi settori produttivi:
• Settore primario (non trasformato, agricolo ad esempio)
• Settore secondario (trasforma, siderurgico ad esempio)
• Settore terziario (servizi, consulenza, turismo, ad esempio)
• Settore terziario avanzato (digitale)
Si sviluppa nel XX secolo come branca della teoria dell’impresa nella
Microeconomia
A differenza da ciò che il nome evoca non studia il mercato secondario (industria), ma l’interazione e i
comportamenti dell’insieme di imprese che producono un determinato bene o servizio e operano nello
stesso settore economico.
Tratta anche del settore terziario (produzione servizi e prestazioni per famiglie e imprese)
Per comprendere l’economia industriale è necessario possedere delle conoscenze microeconomiche e di
strategia di impresa. Secondo la teoria di impresa microeconomica, ogni impresa costruisce la propria
strategia per massimizzare il profitto. Si tratta però di una visione eccessivamente riduttiva, poiché le imprese
perseguono molti obiettivi (non solo il profitto)
Quote di mercato: Esiste un mercato, ci sono 3 operatori, 3 multinazionali, che operano su quel mercato,
ognuna di loro, a fronte della richiesta dei beni che queste imprese producono avrà più o meno successo, più
o meno guadagni. Più guadagni si ha, più quote di mercato l’azienda possiede in quel dato mercato, ad
esempio il 40 % della popolazione, fra i diversi 3 prodotti in questo determinato settore, sceglie l’azienda A
e quindi l’azienda A possiede il 40% delle quote di mercato
Economia di scala: Dal momento in cui un’azienda produce un nuovo prodotto deve far fronte a tanti costi
(capannone, impianto, definire con il legislatore l’inquadramento regolatorio della vendita di quel prodotto
nuovo). Quando un’azienda è andata a regime e vi è una piccola azienda follower (ossia che ha deciso di
intraprendere quello stesso business), nel frattempo che essa entra, la prima impresa di mercato ha molta
più expertise, perché i costi li ha già sostenuti, è vuol dire che ormai ha un processo produttivo, avanzato da
poter produrre ad esempio 100 prodotti in 3 minuti. L’impresa che invece entra in questo momento nel
mercato per produrre gli stessi prodotti, può metterci ad esempio un giorno intero. La prima impresa si dice
che ha economia di scala, perché riesce ad ammortizzare, grazie alla sua expertise ed il suo know-how, il
proprio processo produttivo. Questo comporta un chiaro vantaggio competitivo nel mercato, tant’è che
l’economia di scala è un classico esempio di economia di ingresso e di entrata nel mercato, c’è ne sono tante
altre.
Economia di ingresso: bisogna stare attenti che non ci sia solo un’impresa che produca quel determinato
prodotto, perché se così fosse, essa può dettare il prezzo a noi consumatori, questo è il motivo per cui
interviene la mano pubblica, per cercare di alimentare la concorrenza di mercato, se è un settore nuovo da
qualche incentivo ai newcomers, ai followers, per mantenere un equilibrio di mercato e un prezzo accessibile
a noi consumatori

1.2.1 I Problemi fondamentali dell’economia industriale


• Le imprese fondamentali e il potere di mercato?
• Come si acquisisce e si consolida il potere di mercato?
• Quali sono le conseguenze del potere di mercato?
• Il ruolo delle politiche pubbliche
Il potere di mercato: è la capacità di un’impresa di effettuare le proprie scelte decisionali cioè: prezzo di
vendita dei propri prodotti è quantità di produzione. Tanto maggiore sarà la differenza fra il prezzo e il costo
marginale, maggiore sarà il profitto dell’azienda, ciò comporta la capacità dell’impresa stessa di massimizzare
i profitti.
Il costo marginale: è il costo che l’impresa deve sostenere per produrre un’unità in più del suo prodotto, per
questo si chiama marginale (esempio: un’impresa che è entrata a regime produce 100 telefoni, c’è un picco
di domanda da parte del consumatore, i telefoni diventano 150, il costo marginale sarà il costo di ogni
telefono di quei 50 in più, rispetto ai 100 già prodotti di default)
Il potere di mercato è strettamente collegato al grado di concentrazione di mercato (diverse forme di
mercato) indicatore della struttura del settore industriale. Determinato da n imprese operanti in un settore,
dalla distribuzione delle quote, dalle dimensioni delle imprese. Non è altro che l’indice che misura quante
imprese operano in quel dato mercato, più imprese ci sono, più il mercato è concentrato
Il leader di mercato è colui che possiede quote di mercato maggiori
L’indice di Herfindahl è un indicatore della concentrazione del potere di mercato ed è pari alla somma del
quadrato delle quote di mercato di tutte le n imprese operanti in un settore industriale o mercato.
𝑛

𝐻 = ∑ 𝑠𝑖2
𝑖=𝑛
n = imprese
s = quote di mercato
Il valore dell’indice varia da 0 a 1. Quando l’indice si avvicina a zero indica una concentrazione minima del
potere di mercato. Vuol dire che c’è un piccolo numero di imprese, quindi quelle imprese hanno un grande
potere di mercato perché sono le uniche ad operare in quel dato mercato.

Facciamo un esempio:

/////////////////// Marcato A Mercato B


/////////////////// 𝑆𝐴 𝐻𝐴 𝑆𝐵 𝐻𝐵
Impresa 1 30% 0,090 55% 0,303
Impresa 2 25% 0,063 10% 0,010
Impresa 3 25% 0,063 10% 0,010
Impresa 4 5% 0,003 10% 0,010
Impresa 5 5% 0,003 10% 0,010
Impresa 6 5% 0,003 3% 0,001
Impresa 7 5% 0,003 2% 0,000
/////////////////// 100% 0,225 100% 0,344

Nel settore A, l’indice di Herfindahl è dato dalla sommatoria delle quote di mercato al quadrato:

0,302 + 0,252 + 0,252 + 0,052 + 0,052 + 0,052 + 0,052 = 0,225 (𝐻𝐴 )

Stessa cosa avviene nel riquadro B

L’indice di Lerner misura invece il potere di mercato di un’impresa.


Ossia misura quanto quell’impresa è potente in quella data concentrazione di mercato, cioè quanto
quell’impresa ha la capacità di definire, di determinare da sola il prezzo messo nel mercato rispetto le altre
imprese.
È calcolato dalla differenza tra il Prezzo (P) il costo marginale di produzione (MC) in rapporto al Prezzo stesso.
𝑃−𝑀𝐶
𝐿= 𝑃
Ha valore tra 0 e 1, se pari a 0 indica una situazione di concorrenza perfetta (Vuol dire che ci sono più imprese
che lavorano in un dato mercato, sono completamente informate di tutti i dettagli di quel settore economico.
Si basa sul concetto di price taker, cioè il prezzo lo decide il consumatore non le aziende. Il prezzo si adatta
da solo in base alla quantità che noi decidiamo di acquistare, motivo per il quale il prezzo è uguale al costo
marginale, ovvero il costo per la produzione dello stesso prodotto) in cui il Prezzo = il costo marginale e
l’impresa non possiede alcun potere di mercato, in quanto non può decidere il P di vendita.
La concorrenza perfetta è un modello utopico, non ho guadagni, al massimo posso andare in pari

B) Come si acquisisce e si consolida il potere di mercato?


Il potere di mercato si determina e si consolida:
• Per legge (monopolio legale via brevetti, concessioni, licenze, protezionismo)
• Monopolio naturale
• Innovazione (più innovi, più sviluppi, più hai potere di mercato, ad esempio Apple)
• Differenziazione del prodotto/pubblicità (La differenza di caratteristiche fra vari prodotti dello stesso
mercato dividono le quote di mercato delle varie imprese)
• Deterrenza all’entrata
• Collusione (accordi fraudolenti tra imprese che operano nello stesso settore che cercano di eliminare
gli altri competitor, sono illegali, motivo per cui la commissione europea e altre sono molto attente
a riguardo) /fusione (due aziende quando decidono di fondersi)
C) Quali sono le conseguenza del potere di mercato?

- Efficienza allocativa si ha quando il costo sostenuto per produrre un’unità in più di un prodotto
è esattamente uguale alla disponibilità dei consumatori ad acquistarla.
- Efficienza produttiva si ha quando il costo sostenuto per realizzare un prodotto è il minore
possibile.
- Efficienza dinamica fa riferimento ai miglioramenti nel tempo della tecnologia produttiva.
- Inefficienza paretiana: un mercato (una organizzazione, un’economia) funzionano in modo
paretianamente inefficiente se esiste un modo per migliorare la situazione di almeno uno dei
soggetti coinvolti senza peggiorare quella degli altri.
- Inefficienza “allocativa”: gli scambi sono inferiori a quelli che sarebbero efficienti (conseguenza
di prezzi troppo elevati).
- Inefficienza “produttiva” = i costi sostenuti sono troppo elevati (ci sono “sprechi” dovuti alla
mancanza di sufficiente “pressione competitiva”).

D) Il ruolo delle politiche pubbliche


In microeconomia l’intervento pubblico è giustificato solo dai fallimenti del mercato. Un esempio a
riguardo di ciò è l’Ilva. Da anni ci sono tavoli tecnici per cercare di mantenere la situazione in modo tale
che abbia l’effetto più positivo possibile sul territorio, meno possibile sull’indotto occupazionale ma che
riesca comunque a mantenere la produzione per rimanere uno dei produttori fondamentali.
Qual è l’agenzia che si occupa dell’allocazione, della gestione e dello sviluppo degli investimenti e
incentivi dello stato a crisi aziendali?
È l’Invitalia, agenzia del Mef; ed è l’agenzia che si occupa della definizione e la destinazione dei fondi per
queste criticità. Invitalia realizza un business plan ex-ante per giustificare l’utilizzo di soldi pubblici per
quella determinata crisi aziendale, ovviamente prima di questo il Mef avrà stabilito una legge in
parlamento tale per cui questo affidamento di risorse sia possibile e una volta attivate queste risorse,
controlla in itinere se i soldi allocati dallo stato, sono stati sfruttati e se sono stati ben impiegati nella
realizzazione degli obiettivi
– Beni pubblici, asimmetrie informative, esternalità
In Economia Industriale l’intervento pubblico si giustifica per:
– Limitare le conseguenze negative del potere di mercato (regolamentazione, antitrust e politiche per
l’industria)
– Rafforzare la posizione competitiva di alcune imprese/settori (politica industriale)

Per spiegare il comportamento delle imprese l’economia industriale si avvale di altri strumenti di analisi
come la teoria dei giochi al fine proprio di interpretare al meglio il comportamento delle imprese e la
relazione tra ogni impresa e il relativo settore economico.
All’interno poi della disciplina dell’economia industriale si distinguono: due teorie/approcci
1 Il paradigma SCP: Struttura – Condotta – Performance.
Teorema che lega i risultati (performance) delle imprese al loro comportamento (condotta) e
indirettamente alla struttura del settore industriale di appartenenza: quale fattore esogeno che influisce
sulle regole del gioco concorrenziale. Le imprese che si adattano meglio (condotta), vincono la
competizione sul mercato (performance) à Harvard 1930

Analizziamo innanzitutto il termine struttura, ci riferiamo ai costi di produzione delle imprese, alle
dimensioni degli impianti, al numero di imprese operanti in quel mercato che utilizzano quei determinati
impianti, alle differenziazioni del prodotto, alle barriere di ingresso, alle concentrazioni.
Essa si basa anche sulla tecnologia, l’economia di scala, quanto detto prima.
Più economia di scala avrò maggiore saranno le barriere di ingresso e il livello di concentrazione
dell’offerta. Più è elevata la produzione minima efficiente in rapporto alla domanda, più saranno le
barriere all’ingresso e il livello di concentrazione dell’offerta (n. di imprese) e la dimensione di queste
(impianti) nel settore industriale.
Elasticità della domanda: determinata dalla sostituibilità del bene economico con altri beni sostituti,
quanto siamo disposti con i nostri vincoli di bilancio, date dalle nostre risorse, alla quantità di soldi che
abbiamo nel nostro portafoglio, a sostituire l’acquisto di un prodotto rispetto all’acquisto di un altro
prodotto (sostituto)
Tasso di crescita della domanda: new comers
Fattori storico-ambientali: instabilità politica, livello corruzione, sindacalizzazione del lavoro ecc.
Per Condotta (C) si intende l’insieme delle politiche e scelte aziendali (R&S, Cooperazione, pubblicità,
internazionalizzazione ecc.)
Per Performance (P): i risultati economici suddivisibili in performance aziendali (fatturato, profitto,
vendite e quote di mercato) e surplus totale (benessere collettivo) per tutti operatori economici (stato,
imprese, cittadini ecc.)

1.2.3 Nuova economia industriale


Esiste una relazione biunivoca tra le imprese e il settore in cui operano. Quindi le imprese possono
modificare le regole del gioco concorrenziale.
L’unica differenza sostanziale con il primo modello è che prima la struttura aziendale del settore è una
variabile esogena qua invece diventa una variabile endogena.
L’impresa che riesce a modificare a suo vantaggio le regole del gioco (struttura) con le proprie scelte
(condotta), si afferma e vince sulle atre (performance).
Rispetto al paradigma SCP la relazione settore e impresa cessa di essere univoca e diviene biunivoca.

1.3 Microeconomia
La Microeconomia: è quella parte della teoria economica che studia il comportamento dei singoli agenti
economici: consumatori, lavoratori, investitori e imprese.
Lo studio del comportamento del singolo consumatore (Teoria del Consumatore) e della singola impresa
(Teoria dell’impresa), insieme all’analisi della loro interazione spiega il funzionamento dei mercati e dei
settori industriali.
La spiegazione dell’impatto delle politiche economiche
I soggetti economici possono essere classificati in due categorie:
• Compratori: consumatori che acquistano beni e servizi e imprese che acquistano materie prime
e lavoro
• Venditori: le imprese che offrono beni e servizi e i lavoratori che offrono il proprio lavoro e know-
how alle imprese
Il mercato: è il punto di incontro della domanda (compratori) e dell’offerta (venditori) dalla cui interazione si
determina il Prezzo di un prodotto o di un servizio.
I mercati si distinguono in
• Estensione geografica (locale, regionale, nazionale internazionale) o per estensione di gamma
(gamma di prodotti considerati). Es. mercato dello zucchero (un prodotto) o mercati dei dolcificanti
(gamma di prodotti come fruttosio, aspartame ecc.)
• Sul grado di concorrenzialità
I. Mercato concorrenziale: popolato da più compratori e venditori con prodotti differenziati e
nessuno influenza direttamente i prezzi
II. Monopolio: un venditore che controlla il mercato, sceglie il prezzo o la quantità e lo impone ai
consumatori. Non esiste concorrenza né effettiva, né potenziale
III. Oligopolio: un numero ristretto di imprese controlla il mercato (es. cartelli che determinano
prezzi). Pochi venditori, con un prodotto omogeneo, le cui azioni sono interdipendenti.
Possibilità di collusione per spartirsi il mercato.
IV. Perfettamente Concorrenziale

Possibile domanda d’esame


1.3.1 Concetti di base di microeconomia
§ Il concetto di scelta
§ Il concetto di costo-opportunità
§ Il concetto di scelte razionali
§ Il concetto di costo e beneficio marginale
§ Le conseguenze sociali delle scelte

Il concetto di scelta
Abbiamo già detto precedentemente che noi abbiamo un portafoglio limitato, in base a ciò, noi dobbiamo
essere capaci per effettuare la scelta migliore che soddisfi i nostri bisogni.
La scelta di quali servizi produrre se siamo un’impresa oppure quali servizi acquistare se siamo un
consumatore. L’obiettivo della microeconomia è soddisfare i bisogni dei consumatori in un mercato a risorse
scarse.
La scarsità di risorse induce a compiere delle scelte. Tre tipi fondamentali di scelte:
- Quali beni e servizi produrre e in quali quantità, visto che non ci sono risorse per produrre tutto quanto le
persone desiderano;
- Come devono essere prodotti tali beni e servizi, dato che normalmente esistono varie modalità di
produzione;
- Per chi devono essere prodotti tali beni e servizi.

Il concetto di costo-opportunità
Come noi decidiamo di sostituire un prodotto rispetto ad un altro, prodotti alternativi, senza diminuire la
nostra soddisfazione.
Le scelte comportano sacrificio. Quanto più si acquista di un bene, tanto minore sarà il denaro che si potrà
spendere nell’acquisto di altri beni.
Qualsiasi scelta comporta il sacrificio di altre alternative possibili: il sacrificio della migliore alternativa
disponibile prende il nome di costo-opportunità

Il concetto di scelte razionali


Si ipotizza che le scelte di produzione, scambio e consumo siano compiute con consapevolezza, avendo avuto
la possibilità di confrontare tutti i costi ed i benefici connessi ad una data scelta.
Es.: bottiglia di vino; offerta di lavoro; linee di produzione

Il concetto di costo e beneficio marginale


Le scelte razionali comportano il confronto tra costi marginali e benefici marginali, ovvero la variazione di
costi e benefici che si hanno nel fare una certa attività/scelta in quantità leggermente superiore o inferiore
ad un dato livello.
Es: orario della sveglia; linea di produzione

Conseguenze sociali delle scelte


Le scelte potranno determinare anche un’allocazione inefficiente delle risorse e produrre problemi quali
sprechi, diseguaglianze, inquinamento, ecc., e provocare effetti non considerati.
Ad esempio Il ruolo dello Stato in economia

1.4 Mercato
Il mercato è l’infrastruttura tecnica e sociale dell’economia, in cui individui, famiglie e imprese, attraverso un
sistema di prezzi parametrici, decidono in maniera decentrata quanto e cosa produrre e consumare, con il
solo fine di massimizzare la propria efficienza per mezzo dello scambio.
Funzione economica dei mercati: determinare i prezzi in corrispondenza dei quali la disponibilità all’acquisto
dei compratori (Domanda) uguaglia la disponibilità alla vendita degli offerenti (Offerta).

Curva di domanda
Questa è la curva della domanda, ossia del
consumatore.
Domanda: relazione tra la quantità di un bene/
servizio che gli acquirenti sono disposti ad acquistare
ed il prezzo al quale l’acquisto è realizzabile.
Sull’asse dell’ascisse abbiamo la quantità di
domanda, sull’asse delle ordinate il prezzo.
La curva di domanda è (generalmente) decrescente
perché, quanto è maggiore il prezzo, tanto minore è
la quantità di domanda. Se il prezzo diminuisce
infatti, la quantità di domanda di quel prodotto
aumenta.
Più diminuisce il prezzo, più noi, consumatori, siamo disposti a comprarlo, più l’impresa ha fallito il suo
obiettivo

Curva offerta
Offerta: relazione tra la quantità di un bene/ servizio che i venditori sono
disposti a vendere ed il prezzo ricavabile dalla vendita.
La curva di offerta è (generalmente) crescente, tanto è maggiore il prezzo,
tanto maggiore è la quantità offerta.
In questo caso noi, siamo l’impresa.

Equilibrio di mercato
L’equilibrio di mercato è il punto di incontro tra la curva di
domanda (consumatore) e la curva di offerta (impresa)
Facciamo un esempio: scoppia un’epidemia globale, l’amuchina ci aiuta a risolvere il problema, che succede
alla domanda di amuchina?
La domanda aumenterà, quindi la curva di domanda si sposterà verso destra. Ciò comporta una variazione
dell’equilibrio di mercato, che si troverà in concomitanza con un prezzo più alto.

Gli attori del sistema economico possono essere:


• Attori individuali
• Attori collettivi
Le organizzazioni esistono perché gli individui, interessati all’ottenimento di beni e servizi che soddisfino i
loro bisogni, necessitano di coordinare i loro sforzi e di beneficiare dei vantaggi della cooperazione.
Tipologia di organizzazione: l’impresa

Abbiamo elencato diverse forme di mercato precedentemente, senza però inserire la concorrenza perfetta,
accennato all’inizio del corso. Andiamo adesso a formalizzare le ipotesi che realizzano questo tipo di mercato.
Perfettamente concorrenziale (PC)
4 ipotesi forti:
1) Hp di molteplicità e free entry: esistono molti compratori e venditori e nessun vincolo all’ingresso nel
mercato di altri partecipanti.
2) Hp di assenza di potere di mercato: nessuno dei partecipanti al mercato è in grado di esercitare un
controllo sul prezzo o la quantità.
3) Hp di uniformità del prodotto: il prodotto è omogeneo.
4) Hp di informazione perfetta: tutti i partecipanti conoscono tutte le informazioni relative al mercato ed alle
caratteristiche del prodotto.
Discendono da ciò due corollari:
• Legge del prezzo unico: nel mercato vige un unico prezzo (o una fascia molto ristretta di prezzi)
• Comportamento price taking: compratori e venditori “subiscono” il prezzo di mercato, senza poterlo
influenzare.

1.5 Macroeconomia
La Macroeconomia: studia le grandezze economiche aggregate, come il livello e il tasso di crescita del
prodotto nazionale, i tassi di interesse, la disoccupazione e l’inflazione.
Per capire l’origine dei fenomeni aggregati dei mercati, è necessario comprendere prima il comportamento
dei singoli soggetti economici che li popolano (con lo studio della microeconomia) per poi intendere gli
operatori economici (imprese, consumatori e stato) non più individualmente ma come insieme di soggetti
economici.
Il principale obiettivo è la costruzione di un modello in grado di spiegare il
funzionamento del sistema macroeconomico in un dato momento storico,
per aiutare i policy makers ad adottare le politiche economiche più idonee
ed efficaci per il raggiungimento degli obiettivi di Governo.

• La domanda aggregata (AD) si riferisce all’importo totale famiglie,


imprese e settore pubblico sono disposti a spendere in un dato
periodo; in altre parole essa misura la spesa totale da parte di
tutte le diverse forze che interagiscono nell’economia.
• L’offerta aggregata (AS) o reddito nazionale si riferisce alla
quantità totale di beni e servizi che le imprese della nazione sono
disposte a produrre e vendere in un dato periodo.
Vi sono determinati fattori che influiscono nella domanda aggregata e nell’offerta aggregata e sono:
• Fattori da cui dipende la domanda aggregata:
- Moneta
- Spesa e imposte
- Altri fattori
• Fattori da cui dipende l’offerta aggregata:
- Livello dei prezzi e dei costi
- Produzione potenziale
- Capitale, lavoro, tecnologia

Che cos’è il PIL?


Il PIL è il prodotto interno lordo, uno dei più noti aggregati ed è composto dal valore dei beni e dei servizi
finali prodotti all’interno di un Paese in un determinato periodo. Misura l’attività economica dei soggetti
economici che operano sul territorio nazionale, indipendentemente dal fatto che siano residenti o meno.
𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑁𝑋
In cui:

• C = consumi
• I = investimenti
• G = acquisti pubblici
• NX = esportazioni nette
• Y = Prodotto Interno Lordo

La ricchezza di un paese si misura sul suo prodotto interno lordo, utilizzato nelle valutazioni internazionali
per comprendere l’andamento di un paese.

PIL nominale = indicatore del PIL per misurare il valore della produzione di un sistema economico in un
determinato periodo. Considera i prezzi correnti, quindi è soggetto alla fluttuazione dei prezzi.

PIL reale: è basato sul computo delle variazioni quantitative della produzione senza tenere in conto le
variazioni monetarie (prezzi). Consente quindi di misurare la variazione della ricchezza economica prodotta
in un sistema economico nel corso degli anni depurandola dagli effetti e variazioni dei prezzi.

Il Deflatore del PIL è il rapporto tra PIL Nominale e PIL Reale e consente di misurare la variazione di prezzi in
un periodo.

Prodotto nazionale lordo: Misura l’attività economica dei soggetti residenti in un paese (questa è la
differenza con il PIL), indipendentemente dal fatto che operino sul territorio nazionale o all’estero.

Inflazione: è l’incremento generale dei prezzi delle merci e dei servizi in un sistema economico determinato
da uno squilibrio tra domanda e offerta di mercato, causando la riduzione del potere di acquisto della moneta
a secondo la teoria quantitativa della moneta.
A parità di circolazione della moneta e della quantità delle transazioni di beni e servizi, l’incremento della
quantità di moneta si traduce in un incremento di prezzi. Esistono diversi tipi di inflazione (da domanda,
monetaria, da costi es. petrolio).

Cosa è il debito pubblico? È il cumulo dei prestiti che lo Stato e gli altri enti del settore pubblico contraggono
per coprire i saldi negativi del bilancio pubblico (entrate – spese pubbliche). Lo stato emette e vende titoli
pubblici sul mercato per finanziare la politica fiscale in deficit tramite indebitamento pubblico. I titoli di stato
si dividono in breve e lungo periodo, i titoli a breve sono i BOT, mentre quelli a lungo sono i BTP.

Politica fiscale = rappresenta l’insieme degli interventi di politica economica che permettono al policy maker
di influenzare la domanda aggregata e di ottenere effetti sul reddito di equilibrio tramite le variazioni della
spesa pubblica e dell’imposizione fiscale tramite la legge di bilancio. Espansiva (aumento spesa pubblica e
trasferimenti, sussidi, reddito di cittadinanza e riduzione del prelievo fiscale) viceversa Restrittiva.

Politica monetaria = politica economica basta sulla gestione dell’offerta di moneta dalla banca
centrale/policy makers per influenzare la domanda aggregata. È espansiva se consiste un aumento
dell’offerta di moneta nel sistema economico. Viceversa è restrittiva.

2 Microeconomia
È importante riuscire a trovare un equilibrio in questo sistema basato sulla scarsità, cioè è importante per le
imprese, produrre e offrire sul mercato, i prodotti che sono necessari ai consumatori senza generare un
eccesso di offerta, mentre per i consumatori sarà invece importante avere sul mercato tutto quello di cui
hanno bisogno e comprarlo attraverso il loro portafoglio limitato.

Sono 4 i concetti che stanno alla base di queste scelte:

• Le scelte e il costo opportunità: si basa sul concetto che le scelte comportano dei sacrifici, per
esempio quanto più cibo acquistiamo, tanto minore saranno le risorse rimaste per comprare altri
beni. Tanto più cibo viene prodotto in un paese, tanto minori saranno le risorse per produrre altri
beni, In altre parole, ogni scelta presa comporta il sacrificio delle altre alternativi possibili. Il sacrificio
della miglior opportunità si chiama costo opportunità.
Facciamo un altro esempio: una azienda agricola può produrre 1 tonnellata di grano o
alternativamente 2 tonnellate di orzo, il costo opportunità di una tonnellata di grano è uguale a 2
tonnellate di orzo. Un altro esempio è il costo opportunità per acquistare un libro di testo è pari al
paio di jeans che potremmo comprare al posto del libro ma che dovremmo rinunciare. Il costo
opportunità per fare un lavoro straordinario è pari al tempo libero che sacrifichiamo.
Il costo opportunità, lo ripetiamo, è la miglior scelta alternativa.
• Le scelte razionali: si confrontano tutti i benefici e costi di un’attività. Questo si verifica nel caso delle
imprese che decidono cosa e quanto produrre, si verifica anche per i lavoratori che decidono se fare
un lavoro straordinario e si verifica anche per i consumatori quando devono scegliere cosa
acquistare.
Facciamo un esempio: siamo al supermercato e dobbiamo comprare un vino, sceglieremo un vino
costoso ma di ottima qualità oppure un vino molto più economico? Dobbiamo considerare i costi e
benefici di ciascuna opportunità: il vino più costoso ci può dare una maggiore soddisfazione ma
comporta un costo opportunità molto elevato che non mi permetterà di compare altre determinate
cose. Il vino più economico ci darà meno soddisfazione ma avrà un costo opportunità più basso e ci
permetterà di comprare altre cose. Una scelta razionale comporterà una scelta, tra le opportunità in
esame, di quell’alternativa che darà un maggiore beneficio rispetto al costo.
Nel caso delle imprese appunto sarà ad esempio: può un produttore di automobili avviare una nuova
linea produttiva?
Una scelta razionale dovrà prendere in considerazione i costi e benefici. I benefici in questo contesto
saranno appunto i ricavi che si avranno dalla produzione delle nuove automobili. I costi invece include
maggiori risorse per pagare i lavoratori, per l’acquisto delle materie prime, dei componenti, etc.
Essa sarà conveniente, se e solo se, i ricavi siano maggiori dei costi, aumentando il profitto
dell’impresa.
• Costi e benefici marginali: le scelte razionali comporteranno il confronto fra i costi marginali e i
benefici marginali, ovvero rispettivamente la variazione di costi e benefici dovuti alla produzione di
una quantità maggiore di qualcosa. Il costo marginale, come detto in precedenza, è il costo per la
produzione di un’unità in più del prodotto che stiamo producendo. Il beneficio marginale è quel
valore dovuto al ricavo della vendita che otterrete a vendere quel prodotto in più sul mercato.
Esempio della sveglia.
• Conseguenze sociali delle nostre scelte: la microeconomia non studia solo le scelte ma anche le sue
conseguenze. In determinati casi le scelte comporteranno un’allocazione efficiente delle risorse di
un paese, in altri casi, comprendendo ovviamente tutti gli attori del mercato, potranno generare una
serie di problemi: sprechi, inefficienze, disuguaglianza, inquinamento. Un’attività infatti potrebbe
scaricare rifiuti tossici in un fiume, non curandosi degli effetti ambientali, solo per un guadagno
personale.
Quindi è importante valutare tutte le conseguenze.

2.2 Modello domanda-offerta


Il modello domanda-offerta: è lo strumento di base della microeconomia per comprendere come e perché
cambia il prezzo di mercato. In determinati casi le scelte comporteranno
Per descrivere il meccanismo di mercato utilizziamo le curve di domanda e offerta.
Curva offerta: 𝑄𝑜=𝑄𝑂 (𝑃)
Relazione tra la quantità di un bene che i produttori sono disposti a vendere ed il prezzo del bene medesimo.
Mostra le quantità di prodotto che i produttori sono disposti a vendere a quei prezzi, tenuti costanti tutti gli
altri fattori che influiscono sulla quantità offerta (curva crescente = più alto è il prezzo, più le imprese sono
in grado e desiderano produrre e vendere).

Se i costi di produzione (salari, interessi passivi, costo delle materie prime) diminuiscono, la produzione sarà
più redditizia e quindi le imprese possono produrre la stessa quantità ad un prezzo inferiore o quantità
maggiori allo stesso prezzo (la curva di offerta si sposta verso
destra, vedi grafico seguente).

Se io impresa che vende servizi vengo a sapere che quel


prodotto da 3 euro lo posso vendere a 15, sono disposto a
produrre una quantità molto superiore di quel prodotto.

Questa curva rappresentata (non tratteggiata) è la


combinazione di prezzi e quantità, che messe insieme mi
danno la curva di offerta.

Ma cos’è la curva tratteggiata? A seconda di quello che


succede nel mercato le curve si possono spostare a destra o a sinistra. Mettiamo caso che per noi impresa, i
costi di produzione diminuiscono (salari, materie prime, etc.) questo comporta che la nostra produzione sarà
più redditizia, quindi ciò porterà a produrre la stessa quantità ad un prezzo più basso o quantità maggiore
allo stesso prezzo. La curva di offerta si sposta verso destra.

Gli esercizi si baseranno su domande e noi dovremo dire come cambiano le curve

Curva di domanda:𝑄𝐷 = 𝑄𝐷 (𝑃)

Relazione tra la quantità di un bene che i consumatori sono


disposti ad acquistare ed il prezzo del bene medesimo.
Mantenendo costanti gli altri fattori, i consumatori saranno
disposti ad acquistare maggior i quantità di un bene quando il
prezzo di quest’ultimo diminuisce (curva decrescente). La
quantità domandata può dipendere, anche, da altre variabili (il
reddito, il clima, i prezzi di altri beni). Per la maggior parte dei
prodotti, la quantità domandata aumenta al diminuire del
prezzo.
L’aumento del livello di reddito sposta la curva di domanda verso destra (vedi grafico). Con un reddito
maggiore, i consumatori sono disposti ad acquistare maggiori quantità di un bene, allo stesso prezzo, oppure
sono disposti a pagare un prezzo maggiore per una stessa quantità di un bene.

In questo caso abbiamo una curva di domanda decrescente perché noi consumatori, a differenza di chi offre
prodotti sul mercato, siamo disponibili a comprare più prodotti, maggiori quantità, ad un prezzo più basso.

Facciamo un esempio: l’aumento di reddito causa lo spostamento della curva verso destra, questo perché i
consumatori sono disposti a comprare maggiori quantità di un bene allo stesso prezzo, oppure a comprare
la stessa quantità di bene ad un prezzo maggiore, cioè se abbiamo maggiore reddito compreremo maggiori
quantità di quel prodotto. Spostandosi verso destra la curva di domanda fa corrispondere al prezzo P1 a Q2.
Vedere esempio amuchina scritto precedentemente.

Abbiamo parlato di beni, essi si suddividono in due categorie


• Beni sostituti: due beni per cui l’aumento del prezzo dell’uno conduce all’aumento della quantità
domandata dell’altro (es.: alluminio-rame, carne di manzo-carne di pollo).
Ad esempio se aumenta il costo della carne di manzo, la domanda della carne di pollo aumenta
perché è un bene sostituibile rispetto all’altro
• Beni complementi: due beni per cui l’aumento del prezzo dell’uno determina la diminuzione della
quantità domandata dell’altro (es.: automobili-benzina, computer-software).
Ad esempio se aumenta la benzina, l’utilizzo della macchina diminuisce.
L’utilizzo di uno non può prescindere all’utilizzo dell’altro

L’equilibrio di mercato
L’equilibrio di mercato o market clearing price è il punto
nel quale la curva di domanda (D) e quella di offerta (O) si
incontrano 𝑄𝐷 = 𝑄𝑂
In corrispondenza di un equilibrio di mercato non si
verifica mai:
1) Un eccesso di domanda (carenza di beni)
2) Un eccesso d’offerta (surplus di beni)
3) Una pressione verso cambiamenti del prezzo

Prezzo di equilibrio: prezzo al quale la quantità domandata


e la quantità offerta si equivalgono (P0 e Q0, nella figura
seguente). Prezzo ideale in cui tutti i prodotti che io
impresa offro sul mercato, soddisfano la domanda in cui non si creano eccedenze o scarsità.
Eccedenza e scarsità generano una pressione verso il cambiamento del prezzo perché rispettivamente la
quantità offerta supera la quantità domandata.
Esempio del mercato del grano: vi è un’eccedenza di produzione di grano e si genera un’eccedenza di
magazzino. Mettono sul mercato tante quantità di grano tale per cui il prezzo non sia troppo basso e
nemmeno alto.
Eccedenza: Situazione in cui la quantità offerta supera la quantità domandata (P1, nella figura precedente).
Scarsità: Situazione in cui la quantità domandata supera la quantità offerta
(P2, nella figura precedente).

Nuovo equilibrio determinato dallo spostamento dell’offerta


Quando la curva di offerta si sposta verso destra (es.: per una diminuzione del
prezzo delle materie prime), il mercato raggiunge il nuovo equilibrio ad un
prezzo P (P3 nel grafico) minore e ad una quantità Q (Q3 nel grafico) maggiore.
Nuovo equilibrio determinato dallo spostamento della domanda
Quando la curva di domanda si sposta verso destra (es.: per l’aumento del
reddito), il mercato raggiunge il nuovo equilibrio in corrispondenza di un
prezzo P (P3 nel grafico) maggiore e di una quantità Q (Q3 nel grafico)
maggiore. (Promessa che non si considera il risparmio)

Nuovo equilibrio determinato dallo spostamento della domanda e dell’offerta


Le curve di domanda e di offerta si spostano nel tempo al mutare delle
condizioni del mercato. Nel grafico, gli spostamenti verso destra delle curve
di domanda e di offerta conducono ad un prezzo leggermente maggiore e
ad una quantità molto maggiore. In generale, le variazioni di prezzo e
quantità dipendono dall’entità dello spostamento e dalla forma di ciascuna
curva.
Vediamo in quest’ultima rappresentazione che è cambiato ovviamente il
punto di equilibrio, che comporterà un nuovo prezzo di equilibrio e di
conseguenza ad una rispettiva quantità. Nel nuovo punto d’equilibrio il
prezzo è leggermente più alto a fronte di una quantità molto più alta, ciò avviene per l’elasticità, che ci dice
fondamentalmente di quanto varia il prezzo e la quantità su che proporzione, al
netto della situazione di mercato. Definizione non rigorosa.

A) Mercato delle uova (negli USA): la curva di offerta si è spostata verso il


basso per il calo dei costi di produzione; la curva di domanda si è
spostata verso sinistra per il cambiamento delle preferenze dei
consumatori; gli effetti consistono in una netta diminuzione del prezzo
reale delle uova e nell’aumento del consumo delle stesse (vedi grafico
seguente).
B) Mercato dell’istruzione universitaria (negli USA): la curva di offerta
dell’istruzione universitaria si è spostata verso l’alto per l’incremento
dei costi delle attrezzature, della manutenzione e del personale; la
curva di domanda si è spostata verso destra poiché un numero sempre
maggiore di diplomati i delle scuole superiori ha scelto di proseguire gli
studi; il risultato consiste in un drastico aumento sia del prezzo sia del
numero delle iscrizioni (vedi grafico seguente).

Elasticità: variazione percentuale di una variabile prodotta dall’incremento di un punto percentuale di


un’altra variabile (variazione assoluta divisa per il valore iniziale della variabile).

• Elasticità della domanda rispetto al prezzo (Ep): variazione percentuale della quantità domandata
di un bene prodotta da un aumento dell’1% del prezzo di quel bene. Dati: QD, P (quantità domandata
di un bene e relativo prezzo) Ep = (∆%QD) / (∆%P) = (∆Q / Q) / (∆P / P) = (P·∆Q) / (Q·∆P)
• Elasticità dell’offerta rispetto al prezzo: variazione percentuale della quantità offerta di un bene
prodotta dall’aumento dell’1% del prezzo del bene medesimo. Dati: QO, P (quantità offerta di un
bene e relativo prezzo) Ep = (∆%QO) / (∆%P) = (∆Q / Q) / (∆P / P) = (P·∆Q) / (Q·∆P)

In termini molto più semplici l’elasticità non è altro che la variazione di una delle due variabili, che sia quantità
o prezzo, che comporta una variazione all’altra. Nei casi precedenti l’abbiamo vista in relazione alla variazione
di un punto percentuale del prezzo che ha comportato una variazione della domanda in un caso e dell’offerta
nell’altro. Le formule dei due casi precedenti sono identiche, come si può notare, ma in un caso noi andremo
a considerare la variazione della quantità rispetto alla domanda, nell’altro, come sempre, dell’offerta.

• Elasticità della domanda rispetto al prezzo (Ep): di solito è un valore negativo (quando il prezzo
aumenta, la quantità domandata diminuisce), quindi (∆Q) / (∆P) < 0 ed Ep < 0. A volte, si fa
riferimento al valore assoluto dell’elasticità (se, per es., Ep = - 1, si dice che l’elasticità ha valore 1).
Più la domanda di un bene è elastica più si può fare a meno di quel bene, perché basta aumentare
anche di poco il suo prezzo per farne scendere notevolmente le vendite.

Domanda elastica rispetto al prezzo: se l’elasticità rispetto al prezzo è maggiore di 1 in valore assoluto. La
variazione percentuale della quantità domandata è maggiore dell’incremento percentuale di prezzo.
Se un prodotto costa due euro e la quantità domandata è due, se aumenta il prezzo a 10 e la quantità
domandata aumenta solo fino a 3, allora siamo alla presenza di questo caso.
Domanda anelastica rispetto al prezzo: se l’elasticità rispetto al prezzo è minore di 1 in valore assoluto. La
variazione percentuale della quantità è più piccola della variazione percentuale del prezzo.

• Elasticità della offerta rispetto al prezzo (Ep): di solito è un valore positivo perché prezzo e quantità
offerta sono positivamente correlati.

In generale: L’elasticità rispetto al prezzo della domanda di un bene dipende dalla disponibilità di altri beni
sostituibili ad esso; quando esistono beni sostituti, un aumento del prezzo fa sì che i consumatori acquistino
una minore quantità del bene ed una maggiore quantità del bene sostituto (= domanda altamente elastica
rispetto al prezzo) Vuol dire che se noi aumentiamo il prezzo della carne di manzo, noi consumatori andremo
ad acquistare della carne di pollo, perché esse è un bene sostituto (Esempio già visto); quando non esistono
beni sostituti, la domanda tende ad essere anelastica rispetto al prezzo.).
L’elasticità della domanda rispetto al prezzo (∆Q) / (∆P) deve essere misurata in un particolare punto della
curva di domanda ed, in generale, varia quando ci si muove lungo tale curva. Il predetto principio, può essere
facilmente constatato su una curva di domanda lineare. Curva di domanda lineare: curva di domanda
costituita da una retta: Q = a – b·P
Esempio
Quando ci si sposta lungo la curva, P/Q diminuisce e
l’elasticità diminuisce in valore assoluto.
Vediamo il grafico qui alla nostra destra:
L’intersezione della retta con l’asse del prezzo comporta
determinate conseguenze, Q infatti sarà molto piccolo,
ovvero 0, comporterà che l’elasticità sarà in valore
assoluto molto grande (Ep = - ∞)
Nel caso in cui il prezzo sarà 2, P = 2, la quantità sarà 4,
Q = 4, l’elasticità sarà -1, Ep = -1.
All’intersezione con l’asse delle quantità Q, P = 0 e quindi l’elasticità è uguale a zero. Poiché le curve di
domanda e di offerta vengono tracciate con il prezzo sull’asse verticale e la quantità sull’asse orizzontale,
(∆Q) / (∆P) = (1/pendenza della retta).

Ricapitolando, l’elasticità della domanda rispetto al prezzo può assumere tantissimi valori (ai quali
corrispondono curve di domanda più o meno inclinate). Una classificazione dei diversi valori di elasticità è la
seguente:

• Elasticità = 0. Non c’è reattività


della domanda. Qualsiasi
variazione del P lascia indifferente
la quantità domandata.
Graficamente la domanda è una
retta verticale. Si dice in questo
caso che la domanda è rigida o completamente anelastica (caso a) - es. servizi medici).

• Elasticità < 1. C’è poca reattività della Q


alle variazioni di P. L’inclinazione della
domanda è vicina a quella verticale. Si dice
che la domanda è poco elastica (Caso b) (es.
bene di prima necessità – cambio prezzo e
reagisco poco)

• Elasticità = 1. La variazione % del P


determina la stessa variazione % della
Q domandata. (Caso c)

• Elasticità > 1. C’è molta reattività della


Q alle variazioni di P. La pendenza della
domanda è vicina a quella orizzontale. Si
dice che la domanda è molto elastica.
(Caso d) (es. bene di lusso – cambio
prezzo e reagisco molto)

• Elasticità = infinito. La reattività è massima. Qualsiasi piccola variazione di P provoca una grossa
risposta della Q domandata. La domanda
è una retta orizzontale. La domanda in
questo caso è perfettamente o
infinitamente elastica (caso e) (beni non
necessari)

Generalizzando, possiamo dire che:


+ la curva di domanda è piatta più la domanda è elastica
+ la curva di domanda è inclinata più la domanda è rigida

• Elasticità della domanda rispetto al reddito (𝐸𝑅𝐷 ): variazione percentuale della quantità domandata
prodotta da un incremento dell’1% del reddito. Quindi in questa circostanza i due dati, le due variabili
non saranno prezzi e quantità, ma ci sarà il reddito al posto del prezzo
Dati: Q, RD (quantità domandata di un bene e reddito)
∆𝑄 ∆𝑅𝐷 𝑅𝐷 ∙ ∆𝑄
𝐸𝑅𝐷 = ( )/( ) =
𝑄 𝑅𝐷 (𝑄 ∙ ∆𝑅𝐷)

È sempre positiva perché all’aumentare del livello di reddito aumenta la capacità di acquisto dei consumatori.
Ad esempio se l’aumento del reddito del 2% provoca l’aumento della quantità domandata dell’8%, l’elasticità
rispetto al reddito è: 𝜀𝑌 = (∆𝑄/𝑄)/(∆𝑌/𝑌)

La principale determinante dell’elasticità della domanda al reddito è il grado di «necessità» del bene.
In un paese industrializzato, la domanda di beni di lusso aumenta rapidamente al crescere del reddito dei
consumatori, mentre la domanda di beni di prima necessità, come il pane, cresce solo in misura scarsa. In
altre parole, beni come le automobili e le vacanze all’estero hanno un’elevata elasticità della domanda
rispetto al reddito, mentre beni come le patate hanno una bassa elasticità della domanda al reddito.
La domanda di alcuni beni invece diminuisce all’aumentare del reddito. Si tratta dei cosiddetti beni sostituti
inferiori: la margarina ad esempio è un bene inferiore; quando le persone guadagnano di più̀, acquistano
burro. L’elasticità della domanda rispetto al reddito dei beni inferiori è negativa. L’elasticità̀ della domanda
rispetto al reddito è un concetto importante per le imprese che devono considerare la dimensione futura del
mercato dei loro prodotti.

Se il prodotto ha un’elevata elasticità della domanda rispetto al reddito, le vendite cresceranno rapidamente
all’aumentare del reddito nazionale, ma, allo stesso modo, diminuiranno in modo notevole se l’economia
entra in recessione.

• Elasticità incrociata della domanda (EQbPm): variazione percentuale della quantità domandata di
un bene prodotta dall’aumento dell’1% del prezzo di un altro bene (caso dei beni sostituti= un
aumento del prezzo della margarina conduce ad un aumento della quantità di burro domandata, in
quanto più economico, quindi l’elasticità è positiva; ma non funziona sempre così, si pensi ai beni
complementari sci-scarponi, qui abbiamo un’elasticità negativa). Dati: Qb, Pm (quantità domandata
di burro e prezzo della margarina).
∆𝑄𝑏 ∆𝑃𝑚
𝐸𝑄𝑏𝑃𝑚 = ( )/ ( ) = (𝑃𝑚 ∙ ∆𝑄𝑏 ) / (𝑄𝑏 ∆𝑃𝑚 )
𝑄𝑏 𝑃𝑚
Ad esempio, se la Coca-Cola fosse a conoscenza dell’elasticità incrociata della domanda della Coca-
Cola al prezzo della Pepsi potrebbe prevedere l’effetto sulle sue vendite di variazioni del prezzo di
quest’ultima.
Facciamo degli esempi:
La domanda di carne di maiale aumenta al crescere del prezzo del manzo. In questo caso, l’elasticità̀
incrociata è positiva. Ad esempio, se la domanda di burro aumenta del 2% quando il prezzo della
margarina (un bene sostituto) aumenta dell’8%, allora l’elasticità̀ incrociata della domanda di burro
rispetto alla margarina è pari a: 2%/8% = 0,25
Se il bene 2 è complementare al bene 1, invece, la domanda dell’uno diminuisce all’aumentare del
prezzo dell’altro. L’elasticità incrociata della domanda in questo caso è negativa. Ad esempio, se un
aumento del 4% del prezzo del pane causa un calo del 3% della domanda di burro, l’elasticità̀
incrociata della domanda di burro rispetto al pane è: -3%/4% =-0,75
La determinante principale dell’elasticità incrociata della domanda è il grado di sostituibilità̀ o di
complementarità̀ tra i due beni. Quanto maggiore è tale grado, tanto maggiore sarà l’effetto sulla
domanda del primo bene di una variazione del prezzo del bene sostituto o complemento, quindi
tanto maggiore sarà̀ l’elasticità̀ incrociata — sia essa positiva o negativa.
Alle imprese sarà utile conoscere l’elasticità incrociata della domanda del proprio prodotto, anche
per valutare l’effetto sulla propria domanda di una variazione del prezzo di un bene concorrente o di
un bene complementare. Queste informazioni sono vitali quando le imprese devono decidere i loro
piani di produzione.

• Elasticità puntuale della domanda (calcolata in un punto specifico della curva di domanda): elasticità
rispetto al prezzo in un particolare punto della curva di domanda.
• Elasticità d’arco della domanda (calcolata lungo un segmento della curva): elasticità rispetto al
prezzo calcolata su un intervallo di prezzi.
Dati: Qm = Qmedio, Pm = Pmedio
𝐸𝑑′𝑎𝑟𝑐𝑜 = (∆𝑄 / ∆𝑃) (𝑃𝑚 / 𝑄𝑚 )
Per comprenderla meglio facciamo un esempio: consideriamo la prima immagine di pagina 20, l’elasticità dal
punto (0,4) al punto (4,2), quindi dall’elasticità meno infinito fino al punto in cui esse è meno uno, quella sarà
l’elasticità d’arco.

Curiosità: L’elasticità sta alla base delle speculazioni. Perché?


La variabilità dei prezzi condiziona il comportamento di acquirenti e venditori. Se, ad esempio, in dicembre
pensate di acquistare un cappotto nuovo, potreste decidere di aspettare i saldi di gennaio e sfruttare il vostro
vecchio cappotto fino ad allora. Se invece a gennaio trovate un abito estivo in saldo, potreste decidere di
acquistarlo subito e non aspettare l’estate nel timore che i prezzi aumenteranno. Quindi, un’aspettativa di
aumento dei prezzi indurrà̀ le persone a comprare subito; un’aspettativa di riduzione dei prezzi le indurrà a
posticipare i loro acquisti. Il contrario accade ai venditori. Se pensate di vendere la vostra casa in un momento
in cui i prezzi stanno scendendo, vorrete concludere la vendita il più presto possibile. Se invece i prezzi stanno
salendo, aspetterete il più a lungo possibile per spuntare il prezzo più alto. Quindi, un’aspettativa di riduzione
dei prezzi indurrà le persone a vendere subito; un’aspettativa di aumento dei prezzi le indurrà invece ad
aspettare. Questo comportamento è chiamato speculazione.

2.3 Teoria del Consumatore


Teoria del comportamento del consumatore: spiega come i consumatori destinano i propri redditi
all’acquisto dei diversi beni e servizi per massimizzare il proprio benessere.
Procederemo in tre passaggi:
1. Preferenze del consumatore: descrizione delle ragioni per cui le persone preferiscono un bene ad un altro;

2. Vincoli di bilancio: i consumatori dispongono di redditi limitati i quali pongono un tetto alla quantità di
beni che gli stessi possono acquistare;

3. Scelte del consumatore: date le loro preferenze ed i loro redditi, i consumatori scelgono di acquistare
combinazioni di beni che massimizzano la loro soddisfazione. Queste combinazioni dipendono dai prezzi dei
diversi beni (comprendere la scelta del consumatore aiuta a comprendere la domanda, ovvero come la
quantità di un bene che i consumatori scelgono di acquistare dipende dal prezzo).
Capire quali sono le variabili che influiscono sulla scelta di un consumatore, non solo aiutano i consumatori
stessi, perché capisce come allocare i propri soldi, ma anche all’offerente perché riesce a definire opportune
strategie di mercato.
Ipotesi del modello: consumatori razionali ed informati (ma non è sempre così!)

Paniere di mercato: elenco di specifiche quantità di uno o più beni [es. - i diversi prodotti alimentari inclusi
nel carrello della spesa; quantità di cibo, di vestiario e di spazio d’abitazione che un consumatore acquista
ogni mese; es. (panieri alternativi) - paniere A: 20 unità di cibo e 30 unità di vestiario; paniere B: 10 unità di
cibo e 50 unità di vestiario; ecc.]. Tutta la quantità di beni, la loro
combinazione, che acquisto con il mio portafoglio.

LA SEGUENTE POTREBBE ESSERE UNA DOMANDA D’ESAME

Teoria del comportamento del consumatore: si sviluppa su tre


ipotesi fondamentali (da supporsi valide per la maggior parte delle
persone e la maggior parte delle situazioni) sulle preferenze delle
persone rispetto a due panieri:
1. Completezza: si ipotizza che le preferenze siano complete,
ovvero che i consumatori siano sempre in grado di confrontare e valutare tutti i possibili panieri;
quindi, per una qualsiasi coppia di panieri A e B, un consumatore preferirà A a B, oppure preferirà B
ad A, oppure sarà indifferente tra i due (ovvero è ugualmente soddisfatto dai due panieri);
2. Transitività: le preferenze sono transitive (per la coerenza del consumatore); se A è preferito a B e B
è preferito a C, allora A è preferito a C;
3. Non sazietà (o monotonicità): si assume che i beni siano desiderabili, quindi i consumatori
preferiranno sempre avere una maggiore quantità di un bene piuttosto che una minore; inoltre, i
consumatori non sono mai soddisfatti o sazi.
C’è anche una quarta ipotesi, che vedremo successivamente, che in sede di esame non dobbiamo escludere.
Le suddette tre ipotesi sono alla base della teoria del consumatore: impongono un grado di razionalità e di
ragionevolezza.

LA SEGUENTE POTREBBE ESSERE UNA DOMANDA D’ESAME (TUTTO IL DISCORSO SULLE CURVE E MAPPE DI
INDIFFERENZA)

Curve di indifferenza: rappresentazione grafica delle preferenze di un consumatore; rappresentazione di


tutte le combinazioni di panieri che garantiscono ad un consumatore un determinato livello di soddisfazione;
la persona considerata è, quindi, indifferente rispetto ai panieri rappresentati dai punti che giacciono sulla
curva d’indifferenza.
Per tracciare una curva d’indifferenza per un consumatore, è utile, dapprima, rappresentare le sue singole
preferenze.
Il paniere A è chiaramente (cfr. ipotesi di più è meglio che di meno) preferito al paniere F; il paniere E è
chiaramente preferito al paniere A.
Ma il paniere A non può essere confrontato con i panieri B, G e D, in assenza di ulteriori informazioni.
Le suddette informazioni aggiuntive sono fornite dalla curva d’indifferenza del consumatore in questione
(grafico seguente), indicata con U1, che passa per i punti
A, B e D, ed indica che il consumatore è indifferente
rispetto a questi tre panieri (passando da A a B, ovvero
scambiando 10 unità di cibo per 20 unità di vestiario,
ovvero passando da A a D, cioè cedendo 10 unità di
vestiario per ottenere 20 unità di cibo in più). Il
consumatore preferisce, invece, A ad F, che si trova (F)
sotto U1. Tutti i punti che giacciono sulla curva di
indifferenza sono panieri, che danno la stessa
soddisfazioni al consumatore a cui è riferita questa curva.
Tutti i panieri che stanno al di sotto della curva, danno un
grado di soddisfazione, minore.
Ogni paniere che si trova al di sopra ed a destra della
curva d’indifferenza è preferito a ciascuno dei panieri che si trovano sulla curva d’indifferenza medesima
Mappe di indifferenza: grafico contenente un insieme di curve
d’indifferenza che rappresentano panieri rispetto ai quali il
consumatore è indifferente (nel grafico seguente, la curva
d’indifferenza U3 è associata ad un livello di soddisfazione più alto,
seguita dalle curve U2 ed U1).
Le curve d’indifferenza non si intersecano tra loro: se così fosse, si
violerebbe una delle ipotesi alla base della teoria del consumatore
(quantità maggiore preferita ad una quantità minore); infatti (cfr.
grafico), se B è indifferente ad A (si trovano sulla stessa curva
d’indifferenza) ed A è indifferente a D (si trovano sulla stessa curva
d’indifferenza), per la proprietà transitiva (altra ipotesi alla base della
teoria del consumatore), B è indifferente a D (ma non è così se esiste
l’ipotesi quantità maggiore preferita ad una quantità minore).
Esiste un numero infinito di curve di indifferenza che non si intersecano,
una per ogni possibile livello di soddisfazione.
Ogni possibile paniere (ciascuno corrisponde ad un punto del grafico) si
trova su una curva di indifferenza.
Le curve d’indifferenza sono tutte decrescenti (hanno tutte pendenza
negativa): quando la quantità di cibo aumenta, la quantità di vestiario
diminuisce. Ciò, consegue da una delle ipotesi della teoria del consumatore (una maggiore quantità di bene
è preferita ad una minore), come visto in precedenza (se una curva d’indifferenza fosse crescente, il
consumatore sarebbe indifferente nella scelta tra due panieri nonostante uno di essi contenga maggiori
quantità di entrambi i beni).
La forma di una curva d’indifferenza descrive il modo in cui il consumatore è disposto a scambiare un bene
con l’altro.
I consumatori devono considerare dei trade-off [situazione che implica una scelta tra due o più alternative,
in cui la perdita di valore di una costituisce un aumento di valore in un'altra; es. di trade-off - relazione inversa
tra tempo lavorativo e tempo libero: al crescere del valore di un'alternativa (tempo lavorativo), decresce
necessariamente quello della seconda (tempo libero), e viceversa].
Vediamo un esempio con il grafico alla nostra destra.
Spostandosi dal paniere A verso il paniere B, il consumatore è disposto a
rinunciare a 6 unità di vestiario in cambio di 1 unità in più di cibo; passando
da B a D, invece, i l consumatore è disposto a rinunciare solo a 4 unità di
vestiario (perché la quantità totale di vestiario posseduta è minore
rispetto a quella iniziale, ovvero quella in A) per ottenere 1 unità in più di
cibo; nel passaggio da D ad E, cederà solo 2 unità di vestiario per 1 di cibo
(cfr. vedi grafico).
Più una persona consuma vestiario e meno consuma cibo, più unità di
vestiario sarà disposta a cedere per ottenere quantità aggiuntive di cibo.
Analogamente, maggiore è la quantità di cibo che una persona possiede,
minore è la quantità di vestiario cui sarà disposto a rinunciare in cambio di cibo.
Più noi abbiamo a disposizione un bene, più saremo disponibili a cedere una parte in eccesso di quel bene in
eccesso per avere una quantità in più di un bene di cui non abbiamo disponibilità.
Saggio marginale di sostituzione (SMS): quantità massima di un bene a cui un consumatore è disposto a
rinunciare per ottenere in cambio un’unità in più di un altro bene. Misura il valore che un individuo attribuisce
ad una unità in più di un bene espresso nei termini dell’altro bene. In ogni punto della curva d’indifferenza,
l’SMS è uguale, in valore assoluto, alla pendenza della curva d’indifferenza medesima. Quantità di un bene
sull’asse verticale (vestiario) a cui il consumatore è disposto a rinunciare per ottenere un’unità in più del bene
sull’asse orizzontale (cibo)
SMS = - ∆V / ∆C (il segno meno fa sì che il SMS sia sempre positivo, in quanto ∆V è sempre negativo = il
consumatore rinuncia ad unità di vestiario per ottenere unità di cibo).
Il SMS diminuisce quando si scende lungo la curva d’indifferenza (convessità): riflette una particolare
caratteristica delle preferenze del consumatore (per comprenderla aggiungeremo una 4°ipotesi alle tre già
poste precedentemente).
4. Ipotesi: Sms decrescente = le curve d’indifferenza sono solitamente convesse (= la pendenza della
curva aumenta, ovvero diventa meno negativa, man mano che si scende lungo la curva medesima).
Ciò perché In base al principio dell'utilità marginale decrescente, la scelta di panieri con entrambe le
quantità dei beni fornisce un livello di utilità superiore rispetto alla scelta dei panieri estremi ossia di
quelli in cui prevale la scelta di uno solo dei due. E dati due panieri indifferenti A e B, il consumatore
preferisce sempre un terzo paniere C composto dalla combinazione dei due panieri A e B, in quanto
il paniere C è associato ad un livello di utilità totale maggiore rispetto agli altri due.
L’utilità marginale non è altro che l'incremento di utilità conseguita a seguito di una piccola variazione nella
quantità consumata di un bene.
In sostanza la forma di una curva di indifferenza descrive la disponibilità di un consumatore a scambiare un
bene con un altro.

LA SEGUENTE POTREBBE ESSERE UNA DOMANDA D’ESAME

Vi sono due casi particolari:


Sostituti perfetti: due beni tali per cui il SMS dell’uno rispetto all’altro è costante (succo di mela e succo di
arancia): il consumatore è sempre disposto a scambiare un bicchiere di succo di mela con un bicchiere di
succo d’arancia, quindi il SMS è costante e pari ad 1 (le curve d’indifferenza sono linee rette) Caso a)

Complementi perfetti: due beni per i quali il SMS è zero oppure infinito; le curve d’indifferenza sono disposte
ad angolo retto (scarpa destra e scarpa sinistra): una scarpa sinistra non incrementa il livello di soddisfazione
del consumatore a meno che non sia unita alla corrispondente scarpa destra; il SMS = ∞ ogni volta che vi
siano più scarpe sinistre che scarpe destre (una sola scarpa destra avrebbe una utilità pari a zero) Caso b)

Beni: una quantità maggiore è preferita ad una quantità minore.


Mali: una quantità minore è preferita ad una quantità maggiore (es.: inquinamento atmosferico, la presenza
di amianto nel materiale isolante degli edifici). Come si
può tenere conto dei mali nell’analisi delle preferenze del
consumatore? Ridefinizione: i gusti del consumatore
sono rappresentati come una preferenza per una
quantità minore del male (questa inversione trasforma il
male in un bene - es.: invece di considerare le preferenze
rispetto all’aria inquinata, consideriamo le preferenze
rispetto all’aria pulita; invece di far riferimento
all’amianto, faremo riferimento all’eliminazione
dell’amianto). In tale modo, rimangono valide le quattro
ipotesi delle teoria del consumatore.
Utilità: valore numerico che rappresenta la soddisfazione che un consumatore ricava da un determinato
paniere.
Funzione di utilità: formula che assegna un livello di utilità ai singoli panieri = usata per calcolare l’indice di
soddisfazione delle scelte, associando un valore numerico ad ogni paniere di scelta del consumatore.
La funzione di utilità (U) può essere basata su due o più variabili indipendenti che rappresentano le quantità
consumate dei vari beni da parte del consumatore.
La funzione di utilità è già data dalla prof in sede di esame.
Esempio:
𝑈 (𝐶, 𝑉) = 𝐶 + 2𝑉

Se: paniere A (C = 8 e V = 3), u (C, V) = 8 + 2 · 3 = 14


Se: paniere B (C = 6 e V = 4), u (C, V) = 6 + 2 · 4 = 14
Se: paniere D (C = 4 e V = 4), u (C, V) = 4 + 2 · 4 = 12.
Il consumatore è indifferente ai panieri A e B (stesso livello di utilità), i quali sono entrambi preferiti al paniere
D (che possiede un minore livello di utilità rispetto ad A e B). Ciò vuol dire che il paniere A e B giacciono sulla
stessa curva di indifferenza e il paniere D giacerà su una curva più bassa rispetto a quella di A e B.
Vi sono altri esempi identici a questo nelle slides lezione 5, numero 20, 21, 22.

I vincoli di bilancio: vincoli che i consumatori affrontano a causa dei redditi limitati. È l'insieme delle
possibilità di scelta del consumatore limitato sulla base della quantità di moneta a sua disposizione o del suo
reddito. Ci dà l’informazione di quanti soldi ho nel mio portafoglio per soddisfare i miei bisogni.
Retta di bilancio: tutte le combinazioni di beni per le quali la somma di denaro spesa è uguale al reddito
(ipotesi: ignoriamo la possibilità di risparmio). Non è altro che la rappresentazione grafica del vincolo di
bilancio
𝑅𝐷 = 𝑃𝑐 ∙ 𝐶 + 𝑃𝑉 ∙ 𝑉 (𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑏𝑖𝑙𝑎𝑛𝑐𝑖𝑜)
RD = reddito fisso che può essere speso in Cibo (C) e Vestiario (V).
C = quantità di cibo acquistata.
V = quantità di vestiario acquistata.
Pc = prezzo unitario del cibo.
Pv = prezzo unitario del vestiario.
La retta di bilancio ha una pendenza negativa poiché, dato un determinato reddito, il soggetto economico
può decidere di acquistare un'unità aggiuntiva di un bene soltanto riducendo la quantità acquistata dell'altro
bene. L'inclinazione della retta di bilancio è pari al rapporto inverso tra i prezzi dei beni (-p2/p1).

Abbiamo detto che la retta di bilancio descrive le combinazioni


di beni che possono essere acquistate dati il reddito del
consumatore e i prezzi dei beni. La retta AF (passante per i punti
B, D ed E) rappresenta il budget associato a un reddito = 80 euro,
a un prezzo unitario Pc = 1 per il cibo e a un prezzo unitario Pv =
2 per il vestiario. L’inclinazione della retta di bilancio (misurata
tra i punti B e D) è – Pc/Pv = -10/20 = -1/2

Date le preferenze ed il proprio vincolo di bilancio, il consumatore come sceglie la quantità di ciascun bene
da acquistare?
Ipotesi: scelte razionali, ovvero che massimizzano la propria soddisfazione, dato il reddito disponibile
limitato. Il paniere ottimale deve soddisfare le seguenti due condizioni:
1. Deve trovarsi sulla retta di bilancio (ipotesi: non risparmio, ma spendo tutto il reddito disponibile; i
panieri a sinistra della retta di bilancio non utilizzano tutto il reddito disponibile, quelli a destra non
possono essere acquistati con il reddito posseduto - si veda la figura seguente);
2. Deve fornire al consumatore la combinazione più “gradita” di beni e servizi.

Il paniere B sulla curva di indifferenza U1 non può essere il preferito, perché riallocando il reddito in modo
da acquistare più cibo e meno vestiario il consumatore potrebbe godere di una soddisfazione maggiore.
Spostandosi al paniere A, la spesa totale del consumatore non cambia, ma il livello di soddisfazione associato
alla curva di indifferenza U2 è maggiore. Qualsiasi paniere a destra o più in alto della curva di indifferenza
U2, offrirebbe una soddisfazione più elevata, ma non può essere acquistato, dato il vincolo di bilancio.
Dunque, A massimizza la soddisfazione del consumatore. Il paniere che massimizza la soddisfazione del
consumatore si trova nel punto in cui la curva di indifferenza più elevata tocca la retta di bilancio. Il paniere
A è il punto di tangenza tra la curva di indifferenza U2 e la retta di bilancio.
In questo momento capiamo quanto è importante il saggio marginale di sostituzione (SMS = - (Δ V / Δ C),
ossia, l’inverso dell’inclinazione della curva d’indifferenza)
Dato il vincolo di bilancio, la soddisfazione è massimizzata nel punto in cui: SMS = (Pc / Pv)
SMS = Pc/Pv: esprime una condizione di ottimizzazione economica.
La soddisfazione è massimizzata quando il beneficio marginale, ossia, il beneficio associato al consumo di
un’unità in più di cibo (è misurato dal SMS) è uguale al costo
marginale, ossia, il costo dell’unità aggiuntiva di cibo
(misurato dal valore assoluto del coefficiente angolare della
retta di bilancio ossia il rapporto tra i prezzi).
Quando il SMS è inferiore o superiore al rapporto tra i prezzi,
la soddisfazione del consumatore non è massima.
Analizziamo il grafico precedente:
Punto B
Costo marginale = Pc/Pv = 1 / 2
SMS = Beneficio marginale = - (Δ V / Δ C) = - (-10/10) = 1 >
Cm = 1/2
Poiché il cibo è più economico del vestiario, è interesse del consumatore acquistare più cibo e meno vestiario.
(Es.: se il consumatore acquista n. 1 unità in meno di vestiario, i 2€ risparmiati possono essere utilizzati per
n.2 unità di cibo, anche se per mantenere il medesimo livello di soddisfazione ne sarebbe sufficiente una).
Proseguo al medesimo modo (con uno spostamento lungo la retta di bilancio), fino al punto A (si veda il
grafico).
Punto di ottimo A
Cm = costo marginale = 1/2 = (Pc/Pv)
SMS = Bm = beneficio marginale = Cm = (Pc/Pv) = 1/2
Il consumatore massimizza la propria soddisfazione: in questo punto (A), lo stesso è disposto a scambiare
un’unità di vestiario con due di cibo. (Il consumatore può sostituire una unità di cibo con una di vestiario senza
perdita di soddisfazione).

Casi particolari:
Le soluzioni d’angolo
A volte i consumatori hanno preferenze estreme, almeno per
certe categorie di beni, per cui le curve di indifferenza sono
molto ripide. Possiamo usare le curve di indifferenza per
individuare le condizioni in cui i consumatori scelgono di non
consumare un certo tipo di bene. Questa decisione riflette una
cosiddetta soluzione d’angolo: se uno dei due beni non viene
consumato, il paniere scelto è quello che corrisponde a una
delle due intercette sulla retta di bilancio. In una soluzione
d’angolo, il SMS del consumatore non è necessariamente
uguale al rapporto tra i prezzi

Esempio Progettazione automobili


Diverse preferenze dei gruppi di
consumatori rispetto alle automobili
possono influenzare le decisioni di acquisto.
Es. consideriamo due gruppi di consumatori
che progettino di acquistare nuove auto.
Nel caso a, il mercato vuole un’automobile
caratterizzata da un’accelerazione più alta e
una dimensione molto più bassa, nel caso b
tutto il contrario

Effetti di una variazione del reddito sulla retta di bilancio:

Cosa succede se vi è una variazione del reddito? Quali effetti si


ripercuotono sulla retta di bilancio?
Una variazione del reddito (a prezzi unitari invariati) fa sì che la
retta di bilancio si sposti rimanendo parallela a quella originaria di
riferimento, aumentando l’insieme delle alternative disponibili.
Un incremento del reddito comporta uno spostamento della
curva verso destra, in caso contrario a sinistra, come in figura.
La forma della curva di domanda si ottiene dall’unione dei punti
di tangenza tra i vincoli di bilancio e le curve di indifferenza.

Se a fronte di variazioni nel reddito i prezzi rimangono costanti, tali spostamenti


del vincolo di bilancio saranno paralleli, cioè la sua inclinazione, che corrisponde
al prezzo relativo, rimarrà̀ invariata.

A seguito dell’aumento del reddito, l’ottimo del consumatore si sposta dal


punto A al punto B, determinando l’aumento della quantità domandata di
entrambi i beni. Beni normali

Beni inferiori sono quelli per cui ad un aumento del reddito corrisponde la
diminuzione del consumo/quantità domandata (prodotti discount)

Se consideriamo gli effetti di variazioni del reddito sulle scelte di consumo considerando una sequenza di
possibili livelli di reddito del consumatore e quindi congiungiamo tutti i punti di ottimo ottenuti possiamo
costruire una curva che ci dice come variano le quantità domandate dal
consumatore al variare del suo reddito. Tale curva è rappresentata è nota
come Sentiero di espansione del reddito (SER). Per i beni normali il SER è
sempre inclinato positivamente.

Effetti di una variazione del prezzo sulla retta di bilancio:


Nel caso precedente, abbiamo visto il comportamento della retta di
bilancio, quando vi è una variazione positiva o negativa del reddito e di
tutto ciò che ne comporta. Adesso vedremo cosa accade quando il reddito rimane costane e i prezzi
cambiano.
Variazioni dei prezzi dei beni modificano l’insieme delle alternative disponibili, facendo variare il vincolo di
bilancio, e dunque agli effetti di prezzo si accompagnano inevitabilmente effetti di reddito La variazione del
prezzo unitario di un bene (a reddito invariato) fa sì che la retta di
bilancio ruoti attorno ad una delle intercette (poiché́, come abbiamo
visto, l’inclinazione di tale retta è data dal rapporto tra i prezzi)

Gli effetti di reddito e di sostituzione


La diminuzione del prezzo di un bene ha, sostanzialmente, due effetti:
• Il consumatore tende ad acquistare una maggiore quantità del
bene che è diventato relativamente meno costoso, e una minore quantità degli altri beni, che sono
adesso relativamente più cari. Questa reazione al cambiamento dei prezzi relativi dei beni è detta
Effetto di sostituzione. Il consumatore tende a comprare un maggiore numero del bene che è più
economico.
• Dato che uno dei beni è diventato meno costoso, i consumatori godono di un maggiore potere
d’acquisto reale. Il cambiamento della quantità domandata dovuto alla variazione del potere
d’acquisto reale è detto Effetto di reddito.

L’effetto di sostituzione
La diminuzione del prezzo del cibo produce sia un effetto di sostituzione sia un effetto di reddito.
L’effetto di sostituzione è la variazione del consumo di cibo associata al cambiamento del suo prezzo, tenendo
costante il livello di utilità. Graficamente, l’effetto di sostituzione si connota come un movimento lungo la
curva di indifferenza: lo evidenziamo nella figura, tracciando una retta di bilancio parallela a RT ma tangente
alla curva di indifferenza U1
Per individuare di quanto variano i consumi del bene di cui prezzo è diminuito per il solo effetto sostituzione,
si ipotizza una riduzione virtuale del reddito. Data quella retta di bilancio, il consumatore sceglierebbe il
paniere D, consumando OE unità di cibo: dunque il segmento C1E rappresenta l’effetto di sostituzione.
Cosa succede, quindi in poche parole?
Partiamo da un paniere A, punto di incontro tra la curva di
indifferenza e la nostra retta di bilancio. La diminuzione dei prezzi
del cibo comporta sia un effetto di sostituzione, vogliamo comprare
maggiori unità di cibo perché è più economico, sia una variazione di
inclinazione della retta di bilancio che passa da RS a RT, però non
andiamo a considerare la capacità massima del nostro portafoglio,
perché stiamo considerando solamente l’effetto di sostituzione in
questa circostanza, quindi andiamo a considerare una retta parallela
a RT tangente in U1, che ci dà quindi lo stesso grado di soddisfazione,
è andiamo a considerare questo punto di intersezione come il
paniere D. IL consumatore sceglierà quest’ultimo perché ho la stessa soddisfazione ma non consumando
tutto il mio portafoglio.
L’effetto di reddito
Consideriamo ora l’effetto di reddito, cioè come varia il consumo di un bene al variare del potere d’acquisto,
tenendo costanti i prezzi relativi. Nella figura possiamo vedere l’effetto di reddito spostandoci
dall’immaginaria retta di bilancio tangente a U1 in D alla retta RT, passante per B. Dato che la diminuzione
del prezzo ha fatto aumentare il potere d’acquisto del consumatore, e quindi il livello di utilità a cui può
attingere, questi sceglie ora il paniere B sulla curva di indifferenza U2. L’aumento del consumo di cibo da
OE a OC2 misura l’effetto di reddito. (Restituzione virtuale del reddito prelevato (effetto reddito))
Cosa succede in questa circostanza?
Andiamo a considerare la capacità massima del portafoglio, quindi vi è un aumento del reddito che comporta
lo spostamento della retta di bilancio ad RT. Con un aumento del reddito vi è un aumento anche della
soddisfazione che posso avere, quindi vado a considerare la curva U2 che sarà tangente alla retta RT, nel
punto B, che sarà il nuovo paniere scelto dal consumatore.
Utilità
Utilità: valore numerico che rappresenta la soddisfazione che un consumatore ricava da un determinato
paniere. (Abbiamo già parlato della funzione di utilità)
Utilità marginale (U’): misura il livello di soddisfazione aggiuntivo prodotta dal consumo di un’unità in più di
un bene
Utilità marginale decrescente: principio secondo il quale maggiore è la quantità consumata di un bene,
minore è l’incremento dell’utilità procurato dal consumo di quantità aggiuntive. Ad esempio: se io ho in
abbondanza il vestiario, la soddisfazione procurata dall’incremento di una sua unità sarà molto bassa e molto
minore rispetto ad un altro bene acquistato.
Consideriamo uno piccolo spostamento verso il basso lungo una curva d’indifferenza. La quantità aggiuntiva
di cibo, Δc, produce un’utilità marginale Uc’ ed un incremento complessivo di utilità pari ad (Uc’·Δc);
contemporaneamente, il minor consumo di vestiario Δv produce una riduzione di utilità Uv’ ed una
diminuzione complessiva pari a (Uv’·Δv). Poiché tutti i punti di una curva d’indifferenza sono associati allo
stesso livello di utilità, l’incremento complessivo di utilità associato all’aumento di c deve bilanciare il
decremento complessivo dovuto al minor consumo di v. Uc’· Δc + Uv’·Δv = 0

Quando i consumatori massimizzano la loro soddisfazione:


SMS = Pc/Pv = Uc’ / Uv’
Il SMS è uguale al rapporto tra l’utilità̀ marginale di C e l’utilità̀ marginale di V. Quanto più̀ il consumatore
rinuncia a V per ottenere maggiori quantità di C, tanto più l’utilità̀ marginale di C diminuisce e quella di V
aumenta.
C'è uguaglianza delle utilità̀ marginali ponderate con i prezzi se siamo nel punto di ottimo.
Partendo da: Pc/Pv = Uc’ / Uv’ Uc’ / Pc = Uv’ / Pv.
Questa equazione ci dice che il consumatore massimizza la propria utilità quando alloca il proprio reddito in
modo che l’utilità marginale di un euro di spesa sia uguale per entrambi i beni. Il consumatore massimizza la
propria utilità̀ solo quando è soddisfatto il principio dell’uguaglianza marginale, cioè quando l’utilità̀
marginale per euro di spesa è uguale per tutti i beni.
Uc’ / Pc = Uv’ / Pv
Principio di uguaglianza delle utilità marginali ponderate: l’utilità è massimizzata quando il consumatore
uguaglia l’utilità marginale per euro di spesa per tutti i beni.
Queste equazioni servono quando facciamo gli esercizi.

Le esternalità di network
Per alcuni beni, la domanda di un individuo può dipendere anche da quella di altri individui e, in particolare,
dal numero di altri individui che acquistano lo stesso bene. In un caso del genere, si hanno esternalità di
network. Tali esternalità possono essere positive o negative: un’esternalità di network è positiva se la
quantità di un bene domandata dal consumatore medio aumenta all’aumentare della quantità domandata
dagli altri consumatori; se invece diminuisce, si ha un’esternalità di network negativa.
L’effetto traino
Un esempio di esternalità di network positiva è il cosiddetto effetto traino: il desiderio di essere alla moda à
obiettivi delle strategie di marketing e pubblicitarie.
L’effetto snob
Le esternalità̀ di network possono essere anche negative. Consideriamo l’effetto snob: il desiderio di
possedere beni esclusivi o unici. La quantità domandata di un bene “snob” è tanto più̀ alta quanto minore è
il numero di persone che lo possiedono à l’obiettivo di tale strategia è rendere la domanda meno elastica,
per permettere all’impresa di alzare i prezzi o mantenerli elevati. Esempio del bene di lusso/esclusivo.
2.4 Teoria di impresa
Passiamo ora allo studio del comportamento lato offerta, esaminando il comportamento che
produttori/imprese adottano per produrre efficientemente (come variano i loro costi di produzione in
funzione dei prezzi dei fattori di produzione e della quantità prodotta? ).
La teoria dell’impresa descrive proprio il modo in cui le imprese prendono decisioni di produzione finalizzate
a minimizzare i costi, che variano in funzione della quantità ̀ prodotta, ovviamente perché minore è il costo,
maggiore è il profitto ricavato dall’offerta.
Le decisioni di produzione dell’impresa possono essere studiate in tre fasi successive:
• La tecnologia di produzione: per descrivere come i fattori di produzione possono essere trasformati
in prodotto.
• Il vincolo di costo: le imprese devono tenere conto dei prezzi di lavoro, capitale e altri fattori
produttivi.
• La scelta dei fattori: data la tecnologia di produzione e i prezzi di lavoro, capitale e altri fattori,
l’impresa sceglie la quantità̀ di ciascun fattore da impiegare nella produzione.
La quantità̀ prodotta dalle imprese in corrispondenza di ciascun prezzo dipende in gran parte dal profitto che
possono ottenere.
Se un’impresa può̀ aumentare i suoi profitti producendo di più̀, di solito ne approfitterà̀.
Un’impresa consegue un profitto quando il guadagno ottenuto dalla vendita dei suoi prodotti supera il costo
sostenuto per produrli.
Il profitto totale (π) è quindi la differenza tra il ricavo totale (RT) e il costo totale di produzione (CT) = π = RT
- CT
La teoria dell’impresa si basa sul presupposto che le imprese abbiano come obiettivo (almeno) la
massimizzazione del loro profitto
Nel caso ideale, ovvero di concorrenza perfetta, che abbiamo introdotto a inizio corso, abbiamo visto che i
ricavi sono, in questa circostanza, uguale ai costi (costi = ricavi). Ricordiamoci che questa situazione è
puramente ideale, perché non potrà mai esister sul mercato un’azienda tanto forte da generare questo
fenomeno.

Andiamo ad analizzare innanzitutto il termine produzione.


La produzione è un'attività mediante la quale sono combinati i fattori produttivi (risorse, materie prime,
informazioni, tecnologia, lavoro, capitale inteso come macchinari, impianti, edifici, capitale finanziario ecc.)
ossia, gli elementi necessari per creare un bene o un servizio utile in grado di soddisfare i bisogni economici
delle persone. Le imprese decidono sia la quantità di produzione (output) sia la modalità di produzione
(processo produttivo e tecnologia), dati i fattori produttivi (input). Questo è il ciclo produttivo.
La produzione dovrà essere venduta sul mercato in quantità sufficiente per coprire i costi della produzione e
tenendo in conto la domanda di mercato, le preferenze dei consumatori e la concorrenza (forme di mercato).
Dobbiamo fare una distinzione tra fattori di produzione fissi e fattori di produzione variabili.
Un fattore fisso è un input la cui quantità̀ non può essere variata nel breve periodo (ad esempio, il capitale,
come anche comprare un terreno dove porre la produzione, abbiamo fatto nelle lezioni precedenti questo
esempio). La quantità̀ impiegata di un fattore variabile (ad esempio, il lavoro, l’energia) invece può variare
nel breve periodo. La differenza tra fattori fissi e variabili ci consente di distinguere il breve dal lungo periodo.
Per sapere come un’impresa possa massimizzare il suo profitto, dobbiamo prima di tutto considerare cosa
determina i suoi costi e i suoi ricavi.
Vediamo di seguito rispettivamente i costi di breve e di lungo periodo.
• Nel breve periodo un’impresa dovrà sottostare a determinati vincoli nell’espansione degli input
produttivi. Ad esempio, un’impresa manifatturiera sarà̀ forse in grado di usare più̀ materie prime, o
possibilmente più forza lavoro, ma non avrà̀ tempo di aprire un altro impianto. (Il breve periodo è un
lasso di tempo sufficientemente breve in cui almeno un fattore di produzione è fisso). Nel breve
periodo, quindi, la produzione può essere aumentata solo usando più̀ fattori variabili. Ad esempio,
se un’impresa di trasporti marittimi volesse trasportare più passeggeri per far fronte a una maggiore
domanda, potrà trasportare più persone sulle navi esistenti, se c’è spazio. Potrà forse aumentare il
numero dei tragitti con la flotta disponibile, assumendo più personale e consumando più carburante.
Nel breve periodo, però, non potrà acquistare ulteriori navi: non ci sarebbe abbastanza tempo per
costruirle, però posso giocare con le variazioni delle condizioni variabili, per essere più efficiente,
aumentando ad esempio le tratte per trasportare più persone.
• Nel lungo periodo, invece, un’impresa sarà̀ molto più flessibile: se vuole, potrà anche aprire nuovi
impianti. (Lungo periodo è un lasso di tempo sufficientemente lungo nel corso del quale tutti gli input
possano essere variati e quindi tutti i fattori di produzione possono essere variabili). Con il tempo
necessario, un’impresa può̀ costruire un secondo impianto e installare nuovi macchinari o nuove
navi.
La durata effettiva del breve periodo non è fissa, ma differisce da impresa a impresa. Pertanto, se ci vuole un
anno affinché́ un agricoltore possa procurarsi nuova terra, impianti e attrezzature, il breve periodo è qualsiasi
tempo inferiore all’anno e il lungo periodo è qualunque tempo superiore all’anno. D’altra parte, se ci vogliono
tre anni prima che un’impresa di trasporti ottenga una nave in più̀, il breve periodo sarà qualunque periodo
fino a tre anni e il lungo periodo sarà̀ ogni periodo superiore a tre anni.
Ma come mettiamo in relazione le quantità di queste condizioni?
Rispondiamo a questa domanda attraverso la funzione di produzione

La funzione di produzione è la relazione tra la quantità di produzione di un bene economico (prodotto o


OUTPUT Y) e le quantità dei singoli fattori di produzione (INPUT X), usata per studiare le scelte di produzione
(il processo produttivo) in un determinato periodo di tempo e indica il massimo volume di produzione che
un’impresa può ottenere con una determinata combinazione di input.
Y = f (x1, x2, x3, ..., xn)
La rappresentazione grafica della funzione di produzione è anche detta
curva di produzione.
La curva di produzione trasla verso l’alto nel lungo periodo grazie al
progresso tecnologico, questo perché se la curva di produzione coincide
con la frontiera dell’insieme di produzione, cioè, con le combinazioni di
massima efficienza produttiva e indica il massimo volume di produzione
dovuto alla combinazione di due output e input, quindi y e x, sarà maggiore
rispetto a quella del grafico, quindi la mia curva di produzione si traslerà
verso l’alto
L’insieme di produzione, ovvero la zona del grafico al di sotto della curva,
è l’insieme delle combinazioni tecnicamente possibili nella produzione di
un determinato bene. Tutti i punti appartenenti a quest’area, sono tutte
combinazioni che l’azienda, l’impresa, può sostenere dati i suoi fattori
produttivi, dal suo capitale, dall’ottimizzazione del lavoro, dalle sue
possibilità economiche, finanziarie e di mercato.
I punti A e B sono situati sulla frontiera di produzione e sono combinazioni efficienti poiché, a parità di
utilizzo del fattore produttivo (x), consentono di massimizzare la produzione (y).
Il punto C è anch'esso compreso nell'insieme della produzione, può essere realizzato dall'impresa, ma si
tratta di una situazione di inefficienza, poiché a parità di utilizzo del fattore produttivo (x1) si ottiene una
quantità di prodotto (y2) inferiore rispetto alla frontiera di produzione (y1).
Il punto D, invece, non è tecnicamente realizzabile in quanto è situato al di fuori della frontiera di
produzione.
La rappresentazione grafica della funzione di produzione varia a seconda dei rendimenti “di scala” (in
proporzione) della produzione che consentono di analizzare la variazione della produzione (output –
prodotto finale) in corrispondenza della variazione delle quantità dei fattori produttivi (input – es. capitale,
lavoro) in un sistema produttivo.
Nel lungo periodo, tutti i fattori di produzione sono variabili. L’impresa ha tempo di costruire un nuovo
impianto (magari in un’altra regione), di installare nuove macchine, di usare tecniche di produzione diverse,
in generale di combinare i suoi input in qualsiasi proporzione e quantità. Se un’impresa raddoppiasse tutti gli
input — cosa possibile nel lungo periodo — produrrebbe un output doppio, più che doppio o meno che
doppio? Possiamo distinguere tre possibili situazioni:
A seconda dell'effetto finale sulla produzione è possibile delineare le seguenti tipologie di rendimenti di scala:

• Rendimenti di scala costanti: l'incremento delle quantità di


impiego del fattore produttivo determina un incremento
esattamente proporzionale della quantità del prodotto finito. Ad
esempio, un incremento del 10% della forza lavoro determina un
incremento del 10% della produzione.

• Rendimenti di scala decrescenti: L'incremento delle quantità di


impiego del fattore produttivo determina un incremento meno che
proporzionale della quantità del prodotto finito. Ad esempio, un
incremento del 10% della forza lavoro determina un incremento del
5% della produzione.

• Rendimenti di scala crescenti: L'incremento delle quantità di


impiego del fattore produttivo determina un incremento più che
proporzionale della quantità del prodotto finito. Ad esempio, un
incremento del 10% della forza lavoro determina un incremento
del 15% della produzione.

Il concetto di rendimenti crescenti è strettamente connesso a quello di


economie di scala.
Nell’introduzione al corso, abbiamo spiegato in grandi linee questo termine che adesso andremo ad
analizzare meglio.
Economia di scala: Un’impresa gode di economia di scala, se i costi medi di produzione (costi totali diviso la
quantità dei prodotti) diminuiscono all’aumentare della quantità prodotta (viceversa diseconomie di scala:
quando il costo medio di produzione aumenta all’aumentare dell’output prodotto)
È chiaro che se un’impresa beneficia di rendimenti crescenti di scala, essa può aumentare la produzione
incrementando i fattori in modo meno che proporzionale. Quindi, in presenza di rendimenti crescenti di scala,
il costo totale aumenta meno che proporzionalmente rispetto alla quantità prodotta. Ma ciò implica che il
costo medio di produzione, dato da CT/q, decresce all’aumentare della produzione.
Quindi, se ci sono rendimenti crescenti di scala, esistono economie di scala. Non sono solo fattori tecnologici,
tuttavia, a dar luogo a economie di scala.
Esempi in cui diverse sono le ragioni per cui si manifestano le economie di scala a livello impianto produttivo:
1. Specializzazione e divisione del lavoro.
Negli impianti di grandi dimensioni, i lavoratori possono svolgere mansioni semplici e ripetitive. La
specializzazione e la divisione del lavoro riducono l’addestramento necessario e consentono ai
lavoratori di diventare molto efficienti nelle loro mansioni, specialmente nel lungo periodo; inoltre,
c’è meno dispendio di tempo per spostarsi da un’operazione all’altra e il controllo è semplificato.
Molto banalmente, se la mano d’opera diventa più specializzata comporterà che diminuiscono i costi
perché l’abbiamo già formata e diventerà più efficiente nel suo campo lavorativo
2. Indivisibilità̀.
Alcuni input hanno dimensioni prestabilite e sono indivisibili. L’esempio più ovvio è dato dai
macchinari. Consideriamo una mietitrice che consenta di raccogliere più̀ prodotti. Una piccola
impresa agricola non potrà sfruttarla a pieno, poiché questo tipo di macchina è conveniente solo per
aziende agricole relativamente grandi. Il problema dell’indivisibilità si complica quando diverse
macchine, ciascuna delle quali è parte del processo produttivo, hanno dimensioni diverse. Ad
esempio, se per la produzione occorrono due tipi di macchine — una che produce e l’altra che
confeziona — e la prima produce 6 unità al giorno mentre la seconda ne confeziona 4 al giorno, allora
per utilizzare pienamente la capacità produttiva delle macchine si dovranno produrre almeno 12
unità al giorno.
Cosa vuol dire? La dimensione dell’impianto produttivo può essere più o meno efficace in base alla
grandezza dell’impresa, quanto produce questa impresa e a seconda di quanto questo impianto
produttivo coordina le sue attività con le attività degli altri impianti produttivi se fanno parte dello
stesso processo di produzione
3. Il «principio del contenitore».
Qualsiasi bene capitale usato come contenitore (ad esempio, fornaci, silos, container, ecc.) sarà tanto
meno costoso per unità di prodotto quanto maggiore è la sua dimensione. Ciò dipende dalla relazione
tra il volume del contenitore e la sua superficie. Il costo di un container dipende in gran parte dai
materiali utilizzati per costruirlo e quindi dalla sua superficie. L’output prodotto dipende invece in
gran parte dal suo volume. Quanto più grande è il container, tanto maggiore è il rapporto tra il suo
volume e la sua superficie. Ad esempio, un container con un fondo, un tetto e quattro lati, ciascuno
di un metro, ha un volume di un metro cubo e una superficie di 6 metri quadrati (sei superfici lunghe
un metro). Se ogni lato fosse raddoppiato in lunghezza, il volume sarebbe 8 metri cubi e la superficie
24 metri quadrati (sei superfici lunghe quattro metri). In questo caso un aumento della capacità di
Otto volte è stato ottenuto con un incremento di solo quattro volte della superficie, e quindi un
aumento dei costi di circa quattro volte, rispetto alle otto volte in cui aumenta la produzione.
Questo comporta economia di scala perché a fronte di aumento dei costi di quattro volte io ottengo
otto volte in più dell’aumento di produzione

4. Maggiore efficienza dei macchinari grandi.


I macchinari grandi possono essere più efficienti nel senso che possono produrre una quantità̀
maggiore di output per un dato ammontare di input. Ad esempio, per azionare una macchina
potrebbe essere necessario un solo lavoratore, indipendentemente dalla grandezza della macchina.
Inoltre, una macchina grande potrebbe usare le materie prime in modo più efficiente.
5. Prodotti congiunti.
La produzione su larga scala potrebbe generare prodotti di scarto in quantità sufficiente da ottenere
alcuni prodotti congiunti. Un esempio lampante è il riciclo
6. Produzione a stadi successivi.
Un’industria di grandi dimensioni può̀ essere in grado di eseguire molte fasi produttive al suo interno.
Ciò̀ permette di risparmiare tempo e di ridurre il costo di trasferire i prodotti semifiniti da un’azienda
all’altra. Ad esempio, una cartiera di grandi dimensioni può essere in grado di trasformare gli alberi
o la carta riciclata in cartone e poi il cartone in scatole in sequenza continua.
Finora abbiamo considerato esempi di economie di scala a livello di impianto produttivo. Ci sono altre
economie di scala associate alle dimensioni di impresa — ad esempio, un’impresa con molti impianti, anche
se non necessariamente grandi.
1. Economie di organizzazione.
In un’impresa di grandi dimensioni, ciascun impianto può specializzarsi in funzioni diverse.
L’amministrazione dell’impresa può essere centralizzata. Spesso, inoltre, dopo una fusione tra due
imprese, è possibile risparmiare razionalizzando le loro attività̀. Si cerca, in poche parole, di
ottimizzare la produzione, tramite le scelte di organizzazione.
2. Incidenza dei costi comuni.
Ci sono alcuni tipi di spesa che soddisfano il criterio di economicità solo quando l’impresa è grande,
come le spese in ricerca e sviluppo: solo un’impresa di grandi dimensioni può ̀ permettersi di
costruire un laboratorio di ricerca. Si tratta di un altro esempio di indivisibilità, questa volta a livello
di impresa e non di impianto. Quanto maggiore è l’output dell’impresa, tanto minore sarà l’incidenza
unitaria di tali costi comuni.
Perché, più un’azienda è esperta, più riuscirà a produrre efficientemente, più otterrà ricavi, più
riuscirà a spalmare i costi, più costruirà delle sezioni al suo interno, funzionali a tutto il processo di
produzione.
3. Economie finanziarie.
Le imprese di grandi dimensioni possono ottenere finanziamenti a tassi di interesse inferiori rispetto
alle imprese più piccole, perché riescono a dare più garanzie alla banca. Possono ottenere alcuni
input a prezzi più convenienti acquistandone in quantità elevata. È un esempio di economie di scala
che non derivano da rendimenti crescenti di scala.
4. Economie di varietà (o di scopo).
Spesso un’impresa è di grandi dimensioni perché produce una vasta gamma di prodotti. Di
conseguenza potrebbe accadere che ogni singolo prodotto sia realizzato a un costo minore rispetto
a quello sostenuto da un’impresa monoprodotto. Il motivo per cui si manifestano queste economie
di varietà è dato dal fatto che è possibile suddividere i costi comuni e le economie finanziarie e di
organizzazione tra i vari prodotti. Ad esempio, un’impresa che produce lettori CD, registratori a
cassette, amplificatori e radio può trarre beneficio da un marketing congiunto, dalla condivisione dei
costi di distribuzione e dalla produzione congiunta dei vari prodotti.
Se io riesco, rispetto ad un’azienda monoprodotto, a produrre più prodotti della stessa gamma, a
venderli, io riesco ad ottimizzare taluni costi congiunti: di marketing, la contabilità, l’evoluzione della
tecnologia

Economia di scopo
In generale, si verificano economie di scopo quando la produzione congiunta di due beni da parte di una sola
impresa è maggiore di quella ottenuta con fattori equivalenti da parte di due diverse imprese monoprodotto.
Nel caso in cui la produzione congiunta fosse inferiore a quella realizzabile da due diverse imprese
monoprodotto, il processo di produzione sarebbe caratterizzato da diseconomie di scopo, che si manifestano
quando la produzione di un bene è in qualche misura in conflitto con quella dell’altro.
Non esiste una relazione diretta tra economie di scala ed economie di scopo.

Diseconomie di scala
Quando le imprese superano una data dimensione, i costi unitari però potrebbero anche aumentare. Queste
diseconomie di scala possono essere dovute a varie ragioni:
• All’aumentare delle dimensioni e della complessità dell’impresa, potrebbero sorgere problemi
gestionali di coordinamento, ad esempio in quanto il sistema informativo interno diventa più difficile
da gestire.
• I lavoratori possono sentirsi «alienati» se il loro lavoro è noioso e ripetitivo, e se si sentono una parte
insignificante di un’organizzazione molto grande. La scarsa motivazione sul lavoro è spesso alla base
di una qualità del lavoro scadente. Un esempio lampante di questo, sono le condizioni in cui stiamo
vivendo in questi giorni, tramite appunto il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, vi è la
definizione di quali imprese devono chiudere e quali no. Le parti sociali sono in corsa perché
sostengono che questa lista sia ancora troppo ampia e vogliono cercare ai sindacati di lasciare più
lavoratori possibili, per permettere una maggiore ripresa futura dell’aziende stesse, tutelando i
lavoratori. Questo per farci capire che si presenteranno dell’economia di scala generalizzata.
• Le relazioni industriali (vale a dire le relazioni tra i datori di lavoro e i lavoratori o organizzazioni che
li rappresentano, i sindacati) possono peggiorare a causa sia di quanto appena descritto che delle
relazioni interpersonali più complesse tra diverse categorie di lavoratori che derivano dall’aumento
della scala di produzione.
• La produzione a catena e le complesse interdipendenze della produzione di massa possono essere
destabilizzanti per l’intera impresa se sorgono problemi in qualche fase del processo.
Un’impresa, quindi, gode di economie di scala oppure soffre di diseconomie di scala a seconda delle
particolari condizioni tecnologiche, di mercato e organizzative nelle quali opera.

La dimensione dell’industria
Quando la dimensione di un’industria, vale a dire l’insieme delle imprese che producono lo stesso bene,
aumenta, possono sorgere economie esterne di scala per le imprese che ne fanno parte. Ciò significa che
un’impresa, qualunque siano le sue dimensioni, beneficia della dimensione dell’intera industria. Ad esempio,
l’impresa può trarre vantaggio dalla maggiore disponibilità̀ di fornitura specializzata di materie prime o di
componenti, di forza lavoro con abilità specifiche, di servizi di società̀ di marketing specializzate nella
commercializzazione dei prodotti finiti dell’industria, di servizi di banche e altre istituzioni finanziarie a
conoscenza delle esigenze dell’industria. Ci riferiamo qui all’infrastruttura dell’industria: le strutture, i servizi
di supporto, le abilità e l’esperienza condivisa dalle imprese che ne fanno parte.
Un esempio banale è quando c’è un settore di nicchia, in cui i servizi di supporto, bancari, finanziari, saranno
solamente sulle spalle dell’unica azienda che sta svolgendo quell’attività. Se invece, molti lo fanno, vi è una
conoscenza maggiore degli aspetti di quel settore da gran parte dei operatori e ciò comporta un’economia
di scala esterna.
Le imprese di una particolare industria potrebbero anche sperimentare diseconomie esterne di scala. Ad
esempio, quando un’industria cresce di dimensioni, potrebbero scarseggiare specifiche materie prime o
manodopera qualificata. Ciò farebbe aumentare il prezzo di tali fattori e, di conseguenza, anche i costi
sostenuti dall’impresa.

La funzione di produzioni nel breve periodo


Per semplicità̀ consideriamo il caso in cui un unico input, ad esempio il lavoro L, è considerato variabile (e
supponiamo quindi che tutti gli altri input rimangano fissi). Se un solo input è variabile e il valore di tutti gli
altri è fisso, allora la quantità prodotta è funzione dell’unico fattore di produzione variabile e possiamo
considerare la funzione di produzione: q = q (L)
Nel grafico è disegnata una plausibile funzione di produzione con un
solo input variabile. Si noti che, come abbiamo già̀ detto, i punti sulla
funzione di produzione rappresentano combinazioni produttive
tecnicamente efficienti. Utilizzando una quantità̀ di lavoro pari a L0, è
possibile ottenere la quantità̀ q0, oppure la quantità̀ q1 o q2. La
quantità̀ q0 (corrispondente al punto A) è però quella massima
ottenibile: data la quantità̀ utilizzata dell’input variabile (più̀,
naturalmente, quelle degli input fissi). Non è possibile combinare i
fattori in un altro modo per ottenere un livello maggiore di output.

La funzione di produzioni nel breve periodo


Il caso di funzione di produzione con un unico fattore variabile è
abbastanza riduttivo, ma utile per spiegare due importanti concetti.
• La produttività media del lavoro, L, è definita come il rapporto tra il livello di output e la quantità̀ di
input utilizzata per ottenerlo: PMEL=q(L)/L
Con tot lavoro, quanto output ottengo?
È misurata dalla pendenza del segmento 0A. (es. Il prodotto medio del lavoro misura la produttività̀
della forza lavoro dell’impresa in termini della quantità prodotta in media dal singolo lavoratore.)
Non si considera solamente la quantità del prodotto finito, ma se consideriamo la quantità della forza
lavoro, io ti considero la produttività media di un singolo lavoratore in termini della forza lavoro
totale offerta dall’impresa
• La produttività marginale invece è l’incremento di output che si ottiene variando di un’unità la
quantità utilizzata dell’input: PMGL = Δq (L)/ΔL. Se consideriamo variazioni infinitesime, la
produttività marginale diventa: PMGL = dq (L)/dL.
È misurata dalla pendenza della tangente nel punto della funzione di
produzione in cui viene calcolata (vedere grafico slide successiva). (Es.
Il prodotto marginale del lavoro misura la quantità̀ aggiuntiva
prodotta a seguito di un aumento unitario del fattore lavoro). Come il
prodotto medio, anche il prodotto marginale del lavoro inizialmente
aumenta, poi decresce (vedere slide successiva)
Io assumo una persona in più e analizzo quanta produzione ho in più
sulla forza lavoro totale con l’assunzione di quella persona.
Il grafico mostra la funzione di produzione (nella parte superiore) e le curve di
produttività̀ media e marginale (in quella inferiore). Nel breve periodo la
produzione è soggetta alla legge della produttività̀ marginale decrescente.
Consideriamo un’azienda agricola. Essa ricorre a due fattori di produzione:
supponiamo che la terra sia un fattore fisso, mentre il lavoro è un fattore
variabile. Poiché l’offerta di terra è fissa, la produzione in ciascun periodo può
essere aumentata solo aumentando il numero dei lavoratori impiegati.
Immaginate cosa accadrebbe se un numero crescente di lavoratori affollasse una superficie fissa di terra. La
terra non può produrre una quantità indefinitamente crescente di raccolto. A un certo punto, l’incremento
di output imputabile a ciascun lavoratore aggiuntivo inizierà a diminuire.
Pertanto se si combinano quantità crescenti di un fattore variabile con quantità date di un fattore fisso, a un
certo punto ogni unità aggiuntiva del fattore variabile produrrà un minore output aggiuntivo dell’unità
precedente. Siamo adesso in grado di spiegare gli andamenti delle curve rappresentate nella figura in basso
b) (dettagli nelle slide successive)
L’importante è che capiamo che: la forma della funzione di produzione è dovuta dal crescere della
produttività marginale e media e poi decresce, perché la produttività marginale che si ottiene dovuta
all’incremento dei lavoratori su questa terra, decresce sul totale dell’efficienza produttiva.
Produttività marginale (PMGL) (Primo grafico)
La curva della produttività marginale è dapprima crescente (nel tratto in cui la corrispondente funzione di
produzione è convessa): quantità aggiuntive di input determinano un aumento più che proporzionale
dell’output.
Esempio, ho un lavoratore sulla terra, né prendo 3 e ottengo una produzione da 3 a 9.
A un certo punto però (in corrispondenza di L1 nella figura a)
proiettata in b)) per la legge enunciata in precedenza la
produttività̀ marginale diventa decrescente (nel tratto in cui la
funzione di produzione diventa concava): quantità̀ aggiuntive di
input determinano un aumento meno che proporzionale
dell’output. La produttività̀ marginale continua a diminuire fino a
raggiungere valore zero (in corrispondenza della quantità̀ di input
L3, che a sua volta corrisponde al valore massimo della funzione di
produzione), e a diventare negativa (quando la funzione di
produzione è nel suo tratto decrescente). Questo andamento
illustra la legge della produttività marginale decrescente: fino a L1
quantità aggiuntive di input determinano un aumento dell’output
più che proporzionale (dal momento che la produttività̀ marginale
è positiva); tra L1 e L3 invece quantità ̀ aggiuntive di input
determinano comunque un aumento dell’output, ma meno che
proporzionale, fino a che non viene raggiunto il livello di
produzione massima; da L3 in poi, qualsiasi aumento della quantità̀
di input determina una diminuzione dell’output: la produttività̀
marginale è negativa.
Produttività media (PMEL) (Secondo grafico)
L’andamento della curva della produttività media dipende da quello della produttività̀ marginale.
Infatti nel suo tratto crescente la produttività media giace sempre al di sotto della produttività marginale;
produttività media e marginale si intersecano nel punto di massimo di PMEL (in corrispondenza di L2); nel
suo tratto decrescente la produttività media sta sempre al di sopra della produttività marginale.
La spiegazione è intuitiva: finché unità aggiuntive di input provocano un aumento della produttività marginale
superiore alla media, esse provocano anche un aumento della produttività̀ media; quindi se PMGL è maggiore
di PMEL, PMEL è crescente. Al contrario, quando unità aggiuntive di input provocano una produttività̀
marginale inferiore alla media, esse fanno diminuire la produttività media: se PMGL è inferiore a PMEL, PMEL
è decrescente. La produttività̀ media rimane invariata quando è uguale alla produttività̀ marginale.

Ricapitolando:
• La produttività è la quantità di prodotto (Y) ottenuta impiegando una determinata quantità di input
(X) quanto maggiore è la quantità di prodotto (Y) e minore la quantità del fattore (X), tanto più è alta
la produttività del processo produttivo. Es. se in una fabbrica con 100 operai sono prodotte 500 unità
di prodotto al giorno, la produttività totale del fattore lavoro è 500 (contributo complessivo del
fattore al processo produttivo)
• La produttività media è il rapporto tra il prodotto totale e la quantità del fattore produttivo
impiegato. Es. se in una fabbrica con 100 operai sono prodotte 500 unità di prodotto al giorno, la
produttività media del fattore lavoro = 500/100 = 5
• La produttività marginale è la quantità addizionale della produzione Y che si ottiene impiegando
un’unità aggiuntiva di un fattore produttivo X pari al rapporto tra l’incremento della produzione e
l’incremento del fattore produttivo e può essere:
- Crescente: l’incremento di quantità del fattore produttivo consente di usare meglio anche altri
fattori produttivi (aumenta Y).
- Decrescente: l’incremento di quantità del fattore produttivo non si combina in modo efficiente con
le quantità degli altri fattori produttivi e l’incremento di Y è meno che proporzionale
𝑃𝑀𝐴 = ∆𝑌𝑞 /∆𝑋1

La funzione di produzioni nel lungo periodo


Consideriamo ora il caso del lungo periodo in cui i due input sono variabili: q = q (L, K).
A partire da questa funzione, è possibile fissare un livello di output e ottenere tutte le coppie possibili dei
due input che permettono di produrre tale quantità̀. In maniera analoga, questo procedimento può essere
ripetuto fissando diversi livelli di output. Ogni curva che rappresenta una diversa quantità di output prodotto
prende il nome di isoquanto e raffigura tutte le combinazioni dei due input che permettono di produrre la
stessa quantità̀ di output.

L'isoquanto di produzione quindi è una curva che descrive tutte le possibili combinazioni di fattori produttivi
che generano lo stesso livello di produzione (output). E rappresenta le diverse combinazioni di due fattori
produttivi che consentono di produrre una determinata quantità di produzione.
L’isoquanto è il concetto speculare della curva di indifferenza.
Gli isoquanti più esterni sono associati a livelli di produzione più alti.
A e B sono sulla stesa curva di isoquanto quindi consentono la medesima quantità di prodotto (Y=10) con due
combinazioni diverse dei fattori di produzione. C è invece associato a un livello di produzione maggiore
(Y=20).
A= labour intensive
B= capital intensive

Proprietà delle curve di isoquanto:


- Inclinazione negativa la riduzione della quantità impiegata di un fattore
implica l'aumento della quantità impiegata dell'altro fattore produttivo.
Infatti, se si aumentassero o diminuissero contemporaneamente entrambi
gli input la quantità̀ prodotta aumenterebbe o diminuirebbe
rispettivamente e quindi si andrebbe necessariamente su un diverso isoquanto.
Per mantenere lo stesso livello di output, a una diminuzione della quantità utilizzata di lavoro deve
corrispondere un aumento di quella di capitale e viceversa.
- Convessità la curva di isoquanto ha una forma convessa poiché l'aumento della quantità di impiego di un
fattore implica la riduzione più che proporzionale dell'altro fattore produttivo per via della produttività
marginale decrescente dei fattori.
A causa della legge della produttività marginale decrescente, riducendo il lavoro di un’unità a partire da una
dotazione abbondante, la quantità di capitale che bisogna aggiungere per lasciare invariata la quantità̀ di
output è minore di quella che bisognerebbe aggiungere quando si sottrae un’unità di lavoro a partire da una
dotazione più̀ bassa.
- Transitività le curve di isoquanto non devono intersecarsi tra loro poiché ognuna di queste deve essere
associata a un diverso livello di produzione. Se le curve di isoquanto si intersecassero tra loro non sarebbe
più chiaro quale delle due è associata a un livello di produzione maggiore. Non è infatti possibile che una
stessa combinazione produttiva dia due diversi livelli di prodotto
Se si combinano diversi isoquanti in un unico grafico, si crea una mappa di isoquanti. Una mappa di isoquanti
è un’espressione grafica della funzione di produzione. Ogni isoquanto corrisponde a un livello di produzione,
che aumenta spostandosi verso destra e verso l’alto.

Saggio marginale di sostituzione tecnica è il rapporto inverso tra le produttività marginali dei due fattori
produttivi – cioè ci dice di quanto deve aumentare la quantità utilizzata di un input nel caso di una riduzione
unitaria della quantità utilizzata dell’altro input se si vuole mantenere costante il livello di produzione (ossia
rimanendo sulla stessa curva di isoquanto) e determina la pendenza dell’isoquanto (La pendenza di ogni
isoquanto indica infatti in che misura un fattore può essere sostituito all’atro, mantenendo il prodotto
costante) - Il SMST tra lavoro e capitale ci dice di quanto possiamo ridurre il fattore capitale se impieghiamo
una unità di lavoro in più e vogliamo che il livello di produzione rimanga invariato. Chiaramente, quanto più̀
lavoro si sostituisce al capitale, tanto meno produttivo diventa il lavoro e relativamente più produttivo il
capitale.
Diventa più produttiva la variabile di cui scarseggio.
Assumiamo che il SMST sia decrescente, cioè che diminuisca man mano che ci si sposta verso destra lungo
l’isoquanto. Il SMST è strettamente correlato al prodotto marginale del lavoro e del capitale. Per vedere
come, immaginiamo di aumentare il fattore lavoro e ridurre quanto basta il fattore capitale per mantenere il
prodotto costante.
• L’aumento del livello della produzione causato dal maggiore apporto di lavoro è uguale al prodotto
marginale del lavoro moltiplicato per il numero di unità di lavoro aggiuntive.
• Analogamente, la riduzione del livello di produzione causata
dal minor apporto di capitale è pari alla diminuzione del
prodotto marginale del capitale moltiplicato per le unità di
capitale sottratte alla produzione.
Dato che il prodotto deve rimanere costante, la variazione
totale del prodotto deve essere uguale a zero. Il SMST tra due
fattori è quindi pari al rapporto tra i rispettivi prodotti
marginali.

La funzione di produzione: due casi speciali


La figura illustra il caso di una funzione di produzione a porzioni fisse. In questo
caso, sostituire tra loro i fattori di produzione è impossibile: per ogni livello di
produzione è necessaria una specifica combinazione di capitale e lavoro. SMST
è infinito o zero. Esempio, impresa che produce sedie, nel breve periodo
sappiamo che il numero massimo di sedie l’ora è 7 e il numero di lavoratori che
servono sono 4. Nel nostro processo produttivo 4 lavoratori corrispondono a 7
sedie

La figura mostra gli isoquanti di due fattori di produzione sostituti perfetti. Il SMST
è costante in ogni punto dell’isoquanto. Esempio, consideriamo che ci serve
un’impresa di pulizie per un dato lavoro, noi dobbiamo scegliere se in quel
contesto è meglio un robot (costo 20 euro) oppure la mano d’opera (costo 40).
Noi sceglieremo quello con il costo più basso.

Analizziamo un caso non presente nelle slides:


Da ciò capiamo quanto lo stato può influire nelle industrie, guardando sempre l’isoquanto:
Il trasporto di merci per mare è fortemente tecnologico e può essere gestito da un equipaggio ridotto. La
tipologia di nave utilizzata rappresenta il costo di costruzione e il costo della mano d’opera che sono i marinai.
Se in Norvegia il costo della mano d’opera è alto, ma il costo
del capitale, grazie a sgravi fiscali e sussidi, sono
relativamente bassi, si avrà che il costo della mano d’opera è
più alto rispetto al capitale grazie agli incentivi dello stato, in
Cina invece la situazione è completamente opposta, con un
capitale alto e un costo della mano d’opera basso. Ci saranno
quindi, navi più grandi e con meno equipaggio in Norvegia e
navi più piccole e con più equipaggio in Cina. La Norvegia sarà
Capital Intensive e la Cina Labour Intensive.

Costi e input:
Analizziamo ora come variano i costi al variare della quantità̀
prodotta dall'impresa. Ovviamente, dovendo decidere quanto produrre, è necessario conoscere il livello dei
costi associato a ciascun livello di output. I costi di produzione di un’impresa dipendono ovviamente dalla
quantità di input utilizzati. Più precisamente essi dipendono:
Dalla produttività̀ dei fattori: quanto maggiore è tale produttività, tanto minore è la quantità di input
necessaria per produrre un dato livello di output e quindi tanto minori sono i costi di produzione;
Perché se la produzione di un output è produttiva, ossia che produce in maniera intelligente, vuol dire che io
riesco ad ottimizzare la mia combinazione di fattori produttivi e quindi ottengo un ricavo maggiore da questa
produzione. Ciò vuol dire che i costi di produzione sono più bassi o che riesco a vendere quel prodotto sul
mercato nonostante i costi di produzione.
Dal prezzo dei fattori: quanto maggiore è il loro prezzo, tanto maggiori saranno i costi di produzione.
Se io riesco a incrementare la differenza tra i costi di produzione e il prezzo con il quale viene venduto, è
chiaro che io consumatore ottengo un guadagno, ottengo un surplus del mio guadagno.
Se i prezzi dei fattori produttivi per l’impresa sono dati (ad esempio perché i mercati dei fattori sono di
concorrenza perfetta) e se, data la funzione di produzione, scegliamo opportunamente le quantità dei fattori
in modo da minimizzare i costi di produzione per ogni data quantità di prodotto, allora il costo di produzione
dipenderà solo dalla quantità di output. Possiamo scrivere:

CT= CT(q)

Nel breve periodo, i costi sostenuti per acquisire i fattori fissi non variano con l’output prodotto. La rendita
sulla terra è un costo fisso, non dipende dalla quantità prodotta. Il costo totale dei fattori variabili, tuttavia,
varia con l’output. Il costo delle materie prime è un costo variabile. Quanto più si produce, tanta più quantità̀
di materie prime viene utilizzata e quindi tanto maggiore sarà̀ il costo ad esse relativo. Nel caso di due soli
fattori produttivi ad esempio, capitale (K) e lavoro (L), i cui rispettivi prezzi sono espressi da r e w, il costo
totale di produzione può essere scritto come:

CT = wL + rK.

Le diverse tipologie dei costi di produzione


- Costo totale CT: costo sostenuto per produrre una determinata quantità di beni/servizi= somma di tutti
costi del processo produttivo= somma dei costi fissi + costi variabili
CT = CF + CV

- Costo fisso CF: costo produttivo che non varia al variare della produzione (es. costi fissi dei macchinari,
tecnologia, impianti, affitto del luogo di produzione, terra nel breve periodo).
Graficamente è una linea retta orizzontale. Può essere eliminato solo cessando l’attività d’impresa. È
rappresentata attraverso una retta orizzontale.
- Costo variabile CV: costo produttivo che varia al variare della quantità prodotta (es. materie prime, ore
lavorate, consumo energia). La retta CV è una funzione crescente con il volume di produzione ed è nulla in
caso di produzione zero.
Nel lungo periodo, invece, viene meno la differenza tra costo fisso e costo variabile in quanto tutte le voci di
costo sono modificabili dall'impresa, nel lungo periodo non esistono costi fissi. Tutti i costi sono costi variabili.

IL PROSSIMO ESEMPIO POTREBBE ESSERE D’ESAME

Esempio
Consideriamo la tabella e la figura. Esse mostrano i costi totali di un’impresa che produce diversi livelli di
output (q). Esaminiamo ciascuna delle tre curve di costo.
1 Costo fisso (CF). Nel nostro esempio, il costo fisso è pari a 12 €. Poiché questo costo non varia con l’output,
è rappresentato da una retta orizzontale.
2 Costo variabile (CV). Se l’impresa producesse una quantità nulla di output, non avrebbe bisogno di fattori
variabili, CV = 0. Quindi la curva CV passa per l’origine degli assi. La
forma della curva risente della legge della produttività̀ marginale
decrescente; quando vengono utilizzate poche unità del fattore
variabile, CV aumenta meno che proporzionalmente rispetto alla
quantità utilizzata del fattore. Ad esempio, consideriamo il caso di
un’impresa con una dotazione data di macchine in cui si ha un
incremento del numero dei lavoratori impiegati; inizialmente essi
possono svolgere mansioni sempre più specializzate e fare un
maggiore e migliore uso delle macchine disponibili.
Quando però il fattore variabile aumenta oltre un certo valore
soglia indicato con “m” nella figura si manifesta la legge della
produttività marginale decrescente: poiché le ultime unità di
fattore producono sempre meno output, la quantità prodotta in
più̀ di output avrà un costo variabile crescente in modo più che
proporzionale rispetto alla quantità̀ impiegata del fattore variabile. Quindi la curva CV in m da concava
diventa convessa.
3 Costo totale (CT). Poiché CT = CV + CF, nella figura la curva CT è semplicemente una traslazione verticale
della curva CV pari a 12 €.

Costo medio cu: costo unitario di produzione ottenuto dividendo il costo totale con la quantità delle unità
prodotte (considera sia costi variabili che costi fissi), indica il costo di ogni singola unità prodotta. La forma a
U è perché il peso dei CF sul CT è maggiore quando l’impianto di produzione è ancora sottoutilizzato (riesco
a spalmare CF - fase decrescente iniziale) e per effetto della produttività marginale decrescente dei fattori
produttivi sui costi variabili (tratto crescente – ulteriore
impiego dei fattori produttivi riduce la produttività
dell’impianto aumentando i costi variabili della produzione.
ES. se produrre 100 unità di un prodotto costa 2.000 euro, il
costo medio sarà 20 € per unità (2.000/100).
Come il costo totale, il costo medio può essere diviso in due
componenti: fissa e variabile.
In altre parole, il costo medio è uguale alla somma tra costo
fisso medio (CFME = CF/q) e costo variabile medio (CVME =
CV/q)
CME = CFME + CVME 𝑪𝑼 = (𝑪𝑭/ 𝒀) + (𝑪𝑽 / 𝒀)

Costo marginale cm: è l’incremento di costo che si sostiene per produrre un’unità in più, ossia il rapporto tra
la variazione del costo totale e la variazione della quantità di produzione (si considerano solo i costi variabili)
(es. a un dato livello di produzione l’incremento ulteriore di 2 unità produttive comporta un incremento del
costo pari a 5. Il costo marginale è pari a 5/2 = 2,5 oppure ancora consideriamo un’impresa che produce un
milione di scatole di fiammiferi al mese. Essa decide di aumentare l’output di 1.000 scatole: Δq = 1.000.
Assumiamo che i costi totali aumentino di 40 euro: ΔCT = 40 €.
Quale è il costo per produrre una scatola aggiuntiva di fiammiferi? CMG = ΔCT/Δq = 40/1000 = 0,04.
0,04 rappresenta l’incremento medio di costo per un incremento unitario di produzione nell’aumentare q da
un milione di scatole a un milione e mille scatole. Si noti che tutti i costi marginali sono variabili, poiché, per
definizione, non ci sono costi fissi aggiuntivi quando la produzione aumenta. Forma a U legata alla
produttività marginale dei fattori produttivi. All’inizio decresce poiché l’impiego di unità addizionali dei fattori
produttivi consente di usare meglio l’impianto (produttività marginale crescente. Produrre le prime unità di
output è relativamente poco costoso). Poi cresce poiché ogni unità addizionale di impiego dei fattori
produttivi peggiora l’efficienza impianto (in quanto si richiedono quantità sempre maggiori di fattore
variabile per aumentare la produzione).

𝑪𝑴 = ∆𝑪 / ∆𝒀

I punto e in figura, in cui le due curve si intersecano, è il punto per cui l’impresa utilizza l’impianto nel modo
migliore. È detto anche punto di fuga poiché il prezzo del prodotto non può essere inferiore.
Il costo medio decresce meno rapidamente per la presenza dei costi fissi (la curva è più alta) – al crescere
della produzione i costi marginali crescono più rapidamente per effetto della produttività decrescente dei
fattori.

I costi di produzione sono i costi sostenuti da una impresa per la produzione e sono determinati dalla
tecnologia utilizzata nel processo produttivo e dall'organizzazione dell'impresa. L’obiettivo è la
minimizzazione dei costi
Data una funzione di produzione con due fattori produttivi X1 e X2 (quantità), il costo totale di produzione C
è dato dalla seguente equazione: C = w1 x1 + w2 x2 – dove w1e2 indicano i prezzi unitari di acquisto dei
fattori produttivi.
Le diverse combinazioni dei fattori produttivi possono essere
rappresentate su un diagramma cartesiano mediante la retta di
isocosto che non è altro che l'insieme delle combinazioni di due
fattori produttivi che determinano lo stesso costo di produzione
complessivo (che rientra quindi nella capacità di spesa dell’impresa).
La retta di isocosto ci ricorda il vincolo di bilancio visto nella teoria
del consumatore, però, la retta di bilancio ci forniva quanti panieri io
consumatore posso acquistare con la disponibilità del mio
portafoglio. Per quanto riguarda la retta di isocosto invece, il
concetto è parallelo ma visto attraverso l’ottica dell’impresa, quindi,
come posso combinare i miei fattori produttivi per determinare lo stesso costo di produzione complessiva.
In una retta di isocosto il costo totale della produzione è costante al variare delle combinazioni delle quantità
di utilizzo dei fattori produttivi.
Le rette di isocosto più esterne sono associate a costi di produzione maggiori
La pendenza della retta di isocosto è pari al valore assoluto del rapporto tra i costi dei fattori produttivi w1 /
w2 ed è detta saggio marginale di trasformazione.
L’intercetta con gli assi rappresenta la quantità di fattore che è possibile acquistare a quel dato costo se si
decide di acquistare solo quell’input e di fare a meno dell’altro.

Equilibrio del produttore: è compito dell'impresa scegliere la combinazione di impiego dei fattori produttivi
(x1, x2) tale da rendere minimo il costo totale C a parità di produzione.
Il punto di allocazione ottimale dei fattori può essere trovato mediante l’utilizzo delle rette di isocosto e le
curve di isoquanto
• Il punto A è la scelta economicamente più efficiente (equilibrio del produttore) poiché consente di
minimizzare i costi a parità di produzione Y. Nel punto
A la pendenza della retta di isocosto (saggio marginale
di trasformazione) eguaglia la pendenza della curva di
isoquanto (saggio marginale di sostituzione tecnica),
ossia, Il rapporto tra i prezzi dei fattori produttivi, cioè,
il rapporto tra le produttività marginali (STS = —w/r) e
quindi si avrà che PMGLI PMGK = w/r, da cui a sua volta
discende che il rapporto tra produttività marginale del
lavoro e salario (definito come produttività marginale
ponderata del lavoro w) deve essere uguale al rapporto
tra produttività marginale del capitale e tasso di interesse (produttività marginale ponderata del
capitale r):

𝑷𝑴𝑮𝑳 / 𝒘 = 𝑷𝑴𝑮𝑲 / 𝒓

Quindi il criterio di scelta della combinazione ottima degli input, dato il livello di output, è dato
dall’uguaglianza tra le produttività marginali ponderate.
• I punti B e C sono associati a un costo di produzione più elevato perché sono sulla retta di isocosto
più esterna. La scelta della combinazione ottimale degli input per
ogni livello di produzione consente di determinare la funzione di
costo o sentiero di espansione che descrive le combinazioni di
lavoro e capitale scelte dall’impresa per minimizzare il costo di ogni
dato livello di produzione.
• Funzione di costo: è la relazione tra la produzione e il costo minimo
e mostra il costo totale al variare delle quantità di produzione.
La funzione di costo è una funzione crescente rispetto al livello di
produzione.
La curva di costo medio di lungo periodo
CT totale produzione/Y Quantità produzione
Poiché́ nel lungo periodo non ci sono fattori fissi, non ci sono neppure costi
fissi di lungo periodo (Ad esempio, l’impresa può affittare più terra per
espandere la produzione. La rendita pertanto aumenterà con l’output.). Nel
lungo periodo tutti i costi sono costi variabili.
Le curve di costo medio di lungo periodo (CMELP)
possono avere varie forme. Se l’impresa gode di
economie di scala, la sua curva CMELP è
decrescente (fig. a). Dopotutto, è proprio questo
il modo in cui abbiamo definito le economie di
scala: esse si manifestano in una riduzione dei
costi medi all’aumentare della scala di
produzione. Se invece prevalgono diseconomie di
scala, la curva CMELP sarà̀ crescente (fig. b). Alternativamente, se l’impresa non presenta né economie né
diseconomie di scala, la curva CMELP è orizzontale
La curva di costo medio di lungo periodo
Spesso si ipotizza che all’aumentare della dimensione di un’impresa ci siano inizialmente economie di scala
(con una curva CMELP decrescente). Dopo un certo punto, tuttavia, tutte le economie di scala vengono
sfruttate e la curva diventa una retta orizzontale. Poi, dopo un certo tratto di CMELP costante, l’impresa
diventerà talmente grande che inizieranno a manifestarsi diseconomie di scala e quindi il CMELP diventerà̀
crescente. A questo punto, le economie di scala e/o finanziarie vengono più che compensate dai nuovi
problemi gestionali connessi alla dimensione di impresa che fanno lievitare i costi. L’effetto complessivo sarà̀
una curva a U come illustrato nella figura.
Sono tre le ipotesi chiave sottostanti la costruzione della curva di
costo medio di lungo periodo.
• I prezzi dei fattori sono dati. Si ipotizza che per ogni
determinato livello di output l’impresa fronteggi un
insieme dato di prezzi. Se i prezzi cambiano, di
conseguenza le curve di costo sia di lungo periodo che di
breve periodo si spostano. Ad esempio, un aumento dei
salari contrattati a livello nazionale fa spostare le curve
verso l’alto.
• I prezzi dei fattori tuttavia possono essere differenti per livelli diversi di output. Ad esempio, una
delle possibili fonti di economie di scala è data dalla capacità delle imprese di ottenere sconti per
grandi forniture di materie prime e altri input. In casi del genere le curve non si spostano. I prezzi dei
fattori sono diversi in corrispondenza di punti diversi della curva e per questo tali differenze si
riflettono solo sulla forma della curva. I prezzi dei fattori sono dati per determinati livelli di output.
• Lo stato della tecnologia e la qualità dei fattori sono dati. L’ipotesi è che questi possano cambiare
solo nel lunghissimo periodo. Se un’impresa riesce a ottenere economie di scala, è perché è stata in
grado di sfruttare la tecnologia esistente e di fare il miglior uso delle dotazioni esistenti di fattori di
produzione disponibili. L’impresa sceglie per ogni livello di output la combinazione di fattori che
minimizza i costi. Questa ipotesi implica che le imprese operino in modo efficiente, vale a dire che
esse scelgano il modo meno costoso per produrre ogni determinato livello di output. L’impresa
sceglie, dato il livello di output, la combinazione di input che minimizza il costo.

La relazione tra le curve di costo medio di breve e lungo periodo


Consideriamo il caso di un’impresa con un solo impianto e con una curva di costo medio di breve periodo
CMEBP1, illustrata nella figura. Nel lungo periodo, l’impresa può̀ costruire più impianti, se ciò risulta
profittevole. Se in tal modo riesce a beneficiare di economie di scala (dovute, ad esempio, a risparmi sui costi
amministrativi), ogni impianto successivo le consentirà̀ di spostarsi su una diversa curva CMEBP. Quindi con
due impianti fronteggerà la curva CMEBP2, con tre impianti la curva CMEBP3 e così via. Ogni curva CMEBP
corrisponde a un certo ammontare del fattore che risulta essere fisso nel breve periodo. Da questa serie di
curve di costo medio di breve periodo possiamo
derivare la curva di costo medio di lungo periodo,
come illustrato in figura. La curva CMELP è costruita
come inviluppo inferiore delle curve di costo medio
di breve periodo. Nel lungo periodo infatti l’impresa
può scegliere, con l’obiettivo di minimizzare il costo
medio di produzione, su quale CMEBP posizionarsi
in funzione della quantità̀ di output che programma
di produrre.
2.4.2 Ricavi
Ricavo = Come variano i ricavi di un’impresa al variare del livello delle vendite?
Il ricavo è il compenso ottenuto in cambio della vendita di un bene, servizio o prestazione à π=RT-CT
Ricavo lordo= ricavo totale al lordo delle spese e dei costi sostenuti per produrlo.
Ricavo netto= ricavo totale al netto delle spese e dei costi sostenuti per produrlo
Esistono diversi tipi di ricavi:
- Ricavo totale è ricavo ottenuto dalla vendita di una determinata quantità (Q) di prodotti per un determinato
prezzo unitario (P) di vendita. Ad esempio, se un’impresa vende 1.000 unità (q) al mese al prezzo di 5 euro
l’una (p), allora il suo ricavo mensile totale sarà̀ 5.000 euro: 5 x 1.000 (p x q). Cioè̀:

𝑅𝑇 = 𝑝 ∙ 𝑞

- Ricavi medio o unitario è l’ammontare che l’impresa ottiene per un’unità venduta = ricavo totale/n. Unità
di prodotto vendute. Quindi, se l’impresa ottiene 5.000 euro (RT) dalla vendita di 1.000 unità (q), otterrà 5
euro per ogni unità. Ma questo non è altro che il prezzo! Cioè: RME = p. Un’unica eccezione a questa
uguaglianza si ha quando l’impresa vende i suoi prodotti a prezzi diversi, in quel caso RME è semplicemente
la media ponderata dei prezzi.

𝑅𝑀𝐸 = 𝑅𝑇 / 𝑞

- Ricavo marginale è l’incremento di ricavo ottenuto dalla vendita di un’unità aggiuntiva in un dato periodo
di tempo. Quindi se un’impresa vende 20 unità in più in un mese, rispetto a quanto non si aspettasse di
vendere, ricavando 100 euro in più, ottiene 5 euro per ogni unità aggiuntiva venduta: RMG = 5 €. Cioè̀:

𝑅𝑀 = ∆𝑅𝑇 / ∆𝑞

Vediamo come queste tre funzioni di ricavo (RT, RME e RMG) variano con l’output.
Possiamo analizzare queste funzioni graficamente, come abbiamo fatto nel caso dei costi. II loro andamento
dipende dalle condizioni di mercato in cui l’impresa opera. Un’impresa che sia troppo piccola per poter
influenzare il prezzo di mercato ha funzioni di ricavo diverse da quelle di un’impresa che sia invece in grado
di influire sul prezzo di mercato. Esaminiamo di seguito queste due situazioni.

Ricavi dell’impresa quando il prezzo è dato


Ricavo medio. Se un’impresa è molto piccola rispetto alle dimensioni del mercato, dovrà accettare come un
dato il prezzo di mercato determinato dall’interazione tra domanda e offerta. A tale prezzo essa sarà in grado
di vendere quanto output è in grado di produrre, come illustrato in figura. La figura (a) mostra domanda e
offerta di mercato. Il prezzo di equilibrio è 5 euro. La figura (b) mostra invece la domanda per una singola
impresa che sia sufficientemente piccola rispetto alle dimensioni del mercato (si noti la differenza di scala
sugli assi orizzontali dei due grafici).
Date le dimensioni dell’impresa, qualunque variazione dell’output non è in grado di influenzare il prezzo di
mercato. A questo prezzo, l’impresa fronteggia dunque una curva di domanda orizzontale. Essa può vendere
200 unità, 600 unità, 1.200 unità o qualsiasi
altro numero di unità senza influenzare il
prezzo. Il ricavo medio perciò̀ è costante e pari
a 5 euro. La curva del ricavo medio
dell’impresa deve pertanto coincidere con la
sua curva di domanda.
Ricavo marginale. Nel caso di una curva di domanda orizzontale il ricavo marginale è uguale al ricavo medio,
in quanto la vendita di un’unità aggiuntiva a un prezzo costante non farà che aggiungere quell’ammontare al
ricavo totale. Se un’unità addizionale viene venduta al prezzo costante di 5 euro, verranno ricavati 5 euro in
più.
Ricavo totale. La tabella mostra l’effetto sul ricavo totale di diversi livelli di
quantità vendute al prezzo costante (price taker) di 5 euro per unità. Poiché
il prezzo è costante, all’aumentare della quantità venduta, il ricavo totale
aumenta a un tasso costante. La curva RT è quindi una linea retta passante
per l’origine (figura) e il prezzo rappresenta sia il ricavo medio che quello
marginale.

I ricavi dell’impresa quando il prezzo è influenzato dal suo


prodotto
Se un’impresa ha una quota di mercato relativamente grande,
fronteggerà una curva di domanda decrescente. Ciò significa che se
l’impresa intende vendere di più, deve accettare una riduzione del
prezzo. Volendo ottenere un aumento del prezzo, deve accettare una riduzione della quantità venduta.
Ricavo medio. Ricordiamo che il ricavo medio uguaglia il prezzo. Nel caso in cui quest’ultimo debba essere
ridotto per incrementare le vendite, anche il ricavo medio diminuirà all’aumentare dell’output. La tabella
riporta un esempio numerico relativo a un’impresa con una curva di domanda decrescente. La curva di
domanda (che mostra quanto viene venduto in corrispondenza di ciascun livello di prezzo) è data dalle prime
due colonne. Si noti che, come nel caso di un’impresa price- taker, la curva di domanda e la curva RME
coincidono (figura)
Ricavo marginale.
Quando un’impresa ha una curva di
domanda decrescente, il ricavo marginale
è inferiore al ricavo medio, e può anche
essere negativo. Perché? Se l’impresa vuol
vendere di più in un dato periodo di tempo,
deve abbassare il prezzo (assumendo che
non abbia altre variabili di scelta come ad esempio la pubblicità). Il prezzo va ridotto non solo sulle unità
aggiuntive che si spera di vendere, ma su tutte le unità di prodotto, che l’impresa avrebbe comunque venduto
a un prezzo superiore. Quindi il ricavo marginale è dato dal prezzo al quale viene venduta l’ultima unità di
prodotto al netto della perdita dovuta alla riduzione del prezzo sulle unità che si sarebbero potute vendere
a un prezzo maggiore.
Cercate di usare questo metodo per spiegare i dati riportati nella tabella della slide precedente (notate che
le cifre nella colonna del ricavo marginale si trovano negli spazi tra le righe delle altre tre colonne).
Assumiamo che il prezzo corrente sia 7 euro. A questo prezzo vengono vendute due unità. L’impresa ora
desidera vendere un’unità in più, per cui decide di ridurre il prezzo a 6 euro. In questo modo ottiene 6 euro
dalla vendita della terza unità, ma perde 2 euro sulle unità che avrebbe potuto vendere a un prezzo pari a 7
euro. Il suo guadagno netto è quindi pari a: 6-2 = 4 €. Questo è il ricavo marginale: il ricavo addizionale
ottenuto dall’impresa dalla vendita di un’unità in più̀.
In termini analitici, essendo RT = p(q)q, derivando RT rispetto a q, si può̀ calcolare che:

𝑑𝑅𝑇 𝑑𝑝
𝑅𝑀𝐺 = =𝑝+ ∙𝑞
𝑑𝑞 𝑑𝑞
𝑑𝑝 𝑞
Ma essendo l’elasticità della domanda uguale (in valore assoluto) a 𝜀 = − /
𝑑𝑞 𝑝
1
Si può riscrivere 𝑅𝑀𝐺 = 𝑝(1 − 𝜀 )
C’è dunque una relazione tra ricavo marginale ed elasticità della domanda. Ricordiamo che se la domanda è
elastica, una riduzione del prezzo provoca un aumento più che proporzionale della quantità domandata e
quindi un incremento dei ricavi. Il ricavo marginale quindi è positivo. Se invece la domanda è anelastica, una
riduzione del prezzo provoca un aumento meno che proporzionale delle vendite. In questo caso la riduzione
del prezzo prevale sull’aumento delle vendite e il ricavo totale diminuisce. Il ricavo marginale è negativo.
Se il ricavo marginale per una data quantità è positivo (cioè se in fig. le vendite non sono superiori a 4 unità
per periodo di tempo), la domanda sarà elastica, in quanto un aumento della quantità venduta (in seguito
alla riduzione del prezzo) provocherebbe un incremento del ricavo totale.
Se invece il ricavo marginale in corrispondenza di una determinata quantità è negativo (cioè se in fig. le unità
vendute sono 5 o più̀), la curva di domanda sarà anelastica, in quanto un aumento della quantità̀ venduta
farebbe diminuire il ricavo totale. Quindi la curva di domanda (p = RME) in figura è elastica a sinistra del
punto r e anelastica alla sua destra.
Ricavo totale.
Il ricavo totale è dato dal prezzo per la quantità, come illustrato in tabella. La colonna RT della tabella è
disegnata nella figura.
A differenza del caso di un’impresa price taker, la curva RT non è una retta, ma una curva dapprima crescente
e poi decrescente. Perché? Fintanto che il ricavo marginale è positivo (e
quindi la domanda è elastica rispetto al prezzo), un aumento dell’output
fa aumentare il ricavo totale.
Ma quando il ricavo marginale diventa negativo (e la domanda
anelastica), il ricavo totale diminuisce. Il punto massimo della curva RT,
quindi, si trova in corrispondenza di RMG = O. In questo punto l’elasticità̀
della domanda in valore assoluto è uguale a uno

Massimizzazione del profitto.


Quanto output deve produrre un’impresa se vuole massimizzare i suoi profitti? Possiamo ora unire costi e
ricavi per determinare l’output in corrispondenza del quale il profitto è massimo, e trovare anche a quanto
ammonta tale profitto.
Ci sono due vie per arrivarci:
• La prima è più semplice consiste nell’utilizzare le curve di costo e ricavo totale.
• La seconda invece passa attraverso le curve di costo e di ricavo medio e marginale. Nonostante
questa via sia leggermente più complicata, è più utile quando si debba confrontare la
massimizzazione del profitto in diverse condizioni di mercato (come vedremo nelle prossime lezioni).
Percorreremo ora entrambe le vie. Ci concentreremo comunque sul breve periodo: il periodo nel quale uno
o più fattori sono offerti in quantità fissa. In entrambi i casi studieremo un’impresa con una curva di domanda
decrescente.
Uso dei ricavi e dei costi totali
La tabella mostra i valori numerici del costo, del ricavo e del profitto
totali in corrispondenza della quantità prodotta. Il profitto totale (π) si
trova sottraendo CT da RT. Quando π è negativo, l’impresa è in perdita.
Il profitto totale è massimo per un output di 3 unità, cioè̀ quando la
differenza tra ricavo totale e costo totale è massima. In corrispondenza
di questo output, il profitto totale è 4 euro (18 - 14).
Le curve RT, CT e π sono disegnate nella figura.
La dimensione del profitto massimo è mostrata dalle frecce.
Dato che il profitto è la differenza tra ricavo totale e costo totale,
individuare il livello di produzione che massimizza il profitto significa
analizzare i ricavi dell’impresa. Per massimizzare il profitto, l’impresa
sceglie il livello di produzione in corrispondenza della quale la
differenza tra ricavo e costo è maggiore. Questo principio è illustrato
graficamente nella figura, in cui R(q) è una curva che riflette il fatto
che l’impresa può vendere una quantità di prodotto maggiore solo
riducendo il prezzo. La pendenza di questa curva di ricavo totale è il
ricavo marginale.
Nel grafico compare anche la curva di costo totale C(q), la cui pendenza misura il costo addizionale generato
da un aumento unitario della produzione, cioè il costo marginale. Si noti che il costo totale C(q) è positivo
quando il prodotto è zero, per la presenza di costi fissi. Per bassi livelli di produzione il profitto è negativo
perché il ricavo non copre costi fissi e variabili; ma aumentando la produzione, il ricavo cresce più
rapidamente del costo totale e il profitto finisce per diventare positivo. Il profitto continua ad aumentare fino
a quando la produzione raggiunge il livello q*, in corrispondenza del quale costo marginale e ricavo marginale
sono uguali, e la distanza verticale tra ricavo totale e costo totale, AB, è massima. Il prodotto q* è la quantità
ottimale di produzione, cioè quella che massimizza il profitto. Si noti che per livelli di produzione maggiori di
q* il costo aumenta più rapidamente del ricavo marginale, e il profitto diminuisce progressivamente.
La regola secondo la quale il profitto è massimo quando il ricavo marginale è uguale al costo marginale vale
per tutte le imprese, che siano o meno perfettamente concorrenziali.
La massimizzazione del profitto si verifica nel punto in cui la curva del ricavo totale e la curva di costo totale
hanno la medesima pendenza e cioè dove il costo marginale = ricavo marginale.
La condizione di massimizzazione dei profitti per una data quantità di prodotti implica sempre quella di
minimizzazione dei costi di produzione per quella quantità di prodotti. Non vale, invece, la relazione inversa.
La minimizzazione dei costi non implica necessariamente la massimizzazione del profitto es. imprese senza
fini di lucro costi=ricavi
Uso di ricavi e costi medi e marginali 2 fasi:
Fase 1. Usiamo le curve marginali per determinare l’output che massimizza il profitto.
C’è una regola molto semplice per massimizzare il profitto: quando il profitto è massimo, RMG è uguale a
CMG. Nella figura il ricavo marginale è uguale al costo marginale per un output pari a 3. Ma perché́ il profitto
è massimo quando RMG = CMG? il modo più semplice per rispondere è chiedersi cosa succede se, al
contrario, RMG non è uguale a CMG. Con riferimento alla figura, per livelli di output inferiori a 3, RMG eccede
CMG. Ciò significa che la produzione di ulteriori unità contribuirebbe più all’aumento dei ricavi che non
all’aumento dei costi. II profitto totale aumenterebbe. Quindi finché RMG è maggiore di CMG, il profitto può
essere aumentato aumentando la produzione. Per livelli di output superiori a 3, invece, CMG eccede RMG.
Quindi, tutti i livelli di produzione superiori a 3 contribuiscono più̀ all’aumento dei costi che non all’aumento
dei ricavi, per cui il profitto diminuisce. Finché CMG è superiore a RMG, il profitto può essere aumentato
riducendo la produzione. Il profitto dunque è massimo quando CMG = RMG: quando la produzione è pari a
3. A volte gli studenti rimangono un po’ confusi quando
gli si dice che il profitto è massimo per RMG=CMG.
Come può il profitto essere massimo se l’ultima unità
venduta non genera alcun profitto? La risposta è molto
semplice. Se non potete aggiungere nulla a un totale,
allora quel totale deve essere già il massimo.
Considerate per analogia il raggiungimento di una vetta.
Se non potete andare più̀ in alto, significa che siete già̀
in cima.
Fase 2. Usiamo le curve medie per misurare l’ammontare del profitto.
Una volta trovato il livello di output che massimizza il profitto, usiamo le curve medie per misurare
l’ammontare del profitto massimo. Innanzitutto, si trova il profitto medio, dato da RME-CME. In
corrispondenza dell’output che massimizza il profitto (q = 3), si ottiene un valore del profitto medio pari a
6 (14/3) = (4/3) €. Allora il profitto totale si ottiene moltiplicando il profitto medio per l’output: π = (p — CME)
q - che è rappresentato dall’area ombreggiata nella figura. Essa è pari a (4/3) x 3 = 4 €.
Il significato di profitto
Una componente del costo è data dal costo-opportunità della gestione dell’impresa, che è pari al rendimento
minimo che l’imprenditore deve ottenere dal capitale investito nell’impresa affinché ́ non decida di chiudere
per dedicarsi a un’altra attività. Al pari di salari e rendite, si tratta di un costo che deve essere coperto per
continuare a dedicarsi all’attività̀ imprenditoriale. Questo costo-opportunità̀ è talvolta chiamato profitto
normale, ed è incluso tra i costi.
Che cosa determina questo tasso normale di profitto? Sono due le componenti da prendere in
considerazione. In primo luogo chi intraprende un’attività̀ imprenditoriale investe dei soldi.
Bisogna quindi considerarne il costo-opportunità̀, vale a dire gli interessi che si sarebbero potuti ottenere in
qualsiasi investimento privo di rischio. Nessuno intraprenderebbe un’attività se non si aspettasse almeno
questo rendimento. In secondo luogo occorre considerare che qualsiasi attività imprenditoriale non è priva
di rischio e che quindi una seconda componente è data da un premio per il rischio.
Quindi: tasso di profitto normale (%) = tasso di interesse privo di rischio + premio per il rischio
Il premio per il rischio varia secondo il tipo di attività̀. In quelle con esiti abbastanza prevedibili, come la
vendita al dettaglio di alimenti, è relativamente basso. Quando i risultati hanno un livello di incertezza
elevato, come l’attività̀ estrattiva e la produzione di capi di moda, tale premio è relativamente alto.
Di conseguenza se un’impresa ottiene un tasso di profitto normale, i suoi proprietari saranno (appena)
soddisfatti per rimanere in attività̀. A maggior ragione (ovviamente) lo saranno se l’impresa guadagna un
profitto superiore a quello normale. Poiché il profitto normale è incluso nei costi, qualsiasi profitto mostrato
dal grafico (ad esempio, l’area ombreggiata in fig. precedente) rappresenta un profitto aggiuntivo rispetto a
quello normale, denominato extraprofitto, profitto puro, profitto economico o surplus del produttore.
Queste espressioni indicano tutte la stessa cosa: l’eccesso del profitto sul profitto normale.

Il surplus del produttore, la differenza tra prezzo di vendita e costo


marginale.
Ed è pari alla differenza tra quanto un produttore sarebbe stato disposto a
vendere il bene sul mercato rispetto a quanto lo vende effettivamente al
prezzo di equilibrio. Così il surplus del produttore corrisponde all’area
compresa tra la curva di offerta dell’impresa e il prezzo.
Il surplus del produttore può̀ essere definito anche come la differenza tra il
ricavo dell’impresa e il suo costo totale variabile.

Il surplus del consumatore, il guadagno netto che un consumatore


ottiene con acquisto di una merce. È la differenza tra il prezzo che il
consumatore è disposto a pagare per l’acquisto di una unità di merce
(detto prezzo di riserva) e il prezzo di mercato effettivamente pagato per
l’acquisto del bene. Se un consumatore è disposto a pagare un bene 100
euro ma lo acquista su mercato a 80 ottiene un surplus di 20 euro. Il
surplus del consumatore si trova tra la curva di domanda e del bene e la
linea del suo prezzo di mercato
Forme di mercato
Quanta concorrenza deve affrontare un’impresa?

Le forme di mercato sono caratteristiche distintive dei mercato sulla base del grado di concorrenza, del
numero di soggetti offerente e acquirenti, dal grado di controllo del prezzo da parte delle imprese, dal grado
di libertà di entrata e di uscita dal mercato, del grado di omogeneità o di differenziazione del prodotto (natura
del prodotto).
In Economia esistono quattro principali forme di mercato

Classificazione delle forme di mercato


• All’estremo del massimo grado di concorrenza c’è la concorrenza perfetta (completa libertà di
entrata, prodotto omogeneo, nessun grado di controllo da parte delle imprese sul prezzo-price taker)
à operano nel mercato molte imprese concorrenti
• All’estremo opposto c’è il monopolio (presenza di barriere all’entrata, prodotto unico, massimo
grado di controllo sul prezzo da parte del monopolista) assenza di concorrenza una sola impresa
operante in un determinato mercato.
• Situazioni intermedie sono date dalla concorrenza monopolistica (libertà di entrata, prodotto
differenziato) e dall’oligopolio (barriere all'entrata, prodotto differenziato o omogeneo) presenza
poche imprese
Per distinguere più in dettaglio queste quattro forme di mercato, consideriamo le seguenti domande,
raggruppate per punti:
• Il grado di libertà con cui nuove imprese possono entrare nell’industria. L’entrata è libera o limitata?
Se è limitata, quanto è difficile per le nuove imprese superare le barriere all’entrata?
• La natura del prodotto. Le imprese producono un prodotto omogeneo o c’è differenziazione di
prodotto?
• Il grado di controllo sul prezzo da parte delle imprese. L’impresa è price taker o è libera di scegliere
il suo prezzo, e in tal caso, quale sarà l’effetto delle decisioni di prezzo sui profitto? Questo punto ha
implicazioni sul tipo di domanda della singola impresa. Quanto è elastica questa domanda? In altri
termini, se l’impresa aumenta il prezzo, perderà:
a) tutte le vendite (curva di domanda orizzontale);
b) gran parte delle vendite (curva di domanda relativamente elastica);
c) solo una piccola parte delle vendite (curva di domanda relativamente anelastica)?
La Concorrenza
La struttura di mercato in cui un’impresa opera ne determina il comportamento. Le imprese in concorrenza
perfetta si comporteranno in modo radicalmente diverso dalle imprese monopolistiche, che a loro volta si
comporteranno in modo diverso dalle imprese oligopolistiche e dalle imprese che operano in regime di
concorrenza monopolistica.
Questo comportamento (o condotta) a sua volta influenza la performance dell’impresa: i suoi profitti
innanzitutto. In molti casi influenza anche la performance di altre imprese. La condotta aggregata di tutte le
imprese di un’industria influenza la performance dell’intera industria. Ma ha una grande influenza anche il
rapporto che l’azienda ha con il territorio, infatti un’azienda immersa in un territorio montuoso, marittimo,
collinare avranno grandi differenze le une con le altre.
Quindi esiste una relazione causale che lega la struttura del mercato alla condotta delle imprese e
quest’ultima alla performance dell’industria:
Struttura → Condotta/continuità → Performance

La Concorrenza di una impresa è l’insieme delle imprese operanti sul mercato in un determinato territorio
che producono un prodotto/servizio destinato a soddisfare la domanda di un medesimo cliente finale e
quindi a soddisfare il medesimo bisogno, sta alla base del dinamismo di mercato (osservazione delle scelte
dei concorrenti sui prezzi, caratteristiche prodotto, pubblicità ecc. Osservazione concorrenti, è da
considerare un input del processo produttivo).
• Il grado di concorrenza è indicato dal tasso di concentrazione (o tasso di affollamento) del mercato.
Determinato dalle barriere all’ingresso che impediscono o meno l’accesso al mercato alle nuove
imprese concorrenti (newcomers)
• È importante nella strategia di impresa una corretta analisi della concorrenza per individuare
eventuali opportunità (nicchie di mercato, differenziazione di prodotto ecc.) e ridurre al minimo le
minacce di mercato (prezzi più bassi, barriere ecc.)
Analisi della concorrenza
Valuta il grado di competitività di un’impresa.
• Obiettivi:
Lo studio dei prezzi di vendita dei prodotto delle imprese operanti in un mercato, ne misura la
concentrazione nei diversi segmenti di mercato, il grado di differenziazione dei prodotti e le eventuali
barriere all’ingresso (economiche, tecnologiche, di brand, di fidelizzazione ecc.)
• Elementi:
- Efficienza nei costi (produttività), ossia, la capacità impresa di soddisfare bisogni dei consumatori
con una minore spesa a parità di qualità del prodotto/servizio offerto. Se noi, per essere più
produttivi, cioè per mettere più prodotti sul mercato, abbassiamo notevolmente il costo del nostro
servizio/prodotto offerto, può causare una strategia di mercato totalmente fallimentare
- Caratteristiche del prodotto, insieme caratteristiche tecniche del prodotto/ servizio
- Marchio (brand), il fattore determinante per il successo commerciale
• Differenziazione:
Le imprese tendono a differenziare i propri prodotto dalla concorrenza al fine di favorire la propria
rendita, in due modi:
- Differenziazione di marchio (qualità- percezione- possibilità di maggior P) più efficace e duratura
ma raggiungibile solo nel medio-lungo periodo. Ovviamente per creare un brand, un marchio
conosciuto, c’è bisogno di tempo per farsi conoscere, un percorso di assestamento, per mostrare le
peculiarità rispetto ai competitor, in modo da fidelizzare i consumatori, affinché scelgono i vostri
prodotti meno caratterizzanti. (Marlboro, Camel)
- Differenziazione di prodotto (modifica caratteristiche tecniche), tale per cui io sono disposto a
comprare quel prodotto, rispetto ad altri sul mercato
• La politica di prezzo aggressiva:
Implica la vendita di un prodotto vicino al costo di produzione e può essere adottata da:
- Aziende non leader: newcomers o follower (più difficile tema qualità), è più difficile perché, per
riuscire a conquistare delle nicchie di mercato, il prezzo sarà molto vicino ai costi di produzione, ciò
indica un guadagno esiguo dell’impresa, che però potrebbe realizzare il suo obiettivo. Questa
strategia ha un elevato tasso di rischio, infatti se si abbassano troppo i prezzi e di conseguenza la
qualità del prodotto offerto, l’azienda non riuscirà a conquistare le quote del mercato interessato,
poiché il consumatore sceglierà il prodotto più noto e con una qualità più elevata ovviamente, sarà,
quindi fallimentare.
- Aziende leader: per espandere propria quota di mercato o impedire ingressi nel mercato (maggiori
rendimenti di scala perché operano su un volume di produzione più grande, con brand più forte e
struttura dei costi più efficiente). Cerchiamo di ridurre al minimo i prezzi, in modo tale che impediamo
ai new comers, l’ingresso nel mercato, perché non avranno la nostra expertise, i nostri rendimenti di
scala, le nostre economie di scala.

La concorrenza perfetta
Le ipotesi alla base della concorrenza perfetta:
• Atomicità: Esiste un numero molto elevato di imprese sia lato domanda che offerta. Le imprese e i loro
clienti sono price takers (il prezzo dipende dalla loro libera e simultanea contrattazione) (la singola impresa
produce una quota trascurabile dell’offerta totale). Data una determinata curva di offerta e una curva di
domanda, il prezzo verrà generato da solo, dalle interazioni del mercato, che deriva dai bisogni del
consumatori, senza che le imprese possano mettere in campo strategie, che possono cambiare le interazioni
del mercato stesso.
• Prodotti omogenei: caratteristiche simili o uguali (no sotto-mercati, che dato che i prodotti sono omogeni,
non si tende a creare delle nicchie di mercato, che differenziano quel prodotto. Esempio: cellulare con o
senza fotocamera; carote)
• Informazione perfetta: tutti gli operatori del mercato, consumatori e offerenti, hanno accesso a tutte le
informazioni. Io di un mercato so: quante e quali sono le imprese, dove stanno, a che prezzo vendono il
prodotto, se i prezzi sono uguali in tutti i negozi, ecc.
• Assenza barriere di ingresso: economiche, politiche o naturali. Si può entrare e uscire senza costi elevati à
nel lungo periodo il profitto si azzera. Il profitto si azzera nel senso che entrare in un mercato, mi comporta
un extraprofitto, ma nel lungo periodo io dovrò aumentare la mia produzione e ciò comporterà una
diminuzione del profitto. Più avanti vedremo questo argomento.
• Libertà decisionale: nessuno impone cosa e quanto acquistare o vendere. Il prezzo e la quantità di
equilibrio, come detto in precedenza, dato dalla libera interazione di domanda e offerta nel mercato.
• Razionalità: ogni individuo massimizza propria utilità di scambio
• Fluidità: si possono vendere a acquistare tutte le quantità che si desiderano
• Tecnologia omogenea: di tutte le imprese (no diverso know-how/brevetti)

La figura mostra l’equilibrio di breve periodo di


un’industria (parte a) e di un’impresa (parte b) in
condizioni di concorrenza perfetta. Entrambe le
parti del grafico hanno la stessa scala sull’asse
verticale, mentre gli assi orizzontali hanno scale
diverse, in quanto la prima misura la quantità
scambiata nell’industria (Q) mentre la seconda si riferisce a quella relativa alla singola impresa (q). La quantità
scambiata dall’industria è data dalla somma delle quantità scambiate dalle imprese esistenti:

𝑄 = ∑ 𝑞𝑖
𝑖=1

Esaminiamo adesso le diverse variabili: Prezzo, Quantità e Profitto


Il prezzo (pe) è determinato dall’intersezione tra domanda e offerta di mercato nella figura a.
Essendo l’impresa price-taker, a questo prezzo corrisponde una curva di domanda orizzontale.
Essa può vendere quanto desidera al prezzo di mercato (pe), ma non può vendere nulla a un prezzo superiore.
Se praticasse un prezzo inferiore a pe potrebbe conquistare l’intera domanda di mercato (che non sarebbe
comunque in grado di soddisfare) ma si aspetterebbe una reazione immediata da parte delle concorrenti,
tenuto conto di tale reazione, non ci sarebbe alcun vantaggio nel ridurre il prezzo rispetto a pe
Quantità: l’impresa massimizza il proprio profitto quando il costo marginale eguaglia il ricavo marginale (RMG
= CMG), quindi a un output pari a qe nella figura b. Si noti che, poiché il prezzo non è influenzato dall’output
dell’impresa, il ricavo marginale è uguale al prezzo.
Profitto: se la curva di costo medio (CME) risulta al di sotto della curva del ricavo medio (RME), l’impresa
otterrà extraprofitti. L’extraprofitto unitario in corrispondenza di qe è la differenza verticale tra RME e CME.
L’extraprofitto totale è dunque dato dal rettangolo ombreggiato in figura b. In questo caso il prezzo ottenuto
dalla vendita di una singola unità di prodotto (p) è superiore al costo unitario di produzione (CME). La
presenza dell’extraprofitto attira nuove imprese concorrenti

Il caso della perdita economica


La curva di offerta della singola impresa (S) coincide con il tratto (MC) dei
costi marginali a partire dal tratto di intersezione con la curva dei costi medi
(AC), in caso contrario l’impresa subirebbe una perdita economica.
I costi medi di produzione (AC) sono più alti dei prezzi, quindi rispetto a prima
non si genererà un extraprofitto, ma tutto il contrario una perdita, infatti
l’area EPCD rappresenta la perdita. Le imprese in perdita falliscono ed escono
dal mercato.

Equilibrio di lungo periodo


Nel lungo periodo, se le imprese già
operative ottengono extraprofitti, nuove
imprese saranno attirate nell’industria.
Inoltre, le imprese già operative
potrebbero trovare conveniente
aumentare la produzione, dal momento
che in un’ottica di lungo periodo possono
variare tutti i fattori produttivi. L’effetto
dell’entrata di nuove imprese e/o dell’espansione delle imprese esistenti è comunque un aumento
dell’offerta dell’industria (illustrato in fig. a). In corrispondenza del prezzo p si ottengono extraprofitti. La
curva di offerta dell’industria quindi si sposterà verso destra in seguito all’entrata di nuove imprese. Ciò̀ a sua
volta provoca una riduzione del prezzo. L’offerta continuerà ad aumentare e il prezzo a diminuire, finché le
imprese non otterranno soltanto profitti normali, cioè quando il prezzo diminuisce fino al punto in cui la curva
di domanda dell’impresa è tangente al punto di minimo della sua curva di costo medio di lungo periodo, che
è anche punto di intersezione con la curva del costo marginale di lungo periodo: qL è quindi l’output di
equilibrio di lungo periodo della singola impresa, e pL è il prezzo di equilibrio di lungo periodo. Poiché la curva
CMELP è ottenuta come inviluppo inferiore di tutte le
curve CMEBP, l’equilibrio di lungo periodo soddisfa la
seguente condizione: CMELP = CMEBP = CMG = RMG =
RME - graficamente rappresentata qui di fianco.
Quindi, riassumendo, aumenta la quantità domandata,
ciò generà uno spostamento della curva di offerta verso
destra, comportando così, una variazione del prezzo di
equilibrio, che non sarà più P1 ma PL, i consumatori
saranno disposti a comprare maggior quantità del
suddetto bene, ad un prezzo minore. La variazione nel grafico a, a livello di industria, comporta una variazione
anche nel grafico b, avendo quindi una traslazione verso il basso della curva di domanda e questa traslazione
verso il basso avverrà fino a che sarà tangente alla curva di costo medio, altrimenti saremo in perdita.

Vantaggi della concorrenza perfetta:


• Il prezzo è uguale al costo marginale (giusto livello di produzione)
• Nel lungo periodo le imprese ottengono solo profitti normali. Il prezzo è al livello minimo possibile,
dove la curva di domanda è tangente alla curva di costo medio
• Le imprese inefficienti saranno costrette a lasciare il mercato. Le imprese sono stimolate ad essere
più efficienti per rimanere nel mercato, affinché i costi medi siano più bassi e siano uguali ai profitti
normali, al prezzo.
Per concludere è evidente come la concorrenza perfetta è una forma di mercato teorica in quanto
difficilmente si presenta realmente in un mercato. Generalmente, nei mercati tendono a formarsi delle
concentrazioni, soprattutto dal lato dell’offerta e posizioni di leadership che consentono ai soggetti
economici di influenzare il prezzo dei beni.
Una delle ragioni più importanti della rarità della concorrenza perfetta è data dalle economie di scala. In
molte industrie le imprese devono essere sufficientemente grandi per poter sfruttare a pieno le potenziali
economie di scala.
Ma la concorrenza perfetta implica l’esistenza di molte imprese, che devono necessariamente essere piccole,
spesso troppo piccole per poter beneficiare di economie di scala. Quando una piccola impresa si espande e
riesce a fruire di economie di scala è in grado di praticare prezzi inferiori a quelli delle imprese più piccole,
costringendole a uscire dal mercato. In tal modo la concorrenza perfetta viene meno. Condizioni di
concorrenza perfetta possono quindi permanere a patto che non vi siano significative economie di scala.
Esempio mercato internazionale di alcuni prodotti agricoli = migliaia di agricoltori coltivano un prodotto (es.
frumento) e costituiscono ognuno di essi soltanto una parte infinitesima dell’offerta totale. Ogni impresa
agricola non può determinare il prezzo di vendita. Se vuole vendere dovrà rispettare il prezzo applicato dal
mercato.

Il monopolio
Cosa succede quando sul mercato opera una sola impresa?
Si ha monopolio quando nell’industria opera una sola impresa (anche se i confini di industria possono essere
arbitrari - Ad esempio: un’impresa tessile può avere il monopolio su alcuni tipi di tessuto, ma non su tutti i
tessuti in generale. O ancora, un’impresa di trasporti ferroviari può avere il monopolio sui servizi ferroviari
tra due città, ma non ha il monopolio nel trasporto pubblico su quella tratta.)
Ciò che è più importante per un’impresa è il grado di potere monopolistico che esercita, che a sua volta
dipende dal grado di sostituibilità del proprio prodotto con i prodotti offerti dalle altre imprese. In molti paesi,
la fornitura di energia elettrica avviene in regime di monopolio. L’impresa monopolista non ha concorrenti
che possano fornire energia elettrica per l’illuminazione e gli elettrodomestici; tuttavia, nel caso della
fornitura di energia per il riscaldamento domestico potrebbero esserci imprese concorrenti in grado di fornire
energia alternativa quale gas, petrolio e carbone.
Esistono due tipi di monopolio:
- Naturale: si verifica quanto l’ingresso nel mercato è ostacolato da barriere naturali, determinate dalla
proprietà esclusiva di un fattore produttivo da parte di una impresa (es. miniera) o dalle enorme economie
di scala e capacità produttive dell’unica impresa operante nel settore
- Legale: quando il numero di imprese nel mercato è fissato per legge dallo Stato. Il servizio o il bene può
essere offerto soltanto dalla impresa autorizzata. In questo casi il monopolista può essere un’azienda
pubblica, un ente pubblico oppure un’azienda privata in concessione (es. disporre infrastruttura su scala
nazionale es. autostrade, rete idrica, cavi telefonici ecc.). Questo rapporto pubblico privato è di fondamentale
importanza in quanto, lo stato, garantisce che il prezzo di questo bene di prima necessita, sia accessibile a
tutti, mentre la parte privata, porta con se la sua expertise, il suo know-how nel settore in questione.
Affinché un’impresa mantenga la propria posizione di monopolista ci devono essere barriere all’entrata
sufficientemente elevate.

Barriere all’entrata
Possono assumere forme diverse
• Economie di scala e di varietà
• Differenziazione del prodotto e fedeltà alla marca
• Costi inferiori per l’impresa già esistente
• Proprietà o controllo di importanti fattori di produzione
• Proprietà o controllo delle reti di vendita al dettaglio o all’ingrosso
• Protezione legale
• Fusioni e acquisizioni
• Tattiche aggressive
• Intimidazione (queste ultime si basano su una minaccia credibile di comportamento aggressivo da parte del
monopolista)
Economie di scala:
Se il costo medio del monopolista, a causa dell’esistenza di notevoli economie di scala, si riduce all’aumentare
della sua offerta, è possibile che non più di un produttore sia in grado di rimanere nell’industria facendo
profitto. Questo caso è noto come monopolio naturale. Tale situazione si verifica con maggiore probabilità
quando il mercato servito è di dimensioni ridotte. Ad esempio, due imprese di trasporto in competizione tra
loro possono valutare che non convenga servire la stessa tratta, mentre una sola impresa potrebbe farlo con
profitto servendo l’intera domanda. L’erogazione di energia elettrica attraverso una rete nazionale è un altro
esempio di monopolio naturale, infatti lo stato dà in concessione i gasdotti ad un’azienda terza, privata
affinché sia accessibile il prezzo per i consumatori.
Anche quando il mercato potrebbe sostenere più di un’impresa, un nuovo entrante potrebbe non essere in
grado di iniziare a produrre su larga scala. In tal caso il monopolista che già gode di economie di scala può
praticare un prezzo inferiore al costo medio di produzione del potenziale entrante, scoraggiandone l’entrata.
Se invece il nuovo entrante è un’impresa già operativa su un altro mercato, potrebbe essere in grado di
affrontare la concorrenza del monopolista e riuscire a entrare nel mercato.
Economie di varietà:
È probabile che un’impresa che realizza una vasta gamma di prodotto abbia un costo medio di produzione
inferiore a quello dei potenziali entranti. Ad esempio, una grande azienda farmaceutica che produce una
vasta gamma di farmaci e cosmetici può suddividere tra i suoi prodotti i costi di ricerca e sviluppo, di
marketing, di magazzino e di trasporto. Tutto ciò rende più difficoltosa l’entrata sul mercato a una nuova
impresa monoprodotto, dal momento che l’impresa esistente potrà diminuire i prezzi, causandone l’uscita.
Differenziazione del prodotto e fedeltà della marca
Se un’impresa produce un prodotto chiaramente differenziato da quelli esistenti, e il consumatore associa
quel prodotto a una marca, sarà molto difficile per una nuova impresa entrare in quel mercato.
Nel 1895 l’americano Gillette inventò il rasoio di sicurezza che brevettò in seguito nel 1904. Anche ora, a
distanza di un secolo, non è infrequente sentire chiamare indistintamente tutti i rasoi Gillette, oppure
chiamare le penne a sfera Biro, e così via.
Questo tipo di barriera può operare anche quando il mercato è sufficientemente grande da permettere a due
imprese di sfruttare le economie di scala esistenti. In altre parole, qui il problema del potenziale entrante
non è riuscire a produrre a costi sufficientemente bassi, ma riuscire a offrire un prodotto che attiri i
consumatori fedeli al marchio della concorrente.
Protezione legale
La posizione monopolista dell’impresa può essere protetta da brevetti su processi produttivi, da diritti di
autore, da varie forme di licenze e da dazi doganali e altre restrizioni agli scambi. Molti nuovi farmaci
sviluppati dalle aziende farmaceutiche (ad esempio quelli anti- AIDS) e il sistema operativo Windows
costituiscono un esempio di monopolio basato sul rilascio di un brevetto.
Fusioni e acquisizioni
Il monopolista può lanciare un’offerta di acquisto sull’entrante, scoraggiandone in tal modo l’entrata.
Tattiche aggressive
Un monopolista può probabilmente sostenere perdite più a lungo di un nuovo entrante, per cui può iniziare
una guerra di prezzo, lanciare massicce campagne pubblicitarie, offrire servizi allettanti alla clientela,
introdurre nuovi marchi per competere con il nuovo entrante, ecc.
Intimidazione
Il monopolista può anche ricorrere a tutta una serie di minacce, lecite o illecite, per indurre un nuovo entrante
a uscire dal mercato.

L’impresa monopolista può decidere il prezzo di vendita a suo piacimento, perché non esistono beni sostituti
o concorrenti e i consumatori non hanno alternative a cui rivolgersi. L’impresa monopolistica può scegliere il
prezzo in due modi:
• Metodo indiretto: l’impresa fissa la quantità di produzione (Qs) e il mercato determina
indirettamente il prezzo (P) che mette in equilibrio l’offerta e la domanda. L’impresa monopolistica
definisce la produzione che vuole mettere sul mercato e poi la domanda fisserà indirettamente il
prezzo, al fine tale che, non ci possiamo trovare in una situazione di scarsità di domanda o di eccesso
di domanda.

𝑄𝑠 → 𝑃 → 𝑄𝑑

• Metodo diretto: l’impresa fissa direttamente il prezzo di vendita (P) del bene e lascia agli acquirenti
decidere la quantità di acquisto (Qd). Poi l’impresa adegua il volume di produzione (Qs) alla quantità
domandata senza variare il prezzo. Io metto quel bene a quel prezzo sul mercato, capirò quanta
domanda sarà disponibile a comprare quel bene a quel determinato prezzo e automaticamente
tarerò la curva di offerta

𝑃 → 𝑄𝑑 → 𝑄𝑠

La differenza con l’impresa concorrenziale è che l'impresa monopolistica controlla sia il prezzo di vendita che
la quantità offerta mentre l’impresa concorrenziale non controlla il prezzo in quanto price- taker.
Il mercato concorrenziale determina il prezzo.

L’equilibrio monopolistico
Poiché per definizione c’è una sola impresa sul mercato, la curva di domanda dell’impresa coincide con la
curva di domanda dell’industria. Rispetto ad altre forme di mercato, la domanda in monopolio tende a essere
meno elastica a ogni livello di prezzo. Se il monopolista aumenta il
prezzo, i consumatori non hanno alternative: o comprano a un
prezzo maggiore, o rinunciano al prodotto.
A differenza dell’impresa che opera in concorrenza perfetta,
l’impresa monopolistica, variando la quantità offerta, è pertanto in
grado di influenzare il prezzo. È però pur sempre vincolata dalla
curva di domanda: un aumento del prezzo ridurrà la quantità
domandata, come illustrato dalla curva di domanda decrescente
rappresentata nella figura.
Come accade anche in altre forme di mercato, il monopolista massimizza il profitto quando RMG=CMG. Nella
figura, quindi, il profitto è massimo quando l’output è pari a qm. L’extraprofitto è indicato dall’area
ombreggiata.
Questo profitto tende a essere tanto maggiore quanto meno elastica è la curva di domanda, e quindi quanto
maggiore è la differenza tra prezzo e ricavo marginale.
L’elasticità̀ effettiva dipende dal grado di sostituibilità del prodotto considerato con i prodotti forniti da altre
industrie.
Ad esempio, la domanda di servizi ferroviari è molto meno elastica (e il profitto potenziale maggiore) se non
ci sono servizi di autobus sulla stessa tratta. Poiché esistono barriere all’entrata, l’extraprofitto del
monopolista nel lungo periodo non viene eroso dalla concorrenza (come invece accade nell’equilibrio di
lungo periodo della concorrenza perfetta). L’unica differenza tra l’equilibrio di breve e di lungo periodo nel
monopolio, quindi, è che nel lungo periodo l’impresa produce quella quantità di output per cui ricavo
marginale e costo marginale di lungo periodo sono uguali.

Monopolio, concorrenza perfetta e benessere sociale


Abbiamo visto che un monopolista sceglie un livello di output e un prezzo del tutto diversi da quelli che si
determinano in un’industria perfettamente concorrenziale.
La figura permette di confrontare l’equilibrio in un’industria monopolistica con quello di un’industria
perfettamente concorrenziale in grado di produrre un bene con la stessa tecnologia e quindi con le stese
curve di costo. Nell’industria monopolista si produce la quantità Qm al prezzo Pm, in modo che RMG = CMG.
In concorrenza perfetta, si produce Qc, al prezzo Pc — una quantità maggiore a un prezzo inferiore. Ma
perché? La ragione è che per ciascuna impresa che opera nell’industria — ed è a questo livello che vengono
prese le decisioni — il ricavo marginale è uguale al
prezzo. Ricordiamo che l’impresa perfettamente
concorrenziale fronteggia una curva di domanda
perfettamente elastica, che coincide con la RMG
(orizzontale). Quindi produrre dove CMG = RMG
significa anche produrre dove CMG = p. Quando tutte
le imprese in concorrenza perfetta si comportano in
questo modo, il prezzo e la quan6tà di equilibrio
dell’industria saranno pari a Pc, e Qc nella figura.
Ceteris paribus (tranquillo brio, lo spiego più avanti
che vuol dire, qualche riga in giù), quindi, i
consumatori preferiscono la concorrenza perfetta al monopolio, perché acquistano quantità superiori ad un
prezzo inferiore, questo a logica è comprensibile perché in un mercato di concorrenza perfetta, c’è più spinta
da parte delle imprese a diventare più efficienti, ottimizzando i processi produttivi e di produzione,
producendo una quantità maggiore diminuendo il prezzo.

Prezzo e output nel lungo periodo


In concorrenza perfetta, la libertà di entrata erode l’extraprofitto e costringe le imprese a produrre nel punto
di minimo della loro curva CMELP. Ciò permette di mantenere bassi i prezzi nel lungo periodo.
In monopolio, invece, le barriere all’entrata consentono di mantenere gli extraprofitto nel lungo periodo.
Il monopolista non è costretto a operare nel punto di minimo della curva di costo medio. Ciò implica che,
ceteris paribus (a parità di condizione), in monopolio i prezzi di lungo periodo saranno più elevati di quelli in
concorrenza perfetta, e conseguentemente la quantità scambiata sarà inferiore.
Ne risulta che i consumatori preferiranno la concorrenza perfetta, mentre per le imprese sarà più vantaggioso
il monopolio, perché quest’ultimi producono di meno e vendono ad un prezzo più alto. Ci sarà dunque un
conflitto di interessi tra consumatori, favorevoli alla concorrenza, e imprese, favorevoli al monopolio.
Innovazione e nuovi prodotti
La promessa di extraprofitto, magari protetti da brevettare, potrebbe incoraggiare lo sviluppo di nuove
industrie monopolistiche che producano nuovi prodotti. È proprio la possibilità̀ di ottenere tali notevoli
profitti che convince alcuni a intraprendere certi tipi di attività̀.

Costo sociale inefficienza allocativa del monopolio


Dato che comporta prezzi più alti e una minore quantità prodotta, ci
aspettiamo che il potere monopolistico apporto un danno ai
consumatori e un vantaggio alle imprese, in termini di benessere.
Ma se attribuiamo lo stesso peso al benessere dei consumatori e a
quello dei produttori, nel complesso, il potere monopolistico accresce
o riduce il benessere collettivo? Confrontiamo i surplus del
consumatore e del produttore generati in un settore perfettamente
concorrenziale con quelli di un mercato servito da un monopolista. La
figura mostra le curve di ricavo medio, ricavo marginale e costo medio
del monopolista: per massimizzare il profitto, l’impresa produce Qm al
prezzo Pm, tali per cui il ricavo marginale è uguale al costo marginale. Nel mercato concorrenziale il costo
marginale è uguale al prezzo. Esaminiamo ora come varia il surplus quando si passa dall’equilibrio
concorrenziale [Qc, Pc] a quello monopolistico [Qm, Pm].
In un regime di monopolio il prezzo è più alto e i consumatori acquistano meno: quelli che continuano ad
acquistare il bene perdono surplus nella misura del rettangolo A, mentre quelli che avrebbero acquistato il
bene al prezzo Pc, ma non sono disposti ad acquistarlo al prezzo Pm, perdono surplus per un ammontare pari
al triangolo B. La perdita totale di surplus del consumatore è quindi A + B. Il monopolista, a sua volta,
vendendo il bene a un prezzo più alto, ha un guadagno di surplus pari al rettangolo A e una perdita pari al
rettangolo C; quindi il guadagno totale di surplus del produttore è A – C. Sottraendo la perdita di surplus del
consumatore al guadagno di surplus del produttore, riscontriamo una perdita netta di surplus pari a B + C:
questa è la perdita secca derivante dal potere monopolistico.
La perdita secca rappresenta il costo sociale di questa inefficienza.

Costi in regime di monopolio


Un’ipotesi cruciale del nostro ragionamento è che le curve di costo siano le stesse nelle due diverse forme di
mercato. Nel lungo periodo un’impresa che operi in condizioni di concorrenza perfetta per sopravvivere deve
usare le tecniche più efficienti. Il monopolista, invece, protetto dalle barriere all’entrata, può sempre
ottenere profitti anche se non usa le tecniche produttive più efficienti. Egli, quindi, ha meno incentivo
all’efficienza. Per questa ragione, i costi di produzione potrebbero essere maggiori in monopolio che non in
concorrenza perfetta. D’altra parte, in monopolio è possibile raggiungere notevoli economie di scala
collegate alla maggiore dimensione degli impianti, a un’amministrazione accentrata e al fatto di poter evitare
costose duplicazioni. Se il risultato è un costo marginale considerevolmente inferiore a quello di un’impresa
che opera in concorrenza perfetta, il monopolio potrebbe anche produrre un output maggiore a un prezzo
inferiore. Un’altra ragione che potrebbe permettere a un monopolista di operare a costi inferiori è che egli
ha la possibilità̀ di impiegare gli extraprofitti in ricerca e sviluppo e in nuovi investimenti. Potrebbe non avere
gli stessi incentivi all’efficienza di un’impresa perfettamente concorrenziale, ma potrebbe disporre di
maggiori risorse con cui tentare di diventare più efficiente rispetto a una piccola impresa con fondi limitata.
Nonostante l’impresa monopolistica non abbia alcun rivale sul mercato dei beni, deve guardarsi dal mercato
finanziario. Un monopolio con costi potenzialmente bassi e gestito in modo inefficiente potrebbe essere
acquisito da un’altra impresa. La concorrenza per il controllo dell’impresa costringe a suo modo un’impresa
monopolistica all’efficienza: dovrà impegnarsi a mantenere elevato il valore delle sue azioni in modo da
renderne più̀ difficile l’acquisizione.

Concorrenza potenziale o potenziale monopolio? La teoria dei merca-contendibili


Concorrenza potenziale
La teoria dei mercati contendibili, sviluppata da Baumol, Panzar e Willig, sostene che ciò che influenza in
modo cruciale la determinazione del prezzo e della quantità non è solo la forma di mercato effettiva — più o
meno concorrenziale —, ma anche l’esistenza di una minaccia di concorrenza.
Se un monopolio è protetto da elevate barriere all’entrata — ad esempio perché l’impresa monopolistica
controlla l’accesso a tutte le materie prime — allora sarà in grado di ottenere extraprofitto anche nel lungo
periodo senza timore di concorrenza. Se invece un altro soggetto avesse la possibilità di acquisire l’impresa
monopolistica, questa si comporterebbe in modo più simile a un’impresa concorrenziale. La minaccia di
concorrenza ha un effetto simile alla concorrenza effettiva.
Consideriamo ad esempio un’impresa di catering cui venga dato il permesso di gestire le mense di un’azienda.
Essa ha il monopolio dell’offerta di cibo ai lavoratori dell’azienda, ma se inizia a praticare prezzi elevati o a
fornire un servizio scadente, l’azienda potrebbe offrire la gestione della mensa a un’altra impresa. Questa
minaccia costringerà l’impresa di catering a praticare prezzi ragionevoli e a fornire un buon servizio.
Mercati perfettamente contendibili
Un mercato è perfettamente contendibile quando i costi di entrata e di uscita da parte di potenziali rivali con
la stessa tecnologia del monopolista sono nulli; quindi l’entrata può avvenire molto rapidamente.
In tali casi, quando si presenta l’occasione di ottenere extraprofitti, nuove imprese potrebbero entrare nel
mercato, facendo scendere il profitto del monopolista al suo livello normale. La sola minaccia di un’evenienza
di questo tipo, secondo la teoria dei mercati contendibili, assicura che l’impresa già operante sul mercato
mantenga bassi i prezzi in modo da ottenere soltanto un profitto normale, e produca nel modo più efficiente
possibile sfruttando tutte le possibili economie di scala e ogni nuova tecnologia. Se l’impresa monopolistica
non si comportasse in questo modo, allora si avrebbe l’entrata di nuove imprese e la concorrenza da
potenziale diventerebbe effettiva.
Mercati contendibili e monopoli naturali
Perché allora in questi casi i mercati non sono effettivamente di concorrenza perfetta? Perché continuano a
sussistere condizioni di monopolio? La causa di questa apparente incongruenza sta nelle economie di scala e
nella dimensione del mercato. A volte, per operare con una scala minima efficiente, l’impresa monopolistica
deve avere una dimensione sufficientemente grande rispetto a quella del mercato, talmente grande da non
poter lasciare spazio a una seconda impresa. Se una nuova impresa entra nel mercato, allora una delle due
non sopravvivrà, perché il mercato non è abbastanza grande per entrambe. È il caso del cosiddetto
monopolio naturale. Se non esistono costi di entrata o di uscita, nuove imprese, ammesso che ritengano di
essere più efficienti dell’impresa già esistente, vorranno entrare nel mercato anche se c’è spazio per una sola
di esse. L’impresa monopolistica, consapevole della situazione, sarà costretta alla massima efficienza e
otterrà un livello di profitto non superiore a quello normale.
L’importanza dell’uscita senza costi
Per creare una nuova impresa di solito sono necessarie spese ingenti in impianti e macchinari. Una volta che
il capitale è stato impegnato, esso diventa un costo fisso. Se quest’ultimo non è superiore a quello
dell’impresa già operativa, allora l’entrante potrebbe vincere la battaglia; nulla però lo garantisce. Ma cosa
significa esattamente vincere o perdere la battaglia? In caso di insuccesso l’entrante non potrebbe
semplicemente spostarsi su un altro mercato? La cosa non è tanto semplice se ci sono ingenti costi di uscita.
Questo accade nel caso in cui il capitale investito non possa essere trasferito ad altri usi. In questi casi i costi
fissi prendono il nome di costi fissi irrecuperabili (sunk costs). L’impresa che si vede costretta a uscire dal
mercato si ritrova con un capitale strumentale che non può essere utilizzato altrimenti. Questo potrebbe
scoraggiarla dall’entrare, consentendo all’impresa già operativa di ottenere extraprofitti. Se invece il capitale
strumentale può essere trasferito, i costi di uscita saranno nulli (o comunque molto bassi) e i potenziali
entranti saranno disposti a correre il rischio.
Ad esempio, un’impresa di trasporto su ruota potrebbe decidere di aprire lo stesso servizio su una linea già
servita, sulla quale c’è mercato per una sola impresa. Se l’entrante ne esce perdente, potrà sempre utilizzare
i suoi mezzi di trasporto su un’altra linea, in quanto il loro costo non è irrecuperabile.
Quanto minori sono i costi di uscita, tanto più contendibile sarà il mercato. In tal caso le imprese già̀ operanti
in mercati simili sono in grado di competere veramente con i monopolisti, in quanto, nell’eventualità di
insuccesso, possono semplicemente trasferire il capitale da un mercato all’altro. Ad esempio, studi sulle
compagnie aeree negli Stati Uniti mostrano che l’entrata su una particolare rotta potrebbe essere più facile
per una compagnia già operativa, che può semplicemente trasferire aerei già̀ in suo possesso da una rotta
all’altra.
Contendibilità e benessere sociale
Quanto più contendibile è il mercato, tanto più un’industria, anche monopolistica, sarà costretta a operare
in condizioni simili a quelle della concorrenza perfetta. Quindi, se un monopolio opera in un mercato
perfettamente contendibile, non solo sarà in grado di operare a costi bassi in virtù delle economie di scala,
ma manterrà profitti e prezzi bassi per effetto della concorrenza potenziale.

Concorrenza Monopolistica
La concorrenza monopolistica è una forma di mercato intermedia alla concorrenza perfetta a al monopolio,
in cui si presentano elementi caratteristici dei due mercati:
• Esiste un numero piuttosto elevato di imprese. Ciascuna di esse ha una quota piccola di mercato, e
quindi le sue azioni non influenzano le imprese concorrenti in modo rilevante. Ciò significa che
ciascuna impresa non deve preoccuparsi né delle azioni né delle reazioni delle sue concorrenti: non
c’è interazione strategica tra le imprese (come vedremo in seguito, l’interazione strategica tra le
imprese è invece la caratteristica distintiva comune agli oligopoli), ossia nel prendere le decisioni di
aumentare o diminuire la quantità offerta, per esempio, non considero la reazione dei competitor
• Esiste libertà di entrata
• C’è differenziazione del prodotto (i beni non sono sostituti). Ogni impresa ha quindi un diverso potere
di mercato! Può aumentare il prezzo senza perdere tutta la domanda, perché vendendo un prodotto
diverso rispetto i miei competitor, io mantengo una differenziazione nel mercato
• Ogni impresa può modificare sia la quantità di produzione che il prezzo, perché è un prodotto
differenziato e non omogeneo
• Non esistono barriere di ingresso insormontabili e nel lungo periodo la presenza di extraprofitto
attirerà altre imprese
La maggior parte dei mercati si colloca quindi in posizione intermedia rispetto agli estremi del monopolio e
della concorrenza perfetta: nel regno della concorrenza imperfetta.
Esempi di concorrenza monopolistica
I distributori di benzina, i ristoranti, i parrucchieri e i costruttori possono essere citati come esempi di imprese
che operano in concorrenza monopolistica. Una caratteristica tipica della concorrenza monopolistica è che,
nonostante nel mercato ci siano molte imprese, ciascuna di esse occupa una particolare nicchia. E
particolarmente evidente nel caso della distribuzione al dettaglio. In una città possono esserci molte edicole,
ma ce ne sarà solo una in una particolare strada. In un certo senso, ciascuna opera come un monopolio locale:
la gente potrebbe infatti essere disposta a pagare prezzi più elevata per non essere costretta ad andare più
lontano e perdere più tempo per un certo acquisto.
Equilibrio di breve periodo
Come nelle altre forme di mercato, anche in concorrenza monopolistica la massimizzazione del profitto
implica che CMG = RMG. Il grafico è uguale a quello dell’impresa monopolistica, a parte il fatto che le curve
RME e RMG sono più elastiche, come illustrato in figura a.
Analogamente alla concorrenza perfetta, l’impresa che opera in condizioni di concorrenza monopolistica può
ottenere extraprofitti nel breve periodo, come evidenziato dall’area ombreggiata (dato che il prezzo è
maggiore del costo marginale).
L’ammontare dei profitti di breve periodo dipende dai parametri della domanda. Quanto meno elastica e
quanto più spostata a destra è la curva di domanda rispetto alla curva del costo medio, tanto maggiore è il
profitto di breve periodo. Quindi un’impresa il cui prodotto sia molto differenziato da quelli dei concorrenti
potrebbe ottenere elevati profitti di breve periodo.
Equilibrio di lungo periodo
Se le imprese ottengono extraprofitti, nel lungo
periodo nuove imprese entreranno nel mercato (la
curva di domanda di impresa si sposta verso
sinistra perché l’impresa vede ridursi le sue quote
di mercato). Così facendo, distoglieranno clienti
dalle imprese esistenti, facendone diminuire la
domanda. Il processo continuerà e la curva di
domanda delle imprese esistenti si sposterà verso sinistra fino ad azzerare completamente gli extraprofitti.
Ci sarà equilibrio di lungo periodo solo quando non vi saranno più extraprofitti; in tal caso non vi sarà più
incentivo all’entrata o all’uscita di imprese (fig. b). La curva di domanda dell’impresa si sposta in pL, dove è
tangente alla curva CMELP. La quantità prodotta è qL, in corrispondenza della quale pL = CMELP e RMG =
CMGLP. Per qualunque altro livello di output, CMELP è maggiore di p e quindi le imprese subirebbero perdite.
A parità di domanda totale del mercato, la maggiore concorrenza tra
imprese determina quindi la traslazione verso sinistra della domanda
di impresa D2. Nel lungo periodo l’equilibrio di concorrenza
monopolistica si stabilizza nel punto in cui l’extraprofitto dell’impresa
scompare e cioè quanto il P = AC (costo unitario di produzione).
L’annullamento dell’extraprofitto interrompe l’ingresso sul mercato
da parte di nuove imprese competitor.
Nell’ equilibrio di lungo periodo l’impresa riduce la quantità di offerta
da Q1 a Q2 e il prezzo di vendita da P1 a P2

Concorrenza non di prezzo


Uno dei problemi principali del semplice grafico della concorrenza monopolistica è che in esso le uniche
decisioni prese dall’impresa riguardano il prezzo e l’output. Nella pratica, tuttavia, l’impresa che opera in
concorrenza monopolistica deve anche decidere su altre variabili, quali ad esempio la varietà di prodotto o
la pubblicità. La concorrenza non di prezzo è caratterizzata da due dimensioni principali: sviluppo del
prodotto e pubblicità.
• Lo scopo principale dello sviluppo del prodotto è offrire un bene che si vende con facilità, cioè un prodotto
dalla domanda alta o potenzialmente alta: un prodotto ben differenziato da quelli concorrenti, quindi con
una domanda anelastica per l’assenza di sostituti. Nel caso di imprese che forniscono servizi, consiste nel
tentativo di fornire un servizio che sia migliore.
• Lo scopo principale della pubblicità è la vendita del prodotto. Tale scopo può essere raggiunto non soltanto
informando i consumatori dell’esistenza del prodotto, ma anche tentando deliberatamente di persuaderli ad
acquistarlo. Analogamente allo sviluppo del prodotto, una pubblicità efficace aumenta la domanda e rende
la curva di domanda dell’impresa meno elastica, in quanto enfatizza le caratteristiche peculiari del prodotto
rispetto a quelli dei concorrenti.
Lo sviluppo del prodotto e la pubblicità però non soltanto aumentano la domanda per l’impresa, e quindi i
ricavi, ma generano anche maggiori costi. Qual è allora la quantità ottimale di tali variabili, quella cioè che
massimizza i profitti Per ogni dato prezzo e prodotto, l’ammontare ottimo di pubblicità, ad esempio, è quello
in corrispondenza del quale il ricavo marginale (RMGp), vale a dire l’incremento di ricavo dovuto ad un
aumento unitario di pubblicità, è uguale al costo marginale (CMGp), vale a dire l’incremento di costo dovuto
a un aumento unitario di pubblicità. Fintantoché RMGp> CMGp, ogni ulteriore aumento di pubblicità farà
aumentare i profitti. Ulteriori investimenti in pubblicità però condurranno ad aumenti sempre più contenuti
delle vendite, per cui RMG diminuisce, fino a quando RMGp = CMGp. A questo punto non è più possibile
aumentare il profitto: esso è già massimo.

Confronto con la concorrenza perfetta


Spesso si dice che la concorrenza monopolistica produce
un’allocazione delle risorse meno efficiente della concorrenza
perfetta. La figura confronta l’equilibrio di lungo periodo per
due imprese. Un’impresa opera in concorrenza perfetta e
quindi ha una curva di domanda orizzontale. Produce q1 al
prezzo p1.
L’altra impresa opera in concorrenza monopolistica e quindi ha
una curva di domanda decrescente. Produce un output minore
q2 a un prezzo maggiore p2.
Un’ipotesi cruciale qui è che entrambe le imprese abbiano la
stessa curva di costo medio di lungo periodo CMELP. Data questa ipotesi, possiamo dunque affermare che la
concorrenza monopolistica presenta i seguenti svantaggi rispetto alla concorrenza perfetta:
• in concorrenza monopolistica viene venduta una quantità di output minore a un prezzo maggiore rispetto
alla concorrenza perfetta;
• le imprese in concorrenza monopolistica non producono in modo tale da minimizzare il costo medio di
lungo periodo.
Volendo aumentare il livello di produzione per minimizzare il costo medio, le imprese in concorrenza
monopolistica vedrebbero ridursi il prezzo più del costo medio e si troverebbero quindi in perdita. Per questa
ragione esse producono con eccesso di capacità produttiva. Nella figura questo eccesso di capacità è indicato
come q1 — q2. In altre parole, la concorrenza monopolistica si caratterizza per un numero abbastanza
elevato di imprese che producono un livello subottimale di output, e sono quindi costrette a praticare un
prezzo piuttosto elevato. Quali sono le conseguenze per il consumatore? Non sempre il prezzo in concorrenza
monopolistica è tanto più elevato di quello prevalente in concorrenza perfetta; la differenza potrebbe anche
essere molto ridotta. Nonostante la curva di domanda dell’impresa sia decrescente, essa sarà elastica nella
misura in cui esiste un gran numero di sostituti. Vuol dire che molte volte per ovviare questa differenza tra
concorrenza perfetta e monopolistica e riuscire a produrre al punto ottimale, ovvero in cui la curva di
domanda può essere tangente al punto inferiore (minimo) della curva di costi di medio periodo, molte volte
le aziende tendono a produrre tra q2 e q1, rimanere tangenti tra la curva di domanda e quella dei costi, per
rimanere in una situazione di equilibrio.
Confronto con il monopolio
Le osservazioni sono simili a quelle fatte nel confronto tra monopolio e concorrenza perfetta.
Da una parte, in concorrenza monopolistica, la libertà di entrata da parte di nuove imprese e quindi l’assenza
di extraprofitti nel lungo periodo dovrebbe contribuire a tenere più bassi i prezzi del monopolio e a
incoraggiare risparmi sui costi. D’altra parte, il monopolio è in grado di sfruttare meglio le economie di scala
e di ottenere maggiori fondi per investimenti e per spese di ricerca e sviluppo.
Oligopolio
Che cosa succede se poche imprese dominano il mercato?
L’offerta di merce è concentrata in un numero limitato di imprese o venditori, in genere di grandi dimensioni,
capaci di modificare quantità di bene offerto e prezzo dello stesso. Vi sono barriere all’ingresso e interazione
strategica tra imprese (a differenza della concorrenza monopolistica in cui non ci sono barriere all’entrata).
Barriere all’ingresso di mercato come gli elevati costi fissi iniziati e tecnologici per entrare in un mercato, la
costituzione di cartelli (trust) di imprese che si coalizzano per aumentare i prezzi e rendere impossibile
l’entrata di un competitor oppure ostacolare la commercializzazione di innovazioni. Pur essendo indipendenti
le imprese si comportano come operanti in un monopolio (si accordano al fine di massimizzare i profitti)
oligopolio collusivo.
I primi cartelli tra imprese risalgono al XIX secolo negli USA tra i produttori di carbone, acciaio e petrolio
oppure ancora all’accordo tra i Paesi produttori di petrolio dell’OPEC degli anni ’70 al fine di limitare l’offerta
di petrolio sul mercato internazionale.
Nel cartello le imprese conservano la propria dipendenza economica e finanziaria, nel trust anglosassone si
creano veri e propri legami fiduciari.
Vi è interazione strategica tra imprese (interdipendenza oligopolistica), ogni impresa prende le sue decisioni
tenendo conto delle decisioni delle altre imprese del mercato, dovendo pertanto considerare sia la reazione
della clientela che delle altre imprese rivali.
L’interazione strategica è l’oggetto di studio della teoria dei giochi che tratteremo nelle prossime lezioni,
disciplina logico-matematica specializzata ad analizzare il comportamento e le scelte dei soggetti razionali in
condizioni di interdipendenza strategica.
L’oligopolio è caratterizzato dalla rigidità del prezzo l’interdipendenza comporta che se una impresa
diminuisce i prezzi porta tutte le altre a fare lo stesso e se invece aumenta i prezzi si esclude dal mercato,
pertanto si tende a mantenere costante il prezzo di vendita della merce per ridurre il rischio di impresa.
Le imprese operanti nel mercato di oligopolio sono dette “leader” poiché sono in grado di influenzare
l’equilibrio di mercato tramite le proprie decisioni individuali. Esistono due forme di oligopolio principali:
• Oligopolio puro: forma di mercato in cui poche imprese offrono beni/servizi identici (beni
omogenei). Detto anche oligopolio indifferenziato. Es. mercato acciaio
• Oligopolio imperfetto: forma di mercato in cui poche imprese offrono beni/servizi concorrenti ma
non identici. Es. mercato automobili, gomme, elettrodomestici
Un esempio di mercato oligopolistico è l’industria automobilistica o del tabacco, in cui la produzione è
concentrata in mano a poche grandi imprese mentre la domanda è frazionata tra i consumatori.
Duopolio, forma di mercato in cui operano due sole imprese con prodotti identici, forma esemplificata ed
estrema dell’oligopolio.

Concorrenza e collusione
Gli oligopolisti possono essere mossi da due esigenze contrastanti:
• Da un lato, eliminare l’interdipendenza strategica con i rivali, colludendo con questi ultimi al fine di
massimizzare il profitto congiunto, comportandosi, quindi, come monopolisti.
• Dall’altro lato, competere con i rivali per conquistare maggiori quote di mercato e quindi conseguire
profitto più elevato.
Queste due politiche sono incompatibili. Quanto più agguerrita è la concorrenza tra le diverse imprese per
ottenere quote maggiori di profitto, tanto minori diventeranno i profitti totali dell’industria.
Ad esempio, un’accesa concorrenza di prezzo può ridurre drasticamente il prezzo medio dell’industria,
mentre una concorrenza sulla pubblicità può far aumentare i costi dell’industria in modo sensibile. In tutti e
due i casi, è probabile che i profitto dell’industria diminuiscano.
Talvolta le imprese colludono, altre volte no. Guarderemo prima all’oligopolio collusivo; successivamente
studieremo l’oligopolio non collusivo.

Fattori che favoriscono la collusione


• Ci sono poche imprese
• I costi e le tecniche di produzione nell’industria sono note
• Le imprese hanno costi e tecniche di produzione simili
• Le imprese producono beni simili
• C’è un’impresa dominante
• Ci sono barriere all’entrata
• Il mercato è stabile
• Non ci sono leggi contrarie alla collusione
Gran parte della concorrenza oligopolistica in caso di beni differenziati si gioca sulle variabili di marketing.

Rischi della non collusione


• Se non è possibile colludere si potrebbe verificare una concorrenza di prezzo.
• Anche se c’è collusione ci sarà la tentazione di rompere l’accordo riducendo il prezzo per vendere oltre la
quota assegnata.
In questo caso si può scatenare la reazione delle altre imprese e innescare di conseguenza una guerra di
prezzo. È quindi molto più difficile, rispetto alle precedenti forme di mercato, prevedere l’effetto di una
variazione di prezzo di un’impresa sulle sue vendite; diverse congetture sul comportamento delle rivali
conducono a diverse strategie.

Equilibrio di un’industria in oligopolio collusivo


Quando le imprese oligopolistiche colludono, possono accordarsi
sui prezzi, sulle quote di mercato, sulle spese in pubblicità, ecc.
La collusione riduce il grado di incertezza nell’industria: riduce la
probabilità che avvenga una dispendiosa concorrenza di prezzo
o che venga fatta pubblicità comparativa, e quindi riduce il
rischio di una drastica riduzione dei profitto.
Un accordo formale di collusione è noto come cartello. Il cartello
massimizza i profitti congiunti dei partecipanti; se partecipano al cartello tutte le imprese dell’industria, allora
è come se queste, insieme, costituissero un monopolio.
Nella figura la curva di domanda di mercato è disegnata insieme alla relativa curva RMG. La curva CMG del
cartello è la somma orizzontale delle curve CMG delle imprese appartenenti all’industria e partecipanti al
cartello. La curva di domanda dell’industria è la proiezione del prezzo del mercato, quindi dall’interazione
della domanda e offerta del mercato, proiettata poi sul grafico della singola impresa, dall’industria
all’impresa, mi andrò a trovare in questo modo i prezzi, i ricavi marginali e costi marginali. I profitti sono
massimi in q1 dove CMG = RMG. Il cartello deve quindi fissare un prezzo p1 (in corrispondenza del quale
verrà domandato un output q1). Essendosi accordate sul prezzo praticato dal cartello, le imprese possono
competere tra loro attraverso una concorrenza non di prezzo per ottenere la maggior quota di mercato
possibile. Alternativamente, i membri del cartello possono accordarsi per dividersi il mercato. A ogni impresa
si può assegnare una data quota. La somma delle quote deve essere q1. Se le quote eccedono q1, si
presentano due casi:
a) se il prezzo rimane fisso, rimane dell’output invenduto;
b) il prezzo scende.
Una volta fissata la quantità che il cartello deve produrre, come verà̀ decisa la quota di ogni singola impresa?
Il metodo più probabile è l’assegnazione di quote proporzionali alla quota effettiva di mercato che ciascuna
impresa aveva prima dell’accordo. In molti paesi i cartelli sono illegali, essendo considerati mezzi per
aumentare i prezzi e i profitti dei partecipanti a scapito del pubblico interesse.
Quando i cartelli sono vietati, le imprese possono colludere tacitamente mantenendo il proprio prezzo in
linea con quello delle altre imprese. In tal modo esse evitano di scatenare guerre di prezzo o campagne
pubblicitarie particolarmente aggressive.

Collusione tacita
Una forma di collusione tacita si ha quando le imprese fissano lo stesso prezzo del leader, che può essere
l’impresa più grande ovvero l’impresa che domina l’industria. In tal caso si ha una leadership di prezzo
dell’impresa dominante. Alternativamente, il leader di prezzo può semplicemente essere l’impresa che è
emersa nel tempo come la più affidabile da seguire, quella che svolge
meglio la funzione di barometro delle condizioni di mercato. Questa
pratica prende il nome di leadership di prezzo dell’impresa barometro.

Leadership di prezzo dell’impresa dominante


Come fissa il prezzo l’impresa leader? Dipende dalle sue congetture sulle
reazioni delle altre imprese alle variazioni del suo prezzo. Se si aspetta che
le rivali aumentino il prezzo nella sua stessa proporzione, allora è possibile
costruire il semplice modello illustrato in figura. Il leader ipotizza di
mantenere una quota costante di mercato (ad esempio il 50%). Egli
massimizza i suoi profitti uguagliando il ricavo marginale al costo marginale. Egli, ad esempio, sa di trovarsi
nel punto a; stima inoltre la variazione della quantità domandata in seguito a una variazione del prezzo da
parte di tutta l’industria e sulla base di ciò costruisce la sua curva di domanda e la relativa curva RMG. Sceglie
quindi di produrre q1 al prezzo pl: il punto l sulla sua curva di domanda (dove CMG = RMG). Le altre imprese
seguiranno quel prezzo. La domanda di mercato viene rappresentata con Dm; la domanda delle imprese
gregarie (follower) viene ricavata in via residuale sottraendo alla domanda di mercato la domanda del leader,
cioè Qt – Ql.
Questo modello si basa però su un’ipotesi forte: che le imprese follower vogliano mantenere una quota
costante di mercato. In realtà è possibile che, se il leader decide di aumentare il prezzo, al nuovo prezzo le
imprese follower vogliano produrre di più. D’altra parte, esse potrebbero semplicemente decidere di
mantenere la loro quota di mercato nel timore di una reazione da parte del leader, come successive riduzioni
di prezzo e campagne pubblicitarie aggressive.
Piccolo appunto rispetto al grafico: il costo marginale deve essere sposato più a destra, t deve essere
superiore al costo marginale, perché se il prezzo di mercato fosse inferiore ai costi marginali, dobbiamo stare
attenti che i prezzi non siano inferiori anche ai costi medi, poiché altrimenti le imprese sarebbero in perdita
e uscirebbero dal mercato.

Leadership di prezzo dell’impresa barometro


Una pratica simile può essere seguita da un’impresa barometro. Nonostante quest’ultima non domini
l’industria, il suo prezzo sarà seguito dalle altre imprese. L’impresa cerca semplicemente di stimare la sua
curva di domanda e quella connessa al ricavo marginale assumendo, di nuovo, una quota di mercato costante
delle rivali e quindi produce dove RMG = CMG, fissando il prezzo di conseguenza. In pratica, l’impresa che
svolge funzione di barometro può cambiare spesso, sia che parliamo di imprese petrolifere, di produttori di
automobili o di banche; qualsiasi impresa potrebbe prendere l’iniziativa di alzare il prezzo. Se le altre imprese
aspettano semplicemente che qualcun’altra prenda l’iniziativa, la seguiranno rapidamente.

Altre forme di collusione tacita


L’alternativa all’esistenza di un leader riconosciuto è la presenza di un insieme di regole che tutte le imprese
seguono. Un esempio è la pratica di fissare il prezzo in base al costo medio. In questo caso i produttori, invece
di eguagliare CMG e RMG, aggiungono semplicemente al costo medio una percentuale prestabilita di profitto.
Quindi, se i costi aumentano del 10%, i prezzi aumenteranno automaticamente del 10%.
Questa regola è particolarmente utile in periodi di inflazione, quando tutte le imprese subiscono aumenti
proporzionali di costo.
Un’altra regola di comportamento è l’esistenza di un prezzo considerato come punto di riferimento. Ad
esempio, si può vendere a 9,95, 14,95, 19,95 euro, ecc. (ma non a 12,31, 16,42, 20,04 euro). Se i costi
aumentano, le imprese praticheranno il prezzo di riferimento immediatamente più elevato, sapendo che
anche le altre imprese faranno altrettanto. Regole di comportamento possono riguardare anche la pubblicità
(ad esempio, non criticare mai i prodotti altrui), o il design dei prodotti (ad esempio, i produttori di lampadine
si accordano implicitamente nel non produrre lampadine che durino in eterno). Esempio Apple batteria:
Apple e le altre aziende nel mercato telefonico, non producono prodotti, la cui longevità può essere troppo
elevate, perché causerebbe che il consumatore non avrebbe più rapporti con l’azienda stessa.

Fattori che favoriscono la collusione


È più probabile che vi sia collusione, sia essa formale o tacita, quando le imprese possono identificarsi
chiaramente a vicenda e quando hanno fiducia l’una nell’altra. Sarà più facile che le imprese colludano se
sussistono le seguenti condizioni:
• Ci sono poche imprese che si conoscono a vicenda;
• Non ci sono segreti riguardo a costi e tecniche di produzione;
• Le imprese hanno tecniche di produzione e costi medi simili, e quindi sono disposte a variare il prezzo nello
stesso momento e nella stessa proporzione;
• Le imprese producono beni simili e possono quindi accordarsi facilmente sul prezzo;
• C’è un’impresa dominante;
• Ci sono barriere all’entrata e quindi scarso timore di concorrenza da parte di nuove imprese;
• Il mercato è stabile. Se i costi di produzione o la domanda dell’industria fossero altamente volatili, sarebbe
difficile accordarsi, a causa della difficoltà di fare previsioni e per la necessità di rivedere frequentemente i
termini dell’accordo. Se il mercato è in declino, ciascuna impresa può essere tentata di tagliare il proprio
prezzo per mantenere le vendite;
• Non ci sono leggi contrarie alle pratiche collusive.

Oligopolio non collusivo: la rottura dell’accordo


In alcuni oligopoli, potrebbero non essere presenti fattori che incentivano la collusione. In tali casi, è più
probabile che si verifichi concorrenza di prezzo. Anche se c’è collusione, ci sarà sempre la tentazione di
«tradire», riducendo il prezzo o vendendo oltre la quota di mercato assegnata. Il pericolo, in questo caso, è
rappresentato dalla vendetta delle altre imprese del cartello e da una conseguente guerra di prezzo, che
potrebbe portare l’intero cartello alla distruzione.
Nel considerare l’opportunità di rompere un accordo collusivo, anche se tacito, un’impresa deve chiedersi:
a) quanto è possibile ottenere senza innescare una reazione delle altre imprese?
b) se inizia una guerra di prezzo, riuscirò a vincerla?
La posizione delle imprese rivali assomiglia a quella dei generali delle armate nemiche. Si tratta infatti di
scegliere la strategia appropriata, cioè quella che consente di sconfiggere gli avversari. Naturalmente la
strategia di un’impresa non deve tener conto soltanto del prezzo, ma anche della pubblicità e dello sviluppo
del prodotto.
La scelta della strategia dipende:
a) Dalle congetture dell’impresa circa le reazioni delle altre imprese; Quel lasso di tempo per cui l’impresa
follower, rivale, risponde, mi dà tutto questo vantaggio, in tema di guadagno di quote di mercato? Riesco a
giocare sul suo tempo di reazione? Se inizio una guerra di prezzo posso vincerla?
b) Dalla sua disponibilità a rischiare. Le scelte di strategia dipendono dalle congetture dell’impresa e sulla sua
disponibilità a rischiare
La teoria dei giochi studia con approccio formale l’interazione strategica tra più soggetti; attraverso
l’applicazione del famoso concetto dell’equilibrio di Nash è possibile individuare per ciascuna impresa la
strategia migliore, data una congettura razionale sul comportamento delle imprese rivali.

Oligopolio non collusivo: la teoria dei giochi


Un gioco è composto da 4 elementi:
• Giocatori: insieme dei decisori, le imprese che agiscono strategicamente sul mercato
• Azioni: insieme delle mosse dell’impresa
• Strategia: insieme dei possibili piani di azioni
• Payoff: vincite
Il caso più semplice è quello di due sole imprese identiche che devono scegliere tra due prezzi alternativi. La
tabella mostra i profitti ottenibili nei due casi.
Assumiamo che entrambe le imprese (X e Y) fissino il prezzo a 2 euro e ottengano un profitto di 10 milioni,
per un profitto totale di 20 milioni, come illustrato dal riquadro in alto a sinistra (A). Assumiamo ora che
entrambe decidano — in modo indipendente — di ridurre il prezzo a 1,80 euro. Nel prendere questa
decisione, devono tenere conto della reazione della rivale e delle sue conseguenze. Nel nostro esempio ci
sono solo due reazioni possibili da parte della rivale: abbassare
il prezzo a 1,80 euro o tenerlo al livello iniziale. Cosa farà̀
l’impresa X? Un’alternativa è andarci cauti e pensare al peggio:
se X tenesse il suo prezzo a 2 euro, Y potrebbe abbassarlo a
1,80. Questo caso è illustrato nel riquadro C: i profitti di X
scendono a 5 milioni. Se invece X riduce il prezzo a 1,80 euro, i
profitti di X scenderebbero, ma a 8 milioni. In questo caso, quindi, se X fa bene i suoi conti, abbasserà il prezzo
a 1,80 euro. Si noti che Y farà lo stesso ragionamento e abbasserà quindi il prezzo a 1,80 euro. Questa politica
di adottare la strategia che dà il più elevato esito (payoff) minimo è nota come maximin. Alternativamente,
l’impresa può essere particolarmente ottimista e ipotizzare che il proprio rivale reagisca nel modo più̀
favorevole. In questo caso essa sceglierà la strategia che le garantisce il più alto profitto possibile. Nel caso
di X sarà ancora la riduzione del prezzo, sperando stavolta che Y non riduca anch’essa il prezzo. In tal caso ci
si posizionerà nel riquadro B dove X otterrà il massimo profitto possibile, 12 milioni. Questa strategia è nota
come maximax. Lo stesso ragionamento si applica all’impresa Y: la sua strategia maximax sarà tagliare il
prezzo sperando di finire nel riquadro C.
In questo gioco entrambi gli approcci, maximin e maximax, conducono allo stesso esito (cioè, ridurre il
prezzo): esso evidenzia strategie dominanti. In altri termini, tutti e due i giocatori trovano conveniente
scegliere quella particolare strategia (ridurre il prezzo) indipendentemente da quanto decide il rivale. Un
equilibrio in strategie dominanti è anche un equilibrio di Nash (quando ogni impresa opera al meglio, dato il
comportamento dei suoi concorrenti. Dato quindi che sia X sia Y vorranno ridurre il prezzo, finiranno con
l’ottenere un profitto inferiore (8 milioni ciascuna nel riquadro D) rispetto a quello che avrebbero ottenuto
mantenendo il prezzo al livello iniziale (10 milioni ciascuna nel riquadro A). Quindi sarebbe stato profittevole
per entrambe le imprese colludere invece che dar luogo a una guerra di prezzo. L’equilibrio di un gioco in cui
non vi è collusione (riquadro D) è noto come equilibrio di Nash, dal nome del matematico americano John
Nash (la cui storia è narrata nel film “A Beautiful Mind”) che lo definì ̀ nel 1951.

Giochi più complessi senza strategie dominanti


Si può pensare a giochi più complessi quando ci si riferisce a più di due imprese, a molte strategie alternative
di prezzo, prodotti differenziati e varie forme di concorrenza non di prezzo (come ad esempio la pubblicità).
In tali casi, l’attitudine prudente (maximin) può suggerire una politica diversa (ad esempio, non far nulla)
dall’attitudine ottimista (maximax) (ad esempio, tagliare significativamente il prezzo). In situazioni complesse
e mutevoli, le imprese possono cambiare strategia alla luce delle mutate circostanze. Talvolta le imprese
possono farsi una concorrenza spietata (di prezzo oppure di altro tipo) per un certo periodo di tempo e poi
rendersi conto che nessuno ne uscirà vincente. Esse potrebbero allora accordarsi per alzare congiuntamente
i prezzi e ridurre la pubblicità. In seguito, dopo un periodo di collusione tacita, potrebbero riprendere a farsi
concorrenza, ad esempio in seguito all’entrata di una nuova impresa, allo sviluppo di un nuovo prodotto, al
cambiamento della domanda di mercato, o anche per il cosiddetto «scartellamento» di un’impresa. In breve,
il comportamento di alcuni oligopolisti può cambiare radicalmente nel tempo.

Oligopolio non collusivo: la curva di domanda a gomito


Anche in assenza di collusione, i prezzi in oligopolio possono restare stabili. Una possibile spiegazione è che
gli oligopolisti fronteggino una curva di domanda a gomito (ovvero una domanda spezzata). Ciò può accadere
quando sussistono due condizioni:
• se un oligopolista riduce il prezzo, i suoi rivali si sentiranno costretta a fare altrettanto, per non perdere
clienti;
• se invece un oligopolista aumenta il prezzo, i suoi rivali non lo seguiranno,
perché a quel prezzo potranno ora catturare almeno parte della clientela di
chi ha aumentato il prezzo.
Sulla base di queste ipotesi, ciascun oligopolista fronteggerà una curva di
domanda a gomito, con un punto angoloso in corrispondenza del prezzo
prevalente (fig.). Un aumento del prezzo provocherà una notevole
diminuzione delle vendite, poiché i consumatori si rivolgeranno alle imprese
che praticano prezzi inferiori. Le imprese saranno quindi disincentivate ad
aumentare il prezzo.
Per p > p1 la domanda è infatti relativamente elastica. D’altra parte, una
diminuzione di prezzo farà aumentare di poco le vendite, poiché anche le altre imprese faranno altrettanto.
L’impresa sarà quindi altrettanto restia a ridurre il prezzo. Per p < p1, la domanda è infatti relativamente
anelastica. In generale quindi, secondo la teoria della domanda a gomito, gli oligopolisti saranno restii a
variare i prezzi. Questo tipo di funzione di domanda non è comunque la sola ragione per cui le imprese sono
riluttanti a variare i prezzi. La variazione dei prezzi può dar luogo a costi aggiuntivi dovuti alla necessità di
adeguare i listini (i cosiddetti menu costs), di effettuare nuove previsioni sull’andamento delle vendite oppure
di procedere alla rivalutazione delle scorte in magazzino.

L’oligopolio e i consumatori
Se gli oligopolisti colludono e massimizzano congiuntamente i profitti dell’industria, agiscono di fatto come
un monopolio. In tal caso, i prezzi potrebbero essere molto alti, contrariamente agli interessi dei
consumatori. Inoltre, l’oligopolio può essere più svantaggioso del monopolio sotto due punti di vista:
- dato che le imprese oligopoliste sono, a parità di condizioni, più piccole di quelle monopoliste, le economie
di scala in oligopolio non controbilanciano gli effetti dovuti al potere di mercato delle imprese stesse in misura
pari a quanto accade in monopolio;
- gli oligopolisti ricorrono alla pubblicità più di un monopolista. Questi problemi sono meno rilevanti se gli
oligopolisti non colludono, se c’è in una certa misura concorrenza di prezzo e se le barriere all’entrata non
sono insormontabili.
Il potere contrattuale degli oligopolisti può essere ridotto se, ad esempio, essi vendono il loro prodotto a
imprese con potere di mercato simile. Gli oligopolisti che producono sapone o fagioli vendono gran parte
dell’output a grandi catene di supermercati che possono usare il loro potere di mercato per tenere basso il
prezzo al quale acquistano tali prodotti. Ciò è dovuto all’ effetto di bilanciamento del potere di mercato di
imprese con interessi contrapposti.
Sotto altri punti di vista, l’oligopolio è vantaggioso per la società rispetto ad altre forme di mercato:
• gli oligopolisti, come i monopolisti, possono usare parte del loro extraprofitto per investire in ricerca e
sviluppo. A differenza dei monopolisti, tuttavia, essi avranno un incentivo effettivo a farlo. Migliorando il
design del prodotto, saranno in grado di aumentare la propria quota di mercato; tanto più se lo fanno in
anticipo rispetto alle imprese rivali. Se inoltre, il progresso tecnologico riduce i costi, i maggiori profitti che
ne conseguono consentono all’impresa di sopravvivere meglio a un’eventuale guerra di prezzo;
• la concorrenza non di prezzo, attraverso la differenziazione del prodotto, consente una maggiore scelta ai
consumatori. Consideriamo il caso degli impianti stereo: la concorrenza non di prezzo ha generato una vasta
gamma di prodotti diversi con molte caratteristiche diverse, ciascuna rispondente alle esigenze di diversi
sottoinsiemi di consumatori.
È difficile quindi trarre conclusioni sull’oligopolio in generale, in quanto i vari oligopoli possono essere molto
diversi gli uni dagli altri.

Discriminazioni di prezzo
È la vendita dello stesso prodotto sui diversi mercati a prezzi diversi.
È pratica diffusa nell’applicazione dei diversi regimi di monopolio. Esistono 3 tipologie di discriminazione di
prezzo:
1 Discriminazione di primo grado o di prezzo perfetta
Il monopolista stabilisce i prezzi differenti per ciascuna unità di vendita e gli acquirenti non conoscono il
prezzo pagato dagli altri. È la discriminazione perfetta: per ogni unità di bene venduta viene applicato al
consumatore esattamente il prezzo che è disposto a pagare (il prezzo di riserva). In questo modo il produttore
può appropriarsi dell’intero surplus del consumatore.
2 Discriminazione di prezzo di secondo grado
Il monopolista stabilisce prezzi diversi in base alle quantità acquistate. Es. sconto per acquisto grande
quantità di un bene.
3 Discriminazione di prezzo di terzo grado
Il monopolista applica un prezzo differente in ogni singolo mercato in cui il bene/servizio è offerto. In questo
caso gli acquirenti possono essere identificati per una loro caratteristica esogena osservabile (ad esempio,
sesso, nazionalità, età, ecc.). In questo modo i consumatori vengono raggruppati in due o più segmenti, a
ciascuno dei quali può essere praticato un prezzo diverso. La realtà economica è piena di esempi di questo
tipo: dagli sconti al cinema per gli anziani e gli studenti, agli sconti in libreria per i professori.
Condizioni necessarie per l’applicabilità della discriminazione di prezzo
Un’impresa riesce spesso ad aumentare i suoi profitti se può ricorrere alla discriminazione di prezzo e
comunque, quando la discriminazione di prezzo è possibile, l’impresa può sempre ritornare — se lo trova
conveniente — al caso di prezzo uguale per tutti i clienti. In quali circostanze è possibile applicare la
discriminazione di prezzo? Devono essere soddisfatte due condizioni:
- L’impresa deve essere in grado di fissare il prezzo (non deve essere price taker). Quindi la discriminazione
di prezzo risulta impossibile in concorrenza perfetta, dove le imprese non possono influire sul prezzo;
- Non ci deve essere possibilità di arbitraggio. I consumatori che hanno acquistato a prezzo inferiore non
devono essere in grado di rivendere il prodotto a chi potrebbe comprano solo a prezzo più alto
Vantaggi per l’impresa
La discriminazione di prezzo può far aumentare i ricavi dell’impresa per qualsiasi quantità venduta. La figura
rappresenta la curva di domanda di un’impresa. Se l’impresa deve vendere 200 unità senza discriminazione
di prezzo, deve fissare il prezzo a p1. Il ricavo totale è rappresentato dall’area grigia. Se invece può praticare
discriminazione di prezzo, vendendo 150 unità a un prezzo superiore (p2), e solo le ultime 50 a p1 guadagna
in più l’area tratteggiata. Un altro vantaggio della discriminazione di prezzo è che, grazie ad essa, l’impresa è
in grado di costringere alcuni concorrenti a uscire dal mercato. Approfittando del fatto di avere una domanda
anelastica in un mercato, un’impresa monopolistica può praticare la discriminazione, applicando un prezzo
più alto, e in tal modo ottenere profitti maggiori. Se questa stessa impresa opera in oligopolio su un altro
mercato, ad esempio un mercato aperto alla concorrenza internazionale, può utilizzare gli elevati profitti
ottenuti sul primo mercato per abbassare il prezzo nel mercato oligopolistico, costringendo i concorrenti a
uscirne. A tali manovre viene dato il nome di politiche predatorie di prezzo.

La discriminazione di prezzo e i consumatori


Non è possibile formulare alcuna valutazione generale circa la desiderabilità̀ della discriminazione di prezzo
di terzo grado dal punto di vista del benessere sociale. Alcuni ne trarranno beneficio, altri ne saranno
svantaggiati. I consumatori che pagano il prezzo più elevato probabilmente penseranno che la
discriminazione di prezzo non è equa nei loro confronti. Al contrario, i consumatori che spuntano prezzi
migliori riescono ad acquistare un bene o servizio che altrimenti non potrebbero permettersi; ad esempio, il
servizio di trasporto su autobus per le persone anziane.
Concorrenza
Come già spiegato, un’impresa può ricorrere alla discriminazione di prezzo per indurre i suoi concorrenti a
uscire dal mercato. D’altra parte, potrebbe impiegare i profitti ottenuti su un mercato dove vigono prezzi
elevati per entrare su un altro mercato e sostenere un’eventuale guerra di prezzo. La concorrenza in questo
modo aumenta.
Profitti
La discriminazione di prezzo fa aumentare i profitti dell’impresa. Si potrebbe pensare che questo vada contro
gli interessi dei consumatori, soprattutto nel caso in cui il prezzo medio del prodotto aumenta. D’altra parte,
i maggiori profitti possono essere reinvestire per permettere costi inferiori in futuro.

Focus teoria dei giochi


È nei mercati oligopolistici che le imprese si trovano tipicamente in una situazione di interazione strategica:
in questi mercati, la quantità o il prezzo ottimali per una impresa dipendono sempre dalle quantità e dal
prezzo scelto dalle altre imprese.
Un gioco è caratterizzato da quattro elementi:
1) I giocatori, cioè l'insieme dei decisori che interagiscono strategicamente;
2) Le azioni, cioè l'insieme delle mosse a disposizione dei giocatori;
3) Le strategie, cioè l'insieme dei possibili piani di azione: una strategia, dunque, specifica un'azione per
ognuna delle situazioni in cui giocatore può essere chiamato a decidere (indipendentemente dal fatto che
poi venga effettivamente trovarsi in quella situazione);
4) i pay-off (o le vincite), cioè l'insieme degli esiti del gioco per ciascun giocatore.

Tipi di giochi
Si classificano in base alla modalità del gioco con cui i giocatori effettuano le proprie decisioni.
Gioco statico: con giocatori che effettuano una sola mossa e simultaneamente le proprie scelte es. pari o
dispari tra due giocatori
Gioco dinamico: con giocatori che effettuano più volte le proprie scelte in modo simultaneo o sequenziale
Gioco sequenziale: si svolge a turni. Un giocatore fa la prima mossa e l’altro aspetta e sarà poi al corrente
della scelta del suo avversario quando farà la sua mossa. Es. il tris
Gioco simultaneo: entrambi i giocatori decidono la propria mossa contemporaneamente
Gioco ripetuto: con almeno due o più turni. Può ripetersi nel tempo per un numero finito o infinito di volte.
Es. dama
Gioco one-shot: è caratterizzato da un solo turno. Es. dilemma del prigioniero
Gioco a informazione completa: giocatori hanno accesso a tue le informazioni sullo stato del gioco e sulle
scelte deli altri giocatori.
Gioco a informazione incompleta: parziale accesso alle info di cui sopra
Gioco a informazione perfetta: non solo ha le info ma conosce esattamente la propria posizione e anche
quella degli altri giocatori al momento di scegliere
Gioco a informazione imperfetta: almeno un giocatore non conosce la propria posizione e quella degli altri al
momento della mossa. Vi è asimmetria informativa. Es venditore auto usata.
Gioco cooperativo: giocatori collaborano tramite accordi
Gioco non cooperativo: i giocatori non possono e non vogliono siglare un accordo vincolante
Gioco stocastico: incertezza su mosse e interventi futuri. Si costruisce la strategia analizzando i vari scenari
possibili.

Cerchiamo di riconoscere queste caratteristiche in quello che è l'esempio di gioco più famoso: il cosiddetto
dilemma del prigioniero.
Il dilemma del prigioniero
Due criminali che hanno commesso una grave rapina sono stati arrestati e sono detenuti in celle separate (in
modo che non possono comunicare). Ci sono le prove per accusarli di un crimine lieve, la detenzione di armi,
la cui pena è un anno di prigione.
Ciascun prigioniero ha due possibili scelte: confessare (la rapina) o tacere. Quello dei due che confesserà la
rapina accusando l'altro (mentre il complice tace) uscirà subito di carcere, mentre il complice verrà̀
condannato a 20 anni di reclusione. Se dovessero confessare entrambi la comune partecipazione alla rapina
verranno condannati a 5 anni di carcere ciascuno, godendo di uno sconto di pena per essersi pentiti. Nel caso
infine in cui nessuno confessasse verrebbero puniti unicamente per il reato minore ed entrambi starebbero
in cella solo un anno. In questo gioco i giocatori sono i due criminali, le azioni sono confessare e negare. I
pay-off (le vincite) sono negativi, trattandosi degli anni di
reclusione corrispondenti a ciascuna delle interazioni
possibili.
I giocatori sono chiamati a decidere simultaneamente
senza conoscere le decisioni dell'altro, e per questa
ragione questo tipo di gioco viene chiamato gioco a
informazione imperfetta. Inoltre, dal momento che i giocatori sono chiamati a decidere una sola volta, il
piano d'azione si risolve in un'unica decisione. In altri termini, le strategie coincidono con le azioni: confessare
o negare.
Vi sono due modi per rappresentare un gioco: la forma normale e la forma estesa.
Del secondo modo parleremo più avanti. Qui limitiamoci a osservare che rappresentare un gioco in forma
normale è particolarmente semplice: è sufficiente costruire la matrice dei pay-off.
Tale matrice ha sulle righe tutte le strategie di un giocatore, sulle colonne quelle dell'altro. Le celle della
matrice individuano tutti i possibili esiti del gioco, derivanti da ogni incrocio delle varie strategie dei due
giocatori. In ogni cella sono inserite le vincite di entrambi i giocatori, sempre nello stesso ordine.
Prendiamo ad esempio il gioco del dilemma del prigioniero: la rappresentazione in forma normale di tale
gioco è data dalla seguente matrice dei pay-off.
Il primo numero di ciascuna cella è il pay-off del prigioniero 1, mentre il secondo numero è il pay-off del
prigioniero 2.
La soluzione di un gioco l’equilibrio di Nash
Bisogna ora capire quali strategie saranno giocate dai vari giocatori.
La soluzione più nota e utilizzata nella teoria dei giochi è l’equilibrio di Nash.
Nel caso di un gioco con due giocatori, A e B, si dice che una coppia di strategie è un equilibrio di Nash, se la
scelta di A è ottima per A (dove per scelta o risposta ottima si intende la strategia che dà il payoff più̀ alto)
data la scelta di B, e allo stesso tempo la scelta di B è ottima per B data la scelta di A. In altre parole, un
insieme di strategie è un equilibrio di Nash se nessun giocatore ha incentivo a deviare unilateralmente (cioè̀
a giocare una strategia diversa) data la strategia scelta dagli avversari.
Vediamo come si trova un equilibrio di Nash, usando come esempio il dilemma del prigioniero. Consideriamo
il prigioniero 1. Se il prigioniero 2 sceglie di confessare, il prigioniero 1 preferisce confessare, in quanto se
confessa ottiene -5, mentre se non confessa -20. Se invece il secondo prigioniero nega, confessare dà un
payoff al prigioniero 1 pari a 0, mentre negare dà -1. Un ragionamento simmetrico vale anche per il
prigioniero 2: confessare è la sua strategia migliore sia che il prigioniero 1 confessi sia che taccia. L'unico
equilibrio del dilemma del prigioniero è dunque (confessare, confessare). Il dilemma del prigioniero è
particolarmente semplice da risolvere perché confessare è una strategia dominante (cioè una strategia che
è sempre la migliore, qualsiasi strategia giochi l’altro giocatore) sia per il prigioniero 1 che per il prigioniero 2
e chiamiamo l'equilibrio così trovato (che è comunque un equilibrio di Nash) equilibrio in strategie dominanti.
È chiaro che se in un gioco vi è una stessa strategia dominante per entrambi i giocatori, questa è una soluzione
di equilibrio.
Si noti peraltro che l’equilibrio di Nash nel gioco del dilemma del prigioniero rappresenta un esito non
ottimale in assoluto per entrambi i giocatori: se infatti avessero potuto comunicare e sapere cosa l’altro stava
facendo (ma allora il gioco sarebbe stato diverso) avrebbero scelto di non confessare, in quanto ciò avrebbe
comportato un pay-off maggiore per entrambi.
La maggior parte dei giochi non ammette strategie dominanti: Inoltre per alcuni giochi non esiste nemmeno
un equilibrio di Nash e per altri invece più di un equilibrio di Nash.
Il gioco della battaglia dei sessi
Lui e Lei devono cenare insieme. Lui è incaricato della scelta del vino, mentre Lei del piatto principale. Lui
può scegliere tra Bianco e Rosso, mentre Lei tra Carne e Pesce. Entrambi preferiscono la combinazioni
(Rosso, Carne) e (Bianco, Pesce) alle due rimanenti combinazioni, ma Lui preferisce in assoluto (Rosso,
Carne), mentre Lei preferisce in assoluto (Bianco, Pesce).
Quali sono le strategie ottimali per Lui? Supponiamo prima che Lei scelga carne: data questa scelta di Lei, per
Lui sarà ottimale scegliere Rosso; sottolineiamo allora il pay-off 2 per lui nella cella (Rosso, Carne). Se invece
Lei sceglie Pesce, la scelta ottima di Lui è Bianco; sottolineiamo quindi il pay-off 1 per Lui nella cella (Bianco,
Pesce). Attraverso la sottolineatura, abbiamo così
evidenziato la risposta ottima di Lui, cioè le
strategie migliori per lui data la strategia scelta di
Lei. Ripetiamo ora lo stesso procedimento per Lei,
individuando la risposta ottima di Lei: la strategia
ottimale per Lei è carne, se Lui sceglie Rosso, mentre è Pesce se lui sceglie Bianco. Sottolineiamo allora il pay-
off 1 per Lei nella cella (Rosso, Carne) e il pay-off 2 per lei nella cella (Bianco, Pesce). Quando entrambi i pay-
off di una cella sono sottolineati, ciascun giocatore sta scegliendo la sua strategia ottimale data la scelta
dell'avversario: il che è la condizione perché si abbia un equilibrio di Nash. Vi sono dunque due equilibri di
Nash in una Battaglia dei Sessi (Rosso, Carne) e (Bianco, Pesce).
La Battaglia dei Sessi ci illustra che un gioco può ammettere più di un equilibrio di Nash.
Questo gioco, inoltre, è interessante sotto un altro aspetto. Infatti se il telefono non funzionasse e quindi Lui
e Lei dovessero scegliere senza conoscere le scelte dell’altro (cioè se fossimo nel contesto di un gioco
simultaneo a informazione imperfetta), le probabilità che fosse raggiunto uno qualsiasi dei due equilibri di
Nash sarebbero pari al 50%. Perché rischiare con probabilità del 50% di arrivare a una delle due combinazioni
peggiori per entrambi (Carne, Bianco o Pesce, Rosso)? È meglio cercare di contattarsi a tutti i costi, anche se
resta aperto il problema di quale delle due soluzioni sarà̀ scelta.
In altre parole un gioco di questo tipo incentiva al coordinamento. Si noti che in questo caso, a differenza che
nel dilemma del prigioniero, chi dichiara apertamente la propria scelta, se riesce a farla accettare dall’altro,
non corre comunque il rischio di “defezione”. Se Lui sa che Lei sceglie Pesce, perché questo è l’accordo, non
gli conviene poi tradire scegliendo Rosso (e viceversa).
I giochi in forma estesa
Nel gioco del dilemma del prigioniero implicitamente abbiamo assunto che i due prigionieri scegliessero la
propria strategia simultaneamente. Più precisamente, avevamo ipotizzato che al momento di decidere se
confessare o meno, ciascun prigioniero non fosse a conoscenza della strategia usata dal suo complice (l'altro
giocatore). Tuttavia, in molti giochi, la scelta delle azioni avviene sequenzialmente e quindi il giocatore che
muove per secondo può osservare la strategia giocata da chi ha scelto per primo.
È proprio un gioco a scelte sequenziali quello che usiamo per
illustrare la rappresentazione in forma estesa.
Consideriamo il seguente esempio, che chiameremo gioco
dell'entrata, in cui i giocatori sono due imprese, X e Y. L'impresa
X sta considerando l'ipotesi di entrare in un certo mercato.
Attualmente in tale mercato l'impresa Y è monopolista. L’impresa
X può scegliere tra due azioni: può entrare o non entrare. Se
l'impresa X entra nel mercato, l'impresa Y, avendo osservato
l'entrata, può decidere di produrre poco, in modo che entrambe
le imprese facciano un profitto pari 1, oppure può decidere di produrre tanto, nel qual caso entrambe le
imprese avranno profitti negativi pari a - 1. Se l'impresa X non entra l'impresa Y ha sempre due azioni possibili:
produrre tanto o produrre poco. In ogni caso l'impresa X, stando fuori dal mercato, ottiene profitti nulli,
mentre l'impresa Y, restando monopolista, ha un profitto pari a 3 se produce tanto e pari a 2 se produce
poco.
Le azioni nel gioco sono: per l'impresa X entrare o non entrare, per l'impresa Y produrre tanto o poco.
Quali sono le strategie? L'impresa X decide per prima e si trova a decidere una sola volta. Quindi il suo piano
d'azione consiste in un'unica decisione (entrare o non entrare) e azione e strategia coincidono. Ciò non è vero
per l'impresa Y, che decide avendo osservato l'entrata: essa infatti si può trovare in due situazioni diverse (a
seconda che l'impresa X entri o meno) e in ognuna di queste situazioni può prendere due decisioni diverse
(produrre tanto o poco). Una strategia infatti è un piano completo di azioni, in cui è specificata ogni azione
da scegliere in ogni possibile evenienza. Una strategia deve specificare quindi cosa farà impresa Y sia nel caso
in cui l'impresa X scelga di entrare oppure di non entrare. L'impresa Y ha pertanto 4 possibili strategie:
1) produrre poco sia che l'impresa X entri, sia che non entri;
2) produrre poco solo se l'impresa X entra e tanto se non entra;
3) produrre tanto se l'impresa X entra e poco se non entra;
4) produrre tanto sia che l'impresa X entri, sia che non entri.
Le vincite sono date dai profitti che le imprese conseguono nei vari casi.
Questo tipico gioco è usualmente rappresentato informa estesa, vale a dire attraverso l’albero del gioco.
I punti in cui giocatore deve scegliere un'azione vengono chiamati nodi decisionali.
In tali nodi indichiamo il giocatore chiamato a scegliere. Nei nodi terminali indichiamo i pay-off. Il primo pay-
off è quello del giocatore che sceglie per primo (X) e il secondo quello del giocatore che gioca per secondo
(Y).
Questo gioco sequenziale mostra la possibilità di minacce (o promesse) non credibili.
Potrebbe sembrare che a X non convenga entrare, in quanto Y minaccia di produrre anche in questo caso
tanto. Ma è credibile tale minaccia? No. Infatti una volta che X è entrata, Y ottiene un pay-off di 1 se produce
poco e di -1 se invece produce tanto. Dunque, la scelta ottimale per Y dopo l'entrata di X è quella di produrre
poco. Pertanto una minaccia non credibile non costituisce un efficace deterrente all’entrata e l’esito di questo
gioco (equilibrio di Nash plausibile) sarà la combinazione della seconda strategia dell’impresa Y con la
strategia di entrata di X.

Giochi ripetuti e cooperazione


Il problema nel gioco del Dilemma del Prigioniero riguarda l'informazione e la comunicazione. Se i criminali
fossero in contatto l'uno con l'altro e sapessero che l'altro non confessa, entrambi preferirebbero non
confessare e ottenere così delle pene molto basse. È un saggio pubblico ministero quello che mette i
prigionieri in stanze separate per creare incertezza e sfiducia. In modo simile, è molto più probabile che
emerga la cooperazione nella formazione dei prezzi in oligopolio quando i manager delle imprese rivali si
tengono informati l'un l'altro sui loro piani e attività e quando le transazioni di mercato sono sufficientemente
semplici e frequenti da poter essere controllate facilmente.
Se è assente una completa comunicazione,
le imprese sono informate in modo
imperfetto sulle condizioni di mercato (quali
la domanda e costi dei rivali) e le intenzioni
dei rivali. Esse cercano di inferire entrambi
dal passato e dai risultati di mercato e sanno
che le loro azioni presenti e passate saranno
interpretate dai rivali come segnali dei loro costi e delle loro intenzioni. Inoltre esiste il problema della
fallibilità umana. I manager sbagliano nell'applicare le loro politiche di prezzo a specifiche situazioni, magari
perché stimano in modo sbagliato gli spostamenti della domanda. Per i rivali questi errori possono essere
interpretati come il passaggio ad una strategia aggressiva di prezzi bassi. Le imprese cercano strategie che
siano robuste in questo ambiente incerto e che permettano loro di imparare dal passato senza aumentare la
vulnerabilità ai rivali nel futuro. Bisogna quindi cercare di capire come evolvono queste strategie e come
interagiscono influenzando la performance di mercato. Negli anni recenti sono stati sviluppati molti modelli
formali di teoria dei giochi basati sull'informazione imperfetta e su analisi multi periodali.
Importanti intuizioni sono nate anche da esperimenti controllati e da simulazioni, studiando i problemi della
formazione dei prezzi in oligopolio sulla base di matrici dei pay-off in un gioco.
Particolarmente significative sono state le simulazione condotte da
Robert Axelrod, basate sul gioco del Dilemma del Prigioniero ripetuto nel tempo. I giocatori sono imprese
che possono scegliere tra “prezzo alto” e “prezzo basso” in ogni incontro con l’avversario. Ogni partita è fatta
di numerosi incontri (cioè mosse) in ognuno dei quali si ripete la stessa matrice dei pay-off.
I giocatori devono decidere un piano d’azione, cioè come muovere ogni volta, tenendo conto del
comportamento (mossa) dell’avversario attuato precedentemente. Essi giocano ciascuno una serie di partite,
una contro ognuno degli altri giocatori, compreso un avversario che attua la propria stessa identica strategia.
Ogni partita è vinta da chi accumula il pay-off più alto, ma l’importante è vincere il torneo, cioè accumulare
la più alta vincita nell’insieme di tutte le partite. Il problema teorico consiste quindi nel mettere alla prova le
diverse strategie per vedere quale di esse accumuli il maggior pay-off totale nell’intero torneo.
Le strategie, messe alla prova nella forma di programmi di computer, variano in complessità da lanciare una
moneta alla strategia “defeziona sempre” (dove
defezionare vuol dire non cooperare con l’altro
giocatore, facendo prezzi bassi e produzione alta), che
è quella dominante nel Dilemma del Prigioniero
giocato una sola volta. Si è visto che il programma che vince il torneo è la strategia “occhio per occhio”, che
consiste nel cooperare nella prima mossa e poi nelle mosse successive fare qualsiasi cosa l’avversario abbia
fatto nella mossa precedente. L'essenza della strategia “occhio per occhio” è che incoraggia la cooperazione
minimizzando la vulnerabilità alla defezione.
Consideriamo una versione limitata del torneo di
Axelrod, in cui sono giocate solo le due strategie
“occhio per occhio” e “defeziona sempre”. Ciascuna
strategia partecipa a giochi di 200 mosse: contro se
stessa e contro l'altra strategia. Quando “defeziona sempre” gioca contro se stessa, i giocatori 1 e 2 giocano
il prezzo basso in ciascuna mossa, così che ciascun giocatore riceve una vincita totale di 200 *$ 40 =$8.000
Ora si consideri ciò che accade quando il giocatore 1 gioca “occhio per occhio” (OxO, in forma abbreviata)
mentre il giocatore 2 gioca “defeziona sempre” (def.):
Alla prima mossa “occhio per occhio” fa un prezzo alto e “defeziona sempre” un prezzo basso e il guadagno
è 30 per “occhio per occhio” e 60 per “defeziona sempre”. In ciascuna mossa seguente, entrambi i giocatori
defezioneranno, ottenendo 40. Pertanto il guadagno totale di “occhio per occhio” è di 7.990 dollari, mentre
quello di “defeziona sempre” è di 8.020 dollari. Vincendo nella prima mossa e pareggiando su tutte le mosse
seguenti, “defeziona sempre” vince la partita. Si supponga ora che “occhio per occhio” incontri un altro rivale
che gioca la strategia “occhio per occhio”.
Poiché entrambi fanno il prezzo alto alla prima mossa, faranno il prezzo alto anche in tutte le mosse seguenti:
Ciascun giocatore ottiene un pay-off di 10.000 dollari e la partita si chiude in pareggio.
Nel complesso del mini-torneo la strategia “occhio per occhio” batte “defeziona sempre”. Infatti nelle due
partite “defeziona sempre” riceve 16.020 $, mentre “occhio per occhio” 17.990 $. È vero che la strategia
“defeziona sempre” garantisce a chi la gioca un guadagno almeno pari a quello dell’avversario in ogni partita
e che quindi “defeziona sempre” non perde nessuna competizione testa a testa con un'altra strategia (al
contrario di “occhio per occhio”). Tuttavia questo genere di vittoria è di Pirro. Infatti se c'è qualche possibilità
che la strategia dell'avversario sia in qualche misura cooperativa, giocare “occhio per occhio” garantisce al
giocatore un pay-off maggiore di “defeziona sempre”.
Quando l'obiettivo è di
massimizzare il guadagno
cumulativo nel torneo piuttosto che
il margine di vittoria sopra un rivale,
“defeziona sempre” appare in
conclusione una strategia stupida.
Numerosi partecipanti nel torneo di
Axelrod hanno compreso il
vantaggio che offre incoraggiare la
cooperazione, ma hanno cercato di
migliorare i loro guadagni
defezionando a un certo punto
inaspettatamente con un prezzo basso, per battere il giocatore avversario che mantiene il prezzo alto. Il
problema di tali defezioni è che non è facile assicurare il ritorno di entrambi i giocatori alla strategia dei prezzi
alti.
Si supponga che il giocatore 1 che gioca “occhio per occhio” giochi contro il giocatore 2 la cui strategia è pure
“occhio per occhio”, salvo che nella mossa 101 defeziona con un prezzo basso senza tener conto dell'azione
precedente del rivale.
Nelle prime 100 mosse entrambi i giocatori fanno un prezzo alto. Nella mossa 101 il giocatore 1 gioca un
prezzo alto mentre il rivale un prezzo basso. Alla mossa 102, il giocatore 2 riprende il modello “occhio per
occhio” e fa un prezzo alto; tuttavia il giocatore 1 fa un prezzo basso come gli è dettato dalla sua strategia
“occhio per occhio”.
Questo modello di oscillazione continuerà fino alla fine del gioco. Il pay-off di ciascun giocatore è pari a (100
x 50) + (50 x 30) + (50 x 60) = 9.500. Gli effetti di eco della mossa defezionista del giocatore 2 riducono le
vincite che ciascun giocatore può ottenere nelle mosse seguenti.
Una lezione cruciale offerta da questo torneo è che l'importante è minimizzare gli effetto di eco in un
ambiente di in cui si ha interdipendenza. Quando una singola defezione può mettere in moto una lunga
catena di recriminazioni e contro-recriminazioni, entrambe le parti soffrono. Un’analisi sofisticata deve
quindi approfondire almeno tre livelli. Il primo livello di analisi è l'effetto diretto di una scelta. Questo è facile,
poiché la defezione guadagna sempre di più della cooperazione. Il secondo livello considera gli effetti
indiretti, tenendo conto che l'altra parte può punire una defezione. Ma il terzo livello consente un ulteriore
approfondimento, in quanto prende in considerazione il fatto che nel rispondere alle defezioni dell'altra
parte, un giocatore può perfino amplificare le precedenti mosse aggressive. Così una singola defezione può
avere successo quando è analizzata per le sue conseguenze dirette e anche forse negli effetti secondari. Ma
i costi reali possono essere negli effetti terziari, quando una sola defezione isolata dà origine a mutue
recriminazioni senza fine.
La strategia “occhio per occhio” ha le seguenti caratteristiche.
i) È generosa, in quanto offre per prima una strategia cooperativa;
ii) È reattiva, in quanto risponde
alle defezioni dei rivali appena
possibile;
iii) È disposta al perdono, in
quanto si adegua
immediatamente al ritorno di un rivale alla strategia cooperativa.

Esercizi
Esercizi micro-economia
Esercizio 1
Siete stati chiamati al parlamento, per comunicare sullo
stato del mercato dei produttori del riso. Per ciascuno dei
seguenti eventi, indicate i possibili effetti sulla
configurazione di equilibrio di mercato, specificando se
indicano mutamenti della domanda o dell’offerta.

Il ragionamento che dobbiamo fare è: questo effetto su


chi ha il primo impatto? Sulla domanda o sull’offerta?

a) I giapponesi eliminano le restrizioni all’importazione di riso italiano. Quindi vuol dire eliminare le
tasse e aumentare sia la domanda e l’offerta di riso. In un promo momento però, la prima ad avere
un effetto è la domanda, poiché la mossa
effettuata dai giapponesi genera un incremento
della domanda, perché i consumatori sono
incentivati ad aumentare la quantità domandata.
Vediamo come in un primo momento vi è
l’equilibrio di mercato nel punto (Q1, P1), ma con
un incremento della quantità domandata,
trasleremo la curva domandata verso destra, che
comporterà la formazione di un nuovo equilibrio
nella posizione (Q2, P2). Quindi il comportamento
sopracitato, comporterà un aumento della
quantità e del prezzo.

b) Viene sviluppata una nuova qualità di riso la cui


resa per ettaro è doppia rispetto al riso
attualmente disponibile. L’effetto, questa volta,
ricadrà solamente sulla curva di offerta, perché
questa azione comporterà un aumento della
quantità offerta, con la conseguente traslazione
della curva stessa verso destra. Notiamo come
varia anche il punto di equilibrio, che dalla
posizione (Q1, P1), sarà (Q2, P2), ci sarà sia una
diminuzione del prezzo, ma questa volta, un
aumento della quantità.

c) Una ricerca sostiene che il consumo di riso causa tumori ai topi bianchi. Un effetto negativo del riso
sarà causa di diffidenza dei consumatori, i quali non compreranno più con la stessa serenità il
prodotto qui descritto, quindi ciò
comporterà inevitabilmente una variazione
della quantità domandata, con una
conseguente contrazione della curva stessa.
Questa traslerà verso sinistra, generando un
nuovo punto di equilibrio, che da (Q1, P1),
diventerà (Q2, P2), quindi una diminuzione
del prezzo e della quantità.

d) Il prezzo del grano aumenta. Visto che il


grano rispetto al riso è un bene sostituto, un aumento del prezzo del grano comporta una
diminuzione della richiesta dello stesso, in
favore però del riso, il quale avrà una
richiesta più alta a seguito di ci. Graficamente
visto che c’è una variazione della domanda,
con un incremento da parte del consumatore
della richiesta, la curva si sposta verso destra,
come in figura. Il punto di equilibrio non sarà
più (Q1, P1), ma ci sarà un incremento del
prezzo e della quantità che genererà
l’equilibrio nel punto (Q2, P2)

e) Il prezzo dei fertilizzanti utilizzati nella


produzione del riso aumenta. L’offerta, in questa situazione, impatta con una inevitabile contrazione
della curva stessa, perché l’aumento del costo di produzione, porta l’offerente a produrre di meno
ad un prezzo più elevato. Infatti si nota in figura, come l’equilibrio non sia più in (Q1, P1), ma questa
volta in (Q2, P2), con un considerevole aumento dei prezzi, perché i produttori devono far ricadere
parte dell’aumento dei costi di produzione anche sul consumatore stesso, in modo tale che i costi
marginali non siano più alti dei ricavi marginali e una quantità necessariamente ridotta.

Esercizio 2
L’amministrazione pubblica ha appena deciso di
aumentare le accise sulla benzina. Mostrare gli effetti
sull’equilibrio di mercato utilizzando i grafici di
domanda e offerta. Visto che non sappiamo dove
possono ricadere queste tasse, o sul produttore o sul
consumatore, dobbiamo studiare tutti e due i casi,
singolarmente

a) Se la tassa è in capo ai produttori, si determina


una contrazione dell’offerta, perché vi è un
aumento del costo di produzione che
comporterà un aumento del prezzo a scapito del consumatore. Ciò genererà una variazione
dell’equilibrio che sarà in corrispondenza di meno quantità ad un prezzo più alto
b) Se la tassa è in capo ai consumatori, la
domanda avrà un effetto negativo, perché non
si incentiva ad esempio l’uso dei trasporti
privati, quindi anche la domanda avrà una
contrazione opportuna, con una diminuzione
considerevole del prezzo e della quantità nella
posizione di equilibrio, a causa proprio della traslazione della curva.

Esercizio 3
Per ciascuna delle seguenti situazioni illustrare che cosa accade al mercato
della birra:
a) Il Ministero della Sanità annuncia che il consumo di alcool è legato alle
malattie dei nascituri, ciò comporta essenzialmente una contrazione della
domanda, poiché i gravi effetti che può causare la birra portano i consumatori
a domandarne di meno. Si abbassa, all’equilibrio, sia la quantità che il prezzo

b) Il prezzo del vino aumenta e visto che quest’ultimo è un bene sostituto


rispetto alla birra, comporterà un effetto tangibile sul mercato. Infatti i
consumatori compreranno meno vino per colpa del prezzo troppo alto e
preferiranno l’acquisto della birra. Ci sarà un aumento quindi della quantità
domandata con conseguente traslazione verso destra della curva.
All’equilibrio aumenterà sia il prezzo che la quantità

c) Il prezzo del malto aumenta, ciò indica che questo influenzerà l’attività dei
produttori, i quali dovranno per forza di cose aumentare il prezzo. Ci sarà
quindi una contrazione della curva che comporterà la formazione di un nuovo
equilibrio che sarà appunto ad un maggior prezzo e ad una minore quantità

d) L’età a cui è ammesso il consumo di alcolici passi da 18 a 21 anni, ciò vuol


dire che, una fetta di consumatori, tra i 18 e 21 anni che prima potevano
consumare gli alcolici e adesso non più verrà persa, quindi l’effetto ricadrà sul consumatore con una relativa
diminuzione della domanda, ossia una contrazione della curva. L’equilibrio sarà in una nuova posizione, con
una relativa diminuzione sia del prezzo che della quantità.

Esercizio 4
La curva di offerta di magliette è data dall’equazione P = 6Q, mentre la curva di domanda è data da P = 18 –
3Q.
Determinare:
a) La configurazione di equilibrio del mercato;
Per determinarla dobbiamo prendere in considerazione la funzione che descrive la curva di domanda
P = 18 – 3Q e metterla in sistema con la curva di offerta P = 6Q, quindi ciò comporterà: 6Q = 18- 3Q
e risolvendo per Q otterremo: Q = 2; P = 12, che sarà il punto di equilibrio

b) Al prezzo di $ 18 si avrà eccesso di produzione o penuria? In quale misura?


Sappiamo che il prezzo di equilibrio è 12 e lo sto aumentando portandolo a 18, ciò comporterà di
conseguenza, a logica, capiamo che ci sarà un eccesso di offerta. Infatti, sostituendo il valore del
prezzo nella funzione della domanda e offerta, trovando Q per entrambe le offerte. Qs = 3; Qd = 0,
Qs > Qd, eccesso di offerta pari a 3
c) Al prezzo di $ 6 si avrà eccesso di produzione o penuria? In quale misura?
Se il prezzo fosse 6, essendo quest’ultimo inferiore a quello di equilibrio si avrebbe eccesso di
domanda (penuria). Infatti, sostituendo il valore del prezzo nelle funzione di domanda si ha Qd = 4;
mentre sostituendo il valore del prezzo nelle funzione di offerta si ha Qs = 1; quindi Qs < Qd, con
eccesso di domanda pari a 3.

Esercizio 5
Siano date le seguenti funzioni di domanda:
1) p = - 10/28 Q + 10;
2) p = - 2Q + 24;
3) p = 10/Q.
Determinate:
a) Nel primo caso l’opportunità di aumentare il prezzo da 6 a 8;
Sostituisco 6 nella prima equazione, esplicito Q, trovo quest’ultima e faccio il medesimo processo
anche per il caso in cui P = 8. In questo modo sappiamo quali sono le variazioni del prezzo e della
∆𝑄
(𝑄) ∆𝑄 𝑝
quantità, dato ciò possiamo calcolarci l’elasticità: 𝜀 = ∆𝑝 = ∙ = −1,5
(𝑝) ∆𝑝 𝑄

Il valore dell’elasticità che abbiamo ottenuto è abbastanza elevato, molto elastica, ad una piccola
variazione del prezzo corrisponde una variazione più che proporzionale della domanda. Non converrà
aumentare il prezzo, mi converrà quando ad una piccola variazione del prezzo corrisponderà ad una
variazione uguale o più grande, perché se ad una piccola variazione di prezzo la curva si contrae
notevolmente, rischio di fallire.
b) Nel secondo caso l’opportunità di passare da 4 a 8;
Come nel caso precedente sostituirò i due prezzi nell’equazione 2), in modo tale da trovare le due
quantità relative e le corrispondenti variazioni. Fatto ciò posso calcolarmi l’elasticità che sarà:
ε=-0, 2, conviene aumentare il prezzo
c) Ed infine nel terzo caso l’opportunità di passare da 8 a 10.
Facciamo lo stesso procedimento e ci troviamo l’elasticità: ε = -0,8, conviene aumentare il prezzo.

Esercizio 6
Il mercato del frumento opera in condizioni di concorrenza
perfetta e le curve di domanda e offerta sono:
QD =1500-5p
QO =600+4p
Dove p è espresso in €/quintali e Q in milioni di quintali.
a) Determinare l’equilibrio del mercato.
Mettiamo a sistema le due funzioni, delle due curve, ottenendo così i valori di p e q, nell’equilibrio di
mercato. (Calcoli semplici non riportati)
b) Determinare l’elasticità della domanda e dell’offerta al prezzo nel punto di equilibrio
In questa circostanza mi serve la variazione del prezzo e della quantità, che questa volta non mi viene
dato esplicitamente, ma conoscendo la teoria so che possiamo ricavarli dalla funzione della domanda
ed offerta. Infatti essa corrisponde al coefficiente del termine p, con relativo segno, delle due
funzioni, sapendo ciò otteniamo le due
elasticità.
Esercizio 7
Nel mercato del petrolio le curve di domanda e offerta
sono:
QD =150-50p
QO =60+40p
Dove p è espresso in €/litro e Q in miliardi di litri.
a) Determinare l’equilibrio del mercato.
b) Determinare l’elasticità della domanda e dell’offerta al prezzo nel punto di equilibrio.
c) Si tratta di un mercato con domanda elastica o anelastica? Commentare la risposta considerando la
tipologia del bene scambiato.
La domanda è anelastica essendo |ε| < 1, questo significa che all’aumentare del prezzo la domanda
diminuisce in modo meno che proporzionale. È caratteristica del mercato del petrolio e dei suoi
derivati, questi sono beni non facilmente sostituibili, di conseguenza la riduzione della domanda a
seguito di un aumento del prezzo è meno che proporzionale. I consumatori non riescono a ridurre
drasticamente i consumi, anche se il prezzo aumenta

Esercizio 8
Il mercato della ristorazione a Trastevere è caratterizzato dalle seguenti curve di domanda e di offerta:
QD = 60–1,5p
QO =-10+p
Dove p è il prezzo di un pasto e Q è misurato in
centinaia di pasti serviti al giorno.
a) Trovare l’elasticità della domanda nel
punto di equilibrio.
b) Supponete ora che tutti i ristoranti
aumentino di 1€ il prezzo di ciascun pasto.
Utilizzando l’elasticità precedentemente
trovata, fare una previsione sulla spesa dei
consumatori e sui ricavi dei ristoratori. Aumentano o diminuiscono?
Poiché la domanda è elastica |εd|>1, il numero di cene domandate diminuisce percentualmente più
che proporzionalmente rispetto all’aumento percentuale del prezzo. Quindi, la spesa complessiva
dei consumatori diminuisce e, di conseguenza, diminuiscono anche i ricavi dei ristoratori
c) Verificate che la risposta data sia corretta, calcolando la variazione della spesa e dei ricavi.
Dobbiamo quindi aumentare modificare le curve precedenti in cui varierà un termine, infatti
p = -10 + Qo, diventerà p = -11 + Qo’
e ci calcoliamo l’equilibrio.
Viene quindi confermata la riduzione
della spesa del consumatore e
conseguentemente dei ricavi dei
consumatori.
Esercizio 9
Le funzioni di domanda e di offerta di mercato sono rispettivamente:
QD =20−3p
QO =5+2p
a) Determinare l’equilibrio di mercato.
Stesso procedimento visto negli esercizi i prima
b) Verificare come cambia l’equilibrio se il Governo decide di fissare un prezzo massimo pari a 2€.
Se il governo fissa un prezzo massimo, noi andremo a sostituire il prezzo nelle due curve di domanda
e offerta, ottenendo due quantità diverse una per la domanda e una per l’offerta. Facendo la
differenza tra la quantità domandata meno quella offerta, otteniamo l’eccesso di domanda
c) Verificare come cambia l’equilibrio se il Governo decide di fissare un prezzo minimo pari a 5€.
Stessa cosa del caso precedente, però questa volta vediamo che la quantità offerta è molto più
grande della quantità domandata, quindi la variazione sarà quantità offerta meno quella domandata
che ci mostrerà l’eccesso di offerta

Esercizio 10
Nel mercato di un certo bene la funzione inversa della domanda e dell’offerta è:
pD =400−(Q/6)
pO =50+Q
a) Determinare l’equilibrio di mercato.
Come nel caso precedente, ma in questo caso esplicitando le quantità
b) Determinare il valore dell’elasticità della domanda e dell’offerta al prezzo nel punto di equilibrio del
mercato.
Come nei casi precedenti
c) Determinare il valore dell’elasticità della domanda al prezzo nel punto in cui Q = 120
Si sostituisce Q nella funzione della domanda e ricavando la variazione della quantità e del prezzo dal
coefficiente di p, otteniamo
l’elasticità
d) Determinare il punto sulla
curva di domanda in cui
l’elasticità al prezzo vale 3
Come vediamo dai calcoli al
lato abbiamo l’elasticità ma
dobbiamo trovare le
coordinate del punto di domanda, ossia prezzo e quantità. Facendo l’ultimo sistema, sulla nostra
destra, troveremo le coordinate che ci servono.

Esercizio 11
Giovanni dispone di $1000 che può spendere sia nell’acquisto di lettori di CD che in CD. Non può chiaramente
ascoltare i CD senza un lettore, ma un ulteriore lettore non gli procura alcuna soddisfazione.
Ogni lettore di CD costa 400 $, mentre i CD costano 10 $.
Supponendo che i lettori di CD si collochino sull’asse orizzontale:
a) Scrivete il vincolo di bilancio di Giovanni;
Il vincolo di bilancio è una trasformazione della relazione che implica che tutto il reddito disponibile
sia speso nell’acquisto dei due beni: 1000 = 400 x + 10 y (dove x = lettori Cd e y = cd); esplicitando la
relazione rispetto ad y, si ottiene il vincolo di bilancio: y = 100 – 40x;
b) Tracciate le curve di indifferenza di Giovanni;
La mappa delle curve di indifferenza, è relativa al caso particolare di beni complementari (curve di
indifferenza ad angolo) e specificamente ha l’ulteriore particolarità di implicare che l’individuo non
tragga alcuna soddisfazione dal consumo di più di un lettore di cd; questo significa che (posto che i
lettori cd siano sull’asse delle ascisse) tutte le curve di indifferenza coincidono nel loro tratto
verticale, situato al livello x=1;
c) Potete immaginare quale sarà il suo punto di equilibrio?
In questo caso particolare, la determinazione del paniere ottimale è immediata; infatti Giovanni
comprerà solo un lettore cd, spendendo $400; avendo a disposizione $1000, spenderà i restanti 600$
per l’acquisto di cd. Poiché il prezzo dei cd è 10, Giovanni acquisterà 60 cd. In altri termini, il paniere
ottimale sarà x*=1, y*=60.

Esercizio 12
Sandra deve comprare materiale di consumo per il suo computer. I due prodotti che le servono sono cartucce
per stampante e carta. La carta si compra a $ 10 pe risma da 1000 fogli, mentre le cartucce costano 5 $ per
2000 pagine di stampa.
a) Scrivete il vincolo di bilancio di Sandra, sapendo che il suo reddito è pari a 100$.
il vincolo di bilancio si ricava da: 100 = 10 x + 5 y (dove x = risme di carta e y = cartucce per stampa);
esplicitando la relazione rispetto ad y, si ottiene il vincolo di bilancio: y = 20 – 2x
b) Rappresentate le curve di indifferenza.
La mappa delle curve di indifferenza, è nuovamente relativa a beni complementari (curve di
indifferenza ad angolo) e specificamente implica che l’utilità di Sandra aumenti solo se viene
rispettato il rapporto di utilizzo risme di carte/cartucce di stampa (due risme di carta per ogni
cartuccia di stampa) da cui consegue che il vertice delle curve di indifferenza si trova sulla retta
y=(1/2) x;
c) Individuate l’equilibrio
Ponendo a sistema il vincolo di bilancio con la condizione di miglior utilizzo carta/cartucce è possibile
determinare il paniere ottimale:
Y = 20 – 2x
Y=(1/2 )x
20 - 2x = (1/2) x
Il paniere ottimale sarà x*=8 risme di carta, y*=4 cartucce di stampa

Esercizio 13
Dati i beni A e B, la funzione di utilità di un individuo associata al consumo dei due predetti beni è: U (A, B) =
2A2·B. Inoltre, i prezzi unitari dei beni A e B sono pA = 20 e pB = 200 ed il reddito del predetto individuo è
R = 1000.
Supponendo che l’individuo spenda tutto il suo reddito nell’acquisto dei beni A e B, determinare il suo paniere
ottimo.
Sappiamo che il paniere ottimo è il
punto di intersezione tra il vincolo di
bilancio e la curva di indifferenza,
quindi per trovarlo possiamo mettere
a sistema l’equazione della retta di
bilancio, con il saggio marginale di
sostituzione, ossia la derivata della
curva di indifferenza, che ci
conferisce la sua pendenza punto per punto.
Esercizio 14
Dati i beni x e y, la funzione di utilità di un individuo associata al consumo dei due predetti beni è:
U (x, y) = (x·y-1). I prezzi unitari dei beni x e y sono px =5 e py =10 ed il reddito del predetto individuo è R =
200.
Ipotizzando che l’individuo spenda tutto il suo reddito nell’acquisto dei beni x e y, determinare:
a) Il paniere in cui l’individuo massimizza il proprio livello di soddisfazione;
Mettiamo a sistema come fatto nell’esercizio precedente:

b) Il paniere ottimo dell’individuo medesimo se il reddito dello stesso diminuisse di 100


Fallimento di mercato e intervento pubblico
Capiamo come lo stato influenza il mercato.
Nonostante la crescente fiducia nel mercato, non sempre questo funziona come meccanismo di allocazione
efficiente delle risorse.
Lo stato, quindi, svolge tuttora un ruolo fondamentale nell’economia: dalla costruzione e manutenzione delle
strade, alla fornitura di servizi importanti; come l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’ordine pubblico e il
sistema giudiziario; dalla protezione sociale sotto forma di pensioni e altre forme di assicurazione sociale,
alla tutela della concorrenza e alla regolamentazione delle imprese.
Obiettivi dell’intervento pubblico
Per decidere il livello ottimo di intervento pubblico, è innanzitutto necessario identificare i vari obiettivi
sociali che tale intervento si prefigge di raggiungere. I due obiettivi principali identificati dagli economisti
sono la massimizzazione del benessere sociale o efficienza sociale e l’equità.
Il benessere sociale va inteso come la somma dei surplus netti di tutti gli individui (consumatori e produttori)
appartenenti; alla società considerata (che sono quindi valutati su un piano di parità̀).
Equità
Molti sostengono che il libero mercato non sia in grado di realizzare una distribuzione equa delle risorse,
perché permette che alcune persone vivano nel lusso mentre costringe altre alla miseria.
Il significato di equità è, come ovvio, una questione ampiamente dibattuta anche in politica è largamente
condivisa l’idea che lo stato abbia il dovere di ridistribuire il reddito dai ricchi ai poveri attraverso il sistema
fiscale e i trasferimento pubblici, e forse anche di garantire ai poveri forme di protezione sociale, quali ad
esempio un salario minimo e un sussidio di disoccupazione.
Il sussidio di disoccupazione è una prestazione economica prevista dal diritto del lavoro, il sussidio che spetta
ai soggetti hanno perso l’impiego per licenziamento, cessazione del contratto di lavoro o cessazione
dell’attività lavorativa.
Efficienza sociale
Se i benefici marginali sociali (BMGS,) di produrre (o consumare) un bene eccedono i corrispondenti costi
marginali sociali (CMGS), allora diciamo che è socialmente efficiente produrre (o consumare) quel bene in
misura maggiore.
Se al contrario i costi marginali sociali di produrre (o consumare) un bene eccedono i benefici marginali
sociali, allora è socialmente efficiente produrne (o consumare) di meno.
Se i benefici marginali sociali di un’attività̀ sono uguali ai costi marginali sociali, allora il livello attuale di
produzione (consumo) è socialmente ottimale e non va modificato. Quindi, per massimizzare il benessere
sociale, bisogna:
- Produrre (consumare) di più se BMGS > CMGS, Se i benefici che si ottengono da un maggior numero di
autostrade eccedono l’aumento di costo collegato, allora sarà socialmente efficiente costruire più
autostrade.
- Produrre (consumare) di meno se BMGS, < CMGS,
- Mantenere la produzione (il consumo) al suo livello se BMGS, = CMGS,
L’efficienza sociale costituisce un esempio di efficienza allocativa
Nella realtà economica, il mercato conduce raramente all’efficienza sociale in modo spontaneo: i benefici
marginali sociali di molti beni non uguagliano i corrispondenti costi marginali sociali. In parte ciò̀ è dovuto
all’esistenza di esternalità, in parte al basso grado di concorrenza dei mercati, in parte alla mancanza di
informazioni sia da parte degli acquirenti che dei venditori.
Esternalità
Esternalità: si tratta di effetti collaterali su terzi dovuti all’attività di produzione o di consumo. Le esternalità̀
possono essere positive o negative. Quando altre persone ottengono effetti benefici da una certa attività, si
parla di esternalità positive; quando invece ne subiscono gli effetti indesiderati; si parla di esternalità̀
negative.
Quindi i costi complessivi per la società (i cosiddetti costi sociali) della produzione di un bene sono dati non
solo dai costi privati sostenuti dai produttori ma anche dalle esternalità negative della produzione. Allo stesso
modo, i benefici totali per la società (i benefici sociali) dovuti alla produzione di quello stesso bene sono dati
non solo dai benefici privati netti dei consumatori ma anche dalle esternalità positive generate nel consumo.
Esistono quattro principali tipi di esternalità:
- esternalità̀ di produzione, positive e negative,
- esternalità̀ di consumo, positive e negative.
Le esternalità sono costi o benefici esterni di cui il mercato non tiene conto. Quando si presentano,
un’economia di mercato non riesce a raggiungere spontaneamente l’efficienza sociale.
Esternalità negative di produzione (CMGS > CMG)
Quando un’azienda chimica scarica rifiuti in un fiume o inquina l’aria, la comunità sopporta dei costi aggiuntivi
rispetto a quelli privati sostenuti dall’impresa stessa per svolgere la sua attività. Il costo marginale sociale
(CMGS,) della produzione eccede quindi il costo marginale privato (CMG). Graficamente, la curva CMGS sta
al di sopra della curva CMG. Ciò viene mostrato nella figura a), in cui si assume che l’impresa operi in un
mercato perfettamente concorrenziale e sia quindi price-taker (con una curva di domanda orizzontale).
L’impresa massimizza il proprio profitto in corrispondenza di q1, il livello
di output per cui il prezzo è uguale al costo marginale. Il prezzo
rappresenta la cifra che i compratori del bene sono disposti a pagare per
averne un’unità in più (se non lo fosse non lo comprerebbero) e riflettere
quindi il loro beneficio marginale.
Ipotizziamo che non siano presenti esternalità derivanti dal consumo e
che quindi il beneficio marginale per i consumatori coincida con il
beneficio marginale sociale (BMGS,). L’output socialmente ottimo,
quello che massimizza il benessere sociale, è q2, in corrispondenza di p
(cioè BMGS) = CMGS. L’impresa, tuttavia, produce q1 che è superiore
all’ottimo sociale, in quanto, nel decidere quanto produrre per
massimizzare il suo profitto, prende in considerazione solo i suoi costi privati e non anche le esternalità
generate. Vi è un eccesso di produzione dal punto di vista dell’efficienza sociale.
Si dovrà cercare di portare q2 a q1.
Il problema delle esternalità negative di produzione si verifica nelle economie di mercato perché, ad esempio,
alcune particolari risorse naturali non possono essere oggetto di proprietà privata; non si possono prevedere
diritti di proprietà̀ sull’aria o sull’acqua dei fiumi e proprio per questo non si può̀ impedire che vengano
utilizzati illegalmente come discarica. L’incompletezza dei mercati genera le esternalità spetta all’autorità
pubblica neutralizzarle.
Altri esempi di esternalità negative di produzione sono: la distruzione di flora e fauna causata da
un’agricoltura estensiva, le piogge acide causate dai fumi del carbone e i rifiuti radioattivi delle centrali
nucleari.
Esternalità positive di produzione (CMGS < CMG)
Si consideri un’impresa di trasporti che investe nella formazione dei propri autisti. Ogni anno alcuni autisti
già formati si dimettono per andare a lavorare per le imprese concorrenti. E chiaro che queste ultime, non
avendo sostenuto il costo di formazione del nuovo personale, avranno costi inferiori a quelli dell’impresa
considerata. La società nel suo complesso trae beneficio dell’avvenuta formazione (inclusi gli stessi autisti
che hanno in tal modo acquisito abilità vendibili sul mercato del lavoro) anche se l’impresa che ha investito
non ne trae vantaggio. Il Costo marginale sociale della formazione è quindi inferiore al costo marginale
privato dell’azienda. Nella figura b), la curva CMGS è più bassa della curva CMG. Il livello di output (il numero
di autisti già̀ formati) è q1,
determinato dalla condizione p =
CMG, ed è inferiore all’ottimo
sociale, q2, che si ha quando p =
CMGS.
Un altro esempio di esternalità̀
positiva di produzione è dato
dalle spese in ricerca e sviluppo.
Se altre imprese hanno accesso
ai risultati della ricerca, allora
chiaramente i benefici si
estendono oltre l’impresa che la
finanzia.
Poiché l’impresa prende in considerazione soltanto i benefici privati, sceglierà un livello di ricerca inferiore a
quello socialmente ottimo.
Un ulteriore esempio di questo tipo è dato dagli effetti positivi sulla qualità dell’aria di un’impresa che svolge
un’opera di riforestazione.
Esternalità negative di consumo (BMGS < BMG)
La figura a) mostra la funzione del beneficio marginale dell’uso di un’automobile (BMG) e il suo prezzo (il
costo della benzina e il «logoramento» per chilometro per un individuo. Il beneficio marginale diminuisce
all’aumentare della distanza percorsa. La distanza ottima percorsa è pari a q1 chilometri, che corrisponde al
punto in cui il beneficio marginale (BMG) del nostro ipotetico automobilista è uguale al prezzo (p). Se infatti
il beneficio marginale relativo al consumo di un bene o di un servizio
misurato in termini di ammontare massimo che si è disposti a
pagare per ogni sua unità eccede il prezzo, il consumatore vorrà̀
consumarne di più. Se invece il beneficio marginale è inferiore al
prezzo, il consumatore vorrà consumarne di meno. Il livello ottimo
di consumo nell’esempio dell’automobilista è stabilito dalla
condizione BMG = p in q1 chilometri.
Ma l’utilizzo dell’automobile dà luogo a esternalità negative quali
gli scarichi, il traffico, il rumore, ecc., che riducono il beneficio
marginale dell’intera società̀ legato all’uso delle automobili rispetto
al beneficio marginale privato dell’automobilista. Quindi la curva
BMGS è sempre inferiore alla curva BMG.
Assumendo che non ci siano esternalità nella produzione, e che
pertanto il costo marginale sociale coincida con il prezzo, il benessere sociale sarà massimo nel punto in cui
BMGS, = p, cioè per una distanza percorsa pari a q2, inferiore rispetto alla distanza percorsa
dall’automobilista q1.
Quindi, quando ci sono esternalità negative nel consumo, il livello effettivo di consumo sarà troppo elevato
dal punto di vista sociale.
Altri esempi di esternalità̀ negative nel consumo includono gli effetti sulle altre persone dell’ascolto di musica
ad alto volume in luoghi pubblici, del consumo, fumo e dei rifiuti solidi urbani.

Esternalità positive di consumo (BMGS > BMG)


Quando alcuni viaggiano in treno e non in automobile, altri beneficiano della riduzione del traffico, degli
scarichi e del numero di incidenti sulle strade. Quindi il beneficio marginale sociale del trasporto su rotaia è
maggiore del beneficio marginale privato per il singolo viaggiatore. In altre parole, il trasporto ferroviario
presenta esternalità positive. In tal caso la curva BMGS, della figura b) è superiore alla curva BMG e il livello
di consumo socialmente ottimo (q2) è superiore al livello effettivo (q1). Quindi, in presenza di esternalità̀
positive nel consumo, il livello effettivo di consumo è troppo basso
rispetto all’ottimo sociale. Altri esempi di esternalità positive nel consumo
sono dati dagli effetti positivi sugli altri dell’uso di deodorante o del
ricorso alle vaccinazioni. Tutto quello che facciamo e che ha un beneficio
nella società
Nel caso di esternalità positive, dunque, la quantità prodotta e consumata
sarà troppo bassa rispetto all’ottimo sociale. Nel caso di esternalità̀
negative, la quantità prodotta e consumata sarà troppo alta.
In entrambi i casi le soluzioni di mercato non portano all’uguaglianza tra
BMGS e CMGS. Si noti che queste argomentazioni sono state sviluppate
in un contesto di concorrenza perfetta, con prezzi stabiliti dal mercato e
data sia per i consumatori che per i produttori. Le esternalità, tuttavia, possono essere presente anche in
mercati di concorrenza imperfetta o di monopolio.
Beni pubblici
Esiste una categoria di beni per i quali le esternalità positive sono talmente elevate rispetto ai benefici privati
che il libero mercato, sia esso perfetto o imperfetto, non li produce. Essi sono noti come beni pubblici. Ne
sono esempi i fari, i marciapiedi, le dighe, le fognature pubbliche, i pubblici servizi come la polizia e persino
l’attività dello stato. I beni pubblici hanno due importanti caratteristiche: la non-rivalità nel consumo e la
non-escludibilità.
1) Se consumiamo una tavoletta di cioccolato, questa non potrà essere consumata da nessun altro. Se, invece,
camminiamo lungo un marciapiede o godiamo dei benefici dell’illuminazione pubblica, non impediamo ad
altri di fare altrettanto. Questa caratteristica è nota come non-dualità nel consumo. I beni pubblici hanno
benefici marginali sociali di gran lunga superiori ai corrispondenti benefici privati. Questa loro caratteristica
li rende socialmente desiderabili, ma non profittevoli dal punto di vista privato. Ad esempio, nessuno in città
sarebbe disposto a pagare da solo per
rifare il fondo stradale nella via in cui
abita, poiché il beneficio privato sarebbe
troppo basso rispetto al costo.
Eppure il beneficio sociale di tutti quelli
che ci passano sarebbe di gran lunga
superiore.
2) Se contribuisco a costruire una diga
che protegga la mia casa da
un’inondazione, arrecherò un beneficio
anche ai vicini che non vi hanno
contribuito, poiché non posso impedire
che traggano anch’essi vantaggio dalla diga. Questa caratteristica di non-escludibilità̀ fa sì che gli individui
conseguano comunque dei vantaggi e quindi abbiano l’incentivo a non contribuire al pagamento. Le persone
che ottengono vantaggi dall’utilizzo di beni pubblici senza aver contribuito sono definite «free rider». A livello
sociale si pone il problema di evitare, o almeno limitare, tale comportamento.
Quando i beni hanno queste due caratteristiche, il libero mercato non li produce. Solo lo stato, dunque, o
imprese private finanziate dal governo possono essere disposti a produrre beni pubblici. Si noti che non tutti
i beni e servizi prodotti dal settore pubblico rientrano comunque nella categoria di beni pubblici: ad esempio,
l’istruzione e la sanità sono forniti dal governo, ma possono anche essere, e in alcuni casi lo sono, forniti dal
settore privato.
Come si suddividono i beni pubblici?
• Beni pubblici liberi (free goods): beni provvisti in natura, non soggetti né a scarsità né ad
esaurimento, quindi normalmente non oggetto di analisi economica (es, luce, l’aria)
• Beni pubblici “puri”: posseggono le due caratteristiche di N-R e N-E al 100% ma tipicamente non sono
disponibili in natura o sul mercato (la pace, la legge e la sicurezza, una sana gestione delle politiche
macroeconomiche)
• Beni pubblici “impuri”: quelli più frequenti nella realtà, che non posseggono le due caratteristiche di
non-rivalità e non escludibilità al 100%
• Club goods: tipo di bene pubblico impuro, non esauribile ma limitato nel consumo a cerchi ristrette
di soggetti
• Commons: beni di proprietà o uso comune che già esistono in natura ma il cui uso spesso comporta
rivalità (es, un terreno pascolabile a livello internazionale lo stock di risorse naturali è un global
common)
Il potere monopolistico come causa di fallimento di mercato
Ogni qualvolta i mercati sono imperfetti, sia che si tratti di monopolio o di qualche altra forma di concorrenza
imperfetta, BMG, non sarà uguale a CMGS, anche in assenza di esternalità. Prendiamo il caso del monopolio.
Un monopolista produce una quantità inferiore all’output socialmente efficiente (fig.). Come già noto, la sua
curva di domanda è decrescente, per cui il ricavo marginale è inferiore al ricavo medio, a sua volta uguale al
prezzo. Il profitto del monopolista è massimo quando il ricavo marginale uguaglia il costo marginale, quindi
in corrispondenza dell’output q1 e del prezzo P1 nella figura.
Ma poiché́ il prezzo è superiore al ricavo marginale, in
equilibrio il prezzo deve essere anche superiore al costo
marginale.
Se non ci sono esternalità̀, il prezzo coincide con il beneficio
marginale sociale e il costo marginale privato con quello sociale
e quindi l’output socialmente efficiente sarà q2, dove BMGS =
p = CMG. Poiché́ q2 > q1, il monopolista produce meno
dell’ottimo sociale.

Perdita di benessere sociale dovuta al monopolio


Surplus del consumatore e del produttore
Per analizzare la perdita di benessere associata al monopolio usiamo i concetti di surplus del consumatore e
del produttore. Il surplus netto del consumatore è il beneficio complessivo (o «utilità») derivante dal
consumo di un dato bene al netto della spesa totale. Il surplus del produttore è dato dal profitto. I due
concetti vengono illustrati nella figura nella quale è illustrata un’industria che può operare alternativamente
in concorrenza perfetta o in monopolio alle stesse condizioni di costo.
Surplus del consumatore
In concorrenza perfetta l’industria produrrà un output Qc al prezzo pc, dove CMG = p = RME, cioè si
posizionerà nel punto a. Come sappiamo, il surplus lordo del consumatore è dato dall’area sotto la curva di
domanda — la somma di tutte le aree da 1 a 7. Questo
perché ogni punto sulla curva di domanda indica
l’ammontare massimo che il consumatore è disposto a
pagare per ottenere quella data unità del bene, vale a dire
il beneficio marginale del consumo del bene
L’area sotto la curva di domanda quindi rappresenta il
totale di tutti questi benefici marginali, da un livello di
consumo nullo fino a Qc, cioè il beneficio totale di tutti i
consumatori. La spesa totale dei consumatori è pcQc (area
4+5+6+7).
Il surplus netto del consumatore si ottiene come differenza
tra il surplus lordo e la spesa totale: in altre parole, il
triangolo formato dall’area 1+2+3.
Surplus del produttore
Il surplus del produttore, o profitto, è la differenza tra il suo ricavo totale e il suo costo totale.
Il costo totale è l’area sotto la curva CMG, supponendo che non vi siano costi fissi (area 6+7).
Infatti ogni punto sulla curva del costo marginale indica quanto costa produrre l’ultima unità.
L’area sotto la curva CMG quindi mostra tutti i coti marginali dal punto in cui l’output è nullo fino a Qc, cioè
il costo totale. Il ricavo totale è uguale alla spesa dei consumatori e quindi uguale a PC QC (area 4+5+6+7). Il
surplus del produttore è quindi l’area tra il prezzo e la curva CMG (area 4+5).
Benessere sociale.
Il benessere sociale, che comprende sia il surplus del consumatore che quello del produttore, è l’area tra la
curva di domanda e la curva CMG, come indicato dall’area ombreggiata 1+2+3+4+5.

Effetti del monopolio sul benessere sociale


Cosa accade quando l’industria opera in regime di monopolio? L’impresa produce in corrispondenza del
livello di output per cui CMG = RMG, quindi Qm al prezzo pm; essa si posiziona nel punto b sulla curva di
domanda. Il ricavo totale è pmQm (area 2+4+6). Il costo totale è l’area sotto la curva CMG (area 6). Il surplus
del produttore, quindi, è dato dall’area 2+4. È chiaramente maggiore del surplus in concorrenza perfetta, dal
momento che l’area 2 è maggiore dell’area 5: i profitti di monopolio sono maggiori dei profitti di concorrenza
perfetta. Il surplus netto del consumatore, tuttavia, è molto minore. Con un consumo pari a Qm, il surplus
lordo dei consumatori è dato dall’area 1+2+4+6, mentre la spesa è data dall’area 2+4+6. Il surplus netto è
semplicemente la differenza tra le due aree, vale a dire
l’area 1. Mentre in concorrenza perfetta l’area
2 era parte del surplus netto del consumatore, in monopolio
essa è parte del profitto del monopolista.
Il benessere sociale in monopolio è quindi costituito dalle
aree 1+2+4 ed è inferiore rispetto al caso di concorrenza
perfetta. La monopolizzazione dell’industria ha generato
una perdita di benessere pari alle aree 3+5. Il guadagno del
produttore è inferiore alla perdita del consumatore. Tale
riduzione di benessere è detta perdita secca.
Per concludere, l’esistenza di imprese con potere di mercato
può anche generare vantaggi sociali, quali il migliore sfruttamento delle economie di scala e maggiori
investimenti in ricerca e sviluppo, che possono compensare la perdita netta di benessere appena descritto.
Sarebbe ideale per la società che le imprese fossero abbastanza grandi da poter beneficiare di economie di
scala, ma allo stesso tempo venissero persuase o indotte a non aumentare il prezzo rispetto al costo
marginale in assenza di esternalità, in modo da produrre nel punto in cui p = CMG

Altri fallimenti del mercato


Ignoranza e incertezza
In concorrenza perfetta, vi è una coscienza perfetta del mercato e delle scelte che bisogna prendere, non vi
è lo spazio per ignoranza e incertezza.
Alcuni beni di consumo durevole vengono acquistati poche volte nella vita. Le automobili, le lavatrici, i
televisori rientrano in questa categoria. Quando i consumatori non sono a conoscenza della qualità dei beni
prima dell’acquisto, si trovano in una posizione contrattuale di debolezza. In tal caso la pubblicità può anche
essere ingannevole, convincendo i consumatori del fatto che un dato bene abbia certi benefici che in realtà
non ha.
Molte decisioni economiche sono basate su aspettative di condizioni future.
Poiché il futuro non può mai essere noto con certezza, saranno prese molte decisioni che a posteriori
risulteranno sbagliate. In alcune situazioni è possibile ottenere informazioni attraverso il mercato. Esistono
agenzie che raccolgono e vendono informazioni. In tal caso bisogna decidere se conviene sostenere il costo
per ottenere l’informazione per assicurarsi i benefici legati all’informazione stessa. Purtroppo non sempre si
può giudicare l’affidabilità o la rilevanza dell’informazione che si acquista.
Immobilità dei fattori e inerzia
Anche in mercati di concorrenza perfetta i fattori produttivi potrebbero reagire con ritardo a variazioni della
domanda e dell’offerta. Il lavoro, ad esempio, potrebbe essere poco mobile, sia in termini geografici che tra
settori, dando luogo a situazioni di eccesso di domanda con salari elevati o di eccesso di offerta con la
creazione di extraprofitti. Potrebbe trascorrere molto tempo prima di arrivare all’equilibrio di lungo periodo.
E quindi possibile che l’economia si trovi in costante stato di disequilibrio.
Il problema dell’inerzia. Può volerci molto tempo perché gli individui reagiscano a variazioni del contesto
economico in cui operano. In tal caso l’economia può avere difficoltà a raggiungere l’efficienza sociale.
Protezione degli interessi individuali
1. Soggetti dipendenti da volontà altrui
Non sempre gli individui prendono personalmente le proprie decisioni economiche. Essi dipendono spesso
da decisioni altrui. I genitori decidono per i figli, ciascun partner per l’altro, gli adulti per gli anziani, i manager
per gli azionisti, ecc.
Il libero mercato risponderà a queste decisioni, siano esse buone o cattive, siano esse prese nell’interesse dei
soggetti dipendenti oppure no. Tuttavia, lo stato potrebbe considerare necessario offrire tutela a coloro che,
volenti o nolenti, dipendono dalle decisioni prese da altri in loro vece. Ad esempio, un manager prende delle
decisioni aziendale sbagliate, che inficiano negativamente sull’azienda stessa, come una chiusura della stessa,
comportando quindi un intervento dello stato per tutelare tutti gli individui che non hanno prese queste
scelte, ma i cui effetti negativi sono stati a loro discapito.
2. Il problema principale-agente
Nelle moderne economie complesse un individuo (il principale) può realizzare un certo obiettivo, o può
realizzarlo più facilmente, solo attraverso l’azione di un altro (l’agente). Ad esempio, se vogliamo andare in
vacanza, è più facile rivolgersi a un’agenzia di viaggi che non organizzarsi personalmente. Allo stesso modo,
se vogliamo acquistare una casa, conviene rivolgersi a un’agenzia immobiliare.
Spesso nelle grandi imprese si trova una catena complessa di relazioni principale-agente.
L’esempio classico è dato dalle grandi società̀ per azioni in cui, si sostiene, tende a esservi un conflitti di
interessi tra i proprietari dell’impresa (gli azionisti), che sono i principali, e coloro che la controllano (i
manager), che sono agenti degli azionisti. Dal momento che l’agente ha i propri obiettivi egoistici, non
necessariamente in linea con quelli del principale, anch’essi egoistici, queste relazioni presentano un pericolo
intrinseco per il principale: c’è informazione asimmetrica tra le due parti.
L’agente conosce particolari rilevanti dal punto di vista economico che il principale non conosce — e infatti,
è proprio la competenza specifica dell’agente che motiva il suo impiego.
Il pericolo dunque è che l’agente approfitti di tale vantaggio informativo per fare i propri interessi e non quelli
del principale. Ad esempio un agente mobiliare non ci dirà che la casa che stiamo comprando ha dei vicini
rumorosi, o che il proprietario della casa può accetare un prezzo più basso, un venditore di macchine usate
non ci dirà della storia di inaffidabilità della machina o di ruggine.
Cosa può fare il principale per ovviare al problema? Per risolverlo è necessaria la presenza di due elementi:
- il principale deve avere qualche strumento per controllare la performance dell’agente;
- l’agente deve avere l’incentivo ad agire nell’interesse del principale.
In un mercato concorrenziale, gli interessi dei manager e degli azionisti di solito coincidono.
I manager devono garantire l’efficienza dell’impresa per affrontare la concorrenza, altrimenti potrebbero
perdere il posto di lavoro. Tuttavia, in condizioni di monopolio o di oligopolio gli interessi degli azionisti e dei
manager possono essere contrapposti. Sarà dunque di interesse degli azionisti istituire meccanismi di
incentivo che assicurino che i loro agenti, i manager, perseguano l’obiettivo della massimizzazione del
profitto.
3. Decisioni economiche inappropriate
Lo stato potrebbe intervenire qualora ritenesse che gli individui debbano essere protetti dagli esiti
indesiderata delle proprie decisioni economiche. È possibile scoraggiare il fumo e il consumo di bevande
alcoliche, imponendo tasse sul tabacco e sull’alcol. In casi più̀ estremi, si possono combattere alcune attività̀,
come la prostituzione, alcuni tipi di gioco d’azzardo, la vendita e il consumo di droghe, dichiarandole illegali.
D’altra parte, lo stato può intervenire quando ritiene che gli individui consumino una quantità troppo bassa
di beni da cui trarrebbero benefici, come l’istruzione, l’assistenza sanitaria e le attività sportive. Tali beni sono
noti come beni di merito. Il governo li può fornire gratuitamente oppure ne può finanziare la produzione.

Intervento pubblico: tasse e sussidi


L’economia può solamente permettere di confrontare l’efficienza individuale e sociale, diversi strumenti per
raggiungere, attraverso determinati dati, tali obiettivi. Occorre che tali obiettivi siano chiaramente identificati
tramite un’accurata politica economica. Alcuni obiettivi, sono relativamente facili e altri molto più difficili
(benessere della comunità), l’economia tende a concentrarsi al raggiungimento di un cerchio ristretto di
obiettivi, facilmente misurabili, il pericolo implicito che alcuni economisti trascurino determinati obiettivi
importanti. Alcuni di essi possono anche andare in contrapposizione tra loro, il raggiungimento di uno può
comportare il sacrificio di un altro.
In che modo lo stato può far fronte ai fallimenti del mercato?
A un estremo, può sostituirsi completamente al mercato, fornendo direttamente beni e servizi.
Indurre i soggetti privati, quali i produttori, i consumatori o i lavoratori, a comportarsi in un certo modo,
ricorrendo a tasse, sussidi, leggi e autorità di regolamentazione. Esaminiamo ora queste forme di intervento
pubblico.
Differenza tra tassa, imposta e sussidio:
La tassa e l’imposta sono dei tributi, che devono essere pagati allo stato.
La tassa è una somma in denaro dovuti dai privati allo stato, esempio tassa per la scuola, per l’occupazione
del suolo pubblico, è applicata secondo il principio di controprestazione, cosa che la differenzia dall’imposta,
cioè è legata ad un pagamento dovuto come corrispettivo per la prestazione a suo favore di un servizio
pubblico offerto, (tasse portuali, tasse aereoportuali), la tassa è quindi relativo a un servizio al quale il
cittadino può decidere di avvalersi o meno e in generale è indipendente dal reddito e dal costo del servizio,
generalmente viene utilizzato per indicare l’imposizione fiscale ma sarebbe più corretto usare il termine
tributi.
L’imposta, invece, è un tributo caratterizzato da un prelievo coattivo di ricchezza, dal cittadino contribuente,
non connesso a una specifica prestazione da parte dello stato, subisce l’applicazione dei tributi in virtù del
patrimonio personale, in base alla sua capacità contributiva. (Irpef, tassa sul reddito personale, Ires, imposta
sul reddito delle società, Imu, imposta municipale.)
Sussidi, sono sovvenzioni in denaro a cui lo stato provvede con degli assegni erogati sotto forma di
restituzione dell’imposta sul reddito
L’uso di tasse e sussidi
Tali strumenti hanno due effetti principali:
a) Promuovono un più elevato benessere sociale modificando il livello e/o la composizione di produzione e
consumo;
b) Permettono una redistribuzione del reddito.
Concentriamoci qui sul primo obiettivo, lasciando invece a corsi più specialistici lo studio del secondo.
La presenza di imperfezioni nei mercati impedisce la massimizzazione del benessere sociale: il beneficio
marginale sociale (BMGS,) non uguaglia il costo marginale sociale (CMGS).
Ne risulta che, dal punto di vista sociale, occorre modificare il livello di output. È possibile utilizzare tasse e
sussidi per correggere queste imperfezioni, seguendo essenzialmente il seguente approccio: prevedere
l’imposizione di tasse sui beni prodotti in quantità eccessiva e quella di sussidi.
Tasse e sussidi per correggere le esternalità
Per correggere l’esternalità lo stato deve imporre una tassa uguale alla differenza tra costo marginale sociale
e costo marginale privato, ovvero accordare un sussidio uguale alla differenza tra beneficio marginale sociale
e beneficio marginale privato.
Se, ad esempio, un’azienda chimica emette fumi nocivi, inquinando in tal modo l’atmosfera, essa genera
un’esternalità negativa per chi respira quei fumi. Il costo marginale sociale della produzione chimica eccede
quindi il costo marginale privato per l’impresa: CMGS>CMG.
Questo caso è illustrato nella figura. Il costo
marginale dell’inquinamento (l’esternalità) è
dato dalla distanza verticale tra le curve CMG e
CMGS.
Per semplicità̀, si assume che l’impresa sia price-
taker e che dunque produca q1 dove p = CMG
(l’output che massimizza il suo profitto); in tal
modo essa però non tiene conto del costo
dell’inquinamento che impone alla società.
Imponendo una tassa t per ogni unità prodotta
pari al costo marginale dell’inquinamento
imposto sulla società, lo stato riesce a
internalizzare efficacemente l’esternalità.
L’impresa dovrà pagare una somma pari al danno sociale dovuto all’esternalità negativa che genera.
Essa ora sceglierà di produrre la quantità q2, vale a dire l’output socialmente ottimo in corrispondenza del
quale BMGS=CMGS, Questo tipo di tassa è nota come tassa di Pigou.

Tasse e sussidi per correggere il monopolio


Imporre una tassa in somma fissa sul monopolista, vale a dire una tassa indipendente dalla quantità prodotta
o dal prezzo praticato. Una tassa in somma fissa, a differenza di una tassa proporzionale alla quantità
prodotta (tassa specifica) o al ricavo dell’impresa (tassa ad valorem), provoca un aumento dei costi fissi
dell’impresa e, di conseguenza, non influisce sul suo costo marginale e sulla quantità prodotta dal
monopolista. Dato che il monopolista produce una quantità inferiore all’output socialmente efficiente, lo
stato dovrebbe concedergli un sussidio specifico, in modo da incoraggiare una maggiore produzione.
Tuttavia, per evitare un ulteriore aumento dei profitti del monopolista, si potrebbe accompagnare il sussidio
specifico con una tassa in somma fissa. In tal modo viene corretta la distorsione sulla quantità prodotta
dovuta al monopolio, senza però provocare un contestuale aumento dei profitti del monopolista.
Vantaggi di tasse e sussidi
Tale soluzione, infatti, costringe le imprese a internalizzare i costi sociali delle proprie attività. Inoltre
presenta anche il vantaggio di essere flessibile e rapidamente aggiustabile secondo la dimensione del
problema: quanto maggiore è la differenza tra costo marginale sociale e costo marginale privato, tanto
maggiore sarà l’ammontare della tassa.
Tale sistema ha anche il pregio di indurre comportamenti desiderabili nel lungo periodo.
La tassa agisce anche come incentivo a ridurre l’inquinamento nel lungo periodo: quanto più l’impresa riesce
a ridurre l’inquinamento che genera, tanto minore sarà l’ammontare di tasse che dovrà pagare. Allo stesso
modo, quando lo stato sussidia attività che danno luogo a esternalità positive, le imprese hanno incentivo ad
aumentarne il livello.
Svantaggi di tasse e sussidi
Impossibilità di imporre tasse o sussidi diversi.
Ogni impresa produce diversi tipi e livelli di esternalità e opera in presenza di diversi gradi di concorrenza
imperfetta. Dal punto di vista amministrativo sarebbe molto difficile e costoso, se non addirittura impossibile,
imporre a ciascuna impresa la sua aliquota specifica particolare (o concedere un particolare sussidio
specifico). Anche nel caso dell’inquinamento, sarebbe necessario utilizzare diverse aliquote per ciascuna
impresa che inquina, quando è possibile misurarne le emissioni, differenziate anche in base alla capacità
dell’impresa di assorbire l’inquinamento senza scaricarlo all’esterno e al numero di persone danneggiate.
L’uso congiunto di tasse in somma fissa e di sussidi specifici al fine di correggere le distorsioni del monopolio
su quantità prodotta e profitti il più delle volte risulta impraticabile.
Difficoltà nel determinare tasse e sussidi.
Se ci fossero due aziende
Anche se lo stato decidesse di imporre una tassa diversa da impresa a impresa uguale al suo costo marginale
esterno, sarebbe comunque difficile misurare tali costi e accertare la responsabilità della singola impresa. Il
danno causato dalle piogge acide a laghi e foreste ha destato preoccupazione sin dall’inizio degli anni ottanta.
Ma quanto grave è tale danno e quanto durano i suoi effetti? Qual è il suo costo monetario effettivo? Chi
sono i responsabili? A queste domande è necessario rispondere con precisione

Intervento pubblico: leggi e regolamentazioni


Leggi che vietano o che regolamentano situazioni o comportamenti non desiderabili
Spesso le leggi sono utilizzate per correggere le imperfezioni del mercato. Tali leggi sono principalmente di
tre tipi:
- leggi che proibiscono o regolamentano comportamenti che generano esternalità negative,
- leggi che scoraggiano le imprese dal fornire informazioni false o fuorvianti, antitrust, contro le fake news.
- leggi che regolamentano monopoli e oligopoli o che ne impediscono la costituzione
Vantaggi delle restrizioni legali
• Sono solitamente semplici, di facile comprensione e spesso relativamente facili da amministrare. In questo
modo, ad esempio, è possibile vietare o limitare numerose attività inquinanti.
• Quando si ritiene che il pericolo legato a una serie di comportamenti (ad esempio, l’uso di diversi composti
chimici inquinanti) sia molto serio, o quando la sua entità non è ancora nota, potrebbe essere molto più
sicuro vietarli per legge invece di ricorrere alla tassazione.
• Quando è necessario decidere in fretta si può realizzare un piano di emergenza.
Ad esempio, in una città come Atene è stato ritenuto più semplice vietare o limitare l’uso di automobili
private durante i periodi di emergenza da inquinamento da smog che tassarne l’uso. (Esempio quarantena)
• Dal momento che i consumatori, che hanno un’informazione incompleta, sono contrattualmente deboli, le
leggi che li proteggono possono rendere illegale la vendita di prodotti non sicuri o di scarsa qualità, o la
pubblicità ingannevole. (Esempio delle mascherine a 50 centesimi)
Svantaggi delle restrizioni legali
Il problema principale è che le restrizioni legali tendono ad essere armi piuttosto deboli senza un meccanismo
che assicuri l’osservanza delle norme. Se, ad esempio, un’impresa fosse costretta a ridurre gli scarichi di un
composto chimico inquinante in misura pari a 20 tonnellate la settimana, essa non avrebbe alcun incentivo
a farlo, a meno che non vi sia un’autorità di controllo che applichi forti penalità in caso di inosservanza. Al
contrario, se viene imposta una tassa sugli scarichi, quanto più l’impresa riduce le emissioni, tanto meno
tasse dovrà pagare. (Esempio dell’autocertificazione)
La tassazione specifica genera quindi un incentivo continuo a ridurre l’inquinamento e a migliorare la
sicurezza della tecnologia.
Istituzioni preposte alla regolamentazione
L’istituzione di agenzie di regolamentazione.
Una volta identificati i possibili casi di intervento (ad esempio, potenziali casi di inquinamento, di informazioni
ingannevoli o di abuso di potere monopolistico), l’autorità di regolamentazione dovrebbe condurre
un’inchiesta e preparare una relazione con i risultati ottenuti dall’indagine e le sue proposte di intervento.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è stata istituita in Italia nel 1990 e si occupa di indagare i
casi di violazione della concorrenza, nella forma di intese, abusi di posizione dominante, concentrazioni e
pubblicità ingannevole. Il vantaggio delle autorità di regolamentazione rispetto alle restrizioni legali è che le
prime sono in grado di applicare la filosofia del caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche,
con il risultato che può essere individuata più facilmente la soluzione appropriata. I problemi di questo
approccio, tuttavia, sono che:
a) Le indagini possono essere costose e richiedere molto tempo;
b) Solo pochi casi possono essere esaminati con il necessario approfondimento;
c) Le imprese incriminate possono promettere di tenere un comportamento corretto senza che l’istituto di
regolamentazione possa effettivamente controllare l’implementazione delle restrizioni comminate.
Altre forme di intervento pubblico
Estendere il contenuto del diritto di proprietà
Il diritto di proprietà definisce chi ha la proprietà, gli usi che si possono fare di un particolare bene, i diritti
altrui e le modalità di trasferimento. Estendendo il contenuto di tale diritto, è possibile impedire che altri
impongano costi aggiuntivi al proprietario, o obbligarli a indennizzarlo se lo fanno.
Tuttavia, in molti casi questo tipo di soluzione è del tutto impraticabile. Lo è quando gli individui colpiti sono
molti e subiscono un leggero svantaggio, specialmente se i costi indesiderati vengono imposti da un gruppo
numeroso di persone. Ad esempio, se fossi disturbato da camion rumorosi che passano vicino casa, non
sarebbe possibile negoziare con ciascuna compagnia di trasporti coinvolta. Cosa potrei fare se volessi
impedire che i camion passino lungo la strada dove abito, ma il mio vicino preferisse far pagare loro un
pedaggio?
L’estensione del diritto di proprietà diventa una soluzione praticabile quando le persone che impongono costi
sono poche, facilmente identificabili e responsabili di costi sociali ben definiti. In questo modo potrebbe
essere approvata una legge in materia di riduzione dell’inquinamento acustico che mi permetta di impedire
ai vicini di ascoltare radio ad alto volume, di organizzare feste rumorose o di turbare in altri modi la quiete
della mia casa. Dovrei essere io, parte lesa, a denunciare questi reati all’autorità competente; potrei
rinunciare a sporgere denuncia qualora mi venga offerta un’adeguata compensazione. Ma anche in casi in
cui sono coinvolte poche persone potrebbe presentarsi il problema dell’azione legale. La parte lesa che ha
l’onere della prova deve sostenere costi e dedicare tempo per intraprendere l’azione legale, e poiché
quest’ultima non è gratuita, chi è ricco si trova in posizione avvantaggiata, anche perché può ingaggiare i
migliori avvocati. Quindi, anche se ho il diritto di citare in giudizio un’impresa di grandi dimensioni che scarica
rifiu3 tossici vicino a casa mia, potrei non avere i mezzi per vincere la causa.
Si pone infine la questione dell’equità. L’estensione del diritto di proprietà privata può favorire le persone
più̀ ricche (che tendono ad avere più proprietà̀) a spese di quelle povere, Il proprietario di una tenuta di
campagna potrebbe non gradire che vi passino degli estranei; tuttavia, un’eventuale estensione dei diritti di
proprietà in modo da escludere il loro passaggio determina effettivamente un incremento del benessere
sociale?
È certamente possibile risolvere le questioni di equità modificando il contenuto del diritto di proprietà, ma
in modo diverso rispetto a quanto finora indicato. Si potrebbero estendere proprietà pubbliche come parchi,
spazi aperti, biblioteche ed edifici storici. La proprietà dei ricchi potrebbe essere redistribuita ai poveri, in
qual caso la questione non riguarderebbe tanto i diritti che la proprietà conferisce, quanto piuttosto la
variazione della proprietà stessa.
Maggiore informazione
Quando il fallimento del mercato è dovuto a un’asimmetria informativa, la fornitura diretta di informazioni
da parte del governo o di un‘agenzia pubblica può correggere tale distorsione. Altri esempi sono costituiti
dalle informazioni fornite ai consumatori — ad esempio, sugli effetti del fumo o sull’assunzione di alcuni
alimenti — o anche le statistiche ufficiali su prezzi, costi, occupazione, andamento delle vendite, ecc., che
consentono alle imprese di pianificare l’attività con maggior certezza.
Fornitura diretta di beni e servizi
Per quanto riguarda beni e servizi pubblici, come strade, marciapiedi, illuminazione pubblica e difesa
nazionale, il mercato può fallire completamente e non garantirne affatto la fornitura. In questo caso lo stato,
gli enti locali o le agenzie pubbliche dovrebbero assumersi l’incarico di fornire direttamente tali beni ai
cittadini, oppure pagare imprese private per farlo al posto loro. I cittadini pagherebbero l’utilizzo di tali beni
o servizi attraverso l’imposizione fiscale, a livello sia centrale che locale. Ma in che quantità̀ dovrebbero
essere forniti i beni pubblici? Come si può identificare il livello di domanda pubblica o di pubblico bisogno? I
consumatori dovrebbero pagare interamente quanto consumato?
Analizziamo il caso di un bene pubblico puro: una volta che questo viene fornito, il costo marginale di ogni
unità aggiuntiva è nullo.
Prendiamo l’esempio di un faro: una volta costruito e funzionante, non bisogna sostenere alcun costo per
permettere a una nave in più di beneficiarne. Anche se fosse possibile far pagare alle navi ciascun passaggio,
non sarebbe comunque socialmente desiderabile. Se non vi sono esternalità negative collegate al passaggio
di una nave, infatti, il costo marginale sociale è zero.
Quindi BMGS = CMGS in corrispondenza di un prezzo uguale a zero. Zero è quindi il prezzo socialmente
efficiente.
Come ci si dovrebbe regolare nel caso della costruzione di un nuovo bene pubblico, come una nuova strada
o un nuovo faro? Come fa lo stato a prendere una decisione razionale? In questo caso il costo marginale non
è zero: nuove strade e nuovi fari richiedono denaro per essere costruiti. La soluzione è identificare tutti i costi
e benefici del progetto per la società ed effettuarne una valutazione complessiva. Questo metodo è noto
come analisi costi-benefici.
Esso viene impiegato per valutare la desiderabilità di molti progetti pubblici. Se i benefici sociali del progetto
eccedono i costi sociali, allora la sua realizzazione aumenta il benessere sociale. Lo stato, però, potrebbe
decidere di fornire direttamente anche beni e servizi che non sono beni pubblici puri (ad esempio, la sanità
e l’istruzione).
Più o meno intervento pubblico?
L’intervento pubblico per rimediare ai fallimenti del mercato può a sua volta creare dei problemi. Il non
intervento («laissez faire») o un intervento molto limitato non sono giustificati dalla fiducia nel mercato, ma
piuttosto dal fatto che i problemi generati dall’intervento pubblico in genere sono maggiori dei problemi che
esso vuole risolvere.
Effetti negativi dell’intervento pubblico
Eccessi di domanda ed eccessi di offerta. Intervenendo per fissare i prezzi a livelli diversi da quelli di equilibrio,
lo stato crea eccessi di domanda o di offerta. Se il prezzo viene fissato al di sotto del livello di equilibrio, ci
sarà un eccesso di domanda. E molto probabile che in queste situazioni si formi il mercato nero. Se invece il
prezzo è fissato a un livello superiore all’equilibrio, ci sarà un eccesso di offerta. Ad esempio, se il prezzo di
generi alimentari è superiore al livello di equilibrio per sostenere i redditi degli agricoltori, l’offerta eccederà
la domanda. Il governo allora potrebbe decidere di comprare l’eccedenza, di venderla a prezzo inferiore su
un altro mercato o di adottare una politica delle scorte; alternativamente potrà razionare i produttori
consentendo loro di produrre solo una data quota.
Scarsa informazione. Lo stato può non conoscere tutti i costi e i benefici delle sue politiche. Burocrazia e
inefficienza. L’intervento dello stato genera costi amministrativi.
Mancanza di incentivi di mercato. Se l’intervento pubblico indebolisce le forze di mercato o ne limita gli
effetti (attraverso sussidi, prezzi o salari garantiti, ecc.), può altresì rimuovere utili incentivi.
Variazioni della politica pubblica. Variazioni troppo frequenti delle modalità d’intervento pubblico
nell’economia possono danneggiare le industrie. Infatti, è difficile per le imprese pianificare la propria attività
senza poter prevedere le aliquote, i sussidi, i prezzi, i salari minimi, ecc.
Assenza di libertà individuale. L’intervento dello stato riduce la libertà degli individui nel prendere decisioni
economiche.
Vantaggi del libero mercato
Aggiustamenti automatici. L’intervento dello stato richiede un apparato amministrativo. Al contrario,
un’economia di mercato dà luogo ad aggiustamenti automatici, sebbene imperfetti, in seguito a variazioni
della domanda e dell’offerta.
Vantaggi dinamici del capitalismo. La possibilità̀ di ottenere elevati profitti di monopolio o di oligopolio
incoraggerà i capitalisti a investire in nuovi prodotti e in nuove tecniche di produzione. All’inizio i prezzi
potrebbero essere elevati, ma i consumatori trarranno beneficio dalla vasta scelta di prodotti. In più, se i
profitti sono consistenti, nel mercato prima o poi entreranno nuove imprese, dando luogo a
un’intensificazione della concorrenza.
Un elevato grado di concorrenza anche in monopolio e oligopolio. Anche se a prima vista un’industria sembra
essere altamente monopolistica, alcune pressioni concorrenziali possono operare come risultato dei seguenti
fattori:
- Il timore che profitti eccessivamente elevati possano incoraggiare nuove imprese a entrare nell’industria
(ipotizzando che il mercato sia contendibile);
- concorrenza da parte di industrie strettamente collegate (ad esempio, trasporto su strada e trasporto su
rotaia, elettricità e gas);
- la minaccia di concorrenza dall’estero;
- l’equilibrio dei poteri di mercato. Spesso produttori grandi e potenti vendono ad acquirenti altrettanto
grandi e potenti
- la concorrenza per il controllo dell’impresa sui mercati finanziari.
Questo dibattito tra intervento privato o no è sempre stato molto dibattuto.

Sistema di impresa
Un’impresa può essere sia offerente che consumatore nel mercato, offerente per i servizi che offre nel
mercato e consumatrice perché compra ciò che gli serve per il suo settore produttivo.
Imprenditore è colui che pensa a qualcosa di nuovo, riconosce un’opportunità commerciale e crea (anche)
un’organizzazione per perseguirla. Si assume un rischio, a fronte del quale vuole garantirsi un profitto!
Vanno presi in considerazione più ambiti da parte del board, che prende decisoni nel contesto aziendale, che
sono:
• Strategia aziendale, quali sono le strategie aziendali e di gestione
• Organizzazione aziendale, gestione d’Impresa, come organizzare internamente e esternamente
l’azienda
• Gestione della produzione
• Programmazione e controllo di gestione delle grandezze economico-finanziarie
L’impresa è un istituto economico,
ovvero si caratterizza per lo
svolgimento di un’attività economica,
intesa come un insieme delle
operazioni necessarie a produrre e
rendere disponibili beni economici,
ossia oggetti materiali o servizi che
risultano scarsi, in relazione alle
esigenze da soddisfare.
Entità che trasforma fattori produttivi
(input) in beni e servizi (output) al fine
di ricavarne un reddito positivo.
Impresa come complesso organizzato di beni e persone – dotato di proprie regole, autonomia e finalità –
che, attraverso l’acquisizione e l’impiego di risorse di varia natura effettua la produzione o la fornitura di
determinati beni o servizi.
L’ammontare di tali beni e servizi è determinato in relazione alla domanda che ne farà il mercato ed all’offerta
di altre imprese. Occorre poi sottolineare come la quantità di prodotto da realizzare in un determinato
periodo di tempo viene stabilita dall’impresa attraverso delle previsioni, ossia operando una stima della
quantità di prodotto che, nel periodo di riferimento, verrà richiesta dal mercato. Queste stime si ottengono
dalle analisi di mercato.
Il processo di trasformazione è l’elemento cardine dell’impresa rispetto ad altre organizzazioni, ma non
costituisce il suo fine ultimo, bensì il mezzo attraverso il quale l’impresa si prefigge di ottenere risultati
economici soddisfacenti, ossia un reddito positivo, a fronte del rischio intrinseco che sopporta per acquisire
fattori produttivi sui mercati di approvvigionamento, trasformarli in prodotti finiti e venderli sul mercato di
sbocco (dove per reddito si intende la differenza tra i ricavi conseguiti dall’impresa dalla vendita dei suoi
prodotti/servizi ed i costi sostenuti per acquisire e trasformare i fattori produttivi). Se tale reddito è positivo
(si parla in tal caso di profitto o utile) sarà possibile per l’imprenditore (o, più in generale, per tutti coloro che
hanno messo a disposizione parte dei loro capitali per la realizzazione dell’impresa) ottenere una
remunerazione del capitale investito. L’entità di tale remunerazione dipenderà dal valore del profitto
ottenuto. Ovviamente, in caso di reddito aziendale negativo (si parla in tal caso di perdita) non ci sarà alcuna
possibilità di remunerazione del capitale investito nell’impresa.
Il mercato, ricordiamolo, è il punto di incontro tra domanda e offerta di determinati beni e servizi, come
luogo di opportunità tra chi offre e domanda, come luogo di comunicazione di prezzi e quantità fra
compratori e venditori e come una rete di infrastrutture tecniche di comunicazione.
Nel breve periodo, ossia nell’arco di tempo corrispondente ad 1 anno, il tipico obiettivo di un’impresa è quello
di ottenere un soddisfacente profitto (differenza tra ricavi totali e costi totali).
Nel lungo periodo, ossia nell’arco di tempo corrispondente a 3-5 anni, l’impresa si pone tipicamente obiettivi
di sviluppo, come ad esempio:
• Aumentare la propria quota di mercato (data dal rapporto tra le vendite dell’impresa, in un determinato
periodo, e le vendite, nello stesso periodo, relative al totale del mercato);
• Diversificare i prodotti/servizi offerti;
• Ampliare i propri mercati;
• Migliorare la qualità dei prodotti/servizi offerti, etc.
Sintetizzando, si può dire che nel lungo periodo l’impresa si pone l’obiettivo di perpetuare la capacità di
ottenere livelli di profitto soddisfacenti. Obiettivi di breve e di lungo periodo possono talvolta essere
parzialmente conflittuali tra loro. Ad esempio investimenti per interventi di innovazione tecnologica
finalizzati a migliorare la qualità dei prodotti e quindi a rafforzare la competitività dell’impresa nel lungo
periodo, comportano, nel breve periodo, esborsi monetari che potrebbero limitare il profitto dell’impresa.
Uno dei compiti più difficili del management aziendale è pertanto quello di riuscire a coniugare obiettivi di
breve e di lungo periodo, ossia soddisfacente livello di profitto nel breve periodo e soddisfacenti tassi di
sviluppo dell’impresa nel lungo periodo.
L’impresa può essere considerata come sede di due rilevanti macro-processi
a) Un processo di tipo tecnico-
commerciale, comprendente
tutte le fasi relative
all’acquisizione dei fattori
produttivi, alla produzione ed
alla vendita di determinati beni e
servizi;
b) Un processo di tipo
economico-finanziario relativo
alle attività finalizzate, da un lato
all’acquisizione delle risorse
finanziarie necessarie per
realizzare il processo tecnico-
commerciale e, dall’altro, al
controllo delle prestazioni economico-finanziarie dell’impresa, ossia alla continua verifica nel tempo
dell’allineamento tra gli obiettivi economico-finanziari da raggiungere ed i risultati effettivamente conseguiti
dall’operatività aziendale.
L’impresa come una gerarchia di sistemi di trasformazione
Per Operations Management si intende la progettazione sistematica, l’implementazione e il miglioramento
continuo dell’insieme dei processi aziendali atti a creare e distribuire i prodotti e servizi. Quindi, come insieme
le diverse operatività dell’impresa per essere efficiente e efficace.
Human Resource Management (HRM) si intende la gestione delle risorse umane, dei dipendenti.
Il TQM (Total Quality Management) è un approccio manageriale centrato sulla qualità e basato sulla
partecipazione di tutti i membri di un'organizzazione allo scopo di ottenere un successo di lungo termine
attraverso la soddisfazione del cliente e benefici che vadano a vantaggio dei lavoratori e della società.
Quali sono le sue caratteristiche?
Forte orientamento verso il cliente, un metodo basato sull’impegno a lungo termine per un miglioramento
constante dei processi, una forte leadership della direzione, accompagnato dal coinvolgimento
nell’applicazione della metodologia, responsabilità di stabilire e migliorare il sistema demandato al top
management e un miglioramento di continuo delle performance a tutti i livelli e a tutte le aree aziendali

Impresa e Ambiente
L’impresa nelle sue attività interagisce in diverso modo con l’ambiente esterno.
L’ambiente esterno di un’impresa può essere distinto in:
Ambiente generale (General business environment): ambiente fisico (risorse naturali), istituzionale
(istituzioni, leggi, ordinamenti,) tecnologico (insieme conoscenze), culturale, ecc.
Ambiente specifico (Task business environment): concorrenti, clienti, fornitori, finanziatori, ecc.
Componente di un sistema molto più articolato e complesso, il sistema economico-finanziario, che opera in
stretta interdipendenza con altre componenti nell’ambito di tale sistema
• Essa utilizza come input i beni e servizi provenienti da altre imprese del sistema (es. Brembo vende i suoi
impianti frenanti a Mercedes che li impiega nel suo processo di produzione di automobili) …
• …e vende il suo output, formato da un portafoglio (cioè tutto quello che l’azienda può offrire) più o meno
ampio di beni e servizi, ad altre imprese, alla pubblica amministrazione o ai consumatori finali.

L’impresa interagisce con l’ambiente esterno attraverso legami di diversa natura quali ad esempio legami
legali/amministrativi (leggi e regolamenti relativi alla localizzazione delle attività produttive, alla sicurezza sul
lavoro, agli adempimenti amministrativi e fiscali, etc.), legami sociali (relativi alle relazioni tra l’impresa ed i
gruppi sociali con i quali essa entra in contatto: concorrenti, clienti, sindacati, pubblica amministrazione, enti
pubblici, etc.), legami economici, quelli relativi allo scambio economico con il mercato delle risorse (o fattori
di produzione) e quelli relativi al mercato di sbocco, nel quale l’impresa colloca i propri prodotti.

Quali sono i soggetti nell’impresa?


Classificazione
- Imprenditore, soci /azionisti (shareholders): esprimono il governo dell’impresa
- Amministratori (management): esprimono la gestione dell’impresa
- Stakeholders: tutti gli individui che hanno un interesse di qualsiasi tipo nell’impresa:
• Prestatori di lavoro
• Finanziatori esterni (es. banche)
• Clienti
• Fornitori
• Pubblica Amministrazione (Stato ed enti locali)
• Comunità sociale (locale e globale)
Trend correnti
- Aumento della delega di governo, il manager ha sempre più deleghe di governo all’interno dell’azienda
- Crescita del peso degli
stakeholders, ci sono sempre
più attori che devono essere
presi in considerazione

L’impresa si mantiene nel


tempo solo se è in grado di
remunerare i fattori (detti
anche risorse) che impiega nel
processo produttivo.
Il capitale proprio è il
cosiddetto capitale di
proprietà, che costituisce i
finanziamenti interni, è
formato dai mezzi finanziari
apportati direttamente dall’imprenditore nel caso di un’impresa individuale, o dai soci, nel caso di una
società. Esso rimane nell’impresa, per tutta la sua vita, a volte può accadere che esso sia restituito si soci
perché ritenuto eccessivo per gli obiettivi dell’impresa, però questo accade raramente. Il rimborso del
capitale proprio è solo eventuale, infatti, al termine della vita dell’impresa, venduti tutti i beni dell’azienda
(non stiamo considerando il fallimento), incassati i crediti e pagati tutti i debiti, le risorse ottenute da tutto
questo sarà diviso opportunamente fra tutti i vari soci, per questo si dice che il capitale proprio è a pieno
rischio.
Il capitale di terzi è detto capitale di prestito, costituisce i finanziamenti esterni, provengono da soggetti
estranei all’impresa. Queste somme rappresentano per l’azienda dei debiti, devono essere restituiti, più
l’interesse concordato a prescindere dal risultato economico raggiunto dall’impresa. La remunerazione del
capitale di terzi è certa. Possono essere suddivisi in base alla loro scadenza:
• A breve termine, entro 12 mesi
• A medio termine, tra 1 e 5 anni
• A lungo termine, più di 5 anni
Il capitale di impresa è soggetto al rischio di impresa solo indirettamente, è sempre previsto il rimborso alla
scadenza, tuttavia se l’impresa è in difficoltà potrebbe arrivare a non essere in grado di pagare e restituire
le somme ai creditori, però tendenzialmente è un capitale sicuro

Quali sono gli obiettivi dell’impresa?


• Profitto: remunerazione del capitale proprio (soci)
- Ricavi (scambio con il mercato) - Costi (remunerazione dei fattori)
- Profitto normale ed extraprofitto (premio per il rischio e l’organizzazione dei fattori)
- ROE: profitto / capitale proprio.
Il ROE, tra tutti gli indici di bilancio, è il migliore rappresentate della renditività dell’azienda. Quando si è alla
ricerca di una società su cui investire, della salute di un’impresa, occorre valutare quali realtà riescono
generare profitto e quali lo distruggono, il ROE è lo strumento ideale per valutare il miglior investimento in
tema di profitto e permette di confrontare diverse realtà appartenenti allo stesso settore. Indica in
percentuale quanto profitto è stato generato in base al denaro investito sul capitale.
Valori del ROE
• > 0 Viene generata ricchezza
• = 0 Non viene né creata né distrutta ricchezza
• < 0 La società è in perdita
Dal ROE dipende il vantaggio competitivo
• Teoria classica: max profitto (R-C; ottica di breve termine)
• Teoria del valore: max valore dell’impresa
- Valore = Integrale dei profitti nel lungo termine
- Il valore riassume le prospettive di crescita, la posizione competitiva ecc
- Il valore è la sintesi degli interessi di shareholders e stakeholders

Come si finanzia l’impresa?


• L’impresa finanzia le sue attività con il capitale degli azionisti ossia i proprietari dell’impresa (i c.d. mezzi
propri) e con altre fonti di finanziamento esterne (i c.d. mezzi di terzi)

Criteri di classificazione delle imprese


Le imprese possono essere classificate secondo numerosi criteri, ad esempio:
a) In base all’oggetto di produzione: manifatturiere (produzione beni tangibili) vs servizi (banche,
assicurazioni, trasporti etc.)
b) In base al settore di attività: settore industriale in cui opera l’impresa = settore alimentare, tessile,
chimico, elettronico, edile
c) In base alle dimensioni: dipende da fatturati, capitale totale investito ed al numero di addetti impiegati:
micro, piccole, medie, grandi
d) In base alla tipologia di processo produttivo: si rimanda ad operations management, composto da più
stadi
e) In base al soggetto giuridico ed ai meccanismi di governance prevalentemente privati o prevalentemente
pubblici [che costituisce il soggetto di diritto (ossia responsabile nei confronti della Legge) al quale fanno
capo i rapporti giuridici tra l’impresa e di cosiddetti terzi (clienti, fornitori, dipendenti, etc). Il soggetto
giuridico stabilisce dunque le responsabilità dei proprietari dell’impresa nei confronti dell’impresa stessa e
dei terzi (creditori, fisco, etc.)]

Tipologie di impresa dal punto di vista giuridico


• Perché sia riconosciuta all’esterno, è necessario che l’impresa abbia una propria identità giuridica, ossia un
contratto che definisca i diritti e gli obblighi della società verso terzi.
• Secondo le norme del codice civile le imprese possono avere o meno personalità giuridica, ossia possono o
meno essere giuridicamente autonome rispetto alle persone dei suoi proprietari.

Imprese individuali
Sono imprese riconducibili ad un unico imprenditore-proprietario, che è illimitatamente responsabile nei
confronti dei debiti e degli obblighi assunti dall’impresa
Se l’impresa fallisce o viene liquidata e non è in grado con il suo patrimonio di far fronte ai propri impegni -
pagare i fornitori, rimborsare il debito, … - allora il proprietario deve sopperire con il proprio patrimonio
personale

Società di persone
Sono imprese costituite da più individui per le quali vige (come per le imprese individuali) il vincolo della
responsabilità patrimoniale illimitata
- Possono assumere varie forme
• Società in nome collettivo (S.n.c.). È disciplinata dall’articolo 2291 al 2312 del codice civile, è per
definizione si riferisce al modello base per avviare un esercizio di un’attività commerciale.
In base al fatto che tale società sia inscritta o meno al registro delle imprese, essa può essere di due
tipi, regolare o irregolare. L’iscrizione è in genere un obbligo di legge. La sua ragione sociale deve
contenere almeno il nome di uno dei due soci e l’indicazione del rapporto.
Il fallimento della società in nome collettivo comporta il fallimento di tutti i soci, sono tutti
illimitatamente e solidalmente responsabili l’uno dell’altro e di loro stessi. Non delibera assemblee,
ma attraverso il consenso dell’altro socio, tutti i soci sono amministratori
• Società in accomandata semplice (S.a.s.).
Per definizione è quel tipo di società alla quale viene riconosciuta la facoltà di esercitare attività
commerciali e non commerciali e la sua disciplina è dall’Art 2313 al 2324 del codice civile.
Due tipologie di soci: accomandanti, accomandatari.
Gli accomandanti: rispondono delle obbligazioni contratte solo nei limiti delle quote da essi conferiti,
è un’anomalia delle società di persone, ad essi non spetta l’amministrazione.
Gli accomandatario: rispondono dei debiti delle società di persone solidalmente e illimitatamente,
ad essi spetta l’amministrazione. La sua ragione sociale deve contenere, nella S.a.s. almeno un nome
di un socio

accomandatario.
• Società semplice (S.s.), società più semplice in assoluto, di forma basilare, può occuparsi dello
svolgimento di un’attività economica ma non commerciale (agricole). Nonostante questo deve
essere inscritta nel registro delle imprese, non è previsto nessun capitale minimo

Società di capitali
Sono imprese che godono dello status di persona giuridica, cioè di soggetto giuridico separato da quello dei
proprietari
In questo senso, le società di capitali godono dell’istituto della responsabilità limitata e cioè rispondono delle
obbligazioni assunte solo ed esclusivamente nei limiti del proprio patrimonio
- La responsabilità dei soci è limitata al capitale investito nell’impresa e se l’impresa risulta inadempiente i
soci-azionisti non sono chiamati a sopperire con la loro ricchezza personale
- Si dividono in
• Società a responsabilità limitata (S.r.l.)
Nelle S.r.l. abbiamo le quote di partecipazione invece delle azioni, i diritti del socio sono proporzionali
con le quote, la quale è il limite di responsabilità a cui si fa capo. La società gode di responsabilità
limitata, il suo patrimonio personale non viene intaccato. Nei casi più diffusi capita che i soci siano
anche gli amministratori, ciò non toglie che si possano nominare soggetti esterni. Si presta per enti
che operano con captali ingenti ma hanno una ristretta compagine sociale. I soci non superano la
decina. Si esclude la proprietà personale da parte dei soci. Organo amministrativo, secondo la scelta
dei soci, in genere amministratore unico e un consiglio di amministrazione che può delega i propri
poteri ad un consigliere. Può disporre di un organo di controllo, il collegio sindacale, che verifica la
correttezza dell’amministrazione. Vi è anche un revisore contabile che svolge il compito di revisore.
• Società per azioni (S.p.a.)
Sono le grandi multinazionali, le quote di partecipazioni sono rappresentate dalle azioni, ovvero titoli
trasferibili di una quota di proprietà di una società. La S.p.a. ha un contratto sociale adatto alle grandi
imprese in quanto consente di reperire ingenti capitali. Possedere le azioni vuol dire avere il diritto
dei dividendi, la ripartizione del patrimonio in caso di chiusura e la partecipazione all’assemblea di
soci. In caso di insolvenza la società fallisce, ma non falliscono i soci, il patrimonio personale non è
intaccato, perdono il valore delle proprie azioni.
Esistono 3 organismi:
▪ Assemblea degli azionisti
▪ L’organo di amministrazione, gestisce e rappresenta tutta la società, in genere è rappresentata
da un amministratore unico. In genere gli amministratori sono diversi dagli azionisti.
▪ Collegio sindacale, verifica che l’amministrazione, l’assetto contabile siano adeguati ed esercita
il controllo contabile. Organo di controllo.
Visto che le S.p.a. influenzano l’attività del paese, il legislatore ha predisposto due organi di controllo
al di fuori dal controllo interno.
▪ Consob
▪ Società di revisione, che certifica la regolare tenuta delle scritture contabili e del bilancio
• Società in accomandata per azioni (S.a.p.a.)
Società di capitali simile alla S.p.a., ma i soci possono essere di due tipi:
▪ Accomandanti: Sono gli amministratori per diritto per loro e per nessun altro il principio
patrimoniale perfetto non valga. Rispondono delle obbligazioni anche attraverso il loro
patrimonio personale in quanto aventi responsabilità solidale illimitata
▪ Accomandatari: soci normalissimi, non possono ricoprire cariche amministrative all’interno delle
società
Vi rientrano anche le Società cooperative (a responsabilità limitata o illimitata), le quali, a differenza delle
altre società di capitali, non hanno come finalità il profitto aziendale ma hanno invece scopi mutualistici,
consistenti nel fornire beni e servizi o procurare lavoro ai soci a condizioni più favorevoli a quelle ottenibili
sul mercato. Parte degli eventuali utili conseguiti da tali società dovrà essere sempre accantonata a riserva
legale e un’altra parte dovrà essere destinata ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione.

Tipologie di impresa dal punto di vista giuridico


• In virtù della responsabilità limitata di cui godono, le società di capitali sono chiamate a produrre
un’informativa societaria molto più ‘pesante’ rispetto alle società di persone
- Costituzione con atto pubblico (depositato in appositi registri) che definisce l’oggetto sociale
- Dimensione minima piuttosto elevata
• Capitale sociale minimo pari a € 10.000 per le s.r.l.
• Capitale sociale minimo pari a € 100.000 per le S.p.A. e S.a.p.a.
- Organizzazione del governo (corporate governance) molto articolata
• Un’assemblea dei soci
• Un consiglio di amministrazione (che gestisce)
• Un collegio sindacale (che controlla)
- L’assemblea si riunisce per approvare il bilancio annuale, nominare gli amministratori e decidere su delibere
di carattere straordinario rispetto alla vita ‘quotidiana’ dell’impresa (fusioni, acquisizioni, …)

Strategia aziendale
Che cos’è la strategia?
Accezione originaria
Sun tzu, generale cinese, Arte della guerra, trattato di strategia militare del sesto secolo avanti cristo:
Strategia senza tattica è la via più lenta per arrivare alla vittoria. Tattica senza strategia è il rumore prima
della sconfitta
Deriva dal greco strategheia, che letteralmente significa ‘l’arte del generale’, appartiene al linguaggio militare
e viene adottata per descrivere le tattiche ed i piani sviluppati dai generali per schierare e far muovere il
proprio esercito, con l’obiettivo di sconfiggere quello nemico.
Per Carl von Clausewitz (XIX sec.), la strategia “riguardava la definizione del piano di guerra e delle singole
campagne, nonché dei compiti individuali all’interno di queste ultime”
Per Edward Mead Earle, la strategia è “l’arte di controllare e impiegare le risorse di una nazione o di una
coalizione di nazioni, incluse le forze armate, per promuoverne e tutelarne efficacemente gli interessi vitali”
Accezione manageriale
Processo di pianificazione per controllare e utilizzare le risorse – umane, fisiche e finanziarie – a disposizione,
con l’obiettivo di promuovere e tutelare i propri interessi primari.
Insieme della modalità e degli approcci adottati da un’impresa per accrescere il volume d’affari, attirare e
soddisfare clienti, competere con successo sul mercato, raggiungere i target di performance desiderati.
La strategia si focalizza il come raggiungere degli obiettivi di business, non è l’obiettivo di business: per usare
una metafora, la strategia è la strada che si sceglie per giungere ad una destinazione, non è la destinazione!
Per Kenneth Andrews (1971), un accademico americano che, insieme a H. Igor Ansoff e Alfred D. Chandler,
è stato accreditato del ruolo fondamentale nell'introduzione e nella divulgazione del concetto di strategia
aziendale, la strategia “si definisce in relazione a ciò che una determinata azienda, in base ai suoi punti di
forza e di debolezza, può fare, ed alle possibilità che le si offrono, ossia alle opportunità ed alle minacce che
si creano nell’ambiente esterno”
Per Michael Porter (1980), è un accademico ed economista statunitense. Michael Porter è professore alla
Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and Competitiveness. Porter è uno dei maggiori
contribuenti della teoria della strategia manageriale, la strategia è “un’ampia formula che indica come una
determinata azienda intende competere per acquisire un vantaggio competitivo”
Per Bruce Henderson, uomo d'affari americano ed esperto di gestione. Ha fondato il Boston Consulting Group
nel 1963 a Boston, nel Massachusetts, e ha guidato la società come presidente e CEO fino al 1980, la strategia
è “la ricerca deliberata di un piano d’azione che sviluppi il vantaggio competitivo di un’azienda e lo rafforzi
nel tempo, dove vantaggio competitivo significa creare differenze”
La strategia mira a creare un cosiddetto vantaggio competitivo
Un’impresa ottiene un vantaggio competitivo sostenibile quando un significativo numero di acquirenti
preferisce i suoi prodotti/servizi a quelli dei concorrenti, ed i presupposti di tale preferenza sono duraturi.
Il vantaggio competitivo rappresenta il “segreto” per una performance finanziaria ed una redditività superiori
alla media, in quanto una forte preferenza dei clienti si traduce in maggiori volumi di vendita, nella capacità
di praticare prezzi più elevati o di produrre a costi più contenuti, con un conseguente incremento dei ricavi,
o una riduzione dei costi e in generale migliori performance finanziarie.
Il mantra del management del XXI secolo: perché il cliente deve preferire proprio i nostri prodotti/servizi?
Perché deve scegliere proprio noi? Perché riusciamo a fornire elementi di unicità e differenziazione rispetto
agli altri!
Il fatto di differenziarsi non conferisce tuttavia, di per sé, un vantaggio competitivo, né tanto meno assicura
un successo commerciale. È questa la vera sfida di imprese e management: comprendere a fondo che cosa
fare, che cosa si vuole diventare e, soprattutto, nel decidere come giungere alla meta che è stata stabilita.
Strategia come modello decisionale unitario ed integrato:
• Determina ed esplicita lo scopo dell’impresa in termini di obiettivi di lungo periodo, programmi di azione e
priorità di allocazione delle risorse;
• Seleziona i business in cui operare, cercando di conseguire vantaggi difendibili nel tempo, attraverso
l’identificazione dei punti di forza e di debolezza interni e rispondendo alle minacce ed alle opportunità
esterne;
• Interessa tutti i livelli gerarchici dell’impresa e definisce la natura dei contributi che l’impresa intende
fornire ai propri stakeholders

Molti confondono strategia e modello di business


Modello di business riguarda i
meccanismi tramite i quali
l’azienda crea e mette a
disposizione un prodotto o un
servizio, non gli elementi di
differenziazione che conferiscono
un vantaggio competitivo.
I modelli di business descrivono il
sistema in base al quale le varie
componenti di un’azienda si
combinano per generare un
profitto, ma non tengono conto di
una dimensione cruciale della
performance: la competizione.
La strategia assicura differenziazione e vantaggio competitivo.
Il modello di business spiega la logica economica tramite la quale l’azienda opera

Visione
La visione strategica esprime la “destinazione”, il dove sta andando l’impresa e perché, attraverso una
spiegazione economica e convincente della bontà di giungere a tale “destinazione”. Spiega come proprietà e
management vogliono che diventi l’impresa, come intendano superare la posizione attuale e dove vogliono
portare l’impresa in futuro.
Una visione strategica articolata con chiarezza comunica agli stakeholders le aspirazioni della proprietà e del
management, crea una tensione collettiva verso i nuovi traguardi e favorisce l’azione sinergica di tutto il
personale aziendale.
Una visione strategica ben concepita è specifica e distintiva e non contiene espressioni di generica positività
che potrebbero riferirsi indistintamente a centinaia di organizzazioni.

Mission
La mission fornisce una breve descrizione formale della ragion d’essere e delle finalità commerciali attuali
dell’impresa, talvolta facendo riferimento alla copertura geografica o alla posizione sul mercato.
Identifica e specifica i prodotti e servizi attualmente offerti, i bisogni dell’acquirente che l’impresa cerca di
soddisfare, i gruppi di clienti a cui si rivolge e le sue capacità tecnologiche e commerciali per soddisfare al
meglio tali bisogni.
In genere, però, la mission aziendale non deve indicare in che direzione si sta muovendo l’impresa, né i
cambiamenti previsti o le sue aspirazioni. Rispetto alla visione la mission è un obiettivo specifico del proprio
business

Obiettivo strategico primario


Gli obiettivi, in generale, sono le mete, i risultati reali che l’impresa intende raggiungere con il suo operato,
in un determinato periodo di tempo. Sono i parametri per la valutazione dell’andamento dell’impresa.
L’obiettivo strategico primario deve sintetizzare tutti i fini perseguiti dall’impresa in forme sufficientemente
concrete e rappresentative tali da costituire il riferimento preciso per la definizione di obiettivi di livello
inferiore.
Deve essere fortemente ancorato agli scenari competitivi generali, ma al tempo stesso congruente con la
mission aziendale, pervadendone strutture, attività, funzioni.
Caratteristiche dell’obiettivo strategico primario
• Coordinato e compatibile rispetto a tutti gli aspetti dell’attività aziendale;
• Capace di coprire un periodo sufficientemente rappresentativo;
• Non essere troppo ambizioso per non provocare frustrazioni ma neanche troppo blando per non provocare
perdita di tensione sui risultati;
• Coinvolgimento delle persone;
• “Misurabile” su base di una grandezza economica e finanziaria.
Esempi concreti di obiettivi strategici primari
• Diventare in x anni il produttore a costo minimo di uno o più prodotti maturi;
• Diventare in y anni il produttore n.1 di automobili al mondo per volumi produttivi;
• Ricavarsi una nicchia di mercato per un prodotto ad elevata tecnologia;
• Riconvertire un business poco competitivo in nuovi prodotti/ mercati;
• Rafforzare il brand;
• Superare i concorrenti nella gestione della distribuzione e vendita di prodotto in un dato ambito territoriale;
• Riuscire a lanciare n nuovi prodotti sul mercato in h anni.
Attenzione: gli obiettivi strategici devono essere sempre collegati ad obiettivi di tipo finanziario
Indici fondamentali sempre in forma percentuale:
- ROS: Aumento di x% dei ricavi annui (miglioramento redditività). Esprime la profittabilità
operativa delle aziende in relazione alle vendite effettuate, in un determinato lasso di tempo,
esprime la quantità di ricavo netto conseguito per ogni euro di fatturato. Efficienza della società
nel generare profitti rispetto al fatturato conseguito, alti livelli di ROS indicano una società in un
buon stato, quando è in declino no. L’utilizzo del ROS è vario: studiare la storia del ROS di
un’azienda per comprendere se ci troviamo in un trend positivo o no, o molto variabile, viene
utilizzato anche come oggetto di comparazione fra imprese simili per vedere se la società in
studio, rispetto alle altre, è più capace di generare profitto.
- Miglioramento dei margini di profitto dell’y%;
- ROE: Miglioramento della la redditività del capitale totale investito del w%; offre una sintetica
visione dei risultati economici conseguiti e testimonia l’efficienza con la quale la società genera
profitto e lo rappresenta attraverso un numero percentuale, utile a fare confronti con altri rivali
dello stesso settore. Indica la profittabilità, fa conoscere all’investitore, se conviene definire il
suo potenziale investimento ed è il confronto più immediato attraverso due società per
comprendere qual è la migliore generatrice di profitto.
- ROI: Miglioramento della ritorno sui nuovi investimenti del k%; tenuto in considerazione per la
sua semplicità, utilizzato per comparare diverse imprese per scegliere quelle che hanno il valore
più alto, perché un ROI elevato sopra il tasso di interesse sui debiti sta ad indicare che per la
società sarebbe profittevole prendere in prestito del denaro per investirlo nell’ingrandimento
dei fattori produttivi, mentre un ROI basso, al di sotto del costo del denaro preso a prestito, sta
ad indicare che per la società è incapace di generare profitti dagli investimenti e nel caso si
facesse prestare denaro per operare ampiamente nel proprio business, rischierebbe di erodere
la remunerazione dei terzi (ROE), aumentando la leva finanziaria. Ecco perché il ROE e il ROI sono
utilizzati in sinergia, perché riescono ad avere un quadro migliore della società sia in termini di
performance di utili che di nuovi ampliamenti di business
- Aumento del valore del prezzo delle azioni o il dividendi annuo del j%;
- Riduzione dell’indebitamento e al ricorso a capitali di terzi del t%.
Strategia e struttura
Nelle grandi imprese - per diversificazione di business, ambiti geografici di azione, ecc. – la formulazione
strategica e la definizione degli obiettivi sono realizzate rispetto a livelli gerarchici o organizzativi ben distinti
- Strategia a livello corporate, a livello di corporate governance, impresa nel suo complesso,
- Strategie di business – aree d’affari, aree geografiche rilevanti
- Strategie funzionali – determinate funzioni, processi, progetti di rilievo all’interno di un’area di business o
geografica rilevante
- Strategie operative – gestione delle unità operative principali per l’impresa per esempio singoli
stabilimenti/impianti di produzione, singole campagne pubblicitarie, gestione della singola marca, gestione
della catena di fornitura, ecc.
• Politica aziendale generale (livello corporate e business): insieme di azioni collegate
temporalmente e funzionalmente, finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo primario. La sua
attuazione
presuppone un
coordinamento
accurato di una
molteplicità di
variabili, di cui solo
alcune esprimibili in
maniera quantitativa.
• Politiche funzionali:
sviluppano le politiche
generali nei settori
principali della
struttura aziendale e
cioè, essenzialmente, nelle funzioni e/o nei processi. Ogni politica settoriale è quindi articolata
in più piani. Ogni piano dettaglia le varie attività da sviluppare e “assegna” ad ogni operatore
obiettivi specifici da raggiungere
• Programma: traduzione dei piani su base spaziale e temporale di breve e brevissimo periodo.

Come si sviluppa operativamente la strategia aziendale nelle attività di medio-breve termine?


Attraverso il cosiddetto
“Sistema di Programmazione, Controllo di Gestione e Reporting”

La formulazione della strategia


1. L’analisi PEST (General Environment)
Una sfida particolarmente stimolante per alcuni imprenditori e manager è rappresentata dalla
capacità di esplorare il macroambiente e scovare per primi aree di business innovative ad alto valore
aggiunto nelle quali eventualmente riorientare attività e prodotti che non possiedono più margini di
redditività soddisfacenti.
L’analisi PEST – acronimo di political, economic, social technology factors - individua le quattro grandi
aree da tenere sotto osservazione.
Si basa su alcune variabili del contesto che riescono a tratteggiare lo scenario esistente nell’ambito
in cui opera l’organizzazione, un’analisi il cui scopo è quello di individuare quali variabili possono
essere rilevanti nel processo decisionale, nelle scelte strategiche e operative dell’organizzazione, può
essere sviluppata anche in chiave prospettica con lo scopo di individuare i principali elementi di
discontinuità che possiamo affrontare.
Il fattore politico condiziona il contesto generale il settore di appartenenza.
L’aspetto economico perché esso influenza per esempio, l’accesso al credito, la capacità di spesa dei
clienti e degli utenti
Tendenze sociali, i cambiamenti negli atteggiamenti e nelle percezioni dei cittadini, rispetto a certi
temi, oppure i cambiamenti nella struttura sociografica, possono avere effetti significativi sulla
domanda e sull’offerta di beni e servizi
Le tecnologie, l’irrompere di
nuove tecnologie, di nuove
infrastrutture, possono
cambiare radicalmente
l’ambiente in cui l’impresa
agisce
Questa analisi però ha
determinati limiti, infatti
manifesta un’utilità solo se a
partire da essa viene sviluppata
una strategia operativa che
viene completamente
implementata, gestita e
valutata in funzione dei risultati
che raggiunge, per questo conviene
sapere i punti di forza e debolezza
dell’organizzazione
2. Il modello delle 5 forze di Porter (Task
Environment)
L’analisi del Task Environment è il
processo ordinato avente come
obiettivo l’individuazione dei fattori
strutturali che determinano le
prospettive di redditività e sostenibilità
nel lungo periodo di un dato
settore/business
Il modello delle 5 forze di Porter (1979) è la schematizzazione più utilizzata negli studi manageriali
per determinare l’opportunità e la convenienza di operare in un dato settore/business.
Nello specifico, secondo tale modello, la redditività di un settore e quindi l’opportunità e la
convenienza ad operarvi per un’impresa è determinata da 5 forze competitive.
Questo modello è fondamentale per valutare il contesto competitivo in cui operano le aziende e
permette alle aziende di anticipare e affrontare situazioni che nel lungo periodo andrebbero ad
intaccare la redditività. Il contesto lavorativo in cui un’azienda si trova ad operare dipende dalla
contemporanea azione delle cinque forze.
Forza 1 - Intensità della rivalità tra i concorrenti presenti nel settore
Determinanti più rilevanti:
- Crescita del settore/business;
- Percentuale di costi fissi rispetto al valore aggiunto totale del business;
- Grado di differenziazione dei prodotti
- Concentrazione tra i concorrenti
- Regulation vs De-regulation
- Costi di riconversione per il consumatore
- Capacità e presenza di imprese a forte identitità di marca
- Barriere all’entrata o all’uscita del settore/business (fabbisogni di capitali, canali di distribuzione
economie di scala, ecc.)
- Accesso alla tecnologia più avanzata
- Provvedimenti governativi (protezione del settore, politiche, cambi, ecc.)
Forza 2 – La minaccia di potenziali nuove entrate
Determinanti più rilevanti:
- Barriere all’entrata o all’uscita del settore/business (costi fissi, fabbisogni di
capitali, canali di distribuzione, economie di scala, ecc.)
- Differenziazione di prodotto
- Accesso alla tecnologia più avanzata
- Grado di protezionismo del settore/business
Forza 3 – La minaccia di prodotti sostitutivi
Attenzione a prodotti e servizi che – a parità di reddito del consumatore – possono
rappresentare modalità alternative di allocazione delle risorse disponibili e/o
rappresentare un’alternativa di soddisfacimento della domanda principale
Forza 4 – Potere contrattuale dei fornitori
Determinanti più rilevanti:
- Numero di fornitori importanti
- Minaccia di integrazione a valle o a monte da parte dei fornitori
- Contributo dato dal fornitore al costo industriale totale
- Ecc.
Es.: settore delle pelli; forniture energetiche; ecc.
Forza 5 – Potere contrattuale dei clienti/acquirenti
Determinanti più rilevanti:
- Numero di clienti/acquirenti importanti
- Minaccia di integrazione a valle (controllo da parte di una azienda di un passaggio successivo
rispetto a quello che già ricopre) o a monte (quando l’azienda decide di assumere uno step
antecedente a quello già svolto) da parte dei clienti/acquirenti
- Contributo dato dal cliente/acquirente alla redditività di prodotto
- Ecc.
Es.: Grande distribuzione organizzata

La formulazione della strategia: l’ambiente interno


• L’analisi delle competenze distintive (check up aziendale attraverso il modello della catena del
valore di Porter);
• L’analisi di benchmarking;
• Lanalisi della situazione finanziaria;
• Management e cultura organizzativa.
L’impresa ha necessità di mappare ed identificare le attività su cui ritiene di detenere particolari competenze,
know-how, tecnologie, uomini capaci di creare delle differenze competitivi rispetto alla concorrenza in grado
di contribuire ad aumentare il valore prodotto dai beni/servizi realizzati dall’impresa.
Per fare ciò, può essere utile sviluppare un check-up aziendale utilizzando come modello di riferimento la
catena del valore di Porter
Porter (1985) identifica due macro-categorie di attività:
- Le attività primarie
- Le attività di supporto
La catena del valore di Porter è uno strumento che consente di verificare il vantaggio competitivo che
un’azienda può ottenere e consente di misurare la sua capacità di creare valore rispetto alle imprese
concorrenti, sia rispetto al costo sostenuto per crearlo, descrive l’organizzazione aziendale come un insieme
di processi e di attività e di relazioni, il cui obiettivo è quello di creare valore per i propri clienti, quindi di
aumentare di conseguenza la redditività dell’impresa, per fare ciò le diverse realtà aziendali e i differenti
processi sono considerati come un complesso organizzato di attività coordinate tra loro al fine di
massimizzare il valore. È caratterizzata da due elementi essenziali: i processi e attività che generano valore,
quindi divise a loro volta in attività primarie e in attività di supporto, ovvero ciò che rappresenta un costo per
creare valore e il margine, è il guadagno dell’attività svolta misurata come ricavi ottenuti meno i costi
sostenuti.
La catena di Porter proprio perché prevede il coordinamento di diverse funzioni aziendali operative, si adatta
meglio alle imprese che producono bene e di grande dimensioni, nonostante sia un modello che può essere
ripreso e adattato a qualsiasi realtà
Logistica interna
Gestione dei materiali, a tale attività è dato il compito del rifornimento delle materie prime e dei semilavorati
utili alla produzione ma non solo. La logistica interna è quell’attività che si occupa di monitorare la
movimentazione interna delle merci, di quantificare i volumi di scorte nel magazzino, di controllare le merci
di entrata e di provvedere ad eventuali resi ai fornitori. La logistica interna è quell’attività connessa a rapporto
con il fornitore e con la movimentazione delle merci
Operations o attività operative
Fanno parte di tale categoria, tutte le attività connesse alla trasformazione della materia prima o
semilavorato, prodotto finito e rientrano nelle attività operative quelle inerenti alla trasformazione,
assemblaggio, montaggio, collaudo dei beni di prodotto, nonché la manutenzione dell’impianto di
produzione
Logistica esterna
Identifica questa tipologia di processo, tutte quelle attività connesse alla gestione dei prodotti finiti, si
comincia con lo stoccaggio dei prodotti ottenuti, il loro immagazzinamento, la gestione degli ordini e delle
relative consegne e spedizioni
Marketing e vendite
Si occupa di assegnare il prezzo dei prodotti finiti e dei canali attraverso i quali distribuirli, la politica della
relazione della clientela e della comunicazione aziendale, così come a scelta della pubblicità su cui investire.
Servizi
Costumer Care, prendersi cura del cliente.
L’attività svolte nei servizi sono quelli
inerenti alla vendita post-vendita
Le attività di supporto sono quelle attività a
supporto di quelle primarie, che
rappresentano le attività primarie
dell’azienda, nel modello di Porter sono 4:
Approvvigionamenti
Tutte quelle attività che si occupano del rifornimento all’esterno di tutto ciò che serve per svolgere le attività
primarie
Sviluppo della tecnologia
L’insieme delle conoscenze informatiche e tecnologiche, del know-how delle capacità procedurali e di
processo dell’azienda
Gestione delle risorse umane
Tutte le attività di ricerca, selezione, assunzione e formazione del personale
Infrastrutture dell’impresa
Le attività infrastrutturali, tutte le funzioni che individuano costi fissi, che effettuano un supporto trasversale
a tutte i processi. Esempi: direzione generale, amministrazione, ufficio legale della società

Margine
È la finalità di entrambe le tipologie di attività visto fino adesso, il guadagno considerato come differenza tra
ricavi e costi ottenute tramite lo svolgimento delle attività primarie e di supporto.

Il concetto fondamentale della teoria di Porter è che per creare redditività occorre generare valore per il
cliente ottenibile esclusivamente tramite la capacità di essere distintivi rispetto ai competitor presenti sul
mercato e riuscendo ad ottenere alti standard di qualità dei processi interni, eliminando gli sprechi e
massimizzando la produttività

Altri variabili dell’ambiente interno


a) L’analisi delle competenze distintive,
Competenza: La capacità di un’impresa (skill) di eseguire ciascuna delle attività della catena del valore
indispensabili alla realizzazione di un prodotto o servizio di successo, rispetto a quanto offerto dai
competitors. (Es abilità di tradurre in prodotti le aspettative dei clienti, capacità di commercializzare
nuove idee, capacità di individuare fonti di finanziamento)
Endowments: Attributi complementari alle competenze, come ad esempio la proprietà intellettuale,
il brand, la reputazione, e le relazioni con i clienti.
Non tutte le competenze sono in grado di assicurare capacità innovativa e nuovo valore, ma solo
quelle che riescono a differenziare l’impresa: le competenze distintive (core competences)
The collective learning in the organization expecially able to coordinate diverse production skills and
integrate multiple streams of technologies.
Hamel e Prahald (1990,) The core competence of the corporation, HBS Press, Cambridge, U.S.A.
• Non diminuiscono con l’utilizzo, a differenza degli asset fisici che si deteriorano con l’utilizzo, anzi
aumentano
• Accelerano il processo di creatività e di generazione di nuove idee
• Sono il motore per gli sviluppi di nuovi business
• Sono dotate della caratteristica di unicità e sono alla base della differenziazione e del vantaggio
competitivo;
• Aggiungono benefici reali ai prodotti/processi che i clienti percepiscono e sono disposti a pagare
• Rendono difficili i processi imitativi dei concorrenti
I top managers verranno sempre più giudicati sulla loro capacità di individuare, sviluppare e
valorizzare le core competences sulle quali rifondare il modello dell’intera organizzazione.
I middle managers agiscono come knowledge engineers: acceleratori dei processi di knowledge
creation.
b) L’analisi di benchmarking;
Fare “benchmarking” significa definire ed implementare a livello strategico ed organizzativo-
gestionale un processo volto a emulare positivamente le “migliori” organizzazioni in funzione di
specifici obiettivi
• Tale processo si basa fortemente sull’identificazione e sulla contestualizzazione delle cosiddette
“best practices” in termini di costi ed efficacia
Il benchmarking è un metodo di analisi comparativa delle prestazioni di processi strategici ed
operativi.
Il metodo comprende sia l’esame interno della performance dell’organizzazione, sia lo studio esterno
di organizzazioni dei quali sia riconosciuta la superiorità nelle prestazioni sulla base di parametri di
confronto oggettivi e misurabili
Le best practices sono quelle “pratiche” che si sono dimostrate efficaci per produrre risultati
eccellenti, giudicate esemplari e di successo a valle di una rigorosa e sistematica attività di
valutazione.
Le “best practices” ovviamente devono essere contestualizzate negli specifici ambiti di applicazione.
Tipologie di benchmarking:
1. Benchmarking sugli “internal processes”, chiamato Benchmarking Interno. L’obiettivo del
benchmarking interno è identificare gli standard di performance interne di una grande
“organizzazione”, le migliori best practices interne e trasferirle a tutte le componenti
dell’organizzazione.
2. Benchmarking su organizzazioni simili e direttamente concorrenti, chiamato Benchmarking
Competitivo. Il vantaggio principale del benchmarking competitivo è spesso l’immediata utilità, lo
svantaggio è che le varie informazioni sono spesso difficili da ottenere.
3. Benchmarking sulle “migliori” organizzazioni, chiamato Benchmarking Funzionale. Benchmarking
può essere fatto sulle “high performing organizations” nello stesso settore cosi come a livello
internazionale ma che non sono “concorrenti” diretti, ed è volto ad indagare specifiche attività
strategiche e
funzionali;
c) L’ analisi della
situazione
finanziaria;
Potrebbe essere
importante valutare
lo stato di salute finanziaria in cui versa attualmente l’impresa prima di definire una nuova strategia,
considerando elementi quali
• Flussi di cassa;
• Accesso al capitale esterno;
• Altri piani di investimento;
• Soglia di rendimento
d) Management e cultura organizzativa.
La nostra impresa è pronta al cambiamento?
Sa adattarsi a nuove esigenze e scenari? È pronta, a livello di struttura e di mentalità, ad
abbandonare ciò che non funziona e ad adottare strategie in grado di produrre maggiore impatto?
Change management

Il posizionamento competitivo e la SWOT Analysis


SWOT Analysis
Metodologia che sintetizza i risultati delle analisi interne ed esterne e definisce il posizionamento competitivo
dell’impresa.
È propedeutica alla formulazione della strategia e delle azioni gestionali da implementare per il
raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Permette di inquadrare in modo semplice e ragionato un’impresa, valutandone i punti di forza (Strengths),
di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) ed ogni altra variabile
capace di influenzare il comportamento
ed i risultati dell’impresa. Viene utilizzata
da 40 anni in ambiente aziendale e adesso
anche a livello comunitario.
Gli elementi della SWOT analysis
Punti di forza e punti di debolezza sono
elementi intrinseci dell’organizzazione e
delle persone, quali competenze o abilità,
ovvero la mancanza di essi.
Le opportunità e le minacce sono invece
fattori esterni: non sono create
dall’organizzazione, ma emergono come risultato delle dinamiche competitive causate da gap nell’ambiente
e nei mercati.
Questa analisi individua le variabili endogene, i punti di forza e debolezza e le variabili esogene che
influenzano il comportamento del sistema.
La SWOT Analysis si realizza collocando all’interno dei rispettivi quadranti della matrice le risposte (fornite in
modo sintetico e per punti) ad alcune specifiche domande.
Utilizzo della SWOT analysis
La versatilità̀ e semplicità̀ dell’analisi SWOT permettono al management di ottenere informazioni fruibili in
qualsiasi momento l’impresa ne abbia bisogno. Questo permette una elasticità̀ nel suo utilizzo sia ex ante,
sia in itinere, sia ex post. Il suo utilizzo è raccomandato soprattutto ex ante perché permette di migliorare
l’integrazione del programma nel suo complesso.
In itinere consente di verificare se, in relazione ai cambiamento intervenuti nel contesto, le linee di azione
individuate siano ancora pertinente e fornisce uno strumento per decidere modifiche al programma.
Infine, l’analisi SWOT può essere u/lizzata ex post per contestualizzare i risulta/ finali dei piani e programmi.
Punti di forza
I punti di forza possono essere identificati attraverso le domande:
– In cosa l’impresa è veramente “capace”? In quali attività/mercati
– Quali sono le competenze distintive dell’impresa?
– Riusciamo a beneficiare dell’esperienza dei nostri manager?
– Riusciamo ad avere un facile accesso alle materie prime o alle informazioni importanti, o ai finanziamenti?
– Le persone che scelgono la nostra impresa ne riconoscono la reputazione?
Punti di debolezza
I punti di debolezza sono le situazioni dell’impresa riferite ad una particolare attività o mercato e possono
essere identificati rispondendo alle seguenti domande:
– In cosa l’impresa è carente? In quali attività/mercati. La cosa più difficile per un manager è ammettere che
una strategia perseguita sia fallimentare, che non porta ai risultati sperati, ed è altrettanto difficile
abbandonare tale strategia per seguirne un’altra.
– Quali le cause che non ci consentono di trarre vantaggio dall’esperienza dei nostri manager o dai
prodotti/progetti realizzati in passato?
– Quali limiti o ostacoli interni ci rendono difficile l’accesso ad input o alle informazioni importanti?
Opportunità e Minacce
Le opportunità e le minacce sono potenziali situazioni di vantaggio o di svantaggio che si possono
determinare per l’impresa in relazione alle evoluzioni sia del General Environment che del Task Environment.

La struttura dell’analisi SWOT


Le fasi in cui si può dividere la sua
stesura sono principalmente sei:
1. Prima fase: raccolta delle
informazioni. In questa fase,
molto delicata, si mira a
raccogliere informazioni
dettagliate sul settore di
riferimento nel quale l’impresa
intende sviluppare il suo
business. Si ricorre ad indagini ad
hoc per lo studio di alcuni
fenomeni.
Oltre a ciò è importante considerare due tipi di dati fondamentali: dati quantitativi e dati qualitativi:
• Dati quantitativi: sono i dati che si riferiscono a variabili quali l’età, il sesso, la densità di popolazione, il
reddito e così via; si parla, durante l’analisi dei dati quantitativi, di “segmentazione quantitativa”.
• Dati qualitativi: sono i dati che si riferiscono ai gusti del consumatore nei confronti di un determinato
prodotto e vanno dal suo tasso di utilizzazione fino alla fedeltà e sensibilità della clientela. L’analisi di questi
dati è chiamata “segmentazione qualitativa”.
2. Seconda fase: identificazione delle azioni. In base alle problematiche delineatesi, l’impresa può iniziare a
tracciare una prima sfumatura delle azioni da seguire, scegliendo un determinato gruppo di clienti anziché
un altro, producendo un determinato prodotto anziché un altro, decidendo il mercato che si vuole
aggiudicare.
3. Terza fase: definizione di Opportunità e Minacce. Dopo la raccolta delle informazioni e la scelta delle linee
guida dell’area strategica d’affari prescelta, l’azienda dovrà calare questi dati esogeni nella sua realtà,
tracciando un’analisi delle opportunità da poter cogliere con i suoi obiettivi (ad es. i finanziamenti di una
legge) ma anche delle minacce che potrebbero distruggere il suo settore competitivo (ad es. forme di
protezionismo economico);
4. Quarta fase: definizione dei punti di Forza e di Debolezza. Quest’analisi, prettamente interna, viene più̀
facilmente gestita dal management. Ovviamente bisogna essere attenti nella definizione di tutti i punti critici
di successo, ma soprattutto di possibile insuccesso dell’azienda, perché basterebbe sottovalutare, ad
esempio, il malumore della forza lavorativa o il basso grado di informazione aziendale o ancora un conflitto
tra line e staff, per rendere inesatta (e quindi rovinosa) un’analisi dei fattori interni;
5. Quinta fase: classificazione/selezione delle possibili azioni. La rilevanza di questo passaggio si nota tutta
perché è qui che le linee guida strategiche, facendo leva sui punti di forza e tentando di ridurre quelli di
debolezza massimizzando le opportunità e minimizzando le minacce;
6. Sesta fase: valutazione. Serve per giudicare la rilevanza di una strategia già attuata o pianificata (verifica
la rilevanza degli interventi rispetto agli elementi di contesto).
Vantaggi e svantaggi dell’analisi SWOT
La bontà di questo metodo è indubbio, ma è bene non dimenticare che anch’esso ha dei limiti.
I pregi dell’analisi sono riconducibili a:
• La definizione precisa di strategie dovuta ad un’analisi “in profondità” del contesto nel quale si opera;
• Non viene migliorata solo l’efficienza economica ma, grazie ad una costante comparazione tra strategia e
fabbisogni dell’azienda, si raggiunge anche l’efficacia;
• Il lavoro non è frutto di un solo soggetto ma di un team che, dando vita a tante idee nuove, crea un circolo
virtuoso dal quale fuoriescono strategie tante volte vincenti
• Ultimo pregio è senz’altro la flessibilità di un metodo che lascia spazio a modifiche, accorgimenti, ed è
applicabile a qualsiasi contesto: si può costruire una matrice SWOT, ad esempio, anche per valutare le
caratteristiche di un determinato comparto di un’azienda, ma anche di un territorio, di un’economia locale,
e così via.
I difetti invece, sono sostanzialmente tre:
1 C’è la possibilità̀ che le azioni individuate e promesse dal team si rivelino sbagliate; questo accade di solito
quando prende piede la visione troppo soggettiva della realtà, nella quale si finiscono per far rientrare
obiettivi troppo grandi ed onerosi per la stessa impresa;
2 Altro difetto può essere il fatto di delineare un quadro a volte troppo semplicistico, da cui non si evincono
realmente le necessità di un’impresa e le linee guida strategiche che dovrebbero creare valore per l’azienda;
3 Se non viene attuata in un contesto di partnership esiste il rischio di scollamento tra piano scientifico e
politico-programmatico; questo può avvenire quando non c’è accordo, ad esempio, tra line e staff, all’interno
di un’impresa, ma anche quando non c’è accordo tra le divisioni di una grande impresa, cosa che crea
conseguenze economiche rilevanti.
Sostanzialmente l’analisi SWOT però
fornisce un aiuto non indifferente al
management perché mette insieme i vari
dati, dando loro una configurazione su
misura per l’azienda; inoltre è, a differenza
della raccolta dati, un metodo economico e
di rapida consultazione

L’implementazione della strategia


1. Leadership di costo attiene alla capacità
di fornire al cliente il valore atteso di un
prodotto/servizio, ad un costo che assicura
un adeguato livello di profitto per
l’impresa.
Si deve identificare la disponibilità dei
clienti a pagare un determinato prezzo ed il costo di produzione/fornitura del prodotto. Si agisce sul costo di
produzione/fornitura.
L’obbiettivo consiste nella realizzazione di un livello complessivo di costi più bassi rispetto ai concorrenti,
operando su diverse variabili che possono essere: la creazione di condizioni per sfruttare l’elevate economie
di scala, una spinta decisiva nella riduzione dei costi, sforzo di compressione dei costi di gestione, della
ricerca, della gestione del lavoro, della pubblicità, in generale le varie azioni finalizzate al contenimento dei
costi attuate dall’imprese, sono riconducibili a due tipologie: tagli e recuperi di produttività e di efficienza. Il
costo diventa il tema centrale della nostra strategia, anche se non si possono ignorare la qualità del prodotto
e del servizio. I fattori che determinano un costo basso offrono anche sostanziali barriere all’entrata
attraverso economie di scala. Questa filosofia d’azione richiede un’elevata quota di mercato o un accesso
privilegiato alle materie prime (esempio: Zara, Walmart). La realizzazione della strategia di costo può imporre
elevati investimenti e miglioramenti degli impianti e una politica aggressiva di prezzo e perdite programmate
a fronte di una crescita delle quote di mercato. Bisogna quindi intervenire sul costo di produzione/fornitura,
ma come possiamo agire su di essi?
a) Miglioramento continuo dell’efficienza operativa (Operations management)
b) Sfruttamento della curva di esperienza
c) Supply-chain (gestione della catena di distribuzione) imbattibile
d) Re-design del prodotto
e) Sostituire componenti e materie prime ad alto costo con equivalenti più economici
f) Sfruttamento ottimale dei sistemi ICT per l’efficienza operativa
g) Adottare metodi produttivi ed organizzativi a basso impiego e/o basso costo di manodopera
h) Sfruttare il potere contrattuale dell’impresa per strappare vantaggi dalle catene di fornitura
i) Evitare distributori e rivenditori rivolgendosi direttamente al cliente finale
j) Esternalizzazioni
k) Ottimizzare l’ubicazione delle strutture fisiche per contenere le attività di ricevimento, gestione e
spedizione merci e prodotti finiti
l) Offre linee di prodotto limitate
2. Differenziazione attiene al modo in cui le imprese cercano di creare elementi di unicità, insostituibilità,
inimitabilità all’interno del settore, e nel mercato nel complesso. La caratteristica fondamentale di chi cerca
di differenziarsi è per un discorso di immagine
a. Leadership di prodotto/Leadership tecnologica
Focus: Qualità e riconoscibilità del prodotto, padronanza e/o esclusività della tecnologia
Esempi: Apple, Ferrari, Gillette, Technogym, Granarolo, Ferrero, BMW, 3M
b. Eccellenza delle “operations”
Focus: ottimizzazione della supply-chain, allineamento organizzativo interno per minimizzare costi e ridurre
sprechi (processi semplici e standardizzati, forte centralizzazione decisionale).
Esempi: Toyota, Natuzzi, Ikea
c. Cura del cliente (Customer intimacy)
Focus: Forte relazionalità ed elasticità di approcci, struttura decisionale decentrata verso i soggetti più vicini
al cliente, attenzione ‘maniacale’ ai dettagli ed ai servizi secondari e di supporto
Esempi: Emirates, Amazon
d. Creatori di esperienze
Focus: forte attenzione alle variabili emozionali quale elemento differenziante rispetto all’acquisto di
prodotti/servizi maturi
Esempi: Walt Disney, Eataly, Heineken, SmartBox
e. Particolarità di prodotto/servizio
Focus: fornitura di prodotti/servizi ‘non convenzionali’
Esempi: “Agenzia per emozioni forti” (es. sport/avventura)
f. Lifestyle
Focus: non si vende un prodotto/servizio, ma uno stile di vita!
Esempi: Rolex, Campari, Martini, Marlboro, hotel/caffè vari
g. Leadership di prezzo/ rapporto qualità-prezzo
Focus: Ottimizzazione delle produzioni, qualità media, prezzi accessibili, standardizzazione modulare,
costante riassortimento della gamma
Esempi: IKEA, Prenatal, Carpisa, Zara
h. “Sempre e ovunque” /Leadership del sistema distributivo
Focus: volumi e capillarità: prodotto /servizio semplice prodotto su larghissimi volumi e portato a diffusione
mondiale
Esempi: Procter&Gamble, Unilever, McDonalds, Starbucks, Pizza Hut, Giovanni Rana
i. Nicchia
Focus: target di consumatori specifici, bassi volumi, alta qualità, selettività della distribuzione
Esempi: abbigliamento, profumi, produttori di vini,
l. Brand-driven
Focus: si compra un marchio o si compra “un negozio” e poi si compra un prodotto!
Esempi: Nike, Alfa Romeo, Armani, Gucci
m. Community-driven
Focus: il processo di acquisto è guidato dal senso di appartenenza ad un gruppo e/o dalla centralità di un
prodotto-totem
Esempi: Apple, Ducati, Ebay, Facebook, team di calcio, Ipercoop
n. Design-driven
Focus: attenzione alla qualità estetica ed all’esclusività del prodotto
– Esempi: Alessi, Poltrona Frau
3. Diversificazione La diversificazione attiene al presidio di più unità di business/divisioni collegate o meno
tra loro, nell’ottica della minimizzazione del rischio e dell’aumento delle opportunità nei vari settori
industriali.
• L’impresa può avere un output estremamente focalizzato, al limite formato da un solo prodotto
(Esempio: Geox - la scarpa che respira!) Portafoglio di business focalizzato
• In alternativa, l’impresa può avere un output variegato, ma formato da prodotti imparentati fra di
loro da qualche punto di vista (‘vicinanza’ dei prodotti e/o dei clienti e/o della rete di distribuzione
e/o della tecnologia e/o della R&S) (Esempio: Barilla - pasta, sughi, farina, biscotti, merendine…)
Portafoglio di business di natura correlata
• Oppure, ancora, l’impresa può avere un output estremamente diversificato, caratterizzato da una
molteplicità di prodotti poco imparentati fra di loro (Esempio: Bosch, General Electric - turbine,
frigoriferi, prodotti finanziari, …) Portafoglio di business di natura conglomerale
4. Crescita tramite fusioni ed acquisizioni attiene all’obiettivo di raggiungere economie di scala e di scopo e
di ridurre la pressione competitiva presente nel settore di riferimento. La fusione è quell’operazione
attraverso cui, più società si fondono in una sola ed esistono due tipologie di fusione per incorporazione e la
fusione propria
La fusione per incorporazione: quando le diverse società si fondano con una.
La fusione propria: quando più società si fondano in una nuova.
L’atto di fusione può avvenire in maniera omogenea attraversò società dello stesso tipo o in maniera
eterogena, attraverso società di diverso tipo.
La fusione può avvenire per diverse ragioni: aumentare la capacità produttiva, acquisire marchi e brevetti,
ottimizzare il processo logistico, ridurre i costi amministrativi ed avviene tutto con la stesura di un progetto,
in cui si stabiliscono le caratteristiche dell’operazione e viene approvata dai diversi soci di una società.
L’acquisizione invece, non si unisce ad un’altra ma diventa proprietaria di un’altra ad esempio attraverso
l’acquisizione di azioni. La differenza sostanziale tra le due è che nell’acquisizione le società incorporate e
incorporante mantengono la stessa struttura giuridica, mentre nel caso di fusione si genera una struttura
unitaria nuova. Come nella fusione, l’acquisizione viene effettuata per aumentare il valore della società
incorporante.
L’obiettivo di raggiungere economie di scala e di scopo e di ridurre la pressione competitiva presente nel
settore di riferimento può essere raggiunto anche attraverso le cosiddette strategie di collaborazione,
partnership ed alleanze strategiche, cioè accordi con i quali due o più imprese uniscono le proprie forze per
raggiungere esiti strategici vantaggiosi per tutti gli “alleati”
Alleanze/Partnerships
Due o più imprese decidono di collaborare mettendo insieme risorse e persone per raggiungere un fine
comune; mosse tattiche di una strategia di cooperazione.
Attualmente il raggiungimento di economie di scala e capacità di innovare rapidamente rappresentano
condizioni per sopravvivere (es. settore automotive) ma mercati di sbocco piccoli, domanda ridotta,
conoscenze per sostenere i processi di
innovazione difficilmente reperibili, pressione
competitiva non danno tempo per pianificare e
migliorare performance interne e crescere
autonomamente.
Le alleanze e partnership possono essere di tre
tipologie:
Alleanze orizzontali: accordi di collaborazione
con imprese che operano nello stesso settore e,
all’interno di questo, occupano la stessa posizione nell’ambito della filiera produttiva, alleanze con imprese
concorrenti, attuali e potenziali.
Obiettivi
- Conseguire economie di scala e sfruttare risorse complementari
- Ridurre il livello di competizione e di incertezza settoriale determinati dall’apertura internazionale dei
mercati
Es. alleanze tra compagnie aeree
Alleanze verticali: accordi tra imprese che, pur appartenendo allo stesso settore, si collocano in posizioni
diverse della filiera produttiva, es. fornitori o imprese di servizi, intermediari commerciali e distributori
Obiettivi
- Conseguire economie di scopo e di esperienza
Es. automotive
Alleanze trasversali: relazioni di collaborazione tra imprese operanti in settori diversi, non riconducibili alla
stessa filiera produttiva
Obiettivi
- Sinergie conseguibili su business complementari,
- Brand extension,
- Ricerca e Sviluppo, innovazione
Per es. l’alleanza tra Fujitsu e Siemens per la produzione di notebook
5. Crescita per integrazione verticale attiene al presidio strategico, finanziario ed operativo di tutte le fasi
necessarie per la ideazione, produzione e vendita di un determinato prodotto/servizio al fine di garantirsi
maggiore efficacia ed efficienza operativa e relazionale
Abbiamo definito il portafoglio di business, cioè l’insieme dei beni che un’impresa produce
Consideriamo le ‘fasi’ che l’impresa deve svolgere per far arrivare tali prodotti ai clienti finali
• L’impresa può svolgere in casa la quasi totalità delle attività necessarie per la messa sul mercato del
proprio prodotto o della propria famiglia di prodotti. Grado di integrazione verticale molto elevato
• Al contrario, l’impresa può limitare la propria attività alle sole fasi prossime al mercato (il marketing,
la vendita e l’assistenza post-vendita), acquistando da fornitori esterni (in outsourcing)
- I servizi di ricerca e di progettazione del prodotto
- I beni fisici che vende
- I servizi logistici per far giungere i beni ai clienti
- De-verticalizzazione
• La scelta di che ‘cosa fare in casa e cosa delegare all’esterno’ (in gergo make or buy) rappresenta una
componente importante della strategia aziendale, che l’impresa deve verificare di tanto in tanto per
tenere conto delle opportunità che si possono creare e dei rischi in cui si può incorrere
6. Outsourcing strategico attiene la scelta di affidare a produttori esterni alcune attività della propria catena
del valore per sfruttare i vantaggi della specializzazione flessibile e dell’ottimizzazione delle supply-chains –
fisiche e cognitive – presenti o attivabili lungo la produzione di un bene/servizio

Funzioni aziendali
Un’azienda è composta da divere funzioni aziendali:
finanza, marketing, ricerca e sviluppo, la
progettazione, gli acquisti, l’amministrazione,
personale organizzazione, produzione, qualità, mano
d’opera, gestione materiali.
Finanza: È la tesoreria dell’azienda cioè il luogo dove confluiscono tutti i ricavi e dove è possibile reperire a
tempo e luogo debito il danaro
per pagare i fornitori. Opera
anche con la risorsa denaro per
vendere ed acquistare alle
migliori condizioni di mercato ed
è responsabile del flusso di cassa
e della liquidità aziendale.
Marketing e commerciale. È
l’ente che indirizza lo sviluppo dei
nuovi prodotti mediante una
ricerca specifica di quello che i
clienti finali desiderano. È
responsabile dei prezzi e degli
sconti promozionali alla rete e
spesso delle vendite e
dell’assistenza post-vendita.
Anticipa anche le necessità
legislative e fiuta quello che i nuovi mercati richiederanno.

Progettazione e Ricerca e Sviluppo (R&S). È responsabile del disegno del prodotto dei materiali che lo
comporranno ed anche della possibilità di progettare in maniera normalizzata cioè in modo da ridurre i tempi
di progetto di ulteriori futuri prodotti utilizzando particolari base già studiati. È sempre alla ricerca del
miglioramento dei prodotti e soprattutto della funzione alla quale i prodotti stessi sono destinati.
Industrializzazione: È responsabile della fattibilità, cioè, di come verrà costruito il prodotto, intendendo con
ciò, la scelta delle soluzioni tecniche più economiche in termini di macchine, attrezzature, ed impianti sia
specifici che generali necessari a quel determinato livello produttivo. È ancora responsabile della risorsa”
tempo”, cioè delle previsioni e dei programmi necessari all’ingresso in produzione del prodotto.
Acquisti: È responsabile delle politiche di acquisto: - materiali diretti cioè quelli che si ritrovano nel prodotto
finito, - materiali indiretti, cioè quelli che servono a lavorare il prodotto o a manutenere le macchine, le
attrezzature e gli impianti ed infine - i servizi /prestazioni di ditte esterne alla qualità massima ed al costo
minimo. Nelle aziende molto grandi o nelle multinazionali è estremamente importante sul prezzo di acquisto
la quantità dei prodotti/servizi comprati e la durata nel tempo delle forniture (Economie di scala).
Amministrazione: È la funzione che rileva i costi sostenuti dall’azienda identificati per singolo prodotto e per
singolo centro di costo/profitto e per ciascuna fase di lavorazione. In termini di reporting si occupa della
redazione delle previsioni di spesa e degli investimenti redigendo un documento, sulla base delle notizie
fornite da tutti gli enti aziendali, denominato budget. Qualora ci siano delle circostanze che possono variare
le previsioni iniziali si parla di ri-previsioni. È superfluo ricordare che è chiaramente responsabile di mettere
in evidenza tutti gli scostamenti quantitativi ed i ritardi /anticipi nella attuazione degli investimenti.
Personale e organizzazione: È il responsabile della corretta gestione della risorsa umana cioè delle persone
che costituiscono l’azienda, in tutte i processi e le attività che tale gestione comporta. Si passa dalla selezione
al reclutamento, all’assunzione all’accoglimento all’addestramento/formazione alla retribuzione, ai servizi di
tutela della salute, della sicurezza e del patrimonio aziendale ai servizi generali logistici, ai rapporti con i
sindacati interni ed esterni, il tutto nel pieno rispetto dei contratti di lavoro. In particolare per quanto attiene
all’organizzazione si occupa della tenuta degli organigrammi, della redazione delle mansioni e della ricerca
del personale da inserire nelle posizioni vacanti o carenti.
Produzione: È la funzione che fabbrica il prodotto nel rispetto dei programmi di produzione concordati in
termini di quantità, di qualità e di costi assegnati e con il livello di servizio richiesto, e gestendo le risorse
assegnate. Provvede alla pianificazione delle attività produttive per il rispetto dei programmi.
Qualità: La funzione qualità, merita un discorso più approfondito. Fermo restando che le specifiche di
prodotto sono definite dalla progettazione, in origine si era partiti da una organizzazione che prevedeva la
funzione al di fuori della produzione, perché era vista come controllo delle attività produttive. Si esplicava in
termini di Collaudo, Controllo, Enti di supporto tecnologico, come laboratori, officine di verifica della tenuta
nel tempo del prodotto che si occupava dell’invecchiamento ultrarapido per controllare la durata; e da un
ente che redigeva in analogia alla produzione i cicli di controllo dei pezzi e impostava statisticamente un
controllo dell’affidabilità dei processi o delle lavorazioni. Il collaudo era un giudice inflessibile che giudicava
se il prodotto o i materiali in arrivo fossero “conformi” ad un campione rispondente alle specifiche. Il
controllo, una volta che si fossero trovati pezzi anomali, determinava le responsabilità tecnologiche delle
anomalie attribuendo cioè le “colpe” o alla progettazione del pezzo, o alla fornitura, oppure infine ad una
corretta esecuzione dell’officina. Oggi invece in una visione più moderna e responsabile il collaudo è
un’operazione che gli operai stessi che costruiscono si auto-attribuiscono, certificando la qualità del proprio
lavoro. Analogamente i fornitori si autocertificano rendendo vana l’accettazione arrivi, rimane all’ente
Qualità la redazione di audit periodici di lavorazione e di processo gestendo il sistema complesso dell’SPC
(Statistical Process Control). Siamo in regime di gestione totale della Qualità (TQM).
Manutenzione: Si occupa di manutenere il patrimonio aziendale: infrastrutture, strutture, impianti generali,
impianti specifici, macchinari, attrezzature, sempre in condizioni di perfetta efficienza anche ai fini
ambientali. Prevederne i costi relativi, redigere cicli e programmi delle attività prevedibili e programmabili,
provvedere a tutte le esigenze immediate di pronto intervento richieste dalla fabbricazione. Gestire infine i
volumi (minimi) dei materiali di manutenzione.
Gestione manodopera: Sulla base dei cicli di produzione redatti dall’industrializzazione del prodotto,
prevedere i fabbisogni di manodopera diretta (cioè degli operai che aggiungono valore al prodotto) ed
indiretta (cioè degli operai che servono nelle attività ad esempio di manutenzione, trasporto materiali,
redazione di report qualitativi = audit, sia in maniera puntuale che come previsione nel tempo legata alla
conoscenza dei programmi produttivi.
Gestione materiali: Si occupa della corretta gestione della risorsa Materiali esplicando tale funzione secondo
tre direttrici: (1) sulla base dei programmi di produzione e con la conoscenza della composizione analitica del
prodotto/prodotti, ordina ai fornitori esterni scelti dagli acquisti i materiali diretti ed indiretti necessari; (2)
provvede al ricevimento, all’immagazzinamento ed al rifornimento dei materiali ordinati, curando che i livelli
di scorta siano i minimi concordati; (3) provvede infine ai trasporti verso l’esterno di tutto quanto necessari
o e qualche volta anche del prodotto finito verso i clienti esterni.
Modulo di organizzazione aziendale (OA)
L’organizzazione è una proprietà caratteristica degli esseri viventi per mezzo della quale ciascuna soggettività,
pur non cessando di esistere come autonoma unità, esplica la propria esistenza in funzione di un organismo
superiore che lo comprende e che, nella sintesi, riesce ad esprimere una diversa e più ampia individualità,
punto di partenza, a sua volta, per nuove riproposizioni verso sistemi più complessi.
L'organizzazione, quindi, prima ancora che come un’entità fisica o logica, può essere definita come una
modalità del comportamento umano connaturata all’agire di fronte alla complessità.
Le organizzazioni non esistono in natura ma vengono progettate e costruite dall’uomo allo scopo di
conseguire determinati risultati, i quali non sarebbero il più delle volte raggiungibili senza l’apporto
congiunto, coordinato e protratto nel tempo di più partecipanti e l’impiego di risorse adeguate.
Tutti i rapporti che si possono sviluppare tra l’unità particolare e l’organismo generale e fra questi e
l’ambiente esterno costituiscono l’oggetto degli studi organizzativi.
L'organizzazione tout court, quindi, nasce con l'uomo e si evolve con la sua storia, ma soltanto recentemente,
con l'avvento dell'era industriale, su di essa si è sviluppata una teoria dell’organizzazione.
Qual è l’obiettivo dell’organizzazione?
L’ “Organizzazione” ha l’obiettivo di delineare le modalità attraverso le quali l’impresa mette a sistema le
risorse, materiali ed immateriali, per svolgere, in condizioni di economicità, le proprie combinazioni
produttive.
Approccio oggettivo all’organizzazione lo Scientific Management di F. Taylor
• Distinzione dei compiti e distribuzione delle responsabilità;
• Studio scientifico dei metodi di lavoro – regole: attività elementari, standardizzazione, misurazione
dei tempi;
• Selezione e addestramento della manodopera;
• Incentivazione pecuniaria

Componenti dell’organizzazione
Organizzazione formale
L’organizzazione formale è l’insieme di ruoli, di norme e di procedure che costituiscono la struttura
organizzativa.
Dimensioni fondamentali di una struttura organizzativa formale:
• Ruolo, comportamento atteso da chi occupa una posizione, in un contesto organizzativo; posizione
alla quale sono attribuiti determinati compiti da svolgere (mansione) intrattenendo precisi rapporti
gli con altri ruoli.
Il ruolo si basa su due caratteristiche fondamentali:
Autorità è il potere legittimo a svolgere le mansioni per esso previste e che consente di decidere,
operare nell’azione pratica e controllare i risultati prodotti.
Responsabilità è la conoscenza dei problemi insiti nei compiti che si assumono, volontà di risolverli,
necessità di dover dar conto del proprio operato
Gli individui e i gruppi di
individui, impegnati nello
svolgimento continuato nel
tempo di una determinata
attività, sviluppano una certa
livello di competenze e
d’abilità, che garantisce non
solo l’efficacia delle attività
organizzative ma soprattutto
l’efficienza, attraverso un percorso continuo di specializzazione, tramite il quale, le componenti del
sistema organizzativo aumentano le proprie prestazioni, riuscendo appunto ad ottenere risultati
quantitativamente e qualitativamente migliori.
Dalla specializzazione deriva appunto le diverse expertise dei diversi componenti che fanno parte
dell’impresa, dei diversi lavoratori e di conseguenza ne deriva il diverso ruolo
• Processo di delega
Trasferimento dell’esecuzione di un compito, trasferimento di autorità e responsabilità tra delegante
e delegato. Ci sono due tipologie di delega:
▪ Management by objectives
▪ Management by process
Consiste nel trasferire o attribuire, autorità e responsabilità dell’esecuzione di un compito ad un altro
ruolo organizzativo delegato, che si incarica nella realizzazione dell’attività delegata. Attraverso il
processo di delega si trasferisce il diritto di operare liberamente e entro fissati limiti imposti dalla
necessità di coordinamento delle diverse attività delegate, riservando sempre i controlli dei risultati.
Il processo di delega deve essere accompagnato sempre da una responsabilizzazione del ruolo
delegato, implica quindi allo stesso tempo il concetto di controllo, da sviluppare in sede esecutiva,
da parte dell’operatore delegato sui risultati connessi alla propria azione, per essere riferito poi
all’organo delegante soltanto quando sia stata eventualmente accertata la difformità fra gli obiettivi
effettivamente raggiunti e quelli invece sperati. Questo concetto di delega può rientrare nel concetto
più generale di responsabilizzazione dell’organo periferico da attuarsi attraverso una preliminare
individuazione degli obiettivi da raggiungere, lasciando così allo stesso incaricato a scegliere e imporsi
la migliore via nel loro conseguimento, operando quindi il controllo sugli scostamenti tra realtà
effettiva e programmata, motivo per cui si parla di management by objectives. È importante ai fini
della responsabilizzazione, che il momento dell’autodeterminazione decisionale perché per il suo
tramite l’azione da compiere risulta liberamente scelta dallo stesso operatore, non appaia
brutalmente imposto dall’esterno. Quest’ultimo caso infatti è l’interesse del suo coordinato
generalmente sarà maggiormente teso a ricercare e possibili giustificazioni per non aver agito
secondo le previsioni imposte, piuttosto che realizzare nel migliore dei modi tali previsioni. Il
concetto di controllo non va inteso nel senso statico e repressivo ma deve costituire un’informazione
di ritorno da recepirsi mentre l’azione è ancora in atto ed è demandata al delegante che deve
raccogliere le informazioni necessarie alla comprensione dello stato di avanzamento delle attività e
del raggiungimento degli obiettivi preposti.
Come si sviluppa, tendenzialmente questo processo di delega e controllo?
Tramite l’ampiezza di controllo ossia quanti delegati corrispondono ad un delegante e sui livelli
gerarchici.
Grado di decentramento: distribuzione del potere decisionale tra i livelli della struttura organizzativa.
In funzione del grado di decentramento le imprese sono: accentrate (poca delega, accentrato sui
proprietari dell’azienda, piccole e medie imprese) o decentrate (delega)
Vantaggi dell’accentramento
▪ Condizione più integrata dell’impresa
▪ Maggiore efficacia nelle occasioni critiche aziendali

Vantaggi del decentramento


▪ Presa di decisioni laddove si manifestano i problemi e si dispone delle informazioni sugli stessi
▪ Alleggerimento dei compiti dell’Alta Direzione
▪ Responsabilizzazione dei dirigenti di livello medio basso
▪ Flessibilità dell’organizzazione
• Norme e Procedure
Insieme di vincoli che limitano l’azione dei ruoli e la loro autorità. Le norme sono vincoli statici,
mentre le procedure sono vincoli dinamici. Le norme sono dei vincoli statici perché sono ben definite,
sono le norme a cui bisogna attenersi, sono le regole comportamentali e scritte a cui si deve attenere
tutta la struttura aziendale. Le procedure invece sono dei vincoli dinamici, nel espletare queste
norme possono quindi variare in base alla procedura necessaria per rispettare appunto queste norme
e raggiungere gli obiettivi aziendali

Organigramma aziendale
Rappresentazione grafica della struttura organizzativa che evidenzia gli organi aziendali e le relazioni che
legano gli stessi.
È rappresentato tendenzialmente da un diagramma a blocchi in cui si evidenzia ruoli, scale gerarchiche di
dipendenza, livelli di autorità, ampiezze di controllo.
Vantaggi
• Rappresentazione sintetica e immediata della realtà aziendale
• Consente, in un certo momento dell’evoluzione del sistema, la visualizzazione dei collegamenti esistenti tra
le varie posizioni
• Evidenzia i livelli di autorità e responsabilità, le linee gerarchiche di comando e i loro canali di comunicazione
Svantaggi
• Rappresentazione statica di una realtà dinamica (necessità di aggiornamento)
• Non evidenzia relazioni tra gli organi diverse da quelle gerarchiche
• Non dà indicazioni sufficienti riguardo ai compiti svolti da ogni organo

Strutture Organizzative di Base


Le funzioni di organizzazione ha lo specifico obiettivo di definire le modalità attraverso le quali l’impresa
mette a sistema le risorse materiali e immateriali per svolgere efficientemente e efficacemente le proprie
combinazioni produttive. Per definire il proprio
processo decisionale ed operativo in relazione al
tipo di attività svolta e dalle caratteristiche
dell’ambiente in cui opera e intende operare,
l’impresa può fare riferimento a queste strutture
organizzative di base, variamente combinabili
Strutture organizzative di base:
• Struttura organizzativa semplice
Tipica delle imprese di piccole dimensioni, le
diverse funzioni sono indistinte ed accentrate
nelle mani dell’imprenditore capitalista coadiuvato a volte da collaboratori che svolgono funzioni
prevalentemente esecutive. Al crescere poi della dimensione aziendale si rende necessaria una
progressiva differenziazione delle funzioni e la loro attribuzione ad organi diversi. La necessità di
decentramento decisionale genera spesso timori e diffidenze negli imprenditori individuali, la cui cultura
è di solito lontana dal concepire la collaborazione con altre persone. Questo fattore costituisce una delle
cause più rilevanti del mancato sviluppo e talvolta addirittura dell’elevata mortalità delle imprese di
piccole dimensioni.
• Struttura organizzativa plurifunzionale
Le principali funzioni sono differenziate e attribuite a singoli direttori che hanno la responsabilità non
solo dell’efficacia, soprattutto dell’efficienza realizzata nel perseguire gli obiettivi loro assegnati.
L’adozione di questa struttura comporta alla creazione di due livelli di decisioni strategiche
rappresentanti dalla direzione generale dei dirigenti delle diverse aree funzionali come si vede dal grafico.
La direzione generale definisce le strategie aziendali e controlla l’adozione e si preoccupa di dividere
eventuali conflitti che potrebbero sorgere tra le diverse funzioni.
L’attività delle diverse aeree è generalmente destinata supportare il vertice centrale nella formulazione
delle strategie aziendali, definire le linee di applicazione di tale strategie nell’ambito funzionale e
realizzare l’attività operativa di loro competenza, controllandone l’efficienza con cui essa viene svolta.
Questa struttura risponde alle esigenze dell’imprese mono-business che operano in aree d’affari molto
omogenee tra loro per tipologie di prodotti, per tecnologie utilizzate e situazioni di mercato.
L’obiettivo principale di tale struttura è garantire la massima efficienza nella gestione delle risorse
affidate realizzabile tramite l’elevata specializzazione di coloro che operano all’interno di ciascuna
funzione, che consente di migliorare continuamente i rendimenti delle risorse impiegate attraverso
l’utilizzo di conoscenze possedute e dell’esperienze progressivamente maturate.
Vantaggi
• Chiarezza dei rapporti tra i diversi organi aziendali
• Controllo dei costi delle diverse funzioni
• Promozione di elevata specializzazione
• Larga divisione del lavoro a livello direttivo
Svantaggi
• Inadeguatezza a far fronte ad un aumento delle dimensioni aziendali
• Problemi di coordinamento di aree specializzate differenti
• Rischio di eccessiva specializzazione
• Strutture organizzativa multidivisionale
Una differenziazione delle attività in base ai prodotti, alle aree geografiche oppure più genericamente
alle aree di affari.
3 criteri per il raggruppamento delle attività: prodotto, area geografica, aree di affari
Questa suddivisione determina il formarsi di un’area centrale assistito da diversi organi di staff e
differenti divisioni come si può vedere l’immagine qui di fianco.
Il vertice centrale ha il compito di definire l’orientamento strategico dell’impresa, di gestire i processi
comuni a più divisioni, di regolare e controllare l’attività svolta dalle singole divisioni. A ciascuna di esse
viene demandato lo svolgimento dei processi e delle combinazioni dei processi relativi alla realizzazione
di specifici prodotti, alla produzione di una determinata area di mercato e di affari. In linea generale la
struttura può assumere due configurazioni a seconda che i processi decisionali strategici siano appunto
accentrati nel vertice centrale oppure vengono parzialmente demandati anche ai vertici divisionali. In
questa ultima ipotesi i direttori delle varie divisioni possono detenere notevole responsabilità in merito
alla gestione delle risorse finanziarie, tecniche ed umane a loro assegnate pur potendosi presentare
liberamente autonome, più generalmente le attività svolte dalle singole divisioni presentano varie
interrelazioni al fine di realizzare rilevanti sinergie e acquisire importanti vantaggi competitivi sulla
concorrenza, ovviamente la suddivisione su prodotti, aree geografiche e processi.
La struttura monodimensionale presenta il rischio di realizzare diversi livelli di efficienza nel
espletamento delle stesse attività aziendali, svolte all’interno delle divisioni e per evitare che ciò avvenga,
nelle imprese diversificate su diverse aree di business che operano in ambienti particolarmente
complessi, solitamente si preferisce ricorrere
a strutture a matrice, caratterizzate dal fatto
che agenti operativi ricevono appunto, un
duplice orientamento dalle divisioni o aree di
business, dalle funzioni a loro volta
coordinate dal vertice centrale. È importante
osservare che all’ampliarsi delle dimensioni e
delle complessità dell’attività svolta
dall’impresa, con una struttura organizzativa
multidimensionale si assiste spesso alla
formazione di gruppi aziendali, al cui interno è possibile individuare un’impresa capogruppo, la famosa
holding, che controlla tutte le altre
Attività
Direzione generale
• Definizione strategie globali
• Allocazione risorse tra divisioni
• Coordinamento, pianificazione e valutazione delle divisioni
Direzioni di staff
• Supporto all’alta direzione
• Interazione con le divisioni
Direzioni divisionali
• Definizione strategie di divisione
• Coordinamento, pianificazione e valutazione delle unità funzionali
Unità funzionali
• Operare all’interno delle deleghe
• Coordinamento, pianificazione e valutazione delle unità operative
Vantaggi
• In presenza di produzione diversificate, è una struttura ottimale
• Maggiore flessibilità in aziende di grandi dimensioni
(Frammentazione in tante sub aziende con propria autonomia)
• Sviluppa nei dirigenti capacità gestionali globali
• Consente al vertice aziendale di concentrarsi sulle decisioni strategiche
Svantaggi
• Necessità di una governance forte basata sulla trasparenza e monitoraggio dei risultati
• Livelli di efficienza diversi
• Maggiori costi
• Necessità di potenziare il sistema informativo aziendale (Elemento di supporto al decentramento
decisionale e all’attività di coordinamento)
• Struttura organizzativa per l’innovazione
Si possono annoverare le “Task force” e l’organizzazione per progetto.
Le “Task Force” sono una struttura organizzativa temporanea, caratterizzata da specialisti con differenti
competenze in presenza di un problema obiettivo ben determinato. Si tratta di una struttura fortemente
focalizzata sul raggiungimento dello specifico risultato e la task force è mobilitata con il conseguimento
dell’obiettivo, infatti in presenza di problemi che richiedono un frequente ricorso a strutture di tipo task
force, l’organizzazione può modificarsi tendendo a soluzioni strutturali con carattere di maggiore
continuità quali le organizzazioni per progetto. Pensiamo alle Task Force che sono fatte oggi per situazioni
emergenziali per esempio per il covid
Le organizzazioni per progetto: La formazione di un gruppo di progetto preposto per il lancio di un nuovo
prodotto, per l’ingresso in una nuova area d’affari, in generale per l’analisi e la definizione di una nuova
soluzione di business. La responsabilità per la realizzazione dei singoli progetti viene attribuita
direttamente ad un direttore, chiamato project manager, di elevato valore gerarchico, il quale nella sua
attività si avvale di persone reperite presso le diverse funzioni, che possiedono le competenze differenti
necessarie per il progetto. I gruppi hanno generalmente durata limitata poiché esauriscono il loro
compito nello sviluppo del progetto e dopo tale fase infatti lo svolgimento dell’attività relativa alla
risoluzione del progetto, viene poi ripartita tra le parti funzionali a ciò preposto oppure confluiscono una
divisione appositamente costituita. Questa struttura si adopera bene per aziende che lavorano con una
commessa e ambiente in cui i prodotti o i processi produttivi sono soggetti a rapida obsolescenza e
conseguentemente a rapida sostituzione
• Struttura organizzativa per matrice
Rappresenta la necessità dei sistemi organizzativi di fronteggiare un contesto ambientale sempre più
dinamico e turbolento, porta anche a definire nuove strutturazioni, caratterizza quei sistemi organizzativi
che operano per progetti, basata su una produzione volta a realizzare uno specifico obiettivo e che
presenta elementi di complessità tali, da rendere il processo produttivo fondamentalmente unico e non
ripetitivo non standardizzabile (esempio di tutte quelle attività che lavorano con una commessa, imprese
di costruzioni). Può essere vista come un’integrazione delle strutture funzionali e multidivisionale, infatti
tale struttura organizzativa si presenta con colonne della matrice che corrispondono con le diverse
funzioni organizzative, si tratta di funzioni specialistiche le quali sono collocate le diverse competenze
necessarie allo svolgimento di una specifica mansione, mentre lungo le righe sono poste le divisioni, in
realtà non si tratta di vere e proprie divisioni ma piuttosto di aree di business o di progetto. Questa
tipologia di struttura è molto utile per quelle imprese che adoperano più progetti in parallelo secondo
un programma di produzione a medio-lungo periodo e l’organizzazione attribuisce la responsabilità e il
coordinamento per l’adempimento di un prodotto ad un responsabile, che è il project manager, il quale
ha il compito di pianificare, programmare, gestire e valutare la realizzazione del prodotto, impiegando la
consulenza delle diverse funzioni specialistiche, generalmente per la realizzazione di un progetto da ogni
funzione specialistica, viene assegnato uno o più responsabili di funzione e si viene così a definire un
team di progetto costituito da esperti delle diverse funzioni specialistiche che sotto il coordinamento del
project manager sono chiamate appunto alla realizzazione del progetto.
Questa tipologia di struttura presenta un elevato grado di complessità interna dovuto proprio alla
difficoltà di bilanciamento di poteri tra il vertice centrale e il responsabili funzionali e quelli di progetti,
in particolare ciascun project manager si trova nelle condizioni operative di essere responsabile nei
confronti del vertice centrale, a cui si interfaccia e si risponde direttamente per la realizzazione del
progetto, ma ad avere una blanda autorità sul gruppo di progetto. Infatti gli specialisti di funzione dal
punto di vista della linea di comando dipendono in maniera forte dai direttori di funzione e in maniera
debole dal responsabile di progetto. Una volta terminato il progetto gli specialisti rientrano nelle funzioni
di appartenenza e sebbene le esperienze sviluppate nelle realizzazione del progetto siano importanti per
l’esperienza di lavoro, le progressioni nel percorso della carriera sono fondamentalmente influenzate
dalle scelte dei direttori di funzione, piuttosto che dal project manager, tutto ciò comporta che il project
manager oltre a possedere adeguate capacità tecniche e decisionali, deve possedere forti capacità
carismatiche e di leadership, tali da sopperire alla autorità, fondamentalmente formale, con quella
informale.

Le variabili che influenzano la scelta del tipo di struttura organizzativa sono:


• Dimensione aziendale (influenza sia la tipologia che l’ampiezza, al crescere dell’impresa bisogna tenere
snello il sistema organizzativo ed evitare la creazione di sovrastrutture che possono inficiare l’efficienza
se non addirittura, l’efficacia del sistema organizzativo)
• Dispersione geografica delle diverse unità organizzative
• Tipo di produzione
• Tipologia di mercati e del comparto industriale
• Comportamento direzionale

Organizzazione informale e la gestione delle risorse umane


Insieme dei rapporti che si vengono ad instaurare tra gli elementi del sistema organizzativo
indipendentemente da regole e strutture formali.
Perché siamo interessati alla gestione ed alla soddisfazione delle persone in un sistema organizzativo?
Perché la soddisfazione delle persone determina infatti l’efficacia di tutto il sistema impresa e sono proprio
gli elementi di differenziazione rispetto alle altre organizzazioni che definiscono quelle che sono le
competenze, le risorse, beni distintivi dell’azienda, dalle quali il cliente dovrebbe scegliere il suo prodotto
rispetto alla concorrenza. Non si può ritenere che l’organizzazione interna dell’impresa possa essere scissa
completamente dalle vendite di quella stessa impresa, in realtà è tutto molto coordinato, proprio perché il
benessere delle persone che lavorano all’interno della struttura aziendale, migliorano le prestazioni della
struttura stessa. La cosa più difficile e importante per una azienda è trovare un equilibrio tra la cultura
organizzativa, stili di leadership, motivazione/Coinvolgimento delle HR, sistemi premianti/Rewarding e team
working.
Cultura organizzativa: l’azienda si caratterizza da una struttura di codici che indirizza il comportamento degli
attori organizzativi, sia in occasione di eventi unici e straordinari, in caso di attività e interazione quotidiana
Tali codici sono sottoposti, ad un percorso di creazione ed evoluzione dinamica, all’ambiente esterno, nonché
interno, grazie all’attitudine organizzativa si generano dei modelli cognitivi, per l’interpretazione degli eventi
e coinvolgimenti, nel senso appunto di appartenenza all’organizzazione.
È incorporata in artefatti simbolici che hanno il compito di costruirla, conservarla e trasmetterla. Bodega
(1997) considera:
• I simboli fisici (edifici, abbigliamento, layout degli uffici e dei luoghi di lavoro, insegne e loghi, ecc.)
• I linguaggi, che comprendono il gergo aziendale, gli scritti, le metafore, i detti, le frasi celebri, gli slogan, i
soprannomi
• Le tradizioni, che comprendono assunti, valori, riti, cerimonie (pranzi, convention, premiazioni per risultati,
fine carriera), routines
• Le storie, che comprendono leggende, miti, aneddoti, giochi, ideologie, che servono a creare il vissuto di
un’organizzazione ed il ruolo di certi personaggi aziendali rilevanti o esaltare la formula imprenditoriale
La leadership: Esistono varie definizioni di leadership: la capacità di stabilire una direzione e influenzare gli
altri a seguirla. Si può suddividere in base al potere intrapreso in:
▪ Leadership transazionale, potere di posizione; I followers vengono motivati grazie alla possibilità di
ottenere ricompense personali, di qualsiasi tipo, che solo il leader può concedere.
▪ Leadership trasformazionale, potere personale; Il leader trasformazionale basa il proprio potere sui
principi, sull’autostima, sulla fiducia e sull’impatto motivazionale ad avere una performance sopra la
media.
La differenza tra un manager e un leader:
Manager
Si occupa di tecniche di pianificazione, di controllo delle risorse per raggiungere obiettivi futuri in modo da
istituire una chiara struttura sociale. Essi si avvalgono di un sistema di verifica e controllo delle prestazioni
Leader
Il leader si focalizza, invece, sulle opportunità di crescita e cambiamento delle persone e quindi
dell’organizzazione, sull’empowerment cioè su un processo che ha lo scopo di render consapevoli del proprio
ruolo professionale, attraverso la conoscenza dei limiti e delle possibilità.
Sviluppo di una Visione futura condivisa.
È naturale che per fare ciò occorre che un leader abbia una credibilità indiscussa e una forte passione per il
proprio lavoro:
• L’orientamento e la capacità di indirizzare e dirigere gli altri verso una meta;
• La motivazione, cioè l’insieme delle ragioni, dei “motivi” che causano un comportamento;
• L’ispirazione, l’impulso a seguire una meta
Il teamworking:
• Un fine chiaro.
• Una strategia ben definita e, cosa più importante comunicata a tutti i collaboratori.
• Un insieme di valori comuni (senso di appartenenza).
• Un certo grado di disciplina.
• L’abitudine a una preparazione accurata.
Capire il significato profondo, la missione, la finalità dell’attività lavorativa dei collaboratori, permette al
leader di costruire un obiettivo professionale alimentato da una forte motivazione.

Sicuramente per i manager, promuovere l’empowerment, ossia la responsabilizzazione dei collaboratori, non
è affatto semplice, ma è per questo che elementi come l’innovatività, quindi il promuovere il pensiero
innovativo, mostrare il rispetto reciproco, il delegare ed essere pronti a ricevere incarichi delegati, la fiducia,
la flessibilità e l’elasticità negli approcci, il rischio, la distribuzione del potere decisionale, la paura, la
comunicazione, i simboli, la partecipazione, la condivisione, la collaborazione sono elementi fondamentali
che un leader, un manager deve sempre tenere in considerazione per garantire l’equilibrio organizzativo e
l’empowerment dei propri dipendenti.

Modulo sulla gestione della produzione (GP)


Operations e supply chain management (OSCM)
È il processo di progettazione, realizzazione e miglioramento dei sistemi aziendali che producono e
distribuiscono i prodotti ed i servizi dell’impresa
Esiste un’attività di
“produzione” e
“distribuzione” ogni volta
che si fabbrica un
oggetto o si presta un
servizio: l’acciaieria, i
medici in sala operatoria,
la banca, l’impresa di
trasporti, l’università.
Operations si riferisce ai
processi necessari per
trasformare le risorse
impiegate da un’impresa
nei prodotti desiderati
dai clienti
Supply chain si riferisce ai
processi che spostano
informazioni e materiali da e verso i processi di produzione e servizio dell’impresa. Si tratta dei processi
logistici che spostano fisicamente i prodotti e dei processi di stoccaggio e di immagazzinamento che li
mettono a disposizione per una pronta consegna al cliente. È la gestione della fornitura (a gestione delle
attività, che portano i fattori in entrata, gli input verso impianti e magazzini, per essere trasformati ed
ottenere prodotti, servizi e semilavorati o finiti) e della distribuzione (si intende la gestione delle attività che
portano i prodotti finiti, gli output verso il cliente)
I processi dell’OSCM
Sono gli strumenti integrati di logistica, decisionale e di ottimizzazione della supply chain, che si sviluppano
lungo tutte le funzioni aziendali di un’azienda
1. La pianificazione
Consiste nelle attività volte a stabilire come soddisfare la domanda prevista con le risorse a
disposizione. Ho un tot di input, di materie prime, lavoro, energia, ho una determinata domanda dal
mercato, devo pianificare quanto, con le risorse a disposizione, io riesco effettivamente a pianificare
il soddisfacimento della domanda, quindi a produrre per soddisfare la domanda di mercato.
2. L’approvvigionamento
Comprende la scelta dei fornitori che consegnano i beni e servizi necessari per creare il prodotto
dell’azienda. Si sviluppa attraverso varie attività che comprendono, tra le altre, la ricezione e la
verifica delle merci, il loro trasferimento agli impianti di produzione, l’autorizzazione ai pagamenti
dei fornitori, le attività di negoziazione del pricing, di consegna e di pagamento, ecc.
Si tratta di tutte quelle attività che a me servono per avere gli input dei fornitori, che poi devo portarli
all’impianti ed avviarli nel processo produttivo dell’azienda, che poi servirà per produrre il mio output
finale, per il mio prodotto che venderò sul mercato.
3. La produzione
Consiste nella programmazione delle attività dei dipendenti e il coordinamento nell’impiego del
materiale e di altre risorse fondamentali, quali macchinari ed attrezzature. Ovviamente sarà molto
differente se si tratta di impresa che produce servizi oppure prodotti, perché nel primo caso non ci
sono impianti di produzione di un prodotto, al massimo software di lavorazione, pensiamo che esse
sono labour intensive, consulenze ma anche i servizi universitari, sono basate in maggioranza sullo
sfruttamento della mente, delle persone, della forza lavoro.
4. La distribuzione
Consiste nelle attività volte a selezionare i corrieri per consegnare i prodotti ai grossisti o ai clienti,
coordinare e programmare lo spostamento di beni ed informazioni lungo la rete, sviluppare e gestire
la rete dei magazzini, nonché gestire i sistemi informatici che si occupano della ricezione degli ordini
dei clienti ed i sistemi di fatturazione che raccolgono i pagamenti dai clienti.
5. Il reso
Comprende le attività di ricezione dei prodotti difettosi o in eccesso inviati dai clienti e le attività di
supporto ai clienti che riscontrano problemi con le merci consegnate.
Nel caso di servizi, riguarda tutte le attività di follow-up richieste nel supporto post-vendita

Le sfide dell’OSCM

- Coordinamento delle relazioni tra imprese distinte ma legate da processi di esternalizzazione ed


outsourcing;
- Ottimizzazione di network globali di fornitura, produzione e distribuzione (esempio del pesce proveniente
dall’asia che è più conveniente di quello nostrano);
- Gestione della crescente co-produzione beni-servizi;
- Gestione dei punti e dei momenti di contatto con il cliente (quanto è importante la costumer care, la
fidelizzazione con il brand)
- Integrazione e centralità della OSCM nel modello di business dell’impresa

L’operations strategy (OS)


È la formulazione di piani e programmi di ampio respiro per ottimizzare l’allocazione delle risorse dell’impresa
volte a produrre e distribuire il prodotto, al fine di supportare al meglio la sua strategia competitiva di lungo
termine.
Obiettivo prioritario dell’OS è l’efficacia delle attività necessarie a garantire il funzionamento aziendale e il
relativo impatto sui costi aziendali, nonché l’integrazione con la strategia competitiva dell’intera impresa.
Dimensioni operative delle operations
- Costo: produrre a basso costo/con efficienza, senza sacrificare troppo la qualità del prodotto;
- Qualità: fabbricare beni o fornire servizi che soddisfino gusti ed esigenze del cliente – qualità di prodotto e
qualità di processo e relazioni con i costi di produzione. L’equilibrio tra costi e qualità costituiscono uno degli
aspetti più importanti per l’impresa
- Tempi di consegna: essere veloci;
- Consegna affidabile: “mantenere le promesse”;
- Adeguamento alle variazioni della domanda;
- Flessibilità e rapidità nell’introduzione di nuovi prodotti: il “time to market”;
- Supporto e collaborazione tecnica ai fornitori;
- Assistenza post-vendita;
- Impatto ambientale delle produzioni e dei processi produttivi

Non è sempre facile unire l’ottimizzazione dell’OCSM con la coerenza strategica e all’integrazione tra la
corporate strategy dell’impresa, che tende a diminuire al massimo i costi, i quali per forza di cose non possono
essere diminuiti più di un certo livello per mantenere la qualità, l’affidabilità, per mantenere la quota di
mercato e la reputazione aziendale. Per definire diversi livelli strategici bisogna ricorrere a business strategy
ben delineate, basate sull’ottimizzazione del costo.
La misurazione delle prestazioni delle attività di OM: la produttività
Produttività = output/input
Da confrontare con altre imprese dello stesso settore (o con dati medi di settore) o da confrontare nel tempo;
1. Produttività parziale: rapporto tra output e singolo input (Output/ manodopera; Output/capitale;
Output/materiali; Output/energia)
2. Produttività multifattoriale: rapporto tra output e un gruppo di input
(Output/manodopera+capitale+energia; Output/manodopera+capitale+materiali)
3. Produttività totale: rapporto tra tutti gli output e tutti gli input

I problemi della progettazione “convenzionale”


1. La progettazione è lenta
Il prodotto/servizio arriva tardi sul mercato, quando i concorrenti sono già saldamente posizionati. Il
marketing deve sempre inseguire la concorrenza; la produzione si trova a dover rincorrere
miglioramenti già introdotti; i ritorni finanziari lenti ritardano e impediscono il recupero degli
investimenti
2. La progettazione è miope
La progettazione è intesa come mera progettazione dei prodotti e non si cura contemporaneamente
la progettazione dei relativi processi e dei servizi complementari che comprendono spesso le reali
attività a valore necessarie allo sviluppo e commercializzazione dei nuovi prodotti
3. La progettazione è avulsa dal contesto aziendale
I “progettisti” sono un gruppo a parte. Lavorano senza contatti con i loro clienti, finali ed interni e
sulla base di scarsissime informazioni provenienti dal mercato.
4. La progettazione non è focalizzata
Mancanza di linee guida chiare che indirizzino i programmi di progettazione verso il rispetto degli
obiettivi e delle funzionalità di prodotto/servizio
Queste problematiche comportano uno stallo nel processo di produzione.
Definizione di prodotto e criteri di classificazione
Il prodotto (servizio) è il risultato di un determinato processo ottenibile mediante il pagamento di un certo
corrispettivo.
Il prodotto è tradizionalmente classificato in accordo ad alcuni criteri:
- Destinazione (in base alla loro destinazione, questi prodotti possono essere finali, per soddisfare quindi un
bisogno umano, comportando una distruzione immediata o ad una usura progressiva di dato bene) o
intermedi (il quale consumo è solamente una fase della sua vita, esempio acciaio)
- Durata (Prodotti durevoli, il consumo non corrisponde ad una distruzione immediata del prodotto es.
elettrodomestico; Prodotti non durevoli, il consumo completa la distruzione immediata del prodotto es.
consumo di una torta)
- Natura
- Destinatari (Prodotti/servizi individuali, l’uso di un prodotto da parte di un individuo esclude un altro
individuo nello stesso uso e nello stesso tempo; Prodotti/servizi collettivi più persone usano il prodotto nello
stesso tempo, può essere il risultato di iniziative private ma spesso di organismi pubblici)
Il concetto di prodotto – sistema:
• Aggregato di elementi ordinati per realizzare un obiettivo preliminarmente definito
• Combinazione di parti costituenti un tutto "complesso o unitario”
Il prodotto - sistema è scomponibile in sottosistemi, aventi ciascuno una propria funzione all'interno del
sistema. I sottosistemi possono essere disaggregati in componenti che a loro volta sono costituiti da oggetti
tecnici elementari.

Il processo di sviluppo del prodotto


Si sviluppa essenzialmente su 6 fasi che coinvolgono in particolare ed in maniera integrata le funzioni
marketing, progettazione, industrializzazione ed operations:
Le fasi di sviluppo prodotto in una logica market-pull – il mercato “tira” le decisioni di sviluppo prodotto:
Fase 0. La pianificazione
Fase 0 perché precede l’approvazione del progetto e il lancio del vero e proprio processo di sviluppo del
prodotto. È legata alla strategia aziendale, alla valutazione della tecnologia ed agli obiettivi di mercato.
L’output di questa fase è la dichiarazione degli obiettivi di progetto che specifica il target di mercato per il
prodotto, gli obiettivi di business, le opportunità ed i vincoli.
Fase 1. Lo sviluppo del concept
Si identificano i bisogni del target di mercato, si generano e si valutano concept di prodotto alternativi e si
selezionano alcuni concept che verranno ulteriormente sviluppati e testati.
Spesso si sviluppano analisi dei prodotti concorrenti e un primo budget di progetto
Il concept è la descrizione della forma, delle funzioni e delle caratteristiche di un prodotto
Fase 2. La progettazione del sistema-prodotto
Include la definizione dell’architettura del prodotto e la scomposizione in sotto-sistemi, componenti ed
oggetti tecnici elementari, nonché lo schema finale di montaggio
L’output di questa fase include la definizione delle geometrie di massima del prodotto, le principali specifiche
di ciascun sotto-sistema e un diagramma di flusso preliminare per il processo finale di montaggio.
Fase 3. La progettazione di dettaglio
Include la definizione di specifiche complete per i materiali e l’identificazione delle parti da acquistare da
fornitori esterni. Si stabilisce un piano di processo e si identificano e progettano utensili, attrezzature e layout
che saranno necessari per il processo produttivo
Fase 4. Collaudo e perfezionamento (prototipazione)
Si costruiscono realmente e si valutano svariati prototipi di prodotto e collaudati per determinare se il
prodotto funziona secondo le specifiche e soddisfa i bisogni dei consumatori.
Fase 5. Ramp-up della produzione
Il prodotto viene fabbricato seguendo il ciclo di produzione.
La forza lavoro è addestrata per risolvere eventuali problemi dei processi di produzione. I prodotti fabbricati
sono forniti a gruppi scelti di consumatori e valutati per identificare eventuali difetti persistenti.
La transizione dal ramp-up alla produzione a pieno regime avviene in maniera graduale. A un certo punto, il
prodotto è lanciato e reso disponibile per essere distribuito su larga scala

Quindi da tutto ciò che abbiamo visto quali sono le linee guida, fondamentali, di progettazione per la
produzione?
In generale
Progettare in funzione degli obiettivi di mercato e di costo e minimizzare il numero delle parti e delle
operazioni.
Per la qualità
Assicurarsi che le esigenze del cliente siano note e progettare in modo tale da soddisfarle, assicurarsi che le
capacità di processo – sia proprie che dei fornitori – siano note e considerarle in fase di progettazione, usare
procedure, materiali e processi standard di qualità già conosciuta e dimostrata.
Di lavorabilità
Progettare componenti, elementi e moduli di servizio multifunzionali/multiuso, progettare in modo da
semplificare le operazioni di assemblaggio, separazione e riassemblaggio, progettare per avere un unico
metodo di assemblaggio ed una movimentazione in un solo senso, evitare chiusure e connettori particolari,
evitare progetti “al limite” di prestazioni standard o non sicure.

Problematiche di produzione
1. Sprechi da sovrapproduzione
“Produrre in eccesso è produrre tutte le volte che non esiste un ordine cliente”
Sono gli sprechi che si verificano quando si fabbricano prodotti in quantità maggiori di quelle
necessarie, o si fabbricano prima del momento in cui sono richiesti. Sono tutte dinamiche che
comportano un non efficientamento del processo produttivo del prodotto. Le cause della
sovrapproduzione sono spesso riferibili a:
- Produzione di lotti economici troppo grandi
- Produzione anticipata rispetto alla domanda
- Creazione di stock per sopperire a difettosità e problemi di pianificazione, programmazione e
scheduling della produzione
- Eccessi di personale sul processo
- Macchinari troppo veloci o in eccesso
2. Eccesso di scorte
“Scorta è qualsiasi bene realizzato e conservato per un determinato tempo senza conoscere se e
quando un cliente lo richiederà e quanto sarà disposto a pagare” Le scorte possono essere di materie
prime, semilavorati, prodotti finiti, prodotti fermi in attesa di lavorazione (WIP – Work In Progress)
Le scorte nascondono problemi, non li risolvono!
Le cause di eccesso di scorte sono spesso riferibili a:
- Produzione di lotti economici troppo grandi
- Produzione anticipata rispetto alla domanda
- Esistenza di colli di bottiglia nel flusso di produzione
- Creazione di stock per sopperire a difettosità e problemi di pianificazione, programmazione e
scheduling della produzione
- Eccessi di personale sul processo, attività a monte più veloci di quelle a valle
- Macchinari troppo veloci o in eccesso
- Accettazione culturale, scorte “fisiologiche” per il servizio
3. Movimentazioni e trasporti non necessari
“Eccessi di produzione e di scorte porta inevitabilmente a maggiori attività di movimentazione e
trasporti”
Le cause sono spesso riferibili a:
- Scarsa progettazione del layout
- Sovrapproduzione
- Creazione problemi di stock per sopperire a difettosità e di pianificazione, programmazione e
scheduling della produzione
- Personale con basse competenze
- “Normalità” delle movimentazioni/ trasporti
4. Difettosità, Disservizi
Generano i cosiddetti “costi della non qualità”, classificabili in:
- Costi di accertamento e controllo (elenco voci di costo)
- Costi per difettosità interna ed esterna (elenco voci di costo)
Le cause sono riconducibili tradizionalmente a:
- Materiali e semilavorati scarsi o difettosi
- Metodi di lavoro scarsi, scarsità di procedure e istruzioni, ecc.
- Manodopera non formata, non qualificata, non motivata
- Macchine e strumenti non adeguati
5. Perdite nel processo
Sono riferite tipicamente ad attività del processo che potrebbero non essere necessarie.
Le cause sono riconducibili tradizionalmente a:
- Inadeguata progettazione del processo e delle attività
- Inadeguata standardizzazione delle attività
- Macchine e strumenti non adeguati
- Lavorazioni non adeguate
6. Movimentazioni umane
Sono riferite tipicamente ad attività - svolte dagli operatori – che non creano valore aggiunto: ricerca
di strumenti non presenti nelle postazioni, spostamenti tra reparti, ecc.
Le cause sono riconducibili tradizionalmente a:
- Inadeguato layout
- Operatori poco formati o poco motivati, scarsamente coinvolti
- Assenza di ordine, pulizia e sistematicità
- Lavorazioni non adeguate
7. Tempi morti, attese
Rappresentano lo spreco culturalmente più accettato, quasi fisiologici. Sprechi per attese materiali,
settaggi impianti, guasti, difetti, ecc.
Le cause sono riconducibili tradizionalmente a:
- Assenza di bilanciamento delle attività
- Scarsa manutenzione preventiva
- Assenza di ordine, pulizia e sistematicità
- Produzioni in grandi lotti
- Personale poco motivato, superficialità
- Mancanza di sistemi di controllo

Analisi di processo
Definizione di processo:
Aggregazioni di attività finalizzate al raggiungimento dello stesso obiettivo [Pierantozzi, 1998]
Il processo non è altro che una catena di attività attraverso le quali, partendo da determinati input, si
ottengono degli output desiderati.
L’impresa può essere vista come un insieme di attività
Azioni fisicamente, tecnologicamente e strategicamente distinte che un’azienda svolge per progettare,
produrre, vendere, consegnare ed assistere i suoi prodotti [Porter, 1985]
Le articolazioni del lavoro svolte all’interno di una organizzazione [Turney e Raffish, 1991]
Combinazioni di uomini, tecnologie, materie prime e condizioni di ambiente che portano all’ottenimento di
un dato prodotto o servizio [Brimson, 1991]
Aggregazioni di singole azioni (tasks) poste in essere all’interno di una impresa per ottenere un certo prodotto
o servizio [Pierantozzi, 1998]
Il Business Process Redesign (BPR) è un rilevante approccio organizzativo-gestionale volto a ripensare a
fondo e ridisegnare in modo radicale i processi di business per ottenere miglioramenti drastici in parametri
critici di prestazione (Hammer e Champy, 1994). È la ristrutturazione e la riformulazione del processo
business, capace di integrare quelle che sono i profili afferenti e determinanti la strategia aziendale, per
definirle appunto i parametri critici di prestazione, tramite il processo produttivo
Il presupposto per rendere operativo il BPR è l’analisi e la ricostruzione dei processi stessi (process mapping)
• Processi “Core”: attività principali dell’impresa
• Processi “Support”: di supporto ai processi chiave
• Processi “Business Network”: si estendono oltre i confini organizzativi, coinvolgendo clienti e fornitori
• Processi “Management”: pianificano, gestiscono e controllano le risorse
Sviluppo di un prodotto
La qualità dei nuovi prodotti non è legata unicamente alle valutazioni dei progettisti e alle loro capacità
tecniche, ma risulta sempre più influenzata dalla qualità dei legami informativi che si instaurano tra
marketing, progettazione, produzione e logistica.
Parametro chiave: Time to market – tempo che intercorre fra l'inizio del processo di sviluppo di un nuovo
prodotto e l'avvio della sua commercializzazione.
Comunicazione al mercato
Si unificano in un’ottica customer-oriented una serie di attività che partendo dalla valutazione del
posizionamento competitivo dell’azienda arrivano fino al contatto commerciale con il cliente, permettendo
non solo un miglior coordinamento delle modalità di proporsi ai mercati, ma anche maggiori scambi
informativi interni e con gli intermediari commerciali.
Parametro chiave: Qualità del servizio al cliente
Gestione dell’ordine
Processo che comprende tutte le attività di interfaccia con il cliente, a partire dal momento in cui il venditore
ha raccolto un ordine fino al momento dell’incasso, oppure della risoluzione di eventuale contenzioso,
passando attraverso controlli commerciali, finanziari, amministrativi e logistici.
Parametro chiave: Time to delivery
Quello che si vuole fare è cercare di evitare conflitti di funzioni all’interno dell’azienda, che non creino disagi
nella gestione dell’ordine e di conseguenza per il cliente
Catena logistica (supply chain)
Processo che rende disponibile il prodotto per la consegna al cliente. Il ridisegno integrato unifica il flusso
informativo delle attività logistiche: fabbisogni ipotizzati, ordini acquisiti, programmazione della produzione,
politiche di approvvigionamento.
Può costituire occasione per un ripensamento dei rapporti con i fornitori in un’ottica di maggiore
cooperazione e più spinta integrazione operativa.
Parametro chiave: Flessibilità con elevata efficacia
Produzione
In una logica BPR, la produzione viene organizzata su più unità produttive che sviluppano ciascuna una intera
porzione del processo produttivo.
Svolge anche attività di manutenzione impianti e controllo qualità dei prodotti.
Parametro chiave: Flessibilità con elevata efficienza

Per l’analisi del processo produttivo (OM) si parte da un diagramma che ne rappresenta gli elementi chiave,
normalmente operazioni, flussi e aree immagazzinamento, più i momenti decisionali.
Attività operative – rettangolo
Flussi – freccia
Immagazzinamento - triangolo rovesciato
Punti di decisione – rombo

Le componenti di un processo: le 7M
1. Materiali – materie prime, semilavorati, documenti in attesa di essere elaborati
2. Manodopera - persone
3. Metodi – le procedure operative
4. Misurazioni – tecniche e strumenti utilizzati per raccogliere informazioni sulle prestazioni dei processi
5. Macchine – strumenti ed impianti utilizzati
6. Manutenzione – cura delle componenti del processo
7. Management – gestione, politiche, regole
Tipologie di processo: uno schema di base
1. Processo multifase sequenziale
Vantaggi: semplicità
Svantaggi: problemi di blocking e starving. Il blocking si verifica quando le attività di una fase devono
interrompersi perché non esiste un luogo fisico dove depositare l’articolo appena realizzato, lo
starving si verifica quando le fasi hanno durate diverse non sincronizzate e le attività di una fase si
interrompono perché non c’è lavoro da compiere
2. Processo multifase con buffer
Buffer: area di stoccaggio tra fasi, dove gli output di una fase vengono collocati prima di essere
impiegati nella fase successiva. Il buffering permette alle fasi di svolgersi indipendentemente
(disaccoppiamento delle attività operative). Permette di risolvere quelle problematiche riguardanti
il blocking viste precedentemente, perché ognuna di esse lavora indipendentemente.
3. Processi alternativi
Può riguardare attività identiche raddoppio della capacità produttiva, oppure con un possibile attività
diverse; l’output converge su un unico buffer

4. Processo ad attività simultanee


5. Processo per la realizzazione di prodotti differenti

Ovviamente per decidere e per valutare le performance di un processo, dobbiamo saperli efficacemente,
valutare e quindi misurare, attraverso determinati canoni:
Tasso di utilizzo (utilization): rapporto temporale che esprime l’impiego effettivo di una risorsa in relazione
al suo tempo totale teoricamente disponibile – es. forza lavoro diretta, macchine utensili.
Produttività (totale e dei singoli fattori)
Rendimento: rapporto tra output reale (effettivo) di un processo e alcuni parametri standard. Es.: macchina
progettata per confezionare cerali al ritmo di 30 scatole al minuto. L’addetto in realtà produce 36 scatole. Il
rendimento è 36/30 = 120%
Tempo di produzione (run time): tempo necessario a produrre un lotto di pezzi. Si calcola moltiplicando il
tempo richiesto per produrre 1 unità per le dimensioni del lotto
Tempo di attrezzaggio (set-up time): tempo richiesto per predisporre una macchina alla produzione di un
determinato articolo. Le macchine con tempo di attrezzaggio lungo tendono ad operare per lotti consistenti
Tempo effettivo di lavorazione (operation time): somma del tempo di attrezzaggio con il tempo di produzione
per un lotto di pezzi lavorati da una macchina.
Es.: macchina per confezionare cereali progettata per produrre al ritmo di 30 scatole al minuto. Tempo di
produzione di ciascuna scatola: 2 secondi.
Reimpostare la macchina per operare con scatole da 300 grammi e non più da 350 grammi richiede un tempo
di attrezzaggio di 30 minuti. Il tempo effettivo di lavorazione per un lotto di 10.000 confezioni da 300 grammi
è di 21.800 secondi dato da 30 minuti di attrezzaggio * 60 secondi/minuto + 2 secondi/scatola * 10.000
scatole, ovvero 363,33 minuti.
Tempo di ciclo: tempo trascorso tra l’inizio e la fine di una attività
Tempo di attraversamento (flow time o throughout time): comprende il tempo effettivo di lavorazione cui è
sottoposta una unità, più il tempo di attesa dovuto a code.
Es.: catena di montaggio composta da 6 stazioni di lavoro che opera con un tempo ciclo di 30 secondi. Se ogni
30 secondi i pezzi in lavorazione passano da una stazione a quella successiva, allora il tempo di
attraversamento è 3 minuti (30 secondi *6 stazioni/60 secondi al minuto)
Throughput rate: ritmo atteso al quale il processo genera output su un certo arco di tempo. Il throughput
rate della catena di montaggio è 120 unità all’ora (60 minuti * 60 secondi/minuti / 30 secondi/unità). E’
l’inverso matematico del tempo di ciclo
Indice di flusso (o rapporto di attraversamento, process velocity o throughput ratio): rapporto tra il tempo di
attraversamento totale e il tempo a valore aggiunto. Con tempo a valore aggiunto (value-added time) si
intende il tempo utile dedicato alla reale produzione di un’unità di prodotto
Delivery Time. Intervallo di tempo concesso dal cliente tra emissione ordine e consegna prodotto – Lead Time

La gestione di domanda e di previsioni di domanda vengono effettuate tramite studi del mercato e da questa
si definisce la pianificazione della capacità produttiva, la necessità di prendere ordini sulle materie prime, la
definizione per la creazione del processo dei prodotti e servizi, fino alla consegna finale del prodotto al
consumatore. È indispensabile la previsione della capacità produttiva, la pianificazione dei fabbisogni dei
materiali, schedulazione degli ordini dei clienti, in modo tale che sia il più efficace possibile. Tutto ciò si può
rappresentare attraverso la mappatura del processo produttivo.
Legge di Little
In un sistema di produzione in stato stazionario (cioè in un arco di tempo piuttosto lungo dove le quantità
prodotte tendono a corrispondere alla quantità spedita ai clienti) esiste una relazione stabile tra scorte di
materiale in lavorazione (work- in-process), attraversamento throughput rate e tempo di attraversamento
Work-in-process = throughput rate * tempo di attraversamento
Legge di Little = relazione tra unità e tempo
Il throughout rate del processo è uguale alla domanda media e non si generano eccessi o mancanze
Le scorte di materiali in lavorazione sono misurate in n. di pezzi; Tempo di attraversamento misurato in giorni;
Throughout misurato in pezzi al giorno
Tempo di attraversamento = scorte di materiale in lavorazione / throughout
(Esempio, WIP 20.000 unità / Throughput 1.000 unità al giorno = Tempo di attraversamento 20 giorni)
Come si fa a ridurre i tempi di processo? Più tempo il materiale sta in giacenza, più vi è il rischio che il cliente
si rivolga alla concorrenza. Spesso i processi critici dipendono da risorse specifiche, limitate, che danno luogo
ai cosiddetti, colli di bottiglia, motivo per cui dobbiamo cercare di ridurre al massimo i tempi di
attraversamento di un processo, quali possono essere le soluzioni per ridurre i tempi di attraversamento di
un processo? Ne abbiamo essenzialmente due:
Cost-based - Il tempo di attraversamento si riduce attraverso l’acquisto di nuove attrezzature/mezzi/impianti
per incrementare la capacità produttiva, faccio gli investimenti sulle strutture tecniche del mio impianto, per
incrementare la mia capacità produttiva;
No-Cost
1. Eseguire le attività in parallelo. Può ridurre il tempo di attraversamento anche dell’80%;
2. Modificare la sequenza delle attività e del lay-out (collocazione e organizzazione delle postazioni di lavoro);
3. Ridurre le interruzioni tecniche;
4. Gestire opportunamente l’acquisizione degli ordini e la tempistica della messa in produzione

La “selezione del processo” si riferisce alla decisione strategica che identifica il tipo di processo produttivo
da realizzare nello stabilimento. Vi sono 3 criteri che caratterizzano questa selezione:
1. Le modalità con le quali la domanda si forma e con le quali l’impresa risponde alla domanda:
-Produzioni su commesse singole (make to order): ordini diversi per singoli prodotti, anche molto
differenziati, es. grandi opere – la progettazione può essere o meno a carico del committente. La
produzione avviene solo in risposta ad un ordine effettivo;
- Produzioni su commesse ripetitive: Gamma di prodotti con caratteristiche scaglionate nel definite
che richiedono tempo, o produzioni “su forniture catalogo”: componentistica auto, elettrodomestici,
arredamento.
- Produzioni per il magazzino (su previsione) (make to stock): industria alimentare. È finalizzato a
generare prodotti standard, collocati in scorte di prodotti finiti. Il prodotto è consegnato
rapidamente al cliente perchè prelevato dal magazzino prodotti finiti;
2. Le modalità secondo le quali è realizzato l’output dell’impresa;
- Produzioni unitarie
- Produzioni intermittenti (o a lotti): struttura di processo per la creazione di una gran varietà di
prodotti standard in quantitativi relativamente ridotti. Presenza più o meno forte di scorte. Es.
abbigliamento
- Produzioni continue: flusso ininterrotto di prodotti dalle caratteristiche omogenee nel tempo. Es.
industria petrolifera, siderurgica, bevande, ecc.
3. Le modalità di realizzazione del volume produttivo.
- Produzioni per processo: il prodotto finito non può essere scomposto a ritroso, poiché i componenti
originari non sono più distinguibili o hanno cambiato natura (acciaio, carta, cemento, prodotti
chimico-farmaceutici) – “a ciclo tecnologico obbligato”
- Produzioni per parti, o manifatturiere: di solito esiste una fase di fabbricazione e una di
assemblaggio/montaggio (automobili, elettrodomestici, elettronica, giocattoli, ecc.) – “a ciclo
tecnologico non obbligato”
La “progettazione del processo” si riferisce alle attività tattiche di pianificazione che si verificano
continuamente durante la produzione

Concetto chiave nel processo produttivo è quello di Punto di Disaccoppiamento tra ordine del cliente e
produzione: tal punto determina la posizione lungo la SC nella quale devono essere collocate le scorte,
affinché processi o attori della SC possano operare in maniera efficace ed indipendente.
Il posizionamento del Punto di Disaccoppiamento è importante per identificare i diversi contesti produttivi:
1. Make-to-Stock: le imprese soddisfano la domanda dei clienti con le scorte di prodotti finiti –
produzioni standard, a buona previsione e limitata complessità;
2. Assemble-to-Order: le imprese combinano una serie di moduli pre-assemblati. Produzione su
previsione di sottogruppi standard e successiva personalizzazione del prodotto finito in fase di
assemblaggio finale – produzioni ad elevata ampiezza di mix di codici prodotti finito (arredamento,
metalmeccanica, ecc.)
3. Make-to-Order: le imprese realizzano per il cliente un prodotto a partire dalle materie prime, dalle
parti e dalle componenti – prodotti diversificati fin dalle prime fasi di lavorazione, la produzione inizia
solo con l’ordine del committente.
4. Engineer-to-Order: le imprese lavorano con il cliente dalla progettazione del prodotto – produzioni
su commessa
Più ci muoviamo verso il engineer to order, più siamo in direzione di produzione per commissione.
Questioni gestionali importanti
1. Ricerca dell’equilibrio tra livelli di scorte di
prodotti finiti (costi di giacenza, costi di magazzino)
e livello di servizio al cliente;
2. La personalizzazione combinazioni – importanza
della progettazione dell’ordine ed il numero di di
prodotto che permetta di combinare in maniera
flessibile componenti, parti e moduli e della
riduzione massima del numero di componenti da
combinare.
La matrice prodotto-processo
La matrice prodotto-processo indica la
correlazione fra la struttura di processo e dei flussi
per la trasformazione dei fattori e le caratteristiche
del prodotto in termini di volumi produttivi e
varietà di gamma.
Le tipologie di prodotto e di processo determinano la scelta del “Modello di sistema produttivo”
I modelli di sistema produttivo - Layout
1. Postazione fissa
Struttura nella quale il prodotto resta fisso in una posizione. E’ l’attrezzatura necessaria alla
produzione che viene spostata verso il prodotto e non viceversa (siti di costruzioni, aerei, navi, ecc.).
Importanza delle tecniche di project management
2. Job-shop, o per reparto
Struttura di processo adatta per produzioni in quantitativi ridotti di una grande varietà di prodotti
non standard. Sinonimo di produzione per reparti: articolazione del processo produttivo per
macchinari e operazioni omogenee sotto il profilo funzionale, con flussi fisici complessi ed articolati,
o intrecciati – I macchinari, le attrezzature, le attività simili sono raggruppati in un unico luogo: tutte
le presse, tutti i torni, ecc. – il pezzo si sposta da un reparto all’altro in base alla sequenza delle
operazioni stabilite ed a seconda della collocazione dei macchinari necessari a ciascuna operazione.
Es.: lavorazioni legno-arredo: taglio, squadrabordatura, nastratura, finitura; lavorazioni meccaniche:
tornitura, fresatura, lappatura, foratura; ecc.
3. Produzione a celle
Le macchine sono organizzate per omogeneità di prodotti lavorati. Si costituiscono aree complete
dedicate alla realizzazione di prodotti o famiglia limitata di prodotti che richiedono processi di
lavorazione simili.
4. Linea
La disposizione dei materiali è sequenziata secondo la specificità del ciclo tecnologico di realizzazione
dei prodotti. I singoli prodotti vengono costruiti spostandoli da una postazione di lavoro all’altra ad
un ritmo controllato, seguendo la sequenza di produzione – Es. giocattoli, elettrodomestici,
automobili, ecc.
5. Processo continuo
Prevalgono le problematiche tecnologiche, il flusso segue un ciclo tecnologicamente obbligato.
Strutture di questo tipo sono in genere altamente automatizzate su cicli h24 che evitano costosi
arresti ed avvii. Es: conversione e trasformazione di materiali omogenei come petrolio, prodotti
chimici, farmaci, ecc

Il concetto di qualità totale


• Qualità di prodotto/ progetto
“Valore intrinseco del prodotto sul mercato”
1. Prestazioni: caratteristiche primarie del prodotto/servizio
2. Opzioni: aspetti aggiuntivi, accessori, caratteristiche secondarie
3. Affidabilità: uniformità di rendimento nel tempo
4. Durata: vita utile, tecnica ed economica
5. Riparabilità: facilità di riparazione
6. Servizio/Risposta: caratteristiche dell’interfaccia umana
7. Estetica: caratteristiche sensoriali
8. Credibilità: passate prestazioni, qualità percepita
• Qualità di conformità
Indica il livello di aderenza alle specifiche di progetto del prodotto/ servizio ed il rispetto di standard
prestabiliti, di natura normativa (– es.: tracciabilità prodotti su filiera alimentare; percentuale
d’arancia, di cacao; ecc.) e/o percentuale di succo industriale (livelli di difettosità fissati dall’impresa,
ecc.)
• Qualità dei processi
Dimensioni gestionali del TQM, non è altro che il processo che all’interno di un’azienda definisce,
gestisce e appunto, porta a compimento, tutto il processo qualitativo riferito al processo e al
prodotto. Questi processi aziendali si sviluppano in 6 dimensioni:
a. Just in time (Sistema produttivo a continua e perfetta simmetria tra offerta di beni prodotti e
domanda di mercato. Rende possibile realizzare p/s in serie brevi e differenziate, rispondendo
efficacemente alle reali esigenze dei clienti – Il dimensionamento dei lotti. Rapide e frequenti
consegne di materiali e prodotti finiti determinano un nuovo ruolo dei fornitori e della gestione
della catena di fornitura (supply chain management))
Il funzionamento del sistema JIT presuppone la definizione del numero “ottimale” di articoli in
produzione o pronti per la produzione. Tale questione di esplica nel “dimensionamento dei lotti”,
ma cos’è un lotto? Un lotto non è altro che un gruppo di articoli identici che vengono acquistati,
lavorati, trasportati, come se fossero un’unica identità. Il dimensionamento del lotto può
fortemente influenzare i flussi di materiali, la qualità di prodotti, il servizio al cliente, i costi di
produzione, i costi indiretti, poiché ovviamente se gli articoli sono identici e se il loro processo
produttivo può essere assimilato, questo vuol dire che si avranno dei costi indiretti inferiori
rispetto a prodotti super personalizzati. La quantità del lotto economico d’acquisto è il numero
di unità di un singolo articolo che dovrebbe essere specificato ogni volta che si riceve/fornisce
un ordine al fine di minimizzare i costi totali di gestione delle scorte per quel singolo articolo
durante un determinato periodo di tempo, generalmente 1 anno.
In una logica JIT, l’obiettivo è la continua riduzione delle dimensioni dei lotti, perchè:
-I lotti più piccoli sono consumati più rapidamente e quindi i difetti e fonti di errore possono
essere individuati prima;
- I lotti più piccoli riducono il tempo di attraversamento e quindi i ritardi di processo;
- Lo spazio necessario per sistemare le scorte diminuisce e le stazioni di lavoro possono essere
posizionate più vicine tra loro, così come gli addetti possono vedersi e comunicare
- Le attività di controllo vengono semplificate e si riducono i costi del personale indiretto
- Si è più flessibili e si risponde meglio ai cambiamenti del mercato.
Ciò si collega al livellamento dei carichi di stabilimento ovvero il livellamento dei flussi di
produzione per ridurre le variazioni nella programmazione
b. Supply chain management e nuovo ruolo dei fornitori
Concatenazione di
imprese legate tra
loro lungo una filiera.
Consiste in un
approccio sistemico
alla gestione
dell’intero flusso di
informazioni,
materiali e servizi,
dalle materie prime
provenienti dai
fornitori, via via lungo
le fabbriche ed i
magazzini, i
distributori sino al cliente finale.
La competizione tra le impresi dello stesso mercato e non, comportano la definizione di diverse
dinamiche della concorrenza, proprio perché il fatto di riuscire a gestire efficacemente ed
efficientemente una catena di produzione, comporta all’impresa un maggior vantaggio
competitivo.
Il SCM diventa una fonte di vantaggio competitivo se:
- Permette di aumentare i livelli di servizio
- Permette di ridurre contemporaneamente i costi logistici
- Consente di risolvere il problema degli obiettivi contrastanti degli attori della catena fornitura
produzione-distribuzione
Costi logistici:
1. Costi di mantenimento a scorta: deterioramento, obsolescenza.
2. Costi di stock out: mancata vendita, penali, perdita clienti, slittamento incassi, perdita di
immagine, ovviamente se un’impresa non riesce a vendere quanto ha stoccato, comporta una
perdita del fatturato e in alcuni casi ance un’impresa, specialmente per le piccole imprese.
3. Costi di trasporto
4. Costi di impianti ed attrezzature
5. Costi di gestione operativa: raccolta ed elaborazione ordini, movimentazioni, imballaggio,
controllo e gestione delle scorte
Obiettivi contrastanti
1. Fornitori materie prime
2. Produttori
3. Dettaglianti e distributori
Problemi del coordinamento inter-organizzativo e importanza della progettazione ed
allineamento di incentivi alla collaborazione (contratti, ecc.)
Come costruire operativamente una SC
1. Strategia della supply chain – identificazione delle variabili su cui competere (costi, qualità,
tempi, flessibilità, spazialità). L’identificazione delle variabili su cui competere sia rispetto ai
competitor sia rispetto a nuovi mercati, ai tempi, flessibilità, alla spazialità e si vede se si riesce a
combaciare queste caratteristiche con l’effettiva operatività e fattibilità delle possibilità aziendali
2. Struttura della supply chain – identificazione degli attori della SC e loro importanza all’interno
del loro processo produttivo
3. Organizzazione e
funzionamento della supply
chain - definizione dei process
links, ossia i processi che
collegano le varie fasi fino al
cliente finale:
Vi sono 4 tipologie di supply
chain:
1. Supply chains efficienti:
impiegano strategie mirate a
generare la massima efficienza in
termini di costo. Si eliminano le
attività non a valore aggiunto, si perseguono economie di scala, si ottimizzano capacità
produttive e distributive, ecc.
2. Supply chains orientate alla copertura del rischio: impiegano strategie mirate a porre in
compartecipazione le risorse all’interno della filiera, cosi da condividere il rischio di interruzione
della fornitura, creando più fonti di approvvigionamento o fonti alternative.
3. Supply chains reattive: utilizzano strategie reattività e flessibilità per far fronte alla basate su
varietà e variabilità dei bisogni della clientela.
4. Supply chains agili: integrano SC “orientate alla copertura” e SC “agili”
Le attività principali del SCM
1. Logistica di approvvigionamento: relazioni con i fornitori, politiche di approvvigionamento,
outsourcing ed integrazione;
2. Logistica di produzione: operations planning, programmazione della produzione;
3. Inventory management: gestione scorte, gestione del magazzino, sistemi di material
handling;
4. Distribution e Transport management.
Il ruolo strategico dell’approvvigionamento:
Gli acquisti rappresentano un costo rilevante dell’impresa, i fornitori influenzano le prestazioni
della SC in termini di costi, tempi e qualità Il fornitore contribuisce alla creazione di competenze
e valore per il cliente
Quali sono gli effetti e le implicazioni gestionali?
Lo spostamento da un focus operativo ad un focus strategico, l’importanza dei sistemi di
valutazione del fornitore (vendor rating) e il ruolo delle ICT
Dimensioni delle relazioni con i fornitori-partners: durata del rapporto, tipo di accordo, numero
di fonti di acquisto, prezzi/costi, controllo qualità, progettazione, consegna, trasmissione degli
ordini, documentazione e fatturazione, trasporto, punto di consegna, approccio all’apertura, alla
verifica, al miglioramento.
Gli aspetti operativi di gestione degli acquisti: il fornitore
• Modalità di scelta del fornitore: Request for quotation vs Negoziazione.
Request for quotation: si invitano tutti i fornitori della “lista” a sottomettere un’offerta per
un certo acquisto; contiene le varie specifiche di fornitura (qualità, tempi di consegna, luogo
di consegna, ecc.) e la data entro la quale accettare le offerte; l’impresa confronta le offerte
ricevute e sceglie. Questo è un sistema ideale per grandi ordini, efficace in un mercato
fortemente concorrenziale, sul lato dell’offerta
Negoziazione: necessaria quando le specifiche di fornitura sono complesse e richiedono
maggiore interazione; si seleziona un numero ristretto di fornitori, anche solo 1.
• Tipi di ordini: Spot vs Blanket
Spot – quando si realizza occasionalmente un ordine con un fornitore
Blanket – ordine aperto che specifica quantità che verranno consegnate con diverse
consegne nel tempo, di regola un anno
• Contenuto del contratto (di fornitura, stipulato tra l’industria e il fornitore)
Fornisce valore legale all’accordo tra le parti. Contiene informazioni su: specifiche tecniche,
quantità, qualità, prezzo, data di consegna, metodo di consegna, indirizzo di consegna,
modalità di pagamento e altre clausole
• Ricezione del materiale (la sua qualità)
I materiali consegnati sono ricevuti, ispezionati e movimentati in magazzino materie prime.
Documenti coinvolti: ricevuta di carico: lista dei contenuti della spedizione, bolla di carico:
usata dal trasportatore, specifica cosa contiene il carico, la proprietà, i percorsi, le date di
consegna, ricevuta di consegna e ricevuta di ricezione, report delle eventuali discrepanze
• Misura delle prestazioni del fornitore
Valutazione preventiva (sistema
produttivo, management, sistema
qualità e certificazioni, precedenti
esperienze/referenze, situazione
economico-finanziaria, ecc)
Valutazione ex post (economico-
finanziari, industriali, tecnologici,
organizzativi e strategici)

Make or buy
Outsourcing: processo di individuazione di attività, servizi e prodotti realizzati all’interno
dell’impresa che potrebbero essere reperiti o effettuati in maniera più conveniente, o con
maggiore qualità, all’esterno. I benefici sono la focalizzazione sulle core competence,
l’aumento della flessibilità rispetto alle condizioni della domanda sul mercato, le tecnologie,
il miglioramento delle prestazioni operative quindi qualità, produttività, tempi di ciclo,
controllo interno, riduzione degli investimenti in assets e libera capitali e liquidità
- Riduzione dei costi e conversione dei costi fissi in variabili
Integrazione a monte: in caso di difficoltà di reperimento di materiali e servizi critici, o
inadeguatezza delle prestazioni dei fornitori, ci si organizza per produrre internamente tali
materiali o servizi, o si acquista l’impresa del fornitore
Criteri per la scelta
- Coordinamento richiesto: attiene alla maggiore o minore difficoltà di integrare una data
attività all’interno del processo richiedono uno scambio continuo di informazioni,
complessivo. Attività caratterizzate da incertezza, che non dovrebbero essere esternalizzate
- Controllo strategico: attiene alla gravità della perdita che l’impresa potrebbe subire se la
relazione con il partner fosse interrotta
- Proprietà intellettuale: attiene alla potenziale rinuncia alla proprietà intellettuale attraverso
la relazione con il fornitore
Standardizzazione: essere in grado di produrre una grande varietà di prodotti a partire da un
numero ristretto di parti e materiali standardizzati. Meno articoli significa acquisti, consegne,
ispezioni, pratiche, immagazzinamenti, fatturazioni, tipi di impianti e macchinari da
utilizzare, ecc.
Acquisti e produzioni per moduli: è fondamentale per imprese i cui prodotti sono costituiti
da molte centinaia o migliaia di parti (es.: automotive, aeroplani, grandi impianti)
– Importanza della “differenziazione ritardata” (postponement process)
c. L’imperativo della gestione dei tempi
Ogni volta che persone o materiali sono in ritardo, le programmazioni “saltano” e si creano effetti
negativi che si ripercuotono sulla catena di fornitura e generano costi
Esigenze di puntualità, tempi di risposta rapidi, certezza, cioè diminuzione della variabilità dei
tempi di risposta
Logica del McDonald’s – panino e scivolo
Ciò determina miglioramento/riduzione dei tempi di attraversamento (in fase di produzione) e
soddisfazione del cliente. A cascata, si determinano ulteriori benefici quali:
- Migliorano le prestazioni di puntualità della produzione;
- Lavori improvvisati vengono eliminati e si elimina la negoziazione dei tempi di consegna dal
momento che i tempi di produzione sono noti e ragionevolmente certi;
- Risulta facile fissare date attendibili in sede di conferma ordine;
L’importanza della produzione a celle e one-piece-flow
La produzione a celle (cellular manufacturing) rappresenta uno degli aspetti operativi più
importanti.
La cella è una unità di lavoro ben definita e delimitata, tipicamente da 3 a 12 addetti, con 5-15
stazioni di lavoro, che permette di produrre il più alto numero di prodotti simili, contenendo al
suo interno tutto ciò che serve allo scopo (attrezzature, impianti, macchine, strumenti, persone),
riducendo movimentazioni e trasporti vari
d. Tecnologia semplice
Impianti e dotazioni il più possibile utilizzabili dal personale; cautela verso assets troppo
complessi, con costi elevati e dipendenza dalla consulenza esterna di chi li ha forniti.
e. Polifunzionalità degli operatori
Il personale lavora spesso in gruppo, si scambia frequentemente di ruolo e partecipa attivamente
alle dinamiche di miglioramento continuo. Operatori polifunzionali
Gestione della manutenzione – Total Productive Maintenance
• Macchinari ed aree di lavoro devono essere pulite
• Le aree di lavoro devono essere organizzate efficientemente
• Gli operatori devono occuparsi, “aver cura” delle macchine alle quali sono adibiti
• Il processo deve essere ben compreso e piuttosto codificato
• Operatori e staff tecnico devono parlarsi e scambiarsi capacità pratiche e conoscenze teoriche.
f. Kai Zen – miglioramento continuo
Filosofia gestionale volta ad ottenere un sempre maggiore coinvolgimento partecipativo degli
operatori nelle vicende d’impresa
Valorizzazione delle esperienze e delle capacità; intensa e costruttiva cooperazione tra singoli e
team di lavoro; contributi innovativi; confronto su problemi operativi quotidiani, ricerca di nuove
soluzioni; proposte e sperimentazioni di cambiamenti; qualità dell’ambiente di lavoro, ….
• Qualità dei controlli
1. Progettazione
2. Individuazione
3. Miglioramento
Progettazione e Individuazione
Servono ad integrare la qualità all’interno del processo, o bloccare sul nascere un processo mal
concepito
a. Approccio alla prevenzione: progettare un processo fail-safe (privo di errori) efficiente, con
apparecchi e procedure fail-safing determinate caratteristiche che possano bloccare o
addirittura prevenire inconvenienti.
a. Sistemi per cui le macchine non comincino a lavorare in presenza di inconvenienti (omessa
lavorazione, errata lavorazione, ecc.)
b. Sistemi che non permettano di montare un pezzo in presenza di un errore operativo (difetto
di posizionamento)
c. Sistemi che non permettano di iniziare il processo successivo nel caso sia stata dimenticata
un’operazione (dimenticanza di montaggio)
b. Soluzioni: progettazione di prodotto; segnali luminosi o sonori, fotocellule, sensori magnetici,
bracci meccanici, ecc.
c. Approccio all’ispezione e correzione ex-ante: necessità di redistribuire alcune responsabilità.
Ogni addetto, o parte di essi, sono autorizzati ad intervenire su alcuni problemi, per esempio
bloccare la produzione per evitare la fabbricazione di prodotti inadeguati.
d. Approccio all’ispezione e correzione ex-post: individuare il difetto in fasi successive può essere
molto costoso e negativo per reputazione dell’impresa.
Ispezione
L’ispezione è la maniera meno efficace per migliorare la qualità dei processi. Tuttavia in molti casi è
necessario fare ricorso all’ispezione. Esistono 4 principali modalità di ispezione:
-Ispezione completa: un addetto ha il compito di controllare ogni unità prodotta. Se non
automatizzato, è una modalità ad alto rischio di errori di ispezione dovuti alla stanchezza;
-Ispezione del primo pezzo: si controlla l’impostazione del processo, controllando il primo pezzo: se
è senza difetti, significa che il processo è stato impostato correttamente e che tutti i pezzi prodotti
saranno di qualità;
-Prove distruttive, es. urto dell’auto per verificare la tenuta dei paraurti;
-Controllo a campione: basandosi su tabelle di campionamento statistico gli addetti controllano
campioni presi casualmente o ad intervalli regolari da un lotto di produzione. Se il livello di qualità
del campione è superiore al livello minimo accettabile (acceptable quality level, AQL), allora l’intero
lotto. Un lotto insoddisfacente viene ispezionato completamente e le unità difettose sostituite.
Pianificazione e controllo della supply chain
Quanto dovrei produrre per raggiungere i miei obiettivi strategici e quelli fissati a budget?
Quanto posso produrre rispetto ai miei assets?
Posso accettare un nuovo ordine dal cliente?
Mi conviene fare ricorso a produttori esterni?
Previsione della domanda, gestione della capacità produttiva, evasione dell’ordine, controllo delle scorte
La domanda da parte della clientela è la linfa vitale di ogni attività d’impresa. Tuttavia, i clienti possono
‘presentarsi’ in modo inaspettato e l’organizzazione subire dei contraccolpi: la qualità, la capacità di risposta
e il servizio alla clientela potrebbero soffrirne.
L’impresa ben gestita prevede la domanda ed è ragionevolmente preparata quando la domanda
effettivamente si concretizza.
Gestione della domanda (GD): overview
L’attività di GD si caratterizza per la sua articolazione e per la condivisione di responsabilità di differenti
competenze ed uffici aziendali, ed è generalmente coordinata da un apposito team che ingloba le divisioni
marketing, finanza e amministrazione, produzione.
La GD ha obiettivi di breve (meno di 6 mesi), medio (6-18 mesi) e lungo termine (oltre i 18 mesi)
Ruolo attivo (tutte quelle attività che possono essere messe in campo per influenzarla in positivo, es
comunicazione, etc) per influenzare la domanda vs ruolo passivo (pubblicità aggressiva) per soddisfare la
domanda

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