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Kurt Cobain
Mario Zambetti
VIE DI FUGA
KURT COBAIN
E-mail: frazammario@tiscali.it
Anno 2014
Dello stesso autore
in francese:
INTROITO, 1975, edizione esaurita
L’été à Cap Djinet, CIEMI-L’HARMATTAN, Paris, 1987
Ami ou de la pureté absolue, 1987
ROMA, le garçon du Château Saint-Ange, 1988
Décrépitude et Beauté, 1989, edizione esaurita
Les espaces de l’ậme, 1990
in italiano:
Le voci di San Nazzaro, 1993
L’intima malinconia dell’essere (prima versione), 1993
Amici nel cuore di Dio, 1996
Dolcezze e Furori, 1998
ROMA, Il ragazzo di Castel Sant’Angelo,
seguito da
La tentazione dell’uomo, 2000 (edizione esaurita)
Finché non avrò raggiunto
il confluente del fiume, 2001
Un oscillare eterno tra paradiso e inferno, 2003
ADALGISA , 2004
L’intima malinconia dell’essere (versione riveduta), 2005
VIA PARADISO, Rue de Paradis, 2007
L’ESTATE A CAP DJINET, 2008
DALLA STRADA, 2009
LA PASSIONE DI MORRISON, 2011
I DOLORI DEL GIOVANE DARIO, 2012
E LA NAVE VA, 2013
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Tuttavia prova compassione. Perché ama la gente e
soffre per lei. Tutto in lui è contraddizione. Prova odio e allo
stesso tempo amore.
Compassione, che parola!
E' la compassione del Budda. La stessa compassione di Cristo
che ama ogni uomo e soffre per lui. Compassione di Cristo per
Kurt, che silenziosamente lo ama e soffre anche per lui. A
questo, Kurt non pensa. Se soltanto avesse avuto quel granello
di fede...ma anche se, sarebbe bastato?
E' infelice.
Un'infelicità che si porta dentro da sempre, nonostante
il successo, anzi, il successo una volta ottenuto lo spaventa,
non sa che farne, diventa una persecuzione, che è l'altra faccia
del successo, diceva Pier Paolo Pasolini. Quanti come Kurt!
Anche scrittori affermati, come Carlo Emilio Gadda:
“Sono irritato contro la vita e contro me stesso”
confessava. Anime ansiose, inquiete. Qui mi balza in mente
Gianni, un tossicodipendente conosciuto a Tortona, che mi
scriveva così dal carcere:
“Provo tanta rabbia dentro e dolore che, messi insieme
possono diventare una bomba. Sono molto arrabbiato con la
vita. Mi chiedo perché tutto questo. Non credo di meritarmi
tanta infelicità. Avrei tanto da dare...Sono tanto stanco...Se la
facessi finita? Sto esplodendo. La mia tristezza è solo mia, e
non ho nessuno con cui condividerla, è questo il problema. Sa
una cosa? A modo mio parlo con Dio, ma ancora non ho
risposta. Come mai?”
Appena uscito dal carcere constatava:
“C'è sempre tanta tristezza per le strade dentro gli occhi
delle persone. Siamo sempre in cerca di qualcosa che ci renda
un po' felici. Non si riesce a trovare. Forse siamo sbagliati...”
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E quanta umanità e gioia in quest'altra canzone “LITHIUM”:
Sono così felice perché oggi ho trovato i miei amici
Sono nella mia testa
Sono così brutto ma va bene così perché anche tu lo sei
E abbiamo spezzato i nostri specchi
Ogni giorno è domenica per quel che m'importa
E non ho paura
Accendo le mie candele come stordito perché ho trovato Dio...
Gli amici per un tempo furono la sua famiglia. Con loro era
sempre domenica. Con gli amici era come se avesse trovato
Dio, era felice, ma poi anche gli amici si staccarono, o fu lui
piuttosto a staccarsene, a isolarsi, a fare il vuoto intorno a sé.
A partire dal 1993 si rende conto che la droga non funziona più
come prima. Si sente perso, come un pesce fuor d'acqua, scrive
Charles R. Cross: - Un passo del diario di questo periodo lo
vede che implora un amico e in un'ultima analisi la salvezza:
“Amici con cui parlare e cazzeggiare e divertirsi, come
ho sempre sognato, potremmo discutere di libri e politica e
fare vandalismi di notte, vuoi? Eh? Ehi, non riesco a fare a
meno di strapparmi i capelli! Dio bono, Gesù Cristo onni-
potente dei miei coglioni, amami, me, me, potremmo tenerci in
prova, ti prego, non m'interessa se siamo fuori dal giro, mi
serve un giro, una ghenga, un motivo per sorridere. Non ti
soffocherò, oh, merda, merda, per favore, c'è nessuno là fuori?
Nessuno, qualcuno, Dio aiutami, aiutami, ti prego. Voglio
essere accettato. Mi vestirò come preferisci! Sono tanto stanco
di gridare e sognare, sono tanto tanto solo. Non c'è nessuno?
Ti prego, aiutami. AIUTAMI!
E' una preghiera, una supplica disperata, che ho letto e
riletto col cuore in gola, preghiera che scaturisce dall'anima,
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dalle viscere, dal dolore. E' come precipitare in un baratro nel
buio più pesto. E hai fame, fame di affetto, e hai freddo, tanto
freddo.
Quel suo grido: “Dio aiutami, aiutami, ti prego” mi ha
fatto pensare al grido di Morrison: “Salvaci, Gesù, salvaci!” E
a quando, durante le sedute della registrazione del primo album
dei Doors, emotivamente sconvolto, Jim si interrogava, e
piangeva, e in studio gridò:
“C'E QUALCUNO CHE MI PUO CAPIRE?”
E poi quando il 15 luglio 1969, durante un concerto dove non
mancarono le provocazioni, i disordini, e i “vaffanculo”, Jim
alzò la voce e si mise a gridare:
“IO NON HO AVUTO ABBASTANZA AMORE”.
Dopo di che assunse la posizione del crocifisso. Che cosa sarà
accaduto nella sua mente in quei tre strazianti minuti? Ma chi
avrebbe potuto sapere qualcosa di Jim quando si ritrovava
solo? Fu così anche per Kurt, non aveva avuto abbastanza
amore.
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LA SPACCATURA
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Aberdeen dello stato di Washington, una cittadina in
confronto al paese dove sono nato io. Là c'erano 37 segherie, al
mio paese 4, diverse manifatture, al mio paese un cotonificio
che però dava lavoro a migliaia di persone che venivano da
tutta la valle. C'erano 27 bar, al mio paese una decina.
Posso dire d'essere cresciuto al ritmo della sega che, accanto a
casa, funzionava come un logorante monotono stridente ronzio
giorno e notte.
Ad Aberdeen, diversamente da me - scrive Cross - Kurt
trascorse un'infanzia felice. La sua nascita fu accolta con
entusiasmo – lui aveva un padre e una madre: Wendy,
diciannovenne, era la classica reginetta di bellezza, Don
ventiduenne, bello e atletico, lavorava come meccanico. Kurt
adorava i genitori. La mamma gli dimostrava affetto, lo
coccolava, partecipava ai suoi giochi. Quando c'era il padre,
Kurt sorrideva sempre, e gli piaceva essere tenuto in braccio,
scrisse Mari, la sorella quattordicenne di Wendy; all'inizio
faceva sapere cosa desiderava strillando forte, e se non
funzionava si metteva a piangere. Insomma un'infanzia felice
come tanti altri bambini. All'asilo la maestra lo definì un
“ottimo studente”. Eccelleva soprattutto in educazione artistica,
a cinque anni sapeva già dipingere.
Una foto mostra tutta la famiglia. Don alle spalle seduto
su una seggiola, la mamma, bellissima, sorride con in grembo
la sorellina Kim. Kurt, sulla sinistra, ride felice. E' un bambino
sveglio, giocoso, dolcissimo.
“I primi sette anni della mia vita” scrive nel suo diario,
“sono stati straordinari, incredibili, realistici e di gioia assolu-
tamente colmi di gratitudine.”
I guai cominciarono con il dissesto finanziario. Spesso Don e
Wendy non avevano i soldi per pagare le bollette. Litigavano.
Anche Kim e Kurt litigavano, come succede tra fratellini
maschio e femmina, ma ogni tanto andavano d'accordo. Lei,
buona imitatrice, bravissima a fare Topolino e Paperino, faceva
scompisciare dal ridere Kurt. “Il grande sogno di mamma”
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ricordò Kim “era vederci arrivare a lavorare a Disneyland, lui
che disegnava e io che facevo le voci.”
Don spingeva il figlio a giocare a baseball, ma lo faceva
solo per il suo papà, racconta Kim. “In seconda elementare”
scrive Cross, “per curare la sua ipercinesia, consultarono il
pediatra di famiglia, che prescrisse il Ritalin - scelta discutibile
persino nel 1974 - che Kurt assunse per tre mesi, rendendolo
iperattivo. Alcuni scienziati pensavano che creasse nei bambini
un riflesso automatico aumentando così la possibilità di
tossicodipendenza in età adulta, altri che, se non fosse trattata
l'iperattività, in seguito si sarebbe curato da solo con qualche
droga.”
Il Ritalin fu un bene o un male? Ne discutevano in
famiglia. “In seguito Kurt confessò a Courtney Love che quel
farmaco era stato importante. Anche lei aveva preso il Ritalin
da piccola, e spesso ne discutevano. “Se quando sei piccolo ti
danno una medicina che ti fa sentire in quel modo, a cosa ti
rivolgi quando sei grande?” chiede adesso Courtney Love. “Se
da bimbo ti rende euforico, non ti ci abitui?”-
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ero lasciato rubare la chitarra, mi prese a cazzotti. Non ero che
un cretino, uno stronzo.
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Al di sotto del ponte
Il pesce ha mollato una pisciata
E gli animali che ho catturato
Sono diventati tutti miei animali domestici...
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visto che non mangiavo quasi niente, in compenso pisciavo
abbondantemente, le fontanelle a Roma non mancavano.
Di notte gironzolavo, il più delle volte tra ponte Sisto e
Castel Sant'Angelo. Stranamente non avevo paura. Ho più
paura adesso, pensandoci. Troppo innocente ancora, e troppo
giovane. Chi avrebbe fatto del male a un ragazzino come me
che non possedeva nulla di nulla? Non avevo paura anche
perché non mi rendevo conto dei pericoli in cui incorrevo.
Avevo solo fame, sempre e soltanto fame ch'era pari alla
solitudine. Ma come l'istintiva capacità di sopravvivenza aiutò
Kurt, così aiutò anche me.
Dopo circa quattro mesi di quella vita, Kurt tornò dal
padre, che aveva saputo che dormiva su un vecchio divano in
un'autorimessa di fronte a casa della madre. Nessuno lo voleva
prendere con sé.
“Era una emarginazione” scrive Cross,“che non sarebbe
mai riuscito a levarsi di dosso assieme alle sue precedenti ferite
psichiche, l'esperienza dell'esclusione sarebbe stata un'espe-
rienza a cui sarebbe tornato più volte con la mente, incapace di
liberarsi da quel trauma. Sarebbe rimasta subito sotto super-
ficie, un dolore che avrebbe ammantato il resto della sua
esistenza con il terrore della scarsità. Per lui non ci sarebbero
mai stati abbastanza soldi, abbastanza attenzioni e, soprattutto,
abbastanza amore, perché sapeva bene come facevano presto a
sparire”.
Cross avrebbe potuto scrivere queste righe per me. Anche a me
è successo che nessuno mi volesse. Appena uscito dall'Istituto
nessuno volle prendermi con sé, né i nonni, né mio padre, né
mio fratello, e neanche i “buoni padri”. Per tre anni non
avevano fatto che parlarmi del buon Gesù, ma poi avvenne
quel che avvenne, e per causa di uno di loro divenne il Gesù
dei miei coglioni, per dirla come direbbe Kurt.
Forse non dovrei buttar giù così quel che allora, ferito e
in collera, pensai. Ma a te che ti scandalizzi, ti indegni quando
senti bestemmiare, senti questo racconto:
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“Un giorno Abramo invitò nella sua tenda un
mendicante. Mentre dicevano la preghiera di ringraziamento,
l'uomo cominciò a bestemmiare, dichiarando che il nome di
Dio gli era insopportabile. Abramo al colmo dell'indignazione,
lo scacciò. Quella sera, mentre pregava, udì Dio che gli diceva:
“Quest'uomo mi ha maledetto e svillaneggiato per
cinquant'anni, eppure gli ho dato da mangiare tutti i giorni. E tu
non riesci a sopportarlo per un solo pasto?”
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Nella sua disperata ricerca Kurt trovò la religione. Nel
1984, a 17 anni, divenne amico inseparabile di Jesse Reed, con
lui iniziò persino ad andare a messa alla domenica, e ogni tanto
si univa a un gruppo di giovani cristiani il mercoledì sera. Fu
battezzato in chiesa, senza la presenza di nessuno dei suoi
parenti. Jesse ricorda addirittura che Kurt visse un'esperienza di
conversione.
“Una sera eravamo sul ponte del Chehalis e lui si fermò
e disse che accettava Gesù nella sua vita. Chiese a Dio di
entrare nella sua vita. Mi ricordo perfettamente che parlava
della rivelazione e della calma che tutti sostengono di provare
quando accettano Cristo.”
Perché - chiedo allora a Cristo - non ti sei manifestato? Perché
non sei venuto in suo soccorso? A te nulla è impossibile.
Perché non lo hai fatto quando ti chiese di entrare nella sua
vita? Certo, se tu lo avessi fatto non sarebbe diventato quel
cantante, quel poeta che conosciamo. Ma ne avrebbe pagato il
prezzo, un prezzo altissimo. Il suo sangue, la sua vita. Forse è
stato meglio così. I poeti sono maledetti. Eppure sono sicuro
che tu li ami. Un giorno sapremo il perché a tante nostre
domande. Comunque visto che non rispondevi, scartò la fede
come un paio di scarpe vecchie. Mi è successo lo stesso.
“Una volta” scrive Cross, “mentre attraversavano Chicago,
Kurt acquistò un grosso crocifisso a una garage sale, forse il
primo oggetto religioso che non abbia mai rubato, poi lo tenne
sporto dal finestrino del furgone per scuoterlo in direzione dei
pedoni e scattare una foto della loro faccia, mentre lui si
allontanava. Ogni volta che viaggiava accanto al guidatore
impugnava il crocifisso come fosse un'arma che poteva
servirgli da un momento all'altro”.
Chissà cosa aveva in mente. E poi, perché lo aveva comprato?
C'è anche una foto di lui davanti a un cartellone a Olympia, con
questa scritta a caratteri cubitali:
BELIEVE ON THE LORD JESUS CHRIST
AND THOU SHALT BE SAVED
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Credi nel signor Gesù Cristo
e sarai salvo.
Perché questa foto? La sua espressione è indecifrabile. Chissà
cosa aveva in mente? Comunque, come ogni uomo, anche lui è
salvo. Se no Cristo avrebbe fallito.
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Proprio ieri, 28 ottobre 2013, un altro studente di 21 anni si è
tolto la vita gettandosi dall'11esimo piano d'un palazzo romano.
“Sono gay. L'Italia è un Paese libero ma esiste l'omofobia e
chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria
coscienza”. Queste le parole che il giovane ha lasciato prima di
gettarsi nel vuoto. Interrogato recentemente sugli omosessuali,
papa Francesco rispose: “Chi sono io per giudicare?”
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COBAIN SONO IO
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luglio 1990 in cui narra la storia di un bambino abbandonato
presso i nonni e che non vuole che i genitori si lascino. Prega la
nonna di portarlo a casa, poi mangia purè a cena, ha problemi a
digerire la carne, cerca di guardare la tv ma si addormenta. La
canzone finisce col bambino che si sveglia tra le braccia della
madre:
Mom and Dad went to a show
Dropped me off at grandpa Joe's
I kiked and screamed, said please, oh no
Grandma take me home
[...]
After dinner, I had ice cream
I fell asleep, and watched tv
Woke up in my mother's arms
Grandma take me home
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Dicevo: cosa avrei fatto per salvarlo? Eppure uno può essere
salvato anche dopo morte. Non solo. Da maledetto uno può
diventare salvatore, salvatore d'anime. Come i santi. E'
successo dopo aver scritto “La passione di Morrison”. Alla sua
lettura certuni si sono avvicinati a Cristo, non dico alla Chiesa.
Non lo avrei mai immaginato. Un giovane lavoratore, venti-
duenne, bestemmiatore, “dopo questa lettura non bestemmia
più” mi dice il ragazzo che gli ha fatto leggere il libro. Sul
braccio si è fatto tatuare il titolo d'una sua canzone: Riders on
the Storm. Un altro giovane mi scrive:
“Sono meravigliato dell'opera di un uomo di Chiesa nel
riconoscere nella vita di Morrison, la divina spiritualità. Jesus
save us, urlava nel suo tragico percorso di passione...”
Un quarantenne, padre di famiglia:
“Il tuo libro su Jim mi ha fatto pensare, tu vai dritto al
punto e metti nero su bianco un torrente di emozioni, di spunti,
di provocazioni. Ci ho trovato tanto dei miei dubbi e delle mie
inquietudini, tanti pensieri che mi hanno colpito, perché sono
stati e sono anche i miei pensieri; e mi sono un po' spaventato
ritrovarmi lì, come se alcune cose le avessi scritte io...anche se
la mia storia è così diversa da quella che intuisco essere la tua,
e quella di Jim e di miliardi di altre persone che però hanno la
stessa sete in fondo al cuore...Mi ero illuso di aver trovato la
sorgente, quanto sono stato presuntuoso...”
Che dire? Jim si aggira ancora nella mia mente, come l'anima
di uno di quei pellerossa – dopo un incidente stradale – era
entrata nella sua. Mi è servito per aiutare molti a conoscere di
più se stessi, a scoprire quella parte di sé che rimane scono-
sciuta, come addormentata, sepolta nella parte più intima
dell'anima. Così è stato per me mentre scrivevo.
E adesso, con Kurt?
Dopo aver scritto “Madame Bovary” chiesero al suo
autore, Flaubert, chi fosse madame Bovary. Rispose: “Sono
io”. Così posso dire anch'io mentre scrivo queste pagine: Kurt
Cobain sono io. Sempre in fuga da se stesso, dall'infelicità che
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si porta dentro. Mi fa paura, perché scopro ciò che da sempre
mi è rimasto giù giù in fondo all'anima. Tante volte provo
anch'io lo stesso odio, la stessa rabbia per ciò che mi circonda.
Falsità. Avidità. E allora sì che mi vien voglia di saccheggiare,
di fare tutto a pezzi. Non lo faccio perché sono un pusillanime,
un vigliacco. Mi faccio schifo. E tuttavia porto in me infinite
dolcezze, e abbastanza tenerezza e amore per incendiare il
mondo fino alle stelle. Dolcezze e furori si contendono la mia
anima. Come l'acqua e il fuoco si combattono, come il vizio e
la virtù, il bene e il male. Indissociabili. Ritrovo tutto questo in
Kurt. Nel suo più intimo, però, a che cosa aspirava? Nel suo
diario scriveva:
Fare l'amore
Fare poesia
Esplodere, correre attraverso l'universo
Morrison lo capirebbe:
Tu vuoi l'estasi
Il desiderio & i sogni.
Per Jim celebro ogni tanto una messa. Fosse solo per questa
potente preghiera, che solleva l'universo fino al cielo, lui è
salvo. Ora, cosa succederà con Kurt Cobain? So solo che devo
andare avanti, anche se ciò che mi attende è terribile. Mi
spaventa. Ma poi di che cosa avrei paura? Per quanto un uomo
possa commettere, ecco cosa fa dire Dostoevskij allo starec
Zosima ne “I fratelli Karamazov:
“Fratelli, non abbiate paura del peccato degli uomini,
amate l'uomo anche nel peccato, giacché appunto questo è a
somiglianza dell'amore di Dio, ed è il vertice dell'amore su
questa terra”.
Tutto si ricongiunge in Dio.
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5
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Chiudere a chiave tutte le portiere
VIETATO far entrare ospiti, fan, membri di altri gruppi, ecc.
VIETATO qualunque stazione di servizio che non sia Exxon.
Nessuna eccezione.
Ogni 400 miglia controllare la pulizia del furgone e
l'equipaggiamento tecnico.
Trovare un posto sicuro dove fermarsi e scaricare ogni singolo
pezzo dell'equipaggiamento dal furgone: fare riferimento
all'opuscolo Equipaggiamento elettronico musicale che c'è nel
cruscotto.
O anche:
SUPERARE quando sei entro 200 piedi dalla macchina
SEGUIRE a una distanza di 20 piedi per ogni miglia orarie di
velocità nella zona
METTERE LA FFRECCIA a 100 piedi prima della svolta
PARCHEGGIARE in discesa con le ruote girate verso il
marciapiede.
Disordinato in casa e trascurato nel vestirsi, qui Kurt si mostra
preciso, come uno che sta passando l'esame per la patente di
guida. Quando guidava era molto prudente, guidava piano.
Questo può sembrare strano per un ragazzo svitato com'era lui,
che sul palco, quando le cose non andavano nel verso giusto,
furioso, era capace di sbattere per terra la sua chitarra e farla
pezzi, e distruggere tutto quel che gli capitava sotto mano,
demolire anche la batteria. Eccetto una volta con Crover. Se
l'avesse fatto lui lo minacciò che lo avrebbe fatto nero. Più
tardi, nel suo diario scriveva così al padre:
“Sette mesi fa ho deciso di mettermi in una posizione
che richiede la massima responsabilità che non dovrebbe essere
imposta. Ogni volta che vedo un programma televisivo con
bambini che muoiono o la testimonianza di un genitore che ha
perso un figlio di recente, non riesco a trattenere le lacrime. Il
pensiero di perdere la mia bambina mi spaventa ogni giorno.
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Sono persino nervoso a portarla in macchina per paura di fare
un incidente...”
Che padre tenero! Con la sua bambina era felice.
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AMORI SBAGLIATI
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L'estate scorsa, a Palermo, dicevo al mio amico Dario che
avevo l'intenzione di scrivere un libro su Cobain. Proprio ieri
ho ricevuto una sua mail in cui mi dice:
“Come va con Kurt? Ieri parlavamo con un amico del
fatto che con un paio di strumenti musicali e testi vita, i
Nirvana sono stati in grado di creare non solo uno stile che non
è uno stile, ma uno stile di vita giovanile degli anni '90 e dei
primi anni del 2000. Alla pari del Punk che era una corrente di
più gruppi, forse il grunge è stato rappresentato solo dai
Nirvana, il grunge sono i Nirvana, si potrebbe dire...”
Nel diario trovo anche questa nota di Kurt sui Nirvana, quando
ormai cominciavano a essere conosciuti:
- I Nirvana hanno suonato molto in questo periodo – tre
tour importanti, che includevano due date in Inghilterra e una
in Europa. Hanno suonato a Berlino il giorno dopo la caduta
del muro. “C'erano occidentali che offrivano alla gente, che si
arrampicava sul muro, cesti di frutta, e un uomo alla vista delle
banane è scoppiato a piangere” ricorda Kobain. Le origini del
gruppo risalgono all'87. Era la situazione classica di due
studenti d'arte annoiati che lasciano la scuola per formare un
gruppo. Kobain, un pittore da sega elettrica specializzato in
paesaggi e marine, al prestigioso Gray's Harbor Institute of
Northwest Crafts, incontrò un giorno Novoselic, la cui grande
passione era quella di incollare conchiglie e pezzi di legno su
tele di sacco. “Quando vidi le opere di Kobain” dice Chris,
“capii che c'era qualcosa di veramente speciale. Mi presentai e
gli chiesi che cosa pensava di una scultura mobile di
maccheroni su cui stavo lavorando. Mi suggerì di incollarci
della polvere luccicante. In quel momento nasceva il sodalizio
artistico che avrebbe dato vita a quella che è oggi la colla-
borazione musicale dei Nirvana”. Dopo una lunga successione
di batteristi, i Nirvana hanno finalmente... -
Qui Kurt si interrompe, ma sappiamo chi il batterista che hanno
finalmente trovato è Dave Grohl.
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La caduta del muro di Berlino avvenne il 9 novembre
1989. Ricordo che guardai stupito alla tv l'avvenimento della
caduta del muro. Io, disteso sul letto nella mia mansarda a rue
de Paradis, e Kurt tra la folla a Berlino che assiste allo stesso
avvenimento dal vivo. Non avrei mai immaginato che tanti
anni dopo, da frate, mi sarei messo a scrivere qualcosa su di lui
come sto facendo ora. Quella sua osservazione sull'uomo che
piange alla vista delle banane mostra quanto Kurt era attento e
sensibile a ciò che accadeva intorno a sé, e dice quant'era
profondo il fossato che esisteva tra le due Germanie.
62
In a passionate kiss
From my mouth to yours
I like me.
Mastico la tua carne per te
La passo avanti e indietro
In un bacio appassionato
dalla mia bocca alla tua
Mi piaci
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mancava, gli piaceva l'innocenza. Gli piaceva mettere Dio in
stato di accusa...
Aveva di che, come aveva fatto Giobbe, che così si rivolgeva al
Signore:
“Preferirei essere soffocato,
la morte piuttosto che questi miei dolori. (Gb /,15)
Perché a Giobbe, l'innocente, il giusto, succedevano tutte
quelle disgrazie, tutti quei dolori? Ma a tanti altri succedono.
Ed è sempre ingiusto. Penso all'amico Dario, che a un certo
punto della sua vita gli sembrò di attraversare un tunnel senza
più rivedere la luce. Allora si vedeva così:
“Sono lo scarto, solo un numero. Sono la comparsa nel
film della vita. Sono il soldato che muore senza nome. Sono
l'esempio di come può andare a finire male la vita.
Sono deforme. Inutile...
Un essere medio, “sgiusto”, qualcuno direbbe”.
[…]
Io che cerco tanto l'amore, non ho mai amato me
stesso. Mi odio, mi odio tanto che mi trascino nella sofferenza
da anni, senza suicidarmi. La mia morte sarebbe una libera-
zione troppo grande”.
Si sentiva così anche il giovanissimo Christian quando mi
diceva, lapidario:
“Qui va tutto a rotoli. Mi sento uno schifo. Solissimo.
Ho perso tutti. Li ho cacciati io. Isolato, mi sono rintanato in
una tana oscura e finta. Scappo. Charleville mi attende, e là
Rimbaud.”
Pensava di trovare nel poeta un compagno, un amico, e nella
poesia una consolazione, una speranza, una zattera cui aggrap-
parsi. Come non pensare al martellante, ossessionante hello,
hello, hello, how low di Kurt? Il how low, il mi sento giù di
tanti ragazzi di tutte le generazioni.
Certo Kurt si era sviato, ma fino al divorzio dei genitori
era un ragazzino felice, innocente. E' quest'innocenza che si
portava dentro, incancellabile. E' per questo che soffriva.
66
Avrebbe voluto ritrovarla. L'avrebbe ritrovata in Frances, la sua
bambina. Ma non riusciva a vederla in sé, che proprio per
questo si sentiva sbagliato, “un gran mucchio di merda”.
In “Smells Like Teen Spirit” non c'è solo la presenza di Tobi,
ma tutta la sua inquietudine, la sua paura, la sua rabbia.
I'm worse at what I do best
And for this gift feel blessed
Our little group has always been
And always will until the end.
Poi nel giro di tre versi la prospettiva va dal palco alla platea.
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With the lights out it's less dangerous
Here we are now, entertain us
I feel stupid and contagious
Here we are now, entertain us...
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Sto mentendo e sono famoso
Eccoci qui ora, intratteneteci
Mi sento stupido e sto mentendo
Eccoci qui ora, intratteneteci
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7
Nel suo diario, Kurt descrive così gli effetti dell'eroina nel '92,
quando stava già con Courtney Love, che incontrò per la prima
volta il 12 gennaio 1990:
“Ho provato l'eroina per la prima volta nel 1987 ad
Aberdeen e l'ho usata per circa 10 volte ancora dall'87 al '90.
(ma sappiamo che cominciò solo nel '90)
“Quando siamo tornati dal nostro secondo tour europeo con i
Sonic Youth ho deciso di farne uso quotidiano per personale
problema di stomaco di cui soffrivo da 5 anni e che mi aveva
letteralmente portato sulla soglia del suicidio. Tutto il giorno
per 5 anni della mia vita ogni volta che inghiottivo un boccone
di cibo provavo un violento dolore nauseante alla bocca dello
stomaco. Il dolore si era fatto ancor più forte nel corso del tour,
anche per la mancanza di abitudini alimentari corrette e
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regolari e di una dieta variata. Dall'inizio del problema ho
subito10 interventi diversi nelle zone gastrointestinali superiori
e inferiori che hanno rivelato una brutta infiammazione. Ho
consultato 15 medici diversi e ho provato una cinquantina di
medicine per l'ulcera. L'unica cosa che funzionasse erano gli
oppiacei pesanti. C'erano volte in cui rimanevo bloccato a letto
per settimane, preda del vomito e del digiuno forzato. Quindi
ho deciso che, dal momento che mi sentivo drogato, a quel
punto valeva la pena esserlo.
Dopo l'ultimo tour europeo ho giurato di non fare un
altro tour se non fossi riuscito a nascondere o a risolvere la mia
situazione di salute. Ho preso l'eroina per circa un mese, ma
poi mi sono reso conto che non sarei stato in grado di trovarla
in Australia durante il tour, e così io e Courtney ci siamo
disintossicati in una stanza d'albergo”.
Kurt,
Attaccato alla flebo tra i gemiti di dolore, con il mal di
stomaco più terribile che avessi mai provato...
Kurt:
“Avevo deciso di ammazzarmi...”
Kurt:
“Ho comprato un fucile, ma alla fine ho optato per la
droga”.
Forse che Kurt non meritava nulla? Ma chi può dirsi meritevole
di qualcosa? E poi, Cristo non è venuto proprio per salvare i
peccatori? Nella parabola del figliol prodigo si racconta del
padre che accoglie a braccia aperte il figlio dissoluto, che oggi
potrebbe essere uno dei tanti tossicodipendenti.
“Perché, Padre, non hai dato una mano a quello strafatto, a quel
poeta di nome Kurt? L'hai data a me! Non sei tu che gli hai
dato la vita? E' tuo figlio anche lui, no? Lui si trovava cattivo,
sbagliato, ma tu vedevi la sua innocenza, quella tua immagine
impressa nell'angolo più segreto della sua anima. Non dubito
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che ora stia con te, ma non potevi manifestarti quand'era ancora
vivo qui sulla terra come hai fatto con me e con altri? Quel suo
soffrire non ti faceva soffrire? Sapevi fin dall'inizio come
sarebbe finito...in fondo come sei finito tu insieme al tuo figlio.
Tu trafitto dai chiodi,
lui trafitto dagli aghi con cui si bucava.
Tu colpito da un colpo di lancia
lui colpito da un colpo di fucile.
Il fracasso che fece lo sparo
devi averlo sentito all'istante stesso
in cui la terra si scosse alla tua morte.
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8
82
Qui finalmente trova l’accordo con la sua anima, l’accordo con
il mondo intero, senza esclusioni, fanatismi di nessuna sorta.
Nel suo cd “Le face à face des coeurs”, decide di far precedere
questi versi d’Ibn Arabi, oceano d’amore universale, che fa
suo:
Ci fu un tempo in cui rimproveravo al mio prossimo
di professare una religione diversa dalla mia
Ma ora il mio cuore accoglie ogni forma
C’è una prateria per le gazzelle
Un chiostro per i monaci
Un tempio per gli idoli
Una Kaaba per il pellegrino
Le tavole della Torah e il libro del Corano
Io professo la religione dell’amore e qualunque sia
La direzione che prende la sua cavalcatura,
questa religione è la mia religione.
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sordidi luoghi pervasi dai miasmi del corpo e dalle fobie della
mente.
Che cosa cercava Kurt quando leggeva? Penso che
cercasse se stesso. Per capire chi era. Viveva con sé e con il
suo doppio. Uno che poteva quasi apparentarsi a un Francesco,
o ad un amante come Romeo, attratto dall'amore e dai più
nobili sentimenti, e l'altro ossessionato da ciò che più abbassa
un essere umano, senza ritegno, senza misura. Un po' come
avviene nel film di Pasolini “Salò o le 120 giornate di
Sodoma”. Ricordo, quando nel 1975 a Parigi andai a vedere
questo film con uno dei miei studenti, durante la proiezione
c'erano spettatori che uscivano dalla sala disgustati.
Pensando ai vari film di Pier Paolo, ecco, Kurt avrebbe
potuto essere uno dei suoi protagonisti. Proprio per quella sua
complessa doppia personalità, impossibile da inquadrare: santo
e perverso, buono e cattivo, tenero e crudele. Schizofrenico,
sadomasochista, tenebroso e solare, timido e sfrontato, osceno
e puro, fragile e prepotente, incontenibile, ma nella sua
dismisura sempre vero.
Nel 1992, appena sposato, immaginando come lo vedevano gli
altri, scrive così nel suo diario:
“Mi vedono emaciato, itterico, zombesco, maligno, drogato,
tossico, boccia persa, sull'orlo della morte, autodistruttivo,
porco egoista, perdente che si pera dietro il palco pochi
secondi prima del concerto”.
Kurt non si sopportava. Questa frase, che comparirà spesso nel
suo diario, riassume tutto il suo malessere:
“Mi odio e voglio morire”.
Che cosa odiava in sé?”
Una volta Kurt mandò alla moglie Il ritratto di Dorian Gray, e
Cime tempestose di Emily Bronte. Forse si ritrovava nel
personaggio di Wilde quando, bello come un angelo, anche lui
trascorreva giornate in sordidi luoghi pervasi dai miasmi del
corpo e dalle fobie della mente, quando vagava come un'ombra
nel sottobosco della città in cerca di droga.
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Ho riletto l'opera di Wilde recentemente. Tra le pagine
ho trovato queste righe che già alla prima lettura avevo
evidenziato:
“Corpo e anima, anima e corpo: com'erano misteriosi!
C'era qualche cosa di animalesco nell'anima mentre il corpo
aveva momenti di spiritualità. I sensi potevano affinarsi e
l'intelletto poteva degenerare. Chi poteva dire quando, dove
terminava l'impulso della carne o dove iniziava quello della
materia? Quanto erano misere le definizioni arbitrarie dei
comuni psicologi! E tuttavia come era difficile scegliere tra le
affermazioni delle varie scuole! Era forse l'anima un'ombra
seduta nella casa del peccato? Oppure il corpo era proprio
nell'anima, come pensava Giordano Bruno? (1) La separazione
tra spirito e materia era un mistero, ed era anche un mistero
l'unione di spirito e materia”.
Chissà cosa avrà pensato Kurt di queste righe se mai le
avrà lette. Che ci sia qualche cosa di animalesco nell'anima, e
nel corpo momenti di spiritualità lo sento bene anche in me, e
ancor più prepotentemente in Kurt.
FAMOSO
91
pubblico cominciò a cozzare contro la band come nel video
Smells Like Teen Spirt. Anche se quel giorno Kurt firmò
centinaia di autografi, niente gli parve più strano. Fu uno dei
primi momenti in cui capì ch'era diventato famoso. Fu preso
dal panico. La realizzazione del sogno, che aveva da quando
frequentava la scuola, lo scuoteva. Era più di quanto aveva
sognato.
I Nirvana arrivarono a Boston il 22 settembre. Kurt non vedeva
l'ora di andare a vedere i Melvins. Quando cercò di entrare nel
club il portiere non sapeva niente dei Nirvana. Ma si intromise
Mary Lou Lord, una cantautrice locale per dire che li cono-
sceva, così Kurt pagò il biglietto.
Mary Lou Lord suonava sulle panchine della metropo-
litana. Già questo me la rende simpatica, amica, mi ricorda il
periodo, a Parigi, quando anch'io suonavo nel metrò per cercare
di sbarcare il lunario. Si misero a parlare tutti e due per ore,
dopo di che lei gli diede un passaggio sul manubrio della bici-
cletta. Stettero insieme tutta la notte a discutere. A un certo
punto lui le chiese di cantare una canzone. Quando lei eseguì
due brani dell'ancor inedito NEVERMIND, lui si sentì definiti-
vamente conquistato.
Ci sono incontri così, inaspettati, che fanno bene
all'anima. Lui si riversò in lei, le raccontò della sua famiglia,
del padre che una volta prese a calci un cane, di Tobi...che non
gli era ancora passata. Le disse anche che era affascinato da
una religione orientale, il gianismo, il cui spirito si avvicina al
nostro francescanesimo quando è praticato come sognava
Francesco, cosa che ho constatato raramente, come trovare un
quadrifoglio o una perla in un'ostrica.
Kurt aveva visto un documentario di notte in tele che
l'aveva incantato, scrive Cross, “perché sulla bandiera ufficiale
Jain appariva un'antica versione della svastica, dopodiché
aveva letto tutto quello che poteva trovare sui gianisti, che
adoravano gli animali rendendoli santi.
92
“Mi disse che avevano ospedali per i piccioni, e che
voleva unirsi a loro. Voleva avere un enorme successo e
passato tutto sarebbe andato a unirsi ai gianisti” ricorda Mary
Lou Lord. Uno dei concetti gianisti che più lo affascinava era
la loro visione dell'aldilà. Il gianismo prevede un universo che
in realtà è una serie di inferni e paradisi concentrici. “Ogni
giorno passiamo attraverso il paradiso e attraverso l'inferno” le
raccontò. -
Non conoscevo questa filosofia, per cui sono andato a
curiosare su internet, ed ecco cosa ho trovato: “Il gianismo è
un'antica religione, ma soprattutto una filosofia basata sugli
insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta di nobile
estrazione che indicava la via della perfezione umana sulla
base della nonviolenza”.
E' la “buona condotta” che il discepolo deve tenere, che viene
definita, sinteticamente, come il fare ciò che è di beneficio agli
altri e l'astenersi da ciò che danneggia. Per ottenere ciò si deve:
1) Praticare i cinque giuramenti.
2) Praticare estrema attenzione nelle azioni quotidiane al
fine di evitare di recare danno a qualsiasi vita.
3) Tenere a freno pensieri, parole, azioni.
4) Praticare dieci tipi di Dharma, e precisamente perdono,
umiltà, chiarezza (ovvero assenza di inganno), sincerità,
pulizia, autolimitazione, austerità, autosacrificio,
distacco dai beni materiali (il che non significa
impedirsi di goderne), celibato.
5) Meditare sulla verità.
6) Vincere i dolori e i disagi che nascono da fame, sete,
caldo, freddo, ecc. attraverso la forza.
7) Raggiungere equanimità, purezza, grazia assoluta e
condotta perfetta – tutto dev'essere praticato secondo la
propria capacità e volontà, che devono essere
rafforzate.
Che Kurt fosse affascinato da questa filosofia indica tutto ciò
che si portava dentro; e non mi stupisce che dopo aver ottenuto
93
il successo volesse addirittura unirsi a questi gianisti. Tante
erano le sue potenzialità, i suoi desideri, le sue aspirazioni, i
suoi sogni. Come contenere tutto questo con i suoi contrari?
Era come un cockteil esplosivo, un magma bollente. Ciò che
gli mancava era una guida sicura, un “padre spirituale”. Ma
come l'avrebbe trovato in un ambiente dove s'incontrano solo
iene, imbroglioni e falsi amici? Non scriveva nel suo diario che
gli piaceva l'innocenza? Che non aveva mai conosciuto
nessuno che fosse compatibile con la sua volontà intellettuale,
spirituale e umoristica? Che non aveva mai incontrato nessuno
a cui chiedere consiglio e che proverebbe a spiegargli tutte le
incertezze che lo tormentavano? Che gli mancava la sincerità.
Si faceva delle domande sull'aldilà. Chi non se le fa?
Nei suoi diari scriveva:
“Mi conservo appositamente naïf e sto alla larga dalle
informazioni di questa terra perché è l'unico modo di evitare
un atteggiamento cinico. Tutto quello che faccio è profonda-
mente inconscio perché non è possibile razionalizzare la
spiritualità. Non meritiamo tale privilegio. Non so parlare. So
solo sentire”.
Poi provocatorio:
“Se vuoi sapere com'è la vita nell'aldilà, mettiti un
paracadute, sali su un aereo, riempiti le vene di una buona
dose di eroina, seguita immediatamente da un tiro di
protossido di azoto e a quel punto salta. O, in alternativa,
datti fuoco”.
E' ciò che Kurt a un certo punto fece. Kerouac, in “Un mondo
battuto dal vento” scriveva:
“La vita non è abbastanza. L'uomo ha bisogno di saper
che c'è un'eternità, l'eternità che ci ha promesso Gesù, senza di
che non posso vivere. Ma non riusciamo a vedere il suo volto
in questa storia”.
E' Gesù che mancava a Kurt, senza saperlo, che lo avrebbe
tratto dalle sue incertezze. E' il suo volto che non riusciva a
94
vedere nella sua storia. Eppure a 17 anni lo aveva incontrato, e
diceva che lo accettava nella sua vita.
Andava persino a messa. E' allora che Gesù doveva afferrarlo,
stringerlo a sé, sapendo quel che sarebbe stata la sua vita: altro
che calvario! Perché non lo ha fatto?
“Oh Dio, è così bello esser puliti!” scriveva nel suo
diario. Non era un porco perdente, un gran mucchio di merda,
come credeva.
Mi sarebbe piaciuto essere lì con loro quella sera, così
anch'io mi sarei raccontato, quando anch'io andavo cercando,
cercandomi, a un momento della mia vita attraverso l'islam, in
Algeria, con quei folli di Dio, i sufi, poeti che con i loro scritti,
le loro poesie mi incantavano. Anche il buddismo a un certo
punto mi parlò, affascinò. Islam e buddismo ancor oggi mi
affascinano. Tanti sono i punti comuni. Che cosa andavo
cercando se non Dio? Ritrovo questo nel mio diario:
“Succede che si trovi Dio là dove ce lo si aspetta meno,
persino in individui senza religione. Se Dio è una ricerca
permanente, egli è soprattutto nel dolore della sua mancanza,
nel dolore tour court. Traspare, si mostra, trabocca attraverso
ogni essere che sa amare. Tutta la difficoltà sta in questo non
“sapere”. E so così poco. La mia ammirazione quando incontro
un essere veramente amante. E mi chiedo: “Quando saprai
amare?” Qui sta la pace dell'anima, in questa saggezza. E' ciò
che Siddhartha, l'indiano - nel bel libro di Hermann Hesse -
riesce a trovare, invecchiando, dopo un lungo cammino, e che
confida a un amico:
“C'è qui un insegnamento di cui riderai, è che l'Amore,
o Govinda, deve dominare tutto. Analizzare il mondo,
spiegarlo, disprezzarlo, questo può essere l'affare di grandi
pensatori. Ma per me c'è solo una cosa che conta, è poter
amarlo, non disprezzarlo, non odiarlo pur non odiando me
stesso, poter unire nel mio amore, nella mia ammirazione e nel
mio rispetto, tutti gli esseri della terra senza escluderne”.
95
Il vecchio Siddhartha dice bene “tutti gli esseri della
terra, i buoni e i cattivi, poiché “ogni peccato porta in sé la
grazia, tutti i bambini hanno già il vecchio in sé, tutti i neonati
la morte, tutti i mortali la vita eterna. Nessun essere umano ha
il dono di vedere a che punto il suo prossimo è giunto sulla via
che percorre”.
Com'è bello tutto questo!
E' vero che ogni peccato porta in sé la grazia. E' ciò che
ho cercato di vedere in Morrison, e ora in Kurt. Per questo
bisogna andare fino in fondo all'anima, là dove sovrana, inde-
lebile, rifulge l'immagine di Dio; il peccato rimane sempre in
superficie, galleggia come un escremento sull'acqua. E' così per
ogni uomo, è così per me.
Aggiunge Siddhartha:
“Consento volentieri che la Saggezza d'un uomo abbia
sempre agli occhi di certi altri una piccola aria di follia”.
Ai più Gesù appariva come un pazzo, è così per tanti ancor
oggi: come capirlo?
Seneca accanto a Nerone. Bisogna pur ammettere che il bene e
il male sono indivisibili nella natura dell'uomo. Dunque è vero:
ogni uomo passa attraverso il paradiso e attraverso l'inferno.
Di questo e di tante altre cose avremmo parlato Kurt e
io, ci saremmo svuotati l'un nell'altro, come facevo con i miei
amici a Parigi, rue de Paradis. Penso che ci saremmo capiti e
magari saremmo diventati anche amici, ma non è troppo tardi.
Con quel bambino bastardo ho tanti punti in comune, e questo
non cessa di sorprendermi. Viaggiare con lui è come viaggiare
in me. Più lo conosco, più scopro me stesso. E' stato così anche
con Morrison. Chissà come mai mi scopro più nei maledetti
che nei santi.
Al Bon Marché.
Ci sono stato anch'io, ma non a Los Angeles, a Parigi.
Ci lavorai per quattro anni. E' qui che incontrai Caroline,
quando Kurt era ancora un bambino felice. Chi avrebbe mai
immaginato che un giorno saremmo diventati amici? Lui così
diverso e allo stesso tempo così simile a me, soprattutto in
queste occasioni.
Nonostante il disco d'oro andava in giro come uno che
non aveva casa. Denaro e fama, che pur aveva vagheggiato, ora
gli mettevano paura. Nell'agosto del '93 dava un'intervista a
100
Seattle. Lucidissimo, sembrava persino sereno, tranquillo. Tra
l'altro diceva che prima, quando entrava in un negozio con
pochi spiccioli, era più bello, eccitante; ora che avrebbe potuto
comprarsi tutto il negozio, che gusto c'era? Poi si commuove
quando parla di Frances, la sua bambina. Non gli restavano che
pochi mesi da vivere. Lo aveva già deciso?
A Seattle, durante il concerto, Kurt si mostrò arrabbiato
proprio sul palco perché le cose non andavano come desiderava
lui. La recensione di Rocket segnalava: “Questi ragazzi sono
già ricchi e famosi, eppure rappresentano il distillato di cosa
significa essere insoddisfatti della vita”.
Dopo il concerto incrociò Steve Shillinger, fermo
accanto alla porta riservata agli artisti. Un tempo era stato uno
dei suoi amici più cari, uno della famiglia che lo aveva accolto
quando Kurt dormiva in uno scatolone. Gli disse:
“Ehi, sei in televisione un'ora sì e un'ora no”.
“Non me ne ero accorto, non ho la tele nell'auto in cui
dormo” rispose con aria indifesa. A tarda sera si trattenne con
Tobi, che finì per dormire per terra con la solita mezza dozzina
di amici bisognosi di un posto dove dormire. Buffo, osserva
Cross, che abbia dormito sul pavimento della stanza di Kurt il
giorno in cui aveva toccato mezzo milione di copie vendute di
un album che parlava di lei che non l'amava.
Il 28 novembre NEVERMIND toccò il milione di copie. I
Nirvana partirono in tour. In Gran Bretagna parteciparono a un
seguitissimo programma televisivo: Top of the Pops. Poi Los
Angeles, e al Cow Palace di San Francisco. Quando arrivarono
a Salem, nell'Oregon, per l'ultima tappa del tour, le copie
vendute di NEVERMIND toccarono i due milioni e le vendite
continuavano incalzanti. A inizio 1992 l'ultima cosa che Kurt
voleva sentirsi dire era quanto era famoso. Poco tempo prima
lo avevano rifiutato per un lavoro in un canile.
La settimana dopo, la sua fama era ancor più grande
quando, a New York, i Nirvana apparvero a Saturday Night
Live. A New York era più facile far spese, ma di droga. La
101
bianca dalla Cina di New York - diversa sulla costa ovest,
praticamente catrame - lo faceva sentire più raffinato. Kurt ne
diventò ghiotto. Quando andò a trovarlo Wendy, la madre, lo
trovò in mutande e con un'aria da far paura. Il pavimento della
suite era coperto di rifiuti. Perché non faceva venire la
cameriera? Non poteva, rispose Courtney, ch'era ancora sotto le
lenzuola. Gli rubavano la biancheria.
A New York era chiaro che Kurt aveva preso la strada
dell'autodistruzione. Aveva tutti i segni del tossico all'ultimo
stadio. Kurt e Courtney si trasferirono in un altro albergo
diverso da quello del loro entourage. Quel gesto segnò la
spaccatura in seno alla band. Una frattura tra buoni e cattivi.
Courtney e Kurt erano i cattivi. Giorni bui. Anche i manager
non sapevano che pesci pigliare, mentre il successo economico
era sempre più notevole. NEVERMIND aveva sfrattato Michael
Jackson dal primo posto nella classifica di “Billboard”,
diventando l'LP più venduto a livello nazionale. “Non era quel
che si dice un successo lampo (il gruppo era insieme da quattro
anni)” scrive Cross, “il blitz dei Nirvana contro l'industria
musicale era senza precedenti. Praticamente sconosciuti fino a
un anno prima, avevano scalato le classifiche con Smells Like
Teen Spirit, il pezzo più ascoltato nel 1991, il cui riff iniziale di
chitarra segna la vera nascita del rock degli anni Novanta. Del
resto non si era mai visto una rockstar come Kurt Cobain. Era
un antidivo, uno che si rifiutava di salire su una limousine, e in
tutto quello che faceva infondeva uno stile da negozietto
dell'usato. Per Saturday Night Live indossava gli stessi vestiti
dei due giorni precedenti, un paio di scarpe da tennis Converse,
jeans con enormi buchi alle ginocchia, la maglietta di una band
sconosciuta e un cardigan tipo Mister Rogers. Non si lavava i
capelli da una settimana... Mai nella storia della televisione dal
vivo un artista aveva prestato un'attenzione tanto ridotta
all'aspetto e all'igiene, o almeno così sembrava”.
Meno di otto ore prima, all'albergo dove i due fidanzati si erano
trasferiti, Kurt era in coma per un'overdose. Anzi, era morto,
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racconta Courtney, che svegliatasi lo trovò riverso per terra.
Lei cercò disperatamente di rianimarlo, gettandogli addosso
acqua fredda, prendendolo a pugni al plesso solare perché i
polmoni iniziassero a smuovere aria...finché lo sentì boccheg-
giare. “Era la sua prima overdose quasi fatale” scrive Cross,
“arrivata lo stesso giorno in cui era diventato una star”.
Durante il concerto Kurt suonò da dio, anche se, per i Nirvana
non fu il loro migliore concerto. Ma Krist rimbalzava in giro
con barba e capelli lunghi, Grohl martellava la batteria, e Kurt
sembrava indemoniato, si capiva che Kurt era incazzato per
qualche cosa. Fu uno spettacolo ipnotico sia per l'intensità che
per la lontananza dell'artista. Finirono con la distruzione degli
strumenti, Kurt sfondando una cassa con la chitarra, Grohl
abbattendo la batteria che poi Kurt lanciò per aria. Dopo un
vaffanculo finale agli americani, mentre scorrevano i titoli di
coda Kurt e Krist si baciarono lingua in bocca (finale che
venne tagliato nelle repliche temendo uno scandalo). Ma Kurt
lo aveva fatto, come affermò in seguito, per provocare
“buzzurri e omofobi” di Aberdeen. Per i saluti finali Krist
dovette portarlo di peso: “Lo afferrai e gli infilai la lingua in
bocca. Volevo solo tirarlo su”. Alla fine non era andata poi
tanto male, ricorda Krist. Anche se Kurt aveva conquistato i
pochi giovani che non erano ancora innamorati di lui, non si
sentiva affatto un conquistatore, si sentiva sempre da schifo.
All'inizio di gennaio 1992 Kurt era talmente assuefatto
all'eroina che una dose normale non bastava più per farlo star
meglio. Nell'intervista con Cristina Kelly di “Sassy”, disse che
non riusciva a credere quant'era felice e meno interessato al
successo. Avrebbe potuto smettere anche subito. Ma era sotto
contratto. Era così preso dal fatto ch'era innamorato, che non
sapeva come sarebbe cambiata la sua musica. E quando Kelly
gli chiese se aveva in programma un figlio, lui ripose che prima
voleva essere sistemato, sicuro di avere una casa e soldi in
banca. Non sapeva che Courtney portava già in grembo il loro
bambino.
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Il Giappone gli piacque moltissimo. Lì lo raggiunse
Courtney. così passarono il suo venticinquesimo compleanno
in volo verso i concerti di Honolulu. Il lunedì 24 febbraio si
sposarono sulla spiaggia di Waikiki. Kurt si era bucato poco
prima. Non era strafatto, solo una puntina per non star male.
“Kurt” nota Cross, “aveva un pigiama azzurro scozzese e una
busta di tela guatemalteca. Così magro e bizzarramente vestito,
sembrava più un paziente in chemioterapia che un classico
sposino, eppure quelle nozze ebbero per lui un grande
significato, tanto che durante la cerimonia si mise a piangere”.
In tutto otto invitati, che appartenevano al giro della
band. Kurt aveva convinto Dylan a prendere l'aereo per fargli
da testimone, ma era soprattutto perché gli portasse dell'eroina.
Non aveva invitato nemmeno i famigliari, come del resto anche
Courtney. Convinto che Shelli, la ragazza di Krist, sparlasse
della sposa, non si presentò neanche Krist, amareggiato:
“Ormai Kurt si era chiuso nel suo mondo. Da quel
momento mi sono sentito distaccato da lui”.
Luna di miele alle Hawaii. Dopo di che, deluso perché
le isole non corrispondevano al paradiso che si era immaginato,
tornarono a Los Angeles dove era più facile trovare droga. La
sua dipendenza era ormai enorme, riprese a frequentare un
nebuloso sottobosco di spaccia e corrieri. Nel suo diario si
descriveva tutt'altro che sano:
“Mi odio e voglio morire”, scriveva.
I due sposi: la loro era l'unione di due debolezze, una
dipendenza quasi impossibile da spezzare. “Quando uno era
sobrio, l'altro si lasciava andare. Courtney però sapeva control-
larsi meglio, lui era come un treno deragliato. Le quantità che
Kurt si iniettava erano inaudite, per cui accettò d'essere
ricoverato al Cedars-Sinai per tentare di ripulirsi. All'inizio il
giovamento fu notevole, e presto Kurt tornò a essere sano e
lucido, anche se accettò di continuare con il metadone. Ma
Kurt non era uno da gruppo, cominciò a saltare le riunioni dei
“dodici passi”. E finì per lasciar perdere.
105
Eppure sia lui che lei avevano di che essere felici.
Avevano persino comprato casa a Seattle. Lontani dalle luci
della ribalta e dalle droghe, scrive Cross, “avevano momenti di
tenerezza. Ogni sera prima di andare a letto pregavano insieme,
poi a letto si leggevano dei libri. Kurt adorava scivolare nel
sonno sentendo la voce di Courtney, consolazione che gli era
mancata per gran parte della sua esistenza”.
Questa storia avrebbe dovuto fermarsi qui, finire come
finiscono le fiabe: e vissero felici e contenti. Il Signore li
avrebbe presi con sé, con il bambino che lei portava in grembo
mentre pregavano.
Perché poi il giro li riprese nel suo gorgo. Pur incinta,
lei tornò a Los Angeles per lavorare con le Hole. Lui rimase a
Seattle. Il 16 Aprile i Nirvana finirono sulla copertina di
“Rolling Stones”. Provocatorio Kurt indossò una maglietta con
la scritta: I rotocalchi fanno schifo. All'inzio del 1992 aveva
scritto una lettera alla rivista, che non aveva mai spedito, in cui
diceva che aveva deciso di non dare interviste, perché non
avrebbe tratto nessun giovamento...perché il lettore medio di
“Rolling Stones” era un ex hippie di mezza età hippocrita che
pensava al passato come ai “bei tempi andati”, e aveva un
atteggiamento più dolce, più gentile e maturo nei confronti del
neoconservatorismo liberale. Il lettore di “Rolling Stones” era
sempre stato coperto di muffa.
Un paio di settimane dopo averla scritta si trovò seduto
assieme a Michael Azerrad, della suddetta rivista, a discutere
un'altra volta della maglietta. All'inizio Kurt trattò il giornalista
con freddezza, ma si scongelò quando cominciò a raccontare
dei pestaggi al liceo. Alla domanda sull'eroina rispose:
“Non bevo nemmeno più perché mi fa male allo
stomaco. Il mio corpo non mi permetterebbe di drogarmi anche
se volessi perché sono sempre molto debole. Le droghe sono
uno spreco di tempo, ti distruggono la memoria, il rispetto che
hai di te e tutto quello che riguarda l'autostima. Non sono
buone, affatto”.
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Mentre diceva questo, nel soggiorno del suo appartamento
l'amata “scatolina degli attrezzi” era riposta nell'armadio come
un adorato cimelio di famiglia (nella scatolina c'era la siringa e
tutto il necessario per bucarsi).
Intanto NEVERMIND era ancora in vetta alle classifiche.
In quei giorni andò a trovarlo il vecchio amico Jesse
Reed, proprio quando Kurt era costretto a bucarsi due volte al
giorno. Andava in bagno per non farsi vedere davanti all'amico
o a Courtney. Ora che gli assegni cominciavano ad arrivare,
raccontò a Jesse che si faceva 400 dollari d'eroina al giorno,
scrive Cross. L'appartamento non era così diverso da quello
rosa di Aberdeen, con mobili da poco, graffiti sulle pareti, una
topaia. Kurt aveva ricominciato a dipingere. Certo è che
avrebbe potuto diventare pittore se la musica non avesse preso
il sopravvento. Passarono buona parte del pomeriggio a
guardare il video di un tale che si faceva saltare il cervello con
una 357 magnum. In realtà era il suicidio di R. Budd Dwyer,
alto funzionario della Pennsylvania ch'era stato accusato di
corruzione. Il film era molto cruento. Nel 1992 e 1993 Kurt
guardò ossessivamente quel suicidio, quasi quanto l'ecografia
di sua figlia nel ventre della madre.
A giugno i Nirvana iniziarono un tour europeo. A
Belfast Kurt lamentò nuovi dolori allo stomaco. Fu portato di
corsa all'ospedale. In Spagna era riuscito a rimanere pulito per
meno di sei settimane. Oramai la sua tossicodipendenza era
nota a tutti. Il 3 luglio, prime contrazione di Courtney. I
Nirvana furono costretti a interrompere il tour. In California i
dottori rassicurarono la partoriente. Intanto gli spacciatori
venivano a bussare alla loro porta a tutte le ore, e Kurt faceva
fatica a resistere a quella tentazione. Dovettero cambiare casa.
Kurt, sempre più sconvolto dal mal di stomaco, consultò una
dozzina di medici. Avrebbe meditato il suicidio, come scrisse
nel suo diario. Ricoverato in ospedale per un programma
intensivo di disintossicazione - la sua terza - furono due mesi di
“fame, e vomito, attaccato a un'endovena a mugolare forte per
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il peggior mal di stomaco che non ho mai avuto”. Nel
frattempo Courtney fu ricoverata in un'ala diversa dello stesso
ospedale dove le somministrarono vitamine e metadone
preparto. Poco prima di partorire entrò nella camera dove Kurt
passava parte della giornata a vomitare o a dormire, le scostò le
coperte dal letto e strillò:
“Scendi subito dal letto e vieni subito! Non mi lasci
sola, vaffanculo!”
Con le contrazioni Courtney teneva la mano al marito
malridotto, che svenne qualche secondo prima che la testa di
Frances spuntasse. Erano le 7 e 48 del mattino del 18 agosto
1992 al Cedar-Sinai di Los Angeles. La bambina, una volta
aspirata e ripulita, Kurt insistette per tenerla in braccio. Fu un
momento che descrisse come uno dei più felici della sua vita.
In una foto, qualche mese dopo, si vede Kurt con la
bimba in braccio. Lui coi capelli corti, in pigiama, assomiglia
molto a una sua foto quand'era bambino in prima elementare e
poi in quinta. Lo sguardo non è rivolto verso l'obiettivo. Chissà
chi o cosa sta guardando...a cosa sta pensando. Ha l'aria così
innocente, un po' sperduto.
109
L'8 settembre Kurt ricevette la libera uscita per provare
con i Nirvana. Il giorno dopo dovevano suonare ai Video
Music di MTV, l'equivalente grunge degli Oscar. Kurt odiava
andare alle premiazioni. Si comportava come uno che odiava la
pubblicità, ma nessuno come lui riusciva a rappresentarsi con
successo. I suoi fan preferivano vederlo così. I dirigenti si
aspettavano che i Nirvana eseguissero Teen Spirit, invece
eseguirono Rape me, una canzone che eseguivano in concerto
da due anni.
“Il pezzo aveva la stessa magnetica dinamica dolce /
duro di Teen spirit e con quel refrain strano evocava la perfetta
estetica cobainiana, bello, ossessionante, disturbante. Anche se
nelle interviste” scrive Cross, “avrebbero presentato il pezzo
come un'allegoria degli abusi della società, nel settembre 1992
era diventato una metafora personale su come si sentiva trattato
dai media, dai manager, dai compagni, dalla tossicodipen-
denza, e da MTV (cosa che i dirigenti della rete avevano
astutamente capito). Non era questione che suonassero Rape
me, ma Krist ebbe modo di iniziare con gli accordi iniziali di
Rape me: “Lo facemmo per prenderli per il culo” ricorda Krist.
Non erano passati nemmeno venti secondi - che MTV avrebbe
tagliato nelle repliche - ma fu uno dei momenti migliori dei
Nirvana. Finito il pezzo, Krist lanciò per aria il basso, poi
barcollò giù e crollò lungo disteso per terra. A ritirare il premio
inviarono un sosia di Michael Jackson.
Rape me, comunque la si voglia interpretare, è una delle
canzoni più disperate di Kurt:
Violentami - grida rabbioso -
violentami, amico mio
violentami
Violentami ancora
Odiami,
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fallo fallo ancora
Sprecami,
Assaggiami, amico mio...
Rape me
Rape me, my friend
Rape me
Rape me again
Hate me
Do it and do it again
Waste me
Taste me, my friend...
112
Una settimana dopo gli Awards, Kurt si sedette nella
sua casa di Alta Loma con Robert Hilburn del “Los Angeles
Times” per la sua prima grossa intervista nell'arco di sei mesi.
Cercò di essere vagamente onesto sulla sua tossicodipendenza,
ammise i suoi problemi con l'eroina pur minimizzandone la
portata, la fase pesante era durata solo tre settimane. Molti suoi
commenti erano influenzati dalla presenza di Frances che
teneva in braccio:
“Non volevo che le dicessero che i suoi erano drogati.
Sapevo che appena avessi avuto un figlio sarei stato travolto, è
vero...Non riesco a spiegarti come è cambiato il mio comporta-
mento da quando ho Frances. Tenere in braccio mia figlia è la
miglior droga del mondo”.
Con questa intervista si scrollava di dosso parte della vergogna
riguardo alla droga. Scoprì che poteva essere applaudito per la
sua onestà, come un uomo che viene graziato dopo una
condanna a morte. Poco dopo, nel suo diario, rifletteva così
sulla sua attuale esistenza:
“Certe volte mi domando se sono il ragazzo più
fortunato al mondo. Per qualche strano motivo sono stato
graziato da vagonate di bella roba da un anno a questa parte, e
non credo che questi doni siano stati acquisiti grazie al fatto
che sono un cantante biondo semidio idolo delle ragazzine
amato in tutto il mondo acclamato dalla critica, cripticamente
onesto. Discorso di accettazione del premio franco ma
impacciato da un problema di pronuncia, golden boy, rockstar
finalmente uscita allo scoperto riguardo la sua vischiosa
tossicodipendenza di due mesi, annaffiando il mondo con il
classico “non riesco più a tenerlo nascosto perché mi fa male
nascondere una parte qualsiasi della mia vita privata ai fan
adoranti, preoccupati, ti-trattiamo-come-il nostro- personaggio-
da fumetto-di pubblico-dominio-ma-ti-amiamo-lo stesso”. Sì,
figlioli, per dirla come un coglione totale, parlando per conto
del mondo “apprezziamo davvero la sua ammissione finale di
ciò di cui l'accusavamo, dovevano sentirla perché eravamo
113
preoccupati che i pettegolezzi e battute e ipotesi in ufficio, a
scuola, alle feste, sì, insomma, si esaurissero”.
Un diario è sempre il segno di una vita interiore. Nel suo
diario, Kurt si sfogava anche così:
“Nei mesi fra l'ottobre 1991 e il dicembre '92 ho
riempito 4 quaderni con 2 anni di poesia, scritti personali e
canzoni che poi sono stati rubati in momenti diversi. In più 2
nuove cassette di musica da 90 minuti ognuna, piene di pezzi
per chitarra e strofe di canzoni sono andate rovinate a causa di
un incidente idraulico, e con loro 2 delle mie chitarre più care.
Non sono mai stato una persona prolifica, perciò quando la
creatività passa, passa sul serio. Mi trovo a scarabocchiare su
taccuini per appunti e fogli sparsi, ma finisce che solo una
minima parte dei miei scritti raggiunge una vera forma. E'
colpa mia, ma il sopruso peggiore che ho patito quest'anno non
sono né le esagerazioni dei media né i pettegolezzi da pollaio,
ma la violenza ai miei pensieri personali, strappatimi durante i
soggiorni in ospedale o nei viaggi in aereo o in albergo ecc. Mi
sento costretto a dire vaffanculo vaffanculo a quelli tra voi che
non hanno nessun riguardo per me come persona. Mi avete
violentato più di quanto potrete mai immaginare. Quindi vi
dico di nuovo andate vaffanculo, anche se questa espressione
ormai ha perso completamente il suo significato.
Vaffanculo! Vaffanculo”
114
12
E Charlie Parker?
“Quell'estate seguivo Jean-Pierre - uno dei miei studenti, un
ribelle - nei locali dove bazzicava: birrerie, cabaret, caves della
rive gauche intorno a St-Germain-des-Prés, più spesso nei club,
boites dove si esibivano musicisti di jazz in favolose improv-
visate jam-sessions. Così cominciai a familiarizzarmi con
questa musica, a conoscere Miles Davis, Chet Baker e altri
attraverso i dischi che andavo a comprare rovinosamente alla
FNAC. Con Charlie Parker e John Coltrane scopersi le sonorità
straordinarie di uno strumento al quale fino allora non avevo
mai veramente fatto attenzione: il sax tenore.
Presi a leggere le storie dei personaggi più famosi,
spesso sopravvissuti a un’infanzia miserabile. Ma è soprattutto
John Coltrane che m’incuriosì. M’incuriosì il suo cercare, per
un certo tempo anche attraverso la droga, esperienza di cui più
tardi parlò come di una “purificazione”. Intuivo cosa volesse
dire con “purificazione”. Anche il peccato poteva essere inteso
come un periodo di purificazione. Infatti diversamente da altri,
Coltrane smise di far uso della droga fin dal 1957. Per lui la
118
musica era sempre stata una via per arrivare a Dio. Dio o la
cocaina. Questa rinuncia cambiò la sua vita. Questa sua
rinuncia m’incuriosì.
Non mi stancavo di ascoltare il suo capolavoro: “A
Love Supreme”, pubblicato nel gennaio del 1965. Non era un
pezzo di facile ascolto, per cui solo a poco a poco finii col
coglierne l’anima, il misticismo. Non so descrivere ciò che
provavo e provo ancora ascoltandolo. So soltanto che le note di
questo strumento mi toccavano e scuotevano, facevano vibrare
quella parte di me che ignoravo. Era come se partecipassi a una
preghiera, anzi a un nuovo modo di pregare, trascinato su tante
strade diverse che tutte però portavano a Dio. Era questa la
speranza, il sogno di Coltrane. E anche mio. Era come se
trovassi un fratello, che mi trasmetteva con la sua musica ciò
che contava di più, la fede in Dio, quella fede che abbraccia
indistintamente ogni uomo, dal nord al sud, dall’est all’ovest. Il
suo, in fondo, quando ci penso ora, era lo stesso sogno
universalista del profeta Isaia: il sogno di Dio. L’illuminazione
che non ebbe, nel suo smarrimento, l’infelice Morrison”.
E ancor meno l'infelice Cobain.
Nel '92 ero ancora a Parigi. Ricordo qui un episodio,
che non ho mai raccontato, che mi sconvolse non poco. Si
chiamava Ricordel, un bel ragazzo sui sedici-diciassette anni,
che frequentava la scuola. Si capiva dal suo comportamento
che qualcosa non andava, lo tormentava. Capelli neri e occhi
azzurri bellissimi, piaceva molto alle ragazze. Durante la
ricreazione veniva spesso a parlarmi, all'inizio con aria
scherzosa, da bulletto, poi confidandosi, lasciando trasparire la
sua malinconia. Bastava guardarlo negli occhi. Sapevo che
viveva con la madre. Il padre se n'era andato con un'altra
quand'era ancora bambino. Da quel momento, come successe a
Kurt, non fu più lo stesso, qualcosa si era rotto, come uno
specchio che cade per terra in frantumi. Impossibile riattaccare
i pezzi. Poi successe che la madre si portò in casa un uomo. Un
uomo che non lo sopportava. Litigi, rimproveri, ingiurie. La
119
madre non se la sentiva di difenderlo. Escluso in casa, il peggio
accadde quando, viste le sue assenze e la poca voglia di
studiare - ma come faceva a studiare in quelle condizioni? -
venne escluso anche dalla scuola. Non lo vidi più per alcuni
mesi. Chissà che vita faceva. I compagni dicevano che
frequentava cattive compagnie, che si drogava.
Una notte - era d'inverno, verso le due - sentii bussare
alla porta. Era lui. Disfatto, si reggeva appena in piedi, quasi
irriconoscibile, barcollava. Mi si aggrappò al collo e si mise a
piangere. Era stato cacciato da casa dal convivente della madre.
Aveva fame. Tenevo sempre delle scatolette in riserva. Ravioli
al sugo. Mangiò. E mentre mangiava mi raccontò che viveva
per strada come un clochard, come accadde anche a Rimbaud,
e a chissà quanti altri senza nome. Poi, stanco, si stese sul letto,
rannicchiandosi come un bambino. Era l'epoca in cui Morrison
si trovava a Parigi, l'epoca hippie. Ricordel si trovava a fare la
vita che avevo fatto io alla sua età, una brutta vita, pericolosa,
sempre affamato, solo, una vita da cani randagi. Tutte le volte
che incontravo una persona così, rivivevo ciò che mi era
capitato da ragazzo.
Ricordel stette con me alcuni giorni. Mio era il suo
smarrimento, mia la sua tristezza, mia la sua disperazione,
tanto più che non sapevo come aiutarlo. Poi, com'era comparso,
improvvisamente sparì. A scuola chiesi se qualcuno l'avesse
visto. Uno mi raccontò che un uomo se l'era portato in Brasile.
A far che in Brasile? A spacciare, a prostituirsi? Cosa c'era di
vero? E se l'avesse fatta finita, magari buttandosi da un ponte?
Succede. Una tentazione che era passata per la testa anche a me
in questa situazione. Fatto sta che non si fece più vivo. Quanti
attraversano la vita così.
Che cosa poteva salvarlo?
Mentre scrivo queste righe provo lo stesso sentimento
per Kurt. Provo tutto ciò che prova, patisce, e pur sapendo
come finirà spero insensatamente in un miracolo, spero che se
la caverà, si salverà, come se fosse lì, vivo, accanto a me.
120
Eppure Kurt, per un certo tempo, trovò la sua salvezza
nella musica. E poi negli amici, che non ebbi io. E donne che lo
hanno amato. Penso soprattutto a Tracy. Poteva dirsi ancora
fortunato. Ma poi tutto questo non gli bastò, sempre in cerca
d'altro, di sanare quella sua ferita, quel suo mal di stomaco,
quel suo segreto incomunicabile tormento, quella sua insoddi-
sfazione, in una parola quella sua infelicità, che lo portò fino a
curarsi con la peggiore delle droghe, l'eroina. Finché anche
questa non bastò. Nessuno riusciva più a capirlo là dove lui
sprofondava...in quei suoi sogni pazzi, indecifrabili, che gli
venivano dalla brutta realtà che lo circondava, al punto che
ormai rifiutava ogni aiuto. Accettava di perdersi, di andare
oltre questa “vita del cazzo”, come se non si aspettasse più
nulla. Autodistruttivo. In fuga da una società spesso corrotta.
Certo lui era com'era, “peccatore” sì, ma non corrotto, troppo
fragile per esserlo, troppo vulnerabile, dalla corruzione era
rimasto incolume, intatto, puro, ed è anche per questo che
soffriva, ch'era infelice. Incapace di andar su, a poco a poco si
era lasciato andar giù. Hello, hello, hello, how low? Quanto
giù, giù? Come dicevo di Morrison, un maledetto, era un santo
alla rovescia, ma se avesse avuto la grazia...
Il primo giugno del '93, racconta Cross, “Courtney
architettò una seduta nella villa di Lakeside con Krist e Nils
Bernstein […] All'inizio Kurt si rifiutò di uscire dalla sua
stanza e persino di rivolgere la parola al gruppetto e quando
alla fine spuntò iniziò a litigare con la moglie. In uno scatto di
rabbia afferrò un pennarello rosso e scrisse sulla parete del
corridoio:
“Nessuno di voi conoscerà mai le mie intenzioni”.
“Era evidente che non saremmo mai riusciti ad arrivare
a lui” ricorda Bernstein.
La frase “mi odio e voglio morire” faceva parte del suo
repertorio da sempre. Quando scriveva nei suoi diari: “Ti odio.
Li odio. Odio soprattutto me stesso”, non era uno scherzo. A
121
metà del '92, parlò degli spasimi allo stomaco come se fossero
una maledizione:
“Ho vomitato con violenza fino al punto che lo stomaco
mi si è letteralmente ribaltato per mostrarti le fini terminazioni
nervose che ho cresciuto come figli miei, guarnendole e
marinandole una per una, come se Dio mi avesse chiavato e
impiantato queste ovine preziose e io le porto in giro
pavoneggiandomi con orgoglio materno come una troia
liberata dal peso di stupro e tortura continui, e promossa al
lavoro più dignitoso della vecchia buona sana prostituzione di
tutti i giorni”.
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129
Il 14 settembre 1993 IN UTERO arrivò nei negozi nel Regno
Unito e il 21 negli Stati Uniti, dove entrò in classifica diretta-
mente al numero uno vendendo 180mila copie solo nella prima
settimana. I Nirvana partirono in tour. A Chicago la band finì il
concerto senza suonare Smells Like Teen Spirit, scatenando una
salva di fischi. Quella sera Kurt si sedette con David Fricke di
“Rolling Stone”: “Sono lieto che sia venuto al concerto più
merdoso del tour”. Poi parlò della sua depressione, della
famiglia, della fama e dei problemi allo stomaco. “Quando una
persona ha dolori cronici per cinque anni, alla fine del quinto è
letteralmente impazzita...Ero schizofrenico come un gatto
bagnato e preso a calci”. A Chicago, all'apice dei problemi
gastrici, confessò che ogni giorno voleva uccidersi.
Poi New York. Kurt era teso, e la sua tensione si era propagata
al pubblico. Fu quella tensione che servì a rendere ancor più
memorabile il concerto. Kurt si era superato, non poteva dare
di più. Per il bis cantò Where You Sleep Night? La cantò a
occhi chiusi, e quando gli si incrinò la voce riuscì a trasformare
quel lamento in un grido ferino che parve durare giorni interi.
All'uscita dall'albergo Kurt fu avvicinato dai fan che
brandivano un CD e chiedevano un autografo. Lui li ignorò e
s'infilò nel furgone, ma dovettero aspettare uno della crew in
ritardo. Mentre aspettavano Krist disse al compagno che gli
avevano dato del coglione. Alla fine il ritardatario arrivò e
l'autista si avviò. Proprio in quel momento Kurt gridò di
fermare. L'autista frenò di colpo. Avevano trattato di coglione
l'amico Krist? Kurt abbassò il finestrino. I fan sul marciapiede
si avvicinarono convinti che stesse per concedere un prezioso
autografo. Allora “Kurt” scrive Cross, “si sporse dal finestrino,
un po' come Leonardo di Caprio In Titanic, e inarcò la schiena
prima di lanciare un enorme bolo di catarro dai più profondi
recessi bronchiali. Lo scaracchio rimase sospeso per aria come
un rallentatore prima di atterrare dritto in fronte a un tale che
aveva in mano uno degli otto milioni di copie vendute di
NEVERMIND.
130
Ora che la fama tanto agognata l'aveva raggiunto, Kurt
ne aveva paura, l'annoiava. In fondo aveva sempre desiderato
tutt'altro.
Il 17 luglio 1993, NEVERMIND uscì finalmente dalla
classifica di “Billboard”. Il gruppo andò a New York per la
promozione stampa e un'apparizione sorpresa al New Music.
La sera prima del concerto Kurt tenne un'intervista con Jon
Savage, l'autore del Sogno inglese, forse perché era un
ammiratore del libro. Descrivendo il divorzio dei genitori come
un fatto che l'aveva “riempito di vergogna” e gli aveva fatto
rimpiangere quel che aveva perso, disse: “Volevo disperata-
mente avere la classica tipica famiglia. Madre e padre. Volevo
quella sicurezza.”
Era solo un ragazzo. Jon Pereles, nello stesso periodo, dopo
una chiacchierata, disse:
“Cobain rimbalza tra gli opposti. E' guardingo, e con la
guardia abbassata, sincero e sarcastico, fragile e insensibile,
conscio della popolarità eppure tenta di ignorarla”.
Dave Grohl dirà: “Kurt poteva essere divertente o antipatico,
timido oppure espansivo, dolce oppure malvagio. Poteva
intimidirti”.
Così lo vedo anch'io. Così mi vedo anch'io.
Krist Novoselic lo trovava: “Attento, generoso, dolce”.
E' così che parla anche a me. Mi torna in mente qui l'estate
scorsa a Palermo, mentre guardavo con il mio amico Dario un
videoclip che mostra Kurt durante un'intervista fatta il 10
agosto 1993 a Seattle. Stupiva vederlo così sereno, lucido,
bello in volto con quei suoi chiarissimi occhi azzurri. Vista la
cattiva fama che si portava dietro, a un certo punto Dario,
sorpreso, esclamò:
“Ma è buono quel ragazzo, è buono!”
Non gli rimanevano che pochi mesi di vita.
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La sua meraviglia nello scoprire la “ville lumière” che gli
avevo mostrato soltanto su una guida. Lo portai sui posti che
preferivo:
La tour Eiffel, tutta illuminata.
Saint-Michel.
Le pittoresche vie del quartiere latino.
L’antica chiesetta di Saint-Julien-le-pauvre, tanto cara a
Julien Green per il suo gran silenzio, dove si recavano a
pregare san Bonaventura e Tommaso d’Aquino.
Notre-Dame, bellissima di notte. Ignazio conosceva la
storia della bella Esmeralda, il disgraziato amore di Quasimodo
per lei…la loro tragica fine.
Ansimando e inzuppati d’acqua, per l’ampia scalinata
giungemmo al Sacré-Coeur. Qui sostammo un bel po’ davanti
al Santissimo esposto. Silenziosi, felici di stare di nuovo
insieme sotto lo sguardo del nostro Gesù. Mi ricordai di quelle
sere, a Cremona, quando andavamo in chiesa a pregare prima
di ritirarci in camera. Solo la lampada del Santissimo brillava
nell’oscurità. Erano momenti dolcissimi.
Una sera, presi la sua mano nella mia, facendo non so più quale
preghiera. Volevo fargli sentire davanti all’Amico nascosto nel
tabernacolo quanto gli volevo bene, volevo trattenerlo, da che
cosa non so, volevo proteggerlo. La preghiera fatta in due, così
saldamente uniti, mi sembrava avesse più forza, toccasse di più
il Signore.
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Leader, gùru, padri maestri, guide di un gruppo o
laureati in scienze umane non fanno un padre spirituale. Non ci
si improvvisa formatori, e ancor meno padri spirituali. La
carenza è grande.
P. Reschiglian, in “Testimoni” del 15 Maggio 2001, sotto il
titolo: “Senza amore non c’è povertà”, cita Jean Vanier,
fondatore della comunità dell’Arca, ch’ebbe a dire questo a un
gruppo di formatori benedettini:
«Non si può accogliere la fragilità dell’altro se non a
patto di aver accolto la propria (…). Nulla come il doversi far
carico della debolezza altrui porta a scoprire la propria
personale debolezza e insegna a gestirla.»
Al noviziato padre N. era uno di questi rari che
sapevano accogliere. Dei suoi traumi non faceva mistero né
delle sue fragilità e difficoltà che solo un po’alla volta e in
parte diceva d’esser riuscito a superare, perché non si è mai
vincitori di se stessi né di nulla definitivamente.
Da lui andavi fiducioso, ti sentivi capito. Ma fu solo per
quell’anno, il piu bello della tua vita, l’anno in cui indossasti il
saio e sfociò nella professione semplice. Circondato da parenti
e amici, quel giorno “mi sembrò di essere in paradiso”,
scrivesti nel tuo diario. A Cremona, purtroppo, ti trovasti in
tutt’altre acque.
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Rosatina, come descriverla? Piccola, minuta, sulla sessantina o
giù di lì. Viveva sola e soffriva, come tuttora, della sua
solitudine. Una o due volte alla settimana andavano da lei gli
studenti libanesi ai quali cercava di insegnare l’italiano. Si
vedeva a messa la domenica mattina. Quando potevi prendevi
la bici e volavi da lei per tenerle compagnia. Ti eri messo a
suonare la chitarra. Le dicevi:
«Impara a suonare la chitarra anche tu. Ti sentirai meno
sola, perché è una cosa che ti stringi tra le braccia. Quando sei
triste ti metti a cantare e lei ti accompagna…»
Non faceva così anche Zorba il greco, il personaggio di
Nikos Kazantzàkis? Quand’era triste Zorba si metteva a ballare
il sirtaki, e la tristezza veniva spazzata via. Rosatina ci provò.
Teneva in casa una vecchia chitarra. Ma le facevano male le
punta delle dita. Ignazio insisteva: «Ti farai i calli.»
«Eh sì, i calli…li ho fatti per tante cose, ma per la
chitarra non ce l’ho fatta» disse Rosatina.
Lunedì, 21 maggio.
Piove.
Piove sulla collina,
piove sui cipressi,
piove sui tetti della città.
Piove sulla terra dove ora sei sepolto.
Il tuo corpo soltanto.
Che mantenevi in forma facendo ginnastica per non appesan-
tirti. Ho qui sotto gli occhi alcune tue foto. Qui sei a cavallo.
Porti un maglione rosso che si staglia sul verde del bosco, col
solito tuo radioso sorriso. Ti piaceva la montagna, ti piacevano
gli animali. Su quest’altra foto esci dall’acqua del lago su a
Cancano. Qui stiamo insieme, a Venezia. Con noi c’è anche
Sciadi, l’amico libanese che fu tra coloro che ti capirono e
vollero bene. Anche lui aveva un cuore da bambino e per
questo, come te, non era stimato granché, troppo trasparente,
troppo se stesso, vulnerabile quindi, ma lui sapeva difendersi.
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Guai essere se stessi quando altri portano la maschera.
Ma succede che la maschera te la devi mettere per forza anche
tu per non essere, come un cerbiatto allo scoperto, preso di
mira.
Adesso che ci penso, anche il vecchio don Mario ti voleva
bene. Perché è uno di questi esseri che sanno voler bene a tutti.
Come Gesù. Lui, sì, avrebbe potuto aiutarti, difenderti, ma non
contava. La sua tristezza quando ha saputo di te, non trovava
parole, ragioni al tuo gesto: «Come?» ripeteva smarrito al
telefono. «Perché, povero ragazzo, perché? Lui così buono…»
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sprofondava nel disgusto, nell’orrore di te stesso. Avevi
sporcato la tua anima e offeso Gesù.
Mercoledì, 23 maggio.
Sole.
Ma non m’importa.
Non sei più.
Ricordo ora queste righe di Rimbaud che ti piacevano
tanto. Le avevi imparate a memoria in francese:
J’ai tendu des cordes de clocher à clocher, des
guirlandes de fenêtre à fenêtre, des chaînes d’or d’étoile à
étoile, et je danse.
«Ho teso corde da campanile a campanile, ghirlande da
finestra a finestra, catene d’oro da stella a stella, e danzo.»
Mi dicevi, scherzando, che tu ti tenevi su una di quelle corde
tese da campanile a campanile. E ballavi. Quel giorno, trafitto
da un raggio di sole cadesti giù, così, come cade un equilibrista
stanco.
Era il sabato 28 aprile 2001.
Non ce la facesti a salvare i tuoi sogni.
Ad un certo punto della tua vita ti sei ritrovato solo, con
quella tua religiosità che non riuscivi a vivere nell’ambiente in
cui ormai cercavi di sopravvivere a fatica. Casa, non era casa
tua. Tuttavia nutrivi ancora qualche speranza. Volevi sposarti,
farti una famiglia. Avresti avuto bisogno d’una guida che ti
accompagnasse nel tuo nuovo sviluppo, come l’angelo Raffaele
guidò Tobia lungo il suo viaggio. La tua impazienza. Avevi
ormai 29 anni.
Non riuscisti a superare la crisi, a sopraffare l’angoscia
che si era insinuata in te nell’intraprendere una nuova strada.
Necessitavi di una gran forza interiore, oppure di qualcuno che
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ti rendesse possibile la fiducia in te stesso e nel mondo
circostante. Necessitavi d’un angelo o d’un sacerdote che
avessero fatto da tramite fra te e Dio. Da quando fosti escluso
non riuscisti più a dare un senso alla tua vita, a farti un posto su
questa terra.
Leggevo queste righe di Eugen Drewermann nel suo bel
libro “Il cammino pericoloso della redenzione”:
Il desiderio di morire, si dice, è in fondo il desiderio
traslato di uccidere (…), di distruggere il mondo intero. (…)
Ecco, io mi uccido, e la colpa è vostra.
Pensasti così? Non credo. La speranza ti aveva abbandonato, la
fiducia, ecco tutto. La visione del mondo improvvisamente ti
fece paura. Sapessi come tante volte fa paura anche a me, e
allora…
Non opponesti più nessuna resistenza. Come il vecchio Tobi
chiudesti gli occhi sull’infamia del mondo.
E ti addormentasti.
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15
154
no, che tutto era ancora possibile. Mi rifiutavo di pensare che
di lì a pochi mesi si sarebbe tolto la vita.
Spensi il computer e andai a stendermi sul letto. Fuori
pioveva. Mi è sempre piaciuto sentire il rumore della pioggia.
Era pur sempre vita. A un certo punto me lo sentii vicino, che
mi diceva:
“Guarda che anch'io sento il rumore della pioggia, stai
tranquillo, qui dove sono sto bene...”
Ma forse stavo sognando.
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16
DISPERATAMENTE SOLO
Così piccolino...
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Non gli rimanevano neanche otto mesi di vita, ch'erano peggio
di un'agonia, d'una lenta crocifissione, una tortura a ogni
istante.
Come li avrebbe passati?
Sapendolo mi prende un'angoscia come non l'ho mai provata
per nessuno, neanche per l'amico Morrison mentre lo seguivo
su quella salita che lo portava a Père Lachaise dove venne
sepolto. Fu come se andassi a seppellirmi con lui.
Molti si erano rassegnati a vedere Kurt in quello stato. Ma non
i Nirvana, che assurdamente avevano confermato la loro
presenza al Lollapalooza 1994. Avrebbero incassato un cachet
di otto milioni di dollari. Era come chiederlo a uno che stava
per morire. Kurt non voleva suonare a un festival e ancor meno
andare in tour. Era come chiedergli di andare a morire su un
palco. Courtney invece gli diceva che avrebbe fatto meglio a
incassare quei soldi, aggiungendo che i Nirvana avevano
bisogno di un'ulteriore spinta per decollare. “Kurt” rievocò
Dylan, “si sentiva minacciato dalle cause per i concerti
cancellati in Europa, temeva di finire su lastrico”. Doveva, gli
ripetevano, per motivi personali e professionali.
Allarmata dall'uso smodato di droga che faceva Kurt,
Courtney decise di stabilire una regola ferrea. In casa non ci si
poteva fare, sperando così che potesse tenere puliti Kurt, Cali e
lei stessa. La conseguenza fu che Kurt lasciò la casa per
trasferirsi in un motel a 18 dollari la notte sulla scalcinata
Aurora Avenue. Pur con tanti milioni era rimasto il ragazzo di
strada di un tempo. Nei momenti peggiori della sua tossico-
dipendenza si era spesso rifugiato in quei posti abbietti senza
nemmeno aver l'accortezza di lasciare un falso nome. Eppure,
pur nel degrado, in Kurt brillava sempre quella luce che
risplende in ogni uomo, anche nel più infame.
“In ciascuno di noi, sono presenti l'inferno e il paradiso”
scriveva Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Gray. In Kurt
sembrava prevalere l'inferno, ma non era così, il paradiso stava
sempre in lui, come quella luce indelebile.
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Nessuno capiva che Kurt si stava ritirando non dalle
droghe ma dal contatto con le persone. Così decise di
cancellare il tour e di snobbare il Lollapalooza. La band era
sciolta, è quel che Novoselic e Grohl si aspettavano da tempo.
Dopo Roma, visto il suo cambiamento, Krist si chiese se per
caso quel coma non avesse lasciato in Kurt strascichi cerebrali.
“Non ascoltava più nessuno, era come rincoglionito”.
Persino Dylan, con cui si drogava, notò un mutamento.
“Non sembrava più lo stesso”.
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La terza settimana di marzo Jennifer gli fece una
cazziata perché continuando così si sarebbe ammazzato, ma la
risposta dell'amico servì solo a spaventarla ancor di più.
“Mi disse che si sarebbe sparato in testa”. Poi con tono
scherzoso:
“E' così che morirò”.
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volle ascoltarle, ormai nulla lo raggiungeva più. Se ne
andarono in lacrime.
“Ci odi così tanto?” gli chiese Kim mentre indugiava
sulla soglia della porta piangendo, lei che non piangeva mai.
“Già” rispose sarcastico il fratello come lei non l'aveva
mai sentito. “Vi odio tutti sul serio. Vi odio”.
Ormai si stava distruggendo. Condivideva gli aghi
senza ritegno con altri drogati, ignorando i più banali consigli
su HIV ed epatite. Spesso l'eroina brown gli causava ascessi
per le impurità usate per tagliarla e sulle braccia gli erano
spuntati gonfiori e croste.
“Quel giorno” racconta Cross, “riuscì a corrompere
altre persone perché gli comprassero l'eroina, promettendo in
cambio delle dosi. Quando divisero la roba a casa loro e la
riscaldarono, Kurt preparò una siringa nera come il carbone,
praticamente non diluita, e i compagni lo guardarono inorriditi
mentre se l'iniettava e andava subito in overdose. L'apparta-
mento fu invaso dal panico mentre Kurt boccheggiava. Fosse
morto lì dentro ci si sarebbe messa di mezzo la polizia. Quindi
gli inquilini gli chiesero di andarsene e appena capirono che era
incapace di muoversi, lo trascinarono fuori. La sua Valiant era
parcheggiata sotto, perciò lo sistemarono sul sedile posteriore.
Una persona si offrì di chiamare il 911, ma Kurt era ancora
abbastanza cosciente da sentire e far segno di no. Lo lasciarono
solo, pensando che se voleva morire così l'avrebbe fatto per
conto suo. Doveva finire così: la più famosa rockstar della sua
generazione stesa sul sedile posteriore di un'automobile,
incapace di parlare, incapace di muoversi e ancora una volta a
un soffio dalla morte. […]
Ma non morì quel fine settimana, il suo fisico sopravvisse a
una dose di eroina che avrebbe ammazzato tanta gente. Quando
si svegliò il giorno dopo, erano tornati i dolori del corpo e
dell'anima, e la cosa che più desiderava era liberarsene. Persino
l'eroina non bastava più”.
162
A casa, oltre i molti messaggi di Courteny, ne trovò uno
di un nuovo psichiatra, il dottor Steven Scappa., con il quale
ebbe una lunga conversazione. Era di buon auspicio. Accettò di
tentare un'altra volta a disintossicarsi. Prenotati i biglietti per
Los Angeles, il martedì successivo venne Krist ad accompa-
gnarlo all'aeroporto. Ma Kurt non voleva più partire. In
macchina si mise a singhiozzare e cercò persino di aprire lo
sportello per saltare giù dall'auto in marcia. Krist lo agguantò
mentre teneva il volante con una mano e la macchina che
sbandava. Al terminal Kurt tirò un pugno in faccia all'amico e
tentò di scappare. Finirono sul pavimento del terminal affollato
come in un incontro di lotta, scagliando imprecazioni e pugni
come due ubriachi in una rissa nei bar di Aberdeen. Appena
Kurt riuscì a liberarsi, attraversò di corsa il salone gridando
“vaffanculo” sotto gli occhi degli allibiti viaggiatori.
“L'ultima volta che Krist vide Kurt vivo fu la chioma
bionda che girava l'angolo” scrive Cross. “Tornò da solo a
Seattle tra i singhiozzi. Ricorda Shelli la sua ragazza: “Krist
provava tanto, tanto amore per Kurt. Tutti e due gli volevamo
bene. Per noi era come un fratello. Lo conoscevamo da tanti
anni, più di metà della sua vita”. Quando era ragazzina passava
a Kurt i BigMac gratis da dietro il banco al McDonald's di
Aberdeen. Per un paio di settimane, nel 1989, Kurt, Tracy,
Krist e Shelli avevano condiviso il medesimo letto matrimo-
niale, dormendo a turno. Una volta Kurt aveva dormito in un
furgone dietro casa loro e Shelli gli portava le coperte per
essere sicura che non morisse di freddo. Krist e Kurt avevano
fatto in macchina quelli che sembravano milioni di chilometri e
si erano raccontati cose che non avrebbero mai confessato ad
altro essere vivente. Ma quel martedì sera Krist disse a Shelli
che in cuor suo sapeva che non avrebbe più rivisto vivo
l'amico. Aveva ragione”.
163
Kurt ci ripensò. Quella sera telefonò al dottor Scappa,
ebbe persino una piacevole conversazione con la moglie.
Nonostante la rissa con Krist accettò ancora una volta di curarsi
e si concordò un volo per il giorno dopo. Prima di partire fece
quello che fanno tutti i tossicodipendenti, si iniettò tanta eroina
da averne in circolo durante i primi giorni di astinenza. Il
pomeriggio andò da Dylan. Voleva comprare un fucile per
protezione contro i ladruncoli. Visto che la polizia gli aveva
sottratto tutte le armi, gli domandò di comprargliene uno.
“Se aveva intenzione di suicidarsi di sicuro non me lo
ha fatto capire”.
Dall'armaiolo Kurt indicò un Remington M-11 calibro 20 che
Dylan comprò con una scatola di cartucce pagando 308,37
dollari in contanti passatigli dall'amico. Poi Kurt tornò a casa.
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Anni '80, a Parigi.
Una sera, in una di quelle boites, birrerie dove ogni tanto
andavamo, Jean-Pierre mi presentò un giovane che come lui
frequentava il giro di quegli aspiranti artisti, musicisti, cantanti,
attori che cercavano di sfondare. Un ragazzo normale a vederlo
così, biondo con i capelli alla Brian Jones, che rivedendolo ora
assomigliava a Kurt.
“Vedi un po' se puoi fare qualcosa per lui” mi disse
Jean-Pierre.
James era nato in Alsazia in un paesino di pochi abitanti. Il
padre americano, capitato lì chissà come.
“Ho paura che finisca male” mi disse Jean-Pierre. “E'
buono sai, e troppo sensibile, ha certe idee, sogna, la realtà gli
fa paura, ecco perché beve e ogni tanto si fa, ho cercato di
aiutarlo in qualche modo, ma sfugge, sembra sempre altrove, in
un mondo tutto suo, non ti fidare quando ride, ride per non
rompere le scatole a nessuno, per non essere di peso, ma è
proprio quando ride che nasconde quel che più gli rode dentro,
guardalo bene negli occhi, e ci vedrai tanta tristezza...”
Jean-Pierre era un po' come me, uno che si associava
subito con i più sfigati, emarginati d'ogni sorta, e con loro
simpatizzava. Pur ateo, aveva quel senso religioso, fuori d'ogni
religione, che lo portava alla compassione del genere umano, di
qualsiasi persona che in qualche modo soffrisse.
In fondo si comportava umanamente da cristiano, che
però vedeva Cristo come lo vedeva quel maledetto poeta ch'era
Emanuel Carnevali, il quale pensava che il Vangelo era il più
bel libro che sia mai stato scritto; che tutto l'armamentario della
divinità non aveva fatto che danneggiare quell'uomo splendente
ch'era Cristo.
In questo allora ero piuttosto d'accordo. I religiosi mi
avevano tradito, senza però cancellare in me l'immagine di quel
Gesù che avevo tanto amato e che affannosamente ricercavo.
166
James. Mi torna in mente come se, stanato dalla mia
memoria, mi venisse a chiedere qualcosa che non avevo saputo
dargli, o forse, delicato e timido com'era, per scusarsi di avermi
tanto rotto le scatole. Oh no, non mi rompeva le scatole, anzi,
era uno di quelle persone che, come Morrison, mi dava tanto e
anche di più. Erano i “perdenti”, gli emarginati, i fragili e gli
sbandati che mi insegnavano la vita, anche e soprattutto
attraverso le loro sconfitte, la loro disperazione. Erano e sono
tuttora i miei maestri. Gli altri, nel mondo in cui vivo ora,
mah...il più delle volte mi lasciano sgomento. Borghesemente
cristiani. Troppi puzzano “l'io so tutto”, il credersi qualcuno, e
anche altro, che infastidisce, secca per mancanza del “vero”.
Simone Weil diceva:
“Il mondo attuale ha bisogno di santi, di santi nuovi, di
santi che abbiano del genio”.
James...
Quando penso a tutte le nostre conversazioni, ai tuoi silenzi, a
quel tuo balbettare, era perché ti portavi dentro tutte le tue
angosce, tutte le tue paure. Una volta mi dicesti:
“La morte non mi fa paura, è la vita che mi fa paura”.
Quella vita che vedevi intorno a te, come attraverso lenti che ne
ingrandivano le falsità, l'ipocrisia, l'egoismo, le crudeltà, il
non-amore.
E' questo che ti faceva paura.
Essere troppo sensibile ti fregava.
Ti emarginava.
Ti condannava alla solitudine.
E allora ti mettesti a bere, e poi a farti i primi spinelli, e poi, e
poi...Ti conobbi così, già preso in un vortice che ti stava
inghiottendo.
E' solo un po' alla volta che ti apristi con me. Avresti
voluto vivere in un mondo a colori, come nel Trittico delle
delizie di Hieronymus Bosch - il pittore che amava Morrison -
ma ti sentivi sporco, contaminato da quel che pensavi fosse
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brutto dentro di te. Ti detestavi. Non so che droga usavi.
Cocaina, forse, ma non ti bucavi. Mi dicevi:
“Solo qui da te mi sento bene, al sicuro”.
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birra, a me no, ma quella sera ne presi una anch'io. James
fumava, beveva anche se cercavamo di tenerlo a bada.
“Non esagerare” gli dicevamo.
A un certo punto si assentò come al solito per andare alla
toilette. Niente di più normale con tutta quella birra. Però poi,
siccome ci metteva un sacco di tempo - ma cosa stava facendo?
- finì per insospettirci. Lo trovammo che stava vomitando nel
water.
“Che stronzo!” disse affettuosamente Jean-Pierre.
Lo tirammo su, mentre lui balbettava frasi incomprensibili. A
fatica riuscimmo a portarlo in macchina - la carretta di Jean-
Pierre - sul sedile posteriore, proprio come successe a Kurt,
trascinato nella sua macchina dopo essere andato in overdose.
Finì a casa mia, Via Paradiso. Steso sul letto, sembrava morto.
Preso dal panico - io che da tempo non pregavo più - cominciai
a pregare quel Gesù che da ragazzino avevo tanto amato.
“Non ti chiedo niente per me, ma fa qualcosa per lui,
non voglio, non deve morire, capisci? Guarda come è giovane,
ha l'aria d'un bambino, che colpa ne ha? Cosa vuoi in cambio?
Non ho niente da offrirti. Vuoi la mia vita? Cosa ti costa?”
E mi misi a piangere, come un tempo per Adalgisa, quando una
sera, nel suo letto, temetti che fosse morta. Una notte da
incubo.
Che fare? mi chiesi l'indomani. Lasciar perdere? Erano
o non erano fatti miei? Sì, erano fatti miei. Non potevo certo
buttarlo fuori casa, lui che non aveva casa. Non c'era peggior
situazione che di ritrovarsi senza saper dove sbattere la testa.
Ne sapevo qualcosa. Così decisi di occuparmene, ma come? mi
dicevo, preoccupato. La prima cosa da fare era di farlo
smettere. Niente più alcol, niente più droga, neanche uno
spinello. Per fortuna era il periodo delle vacanze scolastiche.
Potevo dedicarmi a lui, come fosse il mio fratello più piccolo.
Più volte però, scoraggiato, ero lì lì per lasciar perdere, per
mandarlo a quel paese, ma mandarlo a quel paese significava
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mandarlo all'inferno. Soffriva e mi faceva soffrire. Era lui che
mi diceva:
“Cosa te ne frega? Lasciami perdere, sono fottuto, mi
ammazzerò!”
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Qui, anche se in un altro ambiente, e in modo diverso,
mi salta in mente Tupac Shakur, il rapper-poeta degli anni 90.
Tupac conobbe una vita difficile nel ghetto. Viveva con la
madre e la sorellastra in estrema povertà. Per mancanza di una
dimora fissa, lo costringevano a frequentare ricoveri per senza
tetto. Adolescente pensò di sostentarsi spacciando droga, ma
gli spacciatori stessi lo scoraggiarono nel continuare. Cita tutto
questo in una sua famosa canzone “Dear Mama”:
“I hung around with the thugs
and even though they sold drugs
they showed a young brother.
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ABBANDONATO
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Sempre quel venerdì pomeriggio Courtney cercò a più
riprese di raggiungere Kurt al telefono a gettone per i pazienti,
e alla fine chiamò in un momento in cui lui era nelle vicinanze.
Ebbero una breve conversazione. Comunque sarebbe
andata, lui le fece sapere che aveva fatto un disco davvero
buono. Lei trovò strano che ne parlasse visto che sarebbe uscito
una settimana dopo. Cosa intendeva? gli chiese lei, perplessa
per la nota melodrammatica della sua voce.
“Ricorda solo che comunque vada, ti amo”.
Con quelle parole appese.
Continua Cross:
“Quando gli fu chiesto di illustrare “risentimento”,
disegnò due occhi irati con accanto delle fiamme rosse, per
“gelosia” un simbolo nazi con le gambe, per esprimere
“solitudine” una stradina con due giganteschi grattacieli ai lati,
per “dolore” una colonna vertebrale con un cervello e un cuore
attaccati.
Sembrava quasi il retrocopertina di IN UTERO.
Per “sicurezza” disegnò una cerchia di amici, per “resa” un
uomo con una luce accecante che gli scaturisce dal corpo, per
“depresso” un ombrello circondato da nodi, per “determinato”
un piede che schiaccia una siringa. E nella pagina finale del
compito, per illustrare “abbandonato” disegnò una figurina
sommaria grande come una formica in un panorama immenso”.
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Impressionante.
Mi sembra di vedere in questo compito l'autoritratto di
Kurt, come lui si vedeva, si sentiva, soprattutto quando illustrò
la parola solitudine, resa, abbandonato. E come avrebbe voluto
diventare: quel “determinato” che con un piede schiaccia una
siringa. Quanto alla cerchia di amici, di veri amici, che
avrebbero potuto salvarlo, credo che non li ebbe mai. Non
scriveva nel suo diario che gli sarebbe piaciuto trovare
qualcuno a cui poter chiedere consiglio? Non certo agli amici
che come lui si drogavano. E nemmeno alla moglie che, pur
con vari tentativi per disintossicarsi, finiva per ricascarci.
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19
IL VOLO
Solo.
Dov'era?
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“C'è del buono in ciascuno di noi e semplicemente
credo di amare troppo la gente, tanto che mi fa sentire troppo
di merda. Triste piccolo sensibile incompreso.
1) E' un verso di My my, hey hey, la canzone del suo maestro Neil
Young.
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“Quindi prese il fucile dalla morbida custodia di nylon,
scrive Cross, “che ripiegò con cura, come un bambino che
ripone il vestito della domenica dopo la messa. Si tolse la
giacca. La posò sulla custodia...Andò al lavandino per prendere
un goccio d'acqua per il fornellino. Si risedette. Aprì la scatola
da 25 cartucce e ne prese tre che infilò nel caricatore. Mise il
colpo in canna nel Remington e tolse la sicura. Fumò l'ultima
Camel Light. Bevve un altro sorso di Barq's. Fuori stava
iniziando una giornata coperta, un giorno simile a quello in cui
era venuto al mondo, 27 anni, un mese e 16 giorni prima. Una
volta sul diario aveva tentato di raccontare la storia dei suoi
primi secondi di vita:
Il mio primo ricordo è un pavimento di piastrelle color
acquamarina e una mano molto forte che mi tiene per le
caviglie. Questa forza mi fece capire che non ero più in acqua
e non potevo tornare indietro. Cercai di scalciare e dibattermi
per tornare nel foro, ma quello mi tenne sospeso sopra la
vagina della mamma, come se mi prendesse in giro, e io sentii
il liquido e il sangue che evaporavano e mi irrigidivano la
pelle. La realtà era l'ossigeno che mi consumava e l'odore
sterilizzato di me che non potevo più tornare indietro, un
terrore irripetibile. Saperlo era confortante, così iniziai il mio
primo rituale per gestire la situazione. Non piansi.
IMMORTALE
Un pugno di ceneri.
Di lui non rimane nulla,
tranne il suo spirito,
la sua anima immortale.
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Dylan Carlson lesse un testo buddista. Krist delle note
preparate simili al messaggio registrato. Courtney il biglietto di
addio. Urlò, pianse, si lamentò e interpolò le vere parole di
Kurt con passi scelti del Libro di Giobbe, e concluse parlando
di Boddah, e di quando significasse per Kurt questo suo amico
immaginario.
Il reverendo Towels raccontò la leggenda del Budda
d'oro, che passò anni nascosto sotto uno strato di argilla prima
di vedere riconosciuto il suo vero valore, e chiese ai presenti di
porsi alcune domande intese a riflettere sul defunto, quindi
concluse la cerimonia con una lettura di Matteo 5, 43:
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e
odierai il tuo nemico, ma io vi dico: amate i vostri nemici e
pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre
vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e
sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti...”
Alla fine della cerimonia Mary Lou Lord se ne andò per non
rischiare la pelle. Don e Wendy si rivolsero appena la parola.
E' ai genitori, al loro odiarsi, che Kurt doveva la sua
spaccatura, la sua infelicità.
Una settimana dopo Courtney ricevette l'urna delle ceneri. Una
manciata la seppellì sotto un salice davanti alla casa. Poi portò
il resto in uno zainetto al monastero buddista Namgyal presso
Ithaca. I buddisti benedissero i resti, usandone un pugno per
una tsatsa, una scultura commemorativa.
191
EPILOGO
5 aprile 2014,
per il ventesimo anniversario della morte di Kurt.
192
“Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”,
scriveva nel suo Diario Hetty Hillesum.
E le ferite di Kurt erano ormai inguaribili, sempre più
profonde e dolorose, come chiodi che gli si piantavano
nella carne. Come avrebbe potuto sopportarle magro e
piccolino com'era? Il successo era uno di quei chiodi
che, dopo averlo bramato, lo trafiggevano.
Una persecuzione, che stava diventando
un'esecuzione. Più soffriva – senza saperlo – più si
faceva simile al Crocifisso.