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Prometeo

ovvero
l’anima passionale della ragione scientifica

EMILIO DEL GIUDICE


INFN – Milano e IIB – Neuss
emilio.delgiudice@mi.infn.it

Esiste un luogo comune per cui allo scienziato dovrebbe essere estranea la passione; egli dovrebbe
avere come suo ideale il gelido rigore, che sarebbe la forma fenomenica dell’obbiettività
scientifica. Da questo luogo comune deriva una figura di scienziato sostanzialmente anaffettiva,
fissa nella sua specialità e sostanzialmente incapace di comunicare con gli altri esseri umani. Ma è
fondata questa visione? I maestri che mi hanno guidato nella mia vita scientifica corrispondono a
questa immagine? Ed io mi ci riconosco?
Quando ero al liceo risuonai molto con l’affermazione di Giovanbattista Vico1: “Gli esseri umani
prima sentono, poi avvertono con animo perturbato e commosso, indi riflettono con mente pura.”
Quando appresi questa affermazione risalii ad alcuni anni prima, quando, ragazzo dodicenne, nelle
notti di un luglio, guardavo il cielo dalla terrazza della casa di mio zio. Non guardavo le stelle
come qualcosa di estraneo, non cercavo di impararne i nomi, che ignoro tuttora, ma cercavo di
penetrare dentro di loro, ero curioso di loro, volevo sapere come vivessero, quale fosse la loro
natura interna, volevo dialogare con loro, ero curioso di loro di quella curiosità che è la premessa
dell’amore. Ma era un amore non possessivo; sarei forse stato disturbato se nello stesso istante un
milione di altre persone avesse avuto il mio stesso rapporto empatico con la stessa stella?
E cosa sarebbe accaduto se la stella con cui in quel momento ero in amore fosse esplosa in una
supernova e fosse quindi sparita? Nulla, mi sarei rivolto a un’altra stella; il cosmo è infinito e non
muore mai.
Durante questi viaggi notturni del mio Sé, io ero felice, perturbato e commosso. Dovevo rientrare
in me e chiamare, come suggeriva Vico, la mente pura, ma avrei mai potuto chiamarla se non fossi
stato felice per il mio animo perturbato e commosso?
Molti anni dopo incontrai un grandissimo fisico, Herbert Fröhlich, che ammirai non solo per le sue
scoperte scientifiche, ma anche per la sua grandezza umana, per il suo rifiuto di servire i potentati
istituzionali – non soltanto le famigerate tirannie hitleriana e staliniana, ma anche gli imperialismi
liberaldemocratici dell’occidente -, cosa che gli precluse l’accesso ai massimi onori scientifici.
In un recente scritto rievocativo2 la vedova Fanchon Fröhlich ricorda: “Filosoficamente egli ritiene
che vi sia un percorso impersonale non individualistico o Tao intrinseco sia al mondo che alla
mente e che ad un certo livello profondo di penetrazione essi coalescano. Quindi, rispetto alla
scienza moderna, egli considera la coalescenza della matematica astratta prodotta nella mente o su
un foglio di carta con gli elaborati esperimenti condotti in laboratorio come fonte di meraviglia e di
mistero (in contrasto con il riduzionista che pensa che ciò sia tautologicamente banale). Egli ha
detto spesso che nel processo creativo del pensiero la sua mente esce fuori dalla cornice del suo
corpo umano e diventa la particella fisica e la situazione di campo, sentendo direttamente come
essi tendano a comportarsi, usando però le tecniche della matematica sia per catturare questa
sconosciuta situazione fisica che come àncora, cosicché la mente possa tornare nel suo proprio
cervello o nella personalità di tutti i giorni. Dopo di che egli consolida nei calcoli quello che ha
trovato durante questi viaggi mentali.
Come dice il Tao Te Ching: “Per comprendere il vuoto, devi prima tu diventare il vuoto.” La sua
più profonda intenzione potrebbe essere espressa come il desiderio di rendere la materia conscia.
Questo si basa sulla credenza metafisica che la materia, una volta capita, penetrata dalla mente, sia
trasformata. Tale convinzione mostra un parallelo con le idee di Jung sull’alchimia… Questa,
metodologicamente molto importante, è la distinzione tra la fisica come viene scritta per la
pubblicazione, come se fosse una deduzione logica da certe premesse, e la fisica nel processo di
creazione o di scoperta… Egli condivise con il suo amico Pauli un interesse verso il concetto
junghiano di inconscio collettivo.” (mia traduzione dal testo inglese).
Il processo della scoperta segue un percorso completamente diverso dall’esposizione dei risultati
nelle lezioni o nei libri di testo. Nel processo della scoperta lo scienziato, per così dire, impresta il
proprio inconscio all’oggetto della ricerca. Come spiega Giuseppe Vitiello3, il cervello umano
esiste e funziona perché l’insieme dei suoi oscillatori risuona con un corrispondente insieme di
oscillatori esterni, che è appunto il suo doppio, che ne assicurano la dissipatività, condizione
fondamentale della vita in accordo con Prigogine e molti altri. Siccome il nucleo emotivo
dell’essere umano è proprio la fluttuazione coerente della sua materia vivente, ecco quindi che il
nucleo emotivo, cioè la passione, è la condizione necessaria per il funzionamento del cervello e
quindi per lo sviluppo della scienza.
Ho appreso questi concetti in tempi recenti, ma da ragazzo il mio inconscio ne era già convinto e
operava in conformità con essi. Perciò decisi di iscrivermi a fisica, di fare il fisico teorico, di
occuparmi dei misteri della fisica che per me a quell’epoca, erano gli anni sessanta, risiedevano nel
mondo delle particelle elementari.
Però i miei esordi non furono particolarmente felici. Ero disturbato in particolare dalla freddezza
del formalismo matematico a cui veniva ridotta la teoria fisica; non vi era alcuna traccia della
commozione delle mie notti di quel luglio sotto le mie stelle.
In quegli anni la mia passione si rivolse alle lotte politiche e sociali alle quali partecipai
attivamente e da cui trassi la convinzione che la realtà non può essere spezzata in ‘atomi’
indipendenti, gli individui, interagenti soltanto attraverso la reciproca collisione o l’applicazione di
forze esterne; la realtà invece si fonda sulla correlazione di tutte le sue parti, comunicanti
attraverso l’ambiente comune in cui sono inserite, che in seguito apprenderò essere il ‘vuoto
quantistico’.
Un altro motivo di fastidio era per me la credenza di molti fisici che la fisica quantistica implicasse
l’impossibilità di una conoscibilità oggettiva della realtà, per cui facoltà importanti come
l’intuizione finivano in secondo piano rispetto al formalismo matematico.
A metà degli anni settanta conobbi le opere di un eretico del pensiero del Novecento, Wilhelm
Reich, che era stato un collaboratore di Freud da cui poi si era separato per intraprendere lo studio
delle basi materiali della psiche4; un essere vivente, in particolare un essere umano, non è soltanto
un insieme di molecole interagenti sulla base delle leggi della chimica, ma è un soggetto capace di
comportamenti globali aventi una finalità. Attraverso quale dinamica intermolecolare emerge la
finalità degli atti del vivente? Quale specifica dinamica intermolecolare produce il mio essere triste
o allegro?
Trovai allora (1975) il campo di studio che mi avrebbe occupato fino ad oggi, lo studio
dell’emergenza delle proprietà collettive della materia ed in particolare dello stato vivente. Dopo
qualche anno incontrai Herbert Fröhlich che mi fu maestro. Intanto cominciai ad interagire con
altri colleghi provenienti da esperienze diverse che convergevano verso questi stessi obiettivi:
Giuseppe Vitiello, Silvia Doglia, Marziale Milani.
Una prima acquisizione fu per me scoprire che la fisica quantistica era l’ambito concettuale giusto
per realizzare i miei sogni di ragazzo e che gli elementi disturbanti di cui ho parlato in precedenza
non appartenevano alla base concettuale della teoria, ma alla cattiva epistemologia di molti fisici e,
in particolare, al pregiudizio del carattere fondamentale dell’individuo. Di fatto il famoso teorema
di Bell (1964) afferma in sintesi l’incompatibilità delle seguenti tre affermazioni:
1) vale la fisica quantistica
2) è possibile una descrizione oggettiva della realtà fisica
3) la realtà fisica è un insieme di eventi localizzabili nello spazio e nel tempo.
Una delle tre precedenti affermazioni deve essere fatta cadere.
Einstein fece cadere la prima, per cui nella sua tarda età espresse l’opinione che la fisica
quantistica non potesse essere il livello definitivo del divenire della teoria. Bohr e la maggior parte
dei fisici quantistici fecero cadere la seconda affermazione, dando origine ai famosi paradossi.
Restava l’affascinante possibilità di far cadere la terza affermazione, cosa molto stuzzicante per
uno che, come me, aveva convinzioni comuniste. Una descrizione quantistica obiettiva della realtà,
priva di concessioni al soggettivismo, doveva necessariamente includere l’esistenza di domini
spaziali estesi in cui i componenti fossero correlati in fase, dando luogo a comportamenti
sincronici (cioè non vincolati dal limite della velocità della luce), proprio come auspicato da Jung
nel suo dialogo con Pauli. Torneremo in seguito su questo punto. La possibilità di questi
comportamenti era stata già anticipata nel 1916 da Walter Nernst5 che si chiese cosa sarebbe
accaduto se le fluttuazioni quantistiche degli atomi, in principio non correlate fra di loro, si fossero
sintonizzate dando origine ad una comune oscillazione del collettivo degli atomi; questa comune
oscillazione avrebbe fornito all’oggetto la sua unità e possibilmente la sua finalità.
Questi concetti mi affascinarono ed aprirono ai miei occhi un nuovo mondo. La fisica quantistica
era stata travisata da una parte dei suoi seguaci; mi venne in mente la confessione di Epicuro,
ripresa da Karl Marx6: “empio non è colui che nega gli dei del volgo, ma colui che attribuisce agli
dei i sentimenti del volgo.”
Tornai allora alle origini della fisica quantistica e studiai proprio l’approccio di Walter Nernst7 che
mi sembrò particolarmente illuminante. Nernst si concentrò sul problema dei calori specifici dei
solidi a bassa temperatura. Prendiamo un corpo formato da un numero definito di atomi, per
esempio il numero di Avogadro. Si definisce calore specifico molare la quantità di calore
necessaria per elevare di un grado la temperatura di una mole (cioè un insieme di un numero di
Avogadro di atomi) di sostanza. La temperatura è l’energia cinetica media degli atomi, per cui il
calore specifico deve corrispondere ad una variazione ben definita dell’energia cinetica totale.
Supponendo di essere in un intervallo di temperatura che sia al disotto della più bassa transizione
di fase o variazione strutturale del corpo, per cui la sua energia potenziale resta costante, si deduce
che l’intero ammontare dell’energia trasferita al corpo si traduce in una variazione dell’energia
cinetica totale dei suoi atomi. Siccome il salto di un grado della temperatura corrisponde ad una
definita quantità di energia, se ne conclude che il calore specifico molare di un solido a bassa
temperatura deve essere costante e non dipendere dalla temperatura. Questa affermazione coincide
con la famosa legge sperimentale di Dulong e Petit, valida per temperature non bassissime.
Se però si suppone che questa legge valga fino alla temperatura dello zero assoluto, si manderebbe
in crisi la termodinamica, perché l’entropia diventerebbe infinita. Proprio per esaminare la
possibilità di questa catastrofe Nernst esaminò il comportamento dei calori specifici dei solidi a
bassa temperatura e trovò che essi tendevano a zero al tendere a zero della temperatura (terzo
principio della termodinamica).
La crisi dell’entropia al tendere della temperatura a zero veniva così evitata, ma entrava però in
crisi la meccanica classica. Infatti per superare lo stesso gradino nella scala della temperatura (un
grado) occorrevano fabbisogni di energia (i calori specifici) via via decrescenti al tendere della
temperatura a zero. I calori specifici misurati corrispondevano alla somma di tutti gli afflussi di
energia provenienti da fonti controllabili (collisioni di particelle, applicazioni di campi di forze). Il
fatto che il ‘mercato legale’ dell’energia fornisse un apporto inadeguato al risultato prodotto
(aumento di un grado) poteva voler dire due cose. O gli atomi del corpo potevano accrescere da sé
la propria energia cinetica (violazione del principio d’inerzia) oppure esisteva un ‘mercato illegale’
dell’energia a cui il corpo attingeva.
La prima possibilità era assurda e avrebbe sconvolto l’intera tradizione scientifica; la seconda
possibilità appariva più attraente alle mie radici napoletane. Anche Nernst scelse la seconda
possibilità e concluse che non soltanto i corpi fisici riconoscibili e individuabili, ma anche il
‘vuoto’ potesse essere un fornitore di energia e impulso. Questo reservoir di energia e impulso era
rivelabile quando l’altro reservoir, il ‘bagno termico’, dava, come accade a bassa temperatura, un
rivoletto abbastanza piccolo. Ad alta temperatura l’apporto energetico del vuoto era invece
trascurabile rispetto a quello del ‘bagno termico’.
L’apparizione del vuoto come agente fisico faceva crollare un pilastro della fisica classica, cioè la
nozione di corpo isolato. Nessun corpo era più isolabile, perché, anche se esso poteva essere tenuto
al riparo dall’influenza degli altri corpi, non poteva essere mai disconnesso dal vuoto. Attraverso il
vuoto tutti i corpi interagivano e, poiché l’arrivo di una ‘ondata’ dal vuoto non poteva essere
prevista, ogni singolo corpo individuale era soggetto a fluttuazioni ‘quantistiche’ imprevedibili.
Non l’interazione dell’oggetto con l’osservatore, ma la sua interazione con il vuoto è all’origine
delle fluttuazioni quantistiche.
La crisi della fisica classica appare quindi a bassa temperatura. Però l’opinione corrente è che la
crisi fosse stata rivelata dal divergere all’infinito della funzione di distribuzione spettrale della
radiazione emessa da un corpo nero al tendere della frequenza all’infinito ovvero al tendere della
lunghezza d’onda a zero (catastrofe dell’ultravioletto).
Invero in accordo con la legge di Wien la funzione di distribuzione spettrale dipende dalla
frequenza della radiazione e dalla temperatura della sorgente attraverso il loro rapporto, per cui la
struttura matematica della teoria deve permettere di simulare il limite della temperatura tendente a
zero con il limite della frequenza tendente all’infinito. La catastrofe dell’ultravioletto è perciò la
catastrofe del freddo.
Il percorso intellettuale sopra descritto mi convinse a considerare la fisica quantistica come lo
strumento fondamentale per risolvere fondamentali antinomie della precedente tradizione
scientifica, come quella tra materia e movimento. Grazie alle fluttuazioni quantistiche i corpi sono
sempre in movimento, la natura non ha l’horror vacui, ma anzi grazie al vuoto, ha l’horror quietis,
come sottolineò un altro grande fisico che ho avuto la fortuna di incontrare e di cui sono stato
amico e collaboratore: Giuliano Preparata. Il suo libro “Introduction to a Realistic Quantum
Physics” pubblicato nel 20028, dopo la sua morte, è estremamente illuminante per comprendere lo
schema concettuale della fisica quantistica. Altrettanto illuminante sono le sue considerazioni sulla
natura del vuoto quantistico9.
La separazione tra materia e movimento, l’estraniazione del movimento dal concetto di materia
conduce ad una concezione della materia come entità inerte, passiva, incapace di divenire se non
soggetta a forze esterne, la cui natura e la cui dinamica restano estrinseche ed estranee alla natura
della materia che ne subisce l’azione. La fisica classica registra nella sua struttura concettuale il
dualismo tra la macchina e il progetto del suo costruttore, tra l’hardware e il software, due entità
separate in cui l’elemento passivo, il prodotto, deve la sua esistenza e il suo principio di
funzionamento al progetto del suo creatore. La generalizzazione di questa separazione all’intero
universo porta all’introduzione del ‘disegno intelligente’ di un qualche demiurgo come necessità
logica per spiegare il movimento della natura. La separazione tra materia e movimento è il terreno
comune in cui lo scienziato positivista e il teologo obiettivamente cooperano: espellere dalla
materia la sua pulsione al movimento per porla fuori di essa come forza esterna senza la quale essa
è condannata a restare inerte10.
Questo fu appunto il programma su cui nel Seicento fu fondata la prima moderna istituzione
scientifica, la Royal Society, uno dei due bracci ideologici della monarchia inglese, restaurata dopo
la rivoluzione di Cromwell; l’altro braccio era appunto la Church of England.
Entrambi i bracci cooperavano nel negare che il divino, cioè il fattore di movimento della materia,
fosse una entità diffusa nella materia, come affermato invece dalla grande tradizione magica del
Rinascimento11, i cui eroi sono stati Paracelso, Giordano Bruno, Bohm, Campanella. In questa
tradizione rinascimentale la materia era concepita attiva, così come nel pensiero di Epicuro, di cui
Marx6 sottolineò l’antagonismo con la concezione di Democrito, in cui la materia è passiva, come
per il fisico classico. Contro questa visione della materia capace di automovimento si coalizzarono
i vecchi poteri clericali e i nuovi poteri della borghesia ormai vittoriosa e perciò non più
rivoluzionaria.
Per essi il principio dell’attività e del movimento non può essere già presente nella materia, che
altrimenti si autorganizzerebbe, come ha fatto lungo tutta la storia dell’evoluzione naturale, e non
sarebbe più convinta di dover dipendere per la sua evoluzione da dio rappresentato in terra dalla
chiesa, dallo stato, dal capitale, dal mercato, dall’esperto, dall’autorità medica, dall’autorità
scientifica, insomma da tutti i servi del potere con esclusione assoluta del corpo materiale che deve
divenire.
In questa situazione all’inizio del Novecento, alla vigilia di grandi rivoluzioni che scossero il
mondo e che furono alla fine sconfitte, l’evoluzione del pensiero scientifico porta alla fisica
quantistica che, attraverso il concetto delle fluttuazioni del vuoto, riporta il movimento all’interno
della materia e ristabilisce la possibilità di un incontro nuovo tra la scienza rigorosa e la grande
tradizione magica del Rinascimento, che era stato interrotto nel Seicento dalla santa alleanza tra
scienza laica e teologia clericale.
Diventai consapevole di questo quadro concettuale negli anni Settanta e Ottanta e perciò la
passione giovanile, che fino ad allora non aveva ancora trovato uno sbocco nella scienza, poté
fondersi con la ragione scientifica, alimentando in me un mito come quello di Prometeo. Egli donò
agli uomini il fuoco fino ad allora gelosamente custodito dagli dei, io potevo partecipare, con una
intera corrente di pensiero legata ai nomi a me cari di Wilhelm Reich, di Herbert Fröhlich, di
Giuliano Preparata, ed anche del fisico giapponese Hiroomi Umezawa12, del mio amico Vitiello e
di tanti altri più giovani, alla restituzione del principio del movimento spontaneo e
dell’autorganizzazione alla materia a cui ha sempre appartenuto.
Il settore della realtà in cui l’autorganizzazione produce i suoi risultati più visibili è la materia
vivente, in cui emerge dal livello molecolare la finalità, la psiche, la consapevolezza. Io posso
sollevare con le mie due mani un sasso e un gatto e farli cadere al suolo dalla stessa altezza. Essi
impiegano esattamente lo stesso tempo a cadere al suolo, cosa che prova la fondamentale unità
della materia, però alla fine della caduta il sasso resta lì, mentre il gatto scappa o, più giustamente,
mi si rivolta contro. Il gatto appartiene perciò ad un livello più progredito della materia di quanto
non sia il sasso.
Cosa hanno di diverso le molecole del gatto rispetto a quelle del sasso? Se entriamo all’interno
della struttura chimica della materia inanimata e della materia animata, appare una fondamentale
differenza. Nella materia inanimata le reazioni chimiche accadono in conseguenza degli urti
casuali tra molecole in conseguenza del loro moto diffusivo; in questo regime le molecole sono
poligame nel senso che le probabilità e velocità di reazione dipendono soltanto dalla legge
dell’azione di massa. Perciò in un reattore chimico industriale, oltre agli incontri ‘utili’ tra le
molecole che portano alla formazione delle specie molecolari desiderate, vi è anche un gran
numero di incontri ‘spuri’ che portano alla nascita di specie molecolari non desiderate, i ‘rifiuti
chimici industriali’ effetto collaterale finora inevitabile di ogni industria chimica.
Nel reattore chimico biologico invece le molecole, almeno all’interno di ogni particolare ciclo
biologico, scoprono la monogamia, cioè si incontrano e reagiscono sulla base di codici13 (di cui il
codice genetico è un esempio); la molecola A incontra solo la molecola B e non anche C,D,E,F…,
inoltre la velocità di reazione è molto maggiore che nel caso della materia inanimata. E’ come se
nella biochimica esistessero forze intermolecolari selettive, agenti soltanto tra specifiche coppie di
specie molecolari all’interno di una condizione ambientale data caratterizzante il dato ciclo
biologico (quasi sempre questa condizione ambientale è la presenza di un enzima specifico).
Queste forze devono anche avere un grande raggio d’azione, in modo che le molecole reagenti
possano riconoscersi a grande distanza e attrarsi.
Questa peculiarità della biochimica ha spinto molti, tra cui Fröhlich14, ad ipotizzare un ruolo per il
campo elettromagnetico come agente capace di collegare molecole a grande distanza. Resta inoltre
la necessità, per mantenere l’unità dell’organismo e la sua omeostasi, che gli eventi chimici aventi
luogo in punti diversi dell’organismo siano correlati tra di loro in tempi brevissimi, senza dover
sottostare ai tempi lunghi dei processi diffusivi.
Una connessione elettromagnetica tra le biomolecole sembra perciò una possibilità attraente. Come
però giustificarne l’origine?
La materia vivente ha anche un’altra peculiarità; l’acqua ne è il componente preponderante. Nel
corpo dell’uomo adulto è il 70% in peso, però, se si tiene conto che la massa della molecola
d’acqua è piccola mentre la massa delle altre biomolecole è molto più grande, si arriva alla
conclusione che oltre il 99% delle molecole che ci costituiscono è formata da molecole d’acqua. Si
noti che per un chimico è importante il numero delle molecole presenti, non la loro massa. Se ne
conclude che la materia vivente è una soluzione acquosa molto diluita, che però muta radicalmente
le proprie proprietà per piccole variazioni della quantità d’acqua. Basta la perdita di qualche litro
d’acqua per sperimentare i disturbi della disidratazione mentre una soluzione molto diluita non
cambia di molto le sue proprietà se la quantità di solvente varia di qualche unità per cento. Il ruolo
dell’acqua nella materia vivente non può perciò essere quello di un mero solvente. E’ noto
d’altronde che per ogni biomolecola esiste una specifica soglia di idratazione al disotto della quale
la biomolecola si ‘denatura’, cioè perde la sua capacità di inserirsi in un processo vivente.
Vi è infine un problema energetico. Supponendo che l’organismo vivente sia un motore termico, il
suo rendimento non può eccedere il limite di Carnot, cioè il rapporto tra la variazione di
temperatura tra gli estremi dell’intervallo in cui l’organismo lavora e la temperatura assoluta del
punto più caldo. E’ ben noto che nel caso dell’essere umano il numeratore non eccede qualche
grado, mentre il denominatore è 310 gradi Kelvin, corrispondenti a 37 gradi centigradi. Il
rendimento dell’ipotetico motore termico corrispondente all’organismo vivente non eccede perciò
l’uno per cento, un motore invero abbastanza inefficiente!.
Il rendimento energetico misurato dai bioelettrochimici è molto più alto; Bockris riporta che nei
processi sulle membrane cellulare il rendimento energetico è compreso tra il 65% e il 70%. Se ne
deve dedurre che l’organismo vivente non è un motore termico; gli scambi energetici al suo interno
non possono avvenire principalmente in forma di calore, ma in forma di energia libera.
I protagonisti del processo biologico non possono perciò essere le singole molecole indipendenti,
ma collettivi mesoscopici costituiti da milioni di molecole operanti all’unisono in regioni estese
dello spazio per lunghi intervalli di tempo. Questi collettivi realizzano il sogno di Nernst del 1916
di componenti molecolari capaci di sintonizzare le loro oscillazioni individuali in una unica
oscillazione collettiva, trasformando una folla caotica in un corpo di ballo. Nel gergo dei fisici
questa proprietà di esistenza di un accordo di fase tra un gran numero (necessariamente indefinito
per il principio di indeterminazione) è denominata ‘coerenza’; i collettivi mesoscopici di
componenti microscopici oscillanti all’unisono sono denominati ‘domini di coerenza’.
Fröhlich14 nel 1968 propose che la dinamica del vivente si fondasse sulla coerenza dei suoi
componenti molecolari. Come questa visione può essere correlata con i risultati della moderna
biologia molecolare che è stata capace di determinare la sequenza di reazioni chimiche
corrispondenti ai vari accadimenti biologici? Questi risultati, fondati sull’esperienza sono
evidentemente corretti, ma devono altrettanto evidentemente essere integrati dal riconoscimento
della legge dinamica che governa il moto delle biomolecole permettendole di fare, quasi, sempre
gli incontri ‘giusti’, di omettere (quasi) sempre gli incontri ‘spuri’ e di generare nel corso del
processo la finalità biologica senza dover ricorrere ad improbabili ‘disegni intelligenti’ estrinseci.
La teoria quantistica ci è apparsa lo strumento principale per sviluppare questo programma. Un
primo risultato conseguito lungo questa linea è il seguente teorema dimostrato da Giuliano
Preparata15. Un insieme di N componenti microscopici, capaci di assumere una pluralità di
configurazioni individuali, entra in uno stato coerente caratterizzato dalla oscillazione comune di
tutti i componenti tra la configurazione di minima energia ed un’altra configurazione avente
energia di eccitazione E, quando la sua densità eccede una soglia critica e la temperatura è al di
sotto di un valore critico. L’oscillazione dei componenti è sintonizzata con l’oscillazione di un
campo elettromagnetico coerente intrappolato nello stesso dominio di coerenza. La dimensione del
dominio è uguale alla lunghezza d’onda del modo elettromagnetico risonante con l’energia di
eccitazione E dei componenti. Nello stato coerente la frequenza del modo elettromagnetico,
dovendo essere uguale alla frequenza delle oscillazioni molecolari, è minore della frequenza che lo
stesso modo ha nel vuoto. Come conseguenza la massa del fotone, per un meccanismo ben noto
nella teoria quantistica dei campi, diventa un numero immaginario, cioè la luce perde la possibilità
di propagarsi e resta intrappolata all’interno del dominio di coerenza alimentandone l’oscillazione
coerente. Nella transizione dall’iniziale stato non coerente allo stato coerente il sistema rilascia
energia verso il bagno termico, cosa possibile solo se il sistema è aperto. Il secondo principio della
termodinamica è pienamente verificato perché la diminuzione di entropia connessa
all’instaurazione della coerenza implica un rilascio di energia verso l’esterno. Questa transizione
disordine-ordine è spontanea nel senso che avviene automaticamente attraverso l’intreccio delle
fluttuazioni quantistiche del vuoto con le fluttuazioni dei singoli componenti microscopici, non
appena densità e temperatura entrino negli intervalli giusti.
Le oscillazioni coerenti delle molecole in fase con il campo elettromagnetico si intrecciano con le
fluttuazioni termiche delle molecole, che, quando la loro ampiezza kT diventa paragonabile
all’‘energy gap’, cioè alla differenza di energia tra stato coerente e stato non coerente, possono
spingere fuori fase una parte dei partecipanti al processo coerente. Si genera perciò una
competizione tra attrazione prodotta dalla correlazione coerente tra i componenti (lo ‘yin’ nel
linguaggio della filosofia cinese del Tao, cara a Fröhlich) e disordine prodotto dalle fluttuazioni
termiche (lo ‘yang’ nello stesso linguaggio). Come nel modello di Landau dell’elio liquido
superfluido, l’intero insieme di componenti microscopici si divide in una frazione coerente ed una
frazione non coerente, la cui entità relativa dipende dalla temperatura. Al di sopra di una
temperatura critica, la coerenza sparisce e tutto l’insieme diventa non coerente.
Vitiello e io16 abbiamo analizzato come la coerenza emerga dall’interazione dei componenti
microscopici con il vuoto quantistico. Il punto di partenza è la proprietà di invarianza della
Lagrangiana del sistema fisico, la quale è la funzione matematica da cui si deducono le equazioni
del moto, rispetto a variazioni arbitrarie della fase di oscillazione del campo di materia, cioè
dell’insieme di componenti microscopici. Questa proprietà traduce l’impossibilità di osservare
direttamente nello spazio e nel tempo le fluttuazioni quantistiche. La struttura matematica della
teoria quantistica dei campi prescrive che questa invarianza implica l’esistenza di ‘campi di gauge’
accoppiati con il campo di materia, capaci di diluire nello spazio e nel tempo le fluttuazioni dei
componenti. E’ appunto il campo di gauge a riempire il vuoto e a correlare reciprocamente i
componenti microscopici. Alla scala degli atomi e delle molecole il campo di gauge è il cosiddetto
potenziale vettoriale del campo elettromagnetico. Per realizzare l’invarianza richiesta rispetto a
trasformazioni arbitrarie della fase del campo di materia, il potenziale elettromagnetico deve
obbedire ad una peculiare proprietà matematica, l’invarianza di gauge. Le due invarianze sono
strettamente interconnesse. Si può mostrare nello schema concettuale della teoria dei campi che,
sotto le condizioni sulla densità e sulla temperatura indicate da Preparata, la fase del campo di
materia diventa una funzione ben definita nello spazio e nel tempo e conseguentemente il
potenziale elettromagnetico ‘sceglie’ un gauge ben definito, cosa che attribuisce una massa al suo
quanto, il fotone. In altri termini, oscillazioni disordinate della fase si connettono con campi
elettromagnetici non coerenti, mentre l’apparizione di correlazioni nella fase dei componenti è la
conseguenza di un potenziale elettromagnetico coerente. Queste correlazioni sono mantenute da un
messaggero che si propaga all’interno del dominio di coerenza con la velocità di fase, che come è
noto può eccedere la velocità della luce e non ha un limite superiore, per cui all’interno del
dominio di coerenza possono verificarsi accadimenti sincronici; la fisica può quindi soddisfare
l’esigenza avanzata da Jung nel suo dialogo con Pauli.
L’apparizione della coerenza getta nuova luce sulle relazioni tra il vuoto e i componenti
microscopici della materia nel senso auspicato da Nernst nel 1916. Il sistema materiale è
disordinato, potremmo dire ‘gassoso’ (la parola gas è la contrazione della parola caos) quando il
campo di gauge – che è l’elemento dinamico del vuoto – non è coerente. La coerenza del vuoto si
traduce nella coerenza della materia. Questa conclusione permette di ritenere possibile il lancio di
un ponte tra la fisica quantistica e i risultati raggiunti dall’ecologia, dalla psicodinamica, dalle
scienze sociali in cui il comportamento degli individui è governato da strutture dinamiche
superindividuali capaci di evolversi nel tempo e di dar luogo ad una storia. Infatti mentre le
equazioni lagrangiane del moto sono temporalmente reversibili e non giustificano l’apparizione di
una freccia del tempo, l’evoluzione dinamica del vuoto quantistico è irreversibile, rompe la
simmetria della Lagrangiana e introduce nella natura la storia.
Negli ultimi anni sulla base di queste acquisizioni sulla coerenza è stata gettato un po’ di luce sulle
proprietà della materia non gassosa, della materia condensata (liquidi e solidi) comprendendo in
particolare il meccanismo dinamico delle transizioni di fase, cioè dei mutamenti discontinui nello
stato di aggregazione della materia che accadono in date condizioni termodinamiche.
Per la comprensione della materia vivente si rivela particolarmente importante il caso dell’acqua
liquida17. Nell’ambito del teorema sulla coerenza si può mostrare che, nel liquido, le molecole
d’acqua formano domini di coerenza la cui taglia è un decimo di micron ed in cui le molecole
oscillano tra la loro configurazione di minima energia, in cui gli elettroni sono fortemente legati,
ed una configurazione in cui un elettrone è molto debolmente legato, alle soglie della libertà.
Questa proprietà attribuisce all’acqua liquida un ruolo peculiare. Infatti l’acqua coerente può essere
un donatore di elettroni, è cioè una specie chimicamente riducente, mentre l’acqua non coerente
non può donare elettroni, può solo eventualmente riceverne, è cioè una specie chimicamente
ossidante. Quando è possibile separare stabilmente la frazione coerente da quella non coerente,
come accade all’interfaccia con superfici idrofile, si genera una pila redox con un potenziale che
può raggiungere il volt. Inoltre il plasma di elettroni quasi liberi presente nel dominio di coerenza
dell’acqua può essere eccitato producendo vortici freddi, poiché gli elettroni formano un insieme
coerente e quindi la loro eccitazione, al di sotto di una soglia data dall’‘energy gap’, è collettiva.
I vortici freddi non possono decadere termicamente per cui la vita media di questi livelli eccitati
del dominio di coerenza può essere molto lunga. Il solo modo di decadimento di questi stati
eccitati è la via chimica in cui l’energia d’eccitazione del dominio di coerenza, che assume la
forma di un modo eccitato del campo elettromagnetico intrappolato nel dominio di coerenza, è
trasmessa in modo risonante ad una specifica molecola capace di oscillare sulla stessa frequenza
del modo eccitato.
Si delinea allora il seguente scenario: il dominio di coerenza dell’acqua raccoglie dall’ambiente
l’energia di qualsiasi origine, dal rumore termico alla luce del sole, e lo accumula al proprio
interno in forma di energia coerente elettromagnetica. La somma delle eccitazioni successive è
resa possibile dalla lunghezza delle vite medie dei livelli eccitati dei domini di coerenza e dalla
presenza del campo magnetico terrestre che allinea gli assi dei vortici ‘freddi’ degli elettroni.
Quando l’energia accumulata corrisponde ad una frequenza del campo elettromagnetico risonante
con la frequenza di oscillazione di molecole specifiche, esse vengono attratte ed attivate
chimicamente dalla cessione dell’energia di eccitazione. In tal modo l’acqua diventa il più
fondamentale enzima, come sottolineato dal biologo russo Vladimir Voeikov18. I domini di
coerenza dell’acqua possono dunque avere una struttura interna di configurazioni coerenti e perciò
in base al teorema di Preparata possono dar luogo ad un insieme coerente di domini di coerenza,
una super coerenza di secondo grado, che è una buona candidata ad assumere il ruolo di
organizzatrice della materia vivente, ad essere quella ‘forza vitale’ auspicata da pionieri come
Driesch, Gurwitsch, Fröhlich, Popp e altri e che fin qui il superficiale paradigma meccanicista
aveva confinato nell’ambito dell’irrazionale. Non dovrebbe essere appunto l’irrazionale il
principale campo di investigazione dei seguaci della dea ragione, il cui motto dovrebbe essere:
“Maledetto, ti spiegherò!”? Purtroppo talvolta il pregiudizio irrazionale chiude gli occhi proprio di
questi seguaci, più attaccati al termine di genere ‘dea’ che al nome proprio ‘ragione’.
Seguendo questa strada ci siamo negli ultimi anni trovati di fronte a fenomeni affascinanti: non
solo le origini della vita, ma anche la fusione fredda tra i nuclei atomici. In questa ricerca ho
trovato nuovi amici e complici di ‘crimini scientifici’ come Martin Fleischmann e Antonella de
Ninno, che sono coinvolti non solo nella fusione fredda ma nell’intero programma della coerenza.
Questi sviluppi concettuali si incontrano spesso con la difficoltà delle mentalità educate dallo
specialismo a cogliere le ‘connessioni inattese’ tra fatti apparentemente non correlati che secondo
Poincarè sono il fondamento del progresso scientifico. Dice un proverbio cinese: “Chi per vedere il
cielo si mette in fondo ad un pozzo non può vederne molto”. La conquista della qualifica di
esperto, condizione basilare per occupare un posto di prestigio nella comunità scientifica, richiede
appunto di calarsi in un pozzo profondo. Perciò questo nuovo sapere trova nel suo cammino
ostacoli da parte del mondo scientifico istituzionale a cui dobbiamo ripetere ciò che Prometeo
disse a Ermes, messaggero di Zeus: “io, ti assicuro, non cambierei la mia misera sorte con la tua
servitù. Molto meglio lo star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel messaggero esser di
Giove”.

Bibliografia

1) G.B. Vico – Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni – Utet, 1976

2) (eds. G.J Hyland, P. Rowlands) – Herbert Fröhlich: a physicist ahead of his time – The
University of Liverpool Press, 2006 – pp. 329-330
3) G. Vitiello – My double unveiled – John Benjamins Publishing Co – 2001
4)W. Reich – Esperimenti bionici sull’origine della vita – Sugarco , 1981
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stetiger Energieanderungen zuruckzukehren – in Verh. Deutsche Physikalische Gesellschaft 18,
pp. 83-116, 1916

6) K. Marx – Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Scritto
nell’autunno 1843 e pubblicato nell’unico numero degli “Annali franco-tedeschi” nel febbraio 1844.
Trascritto da Diego Fusaro – FilosoficoNet HTML mark-up: Mishù, febbraio 2004 –Archivio
Marx-Engels
7) W. Nernst – The New Heat Theorem – Dover Publications – 1969
8) G. Preparata – An Introduction to a Realistic Quantum Physios – World Scientific, 2002

9) G. Preparata – Sulle tracce del vuoto – Il nuovo Saggiatore 3, p. 22, 1997


10) W. Reich – Etere, dio e diavolo – Sugarco, 1974
11) E. Bloch – La filosofia del Rinascimento – Il Mulino, 1997

12) H. Umezawa – Advanced field theory: micro, macro and thermal concepts – American
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13) M. Barbieri – The Organic Codes – The University of Cambridge Press, 2003
14) H. Fröhlich – Long-range correlations and energy storage in biological systems – International
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16) E. Del Giuduce e G. Vitiello – The role of the electromagnetic field in the formation of
domains in the process of symmetry- breaking phase transitions- Physical Review A74, 022105
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18) V.L. Voeikov – Fundamental role of water in bioenergetics pp. 89-104 nel volume
“Biophotonics and coherent systems in biology” (eds. L.V. Beloussov e altri) Springer, 2007

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