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Corso di Scienze Naturali - 2022

PALEONTOLOGIA Sistematica

Indice
1. ICHNOLOGIA 3
DOMICHNIA 5
FODINICHNIA 5
PASCICHNIA 6
AGRICHNIA 6
CUBICHNIA 6
REPICHNIA 6
EQUILIBRICHNIA 7
FUGICHNIA 7
PRAEDICHNIA 7
MORTICHNIA 7
CALICHNIA 7
PUPICHNIA 7
FIXICHNIA 7
IMPEDICHNIA 8
IMPLICAZIONI PALEOBIOLOGICHE 8
2. CENOZOICO 11
PALEOGENE 11
Eocene 12
Oligocene 12
NEOGENE 12
Miocene 13
Pliocene 14
QUATERNARIO 15
Pleistocene 15
Holocene 16
3. SISTEMATICA 18
4. PORIFERI 22
ARCHEOCIATIDI 25
5. CELENTERATI - CNIDARIA 27
PROTOMEDUSAE 28
SCYPHOZOA 29
CUBOZOA 29
HYDROZOA 29
ANTHOZOA 29
Octocorallia 30
Zoantharia 30
Ordine Rugosa (tetracoralli) 32
Ordine Tabulata 35
Ordine Scleractinia 35

6. BRIOZOI 38
7. BRACHIOPODI 41
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FORMA DELLA CONCHIGLIA 42


Caratteristiche esterne 42
Caratteristiche Interne 44
Brachidium 44
Composizione e struttura della conchiglia 45
ECOLOGIA 45
STRATIGRAFIA 46
Importanza paleontologica 46
8. MOLLUSCA 50
CLASSE APLACOPHORA 51
CLASSE POLYPLACOPHORA 51
CLASSE MONOPLACOPHORA 51
CLASSE SCAPHOPODA 51
CLASSE ROSTROCONCHIA 52
CLASSE BIVALVI 52
Caratteri Interni 54
Caratteri esterni 55
Composizione del guscio 55
Modo di vita 55
Sottoclasse Protobranchia 56
Sottoclasse Autotobranchia 56
ORDINE HIPPYRITOIDA 59
9. EVOLUZIONE 64
MICROEVOLUZIONE 65
MACROEVOLUZIONE 67
Origine di nuovi schemi costruttivi degli organismi 67
10. GASTEROPODI 74
SOTTOCLASSE PROSOBRANCHIA – ORDINE ARCHEOGASTROPODA 77
SOTTOCLASSE PATELLOGASTROPODA 78
SOTTOCLASSE VETIGASTROPODA 78
SOTTOCLASSE NERITIMORPHA 78
SOTTOCLASSE CAENOGASTROPODA 78
SOTTOCLASSE HETEROBRANCHIA 78
OSPITI NORDICI 79
11. CEFALOPODI 81
MODALITÀ DI VITA 83
SOTTOCLASSE NAUTILOIDEA 84
SOTTOCLASSE AMMONOIDEA 85

Cap. 2, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 18

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1. Ichnologia
È il ramo della paleontologia che si occupa delle tracce fossili: qualsiasi traccia che un organismo vissuto nel
passato ha lasciato. È molto importante perché ci permette di ottenere tutta una serie di informazioni con ap-
plicazioni molto importanti.
Si divide in:
- Paleoicnologia, studio di tracce fossili di organismi del passato. Si sono sviluppati due rami interni:
o Dei vertebrati, che si occupa delle impronte dei vertebrati, noi non la affronteremo.
o Degli invertebrati.
- Neoicnologia, che si occupa di ricostruire (rivolta ai vertebrati) dei modelli sull’osservazione dei ver-
tebrati attuali: sulle impronte che questi lasciano per poi ottenere delle informazioni da applicare alle
orme del passato.

Le impronte ci permettono di calcolare non solo la modalità e il comportamento dell’organismo che ha prodotto
l’impronta (corre/cammina ecc.) ma anche informazioni come peso, struttura, postura ecc.

Paleoicnologia
Le tracce fossili vengono suddivise in due categorie in base al tipo di sedimento:
- Strutture sedimentarie biogeniche, possono essere suddivise in
o Bioturbazioni, strutture che consistono della distruzione o parziale obliterazione della tessitura
o della stratificazione originaria del substrato
o Strutture biodeposizionali, depositate dall’organismo
o Strutture biostratificate, organo-sedimentarie come le stromatoliti e microbialiti, legate all’atti-
vità di microrganismi.
- Bioerosioni, si esercitano su substrati duri (hardground, beach rock ecc.) e si suddivisono in macro-
microboring e sono ad opera di microrganismi.

Le tracce fossili sono caratterizzate da 8 punti:


1. Ci danno indicazioni del comportamento dell’organismo
o Ci danno indicazioni di:
§ Postura
§ Portamento (struttura dell’arto e della massa corporea dell’organismo)
§ Comportamento (andatura: stato di riposo, velocità ecc.)
2. Lo stesso organismo può dare tracce fossili diverse. I trilobiti ad es. nello stato
di riposo lasciano un’impronta a forma di chicco di caffè tipica, quando si muo-
vono in maniera lenta lasciano una traccia costituita da strutture a V impilate
con apice opposto alla direzione del movimento, quando aumenta la velocità è
come se il corpo non strisciasse ma si sollevasse sulle zampe e lascia l’impronta
soltanto delle zampe.
3. Una stessa traccia può dare più tipi di organismi. Questi due (2-3) aspetti sono molto importati che
perché hanno dato problemi nella classificazione: a volte non capiamo quale sia l’organismo che ha
prodotto quell’impronta, perché difficilemtne troviamo l’organismo fossile insieme all’impronta.
4. Piu organismi possono essere responsabili della costruzione di un’unica struttura.
5. Gli organismi produttori si preservano raramente in associazioni con le loro tracce.
6. Una stessa traccia può avere morfologie differenti in base al sedimento e al grado di saturazione dell’ac-
qua nel sedimento (ad es. la sabbia umida e la sabbia che viene smossa dalle onde registrano tracce
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molto diverse). Quando il sedimento è molto duro le tracce tendono a svanire rapidamente. Devono
esserci delle condizioni che permettano il deposito della traccia e il suo mantenimento tramite processi
tafonomici.
7. La maggior parte delle tracce presentano un record stratigrafico molto ampio, quindi non hanno un
grande valore stratigrafico. Hanno un grandissimo valore ambientale però, generalemnte non hanno
una distribuzione areale molto ampia, sono infatti limitate ed influenzate da fattori ambientali.
8. Hanno il valore aggiunto di essere quasi sempre autoctone.

La tracce fossili si dividono in due categorie:


- Emirilievi, quelli che troviamo sulla supercifie degli strati.
o Epirilievi, che si trovano sulla superficie superiore
degli strati.
o Iporilievi, i più frequenti, che si trovano sullo strato
inferiore (sono la controimpronta).
- Rilievi completi, sono le gallerie e le tane che troviamo in-
tegre (molto meno frequenti degli emirilievi).

Ci deve essere sempre un cambio litologico ->


Modalità di formazione delle impronte:
L’organismo (caso 2) può lasciare la traccia in corrispondenza
dell’interfaccia tra due strati, dopo di ché generalmente se questo
non viene riempito dal sedimento difficilemnte ci perviene.
(caso 3) quando il fango viene riempito dal sedimento, la superficie
può essere erosa e riempita da altro sedimento.

L’importante è che ci sia un sedimento più fangoso che permetta l’impronta che poi
viene riempita da un ulteriore sedimento.

La difficoltà nello studio dell’ichnologia è sempre stata la classificazione. Difficilmente


si hanno fossili che si rinvengono insieme alle tracce.
C’è anche il problema di avere la sicurezza di discriminare le strutture effettivamente determinate dagli orga-
nismi rispetto a quelle dovute a sedimentazione (che sembrano prodotte da organismi ma non lo sono).
È molto difficile capire e studiare le tracce fossili soprattutto negli invertebrati. Per questo la comunità scien-
tifica si è sempre interrogata su come riconoscere le tracce, finché Seilacher (paleontologo) ha proposto di
classificarle suddividendole in categorie etologiche: legate al comportzmento più che all’organismo che le ha
prodotte.
A differenza delle altre unità non hanno un ordine gerarchico e vengono nominate in base al comportamento
che le ha prodotte.
Queste categorie sono:

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E indicano quindi il comportamento a cui si riferiscono e che le ha generate.


All’interno di queste categorie esistono moltissimi generi e specie, però quelle più importanti e comuni sono
le seguenti.

Domichnia
Strutture di abitazione: tane ad esempio. Sono riconducibili a tubi
verticali, tane ad U, cubicoli ramificati.
I più importanti sono:
- Entobia, camere globulari in cui abitano gli organismi col-
legate da canali sottili.
- Ophiomorpha, generalmente tane ad andamento sia verti-
cale che orizzontale, generalmente prodotte da crostacei.
- Skolithos, tubicini verticali che si presentano come dei
piccoli forellini, tipici dei molluschi.

Fodinichnia
Strutture di nutrizione: gallerie lasciate da organismi semisessili (tipicamente detritivori).
Sono cunicoli a forma di U o J, variamente ramificati.
IMPORTANTE, due tipi:
Chondrites, gallerie cilindriche a sviluppo tridimensionale e molto ramificate che danno origine alle Marne a
Fucoidi (successioni in ambiente profondo) che ricordano il Fucoides (una pianta) con aspetto ramificato.
Gli Zoophycus è una struttura crescente verso il basso.
Sono gallerie che non si incrociano mai, perché gli animali ci sono già passati e tornarci sarebbe uno spreco.

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Pascichnia
Tracce di pascolo, anche queste non si incrociano mai. Piste
spesso meandriformi lasciate da un animale vagile (molluschi
anellidi artropodi) in cerca di nutrimento, che si sposta sulla
superfice del substrato o all’interno del sedimento ma sempre
parallelamente alla superficie di strato. Non si incrociano mai
Prodotte principalmente da molluschi, anellidi, artropodi (de-
tritivori).
Sono molto abbondanti nei depositi fyschoidi (un flysh è un
tipo di deposito dato dallo smantellamento di una catena:
quando la catena si solleva tutto il materiale da questo movi-
mento eroso viene canalizzato nei bacini producendo grossi quantitativi di sedimento legata a questo tipo di
dinamica).

Agrichnia
Strutture sempre legate alla nutrizione, con movi-
mento parallelo alla superficie, questi organismi non
si muovono verticalmente all’interno del sedimento.
Possono dare origine a strutture ottagonali.
Sono piste e tane ad andamento parallelo alla strati-
ficazione disposte secondo un modello geometrico
regolare (meandri complessi, spirali doppie, retico-
lati). Costruiti da fossatori molto sottili che ripassa-
vano più volte lungo la galleria per procurarsi cibo
(batteri o microrganismi intrappolati). Caratteristici di depositi pelagici od emipelagici a grana fine Noti dal
Cambriano sono rari nei sedimenti attuali.
Sono stati identificati osservando organismi attuali.

Cubichnia
Tracce di riposo, che generalmnte riproducono l’organismo stesso, facilmente
a lui riconducibili quindi.

Repichnia
Tracce di reptazione o locomozione. Solchi, orme, piste, galle-
rie, etc. lasciate dal passaggio di un animale su un fondo ma-
rino o un substrato emerso. Sia in ambiente marino, sia conti-
nentale. Prodotte sia da invertebrati (vermi, bivalvi,
gasteropodi, echinodermi, artropodi, ...), sia vertebrati (rettili,
anfibi, mammiferi, uccelli).

La Cruziana è un tipo di movimento che genera delle piste na-


triformi bilobate caratterizzate da un’ornamentazione a fini striature che varie nelle diverse specie. Prodotte
da trilobiti che si muovono lentamente e leggermente infossati. Si trovano pertanto solo nel Paleozoico;
forme simili più recenti sono attribuibili al genere Isopodichnus.

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Equilibrichnia
Sono strutture di equilibrio. Strutture lasciate da organismi marini generalmente infaunali per mantenere la
loro posizione all’interno del sedimento rispetto alla
superfice del substrato, in risposta a sedimentazione
o erosione. Generate principalmente da endobionti
(bivalvi, scafopodi, vermi, ...) Costituiti da tane ver-
ticali cilindriche. Frequenti in ambiente di spiaggia
sommersa, in depositi intertidali, tempestiti, torbi-
diti.
Quando ci sono erosioni tendono a sprofondare nel
sedimento e producono delle strutture con cavità a V
con l’apice verso l’alto.
Grazie a queste si possono calcolare anche i tassi di sedimentazione.

Fugichnia
Strutture di fuga, molto più irregolari. Legati ad organismi che vivono all’interno del se-
dimento, quando questo viene ricoperto o da elevati tassi di sedimentazione. Strutture la-
sciate da organismi marini endobentonici a seguito di una rapida sedimentazione o ero-
sione, o per sfuggire a predatori. Sono più irregolari rispetto alle strutture di riequilibrio.
Generate da: bivalvi, scafopodi, gasteropodi, vermi,…
Si vedono molto bene generalmente nelle carote.

Praedichnia
Sono tracce di predazione. Strutture prodotte a seguito di attività predatoria. Si conservano meglio se pro-
dotte su materiale organogeno duro (gusci e ossa). Classico esempio è nei gasteropodi al mare ad opera gene-
ralmente di crostacei (buchi nei gusci).

Mortichnia
Tracce di morte. È il caso in cui c’è una maggiore possibilità di trovare un organismo alla fine della traccia.
Queste tracce inizialmente non rano state indicate come categoria apparte, ma inserite nelle tracce di locomo-
zione, poi suddivise successivamente.

Calichnia
Tracce di nidificazione, come cova di uova.

Pupichnia
Camere pupali. Sono delle strutture globose sferiche oppure in cui si vede che c’è la schiusa, il passaggio e
l’uscita dell’organismo allo stadio successivo. Generalmente sono caratterizzate da una camera pupale ed un
canaletto per l’appunto.

Fixichnia
Tracce di ancoraggio e fissaggio. Sono tipiche di substrati duri (or-
ganismi sessili epitici che necessitano di ancoraggio).

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Impedichnia
Strutture di bioclaustrazone. Attività organismi endosimbionti: im-
pediscono l’accrescimento dello scheletro dell’organismo ospitato
in risposta si ha alterazione della crescita del suo scheletro. Un or-
ganismo impedisce la crescita regolare di un altro organismo.
La seconda foto sono spugne che impediscono la formazione rego-
lare dei crinoidi.

Implicazioni paleobiologiche
Queste tracce sono molto importanti perché possono darci indicazioni di forme (soprattutto non mineralizzate)
che non si conservamno allo stato fossile, e quindi le tracce possono testimoniarne la presenza e ci permettono
di ricostruirne la filogenesi inserendo gli anelli mancanti di determinati gruppi.
L’imprortanza fondamentale è quella paleoambientale. Alcuni
studiosi hanno notato che le varie categorie hanno una distribu-
zione ben precisa che varia con la profondità.
Gli ichnofossili sono frequenti in sedimenti clastici, pelitici,
sabbiosi, dove i fossili spesso mancano. Le tracce fossili non
possono essere rimaneggiate, né rielaborate sono pertanto au-
toctone. Consentono di valutare il grado di ossigenazione
delle acque di fondo. L’esistenza di sedimenti non bioturbati è
spesso una prova per riconoscere ambienti anaerobi.
Gran parte dei fattori che controllano la distribuzione delle
tracce tendono a variare con la profondità. Maggiore importanza per l’analisi paleobatimetrica hanno le asso-
ciazioni di tracce fossili.

A volte gli hardground vengono erosi da determinati organismi per poi riempirsi di forme planctoniche che
vanno a concentrarsi e deporsi in queste cavità degli hardground.

Il fatto che queste categorie si trovino a determinate profon-


dità ci ha permesso di identificare 9 ichnofacies, ognuna delle
quale prende il nome dall’icnofossile più frequente.

Si suddividono in base sia al tipo di sedimento ma soprttutto al


grado di idrodinamismo.
Nelle zone completamente emerse come le dune abbiamo as-
sociazioni indicate come Scoyena (tracce di locomozione pic-
coli vertebrati). Psilonichnus si trova tipicamente in zona so-
pralitorale che solo occasionalmente viene toccata dall’acqua
(generalmente dalle tempeste) e prevalgono vertebrati, inver-
tebrati.
Skolithos si trovano in zone di piattaforma in zone di alto idrodinamismo.
Poi abbiamo Cruziana, Zoophycus e Nereites e che sono coinvolte in alto idrodinamismo, generalmente fon-
dale fangoso.
Cruziana legate a substrati mobili di zona sublitorale a moderata energia, piattaforma. Elevata diversità tas-
sonomica; soprattutto repichnia, cubichnia e domichnia.
Zoophycus, legati a fondali fangosi della transizione tra zona circalitorale e batiale (scarpata continentale).
Diversità poco elevata. Quasi esclusivamente fodinichnia; rari pascichnia e repichnia.

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Nereites legati a substrati mobili di grande profondità, in acque calme, ma ossigenate. Elevata diversità, ma
scarsa abbondanza. Pascichnia e agrichnia.

Glossifungites, legati ad hardground tipicamente. Substrati coerenti non litificati di acque litorali o sublito-
rali. Tane verticali cilindriche, a U o poco ramificate; rari equilibrichnia.

Trypanites, legate a substrati marini litificati (rocce calcaree, scogliere, hard-ground), ma anche in argille
dure o depositi di torba. Prevalentemente domichnia. Lasciano tipicamente un foro circolare. Sono importanti
per ricostruire le antiche linee di riva, sono molto importanti dal punto di vista di ricostruzione paleoambien-
tale.

Teredolites. legate anch’esse a moment di scarsa sedimentazione per cui è più fa-
cile che si solidificano e si compatti il sedimento. Legni sommersi o spiaggiati. E’
costituita esclusivamente da fori di Teredo.

Dal punto di vista stratigrafico quindi gli ichnofossili non hanno grande valore (apparte rare eccezioni). Alcuni
però hanno voluto vedere una certa evoluzione: le forme più semplici sono alla base del paleozoico e passando
al mesozoico si ha una complicazione delle strutture, che danno quindi una indicazione temporale, ma nolto
generica.
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Soprattutto le impronte dei vertebrati permettono di ricostruire l’assetto dei grandi continenti. Vedremo come
vari vertebrati hanno portato prove inconfutabili della tettonica delle placche e lo stesso ritrovamento di alcuni
icnofossili in questa zona hanno permesso di rivedere tutta la paleogeografia di molte aree.

Danno invece indicazi0ni di carattere sedimentologico, di individuare fenomeni di erosione, di riconoscere


superfici che non esistono più.
Le tracce fossili sono considerate strutture sedimentarie biogeniche e quindi di competenza sia della paleon-
tologia che della sedimentologia. Infatti riflettono sia la dinamica dell’ambiente di sedimentazione, sia l’eto-
logia dell’organismo che le ha prodotte
Le principali applicazioni in sedimentologia sono:
- Risalire alla velocità di sedimentazione.
- Riconoscere fenomeni di erosione.
- Riconoscere le superfici di omissione.
- Determinare la polarità degli strati.

Ci indica inoltre la polarità degli strati, permettendoci di capire se uno strato ha subito movimenti di carattere
tettonico.

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2. Cenozoico
Il Cenozoico è l’Era che inizia con la fine del cretacico ed arriva fino a noi, sono gli ultimi 70 milioni di anni.
È suddiviso in:
- paleogene (terziario, nome non più utilizzato)
o paleocene, eocene ed oligocene.
- neogene, intorno ai 23 milioni di anni, che comprende miocene e pliocene
- quaternario, che inizia 2,8 Ma fa, suddiviso in due epoche.

Si sta valutando di suddividere l’olocene in olocene e antropocene, oppure considerare l’antropocene a livello
di periodo e non di epoca.
L’inizio dell’antropocene è molto dibattuto.

Tutto il cenozoico è caratterizzato da una certa variabilità climatica che a livello millenario è molto molto
marcata, ma a grande scala a lungo termine si individua un periodo inizialmente caldo per poi raffreddarsi. La
CO2 che prima era molto alta a concentrazione 6000 ppm arriva a 200 ppm alla fine del cenozoico. La concen-
trazione dell’O2 ha andamento opposto: nei periodi di greenhouse c’è meno ossigeno e viceversa.
Anche se a piccola scala il clima è molto variabile e può essere considerato abbasdtanza caldo, comunque dalla
fine del cretacico ad oggi si verifica un trend di raffreddamento climatico. Anche la variazione del livello del
mare è sempre molto alta, ma all’inizio c’è un abbassamento e poi c’è un secondo step di abbassamento nella
parte alta del pliocene a causa dell’ingrandimento della calotta glaciale.

L’olocene vede una risalita delle temperature e del livello del mare (noi viviamo in questa fase) anche se all’in-
terno dell’olocene ci sono state oscillazioni: il medioevo è stato molto caldo, alla fine c’è stata una piccola fase
glaciale.
Assistiamo quindi lentamente: paleocene, eocene ad alte temperature che ci portiamo dal cretacico, per poi
passare gradualmente ad una fase di icehouse legata all’aumento della calotta glaciale. Oligocene e miocene
sono fasi di passaggio.

Nonostante le t° abbastanza elevate, l’inizio della calotta antartica inizianell’eocene con il trend di abbassa-
mento della t° ma è conclamata con il passaggio dell’oligocene in cui c’è un passaggio molto evidente. La
calotta nell’emisfero settentrionale compare all’inizio del pliocene (?).

DA RIVEDERE QUESTA PARTE.

Tutto il terziario vede un grandissimo rinovamento, dopo una prima fase di assestamento dalla crisi kt, in cui
si inizia ad avere una diversificazione. Moltissime forme del mesozoico scompaiono e vengono soppiantate da
nuove specie. Tra i molluschi compaiono forme che troviamo anche oggi nei mari (gasteropodi, echinidi ecc.),
briozoi e crinoidi. È il tempo dei grandi macroforaminiferi: si sviluppano forme bentoniche che sono talmente
abbondanti e con gusci tanto robusci e complessi internamente che costituisdono l’elemento principale di se-
dimentazione di questo periodo. Forme che scompaiono completamente poi con il raffreddamento del pleisto-
cene, che oggi vivono ancora in ambienti molto più caldi. Anche tr ai cefalopodi le ammoniti sono estinte ma
il genere Aturia prevale, forma più semplice. In generale le forme più semplici si adattano meglio e preparano
“il terreno” per lo sviluppo di un’ulteriore complessità.

Paleogene
I grandi moviemnti tettonici sono già avvenuti ed hanno portato ad una distribuzione delle terre emerse molto
simile a quella attuale. Abbiamo la placca eurasiatica ed africana che tendono a congiungersi, si ha il distacco

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dell’india che inizia a viaggiare verso nord per collidere con la placca eurasiatica dando luogo all’himalaya. Si
allontanano dal polo sud il continente sudamericano e australiano aprendo due importanti passaggi.

All’inizio del miocene si ha una distribuzione delle terre emerse molto simile a quella attuale.

Si ha quindi una temperatura molto elevata e gli studiosi ritengono che l’incremento di CO2 non ha portato a
temperature così elevate, ma anche la tettonica (vulcanismo) non è stato tale da determinare un incremento così
evidente di t°, che sembra invece dovuto principalemnte alla presenza del CH4, GHG molto più forte rispetto
alla CO2. Questo metano sembra sia fuoriuscito non tanto da attività vulcanica quanto dal fatto che l’aumento
di temperatura ai poli in cui non c’era una calotta glaciale ha determianto lo scioglimento del permafrost (che
dovrebbe rimanere sempre ghiacciato) che, sciolto, libera tanta CH4 che deriva dall’alterazione della sostanza
organica intrappolata. Fenomeno amplificato dai processi che si sono verificati in corrispondenza delle emis-
sioni sottomarine: non c’erano delle vere e proprie emissioni superficiali però la formazione dell’oceano at-
lantico e l’emissione dell’oceano pacifico hanno fatto sì che molto gas venisse emesso dalle zone profonde
della crosta, il mantello. La crosta oceanica è molto più sottile di quella continentale per l’appunto.

La validità di un dato che da una certa indicazione va sempre controllata con una comparazione di analisi di
altri dati o di altre analisi. Ad es. rilevamenti da gusci di vari organismi, dalle piante ecc.: se tutti danno la
stessa indicazione la validità del dato cresce.

Eocene
Il riscaldamento climatico ha determinato che dopo una prima fase di cretacico-terziario (una delle grandi
estinzioni) la fase iniziale del paleogene corrisponde ad un periodo di assestamento di tutti i phyla sia conti-
nentali che marini e subito dopo, con l’innalzmaento della temperatura, è avvenuta una grande diversificazione
favorita proprio da questo optimum climatico.
Questo corrisponde alla fase iniziale dell’eocene medio.
Ha un termal maximum che rappresenta un picco e che rappresenta la caratteristica di questo periodo con climi
caldi ed un momento di stabilità climatica che permette al biota di diversificarsi. In corrispondenza dei momenti
di stabilità climatiac generalmente avviene differenziazione.

Oligocene
A partire da questo maximum climatico c’è un trend climatico he terminerà con il quaternario di raffreddamento
climatico. Nonostante il trend generale a piccola scala il clima che caratterizza il passaggio dall’eocene al
quaternario è caratterizzato da oscillazioni con momenti di stabilità climatica con temperature sempre più alte
fino al pliocene. Nell’oligocene si stabilisce la nascita della calotta glaciale antartica (che inizia nell’eocene) e
si consolida.
Alla fine del miocene la calotta artica si espande e subisce dei fenomeni di espansione che caratterizzano il
quaternario.

L’oligocene è caratterizzato da temperature quindi abbastanza stabili.


Nel basso oligocene c’è un evento freddo che lo caratterizza, e anche in alto oligocene.

Nel mondo marino soprattutto per quanto rigaurda le microfaune (nannoplancton e foraminiferi, che costitui-
scono il 90% della produttività degli oceani)... (?)

Neogene
Composto di due epoche di transizione verso il quaternario. Il clima è abbastanza stabile anche se ci sono
oscillazioni in senso freddo (Mi1-2 event) ma la temperatura è abbastanza elevata (più di quella attuale) e
segnano il periodo di passaggio dalla icehouse fino al quaternario.

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Dal punto di vista tettonico all’inizio del miocene la distribuzione delle terre emerse e degli oceani è simile a
quella attuale anche se all’inizio del paleocene si inizia a formare l’oceano atlantico e si hanno due importanti
punti di comunicazione: tasmanian passage e...?
Nel neogene si inizia a restringere la tetide (mare del mesozoico alle nostre latitudini) il che comporterà alla
fine del messiniano la grande crisi di salinità. L’ologene himalayana si sta ultimando, ci sono cambiamenti dal
punto di vista oceanografico soprattutto nel settore settentrionale (emisfero nord) in cui l’apertura dell’oceano
atlantico determina l’impostazione dei grandi circuiti nord atlantici che determinano a loro volta un rimesco-
lamento e anche un incremento di produttività: bloom di forme autotrofe (soprattutto diatomee). Assume im-
portanza il passaggio di panama che ancora consente collegamenti tra oceano atlantico e pacifico e l’abbassa-
mento del livello del mare a causa delle glaciazioni del quaternario determineranno cambiamenti dal punto di
vista migratorio del nord e del sud america e allo stesso tempo queste oscillazioni facilitano o bloccano lo
scambio delle forme marine tra i due oceani.
La Tetide ha ancora dei collegamenti con l’oceano indiano, quindi all’inizio del neogene c’è ancora abbastanza
scambio: “rifian corridor” che è vasto e costeggia le coste dell’africa permettendo lo scambio di circolazione
tra oceano atlantico e mar mediterraneo.
Il momento freddo alla base del miocene determina estinzione di molti coralli (restano solo gli esacoralli che
nonostante subiscano varie fasi di estinzioni riescono ad arrivare a noi). Un pochino sopra il miocene inizia la
chiusura con l’oceano indiano che si verifica in più fasi e soltanto alla fine del miocene avviene la chiusura
completa che se da una parte favorisce i passaggi tra continente africano e quello euroasiatico, dall’altra blocca
tutte le faune marine e da luogo a forti endemismi nelle faune dell’area mediterranea. La chiusura definitiva
si ha quindi verso l’inizio del tortoniano. Inizia inoltre la sedimentazione sapropelitica (anche se si verificava
anche precedentemente) che ha valenza importante in ambito stratigrafico. Il record paleontologico è molto
importante per la determinazione di questa chiusura, è servito anche a sviluppare la teoria della tettonica delle
placche mostrando prove indiscutibili. L’interruzione è segnata soprattutto dalla scomparsa di determinate te-
stimonianze fossili in uno dei due bacini che continua nell’altro (ad es. Oceano atlantico): questa chiusura del
mediterraneo ha determinato un impatto incredibile sui trend evolutivi delle forme che si sono sviluppate
nell’area mediterranea e nord europea non solo in ambito marino ma anche continentale.

Miocene
Inferiore (fino a burdigaliano) medio e superiore (tortoriano e messiniano). Anche se è segnato come icehouse
presenta delle temperature ed un clima molto più elevato di quello attuale nonstante il trend sia di raffredda-
mento (che infatti porterà al raffreddamento del quaternario). Prima della crisi di salinità si ha quindi stabilità
climatica che viene indicata come mid-miosin climatic optimum (monterey event, visto che è stata evidenziata
in maniera evidente a monterey) che si mantiene per tutto il miocene medio. Lo studio di questo periodo (mio-
cene medio) è importante: si hanno concentrazioni di GHG simili a quelle attuali. In questa fase di riscalda-
mento climatico la produzione carbonatica aumenta (le diatomee hanno avuto grande diversificazione ma la
loro attività autotrofa consuma elevate concentrazioni di CO2 che caratterizzano tutto il miocene) e avvengono
degli eventi che sia dal punto di vista floristico che faunistico caratterizzano tutto il periodo.
Nel miocene superiore si verificano due importanti eventi (crisi di salinità e ritorno di condizioni di ambiente
marino che segna la fine del miocene e l’inizio del pliocene). Nel Tortoniano quindi poco prima dell’inizio
della crisi di salinità c’è una distribuzione di barriere coralline estremamente sviluppate e in questo periodo
tutta l’Italia centrale è caratterizzata da una formazione di calcari e briozoi e litotamni (che caratterizzano
questa prima fase). Queste facies sono tipiche dei climi tropicali ma si trovano anche in area mediterranea.
Man mano che si accentua l’isolamento nel record geolgoico e paleontologico si ritrovano testimonianze della
chiusura, dal punto di vista litologico ci sono dei depositi che segnano questo passaggio da fasi preevaporitiche
(costituite da una facies carbonatica ma ricca di sostanza organica, che ci indica un ambiente eutrofico chiuso
in cui si riversavano grandi quantità di sedimenti e nutrienti dallo sfocio di fiumi). La fase evaporitica è carat-
terizzata da coltri di centinaia di metri di Sali evaporiti (non solo gessi, una parte di questi sedimenti viene
identificata come deposizione gessoso-..., il gesso è il minerale che precipità più facilmente e che troviamo in
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qualsiasi lagunetta soprattutto in ambienti poco a contatto con il mare e molto isolati in cui c’è evaporazione).
Il post-evaporitico è una facies indicata come lago mare, con ambiente marino poco profondo e salinità estre-
mamente bassa perché incidono molto le acque fluviali. Il Messiniano non è un periodo caldo, quello che ha
permesso questo meccanismo di deposizione di questi gessi è stato soprattutto un ambiente umido (gli isotopi
dell’O non diminuiscono nei valori, quindi non c’è stato riscaldamento climatico, ma solo aumento di umidità
-testimoniato da analisi polliniche di piante che vivono in ambiente umido-). A 5.33 Mya questo finisce e sopra
questi depositi evaporitici abbiamo depositi di ambiente marino profondo (c’è uno stacco netto), indicate come
formazioni dei Trupi (che indica per mari calcari e sedimenti costituiti per il 90% da gusci di nannoplancton e
foraminifero che caratterizza la base del pliocene).
La crisi di salinità è stata confermata intorno agli anni ’70 da una struttura a 100-200m sotto il fondale chiamata
M reflector come basamento – zoccolo duro.
La crisi di salinità ha determinato una crisi soprattutto in ambienti marini evidenziata sia dal punto di vista dei
micro che dei macrofossili che testimoniano tutte le fasi, che evidenziano un mare abbastanza profondo, poi
forme più costiere (quindi c’è stato abbassamento del livello del mare) e poi faune oligotipiche che vivono in
ambiente salmastro. Non solo dal punto di vista delle specie (composizione associazione) ma anche... (?)
Generalmente quando l’ambiente è fortemente stabile le faune presenti sono opportuniste e caratterizzato da
faune piccole che si pensa raggiungano prima uno stato di maturità per conservazione della specie, poi il planc-
ton nella massima fase evaporitica scompaiono, si hannoforme costiere e poi nella parte alta ricompaiono forme
planctoniche. La crisi del messiniano ha dato luogo a morfologie tipiche utili per individuare questp momento
associate alla salinità e che quindi permettono una ricostruzione molto dettagliata (comprendono specie marine,
di transizione e di acqua dolce) dando delle morfologie endemiche tipiche dell’area mediterranea che ha con-
sentito di fare una biozonazione. Anche nei molluschi si trovano delle forme che ancora vivono in ambiente di
transizione (o meglio sia marino che di transizione), con forme che sono anche salmastre-dulcicole, e questo
ci indica lo stadio finale di lago-mare. Anche i pesci in questo bacino sono identificative. I pesci vengono anche
studiati attraverso piccoli elementi (otoriti): piccoli ossicini presenti nel cranio dei pesci e permettono in specie
con morfologie particolari di classificare gli organismi.
Il miocene termina con questa profonda crisi fino a quando intorno ai 5.3 Mya si ha il ritorno di condizioni
marine profonde in tutta l’area mediterranea. Questo limite (passaggio miocene-pliocene) ha il suo GSSP in
Spagna dove si vede molto bene il passaggio da successioni vaporitiche a successioni marine sovrastanti.
Questo si verifica in quasi tutti gli affioramenti: l’arrivo del mare determina un rimaneggiamento della parte
sottostante: troviamo sedimenti più recenti all’interno di quelli più antichi, evidenza che si verifica comune-
mente in corrispondenza di passaggi drastici.

Pliocene
Inizialmente suddiviso in 3 unità, ora in 2: zancleano e piacenziano. L’inizio del Pliocene nell’area mediterra-
nea è segnata dal recruiting: immissione delle acque oceaniche atlantiche nell’area mediterranea, che riacquista
carattere di bacino profondo. All’inizio del pliocene compaiono i primi ominidi (non bisogna arrivare per forza
alle forme più evolute per avere un impatto sulla natura, anche la loro presenza inizia ad avere un impatto con
effetti che riusciamo a vedere nel record sedimentario geologico). La diversificazione dei mammiferi viene
bloccata con la glaciazione dell’inizio pleistocene (quaternario).
Con l’inizio del pliocene si è evidenziata la sedimentazione sapropelitica e l’inizio della ciclostratigrafia: col-
legare questi livelli che si ripetono sistematicamente ogni concadenza che rifletteva i moti di precessione orbi-
tale. La ciclostratigrafia è un ramo della stratigrafia come la magnetostratigrafia che vede degli eventi ripetitivi
(non consente di attribuire un’età precisa e quindi una datazione) ma aiuta molto nell’aumentare la precisione
delle datazioni di intervalli temporali. Chi da una indicazione univoca di datazione sono sempre gli organismi.
La ciclostratigrafia prevede lo studio di questi eventi ciclici che si evidenziano nel record geologico: ogni ciclo
dovrebbe essere ristretto a questi cambiamenti ripetitivi e dovrebbe avere un significato temporale sempre
uguale, i cicli infatti indipendentemente dalla loro ampiezza coprono gli stessi intervalli temporali. Se individuo
una serie di cicli di cui conosco l’intervallo temporale, riesco ad avere una precisione nell’attribuzione tempo-
rale di questi sedimenti. Questi livelli più scuri (accumulo di sostanza organica, che rappresentano da 1 a 5000
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anni) che rappresentano i cicli e che si ripetono, possono essere raggruppati in cluster, e rappresentano una
riduzione di salinità. Questo ha messo in moto tante teorie per spiegare questo avvenimento, per capire come
mai si venissero a creare queste formazioni che determinavano la deposizione di sedimenti scuri.
Dopo tanti studi si è visto che la presenza di questi livelli poteva essere combinata ai moti di precessione in
corrispondenza dei quali si verificava un aumento di umidità e di precipitazioni. Inoltre si è visdto che questi
moti vanno ad incidere molto sui venti (soprattutto monzoni, che alterano e smantellano in maniera accelerata
tutte le formazioni presenti e questi sedimenti vengono immessi nel bacino grazie ai grandi fiumi). La combi-
nazione del massimo dei moti di precessione, incremento di piovisità, incremento di apporti terrigeni dovuti ai
monzoni creano depositi di sostanza organica che vanno ad ossidare il bacino creando livelli scuri ricchi di
sostanza organica con salinità più bassa perché incrementata dalle acque dolci dei fiumi e delle piogge. La
cominazione quindi di tutti questi fattori ha determinato la formazione di questo tipo di sedimentazione scura.

Si è visto che questi livelli erano raggruppati quindi in cluster che corrispondono ad intervalli di 100.000-
400.000 ky, che rappresentano la eccentricità? Questo ha permesso di raffinare quello che succede in queste
fasi. A partire dal pliocene inizia la vera ciclostratigrafia.

L’inizio del pliocene non è segnato da una comparsa o un evento ben preciso, ma dalle testimonianze marine.
Le elevate temperature sono testimoniate dalla presenza di forme che oggi ritroviamo nelle aree tropicali e che
sono di origine indopacifica, ad esempio Amphistegina, un foraminifero organizzato in camerette molto com-
plesso (macroforaminifero).
Quaternario
Il passaggio al Quaternario non è caratterizzato da un datum sdtratigrafico ma è stato evidenziato con analisi
geochimiche ed è datato a 2.8 Mya. Ci sono nei vari gruppidi organismi dei taxa che approssimano questo
limite, ma non è un datum di carttere biostratigrafico.
Comprende pleistocene e olocene.
È un periodo caratterizzato per antonomasia da un’alternanza di fasi glaciali e interglaciali, in intervalli tem-
porali abbastanza ristretti. Questa ciclicità impatta notevolmente su tutta la fauna (continentale e marina) de-
terminando grandi fenomeni di migrazione e innalzamento ed abbassamento del livello del mare. Tutta la suc-
cessione pleistocenica è caratterizzata quindi da questi cambiamenti nel livello del mare, e tutta la fascia
neritica è quella più soggetta a questi spostamenti e la zona più adatta allo studio delle ricostruzioni di questi
eventi. Dal punto di vista del biota il quaternario si caratterizza per l’arrivo e il ritiro delle forme boreali dell
alte latitudini che scneodno nelle basse latitudini, entrano nell’area mediterranea e vengono indicati come ospiti
nordici, forme che vivono attualmente nelle alte latitudini e che non si sono adattate al cambiamento climatico,
ma ci sono alcune forme che sono riuscite ad adattarsi (come un foraminifero ospite nordico che segna l’inizio
del calabriano) che non sono chiamate ospiti nordici. Stessa cosa per gli ospiti caldi di origine nord africana
che entrano nell’area mediterranea e la colonizzano.

Pleistocene
Arctica islandica è il primo elemento biostratigrafico della macrofauna che segna l’inizio del pleistocene, che
da un punto di vista storico affiorano nella successione di Monte Mario, che è la sezione tipo dell’inizio del
Pleistocene. Arctica islandica sono delle vongole con guscio molto spesso e che si trovano attualmente lungo
le cose olandesi ed in Nord Europa. Sono di ambiente infralitorale e si trovano in sedimenti di sabbie fini con
componente argillosa.
Suddiviso in 3 sottoserie (inferiore medio e superiore). Quando ci si riferisce all’intervallo temporale si parla
di early o late pleistocene, quando faccio riferimento alle unità cronostratigrafiche invece si usa lower, middle
e upper.
La base del pleistocene ha un GSSP che sta in Italia, in Sicilia, che è fissato a 2.58 Mya. Il passaggio tra
Gelasiano e Calabriano sta in Calabria. Il passaggio tra Calabriano e Chibaniano sta invece in Giappone ed il
limite è stato posto in corrispondenza al passaggio di un’unità paleomagnetica.
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Il pleistocene superiore (upper) corrisponde agli ultimi


130 Ky e comprende l’ultima fase calda e anche tutta
l’ultima fase glaciale, comprende quindi l’ultimo ciclo
dal caldo fino all’ultimo massimo glaciale che finisce in-
torno ad 11 kya e segna l’inizio dell’Olocene, Epoca in
cui viviamo noi.
Il Pleistocene superiore è stato caratterizzato dalla pre-
senza di Strombus bobonius (in posizione di vita) che è
caratteristico di alte temperature.

Holocene
Le fasi che precedono questo riscaldamento climatico
sono molto studiate
La base dell’Olocene è stata identificata sulla base di un
sondaggio (per la prima volta qualcosa di non affiorante
quindi) di una carota di ghiaccio conservata in Groenlan-
dia.
L’Olocene sono quindi gli ultimi 11ky, piccola parte ma estremamente importante sia perché l’uomo comincia
ad impattare notevolmente sull’ambiente, sia perché ci permette di analizzare tante evidenze di cambiamenti
ed eventi che ci permettono di vedere quello che sarà nel futuro e come si evolverà il sistema. L’Olocene è
suddiviso in 3 sottoserie: inferiore medio e superiore.
Intorno ai 6000 anni fa c’è stato un optimu, che troviamo in corrispondenza di una banda nera, che è dovuta
agli stessi processi descritti precedentemente. Il Sapropel S1 si forma in un periodo di stabilità climatica (opti-
mum climatico) intorno ai 6000 anni fa.
Nel processo di formazione del ghiaccio, il passaggio da acqua a ghiaccio si ha un processo di espulsione di
aria, ma quando si forma la calotta glaciale e si ha rafforzamento e compattazione del ghiaccio, questo ha
ancora un contenuto di aria del 20%, e queste bolle di aria mantengono le caratteristiche dell’atmosfera del
periodo di formazione del ghiaccio, e sono molto importanti.
Gli ultimi 2000 anni sono caratterizzati da temperatura molto stabile nonostante delle oscillazioni che hanno
determinato una serie di spostamenti di forme calde-fredde e soprattutto in ambito continentale le variazioni
del livello del mare hanno determinato grandi spostamenti attraverso dei corridoi.
L’Olocene ha quindi avuto momenti di grande abbassamento di temperatura e di riscaldamento climatico.
Le succession iche meglio si prestano allo studio di questi cambiamenti cliamtici sono le zone di piattaforma
in cui si ha un tasso di sedimentazione tale che permette di vedere in maniera dilatata tutti questi cambiamenti,
che si hanno generalmente dove c’è accumulo di materiale, presso i delta dei fiumi, che si prestano molto bene
per gli studi del quaternario. Anche se il bacino profondo assicura una maggiore continuità nella sedimenta-
zione perché non risente delle variazioni del livello del mare hanno un tasso di sedimentazione molto basso
con serie molto condensate e difficilmente si colgono i vari passaggi: generalmente si vede abbassamento del
livello del mare in uno strato ed un millimetro sopra abbiamo l’innalzamento del livello del mare, ma non
abbiamo materiale che evidenzi la transizione, cosa invece molto evidente in succession icon elevato tasso di
sedimentazione in cui riusciamo con il record a studiare tutti gli eventi registrati dalla successione.

L’istituzione dell’antropocene è molto discussa. La proposta attualmente al vaglio è quella di considerare non
tanto l’incremento di CO2 (dal 1860) quanto quella dell’altro gas serra, il metano.
Intorno ai 5000 c’è l’inizio di questo trend di crescita e la proposta è quindi di fissare l’inizio dell’Antropocene
in corrispondenza di questa data. Formalmente abbiamo i tre piani che suddividono l’Olocene in superiore
medio e inferiore.

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3. Sistematica
Prima di affrontare la parte sistematica bisogna fare qualche accenno alla classificazione, il ramo della paleon-
tologia e della biologia che tende ad incasellare tutti i gruppi viventi in delle categorie.
Questa necessità sembra essere insita nell’uomo. Il primo ad organizzare gli esseri viventi fu Aristotele, che
organizzava gli esseri viventi in base a ciò che era nocivo o benefico per l’uomo.
Il padre della sistematica moderna è Linneo, che nel 1758 pubblicò la decima edizione del Systema Naturae.
Lui era ancora legato alle teorie creazioniste, e considerava le forme viventi come create da un evento supremo
e identificava le varie categorie tassonomiche della sistematica in base a dei criteri che non erano oggettivi ma
a discrezione del ricercatore che faceva la descrizione e l’analisi del reperto e forma che stava analizzando.

Con Darwin è cambiato che si andò affermando sempre più il concetto che anche la classificazione dovesse
rispecchiare le linee evolutive, e dovevano dunque essere basate sui caratteri ereditari che permettevano di dare
una rappresentazione non soltanto asettica e sistematica degli organismi viventi ma anche con la connotazione
temporale, rispecchiando la loro evoluzione.
In questo modo la classificazione doveva rispecchiare i trend evolutivi e poteva essere semplificata con dei
cladogrammi (alberi generalogici).
Prendevano quindi un gruppo di animali (es. gli organismi calcificatori) e li dividevano in base alla loro mor-
fologia e simmetria, arrivando all’identificazione di un gruppo (brachiopodi) e un altro (bivalvi) e così via.

L’albero genealogico permette di individuare delle categorie che hanno un’organizzazione gerarchica. La ca-
tegoria di rango più elevato è il Dominio: Bacteria, Archea, Eukarya.
Il Regno è il taxon di rango subito sotto, e ce ne sono 7: Animali, Piante, Funghi, Chromista, Protozoa, Batteri,
Archea.
Sotto il Dominio ci sono 7 categorie: Regno, Phylum, Classe, Ordine, Famiglia, Genere, Specie.

Alla base di questa piramide rovesciata c’è la specie, l’unico elemento naturale riconosciuto.

Definizioni:

Identificazione e Classificazione sono due cose diverse: la Classificazione è la creazione di una nuova categoria
tassonomica, l’Identificazione è il posizionare un ritrovamento in una categoria già classificata.

Come procede la Sistematica.

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Il modo di procedere è partire da caratteri molto generali per andare ad una definizione sempre maggiore e
sempre più specialistica.
Un albero filogenetico è un diagramma in cui sono evidfenziate le relazioni fondamentali di discendenza co-
mune a vari gruppi di organismi. Ogni albero trae origine da un antenato (antenato comune) che rappresenta il
comune progenitore di tutti i nodi rappresentati nell’albero.
Nodi: biforcazione che rappresentano le unità tassonomiche.
Rami: uniscono i nodi e rappresentano le distanze tra nodi.

Caratteri omologi: caratteri appartenenti a specie diverse ma ereditati da un antenato comune.


Caratteri analoghi: caratteri che sono dovuti ad una convergenza morfologica, non derivata da un antenato
comune.

Un gruppo è
- monofiletico se composto di organismi comprendenti l’antenato comune e tutti i suoi discendenti.
- parafiletico, se composto dell’antenato e parte dei suoi discendenti (non tutti).
- polifiletico, se composto di individui con caratteri analoghi in comune e senza un antenato comune.

Il Cladismo, o meglio Tassonomia filogenetica, si basa su questi carat-


teri ancestrali (plesiomorfi) e derivati (apomorfi, che permettono di
identificare i discendenti).
I caratteri ancestrali compaiono prima di quelli derivati.

Nella successione stratigrafica il carattere sviluppato prima potremmo


ritrovarlo in uno strato meno recente, il che è un errore. La documenta-
zione paleontologica potrebbe dunque indurre a degli errori e, per evi-
tare questo, considerano un terzo gruppo esterno e prendendo un carattere ancestrale di A. Se questo sarà pre-
sente anche nella specie C, allora questo conferma la successione tassonomica.

Anche il concetto di Specie è un concetto variabile.


In paleontologia facciamo riferimento alle morfospecie, identificate sui caratteri morfologici. Essendo la mor-
fologia frutto di una serie di parametri (ereditarietà, cambiamento, sviluppo) rispecchia anche la specie biolo-
gica.
Esiste anche un concetto di specie “cronologica”, la cronospecie, cioè la specie filogenetica che viene proiettata
nel tempo e rappresenta tutta una linea evolutiva che ha condotto a questa.

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All’interno della specie esiste una variabilita intraspecifica che può indurre il paleontologo o il sistematico ad
un errore di classificazione perché all’interno di tutte le specie esiste una certà
variabilità morfologica. In genere questa viene identificata, quando si ha una
popolazione di una specie, si ha un certo numero di individui con certi carat-
teri, altri individui con altri caratteri ecc. Proiettando su un diagramma la fre-
quenza degli inidvidui con i diversi caratteri si ottiene una curva unimodale
che rappresenta la frequenza con cui si presenta questo carattere. Curva uni-
modale significa che la frequenza è omogenea e quindi il carattere più fre-
quente è il più identificativo.
Questo generalmente si fa soprattutto in specie con elevata variabilità dei ca-
ratteri morfologici, considerando un insieme di caratteri (non solo uno).
Nelle ammoniti è importante il diametro di massima ampiezza dell’ultima camera, rispetto al diametro massimo
della conchiglia, è importante anche il diametro dell’area ombelicale. Proiettando su un diagramma tutti questi
caratteri e se questi rappresentano una linearità significa che la popolazione è abbastanza omogenea e sto quindi
trattando unìunica specie.

Se ho invece due curve che si ripetono e ritrovo la discontinuità in più


situazioni di quella che ritengo essere la stessa specie, è probabile che
queste siano due specie diverse.

La diversità morfologica però può essere legata al dimorfismo ses-


suale (come gallo e gallina): forme molto distinte tra maschio e fem-
mina. Bisogna quindi fare attenzione a questa discontinuità per evitare
di considerare due specie diverse che in realtà sono solo caratterizzate
da dimorfismo sessuale.

Possonoe ssere presenti anche variazioni morfologiche legate al ciclo vitale


dell’organismo: forme giovanili molto differenti da quelle adulte.
Il fatto di trovare una popolazione, considerando che non sono subentrati
processi tafonomici o selettivi, se vedo che in tutti gli affioramenti in più
successioni si ritrovano sempre popolazioni costituite da una certa morfo-
logia sempre abbinate a forme con un’altra morfologia ci viene da pensare che siano forme in diversi stadi
vitali della stessa specie.

Nomenclatura
Il termine taxon è generico, e fa riferimento ad una categoria tassonomica non specificata, significa solamente
“gruppo”.
Bisogna seguire delle regole di nomenclatura per uniformare il linguaggio nell’attribuzione dei vari nomi alle
diverse specie.
Il nome generico (del genere), il nome specifico (specie) vanno sempre scritti in corsivo, non farlo è un errore
grandissimo, si tratta di rigore scientifico.
Tutte le altre categorie non vengono scritte in corsivo. Accanto al nome della specie va riportato nome di chi
l’ha scoperta e l’anno. Le parentesi vanno messe solo quando c’è stato un cambiamento nel nome della specie,
che quindi ha subito un aggiornamento.
Il nome specifico può essere seguito dal nome della sottospecie.

Inoltre tra il nome generico e quello specifico può essere inserito il nome del sottogenere.

Il phylum finisce sempre per “a”, e anche la classe. L’orgine per “ida” (sottordine in “ina” e la superfamiglia
in “acea”), la famiglia in “idae”, la sottofamiglia in “inae”, il genere spesso è un sostantivo e il nome della
specie è sempre un aggettivo, perciò va concordato con il nome del genere.
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Se a una stessa specie sono stati dati nomi differenti, le due specie sono di fatto la stessa, e questo caso si
chiama “sinonimia” e va attribuito alla specie il nome che è stato attribuito per primo (legge della priorità).
Generalmente nei lavori di sistematica si inseriscono le varie categorie, la specie, e poi tutti i sinonimi, cioè
tutta la storia della specie dalla classificazione ad oggi.

L’omonimia è invece il caso in cui a due taxa viene attribuito lo stesso nome, e poi ci si rende conto che sono
specie diverse.

I nomi delle specie generalmente possono richiamare il nome geografico, una caratteristica morfologica
dell’organismo oppure può avere il nome di una persona importante storica ecc.

Paratassonomia è un sistema della comunità scientifica per poter classificare oggetti che appartengono a degli
apparati scheletrici più complessi e quindi è difficile capire a quale specie quell’elemento possa appartenere.
La paratassonomia quindi non dice il nome della specie cui appartiene il frammento osseo, ma fa riferimento
alle caratteristiche morfologiche di quel singolo elemento. In questo modo li svincoliamo dall’organismo che
li ha prodotti.
È come l’icnologia: le impronte e le tracce di tane sono difficilmente riconducibili alla specie che le ha deter-
minate perché una certa traccia può essere originata da più organismi e inoltre uno solo può fare più tracce.

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4. Poriferi
Sono organismi pluricellulari. Iniziamo con questi organismi perché sono tra i più semplici, anche se poi trat-
teremo anche organismi unicellulari. Questi sono sia tra i più semplici che i più antichi, tra i primi comparsi.
Alcune forme della fauna dell’Ediacara sono state attribuite alle spugne, compaiono quindi dal Precambriano.
Tutte le componenti molli sono di poco interesse ai paleontologi, che si occupano maggiormente della parte
scheletrica.
Soprattutto nel Paleozoico e in alcuni momenti del Cretacico (in cui hanno avuto una grande diversificazione)
compaiono soprattutto in ambiti di ecosistemi di scogliera.
Insieme alle stromatoliti i poriferi sono stati i primi veri biocostruttori.

Sono forme bentoniche sessili filtratrici e possono avere una morfologia molto variabile, essere forme incro-
stanti o erette. La loro caratteristica è lo scheletro costituito da
spicole (spicolare quindi) per la maggior parte delle classi, che
può essere di varia natura.
La struttura delle spugne è semplice, generalmente ha un sacco
con una cavità interna (spongocele) sulla quale si aprono delle
camere flagellate (di coanociti) e da canali che mettono in co-
municazione l’esterno con la parte interna. L’acqua entra dai
fori esterni (ostia) nelle camere ad essi connessi, le cellule ci-
liate assorbono le sostanze nutritive e poi l’acqua viene espulsa
tramite l’osculo centrale.

Il mesenchima (strato gelatinoso interno) è im-


portante perché contiene le sclerociti che produ-
cono le spicole mineralizzate.

3 modelli di struttura:
- Ascon, la più semplice, caratterizzata da
una cavità con degli ostia e dei canali che si aprono all’interno.
- Sycon, formata da più ascon.
- Leucon, insieme di più sycon a formare una struttura caratteriz-
zata da micro strutture che si aprono nella cavità centrale.

(Le parti molli non ci interessano e non sono inerenti alla marteria,
NON SCRIVERLE all’esame)
La parte scheletrica e soprattutto quello che rimane e che quindi an-
diamo a ritrovare nel record geologico è ciò che ci interessa.

Lo scheletro interno, costituito da spicole, può essere di varia natura:


- Organica, costituita da spongina (solfoproteina), come quelle
delle spugne da bagno, difficilmente le ritroviamo nello strato fossile.
- Mineralizzato, con spicole che possono essere presenti o all’interno del mesenchima o organizzate in
modelli più o meno complessi che rappresentano un’impalcatura per le spugne stesse. Le spicole pos-
sono essere essere di natura calcarea (più abbondanti nel passato) o silicea (le più rappresentate attual-
mente nei nostri mari).

Le spicole vengono prodotte dagli sclerociti tramite i processi di biomineralizzazione e si suddividono in:
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- Megasclere (<100 micron)


- Microsclere (>50 micron)
Quindi non le vediamo ad occhio nudo, ma le osserviamo al microscopio: quando la parte molla si decompone
queste si disperdono nell’ambiente e depositano sui fondali.

Oltre alle dimensioni le spicole vengono suddivise in base agli


assi, alla morfologia:
- Monoassone, le più semplici, che si presentano come
aghetti (le più frequenti sono di tipo A)
- Triassone, 3 assi di forma molto variabile e differente in
base all’angolo tra i vari assi.
- Tetrassoni, con 4 assi il cui angolo è molto variabile.
- Poliassone, forme “globose” da cui fuoriescono assi a
mo di aculei.

La parte molle difficilmente si conserva, possono essere rinve-


nute delle pseudoimpronte che alcuni attribuiscono a forme della
fauna di ediacara che possano quindi essere ricondotte a dei po-
riferi ancestrali.

Sono delle forme molto semplici, molto comuni e con range stratigrafico molto ampio: non possono servire
come fossili guida. Dal punto di vista della distribuzione batimetrica le spugne coprono un range molto ampio:
da ambienti molto costieri ad ambienti molto profondi, però le forme calcaree (demosponge) sono sempre state
trovate in ambienti poco profondi spesso associate a microalghe e quindi un ambiente fotico. Le spugne calca-
ree hanno una distribuzione attuale nella fascia equatoriale, cioè nei posti in cui le temperature delle acque
sono tali che la precipitazione del carbonato di calcio sia favorita. Le spugne calcaree sono quindi molto ab-
bondanti nel Cretacico (periodo in cui la temperatura era molto elevata rispetto a quella attuale, senza ghiacci).

Dal punto di vista paleoecologico la loro importanza è legata al fatto che costruivano le scogliere primordiali.
Ci sono stati periodi in cui le spugne erano la parte dominante di questi ecosistemi.

La classificazione vede 3 Classi principali (tutte e tre cambiano dalla parte alta
del precambriano fino ad oggi):
- Demospongea (Cambriano - Attuale) -> , sono le più comuni, 90% di
quelle attuali, hanno spicole di spongina o silicee e si suddividono in spi-
colari e coralline (queste hanno struttura non spicolare ma caratterizzata
da una parte scheletrica costituita dalla sovrapposizione di più strati uniti
da pilastri: ricordano le forme coloniali dei coralli). Comprende forme:
o a scheletro spicolare, generalmente le spicole sono silicee (in passato erano anche calcaree) di
vario tipo e rappresentano un gruppo di forme molto rappresentato sia in ambienti profondi che
costieri.
o spugne coralline con struttura più massiva o anche laminare. Demosponge coralline hanno
invece struttura calcarea con aspetto laminare, talvolta quasi radiale, tant’è che inizialmente
erano stati inseriti in un gruppo coralli. Hanno delle perforazioni sulle superfici molto più simili
alle aperture tipiche delle spugne.

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Sono caratterizzate da struttura di tipo leucon e hanno spicoli monoassoni o tetrassoni, a questo gruppo
appartengono le specie clionidi (forme che colonizzano altri gusci e lasciano dei canali per-
ché con un’attività di tipo metabolico-chimico sciolgono ed abbassano il pH dell’acqua
nell’intorno ed agiscono da agente corrosivo sulle superfici) che lasciano perforazioni e
traiettorie sul guscio di altri organismi. Hanno una morfologia molto irregolare.
Quelle ^ qui sono le demosponge coralline che per molto
tempo sono state considerate dei veri e propri coralli, ma l’as-
senza di setti ha convinto la comunità scientifica a risistemarle
nel taxon dei poriferi.
Le stromatoporidi (a destra ->) sono caratterizzate dalla loro
composizione a lamine e struttura a canali interna (astrorhiza). Queste sono
forme Paleozoiche (importanti dal punto di vista stratigrafico) e terminano con
l’estinzione del Devoniano. Rappresentano delle strutture di biocostruzioni con
struttura laminare con delle strutture trasversali e si caratterizzano dalle superfici
con mammelloni (parti rilevate) e solchi tipici a forma di stella.
<- Queste sono gli Sfinctozoi, si incrostano al substrato (forme sessili) e all’in-
terno della parete si hanno dei canali che richiamano le strutture Leucon. Nel caso dei fossili la ritrove-
remo piena di sedimento, non la si trova come rappresentata in figura. Hanno gusci con camere separate
e canali che sfociano sulla superficie della struttura esalanti e a volte complesse.
- Hexactinellida -> (Cambriano - Attuale), con una tipica forma a vaso o a
sacco, sono forme che troviamo dagli ambienti più profondi a quelli più co-
stieri ed hanno spicole silicee. Hanno grande distribuzione stratigrafica.
Hanno una struttura molto più complessa e in base all’organizzazione delle
spicole si individuano differenti ordini. Esistono 3 principali pattern di orga-
nizzazione spicolare:
o Lyssakida (la più semplice): con spicole che non si saldano ma so-
vrappongono, struttura resistente.
o Dictyda, caratterizzata dalla fusione e giustapposizione delle singole
spicole.
o Lychnischida, la più complessa, detta a lanterna in cui i nodi delle spi-
cole sono composte di una struttura ottaedrica a lantera. Ancora più
robuste.
- Calcarea (Cambriano - Attuale), la più rappresentata nel record fossile, con
forme più o meno globose a sacco e sono tipiche di ambienti caldi, ebbero la
massima differenziazione nel Cretacico (uno dei periodi più caldi) ed hanno una
distribuzione areale geografica confinata alle aree tropicali equatoriali.

Di questo gruppo dobbiamo sapere i caratteri generali e, come in TUTTI GLI ALTRI
GRUPPI, la distribuzione stratigrafica a livello di periodo.

Nei poriferi non ci sono organi o tessuti differenziati, infatti vengono indicati come parametazoi, invece che
metazoi. I poriferi non hanno grande importanza stratigrafica ma paleoecologica perché sono stati nel Paleo-
zoico i primi biocostruttori, erano i rappresentati più significativi ed importanti nelle scogliere.

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Distribuzione temporale nelle ere geologiche.


Nel gruppo dei poriferi appartengono anche le
Archeocianine che inizialmente non erano in-
cluse nel phylum dei poriferi ma erano state
considerate forme più simili agli cnidari, ma non
presentando una struttura complessa come la
loro, sono state riclassificate, essendo filogene-
ticamente più affini ai poriferi. In realtà sono
forme di transizione tra poriferi e cnidari.
Le Archeocianine arrivano a malapena alla fine
del cambriano, la loro massima diffusione è ini-
zio cambriano e cambriano medio, sono ottimi
marker del Cambriano, e sono importanti per la
costruzione della configurazione di determinati
bacini.

Archeo-
ciatidi
Appartengono al phylum dei Poriferi, sono forme fisse, bentoniche sessili
con apparato radicale di fissazione al substrato ed hanno uno scheletro
esterno di natura calcitica.
Non sono forme molto grandi, ma arrivano a 3-4 cm, massimo 10. Ed hanno
la forma tipica a calice.

Non sono forme coloniali ma gregarie (vivono in gruppi) e costruiscono


biocostruzioni.
Lo scheletro è costituito da un apparato basale radicale e da uno scheletro
costituito di parete esterna ed interna tra loro separate da un invervallum e
occupato da una serie di setti ad andamento radiale che sono finemente per-
forati e tutta la parete esterna ed interna è finemente perforata e si affaccia in una parte centrale, la cavità come
nei poriferi (gastrocele). La cosa che li differenzia dalle altre classi di poriferi è la presenza di struttura di varia
forma:
- Dissipimenti, struttura con andamento a mezzaluna che
rafforza la parte angolare dove c’è intersezione tra pareti.
- Tabule, strutture orizzontali.
- Sinapticole, che attraversano longitudinalmente lo spes-
sore, l’intervallum.
Questo ulteriore irrobustimento del guscio è da attribuire alla loro
capacità di adattamento agli ambienti esposti ad altro idrodina-
mismo come le attuali barriere coralline. Questo trend di irrobu-
stimento del guscio si vede anche in altre forme con modalità simili (rudiste ed alcuni coralli).
La loro forma di vita è con l’apertura del calice verso l’alto. Sono spesso stati trovati in associazione con i
cianobatteri, potrebbe esserci quindi una associazione simbiontica.
Sono sempre legate alla zona fotica: buona ossigenazione e buona illuminazione.

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Classificazione molto semplice, si hanno due gruppi che si differenziano per la


presenza o meno di queste strutture (tabuli sinapticule) che partono dagli stadi
giovanili del guscio come irregolari (non simmetrica rispetto alla cavità cen-
trale) o forme regolari in cui queste strutture compaiono in fasi tardive dello
sviluppo, simmetricamente rispetto alla cavità centrale.

Hanno avuto un significato paleoambientale impor-


tantissimo perché sono tra i primi elementi di biocostruzione.

Quando si hanno elementi che nascono da intersezioni di strutture interne ci si rife-


risce a SUTURE, le ornamentazioni sono altre.

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5. Celenterati - Cnidaria
Sono da un punto di vista organizzativo più complessi sia nella parte molle che scheletrica.
La caratteristica fondamentale di questo phylum sono le loro cellule orticanti (da cui prendono il nome): cni-
doblasti (contenenti nematocisti) composti di ciglia sensoriali che se stimolati lanciano un dardo che contiene
del veleno orticante.
La loro altra caratteristica è il polimorfismo: hanno una generazione medusoide sessuata e una generazione
polipoide asessuata che si riproduce per gemmazione.
Le meduse sono forme planctoniche prive di scheletro (a noi interessano solo per le evidenze che ci sono
arrivate come impronte – icnofossili).
Il polipo, forma fissata al substrato, sessile, ci interessa perché
alcune di queste forme hanno uno scheletro (quelle che non lo
hanno sono identificate come anemoni di mare) e si riproducono
per gemmazione. Non hanno organi ma c’è una differenziazione
in tessuti con cellule epiteliali (strato interno -endoderma- ed
esterno -ectoderma-) e la mesoglea gelatinosa. Sono caratteriz-
zate da una cavità centrale, l’enteron, che si apre all’esterno at-
traverso una bocca (disco orale) circondata da tentacoli. Tutte
queste forme sono caratterizzate da cellule sensoriali con la ca-
pacità di permettere all’organismo di svolgere dei movimenti di contrazione e dilatazione.

Nel polipo la parte orale è rivolta verso l’alto, nelle meduse l’apparato boccale è rivolto verso il basso e la parte
aborale è rivolta verso l’alto.
Questa modalità di vita è legata alla capacità di sfruttare al massimo la maggiore quantità di sostanze nutritive
ed è legata al fatto che una generazione è sessile, l’altra capace di muoversi.

Negli Antozoi (una classe degli cnidari) la struttura è pià complessa, l’apparato boccale è caratterizzato da una
faringe ciliata circondata da questi tentacoli e l’interno dell’enteron (cavità gastrovascolare) è caratterizzata da
pieghe simmetriche a disposizione radiale su cui crescono i setti (struttura scheletrica).

Cnidari comprendono forme solitarie (le troviamo nel record fossile paleozoico) e coloniali (che compaiono
dal triassico e arrivano fino a noi).
Possono avere uno scheletro di tipo chitinoso (costituito da collagene) o da calcite (nella maggior pate dei casi)
che può essere aragonite o forma stabile.
Le forme coloniali hanno una struttura con una serie di polipi uniti tra loro da una cenosacca, con cellule che
producono calciblasti (carbonato di calcio) e concorrono alla biomineralizzazione dello scheletro, e viene chia-
mato cenosarca, mentre coralliti sono i singoli polipi.

Generalmente le zooxantelle (le forme simbionti) si organizzano nell’endoderma mentre nell’ectoderma


esterna ci sono le nematocisti che producono la sostanza orticante.

Scheletro

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C’è un disco basale caratterizzato da una lamina basale su cui si accresce


il polipo e quindi tutta la struttura molle nella quale sono presenti queste
pieghe su cui si accrescono i setti, sia in verticale che in orizzontale (quelli
verticali vanno poi ad unirsi e costituire una sorta di muraglia esterna).

Man mano che il polipo cresce si creano pavimenti orizzontali: replicazione


del disco orizzontale che si ripete durante il ciclo di crescita del polipo e
sono elementi trasversali ai setti stessi.

Gli Cnidaria sono complessi dal


punto di vista della filogenesi: sono stati fatti vari aggiustamenti. Quella
che vediamo ora è una classificazione semplificata che prevede le forme
importanti dal punto di vista paleontologico e paleoecologico.
Gli octocoralli presentano delle parti molli nel guscio che vengono di-
sperse alla morte dell’organismo (poco significato paleontologico).

Nel testo che abbiamo non sono incluse Protomeduse e Dipleurozoa,


che sono forme medusoidi che ci sono pervenute come icnofossili e sono
state rinvenute anche nella fauna di ediacara, che alcuni ritengono che
parti di queste forme siano gli antenati dei celenterati che arriveranno
poi nel paleozoico. Altri ritengono che non abbiano un rapporto filoge-
netico. Noi le inseriamo nelle cnidaria per semplicità. Sono forme che ci
arrivano come impronte e sono completamente estinte e addirittura pre-
cambriane o cambriane: non arrivano neanche alla prima estinzione del
Paleozoico (tardo Ordoviciano).
Abbiamo poi gli Scyphozoa (scifomeduse) a cui molti studiosi fanno rientrare anche i conularidi (con guscio
piramidale rovesciato, forme medusoidi che non hanno evidenze nel record fossile se non una forma ritrovata
nei sedimenti del carbonifero).
Hydrozoa non hanno scheletro (hanno due ordini importanti: milleporina e stilasterina, noi faremo solo mille-
porina, forme coloniali con scheletro carbonatico).
Anthozoa, la classe più importante con due sottoclassi: Ottocoralli (importanti perché molte forme sono vi-
venti), e Zoantharia (quelli che dobbiamo ricordare di più, i più importanti sia dal punto di vista stratigrafico
che paleoambientale, e comprendono i rugosa -solitarie-, scleractinia -coloniali- e tabulata -coloniali-: questi
tre vanno ricordati). I Rugosa sono estinti e non superano la crisi del permo-trias.
Le Scleractinia compaiono alla fine del Triassico, riescono a superare le crisi successive e sono le forme più
comuni che troviamo attualmente come biocostruzioni.

Protomedusae
Non hanno parte scheletrica con guscio polipoide, ma hanno dei lobi che li caratte-
rizzano, con una cavità centrale e a noi arrivano come impronte (immagine in basso
a destra) che vengono ricostruite.

Vanno dal Precambriano (fauna dell’ediacara) e arrivano all’Ordoviciano al mas-


simo.

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Scyphozoa
Comprendono le meduse, forme prevalentemente medusoidi, ci sono
pervenute sotto forma di impronta.
Compaiono nel Cambriano ed arrivano ad oggi, le più comuni meduse
che troviamo oggi.

Hanno guscio non calcitico ma chitino-fosfatico, che attraverso i pro-


cessi di mineralizzazione sono arrivati fino a noi. Hanno un aspetto
piramidale con un apparato radicale (peduncolo) con cui si fissano al
substrato e la parte orale ha un aspetto subquadrato-rettangolare con
spigoli che ricordano una piramide.

Cubozoa
Sono caratterizzati da un aspetto subquadrato e comprendono le meduse più velenose attuali.

Hydrozoa
Gli unici cnidari anche di ambiente dulciacquicolo. Si ha un’alternanza di forme medusoidi e polipoidi. Il loro
scheletro a differenza degli altri cnidari è chitinoso, raramente calcare, e può arrivare sotto forma di scheletro
calcareo soprattutto attraverso i processi tafonomici.

Come detto comprendono due ordini: milleporina e stilasterina.


Milleporina, forme coloniali con scheletri arborescenti che sono stati molto
studiati e si caratterizzano per la struttura interna complessa: ci sono varie
tipologie di pori e canali interni con varie funzioni:
- Dattilopori per la difesa
- Gastropori con polipi atti alla nutrizione
- Ampullae, caratterizzate da piccole sacche dove risedevano forme me-
dusoidi atte alla riproduzione.
Presentano quindi differenziazione sia delle parti molli che scheletriche all’in-
terno della colonia stessa.
Sono forme che vivevano in ambiente di acque molto basse ed hanno avuto la
massima diffusione nel Cretacico (molto caldo) ed alcune forme sono presenti ancora oggi, ma molto meno
abbondanti rispetto al cretacico.

Anthozoa
La classe più importante, che comprende due sottoclassi: Octocoralli e Zoantari. La maggior parte di queste
forme ha simmetria radiale e si caratterizzano per avere una crescita dei setti in multipli di 2. La maggior parte
degli cnidari fossili appartiene a questa classe in quanto lo scheletro è normalmente calcificato. Si ritiene si
siano originati nel Cambriano da organismi a corpo molle sopravvissuti all’estinzione della Fauna di Ediacara.

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Octocorallia
Non presentano un vero e proprio scheletro ma hanno scleriti all’interno del polipo che
quindi una volta morto si disciolgono nel sedimento e non rimane altro dello scheletro:
le forme fossili sono rarissime. Sono esclusivamente coloniali e i polipi presentano 8 me-
senteri (simmetria ottamera) che si prolungano in altrettanti tentacoli.
Molte forme attuali appartengono a questo gruppo.

Negli octocorallia appartengono ordini che si sono diversificati e sono comuni nei mari
attuali, come l’ordine stolonifora con genere tubipora (1), heliopora (corallo blu, 2) e
soprattutto la gorgonacea (corallo rosso, 3).

Zoantharia
Tabulata, coloniali, con strutture molto resistenti e massicce che però subirono una grande riduzione
nell’estinzione del devoniano (arriano al Permiano ma la maggior parte delle forme si estinguono prima).
Rugosa, con superfici esterne con escrescenze e danno aspetto rugoso a questi coralli. Forme solitarie (alcune
coloniali) e vanno dall’Ordoviciano al Permiano (massima diversificazione nel devoniano).
Scleractinia (esacoralli) che arrivano fino ad oggi anche se nel passaggio KT (fine cretacico) si è perso il 45%
delle specie.

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Le forme isolate hanno una forma conica, abbastanza cilindrica, e si presta


meglio a determinati ambienti. Quella che noi chiameremo evoluzione paral-
lela (o di convergenza) perché è l’ambnietnte che spinge allo sviluppo di mor-
fologie simili di forme che non hanno origine da un antenato comune (analo-
gie).
Secondo è molto importante l’angolo apicale, elemento per la classificazione
sia a livello generico (più che specifico). In base all’angolo apicale abbiamo
forme cilindriche, forme ceratoidi (angolo apicale piccolo 20°), scolecoide
(aspetto cilindrico ondulato non retto), trocoide (con cilindro a sviluppo longi-
tudinale limitato), turbinato (con angolo apicale a 70°), discoidale (forme
piatte) e patellato (angolo apicale di 120° con scarso sviluppo verticale, abba-
stanza schiacciate e larghe).

Indipendentemente dall’apice, ci sono forme inoltre cupuloidi (a forma di cu-


pola), flabellate (a forma di ventaglio), piramidale (a forma di piramide a base quadrata),
calceolide (a differenza delle altre forme ha un opercolo che chiude la struttura a forma
di sandalo orientale, è una psecie importante dal punto di vsta stratigrafico proprio del
paleozoico), cuneiforme (a forma di cuneo).

Struttura
Teca esterna con ondulazioni che presentano i setti interni al guscio,
c’è una zona apicale e una fossula cardinale che si forma a seguito
della particolare crescita dei setti stessi.
La muraglia crea creste sulla superficie esterne, può essere caratte-
rizzata da unione di tanti elementi. La teca esterna può arginare i setti,
che non oltrepassano il limite della muraglia.
I setti possono essere semplici, elaborati, o dati appunto dalla fusione
di più elemento con aspetto di una struttura molto forata.

Altri aspetti morfologici in alcune specie sono dati dal rafforzamento


della parte estenr a del setto che da luogo a delle strutture di margine
ispessito nella parte esterna. Ci possono essere strutture laminari che
non sono veri e propri setti ma si formano tra i setti.

Forme coloniali hanno grande varietà morfologica basata sulla disposizione dei singoli polipi all’interno della
colonia.
- Facelloide con strutture delle pareti separate
- Dendroide, con pareti attaccate
Ecc.

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Ordine Rugosa (tetracoralli)


Dal punto di vista dello scheletro, due tipologie:
- Strutture assiali
- Strutture orizzontali
Lo stadio di crescita del corallo si evidenzia da anelli concentrici che rappresentano lo stato di crescita.

Vanno dall’Ordoviciano inferiore fino all’estinzione Permo-Trias.

Gli elementi interni formano la base della classificazione dei Rugosa e


sono di due tipi: setti e strutture assiali ed elementi orizzontali: tabulae e
dissepimenti. I Setti maggiori sono inseriti in quattro posizioni e i setti
minori più corti inseriti tra i maggiori.
La parete esterna del corallo è ricoperta da una sottile pellicola di calcare,
detta epiteca rugosa, che si estende dall’apice verso le parti distali o ca-
lice, dove gli elementi scheletrici interni del corallite sono esposti. L’epi-
teca inizia a formarsi quando il giovane polipo si salda al substrato per
mezzo di un disco basale. La crescita successiva avviene per anelli con-
centrici che si aggiungono alla periferia del disco. Gli anelli di accrescimento si alternano a periodi di stasi
nella crescita che rimangono visibili sull’epiteca. L’epiteca può presentare striature verticali costituite da creste
e solchi che corrispondono ai setti e agli spazi intersettali.

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Pattern di accrescimento di questi setti è l’elemento più importante dal punto di vista morfologico e quindi
paleontologico nella guida alla calssificazione di queste forme.
- 1 step: formazione di due setti cardinali “c” e “k” che dividono la parte interna in due parti uguali
- 2 step, formazione di due setti alari “a” che crescono fino a poggiarsi com-
pletamente al setto cardinale c.
- 3 step, compaiono due setti controalari, opposti a quelli alari, che si pog-
giano al setto opposto a quello cardinale c, il controsetto k.
- 4 step, man mano che cresce il corallo i 4 setti, cardinale e controsetto, ten-
dono a separarsi tra loro perché cresce la cavità centrale.
- 5 step, nel frattempo si formano altri due setti secondari che si poggiano su
quelli alari e controalari.
- 6 step, man mano che cresce questi setti secondari si appoggiano sempre
più a quelli controalari finché si forma una fossetta cardinale e due laterali
secondarie.
La struttura di un tetracorallo adulto è quella finale, caratterizzata da una serie di
setti che si accrescono in cicli di 2 alla volta e vanno a creare uno spazio (fossetta centrale cardinale) e due
alari: struttura caratteristica dei Rugosa tetracoralli. Nel caso in cui fosse possibile vederli, nell’identificazione
dei vari coralli, dobbiamo controllare la presenza o meno di setti e la loro disposizione.

Le lettere sono formali usate per descrivere la morfologia di queste forme ed è standard, usata da tutti. Lo
studioso ricercatore che vede la rappresentazione di una forma che sa che con C si indica il setto cardinale, K
controsetto, A i setti alari ecc.

La presenza di setti deve guidarci soprattutto nel caso in cui ci siano re-
perti che sembrano simili per effetto di questa convergenza evolutiva che
si forma in numerosi organismi che sembrano tutti uguali: l’individua-
zione dei setti è fondamentale, se ci sono setti allora sono cnidari -co-
ralli-, se non ci sono è un altro organismo (spugne ecc.).
L’apparato apicale è attaccato al substrato, l’apice disposto in direzione
opposta alla corrente.

Sono forme prevalentemente solitarie ma ci sono anche forme coloniali,


che possono avere una struttura molto diversificata, tipologie abbastanza massicce.

Caratteri importanti per la loro classificazione:


- Caratteristica fondamentale sono i setti che si accrescono in cicli di 4.
- Angolo apicale che determina la morfologia di queste forme.

Altri caratteri importanti ma non molto visibili sono la morfologia di questi setti, che possono essere:
- Laminari, dati dalla fusione di strutture verticali
- Acantinati, che sono unite solo nella parte centrale interna,
- Amplexoide, si sviluppano sopra le tabule (elementi trasversali).
- Lonsdaleoidi, con ispessimenti dati dalla fusione dei dissepimenti.
- Retiformi, costituiscono una struttura a forma di rete
- Dilatati, in cui la dilatazione riguarda la parte periferica e tendono a restringersi verso la parte centrale.
- Carinati, in cui i setti (superifci verticali) attraversati da ispessimenti diagonali o verticali.
- Rhofaloidi, a forma di batone dilatati assialmente.

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Possono esserci inoltre dei setti minori, delle strutture appena accennate, una sorta di “spinette” (tagliando il
corallite trasversalmente). Sono ispessimenti tra setti che percorrono tutto il corallite.

Ci sono anche le Columelle, generalmente in posizione cen-


trale, che sono uno spazio che può avere l’aspetto di un vortice
dato dall’unione della parte centrale dei setti spiralata, oppure
costituita da un ispessimento centrale dei setti stessi, oppure
può essere completamente vuota per cui i setti si fermano e non
si sviluppano nella porzione centrale. Talvolta si possono tro-
vare strutture assiali orizzontali.
La columella la ritroveremo anche nei gasteropodi (una sorta
di canale centrale) e sono molto importanti per l’identifica-
zione.

In molti casi si può identificare là dove c’è un ispessimento dei dissepimenti (piccole piastre incurvate e globose
tra loro disposte alla periferia del corallite) eccessivo una zona indicata come stereozona (area di maggior
addensamento di depositi).
La zona in cui sono concentratii dissepimenti è la porzione periferica, come se i setti si interrompessero e non
arrivassero alla parete esterna del corallite.
Questa zona è caratterizzata oltre alla presenza di setti a questi elementi carbonatici che rinforzano il guscio.

Accrescimento dei rugosa.


Avviene sempre per gemmazione: la medusa nelle forme a generazione alternata (sessuata e asessuata) è quella
che si riproduce sessualmente, i polipi per gemmazione.
Vari tipi di gemmazione:
1. Assiale, in cui il polipo si accresce in verticale e lo spazio occupato
dal polipo figlio è quello più alto.
2. Periferica, in questo caso si sviluppa una sorta di colonia perché la
forma che fa gemmazione continua a vivere e i figli quindi non si
staccano mai.
3. Laterale, in cui le crescite danno luogo a coralli ramificati.
4. Intermurale, che per esempio si possono avere in colonie in cui i co-
ralliti sono a contatto tra loro e il contorno del singolo corallite viene
completamente meno (non esiste) e si creano gemmazioni tra un co-
rallite e l’altro.

I rugosa sono molto importanti tra le forme solitarie (DA RICORDARE), in partico-
lare:
- Una forma aberrante subtriangolare con setti che sono appena accennati e non
si sviluppano fino alla parte centrale ed ha questa forma a sandalo orientale
caratterizzata da un opercolo. Presenta setti molto ridotti (caratteristica loro),
la calceola è un marker stratigrafico importante.
- Altra forma con setti sviluppati ben visibili che non occupano tutta la parte centrale. Marker
del siluriano: i goniophyllidae.

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Ordine Tabulata
Sono coralli coloniali molto massicci laminari con eccessivo svi-
luppo di strutture trasversali (orizzontali), le tabule. Hanno un
aspetto “a ventaglio” o a catenella (uno dei criteri più utilizzati per
il riconoscimento) in cui i singoli polipi si trovano allocati in delle
camerette. All’interno dei coralliti c’è quindi una serie di tabule che
caratterizza tutto l’ordine. Sono vissuti durante tutto il Paleozoico dall’Ordoviciano
al Permiano, estinti con l’estinzione permo-trias.

Tabulata: coloniali.
Rugosa: solitari.
Entrambi non superano la crisi Permo-trias (i Ru-
gosa neanche ci arrivano).

I costruttori di barriera erano principalmente tabu-


lata (i rugosa no) e le spugne (soprattutto carbonatiche a scheletro calcareo, che erano i costruttori primari).

Ordine Scleractinia
Compaiono nel Triassico ed hanno attualmente uno scheletro aragonitico ma a noi arrivano nel record geolo-
gico sotto forma di calcite. Forme sia coloniali (prevalentemente)
che solitarie e possono vivere in simbiosi con le zooxantelle o
meno. Quelle che non vivono in simbiosi sono le forme solitarie
che vivono in ambienti più profondi. I coralli non sono esclusiva-
mente tipici di ambienti caldi e di determinate latitudini: solo un
certo gruppo di coralli vive in queste condizioni, perché esistono coralli che vivono molto in profondità e anche
ai poli.

Si differenziano dai rugosa perché mentre i rugosa si accrescono in cicli da 4, qui l’accrescimento è in cicli di
6. Oltre a questo fatto ci sono altri parametri considerati nella classificazione:
- Presenza di sinapticule
- Presenza di tabule
- Il tipo di colonia che viene diversificata, gli esacoralli hanno morfologie coloniali molto più diversifi-
cate

L’accrescimento dei setti è diverso:


- I primi setti primari compaiono simultaneamente e rappresentano i setti di primo ordine, poi successi-
vamente il secondo ordine prevede 12 setti, poi 18 setti (primari, secondari e terziari ecc.)

Per ordine si intende l’accrescimento temporale, il ciclo si deduce dal numero di setti presenti.
I setti non sono generalmente forati, e possono avere varie forme e sviluppi e influenzano la parte periferica
esterna del corallite (epiteca) che può essere:
- Epitecale, con uno strato lamellare fibroso che connette la parte periferica dei setti

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- Septotecale, formato da una saldatura periferica dei setti per contatto diretto o per ispessimento del
margine esterno
- Parapecale, formato dalla fusione dei dissepimenti periferici
- Sinatticolotecale, dato dalla fusione delle sinatticole nella parte periferica
Tipi di columella:
- Trabecolare, riguarda i setti primari che si sviluppano fino alla parte centreale e talvolta si fondono.
- Papillosa, caratterizzata dal fatto che i setti sono dati da dei lobi la cui unione costituisce la columella
- Lamellare, in cui le lamine si fondono nella parte centrale e quello che vediamo è una struttura oriz-
zontale
- Stiliforme, con un unico pilastro dato da un ispessimento della parte centrale dei setti primari.

Le colonie sono molto diversificate, oltre alle forme dei rugosa troviamo altre 3 tipologie di strutture di colonia:
- Plocoidi in cui i singoli coralliti sono separati dal coenestum.
- Meandroidi, in cui i coralliti sono disposti in serie più o meno allungate e danno luogo a dei meandri.
- Idnoforoidi, in cui i coralliti si dispongono e accrescono in zone rilevate della colonia tipico loro.

Generi da ricordare:
gli scleractinia non hanno
grande improtanza stratigra-
fica, i rugosa e i tetracoralli
molto di più.
Sono presenti nel Triassico e
superano la crisi del creta-
rico-terziaria e arrivano fino a
noi. Possono avere impor-
tanza perché ci sono forma-
zioni a livello di bacino locale
molto ricche in questi coralli.
Abbiamo:

PALEOECOLOGIA

Nel Cretacico erano i costrut-


tori di scogliera principali. Diminuiscono nel Paleocene verso il Pleistocene in cui subiscono una sostanziale
riduzione dovuta alle glaciazioni. Nell’Olocene poi aumentano nuovamente e si diversificano soprattutto nella
regione indopacifica e caraibica. La differenza tra le due è legata al fatto che la indopacifica è molto più diver-
sificata (non solo per i coralli, ma in tutti i phyla, l’area indopacifica è uno degli hotspot di biodiversità più
importanti ora e nel passato). Anche la presenza di isolotti nel pacifico e indiano favorisce lo sviluppo di forme
endemiche non solo nelle aree emerse ma anche nelle acque circostanti. Inoltre nel pacifico ci sono gli atolli in
mare aperto legata allo sprofondamento di un’area vulcanica, mentre nei caraibi c’è una piattaforma carbona-
tica più vicina al continente. Insomma, c’è un insieme di fattori ambientali che incidono.). Le forme ahermati-
piche (non dipendono dalle zooxantelle) non sono legate a vincoli di luminosità, temperatura e salinità molto
restringenti, il che li rende ottimi fossili utili per le ricostruzioni paleoambientali: più sono vincolate e meno
generaliste e più possono essere usate nelle ricostruzioni paleoambientali.

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Le prime Scleractinie compaiono nel Triassico medio in Europa con specie hermatipiche che vivono in banchi
formando delle vere scogliere. Nel Triassico superiore hanno distribuzione mondiale comprese tra 60° N e 10°
S.
Nel Giurassico le scogliere sono comprese tra 50° N e 5° S. Vi fu una grande diversificazione con sviluppo di
estese scogliere nella Tetide. Compaiono anche i primi coralli ahermatipici.
Nel Cretaceo le scogliere sono comprese tra 50° N e 37° S. Vi furono fasi alterne di sviluppo e regressione.
Grande fu la diffusione delle specie ahermatipiche.
Nel Cenozoico si differenziano le due province faunistiche attuali per i coralli di scogliera: Caraibica e Indo-
pacifica.

La morfologia delle singole colonie ci da indicazioni dell’ambiente in cui si sono sviluppate:


- La posizione,
o la zona di avanscogliera è caratterizzata da una ---
o retroscogliera prevalgono forme molto massive o forme ramificate
o zona di flat in cui c’è una lamina d’acqua, vediamo forme molto
schiacciate ed allargate.
Queste morfologie sono condizionate anche dall’intensità della luce.
L’aumento della luce tende a far sviluppare forme più schiacciate e allar-
gate. Anche l’idrodinamismo: con l’aumentare del moto ondoso preval-
gono forme incrostanti e poco erette, o forme massive lobose più robuste.
Tasso di sedimentazione: quando è molto basso si hanno strutture poco
ramificate, quando è molto alto l’organismo tende a crescere verso l’alto
per non essere sepolto dai sedimenti.Anche l’esposizione all’ambiente
subaereo: le forme che vivono nella parte superficiali sono esposte e più
piatte quindi.

Quando si trova un affioramento di coralli quindi la forma (generalmente sono


forme autoctone, valore aggiunto che questi organismi forniscono: al massimo si
hanno dei frammenti alloctoni, ma la biocostruzione di per sé è sempre autoc-
tona) è molto importante perché consentono ricostruzioni paleogeografiche
molto importanti.

In generale comunque possono vivere a tutte le latitudini e profondità:


- le forme solitarie si trovano più frequentemente in acque profonde, anche molto fredde
- le forme coloniali trovano il loro ambiente ideale nelle acque basse dei mari tropicali

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6. Briozoi
I briozoi come le spugne hanno assunto grande valenza dal punto di vista paleoambientale soprattutto in am-
biente di scogliera: essendo fortemente influenzati dai parametri ambientali sono ottimi indicatori ecologici e
paleoecologici. Dal punto di vista stratigrafico, invece, non hanno grande rilevanza in qunto molte specie
hanno grande distribuzione temporale.
I briozoi erano gli incrostanti (leganti) che trattenevano il sedimento e davano stabilità alla scogliera, ed ave-
vano un significato ed una posizione dominante rispetto agli esacoralli che compariranno soltanto nel Triassico.
I briozoi sono forme coloniali, colonie abbastanza piccole, sono molto diversificati (nel record fossile sono
oltre 17000 fossili), e sono caratterizzaati dalla presenza di un Lofoforo (organo caratterizzato da delle ciglia
che può essere estratto e retratto attraverso dei muscoli retrattori che sono tipici del cistite -nicchia in cui prende
posizione l’organismo-) con funzione respiratoria e nutriozionale. Sono tutte forme sospensivore, con le ciglia
creano delle microcorrenti che convogliano l’acqua e le sostanze nutritive verso la bocca.

La colonia viene identificata come Zoario, il singolo briozoide è detto Zooide, la parte scheletrica è carbonitica
o calcitica ed è caratterizzata da Zoeci (in cui prende posizione lo zooide) o Cistite. Tutti i vari Zoeci sono
collegati tra loro tramite un canale, il sifunculo.
La posizione dell’ano e della bocca sono importanti per la classificazione. Hanno una morfologia ad U, ma a
differenza dei poriferi qui c’è una differenziazione dei tessuti e degli organi e sono quindi abbastanza com-
plessi. Hanno un intestino, un ovario ecc. anche le la crescita nella colonia si verifica per gemmazione. La
colonia nasce da una larva che si forma sessualemnte da due colonie parentali che viene liberata, attratta dal
buio si fissa su un substrato duro e si accresce per gemmazione.
A seconda se l’ano sfocia o meno nel lofoforo individua due classi ben precise.

La colonia è caratterizzata da una differenziazione dei Cistiti


(zoidi) atti alla respirazione (con lofoforo) ed altri addetti ad
altri funzioni (eterozoidi) che non hanno il lofoforo.
La forma della colonia è molto importante perché appunto
molto diversificata (colonie incrostanti, massive, erette, ra-
mificate o meno, fungiformi ecc.) e sono strettamente corre-
late all’ambiente idrodinamico, caratteristica fondamentale
dal punto di vista paleontologico. La morfologia della colo-
nia dà informazioni sul grado di idrodinamismo e permette
di ricostruire la morfologia della scogliera stessa.

La disposizione degli zoeci ci permette di capire la direzione


di accrescimento della colonia, cui la larva ha dato inizio.
Anche la forma e l’ornamentazione della zona frontale del
singolo zoecio è molto variabile. L’ornamentazione (strut-
tura della forma dell’opercolo) è molto importante per la
classificazione.
Per quanto riguarda la classificazione a livello specifico una
volta i briozoi venivano divisi in due grandi gruppi in base
alla posizione dell’ano rispetto al lofoforo:
- Entoprocta, ano si apre internamente, comprende
forme con guscio organico che difficilmente si conservano allos tato fossile.
- Ectoprocta, ano fuori dal lofoforo ed hanno uno scheletro aragonitico o calcitico.

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I briozoi sono tutte forme marine, almeno quelle a guscio carbonatico (quelle a guscio calcareo possono vivere
anche in acque dolci).

A parte la suddivisione in ectoprocti ed endoprocti, ci sono 3 classi: Phylactolaemata (endoprocti, non si con-
servano) e Stenolaemata (generalmente non hanno un opercolo e hanno un aspetto ramificato e compaiono a
livello stratigrafico in range elevati -sono poco indicativi dal punto di vista biostratigrafico-) e Fimnolemata.

Stenolaemata
Trepostomata (forme massicce molto simili alla superficie di una spugna e si riconosce andamento e struttura
della colonia) e cryptostomata (condelle colonie che sembrano un ventaglio e la colonia è caratterizzata da
stoloni uniti da elementi trasversali -aspetto reticolato-) sono due forme paleozoiche.

Sempre dell’ordine cryptostomata, importante dal punto di vista stratigrafico, è il genere Archimedes, la cui
morfologia è caratterizzata da uno stolone centrale con dei ventagli laterali, e quello che rimane allo stato
fossile è la struttura centrale che sembra un trapano ed ha dimensioni notevoli (vari cm), ed è tipica del paleo-
zoico superiore, permo-carbonifero e non oltrepassa la crisi del Permo-trias.

Forme tipiche del paleozoico: stromatoliti, poriferi, alcuni coralli e alcuni briozoi.

Ricapitolando
Dal punto di vista paleontologico non sono estremamente importanti ma fanno parte insieme ai Brachiopodi
degli organismi con Lofoforo (che crea correnti per convogliare le sostanze nutritive, nei brachiopodi serve
anche come allocamento delle larve). Tranne alcuni casi particolari (paio di generi del paleozoico) partono dal
cambriano e arrivano fino ad oggi. Sono molto importanti dal punto di vista paleoambientale e paleoecologico
perché rappresentano una delle categorie fondamentali negli ecosistemi scogliera. Soprattutto la morfologia
coloniale è importante perché ci dà indicazioni circa l’idrodinamismo. Anche la t° può avere effetti sui briozoi:
basse t° inducono a dimensioni piccole per risparmiare nei processi di biomineralizzazione (precipitazione di
carbonato di calcio inibita dalle basse t°). Essendo organismi calcificatori sono sensibili all’acidificazione,
anche se sono molto resistenti e dominano l’associazione in-
sieme alle alghe coralline. Le forme incrostanti con struttura
retiforme sono i più resistenti ad un alto grado di idrodinami-
smo, mentre colonie con morfologie più frondiformi delicale
si trovano in ambienti più tranquilli (generalmente in retro-
scogliera o nella parte sottostante la rottura dell’onda anche
se in questo caso tendono a svilupparsi arealmente più che
verso l’alto perché molte di queste sono simbionti e cercono
di fruire al massimo della luminosità).
Dal punto di vista della distribuzione batimetrica i briozoi
sono prevalentemente costieri e di piattaforma, ma ci sono an-
che a profondità elevate a tutte le latitudini.
Nella successione Laziale-Abbruzzese del Miocene (verso la
fine del cretacico) si ha una successione di mare poc o pro-
fondo “Calcari a briozoi e litotamni” caratterizzata da questa associazione che la rende abbastanza distinguibile,
ha uno spessore di centinaia di metri (sotto Pietrasecca, vicino Carsoli).

ECOLOGIA
I bryozoa sono diffusi soprattutto nella zona infralitorale (essendo per lo più organismi sciafili) con substrato
roccioso, elevato idrodinamismo delle acque ed acque ben ossigenate sebbene alcuni generi abbiano una pre-
ferenza per ambienti più calmi.
La maggior parte vive a profondità compresa tra i 10 e 500 m ma attualmente si sono rinvenuti a profondità di
8300 m nel Pacifico. Al di sotto dei 700 m si riducono notevolmente. Si rinvengono a tutte le latitudini.
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Si rinvengono in facies calcaree o calcarenitiche. Hanno una grande diffusione geografica e si adattano ad
ambienti molto variabili dal tropicale al freddo.
Fattori che controllano la loro distribuzione:
- Temperatura: varzioni della grandezza degli zooidi
- Idrodinamismo delle acque: forma della colonia
- Necessitano di un supporto su cui aderire
- Sensibili all’acidificazione

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7. Brachiopodi
Importanti nel Paleozoico, nel Triassico hanno avuto un grande calo (crisi del permo-trias) e poi arrivano fino
a noi. Di più di 17.000 specie conosciute nel fossile oggi ne sono vive 7-800.
A prima vista sembrerebbero dei bivalvi ma si caratterizzano per il piano di simmetria
che non coincide con il piano di chiusura delle valve, ma è ad esse ortogonale (al con-
trario dei bivalvi). Sono forme generalmente sessili capaci di fare piccoli spostamenti,
possono essere fissati con un peduncolo al substrato o avere una valva cementata al
substrato.

Anche loro hanno un lofoforo (sono quindi sospensivori).


La conchiglia è caratterizzata da due cavità interne:
- Cavitù del mantello, con il lofoforo nella porzione anteriore, in
cui si chiude la valva (da orientamento all’animale).
- Cavità viscerale con tutti gli organi dell’organismo, nella zona
posteriore, quella da cui fuoriesce il peduncolo.

I brachiopodi sono caratterizzati da una differenziazione di organi: sono presenti infatti stomaco, intestino (che
sfocia vicino al lofoforo), nefridi, gonadi e bocca
Il lofoforo serve anche per l’apporto di ossigeno.

Oltre a distinguere una parte anteriore e una posteriore bisogna distingure la valva superiore (ventrale) da quella
sottostante (dorsale):
- Valva dorsale, che supporta e contiene il lofoforo
- Valva ventrale, che è quella che supporta il peduncolo

La cavità del mantello presenta delle protuberanze con cui penetra lungo le pa-
reti della conchiglia creando dei canali che lasciano sul modello interno della
conchiglia delle impronte importanti per la classificazione perché tipiche di de-
terminate specie.

Il lofoforo è tipicamente supportato da


uno scheletro che lo sostiene (il brachidium, la valva che ha questo sup-
porto è la dorsale). La presenza di questa struttura è quello che determina
l’ampiezza di queste valve.
Il lofoforo generalmente passa da stadi giovanili a stadi adulti, ma questo
sviluppo si riflette anche nelle linee evolutive dell’intero gruppo: Le
forme più semplici hanno dei supporti con lofoforo quindi molto sem-
plice, che poi diventa più complesso con la crescita dell’organismo.
Quello che interessa
noi è la forma del supporto che sostiene il lofoforo che è ciò
che rimane come testimonianza fossile, e può essere -->
Il peduncolo può anche non essere presente, ed è una strut-
tura di natura organica generalmente con una cuticola di ori-
gine chitinoso, che fissa al substrato (non solo su fondali
rocciosi o sabbiosi, ma anche nei rizomi delle posidonie,
sulle foglie ecc. purché la superficie sia resistente: qualsiasi supporto in cui lui possa attecchire).

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In alcuni casi il peduncolo quindi fuoriesce direttamente dall’apertura delle valve, invece che da un foro (che
invece è presente nella maggior parte).

Brachiopode trovato dalla prof. Di Bella con un peduncolo che fuoriesce dal
foramen e che è molto resistente e sembra quasi una protesi carbonatica del
guscio. L’analisi attuale su questa struttura ci dà un picco molto alto in car-
bonio il che indica sostanza organica (analisi che permette di individuare al
microscopio elettronico componenti o come ossidi o come singoli compo-
nenti, che quindi non ci dice che minerale è, ma solo di cosa è composto).

Le dimensioni dei brachiopodi possono essere molto piccole oppure soprat-


tutto nel paleozoico superiore dimensioni più grandi che possono arrivare a qualche centimetro.

Altr aimpoertante struttura muscoalre oltre al peduncolo (che non può essere considerato un muscolo in quanto
è una struttura molle che è invece supportata da veri e propri muscoli peduncolari che ne determinano lo spo-
stamento) è molto complessa e consentono a questi organismi di aprire e chiudere le valve e slittare sul piano
in cui si trovano: prima la classificazione era basata sulla complessità del sistema muscolare in quanto alcuni
generi hanno proprio la capacità di slittare. Il sistema muscolare prevede dei muscoli abduttori che determinano
la chiusura della valva (quando contratti) e muscoli invece adduttori che quando contratti aprono la valva.
Sono importanti dal punto di vista paleontologico perché lasciano impronte anch’esse importanti ai fini della
classificazione.

CONCHIGLIA
Qualsiasi conchiglia va analizzata esternamente e internamente.

Esternamente:
Il peduncolo fuoriesce al di sotto di una zona prominente (umbone) presente
in tutte e due le valve, solo che in quella ventrale è molto più sviluppata perché
c’è il foramen. Sia la valva dorsale che brachiale hanno ornamentazioni che
possono essere concentriche o radiali, e quando sono presenti tutte e due si
dice che l’ornamentazione è cancellata.
Il piano di commissura può essere molto articolato.
Bisogna osservare l’area sotto i lomboni, molto importante perché presenta
strutture che variano da specie a specie.

Internamente:
Bisogna vedere l’impronta muscolare e la presenza del brachidium.

Forma della conchiglia


Caratteristiche esterne
Cose che dobbiamo osservare è la morfologia delle valve rispetto al piano di commissura. Quello che deter-
mina se una conchiglia ha una determinata convessità è la valva brachiale.
Le valve possono essere entrambe convesse (forma biconvessa) oppure una è convessa mentre l’altra può es-
sere piana o concava.
Se la valva brachiale è piana la conchiglia è detta pianoconvessa, se concava è detta concavoconvessa, se
convessa è detta convessoconcava.
Se entrambe le valve sono convesse, la conchiglia è detta biconvessa.
Forme coralliformi: la valva ventrale è un cono rovesciato e la valva dorsale si riduce ad un opercolo.

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La valva ventrale èuò essere ridotta ad un opercolo che va a chiudere


questa specie di imbuto (o cono rovesciato), mentre quella dorsale si
ancora al substrato.
Oltre alla forma delle valve dobbiamo vedere il margine (altra cosa da
osservare) periferico che è importante perché ci dà indicazione di come
avviene l’accrescimento della conchiglia. Quando l’accrescimento è
uniforme su tutti i lati della conchiglia avrà una forma circolare.
Il profilo della conchiglia varia notevolmente tra i vari taxa come si può
vedere orientando la conchiglia col piano di commissura perpendicolare al
punto di osservazione.
La morfologia della conchiglia dipende dalle modalità di accrescimento che
può essere:
- Oloperiferico: crescita uniforme lungo tutto il margine periferico.
- Mixoperiferico: la crescita della valva posteriormente avviene lungo un
piano inclinato (tipico dei brachiopodi articolati) sia anteriormente che
posteriormente (ma è più sviluppato nella zona periferica)
- Emiperiferico: la crescita avviene solo in direzione laterale ed ante-
riore.

Ornamentazione
Generalmente caratterizzata da piccole strutture sulla superficie esterna
delle valve ad andamento sia radiale sia subparallelo al margine.
Sebbene la superficie di molti brachiopodi appaia a prima vista liscia, sono
spesso visibili sottili strie di accrescimento ad andamento concentrico che
segnano le varie fasi della crescita.
A volte le strie possono essere molto pronunciate con espansioni squamose
o lamellari nel qual caso si parla di lamelle di accrescimento.
Le strutture radiali sono costituite da coste e da ondulazioni che vengono
dette solchi (ampie depressioni del guscio) o pieghe (ampie elevazioni del guscio).
In alcune forme possono essere presenti anche spine per favorire l’ancoraggio o per impedire lo sprofonda-
mento nei substrati molli.
Quando sono presenti contemporaneamente elementi concentrici e radiali che si intersecano allora si può avere
una superficie cancellata.
Possono avere anche delle spine la cui presenza impedisce all’organismo di sprofondare nel sedimento fine, e
non è quindi strumento di difesa.

Interarea (o area cardinale)


Area molto importante perché dal punto di vista di classificazione è uno degli elementi più importanti per
distinguere i vari generi e le varie specie.
Questa area può essere molto sviluppata o molto ridotta.
La regione apicale delle valve costituisce l’umbone che può essere variamente sviluppato e ricurvo. L’area
cardinale è un’area triangolare immediatamente sotto l’umbone ed è delimitata dal margine cardinale .
Si tratta di una superficie piana o curva situata tra l’apice della valva
e la linea cardinale di una o di entrambe le valve di molti brachiopodi
Articolati.
Le interaree (sia dorsale sia ventrale) sono normalmente intersecate
dal delthyrium e dal notothyrium e sono prive dell’ornamentazione
presente sul resto della valva. La parte di conchiglia attorno agli apici
(quando è arcuata e prominente) viene detta umbone.
Quando l’area cardinale non è piatta ma leggermente obliqua viene detta palincroma (o margine palincromo).
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Quando la linea cardinale è ben sviluppata


(molto estesa) allora si dice che la conchiglia è
strofica, quando la linea cardinale (e anche l’area
quindi) si dice che la conchiglia è astrofica o non
strofica.

Apertura del peduncolo


Nei brachiopodi articolati è presente una apertura (in forma di
foro) attraverso la quale fuoriesce il peduncolo. Il peduncolo è
costituito da tessuto epiteliale e connettivo con fibre di colla-
gene e rivestito da una cuticola. Nei brachiopodi inarticolati il
peduncolo rappresenta un’estensione del mantello ventrale. Il
peduncolo po’ essere perso durante l’ontogenesi.
Il peduncolo fuoriesce dall’area cardinale detta delthyrium, a cui corrisponde, sotto l’umbone della valva bra-
chiale, un’area detta notothyrium.

Caratteristiche Interne
La prima cosa che si nota sono le impronte muscolari. Come tutti i bivalvi le due valve devono essere incer-
nierate almeno nella parte posteriore, nei brachiopodi non si parla di cerniere vere e proprie:
- Valva ventrale: ci sono due fossette laterale ed un processo ventrale nella parte centrale sotto il lombone
(nella valva ventrale).
- Valva brachiale caratterizzata dal brachidium.

Le fossette cardinali fanno parte di un complesso di strutture della valva brachiale (o dorsale) dette collettiva-
mente cardinalia.
I cardinalia, sono costituiti da una struttura più o meno lobata (ma
anche a forma di lama) detta processo cardinale che serve per l’in-
serzione dei muscoli abduttori e strutture (brachiofori) che fungono
da base per supportare il lofoforo.
In un piccolo gruppo di brachiopodi (i Pentameridi) i muscoli sono
fissati ad una struttura a cucchiaio (spondylium) che si trova nella
regione apicale della valva peduncolare.

In alcuni Articolati primitivi (es. certi Orthidi), anteriormente rispetto ai cardinalia, a fianco del notothyrium,
vi sono due corti processi calcarei (brachiofori) che probabilmente
non raggiungevano il lofoforo.
Se invece queste apofisi sono più lunghe in modo da fornire un sup-
porto al lofoforo, allora sono dette crura.

Brachidium
Può essere molto semplice, corrispodnendo ad un prolungamento delle
placchette laterali, può avere una forma a cappio, una forma più complessa
con due braccia collegate da un setto orizzontale, delle forme più complesse
(spiralate)

La morfologia della conchiglia è influenzata dal tipo di brachidium.

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Composizione e struttura della conchiglia


Può essere o di calcite (caniformi, forme piatte), di chitina (guscio forfato chitinico, tipico delle forme linguli-
formi) oppure di calcite a basso contenuto di magnesio (che consente un processo di conservazione e fossiliz-
zazione molto più elevato delle forme ad alto contenuto di magnesio, perrché iul magnesio p molto solubile)
con lamelle di sostanza organica misti a queste cristalliti di calciti

Il guscio è costituito dal periostraco (unos trato esterno di sostanza or-


ganica che non si trova quasi mai nei resti fossili), uno strato primario
(formato da una alternanza di lamelle di apatite -fosfato di calcio- e
chitina).
Il guscio calcitico è costituito da calcite molto diversa di quella di ori-
gine sedimentaria: in tutti gli organismi calcificatori (o a guscio mine-
ralizzato) i processi di biomineralizzazione coinvolgono anche una
aprte molto attiva ( non solo precipitazione di calcio) legata all’attività
metabolica degli organismi che incide nella struttura stessa e nella com-
posizione isotopica dei gusci stessi.
L’assetto di questi cristalli (immagine a destra) è molto differente pur
essendo entrambi di calcite.

Nel guscio calcitico oltre allo strato primario e al periostraco, cìè uno strato secondario formato di fbre di
calcite lamellari. Lo strato secondario ha spessore variabile.

In molti casi si possono creare delle strutture verticali calcitiche e dei pilastri interni
che sembrano sfociare nella superficie esterna ma in realtà non ci arrivano perché si
fermano poco prima. Queste strutture sono indicate come punctate e servono a raf-
forzare il guscio stesso. In alcuni casi queste strutture si fermano molto prima e ven-
gono indicate come pseudopunctae. Queste puncte o pseudopunctae in molti casi,
essendo di aragonite, si alterano più rapidamente e quindi molte volte sembra che il
guscio sia forato, quando in realtà è la traccia di queste strutture all’interno del gu-
scio.

L’ultrastruttura può essere lamellare, colonnare, a punctae, pseudopunctae o fib-


brosa.

Ecologia
I brachiopodi attuali sono organismi bentonici stenoalini, epifaunali sessili, con l'eccezione dei lingulidi le cui
specie sono infaunali e adattate ad ambienti con ampie escursioni di salinità.
Normalmente sono fissati a substrati duri (rocce, frammenti di conchiglie, ecc.) per mezzo del peduncolo.
Alcune forme (ad esempio Crania) si cementano al substrato per mezzo di una delle valve e sono prive di
peduncolo.
L’ancoraggio è quasi sempre permanente dato che questi animali sono mobili solo durante lo stadio larvale.
I principali fattori abiotici che controllano la loro distribuzione
sono:
- Il tipo di substrato
- La profondità

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Essendo forme fisse al substrato sono forme sessili capaci di spostarsi molto limitatamente (tipicamente solo
nelle fasi giovanili, prima che la conchiglia si fissi e stabilizzi in maniera permanente), ma ci sono delle forme
che vivono su substrato molli (soprattutto quelle con spine) senza ancoraggio.
Il tipo di substrato è uno degli elementi più importanti che controlla la distribuzione di queste forme, insieme
alla profondità.
Per tutto il paleozoico hanno occupato gran parte delle nicchie ecologiche neritiche per poi migrare successi-
vamente verso profondità maggiori: attualmente si trovano a tutte le profondità.
Il gruppo sembra aver sperimentato nel passato una più vasta gamma di modi di vita.
Molti brachiopodi paleozoici sono stati capaci di vivere su substrati
soffici (fanghi calcarei) sviluppando particolari strategie adattative
come spine (productidi) o espansioni alari (alcuni spiriferidi) che im-
pedivano lo sprofondamento della conchiglia nel fango del fondo.
L’adattamento all’ambiente di scogliera è stato ottenuto più raramente ma con modificazioni ancora più pro-
fonde in quanto la conchiglia diventa coralliforme (terza foto a destra) con
una valva nettamente conica e l’altra opercolare.

Tranne alcune forme semifaunali o fossatori sono tutte epifaunali, che


quindi possono essere sedentarie (poggiano sul sedimento anche senza pe-
duncolo), cementate o peduncolate.

Stratigrafia
Compaiono con la fauna cambiana, poi con lo sviluppo delle forme bivalvi subiscono un lento declino che
continua ancora oggi, infatti è considerato un gruppo in estinzione.

I brachiopodi compaiono nel Cambriano e sono molto abbondanti nella documentazione fossile, in particolare
del Paleozoico, quando furono un phylum molto importante. Nel Cambriano prevalgono le forme infralitorali
mentre a partire dall’Ordoviciano colonizzano anche gli ambienti di offshore diventando i dominatori delle
comunità bentoniche e raggiungendo il massimo della diversifica-
zione del Carbonifero e Permiano
Sono ancora abbastanza presenti nei mari attuali dove sono noti quasi
100 generi, distribuiti a tutte le profondità con predilezione di acque
fredde e profonde. I 100 generi attuali contrastano nettamente con gli
oltre 3.000 generi fossili e quindi il phylum è in netto declino.

Importanza paleontologica
Queste valve si sono formate (secondo una teoria) da un organismo vermiforme cpn estremità mineralizzate
che ha subito ripiegamento della parte posteriore su quella anteriore andando a determinare le valve con il
tempo. Solo in qusto modo si può spiegare il piano di simmetria ortogonale rispetto al piano di commissura
(che rappresenta il piano su cui si darebbe andato a ripiegare l’animale).

Lo studio dei brachiopodi è molto importante perché rappresentano dei proxy molto significativi e ricchi di
informazioni riguardo l’amiente del paleozoico. Il fatto che esistono forme attuali di brachiopodi ci permette
studi in laboratorio dei comporamtnei di risposta a variazioni ambientali, per ricostruire eventi del passato.
Dfacendo analisi isotopiche su forme attuali si è visto che gli isotopi del boro danno indicazioni precise sull’aci-
dità ambientale e quindi facendo analisi del genere su forme fossili posso ricostruire caratteristiche fisico-
chimiche delle acque, anche riguardanti la t°.
Negli ultimi anni sono molto utilizzati questi studi per ricostruire gli ambienti di queste forme, che occupavano
tantissime nicchie e ci danno molte indicazioni di questi ambienti neritici del paleozoico.

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CLASSIFICAZIONE
Mentre un tempo si basava sulla muscolatura, attualmente si sono potute individuare 3 sottophyla: lungulifor-
mea, craniiformea e rhynoconelliformea.
Tutti i sottophyla hanno la massima diversificazione nel paleozoico (la linea in figura rappresenta il Perm-
trias).

Richiamo, i brachiopodi sono lofoforati e presentano un piano di simmetria a 90° rispetto a quello dei bivalvi.
Oltre a questo piano di simmetria i caratteri importanti che bisogna tener presente nella classificazione sono
forma e morfologia del brachidium (struttura interna alla valva ventrale), quanto è sviluppata l’area cardinale,
e infine la presenza o assenza del peduncolo (che definisce la modalità di vita della forma).
Queste forme possono essere dal punto di vista dell’ecologia forme infaunali, epifaunali (fissate con peduncolo
o con una valva), oppure poggiarsi senza ancoraggio sul sedimento. Generalmente sono forme sessili senza
capacità di muoversi, e solo nelle fase larvali sono in grado di fare piccoli spostamenti.
La filogenesi di questo gruppo si origina da una forma ancestrale (probabilmente vermiforme) molle che aveva
le estremità mineralizzate e con un capo e un piede, e che si è ripiegato su sé stesso dando luogo a questa
formazione di queste due valve che rappresentano l’estremità di questo organismo ancestrale.
Con il progredire della mineralizzazione si è andato formando questo carattere di mineralizzazioen mollto più
vantaggioso rispetto alle forme prive di guscio.
Nella maggior parte dei casi il guscio ha funzione protettiva contro i predatori, ma in alcuni casi (soprattutto
l’ornamentazione) è legato al mantenimento della conchiglia in equilibrio soprattutto dove ci sono sedimenti
molli e soffici, impedendone lo sprofondamento.
La vecchia classificazione prevedeva due grandi classi: articulata e inarticulata, che si differenziavano per la
complessità del sistema muscolatorio: mentre gli inarticulata avevano un movimento relegato all’aprtur/chiu-
sura delle valve, gli articulata erano in grado di rotare e far slittare le valve stesse.
Tutta questa suddivisione è stata rivista e la buova classificazione che si basa sia su caratteristiche corporee
che sull’ultrastruttura dei gusci prevede 3 sottophyla:
- Linguliformea, assenza di cerniera e con un peduncolo.
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- Craniiformea, conchiglia organo-calcitica e senza peduncolo.


- Rhynconelliformea, comprende la maggior parte degli ordini sia attuali che fossili, con guscio organo-
calcitico con articolazione complessa, attacco dei muscoli e supporto del lofoforo per diversi stili di
vita.

Non dobbiamo conoscere le classi dei sottophyla, ma solo alcuni che sono importanti dal punto di vista paleon-
tologico.

Linguliforme sono importanti perché non hanno una cerniera e il peduncolo fuoriesce dall’apertura delle valve
che sono unite tra loro solo dal tessuto connettivo (apparato muscolatorio), sono inoltre forme con range stra-
tigrafico molto ampio (quindi poco indicative), ma sono importanti dal punto di vista ambientali in quanto
riescono a sopportare grandi variazioni di salinità: le troviamo anche in ambienti più salmastri.

Craniiformea, con un brachidium molto ridotto, quasi assente, si fissano direttamente al


subsdtrato, ricordiamo che hanno un guscio di tipo calcitico. La famiglia Cranide compare
nell’ordoviciano.

Rhynconelliformea, che comprendono anche dal punto di vista stratigrafico un range limi-
tato: la gran parte delle classi finisce con la classe rin-
conellida e.... Le altre sono paleozoiche.
Vivono in ambienti abbastanza tranquilli, associati a
sedimenti fini di piattaforma. Sono importanti per la
stratigrafia del paleozoico. Noi vedremo a livello fos-
sile per prime e maggiormente le Rhynconelliforme.
Ordine Orthida (cambriano-permiano) presentano una
variabilità morfologica molto ampia, Orthis ha una conchiglia strofica (area cardinale quadrata), mentre le
enteletes ha una forma globosa ed è caratterizzata da un solco caratteristico, e una linea di sutura molto artico-
lata.
Ordine Strophomenida -> riesce a superare la crisi
del Giurassico, sono forme che si cementano al
substrato: presentano una variabilità morfologica
molto marcata, nel paleozoico costituivano delle
piccole bioerme (?).
Presenta anche forme allungate (convergenza
morfologica presente anche nelle rudiste e nei te-
tracoralli). ->
C’è anche l’ordine pentamerida, con conchiglie non strofiche (area
cardinale ristretta) con aree brachiali ristrette. La distribuzione dei
pentameridi è molto ristretta e va dal cambriano e termina alla fine
dell’ordoviciano.
Ordine Rhynconellida è la forma che arriva fino a noi, molto glo-
bose con area cardinale ristretta (quasi assente), la linea di chiusura
molto articolata. Sono importanti per il Giurassico. Nel paleozoico si ha questa
forma con questa valva ventrale molto sviluppata. ->
Ordine Spiriferida, generalmente con un brachidium particolare. Queste
forme arrivano fino al giurassico con la massima diversificazione nel paleo-
zoico medio-superiore. Sono facili da ricordare per lo sviluppo “alare” mor-
fologico.

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Ordine Terebratulida, conchiglia con profilo da circolare ad


ovale, nel paleozoico hanno una distribuzione areale legata alla
piattaforma, nel triassico vanno in profondità a causa della do-
minanza dei bivalve principalmente. Arrivano fino ad oggi. Py-
gope in particolare è importante per il passaggio tra Giurassico
e Cretacico, e sono quindi identificativi del Mesozoico.

Dei brachiopodi dobbiamo osservare:


- Morfologia della conchiglia
o Distinzione tra parte anteriore e posteriore (in cui c’è il peduncolo e gli umboni)
o Descrivere la conchiglia il più possibile, se la forma è:
§ Biconvessa,
§ Convessoconcava,
§ Pianoconvessa,
§ Concavoconvessa,
§ Coralliforme, un tipo di convergenza adattativa che ricorda i coralli.
Il fatto che la forma sia una delle precedenti dipende principalmente dalla valva brachiale.
o Morfologia delle parti periferiche, distinguendo le forme:
§ Oloperiferiche (crescita uniforme su tutti i lati della periferia)
§ Mixoperiferico, accrescimento misto soprattutto della valva posteriore che avviene su
un piano inclinato
§ Emiperiferico, crescita che avviene in direzione laterale ed anteriore
- Piano di simmetria, che è perpendicolare al piano di commissura nei brachiopodi (nei bivalvi è ad
esso parallelo).
- Valva esterna, di cui dobbiamo notare l’ornamentazione che è molto importante. Oltre alle linee di
accrescimento che caratterizzano tutte le forme distinguiamo elementi radiali ed elementi concentrici
(subparalleli al piano di commissura) che possono essere molto variabili, incisi ecc. Soprattutto quelli
radiali nei brachiopodi si nota uno sviluppo eccessivo di pieghe, solchi ecc. che sono molto impor-
tanti, soprattutto l’andamento: possono essere concentrati nella parte centrale, non essere uniforme-
mente distribuiti ecc. Non bisogna dire soltanto “presenza di solchi/pieghe”, ma specificare anche in
che modo sono distirbuiti sulla superficie. Nei brachiopodi la linea di commissura può essere molto
articolata (anche molto semplice lineare), mentre nei bivalvi è tipicamente lineare.
o Esternamente c’è inoltre l’area cardinale da notare, che può essere più o meno sviluppata
(forme strofiche: in cui è sviluppata, astrofiche: in cui non è molto sviluppata).
L’area cardinale interessa sia la valva dorsale che ventrale: a noi interessa quella ventrale per-
ché è da essa che fuoriesce il peduncolo, ed è caratterizzata da una serie di placche più p meno
chiuse. Il delthyrium è un elemento importante nella classificazione è può essere costituito da
placche chiuse, parzialmente chiuse, deltidiali, singole ecc. a seconda del genere e della spe-
cie.
- Valva interna, in cui è importante ccercare la presenza del brachidio che può essere più o meno com-
plesso. Altro aspetto importante da notare nella parte interna delle valve è la pseudocerniera (nei bra-
chiopodi si chiama di processo cardinale) nella valva dorsale, costituita da 2 fossette e 1 dente, op-
pure da 2 denti che sono collegati a due fossette laterali. La valva peduncolare ventrale presenta due
denti che si incastrano nelle fossette.

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8. Mollusca

Molluschi sono sia di ambiente emerso che marino. Dopo gli artropodi sono le forme più differenziate con
maggior numero di specie. Noi ci occuperemo delle forme di ambiente marino e non ci sofferemeremo sugli
aspetti zoologici (parti molli, lisce ecc.).
Faremo infatti le parti inerenti a guscio e valve e le parti molli che possono influire sulle componenti biomine-
ralizzate.

Sono forme a simmetria bilaterale, a volte mascherata da una torsione (come nei gasteropodi) con dimensioni
variabili soprattutto nel record paleontologico abbiamo diemnsioni che possono raggiungere anche diversi me-
tri di grandezza.
I molluschi sono caratterizzati dall’avere parti molli coperte da un guscio o due valve. Si pensa che derivino
da una forma ancestrale (archeomollusco) con guscio mineralizzato caratterizzato da simmetria bilaterale dal
quale si sarebbero per l’appunto originati i vari ordini.

I molluschi come phylum compaiono nel Cambriano ma alcuni scienziati pensano che le forme più ancestrali
risalgano all’Ediacariano. Comprendono 8 classi che sono quasi tutte viventi ad eccezione di una, Rostrocon-
chia, completamente estinta. Queste forme presentano quindi un range stratigrafico molto vasto, la loro impor-
tanza è prevalentemente paleoecologica, anche se alcune forme sono importanti come marker stratigrafici (bio-
stratigrafia).

8 classi:
- Aplacophora (scarso valore paleontologico) Carbonifero?-Attuale
- Polyplacofora Cambriano-Attuale
- Monoplacophora Cambriano-Attuale
- Scaphopoda Devoniano-Attuale
- Gastropoda Cambriano-Attuale
- Bivalvia Cambriano-Attuale
- Cephalopoda Cambriano-Attuale
- Rostroconchia Cambriano-Permiano

La filogenesi dei molluschi è stata molto dibattuta, prima venivano divisi in due
grandi cladi: Aculifera e Conchifera (quelli con un vero e proprio guscio, sia una che due valve). Entrambi i
gruppi deriverebbero comunque da un unico antenato comune.
Altra filogenesi vede un gruppo, gli Aplacophora (senza un vero e proprio scheletro ma con scleriti) come
forme gruppo principale da cui deriverebbero
tuti gli altri.

Un ultimo modello venne poi elaborato, che


vede un taxon composto di Alkieria (con forma
allungata caratterizzata da un capo e un piede
con delle placchette che ricoprono la parte ter-
minale e cefalica) dal quale si sono originati poi

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Aplacophora e Polyplacophora. Da Kiberella si sarebbero poi originate tutte le altre classi dai Monoplacophora
agli Scaphopoda.

Classe Aplacophora
Questi Aplacophora, caratterizzati dall’assenza di guscio e dal punto di vista paleon-
tologico hanno una scarsissima importanza (anche se filogeneticamente sono impor-
tanti perché sono le forme più primitive) perché a livello stratigrafico forniscono
pochi incipit.

Classe Polyplacophora
Anche questi con scarsa importanza paleontologica. Sono molluschi con radula,
apparato digerente con bocca ed ano ampiamente separati e posti nelle parti
opposte del corpo, scheletro primitivo, preminentemente spicolare.
Conchiglia dorsale costituita da 8 piastre o piastre articolate sormontanti una
piattaforma mantellare (piede) muscolare coperta da una cuticola con inserite spicole. Epifaunali vagili erbi-
vori.
Nel record troviamo al massimo le singole placchette (spigolette o aculei). Compaiono nel Cambriano.

Classe Monoplacophora
Forme con vero e proprio guscio (unica valva), com-
paiono nel Cambriano.
Non hanno delle vere e proprie branchie ma organelli
con funzione respiratoria. Il genere Pilina è molto im-
portante, e simile ad una forma del Siluriano trovata
recentemente in ambiente molto profondo. Le forme
che troviamo nel paleozoico sono presenti in am-
biente molto più costiero, quindi o questa forma che
è stata trovata in profondità ha migrato verso ambienti
più profondi oppure è un’altra forma di un altro ge-
nere. Questa forma non è da confondere con il genere Patella.

Classe Scaphopoda
Anche questi caratterizzati da un unico guscio con morfologia
tubulare allugnata aperta sia nella porzione apicale che basale.
Sono forme prive di branchie ed hanno una modalità di vita con
apice rivolto verso l’alto. Sono Semi-infaunali perché una por-
zione è interna al sedimento mentre la parte apicale è al di fuori.
Il genere più noto è Dentalium. Compaiono nel Triassico medio
ma sono abbondanti anche successivamente. Esistono numerosi generi, ma non
hanno grande valroe stratigrafico, ma paleoecologico e ambientale sì. Sono legati a
sedimenti sciolti che variano da sedimenti interamente sabbiosi che non.
Lasciano tracce di equilibrio perché devono vivere con l’apice del guscio al di fuori
del sedimento: dove c’è accumulo di sedimento tendono quindi a risalire, dove c’è
erosione tendono a sprofondare per restare parzialmente immersi. Elementi che diffe-
renziano le varie specie sono sostanzialmente ornamentazione che può essere caratte-
rizzata da lineamenti concentrici (circolari), o longitudinale.

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Classe Rostroconchia
I Rostroconchia sono un gruppo di molluschi con guscio pseudobivalve esclusivamente paleozoici (Cambriano
-Permiano). Essi combinano le caratteristiche degli scafodi e dei bivalvi e possono (a seconda della filogenesi
preferita) essere collegati ad entrambi.
Anche se i tipici rostroconchi compaiono solo dopo i primi bivalvi, le forme più primitive, come Heraultipegma
e Watsonella, possono essere considerate forme ancestrali di entrambi i gruppi. In alternativa, i rostroconchi
possono essere semplicemente scafopodi. Erano caratterizzati da un guscio singolo pseudo-bivalve che rac-
chiudeva il mantello e il piede muscolare.
La parte anteriore del guscio era probabilmente rivolto verso il basso e aveva una fessura dal quale il piede
emergeva.

Classe Bivalvi
Non hanno né radula ne capo e sono detritivori o sospensivori e compaiono dal Cambriano. Sono quasi esclu-
sivamnete marini anche se alcuni generi possono adattarsi sia ad ambienti di acqua dolce che salmastra.
Le parti molli sono costituite da mantello, piede, massa viscerale e apparato respiratorio. Mancano sia di radula
che di testa, e anche di organi sensoriali presenti invece nelle altre forme.
Il mantello è caratterizzato da due lobi che aderiscono alla parte interna della conchiglia mentre nella parte
periferica sono presenti tre pieghe:
- Esterna che secerne il guscio
- Intermedia che ospita alcuni organi di senso tra cui gli occhi
- Interna adibita al sistema muscolare

I processi di biomineralizzazione non sono molto conosciuti, comprende infatti processi differenziati a seconda
di gruppi e forme. I processi di biomineralizzazione sono molto importanti soprattutto per quanto riguarda la
materia batterica: una votla capito il meccanismo questo ci aiuta acapire i processi che si
sono sviluppati nelle forme più evolute. In qusto caso (molluschi) probabilmente questi pro-
cessi che coinvolgono anche dei processi metabolici sono unite anche a dei processi di pre-
cipitazione chimica che si verificano in determinate parti: in particolare tra mantello e super-
ficie interna (il mantello non aderisce completamente infatti, ma solo nella porzione
periferica in cui lascia l’impronta). Lo spazio quindi che c’è tra mantello e conchiuglia si
riempie d’acqua e lì avvengono anche processi di precipitazione di carboanto di calcio sot-
toforma di aragonite e calcite.

L’altra parte molle che ci interessa è quella dei sifoni (strutture tubiformi come prolunga-
menti del mantello che possono essere separati e fuoriuscire dalla
parte anteriore o posteriore della conchiglia oppure uniti) la cui fun-
zione è separata: una enalante e una esalante. Non tutti i bivalvi hanno
i sifoni (compaiono tardivamente). Sono importanti perché lasciano
un’impronta all’interno della conchiglia e tanto più è profondo
questo seno tanto più sono sviluppati i sifoni (il che permette
all’organismo di raggiugnere maggiore profondità nel sedi-
mento). Una delle cose che dovremmo vedere è appunto la
presenza di questo seno palleale: se è presente la forma era
sicuramente sifonatica, se non è presente non c’erano i sifoni.

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Altro elemento molle importante è il piede con fuzione di locomozione, di scavo e di ancoraggio: nelle ofrme
infaunali fisse il piede si ancora e in queste forme
associate al piede si ha una ghiandola che produce
dei filamenti che si induriscono a contatto con l’ac-
qua e rappresentano il bisso, queste sono fibre che
permettono all’organismo di fissarsi.
Nelle forme che si cementano con la valva al sub-
strato il piede è assente o molto ridotto, mentre è
molto sviluppato quando serve potersi spostare all’interno del sedimento.

Anche il sistema muscoalre è molto importante perché lascia un’impronta nella parte interna del guscio, costi-
tuito da muscoli adduttori con funzione di chiusura delle valve a differenza dri brachiopodi che avevano anche
muscoli che le aprivano (molto più compelsso di quello dei bivalvi). Ci sono
anche i muscoli palleali, situati in corrispondenza della linea palleale, ser-
vono per retrarre il mantello all'interno delle valve. I muscoli pedali invece
agiscono invece sul piede e sono situati in posizione dorsale.
I muscoli adduttori quindi mantengono chiusa la valva, ma la valva deve
anche aprirsi e per questo sono dotati di una struttura elastica coperta di
fibre (sostanza organica chitinosa) che viene indicato come “legamento”
che agisce in contrapposizione ai muscoli adduttori: quando questi sono
contratti il legaemnto è disteso, se i muscoli sono distesi, il legamento si contrae.
Le impronte dei muscoli possono essere 2 (dimiaria), uguali (isomiari) oppure la conchi-
glia può avere una sola impronta (monomiaria).
La posizione del legamento è molto importante per la classificazione, le forme più co-
muni sono quelle con il legamento situato posteriormente rispetto all’umbone. Se è si-
tuato all’interno della conchiglia agisce per compressione; se è esterno per trazione. La
sua posizione rispetto all’umbone può essere di vari tipi.
Quando il legamento è all’interno è detto “resilium” e può essere localizzato in una cavità
(resilifer) che può essere sostituita da una struttura a cucchiaio (condroforo) che può essere caratterizzto da una
lama sporgente indicativo di alcune forme.

Anche se le branchie non sono un elemento importante a livello paleontologico, ma visto che la filogenesi si
basa anche su caratetri morfologici le tratteremo in am-
niera sommaria: si sviluppano simmetricamente rispetto
al piede (dentro la cavità del mantello) ed hanno funzione
di alimentazione e respirazione, e la loro forma è impor-
tante perché rappresenta un trend evolutivo: le forme più
semplici hanno queste lamesse simmetriche rispetto al
piede (protobranchia), un po’ più complesse hanno dei filamenti allungati (filibranchia), quelle ancora più
complesse hanno filamenti allungati uniti dal tessuto connettivo (Eulamellibranchia), quello più compelsso con
branchie ridotte a setti (septibranchia).

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Conchiglia
Bisogna orientare la conchiglia, che va sempre orientata
con gli umboni verso l’alto.
La parte anteriore è quella verso cui si girano gli umboni
mentre quella posteriore opposta è caratterizzata interna-
mente dal seno palleale.
Il piede fuoriesce dalla parte anteroventrale, mentre
quella superiore è quella dorsale.

Gli umboni sono la maggior parte delle


volte rivolte anteriormente (prosogiri), a
volte (raramente) sono rivolti posterior-
mente (opistogiri) a volte orientati l’uno
verso l’altro (ortogiri).
Ci sono dei criteri e caratteri per definire
che gli umboni siano disposti verso quale
parte ecc. ed una serie di osservazioni che ci permettono di orien-
tare l’animale in maniera più precisa nella notra ricostruzione.

Caratteri Interni
Caratterizzati per prima cosa dalle impronte dei muscoli (se sono
uguali, diversi, due, uno, se c’è il seno palleale o se l’impronta musco-
lare del mantello è integra, e la cerniera). Se è presente il seno palleale
significa che l’organismo è sifonato: tanto più è profondo il seno tanto
più è sviluppato il seno e più l’roganismo sopravvive all’interno del
sedimento.
Generalmente la cerniera è costituita da una serie di
denti e fossette e serve alla
conchiglia insieme al lega-
mento e ai muscoli adduttori
ad aprire e chiudere le valve.
La cerniera serve ad impedire
spostamento delle valve (di-
versa funzione rispetto ai bra-
chiopodi). La cerniera è costitutita di fossette e denti
con notevole importanza nella classificazione.
I dentini della cerniera sono generalmente disposti in
fila.
Diversi tipi di cerniera:
- Tassodonte
- Disodonte, abbastanza frequente, caratterizzata da piccolissimi dentini.
- Isodonte, caratterizzata da due denti sviluppati e robusti che si distribuiscono parallelamente al lega-
mento che in queste forme è sempre interno.
- Schizodonte, con una valva che lateralmente al dente sviluppa due denti lamellari (placchette verdi).
- Eterodonte, quella più comune con vari denti principali nelle due valve che si incastrano.
- Pachiodonte, tipica delle rudiste, cerniera costituita da una valva generalmente opercolare sinistra, men-
tre quella destra si ancora al substrato.
- Desmodonte, una ceriera caratterizzata da assenza o riduzione totale dei denti (che si presentano come
delle pieghette) e si distribuiscono laterlamente al condroforo (struttura a cucchiaio).
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Il tipo di cerniera presente è uno degli elementi che dobbiamo cercare di identificare e classificare. Il tipo più
comune è quello con una serie di denti centrali e laterali.
Altra cosa importante da vedere

Caratteri esterni
Ornamentazione caratterizzata da elementi radiali o con-
centrici rispetto agli umboni. Le strie di accrescimento
sono facilmente riconoscibili sulla superficie esterna
della valva e corrispondono a periodi di stasi durante
l’accrescimento, marcando le precedenti posizioni dei
margini della valva.
L’ornamentazione oltre a elementi radiali e concentrici
può presentare delle carene o delle spine.

Composizione del guscio


- Tutti i bivalvi hanno uno strato interno (periostraco) composto di una pellicola di conchiolina che non
rimane allo stato fossile.
- C’è poi il mesostraco (strato primario) composta di cristalli di calcite o aragonite che danno luogo ad
una struttura prismatica (tra le più robuste).
- Endostraco è un secondo strato caratterizzato da lamelle di calcite oblique.
- In corrispondenza delle impronte muscolari c’è un callo osseo dato da un ispessimento calcitico che ci
permette di evidenziare l’impronta muscolare lì dove si attacca il muscolo.

Questi strati possono avere un’ultrastruttura (disposizione dei singoli cristalli) differenziata:
- Struttura prismatica semplice costituita da prismi a se-
zione poligonali con asse dei cristalliti di calcite perpen-
dicolare alla SP superficie del guscio. I cristalliti costi-
tuiscono delle piccole tablets circondati di matrice
organica.
- Struttura prismatica semplice costituita da prismi di ara-
gonite con maggiore sviluppo laterale
- Struttura madreperlacea formata dall’impacchettamento
di tablets poligonali composti di cristalliti di aragonite.
La foto mostra delle linee orizzontali parallele alla superficie di accrescimento.

L’inquinamento antropico interferisce nei processi di biomineralizzazione, le interferenze si trovano a livello


di disturbo di queste ultrastrutture (presenza di cavità ecc.). quindi lo studio dell’ultrastruttura è molto impor-
tante anche dal punto di vista di caratterizzazione ambientale.

Modo di vita
La maggior parte vive sopra o all’interno del sedimento procurandosi il nutrimento tramite filtrazione (filtra-
tori); una minoranza invece si ciba della sostanza organica contenuta nel sedimento o dei depositi accumulati
al di sopra di esso (depositivori e detritivori).
La molteplicità di morfologie tipica dei bivalvi ha permesso loro di adattarsi ad una grande varietà di nicchie
ecologiche marine e di acqua dolce, con forme bentoniche specializzate.
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Esistono bivalvi infaunali poco profondi e profondi, bivalvi epifaunali bissati, bivalvi epifaunali cementati al
substrato, bivalvi appoggiati liberamente sul fondo, bivalvi nuotatori, bivalvi che vivono in cavità. Oltre a
questi gruppi principali sono presenti forme che vivono attaccate a tartarughe o altri animali e piante galleg-
gianti; alcuni che sono commensali con echinodermi, crostacei , spugne, ecc.

Vanno quindi a coprire tante nicchie ecologiche. La morfologia della conchiglia è legata alle condizion idi vita
dell’organismo: la morfologia è frutto della genetica e dello sviluppo (e ciclo vitale) che l’organismo subisce
e dell’ambiente circostante. La morfologia è sempre una fonte di tante informazioni, e proprio per questo sono
state fatte nuemrose divisioni a livello sistematico (soprattutto a livello di classi) che attualemtne sonos tate
rimodulate in due sottoclassi (anche in base ai caratteri genetici) con relativi ordini: Protobranchia e Autoto-
branchia. Euprotobranchia è un gruppo parafiletico che contiene i caratteri più primitivi.

Sottoclasse Protobranchia
Comprende i più antichi e primitivi bivalvi, forse già a partire dal Cambriano. Sono tutti organismi marini
infaunali, ampiamente diversificati e adattati soprattutto agli
ambienti più profondi. Caratterizzati dall’assenza di bisso allo
stadio adulto, il guscio equivalve, la cerniera tassodonte e la
composizione aragonitica.
Compaiono dal Cambriano ma arrivano fino ad oggi.
Dal punto di vista della struttura sono a guscio carbonitico
(non calcitico) con minore potenziale di conservazione.

La Nucula è un genere impotante perché marker del Pliocene. Forme equivalve,


conchiglia troncata posteriormente con guscio a struttura madreperlacea inte-
gropalleata; umboni opistigiri protobranchie, cerniera ctenodonte (denti seriali
convergenti verso il centro della valva); legamento interno con resilifer; addut-
tori isomiari. Sono endobionti. Creta-Rec.

Altro genere importante è Solemya, che compare nel Devoniano e arriva fino ad oggi. Bivalvi per lo più pa-
leozoici, con un solo rappresentante attuale (Solemya). Hanno cerniera criptodonte o taxodonte, legamento
esterno anfideto o opistodeto, protobranchie, conchiglia sottile equivalve a composizione aragonitica, adduttori
isomiari o eteromiari. Modo di vita per lo più infaunale.

Quindi i nuovi criteri che hanno protato ad una riclassificazione considerano sia aspetti di carattere genetico
che morfologico (e stratigrafico) considerando tutti i caratteri morfologici su cui si basa la classificazione pa-
leontologica. Gli Euprotobranchia sono le forme più primitive, bivalvi molto piccoli (forse infaunali forse
epifaunali) e presentano una vera e propria cerniera rispetto ai brachiopodi.

I protobranchia quindi hanno questi due filamenti che si sviluppano simmetrticamente al piede, sono tutti ma-
rini infaunali bivalvi. Tassodonte è quella caratterizzata da dentini.

Sottoclasse Autotobranchia
Composta di tutto il resto dei bivalvi, con tanti ordini, di cui dobbiamo ri-
cordare il genere che dà nome all’ordine.
Genere Arca (ordine Arcida) ha una cerniera di tipo tassodonte con ungoni
rivolti verso la zona posteriore (il resto dei bivalvi è rivolta verso la parte
anteriore).

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Ordine Mytiloida di cui fanno parte i litodomi


(da ricordare) che indicano antiche linee di co-
sta. I litodomi vivono a pelo d'acqua e quindi,
quando rinvenuti fossili, indicano il livello del
mare di quel momento geologico. Indicano con
estrema precisione il battente d’acqua e quindi
la linea di riva. Questo è importante da sapere
perché soprattutto in questi ultimi anni in cui c’è il riscaldamento globale, una delle
conseguenze più devastanti è l’innalzamento del livello del mare: molte zone sono
a rischio. Anche sollevamenti di alcuni cm previste nei prossimi anni potrebbe determinare indondazioni di
gran parte della pianura pontina.

Ordine pectinida è un ordine molto ampio. Conchiglia inequivalve


ed inequilaterale, guscio a struttura prismatica madreperlaca lamel-
lare incrociata o fogliata. Legamento opistodeto, cerniera isodonte o
disodonte. Integropalleata. Bivalvi bissati o cementati anisomiari o
monomiari (es. Pecten, Inoceramus, Lima, Ostrea).

Altri ordini:

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La venus presenta il seno palleale molto ben evidente.

Ospiti nordici
Riguarda le forme che attualmente vivono ad alte latitudini che noi ritroviamo alle medie-basse latitudini a
seguito del raffreddamento climatico: sono imporatni perché il loro riferimento nelle successioni neogeniche-

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quaternarie ci indicano l’inizio del pleistocene. Una volta terminata la fase glaciale -> passaggio ad una fase
interglaciale, queste forme tornano alle alte latitudini.

Arctica islandica è una specie molto importante in quanto ospite nordico.

L’ordine Myoida è caratterizzato da valve che non si chiudono mai. Perfo-


rano il legno.

Ordine Hippyritoida
Conchiglie molto variabili nella morfologia con forme talvolta aberranti
e guscio molto spesso, cerniera pachiodonte con pochi denti o del tutto
priva.
Si riconoscono due superfamiglie: Megalodontacea e Hippuritacea

Superfamiglia Megalodontacea
Il Megalodon è un genere che caratterizzato da dimensioni medio-piccole con umboin
anteriori fortemente prosogiri. Cerniera (molto importante) cosrtitutita da 2 sdenti
cardinali sulla valva sinistra e 3 sulla destra, con denti laterali poco evidenti.
È una superfamiglia importante perché sono le forme ancestrali che iniziano a svilup-
pare una forma di cerniera con pochi e grossi denti alternata ad altretante fossette.
Il genere Megalodon è importante per la stratigrafia del triassico: è un fossile guida.

Superfamiglia Hippuritacea - Rudiste


Comprende le rudiste e si caratterizzano per avere una
delle due valve molto più sviluppata dell’altra, con cui si
cementavano al substrato. Valva sinistra con denti cardi-
nali molto sviluppati. La parte interna della valva presenta
strutture che irrobustiscono il guscio, a rappresentare adat-
tamento ad alto idrodinamismo nelle scogliere, ma anche
per far fronte ai predatori e al riciclo di grandissima quan-
tità di CO2 (elevatissime nel triassico: la produzione car-
bonatica di queste forme contribuiva al riciclo della CO2
sciolta nelle acque degli oceani).
Le Rudiste hanno sviluppato un'estrema variabilità nella
forma delle valve, fino a perdere completamente l'aspetto equivalve. Una valva infatti, quella fissa (general-
mente la destra), si è modificata fino ad assumere un aspetto a cono.
L’altra è libera e simile ad un opercolo posto nella parte superiore dell’altra valva; muovendosi verso l'alto e il
basso determina l'apertura e chiusura della conchiglia.
Sono caratterizzate da uno strato esterno ed uno interno.
Le forme che si fissano con la valva destra presentano pareti molto spesse, cavità centrale ridotta ed un singolo
dente massiccio che si articola con una coppia di denti posta sulla parte inferiore della valva opposta (cerniera
pachiodonte).
L'adattamento ad una vita gregaria in mari caldi, dove le rudiste hanno creato scogliere assieme a coralli ad
altri organismi, è responsabile della particolare morfologia adottata.
Così come i bivalvi attuali, le rudiste sintetizzavano carbonio nel proprio guscio secondo un modello di biomi-
neralizzazione compreso nel quadro del ciclo globale del carbonio. Il loro guscio era costruito dalla sovrappo-
sizione di ritmi di crescita che si formavano in cicli di ampiezza variabile giornalieri, mareali stagionali ripro-
duttivi creando strie di accrescimento meglio conservate nelle forme a struttura prevalentemente calcitica.
Lo strato esterno ha una struttura molto robusta prismatica.

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Il guscio delle rudiste è costituito da uno strato esterno rappresentato da prismi di calcite organizzata in fitti
microritmi (legati a cicli giorno/notte) di accrescimento del guscio a formare una struttura calcitica compatta.
Questo strato presenta un basso contenuto di Mg e costituisce anche l’ornamentazione. Lo strato interno riem-
pie il fondo della cavità principale (tabule). In molte forme lo strato interno è più spesso mentre in altre forme
lo strato calcitico esterno appare molto sviluppato.

Le prime forme che compaiono nel Giurassico superiore non sono vere e proprie Rudiste, ma sono quelle da
cui sono poi evolute le Rudiste. Le vere e proprie rudiste comprendono varie famiglie: le Hippuritidae sono le
forme più complesse e le più evolute.

In foto le due valve sono colorate in modo diverso perché dai diceratidi alle hippuritidi queste forme cementa-
vano inizialmente con l’una o con l’altra valva (inizialmente erano infatti uguali le due valve) e con il procedere
del tempo alcune si sono sviluppate con la valva sinistra, mentre tutte le altre hanno ridotto la valva sinistra e
sviluppato quella destra. Uno dei caratteri che definiscono le linee evolutive di questo gruppo è proprio l’at-
taccamento della valva destra e sinistra e lo sviluppo di una o l’altra, considerando che la più sviluppata è
quella che si aggrappa al substrato.

Il genere Diceras rappresenta una tappa evolutiva che segna il passaggio


dai megalontidi con cerniera eterodonte agli ippuritidi con cerniera pachio-
donte per riduzione degli elementi posteriori della cerniera. Esso è il pro-
babile ancestor di tutte le rudiste. Umboni spiralati. Lo strato interno è più
sviluppato di quello esterno. Si fissa sia con la valva destra che sinistra al
substrato. D. arietinum fossile guida dell’Oxfordiano (Giurass. sup.). Ambienti di laguna fino al margine della
piattaforma.
Questa forma è tipica del Giurassico superiore: la parte esterna è molto poco sviluppata rispetto alle forme che
vedremo successivamente: siamo agli inizi della fase di irrobustimento del guscio che vedremo accentuarsi
sempre di più con il tempo.

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Le Requenidi, che si sviluppano da una parte, mentre dall’altra si sviluppano tutte le altre, sono quelle che
vedono maggior sviluppo nella valva sinistra. Le Re-
quienidi appartengono ad un gruppo che si fissava con
la valva sinistra che è più grande e spiralata. La valva
destra è ridotta ad un opercolo. La cerniera è costituita
da un dente sulla valva sinistra e due sulla valva destra.
Lo strato esterno è ben sviluppato e caratterizzato da un
colore marrone scuro. Presenza di appendici miofore,
che sono degli irrobustimenti interni di calcite che ca-
ratterizzano apunto la parte interna del guscio.
Ambienti fangosostenuti con bassi e medi tassi di sedimentazione
Quindi mentre da un lato le Requenidi nel cretacico continuano il loro corso, dall’altro si sviluppano le Capro-
tinidae.

Caprotinidi, forme che subiscono un certo cambiamento rispetto alle stesse Requenidi: subiscono un allunga-
mento, iniziando a sviluppare delle valve destre che
si allungano a causa del legamento che diventa in-
terno.
Il genere Caprotina appartiene ad un gruppo che si
fissava con la valva destra al substrato; il guscio al-
lungato è caratterizzato da cavità accessorie. 1
dente sulla valva destra 2 denti poco sviluppati su
quella sinistra. Si caratterizza per l’invaginamento
del legamento che permise lo svolgimento del gu-
scio ed il suo sollevamento dal substrato.
Anche queste continuano ad avere le appendici
mioforie, e la cerniera pachiodonte (con i due denti
della valva sinistra ed un dente molto sviluppato nella fossa destra).
Dalle Caprotinidi, passaggio allo sviluppio di questa valva verticale, si passa alle Caprinidi.

Caprinidi sono una tappa evolutiva importante:


- Ispessimento maggiore dello sdtrato esterno del guscio
- Comparsa di una cavità interna (come un reticolato) che
nelle caprinidi è solo accennato ma successivamente di-
venteranno delle vere e proprie struttre meandriformi re-
ticolate tipo cellulari che caratterizza tutto lo strato
esterno.

Radiolitidi si evolvono poi dale Carpinidi e vedono uno sviluppo


maggiore di quella cavità prima citata.

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I Radiolitidi hanno forma conica o cilindrica. Hanno uno strato esterno del guscio molto spesso a struttura
cellulare con lamelle calcaree. Sulla parete esterna delle valve si pos-
sono avere due fasce a diversa ornamentazione rispetto al resto della
conchiglia. Queste fascie sono le bande sifonali.
Queste radiolitidi si diffondono nel Cretacico Superiore (la prima cosa
da vedere in queste forme è la presenza o meno di questa struttura cel-
lulare che caratterizza lo strato esterno di queste radiolitidi).

Dalle Requenidi di passa alle Ippuritidi vere e proprie che presentano


alcuni caratteri innovativi rispetto alle forme precedenti:
- Presenza di una cresta legamentare come ripiegatura interna. La
cresta legamentare corrisponde esterna-
mente ad una specie di solco: se esternamente c’è un leggero solco quindi è
sintomo di questo ripiegamento interno, cosa che nelle altre forme non tro-
viamo.
- Irrobustimento del guscio con dei veri e propri pilastri: strutture robuste che
corrispondono esternamente a delle ondulazioni evidenti. Avremo 2 pieghe
che corrispondono ai pilastri ed un solco tra le due.
- Presenza di tabule (che ricordano i dissepimenti delle archeociatine e di al-
cuni coralli, che si sviluppano dove c’è la necessità di adattamento ad amn-
bienti di altro idrodinamismo, che ravforzano l’organismo).
L’ornamentazione esterna è quindi dovuta a questi solchi, pieghe e pilastri interni.

Il gruppo delle Ippuritidi è l’ultimo grande gruppo di rudiste; è caratterizzato da elementi nuovi tra cui i pilastri,
creste legamentari, e pori, questi ultimi presenti solo sulla valva sinistra, quella libera. Questa è caratterizzata
da un complesso sistema di pori e canali che permette un efficace filtraggio dell’acqua marina che ne permise
la diffusione in gran parte degli ambienti sedimentari. La valva destra presenta all’esterno tre solchi longitudi-
nali ai quali corrispondono all’interno i pilastri e la cresta
legamentare. Genere Hippurites
La valva sinistra, che è molto molto ridotta vede una struttura
del guscio della valva caratterizzata da pori con funzione di
drenaggio e filtraggio del sedimento: vivendo in ambienti ad
elevata energia, le acque erano turbolente e piene di sedi-
mento (torbide) e la presenza di questi forellini faceva sì che
i frammenti più grossolani non entrassero all’interno del gu-
scio dell’organismo.

Paleoecologia
Le rudiste vivono in forme gregarie che crescono sia come
individui singoli che in dense associazioni. Possono vivere
erette o distese (dipende dalla specie). Troviamo affiora-
menti con posizioni di vita. Più cluster vanno a costituire dei
thicket (con estensione molto vasta).

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Anche queste, un po’ come gli scaphopodi dovevano vi-


vere ad una certa profondità all’interno del sedimento, le
fasi di crescita sono legate (come i coralli di oggi) ad una
certa profondità: quando si abbassava il livello del mare
per accumulo di sedimento queste tendevano a crescere
più rapidamente e viceversa con l’innalzamento.

Dal punto di vista stratigrafico quindi dal creta-


cico superiore si hanno le radiolitidi e gli ippuri-
tidi vere e proprie. Se troviamo le radiolitidi siamo
sicuri di trovarci al cretacico superiore.

Sono estremamente regionali quindi non si pos-


sono utilizzare per correlazioni a livello globale.

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9. Evoluzione
Da sempre l’uomo si è interrogato sulla diversità faunistica e floristica, e a secondo degli aspetti culturali che
si sono sviluppati durante i secoli sono state trovate origini diverse (creazionismo, catastrofismo, evoluzioni-
smo ecc.). La vera e propria teoria evolutiva è nata con Lamarck, un botanico paleontologo che intuì l’impor-
tanza dei resti fossili come forme ancestrali del passato da cui derivano quelle attuali.
La prima teoria che fa cenno all’evoluzione è quindi la sua, ma fu Darwin che la configurò e soprattutto la
elaborò modificandone i concetti e contribuendo tantissimo a determinare ed evidenziare il ruolo della pa-
leontologia nello studio dei processi evolutivi. Fu il primo ad evidenziarne l’importanza.

Darwin diede importanza alla paleontologia perché nell’analisi del record fossile che lui trasse le prove
dell’evoluzione. Noi parleremo dell’evoluzione soprattutto dal punto di vista storico paleontologico senza
cimentarci nelle diverse teorie elaborate poi durante gli anni se non quelle che hanno fatto riferimento al re-
cord fossile.
Una prova classica dell’evoluzione, che viene portata in numerosi testi è la presenza di organi che non sono
più funzionali e che si osservano in alcuni organismi. I femori presenti nei cetacei ad es. o nei serpenti, op-
pure le dita laterali dei cavalli. Sono resti di organi di forme ancestrali che non sonos tate più utilizzate e che
quindi non servono più. Ci sono questi caratteri anche nell’uomo, che ci fanno capire che deriviamo da altre
forme. La presenza di alcuni organi che vengono poi persi. Nel ciclo ontogenetico di un individuo possiamo
ripercorrere tutta l’evoluzione di una determinata forma (l’embrione può avere dei caratteri che poi vengono
persi ma che fanno invece riferimento a forme ancestrali).
La paleontologia evidenzia anche le strutture omologhe.

Anche la distribuzione geografica è molto improtante ed ha inciso molto nell’evoluzione. L’esempio che
viene sempre riportato è dei marsupiali in australia: i marsupiali presentano dei caratteri che ricordano ai pla-
centati che probabilmente quando l’Australia era unita insieme al continente eurasiatico gli organismi ave-
vano modo di diffondersi e una volta che si è distaccato dai placentati che avavno abitato l’Australia sono poi
evoluti i marsupiali per adattamento. Questo perché le condizioni insulari sono diverse da quelle dei grandi
continenti.

Recentemente la procva dell’evoluzione è stata dimostrata nache da tutti gli studi molecolari-genetici.

La diversità e l’adattamento non sono di per sé prove dell’evoluzione ma sono una sua conseguenza:
- Adattamento si intende tutte le caratteristiche etologiche, fisiologiche e morfologiche che rendono
l’organismo in grado di vivere in un determinato ambiente.
- La diversità è strettamente legata sia alle caratteristiche morfologiche legate al patrimonio genico, ma
anche all’influenza dell’ambiente su di esso.
Diversità ed adattamento sono due aspetti fortemente correlati tra loro.

La teoria di Darwin fu plasmata intorno all’ereditarietà dei caratteri e all’influenza che l’ambiente ha sugli
organismi. Lamarck limitava la diversità delle forme ancestrali e della loro prole riducendo la capacità di queste
teorie evoluzionistiche: secondo la sua teoria una forma ancestrale attraverso l’uso e non uso di determinati
organi magari assumeva la forma ovale, carattere che sarevve poi stato trasferito alla prole che lo avrebbe
quindi portato avanti. Lamark faceva dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti il focus della sua teoria, sottovalu-
tando la selezione naturale.

Darwin partiva da una forma ancestrale la quale aveva già di per sé una varietà genotipica: la prole di questa
forma ancestrale aveva già in sé una certa variabilità, chea vrebbe caratterizzato poi la popolazione, e su cui la
selezione naturale avrebbe poi agito (adattamento all’ambiente).
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La differenza tra lamarckismo e darwinismo è l’identificazione dei perni dell’evoluzione.

La teoria Darwiniana può essere in maniera molto semplificata in 5 punti:


- Diversità nell’ambito della stess aspecie
- Ereditarietà dei caratteri che ne permettere la trasmissione alla prole
- Fitness, prole numerosa che raggiunge la maturità ed ha più possibilità di irporduzione
- Selezione naturale sui caratteri più vantaggiosi che aumentassero la fitness
- Gli individui meglio adattati arrivano più facilmente alla maturità sessuale.

Esistono tre requisiti fondamentali per l’evoluzione:


- Ereditabilità
- Selezione naturale
- Variabilità

Ogni teoria che si è sviluppata a partire da quella di Darwin in poi si è focalizzata su aspetti diversi: morfolo-
gico, selezione naturale, genetico ecc.
Sembra un paradosso che i moderni evoluzionisti abbiano messo in evidenza questo aspetto: la selezione natu-
rale porta ad una eccessiva specializzazione. Il paradosso sta nel fatto che se la selezione naturale si specializza
in funzioni sempre più definite, porta a cambiamenti sempre meno addattabili. In natura però ci sono sempre
forme più generaliste e predisposte all’adattamento. Mentre le specie generaliste soccombono alle forme spe-
cialiste, hanno un areale così esteso che non ne risentono a livello di specie e riescono a sopravvivere.

Considereremo due aspetti:


- Microevoluzione, tutti i processi che portano all’origine di una specie e le testimoniante fossilifere.
- Macroevoluzione, tuttii processi che portano alla formazione di nuovi gruppi a partire da un determinato
taxon. Il punto di partenza è sempre la specie: non si formano generi, famiglie ecc. senza passare per la
formazione di nuove specie in primis.
C’è un altro discorso, è molto importnate infatti la scala, fornita dalla paleontologia, che ha la capacità di avere
una prospettiva temporale che ci permette di osservare come nella storia del nostro pianeta si siano evoluti i
vari gruppi: cosa che un neontologo (quello che studia i processi evolutivi nel presente, è il biologo sostanzial-
mente) non può fare.

Microevoluzione
Sono stati accettati diversi modelli che vedono l’inizio della formazione di una specie:
- Speciazione filetica, che prevede la trasformazione da una specie ad un’altra come processo graduale,
che non vede un aumento del numero di specie: da una si passa ad un’altra (con estinzione della forma
ancestrale).
- Speciazione in senso stretto, in cui si ha un aumento del numero di specie, in questo caso si può avere
la convivenza tra specie ancestrale e specie derivata.
L’azione che determina il processo di formazione di nuove specie è genralemtente ad opera di un isolamento
inizialmente geografico che poi porta ad un isolamento del flusso genico, impedendolo.

Ci sono 3 modelli di spiegazione della speciazione:


- Allopatrica, la più conosciuta, che si verifica quando la popolazione che vive in un areale si trova una
barriera geografica (o ecologica, ambientale ecc.) che consiste in un mare/oceano/catena montuosa ecc.
che divide la popolazione presente inizialmente: l’isolamento porta successivamente a processi di
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speciazione che portano sia ad una mutazione genica plasmata dalla selezione naturale che porta allaf
ormazione di due specie.
- Simpatrica, che da maggior peso alle mutazioni geniche: si verifica in un areale senza la formazione di
una barriera geografica. All’interno di quest’areale vengono quindi dirette dalla selezione naturale delle
mutazioni che a lungo andare determina un isolamento genico.
- Parapatrica, tipo di speciazione che si verifica quando due popolazioni della stessa specie che abitano
in areali contigui e la selezione naturale agisce in maniera differente: mentre in un areale è meno effi-
cace, nell’altro magari lo è di più. Questa tendenza alla speciazione è controbilanciata dal flusso genico
tr ale due popolazioni.

Questi modelli sonos tati presi e rielaborati dalle varie teorie, 2 principali:
- Teoria del gradualismo filetico (Simpson ’30) che dà maggior risalto alla speciazione filetica graduale.
Quando interveiene l’isolamento si ha subit un processo di speciazione in entrambi gli areali, per cui
alla fine quando successivamente si annulla l’isolamento si ha due specie completamente diverse da
quella ancestrale. Qui vediamo quindi la specie ance-
strale estinta, e due specie differenti da quella iniziale
che convivono nello stesso areale.
- Teoria degli equilibri intermittenti (Eldredge e Gould
’70) che prevede momenti di accelerazione di processi
di speciazioni intercalati da stasi molto lunghe in cui
non si verificano questi processi. A partire da una po-
polazione che occupa un areale, una volta che interviene l’isolamento geografico si innescano i processi
di speciazione: da una parte c’è la forma ancestrale e dall’altra le forme derivate. Quando fiisce l’isoal-
mento le due popolazioni possono rientrare in contatto ma queste possono andare incontro ad isolaem-
nto riproduttivo. Qui vediamo quindi la specie ancestrale che convive con la specie derivata. Questa
teoria ch eprevede dei slati senza una gradualità (che come paleontologi notiamo nei caratteri morfolo-
gici) è utile soprattutto dove mancano gli anelli mancanti: nonostante in molti casi possiamo vedere una
gradualità, in molti altri la gradualità manca e ci ttroviamo di fronte infatti a degli anelli mancanti.
Queste due teorie non si escludono a vicenda ma sono due facce della stessa medaglia: sono le condizioni
ambientali e le loro variazioni a determinare quale delle due si verifica. Testimonianza paleontologica conferma
il verificarsi di entrmabe.

Casi esempio di entrambi i modelli:


- Esempio di Equilibri intermittenti: la classe tubercolata (con 18 lentine) colo-
nizza ambienti marini più profondi, e da questa si sviluppa un’altra specie nel
devoniano inferiore con 17 lentine. La presenza delle due sottospecie non può
andare d’accordo con la teoria del gradualismo filetico. La Rana rana (quella
nuova) va poi a colonizzare ambienti marini più continentali e si forma così una
nuova specie sempre con 17 lentine. Anche questa poi va ad estinguersi e una
nuova specie (questa volta con 15 lentine) torna a colonizzare ambienti meno
profondi. Questa specie poi si sposta nuovamente in profondità mentre quella

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preesistente (la prima ad avere 17 lentine) continua a viverci, e così avviene la coesistenza di due sot-
tospecie.
- Altro esempio di Equilibri intermittenti: un brachiopode alla fine del Giurassico inferiore si diversifica
nel Pliensbachiano (si parla qui del numero delle pieghe che caratterizza le rinconellidi) in più specie
che convivono (non ammissibile nella teoria gradualistica filetica). Avviene poi un secondo passaggio
in cui tutte le specie si estinguono (compresa quella antenata) tranne una, che va speciandosi: questo
rientra invece nel Gradualismo filetico.
- Esempio di Gradualismo filetico, accade spesso con i microorganismi. I passaggi
gradulali che hanno portato a due forme sferiche di-
stinte da quella ancestrale originale hanno comportato
l’inglobamento da parte dell’ultima camera aperturata
di tutto il guscio, andando a portare ad una morfologia
assimilabile ad una sfera. Questi passaggi di ingloba-
mento sono stati identificati con delle specie che si sono formate, preve-
dendo modificazioni di un carattere (in questo caso l’inglobamento di un’ultima camera) che è graduale.
La line afiletica costituita dalla forma ancestrale alla radice e l’ultima forma derivata alla fine.
- Altro esempio di Gradualismo filetico, delle forme trocoidi (di
alcuni foraminiferi) si evolvono diventando sempre più globose.
La Globorotalia conoidea (ancestrale) si sviluppa nella parte in-
feriore del Miocene, e l’ultima derivata (Pleistocene) è la Globo-
rotalia inflata che corrisponde all’iniziod el quaternario (quando la troviamo in una successione in cui
prima è mancante e poi compare, è indicazione dell’inizio del limite del pleistocene). In questa teoria
non ci troviamo mai conoidea convivnete con l’inflata, e se dovesse succedere significherebbe che la
conoidea è rimaneggiata.

Nei grandi gruppi, soprattutto terrestri è più complicato ritrovare l’anello mancante (problema tafonomico)
perché mancano testimonianze fossili. La teoria degli equilibri intermittendi è importante perché spiega la
mancanza di anelli mancanti, che tuttavia potrebbero essere assenti per motivi di scarsa conservazione, e non
di metodologia di speciazione.

Macroevoluzione
I gruppi tassonomici sopra le specie sono individuati da differenze significative. La formazione di questi nuovi
gruppi viene individuata grazie alla presenza di nuovi piani strutturali. La macroevoluzione si occupa dello
studio:
- dell’origine di questi nuovi piani strutturali (vari casi) di organizzazione
- dei meccanismi che controllano la direzione dell’evoluzione stessa (che viene canalizzata da fattori
genetici, ambientali ecc.) inerenti ai processi appunto di macroevoluzione.
- La variazione della biodiversità anche è inclusa nella macroevoluzione.

Origine di nuovi schemi costruttivi degli organismi


Es: torsione dei gasteropodi.
Il distacco del gruppo dei gasteropodi è proprio dovuto alla torsione che hanno subito.
L’acquisizione di nuovi piani strutturali è sempre stata molto discussa perché è sempre difficile dare una spie-
gazione di questi fenomeni: noi possimao vedere le conseguenze, i meccanismi che hanno portato alla forma-
zione di questi piani, ma il motivo iniziale è sempre difficile da individuare.

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Altra ipotesi è di piccole mutazioni genetiche, anche se la genetica non riesce a spiegare le mutazioni genetiche
che portano poi a variazioni di grandi piani strutturali che portano al plasmaggio di nuovi gruppi. È tuttavia
probabile che la piccolamutazione genetica che abbia determinato questa torsione (avvenuta per gradi -lo si
vede dalle larve dei gasteropodi-). Questa torsione ha permesso che il capo e la massa viscerale entrino per
primi nel guscio dei gasteropodi (che non è più bivalve, ma un guscio unico) essendo le parti più delicate, e
successivamente poi il piede, quello che secerne l’opercolo. È sicuramente quindi una mutazione vantagiosa
che a lungo andare ha favorito gli organismi con questa dando luogo alla formazione dei gasteropodi.

Ci sono anche dei casi in cui i nuovi schemi costruttivi possono essere derivati da strutture preadattate: è il caso
delle piume degli uccelli, che derivano sostanzialmente dai rettili.
Gli uccelli, il cui anello di congiunzione con i rettili è una forma (Archeopterix) che ha caratteri di entrambi i
gruppi, sembra abbiano le piume atte al volo che derivi da alcuni dinosauri che però non avevano funzione
prevalente di volo, ma di mantenere la t° corporea, soprattutto le forme piccole che avevano metabolismo ac-
celerato. Probabilmente quindi le piume che osno presenti in questi piccoli retti sembra si siano poi evolute
dando origine agli uccelli stessi. Archeopterix ha caratteri come mascella con i denti che gli uccelli non
hanno, ad esempio.
Qeusta capacità di volo si è acquisita probabilmente con un allungamento con l’andare del tempo degli arti
anteriori che hanno eprso la capacità di camminare, e hanno iniziato ad essere “battuti” a mò di ali: a lungo
andare è stato un carattere vantaggioso probabilmente per sfuggire ai predatori.
Il cambiamento di qeusta struttura preadattata che aveva una funzione diversa nei rettili associata ad un cam-
biamento etologico nel comportamento dell’organismo ha protatao allo sviluppo del volo. Alcuni pesci molto
primitivi presentano die caratteri simili che troviamo nei primi anfibi che sono nella struttura delle pinne e
dei denti: la spinta che ha portato questi primi rettili da un tipo di vita acquatico ad un tipo di vita semiterre-
stre è stata legata ad un cambiamento etologico come ricerca di nuove risorse sull’ambiente terrestre.
Anche il apssaggio da rettili a mammiferi è stato un argomento sempre molto dibattuto: cmprende caratteri-
stiche e cambiamenti che noi paleontologi non possiamo valutare (endotermia, tipo di riproduzone) che ha
protato a dei cambiemnto morfologici che trovano riscontro anche nei cambiaementi fisiologici.

L’evoluzione viene canalizzata da fattori che possonof avorirne o limitarne la direzione. Uno dei casi che ab-
biamo visto n queste lezioni è stato quello della convergenza adattativa: l’ambiente influisce su forme che pur
non avendo progenitore in com,une sviluppano
morfologie particolamente vantagiose in determi-
nati ambienti che vegnono premiate dall asele-
zione naturale anche in gruppi separati filogeneti-
camente (analogie oppure omeomorfie).

Anche lo sviluppo di morfologie come allungate->

Diverso è il discorso dell’evoluzione parallela. Possiamo


avere lo sviluppo di steutture ed elemtni simili in gruppi di-
stanziati che però hanno inizialemnte una struttura comune
che evolve separatamente nello stesso modo nei due gruppi
derivati soggetti alla stessa spinta ambientale adattativa.
A differenza della convergenza adatttativa qui si ha un pro-
genitore comune.

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Possono essrci anche casi di evoluzione iterativa: generalmente in alcuni gruppi si


possono avere dei pattern evolutivi di alcuni caratteri che si ripetono ancye in tempi
differenti. Ad es. le globigerine che si sono evolute dando luogo nel neogene da una
parte alle orbuline e dall’altra a delle forme planosferali (hastigerine).
La variazione dei caratteri (e quindi tutte le fasi intermedie) fanno parte di un mo-
dello che si è ripetuto nel neogene (iterativo): ripetizione di pattern evolutivi di al-
cuni caratteri, il che non comporta una ripetizione della specie.
Nelle linee evolutive le forme ancestrali sono generalmente più semplici mentre
quelle evolute successivamente sono più complesse: modello che si ripete sistema-
ticamente nella storia della vita sulla terra.

Ci sono anche meccanismi limtianti come l’au-


mento delle taglie. In molti taxa (non sempre) si os-
serva una tendenza di aumento delle taglie nelle va-
rie linee evolutive da forme più piccole a forme più
grandi (soprattutto negli ambienti continentali terre-
stri) perché taglia maggiore comporta vantaggi: mi-
glior difesa e migliore competizione.
L’aumento della taglia comporta (legge di Cope)
una ristrutturazione della parte scheletrica degli or-
ganismi. In foto l’esempio degli elefanti: le forme
ancestrali erano grandi pressappoco quanto un
maiala (eucene), e piano piano si è avuta una diffe-
renziazione che ha comportato aumento delle taglie
e dei cambiamenti che prevedono una ritrutturazione della parte scheletrica e della parte del cranio (forme
ancestrali con carattere simil-rettiliano -> carattere derivato con mandibole più grandi) per adattarsi ad ambienti
differenti rispetto a quelli del neocene: nel pleistocene ci sono ambienti di savana e steppa che hanno sostituito
i periodi precedenti (prevalentemente freddi). Tutte le grandi foreste che si sviluppano nei periodi più caldi non
ci sono pià: questo ha favorito da un lato aumento della taglia (i grandi mammiferi vivono bene nelle grandi
praterie) ma allo stesso tempo hanno dovuto adattarsi ad un tipo di alimentazione che ha comportato un cam-
biamento nell’apparato di masticazione (dentazione ora con mandibole costituite da lamelle atte alla mastica-
zione) perhcé l’aumento della taglia ha comportato aumento dell’acquisizione delle risorse trofiche: gli elefanti
mangiano 24h su 24 per mantenere le loro dimensioni.

Un alteo esempio è lo sviluppo degli Equidi. L’aumento della taglia è stato associato
ad un cambiamento ambientale. Inizialmente si nutrivano di foglie e man mano che si
è passati ad un ambiente steppico (riduzione ambienti forestali) si è sviluppato uno
zoccolo (modificazione dell’arto) atto a vivere in ambienti con suoli duri, secchi e non
più soffici e morbidi, e si è sviluppato anche un tipo di nutrizione legato alla savana
(con passaggio da un tipo di dentazione adatta ad ambienti di savana: brucaggio).

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L’aumento della taglia non è ovviamente infinito, ma ad un certo punto diventa limitante, nonostante da una
prte può essere vantagioso. È limitante ad esempio nei Megaloceros (cervi presenti nel pleistocene) che erano
caratterizzati da apertura dei palchi di 4-5m.
L’aumento dei palchi e della grandezza (eterometria ed ipertelia,
cioè quando si ha una crescita eccessiva di un elemento strutturale
di parla di ipertelia che può essere positiva o negativa). L’aumento
di palchi eccessivo era quindi inizialmente vantagioso perché nella
savana potevano muoversi liberamente. È stato poi dimostrato che
era più un carattere sessuale: maschi con palchi più grandi erano
selezionali sessualmente dalle femmine. In questo caso non c’era
però lo scontro fisico: più i palchi erano grandi e più si evitava lo
scontro fisico: uno scontro tra forme di questo genere avrebbe de-
terminato la morte di entrambi (si sarebbero incastrati e non svincolati più). Alla fine del pleistocene queste
forme scompaiono completamente e probabilmente la fine del pleistocene (ambiente di tundra e steppa) e il
restaurarsi di ambienti forestali è stato l’elemento che ha determinato l’estinzione di queste forme che non
potevano muoversi in un ambiente di questo genere.

Altro fenomeno (legge di dollo) che si basa sul principio


che i fenomeni evolutivi non si ripetono mai, nonostante ci
siano dei modelli che ripetono dei caratteri: ogni vlta che si
ha un grande cambiamento ambientale iniziano nuove linee
evolutive, ma non ricompaiono mai specie ormai estinte.
Le tartarughe ad es. sono apssate dalla vita terrestre a quella
marina. Il passaggio ha determinato un allggerimento del
carapace. Successivamente queste forme hann riconqui-
stato l’ambiente terrestre e questo carapace che era sottile
e vantagioso per gli ambienti marini non lo era più negli
ambienti terrestri, e quindi si sono formate delle placche
calcaree robuste. Una votla che hanno riconquistato l’am-
biente acquatico è avvenuto nuovamente un allegerimento,
ma non sono ricomparse specie precedentemente estinte.

Quindi, i cambiamenti che si verificano all’interno della specie possono portare cambiamenti tanto significa-
tivi da causare la formazione di nuovi phylum.
I processi inerenti allamacroevoluzione sono:
- Acquisizione di nuovi piani strutturali (o per una piccola mutazione gentica, per la trasformazione di
una struttura preadattata -piumaggio dei rettili -> vere piume degli uccelli-)
- Tutti i fattori limitanti che canalizzano l’evoluzione (come l’evoluzione parallela o la convergenza
morfologica.
- Variazioni della biodiversità ce il nostro pianeta ha subito durante la sua storia.

Dal cambriano in poi ci sono state variazioni della diversità del biota che dipendono da una serie di fattori
che vedremo a breve e che attraverso il tempo geologico (importanza della palentonologia) ci permette di os-
servarle.
I meccanismi che portano alla variazione di diversità sono interpretabili in termini di:
- Colonizzazione
- Successo evolutivo
- Fasi di estinzione
- Competizione
- Il tempo che le forme hanno avuto per specializzarsi, quindi la velocità di turnover evolutivo che ha
caratterizzato in maniera differente i vari gruppi
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Dipendono quindi da una seire difattori che misuriamo attraverso il turnover evolutivo (tasso di evoluzione)
che misura quanto durano i vari taxa. In base a questo identifichiamo due gruppi:
- Branditelico, con basso turnover evolutivo, specie generaliste non specializzate
- Tachiteliche, con elevato turnover evolutivo, specie stenotopiche (più specializzate).

Generalmente si riparte semore da strutture poco specializzate che sono riuscite a superare la crisi biologica e
preparano il terreno alle forme che andranno via via più specializzandosi.
Tra le forme branditeliche (basso turnover) sono i marker stratigrafici perché hanno un range temporale
breve. Ci sono forme branditeliche chiamate fossili viventi:
- Taxa unici rappresentanti di gruppi che abbiamo visto (neopilina ecc.)
- taxa che hanno mantenuto alcuni caratteri primitivi mentre gli altri si sono evoluti
- taxa che hanno mantenuto i caratteri per lunghi intervalli temporali
Queste tre tipologie di forme adeeriscono alla definizione e al concetto di fossile vivente.

Sicuramente uno dei fattori che ha determinato la variazione della diversità determinando le estinzioni di nu-
merosi gruppi sono appunto le estinzioni di massa. Esistono inoltre estinzioni di base che fanno parte del nor-
male turnover evolutivo (legati a predazione, occupazione di nicchie ecologiche ecc.).
Esisotno anche le estinzioni regionali, come quelle che si sono verificate le variazioni di diversità del quater-
nario che ha determinato le estinzioni delle forme tropicali e delle medie latitudini a cauasa del freddo clima.
Tutte queste variazioni vengono registrate nel record geologico, e il mediterraneo è uno dei bacini che tende
ad amplificare questi fenomeni, rappresentando un’area studio particolarmente privilegiata.

Signor-Lipps Effect
Legato alla limitatezza di un record paleontologico: quando parliamo di estinzione di una specie non sap-
piamo se è avvenuta l’effettiva scomparsa di quella forma, c’è sempre un margine di invceertezza legato
all’incompletezza del record paleontologico.

Sono stati elaborati dei odelli che rappresentano i tre tipi di estinzione:
- primo diagramma fa vedere un’estinzione istantanea (dal punto di vista geologico) di gran parte dei
taxa, e solo alcuni (lazarus taxa) riescono a sopravvivere o ad adattarsi ai cambiamenti che si verifi-
cano durante l’estinzione e che daranno vita ai nuovi taxa
più specializzati
- secondo diagramma è estinzione graduale, sono modelli di
piccola entità che non riguardano grandissimi nuemro di
taxa estinti
- terzo diagramma a gradini, che identifica le estinzioni regionali, che si verificano in maniera ciclica,
legata a cambiamenti che si ripetono ciclicamente.

quindi il processo di estinzione è una crisi biologica, ma anche


l’incipit che poi porta alla formazione di taxa sempre più spe-
cializzati. Sepkoski ha analizzato forme terrestri continentali e
ha notato che procedendo nel paleozoico la fauna si specializza
ed aumenta sempre di più: le faune che occupano nuove nic-
chie ecologiche e sviluppano nuove modalità di vita si differen-
ziano portando ad una differenziazione ed aumento delle
forme. Fino ad arrivare alla fine del paleozoico in cui si aveva
già tutta la fauna moderna, fino ad un’ulteriore specializza-
zione.
A parte quella del triassico e quella del cretacico, non abbiamo avbuto grandi cambiamenti che hanno scon-
volto il nostro biota, tutte sono avvenute nel paleozoico, ed hanno dato un’accelerazione dal processo evolu-
tivo.
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Queste estinzioni hanno una ripetizione ciclica (intorno ai 26 Ma), e questo tipo di ciclicità può essere sol-
tanto il fruttto di variazioni cicliche che interagiscono e lasciano un effetto sul nostro pianeta. Molti hanno
pensato che questa ciclicità sia legata al passaggio di comete, perché le estinzioni del paleozoico sono spesso
associate ad impatti di meteoriti, perché la Terra passerebbe ogni 26 My nella Nube di Oort, il che determine-
rebbe un incremento delle meteoriti, che è legato alla presenza di una stella “Nemesis” oppure al movimento
dell’orbita del sole, oppure che c’è un pianeta la cui orbita ciclicamente interferisce con la nube di Oort. Tut-
tavia ancora non ci sono dati certi.

Si è visto che anche se sicuramente c’è una ciclicità, non sempre la crisi biologica corrisponde alla presenza
di impatti così significativi da determinare un’estinzione. L’unica prova è quella dell’estinzione KT (creta-
cico). Questa ciclicità non coincide molte volte esattamente a 26Ma, quindi non sono delle cadenze precise.
Inoltre molti ritengono che 26 Ma è il tempo necessario ai taxa pr adattarsi, sarebbero quindi i tempi di spe-
cializzazione dei singoli taxa, e quindi questo ciclo farebbe parte del trend naturale evolutivo che caratterizza
il nostro biota. Anche se va riconosciuta a Sepkoski la scoperta di questa ciclicità.

Le estinzioni di massa hanno delle caratteristiche precise che abbiamo già visto, e le cui cause sono legate a
dei cambiamenti ambientali che possono essere riassunti in:
- oscillazioni nel livello del mare
- cambiamenti cliamtici, che influiscono a livello globale, sono quelli che detemrinano e scatenano una
serie di effetti a catena in cui rientrano alcune delle altre cause
- cambiamenti del regime oceanico
- impatto di un bolide extraterrestre, ce sono delle concause che insieme al cambiamento climatico pos-
sono in determinate condizioni e sotto determinate coincidenze scatenare un effetto domino che porta
ad un’amplificazione del cambiamento ambientale che determina estinzioni di massa
- attività vulcanica, anche qeusta va ad incidere sul clima del nostro pianeta. La messa in posto di mate-
riale che va negli alti strati dell’atmosfera e determina un effetto serra, ma anche la messa in posto di
grandi basalti e lave, che determina dei processi che possono liberare co2, metano ecc. che vanno ad
incidere sul cambiamento climatico

I cambiamenti climatici sono riconosciuti come una delle cause prioritarie delle grandi estinzioni.
C’è chi pensa che stiamo vivendo la sesta estinzione di massa, che è legata non soltanto a variazioni climatice
ma anche all’impatto antropico.
Si sono osservate tutta una serie di estinzioni, c’è un organo che ogni anno fa un censimento nei vari gruppi
di forme estinte o minacciate, che fanno pensare che stiamo andando incontro ad una sesta estinzione di
massa.
Per il fatto che ci siamo dentro, e che non abbiamo un tessimento globale di tutte le forme esistenti (non le
abbiamo classificate tutte), è difficile fate un calcolo delle estinzioni: si fa per aree di 10.000km2, ed è quindi
molto difficile cercare di definire un’estinzione di massa nel periodo in cui ci si trova.

La difficoltà nel marino, ancora più del continentale, è grande perché molte specie non sono conosciute.
La percentuale di estinzione delle popolazioni in 177 specie di mammiferi riguarda tutta la parte dell’Africa
settentrionale, dell’europa, dell’australia, la costa occidentale degli stati uniti, la parte della costa dell’ame-
rica latina ecc.

Accanto alle gtrandi estinzioni ci sono grandi radiazioni adattative che le controbilanciano, generalmente le
prime forme oltre ad essere molto generaliste sono forme di taglia molto piccola perché c’è un risparmio me-
tabolico iniziale che consente agli organismi di adattarsi rispetto alle forme più spoecializzate, e naturalmente
avviene quando:
- si ha l’acquisizione di nuovi piani strutturali
- estinzione di un grande gruppo (brachiopodi) con acquisizione di un nuovo piano strutturale, qeusti
due processi vanno generalmente di pari passo
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10. Gasteropodi

I Gasteropodi sono Molluschi, caratterizzati dal fenomeno della torsione della massa viscerale.
Organismi principalmente bentonici, acquatici, sia marini che dulcicoli.
Alcuni adattati alla vita terrestre.
Le dimensioni variano da pochi millimetri a qualche centimetro. Guscio di aragonite/calcite e sostanza orga-
nica. Sono noti dal Cambriano.

I gasteropodi sono uno dei gruppi più numerosi, si stima inoltre che ne conosciamo solo il 30% delle specie
esistenti. Lo sono ora ma lo sono state anche nel passato: compaiono dal Cambriano e hanno avuto più fasi di
radiazione (diversificazione) dopo ogni grande crisi. L’insuccesso di queste forme è legato al fatto che hanno
occupato la totalità delle nicchie di ambiente marino e anche terrestre, e infatti comprendono anche forme
terrestri (sia continentali sia dulciacquicole). Si sono adattati molto rapidamente e pertanto questi due aspetti
hanno fatto sì che queste forme si siano molto diffuse, occupando gran parte degli ambienti marini in ambiente
neritico (intertidale) e più profondo.
Queste forme hanno una conchiglia caratterizzata da una sola valva che va da alcuni millimetri a qualche metro.

Sono delle forme dal punto di vista biologico e dell’orgniz-


zazione delle parti molli abbastanza complesse in quanto
presentano una serie di organi che hanno permesso anche di
adattarsi a vari ambienti e l’elemento che ha fatto sì che si
sia creato questo gruppo è stata la torsione che si è verificata
in questo arto mollusco e che ha visto cambiare la posizione
dell’ano e della cavità del mantello che prima era in èpo-
siozne anteriore e poi posteriore. Qhesta torsione si è veri-
ficata per gradi, nelle fasi larvali la rotazione è di 90% e successivamente, da adulto, viene completata del tutto.

Questo cambiamento legato ad una mutazione genica è stato estremamente vantaggioso per queste forme per-
ché ha permesso loro di adattarsi a questa unica conchiglia, e perché permette di fare entrato il capo e il velum
per primo rispetto al piede, che va a chiudere l’apertura (il peristoma, la cavità) che comunica con l’estenro. Il
piede in qualla posiizone ha permesso di secernere un opercolo corneo che va a chiudere la conchiglia in con-
dizioni di stress.
Le parti molli oltre alla massa viscerale e organi comprende: mantello, bocca, testa e piede.

La testa è caratterizzata da un sistema visivo (occhi alla base o alla sommità di tentacoli) e altri organi di seno.
La bocca ospita una radula caratterizzata da un “nastro” compo-
sto di denticoli chitinosi talvolta contenenti veleno.
La struttura della cornea presenta variazion irispetto alle ten-
denze evolutive: le prime forme presentavano centinaia di den-
ticli che costiutivano questo nastro, mentre nelle forme succes-
sive si sono ridotte e specializzate: più appuntite e con veleno.
La radula essendo chitinosa non la troviamo in ambiente fosisle.

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Il piede, tessuto musclare, è caratterizzato da una ghiandola che secerne muco (funzione di locomozione) e
secerne l’opercolo, molto più frequente nel record fossile. Gli opercoli a volta sono facilmente riconducibili ai
gasteropodi, ma a volte è più complesso classificare basandosi sugli opercoli.
Appaiono come conchigliette piatte ed hanno una ornamentazione elicoidale.

Oil piede con fujzione di bloccare la preda si è modificato in una sorta di ali che permet-
tono a questi organismi di aadttarsi ad una vita planctonica: i gasteropodi sono infatti gli
unici planctonici, il resto sono tutte forme che vivono sul substrato.

Il mantello aderisce in maniera completa dall’apice della conchiglia e tende a distaccarsi


verso la parte terminale (apertura della conchiglia: peristoma) tanto da creare la cavità
del mantello in cui c’è un organo che controlla il chimismo dell’ambiente e
del sedimento. questo organo tende a chiudere e sigillare la prte interna (e
proteggere la parte viscerale degli altri organi) soprattutto dove abbiamo ac-
que torbide, fungendo da filtro.

Le masse viscerali comprendono una serie organi:


- le gonadi (sistema riproduttore: sessi in genere separati ma non man-
cano casi di ermafroditismo),
- il sistema digerente che è costituito da una bocca, faringe, radula, esofago,
stomaco, intestino, ghiandola digestiva (epatopancreas) e dall’ano;
- il cuore è posto nella cavità pericardica (lato dorsale) ed è costituito da un
ventricolo e da una o due orecchiette.

Conchiglia
La maggior parte dei gasteropodi hanno una conchiglia
- trocospirale, ad avvolgimento spiralato che non avviene su un unico piano ma su piani differenti.

La conchiglia è caratterizzata da un apice dove si origina il guscio che si forma attraverso


i processi di biomineralizzazione e può accrescersi per aggregazione. Non sono molto
conosciuti questi processi di biomineralizzazione, solo negli ultimi anni cè un interesse
particolare da parte dei geologi perché i processi di biomineralizzazione sono fonda-
mentali nella comprensione della formazione di alcuni minerali.

L’angolo apicale è importante per la classificazione, la sutura che differisce dalle am-
moniti in cui è l’evidenza di un setto interno, mentre in questo caso non ci sono setti.
La conchiglia distingue i vari giri della spira.
L’angolo suturale p l’angolo che la linea di sutura fa con l’asse orizzontale ed è gene-
ralmente inclinato ma può variare molto a seconda dell’andamento della spira stessa.
L’ultimo giro è quello generalmente più sviluppato e comprende l’apertura (peristoma) che generalmente pre-
senta dei labbri (uno esterno e uno interno) e può presentare due canali, il canale anale (generalmente nella
parte alta del peristoma) e il canale orale in posizione basale rispetto al peristoma.

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Nel labbro interno possono esserci delle pieghe, degli inspessimenti calcarei ecc.

L’avvolgimento della spira può essere molto stretto e in questo caso la parte interna dei
giri costituisce un perno centrale chiamato columella: si verifica solo in forme molto tu-
bicolate con passo della gira molto stretto. ->
Talvolta può formarsi un’altra sturtrura in cui la columella è una specie
di canale che sfocia nella parte esterna con una fossetta che chiamiamo
ombelico, che puà essere cieco (coperto) oppure aperto (scoperto).

Sulla parte interna dell’apertura è spesso presente un livello conchi-


gliare liscio (inductura) prodotto dalla superficie del mantello.
Essa può ricoprire completamente o in parte l'ombelico, in questi casi prende il nome di callo.
L'apertura, il cui margine viene detto peristoma, può presentare un solco (canale sifonale) in
corrispondenza dell'uscita del sifone. Il peristoma è costituito da un labbro esterno, un labbro
basale e da un labbro interno.

Il canale anale può essere rappresentano inoltre da una rientranza che con la
crescita (indicata come fessura pleurotomarica) dell’organismo lascia una linea
visibile dall’esterno.
Possono inoltre esserci dei fortellini, traccia dell’ano, che con la crescita dell’or-
ganismo vengono lasciati in corrispondenza della precedente presenza.

Quando il canale sifonale è presente può essere più o meno marcato e l’apertura
può avere un margine continuo, allora l’apertura si dice intera, e la conchiglia è
OLOSTOMA oppure interrotta da un canale sifonale, più o meno sviluppato e la
conchiglia è SIFONOSTOMA. Il margine dell’apertura è quindi molto importante,
e alla presenza di calli che possono caratterizzare il peristoma è molto importante
vedere il margine: se è presente un canale sifonale oppure no.

Una grande varietà di solchi, spine e coste, assieme alle linee di crescita, costitui-
scono l'ornamentazione della conchiglia. Periodiche crescite differenziate possono
produrre linee più marcate (varici).
Anche al proprio interno il guscio può presentare protuberanze o tubercoli, oppure co-
ste attorno al profilo dell'apertura.
L’ultimo giro è sempre quello che supporta l’apertura (stessa cosa vale per i setti) -
IMPROTANTE-.
Molto importante dal punto di vista tassonomico è una cicatrice che rappresenta il
punto sulla conchiglia esterna che corrisponde al punto di attacco del mantello alla
conchiglia interna.

Generalmente le morfologie dei gusci sono di tipo spiralato, ma queste presentano


una morfologia ed un passo di avvolgimento molto differente.
Si parla di spira evoluta quando vediamo tutti i giri di questa. Possiamo avere ad
esempio anche la spirale involuta in cui l’ultimo giro copre gli ultimi giri prodotti
(vedremo solo l’ultimo giro quindi).
La spira tropospirale ha sempre un lato che è evoluto e l’altro che è involuto.
Nelle tropospirali possiamo avere delle forme biconiche, fusiforme (dove si ha un
canale sifonale molti sviluppato), tutticolata con avvolgimenti molto stretti ed allungati con un apice molto
acuto.

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Possiamo avere inoltre la discoidale, che è simile a quella evoluta, infatti questo termine non viene spesso
utilizzato. La morfologia può essere globosa in cui la parte dell’ultimo giro è rigonfio, trocoide a forma di
cono, o conica (come cono rovesciato). La morfologia turbninata ha l’ultimo giro molto sviluppato ed evidente,
ma presenta delle periferie non arrotondate e abbastanza spigo-
lose.
La forma convoluta è simile all’involuta, ma mentre nell’invo-
luta c’è una parte ombelicale centrale in cui si intravede una
spira, nella convoluta si vede esclusivamente l’ultimo giro.
C’è inoltre la cirtoconica e la coeloconica che sono definite in
abse al fatto che il profilo (la parte della spira) sia concavo o
convesso.
Patelliforme sono forme subcircolari che vivono attaccate ai
substrati.

La morfologia prende il nome dal genere che la rappresenta.

Struttura dei gasteropodi


Caratterizzata d auno strato esterno (periostraco) costituito da conchiolina, che essendo sostanza organica non
si conserva.
Il guscio dei gasteropodi è costituito da Aragonite, ma nei fossili troviamo spesso Calcite (l’aragonite si tra-
sforma frequentemente in calcite), che presenta strutture a più strati con lamelle variamente inclinate. Questa
struttura è molto resistente.

La struttura interna può essere:


- Madreperlacea: lamine di aragonite disposte parallelamente alla superficie esterna frammiste a livelli
di sostanza organica. La struttura madreperlacea è quella più alterabile perché non c’è sostanza orga-
nica.
- Lamellare incrociata: lamine primarie perpendicolari alla superficie esterna e lamine secondarie obli-
que.
- Fogliacea: lamine di aragonite disposte parallelamente alla superficie esterna.
- Prismatica: prismi di calcite disposti perpendicolarmente alla superficie esterna.

Dal punto di vista paleontologico i fgasteropodi non hanno grande valenza stratigrafica (anche se esistono delle
forme marker - ospiti nordici o caldi), ma hanno grande valenza dal punto di vista ambientale in quanto ospitano
una grande varietà di nicchie ecologiche.
Per quanto riguarda la classificazione, fino all’anno scorso si seguiva una certa classifciazione perché detta-
gliava molto bene alcuni gruppi fossili da quelli attuali e li suddivideva dal punto di vista morfologico. Adesso
invece questo tipo di classificazione (con 3 sottoclassi: Prosobranchia, Opistobranchia e Pulmonata) include la
genetica (oltre alla morfologia) è stata rivista e sono state individuate 4 sottoclassi basali (Neritimorpha, Patel-
logastropoda, Neomphaliones, Vetigastropoda) e 2 derivate (Caeno.... e....)

Sottoclasse Prosobranchia – Ordine Archeogastropoda


Gasteropodi che hanno subito una torsione completa e possiedono la cavità del mantello e la branchia in posi-
zione anteriore. Capo con un unico paio di tentacoli.
In pochi possiedono due branchie, nella maggior parte dei taxa quella destra è
scomparsa.
Conchiglia elicoidale o a “cappuccio”. Opercolo di solito presente. Animali pre-
valentemente marini, sebbene alcuni vivano in acque dolci o in ambiente terrestre.
Per la maggior parte bentonici (epifaunali o infaunali); poche le forme pelagiche.
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La metà dei gasteropodi conosciuti rientra in questa sottoclasse.


Tre ordini:
Ordine Archeogastropoda (Cambriano inf. - Attuale) Ordine Mesogastropoda (Ordoviciano medio - Attuale)
Ordine Neogastropoda (Cretacico – Attuale)
Esclusivamente marini, sifone inalante assente, conchiglia per lo più a spirale elicoidale.
Nei generi attuali la spirale risulta appena accennata o com-
pletamente assente (Fissurella o Patella).
Ornamentazione di tipo longitudinale (coste, tubercoli) o a
coste radiali nelle forme coniche.
Ordine molto diffuso durante il Paleozoico: hannod etermi-
nato il grande declino delle stromatoliti e microbialiti, perché i gasteropodi mangiavano i tappeti algali che
costituivano la loro struttura.

Sottoclasse Patellogastropoda
Comprende un solo ordine, conchiglia conica aragonitica. Vive in ambienti costieri (anche intertidale tra l’alta
e bassa marea) e sono legate a substrati rocciosi duri.

Sottoclasse Vetigastropoda
Comprende moltissime famiglie e4 ordini. Hanno una conchi-
glia aragonitica con strato maadreperlaceo interno. A questa
sottoclasse dobbiamo ricordare che appartiene il genere Pleu-
rotomaria (marker del Giurassico).
A questo gruppo appartiene anche una forma inizialmente in-
serita nella classe precedente ma si chiama fissurella, che si di-
stingue dalla patella (patellogastropoda) per la fessura.

Sottoclasse neritimorpha
Conchiglie di natura aragonitica con 3 strati e comprende 3 famiglie con rappresentanti marini e dulciacquicoli
tipici di ambiente terreste e caverne marine (ambienti molto particolari come i canyon).
Sono fasteropodi tipici del paleozoico. Alcune forme presentano affinità con forme recenti.

Sottoclasse Caenogastropoda
Compaiono nell’ordoviciano e si diversificano gradulamente per tutto il paleozoico. Da
poche forme sopravvissute alla crisi permo-trias ha avuto più fasi di irradiamento tra traias-
sico e giurassico.

Lo strombus (caenogastropoda)
È importante perché indica l’ultima fase
calda, essendo del Pleistocene superiore.

Sottoclasse Heterobranchia
Caratterizzata da forme prevalentemente continentali o salmastre.
Sono privi di branchie in cui la cavità del mantello si è modificata in un polmone attraverso la vascolarizzazione
della superficie interna.

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Qualora presente, la conchiglia presenta una estrema variabilità morfo-


logica ed uno spessore molto sottile.
Organismi di acqua dolce o terrestri (con rare forme marine).
Caratterizzano i terrazzi quaternari di tutta l’Italia.

Di questi fanno parte anche due famiglie molto importanti, Nerineidi,


estinte. Sono importanti perché sono gli unici gasteropodi con una columella interna
caratterizzata da ornamentazioni di pieghe (pieghe columellari) imortatnti a livello
della classificiazione. Ci sono delle facies nerineidi nel giurassico. Si studiano non
tanto esternamente, ma internamente, perciò si studiano attraversosezioni sottili che
mostrano le pieghe columellari. Sono presenti generalmente in ambiente di scogliera.
Sono caratteristiche del Giurassico.

Oltre alla nerineide dobbiamo ricordare la famiglia Actaeonellidea, del Cretacico.


Gasteropodi in cui la cavità del mantello e le branchie si trovano spo-
state verso l'estremità posteriore o addirittura risultano assenti; in tal
caso la respirazione è svolta da branchie esterne.
Conchiglia ridotta o del tutto mancante; opercolo spesso assente. Mol-
luschi prevalentemente marini.

Gli Pteropodi sono piccoli organismi pelagici dalla forma allungata,


dotati o meno di conchiglia, diffusi dal Cretaceo superiore ad oggi.
Hanno un piede espanso, a forma di ala, che ha permesso loro l'adattamento al nuoto. In al-
cune aree oceaniche risultano talmente abbondanti che originano, attraverso l'accumulo dei
loro resti, i cosiddetti “fanghi a pteropodi”.
Il loro piede si è quindi modificato a forma di ali e riescono a muoversi tramite esso, sono
planctonici in parte nectonici.
Hanno un guscio aragonitico e sono di ambiente profondo in quanto il plancton si sviluppa
dove c’è circolazione di acqua (fino ai 200m).
Hanno forme particolari: possono essere a conchiglia, o forme strane con gusci molto sottili
un po’ lattiginosi.
In determinarte aree, costituiscono tutta la sedimentazione carbonatica degli ambienti profondi: si chiamano
fanghi/argille a pteropodi.
Gli pteropodi non hnano tanto una valenza stratigrafica, così come tutto il plancton, ma paleoclimatica essendo
condizionati dalla t° e hanno una distribuzione che segue la latitudine: ci sono forme equatoriali, subtropicali
oppure di fasce più alte.

Ospiti nordici
Sono organismi che hanno esteso il proprio areale di distribuzione in periodi freddi entrando nel mediterraneo.
Questo si è verificato come un ciclo cliamtico sia freddo che calde costituito da oscillazioni minori che nel loro
insieme danno un trend verso il caldo o verso il freddo. Queste fasi di avanzamento dei ghiacciai sono state
individuate grazie all’arrivo nel merditterraneo di forme e più riprese (scaglionate nel tempo) che ci permettono
di individuare varie fasi.

Questa suddivisione del calabriano è MOLTO importante perché ai fini della stratigrafia uno deve dettagliare
il più possibile la datazione, può far riferimento a queste tre unità (sottopiani) non formalizzati ma che la
commissione internazionale ha riconosciuto come unità utili a livello locale-regionale per l’area mediterranea.

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- Fase Santerniano, caratterizzta dall’Arctica islandica, Venerupis stromboides, Pseudamussium septem-


radiatum, Natica clausa (la natica di cui abbiamo visto prima la tigrina). Questa associazione iniziale è
fondamentale perché segna l’inizio della fase glaciale delle nostre aree: 1.6-1.7 Mya.
- Abbiamo un’altra fase, l’Emiliano, caratterizzata dagli ospiti nordici Mya truncata, Neptunea contraria
(la maggior parte dei gasteropodi hanno avvolgmento destrorso che si capisce orientando l’apice della
conchiglia verso l’alto, il peristoma verso l’osservatore: se è a destra è destrorsa, se a sinistra è sini-
strorsa. In questo caso l’avvolgimento è a sinistra, perciò è definito sinistrorso) e Chlamys tigrina, che
risale a 1.1-1.2 Mya.
- Altra fase di forme fredde: Siciliano, segnate dalla presenza degli ospiti nordici Buccinum undatum,
che risale a 0.8 Mya.

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11. Cefalopodi
Che tra i molluschi sono i più evoluti e specializzati.
Sono forme marine caratterizzati da una modifica, si sono originati sempre dall’archeomollusco e hanno
avuto una modificazione del piede che si è trasofrmato in tentacoli e anche nella presenza di un organo a
forma di imbuto che permetta loro di nuotare e spostarsi.
Hanno un guscio che può essere interno o esterno, nella maggior parte dei Coeloidea è interno e in ammonoi-
daea e nautiloidaea è esterno.
Hanno avuto turnover evolutivi molto rapidi e pur essendo comparsi nel cambriano sono forme che assu-
mono un’umportanza biostratigrafica molto importante. Le dimensioni vanno da pochi cm a tanti metri.
I cefalopodi sono stati visti nell’immaginario collettivo e nella mitologia/narrativa come dei mostri e delle
forme gigantesche, ma non superano i 20m solitamente. Tra tutti i molluschi i cefalopodi sono tra i più evo-
luti anche per il sistema nervoso costituito da 4 gangli collegati tra loro in corrispondenza dell’apparato dige-
rente ed un numero di neuroni elevato: equivalente a quello di un cane, infatti molti di questi sono considerati
“intelligenti”.
Hanno un guscio estremamente diversificato. Inoltre a differenza dei gaste-
ropodi osserviamo che l’organismo non occupa tutta la conchiglia, ma que-
sta assume solamente una funzione di galleggiamento: non è più un am-
biente che viene occupato interamente, ma compaiono dei setti, guscio
settato.
L’organismo vive nell’ultima camera dove è presente l’apertura, le parti
molli sono costituite da un capo (con tentacoli che sono la trasformazione
del piedee presentano un becco interno da cui si diparte la radula interna
dalla quale poi verso la parte posteriore si sviluppa l’apparato digerente. I
gangli nervosi sono localizzati in prossimità dell’intestino) e il piede.

I tentacoli sono provvisti da una serie di ventose che spesso presentano degli
uncini in alcune specie, possono essere orticanti per l’uomo e sono associate
a un organo (imbuto detto iponomo) che lascia sulla conchiglia una traccia
importante (come il lofoforo), motivo per cui per noi è importante, il segno è detto iponomico.
La cavità branchiale è costituita da un tessuto muscolare robusdto azionato da una seire di muscoli che permet-
tono entrata ed uscita di acqua che genera spostamento della conchiglia e dell’organismo. Man mano che l’or-
ganismo cresce crea un nuovo setto e l’organismo passa nella nuova camera: l’acqua residua nella camera
precedente viene espulsa attraverso il sifuncolo (un organo che ora vedremo). La conchiglia è piena di gas
prodotti dall’organismo ed ha una funzione di galleggiamento. Sono quindi forme nectoniche anche se alcune
forme hanno forti relazioni col fondo (ammoniti) e presentano una conchiglia ed ornamentazione che poco si
lega con una modalità di vita planctonica o nectonica e faceva leggeri spostamenti sul fondale.

Alcuni sono caratterizzati al di sotto dell’iponomo da una sacca piena di inchiostro che viene espulsa in situa-
zioi di stress o in presenza di predatori e sono caratterizzati da organi visivi coem veri e propri occhi: sostanziale
differenziazioni rispetto alle forme di prima.
La massa viscerale è rinchiusa nella camera dl manbtello localizzata nell’ultima camera: da una piega del
mantello viene secreto tuttto il guscio.

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Il guscio è generalmente aragonitico, anche se sono presente lamelle di so-


stanza organica.
La conchiglia esterna dei cefalopodi è generalmente conica, in base alla po-
siiione del seno iponomico identifichiamo la parte ventrale, mentre la parte
dorsale è quella opposta, a prescindere dalla curvatura della conchiglia.
Quando il seno è presente nella parte concava la conchiglia èd etta endoga-
strica, quando nella convessa è esogastrica.
I setti suddividono il guscio in camere

La maggior parte dei cefalopodi fossili hanno una conchiglia esterna, mentre
attualmente predominano le forme con conchiglia interna.
In generale vengono utilizzati i seguenti criteri per orientare la conchiglia:
1) la parte anteriore è quella con l'apertura;
2) la parte posteriore è quella con l'apice;
3) il lato ventrale è quello su cui poggia l'imbuto;
4) il lato dorsale è quello opposto al ventrale. Le conchiglie ricurve o
avvolte nelle quali il ventre è sul lato concavo interno sono dette en-
dogastriche; quelle nelle quali il seno è sulla parte convessa sono
dette esogastriche.

Il sifuncolo collega la camera iniziale con quella di abitazione (finale), ed è


iprtante perché la sua posizione determina i vari gruppi.

La spirale dei nautiloidi è stata sempre utilizzata perché c’è un rapporto ideale
tra raggio di curvatura ed avvolgimento della spira, ed è stata scoperta per la
prima volta da un greco ed Euclide ha messo a punto l’utilità e l’applicazione di queste figure geometriche.
È stata ripresa successivamente da altri matematici ecc.

La prima parte del guscio, la più stretta, è chiamata fragmocono ed è suddivisa


in una serie di camere per mezzo di setti trasversali. Anteriormente, nella parte
terminale della conchiglia, si trova un'ampia camera che ospita le parti molli,
chiamata camera d'abitazione.
Il fragmocono è quindi tutta la parte della conchiglia esclusa la camera di abita-
zione.
L’origine della conchiglia avvolta è sempre una parte embrionale (protoconca)
collegata come tutte le camere da un legamento al sifuncolo (prosifone) che si
ricollega al sifuncolo che è la struttura che passa attraverso tutte le camere. Il
sifuncolo è costituito da un rivestimento calcitico e si collega in corrispondenza dei
setti attraverso dei collaretti (colletti settali) imporantissimi ai fini della classifica-
zione per forma e modo di unione dei loro margini con il setto.
È molto importante nella classificazione di questo gruppo.

Nella conchiglia svolta invece i setti sono collegati tra loro da


collaretti in cui passa il sifuncolo, attraversato da un tessuto va-
scolarizzato che ha funzione di fuoriuscita dell’acqua dalle ca-
mere non abitative.
Il sifuncolo ècollegato ai collaretti settali attraverso degli anelli
di connessione di natura calcitica e collegano tutti i collaretti. Il

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punto di unione del collaretto con il setto puà essere di varia forma: uncinato, oppure scendere lievemente
lungo l’anello di connessione.

Il sifuncolo quindi, pur essendo una parte del guscio che non si conserva,
è impotante perché la sua posiizone varia a seconda dei gruppi, ed è un
elemento importante per la classificazione. Nel nautiloide il sifuncolo è
in posizione centrale sempre. Nell’ammonite è sempre dorsale e si sposta
verso la parte interna della spira, ma non è mai centrale: in un fossile di
ammonite la prima cosa che dobbiamo vedere è il collaretto se è visibile.
Nella sepia invece il collaretto è settato e interno, il sifuncolo è posteriore
e ridotto.

All'interno della conchiglia ciascun setto incontra la parete della con-


chiglia identificando una linea chiamata linea di sutura. Questa linea è
particolarmente ben visibile nei modelli interni e costitui-
sce un carattere molto importante per la classificazione. La
sutura è quindi l’evidenza del setto sulla parte interna del
guscio, e rappresentano la linea evolutiva: si passa da
forme semplici come quella ortoceratitica. Poi abbiamo una sutura
agonialitica con un primo lobo molto acuto e le selle abbastanza
dolci.
- Sutura ortoceratitica
- Sutura agonialitica
- Sutura goniatitica, con una sella centrale con un piccolo
lobo ed è caratterizzata da lobi molto acuti e selle arroton-
date. Questa insieme all’agoniatitica e all’ortoceratitica sono forme primitive che troviamo nel paleo-
zoico.
- Sutura ceratitica, a partire dal mesozoico, con selle e lobi ma i lobi presentano delle piccole dentella-
ture.
- Sutura ammonitica, caratterizzata da selle e lobi frastagliati.
- Sutura filloceratitica: con strutture molto più articolate indicate come terminazioni filloidi, a partire
dal giurassico.

Modalità di vita
I cefalopodi sono organismi esclusivamente marini, attualmente abbondanti nelle acque di tutti gli oceani.
Prediligono profondità ridotte, anche se alcuni taxa possono spingersi fino a circa 5000 m. Sono prevalente-
mente nectonici. Gli spostamenti sia verticali che orizzontali vengono compiutidall’iponomo. L'assetto dell'a-
nimale durante il nuoto viene garantito dall'equilibrio fra la massa capo/piede e il peso della conchiglia. I
Nautiloidae sono forme che vivono attualmente sul fondo, sul pendio esterno dei reef dell’Oceano Pacifico
fino a 500 m di profondità.
I Coelidaea hanno sviluppato il migliore adattamento al nuoto sono quindi forme nectoniche anche se alcune
forme strettamente connesse al fondale. Sono forme nettoniche.
Gli Ammonoidae si pensa avessero sviluppato varie modalità di vita. Le forme lisce si pensa siano prevalen-
temente forme profonde (di bacino pelagico), mentre quelle più ornate si pensa vivessero in ambienti di piat-
taforma esterna o in mari epicontinentali. l’ornamentazione fa sì che queste vivessero in stretta relazione con
il fondo, la forma articolata appesantisce la conchiglia e non aiuta nella modalità di vita nectonica o plancto-
nica.

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I cefalopodi sono ampiamente utilizzati per la biostratigrafia del Paleozoico e Mesozoico. Questi molluschi si
sono infatti evoluti molto rapidamente, mostrando la successione di una grande quantità di forme che si sono
avvicendate in tempi relativamente brevi. Per il Cretacico, attraverso l'uso delle Ammoniti, è ad esempio pos-
sibile ottenere una risoluzione biostratigrafica di appena 250.000 anni. L’importanza paleontologica è qyindi
soprattutto nelle Ammoniti, che hanno subito dei turnover evolutivi elevatissimo (cretacico) con biozone di
250.000 anni che per il giurassico è un valore molto molto vasso.

I cefalopodi quindi si dividono in queste tre sottoclassi:


- Nautiloidea, tra cambriano superiore e attuale
- Ammonoidea, traa il devoniano medio e il cretaceo
superiore, sono forme completamente estinte. Men-
tre nel cretacico abbiamo le rudiste che erano ottimi
fossili guida ed indicatori paleoambientali di piatta-
forma, mentre le ammoniti le troviamo fino al cre-
tacico. Sia rudiste che ammoniti non superano la
crisi KT (estinzione del cretacico superiore).
- Coleoidea, compare nel Devoniano e sono attuali,
presentano 250 generi: poche le forme presenti
oggi, anche se la maggior parte delle forme viventi
sono coleoidea.

Sottoclasse Nautiloidea
Insieme agli ammonoidea hanno la conchiglia esterna.
La loro conchiglia esterna è caratterizata da una variabilità ele-
vata con forme ortoconiche o spiralate e generalmente ha una
sutura di tipo ortoceratitico (di quelle pià semplici, solo con un
accenno di lobi e serre). I setti hanno concavità rivolte verso
l’apertura, altro elemento distintivo
tra ammoniti (con cavità opposta
all’aorteura, rivoolta verso l’apice) e
nautiloidi.
Il sifuncolo è sempre in posizione
centrale.

Da ricordare a questa sottoclasse ap-


partengono anche alcune rarissime forme che sconfina oltre il passaggio KT, le Aturie, che caratterizzano il
miocene.
La loro concavità è rivolta verso l’apertura: caratteristica escusiva del nauti-
loide.a.

Le suture si vedono sempre SOLTANTO INTERNAMENTE, questo è un


altro caos in cui il modello interno è importante per la classificazione, insieme
al modello esterno.

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Sottoclasse Ammonoidea
Generlamente non hanno il seno iponomico. Avevano 2 mandibole -aptici- che sono strut-
ture subtraingolari; una calcitica (quella che si conserva, molto bene in aggiunta) ed una
di origine organica. Gli aptici sono importanti perché si trovano in alcune formazioni cui
danno il nome.

presentano un forte dimorfismo sessuale: i cefalopodi si riproduccono sessualem-


nte, la femmina ha dimensioni maggiori perché deve contenere le uova fecondate
dal maschio che vengono rilasciate sul fondale.
Ammonoidea è uno dei casi in cui c’è un forte dimorfismo sessuale, micro e ma-
crosferico. Generalmente quindi le forme piccole osno maschili e quelle più grandi
femminili.

Nelle ammonoidea l’avvolgimento è genralmente spiralato, c’è assenza del seno


iponomico, i setti sono curvi all’indietro (concavità non rivolta verso l’apetura ma
verso la parte più antica). Le suture possono essere di vario tipo, le forme primitive
ortoceratitiche sono tipiche dei nautilodiea, nelle ammonoidea abbiamo suture che
vanno da agoniatitico fino alle filloidi.
Particolarmente importante ai fini classificativi è la sutura relativa al primo setto
che separa la protoconca dal resto della conchiglia (prosutura): presenta diversi andamenti e può venir detta
asellata, latisellata (molto ampia), angustisellata.
Nelle ammoniti è molto importante quindi non solo
la morfologia esterna ed il tipo di avvolgimento ma
anche la parte interna per le suture.
Il sifuncolo non è mai centrale: o è dorsale o ventrale.

La camera di abitazione, anche se non ha il seno iponomico è caratte-


rizzata nella maggior parte dei casi da un porlungamento del guscio
che viene detto rostro e che varia a seconda della specie.
Per la classificazione è molto importante la sezione dell’ultima ca-
mera.

Ornamentazione nelle ammoniti è molto pià accentuata ed è diversifi-


cata.
Ci sono elementi radiati e spiralati, anche la parte esterna quindi è importante per l’ornamentazione.

Si discostano da questa descrizione le forme eteromorfe che pos-


sono presentare i più vari tipi di avvolgimento. Queste Ammoniti,
compaiono nel Devoniano ma diventano significative a partire dal
Triassico, con la loro massima espansione durante Giurassico e Cre-
taceo. Si ritiene avessero una modalità di vita planctonica o pseudo-
planctonica con peristoma rivolto verso l’alto.
Queste forme sono probabilmente legate ad un’eccessiva specializ-
zazione: come fosse una sorta di forme aberranti del gruppo stesso. Questo si verifica in molti gruppi: quando
si ha un’estremizzazione dell’efficienza di un determinato gruppo a volte le forme terminali tendono a dare
luogo a forme aberranti.

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