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Titolo: L’infanzia nel cinema di François Truffaut

Autore: Dante Tosca


real.chanson@usa.net

Facoltà: Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Parma

Relatore: Prof. Roberto Campari

Anno Accademico: 1997/1998


INDICE

Introduzione 1

Note 7

Capitolo 1 - La vita e la formazione culturale 8

1.1 Gli anni difficili dell'infanzia 9

1.2 André Bazin, i Cahiers du cinéma e l'esordio come critico 17

1.3 La Politique des autours e la Nouvelle vague 24

1.4 Da Les quatre-cents coups a Vivement dimanche! 34

Note 44

Capitolo 2 - Les mistons e Les quatre-cents coups 46

2.1 I primi protagonisti: Les mistons 47

2.2 Les quatre-cents coups 59

2.2.1 Il soggetto 59

2.2.2 Autobiografia e dissimulazione 63

2.2.3 L'adolescenza secondo François Truffaut 70

Note 98
Capitolo 3 - L'enfant sauvage 103

3.1 Il soggetto 104

3.2 Le origini dell'uomo, le origini del cinema 112

Note 133

Capitolo 4 - L'argent de poche 138

4.1 Il soggetto 139

4.2 "Les enfants s'ennuient le dimanche..." 145

Note 166

Bibliografia 172

Filmografia 179
Introduzione

1
In Effetto notte (La nuit américaine, 1973) un sogno ricorrente agita il sonno del

regista Ferrand (François Truffaut) durante le riprese del suo travagliato film Je

vous présente Paméla: un bambino percorre nottetempo una strada deserta,

raggiunge l'entrata di un cinema chiuso e allungando una mano attraverso la grata

della serranda, ruba la locandina di Citizen Kane.

Accenno autobiografico (le scorribande con Robert Lachenay) e omaggio di

Truffaut al cineasta al quale si deve il maggior numero di vocazioni alla regia,

questa scena oltrepassa i confini del ricordo individuale. Quarto potere (Citizen

Kane, 1941) infatti non è solo il film che rivela la personalità di Orson Welles

segnando una tappa fondamentale della storia del cinema e della formazione di

Truffaut ma si lega anche ad un'esperienza collettiva: la scoperta dei film

d'oltreoceano nell'Europa finalmente liberata dal nazifascismo.1

Naturale quindi che questo episodio sia al centro del film che Truffaut ha

dedicato alla messa in scena del mestiere di regista. Determinante è invece il fatto

che sia affidato all'infanzia, isolata attraverso il meccanismo del sogno dalla

quantità di personaggi e storie parallele che costituiscono la "realtà" di Effetto

notte, il compito di essere veicolo del suo doppio significato. Come essere

personali e nello stesso tempo interessare gli altri uscendo dall'aneddoto? Se

esiste veramente una soluzione di continuità tra Truffaut critico e Truffaut

cineasta, ad essa risale il paradosso2 tra la propensione autobiografica come

2
garanzia di verità (una delle tesi della primissima Nouvelle Vague cui il regista

non rinuncerà mai e l'esigenza di costruire un meccanismo, una "menzogna

organizzata"3 che coinvolga tutto il pubblico emozionandolo (lungo i suoi film

Truffaut si dirigerà sempre più decisamente verso la riscoperta dell'artificio del

cinema andando apparentemente in una direzione opposta rispetto all'estetica che

si desume dai suoi primi articoli). Da questo paradosso Truffaut esce facendo

coincidere nella rappresentazione dell'infanzia particolare e generale. Chiave

della "persuasione occulta"4 che Truffaut provocatoriamente dice di voler attivare

nei suoi film, la rappresentazione dell'infanzia fonde visivamente memoria

individuale e memoria collettiva.

Partendo dalla definizione, dovuta a Vittorio Giacci5, dell'infanzia come "centro

semantico" della filmografia truffautiana (solo in uno dei suoi film non

compaiono bambini)6, intendiamo metterne in luce temi e significati attraverso

l'analisi delle pellicole dove, per ovvie ragioni, questi si cristallizzano: Les

mistons; Les quatre-cents coups; L'enfant sauvage; L'argent de poche.

Truffaut (e in questo è determinante la sua formazione come critico) rimane uno

dei registi più prolifici nel commentare direttamente i suoi film. Quasi scontato,

vista la frequenza con cui ha lavorato con giovanissimi attori, che si possa isolare

3
all'interno dei suoi scritti critici e delle sue interviste una ampia riflessione

sull'infanzia e la sua presenza nel cinema.

Il lavoro di ordinamento e raccolta in volume della grande quantità di

testimonianze sparse su quotidiani e riviste specializzate che in tempi diversi

hanno realizzato Dominique Rabourdin e Anne Gillain, nonché la

Correspondance curata da Gilles Jacob e Claude de Givray e la cospicua

biografia redatta da Antoine de Baeque e Serge Toubiana, ci permettono di

ricostruire agevolmente un iter che ha come punto di partenza il Neorealismo e la

sua estetica dell'infanzia.

Lo stile documentario di Rossellini ma anche, seppur con qualche riserva, lo

spirito con cui De Sica e Comencini hanno portato sullo schermo l'infanzia

segnata dall'esperienza della guerra hanno costituito il compendio ideale allo

spirito "anarchico" e libertario dei collegiali di Jean Vigo7, il regista per il quale

l'ammirazione traspare da ogni film.

Un vero e proprio metodo per la realizzazione di film sui bambini emerge dagli

scritti di Truffaut critico, dalle dichiarazioni che accompagnano i film oggetto

della nostra analisi, e dalle riflessioni sparse che Truffaut ha puntualmente

dedicato a questo tema fondamentale. Criticando duramente i film "sui palloni

rossi, cavalli bianchi o i cervi volanti, ma non sui bambini" 8, accusa i registi che

"schiacciano" i loro giovani protagonisti sotto il peso di una poesia ricercata e

4
fasulla. Attaccando l'utilizzo di divi adulti nei film dedicati all'infanzia sottolinea

invece la necessità di non distogliere l'interesse del pubblico da quello che deve

essere il vero "centro del film": il bambino.

Concetto cardine di questo metodo è il rifiuto di utilizzare come semplice

accessorio decorativo la poesia naturale dell'infanzia, e di conseguenza realizzare

sceneggiature che vedano i bambini parte integrante del tessuto narrativo del film

anche quando non protagonisti. "Rispetto all'importanza che ha nella vita

quotidiana, il bambino al cinema è poco rappresentato" 9 diceva Truffaut appena

prima di girare L'argent de poche, film che mette in scena un centinaio di

giovanissimi attori. La responsabilità è massima quando si lavora con i bambini;

nessun compiacimento utile solo per causare una facile commozione, nessun

tentativo di corrompere lo spettatore utilizzando l'infanzia per riattivare il

sentimento nostalgico scontato di una ricchezza irrimediabilmente perduta, sono

permessi. Inoltre si deve lasciare ai bambini la possibilità di dare un apporto alla

lavorazione attraverso la loro curiosità e il loro interesse.

Il rispetto profondo che costituisce il filo conduttore di questo modo di

rappresentare l'infanzia si traduce stilisticamente nel prevalere del piano

sequenza o comunque dei movimenti di macchina che limitino il numero delle

inquadrature e con esse l'intervento arbitrario del regista. "Non bisogna mai

dimenticare che il bambino è un elemento patetico al quale il pubblico è subito

5
sensibile"10, il compiacimento si evita solo "attraverso una secchezza voluta e

calcolata"11. Da Les quatre-cents coups (1959) a L'argent de poche (1976),

nonostante nuove coordinate stilistiche portino gradualmente Truffaut alla

rivalutazione del montaggio come frammentazione e dilatazione in senso

narrativo, è questo procedimento di stampo baziniano ad avere ancora il

sopravvento nei film dove l'infanzia è protagonista.

Presenza pressoché costante nel cinema truffautiano, questa stagione della vita è

la "cartina di tornasole"12 con cui si possono misurare tutti i suoi personaggi

adulti. Sia quando si ripresenta sotto forma di flash-back, sogno o letteratura

come nel caso del romanzo autobiografico che scrive Bertrand Morane in

L'homme qui amait les femmes o in quello dello stesso tipo che concepisce

Antoine Doinel in Domicile conjugal; sia quando occupa tutto lo schermo nei

film a lei espressamente dedicati, l'infanzia è l'origine, il punto di partenza che

Truffaut tende sempre a dichiarare visivamente. Il tragitto che da qui

intraprendono i personaggi non è quasi mai veramente lineare e nel caso lo sia è

quello che porta alla dissoluzione come per Adèle H.; per il resto si tratta di

indecisioni, timidezze, incertezze, ritorni sui propri passi e delle complicatissime

geometrie che, lungo i film che Truffaut gli dedica, Antoine Doinel disegna a

passo di corsa.

6
7
Note all'introduzione

(1) Cfr. par. 1.1


(2) Cfr. Marc Chevrie, Truffaut critico, Truffaut regista, in AA. VV., François Truffaut, Milano,
Fabbri, 1988, p. 94.
(3) François Truffaut, Lettera contro il cinema-verità, in Le plaisir des yeux, Paris, Cahiers du
cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 224).
(4) "Il mio sogno è la persuasione occulta. Vorrei che la gente vedesse certe inquadrature che
non ci sono, ripensasse al proprio passato, facesse un tuffo nel passato. Vorrei provocare
associazioni di idee, far nascere combinazioni, favorire incontri più o meno studiati." Anne
Gillain (a cura di), Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 121).
(5) Vittorio Giacci, François Truffaut, Roma, Bulzoni, 1995.
(6) Esclusione significativa secondo Elisabeth Bonnaffons che ne dà un'interpretazione in
François Truffaut, Lausanne, L'âge d'homme, 1981.
(7) Zéro de conduite, (Zero in condotta, 1933).
(8) Anne Gillain (a cura di), Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad.
it. Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 59.
(9) François Truffaut, Le plaisir des yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 31).
(10) Ibidem, p. 32.
(11) Ibidem.
(12) Carlo Scarrone, The sons of Johnny Guitar, in AA. VV., François Truffaut, Milano, Fabbri,
1988, p. 128.

8
Capitolo 1

La vita e la formazione culturale

9
1.1 Gli anni difficili dell'infanzia

François Truffaut nasce il 6 febbraio del 1932 a Parigi. La madre, Janine De

Monferrand, lo aveva concepito appena diciottenne durante una relazione

precedente il suo matrimonio (1933) con Roland Truffaut, architetto disegnatore,

il quale adotterà il bambino dandogli il suo cognome. L'identità del vero padre,

un medico dentista ebreo, sarà scoperta da Truffaut, senza che tra i due avvenga

una diretta conoscenza, tramite un'agenzia investigativa in occasione delle riprese

di Baisers volés (Baci rubati, 1968).

I primi cinque anni di vita François li passa dalla balia e poi dai nonni, soprattutto

quella materna la quale lo avvicinerà precocemente allla letteratura portandolo

con sé in libreria e leggendogli i libri. In età scolare ritorna a casa dei genitori

dove, col passare del tempo, matura una passione più personale per la lettura,

forse una delle poche attività permesse dalla madre che necessita di un silenzio

assoluto per poter riposare dopo il lavoro di segretaria a "L'Illustration". I

genitori iscrivono François al Lycée Rollin che frequenterà fino al 1941,

dopodiché a causa di una bocciatura, passa a diverse scuole comunali che cambia

più volte. In una di queste nel 1943 incontra Robert Lachenay, il compagno

d'infanzia la cui amicizia, che continuerà anche in età adulta, sarà descritta da

Truffaut ne I quattrocento colpi. I due condividono la passione per la letteratura e

10
il cinema preferendo vedere film o leggere libri in biblioteca piuttosto che

frequentare le lezioni. Balzac letto nelle edizioni economiche "Fayard" è il

preferito di François, il quale però si vanta di avere letto tutta la collana in ordine

alfabetico.

Sono questi gli anni difficili dell'occupazione e nel quartiere di Pigalle, dove è

nato, Truffaut si trova a dover crescere in fretta. François e Robert per

raccimolare i soldi per il cinema rubano i manici d'ottone scambiandoli con il

vino più facile da rivendere. Quando ciò non basta entrano a sbafo utilizzando

metodi dei quali uno lo vedremo applicato da Julien ne Gli anni in tasca (1976).

Ma la Francia che Truffaut descriverà ne L'ultimo metrò (1980) è prima di tutto

quella della paura, della miseria e delle deportazioni; chi ancora riesce a

permetterselo va al cinema o a teatro dove con mezzi di fortuna si tenta di

continuare le rappresentazioni.

Truffaut aveva scoperto il cinema a sette anni nel 1939; tra i film visti per primi il

ricordo più nitido era legato a Paradiso perduto di Abel Gance che lo aveva

colpito per il coinvolgimento emotivo di tutta la sala in una vicenda la cui

ambientazione (il periodo tra il 1914 e il 1935) permetteva una più diretta

identificazione. "La coincidence entre la situation des personnages du film et

celle des spectateurs était telle que la salle entière pleurait, des centaines de

mouchoirs trouaient de points blancs l'obscurité du cinéma, je ne devais plus

11
jamais par la suite ressentir une telle unanimité émotionelle devant la projection

d'un film."1 E' l'inizio di una passione che lo porterà a seguire nell'arco di una

decina d'anni, prima accompagnato dai genitori poi da solo, marinando le lezioni

del pomeriggio o la sera di nascosto, una media di più di un film al giorno. "I

primi duecento film li ho visti in clandestinità, disertando la scuola o entrando in

sala senza pagare, attraverso le uscite di sicurezza o le finestre dei gabinetti,

oppure approfittando, di sera, dell'assenza dei miei genitori e con la necessità,

quindi, di trovarmi a letto fingendo di dormire al loro rientro. Pagavo questo

piacere con forti mali di pancia, lo stomaco imbarazzato, i capelli dritti dalla

paura, tutto preso da un senso di colpa che non poteva che sommarsi alle

emozioni che mi procurava lo spettacolo."2 Questa voracità, dunque, non si

arresta durante l'occupazione quando Renoir, Clair, Duvivier sono ad Holliwood

con Jean Gabin e Michèle Morgan e i film che si proiettano sono quelli tedeschi e

francesi controllati dal ministero di Goebbels. Tra questi Truffaut amerà

soprattutto Le Roman d'un tricheur (Il romanzo di un baro, 1936) di Sacha Guitry

e Le Corbeau (Il corvo, 1943) di Clouzot. Di quest'ultimo film, che sarà proibito

dopo la liberazione alla stregua di altri film "collaborazionisti" per la crudezza

con cui descrive le malefatte dei personaggi mettendo in cattiva luce il popolo

francese, imparerà a memoria i dialoghi trovando in essi, molto arditi per l'epoca,

parole nuove il cui significato ampliò il suo vocabolario. "I film che ammiravo

12
erano ovviamente quelli francesi, visto che ho iniziato ad andare al cinema

durante la guerra. Erano film come Le Corbeau [Il corvo] e Les visiteurs de soir

[L'amore e il diavolo] [Marcel Carné, 1942]. Ho cominciato presto a vederli più

volte. All'inizio non dipendeva da me, perché i miei genitori mi portavano a

vedere film che avevo già visto di nascosto, senza che potessi confessarlo. Ma la

cosa mi ha comunque dato il gusto di vedere i film più di una volta." 3 Il rapporto

"clandestino" con le sale avrà così una grande importanza per la formazione della

sua cultura cinematografica, inoltre lo porterà ad identificarsi sempre con i

personaggi colpevoli, in pericolo, con l'acqua alla gola come si sentirà lui stesso

dovendo ritornare a casa di corsa, spesso perdendo il finale del film, prima che i

genitori rincasino da teatro. I temi preferiti sono quelli attuali dove vedere

riprodotto il mondo reale, mentre i film d'epoca non gli permettono di ritrovarsi

in loro; esclusi quindi western e film d'ambientazione storica, non rimanevano

che polizieschi e film d'amore in cui immedesimarsi.

Nel 1946, a guerra finita, il quattordicenne Truffaut lascia definitivamente la

scuola facendosi assumere in un magazzino di granaglie, ma il rapporto di lavoro

si interrompe dopo soli quattro mesi; con i soldi dello stipendio e della

liquidazione decide di aquistare una copia in 16 mm di Metropolis (1927) di Fritz

Lang e insieme all'amico Robert Lachenay fonda un cineclub al Cluny Palace

"Le cercle cinémane" ma le cose non vanno troppo bene anche a causa della

13
concorrenza del cineclub di André Bazin che come quello di Truffaut-Lachenay

proietta i film la domenica mattina. Un incontro con Cocteau promesso ma non

avvenuto e le difficoltà sorte per essere stati in rapporto con fornitori senza troppi

scrupoli segnano il destino di questa prima sfortunata esperienza nel cinema.

Roland Truffaut, venuto a sapere del disastro del cineclub e del furto della

macchina da scrivere cui i due erano ricorsi per ammortizzare i debiti, consegna

il figlio al commissariato, venendo in quell'occasione a conoscenza del fatto che

il giovane ha scoperto poco tempo prima la verità sulla sua nascita illegittima. Il

periodo del "Cercle cinémane" e delle sfortune giudiziarie di Truffaut coincide

con l'apertura del mercato francese ai film americani che con la liberazione

ritornano ad essere proiettati nelle sale attraverso una regolamentazione che

scardina anche lo sbarramento imposto prima della guerra, lasciando al cinema

nazionale uno spazio limitato al 30% della programmazione globale. La scoperta

del cinema americano è fondamentale. In una Parigi che pullula di cineclubs

Truffaut può conoscere sullo schermo i lavori di Welles, Wyler, Hawks, Ford,

Hitchcock, Manckiewicz, Cukor ma anche vedere all'opera attori come Humprey

Bogart, Cary Grant, Spencer Tracy, James Stewart, Peter Lorre che nella sua

fantasia si sostituiscono a quelli francesi facendoli quasi dimenticare. Inoltre

ritornano i film bloccati dall'ufficio di Goebbels Zéro de conduite (Zero in

condotta, 1933) e L'Atalante (1934) di Jean Vigo e La Regle du jeu (La regola

14
del gioco, 1939) di Jean Renoir. Questo basta e avanza per far cambiare in

maniera decisiva ciò che in materia di cinema pensava prima. Il giudizio sui film

francesi muta radicalmente, l'entusiasmo per quelli d'oltreoceano li sommerge,

salvando del tutto solo Vigo, Renoir, Guitry e pochi altri tra cui Bresson e Tati. Il

10 luglio 1946 al cinema Marbeuf Truffaut vede Citizen Kane (Quarto potere,

1941) di Orson Welles, il film che darà origine al dibattito critico tra Jean Paul

Sartre e André Bazin riguardo il carattere letterario, ritenuto eccessivo dal primo,

del lavoro del regista americano ma che si amplierà traducendo in termini di

stampa la polemica tra cinema francese e americano. L'effetto del cinema

statunitense, i cineclubs, l'attività di Langlois come direttore della Cinemateque

Francaise e il dibattito critico animato da Bazin e Sartre creano il clima ideale per

lo sviluppo della cultura cinematografica di Truffaut e non solo: nel 1947 uscirà

l'articolo di Astruc "La Camera-stylo", primo segnale di quella particolare

concezione di cinema e letteratura che sarà alla base della futura "Politique des

Auteurs" (vedi 1.3). Per il giovane Truffaut questi avvenimenti porteranno la

rivelazione definitiva della possibilità di fare letteratura mediante le immagini del

cinema, da qui nasce in lui una coscienza più profonda del lavoro del regista che

maturerà poi nella decisione di passare dalla critica cinematografica alla

realizzazione di film. "Improvvisamente, a tredici anni, mi resi conto che un film

poteva essere scritto come un libro e sono certo che molti della mia generazione

15
sentirono che potevano diventare registi grazie a Citizen Kane: Kubrick, Resnais,

Lumet, Frankenheimer. Non era un film da cineasti ma da cinefili." 4 E la cinefilia

è l'atteggiamento che caratterizza la prima "tappa" della formazione culturale

cinematografica di Truffaut prima che quest'ultimo inizi la sua carriera di critico.

"La prima tappa che io chiamo terapeutica, è stata quella da cinefilo, dal 1942 al

1950: il cinema mi aiutava a vivere e vedevo più volte gli stessi film. [...] Dopo

questa tappa da cinefilo ci fu la crisi del 1949-50 [vedi par. 1.2]. Più tardi ritrovai

i miei amici Rivette, Godard e gli altri. E quella è stata la tappa degli articoli sui

"Cahiers" e "Arts", una tappa chiaramente più intellettuale, perché si trattava di

riflettere sui film, di commentarli."5

Per il momento però la passione che ancora una volta condivide con l'amico

Robert si manifesta nella classificazione, catalogazione, archiviazione di tutto il

materiale che i due riescono a trovare riguardo le figure, quelle dei registi, che

stanno imparando a riconoscere attraverso lo stile, il modo di lavorare, la

personalità. Nei Quattrocento colpi ed in Effetto notte (1973), che meritò un

oscar come miglior film straniero, Truffaut ricorderà questo periodo descrivendo,

prima direttamente e poi nei sogni agitati del regista Ferrand, il furto della

locandina di Monika e il desiderio di Bergman da parte di René e di quella del

film di Welles compiuto di notte da un ragazzino attraverso una serranda chiusa.

Questo tipo di azione era un gesto ricorrente per la coppia François-Robert

16
sempre in cerca di materiale fotografico con cui arricchire le loro schede. Il

coraggio non sembra essere una dote che manchi ai due, ma una certa familiarità

con il furto non li salva dal disastro del "Cercle cinémane" che costerà a Truffaut

l'esperienza di Villejuif, il centro d'osservazione per minori traviati che vediamo

riprodotto ne Les Quatre-cents coups (I quattrocento colpi) e che, come ricorderà

lo stesso Truffaut, aveva nello stesso tempo le caratteristiche di un manicomio e

di un riformatorio. La delinquenza giovanile è negli anni del dopoguerra a livelli

molto alti, a Villejuif Truffaut avrà modo di entrare in contatto diretto con questa

drammatica realtà anche attraverso le esperienze dei suoi coetanei.

André Bazin conosciuto all'epoca del cineclub del quando Truffaut si presentò da

lui chiedendogli, senza successo, di spostare la sua programmazione per evitare

di farsi concorrenza a vicenda, si interesserà alle sfortunate vicende del

precocissimo "cinéphile" riuscendo a sbrogliare la sua difficile situazione ed

offrendogli un lavoro come segretario al dipartimento statale "Travail et culture"

dove lui stesso è impegnato alla sezione cinema. Da questo momento in poi i

rapporti con la famiglia si interrompono; Roland e Janine rinunciano alla patria

potestà. Uscito dal centro di osservazione Truffaut si stabilirà nell'appartamento

dei Bazin che nel frattempo ne otterranno l'affidamento.

17
1.2 André Bazin, i Cahiers du cinéma e l'esordio come critico

Grazie al lavoro a "Travail et culture" Truffaut può finalmente impegnarsi in

un'attività legata alla settima arte senza tutti i rischi che avevano caratterizzato

l'esperienza del cineclub. Il suo compito consiste nell'organizzare il programma

delle proiezioni nelle fabbriche, curate da Bazin, che comprende di solito pochi

cortometraggi di Charlot o di Stanlio e Ollio. Prosegue nel frattempo la stesura

delle schede sui registi che cominciano a diventare numerosissime, mentre alla

Cinemateque stringe amicizia con gli altri frequentatori assidui come Jaques

Rivette, Jean-Luc Godard, Jean Gruault, Alexandre Astruc. Nell'ambiente di

"Travail et culture" invece avrà modo di incontrare tra gli altri anche Alain

Resnais e Chris Marker. Tutti questi futuri cineasti troveranno in André Bazin un

padre spirituale.

Questo teorico del cinema, scomparso prematuramente all'età di quarant'anni nel

1958 appena poche ore dopo la fine della prima giornata di riprese de Les

Quatre-cents coups, film a lui dedicato, ebbe un ruolo fondamentale per lo

sviluppo della cultura cinematografica non solo europea. I suoi scritti apparsi su

"L'Ecran Francais", "La Revue du Cinéma", "France observateur", "Les temps

modernes", "Esprit" rivista fondata nel 1932 da Emmanuel Mounier, e

naturalmente sui "Cahiers du cinéma", danno corpo ad una concezione del

18
cinema che pone le basi nell'analisi del suo rapporto con la realtà. Nella teoria del

"montaggio proibito" e del "piano sequenza" c'è la scelta di un percorso che va

verso la restituzione cinematografica di un evento nella sua interezza. Affinché

sia permessa libertà di scelta nel contesto delle immagini esse devono mantenere

la loro ambiguità di fronte allo spettatore. L'utilizzo della profondità di campo

permette lo sviluppo del "découpage" attraverso l'azione degli attori e il loro

movimento all'interno della medesima inquadratura, così facendo si limitano allo

stretto necessario i primi piani che isolano una porzione di scena e si evita di

costringere lo spettatore ad un percorso visivo che è quello soggettivo del regista.

Welles e William Wyler, ma anche Renoir e Rossellini sono gli autori che hanno

saputo arricchire, con questo procedimento, il linguaggio cinematografico

avvicinandolo ancor di più alla realtà. "Se è vero che il nostro occhio cambia

perpetuamente di campo secondo l'impulso dell'interesse o dell'attenzione, questo

assestamento mentale o fisiologico si effettua a posteriori. L'avvenimento esiste

costantemente nella sua integralità, ci sollecita perpetuamente nella sua interezza;

siamo noi a decidere di sceglierne questo o quell'aspetto, di eleggere questo

piuttosto che quello secondo le esigenze dell'azione del sentimento o della

riflessione, ma un altro sceglierebbe forse diversamente. [...] Non è certo un caso

che Jean Renoir, André Malraux, Orson Welles, Rossellini e il William Wyler dei

Migliori anni della nostra vita si incontrino nell'uso frequente della profondità di

19
campo o perlomeno nella messa in scena "simultanea"; non è un caso che, dal

1938 al 1946, il loro nome marchi tutto ciò che conta realmente nel realismo

cinematografico, di quello che dipende da un'estetica della realtà."6

Grazie all'insegnamento teorico di André Bazin, i giovani "fanatici" del cinema

americano trovano un punto d'incontro con il cinema europeo. Ma difendere i

film d'oltreoceano in quegli anni significa anche collocarsi all'interno di un

dibattito che riflette uno scontro ideologico: George Sadoul attacca la

Cinemateque di Henry Langlois; il personale umanesimo ed il cattolicesimo di

Bazin lo collocano in minoranza al "Travail et culture". Prima di lasciare il lavoro

per motivi di salute Bazin si fa promotore del cineclub "Objectif '49" con

l'intenzione di riunire il gruppo della "Revue du cinéma" con i giovani difensori

del cinema americano. Viene così organizzato il primo festival indipendente di

Biarritz (1949) che più che una riunione amichevole sarà un vivace scontro tra

entusiasti, delusi e arrabbiati con Rivette e Truffaut tra questi ultimi: il primo

perché Doniol-Valcroze non proietterà il suo cortometraggio, il secondo

esclusivamente per questioni logistiche. A placare gli animi saranno i film di

Vigo, di Bresson, di Renoir, Welles, Visconti e degli americani che riporteranno il

sorriso sul viso dei giovanissimi Truffaut, Godard, Douchet, Bitsch, Rivette.

Il 1950 sarà un anno molto significativo per Truffaut. In Aprile pubblica il suo

primo articolo di critica cinematografica su "Ciné-club du quartier latin". Si tratta

20
di un'analisi delle scene mancanti nella versione commerciale della Règle du Jeu

di Renoir proiettata in versione integrale al cine club. Il lavoro di segretario di

Bazin finisce quando quest'ultimo è costretto a lasciare l'ufficio per farsi

ricoverare in sanatorio; Truffaut viene assunto come saldatore in un'officina

mentre l'attività come critico prosegue nei giorni festivi al "Club Faubourg" dove

i suoi continui interventi nei dibattiti attirano l'attenzione del direttore di "Elle"

che lo invita a collaborare con il giornale anche se non per articoli sul cinema. Il

21 di luglio in una lettera a Robert Lachenay7 confessa di aver tentato il suicidio

"con venticinque rasoiate sul braccio destro" e di essere stato salvato dalle cure

della sua ragazza. A questo primo gesto legato, secondo la lettera, all'andamento

caotico e turbolento di una festa cui parteciparono tra gli altri Schérer (Rohmer),

Astruc e Michel Mourre (ex domenicano condannato per aver gridato durante

una crisi mistica "Dio è morto" dal pulpito di Notre Dame la domenica di

Pasqua) ne seguirà un altro che segnerà ancor più profondamente il destino del

giovane Truffaut. A causa di una delusione amorosa arrivata al culmine di una

vicenda che ritroveremo raccontata nel cortometraggio Antoine e Colette

episodio del film L'amore a vent'anni (1962) di autori vari in cui il giovane

Antoine Doinel si trasferisce in un appartamento di fronte all'abitazione della

ragazza dei suoi sogni per poi scoprire che quest'ultima è felicemente innamorata

di un altro, Truffaut deciderà di arruolarsi volontario proprio durante la crisi in

21
Indocina. Nel frattempo collabora con Bazin (ancora ricoverato) per la stesura di

una biografia e filmografia complete di Jean Renoir e concepisce la primissima

idea per un 16mm: "Mi sono procurato 25 bobine di pellicola, cioè un'ora e

quaranta di proiezione. Il film durerà circa 45 minuti, così ho un buon margine.

Ho già la macchina da presa a 16mm e l'operatore e anche tutti gli attori. Mi

mancano soltanto qualche costume e una grande stanza, che dovrebbe essere la

sala da pranzo, con un contatore da quaranta ampere per le luci. Ti spedirò

[lettera indirizzata a Robert Lachenay] il soggetto: con molte modifiche è la

storia di una Prima Comunione."8

Nel Gennaio del 1951 parte per Wittlich, prima destinazione della sua carriera

militare. Appena prima della sua partenza Truffaut aveva avuto occasione di

entrare in contatto tramite lettera con Jean Genet autore di uno dei romanzi

autobiografici che più avranno peso nella sua fantasia, Il diario del ladro.

Nonostante il carattere volontario del suo servizio militare il giovane Truffaut

scopre ben presto di non essere tagliato per quel tipo di vita: dopo l'arruolamento

nelle truppe d'occupazione in Germania approfitta di una licenza a Parigi per

ritardare il rientro in caserma. Saranno Chris Marker e Bazin dal sanatorio a

convincerlo a costituirsi. Finisce in carcere e poi nell'ospedale militare. Dimesso

scappa di nuovo e questa volta la sua è una vera diserzione. Viene rinchiuso

nell'ospedale militare psichiatrico di Andernach. Tradotto in manette sul treno ha

22
occasione di leggere il primo numero dei neonati "Cahiers du cinéma".

Congedato per instabilità cratteriale grazie all'intervento di Bazin Truffaut si

stabilirà nel suo appartamento vivendo con lui, sua moglie Janine e il figlio di tre

anni.

Alla cineteca del ministero dell'agricoltura dove Bazin gli ha trovato lavoro

Truffaut prende confidenza con la proiezione dei 16mm, ma sarà una breve

esperienza, da li a poco potrà infatti mettere al servizio del mensile di Doniol-

Valcroze e Bazin la già enorme cultura cinematografica che si è fatta in dieci anni

di assidua frequenza al cinema interrotta solo dalla tribolata vicenda militare.

I "Cahiers du cinéma" offrono al ventenne Truffaut l'opportunità di entrare al

centro del dibattito cinematografico del tempo. Lui, Rivette, Chabrol e Rohmer

sono quelli più giovani e appassionati di cinema americano, anche quello

cosiddetto di serie B. Hitchcock e Hawks sono difesi a spada tratta tentando di

sganciarli da una lettura esclusivamente commerciale dei loro lavori. Bazin non

condividerà questo entusiasmo pur ammettendo il valore dell'autore di Rope

(Nodo alla gola, 1948) soprattutto per la capacità che ha, anche quando

frammenta la scena con un montaggio che non si limita all'essenziale, di

mantenere il significato ambiguo delle immagini. Il primo apporto di Truffaut ai

Cahiers è del marzo 1953 (recensione di un film di David Miller) dopodiché sul

numero 31 uscito nel gennaio del 1954 viene pubblicato uno scritto che già da sei

23
mesi era "in parcheggio" in redazione a causa del suo carattere tagliente: "Une

certaine tendance du cinéma français".

24
1.3 La politique des Auteurs e la Nouvelle Vague

L'articolo di Truffaut è un attacco diretto alla "tradizione di qualità" il che vuol

dire fondamentalmente un attacco al cinema francese ritenuto in quegli anni più

meritevole per il suo alto contenuto artistico.

Secondo il ventunenne Truffaut al realismo poetico che prima della seconda

guerra mondiale aveva caratterizzato il cinema francese, si era sostituito, dopo la

liberazione, il "realismo psicologico" cioè una serie di film costruiti sul lavoro di

scaltri sceneggiatori come Aurenche e Bost che attraverso una tendenziosa

interpretazione del principio di equivalenza avevano prodotto una serie di

discutibili adattamenti dai capolavori letterari francesi.

Questo principio presuppone l'impossibilità di rendere cinematograficamente

situazioni che sono proprie del linguaggio scritto, per cui bisogna saper pensare,

all'occorrenza, scene equivalenti "cioè come l'autore del romanzo le avrebbe

scritte per il cinema."9 La tecnica di questi sceneggiatori però cade troppo spesso

nella tentazione di aggiungere o togliere significato ad opere che non necessitano

di un tale servizio.

A questi film "di sceneggiatori" Truffaut contrappone quelli di Jean Renoir,

Robert Bresson, Jean Cocteau, Jaques Becker, Abel Gance, Max Ophuls, Jaques

Tati, Roger Leenhardt, tutti registi anch'essi francesi ma che hanno una

25
caratteristica in più in comune: scrivono i dialoghi dei loro film e alcuni di loro

anche i soggetti che mettono in scena, dunque sono autori a tutti gli effetti.

Al di là del carattere polemico che come vedremo aprirà a Truffaut le porte di

"Arts", settimanale ben disposto ad attaccare la "tradizione di qualità" francese

dietro cui vedeva una certa cultura di sinistra, questo articolo contiene la prima

idea della "politique des auteurs". Truffaut e in seguito gli altri giovani redattori

dei Cahiers mettono in evidenza il regista come autore quando egli sia

responsabile del soggetto, della sceneggiatura e dei dialoghi. Partendo dalla

"caméra-stylo" di Astruc essi teorizzano un tipo di cinema personale intimamente

sentito, prima e durante la sua realizzazione pratica. Un film è prima di tutto

l'espressione del regista attraverso tutti gli aspetti formali che costituiscono la

messa in scena.

Questa idea che Truffaut si è formata forse attraverso lo sconforto che lo aveva

accomunato a Rivette nel constatare la ripetitività e la mancanza di creatività dei

film francesi dopo il 1950 lo porta anche ad un nuovo metodo per raggiungere un

giudizio critico esaustivo del lavoro di un regista: un autore come Jean Renoir,

per esempio va giudicato attraverso tutta la sua opera, perchè lungo il tragitto

compiuto dai suoi film si puo capire la grandezza della sua personalità. Un

successo casuale non fa un "autore", così come un film senza successo di Renoir

non necessariamente ne ridimensiona la grandezza. Dietro questa rivalutazione

26
dell'individuo, della sua soggettività e della sua capacità creativa, c'è molto

dell'insegnamento di Bazin anche se l'articolo del '54 non sembra essere in linea

con ciò che quest'ultimo aveva scritto riguardo l'utilità di ogni adattamento

(anche quelli non del tutto ortodossi).10

Un autore raggiunge la sua completezza quando è responsabile di tutti gli aspetti

del "suo" film. Il concetto in base alla quale solo con un tale procedimento la

personalità di un regista appare pienamente nel suo lavoro, non sarà una costante

lungo lo sviluppo di Truffaut cineasta, ma subirà mutazioni che lo stesso regista

confesserà dopo Jules et Jim (1961): "Oggi tendo piuttosto a rinnegare questa

idea di autore completo che ho contribuito a far nascere come critico. In ogni

modo, anche se non scrive una riga di sceneggiatura, è il regista che conta, ed è a

lui che il film somiglia come una goccia d'acqua: il suo film può somigliargli in

meglio o in peggio ma non somiglia che a lui."11 In ogni caso la "politique des

auteurs" accompagnerà il passaggio dei giovani dei Cahiers dalla critica alla

cinematografia ponendosi come base per la teorizzazione del "film di domani"

come lavoro assolutamente personale, come "atto d'amore", teoria che Truffaut

espliciterà con l'articolo pubblicato nel maggio del 1957 su "Arts" alla vigilia

della sua prima vera esperienza come cineasta.

Nelle indicazioni contenute in "Le cinéma français crève sous les fausses

légendes"12 c'è già lo spirito della Nouvelle Vague: la libertà creativa prima di

27
tutto, l'ostinazione nel non credere al luogo comune secondo cui girare un film

comporterebbe necessariamente un budget elevato, il coraggio di esaltare il

valore del proprio lavoro di fronte a produttori scettici mettendosi personalmente

in gioco; l'audacia di uscire dall'aneddotico e avere la forza di realizzare imprese

rivoluzionarie come fu quella di Rossellini con Roma città aperta (1945) in

Italia. Il cinema ha bisogno di avventurieri, nel senso migliore del termine,

individui capaci di entrare imponendo la propria personalità creativa in un

sistema le cui regole, e non potrebbe essere altrimenti, sono quelle del mercato.

Tornando al 1954, "Une certaine tendance du cinéma français" costringe a molte

prese di posizione all'interno della redazione visto lo sconcerto dei lettori. Bazin,

che già aveva chiesto a Truffaut prima della pubblicazione di smorzare i toni

dell'articolo, non pubblicherà integralmente la seconda parte dello scritto che

presentava decisi attacchi anche a Clement membro di "Objectif '49".

Il clamore causato dall'articolo dei Cahiers dà a Truffaut la possibilità di scrivere

su "Arts". Con i soldi del contratto può rendersi indipendente lasciando

l'appartamento di Bry-sur Marne dove viveva con i Bazin e trasferirsi a Parigi in

Rue des Martyrs. La contemporaneità del lavoro ai Cahier e quello ad "Arts" gli

permette di occuparsi della critica in maniera completa. Quest'ultimo è un

settimanale le cui esigenze sono quelle di raccontare il film al lettore in modo che

possa rendersi conto di ciò che sta per decidere o meno di andare a vedere,

28
mentre sui Cahiers mensili il discorso sul cinema resta più ampio. Dovendo

raccontare il soggetto del film ogni settimana Truffaut entra più direttamente nei

problemi concreti della messa in scena lasciando il piano teorico astratto al

dibattito sul mensile, tutto ciò sarà utilissimo soprattutto quando si metterà dietro

la macchina da presa: "Ca a été pour moi la période la plus riche, elle

correspondait un peu, je crois, a ce que doit être l'expérience d'un scénariste. Cela

m'a amené à voir plus clair, même dans mes goûts, mes choix, mes partis pris." 13

Ad "Arts" si ricostituisce il gruppo dei giovani dei Cahiers con la collaborazione

tra gli altri di Rohmer e Godard, mentre Truffaut spinto da Rivette, quello che più

concretamente pensava ad una attività di cineasta, realizza il suo primo

cortometraggio Une visite (vedi 2.1). Rivette, Chabrol, Bitsch e Truffaut avevano

già tentato di far produrre una loro sceneggiatura "Les Quatres Jeudis" ma senza

successo.

La carriera di Truffaut come critico impegnato su due fronti prosegue attraverso

l'esaltazione dei film di Welles, Aldrich, Ray (Johnny Guitar, 1954),

Manckievicz e soprattutto di Lola Montes di Ophuls. Dall'ottobre del 1954

diviene responsabile della gestione redazionele dei Cahiers insieme a Doniol-

Valcroze. Lo spirito di catalogazione che aveva caratterizzato la cultura

cinematografica di Truffaut e Lachenay (anch'egli collaboratore dei Cahiers)

durante l'infanzia, si trasmette alla rivista di Bazin.

29
Sul numero di maggio del 1955 della "Parisienne", altra rivista su cui scrive,

appare per la prima volta il personaggio di Antoine nel racconto pubblicato con il

titolo "Antoine et l'Orpheline" frutto della primissima elaborazione del materiale

che darà origine ai Quattrocento colpi. Nell'inverno dello stesso anno Truffaut e

Chabrol, i "fanatici" dei film di Hitchcock, approfitteranno della sua presenza a

Joinville allo studio Saint Maurice per la post-sincronizzazione di Caccia al

ladro ( To Catch a Thief) (1955) per strappargli un "entretien" con il

magnetofono, pratica che stava diventando caratteristica dei Cahiers. Questo

primo incontro rimarrà famoso per la caduta in piscina dei due giovani critici 14,

ma darà loro l'occasione di vedere Hitchcock al lavoro, anche se non sul set, e di

stabilire un contatto diretto che porterà dieci anni dopo allo "Hitchbook".

Truffaut si inserisce nella polemica interna ai Cahiers riguardo Hitchcock come

"autore" sostenendo l'importanza della messa in scena. Il soggetto non è l'unica

componente artistico creativa di una pellicola. Rifacendosi alle idee baziniane

derivate da Sartre riguardo la tecnica egli esalta la capacità del regista inglese

considerandolo un maestro.

Il dibattito critico di questi anni è meno che mai alieno da orientamenti ideologici

dovuti alla particolare situazione europea durante la seconda fase della guerra

fredda. In Francia i problemi del governo sono soprattutto legati alla politica

estera: la crisi indocinese si era conclusa grazie agli accordi di Ginevra stipulati

30
da Mendès France nel 1954, ma la situazione algerina doveva ancora passare

attraverso la battaglia di Algeri (1957) prima di arrivare agli accordi di Evian

(1962). I Cahiers tentano di rimanere legati strettamente al cinema a differenza di

altre testate più direttamente impegnate nello scontro di ideologie come "Positif".

Nel 1956 Truffaut lavora come assistente di Roberto Rossellini che aveva

conosciuto in occasione di Viaggio in Italia (1953). Durante questo periodo

Rossellini non realizzerà nessun film, ma il contatto diretto con questo regista

così ammirato da Bazin e Truffaut stesso, sarà comunque fondamentale per la

formazione di quest'ultimo. "Mio padre italiano" è uno degli appellativi con cui

più tardi Truffaut definirà Rossellini; l'importanza del suo insegnamento sarà

grandissima come vedremo per Les quatre-cents coups (vedi 2.2.3).

Il 1957 segna il ritorno di Truffaut dietro la macchina da presa dopo l'esperienza

non soddisfacente di Une visite. Grazie alla disponibilità economica di Ignace

Morgenstern padre della sua fidanzata e alla capacità organizzativa di Bazin

comincia l'avventura della "Les Film du Carrosse", la casa di produzione di cui

lui stesso sarà direttore. In agosto Truffaut comincia le riprese di Les Mistons

(vedi 2.1) dopodiché il 27 di ottobre sposerà Madeleine Morgenstern.

I giovani critici dei Cahiers hanno già cominciato a passare alla regia, il primo è

stato Jaques Rivette con Le coup du berger prodotto da Chabrol e girato in due

31
settimane nel suo appartamento facendo recitare gli amici Brialy e Doniol-

Valcroze.

L'esordio di Truffaut non passa inosservato, il suo cortometraggio non si

aggiudica il "premio di qualità" con cui il ministero dell'industria (solo nel 1958

De Gaulle creerà il ministero degli Affari culturali, cui passerà il compito di

gestire i fondi per il cinema, affidandolo ad André Malraux) premia le migliori

opere cinematografiche, ma merita comunque un importante riconoscimento a

Bruxelles.

Il 10 novembre 1958 segna l'inizio delle riprese di Les quatre-cents coups, il

lungometraggio che consacrerà Truffaut come giovane regista di successo e darà

inizio alla breve stagione della Nouvelle Vague francese.

La notte seguente muore André Bazin che di questa generazione di critici ora

registi era stato la guida.

Nel 1959 il ministero di André Malraux scieglie questo film come rappresentante

francese al festival di Cannes dove il successo sarà eccezionale nonostante la

palma d'oro a Marcel Camus con Orfeo negro.

Da un'inchiesta sociologica pubblicata da "Express" precedentemente il festival,

in cui ci si occupava della nuova generazione di francesi (futuri ingenieri,

avvocati etc. ) senza nessun riferimento diretto al cinema venne preso il termine

Nouvelle Vague che sarà destinato a rimanere. In realtà come sottolineerà lo

32
stesso Truffaut pochi anni dopo il successo del suo film, non ci furono un

programma ed un'estetica comuni, non tutti i registi cosiddetti Nouvelle Vague

venivano dalla critica (Resnais, Camus) e ognuno seguiva inclinazioni personali.

In comune i nuovi cineasti hanno l'esigenza di lavorare con budget ridotti

sfruttando al massimo l'agilità della macchina da presa e limitando la ripetizione

delle scene facendo tesoro dell'improvvisazione così come l'ha insegnata

Rossellini. Si tratta di ritrovare l'indipendenza che l'avvento del sonoro ha tolto

alle produzioni cinematografiche divenute da quel momento troppo costose per

essere alla portata di giovani intraprendenti.

Dal punto di vista teorico i nuovi cineasti pongono in primo piano la riflessione

sul mezzo espressivo, sulle scelte tecniche le quali presuppongono un

atteggiamento morale. Essi contribuiscono, sul campo, al dibattito animato da

Bazin intorno alla natura del cinema; proprio nel 1958 viene pubblicato il primo

volume della raccolta dei suoi scritti "Ontologie et langage". Al di là delle

differenze che caratterizzeranno soprattutto in seguito lo sviluppo dei registi

cosiddetti Nouvelle Vague, c'è il contributo collettivo alla realizzazione pratica di

un nuovo linguaggio cinematografico come si stava delineando alla vigilia della

nascita della semiologia del cinema così come la teorizzerà Christian Metz dieci

anni più tardi.

33
Cosa significhi per il ventisettenne Truffaut il movimento dei giovani cineasti

nella storia del cinema appare in una intervista rilasciata dopo il successo dei

Quattrocento colpi: definendo la Nouvelle Vague come un'evoluzione e non una

rivoluzione egli dà il merito alla nuova generazione di aver superato quella fase

di compromesso, il "realismo psicologico", che egli stesso aveva condannato nel

1954: "Per i giovani si tratta di ritrovare la salute propria del cinema muto. Salute

formidabile che può evitare al nostro cinema di diventare esasperato, noioso,

arido. Bisogna ritrovare la freschezza della prima epoca del cinema e rinnegare in

blocco tutta la seconda [quella rappresentata dal regista Feyder e dallo

sceneggiatore Spaak] che oggi appare come uno stadio di transizione."15

34
1.4 Da Les quatre-cents coups a Vivement dimanche!

I quattro anni che seguono Les quatre-cents coups vedono la realizzazione di

numerosissime opere prime dei nuovi cineasti francesi. Essi rifiutano

inizialmente l'etichetta che il termine Nouvelle Vague vuole dare a loro e

insistono sulla mancanza di un'estetica comune ammettendo solo l'esistenza di

uno spirito di gruppo legato alla coincidenza dei loro esordi e ironizzando sulla

passione collettiva per il flipper.

Ma le cose sono destinate a cambiare ben presto: appartenere alla Nouvelle

Vague significherà dopo pochi anni essere l'obiettivo di pesanti attacchi che

arrivano in particolare dalla rivista "Positif" mentre in generale si tenderà a

definire deludente il prosieguo della carriera dei giovani autori. Allora cambierà

sensibilmente anche l'opinione di Truffaut il quale difenderà se stesso e i suoi

compagni come un gruppo non privo di intenti comuni.

Nel 1960 Godard gira Fino all'ultimo respiro (A bout de souffle, 1960)

sviluppando un abbozzo di sceneggiatura di Truffaut. Quest'anno coincide con il

primo intervento diretto di Truffaut in campo politico: la firma del Manifesto dei

121 redatto da Sartre in appoggio alla lotta del F.L.N. algerino. Firmeranno anche

Resnais, Doniol, Sautet e Kast.

35
Nel 1961 Truffaut gira Tirez sur le Pianiste da un romanzo di William Irish. La

vicenda "noir" del timido musicista di Tirate sul pianista appare proprio mentre

gli attacchi alla Nouvelle Vague si fanno sempre più pesanti anche da parte di chi

un tempo aveva condiviso molto con i nuovi cineasti. Perfino il settimanale

"Arts" con Domarchi si pone sul fronte opposto.

Nella rivista "Présence du cinéma" intanto, si sta formando un nuovo gruppo di

cinéphiles che porta alle estreme conseguenze la "politique des auteurs"

arrivando ben oltre la posizione di Truffaut e compagni nell'esaltazione del

cinema di serie B americano. Dal nome del loro cineclub preferito saranno

anch'essi etichettati con un termine: Mac-mahoniens. Ad Humprey Bogart

sostituiscono il vigore e la violenza di Charlton Heston mentre ammirano Walsh,

Losey, Preminger ed in Italia Vittorio Cottafavi e Mario Bava.

Il cinema Nouvelle Vague viene da più parti accusato di non essere che la

controfigura artistica della propaganda gaullista e sui Cahiers si comincia a

rimpiangere di non aver difeso la nuova generazione come un gruppo con una

sua identità.

In questo clima, i primi anni sessanta vedono allargarsi la base del discorso sul

cinema. Gli scritti di Lukacs, Marcuse, Lévi-Strauss, Robbe-Grillet e Roland

Barthes rientrano indirettamente in un dibattito critico dove "interdisciplinarità"

diventa la parola d'ordine.

36
Significativi sono gli interventi di Roland Barthes in questo campo: "Il film non

può certo essere definito un campo semiologico puro, né si può ridurlo ad una

grammatica di segni. Eppure il film è nutrito di segni elaborati ed ordinati dal suo

autore in vista di un pubblico e partecipa, parzialmente ma incontestabilmente,

alla grande funzione comunicante di cui la linguistica non è che la parte più

avanzata. Qui si vorrebbe per l'appunto abbozzare le linee generali, per il

momento molto rozze e ovviamente ipotetiche, di una semiologia dell'immagine

filmica."16

Se la Nouvelle Vague viene screditata in Francia, all'estero la forza innovativa del

giovane cinema francese si propaga nel lavoro di altri registi non solo europei.

Ora non si parla più di una singola "nuova onda" ma di una serie di poetiche che

da un'origine comune si stanno sviluppando in tutto il mondo. Non tarderanno ad

accorgersene i Cahiers du cinéma che nel 1960 pubblicano un articolo del regista

Jonas Mekas del New American Cinema Group sulle nuove tendenze del cinema

americano. Shadows (1958) di John Cassavetes e Les quatre-cents coups

vengono accomunati per la libertà di giudizio che lasciano allo spettatore di

fronte ai fatti narrati, tecnica tra documentario e finzione che sarà sviluppata dal

Free cinema inglese. Cinque anni dopo passeranno dalla nuova scuola di New

York al Giappone di Nagisha Oshima e al Brasile di Glauber Rocha (Cinema

37
Novo). Mentre in Europa oltre all'esperienza inglese ci sono quelle di Milos

Forman, Wajda, Polansky, Jancso.

Intanto Godard propone il passaggio dalla Nouvelle Vague al Nouveau Cinéma

attraverso il cinema di poesia come lo aveva teorizzato Pasolini nell'ambito della

Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro del 1965. Ma per Truffaut

cresciuto con la prosa balzachiana questo tipo di cinema non avrà attrattive come

denunciano le sue esplicite dichiarazioni sullo stile di Antonioni.

Nel 1962 Truffaut realizza Jules et Jim tratto dal romanzo omonimo di Henri

Pierre Roché, scrittore settantaquatrenne alla sua prima esperienza letteraria che

per Truffaut sarà una vera rivelazione stilistica. Nello stesso anno gira il

cortometraggio Antoine e Colette dove ripropone con un Jean Pierre Léaud

diciassettenne le vicende di Antoine Doinel questa volta alle prese con la prima

delusione amorosa. Dopodiché comincia a girare La peau douce (1964) mentre il

matrimonio con Madeleine Morgenstern entra in crisi fino ad arrivare al divorzio

dopo la realizzazione del film.

In una lettera ad Helen Scott (responsabile del French film office negli Stati

Uniti, amica e preziosa collaboratrice durante l'intervista ad Hitchcock) rivela già

nel novembre del 1964 di avere in mente due progetti riguardo film dedicati

all'infanzia: uno si concretizzerà nel Ragazzo selvaggio (1969) (vedi cap. 3)

l'altro rimarrà una sceneggiatura non completa girata da Claude Miller quattro

38
anni dopo la morte di Truffaut nel 1988 La petite Voleuse (La piccola ladra,

1988).17

Il 13 Agosto del 1965 arriva ad Hollywood dove inizierà la registrazione dell'

entretien con Alfred Hitchcock. Le cinquecento domande dell'intervista in

presenza di un magnetofono saranno poi elaborate da Truffaut e riprodotte nel

libro pubblicato nel 1966. Il contatto diretto con Alfred Hitchcock segna l'inizio

di un rappporto epistolare caratterizzato dalla massima stima reciproca e

destinato a durare nel tempo.

Durante le cinquanta ore di colloquio divise in più giornate Truffaut tenta di

scandagliare il metodo creativo del maestro del brivido interrogandolo sulle

circostanze che circondano la nascita dei suoi film, sulla struttura delle

sceneggiature, i problemi di regia e le eventuali discrepanze tra intenzioni e

risultati di ogni singolo film.

Lontano dal voler screditare la suspence, Truffaut la considera invece l'essenza

dello spettacolo, da qui il suo amore per tutti i film di Hitchcock compresi quelli

segnati da un'apparente evanescenza del soggetto. Laddove si è in grado di

mostrare con le immagini ciò che non si può descrivere con i dialoghi non

occorre una tematica complessa per raggiungere la massima intensità espressiva.

Hitchcock va interrogato e messo alle strette perché detiene uno di quei segreti

che rischiano di essere perduti definitivamente.

39
Dopo la stesura del manoscritto gira Fahreneit 451, unico film in inglese di

Truffaut realizzato in Gran Bretagna a causa di problemi di produzione. Del

racconto del maestro della fantascienza Ray Bradbury, genere che Truffaut amava

fino a quel momento ben poco, rimane soprattutto l'amore per i libri. La loro

presenza fisica e quella del fuoco che li brucia sono protagoniste del film al pari

di Montag e Clarisse, il primo che si oppone grazie alla guida della seconda ad

una civiltà che vieta la cultura distruggendo la memoria scritta.

A questo film farà seguito il più hitchcockiano della filmografia di Truffaut: La

mariée etait en noir (La sposa in nero, 1967).

La seconda parentesi di attivismo politico dopo la firma del Manifesto sartriano

si apre durante le riprese di Baisers volés (Baci rubati, 1968) terzo episodio della

serie di Antoine Doinel. In realtà si tratta di impedire la sostituzione di Henri

Langlois direttore della Cinemateque con un candidato imposto dal ministero.

Nel febbraio del 1968 si forma il comitato di difesa della Cinemateque di cui

Truffaut è tesoriere, Renoir presidente onorario, Resnais presidente, Godard e

tutti gli altri dei Cahiers vicepresidenti e segretari. Obiettivo primario la

reintegrazione di Langlois. Godard e Truffaut scendono in strada per manifestare

contro la decisione del governo e boicottare l'attività della sala dopo

l'insediamento del nuovo direttore; con loro ci sono tutti i cinéphiles formatisi

alla Cinemateque, ma anche gli studenti che di li a poco saranno protagonisti dei

40
fatti di maggio. La rivolta del quartiere latino mobilita anche i giovani cineasti

difensori di Langlois contro il ministro Malraux (già attaccato nel 1965 a causa

della censura alla Religiouse di Rivette): nascono gli Stati Generali del cinema

che boicotteranno il Festival di Cannes con un'azione a cui parteciperà anche

Truffaut. Ma la teorizzazione di un cinema militante così come la si legge sui

bollettini diffusi in quell'occasione18 non corrisponde agli intenti di Truffaut e

tantomeno alla sua idea di cinema. I Cahiers invece saranno sensibili al dibattito

politico e culturale dei primi anni settanta facendo una chiara scelta ideologica

che causerà la rottura con l'ex redattore, rimasto uno dei maggiori azionisti.

Per Truffaut, sempre alieno da un cinema figlio di un'ideologia politica, la

decisione dei Cahiers di applicare alla critica la teoria marxista-leninista è

inaccettabile. Le proteste in cui si è impegnato a partire dalla firma del Manifesto

dei 121 sono frutto di scelte individuali e come tali non riconducibili ad una lotta

di classe in cui evidentemente non crede.

Il cinema di Truffaut viene ora accusato per il suo disimpegno politico a cui si

vuole far corrispondere l'immagine di autore pienamente integrato nel sistema.

La difesa che Truffaut oppone è la rivendicazione della propria libertà creativa

sganciata da tesi ideologiche che non siano frutto di una riflessione personale.

Nel 1969 realizza L'enfant sauvage (Il ragazzo selvaggio) e un anno dopo

Domicile conjugal (Non drammatizziamo... è solo questione di corna, 1970)

41
ancora con Léaud (Doinel) mentre, più in difesa della libertà di stampa che non

per motivazione politica, viene coinvolto come testimone nel processo ai

militanti arrestati durante la distribuzione per strada del giornale "La cause du

peuple" diretto da Sartre.

I film di Truffaut escono puntuali ogni anno: Les Deux Anglaises et le Continent

(Le due inglesi) nel 1971, Une belle fille comme moi (Mica scema la ragazza)

con Bernadette Lafont è del 1972, La Nuit américaine (Effetto notte) del 1973.

Quest'ultimo sarà premiato con l'Oscar per il miglior film straniero, ma causerà la

definitiva rottura con Jean Luc Godard cui nello stesso periodo Truffaut rifiuterà

il finanziamento di un progetto. Il meccanismo di produzione di un film così

come lo racconta il soggetto di Effetto notte non corrisponderebbe alla realtà:

Truffaut non rivela il cinema ma contribuisce a nasconderlo dietro la sua

rappresentazione; questa in sostanza la tesi di Godard che lo accusa

esplicitamente di essere un bugiardo.19

Anche ai Cahiers il clima gli è tutt'altro che favorevole: dopo l'articolo di J.P.

Lebel "Cinéma et idéologie" vengono pubblicati tra il 1971 e il 1972 quelli di

Jean Louis Comolli che vanno oltre tentando di rileggere la storia del cinema e la

sua tecnica dal punto di vista del materialismo storico ponendosi in una posizione

antitetica rispetto a quella che fu di Bazin: "Se ciò che ci separa da Bazin è

proprio l'antagonismo del materialismo verso l'idealismo, allora non è solo sul

42
piano dell'estetica o della teoria del cinema che si contraddistingue e si deve

contraddistinguere questa opposizione, ma in primo luogo sul problema stesso

della storia (del cinema), della costruzione del suo concetto [...] l'oggetto cinema

, l'oggetto storia del cinema non sono gli stessi per Bazin e per noi..."20

Truffaut non vuole entrare in un dibattito così distante dalla sua ricerca, e d'ora in

poi, per una decina d'anni, i suoi film saranno praticamente ignorati dai redattori

dei Cahiers. L'ultima recensione, per altro favorevole , apparve in occasione de

La siréne du Mississippi (La mia droga si chiama Julie, 1968). Ma nonostante il

silenzio della prestigiosa rivista e la crisi strutturale che nella seconda metà degli

anni settanta colpisce l'industria cinematografica mondiale, Truffaut prosegue

con regolarità a realizzare film: L'Histoire de Adèle H. con la giovanissima

Isabelle Adjani è del 1975 e poi tra il 1976 e il 1979: L'argent de poche (Gli anni

in tasca), L'homme qui amait les femmes (L'uomo che amava le donne); La

chambre verte (La camera verde); L'amour en fuite (L'amore in fuga) (ultimo

capitolo del ciclo Doinel).

Alla vigilia de Le Dernier Metrò (L'ultimo metrò, 1980), film che avrà un grande

successo meritando 10 Césars, avviene la riconciliazione con i cahiers attraverso

un'intervista rilasciata ai nuovi redattori Serge Daney, Serge Toubiana e Jean

Narboni (Cahiers du cinéma, n. 315 e n. 316, settembre, ottobre, 1980).

43
L'inizio degli anni ottanta segna la collaborazione con Gerard Depardieu e Fanny

Ardant, quest'ultima sarà madre di Josephine ultimogenita di Truffaut già padre

di Laura ed Ewa nate dal matrimonio con Madeleine Morgenstern.

Prima di spegnersi colpito da un tumore al cervello il 21 ottobre del 1984,

all'ospedale di Neuilly, Truffaut girerà La Femme d'à côté (La signora della

porta accanto, 1981) e "Vivement Dimanche!" (Finalmente domenica!, 1983).

44
Note al Capitolo 1

(1) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p.13.
(2) François Truffaut, Les films de ma vie, Paris, Flammarion, 1975, (trad. it. I film della mia
vita, Marsilio, Venezia, 1978, pp. 15-16).
(3) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte le
interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p.11).
(4) Ibidem, p.15.
(5) Ibidem, p. 20.
(6) André Bazin, Qu'est-ce que le cinéma?, Ontologie et langage, Paris, Editions du Cerf, 1958,
(trad. it. Che cos'è il cinema?, a cura di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1973, p. 101).
(7) François Truffaut, Correspondance, a cura di Gilles Jacob e Claude de Givray, Paris, Hatier,
1988 (trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di Sergio Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1993, p.13).
(8) Ibidem, p. 15.
(9) François Truffaut, "Une certaine tendance du cinéma français", Cahiers du cinéma n. 31,
1954, (trad. it. in François Truffaut, Il piacere degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 179).
(10) André Bazin, Qu'est-ce que le cinéma?, Ontologie et langage, Paris, Editions du Cerf,
1958, (trad. it. Che cos'è il cinema?, a cura di Adriano Aprà, Milano, Garzanti, 1973).
(11) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 45).
(12) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 200 (originariamente in "Arts" n. 619, 15-21 maggio
1957).
(13) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985, p. 22.
(14) François Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, Paris, Laffont, 1966, (sec. ed. ampliata,
Paris, Editions Ramsay e François Truffaut, 1983), ed. it. Il cinema secondo Hitchcock, Parma,
Nuova Pratiche editrice, 1985. L'episodio è riportato nell'introduzione dell'autore.
(15) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 26).
(16) Roland Barthes, "Le probléme de la signification au cinéma", Revue internationale de
filmologie, n. 32-33, gennaio-giugno 1960, (trad. it. in Roland Barthes, Sul cinema, a cura di
Sergio Toffetti, Genova, Il Melangolo, 1994, p. 51).
(17) François Truffaut, Correspondance, a cura di Gilles Jacob e Claude de Givray, Paris,
Hatier, 1988 (trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di Sergio Toffetti, Torino Einaudi, II ed.,
1993, p. 146).

45
(18) Alcuni di essi sono pubblicati in Alberto Farassino, (a cura di), Il cinema francese dopo il
maggio '68, Roma, Edizioni di Bianco e Nero, 1972, pp. 140-49.
(19) François Truffaut, Correspondance, a cura di Gilles Jacob e Claude de Givray, Paris,
Hatier, 1988 (trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di Sergio Toffetti, Torino Einaudi, II ed.,
1993, p. 204).
(20) Jean Louis Comolli, "Pour une Histoire materialiste du cinéma", Cahiers du Cinéma, n.
230, luglio 1971, (trad. it. in Jean Louis Comolli, Tecnica e ideologia, Parma, Pratiche editrice,
1982, p. 59).

46
Capitolo 2.

Les mistons e Les quatre-cents coups

47
2.1 I primi protagonisti: Les mistons

Il cortometraggio Les mistons, realizzato nel 1957, si colloca in un campo, quello

dell'adattamento letterario, che Truffaut aveva messo in discussione sulle pagine

dei Cahiers appena tre anni prima attaccando pesantemente soprattutto gli

sceneggiatori della cosiddetta "tradizione di qualità". Il 1954, anno della

pubblicazione dell'articolo, coincise anche con la primissima esperienza di

Truffaut dietro la macchina da presa. Spinto dall'esempio di Rivette che già aveva

realizzato due film in 16 mm, trasformò in un set l'appartamento di Doniol-

Valcroze. Il risultato non soddisfece il giovanissimo Truffaut che abbandonò la

pellicola senza effettuare il montaggio. Le sue intenzioni erano quelle di

realizzare un film "grigio chiaro" che si distinguesse da quelli d'avanguardia

avvicinandosi piuttosto al tono delle commedie di Cukor, ma evidentemente non

bastò l'apporto di Rivette come direttore della fotografia per raggiungere l'effetto

desiderato. La mancanza del senso dell'ellisse e lo strano effetto di questo film

muto girato come fosse sonoro, convinsero Truffaut della sua inutilizzabilità. Une

visite questo il titolo del 16mm fu comunque montato da Alain Resnais e Truffaut

ne rimase meno scontento quando lo vide finito. All'interno del film compare il

primo dei piccoli protagonisti del cinema truffautiano: Florence, la giovanissima

(quattro anni) figlia di Doniol-Valcroze. Quando Truffaut si rimetterà dietro la

48
macchina da presa, sarà di nuovo per filmare dei bambini: i cinque "terribili"

"mistons".

Il testo letterario da cui fu tratta la sceneggiatura è una novella di Maurice Pons

apparsa nella raccolta Virginales. La vicenda si svolge a Nimes dove uno

scalmanato gruppo di ragazzini scopre i primi turbamenti amorosi inseguendo la

bicicletta di una bellissima Bernadette Lafont che, sulle orme della B.B. di Et

Dieu crea la femme (Piace a troppi) di Vadim (1956), pedala a piedi nudi sotto il

sole per raggiungere il suo fidanzato. I cinque monelli, cui è interdetto persino il

suono della voce del loro idolo, si vendicano disturbando con ogni mezzo

l'intimità dei due amanti che tormentano dappertutto, dal fiume all'anfiteatro

romano, dal campo da tennis al cinema. La morte del giovane compagno di

Bernadette (Gerard Blain) durante un'escursione alpinistica, irrompe nella

vicenda ponendo fine all'inseguimento e trasformando la protagonista dei sogni

dei "mistons" nella muta immagine del dolore.

I primi anni cinquanta sono un periodo molto fertile per il cortometraggio in

Francia, si forma "Le Groupe de Trente", si manifesta la personalità di Jean

Rouch, Louis Malle collabora con Cousteau per documentari sottomarini (Le

monde du silence), Roger Leenhardt realizza opere a carattere storico (Victor

Hugo, La naissance du cinéma), Clouzot gira Le mystere Picasso e Resnais

Guernica entrambi dedicati all'arte contemporanea (quest'ultimo realizzerà nel

49
1955 anche Notte e nebbia sulla tragedia dei campi di sterminio nazisti, film che

colpì molto Truffaut), ma i cortometraggi sono anche opere a soggetto dedicate

all'infanzia come i già citati film di Albert Lamorisse: Crin blanc e Ballon rouge.

Inoltre il "premio di qualità" offerto dallo stato per favorire le nuove produzioni

di alto livello artistico stimola la già fervente attività dei giovani cineasti, mentre

la revisione dell'accordo Blum-Byrnes limita di nuovo la presenza dei film

americani sul mercato francese e crea una soprattassa sugli incassi di questi

ultimi tesa fondamentalmente a finanziare quelli nazionali.

Il cortometraggio diviene, soprattutto ora, un'occasione per l'esordio delle giovani

personalità che ancora non possono contrastare sul campo del lungometraggio i

registi affermati. Fa eccezione Claude Chabrol che grazie ai soldi di un'eredità

riesce a girare Le beau Serge, le cui riprese iniziano pochi mesi dopo quelle de

Les mistons. Quando Truffaut chiede per lettera a Maurice Pons di poter discutere

con lui un possibile adattamento, è appena nata la "Les films du carrosse" la casa

di produzione patrocinata da Ignace Morgenstern, suo futuro suocero, e

amministrata da Bazin.

Le riprese de Les mistons (uscito in Italia, ma senza distribuzione commerciale,

col titolo L'età difficile) iniziano nell'Agosto del 1957 per concludersi in meno di

un mese. Inizialmente le cose non sono troppo facili per il giovane Truffaut

rallentato dal tempo incerto e dalla "inerzia provenzale". Egli troverà un metodo

50
di lavoro efficace nel velocizzare i tempi delle riprese per poi avere tutta la

libertà di elaborare il materiale girato in sede di montaggio: "...ho la fortuna di

fare a mano il premontaggio, scartando le riprese malriuscite e controllando i

raccordi. Lavoro molto in fretta quasi senza ripetere le scene, spesso girando una

volta sola al massimo due. Per me è il sistema migliore, tanto io riacquisto la mia

lucidità soltanto in proiezione, padronissimo poi di ricominciare e rifare tutto da

capo tre giorni dopo."1 Questo modo di operare gli permette inoltre di avere un

maggiore controllo degli interpreti adulti, utilizzando quanto ha potuto

apprendere da Rossellini riguardo l'improvvisazione e i dialoghi forniti ai

protagonisti all'ultimo minuto per ottenerne la naturalezza: "Questo dominio

sull'attore riesco ad ottenerlo con poche prove e girando in fretta, senza troppi

ciak. Bisogna poter contare sulla freschezza degli interpreti." 2 A film finito però

egli esprimerà comunque giudizi negativi sulla recitazione di Blain e sui dialoghi.

Compagni in questa prima avventura Truffaut ha Jean Malige per la fotografia,

Cécile Decugis per il montaggio finale e naturalmente i cinque ragazzi oltre a

Bernadette Lafont e Gerard Blain che formavano una coppia sulla scena come

nella vita. Truffaut troverà da ridire anche sull'atteggiamento di Malige "...Non ha

gusto, è un maniaco e lavora per il premio di qualità. La sua fotografia è un

eterno compromesso tra ciò che piace a lui, Crin Blanc e quel che piace a me, Le

coup du berger."3 Della primissima esperienza in 16mm nell'appartamento di

51
Doniol-Valcroze, resta nei "mistons" la ricerca di un tono che sia costante e che

dia unità al film evitando l'utilizzo di quegli effetti "forti" che invece piacevano a

Malige, per questo il regista preferirà le scene con una luce naturale più diffusa,

girate quando il tempo incerto velava il sole.

Truffaut considerò Les mistons il suo primo vero film lasciando in disparte

l'esperienza di Une visite ed effettivamente questo cortometraggio presentato nel

1957 al Festival di Tours (fuori concorso) e premiato poi a Bruxelles per la

miglior regia, ha in sé alcune delle caratteristiche che ritroveremo lungo tutta la

sua filmografia. Truffaut gira il primo lavoro della "Les Films du Carrosse"

partendo dal racconto di un autore contemporaneo e dimostrando sul campo

quale fosse la sua idea di adattamento di un testo letterario. Il principio

dell'equivalenza, che maschera tagli ed aggiunte ingiustificate al tessuto

narrativo, non ha più ragione d'essere; ora si tratta di utilizzare la propria

sensibilità come filtro; il testo è fonte di emozioni personali che vengono

trasmesse attraverso l'operazione della messa in scena dove il regista diviene a

sua volta autore. Tutto ciò avviene esplicitamente, in modo che gli spettatori

sappiano che quello che stanno vedendo non è più il racconto di Virginales.

L'opera di "distruzione" cominciata con il famigerato articolo pubblicato nel

1954 lascia spazio a quella creativa della macchina da presa, che montata su una

52
due cavalli oppure portata a mano (tecniche di ripresa che saranno tipiche della

Nouvelle Vague), segue la bicicletta di Bernadette o le fughe dei mistons.

Truffaut vuole fare di questo film il luogo in cui cinema e letteratura si

incontrano e si uniscono in un abbraccio che si compie nella personalità del

regista. Inizia qui l'utilizzo del commento fuori campo che ritroveremo spesso nei

suoi film e che integra nel tessuto del cortometraggio brani del racconto. Questo

procedimento sarà caratteristico di altri adattamenti letterari come Jules et Jim

(1962) e Les Deux Anglaises et le Continent (Le due inglesi, 1971) tratti da due

romanzi di Henri Pierre Roché, e L'enfant sauvage (Il ragazzo selvaggio, 1970).

Un'altra delle peculiarità truffautiane si manifesta pienamente nel cortometraggio

d'esordio: all'interno di Les mistons stanno infinite citazioni esplicite o meno, ma

anche riferimenti in negativo che esprimono critiche taglienti utilizzando non più

le parole come nel '54 ma le immagini. Truffaut ci dice subito cosa gli piace e

cosa no; senza avere l'aria di esprimere giudizi lo fa senza mezzi termini. Dalla

"presenza" costante di Jean Vigo con Zéro de conduite (Zero in condotta, 1933) a

quella estemporanea di Vadim (il manifesto di Piace a troppi appare fuori da una

sala) e Rivette (Bernadette e Gerard al cinema vedono Coup du bergere) ma

anche quella di Jean Delannoy (con tutt'altro spirito se i cinque monelli passando

strappano il manifesto del suo film Chiens perdus sans collier).

53
Preferenze soggettive dichiarate apertamente, citazioni sotterranee su cui fondare

un proprio linguaggio, ma anche memoria del cinema quando, appena prima di

mostrare tutta la bellezza di Bernadette sul campo da tennis, Truffaut rigira

L'innaffiatore innaffiato di Louis Lumiére. Nella lezione del grande cinema

muto, che qui il regista celebra nelle sue origini, c'è il segreto delle immagini che

mostrano ogni tipo di sentimento, dal più semplice al più complesso, senza

bisogno delle parole. E' un artificio il cui meccanismo non deve essere perduto e

che ancora vive nel lavoro di registi che hanno saputo farne tesoro anche dopo

l'avvento del sonoro. Jean Vigo (figura "scomoda" di cui proprio nel 1957 fu

pubblicata la prima biografia attendibile) (Paulo Emilio Salès Gomès, Jean Vigo,

Parigi, Editions du Seuil) fu uno di questi; Zéro de conduite, film espressamente

dedicato all'infanzia che racconta la rivolta di un gruppo di adolescenti in un

collegio dove sono sottoposti ad un rigidissimo sistema educativo, è un

riferimento costante lungo le riprese. La personalità di questo sfortunato autore

scomparso prematuramente a soli 29 anni, la cui breve carriera fu segnata dalla

pesante eredità del padre (l'anarchico Almereyda), eserciterà un fascino

grandissimo sull'esordiente Truffaut. Il film in particolare poi, sia per il contenuto

che nasce da esperienze vissute da Vigo, sia per la sua storia di pellicola

martoriata dalla censura (il film fu vietato alla programmazione pubblica come

"antifrancese") ricopre un ruolo importante per Truffaut che lo vide per la prima

54
volta, insieme a L'Atalante (1934), nel 1946 al cineclub "La chambre noire"

animato da Bazin. "In principio ho avuto più simpatia per Zéro de conduite

(1933), probabilmente per identificazione avendo solo tre o quattro anni più dei

collegiali di Vigo. Poi, a forza di vedere e rivedere i due film, ho finito per

preferire definitivamente L'Atalante (1934) che mi sarà per sempre impossibile

dimenticare quando mi trovo a dover rispondere a questionari del tipo: Quali

sono secondo lei, i dieci migliori film del mondo?" 4 Truffaut racconta così, in un

articolo del 1970, la scoperta dei film di Vigo al cineclub di Bazin. Girando Les

Mistons ha ben presente "l'amore per l'immagine" che contraddistingueva questo

regista il quale come lui si era formato attraverso la cinefilia ed era divenuto

cineasta "per vocazione" preannunciando nei primi anni trenta la scuola del

realismo poetico. Dall'aspetto sperimentale di Zéro de conduite Truffaut riprende

l'uso del "ralenti" che Vigo usò come effetto poetico, ma l'esempio del regista de

L'Atalante serve soprattutto per raggiungere quell'equilibrio tra realismo ed ed

estetismo che successivamente Truffaut considererà prerogativa di Vigo: "Ci

sono stati nella storia del cinema dei grandi realisti come Rossellini e dei grandi

esteti come Ejzenstejn, ma pochi cineasti si sono provati a fondere le due

tendenze quasi fossero contraddittorie."5 Secondo Truffaut il tentativo di Vigo ha

avuto esito positivo: "Esteta e realista, Vigo è un regista che ha evitato tutte le

pecche dell'estetismo e del realismo." 6 Inoltre l'intensità del cortometraggio di

55
Truffaut ed il suo svolgimento ritmato dai luoghi della scena (fiume, anfiteatro,

campo da tennis, cinema, ferrovia, strada) ricorda il modo in cui Vigo organizza i

suoi ricordi sulla base della sceneggiatura, rimaneggiata, di Zero in condotta. Lo

stato di lucido "trance" a metà strada tra l'esaltazione artistica e la condizione

patologica che Truffaut immagina alla base del lavoro di un Vigo già segnato

dalla malattia, avrebbe regalato al film una forza e una brillantezza straordinarie

attraverso un uso spregiudicato dell'ellisse.

Jean Vigo non costituisce l'unico riferimento esplicto di Truffaut; la fonte della

"sensualità luminosa" di Bernadette va ricercata soprattutto in Monika e il

desiderio e Un'estate d'amore (1950) di Bergman, che Truffaut riprende anche

per la scena finale del cortometraggio: Bernadette cammina vestita di nero dopo

la morte del suo compagno, il viso è una maschera inespressiva, niente è rimasto

della luminosità di prima; il suo incedere silenzioso ricorda quello di Maria

(Un'estate d'amore) che si muove verso la macchina da presa nel corridoio

dell'ospedale dove è appena morto il suo giovane fidanzato. Il commento fuori

campo non aggiunge ulteriore significato all'immagine, ma fa tutt'uno con essa, il

volto di Bernadette riempie l'inquadratura con il suo silenzio. Di questo brusco

passaggio dalla luminosità delle prime apparizioni di Bernadette al buio del

vestito nero che indossa come simbolo del dolore, si ricorderà lo stesso Truffaut

quando lo utilizzerà per i costumi di scena di Jeanne Moreau in La mariée était

56
en noir (La sposa in nero) (1967) che a dispetto dell'uso del colore (il film non fu

girato in b/n come il regista avrebbe voluto) indosserà solo abiti bianchi o neri.

In tutta questa memoria personale e del cinema dove Truffaut attinge per

elaborare il suo linguaggio cinematografico basato sull'arte della messa in scena,

non poteva mancare l'insegnamento di Rossellini di cui fu assistente per un

periodo di tre anni prima di girare Les mistons. Dall'incontro con Rossellini in

occasione della strenua difesa di Viaggio in Italia (1953) che si fece sui Cahiérs

per proteggerlo dai tagli imposti dalla produzione francese all'insaputa del regista

italiano e dagli attacchi dei critici suoi connazionali, venne a Truffaut l'idea di

realizzare un film. Dei lavori di Bergman Truffaut ammirò soprattutto i dialoghi

(quelli di Un'estate d'amore lo convinsero che la cosa migliore era utilizzare per

essi la naturalezza del parlato quotidiano), la pulizia dell'immagine e il primato

assoluto del viso umano, di Rossellini la semplicità, la logica, la chiarezza, ma

soprattutto la capacità, che lo accomuna a Vigo, di filmare l'adolescenza senza

sentimentalismi come aveva dimostrato con Germania anno zero (1947)

(riferimento fondamentale per Les quatre-cents coups): "Volevo riprodurre la

verità esattamente come l'ha vista la macchina da presa per quel pubblico di tutto

il mondo che ha un cuore capace di amare e un cervello capace di pensare." 7 Lo

sguardo oggettivo come in Rossellini, ma soprattutto la tensione lirica che

57
Truffaut trova nei film di Jean Vigo, sono i caratteri del suo primo film che

rimane legato ai temi del realismo poetico francese.

Inizialmente il cortometraggio sarebbe dovuto appartenere ad una serie di episodi

dedicati all'infanzia ma problemi economici costrinsero "La Carrosse" a produrre

solo il primo. Successivamente il soggetto della "Fugue d'Antoine" (altro tema da

sviluppare accanto a quello dei mistons) assunse un carattere a sé fino a diventare

la prima idea per i Quattrocento colpi (vedi 2.2.3). A differenza dei film come

Ballon Rouge o Chiens perdus sans collier, i cinque ragazzini di Les mistons

sono realmente protagonisti, non sono sovrastati dalla coppia di adulti che li

accompagna nello svolgimento della vicenda, inoltre sono ribelli ed irriverenti

senza accattivarsi nessuna simpatia, il modo in cui desiderano e tormentano

l'incarnazione di un sogno ancora proibito, ha l'ostinazione e il vigore

dell'adolescenza come l'hanno descritta Vigo e Cocteau. Il mondo degli adulti e

quello dell'infanzia sono due luoghi distanti, separati dalla mancanza di un

linguaggio comune (Bernadette rimane muta per i cinque mistons, mentre Gerard

parlerà con loro solo per stramaledirli). Forte della lezione di Rossellini, la

cinepresa li segue, li presenta senza ammiccamenti, mostrando, con una

decisione che rimane unica nella sua filmografia, la crudeltà naturale dell'infanzia

e l'irruzione della morte e della perdita in un universo (quello del gioco) fino ad

allora impermeabile. La tragicità della vicenda di Bernadette e Gerard è accolta

58
con freddezza dalla piccola banda e non potrebbe essere altrimenti data la loro

giovane età che non permette ancora un'elaborazione razionale completa delle

conseguenze di ciò che è accaduto. La distanza che in questo senso separa

infanzia ed età adulta si materializza nel muro (reti metalliche, inferriate e

delimitazioni del genere appaiono con un significato simbolico nei film di

Truffaut) da cui si affacciano i volti dei cinque ragazzi per vedere la bellezza

radiosa di Bernadette oscurata da un dolore a cui assistono senza capirlo

pienamente, ma che resterà nella memoria della loro adolescenza.

59
2.2 Les quatre-cents coups

2.2.1 Il soggetto

"Fare il diavolo a quattro", "farne di cotte e di crude"; queste le espressioni che in

italiano più si avvicinano al senso della frase idiomatica da cui deriva il titolo

originale del film. L'idea iniziale era quella di fare un altro cortometraggio

sull'infanzia incentrato sulla vita scolastica e sull'"arte" di marinare le lezioni ma,

come già si è accennato, Les mistons rimase un unico episodio mentre da questo

soggetto si partì per stendere la sceneggiatura de Les quatre-cents coups.

Durante una mattinata trascorsa al cinema e al luna park con l'amico René invece

che a scuola il tredicenne Antoine sorprende sua madre e l'amante scambiarsi un

bacio in strada. Il giorno dopo giustifica la sua assenza inventandosi la morte

della madre. Punito davanti ai compagni da uno schiaffo del padre giunto a

scuola avvertito dal preside, fugge da casa dopo le lezioni e trascorre la notte per

le strade di Parigi. Sarà la madre a riportarlo a casa il giorno seguente. Le cose

però non migliorano ed Antoine si vede bocciare un tema in classe considerato un

plagio de La ricerca dell'assoluto di Balzac di cui effettivamente riprende le

immagini finali per descrivere la morte del nonno così come è richiesto dal titolo.

Fuggito di nuovo Antoine sottrae d'accordo con René una macchina da scrivere

dall'ufficio del padre. Scoperto viene mandato in un centro d'osservazione per

60
minori delinquenti. Durante una partita di pallone nel campo dell'istituto, scappa

attraverso un varco nel recinto e seminati gli inservienti, corre in direzione del

mare.

Per realizzare la sceneggiatura finale ed i dialoghi Truffaut interpella Marcel

Moussy curatore di un programma televisivo "Si c'etait vous" animato dal

dibattito intorno ai rapporti conflittuali tra genitori e figli. Truffaut è soprattutto

preoccupato dei dialoghi che teme possano risultare poco credibili. Egli sa che la

miglior cosa per la recitazione dei giovani protagonisti è lasciare largo spazio

all'improvvisazione all'interno di situazioni prestabilite, ma il problema sorge con

le figure adulte che ha paura di rendere caricaturali scrivendo lui stesso i testi.

Jean Pierre Léaud il giovane protagonista del film viene ingaggiato attraverso

provini fatti dopo la pubblicazione di un annuncio su "France Soir", mentre gli

altri personaggi principali saranno interpretati da Claire Mourier (la madre),

Albert Rémy (il padre), Patrick Auffay (Réne), Guy Decomble (Petite feuille).

Truffaut comincia le riprese il 10 novembre 1958 e le conclude il 3 gennaio del

1959 girando a Parigi ed in Normandia. Dopo l'esperienza non del tutto

soddisfacente con Jean Malige (Les Mistons), per questo film girato in

cinemascope riesce ad avere la collaborazione di Henry Decae che ammira per il

bianco e nero di Ascenseur per l'échafaud (Ascensore per il patibolo, 1957) di

Louis Malle e Le Beau Serge (1958) di Chabrol. Ma un apporto fondamentale

61
viene anche dal resto della troupe e soprattutto dall'aiuto regista Philippe de

Broca che con la sua esperienza aiuterà Truffaut ad evitare errori, durante le

riprese, che rendano più difficile il montaggio definitivo.

Les Quatre-cents coups è uno dei film manifesto della Nouvelle Vague; già un

mese prima della sua proiezione pubblica Jean Luc Godard sul numero di

febbraio dei Cahiers ne dà un'entusiastica anticipazione sottolineando la capacità

di Truffaut di raccontare l'infanzia e legando il suo nome a quello di Cocteau,

Vigo, Rossellini e in letteratura a Georges Bernanos.

Dopo la prima proiezione avvenuta ad Avignone alla presenza di André Malraux,

Il ministero degli Affari culturali lo sceglie come rappresentante francese al

Festival di Cannes del 1959 confermando la selezione di un comitato di cui fa

parrte anche il regista Jaques Becker. Per Truffaut si riaprono così le porte del

Festival di quest'anno dopo la polemica sorta con l'articolo del 1957 su "Arts"

(vedi 1.3) che gli aveva precluso la partecipazione come critico in quello

precedente.

L'esordio di Truffaut come cineasta a Cannes è segnato da un successo

unanimemente riconosciuto, ma sono soprattutto i Cahiers a salutare il suo primo

lungometraggio come un evento storico destinato a cambiare il corso dei festival

futuri ed in generale quello del cinema francese; sul numero di Maggio Rivette

paragona Truffaut a Proust: "La madeleine de Proust ne lui rendait que son

62
enfance; mais d'un pelure de banane, devenue au fond de l'assiette étoile de mer

[una delle scene iniziali mostra Antoine giocare coi resti della cena], F.T. fait

beaucoup mieux; et tous les temps sont retrouvés d'un coup, le mien, le tien, le

vôtre, un seul temps dans la lumière que je ne trouve pas d'adjectif pour qualifier,

inqualifiable, de l'enfance"8 su quello di giugno Doniol Valcroze non si lancia in

paragoni letterari così arditi ma il suo entusiasmo per il futuro del cinema

francese è ancora più esplicito: "Eclatée en début de festival, la bombe Truffaut

aura retenti jusqu'à la fin et son écho se prolongera longtemps encore. Il y a deux

ans, un encore, Les Quatre cents coups seraient apparus trés exactement comme

l'antifilm de Festival, tant par la personnalité de leur auteur que par le style du

film et son mode de production. (...) Est certain (...) que quelque chose de

nouveau va commencer, que la porte ébranlée sous le coups de Chabrol, Franju,

Rouch, Reichenbach et autres gaillards de même calibre, la porte à laquelle

frappait déja lontainement, ne l'oublions pas, Astruc et même Vadim, la porte

soudain céde et qu'un avenir commence".9 L'esaltazione del film di Truffaut

prosegue con l'articolo di Hoveyda il mese seguente. 10 Solo "Positif" in Francia

resta sordo ai giudizi favorevoli, proseguendo nel suo attacco al gruppo dei

registi formatisi come redattori dei Cahiers e a Truffaut in particolare con il quale

è ancora viva la polemica scatenata da un articolo pubblicato un anno prima sulla

rivista di Bazin e Valcroze ("Positif: copie 0", Cahiers n. 79).

63
I Quattrocento colpi diventa così, secondo l'espressione di Valcroze, il "razzo"

che esplode in campo nemico e accompagna una lunga serie d'esordi dopo le

esperienze di Chabrol e Vadim che almeno cronologicamente avevano aperto la

stagione della Nouvelle Vague. Alain Resnais gira Hiroshima mon Amour (1959),

Rouch Moi un noir, Franju La tete contre les murs i quali arrivano a smuovere un

sistema caratterizzato fino ad allora dalla diffidenza nei confronti delle nuove

idee.

Anche dal punto di vista economico Les quatre-cents coups avrà esito positivo, la

vendita negli Stati Uniti prima del passaggio a Cannes aveva già coperto le spese,

e dopo il Festival in cui vincerà il premio per la miglior regia e il premio Ocic, il

film sarà consacrato come un successo anche negli altri paesi europei da una

serie di riconoscimenti che andranno ad aggiungersi alla nomination all'Oscar per

la miglior sceneggiatura originale.

2.2.2 Autobiografia e dissimulazione

Il soggetto dei Quattrocento colpi è evidentemente di natura autobiografica. A

prova di ciò non stanno solo gli espliciti rimandi alla preadolescenza dell'autore

ma anche l'ulteriore crisi famigliare che il film causerà portando all'interruzione

di ogni rapporto tra François Truffaut ed il padre legale Roland per i tre anni

seguenti. Sola eccezione una lettera al padre in cui François riporta il discorso ad

64
una dimensione privata dopo che il successo del film aveva reso pubblica, e

quindi oggetto di strumentalizzazioni, interpretazioni sommarie e travisamenti da

parte della stampa, la vicenda della sua infanzia travagliata:"Je regrette, comme

toi, les abus de cette publicité; on a interrogé des gens qui m'avient connu, on ha

acheté des photos à des copains de régiment, on ha simplifié, grossi, déformé,

Tout cela est courant dans cette forme de journalisme. Je vais toutefois dans

"Arts" dénoncer l'exagération de cela et dementir partiellement le coté

"autobiographique" du film".11 La promessa fatta al padre si concretizzerà in un

artilcolo12 che testimonia di per sé il senso di colpa che François Truffaut provava

a causa del ruolo di pubblica accusa ai suoi genitori con cui qualche critico

esauriva il significato del film.

Dopo il racconto di Pons, dunque, dal cui adattamento era nata la sceneggiatura

de Les mistons, Truffaut decide di prendere come punto di partenza il dato reale

cercandolo nella memoria della sua adolescenza. Tradurre nel linguaggio

cinematografico questo movimento a ritroso comporta il pericolo di rimanere

ingabbiati nell'aneddoto e il rischio di cadere nel compiacimento e nel facile

sentimentalismo. La lezione rosselliniana a livello teorico e la collaborazione di

Marcel Moussy a livello pratico saranno allora fondamentali per l'approccio

documentario che Truffaut ha intenzione di avere nell'affrontare una materia così

personale.

65
Terminati sceneggiatura e dialoghi però il passaggio dalla parola scritta alle

immagini sarà una questione solo di Truffaut come lui stesso scrive dovendo

giustificare a Moussy l'esigenza di lavorare sul set in piena libertà: "Vorrei che tu

capissi bene quel che dico. Questo film ti deve molto, né io conto di dimenticarlo

o di nasconderlo, ma la trasposizione sulla pellicola deve essere solitaria e

confidenziale , altrimenti il film risulterà freddo e incolore, senza tensione e

senza calore"13 (le sottolineature sono di Truffaut). Non c'è solo il desiderio di

non avere nessuno che non faccia parte dello staff tecnico sul set; Truffaut vuole

soprattutto poter rielaborare in piena libertà lo script attraverso l'improvvisazione

pur restandogli in sostanza fedele. Lavoro di aggiunta più che di riduzione, dove

per aggiunta s'intende il valore che di per sè hanno le immagini e la recitazione

degli attori e quindi l'esigenza di organizzare tutto in tempo reale nella messa in

scena.

Tra l'aspetto particolare della preadolescenza di Truffaut e la dimensione

universale in cui si cala nei Quattrocento colpi (in questo senso Truffaut

raggiunge pienamente le sue intenzioni) sta l'emozione di un film che si vive

mentre lo si guarda così come è stato rivissuto mentre lo si è girato. Il racconto

della fine dell'infanzia non rientra in un discorso astrattamente morale oppure in

un'indagine sociologica o psicologica, o ancora in una tesi da dimostrare (che non

sia quella della cattiva memoria degli adulti, o dell'adolescenza come brutto

66
momento da superare) ma fa parte della realizzazione concreta del "film di

domani" assolutamente libero e personale così come era stato pensato due anni

prima sulle colonne di Arts.

"L'autobiografia come progetto estetico: ecco l'orizzonte che delimita

individuando nello stesso tempo un primo possibile livello di lettura, il cinema di

Truffaut"14. Preadolescenza come soggetto privilegiato della prima fase della

filmografia di Truffaut e ricordo della propria esperienza come veicolo per

realizzare quel film in prima persona che si sperava avrebbe dato origine ad una

nuova stagione del cinema francese riconducendone i temi alla soggettività e di

conseguenza alla sincerità dei suoi autori.

"La carrellata è una questione di morale" sostenevano i registi Nouvelle Vague;

l'intima partecipazione di Truffaut alla materia trattata è la garanzia della

veridicità di una messa in scena perfettamente calata in questa morale estetica.

Lo stile asciutto, la rinuncia al facile sentimentalismo sono dovuti ad un

procedimento tecnico nel quale ogni scelta presuppone ed esprime nello stesso

tempo "un'idea del mondo ed un'idea del cinema".

"Ce film est personnel, autobiographique, mais jamais impudique. Rien qui

relève de l'exhibition [...] La force de F.T. est de ne jamais directement parler de

lui, mais de s'attacher patiemment ad un autre jeune garçon, qui lui ressemble

peut-être comme un frère, mais un frère objectif, et de se soumettre à celui-ci et

67
reconstruire humblement, à partir d'une expérience personnelle, une réalité

également objective, qu'il filme ensuite avec le plus parfait respect." 15

Distacco, rispetto, oggettività. Truffaut fratello maggiore di Doinel è un cineasta

che ha appreso la lezione di realismo che gli è arrivata da Rossellini e quella di

estetismo da Vigo e Renoir, inoltre conosce i segreti della fiction come li ha

appresi dall'Hitchcock de Il ladro e dal Bresson di Un condannato a morte è

fuggito:"...la realtà per Hitchcock come per Bresson, non è che un pretesto, un

punto di partenza per una verità seconda, la sola che li interessi."16 Ma per il suo

primo lungometraggio è l'approccio documentario a prevalere, tutta la vicenda di

Antoine Doinel, prima di essere stata filmata, è stata "vissuta" direttamente da

Truffaut oppure indirettamente attraverso il ricordo dei coetanei dopodiché,

grazie alla collaborazione di Moussy, si è raggiunto il distacco necessario per

"realizzare un film migliore di una semplice confessione, piagnucolosa e

compiacente, un vero film."17

La vicenda autobiografica sfuma ulteriormente e acquista un aspetto multiforme

quando viene tradotta in immagini ed in recitazione: il caratteristico metodo di

lavoro di Truffaut lascia a Jean Pierre Léaud (Antoine), così come lascierà ai

successivi giovani protagonisti dei suoi film, la libertà di portare correzioni ai

dialoghi ma soprattutto, in questo caso, fa sì che la personalità di quest'ultimo

influisca sul rilievo del personaggio:"Antoine Doinel, personaggio immaginario

68
[...] rappresenta la sintesi di due persone reali, Jean Pierre Léaud e me. [...] Jean

Pierre Léaud, che aveva allora quattordici anni, era meno sornione di Antoine

Doinel, che fa sempre tutto di nascosto, fingendo la sottomissione per agire poi di

testa sua. Jean Pierre Léaud era un solitario, un asociale come Antoine Doinel,

sempre ai limiti della ribellione, ma per essere un adolescente aveva una salute

migliore e spesso si mostrava sfrontato."18 Renoir insegna che l'attore prevale sul

personaggio e Truffaut sa che tutto ciò che arriva dalla spontaneità di un

adolescente davanti alla macchina da presa non deve essere scartato a priori.

L'autobiografismo dei Quattrocento colpi dunque non è il fine ma un mezzo per

realizzare il film personale, individuale che era nelle intenzioni di Truffaut.

Personale ed individuale non perché esclusivamente ad opera di uno solo oppure

perché raccolta di aneddoti privati il cui interesse resterebbe necessariamente

limitato, ma perché espressione sincera di chi lo ha messo in scena, laddove

messa in scena significa organizzazione di tutto ciò che concorre alla traduzione

nel linguaggio delle immagini di un soggetto sviluppato sulla carta. Questo

lavoro comporta una ridiscussione continua di tutti i termini in gioco senza mai

dare nulla per scontato.

L'infanzia è un punto di partenza, così nella vita come nel cinema; il racconto

della propria adolescenza è l'espressione più esplicita di un autobiografismo che

ritroveremo sempre presente, in questi termini, lungo la sua filmografia, dal

69
Doinel dei Quattrocento colpi fino a Barbara (Fanny Ardant) la segretaria

detective che nella scena finale di Vivment dimanche! appare con in grembo la

futura ultimogenita di Truffaut.

In un'intervista Truffaut ha definito molto semplicemente il suo primo

lungometraggio un "documentario romanzato"; in questo caso la finzione serve

per organizzare in un racconto lineare, ma dove domina l'uso dell'ellisse e

l'avversione per i raccordi non indispensabili come in Vigo, il dato reale preso

dalla memoria. Quando quest'ultimo non basta per costruire una scena in modo

soddisfacente allora Truffaut non si fa scrupolo di lasciare la verosimiglianza

affidandosi alla stilizzazione.

E' interessante notare come nei Quattrocento colpi e negli altri film

espressamente dedicati all'infanzia e all'adolescenza ciò che nasce dalla pura

fantasia di Truffaut sia legato al mondo delle fiabe. Con il riferimento ai ricordi

personali Truffaut parla di ciò che conosce, con il riferimento alle fiabe della sua

infanzia risolve la rappresentazione di ciò che non conosce oppure di ciò che non

vuole mostrare in maniera troppo cruda oppure di ciò che è diventato un luogo

comune dell'immagine filmica:"Le fiabe entrano nel mio lavoro nel momento in

cui affronto cose che non conosco. questo mi evita di usare il cinema in modo

abusivo. Penso che ci sia una specie di tendenza alla stilizzazione che mi aiuta ad

evitare cose schifose. [...] Quando nei Quattrocento colpi sono arrivato alla scena

70
del commissariato [Antoine dopo il furto della macchina da scrivere passa una

notte in guardina] non avevo la minima esperienza come cineasta. Allora mi sono

detto che quel commissariato di polizia correva il rischio di somigliare a quei

film francesi con le guardie che hanno il berretto di traverso.[...] Allora mi sono

rivolto intenzionalmente ai miei ricordi d'infanzia e questo ha dato origine ad un

trattamento quasi fiabesco."19

Forte delle convinzioni maturate durante l'esperienza come critico Truffaut

traduce sul campo, insieme ai suoi attori-collaboratori preferiti (i bambini), la sua

idea di cinema. La "camera-stylo" di Truffaut realizza, in equilibrio tra realtà,

romanzo e fiaba, il film individuale e autobiografico così come lui stesso lo

aveva teorizzato quando auspicava l'avvento di una nuova generazione di cineasti

che avessero il coraggio di mettersi in gioco personalmente.

2.2.3 L'adolescenza secondo François Truffaut

Il naturale carattere di rievocazione che tutti i film sull'infanzia hanno per

Truffaut, fa di Les quatre-cents coups, L'argent de poche e L'enfant sauvage i

luoghi privilegiati dove far assumere al dato biografico un significato universale:

"I capolavori consacrati all'infanzia nella letteratura o nel cinema [...] ci

sconvolgono doppiamente perché all'emozione estetica si aggiunge un'emozione

biografica, personale e intima. Tutti i film di bambini sono film d'epoca perché ci

71
riportano alle nostre braghette corte, alla scuola, alla lavagna, alle vacanze, al

nostro esordio nella vita."20 E inoltre: "Tutto quello che un bambino fa sullo

schermo, curiosamente sembra farlo per la prima volta. Questo doppio senso,

questo equilibrio tra il fatto singolo e il suo valore di simbolo generale rende

particolarmente preziosa la pellicola che registra giovani volti in

trasformazione"21 Raccontare la vicenda del tredicenne Antoine Doinel significa

per Truffaut non solo esorcizzare il proprio passato, ma soprattutto mettere al

centro della creazione artistica il periodo della vita più complesso e per questo

più ricco di fascino:"Secondo me l'età più affascinante, quella che offre maggiori

possibilità cinematografiche, si situa tra gli otto e i quindici anni, l'età del

risveglio della coscienza, la pre-adolescenza.

Per i genitori, il periodo che precede l'adolescenza e la stessa parola adolescente

non hanno alcun significato; per Papà e Mamma restiamo bambini fino al

servizio militare, da cui ritorniamo uomini...pare.

Eppure l'adolescenza porta con sé la scoperta dell'ingiustizia, il desiderio

d'indipendenza, lo svezzamento affettivo, le prime curiosità sessuali. Dunque è

l'età critica per eccellenza, l'età dei primi conflitti tra la morale assoluta e la

morale relativa degli adulti, tra la purezza del cuore e l'impurità della vita; infine,

è, dal punto di vista di qualsiasi artista, l'età più interessante da mettere in luce." 22

72
"Basta un solo atto di ribellione e questa crisi viene giustamente chiamata

originalità giovanile. Il mondo è ingiusto, dunque dobbiamo sbrigarcela da soli:

e si fanno i quattrocento colpi"23

La preadolescenza rappresenta la soglia il cui attraversamento pone fine

all'infanzia; Truffaut intende trattare con realismo il soggetto e lasciare che il suo

significato universale sia dato dalla quantità di implicazioni di carattere

psicologico e sociologico che ogni azione del protagonista e ogni situazione che

"vive" comportano. Il carattere e lo stato d'animo di Antoine appaiono attraverso

i suoi gesti nel film, l'interesse artistico che consiste nel registrarli con la mdp si

coniuga alla volontà di rendere evidente, mostrandola organizzata in racconto,

una realtà drammatica troppo spesso misconosciuta dagli adulti.

Da questo punto di vista il lungometraggio possiede alcune caratteristiche della

"cronaca" e del "documentario" così come sono presenti nei film di

Rossellini:"Lui [Rossellini] era per un approccio quasi documentaristico alle

cose, un approccio molto realista...[...] E' lui che mi ha dato la spinta a fare film

in cui alla fin fine succedono ben poche cose. Ne I quattrocento colpi ci sono

pochissimi "fatti"! A parte il furto della macchina da scrivere e la sequenza in cui

Doinel dice che sua madre è morta mentre non è vero... Il resto sono scene al

limite del documentario... Io dico spesso, e qualche volta vengo frainteso, che

odio il documentario; intendo dire che ciò che mi ha portato al cinema è la

73
fantasia, e non voglio cambiare il mio punto di vista al riguardo. [...] Eppure,

qualche volta ho la tentazione di fare film con meno sviluppi possibili, ma che

siano film avvincenti. E a quel punto la fantasia non sta nell'inventare scene

stravaganti, ma nel modo di congeniare le cose, di presentare la storia come una

narrazione, un racconto e non come la neutra relazione di una cosa." 24 Come

Rossellini registra ogni movimento di Edmund (Germania anno zero, 1948)

dall'appartamento assegnato alla sua famiglia alle macerie lungo le strade di

Berlino al palazzo diroccato da dove si suiciderà gettandosi da uno squarcio nel

muro, così Truffaut tiene Antoine sempre al centro del quadro ma senza cedere a

nessun sentimentalismo nel ritrarlo: "Si, dans certains de mes films, j'ai essayé de

suivre simplement et honnêtement un seul personnage et d'une manière presque

documentaire, c'est à lui que je le dois. Vigo mis à part, Rossellini est le seul

cinéaste à avoir filmé l'adolescence sans attendrissement, et Les quatre cents

coups doivent beaucoup à son Allemagne année zéro."25

Nei Quattrocento colpi lo stile è privo di indugi, di ammiccamenti che rallentino

il ritmo vibrante della narrazione; dalla tour Eiffel al mare i movimenti della

m.d.p. seguono quelli di Antoine limitando al minimo indispensabile il

découpage, come insegnava Bazin, e raccontano la sua vicenda in modo lineare

ma essenziale; ogni sequenza (se ne contano 20 secondo la scheda filmografica

del centro Studi Cinematografici di Milano) concorre ad una struttura narrativa

74
dove la coerenza e la logicità dello sviluppo son date dalla tensione emotiva

costante26 in ogni scena piuttosto che da raccordi rigorosi tra i diversi momenti

del film. L'impressione che se ne ricava è quella di Zéro de conduite (1933) di

Vigo (vedi 2.1).

La sceneggiatura del film nasce, come abbiamo visto, dallo sviluppo della

"Fugue d'Antoine" il cortometraggio, mai realizzato, che avrebbe dovuto

affiancare Le mistons: "Quand je tournais Le mistons, Les quatre cents coups

existaient sous la forme d'un court métrage qui s'appelait "La Fugue d'Antoine" et

qui était simplement une portion du film, le milieu du film: la nuit dans Paris, un

enfant qui, ayant menti à l'école, n'ose pas rentrer chez lui et passe une nuit

dehors."27 La fuga assume così fin dall'ideazione un ruolo fondamentale ed

acquista, al di là dell'intreccio, un significato particolare che non si esaurisce con

questo film ma si sviluppa nei successivi, non solo quelli del ciclo: "Secondo me

ciò che rimpiazza la violenza è la fuga, non la fuga davanti all'essenziale, ma la

fuga per ottenere l'essenziale. Credo di avere illustrato questo concetto in

Fahrenheit 451. E' un aspetto del film che è sfuggito a tutti e che per me è il più

importante: è l'apologia della scappatoia. I libri sono vietati? Benissimo, li

impareremo a memoria! E' il trionfo della scappatoia."28

Lo sviluppo narrativo del film è segnato da tre fughe di Antoine: dopo la scoperta

della menzogna usata per giustificare l'assenza, dopo il fallimento del tema in

75
classe e quindi dell'accordo con la madre con la quale era stato stipulato un patto

in relazione al rendimento scolastico, dopo il soggiorno al centro d'osservazione

per minori delinquenti. Con questi tre momenti fondamentali Truffaut costruisce

quell'ingranaggio entro cui la vicenda di Antoine passa da un guaio all'altro

aumentando progressivamente la portata del suo dramma personale: "Enfermé

dans un réseau de mensonges qui s'emboîtent, il vit dans la crainte et l'anxiété; il

est pris dans un engrenage stupide et se ferait tuer plutôt que d'avouer quoi que se

soit. Qui a volé un oef est obligé de voler un boef, Antoine Doinel est un enfant

difficile, et comme dirait Marcel Moussy: “Si c'était vous.”"29

Ad un compito non svolto fa seguito la decisione di marinare la scuola, poi

l'invenzione della morte della madre per giustificare l'assenza di fronte ad un

professore che, per altro, col suo atteggiamento sarebbe in grado di tirar fuori il

peggio anche da uno studente modello, e quindi la inevitabile punizione da parte

dei genitori.30 Un intreccio così volutamente semplice permette a Truffaut di

concentrare il racconto sul personaggio seguendo, in questo caso, l'esempio di

Renoir: "Jean Renoir durante tutta la sua carriera ha avuto più interesse a filmare

personaggi che non situazioni e, ricordate quell'attrazione da Luna Park che si

chiama "Palazzo degli specchi?", soprattutto personaggi che cercano la verità e

sbattono il naso contro lo specchio deformante della realtà. Jean Renoir non filma

direttamente delle idee ma uomini e donne che hanno delle idee e queste idee,

76
barocche o ridicole che siano, non ci invita né ad adottarle né a rifiutarle ma

semplicemente a rispettarle."31 Evitare l'aperta ribellione, lo scontro, " ...dire

sempre si..si... e poi far quello che si vuole" è la morale, l'idea che guida il

preadolescente Doinel nei Quattrocento colpi.

Attraverso la semplice vicenda chiara e lineare con cui si apre il film abbiamo

modo di conoscere Antoine vedendolo muoversi dagli spazi angusti

dell'appartamento dei genitori (gli interni sono rigorosamente reali, senza ricorso

allo studio) a quelli aperti delle strade di Parigi (fondamentale in questo senso

l'apporto dell'operatore Henri Decae per sfruttare al meglio la luce naturale). A

casa Antoine dorme in una brandina tra la porta di servizio e quella della sala da

pranzo, la madre la deve scavalcare avendo cura di non svegliarlo quando rientra

la sera tardi; qui ogni movimento si compie solo spostando qualcosa o evitando

qualcuno.

Non per caso il primo gesto repressivo nei confronti di Antoine da parte del

professore si concretizza nel limitare il suo spazio prima relegandolo dietro la

lavagna dopo averlo sorpreso applicare un paio di baffi alla pin-up che sulla

pagina di una rivista passava tra i banchi nella scena con cui si apre il film, e poi

impedendogli di raggiungere il cortile esterno della scuola dove i suoi compagni

stanno facendo la ricreazione.32

77
Truffaut ci mostra il gioco dei ragazzi al di fuori accostandogli due inquadrature

di Antoine che ancora dietro la lavagna scrive sul muro con la matita le sue

rimostranze in versi, allungando al massimo il braccio per raggiungere l'intonaco

bianco sopra lo zoccolo di vernice scura.

La prima reazione di Antoine alla limitazione imposta è quella di scrivere, di

fermare nel tempo attraverso la creazione artistica (inopportuna, in questo caso) il

disagio causato dall'umiliazione subita secondo lui ingiustamente:"Qui il povero

Antoine Doinel subì l'ingiusta pena inflittagli da Petite Feuille per una pin-up

caduta dal ciel...d'ora in poi tra noi occhio per occhio, dente per dente."

Il tema della scrittura è fondamentale in tutta la filmografia di Truffaut.33 Nei

Quattrocento colpi l'attività della scrittura è mostrata direttamente solo in

relazione alla frustrazione, al senso di colpa e indirettamente legandola

all'incomprensione degli adulti:"Durante il declino e la caduta di Antoine Doinel,

la scrittura svolge il ruolo del peccato originale: appena Antoine impugna la

penna, su di lui si abbattono le catastrofi. [...] Nella sfera delle attività

transizionali, la scrittura è uno dei mezzi più efficaci per affermare la propria

identità e il proprio controllo sul mondo esterno... [...] In I 400 colpi, ad Antoine

viene bruscamente sbarrata la strada maestra della comunicazione e della

creatività adulte."34

78
Scrivere intense lettere in cui ci si confessa e si fanno progetti per il futuro,

oppure tenere un diario con la stessa funzione, è un momento importante nello

sviluppo intellettuale ed emotivo del preadolescente 35; Antoine scrive due lettere

ai genitori (la prima, per giustificare la fuga, è anche l'esplicitazione molto

romantica di intenzioni future: "cercherò fortuna nella capitale o altrove..."; la

seconda dal riformatorio) di cui Truffaut sottolinea fondamentalmente l'inutilità

presentandole solo attraverso il loro fraintendimento. La madre teme che il figlio

intenda denunciare al padre il suo tradimento e interpreta come una minaccia la

lettera che Antoine scrive durante la permanenza al centro d'osservazione per

minori traviati: "Cosa intendevi dire quando hai scritto vi rivelerò tutto?". il

padre dimostra una volta per tutte l'inconsistenza della sua figura non

presentandosi al colloquio con Antoine e delegando alla moglie il compito di

esprimere il suo risentimento.

Nella preadolescenza e adolescenza di François Truffaut la corrispondenza con

Robert Lachenay (vedi 1.1) ha avuto un ruolo fondamentale, paragonabile a

quello che hanno avuto la letteratura ed il cinema che, per altro, erano anche gli

argomenti privilegiati delle loro lettere. Commenti sui libri letti, sui film visti,

consigli sulle nuove uscite, sono presenti quasi sempre nel loro epistolario, così

come non mancano le esortazioni a reagire ai brutti momenti scrivendo o

correndo al cinema a testimonianza di quanto queste due attività fossero, per loro,

79
complementari. L'esclusiva amicizia di Antoine e René è lo specchio di quella

che fu tra François e Robert. Li vediamo durante la mattinata trascorsa al luna

park entrare, accompagnati dallo stesso Truffaut, nel "Rotor", il cilindro rotante

in cui si vince la gravità grazie alla forza centrifuga sviluppata dal suo

movimento (Truffaut è il personaggio in giacca nera e camicia bianca che segue

Antoine).

Tutti i critici hanno evidenziato la somiglianza tra questo tipo di giostra e lo

zootropio, uno degli strumenti che hanno dato inizio all'invenzione del cinema

trovando il modo di dare l'illusione del movimento attraverso la veloce

successione di immagini poste in sequenza in una struttura cilindrica fatta poi

roteare.36 Il "Rotor" è ripreso dal punto di vista di René e delle persone che

dall'alto possono osservare quello che succede all'interno sporgendosi dal limite

superiore del cilindro rotante. Al primo piano di Antoine che, schiacciato contro

la parete dalla forza centrifuga, tenta di mettersi a testa in giù si contrappongono

in soggettiva i volti degli spettatori tra cui quello di René. Scorrendo su di

Antoine dall'alto verso il basso e viceversa, la mdp inquadra in primo piano il suo

volto sorridente e poi le sue gambe a mezz'aria quindi di nuovo il viso prima di

riprendere la sua figura intera ribaltata. Scrittura come creatività, come

comunicazione e cinema come leggerezza, magia, gioia, espresse simbolicamente

80
nei gesti di Antoine sospeso sulla parete della giostra, sono subito presenti nei

minuti iniziali del film.

Tornato sulla strada dopo l'esperienza liberatoria del "Rotor" Antoine ritorna alla

realtà sorprendendo la madre baciarsi con l'amante. Ancora una volta la gioia

connessa alla libertà di movimento si fissa nel senso di colpa. Questa scena

costituisce uno dei momenti fondamentali del film; nella sceneggiatura iniziale

era sostituita da quella della scoperta, da parte di Antoine, della sua nascita

illegittima poi scartata perché troppo "evidente": "L'idée première de la

révélation de la "batardise" sera abandonnée comme trop évidente au profit de

celle-ci, plus visuelle: Antoine, en faisant l'école buissonière, rencontre sa mère

au bras d'un homme. Comme elle ne dit rien le soir à la maison, il imagine une

complicité totale, et, partant, une impunité systématique, vite démentie par les

faits."37

Il rapporto con la madre è naturalmente alla base della condizione emotiva di

Antoine; lo sguardo freddo e minaccioso di lei, a volte eccessivo a causa di una

recitazione troppo rigida come lo stesso Truffaut sottolineerà lamentandosi di

Claire Maurier (all'epoca della realizzazione de La Peau douce, La calda amante,

1964, rimpiangerà di non aver conosciuto prima Nelly Benedetti) è il solo che

Truffaut isoli con primissimi piani che coincidono sempre con il passaggio da

una situazione ad un'altra, ulteriormente deteriorata, dell'"ingranaggio" entro cui

81
si agita Antoine Doinel. Sorpreso dall'inopportuna (ancora una volta come

sempre) presenza di Antoine esso denota per la prima volta paura.

Dopo la prima fuga del ragazzo la situazione sembra potersi normalizzare con il

suo ritorno a casa e l'atteggiamento dolce della madre che in primo piano al

centro dello schermo parla della propria infanzia invitando Antoine a confidarsi

con lei mentre il ragazzo l'ascolta disteso nel letto dei genitori. Ma la sua

dolcezza ha uno scopo: assicurarsi il silenzio del figlio a costo di comprarlo con

un patto solo debolmente velato dall'obiettivo del rendimento scolastico. "Senti,

avremo un segreto noi due, d'accordo eh? Se al prossimo tema in classe riuscirai

a essere tra...vediamo, tra i primi cinque, ti darò mille franchi, mille franchi. Ma

non devi dire nulla a tuo padre."

Il tentativo da parte di Antoine di accorciare le distanze tra lui e la madre

ritrovando la sua comprensione ed il suo amore e dunque la protezione necessaria

per intraprendere un rapporto meno conflittuale con la realtà, si perde nel

labirinto-ingranaggio della vicenda; secondo Anne Gillain a questo svolgimento

esplicito nella sceneggiatura ne corrisponderebbe un altro a livello inconscio:

"Dietro la storia realista se ne profila una più complessa e ambigua. La

sceneggiatura fantasmatica di I 400 colpi esprime in primo luogo un ardente

desiderio di fusione con una figura materna Questo desiderio non è presentato

come reale, la signora Doinel non lo appagherà mai, ma come espressione di una

82
nostalgia ossessiva.[...] La nostalgia rimanda ad un passato arcaico e Antoine,

come gli altri personaggi di Truffaut, cerca di realizzare i suoi desideri nella

riproduzione di segni indistruttibili di soddisfazione infantile."38

Nella prima scena del film la m.d.p. inquadra dal fondo della classe verso destra

le file dei banchi da cui compare la rivista con la ragazza in copertina e poi segue

la pin-up fino al primo piano del banco di Antoine, dove le sue mani le

disegnano, come abbiamo visto, dei baffi sul volto. A questo gesto fa seguito, due

sequenze dopo, una scena che chiaramente rappresenta la nostalgia dell'affetto

della madre e nello stesso tempo il ritorno ad una tranquillizzante identificazione

con lei39 come risposta infantile all'angoscia che accompagna il progressivo

orientamento verso i rapporti extrafamiliari.40 Truffaut inquadra Antoine di spalle

seduto alla "toletta" della madre, il punto di vista spostato verso destra ci

permette di osservarlo contemporaneamente riflesso in due specchi, uno di fronte

a lui e un altro di lato mentre con gli oggetti del trucco prima si spazzola i capelli

poi annusa il profumo e quindi si diverte ad imitare la madre utilizzando il suo

piegaciglia.

Finito di giocare con i belletti della madre Antoine sposta il piatto appena

disposto sulla tavola per completare i compiti ricevuti come punizione per la pin-

up e la poesia sul muro ma è interrotto dall'arrivo del genitore fuori campo

mentre noi vediamo il primo piano del ragazzo. Uno stacco insolitamente brusco

83
introduce la figura della madre che nel corridoio si toglie il cappotto per poi

scomparire in cucina mentre la mdp ritorna sul primo piano di Antoine in sala da

pranzo che sorpreso subisce il rimprovero per aver dimenticato di comprare la

farina come lei gli aveva raccomandato. Un altro movimento di macchina verso

destra ci mostra, piuttosto generosamente, le gambe della madre che ora seduta in

corridoio si toglie le calze da sotto la gonna ignorando Antoine che le passa di

fronte attraversando il campo.

Questa parte del corpo femminile è il centro del potere di seduzione e di

conseguenza del turbamento che ne deriva nella ancora non chiaramente orientata

sessualità del preadolescente Doinel. Ciò appare chiaramente nei Quattrocento

colpi e assume un valore generale negli altri film di Truffaut, basti citare

L'homme qui amait les femmes (L'uomo che amava le donne, 1977):"Le gambe

delle donne sono il compasso che misura il mondo..."

Le altre figure femminili, non solo adulte, che compaiono nel film ribadiscono

simbolicamente la dinamica che lega Antoine alla madre. Dall'incontro magico

con Jeanne Moreau sbucata, luminosa nella sua pelliccia bianca, dal buio di un

portone nella notte di Parigi, all'enigmatica scena in cui Antoine e René

accompagnano, tenendola per mano, una bambina nel parco; dalle tre prostitute

nel commissariato alle figlie del guardiano dietro la rete metallica del centro

d'osservazione, tutte si ricollegano a questo legame fondamentale, dando la cifra

84
simbolica delle ripercussioni che esso ha, per Antoine, sul rapporto col mondo

esterno.

La menzogna della morte della madre che Antoine si inventa per giustificare

l'assenza del giorno prima, fa parte di questo difficile rapporto. Léaud pronuncia

le parole:"Mia madre è morta!" esattamente come fossero un insulto rivolto al

professore o comunque una reazione al suo atteggiamento:"...l'insegnante deve

essere il più odioso possibile:"tua madre, tua madre, beh, che cos'ha tua madre?"

Ed è perché lui lo ha provocato che il ragazzo trova il coraggio di buttarsi:"E'

morta", e lo guarda dritto in faccia. Nel corso dei miei tre film [siamo nel 1962]

non credo di aver mai diretto nessuno con la precisione con cui ha diretto Jean-

Pierre in quella scena, perché sapevo esattamente come la volevo. Gli ho anche

detto di parlare all'insegnante pensando: “Questo ti scoccia eh?”" 41.

L'aggressività che Antoine esprime per la prima ed unica volta così chiaramente

nei confronti di un adulto e che Truffaut fa di tutto per rendere palese attraverso

la recitazione è l'ovvio risultato dell'angoscia che attanaglia il ragazzo sia nella

dimensione interiore che in quella della realtà esterna.

A questo punto diventa di nuovo protagonista lo sguardo della madre che,

accompagnata dal marito, giunge a scuola dopo essere stata chiamata dal preside

in seguito alla menzogna di Antoine. Truffaut quattro anni dopo la realizzazione

del film descriverà compiutamente la scena per evidenziare l'importanza della

85
lezione di Hitchcock nei Quattrocento colpi nonostante l'intento quasi

documentaristico di questo suo primo lungometraggio. Per non rischiare di

interrompere la tensione emotiva dell'episodio, Truffaut, come il maestro del

brivido, risolve la scena "strangolando" la realtà 42: "Non me la sarei mai cavata

nei 400 coups, se non avessi pensato ad Hitchcock nella scena in cui la madre va

a trovare il figlio a scuola. Era una scena difficilissima da realizzare, perché non

sapevo se dovevo far vedere prima la madre, la finestra, il direttore, l'insegnante

o il bambino. E' stato riflettendoci e analizzando la scena che ho trovato la

soluzione. Tutta la sequenza dei piani è fatta di sguardi. C'è l'insegnante che nota

qualcosa dietro la porta a vetri, poi di nuovo l'insegnante che va a raggiungere il

direttore. A quel punto c'è un piano medio di Jean-Pierre che è un pò inquieto e

pensa che stiano parlando di lui; poi la tresca silenziosa tra il direttore e

l'insegnante; un piano ravvicinato di Jean-Pierre e dei suoi amici che cominciano

a sospettare quando lo vedono impallidire. Poi un piano la cui inquadratura non

ha funzionato ma è molto hitchcockiana come idea: il direttore indica il bambino

con un dito. E' un trucco diabolico, seguito dal bambino che si punta il dito sul

petto: "chi io?" e infine l'arrivo della madre dietro la porta a vetri e il suo sguardo

irreale verso la classe. Li sta il talento di Hitchcock: indovinare il momento in cui

non si ha più bisogno di essere realisti. Logicamente una madre che entra in

classe non sa dove sta suo figlio, e perciò lo sguardo percorre la classe; ma se il

86
suo sguardo esitasse non sarebbe efficace, ed è per questo motivo che io l'ho fatta

guardare diritto verso il figlio come se sapesse quale posto occupava. In questo

modo lo sguardo raggela... "43

A differenza della madre, il padre di Antoine rimane, per tutto il film, una figura

evanescente, le azioni che compie nei confronti del ragazzo hanno ben poca

rilevanza e non bastano per riscattarlo dal giudizio che ne dà Antoine durante il

colloquio con la psicologa del riformatorio. La reiterata domanda del professore

di inglese che chiede a René "Where is the father?" in una delle prime scene del

film è l'anticipazione a livello metaforico della sostanziale assenza del padre

legale di Antoine lungo tutto il film e nello stesso tempo rimanda

significativamente alla vicenda biografica di Truffaut.

Dovendosi esprimere sul significato del film in relazione alla vicenda del giovane

protagonista Truffaut parlò anche di crisi d'originalità giovanile. Questo termine

dovuto allo psicologo francese Maurice Debesse 44 indica un particolare stadio

della formazione dell'idea di sé che caratterizza la preadolescenza e l'adolescenza

con un processo che in alcuni casi non si compie definitivamente che in età

adulta. Soggetti alla crisi d'originalità sono gli "adolescenti con adattamenti di

larga portata" ovvero giovani che volentieri si interessano profondamente a ciò

che riguarda la vita culturale, politica e sociale del loro tempo.

87
In alcuni di questi la spinta all'indipendenza (più forte che negli altri) provoca

situazioni conflittuali dovute alla formazione di idee generali frequentemente in

contrasto con quelle dei genitori e conseguentemente dà il via ad identificazioni

particolari al di fuori delle consuete figure di riferimento:"Gli adolescenti del tipo

che stiamo considerando vivono, più facilmente di altri, anche delle

identificazioni su di un piano diverso da quello della vita quotidiana. Il loro

interesse per la letteratura e la storia è in parte dovuto anche al fatto che la

consuetudine con queste aree costituisce un modo fra i più suggestivi per

compiere un'esperienza di certi tipi di personalità e di certi atteggiamenti di

fronte alla vita ed ai problemi particolari che essa presenta.

Il contatto con la personalità di un grande scrittore o artista [...] lo studio delle

sue opere e la conoscenza [...] delle condizioni concrete e delle vicende

attraverso le quali si è venuto formando quel mondo spirituale che nelle opere ha

poi trovato espressione, può dar luogo ad una identificazione analoga a quelle già

considerate. [si riferisce a quelle con i genitori o altre figure parentali]" 45

L'altarino che Antoine costruisce con tanto di candela accesa sotto l'immagine di

Balzac denota un atteggiamento di questo genere. La vicenda del volontario-

involontario plagio della Ricerca dell'assoluto segna un ulteriore passo in avanti

nelle disavventure di Doinel che compirà una nuova fuga da casa e con René il

furto della macchina da scrivere che gli costerà il riformatorio.

88
L'idea fissa che tormenta il protagonista del romanzo spingendolo a spendere

tutta una vita alla ricerca dell'inafferrabile materia prima dell'universo non può

che entusiasmare la mente del preadolescente Doinel, in questo caso

perfettamente corrispondente a quella che fu del giovane Truffaut. E'

l'adolescenza la fase in cui più forte si sente il conflitto tra tutto ciò che rimanda a

valori assoluti e quello che invece si colloca nella sfera degli interessi

contingenti. Raccontare questo periodo della vita conduce Truffaut a scoprire

l'origine del contrasto tra "provvisorio e definitivo"46 che animerà la turbolenta

vita sentimentale di tutti i suoi personaggi adulti. Inseguire con ostinazione un

obiettivo irraggiungibile fino alla dissoluzione oppure far parte del "provvisorio"

accettando la realtà della vita: durante l'adolescenza, secondo Truffaut, si prende

coscienza dolorosamente, attraverso una serie continua di disillusioni, della

necessità di una scelta.

Il contrasto tra provvisorio e definitivo è esplicitamente reso nella scena finale di

Baisers volés, in cui uno sconosciuto fa una strana dichiarazione d'Amore a

Christine (Calude Jade) proprio mentre questa se ne sta dolcemente abbracciata

al futuro sposo Antoine Doinel su di una panchina del parco. 47 Parlando di questo

enigmatico personaggio Truffaut dirà dopo la realizzazione di Baisers volés: "E'

un pazzo per il quale le cose devono essere definitive, uno che dice a Claude

Jade: "Il tipo con il quale sta è provvisorio, io sono definitivo, non la lascerò mai,

89
starò sempre con lei e poiché non ho bisogno di guadagnarmi da vivere, non sarò

mai assente, ci sarò sempre." E' un po' terrificante e non si sa più se l'amore

debba essere così o come quello che offre Antoine Doinel... Con il passare degli

anni, credo che quest'ultima scena di Baisers volés, che è stata realizzata con

molta innocenza, senza neanche sapere cosa volesse dire, sia la chiave di quasi

tutte le storie che racconto."48

Ma la Ricerca dell'assoluto porterà Antoine a scatenare un putiferio in casa e a

meritare un non troppo romantico zero in francese a scuola. La tendina che copre

l'immagine di Balzac prende fuoco facendo scatenare le ire del padre che

minaccia di spedirlo al riformatorio. Per tutta questa scena concitata la madre

resta in secondo piano fino a quando, interpretando il gesto di Antoine come un

rito propiziatorio in vista del risultato del tema in classe cui è legato il patto che li

ha uniti, giustificherà il figlio agli occhi del padre e riporterà la calma. In

macchina, di ritorno dal cinema, l'unico momento di piena felicità familiare in

tutto il film è prodotto da una dinamica che vede madre e figlio condividere un

segreto a danno del padre.

Anche l'autorità paterna derisa trova la sua anticipazione a livello simbolico nel

film, in una scena precedente quest'ultima collocata significativamente appena

dopo quella del patto stipulato tra madre e figlio e che è anche un omaggio a Zéro

de conduite di cui riprende l'episodio della gita in città degli scolari di Huguet, il

90
precettore del film di Vigo. La macchina da presa inquadra in campo totale e poi

dall'alto la strada dove la scolaresca di Antoine e René sta seguendo il professore

di ginnastica durante il tragitto verso il campo sportivo; uno per uno i ragazzi si

nascondono agli angoli della strada o dentro i portoni lasciando in breve il

professore ignaro di avere solo due alunni ancora dietro le spalle.

Nelle intenzioni di Truffaut la solitudine di Antoine non deve necessariamente

commuovere ma manifestare un aspetto dell'infanzia che si tende a rimuovere:

"L'idea che ci ispirò [Truffaut e Moussy] durante tutto questo lavoro era quella di

abbozzare una cronaca dell'adolescenza considerata non con la solita nostalgia

intenerita ma, al contrario, come "un brutto momento che si deve passare" [...] Il

crudele divario tra l'universo degli adolescenti e quello degli adulti è

splendidamente espresso da questa frase di Jean Cocteau ne I ragazzi terribili:

"Poiché nelle scuole non esiste la pena di morte Dargelos fu espulso". Quando

avevo tredici anni, ero estremamente impaziente di diventare adulto per poter

commettere impunemente ogni sorta di cattive azioni. Mi sembrava che la vita di

un ragazzo fosse costellata di misfatti, e quella di un adulto di incidenti.

Scendevo in strada per gettare nella spazzatura i pezzi di un piatto che avevo

rotto lavandolo, e la sera sentivo gli amici dei miei genitori che si divertivano a

raccontare come avevano fracassato la macchina contro un albero. Nonostante gli

anni passati, non ho cambiato idea su questo punto, e quando sento un adulto

91
rimpiangere i tempi della sua infanzia, tendo a credere che abbia una pessima

memoria."49

Fallito il tema in classe a causa del "plagio" che gli è costato uno zero e

l'espulsione da scuola, ritroviamo Antoine ospite segreto di René durante la sua

seconda fuga da casa. L'ambientazione della scena ricrea volutamente l'atmosfera

del lavoro di Cocteau poi tradotto per il cinema (con Decae come operatore): "Sì,

mentre giravamo in quell'appartamento sapevamo che era una scena alla Cocteau.

Lo sapevamo benissimo, anzi ho anche tagliato alcuni passaggi non riusciti che

riflettevano ancora di più questa atmosfera alla Jean Cocteau [Alcune di queste

scene compaiono come flash back in Domicile conjugal, 1970]. Per esempio i

bambini che fumano il sigaro e disperdono il fumo con la tovaglia. Credo

d'altronde che da quel momento Cocteau abbia veramente amato il film che gli

era così vicino per gli scenari inconsueti e un pò anche per la situazione." 50

Per l'ultima volta libero Lontano dalla famiglia egli può abbandonarsi a tutta la

gioia che gli procura l'amicizia con René prima di progettare, mentre assistono ad

uno spettacolo di burattini al parco, il furto della macchina da scrivere del padre

di Antoine sottraendola dal suo ufficio.

L'episodio del furto più grave (già nelle prime scene si vede Antoine rubare dei

soldi da un cassetto di casa sua) costituisce l'ultimo atto delle peripezie di

Antoine Doinel prima dell'esperienza del riformatorio. Truffaut mostra la sua

92
cattura ad opera del guardiano nel momento in cui il ragazzo sta restituendo il

maltolto dopo il fallimento del tentativo di ricavarne soldi attraverso l'impegno al

Monte di pietà.

L'oggetto del furto assume chiaramente una valenza simbolica che riconduce al

significato che la scrittura assume nel film; il peso eccessivo della macchina da

scrivere che Truffaut sottolinea passando dall'inquadratura della corsa sugli

Champs Elysées, alla scena del ponte dove Antoine e René litigano per decidere

chi debba portarla in braccio, rappresenta invece il conflitto tra il desiderio

d'indipendenza e il senso di inferiorità che accompagna l'interdizione all'ingresso

nel mondo degli adulti. Separati dai bambini che a bocca aperta assistono alla

fiaba di Cappuccetto Rosso al teatrino del parco dove hanno progettato il furto

(Truffaut presenta Antoine e René distinti dal giovanissimo pubblico

sottolineando la loro posizione marginale) non possono però ancora appartenere

al mondo degli adulti se non nella fervida fantasia propria dei fanciulli:"La sua

vita [di Antoine] sembra destinata alla perenne ricerca di oggetti transizionali 51

necessari per non soccombere all'angoscia. Ecco allora il bisogno di colorare di

romanzesco la vita, l'invenzione istintiva di raccontare che la madre è morta, di

descrivere la morte del nonno identificandola con l'ultima pagina de La ricerca

dell'assoluto, di rubare una macchina da scrivere, impresa chiaramente superiore

alle sue forze, ma che aveva il grosso merito di fargli vivere da protagonista

93
un'avventura poliziesca. La vita come racconto romanzesco, reinvenzione della

vita quando questa appare deludente e dolorosa"52

L'inserimento della fiaba di Cappuccetto Rosso nel film rende palese l'utilizzo

che del linguaggio di questo tipo di letteratura Truffaut fa in risposta ai problemi

stilistici di alcune scene ritenute troppo "forti" (vedi 2.2.2). Il ricorso alle favole

della tradizione popolare chiarisce inoltre il significato profondo delle immagini

arricchendole con una connotazione subito riconoscibile da tutti. Una lenta

panoramica da sinistra ci introduce nello stilizzato ambiente della stazione di

polizia fino a rivelare Antoine veramente ingabbiato una volta per tutte. I suoi

maldestri sforzi di integrazione hanno raggiunto l'unico risultato concreto

possibile in una società adulta come quella che ci presenta Truffaut. A questa

aquisizione del ruolo di minore traviato che la società gli assegna corrisponde la

foto segnaletica che Truffaut mostra a tutto schermo con uno stop-frame che

anticipa quello del desolante finale.

Un tale ingresso nel mondo degli adulti comporta per Antoine la separazione più

dolorosa: quella da Parigi. Truffaut accompagna il dolore di Antoine per la prima

volta concretamente visibile nel pianto del ragazzo filmando una scena tutta

giocata sull'intreccio tra musica ed immagini qui perfettamente equilibrate come,

per sua stessa ammissione, non sempre avviene durante il film: "Pour Les quatre

cents coups, j'ai commis la sottise de faire appel à un compositeur de chansons,

94
Jean Costantin [...] Quand je revois, j'entends toutes les fausses notes, tous le

contresens, c'est une musique désinvolte et bâclée qui souvent abîme l'image. Sur

le vol de la machine à écrire, il y a une musique de jazz absolument déplacée.

D'ailleurs le jazz est presque toujours inadéquat dans les films, parce qu'il fausse

les durées; privée de ligne mélodique votre image double de longueur..." 53. Dietro

le inferriate del portellone del cellulare (il taglio dell'inquadratura richiama

l'analoga scena del trasporto dei due ragazzi al riformatorio in Sciuscià di De

Sica) il primo piano di Antoine alternato ad una soggettiva sulla notte di Parigi

illuminata dalle insegne dei locali esprime di pari passo con l'accompagnamento

musicale lo sconforto del protagonista.

Lungo tutto il film Parigi assume simbolicamente un ruolo sostitutivo del grembo

materno, essa lo nutre (Antoine durante la notte della prima fuga ruba per strada

una bottiglia di latte e ne beve fino all'ultima goccia), lo accoglie e lo protegge

(gli offre la tipografia e il cinema come rifugio). La lacrima che vediamo segnare

il volto di Antoine è l'unica che il ragazzo versa nel film.

La reclusione nel centro d'osservazione per minori traviati non comporta solo

l'abbandono dello scenario parigino (nella narrazione così come nella realtà delle

riprese) ma anche la fine dell'amicizia esclusiva tra Antoine e René con

quest'ultimo costretto dall'usciere del centro a ritornare a casa dopo il tentativo

fallito di far visita al compagno. Ancora una volta una barriera, in questo caso la

95
porta a vetri dell'atrio del riformatorio, impedisce ad Antoine di raggiungere ciò

che ama.

Il largo utilizzo dell'improvvisazione che caratterizza i primi film di Truffaut 54

sarà gradualmente ridimensionato in quelli successivi mano a mano che le

sceneggiature saranno più dettagliatamente "visualizzate" in fase di elaborazione.

Un discorso particolare lega però i film dedicati all'infanzia e all'adolescenza

perché comportando l'impiego di giovani attori restano comunque quelli

maggiormenti "aperti" all'apporto della spontaneità dei loro protagonisti: "Gli

attori adolescenti portano in un film una purezza straordinaria che non sempre si

ottiene da altri professionisti; se c'è qualcosa di ridicolo nell'azione o nel dialogo,

lo sentono immediatamente e non esitano a farlo notare. Sta al regista avere

abbastanza modestia e flessibilità per utilizzarne la franchezza e il senso del reale

modificando di conseguenza questo o quel dettaglio [...] Un film sui bambini

deve essere fatto con la collaborazione dei bambini, perché il loro senso della

verità è infallibile quando si tratta di cose naturali..." 55 Ne I quattrocento colpi

l'improvvisazione ha ancora un largo spazio e trova la sua massima espressione

nel colloquio tra Antoine e la psicologa del centro; Truffaut riprende Jean Pierre

Léaud in primo piano al centro dell'inquadratura mentre risponde ad una voce

furi campo: "Disgraziatamente lei [Annette Wademant, che Truffaut avrebbe

voluto nella parte della dottoressa] era fuori Parigi, così cominciammo a girare le

96
sequenze con Jean Pierre rimandando a più tardi i controcampo. Non avevamo

nulla di scritto, non facevamo nessuna prova prima di girare, avevo soltanto dato

a Jean Pierre una vaga indicazione del senso delle mie domande: gli lasciavo

completa libertà nel rispondere perché volevo il suo vocabolario, le sue

esitazioni, la sua totale spontaneità. C'era ovviamente una certa relazione tra

quello che io sapevo dei suoi problemi di vita quotidiana e le mie domande, gli

avevo chiesto di riflettere sulla sceneggiatura e di non dire niente che

contraddicesse la storia del film (solo una volta ha inserito nelle sue risposte una

nonna della quale non si era mai parlato prima). Per le riprese avevo fatto

allontanare tutti dal set ed eravamo rimasti solo Jean Pierre, l'operatore Decae e

io, Fu proprio Decae che, rivedendo i giornalieri mi disse: "Sarebbe una follia

girare i controcampo, bisogna lasciare tutto così com'è." Ed è ciò che facemmo

con la differenza che avevamo girato per venti minuti e nel film ne abbiamo

conservati solo tre."56

La licenza di modificare all'ultimo momento la sceneggiatura, l'infrazione (voluta

o meno) delle regole, vanno di pari passo con l'esigenza di rendere essenziali i

gesti di Antoine affinché il loro significato profondo appaia in modo chiaro lungo

il film. Questo succede nella scena della definitiva fuga verso il mare di Antoine

che per stessa ammissione di Truffaut fu girata nella più completa libertà

d'invenzione ignorando alcune delle leggi più ovvie del montaggio: "Si pensa

97
sempre che la gente dei "Cahiers du cinéma" debba fare film molto intellettuali,

con abuso di inquadrature sapienti e movimenti di macchina. Io per conto mio,

non sono affatto un intellettuale, come non lo era il mio primo film, Les mistons.

Non sono passato per una scuola di cinema e non sono mai stato assistente; è un

inconveniente e anche un vantaggio: si inventa. Se fossi stato uno del mestiere,

nella sequenza finale in cui il mio eroe corre verso il mare, in un lungo piano in

movimento, avrei intercalato i primi piani dei piedi che corrono, dei visi sudati.

L'idea di questo effetto di montaggio l'ho avuta al festival, perché me l'hanno

detto. Ciò che mi interessava di quella panoramica era il paesaggio che si

modificava dietro al ragazzo che corre nella campagna normanna verso la Senna,

la sua foce, il mare."57

Truffaut accompagna con la due cavalli adattata a camera car la corsa del

ragazzo; una panoramica sul paesaggio premarino sospende la discesa verso il

limite dell'acqua entro cui Antoine si bagnerà i piedi per poi ritornare sui suoi

passi e fissare il suo sguardo verso lo spettatore nello stop-frame conclusivo. Si

raggiunge così l'ultimo grado di tensione dell'ingranaggio che è il motore della

vicenda mentre Antoine scopre, nella definitiva frustrazione dei suoi sogni di

adolescente, la soglia che divide l'infanzia dall'età adulta.

98
Note al Capitolo 2

(1) François Truffaut, Correspondance, a cura di G. Jacob e C. de Givray, Paris, Hatier, 1988
(trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di S.Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1993, p. 62).
(2) Maurice Sherer e François Truffaut, "Entretienne avec Roberto Rossellini", in Cahiers du
Cinéma n. 37 luglio 1954, pp. 1-12.
(3) François Truffaut, Correspondance, a cura di G. Jacob e C. de Givray, Paris, Hatier, 1988
(trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di S. Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1993, p. 62).
(4) François Truffaut, Les films de ma vie, Paris, Flammarion, 1975 (ed. it. I film della mia vita,
Venezia, Marsilio, 1978, p. 37).
(5) Ibidem, p. 39
(6) Ibidem, p. 43
(7) Maurice Sherer e François Truffaut, "Entretienne avec Roberto Rossellini", in Cahiers du
Cinéma n. 37 luglio 1954, pp. 1-12.
(8) Jacques Rivette, "Du coté de chez Antoine", Cahiers du cinéma n. 95, maggio 1959, p. 37.
(9) Jacques Doniol Valcroze, "Le quatre-cents coups", Cahiers du Cinéma n. 96, giugno 1959, p.
42.
(10) Fereydoun Hoveyda, "La première personne du pluriel", Cahiers du cinéma n. 97, luglio
1959, pp. 52-55.
(11) Lettera facente parte dell'Archives des films du Carrosse, dossier Archives très privées 2,
pubblicata in Antoine de Baeque, Serge Toubiana, François Truffaut, Paris, Gallimard, 1996, pp.
207-209.
(12) Je n'ai pas écrit ma biographie en 400 coups, in "Arts", 3 giugno 1959.
(13) François Truffaut, Correspondance, a cura di G. Jacob e C. de Givray, Paris, Hatier, 1988
(trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di S. Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1993, p. 79).
(14) Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Roma, Editrice Il Castoro, (nuova
ed.), 1995, p. 29.
(15) Jacques Rivette, "Du côté de chez Antoine", Cahiers du cinéma n. 95, maggio 1959, p. 38.
(16) François Truffaut, Les films de ma vie, Paris, Flammarion, (trad. it. I film della mia vita,
Venezia, Marsilio, 1978, p. 102).
(17) François Truffaut, Correspondance, a cura di G. Jacob e C. de Givray, Paris, Hatier, 1988
(trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di S. Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1989, p. 73).
(18) François Truffaut, Les Aventures d'Antoine Doinel, Paris, Mercure de France, 1970, (trad.
it. Le avventure di Antoine Doinel, Venezia, Marsilio, 1992, pp. VII-VIII).

99
(19) Anne Gillain, "Intervista con François Truffaut", in AA. VV., François Truffaut, Milano,
Fabbri, 1988, pp. 140-42.
(20) François Truffaut, Les films de ma vie, Paris, Flammarion, 1975, (trad. it. I film della mia
vita, Marsilio, Venezia, 1992, p. 37.
(21) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 33).
(22) Ibidem, p. 32.
(23) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 57).
(24) Ibidem, pp. 67-68.
(25) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 60.
(26) Questa tensione emotiva costante è riconducibile ad un dualismo fondamentale che informa
tutto il film. Così Don Allen:"L'intero film è strutturato intorno al tema prigione/fuga e
all'illusoria natura della libertà che Antoine può raggiungere. Egli procede in una serie di
avventure picaresche da un'istituzione repressiva a quella seguente. Scuola, famiglia, stazione di
polizia, riformatorio, ogni ambiente è allo stesso modo inadatto ai problemi di Antoine, e gli
adulti in ogni scenario non hanno né il tempo né la coscienziosità per dare a lui la comprensione
di cui necessita."4 Don Allen, Finally Truffaut, New York, Beaufort books, 1985, p. 38.
(27) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985, p. 59.
(28) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 114.
(29) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985, p. 59.
(30) La prima fuga di Antoine risponde nei suoi caratteri generali alla dinamica evidenziata da
Petter in relazione ai problemi della preadolescenza: "Un ragazzo che reagisca rinunciando, o
regredendo, o con risposte aggressive, suscita altre reazioni nelle persone che gli stanno
accanto: i genitori insistono, con pressioni o anche minacce, perché affronti nuovamente, e con
più impegno, l'obiettivo mancato; e lo stesso possono fare gli insegnanti. Il conflitto che ne
deriva è allora del tipo più difficile da gestire: sul ragazzo cominciano a premere due forze
costrittive, di cui una ha origine dalla valenza negativa che vanno assumendo, per le difficoltà
che presentano, le attività necessarie per il conseguimento dell'obiettivo [...] l'altra ha origine
dalla valenza negativa del rimprovero dei genitori o delle loro minacce o anche semplicemente
dal senso di delusione che essi manifestano. [...] ...in situazioni conflittuali di questo tipo si
determina una forza risultante la quale [...] tende a portare l'individuo lontano da entrambe le
situazioni a connotazione negativa..." Guido Petter, Problemi psicologici della preadolescenza e
dell'adolescenza, Firenze, Nuova Italia, 1990, p. 258.
(31) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 73).

100
(32) Così Jean Collet sulla logica degli spazi nei Quattrocento colpi: "dans Les 400 coups, il y a
une logique de l'espace et de la lumière. Dès la première scène en classe, on est enfermé,
oppressé. Jusqu'à l'ouverture finale, Antoine n'est jamais à sa place. Ni à l'école, ni chez lui,
encore moins dans le lieux où il se réfugie au cours de ses fugues. L'écran large [cinemascope]
accentue paradoxelement notre malaise. Plus l'espace de l'image est ouvert, plus l'espace
d'Antoine (de la fiction) nous paraît étroit. Dans cette maîtrise de l'espace, il y à la signature
d'un grand cinéaste." Jean Collet, Le cinéma de François Truffaut, Paris, Lherminier, 1985, pp.
25-26.
(33) Essa assume anche una valenza simbolica: "Praticarla significa confrontarsi con una
norma, e propendere creativamente a una sua trasgressione; la prima sequenza del primo film
unisce l'atto di scrivere a quello di guardare, perché Antoine passa ai compagni di classe una
fotografia sulla quale pesa una "censura" (la ragazza in costume da bagno). La scrittura,
l'immagine, l'interdetto... E anche la protesta: Antoine, dietro la lavagna, scrive il suo rifiuto
all'"ingiustizia" subita." Giorgio Tinazzi, François Truffaut, Venezia, Marsilio, 1996, pp.102-
103.
(34) Anne Gillain, François Truffaut. Le secret perdu, Paris, Hatier, 1991, (trad. it. Il segreto
perduto, Genova, Le mani, 1995, pp. 36-37).
(35) I diari così come le lettere rispondono ad esigenze precise dell'adolescente: "Il diario è una
delle forme attraverso cui certi adolescenti cercano di soddisfare il bisogno di ritrarsi
temporaneamente dalla realtà esterna, spesso incalzante, ricca di esperienze sociali conflittuali,
per valutare con più tranquillità tali esperienze e i modi in cui esse possono essere affrontate e
superate, per decidere i propri atteggiamenti futuri e per formulare piani di lavoro. Il diario è
dunque uno strumento che può soddisfare il bisogno di ritrovare una chiarezza di idee
momentaneamente perduta, un equilibrio emotivo turbato..." Guido Petter, Problemi psicologici
della preadolescenza e dell'adolescenza, Firenze, Nuova Italia, 1990 (nuova ed.), pp.15-16.
(36) "E come è bella, fresca, intensa questa sua prima metafora sul cinema con quel rotor che
tanto assomiglia allo zootropio di Herner o al prassinoscopio di Reynaud e dove l'infanzia del
cinema corrisponde così fortemente alla sua infanzia, a quella di quel nuovo film, di quel nuovo
regista, di quel nuovo attore! E come è evidente, già in questa sequenza, che per Truffaut la
regia: “è un prolungamento dei giochi dell'infanzia!”" Vittorio Giacci, François Truffaut, Roma,
Bulzoni, 1995, p.139.
(37) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 62.
(38) Anne Gillain, François Truffaut. Le secret perdu, Paris, Hatier, 1991, (trad. it. Il segreto
perduto, Genova, Le mani, 1995, p. 41.
(39) "A parere di S. Freud la personalità di ognuno si costituisce e si differenzia attraverso una
serie successiva di identificazioni che possono essere a) eteropatiche o centripete quando il
soggetto prende a prestito la sua identità da qualcun altro, b) idiopatiche o centrifughe quando il
soggetto identifica l'altro con la propria persona, c) reciproche quando i due movimenti
coesistono con fusione della propria identità con quella degli altri. L'identificazione reciproca è
alla base per la formazione del "noi". Freud distingue ancora un'identificazione primaria in cui
l'individuo deve ancora distinguere la sua identità da quella degli oggetti, e ancora deve
acquistar senso la distinzione tra Io e Tu. E' questa l'identificazione che caratterizza la prima

101
infanzia e in particolare la relazione con la madre che il bambino ancora non avverte come altro
da sé." Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, Torino, U.T.E.T., 1992, p. 458.
(40) Ciò riconduce ad uno degli aspetti principali dello sviluppo psicofisico del preadolescente
che sarà utile sottolineare perché chiarisce ulteriormente la dinamica del rapporto madre-figlio
da cui scaturisce la struttura narrativa del film nella sua doppia dimensione: "La maturazione
puberale di solito costringe il ragazzo ad uscire dalla sua autosufficienza difensiva
preadolescenziale e ad abbandonare l'investimento delle pulsioni pregenitali;e, similmente
spinge la ragazza a sviluppare la propria femminilità. [...] Sia il maschio che la ragazza ora si
volgono più intensamente verso gli oggetti libidici extrafamiliari; in altre parole è cominciato il
vero processo di separazione dagli oggetti primari. [...] La caratteristica distintiva della prima
adolescenza consiste nel disinvestimento degli oggetti d'amore incestuosi; di conseguenza la
libido oggettuale liberata esige nuove sistemazioni." Peter Blos, On Adolescence. A
Psychoanalytic Interpretation, The Free Press Of Glencoe, 1962, (trad. it. L'adolescenza.
Un'interpretazione psicoanalitica, Angeli editore, Milano pp.108-109).
(41) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 65.
(42) "Ecco un altro esempio del modo in cui Hitchcock "strangolerà" il quotidiano: Un
giovanotto presenta a sua madre una ragazza che ha conosciuto. Naturalmente la ragazza
desidera vivamente di piacere all'anziana signora che forse è la sua futura suocera. Molto
sereno, il giovanotto fa le presentazioni mentre, rossa e confusa, la ragazza si fa avanti
timidamente. L'anziana signora, di cui abbiamo visto il viso mutare espressione mentre suo
figlio terminava (fuori campo) le presentazioni, fissa ora la ragazza di fronte, gli occhi negli
occhi (tutti i frequentatori di cineclub conoscono questo sguardo puramente hitchcockiano che
si posa quasi sull'obiettivo della macchina da presa); un leggero arretramento della ragazza
indica il suo primo segno di smarrimento: Hitchcock ci ha presentato in un solo sguardo una di
quelle terrificanti madri ossessive di cui ha l'esclusiva." François Truffaut, Le cinéma selon
Hitchcock, Paris, Laffont, 1966, (sec. ed. ampliata, Paris, Editions Ramsay e François Truffaut,
1983), ed. it. Il cinema secondo Hitchcock, Parma, Nuova Pratiche editrice, 1985, p.15).
(43) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 64).
(44) Maurice Debesse, L'adolescence, Paris, P.U.F, 1955.
(45) Guido Petter, Problemi psicologici della preadolescenza e dell'adolescenza, Firenze,
Nuova Italia, 1990, pp. 289-290.
(46) cfr. Elisabeth Bonnaffons, François Truffaut, Lausanne, L'age d'homme, 1981, p.112.
(47) Ecco la dichiarazione per intero: "Signorina... io so di non essere uno sconosciuto per lei.
Per molto tempo l'ho osservata senza che lei se ne rendesse conto. Ma da qualche giorno non
cerco più di nascondermi... e, ora, so che è giunto il momento. Ecco!... Prima di incontrarla, non
avevo mai amato nessuno... odio il provvisorio. Conosco bene la vita. So che tutti tradiscono
tutti. Ma, tra noi, sarà diverso. Noi saremo un esempio. Noi non ci lasceremo mai... Nemmeno
per un'ora. Io non lavoro. Non ho alcun impegno nella vita. Lei sarà la mia unica
preoccupazione... Capisco... Oh!... Capisco che tutto questo è troppo improvviso perché lei dica
subito sì... E che lei voglia prima rompere dei legami provvisori, che la uniscono a persone

102
provvisorie... Ma io, sono definitivo." François Truffaut, Baci rubati, sceneggiatura definitiva,
in Les aventures d'Antoine Doinel, Paris, Mercure de France, 1970, (trad. it., Le avventure di
Antoine Doinel, Venezia, Marsilio, 1992, p. 213).
(48) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 131.
(49) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 23.
(50) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 60.
(51) "Il concetto di o.t. fu formulato negli anni '50 da D.W. Winnicott. Da trent'anni l'idea
dell'o.t. continua ad essere materia di studi per chi si occupa dello sviluppo emotivo e del suo
rapporto con i fattori ambientali. con questo termine Winnicott fa riferimento ad oggetti quali un
orsacchiotto, una bambola, un giocattolo soffice o duro, l'angolo di una coperta, di un piumino,
di una federa, il cui uso è di "importanza vitale" per il bambino di 8-12 mesi quando va a
dormire, quando si sente solo o triste o ha paura. L'oggetto, trattato con affetto e al tempo stesso
strapazzato, non deve mai cambiare, mai essere dimenticato, e può essere usato anche nella
seconda infanzia, quando incombe una minaccia di privazione che può interrompere
bruscamente la continuità e quindi il senso dell'esistenza." Silvia Bonino, Anna Maria Farcito,
Dizionario di psicologia dello sviluppo, Torino, Einaudi, 1994, p.485.
(52) Flavio Vergerio (a cura di), Cinema e adolescenza, Centro studi cinematografici, Moretti e
Vitali editori, Bergamo, 1993, p.199.
(53) "Cinéma 64", n. 87, giugno 1964, p. 72.
(54) "J'ai changé beaucoup pour mes trois premiers films, et assez peu pour "La peau douce".
Mais je crois que les autres n'avaient pas été assez travaillés. Il me semble que le scenario des
"Quatre Cents Coups", filmé très fidèlement, qurait présenté de graves inconvénients. Celui de
"Tirez sur le pianiste" et celui de "Jules et Jim" également. L'improvisation au tournage
constituait vraiment une nécessité." Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de
la chne, 1985 p. 215.
(55) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 33.
(56) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, pp. 58-59.
(57) Ibidem, pp. 60-61.

103
Capitolo 3

L'enfant sauvage

104
3.1 Il soggetto

La prima incerta idea di realizzare un film adattando i due testi del dottor Jean

Itard nasce in Truffaut dopo averli letti nel volume di Lucien Malson che li

raccoglie entrambi: "Quando la lessi, così com'era riportata in "Rapports et

mémoires du Dr. Itard, che Lucien Maison [sic] ha presentato nel suo libro della

collezione "10-18", Les enfants sauvages, la storia mi appassionò, ma non ero

sicuro di volerne fare un film. Presentava troppe difficoltà tecniche, bisognava

trasformare il testo di Itard (il medico che accolse e allevò il ragazzo), costituito

da due rapporti medici scritti a quattro anni di distanza. Il primo risalente al 1801

era probabilmente destinato all'accademia di medicina; il secondo, scritto nel

1806, aveva come scopo di ottenere dal Ministero dell'interno il rinnovo della

pensione della signora Guérin che si occupava del ragazzo. Bisognava

immaginare che Itard tenesse un diario e fare di questi rapporti una cronaca. Ma

allo stesso tempo bisognava preservare il testo, che è superbo, questa scrittura

allo stesso tempo scientifica, filosofica, moralista, umanista, di volta in volta

lirica o familiare."1 Il progetto prenderà corpo, nonostante le difficoltà di

sceneggiatura, già nel 1964 quando Truffaut comunicherà ad Helene Scott di

avere in cantiere il progetto di realizzazione dell'Enfant (la lettera in questione

accenna anche al film poi realizzato da Claude Miller nel 1988 e all'Argent de

105
poche): "I progetti sono questi: 1) L'Enfant sauvage (la storia del bambino-lupo

di cui le ho già parlato); 2) La Petite voleuse (sul genere di Monika di Ingmar

Bergman, il risveglio della femminilità e le prime civetterie di una piccola

delinquente, una specie di 400 Blows al femminile); 3) una storia tipo il Pianiste

o Bande à part per Jean-Pierre Léaud, forse un vecchio romanzo di Goodis; 4)

una commedia drammatica su una giovane coppia che si separa e si riconcilia,

eventualmente per Romy Schneider e Belmondo; 5) infine, il film di cui parlo da

tanto tempo, la cui azione sarà tutta ambientata in una scuola." 2 Nel 1965

Truffaut otterrà da Gruault3 un primo materiale su cui lavorare: "Jean Gruault ha

finito il primo trattamento di Il ragazzo selvaggio, che è abbastanza buono, si può

ancora migliorare senza difficoltà, per trarne un gran bel film" 4 Come spesso

succede ai soggetti dei film di Truffaut, anche quello del Ragazzo selvaggio

rimarrà "a riposo" per qualche anno fino a quando, nel luglio del 1969,

inizieranno le riprese ad Auvergne, Parigi.

Nella foresta dell'Aveyron durante l'anno 1798 viene rinvenuto un ragazzo tra i

dieci e i dodici anni, la cui vita tra i boschi lontano da ogni contatto umano è

iniziata con il suo abbandono, verso i tre anni di età, dopo essere sopravvissuto al

tentativo di omicidio da parte dei genitori (tra le numerose cicatrici lasciate dalla

lotta con gli animali una più lunga sotto il mento testimonia il passaggio di una

lama). Scoperto da una contadina viene inseguito e raggiunto dalla muta di cani

106
di un gruppo di cacciatori. Accudito per pochi giorni da un vecchio del paese

viene poi affidato all'istituto per la rieducazione dei sordomuti dove si

occuperanno di lui il Dottor Pinel ed il Dottor Itard. I progressi praticamente nulli

del selvaggio convincono il primo della natura congenita del suo ritardo

intellettivo mentre Itard, sicuro della possibilità di un recupero, decide di portarlo

con sè nella sua casa appena fuori Parigi dove sarà aiutato nel suo tentativo di

rieducazione dalla sua governante: Mdme Guérin. D'ora in poi la giornata di

Victor (questo il nome che Itard dà al ragazzo) sarà segnata dai faticosi esercizi

con il dottor Itard tesi a ristabilire tra lui e il resto del mondo quella

comunicazione tramite la parola che il dottore crede interrotta a causa

dell'isolamento. L'approccio traumatico con la vita sociale e la velocità del

processo educativo cui lo sottopone Itard spingono Victor alla fuga verso i boschi

e la vita che conduceva prima: approfittando di una fortuita assenza del dottore,

Victor guadagna i campi scappando dalla finestra aperta ma oramai incapace di

sopravvivere nella foresta il ragazzo deciderà spontaneamente di ritornare a casa

poco tempo dopo.

La sceneggiatura del Ragazzo selvaggio costituisce un'esperienza rimasta unica

nella filmografia di Truffaut: per la prima ed ultima volta non sono i romanzi di

Roché o quelli di Irish da adattare ma due testi scientifici; ciò comporta un

allontanamento dal materiale romanzesco su cui Truffaut era solito lavorare... "Je

107
me classe dans cette famille de réalisateurs pour qui le cinéma est un

prolongement de la jeunesse, celui des enfants qu'on a envoyé s'amuser dans un

coin, qui refaisaient le monde avec des jouets et qui continuent ces jeux à l'âge

adulte à travers les films. C'est ce que l'appelle le “cinéma de la chambre du

fond”, avec un refus de la vie telle qu'elle est, du monde dans son état réel, et, en

reaction, le besoin de recréer quelque chose qui participe un peu du conte de fées,

un peu de ce cinéma américain qui nous a fait rêver étant jeunes. Mais si, jusqu'à

L'Enfant sauvage, je n'étais pas très ouvert a la réalité, même dans mes lectures

puisque je ne lisais que des romans, le fait de m'être passionné pour le rapport du

docteur Itard et d'avoir réussi à surmonter mes scrupules à l'égard d'une réalité

historique et scientifique, m'a encouragé à aller éventuellement dans un autre

voie."5

Ma quest'altra strada da percorrere non comporta necessariamente una

limitazione della libertà creativa salvaguardata già nell'utilizzo delle fonti da

affiancare al testo di Itard: "Mi sono documentato, ma non sistematicamente; ho

semplicemente letto opere sui sordomuti, come il libro di Maria Montessori. Ho

sempre paura che un eccesso di documentazione mi costringa a rinunciare ad

un'idea facendomi sembrare troppo vasto il soggetto; tendo a limitarmi fin

dall'inizio. Durante le riprese non ho neanche voluto ricorrere ai consigli di

medici; non volevo che mi si impedisse di fare certe cose."6

108
Oltre alla novità che rappresenta per Truffaut l'adattamento da un resoconto

scientifico, la realizzazione del film comporta per il regista altre iniziazioni. La

più evidente riguarda il cast dove a recitare il ruolo del dottor Itard scieglierà se

stesso dopo aver scartato una serie di possibilità: "E' una decisione che è maturata

a poco a poco. Avevo pensato subito che non si dovesse assolutamente prendere

un attore conosciuto, poi ho pensato ad attori della televisione e poi a giornalisti

che avevo conosciuto in provincia. Fino al giorno in cui ho sentito che il lavoro

essenziale di quel film sarebbe stato quello di far muovere il ragazzo, di

manovrarlo visto che era impossibile parlargli, e tutto ciò sarebbe stato più

importante che decidere le posizioni della macchina da presa. [...] Mi sarei

ritrovato tutto il giorno a dire a qualcuno: "Adesso prenda il ragazzo, gli faccia

fare questo, lo porti là", e invece avevo voglia di farlo io stesso. Dal giorno in cui

ho deciso di interpretare Itard, il film ha acquisito per me una ragione d'essere

completa e definitiva. Da questa esperienza non ho ricavato l'impressione di aver

recitato un ruolo, ma quella di aver diretto il film davanti alla macchina da presa

e non dietro, come d'abitudine."7

Dietro la macchina da presa c'è, al posto di Truffaut, la sua più preziosa

collaboratrice, Suzanne Schiffman con la quale l'intesa professionale è giunta a

tal punto da basarsi su leggi proprie: "Notre propre expérience nous amène à

nous créer des lois complètement folles, qui n'aurient aucune valeur pour les

109
autres mais l'observance de ces lois nous aide et nous contraint à la fois, d'autant

plus que beaucoup restent informulées. Je fais un scénario avec Suzanne

Shiffman, nous imaginons une scène, nous faisons le dialogue en jouant les deux

rôles et puis Suzanne dit: “Je tape” et je vois qu'elle écrit: Palier-Intérieur Jour. Je

lui dis: “Comment savais-tu que ça se passe sur le palier?” Elle me répond: “Tu

tournes toujours ce genre de scènes sur le palier”."8

Un'altra novità è la collaborazione con Nestor Almendros; se con Shiffman non

sono necessarie troppe parole per intendersi Almendros è un professionista che

"sa come interpretare i desideri di un regista che sa bene ciò che non vuole ma

non sa spiegare cosa vuole." Almendros è soprattutto "uno dei più grandi

operatori esistenti, uno di quelli che lottano perché la fotografia dei film di oggi

non sia indegna di com'era ai tempi di Wilhelm Gottlieb Bitzer, il cameraman di

D.W. Griffith."9

Truffaut vuole fortemente l'utilizzo del bianco e nero (per vincere la proverbiale

diffidenza dei distributori si dichiarerà disposto a rinunciare ad una parte del

compenso) e il recupero di alcuni dei procedimenti classici dei film muti come il

mascherino ad iride; questi mezzi sono, secondo lui, necessari per realizzare

l'adattamento di un testo d'epoca come quello su cui ha lavorato con Gruault:

"Tandis que les fermetures à l'iris, sur des visages, cela nous ramène à Griffith,

j'ai l'impression que l'adaptation à l'époque se fait mieux. [...] L'enfant sauvage

110
était conçu dans cet esprit."10 Inoltre se c'è anche in questo film un "partito preso"

formale, lo si può rintracciare nel rigore con cui è costruita l'inquadratura di ogni

scena ed in questo senso molto è dovuto ad Almendros: "Nestor non è solo un

tecnico del cinema, è un uomo che legge moltissimo, conosce bene l'architettura

e la pittura. Avere la sua collaborazione è per un regista una grande fortuna, una

fortuna e un Jolly"11

Il rigore dell'immagine e la sua nitidezza hanno come punto di partenza la

sceneggiatura, anch'essa costruita per essere sempre chiaramente comprensibile,

quasi essenziale: "Vi erano alcuni esperimenti che non si potevano far

comprendere, perché troppo complessi. Ad esempio, veniva scritta la parola

"libro" e Victor andava a cercare un libro. Un giorno Itard tentò di aggiungere

altri libri, ma Victor non li prendeva, portava sempre lo stesso: non aveva la

nozione di libro in generale. François soppresse questo episodio. Tutto doveva

essere mostrato in modo molto semplice, molto stilizzato."12

Semplificando in questo modo Truffaut "organizza una finzione senza inventare

nulla"13 e raggiunge il suo obiettivo: "fare dell'antidocumentarismo con una cosa

estremamente vera"14

Il ruolo del dottor Itard non è il solo per cui Truffaut ha dei ripensamenti: Jean-

Pierre Cargol, il giovane gitano che interpreta Victor, sarà scelto dopo aver

accantonato l'idea di trovare un "Nureyev bambino" tra gli allievi dei corsi di

111
danza dell'Opéra. A far propendere verso questa soluzione è la volontà di Truffaut

di ricollegarsi ai personaggi del suo primo cortometraggio: l'energia che

sprigiona dalla figura del ballerino russo sarà sostituita con quella di un "miston"

trovato tra i giovani scolari di Montpellier dopo aver cercato anche a Nimes,

Arles e Marsiglia.

Nel cast figura anche Jean-Dasté (Pinel), attore di Vigo e Renoir (Zero in

condotta, L'Atalante, e Boudou salvato dalle acque), che lavorerà per Truffaut

ancora in La chambre verte e L'homme qui amait les femmes. Tra le comparse del

film ci sono Laura ed Ewa, le due figlie di Truffaut e Madeleine Morgenstern che

vediamo tra i bambini della fattoria che tormentano Victor.

112
3.2 Le origini dell'uomo, le origini del cinema.

A colpire l'interesse di Truffaut fino a fargli chiedere a Jean Gruault di ricavare

un primo abbozzo di sceneggiatura dalle memorie di Itard è la situazione

descritta, quella di un preadolescente cresciuto dai tre anni circa in poi lontano

dalla società degli uomini che si ritrova, suo malgrado (almeno inizialmente), a

percorrere le tappe evolutive solitamente proprie della primissima infanzia 15:

"Credo che la forza di questa storia sia nella situazione: questo ragazzo è

cresciuto al di fuori della civiltà, tant'è vero che tutto ciò che fa nel film lo fa per

la prima volta. Quando accetta di coricarsi in un letto e non per terra, è la prima

volta; quando indossa un vestito, è la prima volta; quando mangia a tavola, è la

prima volta. Starnutisce per la prima volta, piange per la prima volta. A mio

avviso, ogni passo in avanti costituisce già una fortuna formidabile, e il film trae

la sua forza dall'accumulo di tutti questi passi in avanti."16

All'interno di questa vicenda che si riconduce al tema del "debutto nella vita",

condizione propria dell'infanzia che in Truffaut diventa precoce disincanto cui far

necessariamente fronte con tutti i mezzi a disposizione 17, si muove Victor

accompagnato da Itard; il primo cresciuto al di fuori della società e segnato da

una mancanza fondamentale: un linguaggio che gli permetta di comunicare con

gli altri esseri umani; il secondo perfettamente integrato ad essa ma in qualche

113
modo "isolato" al suo interno da una convinzione, quella della natura non

congenita del ritardo intellettivo di Victor, non condivisa dai suoi colleghi ai

quali deve rendere conto attraverso la scrittura di una relazione. L'articolazione

dei suoni in un linguaggio compiuto, e la parola scritta sono i due poli del

racconto, tutto si snoda tra questi due modi della comunicazione rappresentati

dagli esercizi di Victor e dalla stesura del resoconto da parte di Itard del quale

Truffaut inquadra puntualmente la figura intera mentre di fronte alla finestra

dello studio compila il rapporto oppure solo le mani indugiando sui segni che il

pennino lascia sul foglio bianco.

E' l'iniziazione alla vita sociale compiuta attraverso una continua serie di dolorosi

adattamenti alla realtà che interessa Truffaut molto più che non la semplice

contrapposizione (con tutte le implicazioni di carattere ideologico che comporta)

tra la libera vita nella foresta e le costrizioni del vivere civile. A riguardo Truffaut

è piuttosto esplicito: "Critiquer la société est une chose, croire qu'on n'en fait pas

partie est un enfantillage. Le thème très a la mode: “Il faut quitter la société”

convient a des garçons qui ont souffert d'être trop protégés dans leur jeunesse,

c'est un thème un peu snob. Des Quatre cents coups à L'Enfant sauvage, je

montre des personnages qui veulent s'integrer, faire partie. [...] A vrai dire, on

adopte les idées qui vous arrangent, qui contrebalancent le chocs qu'on a reçus et

ces à nous de voir la sincérité qui se trouve derrière les idées opposées, adoptées

114
par ceux dont la biographie est différente. Si j'aime tellement Chaplin, c'est qu'il

est le plus grand à avoir traité ce théme de l'appartenance."18

Proprio analizzando i film di Chaplin alla luce di ciò che ha scritto Bazin,

Truffaut unisce il tema del ragazzo selvaggio al personaggio di Charlot trovando

un'analogia tra l'atteggiamento di quest'ultimo nei confronti della realtà e il

meccanismo di difesa alla base dell'autismo: "da alcuni anni si studiano più

severamente i casi di ragazzi cresciuti nell'isolamento, nella miseria morale,

fisica o materiale e gli specialisti descrivono l'autismo come un meccanismo di

difesa.19 Ora è tutto meccanismo di difesa nelle azioni e nei gesti di Charlot.

Quando Bazin spiega che Charlot non è anti-sociale ma asociale che aspira ad

entrare nella società, egli definisce, quasi con gli stessi termini di Kanner, la

differenza tra lo schizofrenico e il bambino autistico: “Mentre lo schizofrenico

cerca di risolvere il suo problema abbandonando il mondo di cui faceva parte,

questi bambini arrivano progressivamente al compromesso che consiste nel

saggiare prudentemente un mondo cui sono stati estranei fin dall'inizio.”" 20 In

questa esperienza di riavvicinamento che si trova a vivere, Victor è

accompagnato da una figura paterna positiva che è praticamente assente ne I

quattrocento colpi e che costituisce, come vedremo, il fulcro del particolare

autobiografismo del film. Il dottor Itard accoglie il selvaggio nella sua casa, gli

dà un nome; egli è convinto che "...la società, attirando nel suo seno questo

115
giovane sventurato, [abbia] contratto nei suoi confronti degli obblighi

imprescindibili che è [suo] dovere soddisfare."21 Jean itard si pone come "primo

scopo" legare Victor alla vita sociale "rendendogliela più dolce di quella che

conduceva allora e più analoga a quella che aveva lasciato." 22 Il raggiungimento

di questo obiettivo è però segnato da ripensamenti e dubbi, che Itard esprime

riguardo la necessità di aver prelevato Victor dalla foresta durante un momento di

sconforto dopo l'ennesimo esercizio di Victor senza risultati validi, e che Truffaut

mantiene nel commento fuori campo: “Quanto in quel momento come in tanti

altri, pronto a rinunciare al compito che mi ero imposto, ritenendo perduto il

tempo che gli dedicavo, ho rimpianto d'aver conosciuto questo ragazzo e

condannato severamente la sterile curiosità degli uomini che per primi lo

strapparono alla sua vita innocente e felice”.

A queste parole che accompagnano il movimento di macchina dal primo piano di

Itard compreso tra gli stipiti della finestra aperta verso quello di Victor

singhiozzante, quasi a sottolineare la volontà di Itard di comprendere e di farsi

comprendere dal ragazzo attraverso la comunicazione mediata dalla parola, segue

una scena girata con il solo accompagnamento musicale: durante una notte di

luna piena Victor si rifugia in giardino e prende a cullarsi inginocchiato sull'erba

con il viso rivolto verso l'alto, a noi come al dottor Itard (la scena è in soggettiva)

non resta che osservarlo da dietro i vetri della finestra che Truffaut pone come

116
limite tra la candela23 che rischiara il primo piano di Itard e la luce della luna che

illumina il ritmico movimento di Victor.24

Nel Ragazzo selvaggio vi è un sistematico utilizzo di porte e finestre come

inquadratura nell'inquadratura, nella scena sopra descritta esso risponde,

attraverso il suo significato simbolico più immediato, ad esigenze narrative

rendendo, senza bisogno di un ulteriore commento, la distanza incolmabile che

separa Itard da Victor e la sua intima comunione con la natura, da cui il dottor

Itard come tutti noi è escluso; a livello stilistico questo espediente serve a

Truffaut per evidenziare il carattere di rappresentazione, per amplificare la

teatralità della messa in scena attraverso un modulo di ripresa e

un'organizzazione degli elementi profilmici già sperimentato in Jules et Jim

anch'esso adattamento di una vicenda del secolo scorso: "Les personnages sont

filmés de loin, les lieux sont filmé de loin, c'est une chose qu'on doit regarder,

mais dans laquelle on ne doit pas vraiment entrer..." 25 Il testo di Itard pone il

problema in maniera ancora più pressante a causa della narrazione al presente

propria del resoconto scientifico: "...Ne Il ragazzo selvaggio c'era uno iato tra il

materiale quasi scientifico del film, il dottore che si occupa del bambino, e le

scene, che si svolgono come se fossero al presente (non si parla all'imperfetto, la

narrazione è un diario al presente). Questo presente, per ambientare una storia del

XIX secolo, doveva apparirmi in fondo un pò scioccante. Quindi, il modo di

117
farmi perdonare era di farne una "rappresentazione" e la "rappresentazione" era

come riquadrata perché sui lati dello schermo c'erano le travi delle porte, i vani

delle finestre. Più la scena era inquietante, più la macchina da presa era collocata

a distanza, come quando il dottore dice: “Il tuo nome sarà Victor”. Avevo bisogno

di distanziarmi un pò. Tutto è visto come in un teatrino."26

Evidenziando il carattere di rappresentazione dell'immagine Truffaut si allontana

dal documentario puro nonostante lo stile asciutto ed essenziale adottato per

rendere perfettamente chiaro e comprensibile sullo schermo il testo scientifico

del dottor Itard: "Le film comporte une série d'exercises que Itard fait faire à

l'enfant pour éduquer son oreille, son oeil, ses sens: il y a manifestement là un

aspect documentaire, et notre critère de travail était alors le même que pour un

documentaire: est-ce que c'est clair? Est-ce qu'on comprend? Ces exercises, il

fallait pouvoir les suivre; il fallait qu'au début de chaque exerxcice le public

sache ce que le docteur Itard veut obtenir de l'enfant, de façon à en suivre le

déroulement, d'un bout a l'autre, avec intérêt."27 La chiarezza quasi documentaria

con cui Truffaut rende gli elementi fondamentali del film non gli impedisce così

di raccontare, prima di tutto, una storia: "Si è evitato lo spettacolare: con questo

film non volevo far paura o impressionare, ma raccontare." 28 E se il

coinvolgimento diretto dello spettatore è impedito dall'evidenza della messa in

scena allora diventa indispensabile per colpire il suo interesse farsi bene

118
ascoltare. A dispetto del carattere documentario del materiale scientifico su cui

lavorano Truffaut e Gruault, sono ancora una volta le leggi della fiction apprese

dal maestro del brivido (di cui Truffaut ha da poco fatto pubblicare il libro-

intervista) a condizionare l'utilizzo del commento fuori campo: "...sa leçon est

aussi présente dans L'Enfant sauvage que dans La mariée, car si le matériel du

Sauvage est très eloigne d'Hitchcock, en prenant la décision de placer un

commentaire au début ou a la fin d'une scene, de terminer une phrase par tel mot

plutôt que par tel autre, je ne fais que tenter d'appliquer les lois de cette science

dont il est le maître et qui consiste à sa faire bien écouter."29

Incentrato sulla comunicazione e sul linguaggio, stilisticamente L'enfant sauvage

ci riporta esplicitamente ai tempi del cinema muto quando era indispensabile

farsi capire, farsi ben ascoltare, solo con le immagini e le didascalie. 30 Fedele alle

idee che hanno caratterizzato la sua stagione di critico cinematografico Truffaut

rende inscindibili forma e contenuto intrecciando ancora una volta nel racconto

dell'infanzia (quella di Victor e quella della settima arte) la sua idea del mondo e

la sua idea di cinema.31 Da qui, oltre che dall'esigenza di rendere meno

"scioccante" l'adattamento di una vicenda del XIX sec., l'utilizzo dei mascherini

ad iride, la caparbia ostinazione per girare il film con il bianco e nero di Nestor

Almendros, il richiamo allo stile di Griffith e Chaplin. "Film sul segreto delle

origini dell'uomo, Il ragazzo selvaggio celebra anche quelle del cinema"32

119
Non è dunque nelle intenzioni di Truffaut pronunciarsi a favore dei metodi

educativi di Itard con un documentario sul suo operato; egli vuole mettere in

scena, attraverso il racconto, la narrazione, uno dei temi fondamentali che

racchiude la rappresentazione dell'infanzia: l'apprendimento, l'accesso alla

cultura per mezzo della comunicazione: "L'enfant sauvage è la frustrazione della

conoscenza, con il tentativo ostinato di Itard di annullare questa mancanza. Lui

stesso ha scritto nelle sue memorie: “Senza la civilizzazione, l'uomo sarebbe uno

degli animali più deboli e meno intelligenti.” E' un film sulla comunicazione, lo

scambio, il linguaggio, la cultura."33

La mancanza del linguaggio impedisce al ragazzo selvaggio di partecipare

correttamente ad uno scambio con gli altri e quindi alla conoscenza, alla cultura;

in questo senso l'apprendistato diventa indispensabile e Truffaut lo esprime

visivamente inquadrando dall'alto verso il basso i piedi di Victor che alle prese

per la prima volta con i gradini di una scala comincia, passo dopo passo, a salire,

sostenuto e guidato da Itard e Guerin.

Fare dell'apprendimento il centro del film significa per Truffaut metterne in luce

dubbi e contraddizioni; l'ingiusta punizione inflitta da Itard a Victor è il nucleo

del conflitto che si determina tra il dottore, il selvaggio e nello stesso tempo tra la

necessità dell'educazione e la coercizione che ogni processo educativo comporta:

la macchina da presa inquadra Itard in piedi di fronte allo scrittoio e sullo sfondo

120
Victor che di spalle guarda fuori dalla finestra aperta sulla campagna mentre sta

bevendo un bicchiere d'acqua; il commento off riporta i pensieri di Itard nel

momento stesso in cui decide di "mettere alla prova" il cuore del suo allievo

rinchiudendolo ingiustamente nello stanzino buio usato altre volte come

punizione; nelle intenzioni di Itard la reazione di Victor proverà l'avvenuta

introiezione del concetto di giusto e ingiusto. 34 Truffaut risolve la scena con un

piano sequenza che registra l'azione dei due personaggi tenendo sempre in campo

il dottor Itard mentre Victor compie correttamente il suo esercizio: riconoscere

visivamente il nome di due oggetti scritto sul cartone, prelevarli da un'altra stanza

dove il dottore li ha posti e riportarli indietro. La zuffa tra Victor e Itard comincia

quando quest'ultimo prende ingiustamente a spingerlo verso lo sgabuzzino

ignorando la buona riuscita del compito che gli aveva affidato e si conclude con

il morso che al culmine dell'ira Victor rifila ad Itard. Sulla soglia della porta che

già spalancata avrebbe dovuto accogliere il ragazzo l'abbraccio tra i due pone fine

all'esperimento dopo che la inusuale reazione di Victor ha sciolto i dubbi del

Dottore: “Come sarebbe stato dolce per me in quel momento potermi far capire

dal mio allievo e dirgli fino a che punto lo stesso dolore del suo morso riempiva

il mio animo di soddisfazione e mi ricompensava di tutte le sofferenze patite!”.

Alla dissolvenza che chiude la scena fa seguito l'inquadratura di Victor dal basso

del giardino verso l'alto della casa mentre egli guarda attraverso i vetri della

121
finestra chiusa proprio come aveva fatto Itard la notte in cui lo aveva sorpreso a

cullarsi sotto la luce della luna; il commento fuori campo riporta il resoconto di

quello che secondo il Dottore è stato il più grande progresso del "selvaggio":

“...era una prova incontestabile che il sentimento del giusto e dell'ingiusto, eterna

base dell'ordine sociale, non era più estraneo al cuore del mio allievo.

Infondendogli quel sentimento, o piuttosto provocandone lo sviluppo, avevo

innalzato l'uomo selvaggio alla piena statura dell'uomo morale, con il più

spiccato dei suoi caratteri e il più nobile dei suoi attributi”.

Questa sequenza riassume in un interrogativo, che si aggiunge al significato che

l'esperimento ha nel resoconto di Itard, la contraddizione che informa tutto il film

e che sta alla base del primo e fondamentale inrteresse che Truffaut ha provato

per questo testo scientifico d'inizio Ottocento: "In questa scena, che è un duello

tra il ragazzo e il professore, ciò che mi ha interessato più di ogni altra cosa, più

della rivolta o della non rivolta del ragazzo, è il fatto che il professore gli faccia

del male per il suo bene. Ne ha il diritto? Esiste mai un simile diritto? Comunque

non ci sono situazioni più forti di quella."35

Ed è proprio quella la situazione che per prima Truffaut ha visualizzato nel

decidere di realizzare questo suo secondo film dedicato all'infanzia: "A

convincermi a fare il film fu una scena che immaginai leggendo i rapporti. E' la

sola scena drammatica: la punizione ingiusta inflitta da Itard al suo allievo per

122
farlo ribellare; è il solo mezzo che Itard ha a disposizione per rendersi conto se

quel ragazzo, con il quale è impossibile comunicare, è dotato di coscienza

morale. Con Jean Gruault feci perciò una sceneggiatura che andava abbastanza

bene, ma era troppo nettamente divisa in due parti uguali: la prima era la foresta,

la cattura, l'istituto dei sordomuti, la curiosità dei parigini, i tentativi di fuga,

l'accoglienza in casa di Itard, la seconda era la rieducazione, gli esercizi. Ho

preferito andare all'essenziale, a ciò che per me è l'essenziale, riducendo

considerevolmente la prima parte, facendone una sorta di prologo: il film, me ne

rendevo conto a poco a poco, sarebbe cominciato veramente solo con gli esercizi,

i rapporti tra Victor, il ragazzo, e Itard..."36

L'apprendimento del linguaggio, l'accesso alla comunicazione con gli altri, è uno

dei temi fondamentali dei film che Truffaut ha dedicato all'infanzia e lo

ritroviamo sviluppato anche in alcuni ruoli secondari che i bambini assumono nel

resto della sua filmografia37 Nel Ragazzo selvaggio tutti i ruoli affidati ai

ragazzini del centro per la rieducazione dei sordomuti sviluppano questo tema

accompagnando la descrizione del primo contatto eslusivamente "scientifico" tra

Itard, Pinel e il ragazzo dell'Aveyron. Qui il ragazzo selvaggio che ancora non

possiede un nome si trova immediatamente confuso con i suoi coetanei ancora

una volta dopo le angherie subite nella fattoria che fu il suo primo contatto con la

società civile. Allora la crudeltà del naturale atteggiamento dei bambini di fronte

123
alla stranezza di quel loro simile portato al guinzaglio si stemperava

nell'atteggiamento affettuoso dell'anziano abitante del villaggio che per primo si

prese cura di lui; ora le conseguenze della posizione marginale del selvaggio

anche tra chi come lui vive marginalmente si confondono ben presto con

l'interesse dei giovani sordomuti i dialoghi dei quali formano un parallelo con

quelli di Pinel e Itard riguardo la condizione del ragazzo dell'Aveyron. All'interno

del dormitorio che ricalca quello di Zéro de conduite l'atmosfera è la stessa di

quella del film di Vigo con uno degli allievi che improvvisa un comizio che

riscuote l'interesse di tutti eccezion fatta per il futuro Victor, che prima si prende

le botte del sorvegliante (lo stesso che organizza all'insaputa dei dottori le

crudelissime "visite guidate" al selvaggio per i parigini curiosi; in una di queste

comitive vediamo Jean Gruault comparire nel film giusto in tempo per prendersi,

come di lì a poco succederà a Truffaut nei panni di Itard, un morso da Victor) e

poi rifiuta di dormire sul letto per rifugiarsi sul pavimento38. In un'altra scena due

ragazzi del centro discutono animatamente servendosi del linguaggio dei

sordomuti appoggiati sul davanzale di una finestra aperta uno di fronte all'altro.

L'argomento del loro colloquio è evidentemente la descrizione dello strano

aspetto del nuovo arrivato. Sempre al centro il selvaggio ottiene il primo gesto

benevolo da parte di un coetaneo quando quest'ultimo lo raggiunge nella soffitta

124
dove è stato rinchiuso portandogli una scodella di cibo che Victor rovescia per

terra prima di consumare spargendoselo con le mani su tutto il viso.

Raggiungere una comunicazione compiuta anche senza l'ausilio della voce è

possibile (come dimostrerà in maniera molto meno drammatica Oscar il bambino

fischiatore de l'Argent de poche) ma difficilissimo per chi, come Victor ha

vissuto la quasi totalità dell'infanzia senza poter stabilire nessun tipo di rapporto

con altri esseri umani. "E' chiaro che la "ferita" d'origine di questo ragazzo è

irreparabile. La creazione dei suoni è il fenomeno più complesso dell'essere

umano e allo stesso tempo quello più legato all'infanzia. Ci sono teorie al

riguardo, certamente molto vere, secondo le quali un bambino cresciuto lontano

da ogni espressione parlata o cantata sarebbe in pericolo di morte. La privazione

della parola è una frustrazione fondamentale."39

Quando Truffaut parla di "espressione cantata" lo fa in riferimento ad un tema

che gli stava a cuore già durante la realizzazione del suo primo lungometraggio:

"Dans son livre sur les problémes sexuels de l'adolescence, Maryse Choisy

raconte la curieuse expérience tentée par l'empereur Frédéric II. Il se demandait

dans quelle langue s'exprimeraient des enfants qui n'auraient jamais entendu

prononcer une parole. Serait ce le latin, le grec, l'hébreu? Il confia un certain

nombre de nouveau-nés à des nourrices chargées de les nourrir et de les baigner;

il interdit rigoreusement qu'on leur parlat ou les caressât. Or, tous les enfants

125
moururent en bas âge: “Ils ne pouvaient pas vivre sans les encouragements, les

mines et les attitudes amicales, sans les caresses de leurs nurses et de leurs

nourrices; c'est pourquoi on appelle magie nourricière les chansons que chante la

femme en berçant l'enfant.”"40 Il nesso tra linguaggio e musica che Truffaut trova

nella relazione tra il canto della balia e il primissimo approccio con le parole che

in quel modo avviene durante l'infanzia si esprime esplicitamente nel film in uno

dei momenti più lirici quando nel cuore della notte alla luce della candela Victor

chiede le carezze di Itard afferrando la sua mano e portandosela sul viso: “Sì è il

tuo modo di parlare...ma anche la parola è una musica Victor...forse un giorno

l'apprezzerai”."

Victor comunica solo attraverso il "linguaggio in azione", la parola come

astrazione è e sarà per lui un ostacolo insormontabile, ma è solo attraverso il

rapporto con gli altri che può arrivare a chiedere l'essenziale, il nutrimento, il

latte che avevamo visto rubare da Antoine durante la notte trascorsa per le vie di

Parigi. Ristabilire una corretta comunicazione con Victor significa operare sulle

primissime esperienze della sua infanzia: "Visto dall'esterno qualsiasi disturbo

emotivo appare caratterizzato da un'interruzione, più o meno grave, della

comunicazione. Di solito né la rinuncia al linguaggio né la repressione

dell'impulso ad agire si instaurano con drammatica subitaneità, ma si

costituiscono a poco a poco, attraverso un lento processo. Nello sviluppo

126
normale, il bambino comincia ad agire quando la sua bocca cerca il capezzolo,

quando reagisce a stimoli visivi e uditivi e quando segue intentamente gli oggetti

con lo sguardo; la comunicazione, cioè, ha inizio con la suzione. Le cose possono

cominciare a mettersi male persino a questo stadio precoce dell'azione e

dell'interazione che è alla base della formazione della personalità. [...] ...Quale sia

la causa iniziale, è la gravità e la persistenza dell'incapacità dell'individuo

nell'inviare e ricevere correttamente messaggi, a spiegare la gravità e la

persistenza del suo disturbo emotivo."41

Truffaut evidenzia il nesso tra linguaggio e nutrimento riprendendo in primo

piano le quattro lettere di legno scuro della parola "LAIT" sulla tavola bianca

dove Itard di fronte a Victor durante la colazione sta tentando di fargli capire il

legame tra la parola scritta e l'oggetto del suo desiderio.

Il risultato non sarà quello voluto ma darà a Victor la possibilità di escogitare un

espediente in grado di raggiungere una mediazione tra un'attività intellettuale al

di fuori della sua portata (Victor non pronuncierà mai la parola latte se non come

espressione di piacere nel momento stesso delle soddisfazione del suo desiderio e

non come richiesta dell'oggetto in questione) e il suo efficacissimo ma limitato

modo di comunicare: portato di nuovo a far visita al cittadino Lemeri chiede la

sua abituale tazza di latte servendosi delle quattro lettere di legno fatte fare da

Itard per la sua istruzione e tenute di nascosto nel taschino con evidente

127
premeditazione. A riempirgli la scodella sarà la moglie del cittadino Lemeri, che

lungo il film rappresenta, insieme a Madame Guerin, la figura materna ideale. Le

luci di Nestor Almendros sottolineano la plasticità delle inquadrature dove

l'immagine della giovane madre che versa il latte a Victor richiama alla mente la

pittura di Vermeer. Sempre durante una di queste visite Victor utilizza il suo

linguaggio in azione per giocare con il figlio più grande della signora Lemeri.

Facendosi portare a spasso sulla carriola Victor per la prima volta interagisce con

un coetaneo stabilendo un rapporto di fiducia.

Ma il rigido apprendistato cui Itard costringe Victor basato sulla "legge imperiosa

della necessità"42 non molto distante dal metodo dei riflessi condizionati con cui

si ammaestrano gli animali, non ottiene in tutti i campi i risultati che il dottore

sperava e anzi porta il giovane allievo alla fuga. Approfittando della finestra

aperta e dell'assenza di Itard, Victor scavalca il davanzale e guadagna di corsa i

campi oltre il giardino dove la macchina da presa deve fermarsi limitandosi a

inquadrarlo da lontano mentre raggiunge i boschi. Diversamente da ciò che

accade nei Quattrocento colpi, qui non seguiamo la corsa del protagonista, egli

attraversa il paesaggio ripreso in campo totale percorrendolo in profondità mentre

la mdp muovendosi verso l'alto inquadra i boschi in lontananza dove Victor è

diretto.

128
Come abbiamo visto, la fuga da una realtà sentita come terrificante è una

prerogativa che accomuna tutti i giovani personaggi truffautiani segnati da una

mancanza, da una frustrazione profonda che li relega ai margini. Come Victor,

fuggono Antoine e Montag "homme-enfant" della filmografia truffautiana,

costretto, alla pari del selvaggio a dover recuperare il tempo perduto per

riavvicinarsi alla cultura: " Dans Les Quatre Cents Coups, j'ai montré un enfant à

qui il manque d'etre aimé, il grandit sans tendresse; dans Fahrenheit 451, c'est un

homme à qui il manque les livres, c'est-à-dire la culture. Chez Victor de

l'Aveyron, le "manque" est ancore plus radicale, c'est le langage. Ces trois films

sont donc batis sur une frustration majeure. Même dans mes autres films, je me

suis attaché à décrire des personagges qui sont en dehors de la société; il ne

refusent pas la société, ce la société qui les refuse."43

Questo meccanismo di difesa viene reso esplicitamente nei film dedicati

all'infanzia (ne L'argent de poche se ne trova eco nella corsa a rottadicollo dei

ragazzi di Thiers all'uscita da scuola con cui si apre il film) e indirettamente

nell'allontanamento dalla realtà che caratterizza, patologicamente o quasi,

personaggi come Adèle H., Julien Davenne, Bertrand Morane.

Il parallelo tra la vicenda della figlia di Victor Hugo e quella del ragazzo

selvaggio è suggerito dallo stesso Truffaut: "...Pensai a quel soggetto leggendo

per la prima volta un libro su Adèle Hugo. Quella biografia mi commosse perché

129
rappresentava il rovescio della medaglia di L'enfant sauvage. Come il ragazzo

dell'Aveyron, Adèle ha un problema d'identità, ma qui è all'inverso, perché il

padre è l'uomo più celebre del mondo. E' un genio."44

La fuga di Victor giunge al culmine del processo di identificazione di sè iniziato

tramite il rapporto con gli altri e con il Dottor Itard che per primo lo ha chiamato

per nome dandogliene uno. L'esito del disperato ritorno alla foresta di Victor è

segnato dal senso delle parole che Itard pronuncia dopo il suo inaspettato ritorno

a casa: “Sono felice Victor...sei tornato a casa...capisci...sei a casa tua, non sei più

un selvaggio anche se non sei ancora un uomo. Victor sei un ragazzo

straordinario...un ragazzo di grandi speranze”. E' questo l'ultimo passo, che

Truffaut intende mostrarci, dell'educazione del ragazzo dell'Aveyron.

“Poi ricominceremo gli esercizi... ” dice il dottor Itard ripreso in primo piano

dall'alto verso il basso mentre Victor sale le scale accompagnato da Guerin. Gli

occhi di Victor guardano dentro la macchina da presa in modo analogo a quanto

si vede fare ad Antoine nello stop-frame alla fine dei Quattrocento colpi, ma

questa volta sono idealmente rivolti verso Itard e lo spettatore che a lui si

sostituisce nella soggettiva che chiude il film. Il selvaggio dell'Aveyron acquista

un nome grazie a Jean Itard, Adele H. cerca di cancellare il suo rinnegando le

proprie origini.

130
Il tema del padre e dell'identità 45 è fondamentale anche per un'altro personaggio

truffautiano strettamente legato alla figura del selvaggio dell'Aveyron: Camille

Bliss la protagonista di Une belle fille comme moi, film che Truffaut così

definisce: "...è la risposta all'Enfant sauvage; è la stessa cosa e allo stesso tempo

è il contrario: la selvaggia è Bernadette [Bernadette Lafont] e questa volta si sta

contro l'educatore che è un tipo teorico e non ha capito niente della vita." 46 Nel

flash back che ci racconta la tribolata infanzia di Camille Bliss, "sorella maggiore

nfandell'Et sauvage"47, Truffaut presenta la negazione più radicale delle proprie

origini raccontandoci nei termini stilizzati della favola il parricidio compiuto da

quest'ultima togliendo la scala da sotto i piedi del genitore mentre si appresta a

scendere dal pagliaio.

Nel processo di acquisizione e perdita che ha comportato lo sviluppo del ragazzo

attraverso gli esercizi a scomparire per prima è stata la capacità di sopravvivere

isolato dal mondo. Le lotte vittoriose nella foresta che Truffaut ci presenta una

volta per tutte mostrando Victor uccidere uno dei cani della muta che lo insegue

all'inizio del film, non sono più possibili. Agli alberi della foresta su cui trovava

rifugio si sono sostituiti quelli dell'istituto e del cortile del dottor Itard. Un

mascherino a iride chiudeva il movimento all'indietro dal primo piano di Victor

sul un ramo di un albero al totale dell'albero nella foresta, con lo stesso

movimento di macchina e di nuovo con l'uso dell'iride Truffaut segna il definitivo

131
passaggio dalla vita selvaggia nei boschi a quella all'interno della società

inquadrando un'albero del tutto simile a quello che fu il rifugio di Victor e poi

allargando sul totale del giardino dell'istituto per il recupero dei sordomuti. La

natura ordinata dal lavoro dell'uomo diviene il simbolo del compromesso cui

dovrà giungere Victor.

Così come per gli altri film dedicati all'infanzia l'autobiografia gioca un ruolo

determinante anche nel Ragazzo selvaggio. A differenza dei Quattrocento colpi

dove i rimandi alla biografia dell'autore sono espliciti nel protagonista e de Gli

anni in tasca dove si distribuiscono in più personaggi, nel Ragazzo selvaggio,

film dedicato non a caso a Jean-Pierre Léaud, Truffaut si identifica con il dottor

Itard interpretandone il ruolo. Il significato di questa scelta, che come abbiamo

visto è stata dettata da motivazioni di carattere stilistico (non utilizzare una

vedette) e tecnico (l'esigenza di dirigere direttamente sulla scena i movimenti di

Jean-Pierre Cargol), appare chiaro a Truffaut dopo il montaggio: "Jusqu'à

L'Enfant sauvage quand j'avais eu des enfants dans mes films, je m'identifiais a

eux et là, pour la première fois, je me suis identifié à l'adulte, au pére, au point

qu'à la fin de montage, jài dédié le film a Jean-Pierre Léaud parce que ce passage,

ce relais, devenait complètement clair pour moi, évident." 48 Non più il riemergere

del passato e la sua narrazione dissimulata nella fiction ma la messa in scena del

rapporto speculare che ha unito Bazin (al quale è dedicato I quattrocento colpi) a

132
Truffaut e Truffaut a Léaud; la figura positiva del padre emerge per la prima volta

dopo essere stata quasi un'assenza nella storia di Antoine Doinel e diviene nello

stesso tempo un ulteriore omaggio a Bazin e un gesto di affetto nei confronti di

Léaud. In una scena che richiama quella di Antoine di fronte allo specchio della

madre49 Victor si riflette a figura intera tra il dottori Itard e Pinel (Dasté) quasi a

evidenziare la possibilità di un'identificazione degli altri e di sé che gli permetta

di entrare in contatto diretto con il mondo reale. La mela il cui riflesso inganna

Victor sulle prime, viene poi afferrata e decisamente addentata quando il ragazzo

scopre che sta alle sue spalle nella mano di Itard e non di fronte trasmessa dalla

specchio. Risvolto significativo dell'autobiografismo del Ragazzo selvaggio è la

rappresentazione del rapporto regista-attore che riflette quello di Truffaut e Léaud

ai tempi del suo primo lungometraggio50: "...pendant que je tournais le film, je

revivais un peu le tournage des Quatre Cents Coups pendant lequel j'initiais Jean-

Pierre Léaud au cinéma, pendant lequel je lui apprenais au fond ce qu'était le

cinéma."51

133
Note al Capitolo 3

(1) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte le
interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 162.
(2) François Truffaut, Correspondance, a cura di G. Jacob e C. de Givray, Paris, Hatier, 1988
(trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di S. Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1993, p. 146.
(3) Jean Gruault collaborò con Truffaut a cominciare dalla sceneggiatura di Jules et Jim (1962)
dopodiché di nuovo per altri quattro adattamenti: L'enfant sauvage (1970); Les deux anglaises et
le continent (1971); L'histoire d'Adèle H. (1975); La chambre verte (1978). Il loro metodo di
lavoro era, molto schematicamente, diviso in tre fasi: prima Truffaut sottoponeva a Gruault il
testo da lui stesso letto e annotato, poi quest'ultimo rileggeva a sua volta realizzando un primo
abbozzo di sceneggiatura, infine tutto ritornava nelle mani del regista che, solitamente
riducendo, otteneva la versione definitiva. Cfr Rabourdin op. cit., p. 76.
(4) François Truffaut, Correspondance, a cura di Gilles Jacob e Claude de Givray, Paris, Hatier,
1988 (trad. it. parziale: Autoritratto, a cura di Sergio Toffetti, Torino Einaudi, II ed., 1993, p.
154.
(5) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 122.
(6) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte le
interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 162.
(7) Ibidem, p. 163.
(8) "Cahiers du cinéma", n. 316, ottobre 1980, p. 25.
(9) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 45.
(10) "Ecran", n. 1, 1972, p. 9.
(11) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 213.
(12) Jean Gruault, Il segreto perduto, in AA. VV., Il romanzo di François Truffaut, Milano,
Ubulibri, 1986, p.86-87
(13) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 210.
(14) Ibidem, p. 206.
(15) Così Bruno Bettelheim descrive la stessa situazione in uno dei suoi pazienti appena uscito
dalla fase più grave del ritiro autistico: "Negli anni successivi il nostro lavoro con lui fu
veramente una ricerca del tempo perduto: tante erano le tappe evolutive non superate nel
periodo in cui tale superamento si verifica in modo naturale e senza difficoltà. Joey non riuscì a
superarle tutte e anche quelle che poté integrare non avevano conservato la ricchezza che

134
avrebbero avuto se fossero state vissute al momento giusto. a volte affrontava il suo compito di
buona lena, altre volte si sentiva scoraggiato e si rammaricava di essere uscito dal guscio: la vita
non era facile per lui." Bruno Bettelheim, The Empty fortress, New York, The Macmillan
Company, 1967, (trad. it., La fortezza vuota, Garzanti Editore, Milano, IV ed., 1996, p. 393).
(16) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 165.
(17) Questo stesso tema è anche una delle chiavi di lettura dei Quattrocento colpi: "Il Truffaut di
Les 400 coups materializza dell'infanzia lo stadio più pungente, quello che culmina in una
precoce cognizione del dolore e spiana il passo alle prove che maturano l'individuo (ma anche
lo nevrotizzano), incastonandolo in un rapporto spigoloso con la realtà circostante e nella
faticosa caccia alla soluzione di una miriade di problemi e di difficoltà" Mino Argentieri , La
precoce condizione del dolore, in AA.VV., L'uomo che amava il cinema, Napoli, Il mezzogiorno
editore, 1989, p. 127.
(18) "Cahiers du cinéma", n. 315, sett. 1980, p. 14.
(19) "La gravità dello squilibrio dipenderà dalla natura e dall'intensità della frattura
comunicativa con il mondo esterno. Si costruiranno allora delle difese contro quegli aspetti della
realtà che appaiono troppo deludenti e privi di risposta affettiva, oppure essi saranno sostituiti
da elementi immaginari, in apparenza più soddisfacenti. Le reazioni interiori troppo intense
verranno represse: il tutto nel tentativo di mantenere un certo contatto con il mondo, o almeno di
rendere sicura una limitata parte di esso. Ma quando le cose vanno oltre, quando la realtà appare
troppo distruttiva, allora il soggetto cessa di sforzarsi e i tentativi di dominare alcuni aspetti
della realtà e di venire a patti con altri tramite appropriati mezzi di difesa vengono abbandonati;
l'apparato psichico viene posto al servizio di un unico scopo: proteggere semplicemente la vita,
non facendo più nulla che abbia un qualche rapporto con la realtà. Tutte le energie vengono
allora utilizzate esclusivamente per erigere barriere protettive e nessuna forza rimane
disponibile per costruire la personalità." Bruno Bettelheim, The Empty fortress, New York, The
Macmillan Company, 1967, (trad. it., La fortezza vuota, Garzanti Editore, Milano, IV ed., 1996,
p. 56).
(20) François Truffaut, Les films de ma vie, Paris, Flammarion, 1975, (trad. it. I film della mia
vita, Marsilio, Venezia, 1978, p. 78.
(21) Jean- Marc Gaspard Itard, De l'éducation d'un homme sauvage ou des premiers
développements physiques et moraux du jeune sauvage de l'Aveyron, Paris, Goujon, 1801, in
Lucien Malson, Les Enfants sauvages, Paris Union Générale d'Editions, 1964, (trad. it., I
ragazzi selvaggi, Rizzoli editore, Milano, 1971, pp. 16-17).
(22) Ibidem, p. 23.
(23) La luce della candela rappresenta ovviamente la "fiamma dell'analisi" di cui parla Itard
nella prefazione al suo primo resoconto (op. cit., p. 127) ma nella filmografia di Truffaut assume
un significato simbolico più ampio e variegato, basti pensare alla cappella allestita da Julien
Davenne in La chambre verte dove si ricollega al ricordo. Il fuoco della candela, appare anche
nei Quattrocento colpi [vedi par. 2.2.3]: "Il fuoco illumina, accompagna la scrittura [...] Il fuoco
è spesso alimentato da una candela; così è illuminato l'altarino-omaggio a Balzac nei
Quattrocento colpi, e davanti a una candela Itard pronuncia alcune vocali perchè Victor impari
le prime articolazioni del linguaggio. Tra fiamma e parola, tra fiamma e immagine corrono

135
legami sotterranei."(Giorgio Tinazzi, François Truffaut, Venezia, Marsilio, 1996, p. 71). Il fuoco
è però anche quello dei pompieri-incendiari di Fahrenheit 451...
(24) "L'infante ha uno strordinario bisogno di reciprocità. Vuol far parte di un cerchio costituito
dai genitori e da lui stesso, anzi il suo vero desiderio sarebbe di essere il centro attorno a cui
ruotano gli interessi e la vita stessa dei genitori. E' questo il messaggio che lancia il bambino
autistico quando si dondola avanti e indietro o quando gira e rigira in tondo" Bruno Bettelheim,
The Empty fortress, New York, The Macmillan Company, 1967, (trad. it., La fortezza vuota,
Garzanti Editore, Milano, IV ed., 1996, p. 290).
(25) "Cinéma 67", n. 112, gennaio 1967, p. 46.
(26) Anne Gillain, Intervista con François Truffaut, in AA. VV., François Truffaut, Milano,
Fabbri, 1988, p.142.
(27) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 114.
(28) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 206.
(29) "Cinéma 70", n. 150, novembre 1970, p. 134.
(30) "Dal momento che i cineasti americani che hanno debuttato dopo il 1930 non hanno tentato
di sperimentare nemmeno un decimo del terreno dissodato da Griffith, non mi sembra esagerato
scrivere che, dall'invenzione del sonoro, Holliwood non ha prodotto la nascita di nessun grande
temperamento visivo ad eccezione di Orson Welles. Credo sinceramente che, se dall'oggi al
domani il cinema dovesse di nuovo privarsi di ogni colonna sonora e ridiventare il
cinematografo arte muta come è stato tra il 1895 e il 1930, la maggior parte dei registi d'oggi
sarebbero obbligati a cambiare mestiere. se guardiamo Hollywood nel 1966, Howard Hawks,
John Ford e Alfred Hitchcock ci appaiono come i soli eredi di Griffith: come pensare senza
malinconia che, terminata la loro carriera, bisognerà parlare di segreti perduti?" François
Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, Paris, Laffont, 1966, (sec. ed. ampliata, Paris, Editions
Ramsay e François Truffaut, 1983), ed. it. Il cinema secondo Hitchcock, Parma, Nuova Pratiche
editrice, 1985, p. 18).
(31) Anche per questo aspetto l'esempio è ancora una volta Hitchcock: "Anche i denigratori di
Alfred Hitchcock sono d'accordo nell'assegnargli il titolo di primo tecnico del mondo: capiscono
però che la scelta delle sceneggiature, la loro costruzione e tutto il loro contenuto sono
strettamente legati a questa tecnica e dipendono da essa? Tutti gli artisti giustamente si
indignano contro la tendenza critica che consiste nel separare la forma dal contenuto e questo
sistema applicato ad Hitchcock sterilizza ogni discussione perché come l'hanno ben definito
Eric Rohmer e Claude Chabrol [Hitchcock, Parigi, 1957], Alfred Hitchcock non è né un
narratore di storie né un esteta, ma “uno dei più grandi inventori di forme di tutta la storia del
cinema.”" François Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, Paris, Laffont, 1966, (sec. ed.
ampliata, Paris, Editions Ramsay e François Truffaut, 1983), ed. it. Il cinema secondo
Hitchcock, Parma, Nuova Pratiche editrice, 1985, p. 16).
(32) Anne Gillain, François Truffaut. Le secret perdu, Paris, Hatier, 1991, (trad. it. Il segreto
perduto, Genova, Le mani, 1995, p. 223.
(33) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 161.

136
(34) I metodi repressivi usati con Victor danno qualche risultato solo per il timore della
punizione o perché il ragazzo ha effettivamente un'idea di giusto e di sbagliato?: "Per chiarire
questo dubbio, e per ottenere un risultato meno equivoco, credetti bene di mettere alla prova il
cuore del mio allievo ponendolo di fronte ad un altro tipo di ingiustizia, la quale, non avendo
nulla a che vedere con la natura del fallo commesso, non potesse apparire come un castigo
meritato, e si presentasse proprio per questo tanto più odiosa e indisponente." Jean Itard, op. cit.,
p. 223.
(35) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 164.
(36) Ibidem, p. 162.
(37) Oltre all'esempio più eclatante di Oscar in L'argent de poche (vedi par. 4.2), si può
considerare un riflesso di Itard e Victor la coppia Julien Davenne e Georges il giovane ragazzo
sordomuto de La chambre verte (1978). Quest'ultimo personaggio immaginario, assente nei
racconti di Henry James da cui è tratto il film e introdotto da Truffaut per dare un confidente
maschile a Davenne, è protagonista di uno degli episodi più enigmatici della pellicola: sgridato
da Davenne, Georges corre in strada dove lanciato un sasso contro la vetrina di un negozio si
appropria di un manichino femminile. Arrestato da un poliziotto e rinchiuso in uno stanzino
buio verrà liberato grazie a Cécilia, la protagonista femminile del film.
(38) La posizione che assume Victor è la stessa che prenderà Adèle quando, per difendere dai
tentativi di furto della sua vicina di letto la valigia contenente i suoi diari dormirà sul pavimento
abbracciata ad essa.
(39) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 165.
(40) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 pp. 57-58.
(41) Bruno Bettelheim, The Empty fortress, New York, The Macmillan Company, 1967, (trad.
it., La fortezza vuota, Garzanti Editore, Milano, IV ed., 1996, pp. 55-57).
(42) Jean- Marc Gaspard Itard, De l'éducation d'un homme sauvage ou des premiers
développements physiques et moraux du jeune sauvage de l'Aveyron, Paris, Goujon, 1801, in
Lucien Malson, Les Enfants sauvages, Paris Union Générale d'Editions, 1964, (trad. it., I
ragazzi selvaggi, Rizzoli editore, Milano, 1971, p. 152.
(43) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985, p. 113.
(44) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 211.
(45) Per Truffaut si fonda su questo tema anche l'autobiografismo implicito nei film di Chaplin e
Welles: "Come quella di Chaplin, l'opera di Orson Welles è sotterraneamente autobiografica e
ruota anch'essa attorno al tema principale della creazione artistica, cioè la ricerca d'identità. [...]
André Bazin ha ragione di scrivere: “Quarto potere e L'orgoglio degli Amberson possono in
definitiva essere ricondotti ad una tragedia dell'infanzia”, perché in effetti è proprio di questo
che si tratta, ed è chiaro che le emozioni che Welles ha provato in gioventù costituiscono la
trama di Quarto potere..." François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma,
1987, (trad. it. Il piacere degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 80.

137
(46) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 189.
(47) Ibidem
(48) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985, p. 116.
(49) A questa scena si ricollega anche l'episodio di Baisers volés (1968) in cui vediamo Antoine
Doinel davanti allo specchio ripetere incessantemente il suo nome e quello di Christine Darbon
e Fabienne Tabard.
(50) Così Vittorio Giacci: "L'enfant sauvage, parla [...] soltanto di una persona e quella persona
è François Truffaut, scomposta e riflessa nelle perti di ragazzo, padre e regista, a dirigere un
film anche davanti alla cinepresa, a guardare e guidare un personaggio stando accanto a lui,
dalla sua parte e dalla sua ottica, come fa, sempre, ogni autore con la sua creazione." Vittorio
Giacci, François Truffaut, Roma, Bulzoni, 1995, p. 140.
(51) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985, p.116.

138
Capitolo 4

L'argent de poche

139
4.1 Il Soggetto

Girando L'argent de poche Truffaut realizza un vecchio progetto risalente ancora

alla serie di episodi dedicati all'infanzia inizialmente pensati per accompagnare il

cortometraggio Les mistons. Fu poi durante le riprese de Les quatre-cents coups

che venne al regista il desiderio di ambientare un intero film in una scuola "senza

essere prigioniero di una sceneggiatura lineare".1

Nel soggetto de Gli anni in tasca (titolo dell'edizione italiana) queste suggestioni

che riconducono all'esordio di Truffaut si coniugano alle nuove esperienze

maturate nel corso di quindici film. Fondamentale è soprattutto quella de La nuit

americaine (1973). E' infatti questa la pellicola che convince Truffaut della

possibilità di equilibrare in un unico soggetto tante storie diverse evitando la

frammentazione in episodi: "Le premier projet des Mistons était de faire un film

à pluisieurs histoires; j'ai préféré abandonner cette idée, mais je n'étais pas tout à

fait content de Mistons et j'ai ensuite développé l'épisode qui a donné Les quatre-

cents coups. J'ai, par la suite, repensé souvent a cette éventualité d'un film sur les

différents aspects de l'enfance, mais c'est sourtout après avoir réalisé La nuit

americaine que j'ai compris que je pouvais faire mieux que sous la forme de

sketches, en entremêlant toutes les histoires et tous les personnages." 2

140
A Thiers, nella Francia centrale, si sta svolgendo l'ultimo trimestre di scuola. Una

cartolina indirizzata ad un suo alunno delle scuole è il pretesto su cui il maestro

Richet (Jean François Stévenin) improvvisa una lezione di geografia. La cartolina

arriva da Bruère Allichamps esattamente nel centro della Francia e a spedirla è

una ragazzina che vediamo nel prologo del film insieme al padre (François

Truffaut). In un'altra classe, quella della signorina Petit (Chantal Mercier) viene

inserito un nuovo alunno, Julien Leclou (Philippe Goldmann). Interrotta una

difficile ora di lezione passata a sorbirsi la svogliata recita del monologo di

Arpagone ne "L'avaro" di Moliére da parte dei ragazzi, la maestra apprende dal

direttore le motivazioni che fanno di quest'ultimo arrivato un "caso sociale". La

stranezza del comportamento solitario di Julien incuriosisce il suo compagno di

classe Patrick (Geory Desmoceaux) che seguendolo dopo l'uscita da scuola

scopre le sue tristi condizioni famigliari (Julien vive in una baracca di legno con

la madre e la nonna che lo maltrattano). Anche Patrick non ha una situazione

famigliare facile, la madre è morta e il padre è costretto su di una sedia a rotelle.

Le loro due vicende (Patrick è segretamente innamorato della madre di un

compagno, la signora Riffle) si mescolano con quelle dell'infanzia di Thiers fuori

e dentro la scuola. Gregory, un bambino di due anni e mezzo viene lasciato

colpevolmente solo in casa dalla madre corsa giù per le scale in cerca del

portafoglio smarrito; giunta sulla strada farà in tempo a vedere il suo bambino,

141
caduto dalla finestra del palazzo mentre inseguiva il gatto, rialzarsi incolume

attorniato dai passanti sbigottiti. Pur di raccimolare la cifra necessaria per

comprare da Julien un compasso rubato, i fratelli Deluca (Claudio e Frank

Deluca) convincono un amico a dare loro i soldi che ha avuto dal padre per

andare dal parrucchiere (il signor Riffle); saranno loro due a tagliargli i capelli

ovviamente facendo un disastro. La domenica i bambini si annoiano... Sylvie

(Sylvie Grezel) aspetta che i suoi siano usciti per fingere di essere segregata in

casa e attira l'attenzione dei vicini chiedendo aiuto dalla finestra (“Mi hanno

guardata tutti” dirà tutta soddisfatta alla fine del suo giochetto). Bruno (Bruno

Staab), Patrick, Julien vanno al cinema; i primi due accompagnati da due

ragazze, il terzo entrando a sbafo utilizzando uno stratagemma. Durante la visita

medica i lividi sul corpo di Julien rivelano alla dottoressa il trattamento che

subisce a casa. In mezzo al clamore dei curiosi la madre e la nonna del ragazzo

vengono arrestate. Julien sarà affidato ad un'altra famiglia. L'anno scolastico

volge al termine ma c'è ancora tempo per assistere alla nascita del primogenito

del maestro Richet. L'ultimo giorno di scuola lo stesso maestro saluterà con un

accorato discorso i suoi alunni. Durante il soggiorno in una colonia estiva Patrick

si riscatta dall'insuccesso della sortita al cinema con Ewa (Ewa Truffaut) e dalla

delusione amorosa avuta corteggiando l'ignara signora Riffle (ella accetta le rose

rosse di Patrick ma solo perché crede siano un atto di gentilezza da parte del

142
padre del ragazzo): spinti dai compagni che per scherzo procurano l'occasione

giusta, Patrick e la sua coetanea Martine (Pascale Brouchon) si scambiano un

bacio.

"Contraddire" un film con quello seguente è una delle caratteristiche peculiari

della filmografia truffautiana; mosaico corale, il soggetto de L'argent de poche

come risposta a quello di Adèle H. è uno degli esempi più chiari di questo modo

di procedere che Truffaut aveva inaugurato opponendo alla linearità dei

Quattrocento colpi il ritmo concitato di Tirate sul pianista (1960). L'uscita di

Adèle H. e le riprese de L'argent de poche (dal diciassette luglio al sette

settembre 1975 a Thiers, Clermont-Ferrand, Vichy) si sovrappongono: "Au

moment où je sortais Adèle H., le tournage de Largent de poche était terminé et il

y avait un tel contraste entre les deux films, nocturne et diurne, solitaire et

unanimiste, déchiré et optimiste, l'un tendu l'autre souriant, que je me sentais en

paix."3 La storia di Adèle H. personaggio che forse più di tutti quelli truffauttiani

appartiene al dominio del "definitivo" non può che stridere se accostata a quella

multiforme dei bambini di Thiers.

La presenza costante di un grande numero di giovanissimi attori , fa del set del

film un luogo del tutto particolare e sempre aperto, per quanto possibile, alla

naturale curiosità dei bambini. Truffaut lascia che essi pongano domande e si

interessino ai macchinari con cui si realizza un film: "Les enfant rôdaient autour

143
de la caméra, voulaient savoir comment ça fonctionne; ils étaient très intéressés

par la mécanique. Ils rôdaient autour des appareils de son, parlaient avec

l'ingenieur de son. Ils venaient, je les laissais voir les rushes au cinéma de la

ville...[...] Alors, peu à peu, ils entraient tellement dans le film que je sentais que

ça devenait un peu leur film, et que je le faisais pour eux."4

Un atteggiamento analogo non è una novità nel metodo di Truffaut quando si

tratta di film dedicati all'infanzia. Dopo le riprese dell'Enfant sauvage per

esempio, fu regalata a Jean-Pierre Cargol (Victor de l'Aveyron) una videocamera

con cui esercitarsi in attesa di realizzare il sogno di diventare cineasta. La realtà

si mescola alla fantasia nei giovani personaggi truffautiani che nella sua

filmografia vengono accostati ai mezzi della riproduzione meccanica

dell'immagine. Oltre ad essere direttamente in relazione alla biografia dell'autore,

figure come quella di Georges5 (il bambino che con Davenne si appassiona al

proiettore di diapositive) o ancora di più quella del cineamatore adolescente che

con il suo filmino permette a Stanislao Previne di scagionare Camille Bliss 6 sono

anche un riflesso nella fiction dello spirito che ha caratterizzato le riprese dei film

che Truffaut ha dedicato all'infanzia.

L'intenzione di fare de L'argent de poche non solo un film sull'infanzia, ma

dell'infanzia, spinge Truffaut anche nella scelta del cast. Stévenin (Richet) fa

144
parte dello staff tecnico, gli altri sono attori non professionisti. Nessuna "vedette"

dovrà infatti oscurare il vero centro del film: i bambini di Thiers.

145
4.2 Les enfants s'ennuient le dimanche

Nella prefazione al "cineromanzo" de L'argent de poche 7 Truffaut presenta il suo

film citando Victor Hugo, Charles Trenet e Ernst Lubitsch. 8 Ciò che li accomuna

in relazione a questo film è l'aver saputo custodire, secondo il regista, lo spirito

dell'infanzia e quindi averla resa con immediatezza. Suzanne Schiffmann e

Truffaut inseguono lo stesso obiettivo cercando di raccontare le diverse piccole

storie dell'Argent de poche (Gli anni in tasca) in equilibrio tra serietà e

leggerezza.

Protagonista assoluta, l'infanzia è descritta in ogni sua tappa "dal biberon al

primo bacio"9 attraverso un film corale, una "cronaca collettiva" fatta di

avvenimenti alcuni dei quali appaiono di poco conto perché "nulla di ciò che

riguarda l'infanzia è senza importanza" e dunque vale la pena di raccontarlo.

I bambini oscillano continuamente tra "bisogno di protezione e desiderio

d'autonomia"; necessitano di trovare negli adulti un comportamento coerente e

invece sono "costretti a subire i loro capricci"; durante l'infanzia e l'adolescenza

imparano a difendersi e a dotarsi di una "pelle dura", "inventano la vita" e

scontrandosi con le sue difficoltà imparano a resistere. Questa è l'affermazione

che traspare da tutte le vicende del film e garantisce una coerenza narrativa

altrimenti affidata esclusivamente al montaggio.

146
Armonizzare ed equilibrare i diversi micro-intrecci che caratterizzano L'argent de

poche è infatti un lavoro che Truffaut e Schiffmann fanno soprattutto in sede di

montaggio10 a causa di una sceneggiatura volutamente "aperta" e quindi

costantemente modificata e corretta anche all'ultimo momento per coniugarla a

nuove esigenze narrative e all'improvvisazione dei bambini.11

Lavorando così massicciamente alla moviola Truffaut ritrova un procedimento

che ha come caso limite nella sua filmografia l'esperienza giovanile di Les

mistons dove addirittura mancava una vera e propria sceneggiatura: "Les

mistons, per esempio, è un film che deve tutto al montaggio. Non c'era la

sceneggiatura, solo la novella di Maurice Pons. Ogni giorno giravo quel che mi

passava per la testa, non sapevo bene cosa facessi, mi preoccupavo solo di non

girare niente di brutto o di lento. E' il montaggio che ha fatto il film, è la che si è

deciso in che ordine mettere le inquadrature. [...] Nel corso del montaggio puoi

verificare la continuità dell'emozione e ti accorgi che, girando in modo

frammentario e non cronologico, hai commesso qualche errore e che l'emozione

è stata qua e là interrotta. Perciò bisogna riparare, compensare, colmare." 12

Se da un lato questo metodo di lavoro permette una grande libertà espressiva

dall'altro ha inconvenienti di non poco conto. Ne L'argent de poche alcune scene

girate senza aver prefissato una loro rigida collocazione fanno sì che il découpage

sia l'unico responsabile del senso che esse assumono una volta inserite nel film:

147
"Il montaggio è effettivamente molto importante perché qualche volta si cambia

l'ordine delle scene. Ed è angoscioso cambiare l'ordine delle scene. Per esempio

avevo una scena che poteva andare quasi ovunque, una scena un pò crudele, beh

io la trovo crudele, non è la crudeltà dei bambini, è la crudeltà della vita, cioè la

scena in cui il piccolo Julien, che non sa la lezione, viene mandato nel corridoio,

e allora lo si vede frugare nelle tasche dei soprabiti dei suoi compagni, per

rubare. Questa scena poteva essere messa ovunque, ma la cosa grave era che

poteva avere un senso diverso a seconda del posto in cui la si inseriva. Alla fine

l'ho messa in un punto che credevo qualsiasi, per accorgermi poi che non era per

niente qualsiasi; infatti nella scena che viene subito dopo, lo si vede uscire dal

bistrot con alcune bottiglie, incrocia Patrick, lo manda a quel paese, gli dice

"lasciami in pace!" Al montaggio non avevo pensato che la gente potesse vederci

un legame, e adesso ogni tanto mi dicono:"Ha rubato i soldi ai compagni per

comprare da bere a sua madre", e questa non era affatto la mia intenzione. E'

molto difficile controllare i significati al cinema."13

A questo problema da risolvere, la coralità de L'argent de poche ne aggiunge un

altro relativo alla necessità di non far cadere l'interesse in nessun momento del

film nonostante si passi continuamente da un personaggio ad un altro senza

rispettare le regole classiche di un racconto lineare: "L'argent de poche

significava questo: installarmi con la troupe in una città di provincia per due mesi

148
interi, giocare sull'unità di luogo e di tempo, con tutta una scuola a mia

disposizione e la città intera sullo sfondo. Sicuramente non avrei saputo fare

questo film se non ci fosse stata prima La nuit américaine, nella misura in cui

questo film mi ha insegnato a mescolare una dozzina di personaggi, intrecciarli,

fare in modo che ci si interessi a ciascuno di loro. Mi sembra che L'argent de

poche sia una sorta di combinazione tra La nuit américaine e Baisers volés"14

Il riferimento a quest'ultimo film girato in pieno "affaire Langlois" è da mettere

in relazione al largo spazio lasciato all'improvvisazione degli attori, alla

sceneggiatura realizzata su di un soggetto originale volutamente scarno, al

prevalere dei personaggi sulle situazioni. Baisers volés (Baci rubati, 1968) è

secondo Truffaut "un film qui espère ressembler à une chanson." 15 La struttura de

L'argent de poche nasce dunque dall'organizzazione del racconto e dal controllo

dei personaggi di Effetto notte e dalla leggerezza, dall'improvvisazione, dal senso

musicale di Baci rubati. Musica e infanzia sono infatti inscindibili quasi quanto

letteratura ed infanzia. La letteratura e la musica sono modalità della creazione

artistica e quindi della comunicazione, l'infanzia è il periodo della formazione del

linguaggio e dell'identificazione di sè come personalità creatrice.16

Ne Gli anni in tasca questo legame si concretizza nel ruolo fondamentale che

assume la colonna sonora.17 La partitura di Jaubert18 e le canzoni di Trenet

149
"rafforzano" l'immagine raggiungendo un equilibrio che , come abbiamo visto

(vedi par. 2.2.3), a volte manca nella partitura jazz dei Quattrocento colpi.19

Nella scena che ci introduce nel cortile del palazzo dove vivono le famiglie dei

fratelli Deluca e di Sylvie, la canzone di Trenet 20 si fonde con l'immagine

dandogli un valore narrativo esplicito. Mentre Charles Trenet canta "...les enfant

s'ennuient le dimanche..." una panoramica sulle finestre che si affacciano sul

cortile interno scorre inquadrando di volta in volta le persiane aperte o ancora

chiuse. Terminata la prima strofa la canzone si interrompe in coincidenza con una

nuova scena, quella della colazione "eccellente" che i due fratelli si preparano da

soli senza disturbare i genitori. Tutta la sequenza sarà poi ritmata dallo stacco

finale della canzone che si ripete ad ogni passaggio da una scena all'altra. Tra

queste vedremo Julien alle prese con il furto dello stemma della mercedes che

Patrick sta lavando per guadagnarsi i tre franchi che il padrone, il suo vicino di

casa, gli ha promesso e vedremo Sylvie cercare inutilmente di insegnare al padre

come riconoscere i suoi due pesciolini rossi perfettamente uguali e quindi

rifiutarsi di andare al ristorante con i genitori perchè questi le impediscono di

portare con sé la sua borsetta preferita. Lasciata a casa da sola per punizione

Sylvie chiude a chiave la porta e la butta nella boccia dei pesciolini rossi poi,

spalancata la finestra usa il megafono del padre (il commissario di polizia) per

chiedere del cibo gridando “ho fame! Ho fame!” attirando l'attenzione dei vicini

150
affacciatisi alle altre finestre sul cortile. Con una zoommata all'indietro Truffaut

passa dal primo piano di Sylvie al totale della finestra attraverso cui poco dopo,

grazie alla carrucola improvvisata dai fratelli Deluca, verrà fatta passare una

cesta di cibo per Sylvie. A questa scena avrebbe dovuto far seguito un'altra

ispirata a L'art d'être grand-père di Victor Hugo poi tagliata perché non troppo

riuscita nella recitazione: "E' il giorno dopo che la ragazzina ha detto: “Ho fame”

dalla finestra. Suo nonno, che si è vagamente visto nella sala del cinema ed è

quasi scomparso nel montaggio finale, va dai genitori che gli dicono: “La piccola

è in castigo, è in camera sua”. E in quel momento avevo visualizzato il poema di

Victor Hugo: “Jeanne stava a pane secco nello stanzino buio.” La scena era

filmata con il nonno, i genitori, la bambina, in modo molto stilizzato, ma non era

ben recitata."21

Questo riferimento avrebbe reso in immagini il senso della famosa frase 22 con cui

Truffaut ha descritto il progressivo distanziarsi che c'è dietro la visione

dell'infanzia ne Gli anni in tasca rispetto ai Quattrocento colpi e al Ragazzo

selvaggio. La scena delle peripezie di Sylvie ribadisce il conflitto tra la logica

degli adulti e quella dei bambini, "sballottati" come ha detto Truffaut tra

desiderio d'indipendenza e bisogno di protezione.

Già si è visto come l'inquadratura nell'inquadratura ottenuta mediante l'utilizzo di

porte e finestre serva a Truffaut per evidenziare la messa in scena e trovare la

151
giusta distanza per rappresentare scene giudicate troppo "forti" 23 o inverosimili e

quindi, in ultima analisi, per introdurre la stilizzazione. In questo caso tutta

l'impossibile vicenda di Sylvie sembra accadere in un "universo chiuso", quello

della fiaba da cui gli adulti sono irrimediabilmente esclusi: "L'idea di novella, di

fiaba si adatta particolarmente bene al concetto di universo chiuso: per preservare

lo stile e il fascino dell'universo chiuso è importante rinunciare agli esterni reali,

al cielo vero, al sole, a tutti quegli elementi naturali ed eterni che suonerebbero

altrimenti come stecche nell'orchestra, come incongruenze documentaristiche,

contro-finzioni. Al contrario sono benvenuti tutti gli elementi ambientali che

rendono teatrale la nostra vita quotidiana: porte, finestre, soffitti e soprattutto le

inquadrature di porte e finestre, perché vengono a rafforzare visivamente il “c'era

una volta.”"24

Seduti sul davanzale di una finestra sul cortile della scuola 25 i due maestri Richet

e Petit parlano dei ragazzi, dei problemi relativi alla pubertà, e di certi

comportamenti imbarazzanti di alcuni di loro durante la lezioni. Sullo sfondo gli

alunni giocano durante la ricreazione. Il ruolo degli adulti sembra essere quello di

chi può solo osservare dal di fuori.

La coralità del film è in qualche modo contraddetta dalla sempre maggiore

importanza che assumono due dei personaggi lungo la sua realizzazione: "...Nel

corso del film mi sono sempre più interessato a Julien, prima probabilmente al

152
ragazzo che recitava e dopo al personaggio; pertanto ci sono cose che non erano

previste dalla sceneggiatura e sono accadute. Tutt'a un tratto ho avuto voglia di

fare questa storia del lunapark all'alba, quando lui raccoglie gli oggetti che la

gente ha fatto cadere dall'alto. 26 Dunque anche questo è stato aggiunto. E poi non

amo fare i documentari, amo la finzione, amo intrigare, costruire storie, mi piace

sbalordire, far provare piacere. Perciò so che si può far pazientare il pubblico per

una buona mezz'ora di film senza allacciare veramente una storia. Ma dopo, non

mi stupisce che due personaggi si stacchino, e che ci si interessi più a loro che

agli altri come succede a Patrick e Julien."27

Julien Leclou e Patrick rappresentano evidentemente un'eco di Victor de

l'Aveyron28 e di Antoine Doinel, il primo ci viene presentato tramite una

panoramica dal basso verso l'alto mentre solo nel cortile della scuola aspetta di

essere inserito in una classe. Dopodiché vediamo e sentiamo il direttore spiegare

succintamente la sua situazione nella riunione con i maestri improvvisata davanti

al suo ufficio. La scena successiva, montata ancora sul sonoro della precedente ci

mostra Julien salire le scale della baracca dove vive mentre sentiamo fuori campo

la voce del direttore dire: “Si tratta di un caso sociale... ” Il secondo, dopo aver

subito il rimprovero della professoressa per non aver studiato la lezione, lo

vediamo rientrare a casa con la spesa e quindi apparecchiare la tavola per sè e per

il padre paralizzato.29 L'impossibile infatuazione per la signora Riffle e la

153
timidezza dei primissimi rapporti con le sue coetanee sono il filo conduttore della

sua vicenda.

Tutta la sequenza dopo il prologo in cui appare Truffaut nelle vesti di padre e

dopo i titoli di testa che passano sulla corsa dei bambini all'uscita da scuola 30

ricalca la scena d'apertura dei Quattrocento colpi variandone intenzionalmente il

tono.

In luogo dell'immagine della pin-up che fa subire ad Antoine Doinel la punizione

di P'tite feuille, qui è una cartolina di Bruère Allichamps a catturare l'attenzione

di un alunno distogliendolo dall'ascolto della lezione. Accortosi di tutto il

maestro Richet (Stevenin) non manda nessuno dietro la lavagna come accadeva

nei Quattrocento colpi, ma invece improvvisa una lezione di geografia spiegando

come quel paese sia famoso per esssere esattamente al centro del territorio

francese.

Un'inquadratura simile a quella in cui lo sguardo "hitchcockiano" della madre

(vedi par. 2.2.3) punta dritto sul banco di Antoine dopo la scoperta della

menzogna usata per giustificare l'assenza, mostra il maestro parlare dolcemente

sulla soglia della classe alla moglie incinta venuta a scuola per chiedere le chiavi

di casa al marito, quindi, dietro la porta a vetri chiusa dell'aula, le loro sagome

confuse scambiarsi un bacio.

154
Il tema del rapporto madre-figlio che costituisce l'ossatura drammatica dei

Quattrocento colpi si stempera subito nelle prime scene e poi soprattutto in

quelle dedicate alla nascita del figlio del maestro e alla formazione di un nuovo

nucleo famigliare.31 D'altro canto esso ha la sua rappresentazione più "forte" e

quindi, come sempre accade in Truffaut, più stilizzata, nelle scene che mostrano

Julien vessato dalla madre e dalla nonna, personaggi terribili che vediamo

interamente solo alla fine della sua triste vicenda, quando saranno arrestate dalla

polizia. Nell'amore impossibile di Patrick per la signora Riffle c'è infine tutta

l'involontaria seduzione che il corpo della madre esercitava su Antoine Doinel

tredicenne.

Ne L'argent de poche quindi rientrano i temi cardine che caratterizzano la

rappresentazione dell'infanzia in Truffaut; se i toni non sono quelli dei

Quattrocento colpi è perché l'intenzione è trovare, come già abbiamo detto, il

giusto equilibrio tra serietà e leggerezza. Nei Quattrocento colpi lo stile quasi

documentario dei film di Rossellini aveva influenzato decisamente Truffaut, qui è

invece il "Lubitsch Touch"32 a fungere da "partito preso formale". L'interesse per

le commedie di Lubitsch era nato all'epoca di Baisers Volés e poi era continuato

soprattutto con Domicile conjugal33 Ne Largent de poche si sente un'eco del

modo di congeniare il meccanismo della narrazione tipico di Lubitsch: "La

verità, in questo tipo di lavoro, è che sitratta di non raccontare la storia e anche di

155
cercare il mezzo di non raccontarla del tutto. [...] [L'essenziale è] non trattare mai

il soggetto direttamente. Allora, se restiamo dietro le porte delle camere quando

tutto avviene all'interno, se restiamo nella stanza di servizio quando tutto avviene

nel salotto, e nel salotto quando tutto capita sulle scale e nella cabina del telefono

quando tutto si risolve in cantina, questo capita perché Lubitsch, modestamente,

si è rotto la testa a scrivere per sei settimane, per permettere, alla fine, agli

spettatori di costruire essi stessi la sceneggiatura, assieme a lui, mentre il film

scorre sullo schermo."34 Coinvolgere il pubblico senza mostrare tutto, senza

entrare direttamente nei particolari, ma semplicemente suggerendoli attraverso

immagini dal significato immediato ma indiretto, è nelle intenzioni di Lubitsch

come in quelle di Truffaut. L'ultima scena del film che culmina con il bacio tra

Martine e Patrick35 richiama volutamente lo stile di Lubitsch: "Tenevo molto a

questa scena, perché ricorda il lavoro di Lubitsch...porte che si aprono e si

chiudono...una folla di bambini alla quale seguono inquadrature di scale

vuote...un malinteso...una storiella per bambini e poi il bacio...tutto ciò mi

seduceva visivamente."36

Una delle "accuse" che furono fatte a Truffaut all'epoca dell'uscita del film fu di

aver adottato uno sguardo fin troppo indulgente e di aver dato dell'infanzia una

versione alquanto inverosimile. Ad essere chiamata in causa fu soprattutto la

mancanza nel film della crudeltà naturale dell'infanzia. In effetti, al di là del

156
"Lubitsch touch" che già di per sè smorza i toni, questo tema non interessa

proprio a Truffaut che sostanzialmente ne nega la reale consistenza: "Mi ha

sempre irritato vedere gli intellettuali aspettarsi che un film che parla di bambini

riveli in primo luogo la crudeltà dell'infanzia. La crudeltà infantile è un tema

letterario d'oro, ma non esiste. E quando esiste, è solo il riflesso caricaturale della

crudeltà degli adulti. Un bambino amato, allevato, e inserito normalmente, non

prova alcun desiderio di martirizzare un altro bambino o un animale. Non ci sono

bambini “nazi”, fanatici, terroristi, fascisti; non ci sono che figli di “nazi”, di

fanatici, di terroristi, di fascisti; e, siccome sono bambini, sono innocenti.

Pazienza se farò sorridere alcuni di voi."37

In ogni caso questo aspetto dell'infanzia non è completamente assente nella

filmografia truffautiana, oltre al già citato caso di Les mistons esso riappare,

seppur fugacemente, nel trattamento da parte dei coetanei che subisce Victor alla

fattoria e poi durante il primo approccio con gli altri giovani pazienti del centro

per la riabilitazione dei sordomuti (vedi 3.2).

L'inverosimiglianza apparente di alcune vicende (Truffaut lascia poco spazio alla

fantasia pura) è invece da mettere in relazione ad una intenzione precisa del

regista: Truffaut vuole che L'argent de poche non sia solo un film "sui" bambini

ma un film "con" i bambini; vuole che sia il "loro film" 38, per questo il suo

linguaggio assomiglierà a quello delle fiabe o dei racconti per ragazzi. Così nello

157
spirito delle vicende come nella "follia" di certi dialoghi: "Credo che quando si

gira un film realista come L'argent de poche sia giusto mettere l'accento, ogni

volta che si può, sul pizzico di follia che la realtà contiene. Può essere verbale,

può essere visiva, come il manifesto della ferrovia che affascina Patrick... 39 E poi

non dimentichiamo che i bambini hanno una loro logica, una logica che a noi

sfugge."40

Il commento che la moglie del maestro Richet fa della incredibile41 avventura del

piccolo Gregory caduto dalla finestra del palazzo posta ad una ventina di metri

d'altezza senza farsi nulla42 rende ancora più esplicito il significato di

quest'episodio: “Se la stessa cosa fosse successa ad un adulto, ci sarebbe rimasto.

I bambini sbattono contro tutto, sbattono contro la vita, ma hanno la grazia

divina, e anche la pelle dura... ” Nel volo di Gregory c'è il sogno di un'infanzia

che basta a se stessa senza alcun bisogno degli adulti. 43

Se è vero che nel film non c'è più lo scontro con i genitori e con le istituzioni che

caratterizza il comportamento di Antoine, lo è anche il fatto che la distanza tra

infanzia ed età adulta si è fatta ancora maggiore e non basta la mediazione che

per tutto il film i maestri fanno tra il linguaggio dei bambini e quello degli

uomini per colmarla.44

Gli sforzi della signorina Petit sono del tutto inutili: il monologo di Arpagone

sarà recitato malissimo dai suoi studenti fintanto che lei sarà presente. Chiamata

158
fuori dall'aula per un colloquio con il direttore le cose cambieranno... mentre

Truffaut la inquadra nel cortile della scuola noi non vediamo Bruno (un suo

alunno) ma possiamo sentire la sua voce provenire dalla finestra aperta dell'aula

mentre recita splendidamente ai compagni ciò che non gli riusciva (volutamente

o meno) di recitare di fronte alla professoressa. Ancora una volta la posizione

degli adulti è distante dal centro rappresentato dalla vitalità e dalla creatività

dell'infanzia.

E proprio la creatività (musicale in questo caso) permette a Oscar 45 di rimuovere

l'ostacolo che gli impedisce di raggiungere una comunicazione compiuta con i

genitori. Truffaut racconta la storia del bambino fischiatore facendone un

cinegiornale a cui assistono Patrick, Bruno e due ragazze incontrate poco prima

dello spettacolo. La scena si riempie di rimandi autobiografici 46, da un lato per la

presenza non casuale di Ewa (la ragazza che aspetta inutilmente di essere baciata

da Patrick) e di Laura Truffaut (la Madeleine Doinel madre di Oscar, la quale

convola a nozze riparatrici con un G. I. americano) e dall'altro per la stessa figura

di questo personaggio che ricorda ironicamente la vicenda di Antoine e quella di

Victor de l'Aveyron.47

Truffaut alterna la divertente storia di Oscar il bambino che sviluppa la capacità

di esprimersi fischiando per farsi comprendere dai genitori non in grado (l'uno

americano e l'altra francese) di comprendersi vicendevolmente e tantomeno di

159
insegnare un'unica lingua a loro figlio, a quella dell'imbarazzo di Patrick troppo

timido per osare baciare Ewa mentre Bruno non perde tempo con la sua ragazza.

La macchina da presa inquadra la fila del cinema dove i quattro sono seduti e in

soggettiva il cinegiornale proiettato sullo schermo. Gli accenni biografici sono

rafforzati anche dall'utilizzo, forse dettato da esigenze pratiche, di due brevissime

inquadrature di una platea gremita ricavate dal cortometraggio Antoine e Colette

secondo episodio del ciclo dedicato all'alter ego di Truffaut. In queste due

inquadrature inserite nel montaggio finale della scena, infatti, compaiono René e

Antoine nella parte sinistra della sala Pleyel (quella dei concerti delle Jeunesses

musicales de France).

Il significato della storia di Oscar, bambino che trova la giusta "scappatoia" per

sopravvivere, rientra in quello generale di tutto il film relativo al desiderio di

autonomia, alla capacità di adattamento dei bambini, alla loro "pelle dura" ma in

particolare traduce in immagini una parte del discorso che il professor Richet fa

alla classe l'ultimo giorno di scuola. Riguardo il senso della vicenda di Oscar

Truffaut dirà: "Ciò che mi piaceva era che lui riusciva nella vita fischiando:

diventa un fischiatore professionista. [Oscar sfrutterà il suo particolarissimo

talento in teatro] Ho sempre amato la trasformazione del punto debole in punto

forte. E' espresso anche nel discorso finale dell'insegnante: “Per una specie di

160
bizzarro equilibrio, quelli che hanno avuto un'infanzia difficile sanno affrontare

l'esistenza meglio di quelli che sono stati molto amati e molto protetti”."48

Durante il film è soprattutto il maestro Richet a fungere da mediatore tra i due

universi separati dell'infanzia e dell'età adulta attraverso la ricerca di un

linguaggio comune ad entrambi. Nel discorso che tiene agli alunni prima delle

vacanze c'è in sostanza l'esplicitazione, forse pleonastica, del significato che

accomuna tutte le vicende de L'argent de poche. La scena in questione è quindi

necessaria più per ribadire questo ruolo che non per aggiungere qualcosa al senso

della storia. “Un adulto sfortunato può ricominciare la sua vita altrove, può

cambiare luogo, può ripartire da zero. Un ragazzo infelice non può avere questo

pensiero. Egli sente di essere infelice ma non può dare un nome alla sua

infelicità... ” dice Richet (ed ovviamente Truffaut dietro di lui).

Le parole con cui il maestro descrive ai bambini la società degli adulti risentono

ancora dell'atmosfera da fiaba di tutto il film ma non sono molto distanti da

quelle tristemente vere che lo stesso Truffaut scriverà tre anni più tardi (1979) nel

dossier inviato all'UNESCO in occassione dell'"Anno dell'infanzia". 49 Riguardo

alle rivendicazioni sociali di cui sono protagonisti gli adulti Richet dice: "I

politici, le persone che ci governano cominciano sempre i loro discorsi dicendo:

“Il Governo non cederà alle minacce” ma in realtà è il contrario [...] Da qualche

anno gli adulti l'hanno capito, ed ottengono nelle strade quello che si rifiuta negli

161
uffici. [...] Ma in tutte queste lotte i ragazzi vengono dimenticati; non esiste alcun

partito politico che si occupi veramente dei ragazzi, dei ragazzi come voi e come

Julien, ed una ragione c'è, ed è che i ragazzi non sono elettori." Dopodiché prima

di salutarli con un invito ad amare i loro figli quando ne avranno "...perché il

tempo passa in fretta" ripete in sostanza le parole, filo conduttore di tutto il film,

apprese dalla moglie riguardo la "pelle dura" dei bambini : "La vita non è facile,

è dura, ed è importante che voi impariate ad indurirvi per poterla affrontare." 50

La moglie del maestro, come accade alla signora Lemeri e a Madame Guerin nel

ragazzo selvaggio (vedi 3.2), rappresenta ancora una volta quella figura materna

ideale che manca totalmente nei Quattrocento colpi.

La nascita di Thomas costituisce uno dei momenti fondamentali del film, e

risponde all'esigenza di descrivere tutte le tappe dell'infanzia così come è nelle

intenzioni di Truffaut. Già ne Les quatre-cents coups Truffaut avrebbe

inizialmente voluto introdurre una scena indirettamente relativa al parto, poi

eliminata nel montaggio finale a causa della sua crudezza. La scena mostrava

Antoine ascoltare casualmente il dialogo di due donne in una drogheria: "“Sì

hanno dovuto usare il forcipe, usciva dalla parte dei piedi”. [...] “Va bene, ma non

vuol dire nulla. Guardi me, con Fanny in dieci minuti è finito tutto. Ma per la

piccola... se non mi avessero fatto il cesareo non sarei qui a parlargliene”. “E mia

sorella allora... uno all'anno, si rende conto? ... Alla fine le hanno tolto ogni cosa,

162
del sangue dappertutto, povera piccola”."51 A questa si può far corrispondere

quella, di tutt'altro tenore che descrive l'arrivo delle doglie alla signora Richet e

la conseguente agitazione del marito che non può chiamare l'ospedale perché nel

nuovo appartamento dove hanno appena traslocato manca il telefono. Truffaut

inquadra dal fondo del corridoio buio la sagoma del maestro che compare sulla

soglia del vicino di casa al quale si rivolge per chiedere aiuto. Dopodiché tutta la

scena si rivela essere una soggettiva quando una nuova inquadratura opposta alla

precedente ci mostra sotto la luce che filtra dal pianerottolo gli occhi spalancati

ma tutt'altro che spaventati del figlio del vicino di casa, per coincidenza un

alunno del maestro, che sbirciano dalla porta semiaperta della sua camera.

Allo sgomento che avrebbe dovuto provare Antoine Doinel di fronte alla

rivelazione improvvisa della realtà fisica del parto si sostituisce ne L'argent de

poche l'interesse spontaneo di quell'alunno e della sua classe il giorno dopo la

nascita (Truffaut mostra anche l'interno della sala parto e il maestro che assiste al

travaglio della moglie) quando la scolaresca rivolge a Richet un gran numero di

domande sull'avvenimento. Con una serie di campi e controcampi Truffaut fa

montare il dialogo tra Richet e i suoi alunni mostrando di volta in volta il maestro

e i bambini che gli chiedono della nascita di suo figlio.

Commentando l'importanza dell'improvvisazione dei bambini nel film, Truffaut

avvicina questa scena, completamente giocata sulla spontaneità dei protagonisti,

163
al metodo di Jean Rouch: "Elle est importante, [l'improvvisazione] parce qu'à

l'intérieur des scénes, je leur donnais très peu de dialogues: je leur disais in

general les idées, et eux faisaient le rest avec leurs propres mots. Il n'y a pas eu

d'improvisation dans le faits parce que les histoires étaient là. Mais par exemple,

dans la scène où l'instituteur arrive en disant: “j'ai eu un enfant”, ils ont posè

exactement les question qu'ils voulaient. Là on a fonctionné à la Jean Rouch [...]

Là, il n'y a pas de dialogue écrit. Ca fonctionne très bien aussi parce que François

Thévenin à un très bon contact avec les enfants"52

Al di là quindi di questa scena quasi sperimentale per Truffaut, l'improvvisazione

ne L'argent de poche è, come spesso accade nella sua filmografia (in particolar

modo nei primi film, sempre meno dopo), riservata soprattutto ai dialoghi 53,

affinché l'attore si esprima nelle situazioni previste dalla sceneggiatura con parole

proprie. Questo risultato si ottiene, nel caso si tratti dei giovani protagonisti dei

film sull'infanzia, lasciando un certo margine all'influenza della loro creatività sui

testi, oppure, e questo vale anche per gli attori adulti, facendo sì che i testi siano

imparati dagli attori solo all'ultimo minuto, metodo rosselliniano che Truffaut

aveva già utilizzato per Les mistons (Cfr. par. 2.1): "Non mi piace che gli attori

arrivino sul set sapendo già la parte a memoria. Voglio che la imparino nel calore

del momento. Penso che quando si è febbricitanti, nel senso medico della parola,

164
si è molto più vibranti, e io voglio che i miei film diano l'impressione di essere

stati girati con quaranta di febbre."54

Nella celebre definizione che delle riprese de L'argent de poche dà lo stesso

Truffaut più che della "febbre" si parla della vertigine che provoca l'adattamento

ad un tempo così poco lineare e misurabile come quello della recitazione dei

bambini.55 Questo tipo di lavoro ha sempre comportato regole diverse rispetto a

quello con gli attori adulti. Se all'epoca dell'esordio lavorare con i bambini poteva

rappresentare anche un modo per non farsi intimidire da attori professionisti

troppo sicuri di sé56 ora, senza più questo problema, Truffaut scopre quanto sia

complesso equilibrare le esigenze narrative con tutto ciò che la spontaneità dei

bambini naturalmente apporta: "Lavorare con i bambini è una prova spaventosa.

E' molto più difficile che lavorare con gli adulti, ma anche molto più

sorprendente, perché quando una scena è riuscita non è che migliora la

sceneggiatura, è sei volte meglio della sceneggiatura. Per contro quando una cosa

è impossibile, bisogna abbandonarla. E' un altro modo di lavorare, ci vuole

pazienza. A me non è mai piaciuto Marlon Brando, ma vedendo recitare i

bambini capisco cos'è che piace tanto in lui, è quel suo lato inatteso. Quando un

attore parla con Marlon Brando, non si sa mai se lui gli risponderà, se si degnerà

di ascoltare cosa l'altro gli sta dicendo, se aprirà semplicemente la bocca senza

emettere alcun suono; non si sa neanche se guarderà la persona che gli parla o se

165
guarderà le nuvole, oppure se volterà le spalle alla cinepresa per andarsene a

giocare a pallone. Ebbene, i bambini fanno così: recitano tutti come Marlon

Brando."57

La libertà espressiva che caratterizza il film in generale, il realismo un pò folle

delle gags dove sono protagonisti i fratelli Deluca o il piccolo Gregory, la serietà

della triste vicenda di Julien mantengono il loro equilibrio grazie alla capacità di

Truffaut di adattarsi alla logica dei suoi giovani attori. Soprattutto in questo senso

L'argent de poche è il "loro" film. Sia quando accompagna con la stilizzazione

del "c'era una volta" la logica esclusiva del comportamento di Sylvie, sia quando

arretra di fronte alla rivelazione delle ferite di Julien che restano visibili solo alla

dottoressa, la macchina da presa di Truffaut si fa guidare dal partito preso di

rispettare la distanza dal centro, senza forzare mai i confini che circoscrivono ai

nostri occhi il territorio dell'infanzia.

166
Note al Capitolo 4

(1) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte le
interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 218).
(2) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 149.
(3) "Cahiers du cinéma", n. 315, settembre 1980, p. 16.
(4) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 149.
(5) La chambre verte, (La camera verde, 1978).
(6) Une belle fille comme moi, (Mica scema la ragazza, 1974).
(7) Sono tre i "cineromanzi" ricavati dai soggetti dei suoi film che Truffaut fece pubblicare: Les
quatre-cents coups, Paris, Gallimard, 1959; L'argent de poche, Paris, Flammarion, 1976, (Trad.
it. , Gli anni in tasca, Roma, Armando, 1978); L'homme qui amait les femmes, Paris,
Flammarion (trad. it. , L'uomo che amava le donne, Venezia, Marsilio, 1990).
(8) "Les enfant ont le don de me rendre insensé. Je les adore et je suis un idiot" (Victor Hugo,
"L'art d'être grand-père"); "Les enfants s'ennuient le dimanche. Le dimanche les enfant
s'ennuient" (Charles Trenet); "Une occasion de rire n'est jamais à dédaigner." (Ernst Lubitsch).
(9) Le citazioni che seguono, quando non segnalato, fanno parte della prefazione al
cineromanzo de "L'argent de poche".
(10) Il montaggio del film è dovuto a Yann Dedet, collaboratore di Truffaut a partire da Les deux
anglaises et le continent (1971).
(11) "Con questo genere di riprese la domenica non si può riposare. la domenica, con la mia
assistente Suzanne Schiffman, di solito riprendiamo tutto e discutiamo su ciò che si farà durante
la settimana. Per esempio, non volevo che la moglie del parrucchiere [la signora Riffle, della
quale Patrick è segretamente innamorato] fosse vista solo all'interno del salone di parrucchiere,
perciò le ho fatto accompagnare il figlio a scuola, dove vorrebbe entrare ma lui glielo
impedisce. Ecco, queste sono le cose che si correggono la domenica." Anne Gillain, Le cinema
selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte le interviste di François
Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 218.
(12) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 214.
(13) Ibidem, p. 218.
(14) Ibidem.
(15) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 103.
(16) Molti dei giovani personaggi Truffautiani ribadiscono direttamente il legame letteratura-
musica-infanzia. Alphonse, il figlio di Antoine Doinel e Christine Darbon, parte per le vacanze
portando con sè il violino che la madre gli ha insegnato a suonare (L'amour en fuite, 1979), La

167
bambina di La peau douce (1964) riceve dal padre un disco in regalo, l'adolescente Bertrand
Morane (L'homme qui amait les femmes) ci viene presentato mentre legge un libro sotto gli
occhi della madre. Paradossale la requisizione di un minuscolo libricino che il capo dei
pompieri-incendiari di Fahrenheit 451 (1966) compie ai danni di un infante in carrozzina.
(17) "I film che preferisco sono dei film musicali. Non alludo ai musicals. Voglio dire quei film
che hanno un andamento, un ritmo musicale. Io penso che come la musica il cinema è un'arte
legata al movimento, allo svolgimento. E' un'arte della durata, e quindi il cinema somiglia più
alla musica che alle altre arti. Ci sono dei momenti di calma, dei momenti di agitazione,
l'ouverture, il finale; vedo il film come un concerto." Intervista raccolta da Aldo Tassone nel
1975 e pubblicata in AA.VV., L'uomo che amava il cinema, Napoli, Il mezzogiorno editore,
1989, p. 69.
(18) Truffaut riserverà ne La chambre verte (La camera verde, 1979) un posto nella cappella
devozionale di Davenne per la foto di Jaubert mentre dirige. La musica di Maurice Jaubert
(Nizza, 1900, Azerailles Meurthe et Moselle, 1940) per il cinema comprende tra le altre la
colonna sonora di Zéro de conduite di Jean Vigo e quella di Quai des brumes (Il porto delle
nebbie, 1938) di Marcel Carné.
(19) Ancora sul jazz come musica di accompagnamento: "Sono convinto che ogni musica
improvvisata davanti all'immagine sia una cosa negativa, da rifiutare. Ogni volta che ascolto
jazz in un film che vuole essere commovente sento l'emozione svanire. Purtroppo nei film di
questo genere il regista si rende conto dell'errore troppo tardi. La musica deve essere fatta non
nell'ottica dell'illustrazione dell'immagine ma per aiutare l'immagine, per rafforzarla. Perciò la
vecchia disputa tra musica che sottolinea e musica che contrappunta mi sembra superata. Il
problema è un altro." Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion,
1988, (trad. it. Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 144.
(20) Charles Trenet fu, come Jaubert, uno dei musicisti più ammirati da Truffaut: "Le sue
canzoni sono piene di piccoli dettagli, nomi propri, parole bizzarre, allusioni incomprensibili
tranne che per la sua famiglia e le persone vicine, eppure noi che ascoltiamo non ci sentiamo
mai esclusi dal suo universo. Ci lascia il compito di completare le frasi in sospeso." E ancora:
"Se le canzoni di Trenet mi piacciono più di tutte quelle che sentiamo in Francia, non è solo
perché sono opera di un'unica persona, parole e musica, ma anche perché e impossibile
indovinare se la musica ha preceduto il testo o viceversa. Come i film di John Ford, le sue
canzoni rendono irrilevante la vecchia polemica tra forma e contenuto, perché sono allo stesso
tempo forma e contenuto." François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma,
1987, (trad. it. Il piacere degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, pp. 175-176.
(21) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 144.
(22) " ...E' come un film da nonno. E' una visione dell'infanzia molto lontana. Nei 400 coups
questa visione e molto fraterna, perché non c'era una grossa differenza tra me e Jean-Pierre
Léaud. Lo scarto aumenta già in L'enfant sauvage, un film da padre, e ancor di più in L'argent
de poche." Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it.
Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 225.
(23) Una di queste, all'interno del film, è quella della visita medica in cui si scoprono le ferite
inferte dalla madre sul corpo di Julien Leclou. Truffaut mostra il ragazzo oltrepassare i ragazzi

168
in fila di fronte alla porta dell'infermeria. Mentre Julien sale le scale all'interno la macchina da
presa resta all'esterno posizionata nel cortile. Con un movimento in diagonale dal basso verso
l'alto essa compie una breve panoramica sul muro fino alla finestra aperta dell'infermeria
seguendo idealmente il tragitto di Julien. Sempre dalla finestra osserviamo ciò che succede
all'interno: la dottoressa costringe il ragazzo a levarsi la maglietta, dopodiché un lento zoom ci
introduce nella stanza mentre il ragazzo è di spalle seminascosto dalla macchina per le
radiografie. Il segreto di Julien si potrà solo intuire dalla corsa concitata dell'infermiera mandata
ad avvisare il direttore, e sarà svelato solo dopo l'arrivo del commissario di polizia durante una
riunione (anch'essa ripresa dall'esterno attraverso la finestra aperta) tra quest'ultimo, il direttore
e la dottoressa.
(24) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 92
(25) Questa scena sembra ricalcare quella de L'enfant sauvage (vedi par. 3.2) dove si vedono
due giovani giovani pazienti dell'istituto discutere animatamente del nuovo arrivato (Victor).
(26) Letteralmente scacciato dalla madre che gli impedisce di entrare perché troppo in ritardo,
Julien spacca con un sasso la finestra di casa e passa la notte da solo vagabondando all'interno di
un lunapark. Giunta l'alba raccoglie gli oggetti (degli spiccioli, un pettine e una lima per unghie)
che trova per terra tra le giostre deserte. Questa scena è idealmente riconducibile a quella del
vagabondaggio di Antoine durante la notte trascorsa in giro per la città ne I quattrocento colpi.
(27) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 219).
(28) Così Herve Dalmais sull'analogia Victor-Julien: "Tant sur le plan physique que
psychologique, ce dernier [Julien] rappelle Victor, le sauvage de l'Aveyron: même fascination,
même tendresse du cinéaste à l'égard d'une enfance abandonnée, dépourvue de cette éducation
qui constituait pour Truffaut, qui se considère lui-meme comme une sorte d'orphelin et un
autodidacte, un idéal qu'il incarna en prenant le rôle du docteur Itard." Herve Dalmais, Truffaut,
Paris, Rivages, 1987, pp. 72-73.
(29) "...La debolezza paterna in Gli anni in tasca prende una piega ancor più caricaturale che in I
400 colpi: il padre malato di Patrick non può letteralmente muovere un dito" Anne Gillain,
François Truffaut. Le secret perdu, Paris, Hatier, 1991, (trad. it. Il segreto perduto, Genova, Le
mani, 1995, p. 257).
(30) Questa scena rimanda ancora una volta a quella analoga nel film di Vigo Zéro de conduite
già citata più esplicitamente nei Quattrocento colpi (vedi 2.2.3).
(31) Truffaut dedica alcune inquadrature al momento dell'allattamento di Thomas il neonato in
casa Richet e in questa occasione è fin troppo esplicito riguardo il significato che queste
assumono al di là del loro lirismo. Il marito cita un testo di puericultura che ammonisce riguardo
all'importanza, per lo sviluppo psicologico del bambino e le sue future relazioni con il mondo
esterno, della corretta posizione da assumere durante la suzione; la signora Richet, divertita
dallo zelo eccessivo del marito, risponde ironicamente: “...Chissà che complicati rapporti hai
avuto tu con tua madre... ” Inoltre l'ambiente in cui queste scene si svolgono (l'appartamento che
il maestro e sua moglie hanno appena ristrutturato) rimanda ai problemi di spazio nell'angusto
appartamento della famiglia Doinel nei Quattrocento colpi (vedi 2.2.3). I coniugi Richet hanno
preparato uno spazio adeguato per il nascituro, come vediamo fare ad Antoine Doinel futuro

169
padre in Domicile conjugal (1970) quando, per allargare una stanza di casa sua, abbatte una
parete divisoria.
(32) "Come conciliare casualità da tranche de vie scolastica e scienza esatta della commedia?
Truffaut ci è quasi riuscito adottando come dice lui, il punto di vista del nonno, un nonno
abbastanza permissivo da applicare ai dodicenni il Lubitsch touch." Oreste de Fornari, I film di
François Truffaut, Roma, Gremese, 1986, p. 99.
(33) Cfr. Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it.
Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 219).
(34) François Truffaut, Les films de ma vie, Paris, Flammarion, 1975, (trad. it. I film della mia
vita, Marsilio, Venezia, 1992, pp. 66-67.
(35) Tutta la sequenza è concepita come un flash-back che visualizza il resoconto che nel cuore
della notte Martine sta scrivendo sul suo diario. Nel clamore del refettorio un gruppetto di
amiche di Martine le prepara uno scherzo: mentre lei esce per andare in bagno loro chiamano
Patrick all'altro capo della stanza gridandogli che Martine é fuori e lo aspetta per dargli un
bacio. Una panoramica va a cercare Patrick che sorpreso e imbarazzato si avvia verso la porta
più vicina delle due che stanno agli estremi dalla parete di fondo della mensa. Mentre il ragazzo
esce da quella, Martine, di ritorno, prende la via dell'altra senza essere vista da Patrick. Ora la
macchina da presa segue Martine che rientrata nel refettorio si sente chiamare per nome questa
volta dagli amici di Patrick che le dicono la medesima frase che le ragazze avevano detto a
Patrick cambiando ovviamente il soggetto. I due si incontreranno finalmente sulle scale che
portano ai servizi e qui si daranno il loro primo bacio mentre la macchina da presa li inquadra
leggermente dall'alto. La sequenza si chiude con il fracasso dei compagni che si agitano nel
vederli tornare entrambi dalla stessa porta del refettorio.
(36) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 221).
(37) François Truffaut, Le plaisir des Yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere
degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988, p. 230).
(38) "Ai bambini non si fanno gli stessi discorsi degli adulti, si dicono le cose serie con un tono
più leggero o distaccato o rendendole meno serie. Il problema era proprio questo: io volevo
comunque parlare di cose serie, ma volevo che il film fosse loro, che lo amassero, che fosse il
loro film." Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it.
Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 223).
(39) Il manifesto in questione è un disegno pubblicitario che mostra una coppia sorridente che si
appresta a passare la notte nel confortevole vagone letto di un treno in piena corsa. Come scrive
Anne Gillain: " Felicità della coppia, sfrecciare del treno, viaggio verso l'ignoto: l'ideale
impossibile di una stabilità fatta di movimento e di avventura." Il segreto perduto, op. cit., p.
254.
(40) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 221).
(41) Un riferimento alla fonte di questo avvenimento incredibile ma vero, si trova nel testo di
Malson consultato da Truffaut all'epoca dell'adattamento dell'Enfant sauvage: "Vorremmo
affidare alla meditazione dei San Tommaso di turno questa notizia diffusa dalla stampa parigina

170
il 1° dicembre 1962: un bambino caduto dal decimo piano di un edificio, alto venticinque metri
sulla strada, ha riportato una leggera ferita al braccio e, rvolgendosi ai suoi soccorritori, ha detto
tranquillamente: “Mimile ha fatto bum?”. Lucien Malson, "Les enfants sauvages", op. cit., p. 58
dell'edizione italiana.
(42) Con il montaggio parallelo Truffaut mostra la discesa delle scale della madre di Gregory in
cerca del portamonete smarrito, alternandola alle peripezie del piccolo e alla curiosità immobile
dei passanti che come impietriti assistono alla scena. Gregory prima si arrampica sulla sedia di
fronte alla finestra aperta, poi sale sul davanzale, si gode il panorama facendo penzolare le
gambe quindi cade nel vuoto andando a finire proprio sulla siepe dell'aiuola tra i vicini attoniti.
Rialzatosi incolume dirà: “Gregory ha fatto bum!” mentre la madre che giunta in strada ha
assistito all'ultimissima parte del fantastico atterraggio cade rovinosamente a terra priva di sensi.
(43) "La lettura fantasmatica del film permette di cogliere un messaggio tanto chiaro quanto
insensato: l'infanzia non ha bisogno degli adulti ma basta completamente a se stessa." Anne
Gillain, François Truffaut. Le secret perdu, Paris, Hatier, 1991, (trad. it. Il segreto perduto,
Genova, Le mani, 1995, p. 257).
(44) Dopo il terribile Petite Feuille e gli sprovveduti professori d'inglese e di ginnastica de Les
quatre-cents coups la categoria degli insegnanti francesi di quegli anni viene parzialmente
riabilitata dalla rappresentazione che Truffaut ne fa in questo film. Un'analogia in questo senso
si può trovare nel resto della sua filmografia nella vicenda della maestra ingiustamente accusata
di omicidio al posto di Jeanne Moreau in La mariée était en noir (La sposa in nero, 1967).
Finalmente scagionata l'insegnante ritorna a scuola e la felicità dei bambini nel rivederla è resa
fugacemente ma significativamente da Truffaut con un campo totale del cortile della scuola
dove un nugolo di alunni le corre incontro.
(45) "Oscar... [...] E' l'eroe della favola sottesa al film: se la cava da sé, fa di necessità virtù,
trova un modo personale e creativo per sopravvivere, e di fatti i bambini in classe lo imiteranno
leggendo le tabelline [lo si vede fare in una scena del film]. [...] Oscar indica la scappatoia
vincente... " Paola Malanga, Tutto il cinema di François Truffaut, Milano, Baldini e Castoldi,
1996, p. 413.
(46) Ogni scena di bambini o adolescenti al cinema nei film di Truffaut rimanda inevitabilmente
alle esperienze della sua giovinezza. La rappresentazione del cinema ne Gli anni in tasca non si
discosta da questa regola. Così Mino Argentieri: "E' poi c'è il cinema, il paradiso, la vacanza
agognata, la felicità vera dei ragazzi, zampillano le astuzie per infilarvici in coppia con un unico
biglietto ingannando la mascherina, il luogo dove la fantasia si sfrena, l'accogliente rifugio per
dare libero sfogo agli sbaciucchiamenti..." Mino Argentieri, La precoce condizione del dolore,
in AA. VV., François Truffaut, L'uomo che amava il cinema, Napoli, Il mezzogiorno editore, p.
132.
(47) Oscar è uno dei nomi che Truffaut fa pronunciare al dottor Itard prima che quest'ultimo
decida di chiamarlo Victor.
(48) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 221).
(49) François Truffaut, 1979, Année de l'enfance assassinée, in Le plaisir du yeux, op. cit., p.
229.

171
(50) François Truffaut, L'argent de poche, Paris, Flammarion, 1976, (Trad. it. , Gli anni in tasca,
Roma, Armando, 1978).
(51) François Truffaut, Les adventures d'Antoine doinel, Paris, Mercure de France, 1970, (trad.
it., Le avventure di Antoine Doinel, Venezia, Marsilio, 1992, p. 32).
(52) Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 150.
(53) "François, che non voleva forzarci ad interpretare un ruolo, ma intendeva spingerci a
rappresentare la realtà del nostro universo infantile, ci metteva in mano, dieci minuti prima delle
riprese, un foglietto sul quale era scritto a matita il canovaccio di un dialogo. Toccava a noi
dargli forma, completarlo, conferirgli la dimensione di una discussione tra ragazzi." Philippe
Goldmann, Truffaut a dodici anni, in AA. VV., Le roman de françois Truffaut, Paris, Ed. de
l'Etoile, (trad. it. Il romanzo di François Truffaut, Milano, Ubulibri, 1986, p. 144).
(54) Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion, 1988, (trad. it. Tutte
le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 156).
(55) "Tourner avec des enfants, c'est aussi spécial que de tourner avec un hélicoptère.
L'hélicoptère soulève du sable. Il faur mouiller le sol. On croit y perdre un temps fou. Et dès que
la camera est dans l'hélicoptère, on gagne un temps immense. On filme trente Kilomètres en dix
minutes. On est dans un autre universe. Celui des pigeons voyageurs. Avec les enfants, c'est
pareil." Dominique Rabourdin, Truffaut par Truffaut, Paris, Ed. de la chêne, 1985 p. 151.
(56) "Mi fa più piacere dirigere un bambino che un adulto, perché essendo anch'io un
debuttante, tendo a farmi intimidire dall'anzianità e quando i grandi non vogliono fare quello
che dico io, mi capita di rinunciare a lottare e di farmi incastrare dai loro trucchi e non sono mai
certo di avere ragione." Anne Gillain, Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion,
1988, (trad. it. Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 58).
(57) Ibidem, p. 223.

172
Bibliografia

173
Libri, cineromanzi, soggetti e sceneggiature (in volume) di François

Truffaut:

Le cinéma selon Hitchcock (con la collaborazione di Helen Scott), Parigi, Robert

Laffont, 1966. Nuova edizione rivista e ampliata: Hitchcock-Truffaut, Parigi,

Ramsay, 1984, (trad. it. Il cinema secondo Hitchcock, Parma, Nuova Pratiche

editrice, 1985); Parigi, Gallimard,1993.

Les Aventures d'Antoine Doinel, Mercure de France, Paris, 1970, (trad. it. Le

avventure di Antoine Doinel, Venezia, Marsilio, 1992).

L'enfant sauvage, Paris, Editions G.P., 1970.

La nuit américaine, Journal de Fahrenheit 451, Paris, Seghers, 1974.

Les films de ma vie, Paris, Flammarion, 1975, (trad. it. I film della mia vita,

Venezia, Marsilio, 1978).

L'argent de poche. Cinéroman, Paris, Flammarion, 1976, (trad. it. Gli anni in

tasca, Roma, Armando, 1978).

L'homme qui amait les femmes. Cinéroman, Paris, Flammarion, 1977, (trad. it.

L'uomo che amava le donne, Venezia, Marsilio, 1990).

Le plaisir des yeux, Paris, Cahiers du cinéma, 1987, (trad. it. Il piacere degli

occhi, Venezia, Marsilio, 1988).

Les Mistons, Avignon, Editions Ciné Sud, 1987.

174
La petite voleuse, Paris, Editions Christian Bourgois, 1988, (ed. it. La piccola

ladra, Genova, Melangolo, 1994).

Jules et Jim, Paris, Editiond du Seuil, 1995.

Sceneggiature pubblicate da L'avant-scène cinéma:

Les Mistons (n. 4); Une histoire d'eau, (n. 7); Jules et Jim, (n. 16); La peau

douce, (n. 48); L'enfant sauvage, (n. 107); Les deux anglaisese et le continent, (n.

121); L'histoire d' Adèle H., (n. 165); La chambre verte, (n. 215); L'amour en

fuite, (n. 254); Le dernier métro, (n. 303-304); Une visite, (n. 303-304); Tirez sur

le pianiste, (n. 362-363); Vivement dimanche!, (n. 362-363); La femme d'à coté,

(n. 389).

Interviste pubblicate in volume:

Aline Dejardins s'entretient avec François Truffaut, Ottawa, Ed. Leméac, 1973.

AA. VV., Le roman de françois Truffaut, Paris, Ed. de l'Etoile, (trad. it. Il

romanzo di François Truffaut, Milano, Ubulibri, 1986).

Anne Gillain (a cura di), Le cinéma selon François Truffaut, Paris, Flammarion,

1988, (trad. it. Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma,

Gremese, 1990).

175
La fitta corrispondenza di François Truffaut è pubblicata in:

François Truffaut, Correspondance, a cura di G. Jacob e C. de Givray, Paris,

Hatier, 1988, (trad. it. parziale in: Autoritratto, a cura di Sergio Toffetti, Torino,

Einaudi, 1989).

Principali studi critici in ordine cronologico:

Graham Petrie, The cinema of François Truffaut, New York, A. S. Barnes & Co.,

1970.

C. G. Crisp, François Truffaut, New York, Praeger, 1972.

Leo Braudy (a cura di), Focus On Shoot The Piano Player, Englewood Cliffs,

New Jersey, 1972.

Dominique Fanne, L'univers de François Truffaut, Paris, Ed. du Cerf, 1972.

Vittorio Giacci (a cura di), François Truffaut, gli anni rubati, Milano, Quaderni

Aiace, 1973.

James Monaco, The Films Of François Truffaut, New York, The New School For

Social Research Monograph, Zoetrop One, 1974.

Don Allen, François Truffaut, London, Secker & Warburg, 1974.

AA. VV., François Truffaut, Munchen, Carl Hanswer, 1974.

Alberto Barbera, François Truffaut, Firenze, Nuova Italia, 1976.

Massimo Marchelli, François Truffaut, Milano, Moizzi, 1977.

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Annette Insdorf, François Truffaut, Boston Twayne, 1978.

Joao Bernardo Da Costa, François Truffaut, Lisbon, Fundaçao Calouste

Gulbenkian, 1980.

Shigehiko Hasumi, Koichi Yamada, Truffaut e il cinema, Tokio, Ed. Hanashi no

Tokushu, 1980.

Elisabeth Bonnaffons, François Truffaut, Lausanne, L'âge d'homme, 1981.

Mario Sismondi (a cura di), François Truffaut, Firenze, La Casa Husher, 1981.

Eugene P. Waltz, François Truffaut. A Guide to References and resources,

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Don Allen, Finally Truffaut, New York, Beaufort Books, 1985.

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Claude-Jean Philippe, François Truffaut, Paris, Seghers, 1988.

Gilles Cahoreau, François Truffaut, Paris, Julliard, 1988.

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AA. VV., Truffaut, l'uomo che amava il cinema, Napoli, il Mezzogiorno editore,

1989.

Hélène Merrick, François Truffaut, Paris, Ed. J'ai lu, 1989.

Dominique Auzel, Truffaut, les milles et une nuits américaines, Paris, Henry

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François Truffaut. Il segreto perduto, Genova, le Mani, 1995).

Carole Le Berre, François Truffaut, Paris, Ed. de l'Etoile, 1993.

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Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il castoro cinema, nuova

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Vittorio Giacci, François Truffaut, Roma, Bulzoni, 1995.

Giorgio Tinazzi, Truffaut. Il piacere della finzione, Venezia, Marsilio, 1996.

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Annette Insdorf, François Truffaut, Paris, Gallimard, 1996 (trad. it. Truffaut,

Milano, Universale Electa/Gallimard, 1997).

178
Antoine de Baeque, Serge Toubiana, François Truffaut, Paris, Gallimard, 1996.

179
Filmografia

180
Une visite (1954).

Les mistons (L'età difficile, 1957).

Histoire d'eau (1958).

Les quatre-cents coups (I quattrocento colpi, 1959).

Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960).

Jules et Jim (Jules e Jim, 1962).

Antoine et Colette (Antoine e colette, 1962).

La peau douce (La calda amante, 1964).

Fahrenheit 451 (id. , 1966).

La mariée était en noir (La sposa in nero, 1967).

Baisers volés (Baci rubati, 1968).

La sirène du Mississipi (La mia droga si chiama Julie, 1969).

L'enfant sauvage (Il ragazzo selvaggio, 1970).

Domicile conjugal (Non drammatizziamo... è solo questione di corna, 1970).

Les deux anglaises et le continent (Le due inglesi, 1971).

Une belle fille comme moi (Mica scema la ragazza, 1972).

La nuit américaine (Effetto notte, 1973).

L'histoire d'Adèle H. (Adele H. , una storia d'amore, 1975).

L'argent de poche (Gli anni in tasca, 1976).

L'homme qui amait les femmes (L'uomo che amava le donne, 1977).

181
La chambre verte (La camera verde, 1978).

L'amour en fuite (L'amore fugge, 1979).

Le dernier métro (L'ultimo metrò, 1980).

La femme d'à côté (La signora della porta accanto, 1981).

Vivement dimanche! (Finalmente domenica!, 1983).

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