Claudio Di Pietro
2019/2020
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Contents
1 Trasmissioni 3
1.1 Trasmissioni Meccaniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.1 Trasmissioni per attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.2 Trasmissioni per interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . 5
3 Dischi 21
3.1 Equazioni per dischi assialsimmetrici a spessore costante . . . . . 22
3.2 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sottoposto a pres-
sione interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
3.3 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sottoposto a pres-
sione esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3.4 Disco pieno assialsimetrico a spessore costante sottoposto a pres-
sione esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
3.5 Effetto della velocità sui dischi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
3.6 Disco assialsimmetrico forato rotante a velocità costante . . . . . 27
3.7 Disco assialsimmetrico pieno rotante a velocità costante . . . . . 28
3.8 Calettamento tra dischi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
3.9 Dischi a tensione uniforme a spessore variabile . . . . . . . . . . 30
4 Tubi 31
4.1 Modello di studio per tubo sottile . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
4.2 Applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.2.1 Tubo Sottoposto a sola Forza di Taglio per unità di sviluppo
circonferenziale Q0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.2.2 Tubo Sottoposto a solo Momento Flettente per unità di
sviluppo circonferenziale M0 . . . . . . . . . . . . . . . . 36
4.2.3 Tubo in Rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4.2.4 Tubo Sottoposto a pressione interna . . . . . . . . . . . . 37
5 Piastre Sottili 39
5.1 Piastre circolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
5.2 Esempi di Piastre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
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1 Trasmissioni
Le trasmissioni hanno lo scopo di trasferire potenza. A seconda del tipo di
energia utilizzata si definiscono vari tipi di trasmissioni. Le trasmissioni possono
essere:
• Elettriche
• Pneumatiche
• Idrauliche
• Meccaniche
Le trasmissioni elettriche trasferiscono potenza utilizzando la corrente. Tale
trasferimento è adatto al trasferimento a lunga distanza.
Le trasmissioni pneumatiche sono trasmissioni che trasmettono potenza
tramite l’aria. Gran parte degli attuatori lineari sono pneumatici. Non sono
in grado di erogare enormi potenze, nè sono facili da controllare. L’aria viene
prelevata direttamente dall’ambiente senza necessità di serbatoi o contenitori.
Le trasmissioni idrauliche trasmettono la potenza sfruttando un liquido alta-
mente viscoso. È necessario un serbatoio per il liquido. Questo tipo di trasmis-
sione può trasmettere enormi carichi.
La trasmissioni meccaniche sono quelle a rendimento più elevato, trasmet-
tono carichi discretamente elevati.
1.1 Trasmissioni Meccaniche
Le trasmissioni meccaniche sono divisibili in due macrocategorie:
• Trasmissioni per attrito
• Trasmissioni per interferenza
1.1.1 Trasmissioni per attrito
Le trasmissioni per attrito sono divise in due sottocategorie:
• Connessione diretta
• Connessione per flessibile
Un esempio di connessione diretta sono le ruote di frizione, ossia ruote metal-
liche che trasmettono potenza grazie al contatto diretto tra le due ruote. Una
delle due ruote è motrice e l’altra è condotta. La motrice ruota a una velocità
ω1 , la condotta ω2 . La velocità tangenziale è uguale:
V = ω1 R1 = ω2 R2 (1)
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La ruota motrice mette in moto la condotta tramite l’attrito. Per trasmet-
tere potenza la ruota motrice applica un momento sulla condotta grazie alla
forza d’attrito.Le ruote si scambiano ortogonalmente alla superficie di contatto
(idealmente un punto) una forza verticale N, che causa una forza d’attrito:
F =f ·N (3)
Maggiore sarà la coppia da trasmettere maggiore dovrà essere la forza d’attrito
tangenziale agente tra le ruote. Per aumentare tale contributo è necessario
alternativamente aumentare il coefficiente di attrito o la forza N. Il valore di f
tra metalli è sempre circa di 0.1-0.2, ed esso con difficoltà può essere aumentato.
Da un lato perché un maggiore attrito causa una maggiore usura, dall’altro
perché è necessario usare materiali particolari, come la sabbia, per permetterne
un aumento (viene fatto per i freni di emergenza dei treni). Un aumento della
forza N causa un aumento della forza trasmessa alla condotta. Il pegno da
pagare per questo è un grande aumento delle tensioni sulla ruote, che aggravano
ulteriormente i fenomeni di fatica. A ciò si aggiunge l’usura dovuta all’attrito,
che rovina rapidamente le ruote rendendole inutilizzabili. Inoltre i grandi carichi
verticali in gioco si ripercuotono sui supporti, che perciò dovranno essere molto
robusti ed ingombranti a fronte di una potenza trasmessa non molto elevata. Le
ruote di frizione sono perciò praticamente inutilizzate.
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In generale un aumento nei due contributi presenti sull’esponente è ciò che
si ricerca. L’angolo di abbraccio può essere aumentato utilizzando elementi
terzi che obblighino la cinghia ad avvolgersi maggiormente attorno alla puleggia
motrice, tuttavia il miglioramento è limitato. Il coefficiente di attrito può es-
sere modificato scegliendo materiali come la gomma, che però non potrà essere
caricata con tiri paragonabili ad altri materiali, come l’acciaio. Il contributo
della forza d’attrito, invece, può essere modificato a seconda della geome-
tria. Una cinghia piana genera attrito sulla sua superficie inferiore, mentre
una cinghia trapezoidale presenta tre superfici sulle quali è presente attrito.
Questo è un enorme vantaggio per cui le cinghie trapezoidali vengono impiegate
molto più delle piane. Un problema nell’utilizzo di questa tipologia di cinghia
sta nell’aumento dell’altezza della sezione trasversale, h. Questo aumento causa
un’importante crescita del modulo elastico della cinghia. Ciò comporta la neces-
sità di applicare un momento flettente molto maggiore per far aderire la cinghia
sulla puleggia. Conseguentemente la puleggia sarà sottoposta a tensione molto
più elevate. Le maniere di risolvere questo problema sono due:
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Un altro tipo di trasmissione flessibile per interferenza sono le catene. Le
catene sono trasmissioni molto resistenti ed adatte ad utilizzi in condizioni es-
treme: sporcizia, grandi variazioni di temperatura e carichi abbastanza elevati.
Ciò è dovuto a come sono fatte: le catene sono formate da una serie di perni
collegati tra loro da delle piastrine. I perni permettono una parziale rotazione
relativa delle singole maglie tra loro. Le catene si impegnano su un apposito al-
loggiamento fatto in maniera tale che ci sia un’alternanza tra perni della catena
e denti della puleggia. Questa alternanza fa sı̀ che quando l’alloggiamento (pu-
leggia con denti) comincia a ruotare, i denti dell’alloggiamento vanno a toccare
i perni della catena trascinandoli durante la rotazione. Questo urto tra dente e
perno causa un problema per la catena, in quanto genera vibrazioni e fenomeni
di fatica per i denti. Il rapporto di trasmissione non è costante.
La più importante trasmissione meccanica per interferenza sono le ruote den-
tate e ingranaggi che rientrano tra le trasmissioni dirette.
• Ad assi paralleli
• Ad assi incidenti
• Ad assi sghembi
Le ruote ad assi paralleli sono le più facili da realizzare, nonché le più comuni.
Sono le più semplici da realizzare e le più facili da far funzionare in quanto
sono in grado di funzionare correttamente anche con qualche errore di montag-
gio, ad esempio un un interasse maggiore di quello previsto. Le ruote ad assi
incidenti possono avere diverse forme e tecnologie di realizzazione. Un esem-
pio di tali ruote sono le ruote elicoidali, esse sono di complessa realizzazione e
richiedono particolare attenzione durante il montaggio, in quanto non tollerano
alcun errore di montaggio. Infine le ruote ad assi sghembi vengono di solito imp-
iegate in applicazioni che non prevedono il moto retrogrado. Tale peculiarità è
ottenuta realizzando trasmissioni ad elevato strisciamento, con rendimenti infe-
riori al 50%. I paragrafi successivi riguardano esclusivamente ingranaggi ad assi
paralleli.
I denti delle ruote possono essere:
• Diritti
• Obliqui o elicoidali
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La scelta del tipo di denti dipende fortemente dalle caratteristiche richieste nella
trasmissione. I denti obliqui garantiscono un moto continuo e molto fluido e una
gradualità nell’applicazione del carico. Lo svantaggio rispetto ai denti diritti
sono le spinte assiali che caricheranno assialmente i cuscinetti e i supporti, i
quali andranno progettati di conseguenza.
Cinematica degli ingranaggi a denti dritti Come funzionano le ruote
dentate in dettaglio? Perché i denti hanno profili particolari, ad esempio ad
evolvente? Per comprendere il funzionamento delle ruote occorre immaginare
il funzionamento di un’ipotetica trasmissione, che presenta due pulegge una
motrice ed una condotta collegate da una cinghia. La cinghia solidale ad en-
trambe le ruote fa sı̀ che alla rotazione della motrice corrisponda una rotazione
della condotta. L’azione della cinghia sulle pulegge consiste in una forza che
ha direzione definita dal segmento di cinghia che le collega. Adesso prendiamo
un generico punto P appartenente al segmento e osserviamo la traiettoria che
esso ha rispetto alla motrice, ossia la traiettoria che ha rispetto ad una terna di
riferimento solidale alla puleggia motrice: la traiettoria è un evolvente di cer-
chio. Tale evolvente si ottiene osservando la traiettoria tracciata da un punto
appartenente ad una semiretta, la quale rotola su un cerchio. Il motivo del
disegnare i denti ad evolvente è proprio quello di avere il punto di contatto tra
i due denti sempre lungo il segmento descritto sopra. Scegliendo un profilo ad
evolvente per il dente ci assicuriamo che la forza scambiata abbia sempre la
stessa direzione. I punti di contatto tra i denti, giacciono sul segmento AB,
porzione della cinghia che li collega, tanto più sono vicini al punto medio Pm
tra i due assi delle ruote, tanto più la componente di velocità di strisciamento si
riduce, idealmente la vorremmo sempre nulla in quanto ad essa è associato una
riduzione del rendimento.
La forza che la ruota motrice esercita sulla ruota condotta ha due componenti:
• Radiale
• Circonferenziale
La forza circonferenziale è quella che causa la rotazione della condotta e la con-
seguente trasmissione di potenza, mentre la radiale non ha alcuna impatto sulla
generazione di momento. Il parametro che definisce quanto è grande la forza
circonferenziale rispetto alla forza totale F, è l’angolo di attacco. L’angolo di
attacco, θ, è definito come l’angolo tra la verticale all’interasse, passante per il
centro di rotazione relativa P (nonché punto di contatto tra le due circonferenze
primitive), e la retta d’azione, in cui e interamente contenuto il segmento AB.
θ assume di solito un valore prossimo ai 20 gradi.
Il rapporto di trasmissione, τ è dato da:
ω1 R2 r2
τ= = = (5)
ω2 R1 r1
Dove Ri sono i raggi primitivi delle ruote dentate, ossia raggi che descrivono
una circonferenza che ha centro nel centro di rotazione assoluto della i-esima
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ruota e raggio pari alla distanza tra tale punto e il punto medio dell’interasse tra
le ruote. Differentemente ri sono i raggi base delle ruote ossia i raggi calcolati
come:
ri = Ri cos(θ) (6)
Le circonferenze che hanno come raggio il raggio base sono dette circonferenze
base. Siccome l’angolo d’attacco è lo stesso per entrambe le ruote, il rap-
porto di trasmissione può essere espresso in funzione di entrambi i raggi senza
differenze. Queste considerazioni permettono di evincere un’importante con-
seguenza: l’interasse può essere variato entro certi limiti senza apportare mod-
ifiche al rapporto di trasmissione. Infatti ritornando al caso delle due pulegge
collegate da una cinghia, notiamo facilmente che all’aumentare dell’interasse,
cambia solo la pendenza del segmento di cinghia tra le ruote. Ciò comporta che
l’unico fattore che cambierà sarà l’angolo di attacco e tutto ciò che ne deriva
(raggi base, componenti delle forze, potenza trasmessa, tensione sui denti etc.).
Il rapporto di trasmissione non varia al variare dell’interasse, per pic-
cole variazioni dell’interasse tali da non compromettere l’ingranamento dei denti
della ruota.
Altri parametri fondamentali sono:
D
• Modulo, m = z . Ove z è il numero di denti.
2πR
• Passo, p = z = πm.
2πr
• Passo base, Pb = z = p · cos(θ)
Il modulo è un parametro fondamentale in quanto due ruote sono accoppiabili
se hanno stesso modulo. Esso determina in maniera univoca il passo, che a
sua volta descrive il passo base. Dobbiamo ancora definire la circonferenza di
troncatura esterna e interna, ossia le circonferenze tracciate rispettivamente
da testa e base del dente. La differenza radiale tra circonferenza di troncatura
interna e circonferenza primitiva è pari al dedendum, ded = 1.25m, mentre
la circonferenza di troncatura esterna dista radialmente dalla primitiva una
distanza pari all’addendum, add = m. Questo è vero per un proporzionamento
modulare dei denti che è una delle possibilità nella realizzazione dei denti,
Taglio degli Ingranaggi Come si realizzano le ruote dentate? Esistono
molteplici tecniche in utilizzo, le più importanti sono:
• Frese a modulo
• Dentiera
• Creatore
Le frese a modulo sono frese con uno specifico profilo in grado di eseguire un
unico modello di ruota con un dato proporzionamento modulare. Tale limite va
a sommarsi al fatto che esse realizzano ogni dente singolarmente. Sono lente e
poco versatili per questo raramente impiegate.
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Figure 2: Fresa a Modulo
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Figure 4: Creatore (nero) taglia ruota dentata (grigia)
Presa perciò una ruota dentata e definito un modulo ed una determinata forma
immaginiamo di eseguire un taglio senza spostamento. In un proporzionamento
modulare la ruota tagliata presenterà un dedendum ed un addendum che presen-
tano il solito proporzionamento modulare. L’utensile deve tagliare l’ingranaggio
in maniera tale da non compromettere la forma del dente.L’aggiunta di uno
spostamento fa sı̀ che l’operazione di taglio sia modificata. Più precisamente le
modifiche apportate saranno le seguenti:
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2.1 Interferenza
La condizione di interferenza nelle ruote dentate si verifica quando i profili dei
denti a contatto non sono sempre tangenti, ma si compenetrano. Praticamente la
condizione di interferenza si raggiunge quando l’addendum di una ruota dentata
è troppo grande e il dente si impunta sull’altro della seconda ruota. Ciò si verifica
quando:
add ≥ CD (7)
Questa condizione va evitata assolutamente sia durante il taglio sia durante
l’ingranamento tra ruote. La condizione di incipiente interferenza per delle
ruote senza spostamento è mostrata nella figura 5.
Rb
Rp
Per le ruote a denti dritti con θ = 20◦ , il numero minimo di denti è zmin = 18.
Introducendo uno spostamento, s, la condizione di incipiente interferenza cambia
radicalmente e ciò è dovuto a quanto detto precedentemente sulla dimensione del
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dedendum ed addendum nel caso di spostamento. Più precisamente l’addendum
assume il valore:
add = m − xm = m − s (11)
Questo significa che il valore minimo dei denti realizzabili diminuisce al valore:
2(1 − x)
zmin = (12)
sin2 (θ)
s
Dove x = m . Qualora si considerino delle ruote a denti elicoidali il numero di
denti minimi viene espresso:
2
· 1 − sin2 (α)cos2 (α)
zmin = (13)
sin2 (θ)
2(1 − x)
· 1 − sin2 (α)cos2 (α)
zmin = 2
(14)
sin (θ)
12
E
• E’= 1−ν 2 , è il modulo di resistenza a contrazione laterale impedita. Il
E10 ·E20
termine E10 +E20 , per due ruote dentate d’acciaio è circa uguale a 35GPa.
R1 +R2
• R1 ·R2 è il raggio relativo tra i raggi dei cilindri osculatori.
Ingranaggi a denti dritti Il termine q, può essere rappresentato come:
F Fc 2W
q= = = (16)
L L · cos(θ) d1 Lω · cos(θ)
1 E10 · E20
kE = (17)
π E10 + E20
I raggi R1 , R2 sono i raggi dei singoli cilindri osculatori. Essi sono la distanza
tra il punto di contatto, P, tra i due denti della ruota e l’intersezione tra la retta
d’azione e la circonferenza base di ogni ruota. Questo significa che essi sono:
R1 = AP
(18)
R2 = BP
N
B
C
A M
Ciò significa che la tensione sul dente varia in funzione della posizione del punto
di contatto, in quanto varia il raggio relativo. Il punto di contatto giace ob-
bligatoriamente lungo il segmento AB, specificamente nel tratto MN, definito
dall’intersezione delle circonferenze di troncatura esterne con AB. Durante il
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contatto il punto si muove lungo tale segmento, causando di fatto una continua
modifica dei valori del raggio di ogni cilindro osculatore. Data tale variazione
continua del raggio relativo e dei raggi dei due cilindri osculatori occorre pro-
gettare considerando le condizioni di massima sollecitazione. L’andamento della
tensione varia a seconda del punto di contatto: quando una coppia di denti entra
in presa non è mai sola, dopo una certa distanza percorsa la coppia si trova da
sola in presa, finché la successiva coppia di denti entra in presa. Ciò significa che
la forza sarà prima condivisa tra le due coppie, poi erogata su una sola coppia e
di nuovo condivisa da due coppie di denti. Come mostrato dalle curve in fig.7,
l’andamento della tensione complessiva è perciò a scalini. Il valore massimo che
useremo per la tensione è la tensione σH (C), per progettare a fatica a favore di
sicurezza.
σH
Un dente in presa
Due denti in presa
Andamento complessivo
M C N
2 kE W (1 + τ ) kE W (1 + τ )
σH (C) = 8 =8 (21)
sin(2θ) · d21 Lω· sin(2θ) · d31 φω
Dove per ottenere sin(2θ) è stata usata una formula trigonometrica e allo stesso
tempo è stato introdotto il fattore di forma, φ = Ld . Esso è usualmente
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compreso tra 0.5 e 1, in quanto rendere i denti troppo profondi o troppo poco
profondi peggiora le condizioni di ingranamento. Il diametro della prima ruota
può essere descritto in funzione di modulo e denti, d1 = mz1 .
La tensione di Hertz e la conseguente fatica superficiale che genera, non sono
fenomeni che presentano un limite di fatica, ossia non c’è un valore tensionale
al di sotto del quale non si rischia la rottura per fatica. Per questa ragione si
usa una formula simile a quella usata per il dimensionamento dei cuscinetti:
p
C
N= (22)
L
Per poterla usare con criterio è opportuno avere una coppia di valori di tensione
e numero di cicli di funzionamento noti. Per ricavare il valore della tensione
e numero di cicli nel caso in cui non siano noti, è possibile usare la seguente
formula che definisce la tensione σrif , associata ad una vita pari a N = 106 cicli
e sfrutta la durezza Brinell, Hb :
Risulta ancora più chiara la necessità di lavorare le ruote con processi che ne
migliorino la durezza sia termici che meccanici.
Ingranaggi a denti elicoidali Gli ingranaggi a denti elicoidali sono più com-
plessi sia da realizzare che da studiare. I denti elicoidali presentano un angolo
α detto angolo dell’elica, che varia tra 15 e 35 gradi. Esso è l’angolo tra l’asse
del dente e l’asse della ruota sul piano angente alla primitiva della ruota. Tale
differenza geometrica causa delle modifiche sostanziali per lo studio tensionale
dei denti. La prima differenza riguarda la forza motrice, ossia quella
responsabile della trasmissione di potenza. La presenza dell’angolo α fa sı̀ che
si modifichi la Ft . Definendo la forza complessiva Ftot esercitata tra i denti,
notiamo che essa è applicata lungo un piano inclinato di un angolo θn rispetto
al piano tangente alla primitiva. L’angolo θn è diverso dall’angolo di pressione
θ, in quanto quest’ultimo è l’angolo tra la direzione normale al dente nel punto
di contatto e la direzione tangente alla circonferenza primitiva. La relazione che
lega questi due angoli è:
cos(α)
tan(θ) = (25)
tan(θn )
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La Ft è solo una componente della forza totale, secondo la seguente legge:
Questa riduzione della forza dovuta allo spostamento della forza non solo riduce
il valore della forza utile per la trasmissione di potenza a parità di forza totale,
ma introduce una forza assiale che andrà tenuta in considerazione nella scelta
dei cuscinetti e dei supporti.
La seconda differenza riguarda il modulo. La presenza dell’angolo α rende
necessaria la distinzione tra un modulo normale mn ed un modulo standard della
ruota m. Ciò è dovuto al fatto che l’inclinazione dei denti implica che la distanza
tra di essi si valutabile sia tramite il passo normale, ossia Pbn , ossia la distanza
tra due denti in direzione normale ad essi, sia tramite il passo standard pb il
quale è la distanza tra i denti in direzione circonferenziale. Come è intuitivo
pensare si ha che:
pbn
pb = (27)
cos(α0 )
Ricordando la relazione che lega il modulo al passo, risulta immediato:
mn
m= (28)
cos(α0 )
Questa si ripercuote anche sul valore del raggio della ruota elicoidale: a parità
di modulo una ruota elicoidale ha un raggio maggiore di una ruota a denti dritti,
a causa dell’angolo α0 :
mz
relic = (29)
2cos(α0 )
La differenza tra α ed α0 è che α è l’angolo tra la proiezione della forza totale sul
piano tangente alla primitiva e direzione tangente alla primitiva ed ortogonale
alla direzione radiale, mentre α0 è l’angolo tra forza totale e direzione normale
al dente nel punto di contatto tra due denti lungo il piano inclinato che contiene
entrambi i vettori, chiamato anche piano base. Si può anche dire che alpha è la
proiezione di α0 sul piano tangente alla primitiva. I loro valori sono legati dalla
seguente formula:
cos(θn )
sin(α) = (30)
sin(α0 )
Il motivo per cui le formule del modulo e del passo presentano il termine cos(α0 )
è che essi sono calcolati sul piano base e non sul piano tangente alla primitiva.
La terza differenza riguarda la lunghezza del contatto. Essa infatti
aumenta e non è più la lunghezza del dente ma un valore maggiore che dipende
dal ricoprimento del dente. Più precisamente si può dire che il valore di Lc sia:
λ·L Γ·L
Lc = = (31)
pbn cos(α0 ) cos(α0 )
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Ove λ è la lunghezza del segmento di contatto che avevamo prima descritto
come MN, L è la profondità del dente, e Γ è il fattore di ricoprimento, ossia un
numero adimensionale dato da Lp . Il ricoprimento che si dovrà considerare poi
nella formula di Hertz sarà sia quello della motrice che della condotta, ma ciò
sarà mostrato più avanti.
La quarta differenza riguarda il raggio relativo. Nella teoria di Hertz
per la ruota a denti dritti il raggio relativo è ottenuto considerando i cilindri
osculatori con i quali viene studiato il contatto tra denti. Nel caso elicoidale
non si hanno cilindri osculatori, ma tronchi di cono osculatori, le generatici dei
quali sono i fianchi dei denti elicoidali. Perciò il raggio relativo è differente. Più
precisamente esso è:
R1 + R2 (1 + τ )
= · cos(α0 ) (32)
R1 · R2 R1 sin(θn )
Il motivo di questa modifica sta nel fatto che non abbiamo a che fare con dei
cilindri ma con dei tronchi di cono. Questo porta ad un dubbio: qual è il
raggio del tronco di cono equivalente a quello che prima era il raggio del cilindro
osculatore? Quello che è definito come ”raggio del cilindro osculatore” in realtà
è la distanza tra l’asse del tronco di cono osculatore ed il fianco dei denti a
contatto, lungo la normale al fianco dei denti passante per il punto di contatto
tra le primitive delle due ruote. Ognuno dei due “raggi” è definito come:
Rp sin(θ)
r= (33)
cos(α0 )
Detto ciò possiamo finalmente riscrivere il valore della tensione di Hertz per
ruote a denti elicoidali:
8W (1 + τ )ke cos3 (α0 )
σh2 = 3 · (34)
ωd1 φsin(2θn ) cos(α)(Γ1 + Γ2 )
Sebbene non sia stato esplicitato nella formula di Hertz corretta, si può
notare che il valore della esso è presente nel termine d1 , secondo la formula
d = m · z. La conseguenza di usare ruote elicoidali al post di ruote a denti dritti
è vantaggioso per la tensione di Hertz, che risulta minore. Questo risulta ancora
più evidente se esprimiamo la σh2 nella seguente forma:
8W (1 + τ )ke Φ
σh2 = · (35)
ωd31 φsin(2θn ) (Γ1 + Γ2 )
Ove Φ assieme ai Γi tengono conto delle differenze tra i denti dritti e quelli
elicoidali. Sono entrambi funzioni di α e del numero di denti e difficili da calco-
lare, tendenzialmente il valore del rapporto oscilla tra i 0.5 (z piccoli) e i 0.7 (z
grandi). È evidente come le ruote elicoidali a parità di potenza trasmessa siano
caratterizzate da tensioni di Hertz minori.
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2.4 Tensione di Lewis
La fatica flessionale classica è un fenomeno che interessa le ruote durante il loro
funzionamento. Seppur tendenzialmente meno pericolosa della fatica superfi-
ciale, essa può essere problematica per cicli ad alto carico. Il motivo per cui
si parla di tensione flessionale si evince dal fatto che ogni dente è sottoposto
ad una forza avente una componente circonferenziale che genera il momento
necessario per fare ruotare l’ingranaggio. Il dente è perciò sottoposto a dei cicli
di carico periodici, con periodo dipendente dalla velocità. Inoltre la forma del
ciclo (alterno simmetrico o dallo zero ad esempio) dipende dalla maniera in cui
sono posizionati gli ingranaggi. Se immaginiamo un treno di tre ingranaggi con-
secutivi, quello di mezzo presenterà un ciclo alterno, a causa delle azioni della
prima e della terza ruota.
Ingranaggi a denti dritti Gli ingranaggi a denti dritti presentano una forza
con una componente radiale ed una componente circonferenziale. La forza radi-
ale genera delle σ di compressione di entità difficile da calcolare con precisione
ma della forma:
Fr
σ=− (36)
A
La complessità di tale calcolo è legata alla forma di A che non è costante. Questa
tensione di compressione è di entità ridotta e per questo motivo viene trascurata.
Come vedremo trascurarla è un’approssimazione a favore di sicurezza.
Il punto di contatto tra una coppia di denti ingranati non è sempre lo stesso
durante il moto; ciò fa sı̀ che l’angolo con cui la forza agisce sul dente vari
leggermente e non è sempre identico all’angolo di pressione. Detto ciò adesso
immaginiamo di considerare l’azione della forza circonferenziale sul dente. Essa
è una frazione della forza totale, e sollecita a flessione il dente. Il punto di
contatto tra le due ruote varia durante il moto. Questo fa sı̀ che le forze e i
bracci del momento varino durante l’ingranamento. Per rimanere in favore di
sicurezza scegliamo di calcolare il momento flettente come:
M = Fc · h0 (37)
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possiamo immaginare una trave a profilo parabolico con resistenza flessionale
uniforme che approssima il dente. Essa condivide la larghezza di base con il
dente, e la profondità. Il modulo di resistenza a flessione di tale trave è uniforme
ed è dato da:
L · g2
W = (40)
6
Con un’approssimazione possiamo dire che il modulo di resistenza a flessione
del dente è dato da:
L · g2
Wf = (41)
6
Questa approssimazione è evidentemente a favore di sicurezza, in quanto il dente
presenta una sezione ben più ampia della sezione usata per approssimarlo.
Dato ciò possiamo scrivere in maniera definitiva la σ:
Fc 6h
σ= · (42)
L g2
Questa espressione può essere vista anche come:
Fc 6hm Fc 1
σ= · = · (43)
Lm g 2 Lm Y
Y è il fattore di forma ed è funzione del numero dei denti, del modulo, della
larghezza della sezione del dente e dello spostamento nel caso in cui ci sia. Il
grafico rappresenta il comportamento del fattore di forma al variare del numero
di denti.
Y
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Ingranaggi a denti elicoidali Anche in questo caso gli ingranaggi a denti
elicoidali si rivelano essere più sicuri in termini di tensioni interne al dente. Ciò
è dovuto al fatto che il numero di denti che resistono al carico è maggiore. La
formula di Lewis viene modificata introducendo dei parametri correttivi molto
simili a quelli visti per Hertz ma leggermente differenti:
Fc Ψ
σL = · (44)
Lc mn Ye (Γ1 + Γ2 )
Dove Ψ similmente a Φ nella formula di Hertz tiene conto della correzione nec-
essaria per le ruote elicoidali rispetto a quelle a denti dritti. Ye è differente dal
fattore di forma precedente in quanto considera un numero di denti differente
dal numero reale di denti della ruota elicoidale. A parità di denti infatti la ten-
sione su una ruota elicoidale è minore della tensione su una ruota a denti dritti.
Per questo motivo il fattore di forma equivalente è calcolato considerando un
numero di denti dritti equivalenti:
zelic
zeq = (45)
cos3 (α)
Tale valore deriva da considerazioni sul modulo della ruota elicoidale e sul di-
ametro. Per cui quando dovremmo valutare Yeq dovremmo farlo usando le
tabelle a denti dritti considerando il numero equivalente di denti zeq .
20
3 Dischi
L’analisi dello stato tensionale di un disco è molto importante per le applicazioni
industriali. Molti corpi possono essere studiati come dischi, od hanno forma di
disco. Basti pensare a qualsiasi tipo di ruota dentata calettata su un albero
come mostrato in figura 9, oppure mozzi , mantelli di serbatoi cilindrici etc..
• Sono assialsimmetrici
• Lo spessore è molto minore del diametro
• Carichi sono radiali e assialsimmetrici
• Assenza di brusche variazioni nei carichi
21
3.1 Equazioni per dischi assialsimmetrici a spessore costante
Bilancio delle forze radiali Preso un concio infinitesimo di disco, mostrato
in figura, vogliamo descrivere l’ equazione di equilibrio delle forze radiali. Essa
è data da:
dFr = dFre − dFri − 2dFc sin(dθ) + dFi (46)
I primi due termini dFre , dFri , sono le forze radiali dovute alle σr . Tali forze
sono orientate verso l’esterno della superficie e in direzione radiale. Il secondo
termine 2dFc sin(dθ) è invece la somma dei contributi delle forze dovute alle
σc . Il fatto che il concio sia infinitesimo ci permette di dire che sin(dθ) ≈ dθ.
L’ultimo termine dFi rappresenta le forze inerziali di natura centrifuga, dovute
alla rotazione del disco, nel caso in cui esso ruoti. I vari termini possono perciò
essere riscritti come:
• dFe = (σr + dσr )(r + dr) · [2dθ(r + dr)(h + dh)]
• dFi = (σr − dσr )(r − dr) · [2dθ(r − dr)(h − dh)]
• dFC · dθ = σc [2dr · h]dθ
• dFi = ρ[4rdrhdθ]ω 2 r
I termini in [...] sono le aree sulle quali insistono le varie forze nelle prime tre
equazioni, mentre nella quarta è il volume del concio che è sottoposto a forze
inerziali. Inserendole nell’equazione precedente e semplificando si ottiene:
d(σr hr)
− σc h + ρω 2 hr2 = 0 (47)
dr
Spesso i dischi presentano non solo uno spessore sottile, ma anche costante. Ciò
ci permette di semplificare l’equazione di bilancio rendendola:
d(σr r)
− σc + ρω 2 r2 = 0 (48)
dr
Nel paragrafo successivo useremo questa stessa equazione espressa in funzione
di σc , ossia:
d(σr r)
σc = + ρω 2 r2 (49)
dr
Congruenza tra deformazione radiale e circonferenziale La condizione
di congruenza tra deformazioni fornisce la seconda equazione di cui abbiamo
bisogno. Immaginando una deformazione del concio come in figura, possiamo
dire che la deformazione radiale sia:
l − l0 du
r = = (50)
l0 dr
Definendo invece la deformazione circonferenziale abbiamo che essa risulta es-
sere:
u
c = (51)
r
22
Ragione per cui possiamo esprimere la r come:
dc
r = c + r (52)
dr
Sostituendo in questa equazione l’espressione di Poisson che lega tensione e
deformazione abbiamo:
1 1 d(σr − νσc )
· (σr − νσc )α∆T = · (σc − νσr ) + + Eα∆T + α∆T (53)
E E dr
Dove è stato aggiunto per ragioni di completezza il termine di dilatazione ter-
mica, α∆T . Adesso sostituiamo l’eq. di bilancio delle forze radiali in questa ed
otteniamo:
dσ 2 dσr dT
r2 2r + 3r + (3 + ν)ρω 2 r2 + Eα =0 (54)
dr dr dr
Questa è l’equazione differenziale da cui otterremo il valore della σr in ogni
esercizio ed applicazione. Il valore della σc deriva invece dall’altra equazione,
una volta nota la tensione radiale.
Applicazioni Analizziamo caso per caso il campo tensionale che incontr-
eremo, a partire dalle condizioni di lavoro dei dischi. Più tipi di condizioni
potrebbero verificarsi simultaneamente, ad esempio un disco in rotazione a ve-
locità costante con pressione interna. Per valutare lo stato tensionale in questo
caso studiamo separatamente i singoli contributi dovuti ad ogni singolo fattore,
ω e Pi , ed otteniamo le tensioni risultanti come somma.
3.2 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sotto-
posto a pressione interna
Nel caso in cui l’unica azione sia una pressione interna le equazioni che de-
scrivono il disco divengono:
d(σr r)
dr = σc
(55)
dσr2
r dr2 + 3 dσ
dr
r
= 0
Da ciò risolviamo l’equazione differenziale in σr e poi ricaviamo il valore di σc .
La soluzione della seconda equazione differenziale è:
B2
σr = B1 + (56)
R2
Dove il valore dei termini costanti si ricava dalle condizioni al contorno. Da
questa deriva facilmente il valore della σc :
B2
σc = B1 − (57)
R2
Per un disco sottoposto solamente a pressione interna possiamo inserire le seguenti
condizioni al contorno:
σr (Ri ) = −Pi
(58)
σr (Re ) = 0
23
Questo comporta che per un disco sottoposto a pura pressione interna i valori
delle σ saranno:
Ri2 ·Re2
σr (R) = Re2P−R
i 2
2 Ri − R2
i
(59)
σc (R) = Pi 2
2
Ri ·Re2
R +
R2 −R2e
i i
R2
Il che mostra una soluzione che presenta una σr di compressione lungo l‘intero
raggio, mentre la σc è di trazione a prescindere dal raggio e decresce all’aumentare
del raggio. Ciò ci permette di analizzare il valore della sigma equivalente di Von
vm
Mises, σeq , per comprendere ancora meglio quali siano i punti critici per la
vm
tensione. La σeq si ricava come:
vm
p
σeq = σr2 + σc2 − σr σc (60)
Il grafico indica come il punto più sollecitato del disco sia il al raggio interno
Ri . Ciò è dovuto al fato che la tensione di Von Mises è data da una somma di
fattori che accentuano la criticità tensionale proprio sul raggio interno. Questa
condizione è molto comune sui dischi e ciò sarà evidente dai successivi punti.
σ σr
σc
vm
σeq
P
R
Ri Re
(62)
2 2
Pe R ·R
σc (R) = − R2 −R2 Re2 + iR2 e
e i
24
σ σr
σc
vm
σeq
R
Ri Re
Dove la differenza sta nella coincidenza al centro del disco, o per raggio nullo, tra
la tensione radiale e circonferenziale. Questa condizione può essere soddisfatta
unicamente se:
B2 = 0 (65)
ciò fa si che le tensioni non dipendano dal raggio del disco ma siano costanti
ovunque su di esso:
σr = σc = −Pe (66)
Il che porta ad una situazione differente ossia uno stato costante ed uguale
sull’intero disco.
25
σ σr
σc
vm
σeq
R
Re
Perciò la soluzione complessiva sarà data dalla somma della particolare più
l’omogenea. La costante B3 può essere calcolata sostituendo la soluzione parti-
colare nell’equazione differenziale di partenza sovrascritta. Sostituendo la par-
ticolare all’interno di tale espressione si ricava che:
3+ν 2
B3 = − ρω (69)
8
Per cui si ottiene che le due tensioni principali saranno:
B2 3+ν
2 2
σr = B1 + R 2 − 8 ρω R
(70)
σ = B − B2 − 1+3ν ρω 2 R2
c 1 R2 8
26
3.6 Disco assialsimmetrico forato rotante a velocità costante
Data l’assenza di azioni esterne le tensioni radiali sono nulle :
B2 3+ν
2 2
σr (Ri ) = B1 + Ri2 − 8 ρω Ri = 0
B2 3+ν
2 2 (71)
σr (Re ) = B1 + R2 − 8 ρω Re = 0
e
σ σr
σc
vm
σeq
R
Ri Re
(a) Tensioni sul disco (b) Disco forato in rotazione
27
3.7 Disco assialsimmetrico pieno rotante a velocità costante
Un disco assialsimmetrico pieno sottoposto a rotazione modifica una delle due
condizioni al contorno, analogamente a quanto succedeva ai dischi fermi:
σr (0) = σc (0)
B2 3+ν
2 2 (75)
σr (Re ) = B1 + Re2 − 8 ρω Re = 0
σ (R) = ρω 2 3+ν
2
Re − R 2
r
8
(77)
σr (R) = ρω 2 ( 3+ν 1+3ν
2 2
8 Re − 8 R
σ σr
σc
vm
σeq ω
R
Re
(a) Tensioni sul disco (b) Disco pieno in rotazione
28
interno del mozzo è leggermente minore del raggio esterno del componente su
cui è calettato. Definiamo perciò l’interferenza:
i = re − Ri (78)
i = ue − ui (79)
29
Noto il valore di P, adesso siamo in grado di esprimere l’ equazione che descrive
l’ interferenza, in funzione delle tensioni secondo la legge di Hooke, per cui:
ur,e (R) = E1 σr,e − νσc,e
(83)
u (R) = 1 σ − νσ
r,i E r,i c,i
Affinché ciò sia rispettato è necessario considerare dei profili a spessore variabile.
Il motivo di ciò si evince dalle equazioni che descrivono il bilancio delle forze
radiali ottenuto nei paragrafi precedenti. Date le ipotesi considerate otteniamo:
d(σhr)
− σh + ρω 2 hr2 = 0 (87)
dr
Dividiamo per σ e sviluppiamo i calcoli:
dh ρω 2 rdr
+ =0 (88)
h σ
Integrando questa equazione a variabili separabili otteniamo il valore dello spes-
sore in funzione del raggio del disco r, che presenta una tensione uniforme:
2 −R2 )
ρω(Re
h = he e 2σ (89)
30
4 Tubi
Definiamo tubi tutti gli oggetti che hanno una direzione di sviluppo principale
e presentano le seguenti caratteristiche:
• s << D, spessore sottile rispetto al diametro
• sono simmetrici rispetto all’asse di sviluppo
• sono sottoposti da azioni assialsimmetriche
• L >> D, la lunghezza è molto maggiore del diametro
Qualora un tubo presenti una sezione che varia bruscamente, o magari su di
esso è calettato un disco, ed il sistema è sottoposto a forze esterne, avremo
un’espansione differenziale del tubo. Essa è dovuta alla rigidezza variabile
causata dalla diversa geometria dei due componenti considerati. Se infatti pren-
diamo in esame un tubo che presenta una sezione che varia bruscamente, avremo
che la porzione a spessore maggiore si deformerà di meno e impedirà al tratto
di tubo più sottile di deformarsi liberamente nella zona di contatto. Questo im-
pedimento si esplica con delle forze di taglio e dei momenti. Come possiamo va-
lutare lo spostamento radiale del tratto di tubo sottile di fronte all’applicazione
di queste azioni da parte del tratto più spesso di tubo? Come esprimiamo la
relazione che lega la spostamento radiale alle forze e ai momenti imposti? Come
variano tali spostamenti lungo x? Per rispondere a queste domande è necessario
introdurre dei modelli che permettano di descrivere il comportamento del tubo
nell’ipotesi prescritte.
4.1 Modello di studio per tubo sottile
L’idea di base è studiare il tubo come se fosse composto da delle travi a sezione
trapezoidale attorno alle quali sono poste delle tenute, che le tengono insieme.
La prima ipotesi di studio è che non ci siano tensioni radiali, ma esclusivamente
tensione assiali, ossia nella direzione di sviluppo del tubo, e circonferenziali. Il
tratto di tubo sottile del caso descritto nel paragrafo precedente subisce una
forza di taglio ed un momento flettente impressi dalla parte spessa del tubo
sulla superficie di bordo tra i due tratti. Tali valori li descriviamo con forze e
momenti per unità di sviluppo circonferenziale. Il taglio per unità di sviluppo
circonferenziale è Q0 , mentre il momento per unità di sviluppo circonferenziale
è M0 . Tali momenti e tagli sono presenti non solo nella regione di bordo ma
anche lungo la direzione di sviluppo. I valori ed il comportamento di tali azioni
verranno quantificati più avanti e saranno descritti come m(x) e t(x). Detto ciò
possiamo cominciare a considerare quali sono i vari contributi alla σa e alla σc .
Tensione assiale Il primo contributo alla tensione assiale è dovuto ad M0 . La
flessione genera una tensione flessionale che presenta un andamento a farfalla
con massimi sulla superficie esterna ed interna del tubo, il cui segno dipende
dal verso di M0 . Il modulo di tale tensione massima è dato da:
m(x)h
σaf lex = (90)
2I
31
È importante specificare il valore del momento d’area, I, il quale è espresso
come momento d’area per unità di sviluppo circonferenziale. Questo significa
che se prendiamo in considerazione la singola trave il momento d’area sarà:
1 · h3
I= (91)
12
Dove 1 è appunto la base della sezione della trave, nonché l’unità di sviluppo
circonferenziale di cui abbiamo parlato. Nel caso sia presente una pressione
interna che agisce sulle pareti del tubo è possibile calcolare il valore di tale
contributo sfruttando la formula di Mariotte. Per questo motivo la tensione
dovuta alla pressione interna sarà:
Pi rt
σaPi = (92)
2ht
Dove rt , ht sono rispettivamente il raggio del tubo e lo spessore. La tensione
assiale sarà perciò complessivamente data da:
6m(x) Pi rt
σa = ± + (93)
h2 2ht
Tensione circonferenziale La tensione circonferenziale presenta più con-
tributi. La componente anticlastica mantiene la congruenza tra le pareti laterali
delle travi. La σcac infatti si oppone alla tensione assiale che porterebbe le sezioni
delle travi adiacenti a compenetrarsi o separarsi a seconda del momento flettente
applicato. Il valore del contributo della σc anticlastico è dato da:
Ew(x)
σcH = (96)
rt
32
Dove rt è il raggio del tubo e w(x) è lo spostamento radiale del tratto di tubo
sottile al variare di x.
Nel caso in cui ci sia una pressione interna al tubo la quale agisce sulle pareti
di esso si ha un contributo circonferenziale alla tensione dovuto alla
pressione interna alla Mariotte:
Pi rt
σcPi = (97)
ht
La σc complessiva è:
6m(x) Ew(x) Pi rt
σc = ±ν + + (98)
h2 rt ht
Equazione di bilancio delle azioni radiali del concio Note le tensioni
della trave è possibile ricavare il comportamento di w(x) lungo il tubo. Prendi-
amo in esame il bilancio delle forze radiali:
d4 w(x) Eh
+ w(x) = 0 (104)
dx4 Dr2
La soluzione di questa equazione differenziale è:
33
Dove il fattore λ è usato per snellire l’ espressione e vale:
Eh
λ4 = (106)
Dr2
I valori di C e ψ si ricavano dalle condizioni al contorno, a seconda del tipo
di problema studiato. Oltre allo spostamento è utile definire la rotazione della
sezione rispetto all’indeformata Φ(x), il momento al variare della x e il taglio al
variare della x:
√
Φ(x) = − 2Cλ e−λx sen(λx + ψ − π4 )
m(x) = 2DCλ2 e−λx sen(λx + ψ − π2 )
(107)
√
t(x) = − 2 2DCλ3 e−λx sen(λx + ψ − 3π
4 )
Come indicato nella figura sottostante il punto più sollecitato, ossia quello che
presenta momento più elevato è circa a π4 . Nel caso in cui però siano presenti più
34
w, φ w m, t m
φ t
x x
π π 3π π 5π 3π 7π 2π π π 3π π 5π 3π 7π 2π
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ
azioni esterne simultaneamente occorrerà valutare anche altri punti che per il
taglio applicato al bordo sembrerebbero meno pericolosi o addirittura trascur-
abili, ma il loro stato tensionale potrebbe essere il peggiore. Ciò può essere
dovuto a azioni di entità maggiore oppure alla compensazione o accentuazione
degli effetti.
σ σa σ σa
σc σc
vm vm
σeq σeq
x x
π π 3π π 5π 3π 7π π π π 3π π 5π 3π 7π π
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ
(a) Stato tensionale sulla parete (b) Stato tensionale sulla parete
esterna lungo il tubo interna lungo il tubo
35
4.2.2 Tubo Sottoposto a solo Momento Flettente per unità di sviluppo
circonferenziale M0
Preso un tubo sottile sottoposto a solo momento flettente per unitá di sviluppo
circonferenziale, descritta come M0 , applicato sul bordo, avremo che le con-
dizioni al contorno saranno:
(
t(0) = 0
(111)
m(0) = M0
w, φ w m, t m
φ t
x x
π π 3π π 5π 3π 7π 2π π π 3π π 5π 3π 7π 2π
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ
36
σ σa σ σa
σc σc
vm vm
σeq σeq
x
x
π π 3π π 5π 3π 7π 2π
π π 3π π 5π 3π 7π 2π 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ
(a) Stato tensionale sulla parete (b) Stato tensionale sulla parete
esterna lungo il tubo interna lungo il tubo
37
Il secondo caso genera lo stesso stato tensionale e conseguentemente la stessa
deformazione ma con una differenza, la forma della pi :
ρω 2
3
rt − ri3
Fi
pi = = · (119)
A rt 3
Dopodiché i calcoli procedono in maniera identica a quanto visto nel primo caso.
38
5 Piastre Sottili
Si definiscono piastre sottili tutte quelle piastre che presentano uno spessore di
molto inferiore alle altre grandezze di riferimento di una piastra, ossia larghezza
e lunghezza. L’ipotesi di spessore sottile ha delle importanti conseguenze:
Oltre a ciò è importante specificare che gli assi della terna che usiamo per la
descrizione del problema sono rivolti nella seguente maniera e l’origine giace sul
piano medio, che separa la piastra in due parti simmetriche. La deformazione
piana e la tensione piana fanno si che ci si possa dire:
E
σx = 1−ν 2 (x + νy )
(120)
σ = E
y 1−ν 2 ( y + νx )
Dove E 0 = 1−ν
E
2 è il modulo di Young a contrazione laterale impedita. Definendo
Possiamo inoltre dire che i raggi di curvatura sono funzione delle derivate sec-
onde dello spostamento lungo z della trave w(x, y) nelle rispettive direzioni:
1 d2 w
= (122)
Rxi dx2i
39
5.1 Piastre circolari
Le piastre circolari sono un sottogruppo di quelle a spessore sottile che presen-
tano una sezione circolare. Per descriverle è conveniente definire delle coordi-
nate cilindriche. Sostituiamo perciò le coordinate planari x, y con le coordinate
cilindriche r, raggio della sezione e φ, angolo di rotazione della sezione rispetto
all’asse z. Esso per convenzione sarà caratterizzato da segni negativi quando
legato alla deformazione dovuti alla maniera in cui è stata posizionata la terna
di riferimento (z verso il basso). I raggi di curvatura risultanti sono:
Rφ = φr
1
(124)
1 dφ d2 w
Rr = dr = dr 2
Dove queste relazioni sono valide solo per piccoli spostamenti. Lo stato tension-
ale è descritto perciò cosı̀:
Ez 1 ν
σr = 1−ν 2 R + R
r φ
(125)
Ez 1 ν
σ =
y 1−ν 2 Rφ + Rr
40
cui è presente sempre il termine rdθ, oppure (r + dr)dθ. L’equazione dopo le
semplificazioni si riduce a:
dmr
mr + r − mφ + tr = 0 (129)
dr
Combinando insieme quanto detto in precedenza, otteniamo:
2
dφ r d φ νdφ νφ φ νdφ
D + + rD + − 2 −D + = −tr (130)
dr φ dr2 rdr r r dr
Il valore delle forze di taglio per unità di lunghezza può essere espressa come:
p qπr2
t= + (131)
2πr 2πr
Dove il termine proporzionale a p è il taglio dovuto ad una carico concentrato
applicato idealmente su un punto della piastra, mentre il termine proporzionale
a q è dovuto alle forze distribuite. Semplificando arriviamo a:
d2 φ 1 dφ
φ 1 p qr
+ − = − + (132)
dr2 r dr r2 D 2πr 2
La qualche può essere riscritta come:
d 1 d(φr) 1 p qr
=− + (133)
dr r dr D 2πr 2
Procedo con i seguenti passi:
1. Prima integrazione in dr.
2. Moltiplicazione per r in ambo i membri.
3. Seconda integrazione in dr.
4. Divisione per r.
5. Passaggio da φ a − dw
dr , dove il segno è dovuto alla convenzione usata per
l’asse z.
6. Terza integrazione in dr.
Step 1:
qr2
1 d(φr) 1 p
=− ln(r) + − C1 (134)
r dr D 2π 4
Step 2:
qr2
d(φr) r p
=− ln(r) + − C1 r (135)
dr D 2π 4
Step 3:
1 p r2 r3 qr4
C1 2
φr = − ln(r) − + − r − C2 (136)
D 2π 2 4 16 2
41
Step 4:
r2 qr3
1 p r C1 C2
φ=− ln(r) − + − r− (137)
D 2π 2 4 16 2 r
Step 5:
r2 qr3
dw 1 p r C1 C2
= ln(r) − + + r+ (138)
dr D 2π 2 4 16 2 r
Step 6:
1 p r2 r3 qr4
C1 2
w(r) = ln(r) − + + r + C2 ln(r) (139)
D 4π 2 2 64 4
5.2 Esempi di Piastre
Piastra incastrata La piastra circolare incastrata è incastrata lungo tutto il
suo perimetro. Su di essa è applicata un carico uniformemente distribuito, q.
q
42
σ σr
σθ
vm
σeq
r
R
M M
43
Piastra Incernierata con azione uniformemente distribuita Questo
caso è un caso particolare in cui la piastra presenta un carico distribuito ma
è incernierata.
q
Il sistema può essere studiato considerato una somma del primo esempio e del
secondo esempio nella seguente maniera:
q
Minc Minc
Minc Minc
(146)
2
qR2 (3+ν)
mθ (r) = − qr (1+3ν)
16 + 16
44
Da questi valori si ricavano le tensioni σr , σθ :
6mθ
σθ (r) = ± h2
6mr (147)
σr (r) = ± h2
σ σr
σθ
vm
σeq
r
R
45