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Costruzione di Macchine

Claudio Di Pietro

2019/2020

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Contents
1 Trasmissioni 3
1.1 Trasmissioni Meccaniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.1 Trasmissioni per attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.2 Trasmissioni per interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . 5

2 Ingranaggi e Ruote Dentate 6


2.1 Interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.2 Tensione nelle ruote dentate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.3 Tensione di Hertz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.4 Tensione di Lewis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

3 Dischi 21
3.1 Equazioni per dischi assialsimmetrici a spessore costante . . . . . 22
3.2 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sottoposto a pres-
sione interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
3.3 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sottoposto a pres-
sione esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3.4 Disco pieno assialsimetrico a spessore costante sottoposto a pres-
sione esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
3.5 Effetto della velocità sui dischi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
3.6 Disco assialsimmetrico forato rotante a velocità costante . . . . . 27
3.7 Disco assialsimmetrico pieno rotante a velocità costante . . . . . 28
3.8 Calettamento tra dischi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
3.9 Dischi a tensione uniforme a spessore variabile . . . . . . . . . . 30

4 Tubi 31
4.1 Modello di studio per tubo sottile . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
4.2 Applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.2.1 Tubo Sottoposto a sola Forza di Taglio per unità di sviluppo
circonferenziale Q0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.2.2 Tubo Sottoposto a solo Momento Flettente per unità di
sviluppo circonferenziale M0 . . . . . . . . . . . . . . . . 36
4.2.3 Tubo in Rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4.2.4 Tubo Sottoposto a pressione interna . . . . . . . . . . . . 37

5 Piastre Sottili 39
5.1 Piastre circolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
5.2 Esempi di Piastre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

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1 Trasmissioni
Le trasmissioni hanno lo scopo di trasferire potenza. A seconda del tipo di
energia utilizzata si definiscono vari tipi di trasmissioni. Le trasmissioni possono
essere:
• Elettriche
• Pneumatiche
• Idrauliche
• Meccaniche
Le trasmissioni elettriche trasferiscono potenza utilizzando la corrente. Tale
trasferimento è adatto al trasferimento a lunga distanza.
Le trasmissioni pneumatiche sono trasmissioni che trasmettono potenza
tramite l’aria. Gran parte degli attuatori lineari sono pneumatici. Non sono
in grado di erogare enormi potenze, nè sono facili da controllare. L’aria viene
prelevata direttamente dall’ambiente senza necessità di serbatoi o contenitori.
Le trasmissioni idrauliche trasmettono la potenza sfruttando un liquido alta-
mente viscoso. È necessario un serbatoio per il liquido. Questo tipo di trasmis-
sione può trasmettere enormi carichi.
La trasmissioni meccaniche sono quelle a rendimento più elevato, trasmet-
tono carichi discretamente elevati.
1.1 Trasmissioni Meccaniche
Le trasmissioni meccaniche sono divisibili in due macrocategorie:
• Trasmissioni per attrito
• Trasmissioni per interferenza
1.1.1 Trasmissioni per attrito
Le trasmissioni per attrito sono divise in due sottocategorie:
• Connessione diretta
• Connessione per flessibile
Un esempio di connessione diretta sono le ruote di frizione, ossia ruote metal-
liche che trasmettono potenza grazie al contatto diretto tra le due ruote. Una
delle due ruote è motrice e l’altra è condotta. La motrice ruota a una velocità
ω1 , la condotta ω2 . La velocità tangenziale è uguale:

V = ω1 R1 = ω2 R2 (1)

Il rapporto di trasmissione è definito come il rapporto tra le velocità angolari:


ω1 R2
τ= = (2)
ω2 R1

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La ruota motrice mette in moto la condotta tramite l’attrito. Per trasmet-
tere potenza la ruota motrice applica un momento sulla condotta grazie alla
forza d’attrito.Le ruote si scambiano ortogonalmente alla superficie di contatto
(idealmente un punto) una forza verticale N, che causa una forza d’attrito:
F =f ·N (3)
Maggiore sarà la coppia da trasmettere maggiore dovrà essere la forza d’attrito
tangenziale agente tra le ruote. Per aumentare tale contributo è necessario
alternativamente aumentare il coefficiente di attrito o la forza N. Il valore di f
tra metalli è sempre circa di 0.1-0.2, ed esso con difficoltà può essere aumentato.
Da un lato perché un maggiore attrito causa una maggiore usura, dall’altro
perché è necessario usare materiali particolari, come la sabbia, per permetterne
un aumento (viene fatto per i freni di emergenza dei treni). Un aumento della
forza N causa un aumento della forza trasmessa alla condotta. Il pegno da
pagare per questo è un grande aumento delle tensioni sulla ruote, che aggravano
ulteriormente i fenomeni di fatica. A ciò si aggiunge l’usura dovuta all’attrito,
che rovina rapidamente le ruote rendendole inutilizzabili. Inoltre i grandi carichi
verticali in gioco si ripercuotono sui supporti, che perciò dovranno essere molto
robusti ed ingombranti a fronte di una potenza trasmessa non molto elevata. Le
ruote di frizione sono perciò praticamente inutilizzate.

Figure 1: Ruota di frizione

Le trasmissioni per attrito per flessibile sono le cinghie. Esse trasmettono


potenza per attrito tra due pulegge, una motrice ed una condotta, che non
sono a contatto diretto. Le cinghie possono essere di materiali differenti (dalla
gomma, al composito, all’acciaio), ed avere sezione trasversale differente (cinghie
piane, trapezoidali,etc.).Esse vengono montate nella sede della pulegge con un
precarico iniziale, t0 e durante il funzionamento uno dei due tratti di cinghia
che collega le due pulegge presenta un tiro T (forza di trazione), molto maggiore
dell’altro dell’altro che presenta un tiro τ . Questa differenza è dovuta al fatto
che uno solo dei due rami trascina la puleggia condotta. Quale dei due tratti sia
quello più teso è determinato dal verso di rotazione della puleggia motrice. La
cinghia abbraccia la puleggia secondo un angolo detto angolo di abbraccio
α. Il funzionamento della cinghia si basa sull’attrito generato dalla forza N,
orientata nella direzione del raggio della puleggia. I due tiri sono legati dalla
formula:
T = τ · ef α (4)

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In generale un aumento nei due contributi presenti sull’esponente è ciò che
si ricerca. L’angolo di abbraccio può essere aumentato utilizzando elementi
terzi che obblighino la cinghia ad avvolgersi maggiormente attorno alla puleggia
motrice, tuttavia il miglioramento è limitato. Il coefficiente di attrito può es-
sere modificato scegliendo materiali come la gomma, che però non potrà essere
caricata con tiri paragonabili ad altri materiali, come l’acciaio. Il contributo
della forza d’attrito, invece, può essere modificato a seconda della geome-
tria. Una cinghia piana genera attrito sulla sua superficie inferiore, mentre
una cinghia trapezoidale presenta tre superfici sulle quali è presente attrito.
Questo è un enorme vantaggio per cui le cinghie trapezoidali vengono impiegate
molto più delle piane. Un problema nell’utilizzo di questa tipologia di cinghia
sta nell’aumento dell’altezza della sezione trasversale, h. Questo aumento causa
un’importante crescita del modulo elastico della cinghia. Ciò comporta la neces-
sità di applicare un momento flettente molto maggiore per far aderire la cinghia
sulla puleggia. Conseguentemente la puleggia sarà sottoposta a tensione molto
più elevate. Le maniere di risolvere questo problema sono due:

• Si può realizzare una sezione differente, simil-trapezoidale, che presenta


più intagli di spessore ridotto, nella parte centrale della cinghia. Essa va
accoppiata con una puleggia che presenta un profilo complementare. In
questa maniera si è ottenuto un risultato analogo con uno spessore molto
ridotto.

• Si può realizzare la cinghia in materiale composito mettendo il materiale


più resistente sull’asse neutro. Questo causa un aumento solo modesto
della rigidezza a flessione.
La presenza di tensioni variabili lungo cinghia causa fenomeni di fatica molto
problematici per il corretto funzionamento della trasmissione. Un altro grave
problema delle cinghie dovuto alle tensioni variabili lungo la cinghia è lo slitta-
mento. Esso è dovuto alla presenza di deformazioni differenti nei due tratti non
impegnati sulle pulegge. Ciò significa che il tratto di cinghia impegnato nella
puleggia deve passare da una deformazione maggiore ad una minore, passando
dal ramo più caricato (motore) a quello non molto caricato (condotto). Ciò
comporta uno slittamento tra cinghia e puleggia. Questo causa una trasmis-
sione di potenza non costante, con un rendimento variabile. Nel caso ideale
in cui non fosse presente slittamento si può definire il rendimento come τ 0 = ωω1 .
1.1.2 Trasmissioni per interferenza
Le trasmissioni per interferenza sono divise nelle stesse due categorie delle
trasmissioni per attrito. Partiamo stavolta dalle trasmissioni per interferenza
flessibili.
Le cinghie dentate sono simili alle cinghie per attrito con la differenza che
presentano dei “denti” che si impegnano in degli appositi incavi nelle pulegge.
Questo permette a tali cinghie di trasmettere una maggiore potenza e di realiz-
zare una trasmissione senza slittamento, perciò con un rapporto di trasmissione
costante.

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Un altro tipo di trasmissione flessibile per interferenza sono le catene. Le
catene sono trasmissioni molto resistenti ed adatte ad utilizzi in condizioni es-
treme: sporcizia, grandi variazioni di temperatura e carichi abbastanza elevati.
Ciò è dovuto a come sono fatte: le catene sono formate da una serie di perni
collegati tra loro da delle piastrine. I perni permettono una parziale rotazione
relativa delle singole maglie tra loro. Le catene si impegnano su un apposito al-
loggiamento fatto in maniera tale che ci sia un’alternanza tra perni della catena
e denti della puleggia. Questa alternanza fa sı̀ che quando l’alloggiamento (pu-
leggia con denti) comincia a ruotare, i denti dell’alloggiamento vanno a toccare
i perni della catena trascinandoli durante la rotazione. Questo urto tra dente e
perno causa un problema per la catena, in quanto genera vibrazioni e fenomeni
di fatica per i denti. Il rapporto di trasmissione non è costante.
La più importante trasmissione meccanica per interferenza sono le ruote den-
tate e ingranaggi che rientrano tra le trasmissioni dirette.

2 Ingranaggi e Ruote Dentate


Le ruote dentate sono organi di trasmissione di potenza. Esse sono delle ruote
che presentato dei denti con particolari profili, intervallati da cave che hanno lo
scopo di garantire l’ingranamento tra le due ruote. La ruota motrice durante
il suo movimento ingrana sulla ruota condotta. I denti in contatto esercitano
delle forze che spingeranno la condotta a ruotare, fornendo ad essa potenza, ad
elevato rendimento. I tipi di di accoppiamenti tra ruote dentate sono differenti
a seconda dell’orientamento reciproco tra gli assi delle ruote. Le tipologie sono:

• Ad assi paralleli
• Ad assi incidenti
• Ad assi sghembi
Le ruote ad assi paralleli sono le più facili da realizzare, nonché le più comuni.
Sono le più semplici da realizzare e le più facili da far funzionare in quanto
sono in grado di funzionare correttamente anche con qualche errore di montag-
gio, ad esempio un un interasse maggiore di quello previsto. Le ruote ad assi
incidenti possono avere diverse forme e tecnologie di realizzazione. Un esem-
pio di tali ruote sono le ruote elicoidali, esse sono di complessa realizzazione e
richiedono particolare attenzione durante il montaggio, in quanto non tollerano
alcun errore di montaggio. Infine le ruote ad assi sghembi vengono di solito imp-
iegate in applicazioni che non prevedono il moto retrogrado. Tale peculiarità è
ottenuta realizzando trasmissioni ad elevato strisciamento, con rendimenti infe-
riori al 50%. I paragrafi successivi riguardano esclusivamente ingranaggi ad assi
paralleli.
I denti delle ruote possono essere:

• Diritti
• Obliqui o elicoidali

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La scelta del tipo di denti dipende fortemente dalle caratteristiche richieste nella
trasmissione. I denti obliqui garantiscono un moto continuo e molto fluido e una
gradualità nell’applicazione del carico. Lo svantaggio rispetto ai denti diritti
sono le spinte assiali che caricheranno assialmente i cuscinetti e i supporti, i
quali andranno progettati di conseguenza.
Cinematica degli ingranaggi a denti dritti Come funzionano le ruote
dentate in dettaglio? Perché i denti hanno profili particolari, ad esempio ad
evolvente? Per comprendere il funzionamento delle ruote occorre immaginare
il funzionamento di un’ipotetica trasmissione, che presenta due pulegge una
motrice ed una condotta collegate da una cinghia. La cinghia solidale ad en-
trambe le ruote fa sı̀ che alla rotazione della motrice corrisponda una rotazione
della condotta. L’azione della cinghia sulle pulegge consiste in una forza che
ha direzione definita dal segmento di cinghia che le collega. Adesso prendiamo
un generico punto P appartenente al segmento e osserviamo la traiettoria che
esso ha rispetto alla motrice, ossia la traiettoria che ha rispetto ad una terna di
riferimento solidale alla puleggia motrice: la traiettoria è un evolvente di cer-
chio. Tale evolvente si ottiene osservando la traiettoria tracciata da un punto
appartenente ad una semiretta, la quale rotola su un cerchio. Il motivo del
disegnare i denti ad evolvente è proprio quello di avere il punto di contatto tra
i due denti sempre lungo il segmento descritto sopra. Scegliendo un profilo ad
evolvente per il dente ci assicuriamo che la forza scambiata abbia sempre la
stessa direzione. I punti di contatto tra i denti, giacciono sul segmento AB,
porzione della cinghia che li collega, tanto più sono vicini al punto medio Pm
tra i due assi delle ruote, tanto più la componente di velocità di strisciamento si
riduce, idealmente la vorremmo sempre nulla in quanto ad essa è associato una
riduzione del rendimento.
La forza che la ruota motrice esercita sulla ruota condotta ha due componenti:
• Radiale
• Circonferenziale
La forza circonferenziale è quella che causa la rotazione della condotta e la con-
seguente trasmissione di potenza, mentre la radiale non ha alcuna impatto sulla
generazione di momento. Il parametro che definisce quanto è grande la forza
circonferenziale rispetto alla forza totale F, è l’angolo di attacco. L’angolo di
attacco, θ, è definito come l’angolo tra la verticale all’interasse, passante per il
centro di rotazione relativa P (nonché punto di contatto tra le due circonferenze
primitive), e la retta d’azione, in cui e interamente contenuto il segmento AB.
θ assume di solito un valore prossimo ai 20 gradi.
Il rapporto di trasmissione, τ è dato da:
ω1 R2 r2
τ= = = (5)
ω2 R1 r1
Dove Ri sono i raggi primitivi delle ruote dentate, ossia raggi che descrivono
una circonferenza che ha centro nel centro di rotazione assoluto della i-esima

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ruota e raggio pari alla distanza tra tale punto e il punto medio dell’interasse tra
le ruote. Differentemente ri sono i raggi base delle ruote ossia i raggi calcolati
come:
ri = Ri cos(θ) (6)
Le circonferenze che hanno come raggio il raggio base sono dette circonferenze
base. Siccome l’angolo d’attacco è lo stesso per entrambe le ruote, il rap-
porto di trasmissione può essere espresso in funzione di entrambi i raggi senza
differenze. Queste considerazioni permettono di evincere un’importante con-
seguenza: l’interasse può essere variato entro certi limiti senza apportare mod-
ifiche al rapporto di trasmissione. Infatti ritornando al caso delle due pulegge
collegate da una cinghia, notiamo facilmente che all’aumentare dell’interasse,
cambia solo la pendenza del segmento di cinghia tra le ruote. Ciò comporta che
l’unico fattore che cambierà sarà l’angolo di attacco e tutto ciò che ne deriva
(raggi base, componenti delle forze, potenza trasmessa, tensione sui denti etc.).
Il rapporto di trasmissione non varia al variare dell’interasse, per pic-
cole variazioni dell’interasse tali da non compromettere l’ingranamento dei denti
della ruota.
Altri parametri fondamentali sono:
D
• Modulo, m = z . Ove z è il numero di denti.
2πR
• Passo, p = z = πm.
2πr
• Passo base, Pb = z = p · cos(θ)
Il modulo è un parametro fondamentale in quanto due ruote sono accoppiabili
se hanno stesso modulo. Esso determina in maniera univoca il passo, che a
sua volta descrive il passo base. Dobbiamo ancora definire la circonferenza di
troncatura esterna e interna, ossia le circonferenze tracciate rispettivamente
da testa e base del dente. La differenza radiale tra circonferenza di troncatura
interna e circonferenza primitiva è pari al dedendum, ded = 1.25m, mentre
la circonferenza di troncatura esterna dista radialmente dalla primitiva una
distanza pari all’addendum, add = m. Questo è vero per un proporzionamento
modulare dei denti che è una delle possibilità nella realizzazione dei denti,
Taglio degli Ingranaggi Come si realizzano le ruote dentate? Esistono
molteplici tecniche in utilizzo, le più importanti sono:
• Frese a modulo

• Dentiera
• Creatore
Le frese a modulo sono frese con uno specifico profilo in grado di eseguire un
unico modello di ruota con un dato proporzionamento modulare. Tale limite va
a sommarsi al fatto che esse realizzano ogni dente singolarmente. Sono lente e
poco versatili per questo raramente impiegate.

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Figure 2: Fresa a Modulo

Le dentiere sono dispositivi che lavorano simultaneamente su più denti. Il loro


funzionamento è più complicato a causa del movimento che è necessario eseguire
per realizzare l’asportazione di materiale. Il coltello, parte tagliente, deve essere

Figure 3: Dentiera utensile

prima avvicinato e posto a contatto con il materiale, fatto scorrere su di esso


per l’asportazione, dopodiché distaccato dalla ruota e riportato alla posizione
iniziale. Mentre viene eseguito il taglio si ha una leggera rotazione della ruota,
sulla quale scorre il coltello. Ciò è necessario per eseguire l’operazione di taglio
e generare il profilo del dente nella maniera desiderata. Quest’operazione è
abbastanza lenta a causa del movimento del tagliente.
Il creatore è invece una fresa particolare che realizza il taglio ruotando sul suo
asse e tagliando con un moto di avanzamento verticale. Tra le tre tecniche è la
più veloce, ma non può essere usato per dentature interne.
Lo strozzatore è uno strumento usato per realizzare le dentature interne.
Effetti dello spostamento della dentiera sugli Ingranaggi Quando re-
alizziamo una ruota dentata possiamo introdurre uno spostamento dell’utensile.
Esso può essere:
• Positivo, se consiste in un allontanamento dell’utensile dall’ingranaggio

• Negativo, se consiste in un avvicinamento dell’utensile all’ingranaggio.

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Figure 4: Creatore (nero) taglia ruota dentata (grigia)

Presa perciò una ruota dentata e definito un modulo ed una determinata forma
immaginiamo di eseguire un taglio senza spostamento. In un proporzionamento
modulare la ruota tagliata presenterà un dedendum ed un addendum che presen-
tano il solito proporzionamento modulare. L’utensile deve tagliare l’ingranaggio
in maniera tale da non compromettere la forma del dente.L’aggiunta di uno
spostamento fa sı̀ che l’operazione di taglio sia modificata. Più precisamente le
modifiche apportate saranno le seguenti:

• Modifica della circonferenza primitiva. Questa aumenterà qualora la den-


tiera venga allontanata e diminuirà qualora essa venga avvicinata. È di
fondamentale importanza ricordare che la circonferenza di base, invece,
non si modifica durante il taglio.

• La dimensione di addendum e dedendum. Se introduciamo uno sposta-


mento s = x · m, le dimensioni dell’addendum e del dedendum si modi-
ficano. La differenza tra i due in un proporzionamento modulare risulta
sempre uguale a 2.25m, tuttavia il dedendum sarà ded = 1.25m + s, men-
tre il dedendum sarà add = m − s. Dove s è lo spostamento con segno.
Tale cambiamento è causata dalla modifica alla circonferenza primitiva e
dal fatto che la circonferenza di base rimane invariata.
• Variazione dell’angolo di pressione, che tuttavia ignoriamo sempre nei cal-
coli e negli esercizi.
Lo spostamento positivo rende i denti più tozzi specialmente al piede del
dente. Questo porta un vantaggio in termini di robustezza della sezione a scapito
di un aumento dello strisciamento e conseguentemente un peggioramento nel
rendimento. Al contrario uno spostamento negativo, causa un indebolimento
del profilo perché la dentiera scava il dente in maniera tale da diminuirne la
sezione, indebolendo specialmente la sezione di base, ossia la più sollecitata.
Solitamente lo spostamento positivo viene eseguito sulle ruote aventi pochi denti
in maniera tale da fornire loro una maggiore resistenza a flessione, mentre quello
negativo viene eseguito sulle ruote con più denti in quanto il numero di denti in
tale caso è maggiore e capace di resistere meglio alla flessione.

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2.1 Interferenza
La condizione di interferenza nelle ruote dentate si verifica quando i profili dei
denti a contatto non sono sempre tangenti, ma si compenetrano. Praticamente la
condizione di interferenza si raggiunge quando l’addendum di una ruota dentata
è troppo grande e il dente si impunta sull’altro della seconda ruota. Ciò si verifica
quando:
add ≥ CD (7)
Questa condizione va evitata assolutamente sia durante il taglio sia durante
l’ingranamento tra ruote. La condizione di incipiente interferenza per delle
ruote senza spostamento è mostrata nella figura 5.

Tr. Est. dentiera A


D

Rb
Rp

Figure 5: Condizione di incipiente interferenza

La condizione di incipiente interferenza mostrata in figura mostra che la tron-


catura esterna della dentiera si trova ad una distanza dalla primitiva pari a CD.
Ciò significa che l’addendum del dente della dentiera è pari a CD, e in un pro-
porzionamento modulare esso equivale anche a m. Il valore della lunghezza CD
si ricava geometricamente nella seguente maniera:

CD = ACsin(θ) = Rp sin2 (θ) (8)

In caso di spostamento nullo e proporzionamento modulare standard, l’addendum


è add = m. Per questo abbiamo che l’incipiente interferenza si ha:
d d
m= = sin2 (θ) (9)
z 2
Da cui si ottiene il numero minimo di denti per evitare l’interferenza:
2
zmin = (10)
sin2 (θ)

Per le ruote a denti dritti con θ = 20◦ , il numero minimo di denti è zmin = 18.
Introducendo uno spostamento, s, la condizione di incipiente interferenza cambia
radicalmente e ciò è dovuto a quanto detto precedentemente sulla dimensione del

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dedendum ed addendum nel caso di spostamento. Più precisamente l’addendum
assume il valore:
add = m − xm = m − s (11)
Questo significa che il valore minimo dei denti realizzabili diminuisce al valore:

2(1 − x)
zmin = (12)
sin2 (θ)
s
Dove x = m . Qualora si considerino delle ruote a denti elicoidali il numero di
denti minimi viene espresso:
2
· 1 − sin2 (α)cos2 (α)

zmin = (13)
sin2 (θ)

Qualora ci sia uno spostamento la formula diviene:

2(1 − x)
· 1 − sin2 (α)cos2 (α)

zmin = 2
(14)
sin (θ)

2.2 Tensione nelle ruote dentate


Gli ingranaggi durante il loro funzionamento vanno incontro a due tipi di fatica
sui denti:
• La fatica superficiale e il pitting, ossia la formazione di vere e proprie
cave nella regione di contatto tra i denti che le rende inutilizzabili.
• La fatica flessionale classica, dovuta alla flessione causata dalle forze che
trasmettono la potenza tra la condotta e la motrice. Questa è solitamente
la meno pericolosa.

2.3 Tensione di Hertz


Il pitting è un fenomeno generato dalle elevate tensioni nella regione a contatto
tra i denti. Il fatto che la tensione sia elevata è causato dalle elevate forze
in gioco, e dalle ristrette regioni di contatto. Le azioni dei denti infatti si
svolgono lungo una porzione di dente piuttosto ristretta. La deformazione è
piana, in quanto lungo l’asse z, profondità del dente, il materiale scarico non
concede spazio alla deformazione assiale, per cui z = 0. Dato che il contatto
è localizzato in una regione ristretta, le ruote possono essere modellate con dei
cilindri osculatori a contatto, secondo la teoria di Hertz. Questa è in grado
di stimare il valore della tensione di contatto massima, σh , secondo la seguente
formula:
q R1 + R2 E10 · E20
σh2 = (15)
π R1 · R2 E10 + E20
I vari termini rappresentano:
• q = FL è il rapporto tra la forza di contatto totale tra i denti e la lunghezza
del segmento di contatto tra i denti.

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E
• E’= 1−ν 2 , è il modulo di resistenza a contrazione laterale impedita. Il
E10 ·E20
termine E10 +E20 , per due ruote dentate d’acciaio è circa uguale a 35GPa.
R1 +R2
• R1 ·R2 è il raggio relativo tra i raggi dei cilindri osculatori.
Ingranaggi a denti dritti Il termine q, può essere rappresentato come:
F Fc 2W
q= = = (16)
L L · cos(θ) d1 Lω · cos(θ)

Il modulo di resistenza a contrazione laterale impedita viene raggruppato nel


fattore kE assieme a π per cui:

1 E10 · E20
kE = (17)
π E10 + E20

I raggi R1 , R2 sono i raggi dei singoli cilindri osculatori. Essi sono la distanza
tra il punto di contatto, P, tra i due denti della ruota e l’intersezione tra la retta
d’azione e la circonferenza base di ogni ruota. Questo significa che essi sono:

R1 = AP
(18)
R2 = BP

N
B

C
A M

Figure 6: Segmento di contatto tra ruote dentate

Ciò significa che la tensione sul dente varia in funzione della posizione del punto
di contatto, in quanto varia il raggio relativo. Il punto di contatto giace ob-
bligatoriamente lungo il segmento AB, specificamente nel tratto MN, definito
dall’intersezione delle circonferenze di troncatura esterne con AB. Durante il

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contatto il punto si muove lungo tale segmento, causando di fatto una continua
modifica dei valori del raggio di ogni cilindro osculatore. Data tale variazione
continua del raggio relativo e dei raggi dei due cilindri osculatori occorre pro-
gettare considerando le condizioni di massima sollecitazione. L’andamento della
tensione varia a seconda del punto di contatto: quando una coppia di denti entra
in presa non è mai sola, dopo una certa distanza percorsa la coppia si trova da
sola in presa, finché la successiva coppia di denti entra in presa. Ciò significa che
la forza sarà prima condivisa tra le due coppie, poi erogata su una sola coppia e
di nuovo condivisa da due coppie di denti. Come mostrato dalle curve in fig.7,
l’andamento della tensione complessiva è perciò a scalini. Il valore massimo che
useremo per la tensione è la tensione σH (C), per progettare a fatica a favore di
sicurezza.

σH
Un dente in presa
Due denti in presa
Andamento complessivo

M C N

Figure 7: Tensione di Hertz durante il funzionamento della ruota dentata

Scegliendo la tensione σH (C), la formula di Hertz presenterà un raggio relativo


dato da:
AC + BC Rp1 + Rp2 2(1 + τ )
= = (19)
AC · BC sin(θ) · (Rp1 · Rp2 ) sin(θ) · d1
Ciò è dovuto al fatto che i valori AC e BC sono legati ai raggi primitivi dalla
relazione:
Rp1 · sin(θ) = AC
(20)
Rp2 · sin(θ) = BC
Detto ciò il valore finale della tensione di Hertz è dato da:

2 kE W (1 + τ ) kE W (1 + τ )
σH (C) = 8 =8 (21)
sin(2θ) · d21 Lω· sin(2θ) · d31 φω

Dove per ottenere sin(2θ) è stata usata una formula trigonometrica e allo stesso
tempo è stato introdotto il fattore di forma, φ = Ld . Esso è usualmente

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compreso tra 0.5 e 1, in quanto rendere i denti troppo profondi o troppo poco
profondi peggiora le condizioni di ingranamento. Il diametro della prima ruota
può essere descritto in funzione di modulo e denti, d1 = mz1 .
La tensione di Hertz e la conseguente fatica superficiale che genera, non sono
fenomeni che presentano un limite di fatica, ossia non c’è un valore tensionale
al di sotto del quale non si rischia la rottura per fatica. Per questa ragione si
usa una formula simile a quella usata per il dimensionamento dei cuscinetti:
 p
C
N= (22)
L

Dove N è il numero di cicli, espresso in milioni, C è il coefficiente di carico


dinamico, L è il carico totale, e p è il coefficiente di forma, in questo caso 10
3 .
Sfruttando la curva σ − N di Wohler, che descrive la vita a fatica di un elemento
sottoposto ad un ciclo alterno simmetrico, possiamo ottenere la relazione che
lega la tensione di Hertz al numero di cicli di rottura:
10
L 3 ·N = costante
20 (23)
σh · N =
3
costante

Per poterla usare con criterio è opportuno avere una coppia di valori di tensione
e numero di cicli di funzionamento noti. Per ricavare il valore della tensione
e numero di cicli nel caso in cui non siano noti, è possibile usare la seguente
formula che definisce la tensione σrif , associata ad una vita pari a N = 106 cicli
e sfrutta la durezza Brinell, Hb :

σrif = 2.76 · Hb − 70 (24)

Risulta ancora più chiara la necessità di lavorare le ruote con processi che ne
migliorino la durezza sia termici che meccanici.
Ingranaggi a denti elicoidali Gli ingranaggi a denti elicoidali sono più com-
plessi sia da realizzare che da studiare. I denti elicoidali presentano un angolo
α detto angolo dell’elica, che varia tra 15 e 35 gradi. Esso è l’angolo tra l’asse
del dente e l’asse della ruota sul piano angente alla primitiva della ruota. Tale
differenza geometrica causa delle modifiche sostanziali per lo studio tensionale
dei denti. La prima differenza riguarda la forza motrice, ossia quella
responsabile della trasmissione di potenza. La presenza dell’angolo α fa sı̀ che
si modifichi la Ft . Definendo la forza complessiva Ftot esercitata tra i denti,
notiamo che essa è applicata lungo un piano inclinato di un angolo θn rispetto
al piano tangente alla primitiva. L’angolo θn è diverso dall’angolo di pressione
θ, in quanto quest’ultimo è l’angolo tra la direzione normale al dente nel punto
di contatto e la direzione tangente alla circonferenza primitiva. La relazione che
lega questi due angoli è:
cos(α)
tan(θ) = (25)
tan(θn )

15
La Ft è solo una componente della forza totale, secondo la seguente legge:

Ft = Ftot · cos(θn )cos(α)


Fa = Ftot · cos(θn )sin(α) (26)
Fr = Ftot · sin(θn )

Questa riduzione della forza dovuta allo spostamento della forza non solo riduce
il valore della forza utile per la trasmissione di potenza a parità di forza totale,
ma introduce una forza assiale che andrà tenuta in considerazione nella scelta
dei cuscinetti e dei supporti.
La seconda differenza riguarda il modulo. La presenza dell’angolo α rende
necessaria la distinzione tra un modulo normale mn ed un modulo standard della
ruota m. Ciò è dovuto al fatto che l’inclinazione dei denti implica che la distanza
tra di essi si valutabile sia tramite il passo normale, ossia Pbn , ossia la distanza
tra due denti in direzione normale ad essi, sia tramite il passo standard pb il
quale è la distanza tra i denti in direzione circonferenziale. Come è intuitivo
pensare si ha che:
pbn
pb = (27)
cos(α0 )
Ricordando la relazione che lega il modulo al passo, risulta immediato:
mn
m= (28)
cos(α0 )

Questa si ripercuote anche sul valore del raggio della ruota elicoidale: a parità
di modulo una ruota elicoidale ha un raggio maggiore di una ruota a denti dritti,
a causa dell’angolo α0 :
mz
relic = (29)
2cos(α0 )
La differenza tra α ed α0 è che α è l’angolo tra la proiezione della forza totale sul
piano tangente alla primitiva e direzione tangente alla primitiva ed ortogonale
alla direzione radiale, mentre α0 è l’angolo tra forza totale e direzione normale
al dente nel punto di contatto tra due denti lungo il piano inclinato che contiene
entrambi i vettori, chiamato anche piano base. Si può anche dire che alpha è la
proiezione di α0 sul piano tangente alla primitiva. I loro valori sono legati dalla
seguente formula:
cos(θn )
sin(α) = (30)
sin(α0 )
Il motivo per cui le formule del modulo e del passo presentano il termine cos(α0 )
è che essi sono calcolati sul piano base e non sul piano tangente alla primitiva.
La terza differenza riguarda la lunghezza del contatto. Essa infatti
aumenta e non è più la lunghezza del dente ma un valore maggiore che dipende
dal ricoprimento del dente. Più precisamente si può dire che il valore di Lc sia:
λ·L Γ·L
Lc = = (31)
pbn cos(α0 ) cos(α0 )

16
Ove λ è la lunghezza del segmento di contatto che avevamo prima descritto
come MN, L è la profondità del dente, e Γ è il fattore di ricoprimento, ossia un
numero adimensionale dato da Lp . Il ricoprimento che si dovrà considerare poi
nella formula di Hertz sarà sia quello della motrice che della condotta, ma ciò
sarà mostrato più avanti.
La quarta differenza riguarda il raggio relativo. Nella teoria di Hertz
per la ruota a denti dritti il raggio relativo è ottenuto considerando i cilindri
osculatori con i quali viene studiato il contatto tra denti. Nel caso elicoidale
non si hanno cilindri osculatori, ma tronchi di cono osculatori, le generatici dei
quali sono i fianchi dei denti elicoidali. Perciò il raggio relativo è differente. Più
precisamente esso è:

R1 + R2 (1 + τ )
= · cos(α0 ) (32)
R1 · R2 R1 sin(θn )

Il motivo di questa modifica sta nel fatto che non abbiamo a che fare con dei
cilindri ma con dei tronchi di cono. Questo porta ad un dubbio: qual è il
raggio del tronco di cono equivalente a quello che prima era il raggio del cilindro
osculatore? Quello che è definito come ”raggio del cilindro osculatore” in realtà
è la distanza tra l’asse del tronco di cono osculatore ed il fianco dei denti a
contatto, lungo la normale al fianco dei denti passante per il punto di contatto
tra le primitive delle due ruote. Ognuno dei due “raggi” è definito come:

Rp sin(θ)
r= (33)
cos(α0 )

Detto ciò possiamo finalmente riscrivere il valore della tensione di Hertz per
ruote a denti elicoidali:
8W (1 + τ )ke cos3 (α0 )
σh2 = 3 · (34)
ωd1 φsin(2θn ) cos(α)(Γ1 + Γ2 )

Sebbene non sia stato esplicitato nella formula di Hertz corretta, si può
notare che il valore della esso è presente nel termine d1 , secondo la formula
d = m · z. La conseguenza di usare ruote elicoidali al post di ruote a denti dritti
è vantaggioso per la tensione di Hertz, che risulta minore. Questo risulta ancora
più evidente se esprimiamo la σh2 nella seguente forma:

8W (1 + τ )ke Φ
σh2 = · (35)
ωd31 φsin(2θn ) (Γ1 + Γ2 )

Ove Φ assieme ai Γi tengono conto delle differenze tra i denti dritti e quelli
elicoidali. Sono entrambi funzioni di α e del numero di denti e difficili da calco-
lare, tendenzialmente il valore del rapporto oscilla tra i 0.5 (z piccoli) e i 0.7 (z
grandi). È evidente come le ruote elicoidali a parità di potenza trasmessa siano
caratterizzate da tensioni di Hertz minori.

17
2.4 Tensione di Lewis
La fatica flessionale classica è un fenomeno che interessa le ruote durante il loro
funzionamento. Seppur tendenzialmente meno pericolosa della fatica superfi-
ciale, essa può essere problematica per cicli ad alto carico. Il motivo per cui
si parla di tensione flessionale si evince dal fatto che ogni dente è sottoposto
ad una forza avente una componente circonferenziale che genera il momento
necessario per fare ruotare l’ingranaggio. Il dente è perciò sottoposto a dei cicli
di carico periodici, con periodo dipendente dalla velocità. Inoltre la forma del
ciclo (alterno simmetrico o dallo zero ad esempio) dipende dalla maniera in cui
sono posizionati gli ingranaggi. Se immaginiamo un treno di tre ingranaggi con-
secutivi, quello di mezzo presenterà un ciclo alterno, a causa delle azioni della
prima e della terza ruota.
Ingranaggi a denti dritti Gli ingranaggi a denti dritti presentano una forza
con una componente radiale ed una componente circonferenziale. La forza radi-
ale genera delle σ di compressione di entità difficile da calcolare con precisione
ma della forma:
Fr
σ=− (36)
A
La complessità di tale calcolo è legata alla forma di A che non è costante. Questa
tensione di compressione è di entità ridotta e per questo motivo viene trascurata.
Come vedremo trascurarla è un’approssimazione a favore di sicurezza.
Il punto di contatto tra una coppia di denti ingranati non è sempre lo stesso
durante il moto; ciò fa sı̀ che l’angolo con cui la forza agisce sul dente vari
leggermente e non è sempre identico all’angolo di pressione. Detto ciò adesso
immaginiamo di considerare l’azione della forza circonferenziale sul dente. Essa
è una frazione della forza totale, e sollecita a flessione il dente. Il punto di
contatto tra le due ruote varia durante il moto. Questo fa sı̀ che le forze e i
bracci del momento varino durante l’ingranamento. Per rimanere in favore di
sicurezza scegliamo di calcolare il momento flettente come:

M = Fc · h0 (37)

Dove Fc è la forza circonferenziale in corrispondenza della primitiva, ossia quella


massima ed il braccio considerato h0 è quello massimo ossia l’altezza del dente.
Detto ciò la tensione dovuta alla flessione è;
Mf
σ=± (38)
Wf

Ossia una tensione con diagramma a farfalla. Date le scelte di approssimazione


della forza preannunciate, possiamo riscrivere:
Fc · h
σ=± (39)
Wf

Il modulo di resistenza a flessione è più complicato da ottenere. Definendo come


L la profondità del dente e g la larghezza della sezione trasversale del dente,

18
possiamo immaginare una trave a profilo parabolico con resistenza flessionale
uniforme che approssima il dente. Essa condivide la larghezza di base con il
dente, e la profondità. Il modulo di resistenza a flessione di tale trave è uniforme
ed è dato da:
L · g2
W = (40)
6
Con un’approssimazione possiamo dire che il modulo di resistenza a flessione
del dente è dato da:
L · g2
Wf = (41)
6
Questa approssimazione è evidentemente a favore di sicurezza, in quanto il dente
presenta una sezione ben più ampia della sezione usata per approssimarlo.
Dato ciò possiamo scrivere in maniera definitiva la σ:
Fc 6h
σ= · (42)
L g2
Questa espressione può essere vista anche come:
Fc 6hm Fc 1
σ= · = · (43)
Lm g 2 Lm Y
Y è il fattore di forma ed è funzione del numero dei denti, del modulo, della
larghezza della sezione del dente e dello spostamento nel caso in cui ci sia. Il
grafico rappresenta il comportamento del fattore di forma al variare del numero
di denti.
Y

Figure 8: Andamento fattore di forma

19
Ingranaggi a denti elicoidali Anche in questo caso gli ingranaggi a denti
elicoidali si rivelano essere più sicuri in termini di tensioni interne al dente. Ciò
è dovuto al fatto che il numero di denti che resistono al carico è maggiore. La
formula di Lewis viene modificata introducendo dei parametri correttivi molto
simili a quelli visti per Hertz ma leggermente differenti:
Fc Ψ
σL = · (44)
Lc mn Ye (Γ1 + Γ2 )

Questa modifica deriva dal fatto che:


Ftot
• Fc = cos(α)

(Γ1 +Γ2 )Lcos(α)


• L0c = cos2 (α0 )

Dove Ψ similmente a Φ nella formula di Hertz tiene conto della correzione nec-
essaria per le ruote elicoidali rispetto a quelle a denti dritti. Ye è differente dal
fattore di forma precedente in quanto considera un numero di denti differente
dal numero reale di denti della ruota elicoidale. A parità di denti infatti la ten-
sione su una ruota elicoidale è minore della tensione su una ruota a denti dritti.
Per questo motivo il fattore di forma equivalente è calcolato considerando un
numero di denti dritti equivalenti:
zelic
zeq = (45)
cos3 (α)

Tale valore deriva da considerazioni sul modulo della ruota elicoidale e sul di-
ametro. Per cui quando dovremmo valutare Yeq dovremmo farlo usando le
tabelle a denti dritti considerando il numero equivalente di denti zeq .

20
3 Dischi
L’analisi dello stato tensionale di un disco è molto importante per le applicazioni
industriali. Molti corpi possono essere studiati come dischi, od hanno forma di
disco. Basti pensare a qualsiasi tipo di ruota dentata calettata su un albero
come mostrato in figura 9, oppure mozzi , mantelli di serbatoi cilindrici etc..

Figure 9: Ruota dentata calettata su un albero

I dischi di cui analizziamo il comportamento soddisfano una serie di ipotesi:

• Sono assialsimmetrici
• Lo spessore è molto minore del diametro
• Carichi sono radiali e assialsimmetrici
• Assenza di brusche variazioni nei carichi

Il nostro scopo è quello di studiare lo stato di tensione interno al disco in termini


di tensione radiale e circonferenziale. Lo stato di tensione, date le ipotesi di
partenza, è infatti piano e la σa = 0. Le tensioni radiale e circonferenziale
si suppongono funzioni del solo raggio e non di altri parametri geometrici del
disco. Per descrivere lo stato tensionale dei dischi abbiamo perciò bisogno di
due equazioni, che mettano in relazione la tensione radiale e circonferenziale.
Queste due equazioni sono il bilancio meccanico delle forze radiali su un
concio infinitesimo di disco e la relazione di congruenza delle deformazioni
radiali e circonferenziali.

21
3.1 Equazioni per dischi assialsimmetrici a spessore costante
Bilancio delle forze radiali Preso un concio infinitesimo di disco, mostrato
in figura, vogliamo descrivere l’ equazione di equilibrio delle forze radiali. Essa
è data da:
dFr = dFre − dFri − 2dFc sin(dθ) + dFi (46)
I primi due termini dFre , dFri , sono le forze radiali dovute alle σr . Tali forze
sono orientate verso l’esterno della superficie e in direzione radiale. Il secondo
termine 2dFc sin(dθ) è invece la somma dei contributi delle forze dovute alle
σc . Il fatto che il concio sia infinitesimo ci permette di dire che sin(dθ) ≈ dθ.
L’ultimo termine dFi rappresenta le forze inerziali di natura centrifuga, dovute
alla rotazione del disco, nel caso in cui esso ruoti. I vari termini possono perciò
essere riscritti come:
• dFe = (σr + dσr )(r + dr) · [2dθ(r + dr)(h + dh)]
• dFi = (σr − dσr )(r − dr) · [2dθ(r − dr)(h − dh)]
• dFC · dθ = σc [2dr · h]dθ
• dFi = ρ[4rdrhdθ]ω 2 r
I termini in [...] sono le aree sulle quali insistono le varie forze nelle prime tre
equazioni, mentre nella quarta è il volume del concio che è sottoposto a forze
inerziali. Inserendole nell’equazione precedente e semplificando si ottiene:
d(σr hr)
− σc h + ρω 2 hr2 = 0 (47)
dr
Spesso i dischi presentano non solo uno spessore sottile, ma anche costante. Ciò
ci permette di semplificare l’equazione di bilancio rendendola:
d(σr r)
− σc + ρω 2 r2 = 0 (48)
dr
Nel paragrafo successivo useremo questa stessa equazione espressa in funzione
di σc , ossia:
d(σr r)
σc = + ρω 2 r2 (49)
dr
Congruenza tra deformazione radiale e circonferenziale La condizione
di congruenza tra deformazioni fornisce la seconda equazione di cui abbiamo
bisogno. Immaginando una deformazione del concio come in figura, possiamo
dire che la deformazione radiale sia:
l − l0 du
r = = (50)
l0 dr
Definendo invece la deformazione circonferenziale abbiamo che essa risulta es-
sere:
u
c = (51)
r

22
Ragione per cui possiamo esprimere la r come:
dc
r = c + r (52)
dr
Sostituendo in questa equazione l’espressione di Poisson che lega tensione e
deformazione abbiamo:
 
1 1 d(σr − νσc )
· (σr − νσc )α∆T = · (σc − νσr ) + + Eα∆T + α∆T (53)
E E dr
Dove è stato aggiunto per ragioni di completezza il termine di dilatazione ter-
mica, α∆T . Adesso sostituiamo l’eq. di bilancio delle forze radiali in questa ed
otteniamo:
dσ 2 dσr dT
r2 2r + 3r + (3 + ν)ρω 2 r2 + Eα =0 (54)
dr dr dr
Questa è l’equazione differenziale da cui otterremo il valore della σr in ogni
esercizio ed applicazione. Il valore della σc deriva invece dall’altra equazione,
una volta nota la tensione radiale.
Applicazioni Analizziamo caso per caso il campo tensionale che incontr-
eremo, a partire dalle condizioni di lavoro dei dischi. Più tipi di condizioni
potrebbero verificarsi simultaneamente, ad esempio un disco in rotazione a ve-
locità costante con pressione interna. Per valutare lo stato tensionale in questo
caso studiamo separatamente i singoli contributi dovuti ad ogni singolo fattore,
ω e Pi , ed otteniamo le tensioni risultanti come somma.
3.2 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sotto-
posto a pressione interna
Nel caso in cui l’unica azione sia una pressione interna le equazioni che de-
scrivono il disco divengono:
 d(σr r)
 dr = σc
(55)
 dσr2
r dr2 + 3 dσ
dr
r
= 0
Da ciò risolviamo l’equazione differenziale in σr e poi ricaviamo il valore di σc .
La soluzione della seconda equazione differenziale è:
B2
σr = B1 + (56)
R2
Dove il valore dei termini costanti si ricava dalle condizioni al contorno. Da
questa deriva facilmente il valore della σc :
B2
σc = B1 − (57)
R2
Per un disco sottoposto solamente a pressione interna possiamo inserire le seguenti
condizioni al contorno: 
σr (Ri ) = −Pi
(58)
σr (Re ) = 0

23
Questo comporta che per un disco sottoposto a pura pressione interna i valori
delle σ saranno: 
Ri2 ·Re2 
 σr (R) = Re2P−R
 i 2
2 Ri − R2
i
(59)
 σc (R) = Pi 2
2
Ri ·Re2 
R +

R2 −R2e
i i
R2
Il che mostra una soluzione che presenta una σr di compressione lungo l‘intero
raggio, mentre la σc è di trazione a prescindere dal raggio e decresce all’aumentare
del raggio. Ciò ci permette di analizzare il valore della sigma equivalente di Von
vm
Mises, σeq , per comprendere ancora meglio quali siano i punti critici per la
vm
tensione. La σeq si ricava come:
vm
p
σeq = σr2 + σc2 − σr σc (60)
Il grafico indica come il punto più sollecitato del disco sia il al raggio interno
Ri . Ciò è dovuto al fato che la tensione di Von Mises è data da una somma di
fattori che accentuano la criticità tensionale proprio sul raggio interno. Questa
condizione è molto comune sui dischi e ciò sarà evidente dai successivi punti.

σ σr
σc
vm
σeq

P
R
Ri Re

(b) Disco forato sottoposto a


(a) Tensioni sul disco pressione interna

3.3 Disco forato assialsimetrico a spessore costante sotto-


posto a pressione esterna
Per un disco sottoposto a pressione esterna la differenza sta nelle condizione
al contorno: 
σr (Ri ) = 0
(61)
σr (Re ) = −Pe
La σ risultanti cambiano conseguentemente:
Ri2 ·Re2 

σ (R) = − R2P−R e 2
2 Re −
 r R2

e
 i

(62)
2 2

 Pe R ·R
σc (R) = − R2 −R2 Re2 + iR2 e

e i

24
σ σr
σc
vm
σeq

R
Ri Re

(b) Disco forato sottoposto a


(a) Tensioni sul disco pressione esterna

Questa σc è sempre di compressione per qualsiasi R e va accentuandosi man


mano che ci spostiamo verso il raggio interno, cosı̀ come la σr che rimane ancora
di compressione e va ancora a 0, ma stavolta sul raggio interno. Ancora una
vm
volta lo stato tensionale peggiore si ha al raggio interno, come mostra la σeq
nel grafico. p
vm
σeq = σr2 + σc2 − σr σc (63)

3.4 Disco pieno assialsimetrico a spessore costante sotto-


posto a pressione esterna
Per un disco pieno sottoposto a pressione esterna il discorso generalmente è
simile ma le condizioni al contorno cambiano, divenendo:

σr (0) = σc (0)
(64)
σr (Re ) = −Pe

Dove la differenza sta nella coincidenza al centro del disco, o per raggio nullo, tra
la tensione radiale e circonferenziale. Questa condizione può essere soddisfatta
unicamente se:
B2 = 0 (65)
ciò fa si che le tensioni non dipendano dal raggio del disco ma siano costanti
ovunque su di esso:
σr = σc = −Pe (66)
Il che porta ad una situazione differente ossia uno stato costante ed uguale
sull’intero disco.

25
σ σr
σc
vm
σeq

R
Re

(b) Disco pieno sottoposto a


(a) Tensioni sul disco pressione esterna

3.5 Effetto della velocità sui dischi


Considerando il solo effetto della velocità l’equazione di congruenza preceden-
temente vista si modifica e diviene:
dσr2 dσr
r2 + 3r + (3 + ν)ρω 2 r2 = 0 (67)
dr2 dr
Questo fa sı̀ che la soluzione dell’equazione differenziale sia composta da una
soluzione omogenea, quella già vista precedentemente, ed un soluzione partico-
lare dovuta alla presenza di ω:

 σr = B1 + R B2
2
(68)
 σ = B R2
r 3

Perciò la soluzione complessiva sarà data dalla somma della particolare più
l’omogenea. La costante B3 può essere calcolata sostituendo la soluzione parti-
colare nell’equazione differenziale di partenza sovrascritta. Sostituendo la par-
ticolare all’interno di tale espressione si ricava che:
3+ν 2
B3 = − ρω (69)
8
Per cui si ottiene che le due tensioni principali saranno:

B2 3+ν
 2 2
 σr = B1 + R 2 − 8 ρω R
(70)
 σ = B − B2 − 1+3ν ρω 2 R2
c 1 R2 8

26
3.6 Disco assialsimmetrico forato rotante a velocità costante
Data l’assenza di azioni esterne le tensioni radiali sono nulle :
B2 3+ν
  2 2
 σr (Ri ) = B1 + Ri2 − 8 ρω Ri = 0

B2 3+ν
 2 2 (71)
 σr (Re ) = B1 + R2 − 8 ρω Re = 0

e

Dalla prima delle due condizioni ricaviamo che:


 
3+ν B2
B1 = ρω 2 Ri2 − 2 (72)
8 Ri
Sostituito nella seconda condizione al contorno permette di ottenere il valore di
B2 , dal quale deriva anche B1 :
  
3+ν

 2
 B = − 8 ρω 2 Ri2 Re2
    (73)
 B1 = 3+ν 2 2 2


8 ρω Ri + Re

Sostituendo infine nell’espressione delle tensioni radiali e circonferenziali otte-


niamo:
  
3+ν
 2 2 2 2 Ri2 Re2
 σr (R) = 8 ρω Ri + Re − R − R2


  (74)
 2 3+ν
 2 2 Ri2 Re2  1+3ν
 2
 σc (R) = ρω

8 R i + R e + R 2 − 8 R

σ σr
σc
vm
σeq

R
Ri Re
(a) Tensioni sul disco (b) Disco forato in rotazione

27
3.7 Disco assialsimmetrico pieno rotante a velocità costante
Un disco assialsimmetrico pieno sottoposto a rotazione modifica una delle due
condizioni al contorno, analogamente a quanto succedeva ai dischi fermi:

 σr (0) = σc (0)

B2 3+ν
 2 2 (75)
 σr (Re ) = B1 + Re2 − 8 ρω Re = 0

Risolvendo questo sistema otteniamo che:



 B2 = 0
(76)
3+ν

ρω 2 Re2

B1 = 8

Perciò lo stato tensionale può essere descritto come:

σ (R) = ρω 2 3+ν
 2 
Re − R 2

 r
 8
  (77)
 σr (R) = ρω 2 ( 3+ν 1+3ν
 2  2

8 Re − 8 R

σ σr
σc
vm
σeq ω

R
Re
(a) Tensioni sul disco (b) Disco pieno in rotazione

3.8 Calettamento tra dischi


Il calettamento di un mozzo su un albero può essere studiato con il modello
dei dischi nella zona in cui i due componenti sono a contatto. Questo tipo di
componenti vengono sempre montati con del forzamento per garantire un moto
solidale tra questi. Il forzamento è garantito da una differenza tra il raggio
interno del disco esterno ed il raggio esterno del disco interno interno: il raggio

28
interno del mozzo è leggermente minore del raggio esterno del componente su
cui è calettato. Definiamo perciò l’interferenza:

i = re − Ri (78)

Lo scopo durante il calettamento sarà far si che il valore dello spostamento


radiale complessivo impresso ad entrambi i pezzi sia pari all’interferenza, ossia:

i = ue − ui (79)

Dove ue , ui sono gli spostamenti radiali rispettivamente del disco esterno ed


interno, presi con segno. Questo farà si che non ci sia tra loro interferenza,
consentendo il calettamento. Quest’operazione può essere fatta in maniere dif-
ferenti, ad esempio scaldando il mozzo in maniera tale che uer > i, cosı̀ da
poterlo inserire nell’albero senza problemi. Alternativamente si può montare
a ”mazzettate” forzandolo sull’albero direttamente. Consideriamo un caletta-
mento di tipo meccanico. La condizione che imponiamo è che:
 
i = ue − ui = R0 · c,e − c,i (80)

Dove abbiamo usato un raggio intermedio tra i due raggi in considerazione,R0 , e


la legge che descrive la deformazione circonferenziale dei dischi a inizio capitolo.
Possiamo perciò esplicitare la deformazione in funzione delle tensioni. In questo
caso per l’albero, disco interno, avremo una pressione sul raggio esterno, mentre
per il mozzo, disco esterno, avremo una pressione interna. Sappiamo perciò
qual è la distribuzione di tensioni radiali e circonferenziali su entrambi i nostri
componenti:
 
DEP I P 2 R02 ·Re2   DIP E P 2 Ri2 ·R02 
 σr,e
 (R) = R2 −R 2 Re − R 2  σr,i (R) = − R2 −R 2 R0 − R2
0 0 0 i

 σ DEP I (R) = P R02 ·Re2  σ DIP E (R) = − 2 P 2 R2 +


  Ri2 ·R02 
Re2 +

c,e R02 −R02 R2 c,i R −R
0
0 R2
i
(81)
Dove DEPI sta per Disco Esterno Pressione Interna, mentre DIPE sta Disco
Interno Pressione Esterna. Entrambi gli stati tensionali sono espressi in funzione
di una stessa pressione P che è legata alla potenza trasmessa. Più precisamente
essa è dovuta al fatto che il contatto tra mozzo e albero dovrà garantire una
trasmissione di potenza, nel caso in cui il mozzo sia una ruota dentata. La
potenza in questo caso è legata alla pressione in quanto tale pressione tra i dischi
è la conseguenza dell’attrito che deve garantire la trasmissione della potenza
richiesta. Per questo motivo P è dato da:
W
P = (82)
2ωR02 Lf

Dove f è il coefficiente d’attrito, L è la lunghezza assiale del disco ed ω è la


velocità di rotazione del sistema.

29
Noto il valore di P, adesso siamo in grado di esprimere l’ equazione che descrive
l’ interferenza, in funzione delle tensioni secondo la legge di Hooke, per cui:

 ur,e (R) = E1 σr,e − νσc,e
 
(83)
 u (R) = 1 σ − νσ 
r,i E r,i c,i

Perciò sostituendo tutto in i = ue − ui , otteniamo:



2R03 P Re2 − Ri2
i= ·   (84)
E Re2 − R02 R02 − Ri2

Qualora il disco sia pieno l’espressione dell’interferenza si modifica con Ri = 0,


divenendo:
2R0 P Re2
i= ·  (85)
E Re − R02
2

Lo studio delle tensioni nei calettamenti è molto importante. Il grafico ripor-


tato mostra un comportamento altamente irregolare specialmente a cavallo della
separazione tra i dischi e dovremo valutare quale sia il punto più sollecitato con
molta attenzione.
3.9 Dischi a tensione uniforme a spessore variabile
Talvolta sono richiesti dischi a tensione costante. Ciò significa che la tensione
radiale e circonferenziale in ogni punto sono uguali:
vm
σc = σr = σeq =σ (86)

Affinché ciò sia rispettato è necessario considerare dei profili a spessore variabile.
Il motivo di ciò si evince dalle equazioni che descrivono il bilancio delle forze
radiali ottenuto nei paragrafi precedenti. Date le ipotesi considerate otteniamo:

d(σhr)
− σh + ρω 2 hr2 = 0 (87)
dr
Dividiamo per σ e sviluppiamo i calcoli:

dh ρω 2 rdr
+ =0 (88)
h σ
Integrando questa equazione a variabili separabili otteniamo il valore dello spes-
sore in funzione del raggio del disco r, che presenta una tensione uniforme:
2 −R2 )
ρω(Re
h = he e 2σ (89)

30
4 Tubi
Definiamo tubi tutti gli oggetti che hanno una direzione di sviluppo principale
e presentano le seguenti caratteristiche:
• s << D, spessore sottile rispetto al diametro
• sono simmetrici rispetto all’asse di sviluppo
• sono sottoposti da azioni assialsimmetriche
• L >> D, la lunghezza è molto maggiore del diametro
Qualora un tubo presenti una sezione che varia bruscamente, o magari su di
esso è calettato un disco, ed il sistema è sottoposto a forze esterne, avremo
un’espansione differenziale del tubo. Essa è dovuta alla rigidezza variabile
causata dalla diversa geometria dei due componenti considerati. Se infatti pren-
diamo in esame un tubo che presenta una sezione che varia bruscamente, avremo
che la porzione a spessore maggiore si deformerà di meno e impedirà al tratto
di tubo più sottile di deformarsi liberamente nella zona di contatto. Questo im-
pedimento si esplica con delle forze di taglio e dei momenti. Come possiamo va-
lutare lo spostamento radiale del tratto di tubo sottile di fronte all’applicazione
di queste azioni da parte del tratto più spesso di tubo? Come esprimiamo la
relazione che lega la spostamento radiale alle forze e ai momenti imposti? Come
variano tali spostamenti lungo x? Per rispondere a queste domande è necessario
introdurre dei modelli che permettano di descrivere il comportamento del tubo
nell’ipotesi prescritte.
4.1 Modello di studio per tubo sottile
L’idea di base è studiare il tubo come se fosse composto da delle travi a sezione
trapezoidale attorno alle quali sono poste delle tenute, che le tengono insieme.
La prima ipotesi di studio è che non ci siano tensioni radiali, ma esclusivamente
tensione assiali, ossia nella direzione di sviluppo del tubo, e circonferenziali. Il
tratto di tubo sottile del caso descritto nel paragrafo precedente subisce una
forza di taglio ed un momento flettente impressi dalla parte spessa del tubo
sulla superficie di bordo tra i due tratti. Tali valori li descriviamo con forze e
momenti per unità di sviluppo circonferenziale. Il taglio per unità di sviluppo
circonferenziale è Q0 , mentre il momento per unità di sviluppo circonferenziale
è M0 . Tali momenti e tagli sono presenti non solo nella regione di bordo ma
anche lungo la direzione di sviluppo. I valori ed il comportamento di tali azioni
verranno quantificati più avanti e saranno descritti come m(x) e t(x). Detto ciò
possiamo cominciare a considerare quali sono i vari contributi alla σa e alla σc .
Tensione assiale Il primo contributo alla tensione assiale è dovuto ad M0 . La
flessione genera una tensione flessionale che presenta un andamento a farfalla
con massimi sulla superficie esterna ed interna del tubo, il cui segno dipende
dal verso di M0 . Il modulo di tale tensione massima è dato da:
m(x)h
σaf lex = (90)
2I

31
È importante specificare il valore del momento d’area, I, il quale è espresso
come momento d’area per unità di sviluppo circonferenziale. Questo significa
che se prendiamo in considerazione la singola trave il momento d’area sarà:

1 · h3
I= (91)
12
Dove 1 è appunto la base della sezione della trave, nonché l’unità di sviluppo
circonferenziale di cui abbiamo parlato. Nel caso sia presente una pressione
interna che agisce sulle pareti del tubo è possibile calcolare il valore di tale
contributo sfruttando la formula di Mariotte. Per questo motivo la tensione
dovuta alla pressione interna sarà:
Pi rt
σaPi = (92)
2ht
Dove rt , ht sono rispettivamente il raggio del tubo e lo spessore. La tensione
assiale sarà perciò complessivamente data da:

6m(x) Pi rt
σa = ± + (93)
h2 2ht
Tensione circonferenziale La tensione circonferenziale presenta più con-
tributi. La componente anticlastica mantiene la congruenza tra le pareti laterali
delle travi. La σcac infatti si oppone alla tensione assiale che porterebbe le sezioni
delle travi adiacenti a compenetrarsi o separarsi a seconda del momento flettente
applicato. Il valore del contributo della σc anticlastico è dato da:

σcac = νσaf lex (94)

Questo si ottiene considerando il fatto che la trave non ha modo di espandersi


circonferenzialmente, secondo le nostre ipotesi. Da cui risulta immediate la
considerazione appena riportata. Questo non significa che la deformazione cir-
conferenziale totale sia complessivamente nulla, ma solo che fc lex = 0! Il fatto
che fc lex = 0, ossia che sia impedita la deformazione circonferenziale dovuta
al momento flettente causa una leggere modifica nel modulo di resistenza del
materiale a flessione. Il modulo di Young risultante è:
E σa
E0 = 2
= (95)
(1 − ν ) a

Il quale prende il nome di modulo di Young a contrazione laterale impedita.


Il secondo contributo della tensione circonferenziale è invece legato alla ten-
sione dovuta allo spostamento in direzione radiale, causato dall’azione
del tratto di tubo tozzo. Questa tensione perciò è espressa secondo la legge di
Hooke, da cui l’esponente h:

Ew(x)
σcH = (96)
rt

32
Dove rt è il raggio del tubo e w(x) è lo spostamento radiale del tratto di tubo
sottile al variare di x.
Nel caso in cui ci sia una pressione interna al tubo la quale agisce sulle pareti
di esso si ha un contributo circonferenziale alla tensione dovuto alla
pressione interna alla Mariotte:
Pi rt
σcPi = (97)
ht
La σc complessiva è:

6m(x) Ew(x) Pi rt
σc = ±ν + + (98)
h2 rt ht
Equazione di bilancio delle azioni radiali del concio Note le tensioni
della trave è possibile ricavare il comportamento di w(x) lungo il tubo. Prendi-
amo in esame il bilancio delle forze radiali:

trdθ − (t + dt)rdθ − σc hdxdθ = 0 (99)

Dove le t sono i contributi dovuti al taglio, mentre il terzo termine è identico


al termine di forza radiale dovuta alla tensione circonferenziale vista nei dischi.
Sviluppando i calcoli otteniamo:

− rdt − σc hdx = 0 (100)

Isolando il taglio possiamo dire che:


dt σc h
= (101)
dx r
Possiamo dire che il momento sia dato da:
 2 
d w(x)
m(x) = D (102)
dx2

Dove D = E 0 I, è la rigidezza flessionale della trave. Siccome il taglio è la


derivata del momento possiamo dire che:
 3 
d w(x)
t(x) = D (103)
dx3

L’equazione differenziale perciò diviene

d4 w(x) Eh
+ w(x) = 0 (104)
dx4 Dr2
La soluzione di questa equazione differenziale è:

w(x) = Ce−λx sen(λx + ψ) (105)

33
Dove il fattore λ è usato per snellire l’ espressione e vale:
Eh
λ4 = (106)
Dr2
I valori di C e ψ si ricavano dalle condizioni al contorno, a seconda del tipo
di problema studiato. Oltre allo spostamento è utile definire la rotazione della
sezione rispetto all’indeformata Φ(x), il momento al variare della x e il taglio al
variare della x:

Φ(x) = − 2Cλ e−λx sen(λx + ψ − π4 )
 




m(x) = 2DCλ2 e−λx sen(λx + ψ − π2 )

(107)


 √
t(x) = − 2 2DCλ3 e−λx sen(λx + ψ − 3π
 
4 )

Questo si ricava dalle formule precedente riportate.


4.2 Applicazioni
Le applicazioni sono esempi di problemi reali affrontati negli esercizi, nei quali
il comportamento del tubo ed i campi tensionali e deformativi variano a sec-
onda delle condizioni al contorno. Qualora queste azioni siano presenti con-
temporaneamente è possibile studiarle singolarmente e sommare gli effetti in un
secondo momento.
4.2.1 Tubo Sottoposto a sola Forza di Taglio per unità di sviluppo
circonferenziale Q0
Preso un tubo sottile sottoposto a sola azione di taglio per unitá di sviluppo cir-
conferenziale, descritta come Q0 , applicata sul bordo, avremo che le condizioni
al contorno saranno: (
t(0) = Q0
(108)
m(0) = 0
Questo ci permette di ricavare il valore delle costanti C e ψ, dalle espressioni di
m(x) e t(x):
ψ = π2 + kπ
(
(109)
Q0
C = 2Dλ 3

Sostituendo questi parametri nelle equazioni di w, φ, m, t, otteniamo:


Q0 −λx
sen(λx + π2 )

 w(x) = 2Dλ 3 · e




 Φ(x) = − √ Q0 · e−λx sen(λx + π )

4

2Dλ2
(110)
m(x) = Qλ0 · e−λx sen(λx)






 √
t(x) = − 2Q0 · e−λx sen(λx − π4 )

Come indicato nella figura sottostante il punto più sollecitato, ossia quello che
presenta momento più elevato è circa a π4 . Nel caso in cui però siano presenti più

34
w, φ w m, t m
φ t

x x
π π 3π π 5π 3π 7π 2π π π 3π π 5π 3π 7π 2π
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ

(a) w e φ lungo il tubo (b) Momento e taglio lungo il tubo

azioni esterne simultaneamente occorrerà valutare anche altri punti che per il
taglio applicato al bordo sembrerebbero meno pericolosi o addirittura trascur-
abili, ma il loro stato tensionale potrebbe essere il peggiore. Ciò può essere
dovuto a azioni di entità maggiore oppure alla compensazione o accentuazione
degli effetti.

σ σa σ σa
σc σc
vm vm
σeq σeq

x x
π π 3π π 5π 3π 7π π π π 3π π 5π 3π 7π π
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ

(a) Stato tensionale sulla parete (b) Stato tensionale sulla parete
esterna lungo il tubo interna lungo il tubo

35
4.2.2 Tubo Sottoposto a solo Momento Flettente per unità di sviluppo
circonferenziale M0
Preso un tubo sottile sottoposto a solo momento flettente per unitá di sviluppo
circonferenziale, descritta come M0 , applicato sul bordo, avremo che le con-
dizioni al contorno saranno:
(
t(0) = 0
(111)
m(0) = M0

Questo ci permette di ricavare il valore delle costanti C e ψ, dalle espressioni di


m(x) e t(x): 
 ψ = 3π 4 + kπ
(112)
 C = √ Q0
2Dλ2

Sostituendo questi parametri nelle equazioni di w, φ, m, t, otteniamo:


M0
· e−λx sen(λx + 3π


 w(x) = √2Dλ 2 4 )



 Φ(x) = − M0 · e−λx sen(λx + π )

Dλ 2

√ (113)
m(x) = 2M0 · e−λx sen(λx + π4 )







t(x) = −2M0 λ · e−λx sen(λx)

Diversamente dal caso precedente il punto più sollecitato in questa posizione


risulta essere la sezione di bordo. Anche in questo caso rimane valido il discorso
per cui in presenza di altre sollecitazioni occorre tenere in conto anche i punti
più pericolosi per le altre azioni.

w, φ w m, t m
φ t

x x
π π 3π π 5π 3π 7π 2π π π 3π π 5π 3π 7π 2π
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ

(a) w e φ lungo il tubo (b) Momento e taglio lungo il tubo

36
σ σa σ σa
σc σc
vm vm
σeq σeq

x
x
π π 3π π 5π 3π 7π 2π
π π 3π π 5π 3π 7π 2π 4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ
4λ 2λ 4λ λ 4λ 2λ 4λ λ

(a) Stato tensionale sulla parete (b) Stato tensionale sulla parete
esterna lungo il tubo interna lungo il tubo

4.2.3 Tubo in Rotazione


Qualora un tubo sottile sia messo in rotazione ad una velocità ω l’equazione di
bilancio radiale risulta essere:
ρω 2 r · dτ − σc dxdθh = 0 (114)
Laddove esplicitando il termine dτ e semplificando otteniamo:
σc = ρω 2 r2 (115)
Questo effetto interessa l’intero tubo in maniera uniforme ed è causa di defor-
mazione radiali, w, uniformi:
σc r ρω 2 r3
wω = = (116)
E E
4.2.4 Tubo Sottoposto a pressione interna
Il caso di pressione interna si può suddividere in due sottogruppi:
• Azione di un liquido in pressione
• Azione di un materiale incoerente in rotazione
Il primo caso genera una tensione uniforme analoga che può essere studiata
usando le formule di Mariotte, ossia:
σc = phi r
(
(117)
σa = p2h
ir

Il che genera uno spostamento radiale uniforme:


σcpi − νσapi pi r2
 
pi ν
w = = · 1− (118)
E Eh 2

37
Il secondo caso genera lo stesso stato tensionale e conseguentemente la stessa
deformazione ma con una differenza, la forma della pi :

ρω 2
 3
rt − ri3

Fi
pi = = · (119)
A rt 3

Dopodiché i calcoli procedono in maniera identica a quanto visto nel primo caso.

38
5 Piastre Sottili
Si definiscono piastre sottili tutte quelle piastre che presentano uno spessore di
molto inferiore alle altre grandezze di riferimento di una piastra, ossia larghezza
e lunghezza. L’ipotesi di spessore sottile ha delle importanti conseguenze:

• σz = 0, ossia lo stato di tensione è bidimensionale.


• z = 0, la deformazione è piana.
Le piastre studiate presenteranno azioni di taglio e momento flessionali, ma non
momenti torcenti. In aggiunta a questa ipotesi sono anche valide le seguenti
affermazioni:
• Il campo di spostamenti è piccolo, siamo in campo elastico.
• Le sezioni trasversali rimangono sempre normali al piano medio di riferi-
mento.

Oltre a ciò è importante specificare che gli assi della terna che usiamo per la
descrizione del problema sono rivolti nella seguente maniera e l’origine giace sul
piano medio, che separa la piastra in due parti simmetriche. La deformazione
piana e la tensione piana fanno si che ci si possa dire:

E
 σx = 1−ν 2 (x + νy )
(120)
 σ = E
y 1−ν 2 ( y + νx )

Dove E 0 = 1−ν
E
2 è il modulo di Young a contrazione laterale impedita. Definendo

i raggi di curvatura Rx , Ry della piastra rispettivamente calcolati lungo l’asse


y e lungo l’asse x, possiamo esprimere la deformazione lungo le due direzioni
proprio in funzione dei raggi di curvatura:

 x = Rzx
(121)
 y = z
Ry

Possiamo inoltre dire che i raggi di curvatura sono funzione delle derivate sec-
onde dello spostamento lungo z della trave w(x, y) nelle rispettive direzioni:

1 d2 w
= (122)
Rxi dx2i

Lo spostamento w è solo funzione della posizione sul piano x, y e non della


quota z, in virtù delle ipotesi. In generale perciò possiamo esprimere la stato
tensionale come:  Ez 1
+ Rνy

 σx = 1−ν 2 R
x
(123)
Ez 1 ν
 σ = 
y 1−ν 2 Ry + Rx

39
5.1 Piastre circolari
Le piastre circolari sono un sottogruppo di quelle a spessore sottile che presen-
tano una sezione circolare. Per descriverle è conveniente definire delle coordi-
nate cilindriche. Sostituiamo perciò le coordinate planari x, y con le coordinate
cilindriche r, raggio della sezione e φ, angolo di rotazione della sezione rispetto
all’asse z. Esso per convenzione sarà caratterizzato da segni negativi quando
legato alla deformazione dovuti alla maniera in cui è stata posizionata la terna
di riferimento (z verso il basso). I raggi di curvatura risultanti sono:

 Rφ = φr
 1

(124)
 1 dφ d2 w
Rr = dr = dr 2

Dove queste relazioni sono valide solo per piccoli spostamenti. Lo stato tension-
ale è descritto perciò cosı̀:
 Ez 1 ν

 σr = 1−ν 2 R + R
r φ
(125)
Ez 1 ν
 σ = 
y 1−ν 2 Rφ + Rr

È importante infine esplicitare il valore della tensione in funzione del momento.


I due parametri sono sempre legati dalla seguente formula:
Z h   Z h
2 E 1 ν 2
mi = σi zdz = · + · z 2 dz (126)
−h
2
1 − ν2 Ri Rj −h
2

Dove E è il modulo di Young, σi è la generica tensione considerata, ed l’integrale


è il momento d’area associato alla sezione di piastra considerata come una trave
di lunghezza unitaria e di spessore z. Il momento nella generica direzione i può
essere perciò riscritto come:
 
1 ν
mi = D + (127)
Ri Rj

Spostamento w(r, φ) Come ultimo paragrafo vogliamo ricavare il valore


dello spostamento verticale in ogni punto della piastra. Per fare ciò dobbi-
amo partire dal bilancio dei momenti su un concio di piastra circolare. Preso in
considerazione un concio, l’equazione di bilancio del momento rispetto al centro
del concio è la seguente:
 

(mr + dmr )(r + dr)dθ − mr rdθ − 2mφ sin rdθ + trdθdr = 0 (128)
2

Dove i momenti mr , mφ sono i momenti nelle direzioni definite dalle coordinate


cilindriche. Inoltre tutte le grandezze sono espresse per unità di sviluppo cir-
conferenziale, ossia i momenti sono espressi in Nmm e il taglio è m
N
, ragione per

40
cui è presente sempre il termine rdθ, oppure (r + dr)dθ. L’equazione dopo le
semplificazioni si riduce a:
dmr
mr + r − mφ + tr = 0 (129)
dr
Combinando insieme quanto detto in precedenza, otteniamo:
   2   
dφ r d φ νdφ νφ φ νdφ
D + + rD + − 2 −D + = −tr (130)
dr φ dr2 rdr r r dr
Il valore delle forze di taglio per unità di lunghezza può essere espressa come:
p qπr2
t= + (131)
2πr 2πr
Dove il termine proporzionale a p è il taglio dovuto ad una carico concentrato
applicato idealmente su un punto della piastra, mentre il termine proporzionale
a q è dovuto alle forze distribuite. Semplificando arriviamo a:
d2 φ 1 dφ
 
φ 1 p qr
+ − = − + (132)
dr2 r dr r2 D 2πr 2
La qualche può essere riscritta come:
   
d 1 d(φr) 1 p qr
=− + (133)
dr r dr D 2πr 2
Procedo con i seguenti passi:
1. Prima integrazione in dr.
2. Moltiplicazione per r in ambo i membri.
3. Seconda integrazione in dr.
4. Divisione per r.
5. Passaggio da φ a − dw
dr , dove il segno è dovuto alla convenzione usata per
l’asse z.
6. Terza integrazione in dr.
Step 1:
qr2
 
1 d(φr) 1 p
=− ln(r) + − C1 (134)
r dr D 2π 4
Step 2:
qr2
 
d(φr) r p
=− ln(r) + − C1 r (135)
dr D 2π 4
Step 3:
1 p r2 r3 qr4
   
C1 2
φr = − ln(r) − + − r − C2 (136)
D 2π 2 4 16 2

41
Step 4:
r2 qr3
   
1 p r C1 C2
φ=− ln(r) − + − r− (137)
D 2π 2 4 16 2 r
Step 5:
r2 qr3
   
dw 1 p r C1 C2
= ln(r) − + + r+ (138)
dr D 2π 2 4 16 2 r
Step 6:
1 p r2 r3 qr4
   
C1 2
w(r) = ln(r) − + + r + C2 ln(r) (139)
D 4π 2 2 64 4
5.2 Esempi di Piastre
Piastra incastrata La piastra circolare incastrata è incastrata lungo tutto il
suo perimetro. Su di essa è applicata un carico uniformemente distribuito, q.
q

Figure 19: Piastra Circolare Incastrata

Per conoscere le tensioni interne a tale piastra occorre imporre le condizioni al


contorno imposte dai vincoli o falla geometria. Data la simmetria radiale e la
forma della piastra in esame le condizioni vengono espresse rispetto al raggio, r:

 Φ(0) = 0


w(R) = 0 (140)

 Φ(R) = 0

Sostituendo queste condizioni nelle equazioni viste precedentemente (138 e 139),


otteniamo il valore dei momenti mr , mθ :
  
9 2 2
 mθ (r) = 16 (1 + ν)R − (1 + 3ν)r


  (141)
9 2 2

 mr (r) = 16 (1 + ν)R − (3 + ν)r

Da questi valori si ricavano le tensioni σr , σθ :


 6mθ
 σθ (r) = ± h2

6mr (142)
 σr (r) = ± h2

42
σ σr
σθ
vm
σeq

r
R

Figure 20: Tensione sulla piastra

Piastra incernierata con Momento sul perimetro La piastra circolare


incernierata è incernierata lungo tutto il suo perimetro. Su di essa è applicata
un momento al bordo, M .

M M

Figure 21: Piastra Circolare Incernierata con Momento al bordo

Per conoscere le tensioni interne a tale piastra occorre imporre le condizioni al


contorno imposte dai vincoli o falla geometria. Data la simmetria radiale e la
forma della piastra in esame le condizioni vengono espresse rispetto al raggio, r:

 Φ(0) = 0


w(R) = 0 (143)

 mr (R) = M

Sostituendo queste condizioni nelle equazioni viste precedentemente (138 e 139),


otteniamo il valore dei momenti mr , mθ :

mr (r) = mθ (r) = M (144)

Da questi valori si ricavano le tensioni σr , σθ :

σr (r) = σθ (r) = σ (145)

43
Piastra Incernierata con azione uniformemente distribuita Questo
caso è un caso particolare in cui la piastra presenta un carico distribuito ma
è incernierata.
q

Figure 22: Piastra Circolare Incernierata con carico distribuito

Il sistema può essere studiato considerato una somma del primo esempio e del
secondo esempio nella seguente maniera:

q
Minc Minc

Figure 23: Piastra Circolare Incastrata

Minc Minc

Figure 24: Piastra Circolare Incernierata con Momento al bordo

Il termine Minc è un momento all’incastro c che permette di simulare la situ-


azione di partenza con due sistemi noti. I momenti risultanti sono:
 2 2
 mr (r) = − qr (3+ν)
16 + qR 16
(3+ν)

(146)
2
qR2 (3+ν)
mθ (r) = − qr (1+3ν)

16 + 16

44
Da questi valori si ricavano le tensioni σr , σθ :
 6mθ
 σθ (r) = ± h2

6mr (147)
 σr (r) = ± h2

σ σr
σθ
vm
σeq

r
R

Figure 25: Tensione sulla piastra

45

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