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Genetica e aspetti
neurofunzionali
della schizofrenia
Per tutto il corso dell’ultimo secolo, la ricerca sulle cause e sulla fisiopatologia della schi-
zofrenia, nonostante i progressi non indifferenti a livello di trattamento, non ha portato
a risultati soddisfacenti. Un’importante finestra di indagine su questi aspetti si è aperta
negli ultimi due decenni grazie ai progressi fatti dalla ricerca genetica e dalle relative
applicazioni nello studio dei disturbi mentali e della schizofrenia in particolare.
Le indagini sull’ereditarietà della schizofrenia iniziano durante i primi anni del Nove-
cento a Monaco sotto la guida di Emil Kraepelin, i cui risultati sono pubblicati da Ernst
Rüdin nel 1916 (“Zur Vererbung und Neuentslehung der dementia praecox”, 1916)
(Kendler e Diehl, 1993). Tuttavia, con l’affermarsi del nazionalsocialismo, tali ricerche
vengono in seguito utilizzate come basi per l’elaborazione dei concetti di eugenetica e
igiene razziale, con conseguenze nefaste, tali da portare psichiatri tedeschi come Karl
Leonhard a smettere di porre diagnosi di schizofrenia, per evitare di mettere a rischio la
vita dei propri pazienti.
Sebbene il genocidio del popolo ebreo da parte dei nazisti durante la Seconda Guerra
Mondiale sia ben noto a tutti, il contemporaneo progetto di “eutanasia sociale” dei
pazienti psichiatrici lo è molto meno. Si è tentato di stimare il numero di persone con
diagnosi di schizofrenia che furono sterilizzate e uccise dai nazisti, nonché di valutarne
l’effetto sulla successiva prevalenza e incidenza di schizofrenia. Si stima che furono steri-
lizzati o uccisi tra 220.000 e 269.500 soggetti schizofrenici. Questo totale rappresenta
una percentuale tra il 73% e il 100% di tutte le persone con schizofrenia che vivevano in
Germania tra il 1939 e il 1945. Gli studi sulla prevalenza della schizofrenia in Germania
condotti in periodo post-bellico riportavano, come c’era da aspettarsi, tassi molto bassi.
Nonostante tutto, i tassi di incidenza di schizofrenia in Germania restavano inaspetta-
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tamente alti. Il genocidio nazista dei pazienti psichiatrici rappresenta il maggiore atto
criminale nella storia della psichiatria, basato inoltre su quelle che oggi sappiamo essere
teorie genetiche errate, dal momento che non ha avuto nessun apparente effetto a lungo
termine sulla successiva incidenza di schizofrenia (Torrey et al., 2010).
Gli studi familiari e su gemelli effettuati nella seconda metà del secolo scorso e volti
a indagare le modalità di trasmissione del disturbo hanno rivelato un elevato grado di
ereditabilità, con una concordanza fra gemelli monozigoti di circa il 50% (ben lontani dal
100% caratteristico di una malattia a trasmissione mendeliana), notevolmente superiore
rispetto a quella fra gemelli dizigoti e fratelli (Cardno et al., 1999). Tuttavia, la ricerca
dei geni o delle alterazioni responsabili non ha portato a risultati troppo soddisfacenti,
sottolineando l’esistenza di un modello eziopatogenetico molto più complesso, in cui
oltre ad alterazioni genetiche classiche si aggiungono variazioni epigenetiche (l’epige-
netica studia l’attività di regolazione ed espressione dei geni che modificano il fenotipo
dell’individuo senza alterarne il genotipo) e l’influenza di alcuni fattori ambientali come
sofferenze perinatali, migrazione e urbanizzazione, abuso di cannabis (Kristensen e
Cadenhead, 2007; Tandon et al., 2008; van Os e Kapur, 2009).
Il riconoscimento del ruolo svolto dai fattori genetici e ambientali nello sviluppo della
malattia rende necessaria la riconcettualizzazione del fenomeno “schizofrenia”, che
alla luce dei suddetti dati, può essere oggi visto come un disturbo, o meglio ancora un
insieme di disturbi, a carattere neuro-evolutivo. Tutte le variazioni genetiche riscontrate
nei pazienti schizofrenici interferiscono con geni coinvolti in meccanismi di crescita,
maturazione e plasticità neuronale. Le interazioni fra ambiente e genoma, in partico-
lare durante momenti cruciali della crescita, come i primi periodi di vita o l’adolescenza,
andranno a influenzare in maniera sostanziale lo sviluppo del cervello e, di conseguenza,
la sua funzionalità (Caspi et al., 2005; van Os e Kapur, 2009; Bossong e Niesink, 2010).
Secondo questo modello, la presenza di una suscettibilità genetica, data dalla presenza
di alterazioni a livello di alcuni loci, rende alcuni soggetti particolarmente sensibili a tali
influenze ambientali e li pone a rischio per lo sviluppo non solo di schizofrenia ma anche
di altre patologie, come per esempio il disturbo bipolare.
Questa riconcettualizzazione mette in luce due importanti aspetti. Da un lato sottolinea
come a essere “ereditata” non sia la patologia in toto, ma solo specifiche alterazioni neuro-
biologiche che aumentano la vulnerabilità del soggetto nei confronti dell’espressione di
determinate dimensioni sintomatologiche, in presenza di fattori ambientali stressanti;
dall’altro lato invece, in virtù delle importanti sovrapposizioni a livello genetico, neuro-
biologico e clinico porta a riconsiderare profondamente la dicotomia kraepeliniana,
ovvero quella distinzione netta fra disturbo bipolare e schizofrenia che ha permeato la
psichiatria per tutto il secolo scorso (Craddock e Owen, 2010).
L’utilizzo di queste nuove conoscenze permetterà quindi in un futuro non lontano di
cominciare a trattare “le schizofrenie” soprattutto a livello prodromico, quando la sinto-
matologia è ancora aspecifica ma è già possibile modificare incisivamente la traiettoria
del disturbo e migliorare considerevolmente la prognosi del paziente, come già avviene
in parte nel trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo.
BOX 5.1
Nel 2000, un importante studio familiare (Millar et al., 2000) ha messo in luce l’associa-
zione fra disturbo bipolare e schizofrenia in soggetti con una particolare traslocazione a
livello del cromosoma 1. Studi successivi hanno poi dimostrato come questa mutazione
andasse a interrompere la sequenza di un gene, denominato poi DISC1 (Disrupted In
Schizophrenia-1), i cui prodotti sembrano essere coinvolti in meccanismi citoscheletrici
e di plasticità neuronale. Tuttavia, nessun particolare polimorfismo è risultato specifico
e il coinvolgimento di DISC1 sembra conferire maggior suscettibilità non solo per la schi-
zofrenia, ma anche per la depressione maggiore e in particolare per il disturbo bipolare,
con cui sembra condividere molte delle più importanti correlazioni genetiche finora indi-
viduate (Hennah et al., 2009; Chubb et al., 2008).
Studi di linkage hanno trovato un’associazione fra un aumentato rischio di andare
incontro a schizofrenia e alterazioni a livello di NRG1, un gene presente sul cromosoma
8 (Li et al., 2006). I prodotti della trascrizione di questo gene sono coinvolti in svariati
meccanismi, quali crescita e migrazione neuronale, plasticità sinaptica e comunicazione
intercellulare. Uno studio effettuato su topi geneticamente modificati per NRG1 ha
evidenziato funzionalità ridotta dei recettori NMDA (N-metil-D-aspartato) per il glutam-
mato, coinvolti molto probabilmente nell’eziopatogenesi della schizofrenia (Bjarnadottir
et al., 2007). Nonostante siano stati individuati numerosi polimorfismi a livello di NRG1,
nessuno di questi sembra essere però specifico per schizofrenia, anche se potrebbero
risultare utili per individuare i soggetti a rischio, come dimostrato da uno studio in cui
i portatori (ad alto rischio) di un determinato SNP hanno successivamente effettuato la
transizione a un quadro di schizofrenia franca (Kéri et al., 2009).
Un altro gene individuato grazie a studi di associazione è stato DTNBP1, codificante per la
proteina disbindina, implicata anch’essa in processi di crescita neuronale e trasmissione
sinaptica. Allo stesso modo di NRG1, sono molteplici le alterazioni a carico di questo
gene, che sembrano però essere correlate a deficit cognitivi, sia in pazienti schizofrenici
sia in controlli sani (Burdick et al., 2006; Zhang et al., 2010).
Il gene COMT (codificante la proteina catecol-O-metiltransferasi, coinvolta nel metabo-
lismo di alcuni neurotrasmettitori, come la dopamina) è presente sul cromosoma 22 in
posizione q11. La delezione di questo gene è causa della sindrome velo-cardio-faciale
(sindrome di DiGeorge), che associa anomalie facciali a malformazioni cardiache, deficit
intellettivo e una sindrome psichiatrica molto simile alla schizofrenia. È inoltre uno dei
rari casi in cui una singola mutazione porta a sviluppare una condizione clinica di tipo
schizofrenico (Karayiorgou et al., 2010).
Successivi studi di associazione a livello dell’intero genoma (GWAS) hanno portato alla
luce ulteriori regioni di DNA potenzialmente implicate nella fisiopatologia della schizo-
frenia, come il gene ZNF804A o il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC).
ZNF804A, uno dei primi geni a essere individuato con tale metodica, è presente sul
cromosoma 2q32.1 ed è espresso in maniera estesa a livello del SNC, della corteccia,
dell’ippocampo e del cervelletto. È coinvolto in meccanismi di trascrizione del gene
COMT e interferisce quindi con il metabolismo della dopamina (Girgenti et al., 2012).
Più recentemente è stata dimostrata la presenza di alcuni polimorfismi a livello di tale
gene associati a deficit verbali in soggetti affetti da disturbo dello spettro dell’autismo,
anche se sono necessari studi su campioni più ampi (Anitha et al., 2014).
Il coinvolgimento del MHC sul cromosoma 6p21.3-22 è invece uno dei risultati più repli-
cati degli studi GWAS. È una regione con un’alta frequenza di ricombinazione e codi-
fica per geni coinvolti in processi di neurosviluppo o di plasticità neuronale e relativi al
sistema immunologico, che forniscono le basi per l’ipotesi di una patogenesi (almeno in
parte) immuno-mediata della schizofrenia (Zhang et al., 2010) (Box 5.2).
A livello neurotrasmettitoriale, è stata evidenziata una ridotta funzionalità dei recet-
tori NMDA e una ridotta sintesi dell’isoforma 67 dell’acido glutammico decarbossilasi
(GAD67), responsabile della sintesi dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA) (Adell et
al., 2012; Pehrson et al., 2013). Questi correlano con le anomalie cognitive tipiche della
schizofrenia, soprattutto la memoria di lavoro (working memory) (Eggan et al., 2012).
In particolare, si evidenzia una riduzione nei livelli di proteine e di RNA messaggero
(mRNA) del recettore cannabinoide CB1 nella DLPFC dei soggetti schizofrenici: l’entità
di questa espressione alterata correla con quella dell’mRNA del GAD67, evidenziando
BOX 5.2
come entrambi i tipi di trascrizione siano deficitari nella stessa popolazione di neuroni
GABA nella DLPFC dei soggetti con schizofrenia (Eggan et al., 2012).
Come già menzionato sopra, un’altro meccanismo di alterazione a carico del genoma
è rappresentato dalle CNV, che sembrano avere un effetto causale più esteso, anche se
ugualmente non specifico, rispetto alle altre variazioni già descritte. Inoltre, le CNV
sono molto frequenti in casi sporadici di schizofrenia, possono coinvolgere geni diversi
in individui diversi ed essere mutazioni de novo (Singh et al., 2009). Le più frequenti
CNV associate a schizofrenia (sia delezioni sia duplicazioni) si riscontrano in posizione
1q21.1, 3q29, 15q11.2, 15q13.3, 16p11.2, 16p13.1, 17p12, 22q11.21. Come nel caso di
altre patologie, delezioni e duplicazioni diventano più frequenti all’aumentare dell’età
dei genitori e, per quanto riguarda in particolare la schizofrenia, con l’età paterna (Mala-
spina et al., 2001). Nonostante sia stato ipotizzato un certo grado di sovrapposizione fra
disturbo dello spettro dell’autismo e schizofrenia rispetto a queste varianti, i dati sono
ancora incerti e non vi sono evidenze sufficienti (Crespi e Crofts, 2012) (Tab. 5.1).
Recentemente, sono aumentate le evidenze riguardo al fatto che fattori ambientali
possano alterare l’espressione dei geni attraverso meccanismi epigenetici, ovvero
modificazioni chimiche del DNA che influiscono sulla traduzione e trascrizione senza
alterarne la struttura. Queste potrebbero essere potenzialmente molto rilevanti, in
Alterazione
Fattori ambientali espressione genica
Alterazione
della connettività e dei
circuiti neuronali
Compromissione della
processazione delle
Suscettibilità genetica informazioni
(SNP, CNV, epigenetica)
Basi neurobiologiche
della schizofrenia: i contributi
di neurofisiologia e neuroimaging
Grazie ai progressi avvenuti in campo strumentale e metodologico nelle ultime due
decadi, sono ormai numerose le evidenze di alterazioni a carico del SNC, a livello sia
strutturale sia funzionale, in pazienti affetti da schizofrenia. Sebbene ancora non suffi-
cientemente specifiche e sensibili per essere considerate marker diagnostici, tali altera-
zioni possono risultare utili nel monitoraggio dei soggetti a rischio e per individuare un
modello neurofunzionale del disturbo su cui poter lavorare anche a livello clinico.
I metodi di registrazione elettroencefalografica e di imaging funzionale (oltre ai relativi
metodi di analisi dei dati) sono le tecniche oggigiorno più utilizzate per indagare i corre-
lati biologici dei processi cognitivi e delle manifestazioni psicopatologiche dei diversi
disturbi psichiatrici; queste tecniche possiedono caratteristiche diverse e complemen-
tari. La prima si avvale della registrazione dei potenziali elettrici generati dal cervello e
modulati dalle attività mentali, attraverso elettrodi posti sullo scalpo: permette quindi di
misurare la risposta a stimoli sensoriali o compiti cognitivi (potenziali evocati), la distri-
buzione spaziale dei potenziali, la connessione funzionale fra gruppi neuronali diversi
e più o meno distanti fra loro e la localizzazione dei probabili generatori del segnale
elettrico nello spazio tridimensionale. Il maggior pregio di tale strumento è la finissima
risoluzione temporale (nell’ordine dei millisecondi), che consente di osservare e misu-
rare le variazioni del segnale elettrico in tempo reale e in scala con i processi cognitivi
sottostanti. Invece, la tecnica di imaging funzionale più studiata (oltre a PET e SPECT)
è la risonanza magnetica, che consente di utilizzare diverse metodiche per misurare le
variabili prese in questione, ovvero cambiamenti locali nell’ossigenazione del sangue
(Blood Oxygen Level-Dependent changes, BOLD) e della perfusione (Arterial Spin Labe-
ling, ALS), la direzione dei tratti di materia bianca (Diffusion Tensor Imaging, DTI) e
la concentrazione di determinate molecole (Magnetic Resonance Spectroscopy, MRS)
nel tessuto cerebrale. Queste tecniche possiedono tutte un’ottima risoluzione spaziale,
nell’ordine dei millimetri, e una risoluzione temporale intorno al secondo. Negli ultimi
anni, l’utilizzo di tecniche di registrazione combinata EEG/fMRI ha consentito di sfrut-
tare le caratteristiche di entrambe e di ottenere risultati molto interessanti.
Neurofisiologia
Gran parte delle attività mentali, come la processazione delle informazioni o l’esecuzione
di compiti, causa alterazioni dell’attività cerebrale registrabili attraverso l’utilizzo di un
elettroencefalografo. Quando questi cambiamenti seguono un particolare evento, sia
esterno sia non, si parla di potenziali evocati o evento-correlati; tali modificazioni sono
individuabili come potenziali distinti dall’attività spontanea sottostante. Potenziali regi-
strabili a breve latenza dall’evento sono generalmente riferibili alla processazione dello
stimolo a livello sensoriale, mentre potenziali più tardivi sono invece correlati a processi
cognitivi più elaborati. Molte sono le alterazioni riscontrate negli anni in pazienti affetti
da schizofrenia, nelle componenti sia a corta sia lunga latenza.
La componente P50 è ritenuta un’espressione di meccanismi inibitori della processazione
delle informazioni in ingresso, poiché evidenzia la messa in atto una sorta di filtraggio
sensoriale (“sensory gating”). Viene generalmente studiata somministrando due stimoli
uditivi appaiati e nei soggetti sani l’ampiezza del secondo potenziale è ridotta rispetto
alla prima, riflettendo un meccanismo di soppressione. In soggetti schizofrenici tale
soppressione è spesso ridotta o addirittura assente (Bramon et al., 2004) e tale caratteri-
stica è stata riscontrata sia nelle fasi prodromiche (Brockhaus-Dumke et al., 2008) sia nei
familiari, anche se in letteratura sono presenti dati discordanti (de Wilde et al., 2007).
La componente P300, o P3, è un potenziale positivo che insorge circa 300-500 ms; P3 è
composta da due componenti principali P3a eP3b e si ritiene che sia il riflesso di processi
riguardanti la valutazione cognitiva e la categorizzazione degli stimoli. P3b viene
frequentemente elicitata somministrando al soggetto stimoli target (uditivi o visivi)
con bassa probabilità di presentazione durante una serie di stimoli non target ad alta
frequenza (“oddball paradigm”) ed è di ampiezza massima sulle regioni parietali; P3a,
invece, è solitamente generata sulle aree fronto-centrali in risposta a uno stimolo non
frequente o saliente, ma senza che abbia necessariamente uno status di target. P300 è
stata una dei potenziali più frequentemente studiati e il riscontro di ampiezza ridotta
e latenza aumentata è stato frequentemente replicato (Bramon et al., 2004). Inoltre, vi
sono evidenze di come l’ampiezza di P3a sia maggiormente ridotta in pazienti con allu-
cinazioni uditive rispetto a pazienti senza tali sintomi (Fisher et al., 2010), riflettendo
probabilmente una diminuita capacità di attribuire importanza a stimoli esterni, poiché
in quel momento i circuiti neuronali sono impegnati nella processazione dei fenomeni
allucinatori (Ford et al., 2012) (Fig. 5.2).
Un recente studio di potenziali evocati effettuato su un ampio campione di pazienti bipo-
lari, schizofrenici e relativi familiari di primo grado ha individuato alterazioni condivise
e peculiari dei due disturbi, mettendo in evidenza come in entrambe le condizioni siano
presenti deficit nella processazione delle informazioni, a livello sia sensoriale (compo-
nenti precoci) sia cognitivo (componenti tardive). Inoltre, alcune delle variabili analizzate
sembrano avere le caratteristiche di marker di rischio genetico per i due disturbi: N100 e
P3b specifiche per schizofrenia e P200 per disturbo bipolare (Ethridge et al., 2014).
Attualmente si ritiene che le funzioni cognitive siano il risultato dell’attività coordinata
e di aree e circuiti neuronali distinti, oltre che di network distribuiti a livello di tutta la
corteccia. Il meccanismo fisiologico più adatto per consentire la comunicazione fra gruppi
di neuroni distanti, quindi la formazione di queste reti è la modulazione delle oscilla-
zioni neuronali, nei diversi spettri di frequenza: le bande di frequenza più alte, come
beta e gamma, sembrano essere cruciali per la sincronizzazione a livello locale, mentre
le bande a frequenza più bassa stabiliscono connessioni fra aree corticali più distanti.
Una gran mole di dati suggerisce che l’alterazione delle oscillazioni possa avere un ruolo
centrale nella fisiopatologia della schizofrenia, sia durante l’esecuzione di compiti cogni-
HC
–2,5 Cz
HP
NP
–2,0
–1,5
–1,0
–0,5
0,5
1,0
1,5
P3a
2,0
–50 0 50 100 150 200 250 300 350 [ms]
FIGURA 5.2 Media complessiva delle forme d’onda sottratte, che evidenzia la P3a
(misurata in μV) nei soggetti HC (controlli sani), HP (pazienti con allucinazioni) e NP
(pazienti senza allucinazioni). (Adattata da Fisher et al., 2010.)
tivi sia a riposo: in quest’ultima condizione, per esempio, è stato riportato un aumento
dell’attività a bassa frequenza e una diminuzione di quella ad alta frequenza (Boutros et
al., 2008; Rutter et al., 2009), nonché un vero e proprio rallentamento delle frequenze
naturali nelle zone prefrontali, come dimostrato da un recente studio di stimolazione
magnetica (Ferrarelli et al., 2012). Inoltre, alcune correlazioni individuate con alcuni
dei sintomi cardini della schizofrenia rafforzano tale ipotesi: per esempio, uno studio
condotto utilizzando stimoli uditivi a frequenza specifica ha rivelato che, in controlli
sani e in pazienti schizofrenici non allucinati, una stimolazione a 40 Hz induce modifica-
zioni nella medesima banda di frequenza elettroencefalografica (gamma) ben diverse da
quelle che induce in pazienti allucinati, suggerendo che nei primi la stimolazione porti
all’attivazione di un network che rappresenta l’input sensoriale, mentre nei secondi sia
causa invece di interferenza con un’attività intrinseca patologica che starebbe alla base
dei fenomeni dispercettivi (Koenig et al., 2012).
In particolare, le oscillazioni nella banda gamma sono state frequentemente studiate
in quanto direttamente coinvolte in processi cognitivi alterati in pazienti schizofrenici,
come attenzione, memoria e processazione sensoriale (Benchekane et al., 2011); inoltre,
fra i maggiori responsabili della generazione dei ritmi gamma sembrano esservi le popo-
lazioni di interneuroni GABAergici parvalbumina-positivi (Sohal et al., 2009), il sotto-
tipo di interneurone la cui funzione è stata più frequentemente riscontrata alterata in
pazienti schizofrenici (Lewis et al., 2005).
Tali alterazioni sono generalmente presenti già all’esordio del disturbo e sono in parte
geneticamente ereditabili (Uhlhaas e Singer, 2010), suggerendo l’ipotesi che almeno
una parte della vulnerabilità genetica per la schizofrenia sia attribuibile e si traduca in
una scarsa coordinazione temporale di importanti network neuronali. Infatti, alcuni dei
geni menzionati nei paragrafi precedenti (codificanti per disbindina e neuregulina, per
esempio) sono implicati nella modulazione delle trasmissioni glutammatergica e GABA-
ergica, che sono a loro volta strettamente correlate alla generazione delle oscillazioni
neuronali (Lisman et al., 2008).
Oltre a indagare le dimensioni cliniche sopracitate, lo studio delle oscillazioni potrebbe
risultare molto utile per meglio comprendere il fenomeno di “corollary discharge”, chia-
mato in causa per spiegare alcune dimensioni sintomatologiche dello spettro schizo-
frenico. È stato spesso descritto negli animali e prevede un collegamento anatomico e
funzionale fra le regioni motorie e sensoriali, capace di consentire al soggetto di inter-
pretare le azioni come proprie, grazie a una copia del segnale motorio che dalle prime
va alle seconde (“efference copy”): tale meccanismo, se alterato, potrebbe sottostare
ai processi deficitari di automonitoraggio tipici dei pazienti schizofrenici e all’attribu-
zione esterna di processi mentali autogenerati, come per esempio le allucinazioni (Ford
e Mathalon, 2008).
Recenti evidenze suggeriscono l’ipotesi che questo processo, vista anche la necessità di
una sincronia nell’ordine del millisecondo, possa essere mediato dalle attività oscillatorie
gamma (Chen et al., 2011).
Ulteriori alterazioni a livello elettroencefalografico sono state messe in luce non solo
studiando i potenziali evocati o le oscillazioni nelle varie bande di frequenza, ma anche
nella configurazione spaziale nel tempo della distribuzione dei potenziali elettrici. Diffe-
renti distribuzioni devono avere origine da diverse strutture neuronali, riflettendo
quindi anche differenti funzioni cognitive. La segmentazione del tracciato EEG in periodi
con topografia stabile mostra che il cambiamento non avviene in maniera continua, ma
che i pattern rimangono stabili per almeno circa 200 ms, per poi cambiare molto rapida-
mente: questi periodi sono stati chiamati microstati e si ipotizza che possano riflettere
l’attività dinamica dei network neuronali durante la processazione delle informazioni
(Lehmann, 1989; Strik e Lehmann, 1993; Koenig et al., 2002). In pazienti schizofre-
nici, sono state riscontrate durate ridotte di alcune classi di microstati e alterazioni nella
concatenazione delle diverse classi (Koenig et al., 1999; Lehmann et al., 2005): tali risul-
tati concordano con le evidenze già citate che supportano l’ipotesi di come connessioni
funzionali alterate e processazione delle informazioni deteriorate possano costituire
alcuni dei substrati neurobiologici delle manifestazioni cliniche della schizofrenia (Tab.
5.2). Inoltre, la durata della stessa classe di microstati sembra essere ridotta in momenti
in cui i pazienti sperimentano allucinazioni uditive rispetto ai momenti in cui le disper-
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neocortex c. sensoriale, motoria, talamo, base e subtalamico
122 Capitolo 5
ippocampo ippocampo,
formazione
reticolare
Funzione Memoria, Memoria, plasticità Attenzione, inibizione, Filtraggio sensoriale, Percezione, attenzione,
plasticità sinaptica sinaptica, coscienza, attenzione, memoria,
sincronizzazione sincronizzazione controllo motorio, coscienza,
a lungo raggio a lungo raggio sincronizzazione plasticità sinaptica
a lungo raggio
05/03/15 09:09
Genetica e aspetti neurofunzionali della schizofrenia 123
cezioni non sono presenti; ciò rappresenta probabilmente una topografia relativa a
funzioni di monitoraggio errore-dipendente della processazione delle informazioni,
che, in caso di disfunzione (espressa in questa circostanza dalla durata ridotta e dalla
terminazione precoce del microstato in questione), potrebbe portare all’erronea attri-
buzione a sorgenti esterne di pensieri, generando i fenomeni dispercettivi (Kindler et
al., 2011). Risultati preliminari indicano poi un aumento della presenza di una classe di
microstati (precedentemente associata a un network neuronale in condizione di riposo
con funzione di attribuzione di salienza) in adolescenti affetti da sindrome da delezione
22q11.2 rispetto a controlli sani e un’associazione di questo reperto con sintomi positivi,
mettendo in luce un potenziale biomarker di rischio, se i dati dovessero essere confer-
mati da studi longitudinali (Tomescu et al., 2014).
Neuroimaging
Per quanto riguarda invece le tecniche di indagine relative a fMRI, negli ultimi anni è stata
ottenuta una gran mole di dati che ha messo in luce alterazioni significative in pazienti schi-
zofrenici sia in condizione di riposo (resting state) sia correlate a diversi compiti cognitivi
o dimensioni psicopatologiche. Anche in questo caso, gli sforzi sono rivolti principalmente
nel cercare di ottenere marker di malattia sufficientemente sensibili e specifici, che permet-
tano in particolare l’individuazione precoce dei soggetti a rischio. Recenti studi, infatti,
hanno evidenziato come alcune disfunzioni cognitive tipiche della schizofrenia possano
avere dei correlati biologici ben delineabili, che differenziano in maniera statisticamente
significativa i pazienti e i relativi familiari dai controlli sani (Di Giorgio et al., 2013): per
esempio, sottoponendo questi soggetti a un test cognitivo valutante la memoria dichiara-
tiva durante lo scanning in risonanza funzionale, i ricercatori hanno messo in evidenza una
minore attivazione nelle regioni paraippocampali, oltre a una minor connettività funzio-
nale fra l’ippocampo e alcune aree parietali, nei pazienti affetti e nei familiari rispetto ai
controlli. Questi risultati sembrano suggerire come un’alterata funzione (para)ippocam-
pale durante la codificazione di nuovi stimoli possa essere un ipotetico endofenotipo legato
a un aumento del rischio per schizofrenia (Rasetti et al., 2014). Anche a livello strutturale,
recenti evidenze supportano l’ipotesi dell’esistenza di alcune alterazioni presenti già in
popolazioni ad alto rischio, in particolare riduzione di volume della materia grigia nelle
aree prefrontali, perisilviane (Koutsouleris et al., 2014) e temporolimbiche (Fusar-Poli
et al., 2012), anche se sono necessari ulteriori studi per stratificare al meglio i soggetti a
rischio. Le alterazioni strutturali a livello prefrontale sembrano essere le più pronunciate e
possedere anche correlati funzionali (Smieskova et al., 2013).
In soggetti con schizofrenia manifesta la mole di dati è ancora più grande. Si sono riscon-
trate alterazioni a livello di alcuni “resting state networks” (RSN), che rappresentano
aree cerebrali attive in condizioni di riposo, e in particolare a carico del “default mode
network” (DMN), ritenuto implicato in attività mentali autoreferenziali e nella proces-
sazione delle emozioni (Gusnard et al., 2001): in particolare un’iperattivazione (ovvero
una mancata soppressione durante attività mentali) e un’iperconnettività all’interno del
DMN, che potrebbero essere implicati nella patogenesi di alcune dimensioni psicopato-
logiche del disturbo (Whitfield-Gabrieli et al., 2009). Un aumento di attività in tali RSN
potrebbe interferire poi con altri network deputati allo svolgimento di funzioni attive,
causando alterazioni nei meccanismi fisiologici e, di conseguenza, sintomi a livello
clinico.
Anche in questo caso, molte sono le correlazioni riscontrate fra le varie dimensioni psico-
patologiche e dati di neuroimaging. In un recente studio, è stata riscontrata un’iperatti-
vità tonica (misurata con quantificazione del flusso sanguigno cerebrale locale) nel giro
temporale superiore sinistro in pazienti schizofrenici con allucinazioni uditive quando
confrontati con controlli sani, indicando un potenziale marker di tratto (Homan et al.,
2013). In un altro lavoro, invece, pazienti schizofrenici sottoposti a stimolazione magne-
tica transcranica per la terapia delle allucinazioni uditive hanno mostrato una riduzione
del flusso sanguigno cerebrale a livello della corteccia uditiva primaria, del giro cingolato
e dell’area di Broca sinistra in seguito al trattamento, correlato al miglioramento clinico.
In generale, l’analisi sia dei dati elettrofisiologici (Krug et al., 2013) sia di quelli ottenuti
attraverso tecniche di neuroimaging funzionale (Pettersson-Yeo et al., 2010) suggerisce
che alla base dei meccanismi patologici della schizofrenia (o delle schizofrenie) vi sia
un’alterata connettività fra network neuronali distinti, in termini di diminuita o aumen-
tata interazione, a seconda del tipo di aree interessate e, quindi, a livello fenotipico, a
seconda del tipo di manifestazione clinica. Lo studio di questi aspetti del disturbo mira a
individuare dei marcatori biologici ben specifici e sensibili, che quindi potranno permet-
tere al clinico, in un futuro ormai non troppo lontano, di individuare le aree disfunzio-
nali, di adattare la terapia e di monitorare il trattamento, ma soprattutto di identificare
precocemente i soggetti a rischio e intervenire a tempo debito.
In sintesi
✓✓ I più recenti studi genetici hanno evidenziato alti tassi di ereditabilità per
la schizofrenia.
✓✓ Non si eredita il disturbo, ma le alterazioni genetiche che, in combinazio-
ne con fattori ambientali, determinano la vulnerabilità alla schizofrenia.
✓✓ Ci sono diversi geni candidati per la schizofrenia: DISC1, NRG1, DTNBP1,
COMT.
✓✓ È stato riscontrato un coinvolgimento del sistema immunitario: sono
presenti livelli elevati di citochine pro-infiammatorie e risposte infiam-
matorie eccessive e disregolate.
✓✓ A livello neurofisiologico, nei soggetti con schizofrenia si riscontrano al-
terazioni nella componente P50 e P300 e ulteriori anomalie nel tracciato
elettroencefalografico.
✓✓ A livello di neuroimaging, si evidenziano alterazioni delle aree paraippo-
campali e una riduzione di volume di materia grigia nelle aree prefronta-
li, perisilviane e temporolimbiche.
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