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Martedì 24 maggio 2016, ore 20.

30
Sala Verdi del Conservatorio

22
Davide Cabassi
pianoforte

Schumann - Kinderszenen op. 15


- Carnaval op. 9

2015
Castiglioni - Dulce Refrigerium
Musorgskij - Quadri di un’esposizione

2016
1 5 1 a S TA G I O N E
Di turno
Di turno Consulente
Consulente
Artistico
Consulente Artistico
Artistico
Antonio
Antonio
Magnocavallo
Liliana Magnocavallo
Konigsman Paolo
Paolo
ArcàArcà
Paolo
MarioMario
Bassani
Bassani

I concerti sono preceduti da una breve introduzione


di Gaia Varon o Oreste Bossini
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Si raccomanda
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le suonerie
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acustici;
acustici;
• evitare
• evitare
colpi dicolpi
tosse
di tosse
e fruscii
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del programma;
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• non lasciare
• non lasciare
la salalafino
salaalfino
congedo
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dell’artista.
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Il programma
Il programma
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venerdì
il venerdì
precedente
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il concerto.
il concerto.
Robert Schumann
(Zwickau 1810 - Endenich, Bonn 1856)

Kinderszenen op. 15 (ca. 16’)


1. Von fremden Ländern und Menschen (Di terre e genti straniere) 2. Cu-
riose Geschichte (Storia curiosa) 3. Hasche-Mann (Guardie e ladri) 4. Bit-
tendes Kind (Bambino che supplica) 5. Glückes genug (Abbastanza felice)
6. Wichtige Begebenheit (Avvenimento importante) 7. Träumerei 8. Am Camin
(Al caminetto) 9. Ritter vom Steckenpferd (Cavaliere del cavallo a dondolo)
10. Fast zu ernst (Quasi troppo serioso) 11. Fürchtenmachen (L’uomo nero)
12. Kind im Einschlummern (Bambino nel primo sonno) 13. Der Dichter
spricht (Parla il poeta)

l Anno di composizione: 1838


l Anno di pubblicazione: 1839

Carnaval - Scènes mignonnes sur quatre notes op. 9 (ca. 30’)


Préambule - Pierrot - Arlequin - Valse noble - Eusebius - Florestan - Coquette
- Réplique - Sphinxes - Papillons - A.S.C.H. - S.C.H.A (Lettres Dansantes) -
Chiarina - Chopin - Estrella - Reconnaissance - Pantalon et Colombine - Valse
Allemande - Intermezzo. Paganini - Aveu - Promenade - Pause - Marche des
“Davidsbündler” contre les Philistins

l Anno di composizione: 1833/1835


l Anno di pubblicazione: 1837

Liszt sosteneva che servissero “fiaschi nuovi per il vino novello”, nel senso che
nuove forme musicali erano necessarie per esprimere la sensibilità artistica mo-
derna. Schumann invece aveva una visione più controversa del rapporto con
la tradizione. La musica della prima fase della sua produzione comprende sia
forme classiche, sia pagine di natura più libera. I cicli pianistici degli anni Trenta
rivelano per esempio il desiderio di trasportare sul pianoforte l’intuizione folgo-
rante di Schubert nell’ambito del Lied. L’idea di ciclo nasce infatti dal dilagare
dello stile narrativo nell’arte dell’Ottocento. Ognuna delle sue raccolte pianisti-
che forma un tassello di una storia variopinta, che ha sempre come protagonista,
in maniera più o meno esplicita, la figura di Clara. In una delle lettere all’amata
si legge: «Carissima, nelle Novelletten tu appari in tutte le possibili situazio-
ni e circostanze». La successiva raccolta intitolata Kinderscenen [sic], è stret-
tamente connessa con Novelletten, tanto che Schumann aveva immaginato di
pubblicare assieme i due lavori. Per gli scrittori romantici come Novalis e Jean
Paul, il mondo dell’infanzia incarna una condizione emblematica dell’artista. An-
che Clara rimproverava talvolta Schumann di comportarsi “come un bambino”.
Kinderszenen, che non è una raccolta musicale per l’infanzia, malgrado l’edi-
zione originale presenti il lavoro come una raccolta di “leichte Stücke” (pezzi
facili), rappresenta il tentativo di raffigurare il proprio ritratto artistico in una
sorta di semplice autobiografia musicale. Le tredici scenette formano piuttosto
una messa in scena per gli adulti del mondo infantile. Sono piccoli pezzi amabili e
gioiosi, che vorrebbero esprimere il lato più nascosto della personalità di Schu-
mann. La voce dell’autore si sovrappone infine a quella del poeta, nell’ultimo
episodio. La petite phrase di questa muta confessione autobiografica comparirà
in molti lavori successivi come una sorta di sigla personale.
Il carattere autobiografico della musica di Schumann emerge in maniera netta
in altri cicli pianistici degli anni Trenta, in particolare nella trilogia formata da
Papillon op. 2, Davidsbündlertänze op. 6 e Carnaval op. 9. Questi lavori sono
legati assieme da una sottile trama di citazioni e autocitazioni, come in un lin-
guaggio cifrato comprensibile solo da una ristretta cerchia di iniziati. Papillon
e Davidsbündlertänze descrivono attraverso il filtro delle passioni letterarie,
in particolare i libri di Jean Paul, il mondo di Schumann, mentre Carnaval ne
rappresenta la versione trasfigurata. In una lettera a Clara, Schumann stes-
so stabilisce una relazione tra i due cicli, affermando che le figure delle Da-
vidsbündlertänze sono in rapporto a quelle di Carnaval come “i volti alle ma-
schere”, wie Gesichter zu Masken. Come recita il sottotitolo, il ciclo è formato
da miniature musicali basate su un tema di quattro note. Questo tema in realtà è
una crittografia musicale, dichiarata nell’episodio centrale. Le lettere danzanti,
“Asch” e “Scha”, nella notazione tedesca corrispondono a due serie, che in realtà
sono tre. Una è formata da la-mi bemolle-do-si naturale, l’altra dalle stesse note
ma spostando il primo la in fondo. “Asch” tuttavia può essere letto anche come la
bemolle-do-si naturale, formando quindi una terza serie di tre note. Queste cel-
lule germinali vengono messe in evidenza in un enigmatico episodio, intitolato
“Sphinxes” appunto, in cui le tre serie sono annotate sul pentagramma in chiave
di basso e senza alcuna indicazione di tempo e di durata. Schumann pensava
evidentemente a un episodio soltanto da leggere e non da suonare, anche se gli
interpreti a volte includono anche “Sphinxes” nell’esecuzione. Il significato dei
crittogrammi è molteplice, secondo i costumi intellettuali di Schumann. “Asch”
per esempio era il nome della città in cui era nata l’allora fidanzata Ernestine
von Fricken. Inoltre la parola tedesca per Carnevale, “Fasching”, contiene le
quattro lettere, così come il nome stesso dell’autore, Robert Alexander Schu-
mann. Questo per citare solo alcuni dei possibili e probabili riferimenti.
Lo spunto della composizione è un incantevole valzer di Schubert, intitolato
Trauer oder Sehnsuchts-Walzer, che l’amico fraterno di Schumann Ludwig
Schunke aveva preso come tema per un gruppo di variazioni per pianoforte e or-
chestra. Schumann aveva pensato di scrivere sullo stesso tema una propria serie
di variazioni per pianoforte solo, di carattere intimo, ma l’improvvisa scomparsa
dell’amico nel 1834 fece cadere il progetto. Parte della musica tuttavia venne
ripresa da Schumann per iniziare un nuovo lavoro, non più del genere tema con
variazioni ma come una serie di miniature collegate da un’idea ciclica. Il riferi-
mento alle danze di Schubert tuttavia è molto significativo, perché l’intero ciclo
di Carnaval si nutre dello stile e dello spirito della musica da intrattenimento,
a cominciare dal “Préambule” iniziale. Qui, seminascosta in un disegno della
mano sinistra nella parte centrale, si trova la citazione di un frammento della
melodia iniziale di Papillons, che invece si trasforma in un riferimento esplicito
in un successivo episodio intitolato “Florestan”. In questo caso Schumann non
cita soltanto la frase di Papillons, ma indica addirittura la fonte della citazione
nella partitura. L’idea tuttavia è quella di fingere che si tratti di un ricordo im-
provviso, come un richiamo inatteso di un mondo circondato da un’aura di lon-
tananza. Schumann infatti mette tra parentesi la parola papillons con un punto
interrogativo, come se si chiedesse con finto stupore se la melodia sia proprio
quella. La breve frase espressiva e galante, preceduta dall’inconfondibile impe-
to ascendente delle ottave della mano destra, viene trasportata nella tonalità di
sol minore, una terza sotto rispetto all’originario si minore, accentuando così la
sensazione di un ricordo lontano e un po’ sbiadito. Il punto più significativo in
cui Carnaval entra in contatto con il mondo giovanile di Schumann tuttavia si
trova nell’episodio finale, la “Marcia della Lega dei fratelli di Davide contro i
Filistei”. Anche in questo caso il gioco delle citazioni passa attraverso Papillons.
L’elemento comune infatti è una melodia popolare detta “Grossvatertanz”, che
fin dal Seicento veniva usata per chiudere le feste da ballo. La danza si articola
in due sezioni, un morbido andante in 3/8 e un vivace allegro in 2/4. Nel finale di
Papillons la “Grossvatertanz” è citata per intero, mentre nella “Marcia” di Car-
naval Schumann inserisce soltanto il tema dell’andante. Il mondo della musica
da ballo s’insinua lentamente nel tessuto del brano, impadronendosi per così
dire del disegno ritmico derivato dal finale del Quinto Concerto per pianoforte
di Beethoven, che si trasforma impercettibilmente nel tema del XVII secolo
esplicitamente indicato in partitura. Le ragioni dell’arte si scontrano dunque
con l’estetica gastronomica della società borghese, incarnata nella musica da
ballo dei filistei, finendo per trionfare nella stretta finale, chiusa da una serie
di pugni sulla tastiera del pianoforte nel più puro stile dei finali beethoveniani.
Niccolò Castiglioni
(Milano 1932 - 1996)

Dulce refrigerium. Sechs geistliche Lieder für pianoforte (ca. 8’)


1. Humilitas 2. Humus 3. Urquelle 4. Lied 5. Liebeslied 6. Choral

l Anno di composizione: 1984


l Prima esecuzione: Rimini, 1 agosto 1984

A vent’anni dalla scomparsa, la figura di Niccolò Castiglioni rimane ancora viva


come una delle voci più pure della musica italiana del secondo Novecento. Il suo
percorso artistico inizia sulla scia delle tendenze più radicali della nuova musica
del dopoguerra e delle indagini sulle strutture del linguaggio musicale. Alla fine
degli anni ’50 tuttavia Castiglioni comincia ad avvertire il peso dell’insostenibile
corsa in avanti dell’arte contemporanea e la necessità di fermarsi un momen-
to per riprendere fiato. «Adesso è venuto il momento del ridimensionamento
– scrive nel 1963 – Ritrovare il senso della tradizionalità. Prima si costruiva solo
in altezza, verticalmente. Adesso bisogna costruire orizzontalmente. Occorrono
più solide basi». La ricerca di una nuova semplicità, di uno sguardo orizzontale
e per così dire dal basso dei processi musicali porta Castiglioni a sviluppare
negli anni successivi uno stile del tutto personale e avulso dal main stream del
suo tempo. I lavori dei primi anni Ottanta rispecchiano lo spirito francescano
invocato dall’autore, che si spoglia delle ricche vesti di una cultura musicale di
prim’ordine in favore di forme semplici e di un linguaggio elementare. Uno degli
esempi migliori di questa scelta sempre più radicale di perseguire un ideale di
modestia è il breve ciclo pianistico intitolato Dulce refrigerium, che trae il nome
dall’antica sequenza latina Veni Sancte Spiritus, uno dei testi più musicati della
tradizione cristiana. Dopo i tormenti intellettuali di una ricerca musicale sem-
pre più complessa e lontana dall’esperienza fisica umana, le triadi e i sommes-
si accordi consonanti dei primi due “canti spirituali”, “Humilitas” e “Humus”,
sembrano recare un conforto spirituale, un dolce refrigerio appunto, all’animo
esacerbato e purtroppo anche offuscato da mali oscuri dell’autore. Lo stesso
Castiglioni mette in luce il nesso tra questi due termini, in uno scritto inedito di
quegli anni intitolato L’anima canterina: «la parola HUMILITAS proviene da
HUMUS senza soluzione di continuità, mentre c’è viceversa soluzione di conti-
nuità tra HUMUS (latino) e HUMOUR (volgare)». La chiave per comprendere
la disarmante naïveté dello stile di Castiglioni è l’aura di umorismo poetico che
circonda l’intero lavoro. Dulce refrigerium evita di affermare in tono polemico,
o anche troppo rigoroso e radicale, un’estetica della semplicità, ma aspira a ri-
trovare, con il sorriso sulle labbra e una punta di nostalgia, una purezza di cuore
smarrita e l’innocenza dello sguardo. L’ultimo episodio, “Choral”, rappresen-
ta una sorta di epitome di tutti questi temi, nel poetico minimalismo della sua
espressione. La partitura è formata da sole tre battute di un elementare corale
a due voci, come negli inni luterani. La melodia è accompagnata da una citazione
di un’opera di Cimarosa, Gli Orazi e i Curiazi, “Ah! Ritorni il vecchio affetto... a
regnar nel vostro cor”, trovata in una vecchia raccolta d’arie curata da un amico
di gioventù. Lo scarto tra lo stile religioso della musica e l’ispirazione profana
del testo, così come tra il carattere oggettivo e impersonale della scrittura e il
riferimento psicologico alla propria giovinezza, provoca il tipico cortocircuito
poetico e umoristico dell’ultima produzione di Castiglioni.

Modest Musorgskij
(Sarajevo 1839 - San Pietroburgo, 1881)

Quadri di un’esposizione (ca. 36’)


Promenade - 1. Gnomus – Promenade - 2. Il vecchio castello – Promenade
- 3. Tuileries (Dispute d’enfants après jeux) 4. Bydlo - Promenade - 5. Ballet
des poussins dans leurs coques 6. Deux juifs l’un riche et l’autre pauvre -
Promenade - 7. Limoges. Le marché (La grande nouvelle) 8. Catacombae.
Sepulcrum romanum [Con mortuis in lingua mortua] 9. La cabane sur des
pattes de poule (Baba-Jaga) 10. La grande porte. Dans la capitale de Kiev

l Anno di composizione: 1874


l Anno di pubblicazione: 1886

«Sono sempre stato un avversario convinto di tutti gli arrangiamenti di


un’opera esistente fatti da altri invece che dall’autore. Lo sono soprattutto
quando si tratta di un artista tanto cosciente e sicuro di quel che faceva come
Musorgskij». Nelle Chroniques de ma vie (1935), Stravinskij intendeva colpire
probabilmente Maurice Ravel, colpevole forse di aver riscosso un sensazionale
successo con la magistrale orchestrazione del più consistente lavoro strumen-
tale di Modest Musorgskij, la suite di dieci pezzi e cinque interludi in forma di
variazioni per pianoforte intitolata Quadri di un esposizione. In realtà la scon-
volgente musica pianistica di Musorgskij era in pratica ancora sconosciuta, nel
primo Novecento. Fin dal 1891, decimo anniversario della scomparsa del com-
positore, numerosi musicisti avevano tentato di trascrivere per orchestra la
suite, che Rimskij-Korsakov aveva pubblicato dopo la morte dell’amico, in una
versione ripulita di quegli eccessi della scrittura addebitati alla drammatica
condizione di alcolista dell’autore. Il testo autentico di Musorgskij fu pubblica-
to a Mosca soltanto nel 1930, a cura di Pavel Lamm.
Musorgskij proietta nei quadri e nei disegni dell’amico Hartmann le inquietudini
del suo animo e le angosce della sua vita irregolare. Nella promenade potremmo
immaginare il punto di vista del narratore in visita alla mostra. La Promenade,
indicata all’inizio con una didascalia un po’ ampollosa “Allegro giusto, nel modo
russico; senza allegrezza, ma poco sostenuto”, perde via via, nel corso delle ri-
petizioni, il carattere cerimonioso, fino a sparire del tutto, come se il punto di
vista del soggetto finisse per fondersi con le immagini stesse dell’esposizione. Il
processo d’identificazione tra il narratore e l’oggetto rivela un risvolto inquie-
tante, se si considera come il percorso nei quadri e nei disegni di Hartmann
rappresenti anche una raffigurazione del passaggio dalla morte all’aldilà, dalla
profonda oscurità della scena delle catacombe e di Cum mortuis in lingua mor-
tua alla sfolgorante luce ultraterrena della Grande Porta di Kiev, passando per
l’infernale sonorità della Capanna sulle zampe di pollo (Baba Yaga).
La scabra scrittura pianistica di Musorgskij tradisce in sostanza il disprezzo
dell’autore per la retorica musicale piccolo-borghese. Non c’è traccia di effet-
ti gratuiti nel pianoforte di Musorgskij, che cerca sempre la sfumatura esatta
dell’espressione. Lo sguardo penetrante dell’autore coglie con precisione la na-
tura psicologica dei vari personaggi, schizzando con pochi elementi melodici e
armonici una serie di bozzetti indimenticabili. La cura più scrupolosa era riser-
vata naturalmente per la parte finale, che richiede una tavolozza di colori tanto
ricca quanto raffinata. Catacombae e Cum mortuis, che formano in sostanza
un unico episodio, preservano un carattere religioso, imprimendo alla musica
un movimento ascensionale, lento ma inarrestabile, verso la luce. Nella Grande
Porta di Kiev, l’apoteosi di suono richiesta dal finale mantiene saldamente sepa-
rata la spettacolare visione salvifica e trascendentale della città e un impatto in
qualche misura ruvido del suono, ancora non del tutto addomesticato.

Oreste Bossini
Casa Schumann

Il 13 settembre 1840 Robert Schumann e Clara Wieck si sposano, dopo non


poche travesie dovute alla forte opposizione del padre di lei, l’affermato inse-
gnante di pianoforte Friedrich Wieck.
Robert, di nove anni più anziano, aveva conosciuto Clara proprio così: frequen-
tando le lezioni di pianoforte del padre, dei cui metodi - duri ed inflessibili -
avrebbe presto pagato le conseguenze.
Infatti l’utilizzo da parte di Wieck di un improbabile macchinario che avreb-
be dovuto accelerare i progressi nell’indipendenza delle dita, compromette per
sempre la possibilità - per Robert - di diventare pianista concertista.
Con il matrimonio, la giovane coppia di musicisti (Robert ha trent’anni, Clara ne
compie ventuno proprio nel giorno del suo matrimonio) si trasferisce al numero
5 della Inselstrasse, a Lipsia: l’appartamento si trova in un edificio che ha una
facciata solida e ben fatta, con qualche spunto neoclassico nell’architettura.
Negli anni che hanno preceduto il matrimonio con Clara, Schumann ha scritto la
maggior parte delle sue opere pianistiche.
Si tratta di una stagione irripetibile della storia del pianoforte, nella quale sono
nati capolavori che ancor oggi alimentano i programmi dei recital.
L’anno 1840 segna un passaggio importante non solo per la vita privata, ma an-
che per la musica di Robert, il quale fa sapere a Clara che sta scrivendo “una
musica di nuovo genere”: è il Lied.
A questo genere così intimistico, Schumann si dedica con fervore producendo i
grandi cicli Frauenliebe und Leben, Dichterliebe, i due Liederkreise e vari Lie-
der che compongono numerose raccolte e che mettono in musica i versi di Heine,
Goethe, Rückert, Chamisso e molti altri.
Solo nell’anno 1840 Schumann compone centocinquanta Lieder, a cominciare da
quella magnifica raccolta, Myrthen, che fu il regalo di nozze per Clara.
Anche la signora Schumann è, come non molti sanno, ottima compositrice, oltre
che nota pianista. La sua Op. 1 risale al 1829 e negli anni del matrimonio non
smette di scrivere, pur dedicando la maggior parte del tempo allo studio dei
pezzi pianistici che la porteranno in giro per il mondo come concertista (nel 1845
arriverà in tournée fino a San Pietroburgo).
Presentata fin da piccola come “la Mozart di Lipsia”, all’età di nove anni si era
già esibita al Gewandhaus e per tutta la vita porterà avanti un’intensa e ricono-
sciuta carriera di pianista virtuosa.
Nei suoi concerti esegue le opere pianistiche di Beethoven, Moscheles, Hum-
mel, Kalkbrenner, nonché del marito (riduce per pianoforte anche le sue opere
sinfoniche) ed è interprete degli impervi concerti per pianoforte dell’amico
Johannes Brahms.
All’indomani del matrimonio, Robert ha avuto l’idea squisita di un diario da te-
nere a quattro mani con sua moglie, ossia a settimane alterne, e ha offerto a
Clara il primo quaderno con una dedica di poetica dolcezza.
Come in un prolungamento del dialogare quotidiano in una dimensione più in-
tima e riservata, i coniugi descriveranno in queste pagine gli eventi, i viaggi,
il succedersi dei giorni, ma anche i pensieri, i sentimenti, le preoccupazioni, le
gioie e le speranze della vita matrimoniale.
Non mancano i giudizi, spesso severi, sul lavoro di compositori ed interpreti con-
temporanei: agli occhi della signora Schumann, ad esempio, Bellini e Donizetti
trovano pochissimo credito, Wagner risulta antipatico, mentre Liszt, sebbene se
ne riconosca l’ineguagliabile virtuosismo, è guardato con insofferenza.
Dai Diari del matrimonio emerge l’immagine di una coppia forte e allo stesso
tempo affettuosa e di una casa nella quale la musica è assolutamente al centro:
si fa musica, si parla di musica e si ricevono molti musicisti, che siano amici di
vecchia data o stranieri di passaggio: poi, quando arriva la sera, tutto è confidato
al diario, che si riempie giorno per giorno di dettagli modesti di una vita opero-
sa, così come di illuminazioni poetiche di artisti geniali.

Giulia Ferraro
Allieva del Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Davide Cabassi pianoforte

Dopo essersi diplomato al Conservatorio G. Verdi di Milano nella classe di


Edda Ponti, Davide Cabassi ha studiato per cinque anni, primo italiano
ammesso, alla Fondazione Internazionale per il Pianoforte di Cadenabbia,
sul Lago di Como, con William Grant Naborè, Karl Ulrich Schnabel, Leon
Fleischer, Dmitri Bashkirov, Rosalyn Tureck e molti altri.
A tredici anni ha debuttato con l’Orchestra Sinfonica della RAI di Milano. Da
allora ha intrapreso una brillante carriera internazionale che l’ha portato ad
esibirsi con orchestre quali Münchner Philharmoniker, Neue Philharmonie
Westfalen, Russian Chamber Orchestra, Fort Worth Symphony, Orchestra
Haydn Bolzano, Orchestra Verdi Milano, I Pomeriggi Musicali di Milano,
Orchestre Romantique di Parigi, Orchestra della Svizzera Italiana di Lugano,
collaborando con direttori quali Gustav Kuhn, James Conlon, Asher Fisch,
Vladimir Delman, Antonello Manacorda, Marco Angius, Kimbo Ishi-Ito, Tito
Ceccherini.
In recital ha suonato per le più importanti associazioni musicali italiane ed
europee oltre che negli Stati Uniti, in Cina e Giappone in sale quali Weill Hall
in Carnegie a New York, Rachmaninov Hall a Mosca, Gasteig a Monaco di
Baviera, Mozarteum di Salisburgo, Louvre e Salle Gaveau a Parigi, Roque
d’Antheron, Tiroler Festspiele Erl. Nel 2010 ha esordito al Teatro alla Scala
con il Concerto K 488 di Mozart.
Come “top prizewinner” del Twelfth Van Cliburn International Piano
Competition è regolarmente in tournèe negli Stati Uniti. È stato inoltre scelto
come uno dei quattro giovani protagonisti del film documentario sul Concorso
Van Cliburn “In the heart of Music” distribuito in Europa da Artè.” Tra i
prossimi impegni negli Stati Uniti ricordiamo l’esecuzione integrale dei
Concerti di Beethoven con la Amarillo Symphony.
Ha al suo attivo numerose registrazioni televisive e radiofoniche. In ambito
discografico ha esordito nel 2006 con “Dancing with the Orchestra” che ha
meritato il premio della critica “Classic Voice”, come miglior CD di debutto.
Sky Classica gli ha dedicato uno speciale per la serie “Notevoli”.
È docente presso il Conservatorio Monteverdi di Bolzano e artist in residence
del Col-Legno Festival di Lucca e dei Tiroler Festspiele Erl.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Prossimo concerto:
Mercoledì 21 settembre 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Mitsuko Uchida pianoforte
Schubert - Quattro Improvvisi op. 90 D 899
Beethoven - 33 Variazioni sopra un valzer di Diabelli op. 120
 
Mitsuko Uchida ci ha comunicato la data nella quale recupera il concerto
previsto per il 10 maggio e rinviato per motivi di salute.

Per accedere al concerto è necessario conservare l’abbonamento all’Intera


stagione o alla serie Pianisti al Quartetto 2015-2016.

Il biglietto singolo rimane valido per l’accesso al concerto


nella nuova data.

Società del Quartetto di Milano - via Durini 24


20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - info@quartettomilano.it

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