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I PESCATORI DI PERLE / 3

Collana di scienze della visione


Diretta da Alfonso Amendola e Vincenzo Del Gaudio

Comitato Scientifico: Philip Auslander (Georgia Institute of Techno-


logy), Jordi Ballò (Universidad “Pompeu Fabra” de Barcelona), Giovan-
ni Boccia Artieri (Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”), Vanni Co-
deluppi (Libera Università di Lingue e Comunicazione di Milano), Pina
de Luca (Università degli Studi di Salerno), Massimo Donà (Università
“Vita-Salute” San Raffaele di Milano), Gino Frezza (Università degli
Studi di Salerno), Sybille  Krämer (Freie Universität Berlin), Mariano
Longo (Università degli Studi di Lecce), Maddalena Mazzocut-Mis (Uni-
versità degli Studi di Milano), Roberta Paltrinieri (Alma Mater Studio-
rum Università di Bologna), Jussi Parikka (University of Southampton),
Gianfranco Pecchinenda (Università “Federico II” di Napoli).

A partire da un’angolazione di mediologia della cultura e sociologia


dello spettacolo, la collana vuole indagare le continue relazioni tra
comunicazione, cinema, teatro, danza, video-art, serialità e moda. Un
percorso (denso di trame intermediali) per raccontare storie, teorie,
prassi e sguardi trasversali che ancor oggi sono fondamentali modelli
di riferimento per comprendere il contemporaneo.

“In Benjamin abbiamo qualcosa di – se non unico – certo estrema-


mente raro, il dono di pensare poeticamente. Questo pensiero, nutrito
dell’oggi, lavora con i frammenti di pensiero che può strappare al pas-
sato e raccogliere intorno a sé. Come il pescatore di perle che arriva sul
fondo del mare non per scavarlo e riportarlo alla luce, ma per rompere
staccando nella profondità le cose preziose e rare, perle e coralli, e
per riportarne frammenti alla superficie del giorno, esso si immerge
nelle profondità del passato non per richiamarlo in vita così come era e
per aiutare il rinnovamento di epoche già consumate. Quello che guida
questo pensiero è la convinzione che il mondo vivente ceda alla rovina
dei tempi, ma che il processo di decomposizione sia insieme anche
un processo di cristallizzazione; che nella protezione del mare – nello
stesso elemento non storico cui deve cedere tutto quanto si è compiuto
nella storia – nascono nuove forme e formazioni cristalline che, rese
invulnerabili contro gli elementi, sussistono e aspettano solo il pesca-
tore di perle che le riporti alla luce: come frammenti di pensiero, come
frammenti o anche come eterni fenomeni originari” (Hannah Arendt).
Gino Frezza

Nuvole mutanti
Scritture visive e immaginario dei fumetti

MELTEMI
Meltemi editore
www.meltemieditore.it
redazione@meltemieditore.it

Collana: I pescatori di perle, n. 3


Isbn: 9788883537554

© 2017 – meltemi press srl


Sede legale: via Ruggero Boscovich, 31 – 20124 Milano
Sede operativa: via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 22471892 / 22472232
Indice

xx Introduzione

Prima parte
Scritture visive e immaginario dei fumetti

xx Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini


xx L’immagine, il percepibile, il narrabile
xx Attenti all’immagine!
xx Il futuro nell’antico
xx Profili simbolici del cibo nei fumetti

Seconda parte
Scritture visive e fumetti italiani

xx La sceneggiatura nei fumetti italiani


xx Uno sguardo disincantato
xx Dall’America all’Italia, e ritorno
xx Diabolik e la cultura moderna
xx Alan Ford e gli anni Settanta
xx Il ritorno di Ken Parker
xx Fantasmi-Fumetti di Macchie
Appendice: Fantanimalia

xx Elementi di immaginario animale


di Gino Frezza e Nadia Riccio
xx Memorie di zoologia mediale
di Vincenzo Spisso e Renée Capolupo
xx Albero di zoologia parallela
di V. Spisso, G. Frezza, R. Capolupo, N. Riccio

xx Bibliografia, Fumettografia e Filmografia


Introduzione

1. Un radicale cambiamento di contesto

Questo libro ancora una volta da me dedicato ai fumet-


ti (è il sesto che pubblico su tale materia nel corso di qua-
rant’anni) porta il titolo di “nuvole mutanti” non solo per
una ragione letterale. Come si sa, il termine “nuvola” (o, me-
glio, “nuvoletta”) definisce uno degli elementi primari della
forma di comunicazione del medium (ossia il balloon che
contiene la scrittura delle parole o dei pensieri, esclamazioni,
idee, ecc.); piace ricordare che, all’interno di un film italiano
uscito nel 1968, e dedicato appunto alla relazione fra cinema
e fumetti, ossia Capriccio all’italiana (su cui Frezza 1999, pp.
125-126), film contenente vari episodi tutti puntati a dilet-
tare gli spettatori attorno a ossessioni e a comportamenti o
a fantasie relative ai fumetti (episodi diretti da autori come
Mario Monicelli, Steno, Mauro Bolognini, Pino Zac e Fran-
co Rossi), quello firmato da Pier Paolo Pasolini, con la sua
consueta libertà e inventiva poetica (una storia di marionette
interpretate nientemeno che da Totò, Laura Betti e Ninetto
Davoli nelle parti rispettive di Iago, Desdemona e Otello,
con Domenico Modugno nel ruolo del cantastorie), s’inti-
tolava, appunto e non per caso, “Che cosa sono le nuvole?”.
La breve storia raccontata nel film di Pasolini trasforma
i noti personaggi shakespeariani in marionette che vivono la
condizione d’essere semoventi. Fra l’immobilità dei pupaz-
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zi legati a fili tiranti, e il movimento dei corpi recitanti, alla


fine, dopo esser stati gettati dal cantastorie in una discarica,
Iago (Totò) e Otello (Ninetto Davoli) guardano, meraviglia-
ti, il cielo costellato di nuvole bianche e, reciprocamente, si
chiedono:
Otello: «e che so’ quelle»?
Iago: «quelle so’ le nuvole!».
Otello: «e che so’ ’ste nuvole»?
Iago: «Mah!»
Otello: «Quanto so’ belle…quanto so’ belle…»
Iago: «Ah!...straziante meravigliosa bellezza del creato…».
L’ultima immagine del piccolo capolavoro pasoliniano è
quella, sospesa, di nuvole bianche sul fondo azzurro del cie-
lo, il cui moto è pronto a bloccarsi in un istante, o a ripren-
dere un celere e improvviso dinamismo.
Se si seguono queste intense, ma ben chiare, indicazioni
pasoliniane, i fumetti possiedono lo stesso statuto delle nu-
vole; mostrano infatti una qualità di segno in costante flut-
tuazione: non soltanto fra movimento e stasi delle immagini
su carta, ma, altresì, quella che incrocia e attraversa, da un
lato, linee, colori e densità dei disegni (dalla luce all’ombra,
dal colore al retino ecc.) con i segni scritti della lingua. Se-
gni che non solo trasferiscono sul piano visivo la sonorità
delle parole dette e pronunciate ma anche la sonorità degli
ambienti, dei corpi che si muovono, degli oggetti che urta-
no cose e occupano spazi, e d’altronde pure la sonorità del
tempo della lettura che si sovrappone (o si libera dei vincoli)
ai tempi narrativi: insomma questi segni di scrittura, nell’in-
crociare i disegni e la loro stratificata costituzione, rendono
la sonorità del mondo – ecco come i linguaggi dei fumetti
(concretamente silenziosi, ma semioticamente audiovisivi,
grazie a strategie sinestesiche) danno conto della vita nello
spazio e nel tempo.
Ma il riferimento a Pasolini consente di sottolineare che
il titolo del presente libro ha anche qualche significato meno
letterale e più indistinto, dal sapore metaforico. Nuvole mu-
tanti è infatti essa stessa una figurazione, e intende designare
Introduzione 9

(in modo volutamente indistinto e, perché no, imperfetto)


l’universo di una forma di comunicazione sottoposta, oggi, a
cambiamenti imprevisti, a tensioni che da un lato ne stanno
mutando gli assetti produttivi e le modalità di consumo, e
dall’altro restano sospese, in attesa di un futuro assestamen-
to. Tali, cioè, da essere o in grado di spostare radicalmente i
suoi esiti di mezzo di comunicazione (accadde già, per esem-
pio, cinquant’anni fa, quando i fumetti vissero una sorta di
celebrazione che riparava torti ingiusti e accuse senza fonda-
menti, e ancora di più questo sta lentamente, ma inesorabil-
mente, accadendo negli ultimi dieci-quindici anni) oppure
di lasciare che tutto si mantenga in una terra di mezzo, in
una sorta di limbo che si esaurisca in una soluzione qualsiasi,
volutamente incompiuta e rinviata a un incalcolato futuro.
È l’impressione che si ricava quando si osservino le cose
avvenute dagli ultimi decenni del Novecento a oggi. Anzi-
tutto, bisogna annotare la prima grande scomparsa, su cui
c’è stato un silenzio generalizzato quando avrebbe invece
dovuto provocare un rumorio di pensiero e di attenzione:
ossia il rapporto fra fumetti e strisce giornaliere dei quotidia-
ni (specialmente negli usa, dove tale rapporto ha sostenuto
quasi un secolo di relazioni fra autori, syndacates, lettori); la
scomparsa di questo formato – sul quale, nell’epoca classica
dei fumetti, dai Trenta ai Cinquanta del Novecento, si sono
promulgate intere saghe di grandi masterpieces – si è manife-
stata come evento incontrovertibile. Tanto improvviso quan-
to indiscutibile. La scomparsa delle strisce pare una morte
non solo annunciata ma in grado di rendere percepibile una
svolta senza più ritorno.
In Italia, la relazione fra fumetti e giornali non è stata
così intensa come negli usa (è pur vero che alcuni quotidiani
hanno supportato certi momenti fondativi o, comunque, im-
portanti: dal Corriere al Giorno, a inizio Novecento e nel do-
poguerra) e il paradosso vuole che, all’interno di una scena
editoriale dove i comics si sono ritagliati nel nostro paese uno
spazio specifico, sufficientemente autonomo dai giornali, il
rapporto fra fumetti e quotidiani rientri dalla finestra, oggi,
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nel corso di una grande crisi editoriale che dura da circa un


ventennio – in modo inusuale, anche se in linea con le sue
origini. Molti quotidiani difatti stanno proponendo, assieme
alla propria edizione giornaliera, la vendita – a prezzi econo-
mici e competitivi – di serie intere di fumetti (dai supereroi
ai classici americani ed europei dell’avventura). In tal modo,
i fumetti giocano un ruolo di attrattori, di promozione e di
affezione, di spinta alla lettura, dei quotidiani medesimi. Un
buon numero di testate nazionali (da Repubblica al Corriere,
dal Sole 24 Ore a La Gazzetta dello Sport) lanciano, o rilancia-
no, collezioni complete di fumetti, supplendo a quello spazio
che l’editoria specifica ha difficoltà a esercitare alle condizio-
ni di una volta.
Ma non accade soltanto questo. C’è una vistosa riduzione,
quasi una cancellazione, dell’editoria di ricerca, di sperimen-
tazione di nuove formule e di nuovi autori; le riviste che oc-
cupavano negli anni Settanta e Ottanta una buona posizione
nelle edicole sono ora del tutto inesistenti; la quota di ricerca
che un tempo occupava una fetta consistente dell’editoria,
adesso si è marginalizzata, limitata a una editoria di nicchia,
circoscritta a settori parziali decisamente minoritari del mer-
cato (anche se svolge un ruolo sempre vitale, inaugurando
rischiosamente nuove proposte). D’altro canto, nel mercato
librario si è affermato lo spazio del cosiddetto graphic novel1.
È un bene, senz’altro, perché ha consolidato la possibilità di
un fumetto ricercato, di qualità, sperimentale; ma lo spazio
del graphic novel non può essere considerato sostitutivo di
quel mercato più ampio che, fino a qualche decennio fa, in-

1
Questo termine è da intendersi nella sua più ampia e generica conven-
zionalità. Esso rimanda a fumetti che hanno l’ambizione di corrispondere a
romanzi-libro, indipendentemente dal genere di appartenenza. La stessa con-
fezione del graphic novel è quella medesima del libro. Sul termine novel oc-
correrebbe tuttavia una riflessione più appropriata. È noto, infatti, che novel
nella lingua inglese rimanda a una narrativa di stampo realistico. Pertanto,
ogni diverso genere dei fumetti editi come libro dovrebbe essere definito con
l’apposito nome, dopo il termine “graphic” (graphic fantasy, graphic adven-
ture, ecc.).
Introduzione 11

terveniva nella cultura e nei comportamenti quotidiani di un


pubblico esteso e generalista, per molti aspetti popolare.
Su questo punto va rimarcata una differenza sostanziale.
Assieme alla crisi del comparto editoriale del fumetto e della
sua valenza economica, si è trasformata la cultura sociale che
sostiene il medium. Da mezzo di comunicazione popolare,
i cui prodotti – dagli Anni Trenta ai tardi Anni Settanta –
costavano relativamente poco agli editori ed erano venduti
a prezzi molto favorevoli per consumatori dal reddito bas-
so, nel corso degli ultimi trent’anni il fumetto ha vissuto un
aumento esponenziale di costi, attestandosi sul livello di un
medium di nicchia, i cui prodotti sono “riservati” a un pub-
blico selezionato e dai redditi medio-alti.

1.2. Il fumetto è un medium che, più del cinema e della


televisione, ha dovuto subire una marginalizzazione del suo
apparato produttivo, specialmente in Europa negli ultimi
trent’anni. Si legge-si vede, oggi, molto di meno in cartaceo,
mentre tende all’aumento il consumo di video-schermate
sottoposte a usi molteplici (illustrativi, dimostrativi, nella
relazione ipertestuale con altri linguaggi). Si legge-si vede in
digitale, sul pc e su piattaforme portatili non, però, in misura
da sostituire la diminuzione degli albi e delle strisce editate
in passato (sul mutamento delle tavole dal supporto cartaceo
agli schermi digitali, infra).
Si è rarefatto in macchie ridotte di mercato quel circuito
quasi-stabile che, almeno dagli anni Trenta fino agli anni Ot-
tanta del XX secolo, garantiva la tenuta di uno spazio edito-
riale che nutriva un pubblico di seguaci composto soprattut-
to da adolescenti e giovani, appassionati alle saghe – molte
dal sapore generazionale – che proponevano personaggi,
mondi da esplorare e scoprire, storie del passato da rivivere e
da gustare anche per il loro lato educativo, per la capacità di
far vivere e rivivere dimensioni che negli altri media avevano
difficoltà ad apparire e a farsi “vedere-ascoltare”.
Si può affermare, con una certa ragione statistica e con l’e-
videnza di processi numerabili, che è la dimensione di massa
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del consumo di fumetti a essersi fatalmente incrinata. Da una


industria culturale di massa, che ha contraddistinto la storia
del Novecento fin quasi alla fine, il fumetto oggi può essere
considerato un medium sostenuto da una editoria in radica-
le fase di riorganizzazione. Soltanto alcuni centri produttivi
resistono, e poche testate eccellenti (legate a personaggi in-
scalfibili e molto apprezzati dal grande pubblico) possono
vantare le migliaia di copie vendute con periodicità regolare.
Quella effervescenza di proposte del fumetto che ha caratte-
rizzato l’editoria dagli anni Trenta agli anni Ottanta è svanita.
Piccole e medie case editrici stentano a sopravvivere e molte
hanno dovuto chiudere. La folla di personaggi di carta pre-
senti in edicola si è diradata a un numero piuttosto stretto,
rispetto a una volta. Le serie regolari, che superano i cento
episodi, sono assai poche. La quantità si è quindi ridotta, e in
compenso la qualità di personaggi, di storie, di serie regolari
o di miniserie è aumentata nell’arco degli ultimi trent’anni.
Nel corso di una crisi indiscussa e dai numeri davvero mol-
to pesanti, la riduzione quantitativa ha potuto almeno farsi
accompagnare dalla tendenza a una maggiore qualità espres-
siva, ad ampio raggio: sia nel senso del miglioramento nelle
sceneggiature, sia nel senso della varietà delle forme grafico-
narrative proposte al pubblico. Il formato del graphic novel
(e quello, correlato, del graphic fantasy) riscuote un buon
successo, ma in quanto è collegato a prodotti dalla seriali-
tà minima o a esemplari che rivendicano, o valorizzano, la
propria unicità. Eppure questi formati non sono i soli spazi
di una maggiore qualità: anche i prodotti seriali fanno della
qualità un obbiettivo necessario, altrimenti si rischia di sgre-
tolare la fiducia conquistata, regolarmente, nei lettori.

1.3 Il titolo di questo libro richiama alcuni passaggi attra-


verso cui la mutazione complessiva del medium – non solo
nelle forme dei suoi linguaggi, adesso davvero senza fron-
tiere e limiti prefissati – può essere compresa in alcuni suoi
processi di base; e dall’altro vuole collegare la mutazione
odierna a fenomeni e a meccanismi, a repertori e a dinamiche
Introduzione 13

culturali che hanno impresso il medium nel corso della sua


storia. Meccanismi e dinamiche che possono, non meno, dar
luogo a qualche ponte attraverso cui la passione dei lettori di
ieri possa incontrare quella dei lettori di oggi, mostrando che
qualcosa può sedimentare nell’evoluzione socio-culturale
delle varie generazioni. Lasciando dunque qualcosa di più
rispetto a un casuale segno e significato.
Sorgono, allora, le prime domande importanti. Si può
dire che oggi si leggono i fumetti alle medesime condizioni
di ieri (20 anni fa) o dell’altro ieri (50 anni fa)? Certamente
no. I cambiamenti sono percepiti da tutti, produttori e lettori
di comics, e anche nel corso della vita quotidiana l’esisten-
za dei fumetti è adesso collocata con un ordine di valori e
di funzioni molto differenti da una volta. Alcune cose sono
mutate in meglio. I fumetti sono, adesso, non soltanto accet-
tati come un prodotto culturale valido (fino a ieri e l’altro
ieri occorreva ogni volta giustificarne la lettura e dimostra-
re che i pregiudizi su di essi erano del tutto sbagliati) ma
altresì vengono intesi nella capacità di formare competenze
intellettive-cognitive e abilità operative che, nel tempo dell’e-
ra digitale, si mostrano decisamente importanti. Negli anni
cinquanta-sessanta (e prima) i fumetti costituivano una sorta
di gadget dell’abbigliamento o dell’arredo dei ragazzi e dei
giovani; si leggevano nei mezzi di trasporto molto di più di
quanto accada ora; costituivano la “dieta” di lettura popolare
delle famiglie, assieme ai fotoromanzi e alle riviste di gossip;
costituivano l’elemento differenziale fra, da un lato, modelli
educativi dal basso, inseriti nei processi della socializzazione
tramite il cinema, la televisione, la radio, e, dall’altro, modelli
formativi pregiudiziali, che li escludevano dalle pratiche for-
mative sol perché (ed era il loro “scandalo”) ritenuti sovver-
sivi, diseducativi, sovvertitori dello status quo. Fino agli anni
Settanta del XX secolo, questa presenza dei fumetti è stata
piuttosto consolidata e non discutibile; poi tutto è iniziato a
cambiare e a disporre le cose diversamente. E oggi si pone,
fra altri, il problema di conservare o testimoniare, in qualche
modo, la memoria del ruolo che i fumetti hanno svolto nella
14 NUVOLE MUTANTI

circolazione socio-culturale e nei processi di radicamento


delle attuali culture mediali.

1.4 Una certa attenzione viene fornita, in questo libro, a


esperienze che caratterizzano la storia del fumetto in Italia,
nel secondo dopoguerra: il rapporto fra culture e forme nar-
rative o immaginari provenienti dall’America e il modo di ri-
fare da noi (scrivere e disegnare) i generi dell’avventura, in
particolare il western; il fumetto “nero” degli anni sessanta;
il rapporto fra scritture narrative e immaginario, in alcune
fasi di cambiamento (quando le culture sociali e della vita
quotidiana passano il guado del boom economico, quando
i fumetti impattano i momenti di crisi e di trasformazione
che vedono i media analogici divenire media digitali, ecc.).
Si tratta di opere a fumetti nelle quali il legame fra ieri e oggi
si manifesta in forti e significative modalità della maniera
di scrivere-disegnare. Esse danno conto di come si possano
rappresentare le svolte culturali che hanno coinvolto, negli
scorsi decenni, individui, generazioni o gruppi sociali (met-
tendo in trasparenza, nelle proprie immagini, un passato
che si rivela tuttora pieno di magisteri da cogliere e da valo-
rizzare). Una buona memoria del fumetto non serve soltan-
to al fumetto, ma riempie di senso una intera costellazione
culturale, prima e dopo i fumetti stessi, ricomponendo varie
tessere di un puzzle storico e civile non soltanto nazionale
o europeo.

1.5 Questo libro non può non tenere conto delle relazioni
intermediali fra comics e media audiovisivi. Gli scambi fra
fumetti e cinema, fra comics e fiction televisiva, si sono in-
crementati esponenzialmente nell’ultimo ventennio; ciò vuol
dire che tutto va bene e che la situazione è migliorata rispetto
al passato? Non sempre. Spesso i cosiddetti “adattamenti”
tra cinema e comics sono deludenti nel risultato e nella pro-
spettiva del loro concepimento. Talvolta sono palesi ridu-
zioni del fascino, della bellezza e della complessità narrativa
che invece distinguono gli “originali”. D’altro canto occorre
Introduzione 15

riconoscere come e quando l’apporto originario dei fumetti


trova un rilancio che, fra cinema e fiction, o fra letteratura
seriale e videogiochi, rende il loro universo immaginario tut-
tora essenziale e decisivo.
Nel contesto complessivo del sistema dei media e, parti-
colarmente, di quelli audiovisivi, le cose relative ai fumetti
marciano sia positivamente che negativamente; ma non c’è
dubbio che, nonostante vari miglioramenti nel giudizio so-
ciale collettivo, il cambio di rotta nel sistema complessivo
dei media vede fortemente diminuire la loro presenza nell’in-
sieme delle forme di comunicazione. Nonostante questo, i
comics condizionano il futuro degli altri media, vivendo una
transizione dagli esiti non del tutto, e non sempre, calcolabili.
Nei venti anni appena trascorsi si è compiuta una grande
trasformazione dei media e quindi dell’immagine tecnolo-
gica, dalla fotografia al fumetto, dal cinema alla televisione
alla pubblicità. Il primo ventennio del XXI secolo ha pro-
fondamente a che vedere con questo radicale mutamento e
con una rottura profonda delle forme classiche e moderne
della narrazione audiovisiva. Non è per vezzo intellettuale
che si vuole ribadire con forza che, per capire i cambiamenti
intervenuti nell’editoria dei fumetti e nel ruolo sociale ch’es-
si detengono nel pubblico dei lettori, occorre vedere cosa e
come si è spostato nell’intero sistema dei media.
L’immagine, immobile o in movimento, quella silenziosa e
sinestesica della foto e del fumetto, quella sonora e vibrante
del cinema e della televisione, non risulta più vincolata a pro-
cessi industriali pesanti. L’apparato produttivo del cinema
passa dalle impegnative realizzazioni di set e da un sistema di
professioni gerarchizzato (producer, sceneggiatore, regista,
attore ecc.) alle pratiche più “leggere” della post-produzione
(immagini virtuali, disegnate e animate al computer, con l’au-
mento di valore delle professioni della creatività digitale; la
diffusione massiva di software che consentono l’elaborazione
professionale delle immagini e, quindi, una post-produzione
di ottima qualità sulle workstation individuali e domestiche).
Sul piano dei consumi, l’esperienza di vedere un film in sala
16 NUVOLE MUTANTI

si è socialmente ridotta (della vasta rete territoriale di una


volta sopravvivono poche multisale e sale di quartiere); le
copie distribuite in pellicola sono sempre più rare mentre
aumenta esponenzialmente il consumo a casa di film e audio-
visivi, attinti dalla rete in formati digitali.
Con incrementi sempre crescenti, gli apparati di produ-
zione e consumo di film e audiovisivi puntano alla smateria-
lizzazione – ma insieme alla radicalizzazione transmediale –
di prodotti, modalità e forme. Dagli studios alle workstation,
dalla sala al network tematico e al download immediato, ai
siti web dedicati, ai fan’s club di rete. Proliferano modi di
consumo delle immagini che sezionano la “vecchia massa”
degli spettatori dell’era analogica – dagli anni Venti ai No-
vanta del Novecento – e riassestano l’individualità dei con-
sumatori odierni, che praticano forme di affettività random
all’immaginario filmico, televisivo, fumettistico.
Tutto ciò incide sulla capacità affabulatoria del cinema,
sulla sua potenza spettacolare e sulle capacità di immagina-
zione mitologica, oggi in buona parte trasferita nella ricca
(a volte dispersiva) articolazione di temi e personaggi nella
fiction televisiva. E fa i conti con l’innovazione delle tecnolo-
gie audiovisive. Il sistema dei generi di cinema e fiction tenta
strade rigenerative (fra queste, la rielaborazione del reper-
torio di serie di fumetti e di graphic novel è una strada che
si rivela cospicua e valida), ma sono evidenti le difficoltà a
proporre in modo convincente miti e racconti di rifondazio-
ne dell’immaginario.
A quasi metà della seconda decade del XXI secolo, questa
rigenerazione si rivela soggetta a fluttuazioni, a picchi positi-
vi e a riflussi non pervasivi. È il problema del 3D oggi: il pro-
cesso iniziato con Avatar di James Cameron nel 2009, ossia
una ricollocazione dimensionale dell’esperienza spettatoriale
in sala, non pare ancora pienamente decollato e divenuto si-
stema. Uguale problema è vissuto da chi produce i fumetti e
li propone al consumo odierno; si tentano strade in linea con
la tradizione – o sperimentali, ma in forme molto più scarni-
ficate e rade, rispetto a quanto accadeva negli anni Sessanta-
Introduzione 17

Settanta del XX secolo – e tuttavia nulla assicura che vi sia


solidità nelle operazioni tentate, le quali si arrischiano in un
mercato in costante cambio di direzione e dalle improvvise
accensioni o virate.
Come per i prodotti dell’editoria (libraria e visiva), nello
sviluppo rapido delle comunicazioni digitali, film telefilm
e fumetti vivono una interazione sempre più diretta con i
consumatori; le ampie competenze di intervento di questi
ultimi sulla forma delle immagini sonore e sui loro significati
finali danno luogo alla cultura partecipativa dell’era digitale
(Jenkins 2006, 2008). Questo piano, che dovrebbe rendere
più certa e continuativa la saldatura fra produzione e consu-
mo, è però pur’essa fluttuante, con ampi margini di variazio-
ne indefinita.
Le energie che le tecniche e i processi digitali hanno spri-
gionato e radicato sul piano della creatività diffusa, moleco-
lare, di milioni di individui, influenzano – secondo pratiche
stereotipate e “uguali” fra loro, ma viceversa anche secon-
do pratiche radicali e innovative – una summa che è quasi
impossibile racchiudere in una definizione univoca. Tanto
essa è esponenzialmente infinita e multiforme, tanto incide
sulle strategie e sui modi di produzione della stessa imma-
gine “industriale”. La definizione di “immaginario” legato
alla cultura sociale e all’enorme quantità di immagini tecno-
logiche dell’odierna epoca digitale è difficile da restituire in
una sintesi efficace. È in forse la concezione unitaria di una
cultura visiva/sonora e delle sue dinamiche profonde, anche
inconsce o perturbate, rimosse, e dunque “rispecchiate”
attraverso i prodotti visivi e audiovisivi. Multiformi e diffe-
renziate risultano le sponde e le strade espressive attraverso
cui l’immaginario attualmente si esprime (Abruzzese 2011,
Frezza 2013, 2015).
Ciò non significa che il passato non sia ancora attivo nel
presente. Solo, esso si colloca in posizione diversa e interessa
la fase problematica dei passaggi di conoscenze e di valori fra
le varie generazioni di autori e di spettatori, di performing ar-
tists e di media consumers. La situazione generale dei media,
18 NUVOLE MUTANTI

dal punto di vista dei lineamenti originali sia della creatività


produttiva e sia della soggettività spettatoriale, come di quel-
la legata alla profonda relazione fra desiderio e consumo, si
dirige verso sponde nuove, non sempre programmate o con-
trollabili con misurazioni logico-statistiche o delineabili in
maniera deterministica.
Il nuovo che emerge è come se provenisse dal fondo di un
passato che va compreso più a fondo di quanto si sia fatto
finora e in cui essere spettatori-consumatori ha significato
enunciare una creatività non facilmente perscrutabile. Forse
qui sta una delle ragioni di questo libro. Tentare di restituire
qualcosa di significativo delle trascorse soggettività media-
li, nel corso del Novecento, in modo che possano scorgersi
elementi di un passaggio, di una rielaborazione creativa e di
un dialogo fattivo fra epoche mediali diverse, fra ieri e oggi.
L’epoca del cinema e della televisione (gli anni della loro
compiuta integrazione – dagli anni Sessanta ai Novanta del
XX secolo) ha significato, comunque, vari passaggi epoca-
li: non ultimo, come i saperi scritturali e testuali (logici e
analitici) tipici delle culture alfabetiche, si siano innestati e
contaminati con quei saperi non-alfabetici (sintetici e pri-
mariamente emozionali) che hanno visto, prima, diffondersi
le pratiche e le culture dello schermo (dal cinema alla tele-
visione, appunto) e, oggi, quelle dei monitor e dei display
mobili delle reti digitali che portano direttamente a Youtu-
be (Abruzzese 1995, 1996, 2001; Burgess, Green 2009). Il
cinema ha metabolizzato le forme della “diretta” televisiva
in linguaggi più aderenti a nuove sensibilità spettatoriali,
mentre la televisione ha gradualmente integrato la “bellezza”
dell’immagine filmica sia nelle ibridazioni tecniche (dall’high
definition al 3D) sia nel mutamento dei formati espressivi. Il
fumetto, da parte sua, ha ampliato il quadro grafico-visivo
delle proprie tendenze espressive, ma ha pure radicalizzate
le maniere di integrare il piano visivo con quello scritturale-
narrativo secondo equilibri non più, o non solo, legati alle
tradizioni dei generi. Lo scintillio delle immagini disegnate si
accompagna adesso a una sperimentazione narrativa che non
Introduzione 19

ha margini di contenimento; non sempre questa raggiunge i


suoi scopi più alti, ma sempre chiede ai lettori di intrapren-
dere nuovi percorsi nella condivisione dei progetti con cui si
realizza l’immaginario contemporaneo.
Un’epoca, quindi, che ancora va compresa in una visione
che ne colga le direttrici profonde e sappia ricostruirne il
paesaggio mentale e ideale. Oggi si fanno avanti orientamen-
ti non omologabili – se non su tempi lunghi e su linee assai
complesse – con quelle identità mediali che hanno vissuto
l’epoca dell’immaginario audiovisivo di secondo e di fine
Novecento. La soggettività spettatoriale odierna (e quella dei
lettori dei media scritto-visivi) prospetta linee e differenze
non colmabili che sollevano pressanti domande. Quanto le
generazioni cresciute con i linguaggi e le reti digitali posso-
no portare a compimento le speranze e le visioni cresciute
nell’ambito dell’immaginario audiovisivo analogico? Per
questa ragione fondamentale, si è cercato di verificare se vi
siano canali di valorizzazione secondo cui i media del passato
possano alimentare le domande del presente.

2. Oralità Scrittura Visione

Dalla carta al display e allo schermo del pc. La tavola dei


comics oggi transita su diverse piattaforme ma: in questi pas-
saggi tutto resta uguale, o qualcosa si perde? Sono dell’opi-
nione che le strisce e le tavole dei comics siano profondamen-
te, e quasi esclusivamente, risolte nel loro processo di stampa
sul supporto della carta. Ritengo, al contrario, che, quando
siano riprodotte in formati digitali per la loro proiezione su
schermi e tablet o pc, l’assenza della materialità della car-
ta tolga qualcosa all’evidenza stessa del segno scritto-visivo
del fumetto. Insomma, è la stampa su carta che rende piena
la semiosi e la forma di comunicazione del fumetto, perché
contiene e possiede qualcosa che non si conserva nel trasfe-
rirsi agli schermi digitali. Cosa è questo “qualcosa”? Non
so indicare, per ora, altro che il distinguersi delle linee e dei
20 NUVOLE MUTANTI

colori, il loro stagliarsi dal piano della pagina, ossia la strati-


ficazione per cui si percepisce la forma scritto-visiva con un
rilievo che le conferisce una dimensionalità articolata (ossia il
porsi della stessa forma scritto-visiva su due, o tre, o enne…,
dimensioni). La carta conserva questa proprietà essenziale e
sorgiva della forma di comunicazione del fumetto, e si tratta
di una proprietà non trasferibile ai supporti digitali. I quali
hanno, beninteso, altre proprietà (quelle degli oggetti im-
materiali che viaggiano sulle reti): la loro rintracciabilità, il
far parte di archivi attingibili, il porre la forma scritto-visiva
disponibile a interrogazioni analitiche, a rivisitazioni rapide
e a verifiche stringenti, ecc. Tuttavia, le immagini dei fumetti
su schermi e supporti digitali è come se si auto-pongano su
un piano maggiormente rarefatto – e dunque potenzialmente
astratto – rispetto alla consistenza che il di-segno e la scrittu-
ra graficizzata possiedono su carta.
Ogni lettore dell’epoca digitale può fare questa esperien-
za percettiva e coglierne alcune valenze (oltre quelle che sto
adesso indicando). E, se questo mio ragionamento possiede
una sua credibilità, si tratta di cogliere le conseguenze (non
solo teoriche ma pratiche e dalla valenza socio-culturale) che
ne derivano. La prima conseguenza è che i fumetti vivranno
sempre, e comunque, nella stretta connessione coi processi
della stampa, in specie con quelli che conserveranno la mo-
dalità di immagini pubblicate in cartaceo. L’immagine su car-
ta possiede senz’altro un rilievo, una oggettualità strutturata,
uno spessore, che i lettori non sembrano avere intenzione di
perdere o cedere.
Una seconda conseguenza è di natura storica, consente
in altri termini di porre maggiore attenzione ai formati di
stampa con i quali i comics hanno tessuto un rapporto inten-
so, vivace (talora generazionale), con diverse fasce di lettori:
striscia, albo, quaderno, libro ecc. Non per caso, in uno dei
capitoli di questo libro, ho voluto porre una certa attenzione
a come la storia dei formati editoriali dei fumetti italiani ab-
bia una sua interna articolazione, che rimanda alle singolarità
di un mercato in stretta evoluzione coi momenti vissuti e con
Introduzione 21

le vicende culturali del paese, con certe svolte nella relazione


fra assetti storico-politici e espansione dei mercati dei con-
sumi, con le dinamiche tecnologiche che innovano e, spesso,
riformulano radicalmente i rapporti fra media e pubblici.
Ulteriore conseguenza è che la carta non è un mero sup-
porto della comunicazione scritto-visiva, bensì spazio sul
quale le immagini dei comics prendono vita anche in relazio-
ne al loro divenire oggetti del vissuto (infantile, adolescenzia-
le, giovanile, adulto ecc.). La carta funziona in tal modo da
oggetto esso stesso mediano; grazie alla carta le immagini dei
fumetti entrano in circuito con gli ambienti familiari, di lavo-
ro, di attesa, di viaggio e di trasporto, di pausa; costituiscono
il corrispondente di una parete (simbolica) di accesso a mon-
di altri dalla quotidianità; sono un piano extra-ordinario, e
quindi tessono, con il reale, complesse traiettorie di ascolto,
di interrogazione, di modificazione degli statuti che paiono
permanere oltre i soggetti e che, grazie ai fumetti, si manife-
stano invece transitori, modificabili, intriganti.

2.1 Leggere su video e non su pagina, quali cambiamenti


fondamentali suppone? Ma, altresì: scrivere elettronicamen-
te, invece di scrivere su carta, con penna, quale differenza
pone in gioco? Al di là delle differenze puramente materiali
del passaggio dalla carta al video, cioè delle differenze impu-
tabili ai vari canali materiali sui quali è espressa la scrittura,
quali sono, invece, le conseguenze più profonde e radicali?
Domande apparentemente semplici ma, in realtà, non lo
sono. Perché scrivere-leggere nell’era digitale comporta un
mutamento di orizzonte e un cambio di condizioni di base
su cosa sia la narrativa stessa; implica la domanda su quale
esperienza sia leggere e scrivere. Domande che hanno molto
a che vedere con i requisiti che qualificano la lettura, indi-
pendentemente dall’oggetto concreto che è il libro o l’albo
o il fumetto. Da un lato occorre comprendere tali requisiti,
senza farsi condizionare dai sistemi di valore e dalle creden-
ze socio-culturali fino adesso promulgate nei vari media. E
dall’altro bisogna chiedersi: la letteratura consistente in re-
22 NUVOLE MUTANTI

pertori di volumi, libri, saggi, resoconti, diari, biografie, ecc.,


raccolti in secoli di produzione, secondo formati e standard
tradizionali, disponibili, peraltro, secondo formulazioni di-
stributive precise (librerie, biblioteche, magazzini cartacei,
operatori preposti a distribuire territorialmente quei reper-
tori medesimi), si trasforma, o no, allorché gli stessi reperto-
ri siano reperibili e disponibili secondo archivi digitali che
superano di netto le formulazioni distributive tradizionali?
Cosa succede quando, tramite una serie di semplici clic
e link che trapassano territori, luoghi fisici, pesanti e in-
gombranti magazzini cartacei, uno e più libri, albi e tavole
di fumetti si rendono presenti e visibili su una piattaforma
digitale che è cosa ben diversa da un luogo determinato e
dalla presenza dell’oggetto cartaceo? E quando ciò succede
in modo tale che il tempo di reperimento, le condizioni di
fruizione, modificano la diversa disposizione d’animo di chi
intende leggere-vedere in siffatte, nuove, situazioni?
Al di là di cambiamenti evidenti nelle pratiche minute,
nelle circostanze medesime dell’atto di leggere in queste
nuove condizioni (pratiche che, tuttavia, mostrano un loro
senso forte, la ruvidezza di una soglia che è stata superata, di
un cambiamento irreversibile), queste trasformazioni della
lettura rivelano quel che è sempre stato sotteso alla lettura
medesima. Qualcosa che semmai è rimasto nascosto nella su-
perficie dello stile, che in qualche modo è indipendente dalla
narrazione (pur se, spesso, vi si identifica) e altrettanto dalla
strutturazione lessico-grammaticale del testo, o dalla forma
stratificata dei rapporti fra scrittura e immagini: qualcosa che
oggi può essere visto con maggiore percezione di ieri.
Scrittura e lettura – a ben riflettere su di esse – sono espe-
rienze che si riferiscono, da un lato, all’oralità, al parlare fone-
tico, al suono lessico-grammaticalizzato e strutturato (di cui
costituiscono il piano della riproduzione appunto scritturale
e fonetica), e dall’altro al pensiero (guidando quest’ultimo
lungo i sentieri dell’organizzazione semantica testuale). Ma
si ricollegano subito al vedere, sia pure relativamente a un
doppio livello: da un lato il vedere la scrittura stessa, oggetto
Introduzione 23

figurale appunto preposto a rappresentare il suono della pa-


rola, e dall’altro a un vedere implicito, che la scrittura-lettura
genera nell’immagine possibile a cui rimanda, ossia nella
dimensione mentale dell’immaginazione di ogni individuo
messo nella posizione di leggere. E infine si collegano pro-
prio a quel che qui possiamo dire il “vedere-vedere” ossia il
vedere le immagini (foto, disegni, icone ecc.) che si relazio-
nano alla scrittura, al piano del “vedere la scrittura”.
È utile ricordare che, almeno dalla prima metà dell’Ot-
tocento, un colossale processo di rivoluzione dei media ha
trascinato lettura e scrittura fuori dall’ambito stretto della
letteratura (lo scrivere-scrivere, formulato nel supporto spe-
cifico della carta e della stampa) e le ha ricollocate dentro
altre formulazioni mediali.
Fra caricatura, illustrazione, e poi fumetto, la scrittura e
la lettura dapprima hanno interagito con immagini e disegni
per ricomporre quadri dinamici della narrazione scritto-
visiva (dunque, una narrazione non solo ed esclusivamente
“letteraria”, dove il piano visivo si innesta sulla testualità del-
la scrittura e la piega verso zone virtualmente multidimensio-
nali e polisensoriali, sia pure soltanto accennate o di limite e,
non solo ma spesso, perseguendo finalità informative, satiri-
che, di critica e di attacco “politico” e ideologico, ecc.).
Dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento, nel ci-
nema, nella radio e in televisione, scrittura e lettura si sono
incorporate in processi di comunicazione vistosamente ete-
rogenei, multisensoriali, dove da una parte hanno “funzio-
nato” da sistemi di programmazione di testualità complesse,
necessariamente e tendenzialmente audiovisive (il lavoro di
progettazione dell’immagine sia narrativa sia non solo esclu-
sivamente narrativa, depositato nelle sceneggiature e nelle
scalette radio-televisive, per esempio; tali sceneggiature-
scalette sono servite a “comandare” piani di produzione
altrimenti ingovernabili o tendenti al caos creativo, e di qui
dunque le diverse “altalene” sperimentali che hanno varia-
mente attraversato la storia e l’evoluzione del cinema e degli
altri media audiovisivi…).
24 NUVOLE MUTANTI

Dall’altra, scrittura e lettura (o meglio: i piani dello scrive-


re-leggere-vedere) hanno, ancora una volta, tessuto relazioni
espressive con gli altri sistemi di significazione (la corporeità
nello spazio, la voce, la scena e l’habitat architettonicamente
formato, il suono musicale, la ritmicità del montaggio ecc.)
che queste complesse piattaforme mediali hanno valorizzato
in diversi generi della comunicazione (dal melodramma alla
commedia, dal road movie al noir, dalla sit-com al talk show,
al radiodramma, al musical e a tante altre forme espressive
visivo-discorsive, oltre che narrative e audiovisive; infine, si
pensi al lungo passaggio che corre dalle didascalie del cine-
ma muto ai sottotitoli in “lingua” nella fruizione di film nel
formato dei dvd e di serie tv; e si pensi a come oggi si scrive-si
legge-si vede, su tablet e videophones in chat di comunica-
zione serrata e con una palese libertà di svincolarsi dai limiti
di spazio e tempo…).
Nel complesso, in tali processi di riformulazione del senso
stesso delle pratiche di scrittura e lettura, l’oralità la testualità
e la narrazione si sono pian piano adeguate alla dimensione
in cui convivono e si innestano dentro processi di visione.
Trasformazione non da poco, che oggi risulta sempre più de-
cisiva e sostanziale.
Puntando la mira su questo, ci si avvicina al senso pro-
fondo insito nella video-lettura e nel merito del rapporto fra
scrittura, visione e tecnologie digitali. Perché non può non
essere notato che nelle diverse, graduali (e talora improvvise)
trasformazioni della scrittura-lettura nelle diverse piattafor-
me mediali (dalla vecchia “letteratura” cartacea al fumetto
al cinema e ai nuovi media audiovisivi di rete) il pensiero
umano si è come liberato da un solo ancoraggio al testo
scritto-grammaticalizzato, fondendo questo dentro percor-
si semantici insieme complessi e multidimensionali. Non è
forse proprio ciò che viene accelerato ancora di più nella op-
portunità di leggere-vedere sui supporti digitali i più diversi
testi dei vari repertori che i network di rete adesso rendono
possibile “consumare”? L’era della scrittura-lettura-visione
digitale è l’epoca di menti individuali e collettive spinte su
Introduzione 25

tutti gli orizzonti della transmedialità-multimedialità e della


multisensorialità, senza alcun peso specifico che ne limiti le
possibilità di fruizione e le occasioni di far crescere, ancora
di più, cultura e sistemi di pensiero.

3. Una potenza in cerca di “luoghi”

Se si comprende bene questi sviluppi delle forme comu-


nicative, connesse a diversi equilibri fra abilità cognitive e
abilità di connettere forme transmediali proprie dell’epoca
digitale, si afferra in qual modo è cambiata la situazione dei
lettori e consumatori di fumetti, in corrispondenza di come a
essa si adattano le proposte editoriali, le serie e saghe narra-
tive degli autori attuali.
Dagli anni Trenta ai Sessanta, l’editoria dei comics si fon-
dava sul primato di una civiltà al cui centro erano i media
alfabetici, sui quali i media audiovisivi operavano una pres-
sione trasformativa assolutamente cruciale; pressione al cui
centro, negli anni Trenta-Cinquanta, stava il cinema (che
fungeva da medium orientativo per i comics) e sul quale,
a partire dalla metà degli anni Cinquanta, si è innestato il
medium della televisione. Molti episodi importanti del fu-
metto dei primi anni sessanta si spiegano quasi totalmente
nell’orbita di quell’incontro-scontro fra media alfabetici e
media audiovisivi. In questo ambito, fra gli anni Sessanta e
i Settanta, sorgono le grandi riviste “critiche” (da Linus a
Eureka, da Metal Hurlant a Totem, ecc.) che re-inquadrano
il campo dei fumetti e rivendicano una autonomia espressiva
più forte e più alta, in grado da un lato di restituire intera-
mente la complessità della civiltà alfabetica (con le moltis-
sime “traduzioni” dalla grande letteratura, per esempio) e,
dall’altro, di sconfinare in altri domini (fra i quali, una parte
non ristretta è riservata al campo delle relazioni fra fumetti e
arte contemporanea).
Dalla fine degli anni Settanta, si notano nuovi spostamen-
ti, che difatti trovano audience ed esprimono altre sogget-
26 NUVOLE MUTANTI

tività nel corso degli anni Ottanta, un decennio che risulta


essere in grado di germinare aspetti – non solo espressivi,
ma di cultura complessiva, fra produzione e consumo –
che giungono fino a oggi. Si fa avanti una sperimentazione
narrativa che sposta la percezione collettiva di quello che è
raccontabile, e come e perché. In Italia, si tratta di fermenti
innovativi che iniziano da Alan Ford nella prima metà dei
Settanta, e che maturano poi (nel decennio degli Ottanta e
primi Novanta) in riviste come Cannibale e Frigidaire, con
uno spinto spirito trasgressivo, mentre in Orient Express e in
Pilot, o in Corto Maltese e Comic Art, tentano di scavare un
filo di collegamento con la tradizione dei generi, spostandosi
gradualmente nelle serie mensili di Bonelli, come Dylan Dog.
Nel corso degli anni novanta, il cambiamento di paradigma
della qualità narrativa è percepito nettamente dal pubblico
non solo di nicchia ma generalista e intergenerazionale. Ma-
tura la consapevolezza di sfide che devono poter avere una
campitura internazionale, in grado di interpretare sensibilità
che vivono uno scenario culturale ormai globalizzato, dentro
cui occorre individuare conflitti nuovi, drammi individuali e
collettivi che si susseguono (si sostituiscono o si intrecciano)
a quelli già sedimentati in passato.
Di questi occorre trasformare l’humus socio-culturale in
storie e in racconti seriali. È interessante, a questo proposito,
vedere come, e in che cosa, cambiano le serie avviate e porta-
te avanti (e come) da Sergio Bonelli Editore. Non solo perché
costituiscono una parte rilevante della produzione italiana di
fumetti, ma perché nella strategia editoriale con cui nascono,
si affermano (e talvolta chiudono) serie nuove, si riconosce
una serie non minima di valori e di spostamenti di significato
che attestano con quale intensità sia diverso – più difficile,
esigente ma altresì generoso – il pubblico al quale la casa
editrice tenta di collegarsi.
È interessante, per questo, leggere in filigrana i modi at-
traverso cui s’impongono alcuni character seriali. Dylan Dog
(dal 1986 e specialmente nei primi Novanta) per la malin-
conia tanatologica dell’horror, Nathan Never (dal 1991) per
Introduzione 27

il senso chiaroscurale di una science-fiction chiusa su di sé;


Julia (dal 1998) per la prospettiva femminile del noir metro-
politano (anche se originato da un autore come Giancarlo
Berardi, a dimostrazione di come le identità creative possa-
no essere polimorfe e contraddire ingegnosamente quelle di
“genere”); Dampyr (dal 2000) per un fantasy geo-politico
trans-nazionale e, insieme, trans-temporale e trans-ucronico;
Magico Vento (dal 1997 al 2010) e Volto Nascosto (miniserie
dall’ottobre 2007 al novembre 2008) o Adam Wild (26 nu-
meri, dall’ottobre 2014 al novembre 2016), serie dovute alla
penna di Gianfranco Manfredi, autore irrequieto e sagace
e vitale ma disordinato, si segnalano piuttosto per un’acuta
sensibilità antropologica-storica; Lukas e poi Lukas Reborn
(dal 2014 al 2016, ideato da Michele Medda e Michele Be-
nevento) è una serie horror-fantasy in cui diviene program-
matica la permutazione di universi narrativi e di dispositivi
di “genere” (dall’horror al fantasy, dal poliziesco alla scien-
ce-fiction, dal nero metropolitano all’ucronia ecc.) per un
personaggio che insieme è vivo e morto, quasi-zombi ma
colmo di passioni e spinto da una intensa ricerca memoria-
le ed esistenziale, ecc.; miniserie come Caravan (dal giugno
2009 al maggio 2010) traducono in fumetto seriale le istanze
post-apocalittiche maturate in un immaginario occidentale
successivo all’11 settembre 2001, in leggero anticipo rispetto
agli umori endoapocalittici di una serie televisiva horror come
The Walking Dead (partita nell’ottobre 2010 – su cui Frezza
2016) e, inoltre, rispetto alle visioni distopiche di una serie
composita come Orfani (partita nell’ottobre 2013 si è sdop-
piata e poi rinominata in spin off derivati dalla prima stagio-
ne), dentro cui il tema generazionale si tinge di laceranti e
pop-lisergiche segnature di fine del mondo conosciuto; una
serie come Saguaro (ambientata negli anni Settanta, chiude
dopo 35 albi mensili) torna al thriller-poliziesco classico ma
seguendo il profilo di un personaggio che porta con sé l’al-
terità di un pellerossa sopravvissuto al Vietnam e divenuto
agente FBI; infine (per ora…) una serie come Dragonero,
sviluppata nell’ambito di un fantasy medioevale e magico,
28 NUVOLE MUTANTI

sorprendente per ampiezza narrativa e per la prospettiva co-


gnitiva, costantemente in bilico fra consistenza dell’universo
rappresentato e rivelazione di scenari che rovesciano nel re-
tro di un siffatto mondo.
Si deve insomma rilevare un mutamento della qualità
complessiva dei racconti seriali nel fumetto italiano corri-
spondente a quella qualità – non più tanto sorprendente,
nelle proposte narrative – raggiunta dalla fiction televisiva
nordamericana ed europea almeno nell’ultimo ventennio.
Molti sono gli elementi che danno scena a questa “nuova”
qualità: la rappresentazione non effimera né soltanto sinto-
matica della violenza sociale contemporanea; la visione qua-
si sempre distopica dello sviluppo della civiltà occidentale
davanti alle emergenze eco-ambientali e alle disuguaglianze
della globalizzazione; il confronto e la diversità delle opzio-
ni etnico-culturali nell’ambito della crescita di opportunità
tecnologiche che incidono sulla vita quotidiana; l’emergenza
significativa dei temi della vita bio-organica a fronte dell’e-
voluzione dell’intelligenza artificiale, ossia le contaminazioni
e integrazioni fra biologico e artificiale; il conflitto fra poteri
legali e poteri illegali; gli scenari incerti dello statuto della fa-
miglia di fronte alle questioni dell’identità e della soggettività
di “genere”, multiculturale, plurilinguistica; le questioni del-
la vita mentale, complessa, indecidibile, variabile, difforme
da ogni presupposto che stabilisca primati di “normalità”;
ecc.
È un cambiamento richiesto dalle sfide della comunica-
zione odierna, alle quali il fumetto risponde con sagacia e
intelligenza (anche se con successi alterni, sempre con forte
sincerità d’intenti). È la stessa difficoltà in cui si muove, oggi,
la produzione di albi seriali o di fumetti sperimentali: non vi
sono ganci sicuri ai quali aggrapparsi o tali da ritenere sal-
vaguardata la proposta editoriale (come nel lungo periodo
dagli anni Trenta ai Sessanta, quando i generi riuscivano a
sedimentare un rapporto consolidato col pubblico dei letto-
ri); tutto è in cerca di se stesso e di una collocazione in cui
saldare il circuito comunicativo fra produzione e consumo,
Introduzione 29

in un settore nel quale la quota di rispondenza fra creazione


e immaginario può essere molto aderente ma, anche, estre-
mamente aleatoria. Si tratta di sfide assunte, e da vivere, nel
loro pieno investimento creativo: ogni serie, ogni fumetto, fa
i conti con l’identità del medium, mentre, viceversa, il me-
dium si rinnova e, insieme, si ri-codifica a ogni nuova visione
narrativa.

3.1. Nonostante la perdita di milioni di copie in edicola


e in libreria, in Europa e nel resto del mondo, resta il denso
lavoro di scavo e di proiezione dell’immaginario audiovisi-
vo da parte del fumetto (che rimane, fondamentalmente, un
medium scritto-visivo). Dove risiedono le ragioni di questa
qualità? Sinteticamente: il fumetto è il non eliminabile spazio
creativo che progetta l’immaginario del presente, senza vin-
coli e senza condizionamenti fattuali. L’attività con la quale
esso disegna e scrive immagini sulla pagina è dentro al cuore
pulsante di quella tensione della fantasia tecnologica che, nel
passaggio dalla pagina agli schermi ai tablet, interroga il pre-
sente in profondità.
L’immaginario su carta è stato ambito di riformulazione
radicale dei generi della narrazione visiva e, potenzialmente,
filmica. Dall’inizio del cinema digitale (fine degli anni Settan-
ta) il filo del rapporto fra film digitali e fumetti non si è mai
spezzato, si è incrementato esponenzialmente, man mano
che le tecnologie digitali si perfezionavano e integravano con
quelle tradizionali dei media audiovisivi.
È interessante constatare che, almeno negli ultimi dieci
anni, il rapporto film-fumetti vive della costante riconfigu-
razione degli universi narrativi: il cinema riprende temi e
ambienti dei fumetti ma li ricolloca adattando le saghe ben
conosciute dal pubblico alle inquietudini e allo “spirito del
tempo” emergente (conflitti generazionali, insorgenze tecno-
logiche che mutano la percezione dello spazio e del tempo;
identità scollate che tentano di rigenerare se stesse, ecc.). La
fiction televisiva fornisce consistenza ambientale alle saghe
di fumetti “storici” e in questo, negli ultimi anni, le strate-
30 NUVOLE MUTANTI

gie produttive della Marvel Studios risultano accattivanti e


pregnanti: Daredevil, Iron Fist, Jessica Jones, Luke Cage ri-
tagliano (ognuna in modo più o meno credibile) il pezzo di
universo metropolitano contemporaneo da raccontare sotto
l’angolazione di personaggi complessi della Marvel, che si
distinguono per l’abilità percettiva o per la singolarità di ge-
nere o per la soggettività etnico-culturale.
La Marvel non si limita a meri adattamenti dei comics ma
crea e ri-situa diversi universi mediali, seguendo un circuito
di rivitalizzazione delle saghe narrative originarie, in questo
confrontandosi intelligentemente con le strategie produttive-
creative dei concorrenti (altrettanto intelligenti, se si pensa
che, tempo prima, tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo,
serie come Lois&Clark o Smallville, create attorno a notissi-
mi characters della D.C. Comics, riconfiguravano in modo
radicale le mille pieghe dei contesti narrativi di Superman e
Superboy).
I fumetti dei mutanti negli albi Marvel degli ultimi tempi
e quelli dei supereroi D.C. restituiscono il sapore di un col-
lasso del sistema espressivo di fine Novecento (la morte dei
supereroi, l’incessante permutabilità dei multiversi narrativi
che si interfacciano e si dissolvono reciprocamente) messo
di fronte alla necessità di rintracciare nuovi mondi e nuovi
eroi. Spiderman, Superman, Batman, Capitan America, e il
gruppo iniziale, fondativo, degli X-Men, sono davanti a una
crisi incessante del loro profilo di eroi.
I mutanti e gli X-Men hanno davanti a sé il compito di
ritrovare nuova speranza ma ancora una volta sono attraver-
sati da sanguinosi dissidi interni. Fra di essi, la giovanissima
Hope è il personaggio più significativo dello stadio dell’im-
maginario dei fumetti oggi: nella sua crescita e nella sua
maturazione come persona-eroina, Hope può rifondare lo
squilibrio originario da cui sono sorte le prime mitologie dei
mutanti e dei supereroi.
La sua è una avventura quasi misteriosa, soggetta a im-
perscrutabili disegni fra terrestre e divino, demoniaco e mi-
racoloso, fra il fuoco rigeneratore e distruttivo della Fenice
Introduzione 31

e la magia mentale e superiore di entità supreme che agi-


scono per suo tramite. Davanti al suo potere, tutti i padri e
fratelli maggiori (Charles Xavier, Magneto e la sua temibile
figlia Wanda/Scarlet, Wolverine, Tempesta, Ciclope…), e il
gruppo quasi invincibile degli Avengers (Capitan America,
Thor, Iron Man, Spiderman, Wolverine…) devono cedere
il passo e rivedere ogni convinzione maturata nel conflitto
fra la specie della X-Generation e quella dell’Homo Sapiens.
Fra l’assetto di una catastrofe già avvenuta, in cui il Mondo
si è quasi azzerato, e il tentativo di ricostruirne uno migliore.
Hope è, per questi motivi, il personaggio più degno di
essere ritenuto equivalente alle potenzialità dei giovani con-
sumatori non solo di fumetti ma di tutto l’immaginario visivo
e audiovisivo: una potenza in atto, clamorosa quanto inco-
gnita e ancora in balia di un faticoso e incessante percorso
di formazione. Hope è l’immagine più chiara del nuovo che
lentamente sorge come qualità mediale del XXI secolo.
Un “nuovo” ripreso e ridisposto nei grandi blockbuster
della Marvel Entertainment (non tutti perfettamente riusciti
ma sempre interessanti: dai due film Logan-Wolverine di Ja-
mes Mangold ai due The Avengers di Joss Whedon, dai film
su Captain America diretti dai fratelli Russo a Ant-Man di
Peyton Reed a Deadpool di Tim Miller a Dr. Strange di Scott
Derrickson ai film su Iron Man interpretati da Robert Dow-
ney jr., ai Thor interpretati da Chris Hemsworth). Film che
reinnestano l’impianto visivo-narrativo dei supereroi e mu-
tanti dei fumetti; il cinema digitale attuale cala questi non-
eroi, anti-eroi o mutanti in fase di radicale crisi esistenziale
in ambienti e in sfide che spingono le stesse serie originarie
degli albi a fumetti verso traguardi e mete narrative più avan-
zate e, perfino, maggiormente arrischiate.
Questi elementi sorgivi di un immaginario che cerca se
stesso nel mentre si esprime e viene alla luce riguarda, in
modo quasi assillante, la domanda su quale forma, quale di-
rezione simbolica e quale intensità drammatica assumerà nei
prossimi anni la comunicazione dei fumetti, investito da tali
e tanti processi di profonda ri-generazione.
32 NUVOLE MUTANTI

3.2 Il libro si articola in due parti. La prima parte entra


nel merito di varie questioni legate al movimento delle figure
dei comics e alla loro profonda connessione coi temi dell’im-
maginario. Dalle origini del medium (fine Ottocento-primo
Novecento) al movimento fra tavole bloccate sulla carta e
immagini dinamiche del cinema, al rapporto fra figurazio-
ne e narrazione; alle aperture profonde che le immagini dei
comics sanno operare rispetto all’inconscio, ossia al mondo
inespugnato della psiche, e quindi la competenza dei fumetti
nell’esprimere simboli della coscienza e del mondo oscuro
che si cela alla coscienza stessa; al legame che i fumetti tesso-
no fra culture moderne e culture antiche, proprio grazie alla
loro capacità di modificare le immagini dal loro interno (os-
sia di trasformarle nella figura e nella dimensionalità) e, inol-
tre, grazie alla sinergia che i fumetti vivono da sempre con il
film animato e, oggi, con le tecnologie digitali; questa parte si
chiude con un capitolo dedicato a un tema “rischioso” per i
fumetti, cioè la corposità del cibo, dimostrando, tuttavia, nel
tempo, la capacità di fornire al cibo una serie di figurazioni
tanto importanti quanto paradossali e significative.
La seconda parte è dedicata ai fumetti italiani. Alla loro
abilità di costituire un universo culturale ricco e variegato,
con una evoluzione storica che illumina diversi passaggi della
cultura nazionale, ma anche della storia dei media in Euro-
pa. Il fumetto italiano possiede molte qualità; ancora oggi è
capace di resistere a forti e talvolta rischiose crisi editoriali;
ha una tradizione di autori e un bagaglio di risorse artistiche
ben diverse da quelle di paesi come la Francia e il Belgio (al-
tri due capisaldi del fumetto europeo) ma altrettanto sagaci e
tali da sapersi adattare al nuovo, negli ultimi due-tre decenni;
questa parte del libro attraversa alcuni nodi cruciali: l’im-
portanza degli anni Sessanta nel nostro paese per il sorgere
di quei fumetti moderni che hanno cambiato la percezione
collettiva del medium e che, fino a oggi, rende i fumetti un
mezzo di comunicazione adattabile alle tecnologie che han-
no radicalmente modificata la percezione dello spazio e del
tempo. Questa seconda parte ha, tra i suoi scopi, quello di
Introduzione 33

ri-costituire un legame fra l’intelligenza degli autori di ieri


e dell’altro ieri, e quelli di oggi. Ci sono diversi ponti che
legano passato e presente e una delle finalità di questo libro
è mostrare quante e quali strade si possono percorrere per
consentire al legame fra passato e presente di essere chiara-
mente percepito e vissuto.

3.3 L’appendice di questo libro è dedicato al tema dell’im-


maginario animale nella cultura di massa e, specificamente,
fra cinema, fumetti, fiction, pubblicità. Si tratta di un tema
che possiede una fortissima radice nell’antichità ma che pre-
potentemente torna, si camuffa, si riafferma, sia nella forma-
zione della cultura moderna sia nel corso dell’evoluzione dei
media tecnologici, dall’Ottocento a oggi. Questa appendice
è la sintesi di un lavoro non soltanto mio, ma di gruppo, den-
tro il quale alcuni giovani studiosi e ricercatori hanno saputo
affrontare un tema davvero complesso con la dovuta serietà
e con la capacità di disporre un’analisi multidimensionale,
realizzando un accordo fra ricerca universitaria di base e un
istituto di ricerca privato, interessato a gestire, in sinergia
con l’Università, e in maniera tendenzialmente esaustiva, una
esposizione pubblica dedicata all’argomento.
Il tema dell’immaginario animale ha dimensioni che ri-
mandano all’antropologia, alle scienze della psiche e a quelle
dello sviluppo evolutivo degli infanti, ma altresì alle scienze
della natura e a quelle della distinzione e integrazione dell’im-
maginario fra Occidente e Oriente. Ha nondimeno molto
a che fare con situazioni e percorsi specifici dello sviluppo
dei media audiovisivi: basti pensare al cinema d’animazione,
dalle origini a Disney a oggi, o alla presenza di testimonial,
animati e animali, nella pubblicità televisiva, per rendersi
conto della sua particolare significatività, specialmente per
chi studia e ricostruisce fasi così tanto ricche del rapporto fra
immaginario, media e pubblico.
Una parte dell’appendice è costituita da schede che pro-
pongono, in forma divertita e divertente, qualche definizione
utile sui vari personaggi animali. Non è una summa esau-
34 NUVOLE MUTANTI

stiva; per esempio, mancano le schede dei noti personaggi


disneyani, non perché non siano fondamentali, ma perché
tanto profondamente e ripetutamente conosciuti dal grande
pubblico che si è ritenuto non fosse necessario ricordarli o
catalogarli; le schede presenti tentano, al contrario, di recu-
perare qualche vuoto di memoria, su personaggi o categorie
o fasi che hanno una propria valenza e che ricoprono un ruo-
lo cruciale dentro il puzzle dell’immaginario animale.
A ogni modo: quando si discorre o si indaga non super-
ficialmente sul tema dell’immaginario animale, si incontrano
ben presto varie sostanze del rapporto fra fumetti e media
audiovisivi: dall’antropomorfismo dei characters animali, alla
resa dinamica delle corporeità animali fra immagine filmi-
ca e immagine dei comics, alla rappresentatività simbolica
di vari personaggi, che sanno delineare elementi che, talvol-
ta, distinguono un’epoca, un periodo, una fase importante
dell’immaginario sociale.
Per questi motivi, ho voluto inserire una tale appendice in
questo libro. Essa segue un ordine di riflessioni e di spunti
analitici pienamente integrato alle medesime questioni che
il libro tratta, discorrendo di fumetti, culture, immaginari,
creazioni visive e audiovisive.

Avvertenza

Certi capitoli del libro (non tutti, infatti sono 6 su 14)


sono il frutto di un ampliamento e di una rielaborazione di
scritti già pubblicati in altre sedi. Sempre, però, gli scritti di
partenza sono stati rimaneggiati e rivisti, anche radicalmente,
nel loro medesimo andamento discorsivo. Sono certo che i
lettori riconosceranno il filo nuovo che ho cercato di tessere
fra un capitolo e l’altro.
Devo in ogni caso menzionare le persone che mi hanno
fornito l’occasione concreta a partire dalla quale ho potuto
elaborare i diversi temi e capitoli del libro. Li elenco nell’or-
dine che segue la successione dei capitoli: Enrico Fornaroli,
Introduzione 35

Leonardo Quaresima e Federico Zecca, Fulvio Marone e


Francesca Tarallo, Paolo Esposito e Pasquale Iaccio, Simona
De Iulio, Daniela Aronica, Francisco Sáez de Adana Herre-
ro, Ivan Pintor Iranzo, Antonio Iannotta, Gennaro Carillo e
Aldo Sandulli, Luca Raffaelli, Angela Tecce.
Il mio debito verso colleghi e amici dell’Università, che
studiano le tendenze socio-culturali in cui si evolvono i me-
dia audiovisivi, nonché verso gli studenti dei miei corsi, è
tanto fitto e stratificato che li ringrazio, qui, sentitamente e
completamente e tutti insieme, sperando che, a questa co-
munità di ricercatori appassionati, il mio lavoro fornisca un
contributo utile e con qualche significato.
Infine, dedico questo libro a mia figlia Luigia, alla quale
auguro che il futuro sia sempre interessante e promettente.

Napoli, maggio 2017.


Prima parte
Scritture visive e immaginario dei fumetti
Sovversione e reinvenzione nei comics
delle origini

Il fumetto delle origini ha moltissimo a che fare con i


bambini e l’infanzia. La maggior parte dei suoi personaggi
sono bambini, non per caso. Prevalentemente in America
(ma non solo), il fumetto si rifà a una tradizione illustrati-
va per la quale, durante tutto l’Ottocento, i bambini sono
personaggi dal valore espressivo, e dall’esemplarità socio-
culturale, indiscutibile. Nelle opere di un artista europeo
come Wilhelm Busch e, in particolare, nei suoi Max e Moritz
(Fig. 1), i bambini ne combinano di tutti i colori mettendo
a repentaglio la vita degli adulti e sovvertendo le apparenze
del loro mondo e ambiente, creando sconquassi e pericoli
(talora, senza saperlo, contro se stessi).

Fig. 1 Wilhelm Bush, Max e Moritz


40 NUVOLE MUTANTI

La tradizione dei “bambini terribili” si modifica e si adatta


al nuovo medium, grazie alla sensibilità e all’attenzione pre-
stata dai maestri dei primi fumetti. A cominciare da Richard
Felton Outcault, che, a partire dal 1896, con il suo Yellow
Kid, il bambino cinese dal camicione giallo (ecco dunque da
dove sorge il suo nome), crea scompiglio, come i monelli di
Busch, nelle tavole che raffigurano il quartiere di Hogan’s
Alley della New York di fine Ottocento (Outcault pubblica
inizialmente le tavole di Yellow Kid per The World di Joseph
Pulitzer, per poi passare al supplemento The American Hu-
morist del Journal di William Randolph Hearst).
Lo scompiglio e il disordine che Yellow Kid promuove
assieme ai suoi coetanei hanno un vantaggio: creano il mo-
vimento in ambienti sociali che, altrimenti, sarebbero inges-
sati, bloccati nella ripetizione dei ruoli fra adulti (notabili,
ricchi vanitosi ecc.). Questo movimento – non è poco per
un mezzo di comunicazione fatto di immagini fissate sulla
carta – è quello indotto dallo sguardo dei lettori: nella succes-
sione dei disegni (ben presto articolati in un preciso numero
di vignette) l’immagine complessiva della tavola di Outcault
consente ai lettori di cogliere il movimento dei corpi e degli
oggetti nello spazio e nel tempo (Fig. 2).

Fig. 2 Richard F. Outcault, Yellow Kid


Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini 41

Le immagini di personaggi-bambini che mettono a soq-


quadro il mondo degli adulti esprimono punti di vista critici
sulle logiche, sulle apparenze e sul decoro del mondo borghe-
se di fine Ottocento e di inizio Novecento. Anche la famiglia
e l’interno delle case sono il teatro visivo di sovvertimenti
dell’ordine messi in atto da bambini non soltanto curiosi
ma anche simpaticamente disobbedienti e nondimeno astuti
nell’ordire piccole – alcune divertentissime – trappole contro
gli imperativi della morale e il formalismo degli adulti. Nelle
tavole di Buster Brown (autore è ancora R. F. Outcault, che le
pubblica sul New York Herald) l’artista sa rappresentare effi-
cacemente gli interni delle case della borghesia ricca – Buster
Brown è abbigliato da bambino lindo e pulito, dai bei cappel-
lini e abiti – che vengono attraversati dalla corrente elettrica
delle marachelle di Buster e del suo cane Tige (Fig. 3).
Ma la comicità che si manifesta in questi fumetti ame-
ricani non riguarda solo la classe dei ricchi e dei borghesi;
investe anche i mondi (diversi fra loro) dei proletari o delle
persone del ceto medio, della piccola gente – come nelle fa-
mose tavole domenicali dei Katzenjammer Kids (di Rudolph
Dirks e poi anche di Harold Knerr, per il Journal). Le tavole

Fig. 3 Richard F. Outcault, Buster Brown


42 NUVOLE MUTANTI

dei Katzenjammer Kids sono state indagate, da studiosi di


fumetti e di comunicazione, prevalentemente per il loro lin-
guaggio verbale: una sorta di inglese (scritto sulle tavole, nei
balloons) storpiato nella pronuncia, molto simile a quella de-
gli immigrati di lingua tedesca o polacca, dunque corrispon-
denti a ibridi di lingua parlata che rimandano chiaramente
al tema della grande immigrazione di europei in America a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Questa forma di
inglese scritto scorrettamente serve a esprimere le modalità
di vita – contraddittorie ma estremamente veritiere – con cui
si produsse in America il crogiuolo, la mescolanza, l’inte-
grazione ma altresì le differenze, il conflitto, di varie etnie e
culture (il cosiddetto melting pot) in conseguenza dei grandi
processi dell’immigrazione transcontinentale.
Ma le tavole domenicali dei Katzenjammer Kids sono effi-
caci sul piano della comicità dovuta non solo al loro peculiare
parlato-scritto sgrammaticato; sono anche perfetti turbini di
gags (di situazioni buffe e divertenti) e di azioni che i bambi-
ni provocano, spesso a danno degli adulti ma talvolta anche
con effetti boomerang nei confronti di sé medesimi (Fig. 4);
dal gesto irriflesso delle gags al tranello premeditato di scher-
zi divertenti e inesorabili, i lettori d’inizio secolo osservano
come – in questo campo di estrema, e talora crudele, comi-
cità – la realtà macroscopica della società si possa leggere in
vitro, adattata alla dimensione microscopica della catena dei
disegni in successione.
Ecco perché le tavole dei fumetti americani delle origini
sono interessanti ed estremamente ingegnose dal punto di vi-
sta dello scatenamento delle situazioni comiche fra bambini
e adulti. Il modello di partenza è quello delle opere di Busch,
ma poi tutto diventa più frenetico; è una sorta di scatena-
mento dionisiaco del gag (della situazione divertente) che
rovescia ogni cosa: il rapporto fra genitori e figli, fra il ricco
e il povero, fra l’ordine e il disordine, fra l’autorità e il caos.
In tal senso, il fumetto precorre il grande cinema comico
muto. Mentre le pellicole di Max Sennett, Charlie Chaplin,
Harold Lloyd, Buster Keaton, vengono prodotte nel secon-
Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini 43

Fig. 4 Rudolph Dirks, The Katzenjammer Kids

do decennio del Novecento, i fumetti invece esprimono le


potenzialità artistiche della comicità almeno una quindicina
d’anni in anticipo. E si può affermare che lo slapstick, cioè la
grande tradizione della comicità gestuale che sarà espressa
ad altro grado dal cinema, nasce in realtà nei fumetti e, a
partire da essi, si fa largo nel divertimento scatenato a favore
del grande pubblico.

Tiriamo quindi una prima linea di sintesi.


Una forma di espressione dell’universo popolato dai
bambini nei fumetti delle origini è quella della sovversione
comica. A cosa serve, o meglio, cosa significa in profondità?
Perché la comicità è tanto importante?
Una prima risposta è che la comicità crea una forte com-
plicità con i lettori. Che si divertono e dunque si affeziona-
no ai fumetti stessi, seguendoli settimana per settimana (in
una bella sequenza del penultimo capolavoro filmico di
Ernst Lubitsch, Il cielo può attendere, del 1943, ambientato
a New York e nella provincia americana di fine Ottocento,
due coniugi anziani, che vivono una vita quasi separata fra
44 NUVOLE MUTANTI

loro, a tavola mentre fanno colazione si contendono la let-


tura della pagina domenicale, appena uscita sui giornali, dei
Katzenjammer Kids. I coniugi si fanno ripicche reciproche
mentre uno dice all’altro – che non vuole saperlo prima di
leggere da sé – come si risolve il garbuglio comico messo in
atto nella pagina domenicale del fumetto).
Una seconda risposta conduce all’interno del meccani-
smo comico, che nei fumetti interviene su come le immagini
esprimono i rapporti fra i corpi dei bambini, gli oggetti e lo
spazio familiare o sociale. Una analisi attenta di come queste
tavole strutturino la dinamicità delle vignette rende possibile
capire come esse stiano piano piano formalizzando le regole
della narrazione visiva-scritta del fumetto stesso. Una rispo-
sta più profonda e stringente della prima è, quindi, che la
comicità mette in forma i linguaggi del fumetto e rende questo
medium sicuro nella presa percettiva dei lettori e nella co-
struzione di un intero universo simbolico e sociale.

Veniamo adesso a una seconda linea di sintesi.


Assieme alla comicità e alle meccaniche di scatenamento
di un disordine che sovverte le regole della società di inizio
Novecento, esprimendo una certa qualità nei rapporti fra
le classi sociali, i fumetti delle origini manifestano un altro
importante aspetto: la maniera dei bambini di vedere e con-
siderare il mondo con un occhio fiabesco, incantato, tale da
cambiare le varie fisionomie della realtà e di interpretare
quest’ultima in maniera decisamente fantastica. È la linea
presente in vari fumetti che hanno la capacità di aprire uno
sguardo meraviglioso sulla vita e sull’esistenza, e che tuttavia
si nutrono di una serie di riferimenti culturali precisi e deter-
minati (la letteratura avventurosa, le illustrazioni fantastiche
alla Jules Verne o nel segno di Albert Robida, ecc. ecc.).
Consideriamo alcune tavole che, su questa linea, apporta-
no un contributo davvero magnifico. Anzitutto, quelle di un
fumetto dovuto a un autore unico nel suo genere, Gustave
Verbeek, che scrive e disegna una serie che s’intitola Upside
Downs, ossia letteralmente “sopra sotto”, cioè una serie in
Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini 45

cui le tavole possono essere lette nel modo diritto e significa-


no una cosa, ma possono poi essere rovesciate e il loro segno
visivo significa una cosa che è l’esatto opposto della prima
immagine (Figg. 5-6).
La tavola The Fairy Palace di Upside Downs è decisamente
chiara in questa direzione della lettura: siamo palesemente di
fronte a un’abilità davvero sorprendente, quella di saper con-
ficcare le figure del disegno in una doppia e opposta valenza
di significato. È un gioco di specchi a incastro, una specie di
partita a scacchi con la capacità dei lettori chiamati ad assu-
mere e a gestire la percezione visiva di un segno e, assieme,
esattamente la percezione del segno contrario al primo. L’ar-
tista Verbeek allestisce un piccolo labirinto di apparenze visi-
ve che dimostra la qualità assolutamente non innocente a cui
può giungere l’abilità dei lettori di riconoscere figure che si
muovono e che hanno, perfino, l’abilità di vincere la fissità su
carta! Nello stesso tempo, questo itinerario, insieme diverten-
te e malizioso, restituisce la grazia incantata di figure visive in
tal modo vincolate a una struttura formale quasi-matematica.

Guardiamo ora attentamente i fumetti di Lyonel Feinin-


ger – artista ascrivibile all’avanguardia dell’espressionismo
tedesco di inizio Novecento e componente del Blaue Reiter
(Cavaliere azzurro), amico di Kandinsky, anche se americano
di nascita – il quale nel 1906-07 disegna varie tavole a Parigi,
da lì inviate negli Stati Uniti al Chicago Sunday Tribune. Nelle
sue opere, tutti i temi del fumetto sono ripercorsi con la sa-
gacia di un artista d’avanguardia che sa commisurarsi, molto
efficacemente, con il consumo culturale di massa. La serie
Kin-der-Kids continua la tradizione dei bambini che sovver-
tono l’ordine delle cose (quello naturale ma anche quello
sociale) con una sapienza compositiva in grado di esaltare le
competenze cognitive dei lettori bambini e adulti (Figg. 7-8).
Una seconda serie di Feininger, Wee Willie Winkie’s
world, è forse l’apoteosi della seconda linea individuata
come trama culturale del fumetto americano delle origini,
ossia quella dell’incanto fiabesco e della reinvenzione di un
46 NUVOLE MUTANTI

Fig. 5 Gustave Verbeek, Upside Downs

Fig. 6 Gustave Verbeek, Upside Downs The Fairy Palace


Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini 47

Figg. 7-8 Lyonel Feyninger, The Kin-der-kids

mondo singolare, che trasforma l’oggettività del reale in una


sorta di sogno a occhi aperti (Fig. 9). Il piccolo Willie Winkie
vede il mondo con lo sguardo capace di animare le cose e
gli elementi della natura e della cultura (case, alberi, nuvole,
montagne ecc.), provando emozioni originarie, in bilico fra
sollievo e terrore, prossimità affettiva e distanza emozionale.

Passiamo ai fumetti di Winsor McCay (autore assoluta-


mente cruciale nello sviluppo dell’industria culturale ame-
ricana di inizio Novecento, considerato tra i più importanti
maestri del fumetto, specialmente del periodo delle origini).
Little Nemo in Slumberland (la serie a fumetti più nota
di McCay, disegnata dal 1905 fino a tutto il 1914 per il New
York Herald, ritenuta da Oreste del Buono – assieme al Saty-
ricon di Fellini e al Flash Gordon di Alex Raymond – uno dei
tre grandi viaggi figurativi e fantastici della cultura moderna
– del Buono 2004) riunisce infine le due linee qui sinteti-
camente esposte: quella della sovversione ma anche quella
dell’incanto e del fiabesco, del meraviglioso e dell’onirico
(Figg. 10-11).
48 NUVOLE MUTANTI

Fig. 9 Lyonel Feyninger, Wee Willie Winkie’s world

Ciascuna delle tavole di McCay da un lato mette in op-


posizione la dimensione giocosa tipica degli occhi infantili e
dello stupore che questi vivono davanti alle diverse realtà co-
nosciute e incontrate (con la propensione a realizzare il loro
specifico piacere, anche corporeo) e l’improvviso scoprire
che tutto può rivelarsi diverso, inquietante, pericoloso, se
non minaccioso. Così la sovversione tipica del primo segno
dei fumetti ripensa radicalmente se stessa, mentre si contami-
na con la seconda linea tesa alla conquista e all’esplorazione
di un reale fantastico, sorprendente e talvolta perturbante.
Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini 49

Fig. 10 Winsor McCay, Little Nemo in Slumberland


50 NUVOLE MUTANTI

Fig. 11 Winsor McCay, Little Nemo in Slumberland


Sovversione e reinvenzione nei comics delle origini 51

In altri termini, nei fumetti di McCay le due linee com-


prensive dell’espressività dei fumetti americani delle origi-
ni sono riordinate all’interno della disvelante dialettica che
il segno dei fumetti ricompone con le immagini del reale.
McCay caratterizza in tal modo la visione/lettura dei fumetti
simile a un sogno/incubo che si definisce e si rovescia, infi-
ne, nell’esperienza del “risveglio”. Con i fumetti di McCay
il meraviglioso, lo stupefacente, il miracoloso, s’intrecciano
con il terrorifico, l’angoscioso, lo spaventoso, mostrando
come l’immagine nitida del disegno che balza in movimento
grazie allo sguardo competente dei lettori sia una esperienza
profondamente a rischio di dissolvere o di incrinare se stes-
sa. Dunque, nelle tavole magnifiche di questo autore sempre
sagace si coglie con mano che la sovversione e l’incanto delle
immagini del fumetto sono due facce di una identica meda-
glia, e che i loro domini non sono così lontani o così dissimili
come parrebbe a prima vista.
Con l’analisi dei fumetti di McCay concludiamo, provvi-
soriamente, il breve itinerario percorso nel doppio segno –
sovversione e incanto: un doppio segno non ambiguo, bensì
complesso e articolato, anzi precisamente e radicalmente sa-
piente – delle immagini disegnate, il cui segreto appare tanto
trasparente quanto opaco, più ricco di qualsiasi definizione
se ne voglia trarre, e in grado di insegnare qualcosa ancora
oggi, nell’epoca del post-umano.
L’immagine, il percepibile, il narrabile

0. Dalle origini del rapporto cinema-fumetti viene posta


specularmente la questione relativa a come l’immagine (fissa
o in movimento) contenga una interdimensionalità semiotica
interna. Metaforicamente, vari autori di fumetti – iniziando
da Winsor McCay – hanno percepito e persino “disegnato”
questa questione, rinnovando uno spazio di riflessione nel
quale i due media del cinema e del fumetto possono carpire
i fondamenti del loro segreto di comunicazione ovvero della
corrente d’energia (o della pulsazione di linguaggio) che tra-
passa dall’uno all’altro. Con ulteriori, e ben più importanti,
conseguenze sul rapporto che tali media intrattengono con i
loro pubblici, sul piano sia culturale che logico-emozionale.
Alcune precise immagini evidenziano questo produttivo spa-
zio metaforico della complessità comunicativa sottostante al
rapporto cinema-fumetto.

1. Nel 1947 il grandissimo, insuperabile, Benito Jacovitti


scrive e disegna un’avventura, intitolata Ciak!, dei suoi tipici
personaggi buffi ed esilaranti. Con questa “fantasia”, Jacovit-
ti racconta e di-spiega sulle tavole dei fumetti il movimento
iperdimensionale del cinema, raggiungendo vette stupefa-
centi e realizzando un autentico capolavoro della cultura di
massa dell’immediato secondo dopoguerra italiano. Nella ta-
vola di Ciak! (Fig. 12), si vede distintamente che dalla carta”
piatta” che incornicia la tavola del fumetto si stagliano, chia-
54 NUVOLE MUTANTI

Fig. 12 Jacovitti, Ciak!

ramente percepite, altre segnature visive, come quella che ha


la consistenza e il formato peculiare della pellicola, sollevata
a una propria altezza (come si può dire: circoncava?), a sua
volta costituita di fotogrammi-vignette. Attorno all’immagi-
ne nell’immagine della pellicola sono ulteriormente disposte
fitte serie di figure (personaggi-attori?) semi-raggelate nella
L’immagine, il percepibile, il narrabile 55

postazione semovente eppure fissa delle silhouette dei co-


mics, le quali occupano lo spazio laterale ovvero sono vin-
colate ai bordi di illusori fotogrammi, che la pagina non di-
segna ma potenzialmente contiene, a loro volta concepibili
come sezioni della pagina stessa.
È una costituzione della pagina disegnata in cui la suc-
cessione delle figure non obbliga lo sguardo a direzioni pre-
costituite ma lo sollecita a cogliere l’incrocio e l’intreccio
fra durata e simultaneità. È un meccanismo che i fumetti
riprendono dalla lunga storia dell’illustrazione e della cari-
catura, oltre che della figurazione occidentale e orientale. O
dai disegni dei giochi di carte, dagli oggetti illustrati come
i ventagli: per uno di questi casi risalenti al tardo Settecen-
to, Fresnault-Deruelle 2008 sottolinea l’importanza cruciale
della figura del fantoccio impiccato, una sorta di Arlecchino
che è una immagine assolutamente e puramente fantasma-
tica. Nel ventaglio di Maria Tibaldi, quel personaggio si ri-
presenta e riappare nella “successione simultanea”, precisa
figura metaforica di una ubiquità costitutiva dei fumetti;
questi non possono consistere – e, direi, esistere – se non nel
rinvio alle competenze di uno sguardo che tesse nel tempo il
legame generativo fra il prima e il dopo dei disegni percepiti
nell’immagine tabulare. È la posizione ubiqua dello sguardo,
e tale ubiquità è – dunque – cifra propria alla soggettività
dei lettori, che incarnano le figure dei fumetti in estensio-
ni interne delle immagini, figure ri-create nel processo della
loro percezione, ossia grazie a come esse stesse si generano
nell’interiorità dei lettori medesimi.
Ecco il livello di complessità del percepibile: sorta di iden-
tificazione multipla dell’immagine stessa dei fumetti, al di là
del fatto che questa sia o no sequenziata in vignette. Nella
grande tavola di Jacovitti, lo spazio visivo dell’immagine è
sottomesso a una sventratura ma, anche, a una ricalibratura
dinamica della percezione spazio-temporale delle immagini,
in modo che tutto corre da sinistra a destra o da sopra a
sotto, ma anche viceversa, in un avvitamento percettivo che
ha i suoi interni rallentamenti o le sue accelerazioni, senza,
56 NUVOLE MUTANTI

con ciò, che ne difetti la folle vertigine comica del risultato


cognitivo.

2. Gianni De Luca, maestro dell’interna potenzialità spa-


ziotemporale delle tavole a fumetti, dimostra come la soglia
fra statico e dinamico, continuo e discontinuo, superficiale
e multidimensionale delle figure disegnate è dinamicamente
evanescente e plasticamente mutevole e duttile, risultando
altresì generativa e produttiva di sperimentazioni artistiche.
Si guardi una nota tavola disegnata che appartiene alla tra-
sposizione di De Luca dell’Amleto (Fig. 13). Questo maestro
italiano, in tutte le sue “traduzioni” shakespeariane e nelle
altre sue opere, scompone e ricompone un vero arcipelago di
soluzioni che mettono in forse l’idea che la durata nei fumet-
ti sia affidata solo ed esclusivamente alla sequenza, mentre
rivela d’emblé come, invece, il tempo percettivo – ma anche
lo svolgersi del racconto, la costruzione narrativa – possa

Fig. 13
Gianni De Luca,
Amleto
L’immagine, il percepibile, il narrabile 57

a sua volta essere trasportato in interferenze coesistenti di


quanto dimora nella superficie. Tali coesistenze dello spazio
consentono il libero allinearsi (o meglio, il delinearsi) di al-
lungamenti sferici – non superficiali ma prospettici – della
durata temporale. De Luca mette decisamente in crisi lo
schema teorico che intenderebbe sezionare e dividere – cioè
separare – il livello percettivo delle figure dei fumetti da
quello narrativo. La generazione di tali livelli è sincronica e
reciprocamente operabile senza che una loro separazione –
quand’anche puramente e ipoteticamente analitica – possa
essere giustificabile. Agli studiosi di cinema appare chiaro
come la lezione di De Luca sia importante; essa riconduce
alla concezione per cui l’immagine non è mai staticamente
inchiodata a se stessa: non sono credibili o sostenibili regole
che determinino l’incrocio e l’intreccio di piani visivi, essen-
do tali regole soggette a essere trasgredite o violate appena
possibile. De Luca evidenzia una grammatica della visione
non irrigidita né precostituita, tuttavia stringente nel duro
lavoro di una progettazione inesausta del visibile temporale,
o del tempo di visione: l’idea di spazio coesiste al muoversi
dinamico – nella durata – di uno sguardo insieme indaga-
tore e scrutatore delle sue interne competenze. Le tavole a
fumetti di De Luca sono esempi egregi di un cinema virtua-
le che non ha alcun bisogno di essere tradotto in pellicola,
quasi prototipo “originario” di una progettazione del visibile
crono-dinamico. Al suo interno, il percepibile-visibile è, con-
temporaneamente, il narrabile.

3. Da Winsor McCay a Lee Falk, Benito Jacovitti, Gianni


De Luca, e da molti altri autori di fumetti (fra questi alme-
no occorre ricordare Milton Caniff, Will Eisner, Jack Kirby,
Dino Battaglia) discendono importanti territori di indagine
sulla inestricabile fusione strategica che collega cinema e fu-
metto. Per esempio il nodo strettissimo fra sceneggiatura e
racconto audiovisivo; i fumetti hanno alimentato le narrazio-
ni del cinema senza che vi fosse il bisogno di farli divenire
oggetti di traduzione specifica, ma in modo più fondamen-
58 NUVOLE MUTANTI

tale, per le procedure di fondo della narrazione per imma-


gine. In tal senso il repertorio dei fumetti è un magazzino
inesauribile – più che di storie – di fondamenti visivi e di
escogitazioni narrative.
A tale proposito è sempre divertente menzionare una ce-
lebre sequenza di un film di Ernst Lubitsch, Heaven can’t
wait (Il cielo può attendere, 1943), in cui l’eccelso maestro
austriaco della commedia sofisticata usa in maniera illumi-
nante i comics delle origini (segnatamente, le straordinarie
tavole domenicali dei Katzenjammer Kids di Rudoplh Dirks),
per risolvere una vera impasse della narrazione. Una situa-
zione generale di stallo nel rapporto fra moglie e marito, an-
zitutto colta sul piano del rapporto dei vecchi genitori di lei
(litigiosi e stizziti, non si parlano pur stando seduti allo stesso
tavolo, se non tramite la figura, decisiva, di un maggiordomo
nero), poi sul piano del rapporto ormai prevedibile, dunque
scontato, fra la loro figlia e il genero, allo scadere dei primi
dieci anni di matrimonio, riesce a disincagliarsi grazie a una
invenzione similare al modo davvero avventuroso – dice il
vecchio genitore, alla fine di un capitolo del film nel quale,
per suo tramite, Lubitsch dichiara tutta l’ammirazione per i
comics delle origini – con il quale The Captain, il protago-
nista dei Katzenjammer Kids, si libera da una botte in cui è
legato senza possibilità di scampare alla sorte. Lubitsch ap-
prende dai comics soluzioni davvero ingegnose, grazie alle
quali i protagonisti delle sue storie filmiche vengono fuori da
seri intoppi, risolti sol perché – come nei fumetti – il raccon-
to trova inconsueti anfratti nella partecipazione intellettuale
ed emozionale degli spettatori (che, quindi, non sono esterni
alle logiche con cui procedono i linguaggi stessi del cinema,
ma risultano motori essenziali per individuare piste o avvi-
stare ulteriori sensi “narrativi” all’immagine sullo schermo).
Questo piano di “fondamenti” per i quali i fumetti hanno
a che fare con le pieghe del narrabile, e che il cinema non può
fare a meno di riprendere in specifiche modalità audiovisive,
risulta cruciale nella storia della cultura non solo di massa
e dell’evoluzione del pensiero occidentale moderno. Oggi,
L’immagine, il percepibile, il narrabile 59

nessuno degli studiosi di cultura può permettersi di ritenere


secondaria o subordinata la relazione intermediale fra film e
fumetti, anzi deve essere richiamato il senso dell’angolazione
necessaria a comprendere in modo non univoco un secolo
di opere audiovisive. L’attenzione critica, teorica e analitica
deve potersi spostare sui piani intermediali che hanno pe-
sato nello sviluppo delle moderne forme di comunicazione,
in grado di esplicitare in profondità le sostanze basilari del
rapporto fra i media e il pubblico. È essenziale, per questo,
perlustrare l’orizzonte entro cui cinema e fumetto risultano
“macchine di mito” indipendentemente dal raccontare col-
lezioni e repertori mitologici, cioè per l’altezza e le modalità
di fondo con cui i loro linguaggi raccolgono, esprimono e
soddisfano esigenze di identificazione primaria di spettatori
e lettori.
Dal punto di vista narrativo, il nucleo del rapporto fra
cinema e fumetto è inciso nell’allungo prospettico che da
una singola immagine derivi una potenzialità drammatica
evolvibile in racconto. O che da una sola immagine possa
essere sintetizzata ed espressa una continuità espansa del
movimento e, quindi, dell’intreccio narrativo. Cinema e fu-
metto si raggrumano quasi in un unico ipermedium, ricavan-
do opportunità creative dalle, e nelle, soglie fra singolare e
multiplo, fisso e dinamico, fra estremi e punti ricostruttivi
del movimento e dinamica agente (non riduttivamente, dida-
scalicamente). È un percorso non semplice né univoco della
composizione audio-visiva delle immagini – potenziale nei
fumetti, virtuale sotto certi aspetti; mentre nel cinema agisce
in modo che alla base è sottomessa a radici che esibiscono
una sua composizione mutevole e multipla.
Questa straordinaria, duttile, composizione esplode e si
ratifica ulteriormente nell’epoca delle tecnologie digitali.
Perché? Non soltanto per il superamento delle difficoltà tec-
niche che, nella lunga fase analogica, comportavano soluzio-
ni provvisorie sul piano dell’efficacia percettiva della com-
posizione dell’immagine cine-fumettistica (nei “vecchi” e
tuttavia straordinari film-fumetto – dai film seriali americani
60 NUVOLE MUTANTI

degli anni trenta a un capolavoro come Diabolik diretto nel


1968 da Mario Bava – vigeva un predominio del “trasparente
fotografico” e del trucco visivo fondato sul “fuori-campo”),
ma per il fatto che l’immagine digitale è internamente e in-
teriormente plastica, metamorfica, in grado di vivificare il
singolare, l’inorganico, lo statico, rendendolo corpo anima-
to, soggettivamente riconoscibile (è il senso profondo della
più straordinaria sequenza di Spider-man III diretto nel 2007
da Sam Raimi, quella in cui dalla dispersione dei milioni di
granelli di sabbia emerge il “corpo urlante” dell’Uomo Sab-
bia – perfetta metafora di come, dal puntinismo elettronico
dei pixel, il cinema digitale sapientemente genera una figu-
ra in grado di vivificare daccapo un immaginario antico e
moderno).
Il digitale valorizza i molteplici piani di valenza percettiva
e la mobile dimensione semiotica dell’immagine fra cinema
e fumetti. Ecco perché non vi sono oggi separazioni insupe-
rabili alla permutazione reciproca fra film e fumetti ed ecco
una delle supreme ragioni per cui i repertori degli immagi-
nari supereroici della Marvel e della D.C. Comics divengono
estremamente interessanti per il cinema digitale già a partire
dal 1978 (anno di uscita del Superman di Richard Donner).
Quei repertori esibiscono la potenza delle nuove tecnologie
di comunicazione e di produzione d’immaginario, in grado
di superare e rilanciare ogni prevedibilità espressiva del cine-
ma analogico e, dunque, di reinnestare le produzioni creative
sperimentali dei fumetti.

4. Soglie percettive, statico-dinamico, interdimensioni


del visivo e del sonoro. Piste di costituzione del cinema e
dei fumetti sempre vitali allo sguardo teorico di chi intenda
comprendere le direzioni compositive della cultura contem-
poranea. Ancora più di prima, bisogna sviluppare indagini
dall’angolazione complessiva che colleghino opportunamen-
te quadri interpretativi da discipline altrimenti separate l’una
dall’altra. Tento, per questo, di seguire un metodo che pro-
duttivamente torni al pensiero di autori del Novecento che
L’immagine, il percepibile, il narrabile 61

hanno fortemente posto al centro della loro attività teorica


la questione del visibile dinamico (fra altri, soprattutto Mer-
leau-Ponty, Deleuze, Warburg). E quindi intendo qui citare
brevemente alcuni studiosi di filosofia e di estetica, diversi
l’uno dall’altro e forse non interamente comparabili.
La prima citazione è da Giorgio Agamben, che, in una
analisi delle Ninfe di Aby Warburg, ricorda che un teorico
quattrocentesco, il Domenichino, nel trattato Dela arte di
ballare et danzare, “chiama fantasma un arresto improvviso
fra due movimenti, tale da contrarre virtualmente nella pro-
pria tensione interna la misura e la memoria dell’intera serie
coreografica” (Agamben 2007, p. 12). Ora, la definizione del
Domenichino di fantasma, annotata da Agamben, corrispon-
de esattamente al meccanismo semiotico della sequenza delle
immagini dei fumetti: null’altro che una serie di disegni-im-
magini “tale da contrarre virtualmente nella propria tensio-
ne interna la misura e la memoria dell’intera serie” (ibidem)
e, altresì, in grado di scatenare una percezione “del tutto
dell’immagine in sequenza” fondata, paradossalmente, sulla
segmentazione (analitica, strategicamente individuante nessi
percettivi altrimenti non visibili) di singoli istanti discreti.
Fissati e immobilizzati nella loro postura figurale, questi,
connettendosi reciprocamente, demarcano la costruzione di
un movimento complessivo dell’immagine.
La seconda citazione – indiretta – è riferita all’ultimo libro
di Emilio Garroni (Garroni 2005), dove si distingue accura-
tamente fra immagine-percezione e figura, ovvero percezione
e disegno, percezione visiva e produzione di artefatto d’im-
magine. Il rapporto fra percezione e figurazione in Garroni
rimarca come la prima, la percezione, non sia riassumibile
nella sua interpretazione, ma costituisca una zona non sog-
getta a esclusive determinazioni, e non in quanto informe e
non precisa, ma in quanto più ricca e multiforme di ciò che
una figurazione di fatto rende concreto e determinato.
La terza citazione è al rapporto fra permanenza del visivo
e trascorrenza del suono, rapporto evidenziato da Jean-Luc
Nancy nel suo piccolo testo All’Ascolto (Nancy 2004). Sem-
62 NUVOLE MUTANTI

bra che i fumetti cerchino, con la visualizzazione grafica del


suono, attraverso le parole disegnate, di acciuffare in qualche
“dove” la sempiterna trascorrenza del suono, che altrimenti
sarebbe semioticamente inafferrabile, a meno di strumenti
tecnologici di riproduzione. Qui si affaccia la fortissima valen-
za artigiana e tecnica del fumetto di muovere uno spostamen-
to fra permanenza e trascorrenza, dove il suono assoggetta le
immagini a una dinamica che le sottrae a un piano di perma-
nenza rigida, rendendoli invece in costante moto o dando a
esse una pulsazione vivente.
La quarta, ultima, citazione è alla semiosi illimitata fra
suono graficizzato e immagine pulsante, non più solo schiac-
ciata sulla sua mera dimensione superficiale. L’autore di rife-
rimento è Gilles Deleuze. Nel suo grande testo su L’immagi-
ne-movimento, dedicato al cinema (Deleuze 1984), Deleuze
affronta il tema del parlato nelle immagini della commedia
americana, e la sua analisi si riassume in questi termini: le
parole scavano dentro l’immagine, ne perlustrano lo spazio
e anzi lo rendono veloce e sociologicamente attivo, nella re-
lazione integrata con i comportamenti e le idee. Per analo-
gia, si può riconvertire e dirottare l’analisi di Deleuze verso
i fumetti, ritenendo che le parole e i suoni figurati scavino
nella bidimensionalità della pagina, dando un diverso rilievo
all’impaginazione delle figure. In tal modo la pagina non è
piatta ma poli-dimensionale. Parole e suoni disegnati sono
agganci indispensabili agli strati che si addensano nella pagi-
na, rivelandola composita, ricca, plurisegnica.
Seguendo le indicazioni di questi studiosi, si può sensa-
tamente affermare che il fumetto si situa nella zona “media”
fra percezione e figurazione; le vignette, e le sequenze fra
vignette, pongono in atto il legame fra:
a) un riconoscere, nella staticità del disegno su carta, una
figura che, del percepire il movimento, seleziona una parti-
colare fisionomia; e
b) il suo immediato slanciarsi verso la ricostruzione (men-
tale, virtuale ecc.) di una esperienza (la percezione del tutto)
colta negli strati ammessi fra figura immota e sua delineazio-
L’immagine, il percepibile, il narrabile 63

ne nel/del movimento. Questo slancio agganciato a una figu-


razione concreta (il disegno fissato sulla carta) muove, in altri
termini, come un’asintotica presa (appunto “virtuale”) a una
rappresentazione paradossale della percezione a cui quella
figurazione si riferisce (altrimenti questa è imprendibile, non
copribile per intero).
c) Fra espressione sonora e sua resa grafica, il fumetto
salta ogni dimensione univoca della significazione. Il bidi-
mensionale si apre ad altre prospettive e nello stesso istante
la zona del visivo è spazializzata nella ibridazione di forme
linguistiche mentre, nella durata, è agganciata dall’effetto di
tempo della lettura.
La zona “media” occupata dai fumetti fra percezione, fi-
gurazione, spazio visivo nel tempo, è nucleo di una ricerca
del non-ancora-definito fra figura statica e indicazione del
movimento; fra resa visibile, figurale, di frammenti della
percezione e ordinamento delle strutture medesime che ne
forniscono la “rappresentazione”. Una tale zona “media” è,
nondimeno, la stessa in cui, contemporaneamente, si cela e
si pone alla luce il rapporto fra il percepibile e il narrabile,
ovvero come e cosa preme nella soggettiva presa culturale
del mondo che i diversi artisti e le varie generazioni, nel tem-
po, realizzano con mezzi e forme e linguaggi idonei alle loro
sensibilità.
Il narrabile è una categoria aperta a ogni sperimentazio-
ne possibile. In epoca digitale e post-seriale (quella in cui
le forme di comunicazione narrativa audiovisiva produtti-
vamente saggiano l’alto livello di competenza di spettatori
cinetelevisivi addestrati all’uso delle nuove tecnologie inte-
rattive-multimediali), il narrabile fra cinema e fumetti può
addirittura affermarsi quale tema didascalicamente trattato
oltre il cinema stesso, per esempio in una intelligente e diver-
tente serie tv come Heroes, ideata da Tim Kring e sceneggiata
con la collaborazione di scrittori di fumetti come Jeph Loeb.
Il narrabile, in questa serie, si mostra specificamente, come
oggetto di racconto di alcuni episodi o sub-episodi, tema-
tizzando il rapporto fra immagini fisse e immagini mobili,
64 NUVOLE MUTANTI

fra fermo immagine e immagine dinamica, nella capacità di


alcuni suoi personaggi – mutanti che scoprono di essere ben
numerosi nel mondo, soggetti a esperienze tragiche e dolo-
rose dell’identità personale – di attraversare lo spazio-tempo,
proprio e non a caso, tracciato fra cinema e fumetti.
Da tale punto di vista, il protagonista essenziale della serie
è il giapponese Hiro (Masi Oka), che rappresenta espressa-
mente il lettore accanito di fumetti che, nella realtà imma-
ginata dalla serie, scopre di muoversi bloccando le azioni
circostanti nello spazio e nel tempo, oppure operando salti
interdimensionali ovvero inter-mediali, o altresì ritagliando
“fotogrammi del reale” restituiti a una piegatura attraversa-
bile del mondo, o viceversa nelle modalità di una pagina (non
disegnata ma cine-fotografata) che può essere modificata o
addirittura cancellata. Si tratta di una precisa metafora delle
competenze inter e trans-mediali oggi possedute dagli utenti
e dai consumatori, che sanno ben riconoscere i passaggi e
gli sviluppi – talora imprevedibili – sedimentati fra cinema,
fumetti, televisione. Fra le soglie percettive dei fumetti e le
mobili fisionomie dell’immaginazione cinematografica, ovve-
ro fra la meta-percezione disposta dalle grandi tavole semo-
venti dei comics e le figurazioni sperimentali di un cinema
che rapprende il visibile (muto, sonoro o sinestesico) secon-
do le traiettorie cognitive di media vicini o distanti rispetto
ai propri linguaggi.
Hiro, il personaggio di Heroes, è la figura nella quale, in
conclusione, va letta e riconosciuta la poliedrica competenza
di un cinema in grado di nutrire daccapo l’immaginario dei
fumetti e, altresì, di un universo a fumetti dalle valenze pro-
spetticamente riallineate alle innovazioni digitali e pronte a
balzare in rilievo, a ricavare intense metafore creative dalle
sottili e trasparenti piattezze delle sue straordinarie saghe
visivo-narrative.
Attenti all’immagine!

Nella prima pagina di un importante libro-fumetto di


Darian Leader e Judy Groves, Introduzione a Lacan, curato
nella versione italiana da Fulvio Marone (Leader e Groves
2012), il volto in primo piano di Jacques Lacan rivolto ai
lettori esterna un preciso monito: Attenti all’immagine.
Non si tratta di una raccomandazione o di un semplice
suggerimento, ma di un sostanziale richiamo al lavoro non
solo svolto da Lacan (nella cui teoria psicoanalitica l’imma-
gine, e la produzione di immaginario, da parte dell’individuo
e della società, occupano una posizione cruciale, assieme alla
nozione di simbolico), ma anche e soprattutto dagli autori di
questo libro-fumetto.
L’immagine non è un oggetto, né una esperienza, sempli-
ce. Essa coinvolge in forme non usuali il sapere e l’emozio-
ne di uomini e donne, secondo strade non sempre del tutto
spiegabili, anche se con effetti indiscutibili e, talora, palesi
nella loro efficacia e nella costruzione del senso. Molte teorie
nel corso del Novecento, e vari autori e maestri del pensiero
logico, filosofico, scientifico e mediologico, hanno dedicato
a questo argomento – l’immagine in rapporto al sapere, alla
conoscenza, all’idea di mondo mediata dall’immagine stessa
– pagine in cui, sempre, emerge la complessità e la ricchezza
del suo dispositivo espressivo.
Basti ricordare come l’immagine divenga spazio di gran-
de elaborazione teorica e di analisi innovativa, perfino speri-
66 NUVOLE MUTANTI

mentale, negli studi di Ludwig Wittgenstein per la logica e la


semantica del Novecento, di Maurice Merleau-Ponty per la
comprensione della conoscenza visiva e dei significati colle-
gati alle emozioni, di Walter Benjamin per il ruolo che i me-
dia tecnologici (specificamente il cinema, fatto di immagini
sonore in movimento) hanno svolto ricollocando l’arte nella
società moderna, di Gilles Deleuze per una filosofia-cinema
in cui l’idea di reale si compenetra dell’immagine, implican-
do nuove categorie dell’azione, dello spazio e del tempo.
C’è, insomma, uno scarto determinante che l’immagine
produce nelle forme di conoscenza, almeno dallo sviluppo
della società industriale, a partire da fine Settecento-primo
Ottocento. All’interno di una tale società, la nascita di tipo-
logie di comunicazione visiva e audiovisiva (stampa illustrata,
e poi fotografie, caricature, e a fine secolo XIX l’avvento del
cinema e infine del fumetto) cambia profondamente il pano-
rama dei comportamenti sociali e delle nozioni scientifiche,
così come dei costumi, dei consumi, dell’educazione, della
cultura in senso lato. Si tratta – bisogna ricordarlo – di un
processo lungo e articolato, non sempre accettato e compre-
so nei suoi elementi profondi; e ciò a discapito del fatto ma-
croscopico che intere masse di pubblico (già nell’Ottocento
e, ancor più, nel Novecento) ampiamente dimostrino di esse-
re straordinariamente attratte dai dispositivi delle immagini
(nel cinema, nei fumetti, nella radio, e poi in televisione).
In buona parte, varie serie di equivoci e fraintendimen-
ti, o alcune decise opposizioni e avversioni ai processi che
accreditano il peso crescente che le immagini svolgono
nelle pratiche della comunicazione moderna, accadono per
il contrasto effettivo che le strategie di conoscenza dovute
all’immagine scatenano verso quelle strutture di conoscenza
e del sapere invece strettamente legate alla cultura alfabeti-
ca. Paradossalmente, per un certo periodo, si è diffusa una
sorta di vulgata pubblica (nel termine medesimo, abusato,
di civiltà dell’immagine), restia a dare all’immagine quel che
le spettava. Ma, d’altronde, nel corso di oltre due secoli, fra
Ottocento e Novecento, molti autori di letteratura, poesia,
Attenti all’immagine! 67

teatro, musica (ossia, le forme antiche e consolidate della cul-


tura) hanno messo in atto, in modo estremamente ingegnoso,
verso l’immagine una tensione creativa indubitabile, spesso
anticipando l’avvento dei media audiovisivi e anzi spingendo
la pratica della scrittura alfabetica a fare i conti con questa
necessaria, non eludibile, sostanza della conoscenza. Tutta-
via, le istituzioni culturali non sempre sono state disposte
a riconoscere questa trama doverosa e intricata che i saperi
alfabetici hanno via via tessuto con quelli del vedere e com-
prendere l’immagine.
Oggi, nell’era dei media digitali, molte tensioni e conflitti
una volta aspri sono stati ampiamente superati; gli utenti-
consumatori delle reti interattive sono addestrati a compiere
percorsi di conoscenza multimediale senza alcuna difficoltà,
se non – spesso e volentieri – a sperimentare forme nuove
del ricco e infinito ordito dei legami fra scritture e visioni.
Ma, fino a un buon terzo del Novecento, ossia nel corso di
vari decenni, questa esperienza oggi consolidata è risultata
una conquista combattuta, incerta, difficile, in molti casi
non legittimata; ciò sia nelle pratiche ordinarie di vita, nei
rapporti fra individui e famiglia, sia nella scuola e in altri
luoghi in cui si è sviluppata l’educazione, sia nelle modalità
di trasmissione-produzione della cultura e della comunica-
zione. Oggi, fortunatamente, una sensibilità pubblica a re-
stituire alle immagini il loro giusto peso e la considerazione
che meritano si è fatta concretamente avanti e afferma le sue
legittime ragioni.

Jacques Lacan ha svolto un ruolo di primo piano nella psi-


coanalisi fra prima e seconda metà del Novecento, e gli auto-
ri del libro-fumetto a lui dedicato – Leader e Groves – sanno
ricostruire (come ben indicato nella postfazione del curatore
italiano, Fulvio Marone) i passaggi essenziali che rendono
Lacan un protagonista della cultura del secolo scorso.
Ma, non di meno, è importante rimarcare il contesto
entro cui la sua personalità scientifica si è formata. Questa
biografia per immagini e scritture segnala ogni importante
68 NUVOLE MUTANTI

momento della sua vita personale e della sua crescita teorica


e analitica, e qui piace segnalare con particolare evidenza la
stretta prossimità vissuta da Lacan con autori e protagonisti
delle avanguardie storiche, del surrealismo (Salvador Dalì,
André Breton), della letteratura (Paul Claudel, Paul Éluard,
Pierre Klossovski, Raymond Queneau), della sociologia e
filosofia francese (Georges Bataille, Raymond Aron, Alexan-
dre Kojève). Una vicinanza non casuale, anzi preliminare e
fondativa di quegli stessi interessi psicoanalitici maturati con
grande acutezza negli scritti successivi di Lacan. Con que-
gli autori e artisti con i quali ha vissuto una stagione decisi-
va delle arti, del pensiero e dell’immaginario collettivo del
Novecento, Lacan deve aver scambiato punti di vista e idee
irrinunciabili. Per le quali le culture e i modi di formazione
dell’immagine risultano vitali per comprendere la profondità
dell’umano (la sua duplicità o molteplicità di aspetti e ten-
sioni), così come la plurisecolare storia della civilizzazione e
delle pratiche di comunicazione e di arte.
Non è stato certamente facile editare un saggio-fumetto su
Jacques Lacan che sia, insieme, una biografia dell’eminente
psicoanalista (colta nei tratti principali della persona, inserita
in un definito ambiente culturale della Parigi del Novecen-
to) e una non banale né mera illustrazione dei suoi concetti
e della sua particolare visione e analisi della psiche umana
nel tempo della società moderna, tecnologica e industriale.
La parola chiave per raggiungere un tale risultato è quella
già usata poche righe sopra: libro-fumetto. Darian Leader e
Judy Groves hanno saputo raggiungere uno specifico livel-
lo di qualità del fumetto contemporaneo, dove i formati del
graphic novel, da un lato, e del fumetto d’autore, dall’altro,
e, ancora, quello del fumetto di “genere”, si amalgamano in
un concentrato indissolubile. Al suo interno vengono valo-
rizzate tutte le possibilità del fumetto come medium e, al-
tresì, del libro di saggistica e di analisi. Ecco in questo libro
funzionare un insieme illuminante, fatto di: una scrittura che
puntualizza: a) il decorso di idee che si formano e giungono
a una loro evidenza e chiarezza; b) disegni e immagini che
Attenti all’immagine! 69

hanno il composto fascino di un puzzle geroglifico, di una


allegoria da decifrare in un repertorio comprensibile di signi-
ficati; e infine c), la visione fulminante, rapida, conclusiva, di
concetti e di rappresentazioni.
Queste capacità sono tipiche, in generale, del fumetto.
Un medium che negli ultimi tre decenni, a vari studiosi e,
altresì a diversi artisti – semiologi, mass mediologi, studiosi
delle arti visive e delle letterature comparate, da Gombrich a
Eco, Garroni, Faeti, Abruzzese, ma anche: cineasti, scrittori,
pittori, da Alain Resnais a George Lucas e Steven Spielberg
a Federico Fellini, da Italo Calvino a Oreste del Buono, da
Roy Lichtenstein a Saul Steinberg, e a tanti altri – è apparso
straordinariamente interessante. Ciò grazie al doppio (spesso
triplo, ennesimo…) piano, combinato, che ricama, da una
parte, fili intrecciati fra la scrittura e il disegno, fra l’immagi-
ne e il simbolo, e, dall’altra, rilancia l’ordine discorsivo della
parola graficizzata.
Ossia: la parola, divenuta a sua volta figura, rivela capaci-
tà normalmente insospettate di significazione, in particolare
quando interagisce e si mette in relazione – non rigida, non
unilaterale, non prefissata – con altre immagini. Il fumetto
ha questa estesa valenza: disponendo in sequenza varie im-
magini, o anche ritagliando, in una stessa pagina, liberi per-
corsi di interazione fra la scrittura figurata e le pose visive di
oggetti, di ambienti e di corpi, crea una sorta di miracolo di
comunicazione. Le immagini e la scrittura messe insieme, in
sequenza e in una combinazione non gerarchica fra di esse,
danno la precisa sensazione del movimento. Non solo un mo-
vimento esterno delle cose e dei corpi nello spazio e nel tem-
po, ma, specialmente, un loro dinamismo intimo, silenzioso,
affettivo.
E tutto ciò, a scapito del fatto che questo prodigioso com-
binato, tuttavia, resta fissato sulla carta, raggelato nella stasi
che, appunto sulla pagina, immobilizza scrittura e disegni.
“Farfalle immobilizzate con uno spillo”, diceva giustamente
Federico Fellini cercando di dare una possibile definizione
dei fumetti. Figure immobili sulla superficie, pronte però a
70 NUVOLE MUTANTI

scattare e a muoversi appena lo sguardo le rapprende, ren-


dendole così, di nuove, vive.
Resta però la domanda seguente: com’è possibile che tali
immagini, solo perché in sequenza o in articolata combina-
zione con altri segni, diano la sensibile impressione di muo-
versi? Tutto avviene in quella quota essenziale di significato
complessivo che, a questo combinato, assegnano lo sguardo
e la mente dei lettori. Ecco il segreto del fumetto. A diffe-
renza del medium audiovisivo che gli è più vicino, il cinema,
che possiede tecnologicamente il potere di dare movimento
ai fotogrammi proiettati sullo schermo, il fumetto deve inve-
ce costruire, in un altro luogo (si potrebbe dire: in un altro
schermo), la sensazione del movimento delle immagini e la
vividezza delle parole scritte, nonostante il loro silenzio rag-
gelato e la loro fissità su carta. Vi riesce, perché lo sguardo,
il pensiero e il cuore dei lettori sono in esso intensamente
coinvolti.
Queste immagini possiedono una chiave emozionale e co-
gnitiva superiore (al contrario di quanto semplicisticamente
ritenevano i detrattori di un tempo, che non sapevano né
guardare né giudicare): esse hanno a che fare non soltanto
con lo stadio e con le strutture dei linguaggi che autori e
lettori possono usare e apprendere esteriormente, ma anche
con le loro amplificazioni emotive interiori, con i nessi intimi
che l’insieme di parlare-pensare-vedere sulla pagina fissa ri-
cama nella soggettività più profonda, nell’identità sentita ed
emozionalmente rivelatrice dell’io, della coscienza e – infine
– dell’inconscio.

La scelta di raccontare e illustrare attraverso il fumetto la


biografia di Lacan, la sua storia di pensatore e teorico della
mente umana, nel molteplice piano che ricompone esperien-
ze individuali e esperienze sociali, ha, sotto questa luce, un
significato per nulla casuale. Al contrario appare decisiva e
assai ragguardevole. Leader e Groves non hanno inventato il
loro libro in un contesto nullo; il loro lavoro si inserisce, piut-
tosto, dentro un repertorio preesistente, in un certo gruppo
Attenti all’immagine! 71

di libri-fumetti dedicati a importanti e vari personaggi del-


la storia moderna, fra scienza, arte, filosofia. Opere egregie
ma talvolta, anche, disastrose nei loro risultati. Non sempre
con il fumetto si è riusciti in maniera adeguata a raccontare
la complessità biografica e intellettuale di personaggi vissu-
ti nella storia antica e moderna, a restituirne la valenza di
protagonisti, così come non sempre è stato semplice renderli
figure di una narrazione scritto-visiva. Ossia di un racconto
concepito e reso con i meccanismi propri della costruzione
semiotica e della lettura del fumetto.
Ci sono riusciti, finora, in pochi. Per esempio, ci è riuscito
un maestro della levatura di Robert Crumb, ma si tratta non
a caso di un artista unico, singolare sia nel tratto e nel disegno
sia nella concezione complessiva del fumetto (da quando, ne-
gli anni sessanta, si impose fra gli autori dell’allora fumetto
underground statunitense, con opere come Mr. Natural o
Fritz il gatto). Con i suoi Kafka e The Religious Experien-
ce of Philip K. Dick, Robert Crumb ha saputo reinventare
la biografia a fumetti come forma autonoma di narrazione
scritto-visiva, in grado – grazie alla ideazione di immagini
dal segno decisamente personale e con una libera reinterpre-
tazione – di prospettare una visione originale. Soltanto così
essa è opera in un senso forte e pregnante.
Leader e Grooves hanno tentato una strada diversa ma
altrettanto intrigante e riuscita. E non solo per le ragioni che
rendono questo libro-fumetto una ottima e ben fondata in-
troduzione alla vita e alla psicoanalisi di Jacques Lacan (me-
riti che restituiscono l’accurata delucidazione, non pedante e
non riduttiva, di un pensiero filosofico e teorico stratificato,
sui quali il lettore riscontra aspetti meritori e perfino “criti-
ci” leggendo la postfazione di Fulvio Marone). Ma perché si
tratta di un fumetto davvero interessante, che “dice” (ops!
la lingua spesso non aiuta a essere precisi; dovrei piuttosto
usare termini come: “presenta” nel suo particolare compo-
sto di disegno-testo) qualcosa di non già ripetuto e visto in
altri fumetti. Capace di sviluppare un intreccio scritto-visivo
dentro il quale lo sguardo dei lettori è catturato in una rete
72 NUVOLE MUTANTI

di concetti e idee non percepibili se non in quel peculiare


incastro e in quella specifica organizzazione testuale con i
quali immagine e scrittura comunicano la vita e il pensiero
di Jacques Lacan.
Siamo, in altre parole, dentro quel registro fondamentale,
necessario, che rende il fumetto un medium davvero cruciale
nella cultura del Novecento e, ancora più, nella situazione
odierna dei media digitali e multimediali. Di che cosa, in al-
tri, termini, stiamo parlando? Di nient’altro che di ciò a cui
ammonisce la prima pagina del libro: attenti all’immagine!
Leader e Groves vincono la sfida da essi tentata esatta-
mente su questo piano. Basti vedere alcune immagini che
rimandano al tessuto profondo in cui il fumetto esibisce le
sue valenze comunicative. Per esempio, le pagine 60-61 (Fig.
14), che insieme compongono come una grande unica tavola,
dove personaggi, dialoghi, pose delle figure, gesti, interlo-
cuzione, ombre e l’estensione dell’immagine del muro nella

Fig. 14 Leader e Groves, Lacan a fumetti


Attenti all’immagine! 73

Fig. 15 Dino Buzzati, Poema a fumetti

profondità della parte sinistra della grande tavola stessa (un


muro che non si riferisce a una sua consistenza materiale, ma
indica l’idea di una rimozione forzata e violata dal gesto del
braccio e del pugno che ne rompe la spessa superficie, da
cui la conseguente immagine visiva di mattoni che cadono
ma altresì sembrano sospesi in una cascata riavvitata in di-
namismo solo grazie alle competenze mentali di chi legge…)
esibiscono la potenza eloquente del fumetto.
Mentre leggevo questo libro, non a caso, ripensavo a un
grande autore fantastico italiano come Dino Buzzati. Leader
e Groves hanno lavorato sulle stesse virtualità espressive che,
a suo tempo, negli anni sessanta, Buzzati espresse nel suo
magnifico Poema a fumetti del 1969 (Fig. 15). Anche se con
un segno non così misterioso, affascinante e pittorico come
quello di Buzzati, seppure con un coefficiente minore di
valenza inattesa e di competenza simbolica, questa Introdu-
zione a Lacan sfrutta le identiche direzioni cognitive, la me-
desima intelaiatura visiva e concettuale – scambiata fra testo
scritto e disegno – che impressionava, nei tardi anni sessanta,
74 NUVOLE MUTANTI

il lettore del Poema di Buzzati. È, insomma, il complesso or-


dito fra idea fulminante resa con l’immagine e discorsività
informativa della scrittura, esattamente come fra l’insospet-
tata, eppure rivelatrice, profondità del segno grafico della
scrittura e la superficie talora insondata del disegno, quando
per esempio rinvia a un “fuori” quadro (un fuori-campo) più
importante dell’immagine stessa. Soltanto con una trama del
genere, la stasi dei disegni e le forme raggelate, discorsive,
della scrittura possiedono la capacità di liberarsi della pesan-
tezza delle nozioni astratte e coinvolgono, con esiti profondi
e definitivi, grazie a un dinamismo inedito, la visione emotiva
e l’esperienza conoscitiva dei lettori.
Il futuro nell’antico
Metamorfosi d’immagini nel fumetto e nel cinema

1. Metamorfosi, immagini, media

L’antichità, le culture antiche, e specificamente la cultura


“classica” (greca e romana) si rivelano e si manifestano quasi
ogni volta che capita di approfondire temi e orizzonti dei
media del presente. Nei media – soprattutto in quelli audio-
visivi – l’antichità è una “origine” che puntualmente riaffio-
ra, seppure trasformata o modificata.
L’attenzione verso l’interconnessione fra i media del
presente e le “sopravvivenze” dell’antico (nel senso in cui
queste sono intese da uno studioso come Aby Warburg) sta
tornando a più riprese, evidentemente perché si tratta di un
nodo cruciale. Che, però, non è solo rivolto al passato: la
rigenerazione del rapporto fra nuovo e antico è, difatti, se-
gnalata come una condizione necessaria per re-immaginare
e dislocare il futuro.
L’insieme dei motivi antichi e classici attivi nella cultura
moderna (fra Otto e Novecento) e segnatamente in quella
cinematografica o dei fumetti, dalle origini a oggi, è assai va-
sto; per esempio, i poemi classici (greci e latini) si ripresenta-
no – o decisamente mascherati in nuove forme, o rivestiti di
abiti ingombranti ma non equivoci – nei fumetti avventurosi
(italiani e americani) degli anni trenta o nel cinema d’azione
di quel medesimo decennio. O, ancora: il sottile discrimine
fra comicità e fantastico che nettamente emerge in varie im-
76 NUVOLE MUTANTI

magini del cinema americano e italiano degli anni ‘40 o degli


anni ’60, può essere ricondotto – con gran divertimento – ad
alcuni passi del Satirycon di Petronio.
Diverse e numerose quindi possono essere le occasioni
e gli stimoli per rivisitare (meglio, ritrovare) l’antico nella
cultura moderna dei media, e specificamente in quelli delle
forme narrative audiovisive. Tuttavia, una prospettiva disci-
plinare come la sociologia della cultura e della comunicazio-
ne, che mescola i temi della sociologia dei media con la storia
e la semiotica degli audiovisivi, non può non tentare alcune
spiegazioni di fondo.
Per esempio, quella di trattare, fra tanti, il tema gene-
rale della metamorfosi che, in una specifica evoluzione dei
racconti visivi e audiovisivi fra cinema e fumetto, si declina
significativamente nel campo problematico e inquieto della
mutazione. Ma, per giungere a quest’ultima, occorre partire
dalla prima, la metamorfosi. S’impone, quindi, una breve,
necessaria e preliminare introduzione al tema, per dimo-
strare l’utilità e, soprattutto, l’interesse teorico a sviluppare
pienamente le implicazioni di questa prospettiva, tesa a dis-
sodare rapporti imprevedibili fra antico e moderno.
Il tema – non solo poetico ma sostanziale – delle meta-
morfosi (con l’ovvio richiamo al grande testo di Ovidio) con-
tiene una correlazione necessaria a un altro tema, sotteso,
relativo alla produzione di quell’immagine che ne “traduce”,
o ne pone in evidenza appunto visiva, il fenomeno della tra-
sformazione di un campo (o dominio) in un altro. È difatti
metamorfico ogni evento in cui si determini cambiamento
delle forme, passaggio da una percezione ad un’altra di di-
verso grado e consistenza, valicamento di confini, ossia – an-
cora meglio – confusione e non-distinzione dei confini fra un
campo e l’altro, da cui derivi l’integrazione problematica di
ordini che apparterrebbero originariamente a settori diffe-
renti (non a caso il breve ma decisivo scritto di Calvino 1979
sul grande poema di Ovidio si intitola Gli indistinti confini).
Per semplicità, vanno menzionate almeno due grandi ti-
pologie di metamorfosi:
Il futuro nell’antico 77

– quelle di ciascun elemento della natura – organico e


inorganico – introdotto e fatto penetrare nell’ambito di altri
elementi naturali che, da tale intromissione, sono conseguen-
temente cambiati: a) il vegetale e l’animale; b) l’umano e il
non umano; c) l’aereo e l’acqueo; d) l’etereo e il terrestre;
e) l’evanescente e il solido; f) il fluttuante e lo stabile; g) il
profondo e il superficiale. Ognuno verso l’altro e viceversa.
– Quelle degli elementi riconducibili allo storico e al non-
storico; per esempio: a) le forme architettoniche rispetto ai
confini materiali dell’habitat naturale (fiumi, monti, radure,
abissi ecc.); b) le costellazioni immaginarie di altri universi
diversi da quello umano (dei, dee, demoni, angeli ecc.) ri-
spetto a estensioni cosmiche non facilmente prendibili dai
saperi dell’uomo (nebulose, galassie, astri lontani o lonta-
nissimi); c) forze sentimentali e morali che si contendono il
bene e il male e che lottano per contrastarsi, ma quasi sempre
si mescolano in cristalli che talvolta appaiono indecidibili.
Anche in questo caso: ognuno verso l’altro e viceversa.
Quando si considera questa serie davvero ampia di pas-
saggi metamorfici, di mutamenti di un ordine nell’altro; e
quando si rapporta tutto ciò all’ambito della produzione di
immagini, e specificamente, di immagini derivate da processi
tecnologici, in grado:
– di rappresentarsi come in un moto di scatto interdetto o
come in una posa potenzialmente riavviabile in gesto dinami-
co (vedi i fumetti);
– oppure di possedere direttamente una dinamica sorgiva
e interna, ovvero un’azione e una cinetica propria (come nel
cinema),
si constata che lo svolgimento metamorfico (che si tratti di
immagini integrate e fuse in altre immagini, ma anche, fon-
dativamente, della condizione propria al dinamismo dell’im-
magine) scatena mut-azioni imprevedibili, eppure in qualche
modo originariamente inscritte (sia pure in una zona che
potremmo chiamare di “prossimità virtuale” ovvero di “po-
tenza sospesa”) nel grande repertorio della cultura e della
letteratura classica.
78 NUVOLE MUTANTI

Occorre a questo punto affermare con decisione: le im-


magini del cinema e del fumetto cambiano seguendo l’iden-
tità dei linguaggi visivi di ciascun medium, fatta di variazioni
eterogenee: la cornice dell’inquadratura (nel cinema) o della
vignetta (nel fumetto) si modifica esattamente assieme al
punto di vista dello sguardo (dello spettatore o lettore) e, con
questo, muta in corrispondenza l’oggetto proprio dell’imma-
gine; le dimensioni di spazio e tempo vengono sottomesse
a calibrature fluttuanti e mobili, mai fisse, anche quando
l’immagine e l’inquadratura sono ferme nella loro posizione,
per esempio nel rapporto con un fuori campo che è sem-
pre in tensione dinamica, aperto e sfuggente a ogni calcolo
predeterminato…
E dunque: le immagini del cinema e del fumetto dispon-
gono una energia metamorfica che dalla potenza perviene
alla sua conformazione reale, e ciò sia nel senso della figura (la
forma che evidenzia il sorgere dell’immagine che si trasfor-
ma sotto gli occhi di chi guarda) che del concetto (la figura
che rappresenta e rende esemplare lo sconfinamento insito
nella metamorfosi). Insomma: la trasformazione delle forme
dell’immagine è, nel medesimo istante, la modificazione degli
universi definiti dall’immagine, che ne esce irrimediabilmen-
te segnata da (se non positivamente assegnata a) tale ordine.
Questa energia della metamorfosi dell’immagine – resa
possibile, anzi evidente, grazie al regime tecnologico della
modernità, nei media del fumetto, del cinema e poi della
televisione – a partire dalla fine dell’800 corrisponde a gran-
di esigenze dell’immaginario e della cultura. Il fumetto e il
cinema sanno non solo esprimerla, ma anche adattare, valo-
rizzando e ulteriormente cambiando i precedenti repertori
dell’immaginario fiabesco e di quello fantastico (cfr. l’appen-
dice sull’immaginario animale).
Immagini statiche, disegni stampati sulla carta, fotogram-
mi fissi che si animano e stagliano universi di forme e di si-
gnificati visivi, dove le categorie spazio-temporali (il passato,
il presente, il futuro) o le scale di grandezza (l’alto, il basso,
il piccolo, il grande, il minuscolo e il maiuscolo, il micro e il
Il futuro nell’antico 79

macro) tras-colorano o meglio si tras-formano secondo linee


che stabiliscono una dinamica visiva (ben presto, dal 1927,
anno di affermazione del cinema sonoro, questo andamento
è insieme visivo e sonoro, quindi multimediale, non solo a
forte capacità sinestesica ma appunto composta di interazio-
ni segnico-mediali differenti).
La metamorfosi – che ha il regime della rapidità e della
velocità nel cambiamento delle forme – è quindi intimamen-
te cinematografica. Italo Calvino lo aveva già ben compreso:
al suo interno “tutto deve succedersi a ritmo serrato, imporsi
all’immaginazione, ogni immagine deve sovrapporsi a un’altra
immagine, acquistare evidenza, dileguare. È il principio del
cinematografo: ogni verso come ogni fotogramma deve esser
pieno di stimoli visuali in movimento” (Calvino 1979, p. XII).
Esiste, peraltro, una zona ben determinata di fusione fra
fumetto e cinema che ulteriormente fonde e perfeziona que-
sto livello “interno” dell’energia metamorfica di tali linguag-
gi audio-visivi dell’epoca moderna e postmoderna: il cinema
d’animazione. Già negli anni trenta, un attentissimo indaga-
tore delle forme del cinema – il grande critico letterario, al-
tresì sceneggiatore di film italiani di quel decennio, Giacomo
Debenedetti – coglie l’alta valenza dell’energia metamorfica
del cartone animato, discutendo, con grande passione e com-
petenza, della figura di Topolino, un “divo” che, secondo
Debenedetti, dalla sua nascita nel 1928, mette in opera un
efficiente fattore di integrazione dimensionale.
Fra cosa? Nel saggio La vittoria di Topolino redatto fra il
1931 e il 1935/36, Debenedetti (1984: 43-58) nota che qual-
cosa di decisivo avviene (nei cartoni disneyani con Mickey
Mouse protagonista, vittorioso non tanto sul piano dei rac-
conti, ma per la capacità di interpretare al meglio la qualità
potenzialmente più avanzata, sul piano estetico, del cinema
sonoro) fra l’universo bidimensionale del disegno – piatto,
superficiale, schiacciato sul piano – e quello tridimensionale
dei corpi viventi che si agitano nella volumetria spaziale e in
quello, quadridimensionale, del tempo (scandito dal ritmo e
dalla musica).
80 NUVOLE MUTANTI

Debenedetti acutamente sottolinea che tali metamorfosi


interdimensionali nell’immagine del cartone producono lo
scatenamento dionisiaco del movimento, che penetra e tra-
sforma il fotografico: il movimento del disegno – inizialmente
piatto e bidimensionale – è in tal modo elevato alla dimen-
sione del corpo scattante, abile, non più ridotto alla piattezza
della superficie, ma efficacemente vivo, attivo. Grazie a un
tale processo metamorfico, Topolino è il corpo nuovo che
vince su ogni altro attore nell’epoca del primo cinema sonoro.
Scatenamento dionisiaco – ossia l’innesco di un’azione au-
diovisiva che rompe con ogni limite, che non è irreggimen-
tabile ma ha la facoltà di toccare e di cogliere il senso pro-
fondo del vivente, nel collegamento segreto con il mortale e
l’oltre/umano – è il termine chiave, di valenza concettuale,
che sottolinea il delinearsi di un ponte e di un contatto fra
antico, presente e futuro. Ecco insomma il cinema d’anima-
zione prospettarsi come un luogo culturale in cui il moderno
d’improvviso – ma: non a caso, o senza che lo abbia voluto,
piuttosto affermando una esigenza insopprimibile – incontra
l’antico, se non addirittura lo reincarna e lo rinnova.
I fumetti hanno da sempre restituito nel tipico loro an-
damento segnico (vignette fissate in sequenza sul supporto
statico della carta stampata) le metamorfosi dell’immagine
dinamica del cinema e del cartone animato. E ciò sin dalle
origini. Lo testimoniano moltissimi esempi che qui non pos-
sono essere analizzati interamente, ma soltanto per campioni.
Il primo è un gruppo di tavole domenicali della grande se-
rie Upside Downs di Gustave Verbeek [Figg. 5-6]. Si tratta di
un capolavoro grafico-narrativo che, mirabilmente, combina
la percezione “diritta” del foglio e delle figure disegnate con
quella “a rovescio” delle medesime figure e dello stesso foglio:
la tavola dunque è l’insieme di due livelli che si ricompongo-
no l’uno dopo l’altro, nel senso diritto e in quello a rovescio,
e nel mutare della disposizione le figure si trasformano o nella
figura contraria o in quella che aggiunge il tassello narrativo
in grado di completare una breve storia. Verbeek gioca espli-
citamente sul labirinto delle percezioni e delle “apparenze”
Il futuro nell’antico 81

visive, ponendo in atto un livello specifico della metamorfosi


delle immagini. Fra le sue tavole, un particolare rilievo va as-
segnato a quella intitolata The Fairy Palace, dove i due perso-
naggi, Little Lady e Old Man, entrano in un bellissimo palazzo
su un lago. La didascalia iniziale avverte il lettore che si sta in-
troducendo in un’avventura “a doppio senso” («the beautiful
lake» è «just like a mirror») e dunque il disegno di Verbeek
pre-suppone uno scambio di ruoli (ossia di segno e di senso)
del palazzo e del suo riflesso. In questa tavola Verbeek inscena
la metamorfosi della visione dei fumetti, specchiata sia nelle
acque cristalline del lago che nel “lavoro segreto” compiuto
dallo sguardo del lettore. Questi ha, appunto, la facoltà e la
competenza di ri-comporre e fondere, con un senso specifico,
il diritto e il rovescio, l’immagine-una e l’immagine-due.
Il secondo campione è costituito da alcune strisce di
un’avventura di Félix The Cat di Otto Messmer [Figg. 16-
17]. Felix, il gatto nero sognatore, predisposto a confondere
realtà e fantasia con la lunare disposizione malinconica pro-
pria di un essere costretto a vincere ogni sorta di ostacoli,
disinvoltamente trasforma i segni astratti dei punti interro-
gativi e li ricicla come pattini da neve. La metamorfosi, qui,
è forse ancora più sottile sul piano cognitivo di quanto non
lo fosse quella di Verbeek. Perché Messmer, grazie alla logica
surreale dei linguaggi del fumetto, ritiene immediatamente
fungibili come oggetti i simboli astratti con cui viene figurata
non la parola bensì la punteggiatura, avulsa da qualsiasi frase
concreta. Questi simboli astratti sono considerati alla stes-
sa stregua degli altri oggetti residenti nel regime della rap-
presentazione. Ma, d’altronde, questo autore compie anche
l’operazione inversa, in quanto “libera” quei simboli astratti
dalla sola funzione di segno rappresentativo. Se disegnati, tali
segni sono, quindi in quanto oggetti vengono da Félix rici-
clati e riusati come pattini. Messmer scivola, insomma, con
grande competenza metamorfica, dal piano della simbolica
rappresentativa a quello della simbolica narrativa-oggettua-
le: il fumetto ha la proprietà fluida di far trascorrere l’una
nell’altra. Dall’oggettuale al simbolico al rappresentativo – e
82 NUVOLE MUTANTI

Figg. 16-17 Otto Mesmer, Félix The Cat


Il futuro nell’antico 83

viceversa. Il fumetto eredita questa fantasmagoria delle appa-


renze visive dalle tradizioni antiche dell’iconografia popolare
e la rilancia con spiccata forza originale.
Il terzo campione è costituito da un gruppo di tavole di
una serie più recente, di grande successo generazionale in
Italia (specialmente nel decennio dei Novanta del secolo
scorso): Dylan Dog, albo mensile edito da Sergio Bonelli e
creato da Tiziano Sclavi, con il contributo di molti validissimi
disegnatori. Nelle tre tavole disegnate da Corrado Roi [fig.
18-20], tratte dall’albo La Clessidra di Pietra (n. 58, uscito nel
1991, sceneggiato da Claudio Chiaverotti), un uomo che sta
ammirando a una mostra un notissimo quadro di Salvador

Figg. 18-20 Dylan Dog, La Clessidra di Pietra


84 NUVOLE MUTANTI

Dalì, vi si ritrova all’improvviso catapultato dentro. Anche il


suo orologio al polso subitaneamente acquista la forma degli
orologi di Dalì, mentre oggetti e idee assumono le sembian-
ze di esseri parlanti, in grado di esprimere pensieri di gra-
do filosofico. Si tratta di un’avventura bizzarra che – come
spesso succede in questo fumetto ideato da Sclavi – vede i
criteri della metamorfosi della visione giungere a forme di
riflessione sull’età contemporanea e sullo sconfinamento di
quei margini che distinguono la percezione della realtà da
quella della follia, l’immagine interna della mente da quella
del mondo condiviso con gli altri. I fumetti sanno esprimere
sagacemente, spesso anche in anticipo sugli altri media, la
Il futuro nell’antico 85

metamorfosi inquieta che distingue il vissuto odierno dell’e-


ra postmoderna e post-umana.
Il quarto campione è in questa sede implicitamente richia-
mato, perché la messe degli esempi relativi è davvero sovrab-
bondante e perfino lapalissiana. Si tratta dell’universo dei
supereroi e, particolarmente, dei mutanti. Per questo, una
immagine-esempio è addirittura riduttiva nei confronti del-
la capacità di tale universo fumettistico di mettere in opera
criteri di metamorfosi delle immagini; così come sarebbe ri-
duttiva, specificamente, dell’abilità con cui tale universo dei
fumetti riesca ad essere, fra l’altro, uno stratificato riadatta-
mento dell’opera di Ovidio (storie di dei e di uomini, nel loro
86 NUVOLE MUTANTI

parallelismo e nel loro intrecciarsi). L’opera di Ovidio – in


maniera quasi sempre inconsapevole ma decisamente funzio-
nante – dagli autori di case editrici come la Marvel Comics e
la D.C. Comics, viene sotterraneamente accolta, come trac-
cia culturale non eliminabile, con sensibilità prima moderne
(anni ’50-70: l’impatto che l’innovazione tecnica produce nei
confronti di miti e leggende), poi post-moderne (anni ’80-90,
ossia: come quella sensibilità tutta moderna si specchia e si
ri-guarda in una crisi fondamentale d’identità) e, ora, invece,
post-umane (gli ultimi tre lustri, dal 2001 a oggi, ossia: quali
scenari apocalittici e dunque rifondativi del reale si aprono,
quando tecnologie e poteri sovrumani si dispiegano sull’as-
setto stesso degli esseri viventi, nella dimensione cosmica e
super-terrestre?). E sarebbe davvero interessante riaprire
il capitolo di un’analisi, esclusivamente visiva, di come, nei
fumetti dei mutanti, la stessa impaginazione delle tavole dise-
gnate si curvi a certe assimilazioni figurative che procedono
quasi all’indietro nel tempo e poi, di nuovo, a ritroso in avan-
ti, fra saperi compositivi modernissimi (con tableaux di com-
posizioni riprese dalle avanguardie figurative dell’Ottocento
e del Novecento) e saperi visivi risalenti a tradizioni antiche
(bassorilievi marmorei, pittogrammi, trittici ecc. ecc.). Ma è
un’analisi, questa, da rinviare a una più proficua occasione.
Profili simbolici del cibo a fumetti

Su quali fondamenti esiste ed evolve un rapporto fra il


cibo e le sue immagini nei fumetti? Si tratta di una domanda
non semplice e non esclusivamente legata alle immagini che
riproducono i vari cibi e le diverse culture dell’alimentazione
nelle tavole dei comics. Il rapporto fra cibo e fumetti infatti
va al di là della mera rappresentazione dei cibi nelle tavole
e nelle strisce. Esso si nutre di diversi risvolti che hanno a
che fare, da un lato, con il tema generale della relazione fra
immagine e corporeità; dall’altro con il tema specifico ri-
guardante la capacità dei fumetti di esprimere ciò che al loro
linguaggio stimeremmo invece impedito. Per questo motivo,
è importante cercare di far luce su un rapporto che parrebbe
essere direttamente compreso ed appreso dai lettori e che,
invece, manifesta alcune originali zone di significato. Al suo
interno si manifestano certe dimensioni critiche del linguag-
gio dei fumetti che, nella rappresentazione del cibo, vengono
a galla e si mostrano più chiaramente che in altri casi.
Il cibo e l’immagine (non solo nei fumetti, ma nelle arti
figurative in genere, e specificamente nel cinema) richiamano
una summa di questioni che riguardano la concretezza della
materia composta nei cibi, l’assimilazione che ne fa il corpo,
le modalità della nutrizione non solo resa al corpo fisico degli
uomini e delle donne, ma all’anima dell’individuo, al desi-
derio di giungere alla soddisfazione dei sensi e della mente.
A partire da ciò il rapporto fra cibo e immagine compone
88 NUVOLE MUTANTI

alcune complesse espressioni dell’immaginario, della cultura


e della società.
Come accade nel cinema, anche nei fumetti il cibo –
fatto di materia vegetale e animale, ma altresì prodotto di
una trasformazione di tali sostanze, destinate a nutrire – è
ulteriormente tramutato in una immagine bidimensionale
che possiede una sua, costitutiva, ambiguità. Colore, forma,
densità delle materie del cibo sono convertiti in segni ico-
nici risultanti da approssimazioni tali da “ridurre” il cibo a
sagoma, a traccia visiva, a gestalt, dando luogo a una varietà
di esiti, marcati a loro volta da angolazioni talvolta parziali,
da eccessi talora ingombranti, e talvolta ancora sottoposti a
falsificazioni.
Si tratta di immagini alle quali mancano le proprietà speci-
fiche, primarie, del cibo: appunto il sapore, la consistenza fi-
sica degli alimenti e delle misture, i profumi, la temperatura.
E tuttavia, ciò nonostante, le immagini del cibo nei fumetti
hanno il potere di collegarsi a impulsi diretti del corpo (la
fame, l’energia rivolta a nutrirsi…) così come scatenano o
sprigionano o si collegano a forme culturali e ad abitudini
comportamentali, perfino a sistemi di idee. Attraverso tali
risvolti, l’impulso biologico della nutrizione e la spinta a
mangiare e a nutrirsi, si mutano in forma del desiderio, in at-
teggiamento rituale, in idea del valore (uno statuto che il cibo
non può non assumere quando diviene parte di un processo
simbolico-comunicativo).
Entro questa griglia complessa e stratificata di variazio-
ni del proprio senso, il cibo nei fumetti assolve a variopinte
configurazioni, a diverse funzioni narrative ovvero a diversi-
ficate concezioni dell’immagine. Queste possono concernere
la visualizzazione del corpo umano maschile e femminile, ma
anche come si focalizzano i valori culturali di epoche stori-
che. Il cibo può essere segno narrativo che, da semplice vet-
tore funzionale al racconto, si amplifica, divenendo motore
di azioni di forte emblematicità tale da scuotere il racconto
stesso, portandolo ai confini dei sistemi e delle forme codifi-
cate di narrazione visiva e audiovisiva.
Profili simbolici del cibo a fumetti 89

È in tali occasioni che il cibo si pone in punti estremi di


grande risonanza semantica: elemento di trasgressione per-
sonale o collettiva, sede della resistenza individuale alle nor-
me della cultura e alle abitudini educative; scatenamento di
pulsioni dionisiache che contrastano l’ordine costituito o le
maniere con cui la società esercita poteri sottesi contro le
libertà soggettive. Non a caso, la presenza visiva del cibo nei
fumetti (come al cinema) quasi sempre inscena lo stigma o la
violazione del peccato. Nei racconti dei fumetti il cibo con-
sente l’alternanza o il conflitto fra dinamiche narrative che
pongono fortemente in tensione il controllo e la liberazione
dei sensi, la manifestazione del piacere e la sua interdizione.
Quindi si situa fra il premio e il castigo, fra l’ordine naturale
(a cui il corpo risponde per sopravvivere) e quello sopranna-
turale (per esempio, quando si ripresenta in universi espli-
citamente straordinari, come quelli della magia, del sogno o
dell’oltre-umano).
Come nel cinema, le immagini del cibo nei fumetti mo-
strano una segreta corrente tra l’uomo primitivo e l’uomo
moderno. La gola e la fame, il cibo e il desiderio, il cibo e
l’eros sono piste su cui la corrente fra primitivo e moderno
delinea passaggi non semplici. Divengono visibili azioni e
comportamenti, situazioni narrative e campi logici o emo-
zionali che travalicano i confini della legalità o i marchi del
decoro, approdando nelle zone critiche e spesso insostenibili
(ma liberatorie) del comico (si ride di chi non trattiene la
propria corporea ansia di cibo, ovvero si ride per la legitti-
mazione impulsiva del desiderio a fronte della rimozione e
repressione socio-culturale del piacere).
Insomma: nei fumetti l’immagine del cibo fa pendere ed
emergere aree semantiche davvero interessanti, forse deci-
sive per la sensibilità dell’epoca moderna e post-moderna.
Di esse, in un breve excursus analitico, intendo fornire, nei
paragrafi seguenti, una piccola selezione, che non ha alcun
valore di riepilogo completo, ma che soltanto illustra alcuni
usi esemplari dell’immagine del cibo.
90 NUVOLE MUTANTI

1. Little Nemo in Slumberland, di Winsor McCay [Fig. 10]

Little Nemo, il piccolo ingegnoso sognatore del mondo di


inizio Novecento creato e disegnato dal grande autore delle
origini del medium, Winsor McCay, sulle tavole del “New
York Herald” dal 1905, nella pagina pubblicata l’8 novem-
bre del 1908, essendo un bambino in cerca di avventure,
incappa, in compagnia del suo amico più anziano, Flip, e
di un coetaneo proveniente da una terra selvaggia, in una
straordinaria vicenda. Al centro di questa si situa, proprio,
l’immagine di un cibo assai particolare: torte e biscotti che
hanno la speciale caratteristica di essere giganteschi, così da
ingombrare il campo visivo di alcune vignette. Le torte e i
dolci marcano questa loro grandezza in riferimento a quella
dei tre personaggi: maraldi che si introducono nella fabbri-
ca di torte appunto per scegliere quale dolce divorare e per
soddisfare l’eterno, incontenibile desiderio infantile di aver-
ne ancora e di più…
Ma questa situazione davvero promettente si rovescia
quanto prima: dalla loro allettante grandezza, le torte co-
minciano a sparire progressivamente, da vignetta a vignetta,
provocando un piccato e inevitabile stupore dei tre avventu-
rieri (Nemo a Flip: “Mi hai preso in giro?”, e Flip: “Qualcuno
prende in giro me!” ). McCay usa strategicamente la scansio-
ne dell’immagine-sogno, che provoca una sorpresa repentina
e quasi imprevedibile, con effetti fondati sulla metamorfosi
dell’immagine grafica risultante dalla successione delle vi-
gnette. Si tratta di un carattere tipico della comunicazione
dei fumetti rivelato tramite il dispositivo dell’immagine-
sogno (come al solito, in tutta la serie di Winsor McCay,
l’ultima vignetta della pagina mostra il risveglio dal sogno
di Nemo), con un andamento simile alla metamorfosi della
magia. L’intera tavola, d’altronde, manifesta i risvolti di un
desiderio – il piacere del mangiare un dolce senza fine, dalla
infinita caratura … – seppure mutati in un incubo capace di
cogliere i fondamenti della comunicazione dei fumetti.
Che sono i seguenti:
Profili simbolici del cibo a fumetti 91

a) Sia l’immagine dei dolci che quella dei personaggi,


come la presupposizione visiva di un ambiente (l’interno
di una mega-fabbrica di torte e di biscotti) appena vengo-
no calati nella tensione immaginativa che, mentalmente,
lega disegno a disegno, sono il prodotto elaborato da una
deduzione (quindi da una costruzione logico-emozionale)
del lettore della pagina. Grazie a ciò, l’apparenza medesima
dell’ambiente e degli oggetti da un lato sembra solida, men-
tre dall’altro è evanescente, internamente dissolta. Arguta-
mente, McCay suggerisce che, come i fumetti, anche il cibo
– appena viene disegnato in sequenze narrative – acquista
conseguentemente una intrinseca duplicità, che lo rende sia
voluminoso, appetitoso, energetico, sia immagine quasi-fan-
tasma, tenue, rarefatta, sfumata, prossima ad essere eterea, se
non, addirittura, intangibile.
b) Sulla base di a), la consistenza solida dei dolci nell’av-
ventura di Nemo (ma si può dire: la consistenza stessa dell’im-
magine e del disegno su carta) è (quasi) una mera illusione.
La dinamica sequenziale di questa pagina di fumetto (con
la scansione della metamorfosi magica; Nemo: “Questo po-
sto è stregato!”) dà luogo a una visione suscettibile di essere
colpita e affondata in profondità (Nemo: “Il disegnatore ha
dimenticato qualcosa!” – “Non riesco a stare su questa riga”).
Ecco, nella terzultima vignetta, la quadratura della vignet-
ta staccarsi dal fondo bianco della pagina e appallottolarsi
sul corpo di Nemo, prima che questi, nell’ultima vignetta, si
svegli dall’immancabile incubo che controfirma i suoi mera-
vigliosi e tuttavia orrorifici sogni.
Una prima conclusione dei ragionamenti fin qui tratti da
questa originale tavola di Little Nemo è che il cibo nei fumet-
ti può fungere da pretesto (essenziale e assai significativo)
per una turbinosa avventura della percezione visiva, per la
fantasmagoria delle apparenze stagliate nella presupposizio-
ne mentale che le tavole dei fumetti attivano nei lettori. L’im-
magine del cibo può ricostruire ambienti, o costituire oggetti
e corpi della visione, ma essa sta nel diaframma insinuato fra
la bidimensionalità della pagina disegnata e la tridimensiona-
92 NUVOLE MUTANTI

lità virtuale riorganizzata dai sistemi cognitivi ed emozionali


posseduti ed accesi dai lettori medesimi.

2. Popeye (Braccio di Ferro), di E. C. Segar [Figg. 21-22]

Dal suo esordio nel 1929 nella serie di The Thimble The-
atre e fino alle ultime strisce di Elzie Crisler Segar, Braccio
di Ferro (Popeye) è un personaggio dei comics notoriamente
collegato agli spinaci, alimento che assume il ruolo tradizio-
nalmente fiabesco della “pozione magica”. Appena Popeye
li ingoia, gli spinaci trasformano il suo corpo di marinaio e
gli conferiscono l’energia salvifica di un forzuto invincibile,
in grado di sconfiggere, immancabilmente, ogni nemico e di
salvare, all’ultimo istante, la sua amata (benché, spesso, assai
poco dolce) Olivia (Olive Oyl). I fumetti di Popeye dovuti al
segno di Segar abbondano di cibi che servono a delineare i
caratteri dei personaggi. Non solo Braccio di Ferro (marina-
io tendenzialmente indolente, quasi costretto a intervenire, e
sempre come ultima necessità, al fine di sopperire a pericoli
estremi) trova negli spinaci il click che sovverte la situazione
narrativa e ristabilisce rapporti che lo vedono infine vincito-
re. Poldo Sbaffini (J. Wellington Wimpy) è, da par suo, quasi
altrettanto noto di Popeye a causa dell’ingorda e destrissima
abilità di divorare in rapidi bocconi montagne di hamburger
che non intaccano minimamente le sue paffute rotondità.
Poldo e il vecchio Babbo di Braccio di Ferro sono alleati
nell’avventura che li vede sia irresistibilmente affascinati che
inevitabilmente indifferenti alla Strega del Mare (nella storia
Mistery Melody del 1937), personaggio che intende vendicar-
si del torto di essere stata “scaricata” dal padre di Popeye 66
anni prima. L’avventura ha l’andamento scanzonato e surre-
ale che distingue le storie paradossali, buffe ed esilaranti di
Segar, e al suo interno si fronteggiano i diversi desideri dei
protagonisti: Poldo cerca ripetutamente di rubare il flauto
magico della Strega per “modulare” con esso (ossia far appa-
rire e, quindi, mangiare) gli adorati hamburger, Popeye tenta
Profili simbolici del cibo a fumetti 93

Figg. 21-22 E.C. Segar, Popeye


94 NUVOLE MUTANTI

di salvare il vecchio padre dall’incantesimo malvagio della


Strega, mentre questa vuole risarcirsi, attraverso la vendetta,
di un vecchio torto. Nel corso dell’inusuale andamento di
una ballata anarchicamente scandita fra i registri della fanta-
sia, del comico puro e di un nonsense sufficiente a se stesso, il
cibo è reso visibile grazie all’effetto magico del flauto. Questo
oggetto dalle mille proprietà rende effettiva ogni possibilità
di realizzazione del desiderio: volare nella notte, superare le
difficoltà, modulare hamburger che soddisfino la parossistica
brama di Poldo, far apparire dal nulla un grosso vassoio con
pollo per colmare la fame del vecchio padre di Popeye. Nel
rapporto solidale con il flauto, il cibo in questa avventura per
un verso è ridotto a oggetto estemporaneo, nonostante da un
altro verso sia agognato dalla gola di Poldo o dalla sopravvis-
suta fame del papà di Popeye. Insomma: l’immagine del cibo
smette per qualche istante di essere semplicemente imma-
gine, rimandando alla consistenza – seppure instabile – del
cibo medesimo. Apparire-svanire, solidificarsi-vanificarsi,
sono gli estremi percettivi grazie ai quali il cibo rimanda alla
pressione impulsiva della fame e del desiderio, e per questo
paradossalmente produce uno sconfinamento simbolico. Da
un lato è una immagine sottomessa al gioco delle apparenze
entro un fumetto che non ha altre logiche se non quella del
nonsense comico (dunque non vi sono regole certe, ogni cosa
e ogni immagine è suscettibile di essere immediatamente ca-
povolta nelle proprie funzioni e nei propri segni); dall’altro,
il cibo richiama la tensione del corpo a consumarne le so-
stanze, in quanto esso va ingoiato, ingurgitato, divorato, as-
similato in un batter d’occhio, repentinamente, secondo una
meccanica per cui il corpo non può farne a meno.
Autore sommamente allenato a sfruttare ingegnosamen-
te la duplicità costitutiva dell’immagine del cibo, Segar usa
il tema visivo del cibo o come occasione estemporanea di
gag – in cui esso risulta immagine travolta dalla meccanica
automatica della comicità e del nonsense – o per fissare ed
esasperare le intramontabili ragioni del corpo, nel suo essere
irresistibilmente attratto dal cibo, verso cui conduce astute
Profili simbolici del cibo a fumetti 95

strategie di possesso per catturarlo o per dare sfogo all’irre-


frenabile piacere del mangiare.

3. Pepito, di Luciano Bottaro [Figg. 23-24]

Il giovane simpatico pirata che nasce nel 1952 dalle matite


del grande autore ligure Luciano Bottaro e che s’impone nel
consumo di fumetti non soltanto italiano (Pepito con grande
successo sarà per anni pubblicato in Francia da Sagédition)
mostra, nelle tavole che qui di seguito analizzo, ulteriori si-
gnificati del tema del cibo a fumetti.
Nell’arguta trama delle successioni fra vignette, talora vi-
sivamente esilaranti (come sempre in Bottaro) e dal tratto
assolutamente riconoscibile (il disegnatore e sceneggiatore
di Rapallo appartiene al gruppo dei grandi autori italiani dal
segno indiscutibile e immediatamente identificabile, come
Jacovitti, Pratt, Battaglia, Toppi, Milazzo, Buzzelli…), il cibo
e l’alimento assumono dimensioni che rimandano al fiabesco
ma altresì a una cadenza fortemente corporea del cibo stesso.
Ecco il burlo-fungo (alimento dichiaratamente fantastico,
frutto di originale invenzione, proveniente dalla zona del fia-
besco e della caricatura – come si addice al fumetto popolare
tradizionale) rendersi oggetto di una cura che ha l’andamen-
to dello scherzo quasi maligno, seppure innocente; cibo-
farmaco che si palesa nondimeno come relativa punizione,
tortura non malefica, nutrizione costretta, fino a prefigurare
(anche se per esclusione…) l’estremo del veleno.
Si mostra in tal modo la possibilità del cibo-intruglio, os-
sia l’immagine di un cibo che modifica il corpo, lo assale,
lo attanaglia e lo condiziona; in Pepito si tratta del cibo che
colpisce i non-innocenti, quei malvagi (pur senza violenza)
che attraversano l’universo comico e paradossale delle strisce
di Bottaro: il cibo vincola e insieme sottrae i suoi personaggi
agli intrighi messi in atto, rovesciandoli in vittime di se stessi.
Con effetto assai umoristico, il cibo è elemento di un asse-
dio del corpo e, soprattutto, quest’ultimo pare estraneo alla
96 NUVOLE MUTANTI

Figg. 23-24 Luciano Bottaro, Pepito


Profili simbolici del cibo a fumetti 97

seduzione del cibo e del desiderio; al posto della soddisfazio-


ne del piacere (come in Popeye), il cibo scatena la reazione
allergica, il vomito. Ad esso si lega non, dunque, il processo
dell’assimilazione al corpo, ma il rifiuto, la nausea, il sintomo
chiaro dell’insofferenza. Il cibo e l’alimento ingurgitato (tal-
volta per necessità) determinano la negazione violenta del
piacere, risultando agenti dell’anti-piacere.
In questa dimensione simbolica, insomma, l’immagine
del cibo, pur se convertita nel segno convenzionale del-
la comicità caricaturale, rende presente un corpo reattivo,
non scontato nelle sue derive comportamentali, soggetto di
istanze che affermano la singolarità, l’idiosincrasia, l’estrema
individualità del comportamento. Queste immagini del cibo
conferiscono al corpo – non prevedibile nei suoi comporta-
menti o nelle azioni che lo spingono a dover mangiare – un
senso assolutamente libero da norme e da regole, in modo
inconsueto restituendo a esso una originaria, indiscutibile,
valenza di unicum.

4. Topolino e il PippoTarzan (1957), di Romano Scarpa


[Fig. 25]

Topolino (Mickey Mouse) e il suo inseparabile amico Pip-


po (Goofy) si recano in Africa per rintracciare il fratello (so-
sia, quasi gemello) di Pippo, detto Pappo, che, parecchi anni
prima, ha lasciato il mondo occidentale; sembra che Pappo
viva in una terra selvaggia dove, con il popolo dei Mbagi, è
divenuto una figura simile a Tarzan (l’Uomo Scimmia crea-
to da Edgar Rice Burroughs). L’avventura dei due simpatici
personaggi in Africa vede l’incontro con il nemico e avversa-
rio di sempre, Pietro Gambadilegno.
Come molte storie disneyane scritte in Italia da Romano
Scarpa e dalla numerosa équipe di sceneggiatori e disegna-
tori radunati, dagli anni trenta fino ai primi anni Ottanta
del Novecento, nella “scuderia” creativa del mensile Topo-
lino (edizioni Mondadori) diretta e coordinata da Mario
98 NUVOLE MUTANTI

Fig. 25 Romano Scarpa, Topolino e il PippoTarzan


Profili simbolici del cibo a fumetti 99

Gentilini, questa avventura di Topolino rovescia ogni pro-


nostico narrativo. L’Africa continua a essere un territorio
pieno di sorprese e di scoperte, ma ogni separazione fra
mondo selvaggio e mondo civilizzato è messa in questione
da un racconto che prende in giro e che sovverte l’idea di
un continente (l’Africa stessa) dove l’avventura sia anco-
ra possibile. Già verso la fine del decennio dei ’50, il mito
dell’esplorazione di questa parte della Terra risulta ampia-
mente colmato nei suoi significati; all’autore di questo fu-
metto, Romano Scarpa, resta, dunque, l’efficace cifra della
parodia, per quanto affettuosa, condotta con mano leggera,
ironica e pungente.
In questa intrigante storia di Topolino Pippo e Gambadi-
legno, un motivo ricorre in varie fasi del racconto, in maniera
quasi inavvertita e segreta. È quello del cibo in rapporto alla
fame ed è, comunque, un tema sovvertito in ogni senso e gra-
do. Per esempio: dapprima, Topolino consiglia a Gambadi-
legno una dieta dimagrante per alleggerire il peso corporeo
che gli consentirà di oltrepassare un ponte sospeso fatto di
legno e liane; poi Pippo e Topolino restano senza provviste
in un deserto affuocato e così Topolino dice all’amico: “ que-
sta mezza galletta è tutto quanto ci resta, Pippo…”, mentre
questi risponde: “Ulp, se non altro mi fa venire l’acquolina
in bocca”. La galletta è d’improvviso rubata da un avvolto-
io che Pippo vorrebbe ammazzare e poi mangiare; subito
dopo, rincontrato Gambadilegno, i due gli chiedono aiuto
in quanto “sono morti di fame”, ma il vecchio nemico riget-
ta a Topolino il barattolo della dieta dimagrante avuta sul
ponte sospeso, dicendo sprezzante: “Ecco a voi…saziatevi a
dovere!”. Mentre “i due stanno per cadere nella disperazione
più nera”, miracolosamente sopraggiunge un aereo dal quale
è gettato un paracadute con pacchi che, aperti, contengono
dolci (Topolino: “Numi! Torte e budini!”) e frigoriferi (Pip-
po: “Per Giove! Birra in ghiaccio!”). E non è ancora finita.
La fame può essere rivolta contro Topolino e Pippo, trattati
come cibo potenziale da quegli animali (coccodrilli disegna-
ti a bocca aperta) che li stanno quasi per trangugiare; fino
100 NUVOLE MUTANTI

a che Topolino e Gambadilegno (intrappolato e sospeso in


una rete, cosparso di miele per essere appunto divorato “vivo
dalle belve”), catturati dai selvaggi Mbagi, stanno per essere
cotti alla brace, e all’ultimo istante vengono salvati dal provvi-
denziale arrivo di Pippo, scambiato per Pappo-Tarzan dalla
tribù africana.
Incontrato finalmente il fratello di Pippo (che si è da solo
relegato fuori dal mondo civile), ai nostri due protagonisti è
offerto un pranzo di frutti freschi africani che, però, appena
messo a tavola, diviene oggetto di un assalto da parte di un
turbine di animali affamati e, pertanto, da questi sottratto e
buttato per aria. Di frutta e cibi freschi restano bucce e pol-
vere. Il “piatto delizioso” donato da Pappo-Tarzan (Pippo è
contento di constatare per il fratello: “infine hai trovato quel
che volevi”) si dissolve repentinamente.
In altri termini, a questo “pranzo” accade esattamente la
stessa dinamica con la quale il tema della fame e del cibo è
stato trattato per tutta la storia. Esso è elemento di una suc-
cessione di azioni tanto incalzante quanto sottoposta all’u-
nica e risolutiva logica della incessante mutazione dei segni:
dal pericolo al sollievo, dalla suspense alla commedia, dalla
sorpresa al miracolo, dallo scherzo alla parodia irriverente.
Una parodia in grado – tuttavia – di mostrare come le illusio-
ni della civiltà procedano a fianco del disagio di vivere fuori
da quel perimetro culturale in cui la natura è addomesticata
dalla civiltà medesima.
L’immagine del cibo fresco, offerto da Pappo-Tarzan a
Topolino e al fratello, svanisce come goccia nella pioggia,
granello in un mare di sabbia. Si tratta di una ulteriore e si-
gnificativa manifestazione della duplicità intrinseca al tema
visivo del cibo nei fumetti: cosa o sostanza suscettibile di
annullarsi, o – meglio – di rivelare come una immagine sia
appunto cosa, sostanza, letteralmente appariscente, concre-
tamente predisposta a dissolversi, a trasparire nel nulla.
Profili simbolici del cibo a fumetti 101

5. Gourmet, di Jiro Taniguchi e Masayuki Qusumi [Figg.


26-27]

Evanescenza, illusione, pozione magica, oggetto estem-


poraneo, seppure agognato, ingurgitato, divorato, alimento
dichiaratamente fantastico, farmaco, intruglio, veleno, sedu-
zione o assedio del corpo, valvola di sfogo o sempiterno luo-
go del piacere. Il cibo e la sua immagine nei fumetti ricamano
una serie di opportunità narrative che si avvalgono di una
oscillazione assai pieghevole fra l’inconsistenza materiale

Figg. 26-27 Jiro Taniguchi e Masayuki Qusumi, Gourmet


102 NUVOLE MUTANTI

dell’immagine disegnata (bidimensionale) e la solidità mate-


riale (tridimensionale) del cibo e delle sue sostanze.
Questo finché un’opera a fumetti del 1997, Gourmet, sce-
neggiata da Masayuki Qusumi e disegnata da Jiro Taniguchi,
riprende per intero la questione del cibo e dell’immagine e
ne fa l’argomento specifico e la cornice complessa di un viag-
gio, articolato in diverse stazioni e occasioni, in cui si esprime
compiutamente la passione per il cibo da parte del sig. Ino-
gashira, commerciante ed importatore giapponese. Gourmet,
con la tipica saggezza analitica dei narratori del Sol Levante,
intraprende un itinerario davvero puntiglioso nei diversi an-
goli e nelle varie sfere che allestiscono la galleria dei menu
Profili simbolici del cibo a fumetti 103

della cucina giapponese, fra antiche tradizioni e novità del


gusto moderno. Inogashira, nei tempi morti o nelle pause
del suo commercio di import, vive un inabissamento specia-
lizzato del tempo destinato a individuare e frequentare locali,
ristoranti, piccole trattorie a conduzione familiare, centri
commerciali, dove il suo gusto viene sollecitato dagli aromi
più diversi, da spezie, vegetali, pesce, carne, paté e polpette,
legumi e verdure, alghe e salse, osservati, tutti, con l’occhio
clinico dell’intenditore e dell’assaggiatore professionista.
Il disegno di Taniguchi restituisce di conseguenza l’altro
lato della pieghevolezza dell’immagine del cibo. Quella che
sonda al microscopio la corrispondenza fra il segno visivo e
l’alimento, così da restituire profumi, aromi, sapori specifici
e peculiari, i vapori e le concrete levitazioni del cibo: dalla
sua mera consistenza di cosa ad avventura del gusto, fino
alla corrispondenza con (ovvero al soddisfacimento di) un
piacere intimo, assolutamente appagante proprio in quanto
fortemente individualizzato, seppure condiviso con altri.
L’immagine del cibo compone un quadro dettagliato, una
sorta di “menu illustrato”, a partire dai momenti della lavo-
razione e della preparazione fino a come il cibo è messo a
tavola, disponendosi all’occhio di un consumatore che coglie
il valore di ogni piccolo particolare. La tavola sulla quale i
cibi sono disegnati dà luogo a una prospettiva tendenzial-
mente tridimensionale, come un dipinto en-trompe-l’oeil.
Per questo, anche gli atteggiamenti corporei del mangiatore-
gourmet sono dettagliatamente riportati, in relazione con
l’avvicendarsi e lo svilupparsi di un pensiero interno, che
valuta e soppesa la successione delle pietanze, la loro compo-
sizione, la verifica del sapore, l’apprezzamento – spesso non
previsto e sorprendente – sulla bontà degli alimenti. Ingoiare
e fagocitare il cibo con la frenesia del pieno godimento non
a caso rende il corpo simile o a una “centrale termoelettrica”
o a uno “stabilimento siderurgico”, e del pari lo stomaco a
una “fonderia”!
Il rapporto con questa dimensione del cibo è favori-
to dall’identità nazionale del protagonista, cittadino di un
104 NUVOLE MUTANTI

Giappone industrializzato, fortemente lanciato verso una


modernizzazione che parrebbe avere cancellato ogni legame
col passato. Questo invece torna con forme inaspettate ap-
punto nella varietà delle cucine e nelle preparazioni dei suc-
culenti pranzi del sig. Inogashira. Il cibo permette di gettare
un retro-sguardo verso il tempo che passa, mentre d’altro
lato consente di riconoscere resti e depositi essenziali lasciati
dall’esperienza di coloro che hanno condotto, nel tempo, il
paese alla situazione odierna.
Il passato è, dunque, un fantasma che si manifesta nel le-
game fra cucina antica e cibi moderni, nell’apprezzamento
per i vecchi sapori, per gli aromi che rimandano all’infanzia
o a una quiete ormai svanita nell’incalzante e stressante ritmo
del lavoro e delle incombenze da svolgere quotidianamente.
Il cibo è, per questo, deconcentrazione dal dovere, tempora-
nea liberazione dal lavoro e soprattutto riparazione, seppure
occasionale e strumentale, ma talora urgente e indispensabile,
dalla sofferenza del distacco dai propri cari, dalla nostalgia di
un tempo (la giovinezza, un amore lasciato a Parigi, in Euro-
pa…) che, non tornando, segna un vuoto. A quest’ultimo il
cibo risponde con soluzioni che richiedono strategie di cura
e di sollievo, che distraggono dalle imposizioni sociali (ecco
perché vanno conservate e protette le abitudini al pranzo e
alla pausa), che avverano delizie per il corpo e per la mente.
Il cibo tendenzialmente tridimensionale di Gourmet rati-
fica uno spazio espressivo sempre intravisto ma mai così pro-
grammaticamente ed efficacemente utilizzato nella comuni-
cazione dei fumetti: il cibo raffigurato come viatico (tanto
specifico quanto generale) con il quale, per il tramite delle
culture culinarie, sono raccolti indizi e prove relative all’av-
vicendarsi degli scenari di vita nei piccoli centri e nelle me-
tropoli, al cambiamento delle culture fra Novecento e nuovo
Millennio, al mutamento del rapporto fra popoli, masse e
forme della biopolitica, e a quello dei modi della socialità.
Seconda parte
Scritture visive e fumetti italiani
Farfalle immobilizzate con uno spillo1
Linee per una storia della sceneggiatura
nel fumetto italiano

0. Molti sono i punti di contatto ma altrettanto numero-


se restano le differenze fra il lavoro e la qualità “creativa”
degli sceneggiatori di fumetto rispetto agli sceneggiatori di
cinema. Il maggior punto di contatto è che entrambi sono
professionisti della scrittura visiva, lavorano cioè con i mezzi
tradizionali della scrittura per intra-vedere lo statuto espres-
sivo dell’immagine (mobile e internamente dinamica nei
film, statica e fissata sulla carta nei fumetti). Nel loro lavoro,
la scrittura è costretta a oltrepassare se stessa e a trasfor-
marsi in una sorta di terra di passaggio verso la costituzione
dell’immagine.
La differenza più forte fra chi scrive per l’immagine fil-
mica e chi scrive per l’immagine del fumetto consiste in
questo: i primi devono fornire una dimensione e una fisio-
nomia audiovisiva all’immagine sullo schermo, e per far ciò
la scrittura nel cinema ben presto scompare, trasformandosi
in azione e in dialogo o suono sincrono/asincrono (a meno
che non rientri nell’azione come oggetto specifico del rac-
contare o dell’agire: ecco i tanti film in cui la scrittura viene
visualizzata sullo schermo per, ben presto, dissolversi e di-
venire voce o immagine…). I secondi, ossia gli scrittori di
fumetto, fanno da subito una doppia operazione (che i primi
possono anche risparmiarsi, per concentrarsi sulla dinamica

1
Questa definizione, riferita ai fumetti, è di Federico Fellini.
108 NUVOLE MUTANTI

dell’azione e sulla sua credibilità scenica) e, per una siffatta


doppia operazione, la scrittura non scompare per intero nel-
le immagini, bensì resta e si adatta al combinato semiotico-
testuale dell’immagine stessa, costituendone anzi una parte
essenziale. Dunque: molte differenze fra le due professioni
sono collegate al trasformarsi della scrittura in altre sostanze
semiotiche (suono, voci…), o al permanere di questa in una
soluzione espressiva davvero unica, dove la scrittura, mentre
funziona come strumento mediano per la sua stessa meta-
morfosi in una o più immagini, dall’altro ricompare nella
qualità di elemento pienamente significante.
Gli scrittori di fumetto, insomma, devono, contempora-
neamente, dare volume a una scena dinamica e costituirla
come immagine complessa (questa è la parentela più vistosa
con gli scrittori di cinema), ma contemporaneamente han-
no l’obbligo di sezionarla e di rappresentare il dinamismo e
l’azione attraverso istanti privilegiati, i quali vanno fissati in
immagini in sé statiche, da porre in sequenza e/o nella coabi-
tazione fra scrittura visiva e immagine. È la sequenzialità di
vignette e disegni statici nel loro combinarsi con la scrittura
(segno mediano che restituisce voci, pensieri, istanti spazio-
temporali…) a rappresentare e a costituire nel fumetto il mo-
vimento. È lo sguardo del lettore a mettere in moto il com-
plesso dinamismo semiotico ed espressivo del fumetto – fra
continuità e discontinuità del movimento – con la capacità di
strutturare il tempo di lettura e di aprirlo alle corrispondenze
(o ai disallineamenti) con il tempo narrativo delle storie vi-
sualizzate nel combinato di scrittura e immagine.

1. La storia della sceneggiatura nel fumetto italiano inizia


con l’avvento del medium nella cultura di primo Novecento,
ossia già dalle pagine colorate dei primi fumetti comici editi
sulle tavole de «Il Corriere dei Piccoli» a partire dal 1908.
A questo repertorio importante – dove il genere del comico
ben presto si innesta nelle carature narrative dell’avventura
paradossale o fiabesca – occorre dare il risalto che merita.
Esso fonda una forma culturale e mediologica importante
Farfalle immobilizzate con uno spillo 109

che, nei decenni successivi, acquisterà sempre più consenso


e darà campo a un rapporto vivace con il pubblico dei lettori
(non solo bambini, ma specialmente ragazzi, giovani, adulti)
grazie alla capacità di rappresentare gli scenari della moder-
nità nel nostro paese. Una modernità colma di disuguaglian-
ze, distorsioni, conflitti generazionali, scontri fra visioni del
mondo e fra modelli educativi. I fumetti comici e poi quelli
narrativi (con una forte quota di opere visive tratte, dagli
anni Venti ai Trenta, dai romanzi di Emilio Salgari) sanno
portare a una cifra di indubbia fantasia una serie di anticipa-
zioni delle avanguardie artistiche del secolo XX° e, inoltre,
sono strumento non indifferente per la crescita e la diffu-
sione dell’editoria nazionale. Questo periodo vede la forte
presenza di autori – figurinai che dall’illustrazione si trasfe-
riscono nell’editoria del fumetto trasportandovi l’acume e la
sapienza grafico-narrativa di un’arte consolidata – che danno
il segno dell’epoca: da Yambo a Gustavino, Franco Chiletto,
Guido Moroni Celsi, Sto, Antonio Rubino, Giovanni Manca.
Autori che rivestono il doppio ruolo di sceneggiatori e dise-
gnatori, con una unità segnica che in maniera vitale confon-
de l’apporto dato nella funzione dell’uno o dell’altro ruolo.

2. Una storia della sceneggiatura nei fumetti in Italia è


ancora da fare (Frezza 1987), e quindi occorre semplificare
e schematizzare, anche per fasi temporali. Negli anni Trenta
e fino alla fine del secondo conflitto mondiale, va registrato
il grande successo del fumetto avventuroso, che compete
con quello statunitense, affermatosi in albi settimanali come
«L’avventuroso» e «L’audace» (da Buck Rogers a Flash Gor-
don, Mandrake, Phantom, Brick Bradford, Cino e Franco). In
questo decennio diversi autori meritano una segnalazione
specifica. Anzitutto, nel gruppo degli sceneggiatori per i fu-
metti editi da Mondadori, oltre a una figura decisiva come
Federico Pedrocchi (che muore durante il secondo conflitto
mondiale), va ricordata la presenza di Cesare Zavattini, alla
cui firma si devono due opere a fumetti dal sapore epocale:
una space opera di fantascienza, Saturno contro la Terra (1936,
110 NUVOLE MUTANTI

alla quale collabora pure Pedrocchi) e un’avventura che ri-


esce a rappresentare, in chiave simbolica, lo scarto fra i vis-
suti metropolitani di quel decennio e il peso soffocante delle
ideologie (fascista e nazista): Zorro della metropoli (1937).
Inoltre, questo periodo vede formarsi autori che traggono
dai fumetti elementi espressivi che li accompagneranno per
tutta la successiva carriera di inventori di cinema; fra que-
sti, un posto speciale spetta a Federico Fellini, che, appena
ventenne, fra il 1938 e il 1939, prima di recarsi a Roma, si
trasferisce da Rimini a Firenze dove appunto lavora per l’edi-
tore Nerbini quale sceneggiatore di avventure disegnate che
“imitano” le storie e i personaggi dei grandi characters dei
fumetti statunitensi. Gli anni Trenta sono, altresì, la stagione
in cui iniziano la loro feconda attività di sceneggiatori di fu-
metti seriali autori di rilievo quali Gianluigi Bonelli, Andrea
Lavezzolo, Rino Albertarelli (non meno prestigioso disegna-
tore), Guido Martina.

3. Nel dopoguerra, dal 1945 al 1960, proprio queste ulti-


me figure di scrittori sono protagonisti di una nuova configu-
razione del nostro fumetto, pubblicato nel formato a striscia
o in quello quadrato mini. Mentre Gianluigi Bonelli avvia
l’attività di scrittura che, fino ai primi anni Sessanta, ratifica
il primato di una serie western come Tex, il trio EsseGesse
(ovvero, Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon, Pietro Sartoris)
dà un formidabile apporto alla identità di una generazione
di lettori di fumetti, creando varie serie che restituiscono ap-
punto il quadro socio-narrativo del ventennio fra i Cinquan-
ta e i Sessanta del Novecento: Kinowa (creato da Andrea
Lavezzolo), Capitan Miki, Il Grande Blek e, più tardi, dagli
anni Sessanta agli Ottanta, Il Comandante Mark.
Andrea Lavezzolo e Guido Martina proseguono l’opera
creativa di Pedrocchi nella Mondadori. Casa editrice che,
avvalendosi del coordinamento di Mario Gentilini, costitu-
isce una équipe autoctona, per scrivere-disegnare le storie
dei paperi e dei topi disneyani, che ha vita duratura per oltre
mezzo secolo (vi fanno parte Carlo Chendi, Romano Scarpa,
Farfalle immobilizzate con uno spillo 111

Luciano Bottaro, Giovan Battista Carpi e, dagli anni Ottanta


a oggi per la Disney Italiana, fra molti altri validi sceneggia-
tori, Elisa Penna, Giorgio Pezzin, Andrea Mantelli, Giorgio
Cavazzano, Massimo De Vita). I fumetti disneyani sceneggia-
ti e disegnati da italiani spiccano per il modo sagace con cui,
attraverso la cifra della parodia, viene figurato e rovesciato
un intero patrimonio della letteratura e della cultura classica
e moderna (dalla Commedia dantesca – fu la prima “grande
parodia” disneyana, L’inferno di Topolino – a Robin Hood,
da Faust a Via col Vento, dall’Orlando Furioso – con la storia
Paperin Furioso – a I Tre Moschettieri, e tanti altri capolavori
letterari) rendendolo vicino alla comprensione di lettori in-
sieme divertiti e stupiti da una tale coraggiosa impresa.
In anni più vicini a noi, l’équipe disneyana di casa nostra
ha fortemente aggiornato questo stesso universo, con una
attenzione molto intensa alle sensibilità e abilità strutturate
in lettori sempre più competenti, immersi in un immagina-
rio transmediale vivo, in forte movimento e senza remore; in
particolare vanno menzionate quelle ibridazioni che spingo-
no l’universo dei comics disneyani verso una maturità nar-
rativa adesso maggiormente rivolta a un pubblico di adole-
scenti addestrati a modelli di racconto disincantati, in genere
tratti dalla fantascienza post-moderna, sensibile al rapporto
fra ambiente e tecnologia (nelle serie che procedono, dalla
fine degli anni sessanta a oggi, dalla prima storia di Paperi-
nik a PK – acronimo dello stesso nome del personaggio, in
voga nella seconda metà dei Novanta – fino a PKNA ovvero
Paperinik New Adventures, e al recentissimo PKNE – ossia
Paperinik New Era).

4. Con Gianluigi Bonelli, dal 1948 a tutt’oggi (una serie


come Tex e le altre serie western o avventurose che impo-
stano il lavoro di una vera fabbrica artigianale e di qualità
del fumetto italiano seriale), diviene sempre più importante
il settore nel quale, in Italia, si riscrivono mitologie e generi
dell’avventura (il western, il fantasy, la science fiction, il mi-
stery, il noir, l’horror…). Questo fumetto porta, qualitativa-
112 NUVOLE MUTANTI

mente, la cultura di massa nazionale a competere sul piano


del consumo internazionale d’immagini e di racconti audio-
visivi. Si tratta di una linea di scrittura narrativa fortemente
strutturata, dovuta alla sagacia di molti valenti sceneggiatori:
dallo stesso Gianluigi Bonelli a Guido Nolitta – alias il fi-
glio ed editore, Sergio Bonelli – a Gino D’Antonio, Renzo
Calegari, Alfredo Castelli, Claudio Nizzi, Giancarlo Berardi,
Tiziano Sclavi, Mauro Boselli, Moreno Burattini, Michele
Medda, Antonio Serra, Carlo Ambrosini, Gianfranco Man-
fredi, Claudio Chiaverotti e molti altri loro bravi prosecutori
– fra i quali vanno almeno menzionati Giuseppe De Nardo,
Pasquale Ruju, Diego Cajelli, Giovanni Di Gregorio, Gio-
vanni Gualdoni, Claudio Falco, Paola Barbato, Alessandro
Bilotta, Maurizio Mantero, Lorenzo Calza. Questa linea di
scrittura, mentre da un lato si mantiene riconoscibile ed è co-
stituita da spiccati elementi identificativi, dall’altro dà conto
di, e sa interpretare, una stringente evoluzione del mercato
editoriale nonché delle varie generazioni di lettori che passa-
no dall’immediato secondo dopoguerra all’era multimediale
digitale del XXI secolo. Non a caso, con la crisi emergente
delle riviste d’autore, dai primi anni Novanta, il fumetto se-
riale di Bonelli Editore si appropria di un ricco numero di
autori-scrittori le cui prime prove hanno luogo su una rivista
come «Orient Express» (diretta da Luigi Bernardi) dedita a
perfezionare in senso contemporaneo i modi di figurazione
dell’avventura a fumetti.
I lettori italiani di fumetto seriale, dal primo all’ultimo
Tex, come dal primo all’ultimo Zagor e poi in serie di successo
(dagli anni Settanta al Duemila) come Mister No, Ken Parker,
Dylan Dog, Martin Mystère, Nathan Never, Nick Raider, Julia,
Dampyr, Magico Vento, Napoleone, Jan Dix, Saguaro, o oggi
in serie come Orfani, Lilith e Dragonero (queste ultime quat-
tro serie dovute rispettivamente alla scrittura di Bruno Enna,
Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari, Luca Enoch,
Enoch e Stefano Vietti), seguono, in tutti questi albi mensili
dell’editore Bonelli, un passaggio di maturità espressiva: dal-
lo stadio del fumetto classico-avventuroso a quello moderno,
Farfalle immobilizzate con uno spillo 113

post-moderno e ora post-umano, consapevole della com-


plessità dell’immaginario contemporaneo rielaborato e reso
attuale dall’innesto fra nuove tecnologie e cambiamenti della
vita quotidiana. Nella serie Dragonero, gli autori giungono a
una forma di fantasy davvero singolare, non contaminata da
arcaismi nostalgici e piuttosto orientata a una drammaticità
“laica”, in un contesto dove i confini fra reale, magico e so-
vrannaturale restano indistinti, consentendo l’apertura a un
fantastico quasi sempre originale e non prevedibile. In que-
sta serie, inoltre, il fantasy si sposa a un’attenzione assai viva
ai contesti eco-ambientali che rende la serie, pur immersa in
una sorta di medioevo rivissuto al presente, spiccatamente
vicina alle culture ecologiche dell’età contemporanea.
Attraverso questa e altre innovazioni negli scenari narra-
tivi, il formato “quaderno” degli albi Bonelli continua oggi a
far scuola nel consumo di fumetti in Italia, e ad esso si ade-
guano le nuove proposte dell’avventura scritto-disegnata.

5. La mia schematizzazione rischia non solo di tagliare dra-


sticamente ma di lasciare drammaticamente nel fuori campo
una esperienza davvero importante di autori che, dalla fine
della guerra agli anni sessanta, sanno essere rinnovatori del
nostro fumetto, per la qualità delle loro scritture e dei loro
disegni. Si tratta del gruppo che nel 1946 si raccoglie attorno
alla rivista «L’Asse di Picche» (Hugo Pratt, Dino Battaglia,
Alberto Ongaro, Mauro Faustinelli, Giorgio Bellavitis, Ri-
naldo D’Ami, Paul Campani) e che, dopo varie esperienze
fuori d’Italia (Pratt in America Latina, con Campani e D’A-
mi, mentre Battaglia s’impone in Gran Bretagna), tornano a
Milano negli anni Sessanta e, dal 1965, attraverso la rivista
«Linus», restituiscono al fumetto la dignità di forma d’arte e
di comunicazione da allora non più messa in discussione. Il
capitolo del fumetto d’autore si impone, da allora, con tut-
to l’imperio che rivede in profondità il lavoro di scavo e di
rigenerazione dell’immaginario contemporaneo operato da
sceneggiatori e disegnatori. Pratt, Battaglia, assieme a Guido
Crepax, poi anche con Attilio Micheluzzi, hanno una spe-
114 NUVOLE MUTANTI

ciale relazione creativa con un maestro della scrittura visiva


per fumetti come Mino Milani, mentre Guido Buzzelli segue
una strada assolutamente singolare. C’è un filo rosso che
collega questa storia dei celebrati autori del nostro fumetto
alla generazione che, circa quindici anni dopo, fra il 1978 e
il 1988 (anno della improvvisa morte di Andrea Pazienza),
attorno a riviste come «Cannibale» e «Frigidaire», muovono
invece una rottura generazionale ed esprimono una diversa
sensibilità – perfino umorale, cinica, decostruttiva e postmo-
derna – verso i drammi della civilizzazione e la perdita di
senso nei rapporti fra individuo e società. Questo secondo e
più giovane gruppo mostra le sue punte più alte nell’opera di
scrittori come Stefano Tamburini (Ranxerox, disegnato da un
talento figurativo del calibro di Gaetano Liberatore), Andrea
Pazienza (Zanardi, soprattutto, ma lo stesso è pure eccelso
disegnatore), Filippo Scozzari, Massimo Mattioli, Giorgio
Carpinteri. Sull’onda della sperimentazione di «Cannibale»
e «Frigidaire» si muove, nel decennio degli Ottanta, il con-
temporaneo gruppo dei Valvoline (Daniele Brolli, Giorgio
Carpinteri, Igort, Marcello Jori, Jerry Kramski, Lorenzo
Mattotti) interessato a più spiccate contaminazioni fra arte,
moda, pubblicità, fumetto. Al suo interno si impongono sce-
neggiatori che, nel tempo di almeno tre decenni, danno un
contributo significativo al maturare della stagione dei graphic
novels, ossia di una qualità del fumetto corrispondente a un
libro-romanzo. Da questo punto, i linguaggi visivi e narrativi
del medium possono spingersi, senza restrizione alcuna, in
ogni direzione immaginabile. È degno, per questo, di essere
rilevato il contributo di Igort (alias Igor Tuveri), che coordi-
na, dagli anni Novanta a oggi, una casa editrice come Coco-
nino Press.

6. Con i fumetti “neri” dei primi anni Sessanta parte un


segmento di scrittura visiva assolutamente inedita – non solo
per l’Italia – soprattutto per la sua capacità di vivificarsi nel
tempo. È il caso della serie Diabolik, ideata dalle sorelle An-
gela e Luciana Giussani (oggi proseguita da scrittori come
Farfalle immobilizzate con uno spillo 115

Alfredo Castelli, Mario Gomboli, Tito Faraci, Roberto Rec-


chioni, Patricia Martinelli) e delle serie Kriminal e Satanik
scritte da Max Bunker (alias Luciano Secchi) per i disegni
di un maestro del chiaroscuro come Magnus (alias Roberto
Raviola). Queste tre serie sopravvivono nella memoria alle
tante che in quei primi anni Sessanta affollarono le edicole
(alcuni titoli: Sadik, Zakimort ecc.) segnando un cambio nella
mentalità – non solo dei lettori – e nel giudizio collettivo sul
rapporto fra fumetto e costume.
Magnus & Bunker, con Kriminal e Satanik, misero in for-
te crisi l’identità di un immaginario positivo; i loro antieroi
squadernavano il lato oscuro della civilizzazione, con il se-
gno stereotipato del criminale mascherato, genio del delitto,
secondo una modernissima capacità di rappresentare, senza
remore e censure, i conflitti non solo della politica e della
società ma della sessualità, delle differenze di genere (ma-
schile, femminile…), oltre che i caratteri e l’individuazione
geo-politica degli interessi dell’Occidente militarizzato e tec-
nologico. Sono, peraltro, i due medesimi autori di una serie
comico-destrutturante come Alan Ford, che accompagna
con vivo successo la generazione dei lettori italiani degli anni
Settanta, periodo nel quale questa serie esilarante e parados-
sale interpreta la cifra più aderente a un nuovo immaginario,
in quel periodo sorgente anche se non privo di riferimenti (la
commedia grottesca del cinema italiano dei tardi cinquanta
e sessanta). Alan Ford, nelle caustiche sceneggiature di Bun-
ker/Secchi, mise in campo strategie di narrazione non solo
consecutive ma a raggiera, estese cioè ad ampio raggio sulle
materie da trattare, dimostrando come la produzione seria-
le non sia una chiusura del modello narrativo ma, semmai,
la sua massima apertura davanti al “reale”, alla “cronaca”,
allo spirito presente dell’epoca in cui essa è inscritta. Alan
Ford può essere ritenuta uno straordinario macro-segno
dell’emergenza sociale della Vita che in quel decennio dei
Settanta si pone davanti alla Legge come altro in grado di
decostruire la Legge stessa. Ossia di farne vedere il lato rove-
scio, il pullulare di un fermento verso il quale l’istanza della
116 NUVOLE MUTANTI

Legge (nel senso ampio di istituzione, regola, codificazione;


dunque non da intendere come Legge penale o solo come
diritto formale) si pone a sua volta o nella forma della barrie-
ra, dell’argine, del divieto, oppure nella forma del Limite che
si affaccia – appunto – davanti all’estrema varietà dei modi
dell’esistenza. La Legge posta di fronte a tale varietà si rivela
come Forma che richiude quel Fermento e ne stigmatizza (ne
riduce) le molte facce, i poliedrici sensi, l’apertura costitutiva
a quell’altro della vita che sta fuori da ogni formalizzazione.
Niente male, per un fumetto comico.
E, per tali motivi, va inoltre ricordato come la generazione
degli autori di «Cannibale» e «Frigidaire» (fine anni Settanta
e primi Ottanta del XX secolo) individui in questi maestri
del nostro fumetto “nero” (particolarmente in Magnus/
Roberto Raviola, sceneggiatore di altre formidabili serie, da
lui stesso disegnate, come Lo sconosciuto, Le 110 pillole, I
Briganti, ecc., che ricamano sulle frontiere fra innovazione
e trasgressione dei linguaggi del medium) quelle poche ma
basilari lezioni per attingere, in modo radicale, ai fenomeni
del “nuovo” nel panorama della cultura nazionale.
Per finire (ma è solo una necessità obbligata dal ristretto
spazio editoriale, essendo il percorso di analisi del ruolo di
sceneggiature e scrittori visivi dei fumetti italiani soltanto
all’inizio…), va segnalata l’essenziale della qualità di Dia-
bolik (oggi vivente in molte bellissime storie chiaroscurali
magistralmente rese dai disegni di Giuseppe Palumbo). Un
fumetto nero che evoca un mondo tragicamente scisso in di-
suguaglianze non ricomponibili. Dove il Re del Crimine è
solo la maschera disperata di un Giustiziere non legittimato
a coprire l’ingiustizia della Legge e della Vita Borghese, colta
nelle sue performance più ignobili – perché celate e ipocrite
davanti allo Sguardo Pubblico. Le due sorelle Giussani (e i
loro intelligenti prosecutori) compongono quindi un meta-
racconto della contemporaneità, mentre distraggono – sa-
pientemente – il lettore con la serie dei colpi di scena orditi
dal loro Protagonista e con l’infinito variare della seduzione
che Diabolik opera sia nei confronti della sua inseparabile
Farfalle immobilizzate con uno spillo 117

compagna, Eva Kant, sia dei suoi stessi lettori. L’occhio di


Diabolik è lo specchio di un pubblico precipitato nel gioco
in cui Bene e Male nella società tecnologica moderna, mentre
si combattono, declinano una partita dagli esiti incerti, volti
– infine – al tragico.
Uno sguardo disincantato, ma non spento

0. Con il suo disincantato sguardo sull’imminenza della


perdita di intere situazioni di vita nella attuale fase di pas-
saggio e di trasformazione socio-culturale che definisce l’era
dei consumi nella società post-umana, nelle comunicazioni
digitali e multimediali, Alberto Abruzzese, in un suo quasi-
definitivo intervento sul fumetto (Abruzzese 2008), dai toni
intensamente focalizzati a mirare la soglia irreversibile che
trasforma il passato dei media moderni nel presente dei me-
dia postmoderni e post-umani, sottolinea il rapporto cruciale
fra fumetti e infanzia. Egli pone in rilievo il modo proprio
con cui i fumetti colgono lo sguardo infantile, o d’altro canto
come l’infante s’immerga nelle immagini disegnate e sequen-
ziali dei fumetto, fornendo una precisa esistenza psicoaffet-
tiva al mondo così delineato, che l’infante sente nella pro-
fonda prossimità al desiderio e al volere. Una tale esperienza
costituisce un alveo della soggettività – alla maniera di una
incoscienza feconda – che, nella sua acuta intimità, quasi si
maschera (o viceversa si distingue) dalla coscienza struttura-
ta nel cambiare anagrafico delle età: esperienza quasi altera
o altra, spesso imbarazzante. Tuttavia essa torna, a volte in
modo occasionale ma rivelatore, a essere vicenda irredimibi-
le, lancinante, di un io che, non episodicamente, deve poter
pensare la differenza incisa al suo interno. Questa infanzia
si fonde con le immagini dei fumetti (o, in altri media come
il cinema e la tv, con il movimento d’immagini che rivelano
120 NUVOLE MUTANTI

una trasparenza dell’ordine dell’audiovisivo) riconoscendosi,


per tutto un secolo, nelle singolari applicazioni dei formati
comunicativi con cui il medium dei disegni disposti in se-
quenza, integrati all’ordine della scrittura graficizzata (resa a
sua volta immagine al quadrato: secondo livello dopo quello
con cui la scrittura visualizza il sistema verbale del parlare),
conquista, era dopo era, i vari pubblici ai quali si è rivolto
con acuta intelligenza del presente.

1. Il fumetto italiano nel corso dei suoi cent’anni è stato


investigato in molte chiavi – storiografiche, editoriali, esteti-
che e artistiche – e ciò ha messo in evidenza il ruolo svolto
nel panorama dei media nostrani; per esempio – a inizio No-
vecento – a cavallo fra vecchi sistemi della comunicazione
letteraria ed emergenza di fattori nuovi (l’illustrazione, i re-
portage fotografici, le réclames pubblicitarie ecc.) che stava-
no mutando la scena culturale all’avvento delle grandi tecno-
logie industriali; oppure – a metà novecento – insinuandosi
opportunamente nella proliferazione dei generi narrativi del
cinema e nello sviluppo generale dell’editoria popolare di
massa (giallo-poliziesco, avventura, fantastico, rosa, ecc).
Poco invece è stato indagato un altro verso del rapporto
fra fumetti e cultura; per esempio quello fra fumetti e tele-
visione: rapporto che non ha tanto importanza in sé, e nem-
meno per lo spazio specifico gestito in tale chiave da alcune
forme della comunicazione televisiva o da talune emergenze
espressive del fumetto; bensì per il fatto che la tv ha conno-
tato – specialmente nei secondi anni Settanta e primi Ottanta
– una passione generazionale per le immagini disegnate dei
fumetti, e per quelle animate dei manga, tale da far tornare
l’analisi dei fumetti a quello sguardo proprio dell’infanzia del
quale si è detto prima. Il rapporto fra fumetti e tv, indagato
in tale ottica, apre connotazioni tali che subito implicano un
tornare indietro, cioè fa emergere l’esigenza di una verifica
delle venature non secondarie che i fumetti hanno svolto per
le generazioni precedenti: quella relazione di passione non
redimibile, e sempre lancinante, con epoche (o verso altri
Uno sguardo disincantato, ma non spento 121

media) che hanno riguardato determinati contesti e ambienti


di vita.
Si deve dunque tornare al Corriere dei Piccoli? Perché no,
se questo vien fatto al di fuori di una mera ottica storiografica
o “illustrativa”, da una angolazione cioè ridotta a descrivere
in superficie l’oggetto, a dividere e separare le zone espres-
sive l’una rispetto all’altra (testi, figure, ecc.), oppure da at-
teggiamenti tesi a stigmatizzarne l’immagine di culto ovvero
a irrigidirla e trattarla da feticcio per malriposti sensi “ama-
toriali” del passato – quando invece occorre capire l’essen-
ziale del formato comunicativo che s’agitava in quel celebre,
epocale, periodico. Difatti, questo cortocircuitava modelli
culturali nazionali e modelli internazionali del tempo libe-
ro e del sapere narrativo, in modo che il lettore – piccolo o
adulto, a questo livello poco importa… – sentisse su di sé
l’alone di una appartenenza insieme nazionale e sovranazio-
nale, che rompeva i rigidi confini della scrittura in italiano
così come le abitudinarie figurazioni monumentali o estetiz-
zanti di fine Ottocento. La cosa più importante per i lettori
dell’epoca fu che le grandi pagine disegnate (accompagnate,
sotto, da didascalie a rima baciata), in quel formato edito-
riale riconnotavano e ricon-figuravano la scena familiare del
divertimento. Un divertimento necessario, di diritto iscritto
nelle pratiche di vita della sorgente condizione metropolita-
na del primo Novecento. Salto epocale, questo, che ha dato
luogo a culture non istituzionali, cresciute per vari decenni,
dentro le quali si sono espresse forme di immaginazione e di
creazione libere da vincoli e da pedagogismi astratti come da
schemi precostituiti. Una formula per la quale si sono impo-
sti i grandi nomi del primo, straordinario, fumetto italiano:
da Antonio Rubino a Sergio Tofano, da Attilio Mussino a
Bruno Angoletta, da Giovanni Manca a Guido Moroni Celsi.
Questo formato comunicativo dei fumetti è una sorta di
imbuto nel quale si riversano contributi estetici dal forte ac-
cento sperimentale e derive artistiche che danno segnali netti
di coappartenenza al tempo storico di un’epoca: dal liberty al
futurismo all’innato surrealismo dei disegni comici e fantasti-
122 NUVOLE MUTANTI

ci che restituiscono una immagine fortemente riconoscibile.


In questo periodo il rapporto col cinema è abbastanza vivo
(è l’epoca del film “muto”, dove il silenzio delle immagini
in movimento spiccatamente le apparenta al silenzio scenico
dei disegni a colori in sequenza del “Corriere”) ma non è
ancora strutturato in modo stringente, come avverrà dopo.
L’infanzia dei lettori – non quella anagrafica ma, appunto,
quel luogo immaginativo in cui si vive senza l’imposizione
di culture scolastiche asfittiche o forzatamente alfabetiche –
gode a tutto regime il sovvertimento di logiche e di valori
che, fuori dalla lettura dei fumetti, vede invece incalzare
dinamiche sottrattive della libertà o emergere responsabilità
che estraniano i rapporti comunitari dalla scena metropoli-
tana. I fumetti sono un controcanto non sottovalutabile – se
si vuole, schizzato, o per qualcuno minimale, o per altri senza
valore, quando piuttosto sono proprio i “valori” della incom-
piuta o disastrata civilizzazione ad essere radicalmente messi
in discussione dai fumetti – all’avanzare della modernizzazio-
ne, sia pure imperfetta e discontinua come quella di un’Italia
gestita prima da una borghesia manchevole e poi dal regime
fascista.

2. Il secondo grande formato comunicativo che s’impone


e cambia la scena del nostro fumetto – anche sul piano della
modellazione grafica della rivista periodica – è, naturalmen-
te, quello che si afferma col successo dell’Avventuroso nel
1934 e con le molte proliferazioni conseguenti (L’Audace e le
altre riviste d’avventura, compreso il primo Topolino d’ante-
guerra). Con tale formato la passione che si accende è quella
per le grandi saghe narrative epiche e fantastiche alimentate
dalla contemporanea diffusione dei consumi cinematografici
e spettacolari, nel corso di un’epoca che promuove per la
prima volta le logiche della spettacolarizzazione della vita
quotidiana moderna e che si identifica con la condizione
metropolitana. Ciò avviene contemporaneamente al dinami-
co e conflittuale insorgere di istanze arcaiche, innestate nel
corpo di una civilizzazione ancora disuguale e disomogenea.
Uno sguardo disincantato, ma non spento 123

Che, non a caso, mostra rischi di grandi strumentalizzazio-


ni e, dunque, è disponibile a fenomeni di schematizzazio-
ne ideologica. L’infanzia dei lettori – sempre quel luogo
d’immaginazione che alimenta alterazioni audio-visive della
percezione del presente, spingendo semmai avanti le istanze
del desiderio – si addensa attorno a un sistema ricco di affa-
bulazioni, dove si accumulano simbologie e figurazioni alle-
goriche, costellazioni di immagini antiche (l’eroe, il sacro, il
sacrificio, la mostruosità), e dove la modernità e la tecnologia
sono contaminate da furori di magia e di esoterismo. L’al-
trove abita la scena esattamente a pari titolo con la riprodu-
zione di modelli scientifici in voga (la relatività einsteiniana,
la robotica – una scienza ipotetica aperta alle configurazioni
fantastiche del futuro).
L’aspirazione segreta dei lettori è il superamento delle
gabbie autarchiche dentro cui è prigioniera la cultura istitu-
zionale, perché il loro sogno (il fumetto è una specie di sogno
a occhi aperti difficilmente controllabile, accendendosi an-
che solo al mirare di oggetti ancestrali come all’osservazione
di meraviglie tecnologiche) è una istanza di gioco intermi-
nabile, sottrazione all’empiria funzionale delle economie
del moderno. Il fumetto – come il cinema e come la radio
nei suoi generi più “leggeri” – è foglio di via dall’indigente
quotidianità asservita alla relazione sociale, ma è anche lega-
me coi territori posti oltre i limiti sanciti dalla Legge e dalla
Tradizione Pubblica. Territori che costituiscono l’esotismo
di una libertà vagheggiata e nutrono una passione altrimenti
incolmata. Tant’è che, presto, anche la stampa autarchica si
rende conto che deve allinearsi a questo desiderio: quando
nei tardi anni trenta è imposto il divieto di pubblicare gli ori-
ginali fumetti avventurosi americani, essa deve ben badare a
fornire cloni dei modelli e dei formati comunicativi che ave-
vano saputo strutturare un consumo definitorio di una con-
dizione generazionale. E questa, almeno sul piano editoriale,
è stata in grado di rivendicare le sue richieste. Così, poco pri-
ma o durante o appena dopo la breve parentesi autarchica, il
formato comunicativo dell’avventura – albi completi, o rivi-
124 NUVOLE MUTANTI

ste che raccolgono storie semicomplete, o grandi storie sal-


gariane disegnate a misura di sequenze e quadri d’ispirazione
cinematografica, o ancora albi in cui il mix sincretico della
cultura di massa dà luogo a un immaginario sovrabbondante
e vivace – impone un salto di qualità che resta dirimente per
un trentennio (anni ’30-‘60). Gli autori-chiave del periodo
sono tanto importanti per la cultura italiana del Novecento
da evocare interi universi mito-narrativi e audiovisivi anche
solo nel nome: Cesare Zavattini, Federico Pedrocchi, Walter
Molino, Gianni Scolari, Franco Chiletto, Rino Albertarelli,
Raffaele Paparella, Guido Moroni Celsi, Yambo, Kurt Cae-
sar, Vittorio e Carlo Cossio, Antonio Canale.

3. Il formato che connota, più degli altri, l’epoca del pri-


mo secondo dopoguerra (dalla seconda metà degli anni qua-
ranta fino ai primi anni sessanta) è la striscia a 2-4 vignette
per pagina, venduta all’esile prezzo di 10 o 20 lire settima-
nali. Espediente editoriale teso a segmentare il consumo dei
fumetti (e l’immaginario dei lettori) attorno a una serialità di
lunga durata, fondata sul costo esiguo del piccolo albo e su
una redditività costante. L’espediente immediatamente ac-
cende un desiderio d’infanzia. Coltivato senza freni, non solo
a basso costo, e dagli esiti professionalmente impeccabili. Da
Tex a Capitan Miki a Blek Macigno a Il piccolo sceriffo a Sciu-
scià a Kinowa, la striscia rende l’ottimo servizio di distribuire
uno sterminato “rosario” di immaginazione che, ben presto,
fa il paio con un formato diverso ma sempre di “piccolo ta-
glio”, quello a quadrato ridotto del Topolino del dopoguer-
ra o di Nembo Kid (prima versione italica di Superman e di
Batman e degli altri character della D.C. Comics americana),
o più tardi – sempre con la forma di un piccolo quaderno
illustrato – del Monello e dell’Intrepido (riviste nate a gran-
de formato nell’anteguerra e poi miniaturizzate, per essere
meglio distribuite nei passaggi, e nei tempi, di trasporto o di
quiete dal lavoro).
Fra anni cinquanta e primi sessanta, si gioca la partita di
un immaginario diffuso a raggi sempre più lunghi, poten-
Uno sguardo disincantato, ma non spento 125

zialmente ibridato, non più sottratto, anzi moltiplicato e


diramato in ogni direzione praticabile. La striscia compete
con il formato delle riviste d’avventure, e soprattutto divide
la partita del consumo con i tre periodici che definiscono
la condizione ideologica e pedagogica dell’immaginario na-
zionale: Il Vittorioso, il Pioniere e Il Giorno dei Ragazzi. Il
desiderio d’infanzia dei lettori è ampiamente legittimato,
nell’Italia della Ricostruzione, dalla irregolare ma determi-
nata modernizzazione del paese. È l’epoca del neorealismo
rosa, o della prima commedia filmica satirica di costume,
negli anni cinquanta soggetti alla diffusione dei comporta-
menti sovranazionali collegati al massiccio dispiegarsi della
società dei consumi moderni. Un’epoca ancora fortemente
segnata dall’immaginario filmico, ma già colta dalla pungen-
te diretta televisiva e da fenomeni di una democratizzazione
incoerente e disomogenea. L’Italia si affaccia al boom econo-
mico dei primi sessanta mostrando la peculiare soggettività
di un paese ancora colmo di eredità pre-industriali, però in
grado di spingere lo sguardo verso un immaginario a 360°.
L’espansione delle possibilità è a pieno regime; il desiderio
e l’infanzia dei lettori sono incatenati e attratti da proposte
dal tenore classico e i generi e le forme narrative intensifi-
cano i prestiti e le direzioni; realismo, fantastico, avventura,
piccoli drammi, strip comiche: tutto concorre a colmare la
tensione a crescere al riparo da sofferenze esterne – dopo i
grandi lutti del secondo conflitto e nell’epoca della paura di
una guerra atomica universale. Le strisce a basso costo dei
fumetti popolari italiani contengono una degna sintesi del
periodo antecedente al boom: povertà industriale e ricchezza
d’immaginario camminano assieme, definendo una condizio-
ne socio-storica che si prolunga per qualche decennio. E, nel
loro vitalissimo germe, danno luogo alle produzioni di nomi
tutelari del nostro fumetto: Gianluigi Bonelli e Aurelio Ga-
leppini, la EsseGEsse (Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon,
Pietro Sartoris), Andrea Lavezzolo, Lina Buffolente, i grandi
italiani della “factory” Disney (Romano Scarpa, Guido Mar-
tina, Pier Lorenzo de Vita, Luciano Bottaro, Carlo Chendi,
126 NUVOLE MUTANTI

Giovan Battista Carpi, Giulio Chierchini), il grande Benito


Jacovitti, il primo Gianni De Luca, l’indimenticato Franco
Caprioli, Antonio Sciotti, Sebastiano Craveri, Lino Landolfi,
Mario Uggeri, Aldo di Gennaro, Rinaldo (Roy) D’Ami, Pao-
lo Piffarerio, Erio Nicolò, Federico Gamba.

4. Il formato del quaderno che raccoglie prima le storie


a strisce (Tex, la collana Prateria), assieme al successo della
misura più ridotta di quaderno dei fumetti “neri”, inaugura e
sancisce la stagione della serialità matura dei fumetti a partire
dai primi anni sessanta. La grande espansione, segmentata
e molecolarmente distribuita, del periodo precedente si ad-
densa attorno a progetti più avanzati di serialità, nei riguar-
di di un pubblico che vive la stagione di una integrazione
stringente fra cinema e televisione. La specificità del fumetto
“nero” (Diabolik di Angela e Luciana Giussani, Kriminal e
Satanik di Magnus&Bunker ovvero Roberto Raviola e Lucia-
no Secchi – queste tre testate prime su tutte) connota infatti
l’epoca e il regime di un immaginario non solo filmico ma
a centralità televisiva, ortodossamente seriale, e soprattut-
to aperto a squilibri nelle cifre d’immaginario, a essere più
esplicitamente trasgressivo nelle proposte narrative e nelle
figurazioni (del corpo, delle dinamiche del desiderio, degli
eccessi nelle modalità della vita quotidiana). Il fumetto nero
è l’emersione della sessualità senza freni censori che rivela il
desiderio inconfessabile dei corpi rappresentati nelle epoche
precedenti (uno scenario che quindi si amplifica a raggio coi
fumetti erotici degli anni Settanta, e con quelli pornografi-
ci, sui quali si distende l’impeccabile analisi di Barbiani e
Abruzzese 1980).
Ma il caso dell’Intrepido e del Monello è importante quan-
to l’affermazione del fumetto “nero: al loro interno vengono
riprogettati i generi del cinema con una leggerezza complice
al desiderio dei lettori di svagarsi senza impegno ma anche
con spinta allucinazione. Si tratta di un rapporto fra albi pe-
riodici settimanali di medio formato – contenitori di storie
grafiche auto concluse, ma seriali sulla base di personaggi
Uno sguardo disincantato, ma non spento 127

fissi – e un pubblico che legge i fumetti senz’altro bisogno


che non ritrovare il proprio immaginario di riferimento in
pause di quotidianità liberate da ogni impegno o emergenza
funzionale. È una concezione sia domestica che sovranazio-
nale del divertimento sotteso alla lettura dei fumetti, che i
due settimanali dispiegano con efficacia, e ad essa infatti si
rifanno, nel decennio dei Settanta, i due albi concorrenti di
Lanciostory e Skorpio, sia pure accentuando i risvolti malin-
conici che afferiscono a sensibilità nuove, con le quali tutto
ciò che veniva raccontato disinvoltamente nei Sessanta espri-
me, un decennio dopo e oltre, quote di disincanto e di per-
dita collettiva ma ad ogni modo pronte a farsi carico di uno
spirito generoso nel guardare e rappresentare i cambiamenti
emergenti, cioè nel vivere senza tentennamenti l’arrivo delle
innovazioni indotte dal presente storico.
Al formato quaderno gigante si affida in modo cruciale
l’intera produzione degli albi Bonelli (nelle diverse denomi-
nazioni: prima Edizioni Audace poi Edizioni Araldo, Cepim
e, finalmente dagli anni Ottanta, con il nome definitivo di
Sergio Bonelli Editore): sul modello non solo grafico di Tex,
che sbaraglia ogni concorrenza, la casa editrice ripiega ogni
zona di narrazione classica e contemporanea, tradizione e
innovazione, con risultati sempre garantiti e di lungo per-
corso. Tanto che questo formato – inalterato fino a oggi – si
riproduce al di là delle diverse cifre narrative di genere, e al
di là delle differenziazioni interne che mutano la scena del
fumetto fra i ’60 e i decenni successivi fino a oggi. Il diverti-
mento e l’infanzia dei lettori degli albi Bonelli si concentra
sulla traduzione esemplare dell’immaginario filmico e lette-
rario avventuroso (dopo e assieme a Tex – al quale prestano
la firma disegnatori come Erio Nicolò, Guglielmo Letteri,
Ferdinando Fusco, Giovanni Ticci, prima di altri validissimi
e più giovani – una notevole punta di sincretico amalgama
è Zagor, dovuto proprio alla penna di Guido Nolitta/Sergio
Bonelli, con la veste grafica iniziale di Gallieno Ferri, ben
rilanciato nei primi novanta da un autore come Mauro Bo-
selli e dai disegni di Stefano Andreucci, e oggi gestito con
128 NUVOLE MUTANTI

intelligenza da Moreno Burattini), ma ben presto sposa le


esigenze di racconti con valore storiografico e illustrativo,
scrupolosamente documentato ed esemplarmente inciso
nelle storie dei singoli albi: da I Protagonisti di Rino Alber-
tarelli alla magnifica e “serialmente lunga” Storia del West di
Gino D’Antonio (con la collaborazione di talenti illustrati-
vi come Renzo Calegari, Renato Polese, Sergio Tarquinio),
alla modernità eco-avventurosa in ambiente amazzonico di
Mister No (ancora di Nolitta/Bonelli, con i disegni di Gal-
lieno Ferri e Roberto Diso), all’apripista pionieristico di un
western “politico e malinconico” come Ken Parker di Gian-
carlo Berardi&Ivo Milazzo (al quale collaborano firme come
Giorgio Trevisan e Giancarlo Alessandrini), alle divagazioni
archeo-fantastiche di Martin Mystère di Alfredo Castelli, fino
all’altrettanto epocale, sintomatica, affermazione di Dylan
Dog segnato dall’estro generazionale del suo autore, Tiziano
Sclavi o – dopo la fantascienza cibernetica di Nathan Never
(di Medda, Serra e Vigna) o il fantasy western di Magico Ven-
to (di Gianfranco Manfredi) o il noir di Julia (di Giancarlo
Berardi, Maurizio Mantero e Lorenzo Calza) – fino a una se-
rie così post-moderna e sperimentale come Dampyr (di Mau-
ro Boselli e Maurizio Colombo) o a un’altra originalmente
fantasy come Dragonero (di Luca Enoch e Stefano Vietti).
Dylan Dog di Tiziano Sclavi resta la serie che, a differenza
di Tex (che sigla la permanenza di un rapporto coi lettori
basato sull’identità di un immaginario e di un sogno d’avven-
tura resistente), marca l’insorgere di una relazione assai tur-
bolenta e corposamente “critica”, densa di incognite, tutta-
via pronta a valorizzare l’incerto, il magma delle indecidibili
fusioni fra reale e immaginario, fra storia e fantasia, politica e
ideologia, ricerca d’innovazione e squilibrio rappresentativo
– nei confronti del pubblico di fine Ottanta e dei Novan-
ta. Il quale da un lato può muovere in grande crescita ma,
dall’altro, nel tempo, vive lente o radicali implosioni e sensi-
bili diminuzioni quantitative. Si tratta di un’incertezza vitale,
che definisce l’attuale quadro del formato quaderno-gigante
delle edizioni Bonelli nell’era delle comunicazioni digitali
Uno sguardo disincantato, ma non spento 129

(definite da estrema mutevolezza e da convergenze imprevi-


ste, che riguardano l’intero sistema editoriale). D’altro canto,
esso sembra almeno canalizzare una affidabile intensificazio-
ne qualitativa del rapporto coi lettori.
L’intelligenza del formato quaderno – quello che resta
sempre uguale in Diabolik e che, pur restando uguale nel-
la grafica, si rinnova a ogni testata di Bonelli – è nel saper
corrispondere alla pienezza di un desiderio adulto, che però
trattiene con l’infanzia un patto di legittimazione e di auto
riconoscimento, e dunque – finora – coniuga e fonde posi-
tivamente le istanze del divertimento e quelle della accul-
turazione sapiente. Il formato Bonelli si auto modifica con
maggiore gradualità di quello che, parallelamente, succede
nelle testate statunitensi della Marvel e della D.C Comics,
il cui “formato”, superficialmente pari a quello degli anni
sessanta, in realtà è percorso da sconquassanti cambiamenti
nelle strategie narrative, nella focalizzazione drammatica e
nel dicibile che le saghe rendono visibile e rappresentabile
oltre i limiti della propria tradizione (rovesciando come un
guanto l’universo stesso dei supereroi, attraversato da guerre
intestine e da sconvolgimenti estremi). Tuttavia quello degli
albi Bonelli si conferma un formato ricorsivo, cioè con accor-
ta gradualità si adegua a ogni mutamento di sensibilità nel
corso delle diverse decadi in cui sviluppa un dialogo costante
col pubblico, mai tentennante (seppure con qualche “fisio-
logico” fallimento) e sempre capace di rilanciarsi. Anche se,
nel presente, la sua resistenza talvolta mostra piccole crepe,
che occorrerà osservare con la lungimiranza necessaria a evi-
tare un suo lento svenare.

5. Il formato-quaderno si allunga fino a oggi, e così occor-


re tornare indietro, ancora alla metà degli anni sessanta, per
marcare il punto storico d’insorgenza delle riviste d’autore:
da Linus a Eureka al Sgt. Kirk a Il mago, alle loro derivazio-
ni (i supplementi, gli almanacchi, poi Alterlinus, e poi Alter
Alter, o Eureka Magazine ecc.) fino agli esperimenti di una
spinta cultura generazionale in Cannibale e Frigidaire, o in
130 NUVOLE MUTANTI

Orient Express, Pilot, Totem, Comic Art (con la quale, ne-


gli anni novanta, si chiude una stagione non più ripetibile).
Cinque lustri, dal 1965 (anno di uscita del primo numero di
Linus) al 1990, fondamentali per la cultura di massa italia-
na per come si riaggrega e in taluni settori (vedi il cinema)
implode rispetto alle potenzialità espresse nei decenni pre-
cedenti, mentre in altri (vedi la tv) acutizza – espande ma
estremizza – il ruolo di mediatore socioculturale. Da par suo
il fumetto, conservando una fisionomia riconoscibile, vive
accese riorganizzazioni interne che fanno sparire intere fette
editoriali e accentuano le concentrazioni. In questo periodo
piuttosto lungo, le riviste (che ereditano in modo organico
le proposte già per prime manifestate, all’indomani della se-
conda guerra, con Robinson o con l’Asso di picche) si diver-
sificano tutte nel loro specifico formato editoriale (qualche
somiglianza fra esse solo negli anni ottanta) ma risultano pre-
cisamente accomunate dalla selettività del rapporto tessuto
con un pubblico di lettori circoscritto, non intergeneraziona-
le, e nemmeno schivo da ideologie o colto dalla pura istanza
del divertimento.
Quale che sia il non-formato delle riviste (in realtà, nelle
differenze grafiche, un formato c’è, ma è da rilevare nella ru-
bricazione dei contenuti, con indici fortemente tematizzati),
al loro interno si cerca di realizzare il sogno di una selettività
del desiderio e della sua costitutiva malinconia. Le riviste si
rivolgono a quegli adulti che hanno quasi del tutto rimosso
la loro infanzia e perciò intendono riscriverla (meglio: ricon-
figurarla, ri-trovarla trasformata) sotto una egida artistica o
ideologica o comunque tematizzata in modo esplicito.
Una paradossale mancanza che sancisce il desiderio della
mancanza stessa, e che promuove una forte istanza di ricerca.
Il formato d’autore serve a questa istanza per coprire un’area
di nuova immaginazione. Per tutti gli anni sessanta e i primi
settanta, le riviste possono ben soddisfare una tale istanza,
raccogliendo il magistero di quegli autori che si erano for-
mati e collaudati da un ventennio: Hugo Pratt, Dino Batta-
glia, Guido Crepax, Guido Buzzelli, prima di altri. Poi, dai
Uno sguardo disincantato, ma non spento 131

settanta, la situazione mostra la sua interna complessità e,


col procedere degli anni, emergono i conflitti interni a un
immaginario che, dentro e fuori dal fumetto, sta per essere
radicalmente cambiato dall’insorgere di tecnologie che met-
tono in atto la forte convergenza traduttiva da medium a me-
dium. Cinema, televisione, radio, aggrediti dai linguaggi dei
nuovi media digitali, riformulano se stessi. Non è più possi-
bile riscrivere l’infanzia degli anni sessanta-settanta, perché è
venuto meno il contesto per cui quella sensibilità di desiderio
riconosceva se stessa e gli altri.
In uno scenario generalmente cambiato, fanno capolino
soggettività incomparabili a quelle delle generazioni prece-
denti, infanzie che possono fare a meno dei fumetti, ovvero
sono capaci di ritrovarne le modalità e i flussi culturali ma
secondo accentuazioni non commensurabili. È la differenza
socio-culturale che distingue, fra loro, le generazioni degli
ultimi trent’anni, dalla fine della civiltà audiovisiva analogica
(basata fino ai primi anni Ottanta sull’integrazione fra cine-
ma e tv) al maturo dispiegarsi dell’era digitale delle comuni-
cazioni (nella quale i linguaggi del computer re-incorporano
tutti i media precedenti).
Prima di questa radicale trasformazione di immaginario
(quello digitale integra e riannoda in direzioni nuove il “vec-
chio” immaginario audiovisivo analogico), le riviste specia-
lizzate cullano il sogno – dicevo: paradossale e manchevole,
eppure risolutivo, utopico e quindi spesso anche cieco, pre-
so da furori negativi così come talvolta generante positività
sbilanciate nel futuro – di una infanzia ricostruita entro una
coscienza trasparente in ogni sua performance. Desiderio
auto-illuso, eppure potentemente creativo. Il fumetto quasi
si annulla nel desiderio di essere altro medium: cinema, tele-
visione, arte. Così come ritiene di poter usare l’ideologia e di
non esserle asservito (presunzione facile e ingannevole che,
in qualche caso, si ritorce contro). Ma d’altro canto impone
il segno di autori dall’impareggiabile slancio: il gruppo di
Cannibale e Frigidaire soprattutto (Stefano Tamburini, An-
drea Pazienza, Giorgio Carpinteri, Filippo Scozzari, Tanino
132 NUVOLE MUTANTI

Liberatore), i Valvolines (ancora Carpinteri, Lorenzo Mat-


totti, Igort, fra gli altri), gli autori di Alter alter (alcuni grandi
come Attilio Micheluzzi e Sergio Toppi), gli italiani di Orient
Express, di La dolce vita, di Comic Art e Corto Maltese, con-
tribuiscono a un ricambio di idee e di quadri espressivi del
quale oggi si avvalgono editori stranieri o i settori produttivi
dediti al graphic novel.
Il non-formato comunicativo delle riviste, pur importan-
tissimo nell’evoluzione del nostro fumetto, non va sminuito
nell’aver sprovincializzata la cultura professionale dei fumet-
ti in Italia; eppure parallelamente deve essere oggetto di una
smitizzazione, di una valorizzazione accorta che, mentre ne
colga il contributo espressivo ed estetico, altresì sappia rico-
noscerne il pregiudizio sotteso. A quel non-formato, infatti,
appartiene un atteggiamento di esclusivismo e di snobismo
che non a caso, da quasi una ventina d’anni, è fra le ragioni
non secondarie che fanno svanire nel nulla il panorama delle
riviste. Di queste resta il deposito artistico e creativo di una
fase ormai storica, non ripetibile, che infatti si rimodula: o
con percorsi ancora più accentuatamente selettivi ed estetici
delle sue origini (di fatto, lasciando sgombro il campo del
fumetto per fare altro: pubblicità, arte ecc.), o si fa ingloba-
re nell’editoria seriale intelligente, permeabile alle richieste
attuali di una cultura di comunicazione assai differente da
quella di ieri. Il pubblico dei lettori dei fumetti oggi è su
strade mediali incomparabili con quelle che connotavano le
riviste.

6. L’assenza di un formato tipico dell’era presente (la pri-


ma decade e quasi intera la seconda del duemila), che cioè
la sappia interpretare in modo inequivocabile, è la spia da-
vanti alla quale l’editoria italiana deve saper intraprendere
progetti collocati su una soglia alta di innovazione. Il fumetto
italiano corre il rischio di una china di graduale dissoluzione
o di brutale rinsecchimento, ma anche può intraprendere
una piena rigenerazione del sistema editoriale, se riesce a
fare i conti con il quadro ipermediale e multimediale della
Uno sguardo disincantato, ma non spento 133

comunicazione audiovisiva digitale. Ma dovrà, per questo,


sfruttare integralmente la dimensione di rapporto profondo
e non occasionale con una infanzia orientata, alle basi, da
nuove modalità del sentire e del conoscere. E ciò nel quadro
glocal che vede le immagini della tradizione italiana conta-
minarsi geneticamente con quelle dei mille altrove che oggi
assemblano lo scenario praticabile, fra i quali specialmente
quelli delle culture orientali.
E con questo si torna alle questioni poste da Abruzzese (in
Abruzzese 2008): e cioè comprendere dove si può rifare gli
occhi una infanzia i cui sguardi sono palesemente incorporati
in tecnologie in grado di assumere tutte le valenze mediatiche
precedenti e tutte quelle che compongono l’orizzonte – non
più limitato geograficamente – dell’immaginario contempo-
raneo. L’epoca digitale mette in discussione la questione del
formato editoriale, lo rende quasi strumento inutilizzabile, o
impertinente, in quanto esso è originariamente svincolato da
necessità editoriali stringenti sul piano del rapporto comuni-
cativo col pubblico. Il formato editoriale è nel suo punto di
massima crisi, così come la nozione di pubblico si moltiplica
e si articola, molecolarmente, in quella di utente mediale. Ciò
non significa che il formato svanirà del tutto; solo che dovrà
costituirsi e insieme dissolversi nel tempo istantaneo che l’e-
ra digitale dei nuovi media richiede, per un buon finish del
rapporto di senso fra pratiche di comunicazione e pubblici.
È un po’ come il meccanismo di immergere lo sguardo infan-
tile sull’immagine e poi, subito, di distanziarsene repentina-
mente – che Abruzzese richiama come sua cifra personale di
rapporto coi fumetti.
Le esigenze e le modalità originarie sottolineate da Abruz-
zese possono essere considerate anche da un altro lato, dal
versante della metaforicità dell’immagine e di come i fumetti
nell’epoca odierna hanno opportunità di valorizzare i transiti
del senso che un tempo essi praticavano in modo indiretto,
mentre ora questi transiti si verificano in un’applicazione di-
retta delle aperture e delle vastità emozionali scaturenti dalle
immagini disegnate e impaginate in sequenza. L’era digitale,
134 NUVOLE MUTANTI

infatti, incrementa le modalità per cui fumetti, film, o altre


comunicazioni audiovisive, risultano incomprensibili – più
che nel passato – senza una necessaria prospettiva d’inter-
pretazione sulla metafora dell’immagine. I fumetti risultano
cruciali, più e forse che nel passato, per le forme di incremen-
to del senso stesso dell’immagine, da essi messo in gioco in
tutti i formati che qui sono stati considerati. Nell’era digitale,
la coesistenza di diversi formati per un solo oggetto di comu-
nicazione si sta rivelando pratica generatrice di nuove possi-
bilità d’incremento del senso dell’immagine. La metaforicità
dell’immagine si sviluppa indipendentemente dal formato
in cui è proposta, per certe qualità proprie, che la rendono
indispensabile in modi affatto diversi da ieri.

7. Il tema della metafora si ripresenta ogni volta che si ha a


che fare con l’immagine, ma purtroppo le teorie dei linguaggi
verbali e non verbali – quelle semiotiche, quelle sociologiche
e psicologiche – sono ancora oggi quasi interdette davanti
alle potenze dell’immagine; queste discipline avvertono che
l’immagine è un territorio creativo, semiotico, indispensabi-
le, ma sono al minimo prudenti e al massimo evasive su come
elaborare principi e teorie in grado di descriverne la densità,
la ricchezza semantica, la carica di significazione. Oggi anco-
ra, tentare di indicare le capacità metaforiche dell’immagine
non è compito semplice, e nemmeno incolpevole.
Alcuni studi sul funzionamento semiotico dei fumetti
(quelli di Daniele Barbieri specialmente) forniscono ottime
chiavi per inquadrare il tema, altri lo comprendono entro
quelle strategie per le quali il fumetto s’inscrive in una sto-
ria pluridimensionale e dagli esiti compositi, fra storia delle
tecniche della rappresentazione grafica ed evoluzione delle
forme di narrazione del tempo e delle soggettività storiche
(uno studioso come Antonio Faeti delinea una prospettiva
attentissima a tutto questo, nei suoi vari studi sui fumetti e,
specialmente, in un libro da studiare integralmente, La frec-
cia di Ulceda – Faeti 2008); altri ancora lo riconoscono nella
complessa impaginazione dei segni del fumetto, in un equi-
Uno sguardo disincantato, ma non spento 135

librio che tende a essere dinamico secondo un principio di


auto similitudine (secondo Ivan Pintor, un giovane studioso
catalano in una copiosa tesi di dottorato sulla tensione fra
continuità e discontinuità nei fumetti – ora in Pintor 2017).
In merito a quest’ultima maniera di inquadrare e cogliere la
metaforicità dell’immagine nei fumetti, forse è così, o for-
se la pagina può altrettanto tendere verso alcune strategie
di disequilibrio interno – come per un principio implicito di
squadernatura della impaginazione.
Ma, quale che sia la struttura attorno a cui è regolata
l’impaginazione delle vignette, i fumetti fondamentalmente
assecondano una loro vocazione metaforica. Le immagini da
un lato sono sbilanciate da una tensione secondaria (che si
aggiunge a quella, primaria, fra discontinuità e continuità):
quella che si agita fra la pretesa dell’immagine di farsi rico-
noscere in se stessa e l’evidente andare verso altro. Verso altre
immagini, verso le variazioni del quadro che si trasforma o si
dissolve o si mobilita nelle maglie di rete che trascorrono fra
le immagini, o ancora fra la trasparenza e l’opacità del visivo,
nei raddoppiamenti e duplicazioni dei limiti fra superficie e
volume. Nei fumetti, queste reti interdimensionali del visivo
(altresì, reti intermediali, in quanto, per loro tramite, i fu-
metti si specchiano negli altri media) allestiscono il quadro
tendenzialmente completo, ma anche cangiante a ogni piè
sospinto, dell’“immaginario”. L’indagine sulla significazione
metaforica dell’immagine nei fumetti fa fronte a sostanze
tanto antichissime quanto modernissime e contemporanee;
si va dall’altra maniera di pensare da parte delle immagini
alle saghe sovranazionali e para-universali del mito a un va-
sto atlante dell’immaginazione e agli attraversamenti interni e
ricorsivi dell’immagine, che si riflette e riflette ogni ulteriore
“macchina per sognare” (cinema, televisione, vecchie forme
comunicative…).
Nei fumetti, il narrativo e il simbolico si rivelano non ele-
menti costanti e uguali a se stessi, ma procedure frastagliate
del senso, complesse e difficili da raggiungere quanto esaltan-
ti nei risultati e negli orizzonti in grado di collegare profon-
136 NUVOLE MUTANTI

damente la vita del passato con gli scenari del futuro. Se il


fumetto è una delle macchine di sogno della post-modernità
digitale, non è quindi spazio incomprensibile o labirintico
ma campo di produzioni artistiche ricettive della realtà emo-
zionale dei soggetti e, insieme, svincolate dall’ossessione di
una verosimiglianza meramente realistico-referenziale. Il
procedimento che contraddistingue i fumetti – e quelli ita-
liani volentieri, da quelli delle origini agli ultimi capolavori
– è un pendolo fra identificazione e sguardo a distanza, un
immergersi e un risalire, fra dentro e fuori. La metaforicità è
l’insieme delle piste con le quali lo sguardo – disincantato, sì,
ma non spento – traccia percorsi, individua i segni, talvolta
anche non visibili e non cumulabili nell’immagine apparente,
capaci di agganciarla al sentire e al vivere il presente. Terri-
torio di grande libertà e, di converso, di radicale abilità nel
cercare e trovare sensi con cui l’immaginazione liberi figure
e chiavi decisive dell’esperienza presente. Grazie a queste
ultime, i fumetti e le forme di comunicazione si cercano gli
uni con le altre, rivelandosi in una ibridazione sperimentale,
animosamente creativa.
Dall’America all’Italia, e ritorno
L’influenza della cultura americana sul fumetto
italiano

Un’influenza stratificata e dalle mille riverberazioni

Che cosa significa dire che la cultura americana ha avuto


grande influenza sul fumetto italiano? Per rispondere atten-
tamente, bisogna uscir fuori dalle affermazioni generiche ed
essere quanto mai precisi: sul fumetto italiano sono tantissi-
me le influenze della cultura americana, ma queste in massi-
ma parte vanno ricondotte a tre ambiti creativi ed espressivi
fondamentali. Anzitutto, il fumetto americano; poi il cinema
statunitense; e, per terza, ma non ultima in ordine di impor-
tanza, la letteratura americana.
C’è poi un aspetto che non va sottovalutato: l’influenza
americana sul fumetto italiano si intreccia con quella che le
forme e gli orizzonti espressivi-culturali americani provoca-
no su tutta la cultura italiana del Novecento. C’è quindi un
orizzonte ampio da considerare, che concerne il rapporto fra
cultura italiana e cultura americana, dentro il quale deve es-
sere ritagliato quello più specifico che attiene al solo fumetto.
L’influenza della cultura americana sul fumetto italiano
diviene più riconoscibile a partire dagli anni Trenta del XX
secolo, ma già a inizio Novecento essa concorre a formare un
pubblico di lettori e spettatori italiani che prendono l’imma-
gine dell’America, e le sue espressioni, a modello di vita.
Non è solo la reazione al fascismo che crea una genera-
zione di filo-americani in Italia (come dice Eco 1980, su cui
138 NUVOLE MUTANTI

infra), perché, già dal periodo degli anni dieci e dai primi
anni venti, cinema e letteratura americana divengono poli
attrattivi per i comics italiani. Basti vedere come le tavole do-
menicali dei comics americani dei primi anni del Novecento
– e poi, dal secondo decennio del XX secolo, anche le stri-
sce giornaliere – vengono adattati sul Corriere dei Piccoli. Si
tratta di una vera e profonda trasformazione dei balloons dei
fumetti americani che divengono le rime baciate del Corriere
(dal dialogo nelle nuvolette si passa alla poesia rimata in bas-
so ai disegni delle vignette, tentando di orientare e guidare
il processo memonico del consumo dei fumetti, fondandolo
sul nesso figura-immagine-scrittura poetica).
I fumetti italiani delle origini hanno diverse reminiscenze
e molti debiti nei confronti del cinema americano muto; ba-
sti pensare al rapporto che le trame sentimentali delle nostre
prime tavole e strisce contraggono con i drama e i melò di
primo Novecento, dai film di D.W. Griffith (da Giglio in-
franto a Agonia sui ghiacci a Le due orfanelle) a quelli di King
Vidor (la Folla e poi Alleluja!) e, naturalmente con la sta-
gione dei grandi comici del muto: da Mack Sennett a Buster
Keaton a Charlie Chaplin, Harold Lloyd, senza dimenticare
Rodolfo Valentino, e il grande divismo di una fase del cinema
oggi lontana, ma allora davvero importante e con figure di
spicco, quali Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Lon Cha-
ney, lo stesso Chaplin, ecc.
Lo sguardo d’analisi sull’influenza resa dalla cultura ame-
ricana sul fumetto italiano deve, quindi, porsi in un ango-
lo che restituisca in maniera tendenzialmente complessiva
le risonanze che gli altri media esercitano da vari fronti. E
da tale prospettiva, possiamo dire che quell’influenza non è
mai primariamente economica (non c’è una subalternità di
interessi), né ideologica (lo dimostra ampiamente la fase del
periodo fascista, che pur volendo differenziare la cultura
italiana da quella americana, tuttavia ne subisce il fascino e
anzi la assume a modello da imitare) e nemmeno geo-politica
(come sembrerebbe essere, a partire dai tardi anni quaranta,
dopo il secondo conflitto, quando gli americani sono presen-
Dall’America all’Italia, e ritorno 139

ti in Italia, condizionando la sua collocazione occidentale).


L’influenza è invece necessariamente mediologica e culturale:
è nella diffusione delle forme dei diversi media e quindi della
cultura spettacolare, letteraria (non solo quella d’élite, ma le
forme della letteratura di genere: il poliziesco, l’avventuro-
so, il western ecc.,) e ancora di più nelle forme della cultura
audio-visiva (cinema, fumetto, radiofonia, musica ecc.) che
s’instaura un rapporto vivificante di profonda suggestione.
Esso modella l’immaginario culturale italiano con diversi
esiti e con vaste ripercussioni che, dal periodo delle origini
dei media tecnologici, divengono sempre più forti man mano
che si procede attraverso i decenni del XX secolo.
Fra tali strati dell’influenza esercitata dalla cultura ame-
ricana sullo sviluppo di tutti i media italiani, bisogna anno-
verare anche quella relativa a come in Italia si guarda alla
qualità dei modelli organizzativi e gestionali che sostengono
la forza e la grande vivacità del cinema e del fumetto sta-
tunitense. Non v’è dubbio che tali modelli costituiscono un
forte esempio di come le risorse innovative delle tecnologie
espressive e le risorse creative dovute al personale ideativo
(autori e professionisti dell’industria culturale statunitense)
riescano a essere fortemente concorrenziali e in grado di
orientare il mercato dei consumi di massa. L’industria cultu-
rale americana possiede una stretta sinergia fra i vari settori
mediali, che risultano fortemente integrati fra loro, esiste una
ricca permeabilità fra le piattaforme espressive e si nota una
spiccata circolazione di talenti (dallo show business teatrale
agli apparati del cinema, dal sistema editoriale a quello dei
comics, della radio, e successivamente della tv). Questa qua-
lità dei sistemi mediali americani diviene un traguardo da
raggiungere per gli analoghi e corrispondenti sistemi italiani:
non c’è dubbio, per esempio, che il cinema e il fumetto italia-
ni degli anni Trenta e degli anni quaranta prendono a chiaro
esempio i corrispondenti settori americani e da essi ricavano
orientamenti precisi, che definiscono molte delle politiche
editoriali e delle scelte di fondo che concernono l’identità
mediale dei sistemi produttivi nostrani.
140 NUVOLE MUTANTI

Dal 1908 al 1934

Relativamente ai primi decenni del Novecento, è cruciale


guardare attentamente quel che avviene sulle pagine del Cor-
riere dei Piccoli. Come si determina l’adattamento dei comics
targati usa, e dove può essere riconosciuta l’influenza ameri-
cana? Anzitutto nell’avvio del prodotto editoriale. Il Corriere
dei Piccoli è il primo giornale a fumetti pubblicato in Italia,
soltanto che esso non è originato da una catena di giornali o
da un apposito sistema editoriale. È da un singolo giornale
quotidiano, Il corriere della sera, che si fa derivare (oggi si
direbbe che si avvia uno spin off) un settimanale dedicato
a bambini e ragazzi, e al suo interno si dà uno spazio molto
significativo alle pagine che traducono ed editano, in lingua
italiana, i fumetti americani. Quali?
Vengono pubblicati i maggiori masterpieces dei comics
delle origini (da Yellow Kid a Buster Brown, Jiggs and Maggie,
The Katzenjammer Kids, Little Nemo in Slumberland, Happy
Hooligan, ecc.), sui quali, però, il settimanale italiano sosti-
tuisce i balloons, presenti in ogni singola vignetta dei comics
americani, e li fa corrispondere (con estrema libertà nella tra-
duzione dall’originale) a didascalie in rima baciata apposte a
fondo vignetta e, talora, a fondo pagina. Nella traduzione, i
characters americani acquistano nuovi nomi, alcuni di grande
fortuna (come Felix the Cat, chiamato in Italia Mio Miao,
oppure Jiggs e Maggie, rinominati Arcibaldo e Petronilla),
altri acquistano un sapore addirittura epocale e generaziona-
le (i Kaztenjammer Kids divengono i proverbiali Bibì e Bibò
– Fig. 28), e qualcuno addirittura si ammanta legittimamente
di un tono malinconico e avanguardistico-artistico (Happy
Hooligan diviene il notissimo Fortunello, personaggio impe-
rituro al quale spesso si richiama la memoria di un autore
italiano come Federico Fellini).
Le immagini dei comics americani, dopo una tale opera-
zione, acquistano una dimensione di suono interdetto, come
fossero equivalenti delle immagini di un film senza sonoro
(più che muto, sordo, direbbe Chion 1982), mentre la lettura
Dall’America all’Italia, e ritorno 141

Fig. 28 Rudolph Dirks, Bibì e Bibò e Capitan Cocoricò


142 NUVOLE MUTANTI

si sdoppia fra figure e testi in rima baciata; lo sguardo dei


lettori deve quindi sistematizzare una modalità che è sempre
attiva nel vedere-leggere i fumetti: la duplicità del vedere, fra
stasi e movimento, fra continuità e discontinuità, fra pose e
trascinamento delle azioni oltre la singola vignetta.
Si può inoltre affermare, senza molta paura di sbagliare,
che il Corriere dei Piccoli costituisce una sorta di palestra cul-
turale internazionale, sulla quale i bambini e ragazzi italiani
fanno i conti con un immaginario sovranazionale, dentro il
quale l’apporto americano è decisivo, e col quale si instau-
rano solidarietà non pedisseque e non occasionali, tali da far
respirare l’alito di contributi che provengono da oltre oceano
e con i quali la stessa creatività italiana dialoga, raggiungendo
risultati importanti.
È il caso, per esempio, di alcuni grandi autori del nostro
fumetto di primo Novecento, come Antonio Rubino e Sto.
Il primo, Rubino, adotta un segno visivo chiaramente ricon-
ducibile alle avanguardie artistiche di primo Novecento (il
liberty, lo stile floreale, ma anche la pittura simbolica e l’asso-
lutizzazione delle forme geometriche di una certa figurazio-
ne astratta (tutto questo è evidente nelle vignette del perso-
naggio di Quadratino); il secondo, Sto (ovverossia il grande
Sergio Tofano, che non fu solo disegnatore ma altresì autore
e attore di teatro e di cinema), ideatore del Sig. Bonaventu-
ra, sintetizza invece il grande repertorio dell’illustrazione
ottocentesca e lo proietta in una dimensione novecentesca:
quella delle città metropolitane, del contrasto fra città e cam-
pagna, della nuova organizzazione burocratica e fiscalizzata
della vita (taylorismo, mancata integrazione fra culture ed
etnie ecc.). Con spirito gentile, le azioni del sig. Bonaventura
contraddicono questo mondo e disegnano uno sguardo in-
sieme estraneo ma empatico, sorridente e irriverente, eppure
comprensivo, non ostile.
Dall’America all’Italia, e ritorno 143

Dagli Anni Trenta al 1945

Gli anni trenta e i primi anni quaranta del XX secolo sono


il periodo in cui il rapporto fra autori e lettori del cinema e
dei fumetti italiani, e autori e lettori italiani dei fumetti e dei
film americani, pende a favore di questi ultimi. La produzio-
ne italiana di fumetti si espande in tutte le sue opportunità
editoriali e nella fisionomia dei suoi caratteri espressivi grazie
al primato che i fumetti statunitensi conquistano nel formato
delle riviste che li ripropongono in versione italiana. L’Av-
venturoso, l’Audace, Topolino, fra altri, sono i principali titoli
delle riviste periodiche (settimanali, quindicinali, mensili…)
che sfruttano la grande ondata dei fumetti d’avventura pro-
venienti dagli usa e appartenenti a vari generi narrativi (dal
poliziesco al viaggio esotico in terre lontane, dal fantasy alla
fantascienza, dal racconto metropolitano al fumetto di am-
bientazione storica ecc.). Il successo dei fumetti d’avventura
è tanto spinto che, a questo punto, l’idea stessa di fumetto
(ossia lo spazio editoriale) cambia decisamente, e conquista
l’immaginario di una intera generazione definendola per vari
decenni.
I fumetti americani (classici come Buck Rogers, Flash Gor-
don, Dick Tracy, Mandrake, Phantom, Tim Tyler’s Luck, Red
Barry, Brick Bradford, Mickey Mouse e tanti altri) nel corso
degli anni trenta mostrano alcune caratteristiche proprie del-
la cultura di massa nazionale (sulla penetrazione nel nostro
paese di Mickey Mouse, nelle strisce e tavole dovute, in gran
parte, a Floyd Gottfredson, fra anteguerra e dopoguerra, cfr.
Faeti 1986).
Anzitutto edificano una specifica “mitologia” che sarà
resistente fino a tutti gli anni settanta. È l’epoca della se-
conda generazione dei consumatori italiani (e dei lettori di
fumetti) che assumono l’intera spaziatura dei generi narra-
tivi (il western, il poliziesco, l’avventuroso, il fantastico, il
magico-horrorifico, l’iniziale fantascienza…) come cifra di
definizione del loro immaginario adolescenziale-giovane,
tanto affascinante e pervasivo da permanere nella memoria
144 NUVOLE MUTANTI

collettiva per oltre tre decenni (è la testimonianza resa da


alcuni autori chiave della cultura, non solo letteraria, italiana:
da Italo Calvino a Umberto Eco, da Federico Fellini a Ore-
ste del Buono, da Gianni Rodari a Attilio Veraldi, da Pietro
Germi a Sergio Leone). L’avventura e il fantastico segnano
l’identità più profonda di varie generazioni, che riconosco-
no, nei tratti della cultura visiva e audiovisiva americana, gli
elementi di una identità cosmopolitica, che travalica nazioni
e lingue differenti.
Umberto Eco 1980, in uno scritto appunto dedicato al
mito americano di tre generazioni antiamericane, sottolinea
diverse cose importanti circa la costruzione di tale mitolo-
gia, ma non nota vari altri connotati. Certamente, durante
gli anni di vigenza del regime fascista, il rapporto fra cultura
italiana e cultura americana da un lato è figurazione di un
mondo diverso da quello prosaico, arretrato, scarsamente
metropolitano, di casa nostra; è il sogno di una modernità
affrancata, che in America si pensa e si vede realizzata, con
tutte le sue contraddizioni. Dall’altro, è proprio emulazione
di un sistema espressivo che gode di tutte le risorse disponi-
bili, di coraggio esplorativo nelle contraddizioni dell’epoca
moderna, di libertà nell’esprimere i rapporti fra i sessi senza
limiti religiosi o familiari, di grandi spazi da attraversare e di
un desiderio di oltre tipico delle mete avventurose… Il letto-
re-spettatore italiano ambisce una esperienza d’immaginario
internazionale, è proteso e affascinato dalla potenza erme-
neutica dello spettacolo audiovisivo del cinema e dei fumetti
statunitensi e dall’universalismo ch’esso sottende. Quel let-
tore-spettatore vive quindi, contrastivamente, l’ambivalenza
della sua condizione: proiettato fuori dagli steccati nazionali
e tuttavia confinato nei limiti e nelle cornici imposte dalla po-
litica del regime fascista. Si tratta di una compressione che,
non per caso, appena terminata la seconda guerra, sfocia in
un ipervitalismo della cultura nazionale in quei settori della
cultura di massa (cinema, fumetti, fotoromanzo, editoria)
che avevano sofferto di arbitrarie, e non volute, restrizioni
nel decennio precedente e che, nell’immediato secondo do-
Dall’America all’Italia, e ritorno 145

poguerra, possono realizzare il proprio “sogno americano”


senza alcun limite imposto dall’esterno. Durante i decenni
dai Cinquanta ai Settanta, l’immaginario audiovisivo filo-
americano (non in senso ideologico, ma in quello narrativo-
affabulatorio) si produce con grande ampiezza di campo e
con spostamenti che esprimono una maniera tutta italiana
di vivere tale immaginario (basti pensare a un fumetto we-
stern come Tex Willer e ad altri come Blek Macigno e Capitan
Miki, Pecos Bill e Kinowa, o a un genere filmico come lo spa-
ghetti western; ma anche, si può rinviare al successo di generi
come l’horror, la fantascienza e il poliziesco che, nel cinema
e nei fumetti italiani, raccolgono gli elementi della cultura
americana d’origine e li adattano agli scenari nazionali). Con
i western all’italiana una componente principale della mito-
logia nordamericana (la tesi della frontiera, la fondazione di
una civiltà e lo scontro con i nativi americani da parte della
colonizzazione bianca) viene rimasticata e contaminata con
una serie di nuovi elementi (per esempio, certi toni dark, o lo
sfondo storico delle rivoluzioni e dei conflitti fra classi e ceti,
fra usa e Mexico ecc.) che fanno il tragitto inverso: dall’Italia
giungono in America, cambiando di segno la forma stessa del
western statunitense. Che, ben presto, dai tardi anni sessanta
assimila l’apporto italiano rendendolo fonte d’innovazione
irreversibile di questo genere filmico (in autori come Sam
Peckinpah, Clint Eastwood).
L’influenza americana sul fumetto italiano negli anni tren-
ta-quaranta si stabilizza dunque come fattore di lunga dura-
ta, presentando diverse ramificazioni. Alcuni characters dei
fumetti fantastici-avventurosi come Mandrake e Phantom,
assieme a Flash Gordon e Tim Tyler’s Luck (in Italia cono-
sciuti come Cino e Franco, dove la loro più famosa avventura
degli anni trenta, La misteriosa fiamma della regina Loana, è
richiamata, a distanza di oltre cinquant’anni, nell’omonimo
titolo di un romanzo di Umberto Eco del 2004 – quasi un
epitaffio del mito americano come cultura che si sedimen-
ta nella memoria di una generazione di italiani senza alcun
decadimento della sua forza e del suo valore ermeneutico...)
146 NUVOLE MUTANTI

danno luogo al fantastico dell’immagine, all’avventura senza


paragoni metropolitani. L’immagine di tali fumetti combina
assieme il primitivo e la modernità (come nel film King Kong
di Merian Cooper e Ernest Schoedsack, del 1933), lo stu-
pore della giovinezza si confronta con il filo del reale e del
possibile a confronto con l’impossibile.... Ecco un fascino
che, in seguito, si riverbera e ritorna in opere italiane, come
a una sorta di battistrada da percorrere, per ritrovarsi nel
gioco meraviglioso dell’immaginazione (Fellini, per esempio,
riprende il suo incantamento adolescenziale per Mandrake
più volte in diversi film, da 8e ½ a Intervista, o nel tentativo,
tuttavia mancato, di girare un film appunto dedicato al mago
col cilindro; alcuni fumetti d’autore dell’immediato secondo
dopoguerra rilanciano – sulla rivista L’Asso di Picche – l’im-
maginario degli eroi mascherati nelle tavole di “giovani” ar-
tisti come Hugo Pratt e Dino Battaglia).
Questi due grandi autori del fumetto italiano del dopo-
guerra immediatamente riportano al segno visivo forse più
capillarmente decisivo per una influenza statunitense che
è, appunto, professionale e narrativa, non solo per loro, ma
per diverse figure che restano fondamentali nella storia del
nostro fumetto. Il modello grafico-narrativo di Terry and
pirates di Milton Caniff (e poi, dal 1946, di Steve Canyon
del medesimo maestro americano) o il modello concorren-
te ispirato ad Alex Raymond (non solo Flash Gordon, ma
anche Rip Kirby) sedimentano nel nostro paese una sorta di
marchio di fabbrica che è, prima di tutto, quello di innescare
una fascinazione originaria, che ha definito un’epoca; questa
sorta di “scuola” che s’ispira al segno di Caniff o a quello di
Raymond, al fumetto avventuroso e a una precisa matrice
figurativa, coltiva seguaci oltre l’immediato secondo dopo-
guerra, giungendo fino – almeno – agli anni Ottanta del XX
secolo (infra).
Ma gli anni Trenta del fumetto italiano sono interessanti
pure per come i modelli americani restano nel sottofondo
mitico-culturale che fa da base a varie opere che esprimono
quella caratura cosmopolitica tipica della produzione statu-
Dall’America all’Italia, e ritorno 147

nitense; alcuni fondamentali autori italiani di quel periodo


cercano un equilibrio fra la suggestione di stare al passo
con l’immaginario proveniente dall’America e la capacità
di esprimere lo sguardo proprio di un’Italia moderna, no-
nostante il fascismo (sul complessivo “scontro culturale tra
fascismo e fumetti”, cfr. Gadducci, Gori, Lama 2011).
È l’intelligenza messa in campo da autori come Federico
Pedrocchi e Cesare Zavattini, per esempio, due sceneggiatori
che segnano il fumetto italiano dell’epoca e gli conferisco-
no un’impronta assolutamente inedita. Di Pedrocchi basti
menzionare il ruolo capitale svolto per gli esordi dei fumetti
disneyani direttamente realizzati in Italia (un capitolo che
riguarda oltre un cinquantennio di produzioni che restano
un caposaldo della cultura di massa nazionale). Per quanto
riguarda Zavattini, il suo estro di sceneggiatore di fumetti, in
Saturno contro la Terra o in Zorro della Metropoli, esprime,
nella cifra del fantastico visivo, tensioni immaginative che in-
crinano la rappresentazione di un ordine della civilizzazione,
colto in vari punti di crisi: in Saturno, si tratta del conflitto
politico-militare fra regimi avversi collocati sulla scala di una
guerra fra pianeti (Fig. 29); in Zorro della Metropoli (il sog-
getto iniziale di Zavattini è sviluppato in sceneggiatura da
Guido Martina) vengono invece raffigurate le disuguaglianze
sociali di una metropoli novecentesca, in cui il comportamen-
to degli individui è soggetto ad abusi del controllo poliziesco
e a usi strumentali delle norme giuridiche (Fig. 30).
Rino Albertarelli è un terzo autore che si impone nella
sua esemplarità, riuscendo a collegarsi alla tradizione dei
figurinai (dei quali ricombina il sapere tecnico nella tipica
contaminazione dei generi della cultura di massa – sui figu-
rinai, cfr. Faeti 1972) ma in ambienti narrativi che riadattano
in maniera efficace i modelli figurativi d’oltreoceano (ecco
dunque saldare le singolari differenze e le continuità che
collegano opere come Faust a Kit Carson e a Gino e Gianni
– versione italica di un’epica avventurosa alla Cino e Franco).
Infine, proprio in competizione coi modelli statunitensi,
buona parte del fumetto d’avventura degli anni trenta e qua-
148 NUVOLE MUTANTI

Fig. 29 Zavattini, Pedrocchi, Scolari, Saturno contro la Terra

ranta (con le matite di autori del calibro dello stesso Rino


Albertarelli, di Guido Moroni Celsi, Franco Chiletto, Walter
Molino, Edgardo dell’Acqua, Bernardo Leporini ecc.) recu-
pera la narrativa di Emilio Salgari (si pensi soltanto a storie
come Sulle frontiere del Far West e La scotennatrice, romanzi
di Salgari tradotti in tavole vignettate da Walter Molino) e la
riadatta al segno di un fumetto competitivo nei suoi versanti
immaginari rispetto ai generi americani: il West, l’India ot-
Dall’America all’Italia, e ritorno 149

Fig. 30 Zavattini e Molino, Zorro della metropoli

tocentesca, l’avventura storica, ecc. Ma, paradossalmente, il


fumetto salgariano, mentre per un verso intende battere un
colpo a favore della creatività autoctona italiana (e alla sua
grande tradizione di “figurinai”), dall’altro conferma il pri-
mato immaginario americano adeguando ai suoi tipici segni
il multiforme universo narrativo dello scrittore veronese.
150 NUVOLE MUTANTI

Il secondo dopoguerra

Il secondo dopoguerra si presenta nel fumetto italiano


sotto l’egida di un fascino non scalfibile verso i personaggi e
gli ambienti narrativi provenienti dall’America. Vi sono case
editrici come la Mondadori che fondano un successo che si
protrae senza incrinature per almeno un quarantennio, attra-
verso operazioni che riguardano, da un lato, l’universo dei
personaggi disneyani, e dall’altro i supereroi.
Topolino e Paperino sono i characters principali sui quali
la casa editrice di Segrate sedimenta un successo presso i let-
tori bambini e adolescenti, radicando il consumo dei comics
in famiglia; lo fa in modo tanto pervasivo da non limitarsi
alla traduzione dei comics provenienti dall’America, ma pro-
ducendo direttamente e istituendo una “fabbrica” disneyana
autogena, di stampo italiano, in grado non solo di conquista-
re il mercato nazionale ma di sapersi affermare in Europa e
nel mondo. Gestito (sotto il pluridecennale coordinamento
di Mario Gentilini) e prodotto da valentissimi sceneggiatori
e disegnatori (da Guido Martina a Romano Scarpa, Giovan
Battista Carpi, Pier Lorenzo De Vita, Carlo Chendi, Lucia-
no Bottaro, Giulio Chierchini et alii), il repertorio di questi
fumetti ripropone in maniera davvero sagace e divertente un
intero magazzino di racconti derivati dalla letteratura classica
e moderna, e poi dal cinema e dalla televisione, sotto il segno
della parodia. Non soltanto i classici americani dell’Ottocen-
to ma anche i film hollywoodiani del Novecento vengono ri-
calcati con la sapiente abilità di rovesciamenti – nella chiave
propria all’universo dei paperi e dei topi – che spiazzano,
illustrano e ribaltano storie antiche e moderne, con risultati
di spiccato e pedagogico umorismo.
Assieme ai fumetti disneyani, Mondadori è anche il primo
editore in Italia (lo sarà fino agli ai tardi anni sessanta, quando
entrano in gioco case editrici concorrenti, come la Cenisio e
la Corno) a pubblicare i fumetti dei supereroi, in particolare
quelli della D. C. Comics, ossia Superman (ribattezzato ini-
zialmente Nembo Kid), Batman, Flash, Hawkman ecc.
Dall’America all’Italia, e ritorno 151

A differenza dei fumetti disneyani (che sviluppano infini-


te trame, anche fantastiche, ma prevalentemente basate sul
genere della sit-com a vignette, dentro cui l’universo della
metropoli moderna è rappresentato nella dimensione ristret-
ta all’ambito familiare), quelli dei supereroi della D.C. intro-
ducono il lettore italiano nel quadro di una metropoli occi-
dentale moderna costantemente insediata dall’innovazione
tecnologica e da infiltrazioni tipiche della fantascienza. È un
insegnamento fondamentale che rende attuale – pur nei suoi
paradossi e nei suoi importanti rovesciamenti, quasi sempre
fondati sulla commedia della doppia identità fra Clark Kent e
Superman o fra Bruce Wayne e Batman, Barry Allen e Flash
ecc. – la percezione da parte dei lettori che l’immaginario
contemporaneo è pronto a trasformarsi nelle chiavi di un fan-
tastico tecnologico che si rivela irrimediabilmente collegato
al dopoguerra, alla società dei consumi, alla comunicazione
filmico-televisiva e all’innovazione scientifica permanente.
Questa segnatura conquista il mercato italiano dei fumetti
in maniera quasi-monopolistica fino ai primi anni settanta,
quando l’Editoriale Corno pubblica gli albi dei supereroi
della Marvel Comics. Spiderman (L’Uomo Ragno), I Fan-
tastico Quattro, Devil, Capitan America, ecc., introducono
fortissime novità nella configurazione dello schema della
doppia identità (poi, ulteriormente resa complessa con il
successivo arrivo dei Mutanti nelle serie degli X-Men) ma, in
particolare, incidono in modo retroverso sul medesimo im-
maginario dei supereroi D.C. I quali sono costretti (non solo
dal vasto successo dei personaggi concorrenti della Marvel,
ma specialmente dalla capacità che questi rivelano di saper
cambiare e aggiornare il proprio universo narrativo) a rifor-
mulare i propri mondi e contesti di storie; essi iniziano così
il lungo cammino che, dalla Silver Age dell’era dei supereroi,
giunge fino all’attuale situazione del primo decennio del XXI
secolo, dove i multiversi narrativi, i passaggi e varchi fra ere,
le mille maschere della n-identità e dei Mutanti, sottoposti a
radicali crisi, ratificano un immaginario in grado di superare
ogni sfida, varcando le soglie del post-umano.
152 NUVOLE MUTANTI

C’è dunque da considerare un’onda lunga dell’immagi-


nario fantascientifico e tecnologico a fumetti, che riguarda
gli albi e i personaggi dei supereroi e dei mutanti. Una lun-
ga onda che trasferisce in Italia una serie di immaginazioni
provenienti dagli Stati Uniti, tramite i fumetti. Essa consiste
sia nella fase ottimistica e adolescenziale (eppure straordina-
riamente riflessiva e adeguata allo spirito del tempo dell’im-
maginario catastrofico del dopoguerra) per cui i supereroi
ricoprono diverse simbologie dell’era contemporanea (fra
Anni Cinquanta e Settanta), sia nella fase ricorsiva, malinco-
nica, spesso cupa e fortemente sintomatica dei disagi vissuti
dalla civiltà occidentale (dagli Anni Ottanta a oggi). I mondi
dei supereroi e dei mutanti entrano in viva relazione con le
questioni relative ai cambiamenti climatici, agli equilibri e
alle divaricazioni fra sviluppo e sostenibilità, innovazioni tec-
nologiche e dimensioni nuove della corporeità. Hanno a che
fare con come questa viene potenziata ma altresì decostruita
dalle tecnologie, in relazione con l’ambiente, lo spazio e il
tempo. L’onda lunga dei fumetti pubblicati in Italia con pro-
tagonisti i supereroi e i mutanti trasforma le immaginazioni
utopiche del passato in figurazioni distopiche del presente e
del futuro, facendo emergere l’urgenza di giudizi di verità sul
senso finale della civiltà umana sul pianeta (e, particolarmen-
te, di quella occidentale). Non è male, un risultato siffatto,
articolato durante vari decenni, se si pensa che è ottenuto in
soggetti narrativi e figurazioni che, fino a qualche decennio
fa, venivano ingiustamente sottovalutate e ridotte a forme
di immaginazione infantile (come se questa non fosse stra-
tegicamente in grado di pre-sentire il tempo, come se non
fosse sede di intelligenze multiple in grado di scrutare il reale
attivando saperi non-verbali, e alfine come se fosse invece da
ridurre a mera fiaba senza senso!..).
Nel dopoguerra – fra anni cinquanta e primi sessanta – il
fumetto italiano può essere diviso, o meglio identificato, per
settori che possono essere nominati, rispettivamente “laico”
o “cattolico”. Il fronte laico dei fumetti italiani si esprime sul-
le tavole del Corriere dei Piccoli e poi sul Corriere dei ragazzi
Dall’America all’Italia, e ritorno 153

(dalla fine dei Sessanta agli anni Ottanta), e in modo parti-


colare su quelle di una rivista che, pur durando poco tempo,
lascia varie segnature di sé: Il Pioniere. Il fronte cattolico si
esprime, invece, sulle pagine del Vittorioso. All’interno di tali
riviste, le influenze del fumetto e della cultura americana si
piegano a un modo generico di adattarsi agli stereotipi dei
generi, ma tutte danno una interpretazione non ideologica
dei riferimenti, e tendono a occupare lo spazio del consu-
mo d’immaginario da parte dei lettori italiani (Fig. 31). Il
Vittorioso in particolare ha il grande merito di affermare un
autore davvero incomparabile e unico, ossia Jacovitti (che ha
parecchio a che fare con i generi e con la cultura statuniten-
se, pur se nella cifra di una parodia esilarante e incontenibile
– basti ricordare Cocco Bill).
Assieme a queste riviste, nel dopoguerra, e con una diffu-
sione sempre crescente, e di grande consumo popolare, viene
editato un formato di fumetti che sfrutta in modo fortemente
Fig. 31
Jacovitti e il Vittorioso
154 NUVOLE MUTANTI

serializzato i generi d’avventura e del fantastico: Intrepido e


Monello. Albi settimanali che mostrano di avere una stretta
parentela editoriale col fotoromanzo, l’Intrepido e il Monello
rappresentano un ponte di passaggio dalla cultura autarchica
dell’anteguerra a quella moderna e disincantata del dopo-
guerra; i riferimenti alle mode e alle forme di vita provenienti
da oltreoceano sono vivamente intensi e, dal punto di vista
editoriale, tali albi si connotano non solo per la spinta seria-
lizzazione dei fumetti pubblicati ma per costanti riferimenti
alla cronaca e all’attualità, dimostrandosi prodotti riferibili,
più che all’immaginario del cinema, a quello della televisione.

Il fumetto western

Il fumetto western italiano, già dagli anni venti e trenta,


sfrutta in Italia la predilezione per questo genere nel cinema,
predilezione che scema e si dirada soltanto alla metà degli
anni settanta, rivelando tale genere come il cinema dei padri
– oggi, possiamo dire dei nonni o quasi! La differenza fra
ieri e oggi è che, ieri, questo genere era un fiume corrente,
un’onda crescente; oggi invece è un torrente che rischia di
rimanere in secca, solo poche gocce tornano a bagnare il de-
siderio di storie collocate nel West.
A parte le inutili malinconie, il western resta un genere
fondativo dello spettacolo di massa e coniuga diverse istanze
culturali: quelle (storiche) di fondazione della civiltà ameri-
cana nel grande spostamento di masse, uomini e tecnologie,
da Est a Ovest; quelle (arcaiche) dello scontro fra natura e
civiltà; quelle (ideologico-politiche) di uno sguardo davvero
critico sulla civiltà occidentale, con il rifiuto o il diniego, da
parte del wasp o dell’uomo solitario, a favore di una natura
rispettata nelle sue silenziose dinamiche (fra boschi, pianure,
fiumi, montagne); quelle relative a una sessualità armonica,
e riconquistata, a fronte delle rimozioni e cesure che la gran-
de Madre dell’Est opera sui suoi figli. Il western è il genere
audiovisivo in cui si esprime l’ammirazione senza fondo per
Dall’America all’Italia, e ritorno 155

i pellerossa e la loro libertà nomade, il loro senso del diritto,


della giustizia e dell’onore; è lo spazio dello spostamento dei
coloni verso un mondo migliore, e della battaglia che occorre
assumere per la fondazione di una civiltà più giusta, contro
il caos e la violenza dei più forti. Il western è il luogo dove
la Leggenda incontra la Storia, ma dove, fra le due, vince la
Leggenda. Dove il Mito moderno si veste di risonanze anti-
che e primitive e dove l’Arcaico si sposa con l’Attuale.
Il fumetto italiano comincia il genere del western, durante
gli anni trenta, sotto l’egida dei racconti salgariani e del Kit
Carson (1937) di Rino Albertarelli e poi di Walter Molino;
dal 1948 in poi (anno in cui nasce Tex di Gian Luigi Bonelli
e Aurelio Galeppini) e dal 1949 (anno in cui nasce Pecos Bill
di Guido Martina e Raffaele Paparella), il nostro fumetto we-
stern inizia a costruire una fisionomia ancora più spiccata e
forte, che risulta, alla lunga, matrice di enormi implicazioni
sull’immaginario italiano, al punto che esso può essere con-
siderato il luogo dove si anticipa e si prepara la rivoluzione
del western filmico operata da Sergio Leone nel 1964 (anno
d’uscita di Per un pugno di dollari, con cui si apre la stagione
degli spaghetti-western).
Questo processo trova la sua base monolitica e trainante
negli albi di Tex. Un eroe a tutto tondo, modellato dapprima
sul volto di Gary Cooper, che pian piano assume i caratteri
di un bianco-mezzosangue (sposa una principessa indiana,
figlia di Nuvola Rossa, riproponendo con questo il mito di
Pocahontas) che gli forniscono una doppia natura e iden-
tità: ranger bianco, al servizio della Legge (concepita senza
formalismi e senza lungaggini, ma sostanziale e ripara-torti)
e, nello stesso tempo, capo dei Navajos, da Tex guidati con
grande sapienza e lungimiranza, evitando guerre intestine e
strumentali. Le storie di questo cruciale personaggio si nutro-
no di mille riferimenti, dal cinema alla letteratura seriale e di
genere, e pian piano si cristallizzano attorno a un gruppo di
numerose matrici narrative (Frezza 2008) che rendono pos-
sibile la variazione pressoché illimitata delle sue storie (che
oggi hanno superato il settantennio). Da Gian Luigi Bonelli
156 NUVOLE MUTANTI

agli sceneggiatori successivi (Claudio Nizzi e, ora, Mauro


Boselli, affiancato da Tito Faraci), la scommessa è vinta rag-
giungendo un successo inscalfibile nonostante il passare dei
decenni (senza dimenticare il magistrale contributo fornito
dai disegnatori, dal primo, Aurelio Galeppini, ai successivi e
tutti valenti: Erio Nicolò, Fernando Fusco, Giovanni Ticci,
Guglielmo Letteri e tantissimi altri).
Tex è l’immagine più chiara di un adattamento della mito-
logia originaria del west a una configurazione tutta italiana,
dove non contano i riferimenti storico-geografici, se non in
apparenza, ma l’universalità delle storie; dove l’occasione
particolare può trasformarsi in racconto politico, in narra-
zione dal tono spedito o rallentato, in apologo sul Bene e sul
Male, così come può essere Gioco Senza Fine. Per questo,
per come il western diviene spazio di variazioni senza ter-
mine fra mito e storia, favola e racconto morale, avventura
e apologo dark, e tante altre cose ancora, si può riconoscere
in Tex l’origine di quella grande operazione di riscrittura del
West deflagrata ed esplosa nel cinema