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Il De rerum natura

Il capolavoro di Lucrezio è il poema epico-didascalico, di 7415 esametri e in 6 libri,


intitolato De rerum natura (La natura), in cui viene esposta la filosofia epicurea, a
partire dalla fisica atomistica, che proponeva il piacere quale sommo bene fisico e
spirituale. L'epicureismo aveva appena iniziato a penetrare nel mondo romano e il poeta
si vanta di esserne il primo divulgatore e perciò intendeva estenderne la diffusione.
Il titolo segue da una parte la tradizione greca della poesia filosofica di Empedocle (sec.
IV a.C.) e Parmenide (sec. V a.C.) e dall'altra riprende quello della massima opera di
Epicuro, Sulla natura delle cose, perduta, cui il poeta latino si ispirò o direttamente
all'originale o a sintesi posteriori curate dai di lui discepoli.
Il pubblico di Lucrezio è colto ma non elitario; il destinatario del De rerum natura è un
certo Gaio Memmio, incarna l’ideale (mai astratto) di lettore-discepolo a cui spesso
Lucrezio si rivolge come a una persona colta ma bisognosa dei suoi insegnamenti.
L'opera è dedicata a un certo Gneo Memmio, da identificarsi con ogni probabilità con
il propretore, dilettante di poesia, che Catullo tacciò di tirchieria.
Il  De rerum natura è diviso in 6 libri, che iniziano ciascuno con una raffinata
introduzione e che si articolano, con armonioso disegno architettonico, in tre gruppi di
due libri ciascuno, rispettivamente dedicati alla fisica, all'antropologia e alla
cosmologia. Lucrezio non intende dare una spiegazione fredda e razionale dei
fenomeni dell'universo, ma una interpretazione poetica di essi, dell'armonioso
aggregarsi e disgregarsi degli atomi, per cui tutte le cose nascono e muoiono, compreso
l'uomo che fa parte del tutto, senza dispersione, perché nulla nasce dal nulla e nulla
muore riducendosi al nulla. Lucrezio stesso chiarisce nel I libro la ragione per cui ha
trattato una materia filosofica in forma poetica: vi è stato costretto perché altrimenti
sarebbe stata troppo complicata per lo spirito poco speculativo dei romani.
L'uso dell'esametro era collegato alla tradizione greca della poesia didascalica. Per
Lucrezio, Epicuro non fu soltanto il fondatore di una dottrina, ma un maestro di vita:
numerosi passi del De rerum natura contengono un commosso omaggio al filosofo,
presentato come un liberatore, un eroico combattente contro l'oscurantismo
religioso. La prima apparizione della religione nel poema è simboleggiata infatti da un
mostro che rivolge la sua terribile testa dal cielo verso la terra. Sulle tracce del suo
pensiero, mediante l'analisi lucida e razionale della realtà, che porta a una visione di
coerente materialismo l'uomo può liberarsi dalle superstizioni, dai pregiudizi e
dagli errori, e quindi dalle inutili angosce che ne derivano: prime fra tutte il timore
degli dei, che porta alla superstizione quando non al delitto, e la paura della morte. La
morte è semplicemente il momento estremo che chiude un ciclo vitale; essa non
presuppone affatto un aldilà di punizioni eterne e di sofferenze, che sono favole di poeti
o, al massimo, proiezioni di angosce terrestri, come le ambizioni, le frustrazioni, le
passioni, i rimorsi. La vita va abbandonata con la stessa disposizione serena con cui un
convitato sazio si leva da un banchetto, grato per le gioie che ha eventualmente goduto
o, in caso opposto, rasserenato per la liberazione dalle delusioni o dalle sofferenze che
ha patito.
LA FORMA POETICA:
Lucrezio sceglie la poesia come veicolo per la dottrina epicurea per rendere
l’opera più attraente al pubblico colto, nonostante l’avversione di EPICURO
stesso per questo genere, visto come un traviamento di una resa chiara e
disadorna.
Lo stile poetico non è però semplicemente subordinato al contenuto: il
messaggio filosofico è inscindibile dalla sua veste letteraria. Lo stile è ora più
solenne, ora più “duro”, per esprimere il messaggio scientifico. La poesia epica è
scelta dall’autore anche per la sua potenza espressiva atta a narrare la
grandezza e la solennità dell’ispirazione lucreziana.

Il genere didascalico non aveva avuto una vera tradizione romana, come c’era
stata in Grecia. Nella lotta di Epicuro per affermare la sua dottrina, Lucrezio
trova un argomento abbastanza “avvincente” per istruire i lettori attraverso un
linguaggio epico che riprenda quello narrativo. Egli vuole toglierlo dal suo
ambito di distacco con il grande pubblico. Nel rispecchiare la natura, Lucrezio
usa stili diversi ma ben amalgamati tra loro.

FINALI E PROEMI:
Lucrezio si avvale del principio alessandrino per cui ogni libro è un’entità in sé
compatta e perfettamente inquadrata nell’architettura complessiva. Ogni libro si
apre con un proemio e ha un finale che si riallaccia al libro che seguirà.

Il libro I pone l’ “INNO A VENERE” prima del proemio.


I proemi dei libri I, III, V, VI sono dedicati alla celebrazione di Epicuro.

 PROEMIO II LIBRO: 
Qui troviamo un nobile esempio della varietà di stili di Lucrezio. Si parte
con lo spettatore che guarda le navi travolte dalla tempesta ed è felice di
non parteciparvi. L’immagine si fonde con il saggio che, dall’alto della sua
dottrina, guarda con compiaciuto distacco la lotta degli uomini per i beni
effimeri (la ricchezza, la politica). Poi c’è un abbassamento di tono, con
l’invettiva contro gli errori degli uomini, stemperato dalla visione quasi
“idillica” della vita secondo natura, dei piaceri moderati, dell’amicizia.
 PROEMIO AL V LIBRO:
Viene ripetuto quasi parola per parola un pezzo del libro I che contiene le
dichiarazioni di poetica di Lucrezio. E’ un segno evidente del carattere
incompiuto del poema.

Finali in “crescendo”: i finali non appaiono come nettamente distinti dalla


narrazione, come i proemi, ma culminano con un “crescendo” che si sviluppa
mano a mano che il libro procede.

 FINALI LIBRI I-IV:


Nel finale dei libri I e II si invita l’uomo a elevarsi a contemplare l’universo
formato da molteplici mondi governati dalla natura, e non da un Dio.
Nei libri III e IV ci sono invece problemi etici (timore della morte/passione
dell’amore).
 FINALE V LIBRO:
E’ dedicato alla storia del genere umano e alle origini della civiltà ed è
collegato al proemio del libro VI, che celebra Atene come culmine della
civiltà, ed Epicuro come sua massima gloria.
 FINALE VI LIBRO:
E’ l’orribile immagine della peste di Atene, in netto contrasto con la
celebrazione della città nel proemio dello stesso libro. Viene così
sottolineata la degenerazione culturale e l’inutilità del progresso: per
vivere sereni bisogna accettare con sottomissione le leggi della natura.
Questo tragico finale si contrappone all’Inno a Venere iniziale, dove la
divinità incarnava la VOLUPTAS.
Alcuni però ritengono che l’opera non fosse compiuta, infatti non è
concluso il progetto di parlare della sede degli dei, espresso nel libro V.
I finali spesso esprimono l’amarezza per la vita condotta senza la “VERA RATIO”
della dottrina epicurea, che è invece celebrata con entusiasmo nei proemi.
Il finale è inoltre un “trionfo della morte”, contrapposto al rinvigorire della
natura di Venere, ed esprime la volontà di Lucrezio di descrivere la natura in
tutti i suoi aspetti e di non giustificarla, narrando senza possibilità di
conciliazione anche i suoi orrori.
Ciò sembra scontrarsi con l’intento rasserenatore che Lucrezio si era prefisso di
perseguire.
Forse la visione negativa di Atene rappresenta gli uomini persi prima della luce
di Epicuro, ma ciò sembra essere riduttivo e poco logico.

TITO LUCREZIO CARO


La biografia di Lucrezio è quasi completamente avvo
lta nell’oscurità.
Forse questo fu voluto da Lucrezio stesso, che fra
l’altro non volle mai partecipare alla
vita politica di Roma in seguito alla sua conversio
ne all’epicureismo (che aveva come
precetto il celeberrimo detto: “vivi nascosto”), co
sa che invece era del tutto estranea alla
mentalità romana.
NOTIZIE
Le prime notizie riguardo la vita di Lucrezio le ab
biamo paradossalmente dopo la sua
morte.
Sappiamo infatti che era morto da poco quando Cicer
one scrive al fratello Quinto per
lodarne il poema, e 20 anni dopo Nepote lo definirà
simile a Catullo per l’ELEGANTIA
poetica.
Ma in realtà la maggior parte delle notizie sulla v
ita di Lucrezio ci sono fornite da SAN
GIROLAMO: da lui sappiamo infatti che nacque intorn
o al 94 a.C., poi, caduto nella
pazzia a causa di un filtro d’amore, dopo aver scri
tto bellissime opere nei momenti di
lucidità, morì a 44 anni nel 50 a.C.
DISCORDANZE
: Nelle notizie fornite da San Girolamo si coglie p
erò una contraddizione
con le poche date presenti nella biografia di Lucre
zio di Elio Donato, secondo cui Virgilio
avrebbe preso la toga virile (17 anni) il giorno in
cui morì Lucrezio.
Quindi morì nel 54 a.C. Nello stesso tempo, egli ci
dice anche che quando questo
accadde, c’erano gli stessi consoli dell’anno della
nascita di Virgilio (Crasso e Pompeo), e
quindi l’anno doveva essere il 55 a.C. Tuttavia, po
iché la lettera di Cicerone a Quinto è
del 54 a.C., possiamo concludere che Lucrezio nacqu
e nel 98 e morì nel 54 a.C.
Riguardo alla presunta pazza, ci sono state per ann
i delle dispute tra gli studiosi:
Lucrezio infatti fu sempre lacerato dal conflitto i
nteriore fra l’ottimismo suggeritogli
dall’Epicureismo ed il pessimismo del suo animo, ed
è con ogni probabilità questo che
rese il suo carattere strano e bizzarro agli occhi
dei suoi contemporanei, anziché un
qualche fantomatico sortilegio. Molti sostenevano c
he per questo “delirasse”. Tuttavia si
tratta probabilmente di versioni romanzesche.
Riguardo alla sua vita, si trovano riferimenti –poc
hi, in verità- anche nel “De rerum
natura”, la sua opera maggiore. Vi si parla infatti
delle lotte politiche (... “Patriae tempore
iniquo”), che forse è quello del primo triumvirato
o della congiura di Catilina. Si sa inoltre
che forse era di origine campana (ad Ercolano c’era
una famosa scuola di Epicureismo).
POLITICA
Sebbene Lucrezio non si dedicò mai alla vita politi
ca, tuttavia se ne interessò, anche se
non con particolare accanimento.
Lo stesso “De rerum natura” contiene al suo interno
precetti politici, malgrado Lucrezio
non proponga mai un risanamento nazionale, ma una s
alvezza individuale (conforme ai
precetti di Epicuro).
EPICUREISMO A ROMA
Si diffonde a Roma a partire dal I secolo a.C., e c
oinvolge molti personaggi di spicco
dell’epoca ciceroniana, come Cesare e Cassio, e lo
stesso Cicerone, nella sua mentalità
eclettica, studiò in gioventù i precetti di questa
filosofia.
Agli scrittori epicurei Cicerone rimproverava però
l’ARIDITA’ DELLO STILE, riconducibile
al disinteresse per la cultura mostrato da Epicuro
(anche se per la verità questi si fosse
limitato a dire che erano inutili per colui che vuo
le raggiungere la verità e la felicità).
Fu anche fondata una scuola epicurea ad Ercolano, d
ove insegnava FILODEMO, poeta
erotico e autore di trattati, ormai frammentati e c
arbonizzati dopo l’eruzione del vulcano,
che sarebbero invece stati utili per analizzare il
pensiero di Lucrezio.
POETA E AMBIENTE
Il DE RERUM NATURA ha un rapporto di polemica contr
o il proprio tempo, ovvero
contesta determinate CREDENZE CONTEMPORANEE. Ma
non
contesta mai in modo
PARTICOLARE e SPECIFICO.
E’ improbabile quindi che gli attacchi di Lucrezio
alla religione riguardino ricchi e
potenti, che fondavano le loro autorità sulla tradi
zione. Anche se ciò che facevano era
ingiusto, non è infatti la politica che interessa a
Lucrezio.
POETA E PUBBLICO
Anche se la sua opera è indirizzata a Memmio, la co
sa non deve assumere un significato
particolare, giacché era una convenzione letteraria
comune indirizzare un poema
didascalico ad un destinatario specifico, come se f
ossero esclusi altri lettori, che forse,
come avveniva fra i poeti neoteroi, avevano molte c
ose in comune con l’autore.
Tuttavia questo non vuol dire che l’opera fosse ind
irizzata a tutti: poche persone nella
Roma d’allora potevano essere interessate a simili
problemi, e quindi Lucrezio immagina
di rivolgersi ad un pubblico in grado di seguire un
a dissertazione lunga e complessa,
sebbene non vi manchino anche i sentimenti.
Questo vale anche per lo stile, che imita i NEOTERO
I, con influenze di OMERO ed
EURIPIDE.
Anche Cicerone stesso scrisse diverse opere filosof
iche, ma i suoi testi sono di minor
valore artistico rispetto a quello scritto da Lucre
zio, e le sue argomentazioni avevano un
CARATTERE CONCRETO non utopistico.
Invece Lucrezio non porta mai il lettore alla realt
à del suo tempo, tenendo sempre l’opera
su un piano teorico (il gusto greco prevale dunque
su quello romano).
L’ambientazione dell’opera è infatti la Grecia, in
una sorta di celebrazione di Epicuro.
Si fanno lodi ad Atene e se ne racconta la storia e
l’epidemia che la colpì.
Invece la storia romana non è mai citata, e prevalg
ono i nomi greci.
DE RERUM NATURA
L’opera più importante e celebre di Lucrezio è sicu
ramente il DE RERUM NATURA.
Essa è dedicata a Memmio (probabilmente lo stesso c
he Catullo portò con sé in Bitinia),
forse con l’intento di convertirlo all’Epicureismo,
ma senza risultato.
L’opera è costituita da 6 libri in 3 coppie di 2 li
bri ciascuna. Ogni coppia ha lo stesso
argomento.
I primi due libri parlano degli atomi, del loro mov
imento nel vuoto e del loro congiungersi
e disgregarsi.
Il terzo e il quarto parlano dell’ANIMA, del rappor
to anima-corpo e delle sue attività:
pensieri, sogni....
Il quinto e il sesto parlano invece del MONDO, dell
a sua formazione, della nascita
dell’umanità e ciò che su di esso avviene.
SCHEMA
:
1° LIBRO
: Il primo libro comprende il Proemio, la dimostraz
ione che “da nulla nasce
nulla”, e una descrizione di cosa siano gli atomi.
2° LIBRO
: Vi si parla degli urti atomici da cui nasce il mo
ndo, che non è l’unico possibile
né esistente.
3° LIBRO
: L’anima è formata da atomi e perisce con il corpo
. Di conseguenza vano è il
terrore della morte. Sempre nell’anima si possono d
istinguere una PARTE RAZIONALE ed
uno SPIRITO VITALE.
4° LIBRO
: Le sensazioni sono generate da effluvi di atomi.
Così nasce anche l’amore, che
diventa ansietà e tormento.
5° LIBRO
: Anche il mondo nasce e perisce, ed in esso non vi
è alcun intervento
provvidenziale. L’incontro fra gli atomi ha origina
to i quattro elementi e poi essi hanno
dato origine al mondo e alle creature. Lucrezio des
crive inoltre l’incivilimento del genere
umano dalla vita selvaggia fino al costituirsi dell
e famiglie, delle città e delle leggi.
In seguito presso gli uomini nacque il linguaggio,
per comunicare. I più forti ed
intelligenti cominciarono a dominare sugli altri, s
i formarono le proprietà e la ricchezza
portò alla sopraffazione. Per timore nacque la supe
rstizione degli dèi, ma essi sono esseri
beati senza riscontro nel mondo degli uomini.
6° LIBRO
: Allo stesso modo i fenomeni naturali non sono man
ifestazioni divine, ma
nascono da cause naturali. Anche le malattie, che s
ono emanazioni nocive.
Importante nell’opera è l’elogio di Epicuro, libera
tore dell’umanità dalla superstizione e
dal timore della morte.
TITOLO
: E’ lo stesso delle maggiori opere filosofiche gre
che, compresa quella di Epicureo.
Nel poema si parla esclusivamente della fisica di E
picuro, perché di solito era la parte
che veniva più tralasciata dai pensatori romani. Il
VOLGO si interessava infatti più alla
morale, data anche la grande novità dell’etica epic
urea, che si adattava ad ogni occasione
della vita e che proclamava l’EQUILIBRIO psicologic
o come base per trovare ogni felicità.
Altre caratteristiche importanti della morale epicu
rea sono il vedere negli amici il
supporto per la felicità e il non permettere ai pia
ceri di rovinare tale equilibrio.
Il precetto “vivi nascosto” (cioè dare più importan
za all’OTIUM) contraddiceva l’ideale
romano di NEGOTIUM, ma questo attraeva la Roma dell
’epoca, che ormai si trovava ad
essere caratterizzata da una società in cui dominav
ano la lotta politica e le stragi e si
vedeva a quali tristi conseguenze poteva portare la
vita politica.
Epicuro formula anche la condanna alla RELIGIO (sup
erstizione), cosa che prese piede
facilmente a Roma, visto che già da tempo la religi
one romana era puramente formale.
Tutto questo doveva attirare molto gli intellettual
i romani, anche perché la dottrina di
Epicuro si rifaceva direttamente alla NATURA e alla
REALTA’.
Secondo Epicuro, la superstizione non soltanto turb
a la serenità dell’individuo, ma è
anche inutile, essendo gli dèi indifferenti.
Lucrezio parla di fisica poiché anche l’etica si ba
sa su di essa. Inoltre la RELIGIO
aumenta l’attaccamento alla vita, l’illusione della
gloria, ed è spesso fonte di delitti.

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