Il genere didascalico non aveva avuto una vera tradizione romana, come c’era
stata in Grecia. Nella lotta di Epicuro per affermare la sua dottrina, Lucrezio
trova un argomento abbastanza “avvincente” per istruire i lettori attraverso un
linguaggio epico che riprenda quello narrativo. Egli vuole toglierlo dal suo
ambito di distacco con il grande pubblico. Nel rispecchiare la natura, Lucrezio
usa stili diversi ma ben amalgamati tra loro.
FINALI E PROEMI:
Lucrezio si avvale del principio alessandrino per cui ogni libro è un’entità in sé
compatta e perfettamente inquadrata nell’architettura complessiva. Ogni libro si
apre con un proemio e ha un finale che si riallaccia al libro che seguirà.
PROEMIO II LIBRO:
Qui troviamo un nobile esempio della varietà di stili di Lucrezio. Si parte
con lo spettatore che guarda le navi travolte dalla tempesta ed è felice di
non parteciparvi. L’immagine si fonde con il saggio che, dall’alto della sua
dottrina, guarda con compiaciuto distacco la lotta degli uomini per i beni
effimeri (la ricchezza, la politica). Poi c’è un abbassamento di tono, con
l’invettiva contro gli errori degli uomini, stemperato dalla visione quasi
“idillica” della vita secondo natura, dei piaceri moderati, dell’amicizia.
PROEMIO AL V LIBRO:
Viene ripetuto quasi parola per parola un pezzo del libro I che contiene le
dichiarazioni di poetica di Lucrezio. E’ un segno evidente del carattere
incompiuto del poema.