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PROFILI STORICI E PRINCIPI

Cap.1
Il diritto amministrativo dal XVIII al XXI secolo

Le origini. Le varie ipotesi. L’importanza della Rivoluzione francese:


“Diritto amministrativo” = (definizione sommaria) insieme di regole che disciplinano l’organizzazione e l’attività
delle pubbliche amministrazioni → Tale disciplina ha determinate caratteristiche proprie rispetto al diritto privato.
Si tratta, oggi, di una disciplina tipicamente pubblicistica per quel che riguarda alcuni aspetti dell’organizzazione,
del personale e dell’attività delle pubbliche amministrazioni.
Valgono invece le regole del diritto privato per altri profili.
Sul piano dei principi giuridici, il diritto amministrativo è retto da principi sia pubblicistici che privatistici. Secondo
alcune ricostruzioni storiche il diritto amministrativo avrebbe origini molto lontane nel tempo; secondo altre, attorno
al XVIII secolo.
Talune tesi sostengono che il diritto amministrativo abbia origini già nel diritto romano. Ripercorrendo le fonti del
diritto romano, si trova la distinzione tra jus publicu,m e jus privatum,. Si tratta in realtà di frammenti e non
s’intravedono ancora le coordinate del diritto amministrativo, per le quali occorre un contesto più organizzato. È
quindi da scartare l’ipotesi.
Vi è chi afferma che la sua nascita debba farsi risalire all’XI secolo → “diritto dei servizi pubblici: tutte quelle
attività in cui si ha una pubblica amministrazione che non svolge funzioni di polizia, o funzioni comunque
autoritative, ma presta servizi. Non attività di prescrizione, ma di prestazione. Ha per destinatari i cittadini che sono
consumatori, utenti.
La parola service public in effetti si può ritrovare sin dagli antichi testi di diritto francese (dal Medioevo alla
Rivoluzione francese). Fra gli esempi più significativi, c’è il mulino, il simbolo della non-autorità: un’ordinanza del
1439 ordina al mugnaio di macinare i grani, nel momento e nella misura in cui sono apportati al mulino, senza
preferenza e, soprattutto, senza esigere nulla per la molitura → obbligo di non discriminazione; obbligo di continuità
e di garanzia della qualità.
(Altro esempio: servizio postale a cavallo pag. 6 )
Al di là del service public, nelle antiche fonti francesi altri esempi di regole amministrative: la disciplina delle acque
dei fiumi, dei torrenti, dei laghi. Sono beni pubblici che servono a vari fini, che hanno molti impieghi economici,
imprenditoriali e sociali: dagli usi alimentari, alla coltivazione dei campi, all’animazione degli opifici.
Quindi, esistevano regole amministrative sin dall’anno Mille. Ma si può considerare che ciò sia diritto
amministrativo?
C’è sicuramente qualcosa di più rispetto all’età romana, ma ancora non c’è un sistema di diritto amministrativo.
Un vero e proprio diritto amministrativo emerge nel XVIII secolo e si consolida nel XIX secolo, in Francia.
Tocqueville, nella prima parte della sua opera Ancien règime, sottolinea i poteri degli intendenti e di altri funzionari
amministrativi. L’intendente è il funzionario che conta di più in provincia; non rappresenta la collettività locale ma
il controllo del centro sulla periferia; erano dotati di grandissimi privilegi, di poteri autoritativi molto forti e tutto
questo incideva sui diritti dei cittadini. Non si era in presenza del re o del signore, bensì di un funzionario
amministrativo: ciò che avviene è la preparazione all’ascesa della borghesia. È qui, secondo Tocqueville, uno dei
fattori che porterà alla rivoluzione francese, che è una rivoluzione borghese: la borghesia soppianta le classi prima
dominanti.
Uno degli elementi che prepara e sostiene l’ascesa della borghesia è l’amministrazione.
Si vengono a creare in capo alla burocrazia poteri “esorbitanti”, nel senso che il rapporto fra l’intendente e gli altri
cittadini non è certo paritario.
In questo momento inizia a nascere qualcosa di più delle singole regole, si forma un corpo di norme, un corpo di
poteri che si vanno gradualmente definendo.
Poi, con la Rivoluzione francese, si ha la divisione dei poteri e il potere amministrativo viene collocato nell’ambito
del potere esecutivo: l’amministrazione è quel corpo di funzionari inseriti nell’apparato esecutivo che adottano
misure, atti e provvedimenti in attuazione della legge e sono, sia pure parzialmente in una prima fase, sotto il
controllo dei giudici.
Subito dopo la Rivoluzione francese, cominciano ad essere istituite le prime cattedre universitarie di diritto
amministrativo.
La Francia è stata la madrepatria del diritto amministrativo per diversi fattori:
- presenza di un sistema molto centralizzato (ha favorito la crescita di un cirpo di regole amministrative
uniformi; a ciò ha condotto l’esistenza di una forte monarchia nazionale, fin dal XIV o XV secolo);
- centralizzazione particolarmente rilevante dello Stato, ancor prima di Napoleone che ha dato poi a tale
diritto un’impronta fondamentale.
In Germania, ove si è avuto uno sviluppo consistente, soprattutto dottrinale, del diritto amministrativo, si è sempre
fatto riferimento alle fonti e agli autori francesi: anche se poi si è sviluppata una scuola autonoma, le radici vengono
dalla Francia. L’esponente principale fu Otto Mayer, negli anni Ottanta del secolo XIX.
In Italia, il diritto amministrativo nasce tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quando si consolidano
le cattedre universitarie e la giurisprudenza del Consiglio di Stato. Anche in Italia si guarda molto all’esempio
francese.
Nei paesi di common law, la nascita del diritto amministrativo è stata più lenta; fonti e autori inglesi della fine
dell’Ottocento negano l’esistenza del diritto amministrativo, sostengono che l’administrative law non esiste come
diritto autonomo e che l’unico diritto esistente in Inghilterra è il common law. La legislazione parlamentare di fine
Ottocento (gli statutes) comincia a introdurre regole e strumenti che si allontanano dal common law e che danno
vita al diritto amministrativo.
Negli Stati Uniti d’America, negli anni Ottanta del XIX secolo, non esisteva una vera e propria carriera
amministrativa. La legislation gioca un ruolo fondamentale.
Quindi, riassumendo:
le ragioni della nascita del diritto amministrativo nelle differenti esperienze nazionali:
- Francia: il diritto amministrativo nasce come strumento dell’ascesa al potere della borghesia;
- Italia e Germania: il diritto amministrativo è molto legato ad una radice ideologica. Pesa l’influenza
filosofica di Hegel, l’idea di uno Stato forte.
- Inghilterra: alla fine dell’Ottocento, l’idea era quella che un diritto amministrativo non esistesse, ma
cominciano a diffondersi gli statutes in materia di pubblica amministrazione (law è essenzialmente il diritto
dei giudici; statute è l’atto del Parlamento, la legislazione. Gli statutes portano novità importanti. Il
common law si basava su due pilastri fondamentali: private property e freedom of contract.
Successivamente, gli statutes cominciano a scalfire quei due pilastri assoluti;
- Stati Uniti: il diritto amministrativo ha una genesi a quella inglese per quel che riguarda le fonti giuridiche
che portano all’emersione del diritto amministrativo: la legislation, gli statutes. Diversi sono i contenuti:
il primo diritto amministrativo degli Stati Uniti riguarda essenzialmente il controllo dell’amministrazione
pubblica sul mercato.
I caratteri iniziali del diritto amministrativo:
Il diritto amministrativo delle origini:
Il legame con lo Stato-nazione: un primo carattere è la connessione fra diritto amministrativo e Stato-nazione. Il
diritto amministrativo è il diritto dello Stato. Le regole dettate dalle comunità locali assumono un ruolo secondario
(con eccezione dell’ Inghilterra).
Le profonde differenze fra i diritti amministrativi di Stati diversi: il secondo carattere la grande differenza, e la
sostanziale incomunicabilità, fra diritti amministrativi di Stati diversi (mentre il diritto privato comunica fra Stati
diversi. Tre sono le spiegazioni principali: il diritto privato ha una tradizione millenaria, ha avuto una codificazione
diffusa, è tradizionalmente il diritto dell’economia e del mercato. All’origine, il diritto amministrativo non ha nulla
di tutto questo).
La lontananza dal diritto privato: un terzo carattere originario del diritto amministrativo è la sua grande lontananza
dal diritto privato.
Gli alterni rapporti con la regolazione dell’economia: un quarto tratto caratteristico iniziale è che il diritto
amministrativo nasce come diritto della puissance publique. Gradualmente diviene anche diritto del service public.
Sia la puissance publique che il service public possono avere a che fare con l’economia, con il mercato.
Il diritto amministrativo, tuttavia, resta a lungo al di fuori di una vera e propria regolazione dei mercati esercitata in
modo continuativo. L’economia e i mercati sono stati da sempre regolati dai pubblici poteri, fin dagli ordinamenti
dell’antichità. Ma non si trattava di diritto amministrativo.
Il diritto amministrativo nasce in età borghese.
Gli sviluppi del diritto amministrativo:
Nel tempo, si attenua il legame con lo Stato nazione; emergono sempre maggiori convergenze fra i diritti
amministrativi nazionali; si avvicinano diritto amministrativo e diritto privato.
Il diritto amministrativo sovrastatale e subnazionale: il diritto amministrativo abbandona il suo nesso privilegiato
con la dimensione nazionale.
Il diritto della Comunità europea viene a condizionare ampiamente i diritti amministrativi nazionali.
Sotto il profilo dell’attività amministrativa, il potere discrezionale delle pubbliche amministrazioni viene a subire
significative limitazioni, anche per non ostacolare lo scambio di beni e servizi fra i vari Stati membri della Comunità
europea.
Ma no è solo il diritto comunitario ad incidere dall’alto sui diritti amministrativi nazionali. Anche le discipline
internazionali influiscono sui diritti amministrativi nazionali, sia tramite norme cogenti, sia mediante criteri
standard, previsioni indicative, che assumono, nei fatti, un’effettiva forza persuasiva e di condizionamento.
Il diritto amministrativo si è progressivamente esteso non solo al di sopra, ma anche al di sotto della dimensione
nazionale. Il diritto amministrativo municipale aveva assunto un ruolo di rilievo fin dagli inizi; dall’ultimo quarto
del XX secolo lo sviluppo della “democrazia subnazionale” ha rafforzato i poteri normativi e amministrativi di
Regioni o di Stati membri di federazioni.
Ne è emerso un consistente diritto amministrativo subnazionale.
Le convergenze progressive tra diritti amministrativi nazionali: anche indipendentemente dall’influenza
comunitaria, i diritti amministrativi nazionali si aprono a vie di convergenza. Si ha una circolazione orizzontale di
istituti giuridici.
L’avvicinamento al diritto privato: il diritto amministrativo si avvicina sensibilmente al diritto privato.
In Italia si era avuta una fase storica in cui, prima della nascita di un autentico diritto amministrativo, diversi rapporti
fra amministrazioni e privati erano regolati dal codice civile.
Con l’avvento del diritto amministrativo si ha la grande pubblicazione di tutti i rapporti amministrativi. Più tardi, si
espande la contrattualità amministrativa.
Il decollo industriale del primo Novecento fa si che le imprese assumano consistente potere, non solo economico.
Le pubbliche amministrazioni non sono in grado di imporre unilateralmente alle imprese le condizioni per lo
svolgimento delle attività economiche.
Il fenomeno dell’espansione della contrattualità amministrativa proseguirà, senza troppe interruzioni, fino ad oggi.
La centralità della regolazione dei mercati: il diritto amministrativo è sempre più coinvolto nella regolazione
dell’economia e dei mercati.
In Europa continentale, è più lento l’avvicinamento del diritto amministrativo ai mercati. Diviene evidente nella
seconda metà del Novecento.
Il nesso tra diritto amministrativo e mercati non diminuisce neppure nell’ultimo decennio del XX secolo, pur
caratterizzato da un accentuato neoliberalismo economico.
Le privatizzazioni consentono il passaggio, in tutto o in parte, di imprese dalla mano pubblica alla mano privata, ma
convivono con poteri pubblicistici rilevanti, che vengono attribuiti ai ministri di riferimento o ad apposite autorità
(si pensi alla c.d. golden share).
La globalizzazione economica ha comportato una riespansione della lex mercato ria, cioè di regole poste dalle stesse
imprese (soprattutto multinazionali) ma ha avuto e ha bisogno di un’estesa regolazione pubblica e amministrativa.
Gli Stati, pur avendo perso spazi di sovranità, continuano ad avere poteri cospicui. Ad essi si affianca la regolazione
posta dagli organismi pubblici internazionali o da reti transnazionali di autorità statali- il che dà luogo a quel che è
stato denominato “diritto amministrativo globale”. Le autorità pubbliche preposte alla garanzia della concorrenza si
sono diffuse a livello planetario.
La recente crisi finanziaria ed economia globale ha accentuato la necessità di forti interventi pubblici e di misure
amministrative: nazionalizzazioni, ricapitalizzazioni di istituti finanziari, sovvenzionamenti a settori industriali,
meccanismi neoprotezionistici ne sono eloquente testimonianza.
Brevi conclusioni:
Il diritto amministrativo è creatura giovane. Ha più o meno due secoli.
Ha conosciuto nel tempo molte modificazioni.
Infine, ha avuto un’enorme espansione.

Cap. II
I principi del diritto amministrativo

La crescete importanza dei principi:


L’espansione esorbitante delle leggi non è fenomeno di oggi. Già diversi autori greci, criticano l’eccesso e l’oscurità
delle leggi, troppe e confuse, nel periodo della democrazia ateniese: le leggi scritte erano una garanzia democratica,
mentre il diritto giurisprudenziale era noto solo a pochi; ma le leggi scritte non erano semplici e ciò finiva per
nuocere alla democrazia e poteva avvantaggiare chi, attraverso interpretazioni cavillose, volesse sfuggire al rispetto
delle norme.
Anche in età romana, il numero sovrabbondante di leggi e stato di corruzione nella vita pubblica.
Passando all’età moderna, Manzoni sottolinea l’eccesso di legislazione.
Oggi, il moltiplicarsi delle leggi è ancor più accentuato.
Per di più, la globalizzazione giuridica (che si affianca a quella economica) fa si che alle norme nazionali e
subnazionali si siano aggiunte quelle dell’ordinamento comunitario e delle varie discipline internazionali: viviamo
in un sistema giuridico “a più livelli”.
Il diritto amministrativo è campo fertile per la legislazione contingente e occasionale, per le norme parziali e fugaci.
In una simile situazione di disordine normativo, i principi giuridici possono ricondurre ad una maggiore omogeneità
o uniformità le normative frammentate, sia in sede di costruzione di norme nuove.
I principi operano come vere e proprie norme giuridiche e sono caratterizzati da un contenuto o da un riconoscimento
generale.
Le fonti. Chi pone i principi:
-Costituzioni → nel nostro paese, i principi essenziali per l’amministrare pubblico, sono: l’imparzialità e il buon
andamento (art. 97 Cost.), il principio di eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.).
-Legislatore ordinario → la legge sul procedimento amministrativo (n. 241/1990) prevede i principi di economicità,
di efficacia, di pubblicità e trasparenza, richiama i principi dell’ordinamento comunitario.
-Codice civile → stabilisce i principi di buona fede (art. 1337 e 1375) e di correttezza (art. 1175).
-Legislazione ultranazionale → il TFUE prevede il principio di libera concorrenza, il principio di precauzione.
-Discipline internazionali → la CEDU stabilisce il principio del giusto processo, il GATS contiene il principio di
trasparenza.
Le leggi sono la fonte più diffusa di principi giuridici. Al tempo stesso, resta fondamentale il ruolo dei principi dalla
giurisprudenza. Vi sono, da un lato, principi privi di esplicita previsione normativa e stabiliti dall’opera dei giudici
(che nell’età odierna hanno una dimensione ridotta); dall’altro lato, determinazioni giurisprudenziali di principi
effettuate “a valle” dalla legislazione: si tratta delle definizioni e delle precisazioni che i giudici danno delle
enunciazioni di principi che ritrovano nelle leggi.
I principi che il giudice può applicare, sono solo ed esclusivamente quelli rintracciabili nell’ordinamento giuridico
positivo, statale o ultranazionale.
Tipi di principi:
Nel diritto amministrativo si possono distinguere:
• *Principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica → sono principi che trovano il loro significato
essenziale nella regolazione di attività amministrative, pur potendo essere applicati anche alla’attività di
altri pubblici poteri (legislativo, giurisdizionale) e, in limitati casi e con ampi limiti, all’attività di soggetti
privati; si applicano tendenzialmente solo a quella parte dell’attività amministrativa che ha natura
autoritativa e pubblicistica; trovano il loro fondamento nell’essere contrappesi a favore dell’amministrato
nei confronti dell’esercizio del potere amministrativo di natura pubblicistica. Fanno eccezione il buon
andamento e il diritto di acceso ai documenti amministrativi (che hanno portata generale);
• Principi generali del diritto applicabili anche alle pubbliche amministrazioni → sono principi comuni a
soggetti privati e pubblici; nascono nel diritto civile e commerciale e vengono trapiantati nel diritto
amministrativo, hanno acquisito in quest’ultimo una portata generale: si applicano a tutte le attività
amministrative, sia privatistiche sia pubblicistiche.
Dunque i principi comuni hanno in diritto amministrativo un ruolo preminente, quanto alla portata, rispetto agli
altri.
*
➢ Principio di legalità: l’attività amministrativa deve trovare una base nella legge: questa è la
definizione più ampia del principio di legalità. Non esiste un fondamento costituzionale espresso
e compiuto di questo principio. Vi sono, tuttavia, norme della Costituzione che si riferiscono ad
esso, come quella contenuta nell’art. 23 (“nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge”). Il legislatore ordinario ha previsto una versione delimitata del
principio di legalità, là dove ha stabilito che l’attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge. Qui il riferimento è soltanto ai fini, mentre il principio di legalità vuole che tipi e
presupposti degli atti amministrativi siano previsti dalla legge. Il potere amministrativo deve
trovare una base esplicita nelle norme di legge. Il principio di legalità si pone come argine a
protezione del cittadino nei confronti dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione. Ciò
è evidente nell’art. 23 Cost., che richiede una base di legge nei casi di prestazioni che siano
“imposte” dal pubblico potere. I richiamati elementi della tipicità e della nominatività si riferisono
agli atti e ai provvedimenti amministrativi: atti unilaterali e autoritativi della pubblica
amministrazione. Il principio di legalità ha subito un’evoluzione: dalla necessaria osservanza della
legge si è passati al necessario rispetto del diritto. Così, la pubblica amministrazione deve rispettare
non solo le leggi, ma anche principi di diritto, come la ragionevolezza, privi di espressa previsione
legislativa o integrativi dell’enunciazione legislativa. Per di più, la pubblica amministrazione deve
rispettare anzitutto le regole comunitarie, che prevalgono su quelle interne.
➢ Principio di imparzialità: trova il suo fondamento normativo espresso nella Costituzione (art.
97). La dottrina ha legato l’imparzialità al corretto esercizio delle scelte della pubblica
amministrazione che implicano ponderazione fra interessi diversi. Vi è dunque, un rapporto stretto
fra imparzialità e potere discrezionale dell’amministrazione. Fondamentalmente, l’imparzialità
vale come divieto di discriminazioni , di favoritismi (essa confina con l’eguaglianza).
Obblighi derivanti dal principio di imparzialità: l’obbligo di determinare criteri e modalità prima
di procedere (tale obbligo è stabilito in alcuni casi esplicitamente dal legislatore, come per le
elargizioni pubbliche; in altri casi è imposto per via giurisprudenziale, come in materia di concorsi
di reclutamento al pubblico impiego). L’obbligo della pubblica amministrazione di compiere
un’adeguata valutazione di tutti gli interessi in gioco prima di decidere. L’obbligo di astensione
del funzionario amministrativo in caso di conflitto d’interessi.
➢ Principio di buon andamento: sta accanto all’imparzialità nell’art. 97 Cost. E’ un concetto molto
ampio. Può trovare applicazione tanto all’attività pubblicistica e autoritativa della pubblica
amministrazione, quanto all’attività consensuale o contrattuale. La giurisprudenza ne ha offerto
precisazioni ed esemplificazioni, riconducendo al buon andamento, fra l’altro, l’economicità,
l’efficienza, l’efficacia, la tempestività dell’azione amministrativa.
➢ Principio di ragionevolezza: è un principio sans texte, formato nel tempo dall’opera della
giurisprudenza indipendentemente da formulazioni legislative. I giudici costituzionali l’hanno
applicato all’attività legislativa; i giudici ordinari e amministrativi all’attività delle pubbliche
amministrazioni. Il punto di riferimento più immediato della ragionevolezza è stato l’obbligo di
motivazione dell’atto, della decisione, del provvedimento amministrativo. Questi devono avere
una motivazione ragionevole. Anche per la ragionevolezza siamo in presenza di un principio legato
alle attività autoritative dei pubblici poteri: l’attività legislativa o l’attività amministrativa
pubblicistica; è significativo il nesso fra ragionevolezza e motivazione del provvedimento
amministrativo, atto unilaterale e imperativo della pubblica amministrazione.
➢ Principio di proporzionalità: ha trovato la sua formazione e i suoi sviluppi essenziali nell’opera
della giurisprudenza. Affinchè l decisione amministrativa sia proporzionata devono sussistere
essenzialmente tre profili: l’adeguatezza della decisione medesima al fine che s’intende realizzare;
il fatto che la misura non ecceda quel che è necessario per raggiungere il fine prefisso e che non
esistano misure meno restrittive nei confronti degli amministrati; l’equilibrata proporzione fra le
utilità pubbliche al cui perseguimento la decisione è finalizzata e i sacrifici imposti. In altri termini,
il sacrificio delle situazioni giuridiche soggettive che il provvedimento dell’amministrazione
comporta deve essere proporzionato rispetto al beneficio ottenuto. La valutazione del giudice sul
proporzionato o non proporzionato equilibrio fra benefici ottenuti e sacrifici imposti può
comportare un controllo sostanzialmente di merito sull’azione amministrativa, che non è
consentito al giudice se non in casi espressamente previsti dal legislatore. Il principio di
proporzionalità riguarda l’attività autoritativa e pubblicistica della pubblica amministrazione e, in
particolare, le misure amministrative restrittive, che impongono sacrifici ai privati.
➢ Principio di partecipazione: questo principio affonda le sue radici nell’ordinamento inglese.
Ancor prima della formazione di un vero e proprio administrative law nella giurisprudenza inglese
pronunce che affermano l’esistenza di un right to be heard prima che il pubblico potere decida. Vi
può essere un’audizione, o la presentazione di osservazioni scritte: il principio è comunque che
l’amministrato possa esprimere la propria “voce” prima della decisione amministrativa. Il principio
trasmigra progressivamente dai sistemi di common law a quelli di civil law. Dapprima è la
giurisprudenza ad essere protagonista. Poi il principio viene anche inserito nella legislazione
(fondamentalmente nelle leggi dedicate ai procedimenti amministrativi). Il principio di
partecipazione confina con il principio del contraddittorio. L’elemento comune è la garanzia data
alla “voce” dell’amministrato. La differenza sta nel fatto che la partecipazione riguarda
essenzialmente la facoltà degli amministrati di manifestare propri interessi all’interno del
procedimento amministrativo preliminare all’adozione della decisione finale. In Italia, il principio
della partecipazione soffre di un limite: la legge n. 241/1990 esclude l’applicabilità delle garanzie
partecipatorie da essa previste ai procedimenti con contenuti ed effetti generali per i quali valgono
le relative norme speciali; si tratta di procedimenti che sono rivolti ad un insieme indeterminato di
destinatari. Il principio, dunque, vale soltanto per i procedimenti particolari, che si rivolgono a uno
o più destinatari determinati. In altre esperienze giuridiche tale limite non sussiste. Il mancato
rispetto del principio di partecipazione dovrebbe viziare il provvedimento finale rendendolo
annullabile, ma nel nostro ordinamento è stata introdotta una norma che suscita vari interrogativi
sul punto. Secondo tale norma, il provvedimento vincolato, non discrezionale, adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti non è annullabile se sia palese che il
suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato:
potrebbero essere ricomprese fra le norme sul procedimento anche quelle che prevedono garanzie
di partecipazione. In ogni caso, il provvedimento, anche discrezionale, non è annullabile per
mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato. La comunicazione di avvio del procedimento rappresenta lo strumento iniziale
per dar corpo alle garanzie di partecipazione.
L’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo:
Obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali = art. 111 Cost.
Progressivamente l’obbligo di motivazione si è esteso anche ai provvedimenti amministrativi.
Non abbiamo un principio costituzionale in tal senso, ma la legge generale sul procedimento amministrativo ha
incluso tra i “principi” la motivazione del provvedimento.
Gli elementi della motivazione: i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria (dunque, gli elementi di fatto e di diritto sui quali
si basa il provvedimento).
Non è previsto l’obbligo di motivazione per i provvedimenti con contenuti ed effetti generali.
In Italia solo alcune leggi di settore prevedono la motivazione di provvedimenti amministrativi generali (ad esempio,
in materia di vigilanza sui mercati finanziari).
La mancanza di motivazione, o la motivazione insufficiente o irragionevole, producono un vizio ascrivibile alla
violazione di legge, che si può tradurre in invalidità del provvedimento finale.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi:
Affinchè la “voce” dell’amministrato si possa esprimere con la maggiore possibile efficacia, è necessario che essa
si fondi su di una “visione” compiuta degli atti e dei documenti del procedimento che conduce alla decisione
amministrativa.
Prima del riconoscimento di tale diritto di accesso, la “visione” era garantita soltanto in alcuni procedimenti
amministrativi (in particolare quelli fortemente restrittivi della sfera giuridica del privato).
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato introdotto solo in fasi recenti del diritto amministrativo.
L’Italia lo ha riconosciuto con la legge n. 241/1990, contestualmente alle garanzie di partecipazione consistenti nel
diritto dell’amministrato di presentare osservazioni.
La legge sul procedimento configura il diritto di accesso ai documenti amministrativi come principio generale
dell’attività amministrativa.
Sotto il profilo dei soggetti, il diritto di accesso si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle
aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi e nei confronti delle autorità di
garanzia e di vigilanza nell’ambito dei rispettivi ordinamenti.
Sotto il profilo oggettivo si applica tanto alle attività autoritative delle pubbliche amministrazioni e degli altri
soggetti sopra menzionati, quanto alle attività di tipo non autoritativo. La ragione è che il principio dell’accesso è
orientato al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità el trasparenza, altri principi che si
applicano all’attività amministrativa.

Principi comuni a soggetti pubblici e privati:


Si tratta di principi generali del diritto, di principi di diritto comune, in quanto tali applicabili non soltanto alla
pubblica amministrazione ma anche a soggetti privati.
➢ Principio di buona fede: la “buona fede” è concetto della tradizione giuridica privatistica. “Le parti, nello
svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede” (art.
1337 c.c.). e il “contratto deve essere eseguito secondo buona fede” (art. 1375 c.c.). in diritto
amministrativo, il principio di buona fede si applica tanto all’attività privatistica quanto all’attività
pubblicistica. Ma vale anche per l’attività provvedimentale. La buona fede, quindi, è canone generale
dell’attività amministrativa.
➢ Principio di correttezza: anche per la correttezza dobbiamo partire dal codice civile. La materia è quella
delle obbligazioni. “Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza” (art.
1175 c.c.). Le obbligazioni possono derivare anche da procedimento e da provvedimento amministrativo.
Il principio di correttezza ha un’applicazione generale nel diritto amministrativo (si applica alla materia dei
contratti delle pubbliche amministrazioni, ma anche al procedimento e al provvedimento). La
giurisprudenza, inoltre, ha fatto più volte applicazione del principio di correttezza in fattispecie relative ad
attività sanzionatorie della pubblica amministrazione, a ordini del sindaco, a revoche di provvedimenti.
➢ Principio di libera concorrenza: il principio e le regole di libera concorrenza sono nati nel diritto
commerciale e valgono, in primo luogo, per le imprese. Il principio (= eguali ciance alle imprese efficienti
che intendono entrare o permanere in un mercato) si declina in varie regole. Vi sono norme comunitarie e
norme nazionali, che vietano le intese tra imprese che restringono la concorrenza, gli abusi di posizione
dominante e le concentrazioni che ostacolano sostanzialmente il gioco concorrenziale. Negli ultimi anni,
tuttavia, il principio di libera concorrenza è divenuto principio generale applicabile anche a soggetti
pubblici e a pubblici poteri. La norma più rilevante si ritrova nell’art. 119 TFUE, che obbliga le istituzioni
dell’Unione europea e gli Stati membri a conformarsi, nelle loro politiche economiche e nelle relative
regolazioni, al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Nel nostro paese, la
Costituzione stabilisce che i legislatori statali e regionali devono rispettare i vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario, tra i quali il principio di libera concorrenza (art. 117, comma 1, Cost.). E
attribuisce alla legislazione statale in via esclusiva la materia denominata “tutela della concorrenza” (art.
117, comma 2, lett. E, Cost.). Il principio di libera concorrenza vale per le amministrazioni pubbliche, anche
al di fuori della loro attività imprenditoriale. Anche la concorrenza, quindi, è divenuta canone generale
delle attività delle pubbliche amministrazioni, di natura sia privatistica che pubblicistica.
➢ La trasparenza come principio generale: il principio di trasparenza ha trovato grande sviluppo nel diritto
commerciale e nel diritto dell’economia. I rischi a certe azioni od obbligazioni devono essere chiaramente
evidenziati a tutela del “consumatore”. E il rispetto delle relative prescrizioni è posto sotto la vigilanza di
apposite autorità di regolazione, come la CONSOB. Recentemente, la trasparenza è divenuta principio
operante anche per le attività delle pubbliche amministrazioni. Anche il principio di trasparenza, che è
canone di diritto comune applicabile a soggetti privati e pubblici, per la pubblica amministrazione diviene
cogente sia in relazione all’attività privatistica che a quella pubblicistica.
Le funzioni dei principi:
Tre sono le funzioni principali dei principi giuridici:
1) Funzione interpretativa delle disposizioni → l’interprete legge le norme alla luce dei principi;
2) Funzione integrativa delle norme → se vi sono alcune lacune e queste non si possono colmare facendo
ricorso all’analogia, l’interprete e applicatore di norme fa ricorso ai principi;
3) Funzione limitativa del potere → contrappeso al potere pubblicistico della pubblica amministrazione.

Parte II
L’ORGANIZZAZIONE E IL PERSONALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Cap.III
L’organizzazione amministrativa

La problematica dell’organizzazione amministrativa:


Il diritto amministrativo nasce e si sviluppa attorno alla problematica dell’attività amministrativa.
La problematica dell’organizzazione amministrativa all’inizio resta dietro le quinte, essendo oggetto di analisi più
della scienza dell’amministrazione che degli studi di diritto amministrativo.
In Italia, l’attenzione degli studiosi del diritto amministrativo per l’organizzazione comincia a manifestarsi negli
anni Trenta del XX secolo, ma si sviluppa soprattutto nel secondo Novecento.
Vediamo ora le questioni giuridiche più rilevanti.
Pubblica amministrazione. Concetto e ambito:
Pubblica amministrazione può significare tanto l’attività amministrativa, quanto l’insieme degli apparati che la
svolgono. Qui, ci interessa il secondo aspetto.
Nell’età contemporanea, le amministrazioni pubbliche hanno assunto dimensioni grandissime e forme diverse, a
causa dell’aumento progressivo delle funzioni attribuite ai pubblici poteri a partire dalla fine del XIX secolo.
Le pubbliche amministrazioni non svolgono soltanto attività di cura concreta di interessi pubblici, ma anche attività
normativa e attività di tipo giudiziale.
Per inquadrare il concetto di pubblica amministrazione, si deve guardare al diritto positivo (art. 97 Cost.).
La legge ovviamente, regola anche i privati e i loro rapporti, ma assume un ruolo più pregnante in relazione alle
pubbliche amministrazione, e ai loro uffici, poiché provvede alla loro “organizzazione”. Spesso è la stessa legge
che istituisce le pubbliche amministrazioni. L’art. 97 Cost. evidenzia alcuni tratti caratteristici delle pubbliche
amministrazioni: l’organizzazione per legge, la quale sovente stabilisce la stessa istituzione delle amministrazioni
pubbliche; e il principio del concorso per il reclutamento.
Non offre una definizione generale di pubblica amministrazione, ma indica figure soggettive, she usualmente
denomina pubbliche amministrazioni, cui trovano applicazione norme sull’organizzazione, sull’impiego, sui
procedimenti, sui contratti, sulla spesa, sulla responsabilità, sulla giurisdizione.
Art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001: “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello
Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e
associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le
amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale
delle pubbliche amministrazioni.
Nell’ambito della disciplina, la procedura ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione dei contratti di appalto, il
codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture definisce come “amministrazioni aggiudicatrici”,
“le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di
diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti”. Inoltre,
introduce il concetto di “enti aggiudicatori” al fine di ricomprendervi non solo le amministrazioni aggiudicatrici,
ma anche le “imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche,
operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti”, ai
soli fini dell’applicazione della disciplina concernente i lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti
produttivi, si fa riferimento al concetto di “soggetto aggiudicatore”, che comprende le menzionate amministrazioni
aggiudicatrici, “nonché i diversi soggetti pubblici o privati assegnatari dei fondi, di cui al citato capo IV”.
Si tratta di definizioni soggettive “a maglie larghe”. Vi sono inclusi gli “organismi di diritto pubblico”.
“Organismo di diritto pubblico” = qualsiasi organismo, anche in forma societaria, che è istituito per soddisfare
specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”; dotato di
personalità giuridica; la sua attività è finanziata in modo maggioritario dalla Stato, dagli enti pubblici territoriali o
da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il suo
organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri dei quali più della metà è designata
dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”. Può essere un soggetto di natura
privatistica, purchè posto sotto il controllo di pubblici poteri.
Al livello comunitario non sussiste una nozione condivisa si amministrazione pubblica. Tuttavia, l’attuale art. 45
del TFUE stabilisce una deroga alla libertà di circolazione dei lavoratori per gli impieghi nella “pubblica
amministrazione”.
A fini contabili, il regolamento CE n. 2223/96, ha demandato agli Istituti nazionali di statistica (per l’Italia l’ISTAT)
il compito di predisporre annualmente l’elenco delle unità istituzionali che fanno parte del Settore “amministrazioni
pubbliche”. Secondo il regolamento citato, le unità istituzionali comprese nel settore delle amministrazioni
pubbliche sono:
a) gli organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel
fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita;
b) le istituzioni senza scopo di lucro, dotate di personalità giuridica, che agiscono da produttori di beni e
servizi non destinabili alla vendita, controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche;
c) i fondi pensione.
Alla giurisdizione della Corte dei conti, sono sottoposti soggetti pubblici considerati pubbliche amministrazioni o
loro dipendenti.
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Art. 100 e 103 Cost., includendovi anche figure soggettive di natura privata purchè siano stabilmente finanziate
dallo Stato o da altri enti pubblici anche territoriali, ovvero svolgano attività o servizi pubblici con risorse pubbliche
e nell’interesse dell’amministrazione.
Il codice del processo amministrativo, nello stabilire che alla giurisdizione del giudice amministrativo sono devolute
le controversie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti,
atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere posti in essere da
pubbliche amministrazioni, include tra queste ultime anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto
dei principi del procedimento amministrativo. Anche in tal caso, affiancati alla pubbliche amministrazioni, ci sono
soggetti che possono avere natura sia pubblica che privata.
Quindi:
da un punto di vista soggettivo e dell’organizzazione, è arduo pervenire ad una definizione unitaria di pubblica
amministrazione. Il dato comune è che ci si riferisce ad un complesso di strutture definite come pubbliche
amministrazioni dalla legge e da essa organizzate, individuabili in via residuale, in quanto estranee agli apparati
legislativi e giurisdizionali, se pur dotate talora di poteri normativi secondari e di poteri di tipo giudiziale. Tali
strutture si caratterizzano per la circostanza che ad esse si applicano determinati regimi giuridici consistenti, tra
l’altro: nella disciplina del rapporto di pubblico impiego, nella disciplina del procedimento amministrativo e del
procedimento ad evidenza pubblica per l’acquisizione di beni o servizi sul mercato, nella disciplina del controllo
contabile e del sindacato giurisdizionale della Corte dei conti, nella sottoposizione alla giurisdizione del giudice
amministrativo.
Le pubbliche amministrazioni in senso proprio (ministeri, agenzie amministrative, enti pubblici, autorità
indipendenti), sono soggette a tutti i regimi sopra menzionati.
Le società in partecipazione pubblica, sono soggette solo ad alcuni dei regimi giuridici sopra indicati, se ricorrono
talune condizioni.
Gli organismi di diritto pubblico, e altri soggetti aventi natura privata, sono sottoposti ancor più episodicamente ai
regimi giuridici che si sono evidenziati.
In conclusione, le figure soggettive di maggior rilievo oggi rientranti nell’ambito dlel epubbliche amministrazioni,
sono: i ministeri, le agenzie amministrative, gli enti pubblici, le società in partecipazione pubblica e le autorità
indipendenti.
I rapporti fra politica e amministrazione:
Nella separazione dei poteri, l’amministrazione pubblica p stata collocata nell’ambito dell’apparato e del potere
esecutivo. Ciò ha significato supremazia del governo, e dei ministri, sula pubblica amministrazione.
Gradualmente, si è avuta una progressiva autonomizzazione del potere amministrativo rispetto al potere esecutivo-
governativo. La ragione è semplice: aumentano le funzioni svolte dalle pubbliche amministrazioni (non più soltanto
funzioni d’ordine attribuite alle amministrazioni dello Stato liberale, ma anche funzioni di welfare, benessere
sociale, e quelle d’intervento dell’economia, fra ‘800 e ‘900).
Assumono quindi grande importanza e peso decisionale le strutture amministrative prima sottomesse ai ministri.
In seguito, la Costituzione repubblicana sembra quasi riassumere l’evoluzione precedente e fornisce
contestualmente due immagini del rapporto fra politica e amministrazione.
Da un lato, l’art. 95 Cost. sottolinea il ruolo essenziale della politica nei confronti dell’amministrazione (il
Presidente del Consiglio dei ministri mantiene l’unità d’indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e
coordinando l’attività dei ministri e i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri
e individualmente degli atti dei loro dicasteri).
Dall’altro lato, la Costituzione apre verso l’autonomia e la neutralità dell’amministrazione pubblica (norma sulla
riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici e sul principio di imparzialità della pubblica
amministrazione).
Nel periodo successivo all’entrata in vigore della Costituzione si è tentato un equilibrio fra indirizzo politico, da un
lato, e gestione amministrativa autonoma, dall’altro.
Tipologia delle figure soggettive:
La pubblica amministrazione si articola in diverse figure soggettive.
Alcune figure soggettive sono dotate di personalità giuridica; altre sono prive di personalità.
Sono comunque tutte figure soggettive, cioè centri di imputazione di relazioni giuridiche.
Nell’ambito di tali figure soggettive operano strutture che assumono l configurazione di uffici od organi, a seconda
che la loro azione sia meramente interna o abbia rilevanza esterna.
➢ I ministeri: le leggi cavourriane configurarono il ministero come un struttura uniforme e gerarchico-
piramidale. Tutti i poteri spettavano al ministro, che stava al vertice del suo dicastero. Sotto il ministro
stanno uffici meramente serventi. Dalla fine del XIX secolo, sono aumentate le funzioni attribuite alle
amministrazioni pubbliche e, in particolare, affidate ai ministeri. Essendo impossibile che il ministro si
occupasse direttamente di tante funzioni, i funzionari più elevati degli uffici ministeriali dello Stato
pluriclasse hanno ricevuto deleghe sempre più numerose e autonomia decisionale. La Costituzione ha
aperto all’autonomia della pubblica amministrazione. Negli anni Settanta del Novecento, avviene una
riforma della dirigenza amministrativa che attribuisce ai dirigenti specifiche competenze proprie. In tali
casi, le strutture amministrative da loro dirette non sono più meri uffici serventi del ministro, ma operano
come organi. Nella prima metà degli anni Novanta, si ha una riforma: al ministro spettano le sole funzioni
di indirizzo politico e di controllo della sua attuazione, mentre ai dirigenti vengono affidate tutte le funzioni
di gestione amministrativa. Gli uffici dirigenziali divengono organi a legittimazione generale. Alla fine
degli anni Novanta del XX secolo, si conferma la distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa
e si viene a stabilire un numero contenuto di ministeri (dodici). Il numero è variato in seguito, ma è ormai
affermato il principio secondo cui i ministeri non possono moltiplicarsi in funzione delle esigenze della
politica. Quanto all’organizzazione interna, i ministeri non sono più figure uniformi tra loro, come ai tempi
di Cavour. Gli uffici ministeriali di livello superiore (c.d. uffici dirigenziali generali) e relativi compiti sono
individuati con regolamento emanato da ciascun ministro. Gli uffici di livello immediatamente inferiore
(c.d. uffici dirigenziali non generali) e le rispettive funzioni sono individuati con decreto ministeriale di
natura non regolamentare. Vi sono due modelli ministeriali: i ministeri articolati in dipartimenti (i
dipartimenti sono strutture chiamate a svolgere funzioni concernenti grandi aree di materie omogenee; ai
dipartimenti è preposto un capo dipartimento, che svolge compiti di coordinamento, direzione e controllo
degli uffici dirigenziali generali che afferiscono al dipartimento stesso ed è responsabile dei risultati
raggiunti in attuazione degli indirizzi del ministro) e i ministeri articolati in direzioni generali ( le direzioni
generali sono strutture cui vengono affidati ambiti di materie tendenzialmente più ridotti rispetto a quelli
propri dei dipartimenti). Soltanto nei ministeri con direzioni generali è prevista la figura del segretario
generale: esso opera alle dirette dipendenze del ministro, assicura il coordinamento delle direzioni generali
e dell’azione amministrativa, provvede all’istruttoria per l’elaborazione degli indirizzi e dei programmi di
competenza del ministro (è il filtro fra politica e amministrazione). I ministri si avvalgono anche dei
viceministri, dei sottosegretari e degli uffici di diretta collaborazione. In conclusione, è definitivamente
superato il modello ministeriale cavourriano, che era uniforme e piramidale. Il ministro resta al vertice del
suo dicastero, ma c’è una distinzione di funzioni fra ministri e uffici ministeriali. Ai primi, spetta l’indirizzo
politico e la verifica della sua attuazione; ai secondi, la gestione amministrativa e l’adozione di tutti gli atti
e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno.
➢ Le agenzie amministrative: “agenzia” è un termine di derivazione anglosassone; non ha una connotazione
concettuale precisa. In Italia, il termine è stato utilizzato nella legislazione per denominare, in genere,
amministrazioni pubbliche dotate di funzioni tecnico-operative. Alla fine degli anni Novanta, si ha la prima
normativa organica sulle agenzie sono attribuite funzioni tecnico-operative e la nuova disciplina si occupa
solo delle agenzie d’interesse nazionale. Si distinguono un modello generale (godono di autonomia, ma
sono sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza di un ministro. Vi è preposto un direttore generale, di
nomina governativa. Con regolamento sono adottati gli statuti delle agenzie, che devono tra l’altro: a)
definire le attribuzioni del direttore generale; b) individuare i poteri ministeriali di vigilanza, che devono
comunque comprendere l’approvazione dei programmi di attività dell’agenzia, dei bilanci preventivi e dei
rendiconti, l’emanazione di direttive; c) de finire gli obiettivi attribuiti all’agenzia tramite convenzione tra
la stessa agenzia e il ministro di riferimento; d) determinare un’organizzazione rispondente alla esigenze di
speditezza, efficienza ed efficacia. In realtà “pseudo-statuti”: manca una piena autonomia statutaria,
essendo atti proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai ministri competenti e adottati con
regolamento governativo) e un modello speciale di agenzie (ricevono una regolazione derogatoria rispetto
a quella relativa al modello generale. Vi rientrano le agenzie fiscali. È previsto un atto di indirizzo del
ministro dell’economia e delle finanze sugli sviluppi della politica fiscale. Su questa base intervengono
convenzioni fra il ministro e ciascuna agenzia speciale che fissano: gli obiettivi da raggiungere; le direttive
generali; le strategie per il miglioramento; le modalità di vigilanza sull’operato dell’agenzia. Al ministro
dell’economia e delle finanze spettano poteri di “alta vigilanza”. Gli atti generali delle agenzie sono
sottoposti alla sua approvazione. Gli atti di gestione sono sottratti al controllo ministeriale preventivo. Le
agenzie fiscali hanno personalità giuridica di diritto pubblico. L’Agenzia del demanio è ente pubblico
economico. Il direttore di queste agenzie è di nomina governativa e dura in carica tre anni: deve soddisfare
requisiti soggettivi di alta professionalità, capacità manageriale. Qualificata esperienza. A tali agenzie del
modello speciale viene riconosciuta autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa,
contabile e finanziaria e autonomia statutaria effettiva. I limiti della prassi: la figura organizzativa delle
agenzie amministrative è stata utilizzata senza dare sufficiente rilievo all’autonomia, che è chiara nel
disegno legislativo. Nella realtà concreta, dunque, si sono molto attenuate le differenze con la figura del
ministero.
➢ Gli enti pubblici: fino al Novecento gli enti pubblici erano quasi esclusivamente enti territoriali (Stato,
comuni, province). Dall’inizio del Novecento cominciano a svilupparsi enti politici che perseguono tutti
gli interessi pubblici che si manifestino all’interno del loro territorio; i secondi sono monofunzionali: curano
cioè solo un interesse pubblico. In età giolittiana nasce l’Istituto nazionale delle assicurazioni (INA) per
gestire le assicurazioni sulla vita. Il fascismo espande gli enti pubblici funzionali (fra gli altri, l’ISTAT e
l’INPS). Gli enti pubblici territoriali sono ormai oggetto di studio del diritto costituzionale. L’aspetto degli
enti territoriali di maggior rilievo per il diritto amministrativo è quello che concerne le funzioni
amministrative di tali enti. Le funzioni amministrative sono, di regola, attribuite ai Comuni. Possono,
tuttavia, essere conferite, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, a Province, Città metropolitane, Regioni
e Stato in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 118 Cost.). Gli enti territoriali
divengono titolari di funzioni amministrative soltanto in virtù di leggi che conferiscono concretamente le
relative competenze. Oggetto proprio del diritto amministrativo sono gli enti pubblici funzionali. Si
distinguono enti pubblici economici (sono persone giuridiche e gestiscono imprese, in via esclusiva o
principale. Gli atti che adottano, sono atti negoziali. Il rapporto di lavoro è privatistico e le relative
controversie rientrano nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario come giudice del lavoro. La
figura organizzativa dell’ente pubblico economico è entrata in crisi a seguito della crescente importanza
acquisita dal diritto comunitario. Innanzitutto, le entrate degli enti pubblici economici si sono basate
essenzialmente su finanziamenti pubblici. Tale circostanza ha posto problemi di compatibilità con la
normativa comunitaria che vieta gli aiuti di Stato idonei ad alterare la concorrenza. I trattati comunitari
sono indifferenti alla distinzione fra mano pubblica e mano privata delle imprese: l’ordinamento
sovranazionale lascia impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri. L’importante è che
si rispettino le regole di libera concorrenza. Ma la giurisprudenza comunitaria ha mostrato un favor per
l’impresa privata. La crisi ha portato, negli anni Novanta del Novecento, ad una stagione di privatizzazioni.
Si distinguono privatizzazioni a)formali, cioè la trasformazione dell’ente pubblico economico in società
per azioni, che può però rimanere integralmente in mano pubblica e b) sostanziali, che comportano il
passaggio totale o parziale dell’impresa dalla mano pubblica alla mano) e non economici (sono la specie di
enti pubblici di maggior rilievo per il diritto amministrativo; sono assoggettati a discipline eterogenee.
Nonostante le eterogeneità, possono evidenziarsi alcuni tratti comuni: sono persone giuridiche di diritto
pubblico, disciplinate da norme derogatorie rispetto alle regole civilistiche su associazioni, fondazioni e
società. Il perseguimento di un fine pubblico non è sufficiente a qualificare un’entità giuridica come ente
pubblico. La giurisprudenza ha elaborato una serie di indici di riconoscimento dell’ente pubblico:
perseguimento di fini pubblici; titolarità di poteri autoritativi; istituzione da parte dello Stato o di altro ente
pubblico; percezione di contributi pubblici; assoggettamento al controllo di pubblici poteri. Sono
usualmente previsti: un consiglio di amministrazione, talora un comitato esecutivo, un presidente, un
collegio di revisori.
➢ Le società in partecipazione pubblica: L’impresa gestita da soggetti pubblici ha dapprima assunto la
forma dell’amministrazione autonoma dello Stato (o del Comune); in seguito, ha prevalso la figura dell’ente
pubblico economico; poi, la figura della società in partecipazione pubblica è divenuta prevalente, venendo
a costituire la principale manifestazione del c.d. Stato imprenditore (le Ferrovie dello Stato e le Poste
italiane sono esempi di imprese che hanno attraversato tutte e tre le fasi). Quanto alla natura giuridica, la
società in partecipazione pubblica è persona giuridica di diritto privato, regolata essenzialmente dalle norme
del codice civile. Vi sono però diverse deroghe al regime civilistico. Nelle società che gestiscono servizi
pubblici, lo statuto può prevedere la c.d. golden share (un’azione che ha come titolare il ministro di
riferimento, che spetta indipendentemente dalla portata della partecipazione pubblica e comporta poteri
rilevanti). La Corte di giustizia delle Comunità europee ha ritenuto la golden share incompatibile con l’art.
56 TCE (ora art. 63 TFUE), che stabilisce il divieto di restrizioni ai movimenti di capitali, perché può
incidere su scalate azionarie transnazionali. Secondo la Corte di giustizia, la golden share consente un
controllo pubblico sproporzionato rispetto alla partecipazione azionaria del governo nella società. Gli Stati
hanno reagito stabilendo limitazioni all’operatività della golden share. Altri tipi di controlli ministeriali
sull’attività delle società in partecipazione pubblica. Spesso tali controlli sono “contrattualizzati”: nel senso
che vengono stipulati contratti di programma tra impresa e ministro, che stabiliscono, fra l’altro, l’ambito
e le modalità della vigilanza governativa. Ulteriore profilo derogatorio è la giurisprudenza della Corte
costituzionale ha chiarito che, finchè la partecipazione pubblica è prevalente, vale il controllo della Corte
dei conti sulla gestione finanziaria. Infine, esiste una giurisprudenza amministrativa, e anche costituzionale,
che ha considerato come enti pubblici società a partecipazione pubblica integrale. Varie conseguenze: tra
l’altro, sul piano costituzionale, la competenza legislativa affidata in via esclusiva allo Stato, in materia di
ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Il c.d. affidamento
“in house” consiste in: le società interamente partecipate da enti locali, se sottoposte a un controllo
“analogo” a quello esercitato sugli uffici dell’ente medesimo, e se prive di “vocazione commerciale”
(perché non operano al di fuori del territorio locale), possono ricevere affidamenti di servizi pubblici locali
senza gara. Il legislatore intervenuto in materia e, tra l’altro, ha limitato la possibilità di ricorrere
all’affidamento in house ai casi in cui il valore economico del servizio non superi una determinata soglia
di valore. Al fine di evitare l’elusione di tale limite, la legge ha poi vietato di procedere al frazionamento
del servizio. Rapporti fra politica e società in partecipazione pubblica: queste ultime tendono ad uscire
dall’ambito della pubblica amministrazione quando la presenza pubblica diviene minoritaria, ma vi
rientrino (pur avendo natura privatistica) finchè tale presenza resta maggioritaria (in tal caso, siamo sempre
nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e si pone il problema del rapporto fra politica e
amministrazione). Vi è certamente un’ampia autonomia di queste società rispetto alla politica. In ogni caso,
i poteri ministeriali non si esprimono con atti pubblicistici, ma con strumenti negoziali che tuttavia possono
essere molto incisivi.
➢ Le autorità indipendenti: i principali tratti caratterizzati delle amministrazioni pubbliche denominate
autorità indipendenti, sono a) l’elevata expertise tecnica (per le autorità indipendenti le conoscenze tecniche
devono essere particolarmente elevate, poichè non si tratta di compiti solo operativi, come per le agenzie,
ma di complesse funzioni regolatorie o quasi-giudiziali) b) l’estraneità sostanziale rispetto all’indirizzo
politico e al controllo dell’esecutivo (è essenzialmente indipendenza dal potere governativo). Non esiste un
modello omogeneo di autorità indipendenti: esse si sono sviluppate là dove serviva. Pag.91. Il diritto
comunitario ha dato un contributo rilevante allo sviluppo della figura delle autorità indipendenti. Il TFUE
dispone: “nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente
trattato e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale
né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni,
dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stato membri né da qualsiasi altro organismo.
Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a
rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca
centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”. Le banche centrali
nazionali sono indipendenti dai rispettivi governi. In materia di comunicazioni elettroniche, le direttive
comunitarie del 2002 hanno stabilito che gli Stati membri devono avvalersi di autorità di regolazione
indipendenti. L’indipendenza vale nei confronti delle imprese regolate, che forniscono reti e/o servizi di
comunicazioni elettroniche, dunque nei confronti del mercato; vale anche nei confronti del governo se
quest’ultimo conserva la proprietà o il controllo di imprese sottoposte a regolazione. Ora le nuove direttive
sulle comunicazioni di regolazione sia dal mercato che dal governo, a prescindere dall’assetto azionario
pubblico o privato. Analoga soluzione è adottata dalle nuove direttive nei settori dell’energia elettrica e del
gas. In materia di antitrust, il regolamento comunitario n. 1/2003 (sulle intese restrittive tra imprese e sugli
abusi di posizione dominante) ha previsto che le autorità nazionali di concorrenza sono o amministrazioni
pubbliche o giudici. Dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 1/2003, è stato costituito lo European
Competition Network (la rete europea di concorrenza formata dalla Commissione e dalle autorità antitrust
degli Stati membri). Di un caso di intesa o di abuso possono occuparsi o la Commissione oppure una o più
autorità nazionali di concorrenza. Competente a decidere può essere un’autorità nazionale, ma il relativo
procedimento viene “messo in rete”, nel senso che le informazioni circolano fra le varie autorità antitrust.
Non esiste nell’ordinamento comunitario un principio di regolazione indipendente, ma le materie in cui
questa si è affermata maggiormente (banche, comunicazioni elettroniche, energia, concorrenza) sono di
grande rilevanza, perché si tratta di materie orizzontali (che attraversano tutti i settori economici e
interessano tutte le attività imprenditoriali). Le autorità indipendenti hanno avuto supporti importanti anche
nelle discipline internazionali dell’economia. Come si è detto, non esiste un modello generale di autorità
indipendenti. Anche all’interno dello stesso paese, le differenze fra autorità indipendenti sono notevoli.
Esistono, però, alcuni tratti comuni: 1) si tratta di regolare territori sensibili nei quali esistono diritti
fondamentali; 2) status di indipendenza è indipendenza dall’esecutivo, dal governo, dall’indirizzo politico.
Ed è anche sottrazione alla vigilanza governativa. Pag.95-96
In ragione dell’indipendenza e dell’alta expertise tecnico- professionale di queste autorità, il sindacato
giurisdizionale sui provvedimenti da esse adottati è talora “debole”. Ma questa non è una tendenza
generalizzabile: in Italia, il giudice amministrativo, competente in via esclusiva a giudicare dei
provvedimenti delle autorità indipendenti, ha chiarito che il controllo giudiziale è pieno sui fatti e sul
rispetto del procedimento; sulle c.d. valutazioni tecniche complesse il giudice può verificare l’errore
tecnico, ma non può sostituirsi all’amministrazione.
Organi e uffici:
Le figure soggettive (di cui si è parlato) si articolano in uffici.
Gli uffici si distinguono in:
a) meri uffici → svolgono attività che hanno una rilevanza solo interna alle figure soggettive;
b) uffici-organi → compiono atti idonei a manifestare verso l’esterno gli strumenti attraverso i quali agiscono
le persone giuridiche.
Con la conseguenza che nella rappresentanza gli stati soggettivi, come l’errore, la colpa, il dolo, si imputano al
rappresentante, mentre, nel caso dell’ufficio-organo, si imputano non a questo, ma all’ente per il quale l’organo
opera.
La responsabilità civile per i danni a terzi ricade sia sugli agenti che li hanno provocati sia sulla pubblica
amministrazione.
L’ordinamento giuridico, tuttavia, può prevedere che il meccanismo dell’ufficio-organo sia utilizzato anche da
figure soggettive che sono prive di personalità giuridica, ma sono dotate di una soggettività, o legittimazione,
propria. Ad esempio, un ministero (un’autorità amministrativa indipendente, che non ha personalità giuridica, adotta
decisioni con rilevanza esterna usualmente tramite l’organo collegiale di vertice).
Agli uffici-organi sono preposti titolari di diversa natura.
Se il preposto è una singola persona fisica, si è in presenza di un organo monocratico.
Se il preposto è un collegio, si ha un organo collegiale (sono, di regola, collegiali gli organi consultivi, gli organi
che formulano giudizi, gli organi chiamati ad esprimere valutazioni tecniche complesse, gli organi che hanno la
funzione di comporre interessi potenzialmente configgenti. Gli organi collegiali seguono procedimenti molto
formalizzati per l’adozione delle loro decisioni. Le norme procedurali in parte comuni in parte diverse da collegio
a collegio, riguardano: la convenzione e la fissazione dell’ordine del giorno, il numero legale per la validità
dell’adunanza, le maggioranze richieste per la validità delle deliberazioni (!la regola del numero legale non si
applica ai c.d. collegi perfetti, che richiedono la presenza di tutti i componenti).
Il titolare professionale presta un’opera retribuita e continuativa presso la figura soggettiva di appartenenza.
Il titolare onorario svolge le sue funzioni a titolo gratuito, ovvero, se remunerato, riceve di regola un’indennità e
non una retribuzione.
Il titolare dell’ufficio è legato alla figura soggettiva di appartenenza da:
a) rapporto di servizio → è un rapporto di tipo patrimoniale e riguarda essenzialmente la remunerazione per
le prestazioni fornite dal titolare dell’ufficio;
b) rapporto d’ufficio → è un rapporto di tipo funzionale.
Nel caso degli uffici-organi, il rapporto d’ufficio è quello che concerne l’ordine delle imputazioni delle fattispecie
giuridiche, consentendo al titolare dell’organo di imputare atti ed effetti in capo alla figura soggettiva di
appartenenza.
Rapporti organizzativi: gerarchia, direzione, controllo, coordinamento:
Gli enti pubblici non economici o le agenzie amministrative sono sottoporti a controlli esercitati da misteri.
Le autorità indipendenti sono sottratte a direttive e controlli del governo e di singoli ministeri.
Quanto ai rapporti organizzativi tra uffici, si possono distinguere:
a) gerarchia → è un rapporto che corre tra un ufficio sopraordinato e un ufficio sottordinato e tra i rispettivi
titolari. È, dunque, una relazione organizzativa tra uffici e riguarda le persone fisiche solo in quanto titolari
di quegli uffici. Vi è un potere d’ordine, vincolante. Tuttavia ci sono dei limiti: se il titolare dell’ufficio
sottordinato ritiene palesemente illegittimo l’ordine impartito dal titolare dell’ufficio sopraordinato “deve
farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni”. Inoltre, il potere di annullamento
d’ufficio; il potere di decisione dei ricorsi gerarchici, proposti all’ufficio sopraordinato attraverso atti
adottati dall’ufficio sottordinato; il potere di controllo; il potere di sostituzione e di avocazione;
b) direzione → il rapporto organizzativo di direzione è caratterizzato da una sopraordinazione attenuata
rispetto alla gerarchia. L’ufficio sopraordinato ha un potere non di ordine, ma di direttiva, nei confronti
dell’ufficio sottordinato. L’ufficio sottordinato, usualmente, può discostarsi dalla direttiva, dandone
adeguata motivazione. Nei rapporti di direzione non vale il potere di avocazione né, di regola, il potere di
sostituzione. Valgono, invece, i poteri di controllo;
c) controllo → poteri di controllo sono attribuiti agli uffici sopra ordinati nei confronti degli uffici sottordinati,
sia nella gerarchia che nella direzione. Sotto questo profilo, tali poteri costituiscono un elemento di un
rapporto organizzativo di sopraordinazione. Al tempo stesso, vi sono rapporti di controllo in cui non corre
un rapporto di sopraordinazione. L’organismo di controllo può essere esterno rispetto alla struttura
controllata; oppure interno alla struttura controllata ed usualmente è ad essa equiordinato. La disciplina più
rilevante in materia di controlli amministrativi, quella contenuta nel d.lgs. n. 286/1999. Tale disciplina
distingue diversi tipi di controllo. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile (finalizzato a
garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa); il controllo di gestione (tende
a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche
mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati); la valutazione della dirigenza
(ha ad oggetto le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale); il controllo strategico (valuta
l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di
determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi
predefiniti);
d) coordinamento → consiste nel realizzare forme di collegamento e di armonizzazione delle attività svolte
da strutture diverse per il perseguimento di fini comuni. Il coordinamento po’ costituire un elemento dei
rapporti organizzativi di sopraordinazione. L’ufficio dotato di poteri gerarchici, o di direzione, può anche
coordinare l’attività degli uffici sottordinati. Il coordinamento può anche intervenire tra strutture
equiordinate. In tal caso, possono aversi organi collegiali di coordinamento o modelli procediemntali.

Cap.IV
Il personale delle pubbliche amministrazioni

Gli impiegati: le trasformazioni del rapporto di lavoro:


Fino alla fine dell’Ottocento, il rapporto era di natura privatistica, regolato dal codice civile.
Le controversie erano decise dal giudice ordinario.
Tra la fine del secolo e l’inizio del Novecento, vi è stata una progressiva “pubblicizzazione” del rapporto d’impiego
presso le amministrazioni.
La natura privatistica si è trasformata in pubblicistica. Gli atti più rilevanti del rapporto fra amministrazione pubblica
e impiegato. Sono stati configurati non come atti negoziali, ma come provvedimenti amministrativi unilaterali.
La competenza giurisdizionale è in gran parte passata al giudice amministrativo. Nel 1923, la giurisdizione
amministrativa sulle controversie relative al pubblico impiego è divenuta esclusiva.
Il regime pubblicistico si è rafforzato progressivamente.
Il testo unico del 1957 sugli impiegati civili dello Stato, ha consolidato ulteriormente la specialità delle norme.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta del XX secolo, si ha una nuova trasformazione, una graduale
“privatizzazione” (ritorno alla configurazione privatistica) del rapporto d’impiego presso le pubbliche
amministrazioni.
Innanzitutto, le organizzazioni sindacali si sono occupate con sempre maggior impegno del lavoro dei pubblici
dipendenti: il che ha fatto emergere con forza il problema dell’eguaglianza fra lavoro presso datori pubblici e lavoro
presso datori privati.
Al rafforzamento della contrattazione collettiva, si è poi aggiunto un percorso legislativo rilevante, nel senso della
“privatizzazione” e della “contrattualizzazione” del rapporto di impiego pubblico. Negli anni Ottanta del Novecento
la cosiddetta “legge quadro” sul pubblico impiego ha formalizzato la regolazione dei contratti collettivi, assegnando
loro una portata ancora piuttosto limitata.
La vera e propria svolta si è avuta negli anni Novanta, con il d.lgs. n. 29/1993: la contrattazione collettiva è divenuta
la fonte principale di regolazione del rapporto di impiego presso le amministrazioni pubbliche; la gran parte delle
controversie è passata alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, come giudice del lavoro.
La normativa attuale sugli impiegati:
La natura giuridica del rapporto di impiego presso le pubbliche amministrazioni è privatistica; è regolato dal codice
civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, dal d.lgs. n. 165/2001 e della contrattazione
collettiva.
Gli atti principali nei quali il rapporto di impiego pubblico si articola hanno negoziale. Anche i dirigenti sono stati
“privatizzati”.
Soltanto la fase preliminare all’instaurazione del rapporto di impiego, quella del concorso pubblico per il
reclutamento, conserva una natura pubblicistica. Mantengono natura pubblicistica anche i rapporti d’impiego di
determinate categorie di personale (magistrati ordinari, amministrativi e contabili; avvocati e procuratori dello Stato;
personale militare e delle forze di polizia di Stato; personale della carriera diplomatica e prefettizia; i funzionari di
autorità indipendenti; professori universitari. Per questi profili continua a dominare il diritto amministrativo).
Non mancano deroghe anche per il personale “privatizzato”.
Può dirsi che siamo di fronte non già al diritto amministrativo, ma a un diritto speciale del lavoro.
Non è applicabile l’istituto civilistico della promozione per svolgimento di fatto di mansioni superiori a quelle della
qualifica assegnata.; valgono regole peculiari per la contrattazione collettiva: sono previste procedure ad hoc; vi è
un’apposita agenzia che cura la negoziazione per le diverse amministrazioni pubbliche; è previsto il controllo della
Corte dei conti sulla spesa destinata al personale.
L’esercizio del diritto di sciopero è sottoposto a specifiche limitazioni quando si tratta di servizi pubblici essenziali.
Alla privatizzazione segue la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro. Questi ha
pienezza di poteri nei confronti degli atti negoziali dell’amministrazione; può annullare o anche modificare gli atti
dell’amministrazione datore di lavoro. La legge stabilisce che il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti
tutelati. Si limita alla disapplicazione quando si tratta di provvedimenti amministrativi che incidono direttamente
sul rapporto di lavoro.
Al giudice ordinario sono anche devolute le controversie relative ai comportamenti antisindacali
dell’amministrazione e le controversie sulle procedure di contrattazione collettiva promosse dalle organizzazioni
sindacali, dall’ARAN o da pubbliche amministrazioni.
Il giudice ordinario cede il passo al giudice amministrativo solo in presenza di controversie relative alle categorie
speciali di personale o ai concorsi di reclutamento, che riguardano tutti i dipendenti.
Il d.lgs. n. 150/2009 ha introdotto diverse modifiche alla disciplina del pubblico impiego; prevede che la forza
derogatrice dei contratti collettivi rispetto alle disposizioni di legge non opera più salvo che la legge non disponga
espressamente in senso contrario, ma è riconosciuta soltanto qualora ciò sia previsto espressamente dalla legge. È
dunque, necessaria una previsione legislativa esplicita, volta per volta, che consenta la deroga per via di
contrattazione collettiva.
Inoltre, alcune materie sono state esplicitamente sottratte alla contrattazione collettiva.
Il legislatore ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene definito il trattamento
economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni
nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, stabilendo come
parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione.
I dirigenti. L’evoluzione delle formule normative:
Storicamente vi sono state tre formule che si sono succedute nella legislazione in materia di dirigenti dello Stato e
che hanno definito il rapporto tra questi ultimi e gli organi politici.
1) La prima formula è stata introdotta dalla legislazione cavourriana sui ministeri. Tutte le funzioni decisionali
erano concentrate nel ministro. Ai dirigenti spettavano meri uffici interni coadiutori del ministro. Il rapporto
organizzativo intercorrente fra ministro e dirigente era di stretta gerarchia. Questa formula è durata fino
agli anni Settanta del Novecento. Con l’amministrazione Crispi, i dirigenti, hanno cominciato a emergere.
Con Giolitti, l’amministrazione è cresciuta ancor di più e accanto al ministero si sono sviluppate nuove
figure soggettive, come le amministrazioni autonome e gli enti pubblici. Negli anni Trenta, i direttori
generali dei ministeri hanno acquisito forti poteri decisionali e con l’espansione degli enti pubblici è
diminuita l’influenza della politica sull’amministrazione. La tendenza è proseguita nel periodo successivo
alla seconda guerra mondiale;
2) La seconda formula normativa è intervenuta con la riforma della dirigenza degli anni Settanta del XX
secolo. Alcune competenze sono state per legge affidate ai dirigenti, per l’adozione di determinati
provvedimenti ed entro certe soglie di valore. Il ministro, non ha più poteri di ordine, ma di direttiva;
conserva però la potestà di avocare a sé le competenze. In altri termini, vi è ancora gerarchia, ma attenuata
rispetto alla formula precedente. Gli uffici dirigenziali divengono organi aventi rilevanza esterna. Vi sono
tre qualifiche dirigenziali: dal basso verso l’alto, primo dirigente, dirigente superiore e dirigente generale.
Si può essere dirigenti di ruolo, di carriera, o dirigenti per incarico. La seconda formula è stata quasi un
fallimento. Il che per diverse ragioni: i ministri non hanno adottato direttive, il personale di fiducia dei
ministri, inserito nei gabinetti, ha compresso le sfere di autonomia decisionale dei dirigenti, gli enti pubblici
si sono dati regole diverse sui dirigenti.
La disciplina attuale della dirigenza pubblica:
3) La terza formula è stata introdotta dal d.lgs. n. 29/1993 (ora refluito nel d.lgs. n. 165/2001). Tale formula
si basa sulla distinzione fra indirizzo politico e controllo sulla sua attuazione, da un lato, e gestione
amministrativa, dall’altro. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo,
definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di
tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli
indirizzi impartiti. Atti di competenza degli organi di governo: le decisioni in materia di atti normativi; la
definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali; l’individuazione delle risorse umane,
materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità; la definizione dei criteri generali in
materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi; le
nomine, designazioni e atti analoghi. Ai dirigenti, invece, spetta l’adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione
finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse
umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della
gestione e dei relativi risultati. Per le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano
direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica; esse adeguano i propri ordinamenti al
principio della distinzione tra indirizz e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall’altro. La regola
dell’adeguamento vale per molti enti pubblici funzionali.
Dunque, dalla gerarchia piena della prima formula, si passa alla gerarchia attenuata dalla seconda formula,
per giungere al rapporto di direzione della terza formula.
Le qualifiche dirigenziali da tre diventano due: la qualifica iniziale è quella di dirigente; la qualifica
superiore è quella di dirigente generale.
Per quanto riguarda le funzioni dirigenziali e gli incarichi: tre tipologie di funzioni dirigenziali (a seconda
dell’importanza degli uffici cui gli incaricati vengono preposti): 1) incarichi di segretariato generale e di
direzione di strutture articolate in più uffici dirigenziali generali; sono gli incarichi c.d. apicali, conferiti
con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta
del Ministro competente; 2) incarichi di direzione di uffici di livello dirigenziale generali; sono conferiti
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a funzionari
con qualifica di dirigente o ad esterni con particolari requisiti; 3) incarichi di direzione di altri uffici
dirigenziali, conferiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale a funzionari con la qualifica
di dirigente assegnati al suo ufficio, o, ancora una volta, ad esterni.
Tutti gli incarichi sono a tempo determinato.
La legge del 2002 ha stabilito una durata massima si tre anni per gli incarichi apicali e per gli incarichi di
direzione di uffici dirigenziali di livello generale. E una durata massima di cinque anni per gli altri.
In secondo luogo, la legge del 2002 ha disposto per gli incarichi dirigenziali apicali, e per gli incarichi ad
esterni, l cessazione decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al governo; e per gli incarichi di idrezione
di uffici dirigenziali generali allora in essere la cessazione al sessantesimo giorno dalla data di entrata in
vigore della stessa legge n. 145/2002.
Sono meccanismi di spoils system (sistema delle spoglie), in base ai quali alcuni incarichi dirigenziali
terminano al mutare dei governi o comunque prima della scadenza naturale.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che prevedeva il c.d. spoils system una
tantum automatico (cioè la cessazione degli incarichi dirigenziali generali al sessantesimo giorno
dall’entrata in vigore della legge del 2002).
La Corte ha ritenuto che tale meccanismo viola il principio di continuità e di buon andamento dell’azione
amministrativa previsto dall’art. 97 Cost.
La revoca delle funzioni dirigenziali può esser conseguenza soltanto di un’accertata responsabilità
dirigenziale in presenza di determinati presupposti e salve adeguate garanzie procedimentali.
In definitiva, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, lo spoils system può riguardare solo gli
incarichi apicali e gli incarichi comunque caratterizzati da un rapporto di fiduciari età con l’organo politico.
Di recente, però, è intervenuto nuovamente sullo spoils system il legislatore, tramite norme contenute in
disposizioni finalizzate alla stabilizzazione finanziaria. Le nuove norme prevedono che, con decisione
largamente discrezionale legata a motivate esigenze organizzative, si possa disporre il passaggio dei
dirigenti, di qualunque qualifica, ad altro incarico prima della scadenza dell’incarico in corso.
In conclusione, l distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa, che caratterizza la terza
formula dei rapporti tra organi politici e dirigenti, permane nel nostro ordinamento, ma è sottoposta ai rischi
di una sovrabbondanza turbativa politica.

Parte II
L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Cap. V
Tipologia delle attività e situazioni soggettive

Tipologia delle attività amministrative:


Le pubbliche amministrazioni agiscono con modalità, strumenti e fini diversi, ponendo in essere differenti tipi di
azione amministrativa:
- attività di funzione pubblica;
- attività di gestione o di controllo di servizi pubblici;
- attività d’impresa;
- attività di regolazione dei mercati.

Due tipi principali di attività amministrativa, sono:


1) Attività pubblicistica e autoritativa → è quella tradizionalmente tipica delle pubbliche amministrazioni; è
la puissance publique. Questa attività si esprime attraverso l’adozione di quei particolari strumenti d’azione
che sono i provvedimenti amministrativi. Tale attività è soggetta anche a principi giuridici generali che
trovano le loro radici nel diritto privato e comune: la buona fede, la correttezza, la libera concorrenza, la
trasparenza;
2) Attività privatistica e consensuale → si pone in essere tramite l’adozione di strumenti pattizi: la stipulazione
di contratti, di convenzioni, di accordi e di altri moduli consensuali. È attività ampiamente regolata dal
diritto privato, sia pure con l’impiego di alcune misure di diritto amministrativo.
Funzioni pubbliche e servizi pubblici:
Il concetto di “funzione” assume significati diversi:
• un’attività che è giuridicamente rilevante nel suo complesso; è quel che si verifica quando una determinata
attività viene “procedimentalizzata (cioè, un’attività comporta la sottoposizione di tutti i suoi elementi a
controllo);
• funzione amministrativa; è l’insieme delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni aventi carattere
di funzioni nel senso prima esposto;ù
• funzione pubblica; tale nozione si è consolidata tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quando
è sorta la distinzione fra “pubbliche funzioni” (= le attività della pubblica amministrazione finalizzate a
dettare prescrizioni) e “servizi pubblici” (= quelle attività, svolte o controllate da pubbliche
amministrazioni, finalizzate a fornire prestazioni ai cittadini). Il concetto di funzione pubblica ha anche una
rilevanza penalistica. Chi esercita una pubblica funzione è pubblico ufficiale, coperto da una particolare
tutela penale e sottoposto ad una particolare responsabilità penalistica al tempo stesso. L’attività di servizio
pubblico consta essenzialmente di prestazioni e non di prescrizioni. In ciò si distingue dalla “funzione
pubblica” in senso stretto. Il termine “service public” emergeva dalla dottrina e dalla giurisprudenza
francesi già in periodo medievale, ma il relativo concetto giuridico si affermò agli esordi del XX secolo.
La dottrina francese introdusse dopo alcuni anni una distinzione. Il servizio pubblico di tipo amministrativo
(erogato usualmente da una pubblica amministrazione; è soggetto a norme pubblicistiche); oppure di tipo
economico (gestito da un’impresa privata o pubblica, in partecipazione totale o parziale dello Stato o di
enti locali; è soggetto a norme privatistiche). In ogni caso, tutti i tipi di servizi pubblici sono sottoposti ad
alcune regole e principi pubblicistici: continuità, eguaglianza, adeguamento, poteri di espropriazione o di
certificazione. La distinzione fra servizi pubblici di tipo imprenditoriale e altri servizi pubblici, di natura
amministrativa o sociale, è penetrata, tra l’altro, nel sistema giuridico italiano e in quello dell’UE.
È emerso, nel sistema giuridico europeo, il concetto di servizio universale (che trova applicazione ad
alcune attività economiche riconducibili alla sfera dei servizi pubblici imprenditoriali, dal quale discendono una
serie di obblighi di fornire il servizio su tutto il territorio nazionale a prezzi contenuti e abbordabili).
Negli ultimi anni i servizi imprenditoriali nazionali hanno sviluppato un modello basato su alcuni elementi
di fondo: la gestione affidata a operatori privati, l’applicazione delle regole del mercato e delle concorrenza,
i rapporti fra utenti e gestori fondati sempre più sul diritto privato, l’applicazione delle regole del mercato
e della concorrenza, i rapporti fra utenti e gestori fondati sempre più sul diritto privato, la regolazione
neutrale, assicurata da apposite autorità amministrative indipendenti.
In questi casi, le garanzie degli utenti dei servizi sembrano essersi potenziate.
Diverso è il caso dei servizi imprenditoriali nazionali affidati a soggetti ancora fortemente legati alla sfera
pubblica e non sottoposti alla regolazione indipendente
Alcuni servizi imprenditoriali locali soffrono ancora per l’eccessiva incidenza politica degli enti locali sulle
imprese pubbliche di gestione, per l’ampia diffusione di affidamenti diretti cosiddetti in house, senza gara,
e per la grande estensione dei regimi di esclusiva.
Di recente, il legislatore è intervenuto in materia, introducendo limiti alla possibilità per gli enti locali di
ricorrere all’affidamento in house (ammesso solo nei casi in cui il valore economico del servizio non superi
una determinata soglia).
I servizi c.d. amministrativi o sociali (come l’istruzione, l’assistenza e diversi settori della sanità) restano
essenzialmente al di fuori delle logiche e delle regole di mercato, almeno nell’Unione europea.
Alcune discipline internazionali tendono invece a “mercatizzare” anche alcuni servizi amministrativi o
sociali, come l’istruzione e la sanità. È giusto, come si fa nell’Unione europea, porre limiti alle regole di
mercato quando si tratta di tipi di servizi legati all’elemento sociale.
Ma l’eccessiva burocratizzazione vanifica fortemente l’effettività dei diritti degli utenti.
La definizione di servizio pubblico ha dato luogo a molti dibattiti:
a) nozione soggettiva → diviene servizio pubblico un’attività di prestazione nel momento in cui essa è
assunta in mano pubblica. Quel che conta è l’assunzione da parte di un soggetto pubblico, la titolarità
soggettiva, indipendentemente dalle caratteristiche oggettive dell’attività assunta, purchè sia attività di
prestazione;
b) nozione oggettiva → un’attività di prestazione che presenta determinate caratteristiche oggettive, a
prescindere dalla titolarità soggettiva: può essere gestita da soggetti privati o pubblici, purchè sia
sottoposta a una regolazione pubblica penetrante.
La concezione oggettiva ha trovato alimento in Italia sulla base dell’art. 43 Cost., secondo cui possono
essere assunte in mano pubblica (per disposizione di legge) attività che si riferiscano, tra l’altro, a servizi
pubblici essenziali.
Il legislatore ha previsto l’assunzione in mano pubblica di servizi prima gestiti da privati, ma aventi
rilevanza pubblica.
La concezione oggettiva, secondo parte della dottrina, avrebbe subito qualche flessione a seguito dello
sviluppo della normativa comunitaria. In realtà, quella concezione riconosceva largo spazio alla possibilità
di assunzione in mano pubblica di delicate attività imprenditoriali gestite da privati, essendo sufficiente che
esse fossero caratterizzate da un’inerenza con interessi e fini pubblici.
Ora la normativa comunitaria esclude la mano pubblica (l’art. 345 TFUE lascia impregiudicata la scelta
degli Stati sulla gestione privata o pubblica). Ma, nel complesso, il diritto comunitario mostra un favor per
l’impresa privata e, in diversi casi, circoscrive i c.d. obblighi di servizio pubblico che gravano sulle imprese
private.
Attività di impresa pubblica:
Le pubbliche amministrazioni possono svolgere direttamente attività d’impresa = imprese pubbliche.
Dalle amministrazioni per gestire imprese, uno dei primi strumenti impiegati, è stato quello dell’amministrazione
autonoma posta alle dipendenze di un ministro, ma dotata di ampi poteri decisionali propri.
Successivamente, lo strumento dell’ente pubblico economico. Oggi lo strumento più in uso è quello della società in
partecipazione pubblica, totale o parziale.
Può trattarsi di attività di mera impresa, oppure di attività imprenditoriale che dà luogo ad un servizio pubblico di
tipo economico.
Si ha, di regola, attività di mera impresa quando prevale l’aspetto della produzione e della vendita.
Si ha, usualmente, servizio pubblico di tipo economico quando prevale l’aspetto delle prestazioni rese ali utenti.
Il diritto privato domina il regime dell’impresa pubblica. Restano disciplinati da norme derogatorie o pubblicistiche
solo alcuni aspetti: quelli relativi al controllo sulle società o quelli concernenti le regole e i principi del servizio
pubblico, se l’attività svolta rientra in tale categoria.
In ogni caso, l’impresa pubblica è sottoposta alle regole di concorrenza, le quali costituiscono dunque il diritto
comune alle imprese private e pubbliche.
Se l’impresa pubblica dà luogo a servizio pubblico economico, le regole di concorrenza incontrano un limite: non
trovano applicazione per tutto ciò che è connesso all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, dei peculiari compiti
di servizio pubblico loro attribuiti.
Si è al di fuori della logica e delle regole del mercato e della concorrenza quando il servizio svolto
dall’amministrazione pubblica esce dai confini dell’impresa: è il caso delle prestazione rese in nome del principio
solidaristico, come quelle relative all’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro.
A partire dagli anni Ottanta del Novecento si è avuta in diversi Paesi una forte tendenza alla privatizzazione di
imprese pubbliche. In Italia, le privatizzazioni di imprese pubbliche sono state oggetto di una disciplina apposita
negli anni Novanta del XX secolo. Si distinguono:
a) privatizzazione formale → sta ad indicare la trasformazione della forma organizzativa che funge da
strumento per la gestione dell’attività d’impresa pubblica. Il capitale, tuttavia, resta integralmente in mano
pubblica;
b) privatizzazione sostanziale → sta ad indicare il passaggio del capitale da mani pubbliche a mani private, in
tutto o in parte.
La tendenza alla privatizzazione di imprese pubbliche, ora ha subito in molti Paesi battute d’arresto. La crisi
finanziaria del 2008 ha portato con sé varie vicende di nazionalizzazioni, soprattutto di banche e di imprese
finanziarie, anche in Paesi tradizionalmente inclini alla gestione privata, come la Gran Bretagna e l’Olanda.
Regolazione pubblica dei mercati:
L’attività di regolazione dei mercati, include anche la gestione di imprese pubbliche, che rappresenta la forma di
più intensa ingerenza dei pubblici poteri nell’economia. Recentemente, però, c’è la tendenza di distinguere tra
gestione di imprese pubbliche, da un lato, e regolazione pubblica, dall’altro.
Il concetto di regolazione è molto ampio.
L’OCSE, nei suoi Rapporti, definisce la regolazione come l’insieme degli strumenti con i quali i pubblici poteri
disciplinano imprese e soggetti privati. Tutto quel che compone il diritto pubblico dell’economia vi può rientrare.
Nell’ambito della regolazione pubblica dei mercati così latamente intesa, si possono distinguere, da un lato, misure
e interventi diretti a disciplinare in modi diversi i vari settori economici (=regolazione settoriale); tali discipline
sono adottate essenzialmente dai rispettivi organismi pubblici di settore tramite procedimenti che prevedono
usualmente la partecipazione dei soggetti sottoposti alla regolazione. Dall’altro lato, misure e interventi antitrust,
che applicano a tutti i settori economici la medesima disciplina comune a tutela della concorrenza dominante e le
concentrazioni che limitano sostanzialmente il gioco concorrenziale.
Numerosissimi sono i soggetti pubblici che adottano e applicano misure di regolazione pubblica dei mercati. Essi
si sono moltiplicati con il fenomeno della globalizzazione.
Fra i soggetti pubblici nazionali che adottano o applicano misure di regolazione dei mercati, si possono annoverare
organi si apolitici, sia giurisdizionali, sia amministrativi.
Le amministrazioni pubbliche hanno assunto un ruolo sempre più importante nell’attività di regolazione dei mercati:
si può trattare di ministeri, enti pubblici o agenzie; ma le autorità indipendenti sono divenute in tanti Paesi
protagoniste della regolazione sia in settori economici rilevanti, sia nella materia dell’antitrust.
La regolazione pubblica dei mercati è, fondamentalmente, attività pubblicistica, ma vi sono parti privatistiche (ad
esempio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato opera con provvedimenti amministrativi, come le
sanzioni, ma può anche accettare impegni proposti dalle imprese in procedure che presentano elementi di negoziato).
Quando l’attività di regolazione dei mercati si esprime con misure autoritative, vi sono alcune differenze con
l’usuale attività pubblicistica delle amministrazioni pubbliche: l’adozione di misure regolamenteri o di
provvedimenti amministrativi generali va giustificata preventivamente; la discrezionalità amministrativa è
attenuata; vi è un forte impatto del principio e delle regole di libera concorrenza, che incidono anzitutto sulle attività
d’impresa, private e pubbliche, ma condizionano anche la regolazione dei mercati.
Però, queste caratteristiche proprie dell’attività di regolazione dei mercati si stanno diffondendo anche nell’ambito
delle altre attività, più tradizionali, delle pubbliche amministrazioni.
Situazioni giuridiche soggettive: il potere discrezionale della publbica amministrazione e la discrezionalità
tecnica:
Il potere tipico che la pubblica amministrazione esprime ed esercita nell’attività pubblicistica e autoritativa, è la
discrezionalità amministrativa.
Fino agli anni Trenta del XX secolo, la visione liberale-borghese dello Stato e dell’amministrazione era quella
dominante: lo Stato manifesta la propria volontà i nome di un interesse pubblico omogeneo, incidendo su interessi
privati. Lo Stato è contrapposto agli individui.
Dagli anni Trenta del Novecento le cose sono cambiate e si è affermata una definizione del potere discrezionale
fondata su di una concezione pluralistica dei pubblici poteri e dei loro rapporti con i cittadini e don i gruppi sociali.
La definizione, elaborata da Massimo Severino Giannini, dura tutt’oggi.
Le pubbliche amministrazioni non perseguono, di volta in volta, un solo interesse pubblico, ma pluralità di interessi
pubblici, collettivi, diffusi, privati. Ex. pag. 146-147
Il controllo del giudice (amministrativo) sul provvedimento amministrativo riguarda la legittimità (non il merito)
della scelta discrezionale.
Nell’attività autoritativa, la pubblica amministrazione può anche essere titolare di una diversa posizione giuridica,
che si concreta nell’esercizio di discrezionalità tecnica ( ! nonostante la terminologia, siamo al di fuori del vero e
proprio potere discrezionale della pubblica amministrazione. Non vi è ponderazione di interessi diversi, pubblici,
privati, collettivi, diffusi.).
La discrezionalità tecnica comporta l’applicazione di regole tecniche a una determinata fattispecie.
Una particolare categoria di discrezionalità tecnica è la valutazione tecnica complessa. È il caso di materie di
particolare complessità, in cui si applicano regole di scienze non esatte, in attuazione di norme contenenti clausole
generali o concetti indeterminati.
Secondo la giurisprudenza, il sindacato giudiziale può censurare “macroscopiche illegittimità”, illogicità,
contraddittorietà o incongruenze manifeste, evidenti errori di fatto, violazioni di regole procedurali, cattiva
applicazione di regole tecniche.
A volte, il controllo del giudice si è fatto più penetrante e la giurisprudenza ha sostenuto che si possano censurare
anche gli errori dell’analisi economica che conduce alle decisioni dell’Autorità antitrust.
L’autonomia negoziale della pubblica amministrazione:
Nell’attività privatistica e contrattuale la pubblica amministrazione fa valere una posizione giuridica soggettiva di
autonomia negoziale. Quando l’amministrazione contratta, o stipula convenzioni, sta su di un piano di parità con il
suo interlocutore, con il privato, con l’amministrato. Non può, di regola, costituire, modificare, estinguere
unilateralmente situazioni soggettive dell’interlocutore. Tutto si basa sul consenso.
Vi possono essere momenti pubblicistici che precedono la vicenda pattizia. Ad esempio, una particolare procedura
detta ad evidenza pubblica, che serve a individuare, a scegliere il contraente.
Anche quando il contratto, la convenzione o l’accordo sono stipulati, possono intervenire misure di diritto pubblico.
Al di là di questi momenti, la vita del rapporto consensuale, rientra nella logica del diritto privato. Si applica il
codice civile.
La competenza giurisdizionale sull’esercizio dell’autonomia negoziale della pubblica amministrazione è di regola
del giudice ordinario. Ci sono però casi in cui vale la giurisprudenza esclusiva del giudice amministrativo: è così,
ad esempio, per le concessioni amministrative di beni e servizi pubblici.
L’interesse legittimo e il diritto soggettivo:
Di fronte alla puissance publique l’amministrato era in posizione di soggezione. Questa era l’originaria
configurazione del rapporto amministrativo.
In Italia, dopo l’unificazione nazionale, la legge del 1865 sul contenzioso amministrativo stabilì di devolvere alla
giurisdizione del giudice ordinario tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione
di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica de potere esecutivo o dell’autorità
amministrativa.
In tal modo si riconosceva che di fronte al potere amministrativo potessero sussistere diritti soggettivi del privato.
Ma vi potevano essere affari non compresi nell’ipotesi precedente.
La tutela di questi fu affidata alle autorità amministrative, le quali provvederanno con decreti motivati, sentiti i
pareri previsti dalle leggi; e si stabilì che contro tali decreti si potesse proporre il ricorso amministrativo per via
gerarchica (dunque: tutela giurisdizionale per i diritti soggettivi nei confronti della p.a.; tutela meramente
amministrativa per le situazioni non qualificabili come diritti soggettivi).
La legge del 1865 ebbe però un’attuazione incompleta.
Quando la pubblica amministrazione agisce come potere, trova dinanzi a sé situazioni soggettive private che non
sono diritti. Si tratta di situazioni giuridiche che non ricevono tutela giurisdizionale, ma amministrativa. I diritti
soggettivi sussistono solo se la pubblica amministrazione agisce in una posizione di parità rispetto agli amministrati.
Le norme della legge chiamate a decidere sulla tutela dei non diritti” rimasero completamente prive di attuazione.
In definitiva, di fronte all’esercizio del potere amministrativo la protezione degli amministrati era molto precaria.
L’ideologia liberale che aveva ispirato la legge era stata tradita.
Nel 1889 il legislatore intervenne per assicurare una tutela più adeguata alle situazioni soggettive non qualificabili
come diritti. La legge 31 marzo 1889, n. 5992, istituì la Quarta sezione del Consiglio di Stato perla giustizia
amministrativa, affidando ad essa la competenza a decidere i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per
violazione di legge contro atti e provvedimenti di un?autorità amministrativa o di un corpo amministrativo
deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici, quando i ricorsi medesimi
non sieno di competenza dell’Autorità giudiziaria. La Quarta sezione del Consiglio di Stato non era qualificata dalla
legge come autorità giurisdizionale, ma giudice amministrativo.
[In sostanza, con la legge crispina del 1889 si viene a prevedere che di fronte al potere amministrativo, che si
manifesta nei provvedimenti della pubblica amministrazione, stanno situazioni soggettive del privato qualificate
come “interessi”, dotati di una tutela del Consiglio di Stato ha il potere di annullare i provvedimenti amministrativi
affetti dai vizi indicati espressamente dalle norme: incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge]
Si tratta di un cambiamento fondamentale. Dall’antica soggezione dell’amministrato nei confronti del potere
amministrativo, poi “non diritto” munito di precaria tutela amministrativa, poi “interesse”, dotato di maggior tutela.
È stato Oreste Ranelletti, ad elaborare per primo, tra la fine dell’Ottocento e l’esordio del Novecento, la teoria
dell’interesse legittimo.
In sintesi, la costruzione concettuale è questa: di fronte ai poteri d’imperium della pubblica amministrazione,
l’amministrato è titolare di un interesse privato che, per la sua realizzazione, è strettamente condizionato al
perseguimento dell’interesse pubblico. Si tratta di un interesse tutelato solo indirettamente rispetto ai fini pubblici
che l’amministrazione è chiamata a realizzare.
L’amministrato ha un interesse privato a che l’interesse pubblico venga perseguito secondo legalità. Se la
concessione viene illegittimamente negata, o data ad altri, il privato può far valere un rimedio di tipo giurisdizionale,
chiedendo alla Quarta sezione del Consiglio di Stato l’annullamento del provvedimento di diniego o di concessione
ad altro soggetto.
Vi può essere un amministrato che sia titolare di un diritto soggettivo e una pubblica amministrazione che eserciti
un potere autoritativo incidente su quel diritto.
Nella ricostruzione di Ranelletti, la forza dell’interesse pubblico è tale che il diritto si affievolisce, degrada di fronte
al potere amministrativo: diventa un diritto affievolito.
La distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo vale sul piano pratico come criterio di riparto tra
giurisdizione del giudice amministrativo (la Quarta sezione) e giurisdizione del giudice ordinario.
Nel secondo Novecento, si ha un’importante evoluzione, che porta a qualificare l’interesse legittimo non più soltanto
come situazione sostanziale, che riceve tutela ancor prima dell’adozione del provvedimento. La dottrina ha spiegato
che preesiste alla decisione amministrativa un rapporto fra amministrazioni e amministrato. Le norme sul
procedimento amministrativo hanno rafforzato tale conclusione, prevedendo strumenti di garanzia preventiva
dell’interesse legittimo nell’ambito del procedimento che conduce all’adozione del provvedimento, quali la facoltà
di presentare osservazioni e memorie e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Tutto ciò offre
all’amministrato la possibilità di far valere le sue ragioni prima che l’amministrazione decida. L’amministrazione
ha l’obbligo di tenere in adeguata considerazione le osservazioni dell’amministrato, pena l’invalidità del
provvedimento finale.
In definitiva, l’interesse legittimo ha consolidato i suoi strumenti di tutela nei confronti della pubblica
amministrazione.
L’interesse legittimo, non è munito del potere decisionale di fondo che caratterizza il diritto soggettivo. Tale potere
di fondo spetta alla pubblica amministrazione, che però deve attentamente valutare tutte le ragioni fatte valere dal
privato prima della decisione.
Il diritto soggettivo, invece, ha usualmente di fronte a sé una situazione passiva dell’amministrazione, di dovere o
di obbligo, come accade nell’attività privatistica della pubblica amministrazione; o un provvedimento che non
produce alcun effetto, come l’atto nullo o inesistente, e che dunque non esprime alcun potere; ovvero, secondo parte
della dottrina e della giurisprudenza, un mero potere amministrativo vincolato, che si limita all’accertamento della
sussistenza di determinati requisiti, come avviene nel caso del riconoscimento del diritto di accesso ai documenti
amministrativi. Di fronte al potere discrezionale della pubblica amministrazione, invece, non può esservi diritto
soggettivo.
Distinzione fra interesse legittimo e diritto soggettivo: il maggior effetto è stata l’individuazione del giudice
competente. Il giudice amministrativo per le controversie sugli interessi legittimi e il giudice ordinario per le dispute
sui diritti soggettivi.
L’introduzione della giurisdizione amministrativa esclusiva, che consente al giudice amministrativo di conoscere
non solo di interessi legittimi, ma anche di diritti soggettivi, ha ridotto l’importanza pratica della distinzione tra
interessi e diritti.
Il criterio della materia è divenuto il parametro per attribuire al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva e,
talora, anche per individuare la competenza giurisdizionale del giudice ordinario.
Recentemente, la Corte costituzionale, al fine di circoscrivere l’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva,
che si era andato dilatando a dismisura, ha stabilito che tale giurisdizione sussiste soltanto se il privato trovi dinanzi
a sé un’amministrazione che agisce in veste di autorità, che esercita un potere autoritativo.
Affinchè sussista l giurisdizione amministrativa esclusiva non basta più il solo criterio della materia attribuita per
legge a tale giurisdizione: occorre, altresì, che l’amministrazione pubblica agisca in veste di autorità.
Storicamente, le situazioni giuridiche soggettive contrapposte al potere amministrativo sono gli interessi legittimi.
Poiché la giurisdizione esclusiva deve riguardare questioni relative al potere amministrativo, anche i diritti
soggettivi vantati dal privato verranno a partecipare, in sostanza, della natura degli interessi legittimi. Il che solleva
difficoltà sul piano della costruzione concettuale. Sarebbe più semplice e più chiaro limitarsi al criterio del potere
amministrativo, senza ricorrere alla natura delle situazioni soggettive.
Oggi, il codice del processo amministrativo considera l’esercizio del potere amministrativo autoritativo come
criterio generale per l’individuazione della giurisdizione amministrativa, anche al di là di quella esclusiva, e al
tempo stesso continua a riferirsi alle situazioni soggettive. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le
controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di
diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti
provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in
essere da pubbliche amministrazioni.
L’altro effetto concreto rilevante della distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi era quello del risarcimento
del danno ingiusto causato dalla pubblica amministrazione, tradizionalmente ammesso solo per la lesione di diritti
soggettivi e non di interessi legittimi.
Il pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi si è avuto quando la tutela risarcitoria è stata
ammessa anche in assenza di un diritto soggettivo preesistente. Ciò si verifica quando vengono lesi i c.d. interessi
legittimi pretensivi.
Rimane un’unica differenza concreta tra risarcimento per violazione dei diritti soggettivi e risarcimento per lesione
degli interessi legittimi. Nelle ipotesi di risarcimento per lesione di interesse legittimo derivante da provvedimento
amministrativo illecito, l’azione di condanna dinanzi al giudice amministrativo può proporsi nei termini di
decadenza, sia pure maggiori rispetto ai sessanta giorni della decadenza ordinaria, e non di prescrizione, come è per
la lesione di diritti soggettivi.
In definitiva, le differenze sul piano pratico tra diritti soggettivi e interessi legittimi si sono attenuate. E potrebbero
essere destinate a scomparire. Anche perché il diritto dell’Unione europea, che tanto influisce sui diritti
amministrativi nazionali, non conosce la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi.

Cap. VI
Il procedimento amministrativo

Introduzione:
La tradizione del procedimento amministrativo affonda le sue radici nel common law inglese.
La giurisprudenza dei giudici inglesi, stabilisce la regola secondo cui le amministrazioni pubbliche, prima di
decidere, devono seguire una procedura che consenta agli amministrati di far sentire la loro “voce” (il “right to be
heard”).
Il procedimento amministrativo nasce, dunque, per ragioni garantistiche.
Nella concezione inglese, l’uomo di Stato ( la p.a.) agisce secondo giustizia ancor prima che nell’esercizio di un
potere autoritativo.
Nella concezione francese, l’amministratore è espressione di puissance publique. L’amministrazione adotta la sua
decisione senza necessità di sentire preventivamente gli amministrati. Non c’è spazio per il procedimento
amministrativo. Il privato può reagire successivamente, soprattutto con il ricorso giurisdizionale.
Tutti i Paesi dell’Europa continentale hanno a lungo seguito l’impostazione francese. Le prime leggi sul
procedimento amministrativo si hanno a fine Ottocento.
Nel secondo Novecento si ha la diffusione del procedimento amministrativo, non solo in Europa. Assume
un’importanza particolare la legge statunitense del 1946 (APA) → right to be heard.
La “visione” è stata assicurata solo in seguito, negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con il Freedom of
Information Act (1996) e il GOvernment in the Sunshine Act (1976).
In Italia, la legge sul procedimento amministrativo, è stata varata nel 1990 (legge n. 241).
Definizione e principi generali del procedimento:
Procedimento amministrativo = sequenza di atti, adottati da amministrazioni pubbliche e da privati, che sfociano in
un provvedimento amministrativo o in una misura consensuale ascrivibile alla categoria degli accordi
amministrativi.
Il procedimento si articola in diversi fasi:
-fase dell’iniziativa: dà avvio al procedimento, che può essere iniziato d’ufficio o su istanza del privato;
-fase dell’istruttoria: è destinata all’accertamento dei fatti e all’acquisizione degli interessi rilevanti ai fini del
decidere;
-fase decisionale: è quella in cui si adotta il provvedimento amministrativo, o si conclude l’accordo sostitutivo di
misura decisoria è sottoposta a controlli al cui esito positivo è subordinata l’operatività della misura medesima.
“Provvedimento” ( o “accordo sostitutivo”) = atto avente effetto costitutivo delle situazioni giuridiche soggettive;
è di regola, l’unico atto impugnabile dinanzi al giudice.
Gli altri atti del procedimento possono considerarsi preparatori o strumentali.
La legge n. 241/1990 stabilisce i principi generali del procedimento amministrativo: essi sono qualificati come
“principi generali dell’attività amministrativa”:
• economicità;
• efficacia;
• imparzialità;
• pubblicità;
• trasparenza.
La valenza garantistica riposa su imparzialità, pubblicità e trasparenza;
la valenza efficientistica riposa su economicità ed efficacia.
• rinvio ai principi comunitari (proporzionalità, legittimo affidamento, concorrenza).
Oltre a questo elenco di principi, ci sono principi elaborati grazie all’opera della giurisprudenza (dalla
ragionevolezza alla buona fede, alla correttezza).
I principi non valgono solo per le pubbliche amministrazioni, ma anche per privati incaricati di svolgere funzioni
pubbliche o servizi pubblici.
Il non aggravamento: tra i principi generali dell’attività amministrativa è annoverato anche quello del non
aggravamento → la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate
esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. Il principio è ritenuto applicabile anche ai procedimenti ad
evidenza pubblica per l’aggiudicazione di contratti.
Il termine di conclusione del procedimento e il silenzio:
La legge n. 241. Ai principi generali, aggiunge altre norme, anch’esse ricomprese tra i “principi”, che riguardano il
termine di conclusione del procedimento.
L’obbligo di conclusione: le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di adottare un provvedimento espresso a
conclusione del procedimento, se quest’ultimo consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere
iniziato d’ufficio (dunque, nei casi in cui l’avvio del procedimento è obbligatorio, sussiste un obbligo di concluderlo
con provvedimento espresso);
L’obbligo di avvio: il suo inadempimento può dar luogo a responsabilità sia civile che penale del funzionario;
Il termine di conclusione: diversi meccanismi per la fissazione del termine, e questo decorre dall’inizio del
procedimento d’ufficio o dal ricevimento dell’istanza di parte;
La fissazione dei termini: i termini sono fissati, per le amministrazioni statali, con decreti di natura regolarmente
del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta competenti e di concerto con i ministri per la pubblica
amministrazione e per la semplificazione normativa; gli enti pubblici nazionali procedono secondo i propri
ordinamenti. In ogni caso, il termine non può essere superiore a novanta giorni.
Termini che vanno al di là dei novanta giorni,ma che comunque non possono essere superiori ai centottanta giorni
(ad eccezione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli in materia di immigrazione),
possono essere stabiliti solo in presenza di determinati presupposti e con una procedura rafforzata.
Quanto ai presupposti, la legge prevede che termini superiori a novanta giorni possono essere previsti solo se
indispensabili, tenuto conto della sostenibile dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della
natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento: si tratta di condizioni che
devono ricorrere in modo cumulativo.
Quanto alla procedura, i decreti del Presidente del Consiglio richiedono anche la proposta dei ministri per la pubblica
amministrazione e per la semplificazione normativa e la previa deliberazione del Consiglio dei ministri (il che vale
sia per le amministrazioni statali che per gli enti pubblici nazionali).
In assenza di fissazione del termine con i decreti menzionati, o con legge speciale, vale un termine residuale di
trenta giorni.
I termini (esclusa l’ipotesi delle valutazioni tecniche) possono essere sospesi per una sola volta, e per non più di
trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o certificazioni relative a vicende non attestate in documenti già in
possesso della pubblica amministrazione procedente o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche
amministrazioni.
Le autorità indipendenti di vigilanza e di garanzia (Banca d’Italia, CONSOB, Autorità garante della concorrenza e
del mercato, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) sono sottratte alle regole sui termini dettate dalla legge
n. 241: questa prevede che tali autorità disciplinano i termini in conformità ai propri ordinamenti.
Se l’amministrazione non adotta il provvedimento entro il termine di conclusione del procedimento amministrativo,
si ha il mancato rispetto del termine. Le conseguenze sono varie:
- se il procedimento è iniziato d’ufficio e deve concludersi con un provvedimento restrittivo della sfera
giuridica del privato, la legge stabilisce che, nell’ipotesi di mancato rispetto del termine di conclusione del
procedimento, l’amministrazione non possa provvedere e debba riattivare la procedura;
- se il procedimento è a istanza di parte ed è finalizzato all’adozione di un provvedimento favorevole al
privato che l’ha richiesto vi sono diverse ipotesi da considerare:
a) in alcuni casi vale il c.d. silenzio assenso (l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento della
domanda);
a’) un’eccezione si ha se la legge qualifica espressamente l’inerzia della pubblica amministrazione come
rigetto dell’istanza;
b) al di fuori dell’ambito del silenzio assenso, e ove non vi sia un previsione legislativa esplicita che
equipari il silenzio al rigetto dell’istanza, se l’amministrazione non provvede nel termine si ha il c.d.
silenzio inadempimento. ! L’amministrazione è inadempiente perché non ha concluso il procedimento
(negli altri due casi il procedimento si conclude: con l’accoglimento tacito dell’istanza; o con il
provvedimento negativo tacito).
Per i casi di silenzio inadempimento è previsto il ricorso al giudice amministrativo avverso l’inerzia
dell’amministrazione, che può essere proposto anche senza necessità di diffida fino a che perdura
l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine. Il ricorrente chiede
l’accertamento dell’obbliga dell’amministrazione di provvedere. Il giudice può ordinare che
l’amministrazione rimasta inerte provveda entro un termine, lasciando ad essa la scelta sui contenuti del
provvedimento. In taluni casi, ove si tratti di attività vincolata dell’amministrazione o quando risulti che
non residuano ulteriori margini di discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori della stessa
amministrazione, il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio: se la reputa
fondata, può ordinare l’adozione di un determinato provvedimento.
La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce comunque elemento di valutazione della
responsabilità del dirigente amministrativo. È prevista, inoltre, un’azione di risarcimento per il danno
ingiusto nei casi di inosservanza dolosa o colposa del termine: la competenza è del giudice amministrativo
in giurisdizione esclusiva.
Obbligo di motivazione del provvedimento:
Anche l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo rientra fra i “principi” del procedimento.
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Gli altri istituti del procedimento amministrativo: metodo d’analisi:
Due principale aspetti del procedimento sono:
a) le garanzie di partecipazione degli interessati al procedimento;
b) i profili di semplificazione dell’azione amministrativa.
Partecipazione e semplificazione tagliano trasversalmente le fasi del procedimento.

Il responsabile del procedimento:


Innovazione introdotta dalla legge n. 241/1190, la figura del responsabile del procedimento consente agli
amministrati di avere un interlocutore certo, individuato per nome e cognome, lungo il corso del procedimento
amministrativo.
L’unità organizzativa responsabile: le pubbliche amministrazioni, ove non vi siano apposite disposizioni legislative
o regolamentari, sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza
l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell’adozione del provvedimento finale.
Il funzionario responsabile: di qui si giunge all’identificazione del funzionario responsabile tramite un atto del
dirigente dell’unità organizzativa responsabile che può assegnare a sé medesimo o ad altro dipendente dell’unità la
responsabilità dell’istruttoria, di ogni altro adempimento ed, eventualmente, dell’adozione del provvedimento
finale. Finchè non vi sia l’identificazione del funzionario responsabile, la responsabilità è in capo al preposto
all’unità organizzativa.
Compiti del responsabile: il responsabile adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.
A tal fine:
• valuta i prerequisiti per l’emanazione del provvedimento;
• accerta fatti (l’accertamento dei fatti può essere semplice o complesso. Può riguardare semplicemente dati
quali l’età o il luogo di nascita di un privato, che si assumono o con richiesta dell’apposita documentazione
al privato, o con acquisizione d’ufficio se i documenti sono in possesso di altri uffici amministrativi. Vi
può essere, invece, necessità di accertamenti tecnici complessi (riguardanti, ad esempio, lo stato dei luoghi
ai fini dell’espropriazione). Se si richiedono competenze specialistiche, il responsabile può far ricorso a
soggetti particolarmente qualificati) + può esperire ispezioni e ordinare esibizioni documentali
(particolarmente delicate le ispezioni; l’amministrazione viene a incidere su diritti fondamentali. Vi è,
dunque, sempre la necessità di un fondamento normativo espresso, che preveda e giustifichi l’ispezione.
L’ispezione, di regola, non si conclude con un provvedimento amministrativo, ma con un rapporto o con
un verbale ispettivo che dà conto dello svolgimento e degli esiti dell’operazione. Quindi non si tratta di un
apposito procedimento che s’innesta nel procedimento principale, ma di una serie di atti reali nell’ambito
della fase istruttoria);
• propone l’indizione o indice la conferenza di servizi;
• cura il regolare andamento della partecipazione e del contraddittorio procedimentale, che si instaurano con
le osservazioni dei privati.
Le garanzie di partecipazione al procedimento: la “voce”:
L’amministrato può far valere la propria voce: è questa la finalità principale che s’intende realizzare con il
procedimento amministrativo.

La comunicazione di avvio del procedimento:


A seguito dell’istanza privata o dell’iniziativa d’ufficio, interviene la comunicazione di avvio del procedimento, ove
ciò non sia impedito da particolari esigenze di celerità.
La comunicazione di avvio è rivolta ai diretti destinatari del provvedimento e ai soggetti che per legge debbono
intervenirvi (ad esempio, il genitore del minore proprietario del terreno da espropriare); ed anche ai soggetti,
individuati o facilmente individuabili e diversi dai diretti destinatari, ai quali possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento finale.
Ancor prima della comunicazione, resta salvo il potere della pubblica amministrazione di adottare provvedimenti
cautelari.
La comunicazione deve essere personale, al singolo destinatario: qualora ciò non si possibile, si può ricorrere a
forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione (ad esempio la pubblicazione in giornali
di ampia diffusione).
Gli elementi che, in ogni caso, devono essere contenuti nella comunicazione, sono: l’oggetto del procedimento,
l’ufficio e la persona responsabile del medesimo, il termine di conclusione, l’ufficio presso il quale si può prendere
visione dei documenti.
La facoltà di presentare memorie e l’obbligo dell’amministrazione di valutarle:
I destinatari della comunicazione di avvio e gli interventori possono prendere visione dei documenti e possono far
valere le proprie ragioni presentando memorie scritte e documenti. Vi sono procedimenti speciali in cui sono
previste audizioni orali. E l’amministrazione ha comunque la facoltà di indire audizioni orali. Ma la regola generale
è quella del contraddittorio scritto, che risulta adottata nella maggior parte degli ordinamenti giuridici.
Nei confronti delle memorie scritte presentate dagli interessati, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di valutarle
ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
La mancata osservanza di tale obbligo può rendere il provvedimento finale viziato da eccesso di potere per
incompleta istruttoria.
Un’altra possibile ipotesi: se l’amministrazione accoglie le osservazioni scritte presentate dai soggetti interessati,
può concludere accordi integrativi o anche sostitutivi del provvedimento finale (accordi che differiscono dai
contratti).
Una sorta di integrazione delle garanzie di partecipazione procedimentale si ha nell’ipotesi di comunicazione
anticipata dei motivi del diniego nei procedimenti a istanza di parte.
L’autorità competente, prima della formula adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente
agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro dieci giorni dalla ricezione della
comunicazione, gli istanti possono presentare osservazioni.
I limiti delle garanzie di partecipazione e gli atti amministrativi generali:
Garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo:una grave limitazione a causa della disposizione
contenuta nella legge n. 241/1990. Le garanzie non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica
amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di
programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.
Il rinvio alle norme speciali sulle garanzie di partecipazione ai procedimenti che conducono all’adozione di atti
normativi o amministrativi generali può condurre a esiti molto diversi.
La giurisprudenza, dal canto suo, ha tentato di attenuare il limite posto dalla norma esaminata.
Ma sarebbe auspicabile una soluzione legislativa.
Le garanzie di partecipazione al procedimento: la “visione”:
Il nostro ordinamento, con la legge n. 241/1990, ha introdotto insieme la garanzia della “voce” e quella della
“visione”.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi:
Diritto di accesso = diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi.
Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati in modo tassativo ed esaustivo
dalla legge.
Si può avere un accesso extra-procedimentale e un accesso procedimentale, nell’ambito dell’istruttoria
amministrativa.
Il diritto si accesso può considerarsi come un vero e proprio diritto soggettivo, perché la pubblica amministrazione
(o il gestore del servizio), a seguito di un’istanza di accesso, non esercitano un’autentica discrezionalità
amministrativa, dovendosi limitare ad accertare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge.
Si deve trattare di un documento amministrativo ( = non soltanto i documenti cartacei, ma ogni rappresentazione
grafica, foto cinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie, detenuta da una pubblica
amministrazione e relativa ad attività di pubblico interesse).
Il soggetto che chiede l’accesso deve avere un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (dunque, soggetto che fa valere una
posizione differenziata, non generico cittadino).
In alcune materie, tuttavia, il diritto di accesso è riconosciuto a “chiunque”: è così in materia ambientale.
Le ipotesi di esclusione dall’accesso:
Vi sono alcuni casi tassativi di esclusione dall’accesso:
• esclusione ex lege → la legge n. 241/1990 esclude direttamente dall’accesso i documenti coperti da segreto
di Stato e i casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge o da regolamento.
L’accesso è escluso anche nei procedimenti tributari e nei confronti di attività amministrative dirette
all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali
restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. L’accesso, è escluso ex lege nei
procedimenti selettivi, ove si tratti di documenti relativi a terzi che contengono informazioni di carattere
psicoattitudinale: prevalgono qui le ragioni della confidenzialità. Sta alle pubbliche amministrazioni
individuare le categorie di documenti in loro disponibilità che sono sottratti all’accesso in virtù delle norme
di legge;
• esclusione per regolamento → possono essere sottratti all’accesso documentati l acui divulgazione possa
provocare una lesione, specifica e individuata a interessi particolarmente qualificati e rientranti nelle sfere
più elevate della puissance publique, quali la sicurezza, la difesa, l’esercizio della sovranità nazionale le
relazioni internazionali. O documenti la cui visione possa arrecare pregiudizi alla politica monetaria e
valutaria. O, in ogni caso, documenti relativi ai mezzi e alle attività strumentali alla tutela dell’ordine
pubblico e alla prevenzione e repressione della criminalità, ovvero riguardanti la vita privata o la
riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni. O, infine, documenti
concernenti a contrattazione collettiva nazionale in corso di definizione.
Limiti all’esclusione: l’esclusione dall’accesso vale solo nell’ambito della stretta connessione fra le informazioni
contenute nel documento e gli interessi che la legge ritiene particolarmente qualificati ed è previsto un limite
temporale del segreto.
Altro limite è quello che si fonda sul diritto di difesa: deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai
documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
La giurisprudenza amministrativa precisa che il diritto alla riservatezza recede nei confronti del diritto di accesso
qualora quest’ultimo sia esercitato per la difesa di interessi giuridici del richiedente.
L’esercizio e la tutela del diritto di accesso:
La legge n. 241/1990 e il regolamento in materia di accesso, disciplinano il procedimento che inizia con la richiesta
di accesso e termina con il suo accoglimento o non accoglimento.
La richiesta di accesso deve essere motivata e indirizzata all’amministrazione che ha formato il documento o che lo
detiene stabilmente. Poiché può non essere semplice individuare tale amministrazione, la richiesta possa essere
rivolta all’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo.
Il procedimento per l’accesso può essere informale, se non vi sono dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla
sussistenza dell’ interesse diretto, sull’accessibilità del documento e se non vi sono contro interessati. In tali casi, la
richiesta all’amministrazione competente può anche essere verbale.
La richiesta è esaminata immediatamente e senza formalità. È accolta mediante esibizione del documento, estrazione
di copie o altra modalità.
Il procedimento, viceversa, è formale qualora vi siano dubbi. In questi casi, la pubblica amministrazione invita
l’interessato a presentare richiesta formale.
Il procedimento formale deve terminare in trenta giorni e viene individuato un apposito responsabile. Il
procedimento può concludersi con l’accoglimento o con il non accoglimento della richiesta. L’accoglimento indica
l’ufficio presso il quale è possibile prendere visione o estrarre copia dei documenti. Il non accoglimento può
concretarsi nella limitazione rispetto alla richiesta, nel differimento dell’accesso, o nel rifiuto: questi esiti debbono
essere motivati (la limitazione potrà aversi se uno o alcuni dei documenti richiesti rientrino nei casi di esclusione
ex lege o di sottrazione stabilita per regolamento. Il rifiuto potrà aversi se tutti i documenti richiesti sono esclusi
dall’accesso; inoltre, se l’istante non è legittimato o se la richiesta non è motivata).
La tutela nei confronti del non accoglimento può seguire la via giurisdizionale o amministrativa. In caso di rifiuto
o di differimento dell’accesso, l’interessato possa proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale, ovvero
possa presentare istanza al difensore civico o alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. Al
difensore civico, o all’apposita Commissione, l’interessato può chiedere il riesame della decisione di non
accoglimento: se non interviene alcuna pronuncia nei trenta giorni successivi all’istanza, quest’ultima s’intende
respinta. Se la pronuncia del difensore civico, o della Commissione, ritiene illegittimo il non accoglimento della
richiesta di accesso, ne vengono informati l’istante e l’autorità che ha adottato la decisione negativa: quest’ultima
può confermare tale decisione entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della
Commissione, motivando adeguatamente; altrimenti, l’accesso è consentito.
La via della tutela amministrativa sospende i termini per il ricorso giurisdizionale. Quest’ultimo segue un
procedimento speciale abbreviato: il TAR decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del
termine di deposito del ricorso; l’istanza di accesso può essere presentata anche nell’ambito di un ricorso pendente.
L’appello al Consiglio di Stato segue le stesse modalità. Il giudice amministrativo, che esercita giurisdizione
esclusiva, qualora sussistano i presupposti, ingiunge all’amministrazione competente di esibire i documenti richiesti.
La semplificazione del procedimento:
E’ quello dell’efficienza (accanto al profilo della garanzia partecipativa dell’amministrato), l’altro aspetto
determinante del procedimento amministrativo. L’efficienza necessita della semplificazione.
Diverse sono le forme di semplificazione delle attività dei pubblici poteri. Le principali riguardano la
semplificazione normativa (realizzata mediante codificazioni o emanazioni di testi unici) e la semplificazione del
procedimento (basata su forme accelerative di procedure o di adozione di atti specifici; raccordi più efficaci tra
amministrazioni diverse che intervengono nel medesimo procedimento; sostituzioni di attività amministrative con
atti privati).
Le principali forme di semplificazione procedimentale introdotte dalla legge n. 241/1990, sono:
• Pareri: sono atti strumentali del procedimento che intervengono nella fase dell’istruttoria. Sono
dichiarazioni di giudizio o di opinione delle quali l’amministrazione che adotta il provvedimento finale si
avvale per raggiungere una decisione che tenga in adeguata considerazione gli interessi o gli elementi
tecnico-conoscitivi che rientrano nella competenza dell’organo che formula il parere.
Può essere obbligatorio o facoltativo: nel primo caso è la legge che prevede l’obbligo di richiedere il parere;
nel secondo caso è l’autorità competente ad adottare il provvedimento finale che può chiedere il parere, se
lo ritiene utile al fine di prendere una decisione più meditata.
Non vincola l’autorità decidente, ha valore consultivo: ma l’autorità decidente deve motivare nel caso in
cui la misura che adotta si discosti dal parere ricevuto. Vi sono alcuni casi di pareri vincolanti, che la
normativa definisce usualmente pareri conformi.
I pareri obbligatori vanno resi entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Se si è richiesto un parere
facoltativo, l’organo consultivo deve immediatamente comunicare il termine entro il quale il parere sarà
reso (che comunque non può andare oltre i venti giorni dal ricevimento della richiesta). Se il parere non è
reso nei termini previsti, l’autorità richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere.
L’organo consultivo può rappresentare esigenze istruttorie, chiedendo precisazioni o informazioni ulteriori;
in tal caso, i termini menzionati possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso
definitivamente entro quindici giorni dal ricevimento degli elementi istruttori.
Tali forme di semplificazione non si applicano se i pareri debbono essere resi da amministrazioni pubbliche
preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. Il nostro legislatore ha
ritenuto che queste materie, e gli interessi ad esse sottesi, abbiano una peculiare rilevanza: la
semplificazione potrebbe nuocere ad una compiuta valutazione di interessi;
• Valutazioni tecniche: sono atti strumentali del procedimento che intervengono nella fase istruttoria. Sono
dichiarazioni di giudizio. Si concretano di regola in accertamenti tecnici complessi di fatti o situazioni
materiali svolti da organismi dotati di elevata competenza specialistica.
Mentre il parere interviene su uno schema di decisione, la valutazione tecnica ha a che fare con un
presupposto del decidere. Di qui la sua maggiore influenza condizionante nei confronti del provvedimento
finale.
Le valutazioni tecniche sono di regola effettuate da organi o enti appositi, diversi dall’amministrazione
decidente.
Le disposizioni legislative o regolamentari che prevedono la valutazione tecnica rilasciata da un organismo
apposito possono stabilire un termine entro il quale l’accertamento deve essere effettuato: in mancanza,
vale il termine di novanta giorni dal ricevimento della richiesta di valutazione tecnica. Se l’organismo
apposito non provvede alla valutazione entro i termini, il responsabile del procedimento deve chiedere le
suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell’amministrazione e capacità tecnica equipollenti ovvero ad
istituti universitari.
Eccezioni alla semplificazione: la norma non si applica se la valutazione debba essere effettuata da
organismi preposti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini. I termini per
produrre la valutazione possono essere interrotti una sola volta e la valutazione deve essere effettuata entro
quindici giorni dal ricevimento degli elementi istruttori.
Vanno distinte dalle valutazioni tecniche effettuate in sede istruttoria da organismi diversi
dall’amministrazione decidente le valutazioni tecniche poste in esere dalla stessa amministrazione che
adotta il provvedimento finale. Questa ipotesi ricorre ove si tratti di amministrazioni dotate di particolare
expertise tecnica. È un accertamento complesso, che comporta giudizi tecnici delicati. Se la valutazione
preliminare dà esito negativo, non può censurarsi l’abuso;
• Autocertificazioni: certificazioni = atti amministrativi dichiarativi tramite i quali un pubblico ufficio
attesta un determinato fatto, un atto, uno stato, una qualità personale, attribuendo ad essi certezza. Dunque,
hanno una funzione allo stesso tempo dichiarativa e certativa.
Certificato = documento che contiene la certificazione e ha funzione di ricognizione, riproduzione o
partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri o comunque
accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche. Ha, di regola, l’efficacia dell’atto pubblico.
In diversi procedimenti amministrativi l’amministrazione procedente richiede al privato l’esibizione di
certificati.
La legge n. 241/1990, nell’intento di semplificare, riducendo i carichi di lavoro degli uffici pubblici e gli
oneri di documentazione dei privati, consente all’interessato di poter provare determinati fatti, atti, stati e
qualità personali senza esibire i relativi certificati.
Sono previste forme di semplificazione che si concretano in dichiarazioni sostitutive, cioè atti
soggettivamente e oggettivamente privati che sostituiscono certificazioni pubbliche o altre attestazioni. Vi
sono due tipi di dichiarazioni sostitutive:
a) La dichiarazione sostitutiva di certificazione → è un atto privato sottoscritto dall’interessato, prodotto
in sostituzione del certificato come definito dalla legge (cioè di un documento che attesta stati, qualità
personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da titolari di
pubbliche funzioni);
b) La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà → è un documento sottoscritto dall’interessato
concernente stati, qualità personali e fatti che siano di sua diretta conoscenza, non compresi in pubblici
registri, albi ed elenchi e, dunque, non suscettibili di essere comprovati con dichiarazione sostitutiva
di certificazione. Le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà da produrre a pubbliche
amministrazioni o a gestori di servizi pubblici sono sottoscritte dall’interessato in presenza del
dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate insieme a copia non autenticata di un documento
d’identità dell’interessato.
Le dichiarazioni sostitutive non hanno piena funzione certificatoria, ma attenuano, con finalità di
semplificazione, l’onere di documentazione del privato.
Il procedimento amministrativo per il quale gli atti certificativi sono richiesti deve avere comunque corso,
una volta acquisita la dichiarazione dell’interessato. Resta ferma la facoltà di verificare la veridicità e la
autenticità delle attestazioni prodotte.
La legge n. 241/199 prevede ulteriori semplificazioni in materia di documentazione. I documenti necessari per
l’istruttoria del procedimento sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente può
richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. La giurisprudenza ha precisato che
tale norma non solo consente, ma impone alle amministrazioni procedenti di acquistare d’ufficio i documenti già in
loro possesso.
Infine, il legislatore ha stabilito che sono accertati d’ufficio i fatti, gli stati e le qualità che l’amministrazione
procedente o altra amministrazione pubblica sono tenute a certificare;
• Conferenza di servizi: in questo caso la semplificazione si ottiene garantendo raccordi efficaci fra
pubbliche amministrazioni diverse che intervengono nel medesimo procedimento o in procedimenti
amministrativi connessi. “Conferenza dei servizi” = consente un esame contestuale di vari interessi
pubblici, che usualmente sarebbero presi in considerazione in un ordine sequenziale.
Può intervenire nella fase istruttoria del procedimento, o nella fase più propriamente decisoria. La
conferenza in fase istruttoria non è obbligatoria.
La conferenza di servizi nella fase decisoria è obbligatoria quando l’amministrazione procedente deve
acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e
non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa
richiesta. È invece facoltativa se nello stesso termine si intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni
interpellate.
Facoltativa è anche la conferenza dedicata all’esame contestuale di interessi pubblici coinvolti in più
procedimenti amministrativi connessi, riguardanti la medesima attività o il medesimo risultato. Torna ad
essere obbligatoria nei procedimenti in cui l’attività del privato è subordinata ad atti di consenso che devono
essere adottati da più amministrazioni pubbliche.
È obbligatoria anche nel caso di affidamento di concessione di lavori pubblici.
Norme specifiche sono dettate sulla c.d. conferenza di servizi preliminare. Tale conferenza può essere
convocata per i progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata
richiesta dell’interessato, documentata da un progetto preliminare o da uno studio di fattibilità: la finalità è
quella di verificare quali siano le condizioni per ottenere gli atti di consenso sul progetto definitivo.
I tempi dello svolgimento della conferenza: la prima riunione deve essere convocata entro quindici giorni
dall’indizione, ovvero entro trenta giorni nei casi si particolare complessità dell’istruttoria. Nella prima
riunione viene fissato il termine per l’adozione della decisione conclusiva (comunque non si possono
superare, di regola, i novanta giorni). Sono tempi che si aggiungono ai termini del procedimento.
È impossibile, dunque, che la durata della conferenza rientri nei termini di conclusione del procedimento.
Modalità di partecipazione: le amministrazioni vengono convocate, ciascuna prende parte alla conferenza
tramite un unico rappresentante cui è attribuito il potere di esprimere in modo vincolante la volontà
dell’amministrazione.
Il criterio decisionale: ultimati i lavori della conferenza o comunque decorsi i novanta giorni,
l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate
le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.
Il criterio delle posizioni prevalenti non equivale a quello della maggioranza delle posizioni espresse: è un
criterio qualitativo più che quantitativo e tiene in considerazione la diversa rilevanza dei vari interessi fatti
valere.
Gli eventuali dissensi delle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza possono essere superati
dall’amministrazione procedente, dunque, se non sono prevalenti.
Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso
definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata. Si ritiene acquisito anche l’assenso
dell’amministrazione invitata ma assente.
Natura giuridica: la conferenza non dà luogo ad un organo collegiale, pur consentendo ai rappresentanti di
varie amministrazioni di esprimersi congiuntamente su questioni comuni (in modo analogo a quel che
avviene nei collegi); si è piuttosto in presenza di un luogo per l’acquisizione di modalità di semplificazione
dell’azione amministrativa al fine di una più celere formazione di atti complessi, che necessitano del
concorso di volontà di più amministrazioni. Ne deriva che non si applicano alla conferenza di servizi le
regole formali in materia di organi collegiali.
La giurisprudenza ha precisato che il consenso, oltre che in forma tacita, può intervenire anche in modo
non contestuale e al di fuori dell’ambito della conferenza.
La determinazione conclusiva del procedimento, adottata tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse
in sede di conferenza, sostituisce ogni altro assenso, comunque denominato, di competenza delle
amministrazioni partecipanti.
Esistono alcuni dissensi qualificati (cioè relativi a materie e interessi che il legislatore considera meritevoli
di particolare garanzia) che non possono essere superati in sede di conferenza e producono l’effetto di
rimettere la decisione in sede governativa. È sufficiente che il dissenso, motivato, sia espresso da
un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-
artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
In tali casi di dissenso qualificato, l’amministrazione procedente rimette la decisione al Consiglio dei
ministri che si pronuncia entro sessanta giorni. Occorre l aprevia intesa con la Regione o le Regioni e le
Province autonome interessate, qualora il dissenso sia tra un’amministrazione statale e una regionale o tra
più amministrazioni regionali; ovvero, è necessaria la previa intesa con la Regione e gli enti locali
interessati, nell’ipotesi di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti
locali. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa nel termine di trenta giorni, il Consiglio dei ministri
può comunque adottare la deliberazione finale superando il dissenso. Se il dissenso motivato è espresso da
una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, il Consiglio dei
Ministri delibera con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate;
• Accordi fra pubbliche amministrazioni: intervengono nel procedimento (ad integrazione o in
sostituzione del provvedimento finale) come strumenti di rafforzamento delle garanzie di partecipazione
degli interessati. Tramite l’accoglimento da parte dell’amministrazione delle osservazioni presentate dai
privati nella fase dell’istruttoria, la partecipazione giunge a vincolare l’amministrazione delle osservazioni
formulate, ma con un vero e proprio patto, che può addirittura prendere il posto del provvedimento.
Viceversa, gli accordi fra pubbliche amministrazioni rientrano fra gli strumenti di semplificazione del
procedimento: servono a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune;
• Segnalazione certificata di inizio attività: in alcuni casi la semplificazione si concreta nella riduzione egli
oneri burocratici che gravano sullo svolgimento delle attività dei privati. Tale semplificazione raggiunge
una soglia assai elevata allorchè, ove il privato intenda avviare proprie attività, ad esempio imprenditoriali,
taluni atti e procedimenti amministrativi (in particolare di tipo autorizzatorio) vengono eliminati del tutto e
vengono sostituiti da atti e procedimenti privati = liberalizzazione delle attività.
Tale percorso è stato avviato dal legislatore italiano già nel 1990 con la previsione dell’istituto della
Dichiarazione di inizio attività (DIA).
Nel nostro ordinamento, lo schema normativo generale è oggi contenuto nell’articolo 19 della legge sul
procedimento, che disciplina la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), istituto recentemente ha sostituito
la DIA.
DIA = struttura bifasica.
SCIA = il regime introdotto con la SCIA si fonda su un solo atto del privato, la segnalazione di inizio dell’attività:
e dalla data di presentazione della segnalazione, corredata dalle documentazioni previste dalla norma, l’attività può
essere senz’altro iniziata. La SCIA ha natura di atto del privato che sostituisce il procedimento autorizzatorio
preliminare. L’atto di tipo autorizzatorio, per poter essere sostituto dall’atto del privato, deve essere privo di
discrezionalità amministrativa: esso deve limitarsi almeno accertamento dei requisiti di legge e la SCIA non si
applica nelle ipotesi nelle qual sia previsto un numero massimo di autorizzazioni, poiché ciò lascia
all’amministrazione un margine di valutazione discrezionale. In base al regime SCIA, resta alla pubblica
amministrazione un potere di intervento ex post, finalizzato ad accertare la sussistenza meno delle condizioni, delle
modalità e dei fatti legittimanti per l’avvio dell’attività privata. Si tratta di un controllo successivo che può essere
esercitato entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di inizio dell’attività e che si caratterizza per
l’assenza di discrezionalità.
Al di là del potere interdittivo, sottoposto o meno ad un termine legale, è comunque fatto il salvo il potere
dell’amministrazione pubblica di intervenire in via di autotutela, adottando provvedimenti di revoca o di
annullamento d’ufficio. Gli atti che esprimono un potere di autotutela, sono provvedimenti amministrativi di
secondo grado: essi intervengono su provvedimenti di primo grado, preesistenti. Nel caso della SCIA, non c’è in
effetti nessun provvedimento di primo grado di tipo autorizzativo da revocare o da annullare d’ufficio. La più recente
giurisprudenza ha sostenuto che vi sarebbe un provvedimento preesistente che verrebbe in essere alla scadenza dei
sessanta giorni per l’esercizio del potere interdittivo della pubblica amministrazione (si tratterebbe di un
provvedimento tacito di diniego del provvedimento interdittivo, con il quale l’amministrazione, può vietare la
prosecuzione dell’attività privata e può rimuovere gli eventuali effetti dannosi da essa prodotti. La revoca o
l’annullamento verrebbero, così, ad incidere sul preesistente provvedimento tacito di diniego dell’interdizione e si
tradurrebbero nel superamento di quella precedente determinazione silenziosa: con la conseguente cessazione
dell’attività.
Le controversie sorte nell’applicazione delle norme sulla SCIA sono devolute alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo tra l’altro, il problema della tutela del terzo che lamenti un pregiudizio derivante dall’inizio
dell’attività oggetto di SCIA, il terzo può esperire un’azione di annullamento avverso il provvedimento tacito di
diniego della misura interdittiva che viene in essere dopo il decorso dei sessanta giorni previsti per l’esercizio del
potere d’interdizione. Prima che si formi tale provvedimento tacito, lo strumento di tutela del terzo è, invece,
l’azione di accertamento. Ma. Da ultimo, il legislatore è intervenuto sul punto, stabilendo che gli interessati possono
sollecitare le verifiche di spettanza dell’amministrazione e, in caso d’inerzia, esperire esclusivamente l’azione
avverso il silenzio.
Le fattispecie escluse dalla SCIA: ne restano al di fuori gli atti delle amministrazioni preposte alla cura di particolari
interessi. Alcuni rientrano nella sfera della puissance publique (la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, la pubblica
incolumità, l’immigrazione, il diritto d’asilo, la cittadinanza, l’amministrazione della giustizia e delle finanze).
Esclusi sono pure i casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Sono infine esclusi gli atti
imposti dalla normativa comunitaria;
• Silenzio assenso: nei procedimenti avviati su istanza di parte, l’inerzia della pubblica amministrazione può
dar luogo a esiti diversi. Vi sono casi in cui le norme espressamente qualificano il silenzio protratto oltre il
termine come rigetto dell’istanza. Si parla in tali ipotesi di silenzio rigetto o silenzio diniego. Può esservi il
silenzio inadempimento, quando non vi sono qualificazioni normative esplicite. Ma l’ipotesi con la portata
più estesa, è quella in cui l’inerzia medesima è da intendersi come accoglimento dell’istanza: silenzio
assenso. È un’importante forma di semplificazione procedurale: il decorso del tempo gioca a favore
dell’amministrato e non si richiedono particolari indagini della pubblica amministrazione ai fini
dell’accoglimento dell’istanza (non sussiste una liberalizzazione come avviene nella SCIA, ma un o
snellimento del modello procedimentale). Nei procedimenti di parte per il rilascio di provvedimenti
amministrativi il silenzio dell’amministrazione decidente equivale a provvedimento di accoglimento della
domanda se la stessa amministrazione non comunica all’istante, nei termini di conclusione del
procedimento, il provvedimento negativo o non indice, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza,
una conferenza di servizi.
Provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza: pag. 215

Nei casi di silenzio assenso, la legge prevede che l’amministrazione possa assumere decisioni in via di autotutela,
adottando provvedimenti di revoca o di annullamento d’ufficio.
Eccezioni al silenzio assenso: il silenzio assenso non opera a) nel caso di atti e procedimenti che intervengono in
materie richiamate (con qualche differenza) anche dalle norme sulla SCIA tra le ipotesi escluse dalla sua
applicazione (atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale,
la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità): non sono però
indicate (come è invece per la SCIA) l’amministrazione della giustizia e delle finanze( nelle quali il silenzio assenso
può trovare spazio); b) casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi
formali, non taciti; c) ipotesi in cui la legge qualifica esplicitamente il silenzio come rigetto dell’istanza; d) gli atti
e i procedimenti appositamente indicati in decreti del Presidente del Consiglio.
Ambito di applicazione della legge n. 241/1990:
La legge n. 241/1990 si applica integralmente alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Alcune sue
norme valgono per tutte le amministrazioni pubbliche: si tratta delle norme sul riconoscimento del danno per
inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, sugli accordi con i privati e tra
amministrazioni, sulla tutela giurisdizionale in materia di accesso e sul provvedimento. La legge si applica anche
alle società a capitale pubblico totale o prevalente, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative, cioè
quando esercitano funzioni pubbliche e/o servizi pubblici.
Regioni ed enti locali sono tenuti al rispetto dei principi ricavabili dalla legge n. 241.
Ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative si applicano i principi generali indicati nell’art. 1,
comma 1, della legge n. 241: cioè, la legalità, l’economicità, l’efficacia, la pubblicità, la trasparenza e i principi
dell’ordinamento comunitario.
Singole disposizioni della legge n. 241, poi, contengono norme specifiche sui limiti di applicabilità della stessa
legge.
Diversi procedimenti amministrativi sono soggetti a normative speciali. In tali casi, di regola, la legge n. 241 viene
applicata in via integrativa.

Cap.VII
Provvedimenti amministrativi

Nozione, caratteri e vicissitudini del provvedimento amministrativo:


Seguendo l’evoluzione storica, il provvedimento amministrativo, trova il suo archetipo nell’atto d’imperio.
Alcuni profili caratteristici dei provvedimenti amministrativi:
- la forma: di regola, è scritta;
- la giustificazione: è l’indicazione della base normativa del provvedimento esposta nella premessa del
provvedimento stesso;
- la motivazione: che esterna motivi che non sono gli stati soggettivi dell’attività negoziale, ma fatti e
interessi pubblici;
- il dispositivo: che contiene la parte decisionale del provvedimento, destinata a incidere unilateralmente
sulle situazioni giuridiche soggettive degli amministrati.
Col passare del tempo, il provvedimento è stato inserito sempre più all’interno di un procedimento amministrativo.
Il provvedimento si distingue da tutti agli altri atti amministrativi che intervengono nel procedimento: è l’atto più
importante, l’atto conclusivo del procedimento, l’atto costitutivo in senso giuridico (poiché è l’unico che costituisce,
modifica o estingue situazioni soggettive degli amministrati).
Un provvedimento invalido non è necessariamente inidoneo a produrre effetti. Se il vizio che lo riguarda comporta
annullabilità, e non nullità radicale, il provvedimento invalido continua ad essere efficace fino alla sospensione o
all’annullamento disposti dal giudice (amministrativo) o dalla stessa amministrazione.
In definitiva, il provvedimento amministrativo è stato costruito come atto avente una natura fortemente
pubblicistica cui tradizionalmente si collegava un regime esorbitante rispetto a quello privatistico. Oggi, il regime
esorbitante del provvedimento amministrativo si è attenuato. Restano, con valenza pubblicistica, l’imperatività e
l’esecutorietà.
Tipi di provvedimenti amministrativi:
In ragione del contenuto e degli effetti, si distinguono diversi tipi di provvedimenti amministrativi:
a) generali ( o puntuali) → sono rivolti a un insieme indeterminato di destinatari; si distinguono dagli atti
normativi secondari (ad esempio, i regolamenti), che possono essere adottati da figure soggettive
dell’amministrazione pubblica, ma sono fonti del diritto;
b) particolari → incidono su un destinatario o su di un insieme determinato di destinatari. Vi sono due tipologie
principali di provvedimenti amministrativi particolari: a) provvedimenti ampliativi (autorizzazioni e
concessioni amministrative*); b) provvedimenti limitativi, delle situazioni giuridiche soggettive degli
amministrati.
I provvedimenti amministrativi generali e particolari sono soggetti a regimi giuridici diversi. Ai procedimenti che
conducono all’adozione di provvedimenti amministrativi generali non si applicano le norme sulla partecipazione
previste dalla legge n. 241/1990, mentre valgono le norme speciali di settore. Ai provvedimenti generali non si
applica neppure il principio dell’obbligo di motivazione (alcune leggi speciali stabiliscono, in alcuni casi, che la
motivazione è necessaria anche per i provvedimenti generali: ad esempio, per quelli adottati dalla Banca d’Italia,
dalla CONSOB, dall’ISVAP). Nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di
provvedimenti amministrativi generali è escluso il diritto di accesso.
*Secondo l’insegnamento tradizionale,
“autorizzazioni amministrative” = sono provvedimenti che rimuovono un vincolo all’esercizio di un diritto che in
genere preesiste in capo all’amministrato.
“concessioni amministrative” = sono provvedimenti che, di regola, vengono a conferire al privato diritti e poteri
nuovi.
La dottrina successiva ha sollevato numerosi dubbi in proposito.
Le autorizzazioni amministrative sono state in buona misura sostituite da atti soggettivamente e oggettivamente
privati e appaiono ormai un tipo di provvedimento ridimensionato nella usa importanza.
Le concessioni più rilevanti, non sono provvedimenti amministrativi, ma assumono la natura di contratti tra
amministrazioni concedenti e imprese concessionarie.
Tra i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dell’amministrato, assumono rilevanza i provvedimenti ablatori
e i provvedimenti sanzionatori.
“provvedimenti ablatori” = modificano o estinguono diritti personali, diritti reali o rapporti obbligatori. Gli ordini
incidono su libertà e diritti personali.
“provvedimenti sanzionatori” = sono finalizzati a reprimere infrazioni alla legge o ad altri provvedimenti
amministrativi, infrazioni che non assumono rilevanza penale, ma integrano illeciti amministrativi. Le specie più
note sono i provvedimenti che irrogano sanzioni pecuniarie amministrative o sanzioni disciplinari. In questi
procedimenti, la partecipazione diviene vero e proprio contraddittorio: poiché si tratta dell’esercizio della potestà
punitiva delle amministrazioni pubbliche, vengono previsti meccanismi per la contestazione delle infrazioni e
vengono assegnati termini per l’esercizio del diritto di difesa.
Queste classificazioni possono riguardare anche i rispettivi procedimenti amministrativi: autorizzazioni, concessori,
ablatori, sanzionatori.
“procedimenti autorizzatori” = sono ordinari procedimenti a istanza di parte che si concludono con un
provvedimento espresso o tacito.
“procedimenti concessori” = si basano essenzialmente sul perfezionamento del contratto che costituisce il rapporto
concessorio.
“procedimenti abaltori” = poiché sacrificano situazioni giuridiche soggettive dei privati, sono disegnati in modo da
assicurare al massimo grado le garanzie di partecipazione di coloro che possono riceverne un pregiudizio.
Esistono figure molto diverse di autorizzazioni e di concessioni. Ma si possono delineare alcuni tratti generali dei
rispettivi regimi giuridici:
- il regime autorizzatorio: va sempre giustificato, si fonda su una discrezionalità ormai molto limitata per
quel che riguarda il conferimento dell’autorizzazione amministrativa. Si moltiplicano le ipotesi di c.d.
autorizzazioni “obiettivate”, in cui l’amministrazione si limita ad accertare, in modo automatico o semi-
automatico, l’esistenza di requisiti e di presupposti previsti dalla legge;
- il regime concessorio: esso origina, nei casi più rilevanti, da contratto e non da provvedimento
amministrativo. Il tratto caratteristico di tale regime sta in una regolazione molto penetrante e dettagliata
da parte dell’amministrazione concedente sull’attività svolta dal concessionario: sono previsti poteri non
solo di vigilanza, ma anche di direzione e di sostituzione.
Efficacia ed esecuzione del provvedimento:
Sono da distinguere, sulla base dell’evoluzione giurisprudenziale e legislativa, l’efficacia, l’esecutività e
l’esecutorietà del provvedimento amministrativo.
“efficacia” = è l’astratta idoneità a produrre effetti.
“esecutività” = assume significati diversi; talora è equiparata all’efficacia; altre volte sta ad indicare l’eseguibilità
del provvedimento.
“esecutorietà” = potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento ove
l’amministrato non ottemperi ad un obbligo posto a suo carico, ostacolando la realizzazione del risultato effettivo
dell’attività amministrativa.
Quanto all’efficacia, il provvedimento può essere immediatamente idoneo a produrre effetti, ma vi sono casi in cui
sussistono limiti. Innanzitutto, il provvedimento amministrativo può contenere elementi accidentali che incidono
sull’efficacia (clausole di condizione, termine, modo). Inoltre, il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei
privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle
forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Dunque, i
provvedimenti restrittivi delle situazioni giuridiche soggettive, come i provvedimenti ablatori o sanzionatori, sono
atti recettizi. Il provvedimento limitativo, se non ha carattere sanzionatorio, può contenre una clausola di immediata
efficacia, purchè motivata: l’amministrazione la deve prevedere esplicitamente e la deve giustificare. In ogni caso,
i provvedimenti limitativi sono immediatamente efficaci se abbiano carattere cautelare ed urgente. L’esecutività
possono però stabilire altrimenti. L’efficacia e l’esecuzione possono essere sospese, per gravi ragioni e per il tempo
strettamente necessario dallo stesso organo che ha adottato il provvedimento o da altro organo previsto dalla legge.
Il giudice amministrativo può adottare la misura cautelare della sospensione.
L’esecutorietà non entra più in gioco in virtù di un principio non scritto, e indipendentemente da una previsione
normativa esplicita. È necessaria una previsione espressa per legge, di volta in volta.
In ogni caso, il provvedimento costitutivo di obblighi deve indicare il termine e le modalità dell’esecuzione da parte
del soggetto obbligato. qualora l’interessato non ottemperi, la pubblica amministrazione è tenuta ad adottare una
previa diffida e, su questa base, può provvedere all’esecuzione coattiva (e il legislatore ribadisce: nelle ipotesi e
secondo le modalità previste dalla legge).
L’invalidità del provvedimento: i casi di annullabilità. Le ipotesi di illegittimità non invalidante:
La legge n. 241/1990 ha (nuovamente) elencato i tre vizi di legittimità:
• Incompetenza = difetto di competenza; la competenza è la misura dell’attribuzione. Sotto questo profilo,
l’attribuzione è l’affidamento ad una pubblica amministrazione della cura di una serie di interessi pubblici;
• Convalida = un provvedimento adottato da un organo sprovvisto della competenza specifica, è affetto dal
vizio di incompetenza. L’atto p annullabile e può essere convalidato tramite l’adozione del provvedimento
da parte dell’organo competente. La mancanza di attribuzione, invece, può dar luogo alla nullità del
provvedimento amministrativo per carenza di potere;
• Violazione di legge = non conformità del provvedimento rispetto ad una disposizione normativa specifica
Ci sono poi due ipotesi di illegittimità non invalidante:
1) Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli
atti se il provvedimento medesimo ha natura vincolata, dunque non discrezionale, e sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;
2) Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizi che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Più complessa è stata l’elaborazione giurisprudenziale in tema di eccesso di potere. La figura di partenza è stata
quella del c.d. sviamento di potere. Lo sviamento di potere, però, rifletteva una concezione e una realtà
dell’amministrazione che erano già in via di superamento fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. L’idea dello
sviamento poteva funzionare in una situazione in cui l alegge attribuiva a una determinata amministrazione pubblica
il fine di perseguire un interesse pubblico unitario e ben identificabile: ogni deviazione da esso poteva rivelare il
vizio del relativo provvedimento. In realtà, sviluppandosi già in quel periodo un maggiore pluralismo, il gioco degli
interessi era divenuto molto più complesso. Una stessa amministrazione poteva ricevere in titolarità una serie di
interessi pubblici, a volte anche configgenti. Di conseguenza, cominciava ad essere arduo individuare la deviazione.
Fu così che nacquero una serie di ipotesi di eccesso di potere, sulla base di una ricca casistica.
Tra le figure più importanti che permangono ad oggi, il travisamento di fatto (l’amministrazione fonda la sua
decisione sulla premessa che sussista un fatto che in realtà non esiste o presenta caratteristiche diverse).
Il giudice, oltre a controllare la qualità della motivazione, controlla se l’amministrazione abbia effettuato una
valutazione compiuta, sufficiente, degli interessi in gioco nell’istruttoria amministrativa che precede l’adozione del
provvedimento.
Vi sono poi figure particolari di eccesso di potere, come la violazione di circolari, o la deviazione da una prassi
amministrativa consolidata, o la difformità del provvedimento rispetto ad un provvedimento precedente avente lo
stesso contenuto soggettivo e oggettivo.
Infine, due rilevanti ipotesi di eccesso di potere: l’irragionevolezza e il difetto di proporzionalità.
Irragionevolezza: il giudice valuta la coerenza dell’intero procedimento, l’eventuale sussistenza di perplessità nella
complessiva azione dell’amministrazione, il nesso fra gli intenti e gli obiettivi concreti realizzati.
Difetto di proporzionalità: il giudice valuta se il provvedimento sia indispensabile, se sia adeguato al fine che
l’amministrazione intende perseguire, se costituisca la misura meno restrittiva possibile nei confronti della sfera
giuridica del destinatario. E, talora, effettua un bilanciamento tra i benefici ottenuti per il pubblico interesse e i
sacrifici imposti agli interessi dei privati.
Il controllo sull’eccesso di potere, in definitiva, viene esercitato sulla base del criterio di conformità dell’azione
amministrativa rispetto a principi giuridici. Si resta, quindi, pur sempre nell’ambito di un controllo sulla legittimità.
L’invalidità del provvedimento: i casi di nullità:
I provvedimenti amministrativi di secondo grado:
I provvedimenti amministrativi di secondo grado sono espressione della potestà di autotutela decisoria, che si
concreta nell’emanazione di atti incidenti su precedenti provvedimenti al fine di assicurarne la legittimità o la
rispondenza all’interesse pubblico; mentre di autotutela esecutiva si parla a proposito dell’esecutorietà.

Cap.VIII
Moduli consensuali: contratti, convenzioni, accordi

Lo sviluppo progressivo dell’amministrazione consensuale:


La costruzione pubblicistica dell’attività amministrativa.
Il modello classico entrò in crisi ben presta. Già in periodo giolittiano fu chiaro che, per garantire il decollo
industriale del Paese, era indispensabile che l’amministrazione pubblica collaborasse con le imprese private: essa
non poteva pretendere di imporre condizioni in modo unilaterale e autorizzativo. Di lì cominciò a svilupparsi nella
prassi l’amministrazione consensuale, tramite contratti, convenzioni, accordi.
Contratti, convenzioni e accordi hanno progressivamente ampliato il loro campo di operatività e oggi hanno dignità
pari ( e forse rilevanza superiore) a quella dei provvedimenti amministrativi unilaterali.
Alcune delle principali categorie, sono:
• I contratti delle pubbliche amministrazioni: vi sono strumenti che possono essere ricondotti alla figura
giuridica del contratto. I contratti di appalto pubblico hanno assunto estensione sempre maggiori. Accanto
agli appalti pubblici di servizi. Oltre agli appalti pubblici, il modello contrattuale ha conosciuto un
ampliamento smisurato. a) la concessione di lavori pubblici (che si distingue dall’appalto perché il
corrispettivo per l’impresa che realizza l’opera non è immediato, ma viene acquisito tramite la gestione
della stessa); b) concessioni di beni e di servizi pubblici; c) urbanistica negoziata: sono nate, fin dalla
seconda metà dell’Ottocento, come moduli riconducibili al contratto. Oggi la giurisprudenza italiana tende
a farle rientrare fra gli accordi sostitutivi di provvedimento amministrativo, che hanno un’indole più
pubblicistica (una delle differenze principali, è che l’accordo sostitutivo è soggetto al potere generale di
recesso dell’amministrazione nel pubblico interesse, mentre dal contratto l’amministrazione può recedere
solo ed esclusivamente se ciò è previsto in modo esplicito da una legge apposita o dal regolamento
contrattuale; d) convenzioni sanitarie (ad esempio le ASL e cliniche private); e) forme di sovvenzionamento
o finanziamento pubblico; f) contratti di programma realizzano un’apertura importante al diritto privato. Si
tratta, usualmente, di rapporti tra imprese di gestione di pubblici servizi e ministeri vigilanti. Il contratto
regola i controlli che il ministero vigilante può esercitare sull’impresa. In tutti i casi menzionati, qualunque
sia la denominazione formale, “contratto” o “convenzione, si è in presenza di moduli contrattuali. In alcune
ipotesi, tali moduli possono avere un oggetto pubblico, come avviene nel caso delle concessioni di beni
pubblici o di servizi pubblici. Il fatto che siano contratti di diritto pubblico. L’oggetto è pubblico poiché è
indispensabile per i privati, ma la disciplina del contratto è fatta delle regole privatistiche del codice civile,
con alcune deroghe. In ogni caso, dunque, ci si trova in presenza di contratti di diritto privato speciale, con
graduazioni diversi della specialità. I rapporti contrattuali di concessione amministrativa sono sottoposti al
potere di revoca dell’amministrazione concedente per motivi di pubblico interesse. La revoca ha natura di
provvedimento amministrativo: è un actum principis che precipita sul rapporto contrattuale, ma non ne
altera la natura e il regime, che resta quello proprio delle disposizioni del codice civile in materia di
obbligazioni e contratti. La disciplina del rapporto contrattuale d’impiego pubblico prevede, ad esempio,
un procedimento speciale per il controllo della spesa pubblica e l’inapplicabilità della c.d. promozione per
affidamento di mansioni superiori prevista dal codice civile; ma al di là di queste deroghe, il rapporto è
soggetto alle ordinarie regole lavoristiche.
• Le procedure ad evidenza pubblica: la disciplina dell’evidenza pubblica regola quel particolare
procedimento amministrativo volto a limitare e a conformare secondo parametri oggettivi l’autonomia
contrattuale della pubblica amministrazione nella fase di scelta del contraente e di determinazione del
contenuto contrattuale. Si è quindi in presenza di un procedimento amministrativo parallelo che si affianca
al momento privatistico di stipulazione, approvazione ed esecuzione del contratto. La necessità di separare
questi due “momenti” (pubblicistico e privatistico) è stata tradizionalmente connessa soprattutto
all’esigenza di ridurre il rischio di decisioni arbitrarie da parte dell’amministrazione nell’individuazione
del contraente. Con l’avvento del diritto comunitario si è assistito ad una trasformazione della ratio della
disciplina dell’evidenza pubblica: ha iniziato a farsi strada l’idea che la normativa in materia di appalti
pubblici concernente la procedura di scelta del contraente dovesse essere diretta a tutelare anche la libera
concorrenza tra imprese aspiranti al contratto operanti all’interno dei paesi membri. Dopo una prima fase
in cui le direttive comunitarie sono intervenute a regolare separatamente gli appalti di servizi, gli appalti di
lavori e gli appalti di forniture, nel 2004 è stata varata una direttiva unica per tutti e tre i tipi sopra
menzionati (n. 18/2004), mentre con una separata direttiva sono stati disciplinati solo i c.d. settori esclusi
(acqua, gas, elettricità, trasporti, servizi postali). Tali direttive sono state attuate dal Codice dei contratti
pubblici relativo a lavori, servizi e forniture. Ci si trova, quindi, dinanzi a un complesso unitario di norme
e principi di derivazione comunitaria che si applica a livello nazionale a tutte le gare per l’aggiudicazione
di lavori, servizi e forniture bandite da amministrazioni aggiudicatrici, ovvero da imprese pubbliche, o da
altre imprese che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dall’amministrazione. Si assiste ad
una dilatazione dell’ambito dei soggetti tenuti ad applicare la suddetta normativa ai fini dell’affidamento
dei contratti: rientrano fra tali soggetti, gli organismi di diritto pubblico. Il concetto di organismo di diritto
pubblico, elaborato a livello comunitario, consente di imporre anche ad alcuni soggetti di natura
formalmente privata, il rispetto della disciplina dell’evidenza pubblica. Affinchè un soggetto, sia pure
privato, sia considerato come organismo di diritto pubblico, è necessario che esso, ancorchè costituito in
forma societaria: a) sia dotato di personalità giuridica; b) sia stato istituito per soddisfare esigenze di
interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) sia finanziato in modo maggioritario
dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure sia da questi soggetti
controllato, oppure abbia organi di amministrazione, direzione o vigilanza formati da membri in
maggioranza designati dagli stessi soggetti. Le fasi di procedura dell’evidenza pubblica. Ad una prima fase
di “esternazione” della volontà di contrarre da parte dell’amministrazione (mediante la pubblicazione del
c.d. bando di gara), segue la fase della presentazione delle offerte da parte degli operatori e, infine, la fase
della valutazione delle stesse da parte di una commissione giudicatrice. La migliore offerta viene
precariamente individuata con l’atto amministrativo di aggiudicazione provvisoria, che dovrà essere
tuttavia approvato nel termine di trenta giorni dall’organo competente di ciascuna stazione appaltante. Solo
a seguito di tale approvazione, il soggetto aggiudicatore emette il provvedimento amministrativo di
individuazione del contraente e della offerta migliore, che conclude tutta la procedura pubblicistica
dell’evidenza pubblica: si tratta del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Tale provvedimento, non
equivale ad accettazione dell’offerta: esso, infatti, diviene efficace solo dopo la verifica dei requisiti
prescritti dalla legge o dal bando di gara. L’offerta, invece, è irrevocabile per il contraente privato e lo
vincola fino alla scadenza del termine per la stipulazione del contratto. L’amministrazione è tenuta a
stipulare il contratto, con l’operatore privato selezionato a seguito della gara, nel termine di sessanta giorni
dall’aggiudicazione divenuta efficace, e comunque non prima di trentacinque giorni dalla comunicazione
della stessa (così da garantire il diritto delle altre imprese non aggiudicatarie di ricorrere dinanzi al giudice
amministrativo contro il provvedimento di aggiudicazione (è il c.d. termine di standstill). Si tratta di un
vero e proprio contratto di diritto privato. Solo al momento della stipula del contratto si attivano situazioni
giuridiche di diritto soggettivo delle parti, che potranno essere fatte valere dinanzi al giudice ordinario. In
relazione al rapporto contrattuale, il giudice amministrativo è competente esclusivamente a conoscere delle
questioni relative all’efficacia o inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione
definitiva.
Fasi dell’evidenza pubblica: il presupposto necessario per l’avvio della procedura è l’emanazione, da parte
del soggetto aggiudicatore, di un atto di determinazione a contrarre con cui si individuano gli elementi
essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte.
Solo a questo punto la volontà dell’amministrazione di ricorrere al mercato per acquisire una determinata
prestazione deve essere esternata e pubblicizzata agli operatori del settore con un atto amministrativo di
carattere generale: il c.d. bando di gara. La normativa comunitaria ha imposto che al bando sia data la
massima pubblicità anche mediante la pubblicazione nella G.U. dell’ UE.
Quanto alle singole procedure per la scelta del contraente, il diritto comunitario ha previsto quattro
differenti tipologie: la procedura aperta, la procedura ristretta, la procedura negoziata e il dialogo
competitivo.
La procedura aperta è la procedura in cui ogni operatore economico interessato può presentare un’offerta.
La procedura ristretta è la procedura ristretta è la procedura a cui ogni operatore economico può chiedere
di partecipare e in cui possono presentare un’offerta soltanto gi operatori economici invitati dalle stazioni
appaltanti.
Tuttavia, la normativa comunitaria ha comunque imposto la preventiva pubblicazione di un bando di gara
che consenta agli operatori interessati di presentare all’amministrazione aggiudicatrice la richiesta di essere
invitati alla procedura di selezione medesima.
“Procedura negoziata” = viene definita come la procedura in cui le stazioni appaltanti consultano gli
operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più di essi le condizionano dell’appalto.
Il dialogo competitivo costituisce quel particolare procedimento in cui la stazione appaltante, in caso di
appalti particolarmente complessi, avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura, al fine di
elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i
candidati selezionati saranno invitati a presentare le offerte; a tale procedura qualsiasi operatore economico
può chiedere di partecipare.
Criteri di valutazione delle offerte sono due: il criterio del prezzo più basso e quello dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
Nonostante la sussistenza di un inevitabile margine di discrezionalità tecnica in capo alla commissione
giudicatrice, anche in queste ipotesi si assiste ad una progressiva attenuazione della libertà di scelta nella
fase di valutazione, posto che l’ordinamento comunitario esige la rigorosa predeterminazione (già in sede
di pubblicazione del bando) dei criteri valutativi di scelta e del relativo peso da attribuire a ciascuno di essi
da parte della commissione;
• Gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento. Altri accordi: a) accordo
procedimentale: nel corso dell’istruttoria procedimentale, gli amministrati possono presentare
osservazioni, memorie e proposte: in accoglimento di tali formulazioni, l’amministrazione
procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti di terzi, e nel perseguimento di interessi
pubblici, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del
provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. Dunque, due tipi di accordi: 1) integrativi
del provvedimento (che servono a definirne alcune clausole); 2) sostitutivi del provvedimento (che
finiscono per prendere il suo posto). La forma di tali accordi, deve essere scritta, a pena di nullità,
e si applicano ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni
e contratti in quanto compatibili. In ogni caso, l’amministrazione può recedere unilateralmente
dall’accordo, salvo l’obbligo dell’indennizzo se vi siano pregiudizi in danno del privato. Sono
affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di
accordi. Vi è un potere di recesso unilaterale dell’amministrazione nel pubblico interesse, previsto
in via generale dalla legge sul procedimento. Si tratta di una potestà pubblicistica. Tale facoltà è
ammessa nei soli casi previsti dalla legge o da contratto; è necessario, dunque, il consenso delle
parti, ovvero una previsione esplicita e apposita di una norma specifica.

Cap.IX
La responsabilità della pubblica amministrazione e dei dipendenti: storia e tipi

Profili storico-comparativi: limiti della responsabilità:


La regola della responsabilità della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti per danni causati a terzi si è
affermato con gradualità in diversi ordinamenti giuridici.
La disciplina attuale nell’ordinamento italiano: responsabilità civile della pubblica amministrazione:
Art. 28 Cost.: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo
le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile
si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
Se ne ricava, in primo luogo, che vi è responsabilità civile sia dell’impiegato che dell’amministrazione. Il privato
danneggiato può chiamare in causa direttamente non solo il funzionario, ma anche la pubblica amministrazione.
In secondo luogo, trovano applicazione le norme privatistiche, le “leggi civili”, cioè, prima di tutto, il codice civile.
In particolare, l’art. 2043.
Né la pubblica amministrazione né i suoi dipendenti sono coperti da immunità o privilegi speciali: essi sono soggetti
al diritto comune.
In terzo luogo, quando la Costituzione parla di “atti compiuti in violazione di diritti” è da intendersi che tra gli “atti”
siano inclusi sia i provvedimenti amministrativi, sia le misure negoziali, sia i meri comportamenti o le attività
materiali della pubblica amministrazione.
Infine, alla formula “in violazione di diritti” deve essere attribuita una valenza generale: è da ritenere che essa si
riferisca alla lesione di tutti i tipi di situazioni giuridiche soggettive attive, sia diritti soggettivi che interessi legittimi.
La legge ordinaria ha chiarito il rapporto fra responsabilità dell’amministrazione e responsabilità dell’impiegato.
Quest’ultimo risponde soltanto per dolo o colpa grave; mentre l’amministrazione risponde anche per la colpa lieve.
Il privato può agire in giudizio direttamente contro la pubblica amministrazione: o dinanzi al giudice ordinario o
dinanzi al giudice amministrativo (secondo i generali criteri di riparto delle giurisdizioni). L’amministrazione può
rivalersi nei confronti del dipendente o del funzionario, nei casi di dolo o colpa grave, e il giudizio si instaura dinanzi
alla Corte dei conti. Nell’ipotesi in cui il dipendente abbia agito per un fine privato ed egoistico, estraneo
all’amministrazione, vi è responsabilità del dolo dipendente, non dell’amministrazione, perché manca qualsiasi tipo
di imputabilità alla struttura amministrativa dell’atto o del fatto compiuto dal dipendente.
Responsabilità per lesione di interessi legittimi:
Una delle problematiche più delicate, riguarda i limiti della responsabilità civile della pubblica amministrazione
quando il fatto che cagiona il danno è un provvedimento amministrativo, espressione tipica del potere pubblicistico.
Il provvedimento ha efficacia imperativa; se trova dinanzi a sé diritti soggettivi in capo agli interlocutori
dell’amministrazione, ha la forza di degradarli a interessi legittimi; la violazione di interessi legittimi può dar luogo
a danno ingiusto e può comportare l’obbligo del risarcimento? Come si valutano in questo caso il dolo e la colpa?
Per decenni la giurisprudenza, del giudice ordinario e amministrativo, ha ritenuto che non vi fosse spazio per la
risarcibilità in caso di lesione di interessi legittimi.
L’interpretazione tradizionale considerava danno ingiusto solo la lesione di un diritto soggettivo (non un interesse
legittimo).
La Corte di cassazione, al termine del Novecento, è giunta al superamento di questa interpretazione tradizionale.
Non era più giustificata la limitazione della responsabilità della pubblica amministrazione nel caso di pregiudizi
arrecati alla sfera giuridica dei privati da provvedimenti amministrativi. Si trattava ormai, come ha detto la Corte di
cassazione nel 1999, di una isola di immunità e di privilegio che mal si concilia con le più elementari esigenze di
giustizia.
Nel 1999, la Corte di cassazione compie il passo definitivo, superando l’interpretazione tradizionale dell’art. 2043
c.c.
Con il suo nuovo orientamento, la Cassazione afferma che è risarcibile ogni danno che presenti il carattere
dell’ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, il danno privo di giustificazione giuridica, che si risolve nella
lesione di un interesse rilevante e meritevole di tutela per l’ordinamento.
Dunque, ai fini della configurabile della responsabilità civile della pubblica amministrazione, non è più determinante
la qualificazione formale della situazione giuridica soggettiva lesa come diritto soggettivo perfetto.
In definitiva, vi può essere responsabilità civile della pubblica amministrazione, e conseguente obbligo di
risarcimento del danno ingiusto, anche nel caso di lesione di interessi legittimi, che sono riconosciuti come
meritevoli di tutela e sono posti su un piano di dignità pari a quella propria dei diritti soggettivi perfetti dalla stessa
Carta costituzionale (artt. 24 e 113 Cost.).
La lesione di un interesse legittimo non è condizione sufficiente affinchè sia garantita la tutela risarcitoria nei
confronti della pubblica amministrazione che ha agito nell’esercizio del suo potere autoritativo. Occorre, al tempo
stesso, che la lesione dell’interesse legittimo sia l’effetto dell’attività colpevole (commissiva od omissiva)
dell’amministrazione: poiché la colpa (insieme al dolo) è componente essenziale della responsabilità civile in base
all’art. 2043 c.c.
Affinchè vi sia colpa dell’amministrazione, non è sufficiente rilevare l’illegittimità del provvedimento adottato; né
è sufficiente accertare la negligenza o l’imperizia del funzionario che ha agito; ma è indispensabile svolgere una più
estesa indagine sulla colpa della pubblica amministrazione come apparato, che sussiste quando l’adozione e
l’esecuzione del provvedeimnto illegittimo, lesivo dell’interesse del danneggiato, siano avvenute in violazione dei
principi di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione.
Una simile conclusione ha reso difficile provare l’illecito, onere che incombe sul danneggiato dall’azione
amministrativa, cioè sull’amministrato, secondo la regola dell’art. 2043 c.c.
Di qui l’emergere di una tesi secondo la quale la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di
interessi legittimi sarebbe una responsabilità “da contatto”. “Contatto” fra l’amministrazione e l’amministrato, che
darebbe vita ad un rapporto giuridico tale per cui il diritto al rinascimento del danno derivante dall’azione del
provvedimento che conclude il procedimento non sarebbe riconducibile all’art. 2043 c.c. sulla responsabilità
extracontrattuale, ma presenterebbe caratteristiche simili a quelle proprie della responsabilità contrattuale. Si
applicherebbe, quindi, l’art. 1218 c.c., in base al quale è il debitore che non esegue esattamente la prestazione cui è
tenuto a dover provare che l’inadempimento non è a lui imputabile: sarebbe, dunque, la pubblica amministrazione
ad essere gravata dall’onere della prova.
La giurisprudenza è tornata poi ad applicare l’art. 2043 c.c., ma con un’attenzione dell’onere della prova gravante
sull’amministrato: i giudici, infatti, hanno costruito una nozione quasi oggettiva di colpa, secondo le quali
l’illegittimità del provvedimento produttivo di un danno ingiusto può essere di per sé sufficiente a far sussistere
l’agire colposo dell’amministrazione, là dove vi sia un vizio di legittimità particolarmente grave.
Quanto alla prova, l’amministrato può limitarsi a fornire elementi indiziari che possano costituire presunzioni
semplici della colpa dell’amministrazioni.
Il giudice amministrativo, nell’ambito della propria giurisdizione, a conoscere di tutte le questioni concernenti
l’eventuale risarcimento del danno ingiusto.
Il giudice ordinario resta competente a conoscere del danno in dispute che non sono riconducibili alla giurisdizione
amministrativa.
La cosiddetta responsabilità amministrativa:
(La responsabilità civile della pubblica amministrazione impone che siano risarciti gli amministrati che abbiano
subito un danno ingiusto).
Invece
La c.d. responsabilità amministrativa, impone il risarcimento del danno che viene a subire l’amministrazione
pubblica per l’operato di funzionari o amministratori: sia per le azioni od omissioni di questi ultimi che hanno
causato un danno ingiusto a terzi che l’amministrazione è stata chiamata a risarcire; sia per le azioni od omissioni
di funzionari e dipendenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, hanno arrecato direttamente all’amministrazione
un danno ingiusto. Si tratta del c.d. danno erariale.
La materia è disciplinata da regole speciali.
Il giudice competente sulle relative controversie è la Corte dei conti. L’azione di responsabilità è promossa dal
procuratore regionale della medesima Corte.
La c.d. responsabilità amministrativa è limitata agli atti e alle omissioni posti in essere dai funzionari e dagli
amministratori con dolo o colpa grave (deroga rilevante rispetto al regime di diritto privato).
Perché vi sia responsabilità non è sufficiente la violazione di un dovere d’ufficio o l’adozione di un atto illegittimo:
è necessario che vi sia stato un danno ingiusto.
La responsabilità amministrativa è individuale. Diviene solidale in caso di attività dolosa o di arricchimento di chi
ha agito. Se vi è stato un atto collegiale, sono esenti da responsabilità sia coloro che hanno votato contro, sia coloro
che non hanno partecipato alla votazione, sia gli astenuti. I titolari degli organi politici o di indirizzo non rispondono
degli atti che rientrano nella competenza di appositi uffici tecnici, quando in buona fede li abbiano approvati.
Il regime relativo all’ambito di applicazione della disciplina speciale concernente la responsabilità amministrativa,
riguarda tutti coloro che a qualunque titolo svolgono compiti per un’amministrazione pubblica.
La responsabilità amministrativa può valere anche per gli amministratori e per i dipendenti di enti pubblici
economici e di società con partecipazione pubblica, ad eccezione delle società quotate con partecipazione pubblica
inferiore al cinquanta per cento.
Recentemente, alcune pronunce della Corte di cassazione sembrano aprire la via verso una restrizione dell’ambito
di applicazione della responsabilità amministrativa ad amministratori e dipendenti di società in partecipazione
pubblica. Secondo tale giurisprudenza, vale in via generale l’azione civilistica di responsabilità per danno recato al
patrimonio sociale; la responsabilità amministrativa può operare in ordine al danno subito dal soggetto pubblico
partecipante alla società, ma si imputa al soggetto che, gestendo la partecipazione pubblica, non abbia esercitato i
poteri spettanti al socio pubblico per indirizzare correttamente l’azione degli amministratori o dei dipendenti della
società.
È auspicabile che tale tendenza, più attenta al diritto privato, si consolidi.

Parte IV
Conclusioni
Cap. X
Le disfunzioni

Diritto amministrativo e diritto comune: tendenze e controtendenze:


Spesso ci sono state critiche al diritto amministrativo continentale, di derivazione francese, perché considerato
troppo rigido, eccessivamente pubblicistico, poco flessibile (contrapposto ai sistemi di common law, considerati
invece più flessibili e idonei al perseguimento efficace degli interessi pubblici e alle garanzie degli amministrati).
In realtà, questa contrapposizione non trova più rispondenza nel diritto vigente. Da un lato, infatti, il diritto
amministrativo continentale sempre più si è aperto all’influenza del diritto privato e del diritto comune (traendo
ispirazione anche dalle esperienze di common law). Dall’altro lato, quella britannica e quella statunitense, hanno
accettato gradualmente regole e istituti propri del diritto amministrativo quale si era formato e sviluppato in Francia
e negli altri Paesi dell’Europa continentale.
Oggi, il diritto amministrativo, in vari ordinamenti giuridici combina elementi pubblicistici e privatistici.
Tuttavia a tratti emerge, nella dottrina e nelle pronunce dei giudici, una controtendenza, consistente nel qualificare
in maniera pubblicistica alcuni rapporti tra pubbliche amministrazioni e amministrati che potrebbero pienamente
rientrare nel quadro del diritto privato (è il caso delle società in partecipazione pubblica).
Il difficile equilibrio tra efficienza e garanzie:
Duplice contestazione del diritto amministrativo:
a) Alcuni hanno criticato, in nome dell’efficacia dell’azione amministrativa, l’eccessiva sottoposizione
dell’amministrazione al diritto. È la critica allo “spirito legalista”; denuncia dell’eccessivo formalismo
legalista;
b) Altri hanno rimproverato al diritto amministrativo di non essere riuscito ad assicurare un sufficiente
controllo di legittimità dell’azione amministrativa.
In realtà, va detto che il diritto amministrativo ah tentato di raggiungere un equilibrio tra esigenze dell’efficienza,
dell’efficacia, del risultato dell’azione amministrativa, da un lato, e ragioni garantistiche degli amministrati,
dall’altro. E, a tal fine, ha scelto di sottomettere l’amministrazione pubblica a regole che sanno tener conto, al tempo
stesso, delle necessità del potere pubblico e della protezione dei destinatari di quel potere: regole che ammettono,
quando serva, l’imperatività dei provvedimenti amministrativi.
Le ipotesi si illegittimità non invalidante: in primo luogo, la violazione di norme sul procedimento non conduce
all’annullamento del provvedimento finale se questo abbia natura vincolata e sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; in secondo luogo, la mancata
comunicazione dell’avvio del procedimento non rende annullabile il provvedimento qualora l’amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto di tale atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Si viene così a privilegiare la sostanza sulla forma: le norme sul procedimento non si possono applicare in modo
formalistico; la loro violazione non può invalidare il provvedimento amministrativo se il risultato concreto che si
raggiunge è lo stesso che si sarebbe avuto in assenza di infrazione. Ma la violazione di norme sul procedimento può
incidere sulla partecipazione. E la mancata comunicazione di avvio del procedimento può precludere al privato la
stessa possibilità di partecipare, a meno che questi non abbia conoscenza del procedimento in altro modo.
La turbativa politica:
La pubblica amministrazione, originariamente inserita nell’apparato esecutivo, si è gradualmente emancipata dal
potere governativo.
Questa dell’emancipazione progressiva dell’amministrazione dal governo è certamente la linea di tendenza che
emerge storicamente. Ma non mancano e persistono le controtendenze. Lo spoils system, in base al quale la
permanenza in alcuni incarichi dirigenziali è sottoposta alla volontà politica e può cessare prima della scadenza
naturale dell’incarico, è stato ridimensionato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Ma il legislatore tende
ad ampliarne nuovamente il perimetro. Permane comunque in diverse amministrazioni, centrali e locali, una forte
influenza esercitata sulla burocrazia dagli uffici di gabinetto dei ministri o dagli stretti collaboratori dei vertici
politici delle regioni e degli enti locali. Le stesse autorità indipendenti hanno talora subito una diminuzione della
loro indipendenza dal governo.
Incompiutezza della partecipazione e della semplificazione:
Vi sono progressi, in termini di partecipazione del cittadino ai procedimenti amministrativi e di semplificazione
dell’azione delle pubbliche amministrazioni.
Ma permangono diversi limiti.
I problemi maggiori riguardano i procedimenti cosiddetti generali, che conducono all’adozione di provvedimenti
amministrativi generali, come piani, programmi o direttive, rivolti a insieme indeterminati di destinatari. A tali
procedimenti non si applicano le garanzie partecipatorie previste nella legge stessa: valgono per essi le rispettive
norme speciali che ne regolano la formazione. La conseguenza è che alcuni procedimenti amministrativi generali,
restano spesso privi di adeguate garanzie partecipatorie.
Tante norme sono state modificate nel tempo.
Quanto alle semplificazione, la conferenza di servizi resta uno strumento troppo complicato.
Per la SCIA e per il silenzio-assenso, è arduo individuare i rispettivi ambiti di applicazione.
Vi sono stati, poi, vari tentativi di semplificazione normativa, in particolare di codificazione.
Il fatto p che alle codificazioni continuano ad affiancarsi gli interventi sporadici del legislatore, soprattutto in
occasione delle leggi finanziarie annuali. Ne risulta una legislazione alluvionale, formata per accumuli successivi
di materiali e di detriti, difficile da interpretare e da sistematizzare.
Le controtendenze nei confronti della concorrenza e del mercato:
Il principio e le regole di concorrenza si sono sviluppati in tutti i continenti. Ma non mancano le controtendenze.
Alle leggi pro-concorrenziali continuano ad affiancarsi leggi di tipo protezionistico. Le stazioni appaltanti talora
adottano bandi e criteri di aggiudicazione dei contratti che ostacolano la competizione tra imprese. Alcuni servizi
pubblici, soprattutto al livello locale, restano affidati senza gara alle imprese che li gestiscono e sono soggetti a una
regolazione non ispirata alle norme antitrust.
La globalizzazione giuridica e il diritto dell’UE impongono un favor per la concorrenza. Il che non significa che la
concorrenza sia un fine assoluto: è uno strumento per realizzare un’effettiva parità tra gli operatori economici, per
rafforzare l’imparzialità dell’azione amministrativa (tramite le gare), per potenziare la tutela degli utenti dei servizi
pubblici.
Recentemente il legislatore italiano si è orientato verso un potenziamento di misure di liberalizzazione e di
promozione della concorrenza: è un processo in atto di cui si dovranno valutare gli sviluppi futuri.
I confini delle giurisdizioni:
Il nuovo codice del processo amministrativo ha definito l’ambito e i confini della giurisdizione del indice
amministrativo: sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di
interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il
mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili
anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Al di là di tali confini
inizia la giurisdizione del giudice ordinario.
Il criterio fondante della giurisdizione amministrativa è, dunque, quello dell’esercizio o mancato esercizio del potere
amministrativo.
L’esercizio del potere ricorre, di regola, quando l’amministrazione adotta un provvedimento o un atto
amministrativo e anche, secondo la norma citata, un accordo come quelli regolati dala legge sul procedimento.

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