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MIRCO MICHELON*

SANGUINETI VS PASOLINI, OVVERO UNA POLEMICA APERTISSIMA

Prima di addentrarci nel vivo della polemica tra Edoardo Sanguineti e Pier
Paolo Pasolini, che ben ha caratterizzato la storia della letteratura italiana del se-
condo Novecento, bisogna partire da alcune considerazioni di un’altra celebre fi-
gura: Cesare Pavese.
Tra i vari pensieri e le annotazioni che confluiscono nel celebre diario Il me-
stiere di vivere, lo scrittore piemontese mostra una seria diffidenza nei confronti
dell’ultimo Joyce, tanto che in una nota datata 3 dicembre 1949 scrive:

La poesia deve dire qualcosa e quindi è inutile che violi la logica e la sintassi,
modi universali del dire. Il resto è letteratura. Condanna generale di tutta
l’arte d’avanguardia (Pavese 1964: 360).

Possiamo vedere come lo scetticismo pavesiano miri principalmente a con-


dannare quell’“arte d’avanguardia”, che ha caratterizzato l’inizio del Novecento,
divenuta poi motore d’ispirazione di quella Neoavanguardia, di cui fa parte anche
Edoardo Sanguineti. Il giudizio di Pavese contro le sperimentazioni operate dai
giovani scrittori neoavanguardistici, si può riassumere in una lettera che lo stesso
scrive al giovane Sanguineti, presentatogli da Luigi Vigliani, all’epoca suo profes-
sore d’italiano al liceo e amico dello stesso Pavese:

Caro Sanguineti,
la sua Composizione non mi piace, benché mostri capacità mimetiche quasi
prodigiose. Al tema eliotiano di “poesia della stanchezza e dell’indigestione
culturale” lei ha sostituito un tono di “indigestione eliotiana”, con che viene a
perdersi quel senso di smarrita scoperta e balbettamento digestivo proprio di
Eliot. Questa non è poesia, e nemmeno stile: sono giochi di prestigio. Aggiun-

*
Université Paris 8 Vincennes Saint Denis, Francia.

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ga che la vertiginosa difficoltà testuale delle sue pagine, sentendosi benissimo


che non scopre terreno nuovo ma ripete un tono, non invoglia allo sforzo di
tensione necessaria per farsi capire. C’è poi una grave sproporzione fra l’at-
teggiamento sibillino di rivelatore di misteri e la materia che traspare sotto le
parole: semplici esitazioni e perplessità dell’adolescenza.
So che i consigli non servono a nulla, ma al suo posto io cercherei di ridurre
quella qualunque ispirazione che si sente in corpo a un sommesso ed elemen-
tare linguaggio da nursery, da tiritera rimata (non scherzo): si vedrà così che
cosa ne rimane. O meglio ancora a un lucido discorso prosastico, un’analisi e
constatazione... Darne cioè l’equivalente critico- è un ottimo esercizio.
Cordialmente (Id. 1973: 232)

Citando Riotta (2011:186), si può evidenziare quindi come Pavese rimproveri


al giovane Sanguineti di essere «incapace di sanare la frattura del linguaggio con-
temporaneo».
Questa linea «preparata privatamente» trova una risonanza poi «o meglio pri-
ma, ma la risonanza venne dopo»1 nel famoso incontro-scontro tra Sanguineti e
Pasolini, con prologo una recensione «molto diffidente» di quest’ultimo nei con-
fronti di Laborintus, opera prima dello scrittore genovese, eco di quei pensieri
espressi dallo stesso Pasolini in un articolo apparso nel 1956 sul numero 5 della
rivista bolognese «Officina»: Il neo-sperimentalismo.
Scrive Luigi Weber (2004: 20):

Sanguineti e Pasolini sono stati divisi da una così fiera inimicizia proprio per-
ché non rappresentavano tra loro posizioni speculari, [...] anzi muovevano
da diagnosi notevolmente simili sulle trasformazioni della tarda modernità
[...]. Ma se il vettore è lo stesso, diciamo così, il verso è opposto, e fu questo
a provocare una tensione insopportabile.

Il primo punto di contatto tra i due, sebbene né l’uno né l’altro abbia modo
d’incontrarsi, è rappresentato dalla dedica che Sanguineti riserva allo stesso Pa-
solini all’uscita di Laborintus nel 1956: «A P.P.P., questo libretto molto neo-speri-
mentale»; segue poi la breve recensione pasoliniana, che riconduce «quel tipo di
poesia all’area post-ermetica e post-montaliana che recupera Eliot e Pound»2. A
chiusura della critica pasoliniana, la celebre frase «merce notevole, anche se legger-
mente quatriduana, questa di Sanguineti»3, che allude a un carattere già vecchio e
a una scrittura arcaica (ecco perché la scelta dell’aggettivo “quatriduana” di gusto
evangelico) e allo stesso tempo ricollega il modo di scrivere di Sanguineti a «una

1
FIALDINI-POLETTI [2015].
2
BAZZOCCHI 1998: 132 (corsivo nostro).
3
PASOLINI 1956.

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sorta di mimetica replica di cose che le avanguardie storiche avevano già in qualche
modo replicato»4. Date queste premesse, nel 1957, sul numero 9-10 di «Officina»,
compare un ulteriore saggio di Pasolini, dal titolo La libertà stilistica, seguito da
una “Piccola antologia neo-sperimentale”5, che riunisce sette autori, tra cui San-
guineti, con testi per lo più inediti «accomunati in un collettivo giudizio piuttosto
veloce e in genere sfavorevole» (Weber 2004: 20); si può ben affermare che questa
è stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Dobbiamo considerare lo sforzo
di Pasolini in «un processo di colonizzazione del Novecento, un investimento, una
strategia imperialista» (Rinaldi 1982: 194), con l’ambizione «di coprire con la pro-
pria ombra tutti i testi, con una precisione maniaca, con un vampirismo sornione»
(ibid.); questo lo si evince anche con la pubblicazione, sempre nel 1957, del celebre
volume Le ceneri di Gramsci, nel quale è inserita la composizione Una polemica
in versi. Proprio quest’ultima, nello stesso anno è oggetto di parodia da parte di
Sanguineti, col titolo Una polemica in prosa, apparsa sul numero 11 di «Officina»;
tale episodio non va visto come una semplice diatriba tra i due, come alla sua uscita
molti l’hanno definito, bensì come il principio della contrapposizione tra Sangui-
neti e Pasolini, che ha risvolti anche successivi.
Nel suo componimento poetico, tra endecasillabi a maiore e endecasillabi a
minore (si tenga presente che l’endecasillabo non è un verso molto amato dal poeta
genovese, rendendolo anch’esso strumento utile alla parodia), Sanguineti propone
una vera e propria epistola metrica di versante satirico-morale, che vanta illustri
esempi come i Sermoni di Chiabrera, Parini e la leopardiana Palinodia al marchese
Gino Capponi; proprio parlando di Leopardi, Weber (2004: 23) scrive:

Come proprio il Leopardi insegna, il bersaglio polemico prescelto va posto


bene in evidenza, fin dal primo verso, con un’allocuzione diretta (meglio se
cordiale, amichevole, addirittura affettuosa) che suoni più coinvolgente delle
solite apostrofi di maniera proprie alla lirica, così che poi i veleni del testo
abbiano la via già tracciata.

In effetti, possiamo ben notare dai versi iniziali

Io non dubito, caro Pasolini,


non voglio dubitare, che per Sua
cortesia Lei [...] (Sanguineti 1982: 349)

come Sanguineti si serva di questo stilema, per farne un uso propriamente


ironico, viste le continue ripetizioni:

4
FIALDINI-POLETTI [2015].
5
Oltre a Sanguineti, nella famosa Piccola antologia neo-sperimentale, trovarono posto: Arba-
sino, Pagliarani, Rondi, Diacono, Straniero e Ferretti.

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L’esasperazione della funzione fatica è dettata dall’intento di creare una vera


e propria saturazione di segnali convenzionali di cortesia, che finiscono con
l’assumere, per accumulo, il valore opposto (Weber 2004: 23).

Man mano che si procede nella lettura della polemica in versi (sebbene San-
guineti la etichetti come una contesa in prosa, è costruita con veri e propri versi),
si può notare un continuo alternarsi di elementi legati ad una elevata conoscenza
specialistica della lingua italiana a parole facenti parte del linguaggio comune; vi
sono poi presenti citazioni varie, prese dagli stessi scritti di Pasolini (su tutti i famo-
si saggi Il neo-sperimentalismo e soprattutto La libertà stilistica, di cui si è già par-
lato), ma allo stesso tempo Sanguineti si affida a piccoli spunti autobiografici, su
tutti la celebre affermazione che bisogna «fare dell’avanguardia un’arte da museo».
Guardando attentamente il testo, si può notare come esso sia legato alla parodia:

a Sanguineti, parlando di parodie, piace insistere sul valore etimologico di


«contro-canto», e da questo si potrebbe anche estrarre la pseudo-etimologia
seconda di «contraria al canto», così da aver chiara la duplice direzione in cui
si sviluppa l’attività parodica sanguinetiana (ivi: 28).

Altresì, leggendolo più volte, ci si può accorgere che la struttura del compo-
nimento sanguinetiano si regge sulla prassi retorica dell’accumulazione, dando al
testo una sua vera e propria efficacia complessiva, scandita anche da una costante
ripetizione di concetti e aggettivi (quello che Pasolini dice una volta, Sanguineti lo
raddoppia). Riguardo agli aggettivi, è importante mettere in evidenza il loro rad-
doppiamento con il suo superlativo, come nel caso di aperta-apertissima, inattuali-
inattualissime, dramma-drammaticissimo. Tale solecismo riporta alla mente una
celebre affermazione di Hobsbawm (1998: 117):

Qualsiasi cosa si voglia dire su questo secolo, la si può dire solo utilizzando il
superlativo. Sia nel bene sia nel male.

Riguardo questa schermaglia, si può terminare il discorso servendosi delle stes-


se parole di Sanguineti, che molti anni dopo dichiara:

Mi piaceva l’idea di non rispondere attraverso un’argomentazione distesa,


giocando invece su quella libertà che poteva concedere la forma dell’epistola
metrica (Gambaro 1993: 35).

Il divario tra Sanguineti e Pasolini si presenta in maniera ancora più ampia


nel 1960, quando Sanguineti inserisce nella sua raccolta Fuori Catalogo un testo-
esperimento tra i più interessanti della sua produzione dal titolo Per un dibattito.
La sua genesi si può riscontrare nell’occasione di una tavola rotonda a Torino, dove

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allora vive Sanguineti, con protagonisti Alberto Moravia, Giacomo Debenedetti


e Pier Paolo Pasolini (se per Pasolini il discorso è già stato ben messo in luce, ri-
guardo a Moravia e a Debenedetti non si dimentichi che allora sono stati oggetti di
attenzione per Sanguineti, come testimonia il volume Tra liberty e crepuscolarismo).
Costruito come un dialogo tra i due personaggi Lucrezia e Sofronio, che richia-
mano un gusto classicheggiante “da dramma antico”, Sanguineti intende mostrare

al lettore la chiara impressione di quanto violento possa essere l’operato di un


glossatore, e di quanto questo aspetto – in apparenza la più innocente forma
di commento, dovendosi soltanto illuminare i passi oscuri di un testo – sia in
realtà capace di riconfigurare il suo oggetto, o peggio di disinnescarlo (Weber
2004: 37).

Questa vera e propria ridicolizzazione di elementi di natura filologica è indi-


rizzata ovviamente al bersaglio Pasolini, che non si è mai direttamente occupato di
filologia, sebbene abbia cercato di farne una propria dimensione ideale.
Il dialogo sanguinetiano presenta al suo interno una continua disamina delle
affermazioni pasoliniane, divenute ora strumenti di ritorsione nel confronto del
proprio autore; inoltre, Weber pone l’accento sul fatto che

tutto il resoconto di Sofronio ruota intorno agli attacchi mossi da Pasolini a


Moravia, anche se in modi indiretti, attraverso lo schermo di un complesso
campo metaforico (ivi: 39).

E ancora, non si può non notare l’abuso delle figure retoriche e della lingua,
quel “Mibrauch der Sprache”, che poi Sanguineti enfatizza in Reisebilder 40:

prendendo alla lettera questo concetto, Sanguineti smaschera quelli che giu-
dica come arbitri o inesattezze negli interventi di Pasolini definendoli, con
termine tecnico e risultato comico, «tropi» (ibid.).

Ed ecco come in questo dialogo sono messi in evidenza questi giudizi arbitrari
di Pasolini e comicizzati da Sanguineti:

Lucrezia – Di questo modo, so.


Chi dice “moralismi”, tu mi intendi,
pronunzia “tropi” (ma cauti! Che al mondo
lasciammo noi moralità...)
Sofronio – T’intendo,
Lucrezia, sempre, e consento. Illustrò
“indifferenti” per il loro contrario;
disse “esistenzialismo” (“avanti la
lettera”) (sic) per il Marx, per il Freud... (Sanguineti 1982: 360)

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E ancora:

Sofronio – [...] Diceva


“realismo socialista” per “realismo
Critico”... (ivi: 361)

Anche in questo caso, l’uso chiaro del sarcasmo, dell’ironia e della parodia,
obbedisce alla seria volontà di Sanguineti di scagliarsi, ancora una volta, contro
uno dei più celebri rappresentanti del “fare letteratura” dell’epoca.
Il confronto a distanza, che oramai ha preso le pieghe di un vero e proprio
scontro, tra Sanguineti e Pasolini prosegue anche negli anni successivi; ci basti
pensare alle prese di posizione pasoliniane, teorizzate in due saggi che costituisco-
no il nucleo di Empirismo eretico: Intervento sul discorso libero indiretto (1965) e La
fine dell’avanguardia (1966). Nel primo, Pasolini propone un proprio mito fittizio
di futuro, giacché egli è convinto che «bisogna lanciare le teorie cinematografiche
come nuova possibilità di esprimere». Nel secondo, diversamente, Pasolini decide
di volgere l’attenzione al Gruppo 63, non perdendo di vista il bersaglio Sanguineti:

l’accusa rivolta [da Pasolini] all’avanguardia è quella di aver praticato un caos


linguistico e sintattico fine a se stesso, per cui i testi si presentano tutti disposti
sullo stesso piano, con una mancanza di prospettive e di chiaroscuri (Sangui-
neti «è tutto frontale e piatto, come un neoclassico») (Bazzocchi 1998: 132).

Di contro, Sanguineti prosegue la sua personalissima diatriba sulle pagine di


Paese sera; sono due gli articoli firmati dallo scrittore genovese che meritano di
essere presi in considerazione: La bisaccia del mendicante e Per Pasolini. Nel primo,
uscito il 27 dicembre 1973, egli mette in risalto gli aspetti deteriori e retrodatati
operati da Pasolini, toccando da vicino le diverse posizioni ideologico-politiche di
entrambi, come nel caso dei sottoproletari, tanto che Sanguineti scrive:

È proprio il P.P.P. che ce li ha guastati [i sottoproletari], a colpi di Decameron


e di Canterbury, facendone dei “miseri erotomani nevrotici”, quando stavano
così bene prima, con il Mistero del Sesso represso bene, o represso «con la
gioia». È adesso che gli toccano l’Anima e il Mistero, ai sottoproletari. E io
allora gli dico, ai sottoproletari di qui, di adesso, ma sul serio: quello che non
vi hanno fatto gli Almirantini, stateci un po’ attenti, che ve lo stanno prepa-
rando i Pasolini (Sanguineti 1976: 54).

Nel necrologio di “eccezionale compostezza”, intitolato appunto Per Pasolini,


uscito su Paese Sera il giorno seguente l’assassinio di Pasolini, il 3 novembre 1975,
Sanguineti cerca di mettere per iscritto una propria visione analitica dell’artista,
ma soprattutto dell’uomo Pasolini:

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ogni sua parola [...] era il paradosso di un uomo che aveva attraversato un
inferno, ricavandone una serie di simboli vistosamente declamabili [...] e ri-
baltabili, nevroticamente, in un paradiso di Vita6.

Sanguineti lega Pasolini alla cultura dell’Italia degli anni Cinquanta, tanto da
definirlo «la voce più tipica, insieme patetica e rettorica, ingenua e impura»7, per-
ché è in questo periodo che

poteva essere portata a maturazione l’immagine di un uomo tutto vincolato


a una Passione di Poesia, intento a costruirsi come Poeta giudicante, e giudi-
cante in nome della Vita. Fu facile, alla «nuova cultura» da lui tanto detestata,
farne una specie di Simone del nostro deserto, costringerlo ad una oggettiva
complicità: ridurlo a uno stilita tecnologicamente armato, delegato a flagella-
re, vestito di candore, i peccati del mediocre consumismo italiano8.

Segue poi un poemetto sanguinetiano dal titolo Le ceneri di Pasolini, scritto


nel 1979, a mo’ di funebre conclusione del trittico pasoliniano posto nel Fuori Ca-
talogo, che altro non è che un “travestimento” della composizione pasoliniana Le
ceneri di Gramsci, mettendo a chiusura una strofa che sveli il suo modus operandi:

Ho un po’ ripreso, in falsetto, la tua voce


Morta. Ma ho dolore e furore, soltanto,
che le tue ceneri si perdono, nei riti
dei tuoi fedeli, reliquie per altari
folcloristici riconsacrati, mio sacerdote dell’io,
mio usignuolo ecclesiastico, mio estremo
fantasma cattolico e sadico, mio sterile edipo
castratore, nostro eterno padre (Sanguineti 1982: 407-408).

La presa di posizione di Sanguineti affronta fino alla fine (ricordiamo che


Sanguineti muore nel 2010) una critica nei confronti dei vari ambiti di ricerca
letteraria-artistica operata da Pasolini; lo stesso Sanguineti muove un discorso di
disapprovazione delle fasi della sua poetica, mettendo in luce i limiti del suo “inna-
moramento” per il sottoproletariato friulano (per la “friulanità” come la definisce
lo scrittore genovese), passando per le borgate romane, un mondo poi rinnegato.
Segue poi un ultimo Pasolini, che Sanguineti annota sotto l’accezione selon Sade,
con l’accettazione di un proprio profondo dell’inconscio; segue poi quella terza
fase legata all’universo arabo, africano o simile, un mondo fuori dallo sviluppo

6
Per Pasolini (Paese Sera 2 novembre 1975), in SANGUINETI 1976: 214.
7
Ivi: 215.
8
Ivi: 214.

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borghese, come dimostrato dagli articoli inviati poi al Corriere. In tali scritti, Pa-
solini si serve di simboli poetici (su tutti, quello delle lucciole), ma Sanguineti am-
monisce tale modus operandi perché «coi simboli, bisogna andare molto cauti»9.

Bibliografia e sitografia

BAZZOCCHI, MARCO ANTONIO, 1998, Pier Paolo Pasolini, Milano, Mondadori.


FIALDINI, ERNESTO - POLETTI, DANIELE, [2015], [dia·foria Colloquiale n° 7 con
Edoardo Sanguineti (https://www.youtube.com/watch?v=PruMEiDqcqc;
ultimo accesso: 1.9.2015.
GAMBARO, FABIO, 1993, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Milano, Anabasi.
HOBSBAWM, ERIC JOHN, 1998, L’età degli estremi. Discutendo con Hobsbawm del
secolo breve, Roma, Carocci.
PASOLINI, PIER PAOLO, 1956, Strenna di poesie, in «Il Punto», I, 30.
PAVESE, CESARE, 1964, Il mestiere di vivere: (diario 1933-1950), Milano, il Saggiatore.
PAVESE, CESARE, 1973, Vita attraverso le lettere, a cura di MONDO, LORENZO, Torino,
Einaudi.
RINALDI, RINALDO, 1982, Pier Paolo Pasolini, Milano, Mursia.
RIOTTA, GIANNI, 2011, Le cose che ho imparato: storie, incontri ed esperienze che mi
hanno insegnato a vivere, Milano, Mondadori.
SANGUINETI, EDOARDO, 1976, Giornalino 1973-1975, Torino, Einaudi.
SANGUINETI, EDOARDO, 1982, Segnalibro, Milano, Feltrinelli.
WEBER, LUIGI, 2004, Usando gli utensili di utopia. Traduzione, parodia e riscrittura
in Edoardo Sanguineti, Bologna, Gedit.

9
FIALDINI-POLETTI [2015].

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