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PATOLOGIA GENERALE

La scienza che studia le cause, cioè gli agenti che provocano una manifestazione patologica o
malattia;

EZIOLOGIA: studio delle cause delle malattie.

La scienza che studia i meccanismi, cioè i modi in cui si sviluppano le malattie

PATOGNESI: studio dei meccanismi delle malattie.

STATO DI SALUTE:
condizione soggettiva ed oggettiva del benessere psico-fisico; corrisponde ad una situazione di
equilibrio o omeostasi dell'organismo; l'omeostasi è mantenuta da meccanismi fisiologici di
adattamento che permettono di mantenete il livello ottimale delle funzioni in occasioni di
sollecitazioni esogene (esterne) o endogene (interne): es. equilibrio acido base/T° corporea
/equilibrio idroelettrico.
Adattamento: capacità di variare le funzioni in base a stimoli d vario genere.

MALATTIA
Perdita delle condizioni omeostatiche che compromette le funzioni normali di 1 o più organi; le
evoluzioni della malattia possono essere:
1) Guarigione: ripristino dello stato di normalità dopo l'eliminazione della causa;
2) Cronicizzazione: incompleta eliminazione della causa, con situazione di equilibrio tra
capacità reattiva dell'individuo e aggressività della malattia;
3) Morte: per incapacità dell'organismo a far fronte agli effetti dannosi provocati dall'agente
eziologico.

La malattia provoca la comparsa di sintomi soggettivi e segni oggettivi, che permettono al medico
di stabilire:
1. diagnosi: riconoscimento della malattia;
2. prognosi: predirne durata ed esiti della malattia;
3. terapia: identificazione della cura, eliminando l'agente eziologico o interferendo sul
meccanismo patologico.

Manifestazioni patologiche:
1) Fenomeno morboso: deviazione dalla norma di un carattere morfologico, biochimico o
funzionale dell'organismo senza provocare la comparsa di una sintomatologia rilevante; es:
abrasione, arrossamento o pallore della cute;
2) Processo morboso: deriva dall'associazione di più fenomeni morbosi ed è indice di
maggiore gravità, es: infiammazione, febbre;
3) Stato morboso: manifestazione patologica ben definita spesso senza conseguenze per
l'organismo ma comunque in grado di renderlo più suscettibile alla comparsa di altre
patologie, es: mancanza congenita di un rene, miopia, presenza di cicatrici, perdita di un
arto;
4) Malattia: l'apice della piramide delle manifestazioni patologiche; condizione dinamica che
si manifesta con l'alterazione anatomica e/o funzionale di uno o più organi modificando la
condizione omeostatica iniziale e inducendo l'organismo in uno stato di reattività.
EZIOLOGIA E PATOGENESI
Eziologia: causa unica o multipla di una manifestazione patologica; possono essere esogene o
endogene; Gli effetti da esse indotte nell'organismo (agenti eziologici) possono essere:
1) Determinanti: sono direttamente responsabili della comparsa della manifestazione
patologica;
2) Coadiuvanti: facilitano l'azione di altre cause, ma isolatamente non producono l'effetto
patologico.

L'organismo verso gli agenti patogeni può essere:


1) Recettivo: se ne subisce le conseguenze;
2) Refrattario: se non subisce nessuna conseguenza perchè geneticamente incapace di
contrarre una certa malattia;
3) Resistente: se pur potenzialmente recettivo ha poteri di difesa in grado di blocccare gli
agenti patogeni sin dall'inizio (soggetti vaccinati);
4) Reattivo: se i meccanismi di difesa sono molto efficienti.
Patogenesi: meccanismi responsabili della comparsa delle malattie, innescati dagli agenti eziologici
e direttamente responsabili della comparsa delle manifestazioni patologiche.

MALATTIE EREDITARIE
Trasmesse dai genitori alla prole, determinate da alterazioni del DNA presenti nei gameti dei
genitori. Possono insorgere durante la gametogenesi o essere già presenti in 1 o entrambi i genitori
(PORTATORI).
Si classificano in:
1) Mutazioni genomiche: perdita o acquisizione di un intero cromosoma;
2) Mutazioni cromosomiche: ri-arrangiamento del materiale genetico che comporta
modificazioni strutturali visibili di un cromosoma (delezione, inversione, duplicazione,
traslocazione);
3) Mutazioni geniche: delezioni parziali o complete di un gene oppure mutazioni di una
singola base; può interessare la parte non codificante di un gene e determinarne
l’inattivazione o un’espressione de-regolata o avvenire nella parte codificante e indurre
alterazioni nella proteina.

Principali mutazioni a carico della doppia elica di DNA:


α) Mutazioni puntiformi: sostituzione di una base con un’altra
a. Transizione: una purina è sostituita da un’altra purina o una pirimidina da un’altra
pirimidina;
b. Transversione: una pirimidina è sostituita da una purina o viceversa.
β) Inserzione: aggiunta di una base soprannumeraria o di nuove sequenze;
χ) Delezione: scomparsa di una base;
δ) Inversione: rottura di due punti della doppia elica con escissione (asportazione) del
frammento, che viene reinserito con una rotazione di 45°

Conseguenze a carico delle proteine codificate:


a) Mutazione di senso: sostituzione di una base in corrispondenza di un gene determinando la
sostituzione di un aminoacido nella proteina codificata (MISSENSE);
b) Mutazione sinonima: sostituzione di una base con un’altra codificante la medesima
proteina, non determina sostituzione di un aminoacido nella catena peptidica nascente;
c) Mutazione non-senso: induce nel gene la sostituzione di una base con un codone di STOP
con la conseguenza che la proteina codificata risulta troncata nella sua porzione terminale e
risulta priva della sua funzione;
d) Mutazione frameshift: induce lo slittamento di uno o di qualche nucleotide nella lettura del
codice genetico;
Le mutazioni sono prodotte dagli agenti mutageni che possono essere esogeni oppure
endogeni; gli effetti delle mutazioni variano a seconda dell’entità del danno nel DNA, possono
essere silenti, cioè non producono nessuna modificazione apprezzabile nel fenotipo (mutazioni
in apparenti), altre provocano effetti gravi , altre un adattamento a determinate condizioni
ambientali, altre sono letali.

Malattie ereditarie monogeniche:


determinate dalla mutazione di un solo gene e trasmesse alla prole secondo le leggi di Mendel:
a) Eredità recessiva: se la presenza di un allele alterato non determina la manifestazione
fenotipica del carattere patologico, in quanto la quantità di proteina prodotta dall’allele
integro riesce ad espletare la sua funzione;
b) Eredità dominante: la presenza di un allele alterato determina la manifestazione
fenotipica del carattere patologico.

Malattie ereditarie multifattoriali:


hanno alla base della loro comparsa fattori ereditari (alterazioni di vari geni) e ambientali (stile di
vita, alimentazione, stress).

MODALITÀ TRASMISSIONE DELLE MALATTIE EREDITARIE


1) Malattie autosomiche dominanti: un gene è dominante quando è portatore di una
mutazione e provoca la comparsa di una manifestazione patologica;
a. Corea di Hntington: malattia sistema extrapiramidale, movimenti involontari dei
muscoli scheletrici e alterazioni psichiche;
b. Sferocitosi: presenza eritrociti (globuli rossi) molto fragili a causa di alterazioni della
membrana e conseguente anemia;
c. Malattia von Willebrand: disordine emostasi, facilità alle emorragie per alterazione
strutturale o carenza del fattore VII della coagulazione;
d. Cecità;
e. Sordità;
f. Rene policistico: presenza di numerose formazioni cavitarie (cisti) nei reni;
2) Malattie autosomiche recessive: il gene è detto recessivo quando determina la malattia
soltanto in condizione di omozigosi, cioè quando entrambi gli alleli sono mutati; gli effetti
causati dall’allele mutato vengono compensati da quello integro che codifica per un prodotto
genico sufficiente al compimento delle sue funzioni;
a. Albinismo: acromia (mancanza pigmentazione) dovuta a mancanza di sintesi della
melanina per alterazione strutturale dell’enzima che forma la melanina dal suo
precursore;
b. Glicogenosi: gruppo di malattie causate dal difetto di uno specifico enzima coinvolto
nella sintesi o nel catabolismo del glicogeno, provocando accumulo intracellulare di
glicogeno e ipoglicemia;
c. Fibrosi cistica: alterazioni equilibrio ionico di membrana che compromettono le
funzioni degli apparati digerente, respiratorio e riproduttivo, del pancreas e delle
ghiandole sudoripare e salivari;
d. Anemia falciforme: in cui i globuli rossi circolanti, in condizioni di bassa tensione
di ossigeno o di circolazione lungo i capillari, assumono una forma irregolarmente
cilindrica, spesso ricurva, che, allo striscio di sangue periferico, assomiglia a una
mezzaluna o una falce. Per questo motivo è detta anemia falciforme. Da un punto di
vista patogenetico, è classificata fra le anemie da difetto di sintesi dell'emoglobina,
anche se l'anemia è in parte determinata da emolisi splenica.
3) Malattie poligenetiche o multifattoriali: riguardano la trasmissione dai genitori ai figli di
un carattere controllato da più geni, collocati in loci diversi, la cui manifestazione fenotipica
varia in base all’influenza di fattori ambientali (statura, peso, facoltà mentali, valori della
pressione arteriosa, ecc)
a. Predisposizione insorgenza determinati tumori;
b. Aterosclerosi;
c. Diabete mellito;
d. Epilessia;
e. Gotta;
f. Ipertensione arteriosa;
g. Ipersensibilità allergica;
h. Lussazione congenita dell’anca;
i. Schizofrenia;
j. Sindromi coronariche;
4) Malattie legate al sesso: risultano malati solo i soggetti maschi, le femmine sono portatrici
sane; malattia legata al cromosoma X (diaginica); il carattere patologico si trasmette
attraverso le portatrici sane (femmine); es: distrofia muscolare di Duchenne (insufficienza
contrazione della muscolatura striata);
5) Alterazioni del cariotipo: il cariotipo è l’assetto cromosomico normale di una specie;
nell’uomo è costituito da 23 coppie di cromosomi (tot 46) di cui 22 coppie omologhe di
autonomi ed una coppia di eterocromosomi XX nei soggetti femminili XY in quelli maschili;
le alterazioni del cariotipo sono 2:
a. Quantitative: il n° di cromosomi varia in confronto a quello tipico della specie;
b. Qualitative: uno o più cromosomi presentano alterazioni senza che il n° totale sia
alterato;
6) Malattie congenite non ereditarie: sono malattie presenti dalla nascita ma non sono dovute
ad alterazioni del cariotipo; sono causate da errori avvenuti durante lo sviluppo intra-uterino,
e molto spesso risultano molto simili ad alcune malattie ereditarie; possono essere causate da:
a. Infezioni;
b. Esposizione ad agenti fisici e chimici tossici;
Tetratogenesi: complesso di meccanismi lesivi che inducono alterazioni organiche agendo
durante la vita uterina, la loro probabilità dipende dalla dose, dal tempo di esposizione e
dalla suscettibilità individuale.
MALATTIE INFETTIVE
Causate da organismi patogeni che penetrano nell’organismo (infezione) determinando la malattia;
solo alcuni microrganismi sono patogeni per l’uomo, molti endogeni risiedono nell’organismo e
sono innocui o vantaggiosi ((flora batterica saprofilitica).

Infezione non è sinonimo di malattia: molte infezioni sono asintomatiche (non crea reazione)
Esistono 3 tipi di convivenza tra organismo e microrganismi:
11 Parassitismo: dalla convivenza i microrganismi ricavano vantaggi e l’ospite danni;
11 Commensalismo: il vantaggio riguarda soltanto uno dei conviventi ma senza recare
danno all’altro;
11 Mutualismo: il vantaggio riguarda entrambi i conviventi;

I microrganismi patogeni possono dividersi in:


a) Batteri: microrganismi contenenti DNA e RNA capaci di moltiplicazione autonoma
e di attività metaboliche, appartengono ai procarioti; producono danni di tipo
tissutale provocato da molecole da loro prodotte dette tossine batteriche;
b) Flora batterica saprofitica: microrganismi procarioti non patogeni che si
riproducono in una condizione di commensalismo o mutualismo; (es: flora batterica
intestinale); occasionalmente possono dare origine alle cosiddette infezioni
opportunistiche;
c) Virus: entità biologiche di piccolissime dimensioni e visibili al solo microscopio
elettronico, sono incapaci di riproduzione autonoma ma la loro replicazione è
effettuata dalle cellule in cui sono penetrati; per questo sono i + stretti parassiti
endocellulari obbligati;
d) Rickettsie: piccolissimi microrganismi endocellulari obbligati, responsabili di
malattie in uomo e animali: si riproducono all’interno delle cellule (soprattutto
endoteliali) e si accumulano nel loro citoplasma determinandone la morte (tifo
esantematico, tifo murino, febbre delle montagne rocciose, febbre Q);
e) Clamidie: piccolissimi microrganismi gram-negativi che si comportano da
microrganismi endocellulari obbligati; a differenza dei virus presentano attività
metaboliche, capacità moltiplicativa autonoma e sono sensibili agli antibiotici;
f) Microplasmi: i più piccoli microrganismi capaci di moltiplicazione autonoma
g) Protozoi;
h) Funghi;
i) Elminti;
j) Prioni: non possono essere considerati microrganismi perché costituiti soltanto da
proteine che portano all’insorgenza di encefalopatie spongiformi che colpiscono
l’encefalo con esito letale (in pochi mesi); es: morbo della mucca pazza;

Setticemia: presenza di microrganismi nel sangue;

Batteri intracellulari obbligati: si moltiplicano solo all’interno delle cellule che li ospitano;

Batteri intracellulari facoltativi: si moltiplicano sia in sede extracellulare che intracellulare.

Epidemia: quando in una popolazione il n° dei soggetti che subiscono l’infezione esogena
ammalandosi di una determinata malattia va rapidamente incontro ad un notevole aumento in
confronto alla morbosità che si manifesta solitamente nella stessa popolazione.

Pandemia: quando l’epidemia si diffonde da una nazione a un’altra o da un continente a un altro.

Endemia: presenza di malattia in una determinata popolazione con un andamento costante che può
occasionalmente modificarsi dando origine a puntate epidemiche.

DIFESE DELL’ORGANISMO CONTRO I MICRORGANISMI

È svolto dal sistema immunitario, l’insieme delle molecole e delle cellule che determinano la
risposta immunitaria (risposta agli agenti estranei) e che si trovano nel sangue, nella linfa e nei
tessuti. Il sistema immunitario difende l’organismo dalle infezioni e riconosce le cellule estranee
(tumorali, trapianti)

I sistemi di difesa si dividono in 3 linee:


1) Barriere meccanico-chimiche: contribuisce a bloccare ed eliminare microrganismi in
corrispondenza delle vie da essi percorse per penetrare nell’organismo. Tale difesa è
costituita:
a. Cellule epiteliali che formano il rivestimento della cute e delle mucose e da alcune
molecole da esse sintetizzate e secrete;
b. Prodotti della secrezione delle ghiandole presenti nei tessuti di rivestimento (sebo,
muco, sudore, lacrime)
c. Microrganismi della flora saprofitica e da alcune molecole da essi sintetizzate e
secrete.
2) Fattori dell’immunità naturale e dell’infiammazione: i microrganismi che superano la
prima barriera di difesa incontrano i fattori dell’immunità naturale o innata, suddivisi in; è
presente fin dalla nascita, è attiva verso tutti i microrganismi, è indipendente da un
precedente contatto con l’agente patogeno, non si rafforza in seguito ad ulteriori contatti con
lo stesso agente;
a. Cellulari: polimorfonucleati, cellule NK, monociti/macrofagi, cellule dendritiche di
Langherans;
b. Umorali: proteine plasmatiche, sistema del complemento, proteine reattive.
3) Fattori dell’immunità specifica: se l’infezione si estende superando la barriera dei fattori
dell’immunità innata, l’organismo può allestire una difesa con maggiore potenzialità
offensiva perché i suoi meccanismi sono specifici per un determinato microrganismo
invasore:
a. Acquisita: non è presente dalla nascita ma compare in risposta alla stimolazione
esercitata da un determinato antigene, manifestandosi dopo un certo periodo di
tempo;
b. Specifica: innescata dal riconoscimento da parte del sistema immunitario di antigeni
ed è attiva esclusivamente nei riguardi degli agenti che ne hanno indotto la
comparsa;
c. Selettiva: indica la selettività di origine e di azione.
È in grado inoltre di rinforzarsi a seguito di ulteriori incontri con gli stessi agenti che in
precedenza ne avevano indotto la comparsa, grazie alla memoria del riconoscimento
effettuato. Tale risposta diventa efficiente dopo un certo tempo dal momento in cui i linfociti
hanno per la prima volta riconosciuto un determinato agente invasore, diventando più rapida in
seguito ad ulteriori contatti con lo stesso agente.
RISPOSTE IMMUNITARIE INNATE
Il riconoscimento dei microrganismi avviene mediante il riconoscimento molecolare da parete
dei recettori;

Le cellule protagoniste dell’immunità innata sono:


1) Leucociti polimorfonucleati (PMN);
2) Monociti/Macrofagi;
3) Cellule Natural Killer (NK)
4) Cellule accessorie (dendritiche e di Langherans)

I Leucociti PMN, i monociti e le cellule NK sono cellule presenti nel sangue da dove devono
fuoriuscire per raggiungere il focolaio infiammatorio;
I macrofagi prendono origine dei monociti e sono presenti nei tessuti.
Tutti queste cellule dopo avere riconosciuto il bersaglio e dopo essere state attivate dalle
chitochine contribuiscono alla difesa mediante 3 meccanismi concatenati:
1) fagocitosi, ingestione dei microbi seguita in sede cellulare dalla loro uccisione;
2) produzione di chitochine;
3) presentazione dell’antigene ai linfociti T (connessione con l’immunità specifica)

FAGOCITOSI
Capacità posseduta da alcune cellule di ingerire, digerire e neutralizzare materiali estranei,
compresi i microrganismi; si dividono in 2 categorie:
1) Fagociti professionisti: l’attività fagocitarla è la funzione preminente (cellule accessorie,
leucociti PMN, monociti/macrofagi);
2) Fagociti facoltativi: l’attività fagocitarla è una funzione marginale (fibroblasti, mastociti,
endoteliociti)
Richiamati nel focolaio dalle chemochine i fagociti vengono a contatto con il materiale solido
estraneo e interagiscono con questo, portando ad una trasduzione di segnale che stimola
l’attività contrattile di alcune proteine citoscheltriche provocando l’emissione dei pseudopodi,
estroflessioni della membrana plasmatica che circondano il materiale da fagocitare e si saldano
alle estremità, formando una vescicola, detta fagosoma. Il fagosoma è trasferito nel citoplasma
in prossimità di lisosomi con i quali si fonde formando il fagolisosoma ricco di enzimi
lisosomiali che digeriscono il materiale fagocitato e alcune proteine tossiche . A digestione
terminata parte dei residui è versata all’esterno mediante esocitosi.

CHITOCHINE
Vasto gruppo di molecole proteiche sintetizzate e secrete in seguito alla ricezione di
determinati segnali; si comportano come molecole trasportatrici di segnali: interagendo con
recettori di membrana espressi dalle cellule bersaglio, traducono un segnale che, attraverso
varie vie e vari fattori di trascrizione, modulano la trascrizione di geni che codificano per
proteine responsabili di importanti funzioni cellulari. Gli effetti sulle cellule bersaglio possono
essere di tipo stimolatorio che inibitorio.
Molte chitochine, rilasciate dalle cellule dell’immunità innata, trovano recettori sui linfociti che
sono protagonisti della reazione immunitaria specifica.

FATTORI UMORALI
Molecole presenti nel plasma ed in altri liquidi biologici, sintetizzate e secrete da diversi
citotipi dell’organismo. Riconoscono alcuni costituenti della superficie microbica ed
interagiscono con essi, producendo un effetto letale sui microrganismi.

SISTEMA DEL COMPLEMENTO


Costituito da numerose proteine (+ di 30) presenti nel plasma in forma inattiva che in seguito a
riconoscimento dei microrganismi nel tessuto infiammato generano proteine attive contro gli
agenti patogeni (cascata enzimatica). Ha grande importanza nei sistemi di difesa
antimicrobica.
a) i prodotti terminali dell’attivazione del C, inducono la lisi di batteri, virus e altri agenti
patogeni;
b) agiscono da opsonine, fissandosi sulla superficie facilitano la fagocitosi dei microrganismi
e virus;
c) i frammenti, che non partecipano alla cascata enzimatica, contribuiscono ad innescare ed
ampliare la reazione infiammatoria in corrispondenza del focolaio in cui sono annidati i
microbi, agendo da anafilotossine cioè inducendo la degranulazione dei mastociti
(distruzione diretta del parassita)

IMMUNITà SPECIFICA
Si divide in:
1) Fattori cellulari, rappresentati dai linfociti;
2) Fattori umorali, le immunoglubine e gli anticorpi.

Antigeni e apteri
Per antigene si intende una molecola nella cui struttura sono presenti raggruppamenti chimici,
aventi conformazione riconoscibile da recettori presenti sulla superficie dei linfociti, che da tale
riconoscimento sono stimolati a dare una risposta anticorpale o cellulomediata.

Gli apteri sono antigeni incompleti: sostanze non proteiche incapaci di stimolare la risposta
immunitaria specifica, ma che acquisiscono potere antigene quando vengono legati a proteine dette
carrier (trasportatrici).

Organi linfoidi primari e secondari


Il midollo osseo e il timo sono gli organi linfoidi primari, cioè i siti dove avviene la formazione e la
maturazione dei linfociti;

I Linfociti sono molto simili tra loro morfologicamente, ma funzionalmente si dividono in 2


popolazioni diverse:
1) Linfociti B, completano il processo di maturazione nel midollo osseo;
2) Linfociti T, abbandonano il midollo allo stadio indifferenziato e maturano nel timo.

I linfociti maturi vengono rilasciati dagli organi primari e passando nel sangue vengono trasportati
agli organi linfoidi secondari (linfonodi, milza, appendice, tonsille, ecc)

Linfociti B
Sia la formazione che la maturazione avvengono nel midollo osseo; essi esprimono sulla loro
superficie i recettori per l’antigene, che sono definiti sIg (immunoglobine di superficie);
sono i protagonisti dell’immunità specifica umorale così definita perché gli anticorpi, sintetizzati e
secreti dalle plasmacellule (derivanti dai linfociti B), attivati dal riconoscimento dell’antigene sono
presenti negli umori (sangue e altri fluidi)

Il linfocita B una volta attivato si trasforma in linfoblasto, il quale si divide in 2 cellule:


a) Plasmacellula: sintetizza e secerne anticorpi specifici per l’antigene stimolante;
b) Linfocita della memoria: che presiede la risposta secondaria
La risposta secondaria è sempre di maggiore intensità rispetto a quella primaria grazie alla memoria
immunologia.
Linfociti T
Abbandonano ancora indifferenziati (preT) il midollo osseo per raggiungere il timo, dove vanno
incontro a due processi molto complessi:
1) Processo di maturazione nel timo: i linfociti T acquisiscono specifiche attività funzionali e
esprimono marcatori di membrana come il TCR, diverso dalle sIg per la capacità di
riconoscere esclusivamente antigeni proteici; il riconoscimento dell’antigene da parte dei
linfociti T è mediato da cellule che presentano l’antigene tramite le loro molecole di
istocompatibilità; i linfociti T maturi abbandonano il timo suddivisi in 2 sottopopolazioni
con diversa attività funzionale:
a. Linfociti T helper: presiedono alla regolazione di tutte le risposte immuni specifiche
a mezzo delle chitochine da essi sintetizzate e secrete; presentano il marcatore di
membrana CD4;
b. Linfociti effettori citotossici: durante la maturazione acquisiscono il marcatore CD8;
2) Processo di selezione: determina la morte intratimica per apoptosi dei linfociti T
autoreattivi, cioè che riconoscono con i loro TCR antigeni propri ad essi: solo i linfociti T
che riconoscono i peptici estranei sopravvivono e abbandonano la ghiandola; questo
processo è detto selezione clonale, e induce la tolleranza immunitaria con la scomparsa dei
linfociti in grado di reagire con i costituenti propri dell’organismo

La loro attivazione necessita di doppio segnale:


a) riconoscimento dell’antigene ad essi presentato dalle APC in associazione alle molecole
d’istocompatibilità di II classe;
b) stimolazione operata delle chitochine secrete dalle APC

Immunoglobine (Ig) o anticorpi


Un anticorpo (più propriamente immunoglobulina) è una proteina con una peculiare struttura
quaternaria che le conferisce una forma a "Y". Gli anticorpi hanno la funzione, nell'ambito
del sistema immunitario, di neutralizzare corpi estranei come virus e batteri, riconoscendo
ogni determinante antigenico o epitopo legato al corpo come un bersaglio.[1] In maniera schematica
e semplificata si può dire che ciò avviene perché al termine dei bracci della "Y" vi è una struttura in
grado di "chiudere" i segmenti del corpo da riconoscere. Ogni chiusura ha una chiave diversa,
costituita dal proprio determinante antigenico; quando la "chiave" (l'antigene) è inserita, l'anticorpo
si attiva. La produzione di anticorpi è la funzione principale del sistema immunitario umorale.
Sono divise in 5 classi principali, in ordine decrescente di concentrazione sierica:
1) IgG, anticorpi maggiormente presenti nel siero (75% immunoglobuline circolanti);
2) IgA, 20% delle immunoglobuline sieriche e sono presenti principalmente nelle secrezioni
esterne (saliva, lacrime, muco); sono un mezzo di difesa contro le infezioni locali e
intervengono nella risposta immunitaria secondaria;
3) IgM, 5-10% delle Ig totali, risposta immunitaria primaria;
4) IgD, 0,2% delle immunoglobuline circolanti e sono presenti sulla membrana cellulare dei
linfociti B;
5) IgE, presenti in bassissime concentrazioni, sono monomeri responsabili della risposta ai
parassiti: dopo essersi legate agli antigeni corrispondenti inducono la liberazione di
mediatori responsabili delle reazioni allergiche di I tipo.
IMMUODEFICIENZE
Condizioni patologiche che inducono nei soggetti che ne sono affetti un elevato rischio di contrarre
infezioni e di sviluppare malattie autoimmuni a causa di alterazioni del sistema immunitario. Si
distinguono in:
1) Congenite (primarie), causate da alterazioni genetiche che bloccano la maturazione o della
funzionalità dei vari componenti del sistema immunitario; la maggior parte si manifestano
alla nascita;
2) Acquisite (secondarie), la loro comparsa si manifesta dopo la nascita in conseguenza di varie
cause:
a. Infezioni virali;
b. Tumori;
c. Deficit nutrizionali;
d. Stress prolungati;
e. Invecchiamento;
f. Trattamento con farmaci immunodepressivi;

Immunodeficienze congenite
1) Deficit dei linfociti B: assenza o riduzione dei follicoli linfoidi e dei centri germinativi negli
organi linfoidi periferici e riduzione dei livelli sierici i Ig con aumento delle infezioni da
germi piogeni;
2) Deficit dei linfociti T: riduzione delle aree T negli organi linfoidi, riduzione delle risposte
DTH ai comuni antigeni, deficit della risposta proliferativi T ai mitogeni, con conseguenti
infezioni virali o da microbi intracellulari, tumori a eziopatogenesi virale;
3) Deficit immunità innata: deficit del sistema del complemento, difetti dei fagociti con
conseguenti infezioni da germi piogeni

Immunodeficienze acquisite
1) HIV, progressiva distruzione dei linfociti T helper CD4+;
2) Malnutrizione proteico-calorica, alterazioni metaboliche con conseguente blocco della
maturazione e funzione dei linfociti;
3) Trattamenti radio e chemio terapici, diminuzione dei precursori linfocitari del midollo
osseo;
4) Metastasi tumorali nel midollo osseo, infiltrazione del sito di produzione dei leucociti;
5) Splenectomia, ridotta fagocitosi dei microbi

MALATTIE AUTOIMMUNI
Il sistema immunitario risponde efficientemente agli stimoli estranei, ma esprime tolleranza verso
gli antigeni autologhi o self.
Molti dei linfociti T e B autoreattivi che si generano casualmente durante la maturazione vengono
eliminati negli organi linfoidi primari (tolleranza centrale).
Inoltre i linfociti B e T non rispondo ad antigeni autologhi incontrati nei tessuti periferici in assenza
di altri segnali co-stimolatori (tolleranza periferica)

Nelle malattie autoimmuni i meccanismi della tolleranza al self non funzionano correttamente e si
instaura una reazione immunologia contro gli antigeni self:
1) Eziologia: non è sempre chiaro cosa innesca la risposta autoimmune, ma contribuiscono
fattori genetici e ambientali;
2) Patogenesi: possono essere malattie mediate da autoanticorpi, linfociti T o più meccanismi
contemporaneamente; vengono attaccati i tessuti self e si instaura una reazione
infiammatoria; il persistere dell’antigene self determina il protrarsi della malattia (malattia
cronica);
3) Terapie disponibili: terapie anti-infiammatorie a base di cortisonici.
Ipersensibilità
Reazione caratterizzata da una risposta ad antigeni estranei sregolata o modificata con conseguente
danno a carico dei tessuti; si classificano in:
1) Ipersensibilità I tipo o immediata (allergia);
a. Si presenta entro poche decine di minuti dell’esposizione ad un antigene verso cui
l’individuo è stato sensibilizzato;
b. Può dare luogo a manifestazioni:
i. Localizzate (orticarie, raffreddore da fieno, asma bronchiale, coliche
intestinali);
ii. Generalizzate (shock anafilattico)
2) Ipersensibilità II tipo (mediata da anticorpi);
3) Ipersensibilità III tipo (da immunocomplessi);
4) Ipersensibilità di IV tipo o ritardata (cellulo-mediata)

Ipersensibilità I tipo o immediata (allergia);


1) Si presenta entro poche decine di minuti dell’esposizione ad un antigene verso cui
l’individuo è stato sensibilizzato;
2) Può dare luogo a manifestazioni:
a. Localizzate (orticarie, raffreddore da fieno, asma bronchiale, coliche intestinali);
b. Generalizzate (shock anafilattico)
Allergie
Spesso colpiscono individui che appartengono a famiglie in cui queste sindromi sono frequenti
(familiarità); in questi soggetti l’allergia dipende da mutazioni genetiche che favoriscono la sintesi
di IgE a sfavore di IgG.
Sensibilizzazione: avviene naturalmente per assorbimento di basse dosi di antigene per via
transcutanea o transmucosa (pollini o alimenti); le cellule interessate sono i linfociti B che
sintetizzano preferenzialmente IgE invece che IgG.

I test di reazione cutanea agli allergeni vengono eseguiti per la diagnosi di asma o rinite allergica
(Prick test); possono essere inoltre dosate specifiche IgE nel sangue

Nell’individuo allergico i mastociti dei tessuti legano IgE dirette contro l’allergene mediante il
recettore FceRI. L’incontro con l’allergene, determina l’attivazione dei mastociti e la liberazione
immediata del contenuto dei granuli

I mediatori coinvolti nelle allergie sono istamina, prostaglandine, leucotrieni, citochine; vi sono
modificazioni del microcircolo con aumento della permeabilità vascolare e vasodilatazione; si può
avere contrazione della muscolatura liscia.

Shock anafilattico
- potenzialmente mortale;
- può insorgere in individui sensibilizzati in seguito alla presenza in circolo dell’antigene;
- la liberazione improvvisa e sistemica di mediatori dell’infiammazione determina:
a. riduzione del volume ematico, diminuzione del ritorno
venoso, insufficienza cardiocircolatoria;
b. insufficienza respiratoria da edema della laringe
c. attacco asmatico per contrazione della muscolatura liscia e
edema della mucosa bronchiale
Ipersensibilità IV tipo o ritardata
Le prime manifestazioni compaiono dopo 48-72 ore dal contatto con l’antigene; è dovuta all’azione
dei linfociti T che determinano una reazione lesiva per i tessuti; antigeni sensibilizzanti:
1) composti origine vegetale (edera velenosa);
2) molecole secrete da insetti;
3) agenti chimici come nickel, cromo, zirconio (dermatiti da contatto).

INFIAMMAZIONE
È la risposta protettiva dei tessuti nei confronti di un agente esterno o di un danno al tessuto stesso;
è una reazione innescata dai meccanismi dell’immunità innata e si manifesta in maniera abbastanza
simile indipendentemente dalle cause del danno ed è finalizzata a eliminare l’agente che l’ha
provocato e favorire il processo riparativo;

Le cause che portano alla risposta infiammatoria possono dividersi:


1) microrganismi, batteri e loro tossine, virus, clamidie, rickettsie, micoplasmi, protozoi,
funghi, elminti;
2) traumi meccanici (ferite, contusioni), fisici (corrente elettrica, radiazioni), chimici (acidi e
alcali)
3) necrosi tissutale, indotta da qualsiasi causa (infarto, embolia, emoraggia, ipossia)
4) reazioni autoimmunitarie;
5) tumori maligni.
In genere l’infiammazione è una reazione locale che interessa prevalentemente l’organo o il tessuto
colpito dal danno; è denominata con l’aggiunta del suffisso –ite all’organo interessato (es. epatite,
polmonite, nefrite, artrite.)

Se l’infiammazione è di una certa entità può determinare manifestazioni infiammatori sistemiche


come ad esempio la febbre.

L’infiammazione ha dunque un ruolo utile nell’organismo con lo scopo di evitare danni


all’organismo, tuttavia se l’azione dell’agente nocivo è particolarmente intensa o di lunga durata, si
amplificano e si allungano i tempi di reazione dell’organismo aumentando i danni all’organismo;
per questa ragione molte condizioni patologiche vengono definite malattie infiammatorie;

Sintomi
I sintomi più evidenti della flogosi a livello locale sono:
1) Calore, aumento della temperatura locale, dovuto all’aumento del flusso sanguigno in
seguito alla dilatazione dei capillari;
2) Arrossamento, per aumento del flusso sanguigno e fuoriuscita attraverso i capillari di
liquido e leucociti che si accumulano nella matrice connettivale;
3) Gonfiore
4) Dolore
5) Perdita di funzionalità.

INFIAMMAZIONE ACUTA
Caratterizzata da un inizio brusco, cui fa seguito una rapida successione di eventi, caratterizzati
dalla prevalenza di fenomeni pascolo-ematici (angioflogosi), responsabili della comparsa dei
sintomi; presenta 3 fasi sequenziali:
1) innesco: rappresenta il riconoscimento molecolare degli agenti flogogeni grazie a:
a. cellule dell’immunità innata tramite diversi recettori espressi sulla loro membrana,
ognuno dei quali riconosce diversi costituenti microbici contemporaneamente;
b. diverse molecole plasmatiche che fungono da recettori solubili perche in grado di
riconoscere strutture molecolari esibite dagli agenti infiammatori;
2) evoluzione: risposta delle cellule che esprimono recettori per le citochine primarie, rilascite
nel sito in cui sono presenti gli agenti flogogeni, che agiscono sia localmente che su cellule
di organi distanti che raggiungono per via ematica;
3) risoluzione: l’agente flogogeno agisce per un breve periodo provocando danni lievi:
eliminato l’agente i mediatori non vengono più prodotti e l’essudato è riassorbito e la
circolazione capillare torna normale;
4) rigenerazione: proliferazione delle cellule proprie del tessuto leso che si differenziano in
cellule specializzate (nel tessuto emopoietico, osseo, tegumentario)
5) Cronicizzazione: quando la reazione infiammatoria non ha eliminato completamente
l’agente infiammatorio;
6) Necrosi: distruzione cellulare operata dagli enzimi lisosomiali che danneggiano oltre ai
microrganismi anche i tessuti producendo la morte delle cellule.

Modificazioni emodinamiche del microcircolo


Il microcircolo è la parte terminale del sistema circolatorio dove le arterie si diramano in capillari,
dai quali prendono origine le venule; comprende anche la rete linfatica terminale; è preposto
all’apporto di O2 e di sostanze nutritizie ai tessuti ed alla rimozione di CO2 e di cataboliti;
Nel processo infiammatorio il microcircolo subisce delle modificazioni indotte dalle chitochine sia
indirettamente che direttamente:
1) Vasodilatazione: rilassamento delle fibrocellule muscolari liscie della parete delle arteriose
terminali, provocata da molecole con azione rilassante. Spesso è preceduta da
vasocostrizione di brevissima durata (10”-20”) indotta dalla branca simpatica del sistema
nervoso vegetativo;
2) Iperemia attiva: aumentato flusso di sangue nel microcircolo, dovuto a dilatazione della
parete arteriolare, al rilassamento delle venule ed al cedimento degli sfinteri precapillari, che
immette sangue in capillari fisiologicamente chiusi (sintomi calore e arrossamento); dura da
alcuni minuti a qualche ora in base all’entità dello stimolo infiammatorio;
3) Iperemia passiva: subentra a quella attiva e consiste nel rallentamento della velocità del
sangue nel microcirolo, che può culminare nella stasi. Avviene in conseguenza
dell’aumento:
a. Della superficie del letto circolatorio;
b. Della viscosità del sangue, causato in parte dall’aggregazione dei globuli rossi ed in
parte dalla essudazione, cioè dalla fuoriuscita della parte liquida del sangue e delle
molecole in essa disciolte, che comporta una certa emoconcentrazione;
c. Della pressione nello spazio interstiziale, causato dalla presenza in esso
dell’essudato, che comprime la parete dei capillari e delle venule, ostacolando il
deflusso del sangue;
4) Aumento della permeabilità dell’endotelio;
5) Formazione dell’essudato: parte liquida (proteine plasmatiche) del sangue e delle cellule in
esso presenti (granulociti polimorfonucleati, monociti) che fuoriesce dai capillari e si
accumula nello spazio interstiziale, a causa:
a. Aumento della pressione idrostatica del sangue in corrispondenza del
microcircolo, per iperemia, stasi e ostacolato drenaggio dei linfatici;
b. Riduzione della pressione colloidosmotica del sangue, per ridotta concentrazione
delle proteine plasmatiche, che si accumulano all’esterno dei vasi con ulteriore
accumulo di H2O;
c. Alterazioni della parete dei capillari e dei piccoli vasi;
L’essudato determina la formazione dell’edema infiammatorio, ed è responsabile del sintomo
di gonfiore e parzialmente del dolore per la compressione che esercita sulle terminazioni
nervose; ha un pH acido per la presenza di acido lattico.
Cellule dell’infiammazione acuta
1) Granulociti polimorfonucleati (PMN)
a. Nucleo plurilobato;
b. Detti granulociti per la presenza di granuli neutrofili, basofili o eosinofili nel
citoplasma;
c. Maturano nel midollo osseo;
d. Circolano nel sangue dove vivono per pochi giorni.
2) Macrofagi
a. Già presenti nei tessuti oppure derivano da monociti che migrano nei tessuti e si
differenziano in macrofagi;
b. Sono fagociti
3) Cellule NK, agiscono producendo chitochine o uccidendo i microrganismi e le cellule che
replicano i virus a mezzo di molecole citocide, dette perforine, che inducono la lisi dei corpi
cellulari;
4) Linfociti, sempre presenti nel focolaio flogistico (infiammazioni croniche), partecipando
insieme ai monociti alla costituzione del cosiddetto infiltrato parvicellulare infiammatorio;
sonon tra i maggiori produttori di chitochine;
5) Plasmacellule, derivano dai linfociti B, con funzione di produzione di anticorpi;
6) Piastrine;
7) Endoteliociti;
8) Fibroblasti;
9) Mastociti.

Mediatori chimici dell’infiammazione acuta


1) Istamina: mediatore della fase precoce dell’infiammazione acuta, presente nei mastociti e
promuove la dilatazione arteriolare;
2) Proteasi plasmatiche
3) Derivati dell’acido arachidonico: agiscono localmente, hanno breve emività perché
vengono subito inattivati;
4) Fattori del complemento: mediatori pro-infiammatori, aumentano la permeabilità
vascolare e la vasodilatazione; attivano i leucociti;
5) Citochine: polipeptidi secreti dalle cellule che regolano il comportamento cellulare, hanno
azione autocrina, paracrina ed endocrina.

Reclutamento cellulare
È il passaggio delle cellule infiammatorie dal circolo sanguigno ai tessuti mediante 3 fasi:
1) Marginazione;
2) Rotolamento e adesione all’endotelio;
3) Dapedesi/migrazione

Cemotassi
La migrazione cellulare durante il reclutamento è determinata dal rilascio nel sito infiammatorio di
fattori chemoattici:
a) prodotti batterici solubili;
b) fattori derivati dal complemento;
c) chemochine (chitochine chemiotattiche).

Danno tissutale indotto dall’azione leucocitaria


Gli enzimi lisosomiali vengono rilasciati nello spazio extracellulare dai leucociti e causano danno
cellulare e degradazione della matrice; i leucociti attivati rilasciano specie reattive dell’ossigeno che
possono danneggiare il tessuti (formazione ascessi).
Infiammazione cronica
Detta anche istoflogosi, è così definità per la sua lunga durata; è dovuta al permanere dell’agente
patogeno.
Le cellule caratteristiche sono i macrofagi e i linfociti; i fenomeni vascolari se presenti sono
transitori.
Presenza di linfociti che agiscono in stretta relazione con i macrofagi: i linfociti T attivano i
macrofagi producendo IFN-γ.

• Cause:
• presenza di materiali poco o non irritanti;
• sostanziale equilibrio tra virulenza dell’agente infettante e resistenza dell’organismo;
• malattie autoimmuni.
Classificazione
1) Granulomatose: l’infiltrato cellulare forma strutture concentriche, circoscritte e ben
delimitate rispetto ai tessuti circostanti, dette granuli; ogni granulo presenta al centro una
cellula gigante multinucleata (fusione tra macrofagi) circondata da altri macrofagi che hanno
aspetto morfologico simile alle cellule epiteliali, le cellule epitelioidi, a loro volta attorniate
da linfociti e/o fibroblasti; questa organizzazione ha il compito di isolare l’agente flogogeno
dell’ambiente circostante;
2) Non granulomatose:

PATOLOGIA CELLULARE
Studia condizioni patologiche, che inizialmente furono messe in evidenza sulla base di ben definite
alterazioni della morfologia cellulare, evidenziabili al microscopio; in seguito, di queste alterazioni,
sono state scoperte le basi biochimiche e molecolari.

Accrescimento cellulare non neoplastico


Negli esseri viventi, a sviluppo ultimato, le dimensioni dell’organismo e dei suoi organi si
mantengono costanti (con qualche leggera variazione individuale); diversi organi però rispondono a
stimoli esogeni o endogeni con variazioni positive o negative delle loto dimensioni (normoplasia);
1) Ipertrofia: aumento di un organo o tessuto per l’aumento delle dimensioni delle sue cellule
parenchimali;
2) Iperplasia: aumento di un organo per l’aumento numerico delle cellule parenchimali;
3) Ipoplasia: riduzione delle dimensioni di un organo per riduzione del n° delle cellule
parenchimali che lo compongono;
4) Ipotrofia (atrofia): riduzione delle dimensioni di un organo per riduzione delle dimensioni
delle cellule parenchimali che lo compongono;

Ipertrofie
1) Ipertrofie vere: aumento di volume di un tessuto o di un organo dato dall’aumento delle
dimensioni o del n° (iperplasia) delle cellule parenchimali che lo compongono;
2) Ipertrofie false: aumento del volume normale di un organo/tessuto per altre
cause/meccanismi come: ristagno di sangue (stasi), edemi, processi neoplastici o
infiammatori;
Caratteristiche:
a) Reversibilità: riacquisto delle normali dimensioni da parte degli organi/tessuti dopo breve
tempo dalla cessazione degli stimoli ipertrofizzanti;
b) Distrettualità: coinvolgimento di un determinato organo o tessuto e non dell’intero
organismo.
Sotto l’aspetto eziologico le cause dell’ipertrofia di un tessuto:
1) Aumento della richiesta funzionale: aumento del lavoro compiuto da un organo o da una
parte di esso:
a. Ipertrofia muscoli striati;
b. Ipertrofia muscolatura liscia di un organo cavo, a monte di una stenosi;
c. Ipertrofia dell’uno o dell’altro ventricolo del cuore o di tutto il cuore (cuore
d’atleta; miocardite ipertrofica)
2) Aumento della stimolazione ormonale;
3) Iperalimentazione induce iperplasia del tessuto adiposo;
Ipertrofie congenite: presenti dalla nascita, iniziate nel corso della vita fetale; possono creare
alterazioni dello sviluppo;
Ipertrofia rigenerativa: si verifica nel processo di guarigione delle ferite o di perdita di massa
cellulare dovuta a varie patologie;
Sotto l’aspetto patogenetico sono associate ad incremento:
1) Quantità di proteine per aumento della loro sintesi o della riduzione del loro catabolismo;
2) Quantità di RNA e DNA;
3) Dei processi ossidativi, che danno l’energia necessaria per la maggiore attività biosintetica
cellulare.

Ipotrofie
Le atrofie o aplasie sono condizioni opposte alle ipertrofie, per riduzione del volume di un tessuto o
di un organo;
Sotto l’aspetto eziologico, le cause di ipotrofia:
1) Carenze nutrizionali, sia da cause locali (circolatorie) che carenziali (primarie e secondarie)
2) Deficit ormonali
3) Denervazione in tessuti dipendenti da continui stimoli nervosi;
4) Immobilizzazione di un arto.

Morte cellulare
Può avvenire per due meccanismo:
1) Apoptosi: detta morte cellulare programmata, attivata in particolari condizioni, con la morte
della cellula senza rottura della membrana plasmatici; esempi:
a. Distruzione programmata delle cellule durante l’embriogenesi;
b. Involuzione ormono-dipendente nell’adulto (distruzione endometrio nel ciclo
mestruale);
c. Eliminazione di cellule in popolazioni cellulari proliferanti (cellule epiteliali delle
cripte intestinali);
d. Morte dei neutrofili nell’infiammazione acuta;
e. Morte cellulare indotta dai linfociti T citotossici e cellule NK.
Nelle cellule apoptotiche il citoplasma si addensa, la cromatina si aggrega e il nucleo può rompersi
un vari frammenti. La cellula mostra estroflessioni superficiali, poi si frammenta in vari corpi
apoptotici sigillati da membrana; questi vengono fagocitati da altre cellule.
2) Necrosi: si tratta di morte cellulare accidentale che coinvolge contemporaneamente gruppi +
o meno estesi di cellule; la causa più frequente di necrosi è ipossia associata a grave
ischemia. Le cellule subiscono la rottura della membrana plasmatica, andando incontro a
disgregazione; all’esterno sono rilasciate componenti che possono innescare il processo
infiammatorio, che permette l’eliminazione di detriti cellulari mediante macrofagi e la
riparazione del tessuto. 2 tipi di necrosi:
a. Coagulativa: prevalenza di denaturazione proteica, le cellule possono mantenere la
loro struttura per qualche giorno prima di disgregarsi;
b. Colliquativa: prevale il rilascio di enzimi lisosomiali, il tessuto si trasforma in una
massa viscosa priva di struttura; la diagnosi clinica avviene mediante ritrovamento di
enzimi specifici nel sangue.
Ischemia: interruzione del flusso sanguigno in un tessuto che riduce o interrompe l’apporto di
ossigeno e nutrienti al tessuto colpito; le possibili cause sono il restringimento o occlusione di
arterie per trombi, emboli o aterosclerosi; essa può colpire vari organi e provocare morte
cellulare per necrosi; l’ischemia, da cui deriva sempre ipossia, è molto grave perché oltre al
sangue ossigenato ai tessuti non arrivano anche le sostanze nutritive da esso trasportate
(glucosio);
• Ischemie modeste ma croniche producono atrofie e steatosi;
• Ichemie gravi e improvvise producono necrosi con aspetti di infarto o di gangrena.

Ipossia: ridotto apporto di O2 ai tessuti per ridotta presenza di O2 atmosferico, anemia o


ischemia; l’ipossia di modesta entità ma prolungata nel tempo causa atrofia cellulare e
degenerazioni; l’ipossia grave provoca morte cellulare per necrosi.

Anemia: ridotta concentrazione di emoglobina nel sangue, per un ridotto n° di globuli rossi.
Causa ipossia ed innesca meccanismi compensatori, come l’aumento della portata circolatoria e
l’aumento della frequenza respiratoria; le principali forme genetiche sono:
• Talassemia;
• Anemia falciforme;
• Fauvismo;
• Alterazione globuli rossi dovute a proteine diverse dall’emoglobina.

Diagnosi clinica di necrosi:


• La morte cellulare per necrosi determina la rottura delle membrane cellulare ed il
rilascio di sostanze solubili dal citoplasma ai liquidi extracellulari;
• La rilevazione ematica di queste sostanze è un valido aiuto per la diagnosi clinica di
necrosi;
• Diverse isoforme di CPK, SGOT o LDH si trovano in circolo dopo necrosi del
miocardio, degli epatociti o delle fibre scheletriche e permettono di conoscere la sede e
l’entità della lesione
ONCOLOGIA
È La scienza che studia i tumori.
Tumore: massa di cellule anormali soggette a una moltiplicazione incontrollata, cioè non
regolata dai normali processi che controllano la proliferazione cellulare dei diversi tessuti;
la crescita delle cellule tumorali è detta neoplastica per distinguerla da quella iperplastica che è
regolata e recede al cessare dello stimolo che l’ha indotta.

Tumore benigno
Formato da cellule che mantengono in parte inalterate le proprie caratteristiche morfologiche e
funzionali, pur mostrando autonomia moltiplicativa. Rimangono localizzati nel sito di origine
come masse abnormi e non invadono i tessuti adiacenti; i tumori dei tessuti profondi sono
delimitati da una capsula fibrosa, mentre quelli dei tessuti superficiali crescono verso l’esterno;
Tumore maligno
Formato da cellule morfologicamente e funzionalmente molto diverse rispetto a quelle normali;
esso invade i tessuti contigui dove si stabilisce continuando a proliferare; può migrare
attraverso i vasi sanguigni o linfatici, realizzando tumori secondari in organi distanti o
provocando metastasi.

Alla base della formazione di un tumore vi sono sempre mutazioni somatiche in quei geni
coinvolti nella regolazione della proliferazione cellulare: i geni mutati sono detti oncogeni.
Tali mutazioni genetiche possono:
• Insorgere spontaneamente;
• Essere ereditarie;
• Derivare da virus;
• Favorite da fattori ambientali (agenti cancerogeni fisici e chimici).

Nomenclatura
• I tumori benigni dei tessuti connettivi sono in genere identificati con il suffisso –oma,
preceduto dal nome della cellula d’origine (fibroma, lipoma, condrioma ecc);
• I tumori maligni derivanti dai tessuti connettivi sono identificati con il suffisso
-sarcoma (osteosarcoma, miosarcoma, fibrosarcoma, ecc)
• I tumori benigni di origine epiteliale sono polipi, papillomi (epitelio di rivestimento) e
adenomi (epitelio ghiandolare)
• I tumori benigni epiteliali sono definiti carcinomi (carcinoma epatico, carcinomi
intestinali ecc)
• I tumori delle cellule staminali emopoietiche del midollo osseo sono definiti leucemie e
sono caratterizzati dalla presenza di cellule neoplastiche in circolo;
• I tumori che originano dai linfociti maturi sono detti linfomi;
• Originano dalle plasmacellule i mielosi

Stadiazione
La diagnosi dei tumori non è facile, la stadiazione è una classificazione basata su diverse
caratteristiche del tumore e rappresenta un indice della gravità del tumore; tiene conto della
massa del tumore, della morfologia cellulare, della proliferazione cellulare e della presenza di
metastasi;
Le cellule di un tumore maligno hanno caratteristiche meno differenziate rispetto a quelle
normali e nel tessuto si evidenzia un alto numero di cellule in attiva divisione;
Classificazione TNM
Sistema di classificazione accettato internazionalmente in base:
1) Dimensioni del tumore primario (T)
2) Stato dei linfonodi regionali (N)
3) Assenza o presenza di metastasi (M)
L’aggiunta di numeri ad ogni lettera indica un progressivo aggravamento del quadro tumorale.

Cancerogenesi
• Alla base della formazione di un tumore vi è una serie di mutazioni somatiche in geni
particolari detti protoncogeni che dopo mutazione divengono oncogeni;
• Gli oncogeni hanno importanti effetti sulla proliferazione cellulare, sui meccanismi
predisposti alla riparazione delle mutazioni genetiche e sulla regolazione della morte
cellulare per apoptosi;
• Le mutazioni che colpiscono i protooncogeni possono insorgere spontaneamente o
essere favorite da fattori ambientali come cancerogeni chimici e fisici, possono essere
ereditarie o trasmesse da infezioni virali.

Sintomatologia
È legata agli effetti locali del tumore primitivo e delle metastasi:
• Limita la funzione dei tessuti;
• Attive risposte infiammatorie e immunitarie che danneggiano i tessuti vicini non
neoplastici;
Esistono effetti sistemici dovuti alla liberazione di mediatori (TNF) rilasciati durante il
processo infiammatorio associato al tumore:
• Febbre
• Anoressia
• Perdita di peso
che hanno ruolo non marginale nella progressione e nella conclusione del processo tumorale.

Terapia antitumorale
- Chemioterapia;
- Radioterapia;
- Immunoterapia;
- Terapia anti-angiogentica.
Esito dei danni tissutali:
1) Rigenerazione: le cellule perse vengono ripristinate dalla proliferazione e dal
differenziamento delle cellule proprie del tessuto (es cellule labili e stabili);
2) Riparazione: la massa di tessuto perso è ripristinata con tessuto connettivo fibroso
(cicatrizzazione) es cellule perenni.

DEGENERAZIONI
Alterazioni delle cellule e dei tessuti accompagnate dalla comparsa di sostanze non normalmente
contenute nelle cellule o dall’aumento di sostanze normalmente presenti:
1) Steatosi: accumulo di trigliceridi (grassi neutri) nelle cellule; interessa organi come il
fegato, rene e le ghiandole endocrine, ma colpisce anche le cellule nervose e le fibre
muscolari striate
2) Glicogenosi: accumulo di glicogeno nelle cellule dovuto a difetti genetici di alcuni enzimi;
interessa soprattutto fegato e muscoli;
3) Amiloidosi: deposizione di fibrille nei tessuti costituite da particolari proteine che tendono
ad aggregare (es. beta-amiloide della malattia di Alzheimer).
Eziologia:
1) Agenti meccanici: brusche applicazioni di una forza che produce un trauma, provocando
danni a un distretto dell’organismo; se il trauma è esteso si parla di shock traumatico con
conseguenze a carico dell’apparato cardiocircolatorio (caduta della pressione) e del SNC
(perdita di coscienza)
2) Temperatura: la termoregolazione è la capacità di mantenere l’equilibrio tra la quantità di
calore acquisito e calore ceduto; la T° corporea normale è 37°;
a. Ustioni: flusso elevato di calore attraverso i tegumenti, si verifica se la t° del tessuto
supera i 40°-45°C, la gracità dipende dalla quantità di calore trasferito, dalla T°
raggiunta, dalla durata del contatto e dal modo di trasmissione (umido o secco);
classificazione:
i. I grado: iperemia ed edema (eritema);
ii. II grado: formazione di essudato che si raccoglie in bolle (fittene);
iii. III grado necrosi;
iv. IV aspetto nerastro dei tessuti carbonizzati.
b. Colpo di calore, conseguente a sforzi fisici, eccessiva perdita di liquidi e squilibri
ionici (acclimatamento);
c. Colpo di sole con cefalea, alterazioni psichiche, può essere mortale.
d. Effetti delle basse temperature:
i. Congelamento, formazione cristalli di ghiaccio che danneggiano le cellule;
ii. Geloni: vasocostrizione locale che porta a lesioni da anossia/ischemia;
iii. Assideramento: depressione del SNC e del sistema cardiocircolatorio (a –
30°C narcosi da freddo)
3) Pressione atmosferica:
a. Minore di quella presente a livello del mare:
i. Anossia o ipossia acuta e cronica.
b. Maggiore di quella presente a livello del mare:
i. Sindrome da decompressione
1. embolia gassosa
2. lesioni del SNC
4) Correnti elettriche: movimenti di cariche elettriche nel vuoto o nella materia dovute a ioni ed
–e
a. Effetti locali: danno locale ai tessuti per ipertermia, danni chimici e contrazioni
muscolari anomale;
b. Effetti generali: folgorazione per esposizione a correnti di elevata intensità sia
naturali (fulmini) che artificiali:
i. Insufficienza respiratoria;
ii. Fibrillazione ventricolare.
5) Radiazioni: si formano per variazioni di energia nell’atomo, possono essere naturali se si
creano spontaneamente per naturale instabilità degli atomi o artificiali se prodotte
tecnologicamente;
a. Radiazioni UV, distinte in UV-A, UV-B, UV-C; hanno effetti dannosi:
i. Invecchiamento prematuro (rughe, riduzione resistenza del tessuto);
ii. Cancro cutaneo (mutazioni del DNA), frequente nella popolazione che ha
esposizione professionale ed evidente nelle persone con una malattia
ereditaria, lo xeroterma pigmentosum;
b. Radiazioni ionizzanti: con energia molto elevata (raggi X), producono ionizzazione
di costituenti cellulari per espulsione di un elettrone; hanno effetto diretto sulle
molecole bersaglio o indiretto per ionizzazione dell’H2O; Danni:
i. Dosi elevate: necrosi cellulare;
ii. Dosi intermedie: morte cellule proliferanti (epitelio intestinale, sangue)
iii. Dosi basse: mutazioni DNA e rischio formazione neoplastica
iv. Utilizzo clinico (radioterapia): effetto immediato di riduzione della massa
tumorale e alleviamento del dolore da compressione su organi adiacenti;
6) Da agenti chimici:
a. Variazione del pH
b. Solventi organici
c. Veleni (tossicologia)
d. Consumo di tabacco (fumo)
i. Il fumo inalato è una miscela complessa di sostanze chimiche, la nicotina è
responsabile degli effetti farmacologici (aumento pressione, aumento
frequenza, aumento metabolismo acidi grassi) e della dipendenza; presenta
numerosi cancerogeni chimici (idrocarburi aromatici, metalli tossici,
arsenico, cadmio, cromo, promotori tumorali; aumenta il rischio di
insorgenza di malattie (cardiovascolari e polmonari e tumori)
ii. Fumo passivo: suscettibilità al cancro e all’ischemia cardiaca, sensibilità nei
bambini, sensibilità del feto;
e. Abuso di alcool: assunzione tramite bevande alcoliche;
i. Ebbrezza: tasso alcolico pari a 200mg/dl (2g/l);
ii. Coma e arresto respiratorio: tasso alcolico paria a 300-400mg/dl
I bevitori abituali tollerano tassi pari a 700mg/dl perché metabolizzano l’etanolo più
rapidamente, le donne metabolizzano meno l’etanolo e hanno tassi ematici + elevati.
Effetti:
i. Acuti: depressione del SNC, epatite, gastrite;
ii. Cronici: steatosi epatica, cirrosi, cardiomiopatia, ipertensione;
iii. Apporto moderato: funzioni protettive sul sistema cardiovascolare,
aumentando l’HDL e diminuendo l’aggregazione piastrinica;
iv. In gravidanza: danni gravi al feto, ritardo di crescita e nello sviluppo
mentale;
v. Interagisce con il metabolismo di altre sostanze (farmaci)
f. Malnutrizioni:
i. Carenze di cibo;
ii. Diete errate o squilibrate
iii. Pregiudizi alimentari;
iv. Cibi troppo raffinati;
v. Anoressia nervosa

ATEROSCLEROSI
Forma specializzata di risposta infiammatoria che si attiva in risposta a danni subiti dalla parete
arteriosa; tale risposta ha inizialmente caratteri protettivi; in base però alla durata e alla natura degli
insulti, la risposta protettiva può diventare eccessiva e diventare nel corso degli anni un processo
morboso.
È una malattia delle grandi e medie arterie, le più colpite sono: aorta, coronarie, arterie del sistema
cerebrale.
Le manifestazioni cliniche sono:
- infarto miocardio;
- infarto cerebrale (ictus)
Può causare patologie meno gravi:
- ischemia cardiaca cronica;
- aneurismi.
È causata dallo sviluppo dell’ateroma, lesione delle arterie che appare come una placca riazata che
invade il lume del vaso, tale placca è formata da: un ammasso di lipidi (colesterolo), una capsula
esterna fibrosa e macrofagi, piastrine e fibroblasti.
Con il progredire della malattia gli ateromi possono coprire intere porzioni di arterie alterando il
normale flusso sanguigno e impedirlo completamente.
DIABETE
Sindrome caratterizzata dall’aumento dei livelli ematici di glucosio (iperglicemia); comporta il
rischio di complicanze acute (coma diabetico) o croniche (micro-angiopatie come la cecità e macro-
angiopatie come l’infarto).

DIABETE MELLITO TIPO I


Malattia autoimmune mediata da linfociti T anti-insulina. Si caratterizza per una carenza di insulina
e una incapacità a controllare la glicemia; è necessaria la terapia sostitutiva con insulina.
Il deficit da insulina è dovuto a distruzione delle cellule beta che costituiscono le isole pancreatiche,
per mezzo di una reazione autoimmune; fa il suo esordio in età giovane e l’insorgenza è acuta;
dovuto a fattori genetici o acquisiti non è associato ad obesità; il soggetto è insulino-dipendente.

DIABETE MELLITO TIPO II


Malattia caratterizzata da un duplice difetto, responsabile dell’aumento della glicemia nel sangue:
• carenza relativa di insulina;
• inefficacia dell’insulina: anche se presente, non riesce a trasportare in modo corretto il
glucosio all’interno delle cellule; il glucosio rimane nel circolo sanguigno determinando
l’aumento della glicemia; il pancreas cerca di superare tale resistenza producendo + insulina,
questa iperfunzione porta nel corso degli anni ad un progressivo esaurimento funzionale e a
una minore produzione di insulina.
Ha insorgenza subdola e progressiva, esordio in età adulta, associato ad obesità; alcuni tessuti come
il SN e i globuli rossi utilizzano glucosio anche in assenza di insulina, altri come muscoli e fegato
possono farlo solo in presenza di insulina!!

VACCINAZIONE

La vaccinazione consiste nella somministrazione di un vaccino sia a


scopo profilattico (vaccinoprofilassi) che a scopoterapeutico (vaccinoterapia).

La vaccinoprofilassi è un tipo di vaccinazione effettuata per creare uno stato immunitario nei
confronti di una o piùmalattie, attivando le componenti del sistema immunitario a rispondere meglio
ad uno specifico agente patogeno. La sua efficacia è in relazione alla sua estensione nei confronti
della popolazione; essa è assoluta solo nel caso in cui tutta la popolazione che si vuole proteggere
sia stata vaccinata. A causa dei costi di una vaccinazione di massa, essa viene praticata per malattie
infettive con morbilità e/o mortalità elevata, e contro cui non esistano altri metodi profilattici.

La vaccinoterapia è invece un tipo di vaccinazione effettuata a scopo terapeutico contro


una malattia, quando questa è già in atto, con lo scopo di potenziare gli anticorpi presenti
nell'organismo.

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