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Col termine processo nell’impiantistica chimica si intende un insieme di operazioni eseguite su una
certa quantità di materia allo scopo di modificarne in tutto o in parte alcune proprietà
(caratteristiche fisiche, composizione chimica, contenuto di energia, ecc.).
Ogni processo può essere descritto da grandezze fisiche alcune delle quali rimangono costanti
perché si riferiscono alla geometria o alle modalità costruttive delle apparecchiature impiegate,
oppure rappresentano caratteristiche proprie del materiale utilizzato che non sono interessate da
modifiche a causa del processo stesso.
Altre grandezze, invece, possono cambiare il proprio valore nel corso del processo e pertanto
costituiscono le cosiddette variabili di processo.
Le variabili di processo possono essere distinte in tre gruppi:
1. variabili di disturbo (loads): sono quelle grandezze il cui valore può cambiare per cause
indipendenti dalla volontà di chi gestisce il processo e quindi in modo imprevedibile;
2. variabili controllate: sono le grandezze la cui variazione (dovuta al cambiamento subito
dalle variabili di disturbo) deve essere attentamente monitorata. Dal valore assunto da tali
variabili dipende infatti l’efficacia del processo stesso in termini del raggiungimento degli
obiettivi prefissati;
3. variabili manipolate: rappresentano le grandezze su cui è possibile operare e che consentono
(se modificate opportunamente) di riportare le variabili controllate al valore originario che
esse avevano prima che si manifestasse il disturbo. Tale valore, fissato in base alle necessità
che il processo deve soddisfare oppure ai limiti delle macchine utilizzate o, ancora, a
considerazioni di convenienza economica, viene detto set-point.
Un sistema di controllo automatico di un processo è un insieme di apparecchiature che ha lo scopo
di mantenere una variabile controllata sul suo valore di set-point anche in presenza di disturbi. Esso
è formato da tre elementi:
1. strumento di misura: serve a definire, in ogni istante, il valore assunto dalla variabile
controllata;
2. controllore: confronta il valore letto dallo strumento di misura con quello impostato di set-
point e calcola quindi l’errore ε. Nel caso ε sia diverso da zero, il controllore agisce secondo
una certa legge sul terzo elemento del sistema di controllo;
3. elemento finale di controllo (organo finale di regolazione). È di norma formato da due parti,
la prima delle quali (attuatore o servomotore) riceve il segnale dal controllore modificando
quindi lo stato della seconda (quasi sempre una valvola di regolazione).
La disposizione di questi elementi nello schema classico di un controllo ad anello chiuso (closed
loop), detto anche controllo a retroazione (feedback), può essere rappresentata come in figura:
Si noti tuttavia che, anche se il controllo feedback è quello universalmente più adoperato, in alcuni
casi esso può presentare dei limiti. Ciò si verifica soprattutto quando la misura della variabile
controllata richiede un certo intervallo di tempo per cui la risposta del sistema avviene con ritardo
2 – Tipi di controllori
I controllori possono essere classificati, in base all'azione che essi esplicano sull'organo di
regolazione, in 5 categorie:
a) controllori tutto – niente (On – Off)
b) controllori di tipo proporzionale P
c) controllori di tipo proporzionale-integrale PI
d) controllori di tipo proporzionale-derivativo PD
e) controllori di tipo proporzionale-integrale-derivativo PID
Poiché l’azione del controllore proporzionale presuppone l’esistenza dell’errore, si verifica che, nel
caso di un disturbo (e quindi di un errore) prolungato nel tempo, il sistema di controllo non è in
grado di riportare la variabile controllata al valore di regime che essa aveva prima che si verificasse
il disturbo. Il sistema porterà detta variabile su un valore prossimo a quello originario (tanto più
vicino quanto maggiore è il KP) ma che non sarà mai lo stesso. Questo è il principale limite del
controllo proporzionale, limite che può essere superato solo ricorrendo all’aggiunta dell’azione
integrale a quella proporzionale. Occorre ora accennare al significato di banda proporzionale
(proportional band), termine presente in molti testi sulla teoria dei controlli automatici.
Dalla funzione di uscita di un controllore proporzionale:
p = ps + K P ⋅ ε
ricaviamo:
pmax = ps + K P ⋅ ε max = ps + K P ⋅ (SP − VM min )
pmin = ps + K P ⋅ ε min = ps + K P ⋅ (SP − VM max )
Dove SP è il valore di set point e VM è il valore misurato della variabile controllata.
Sottraendo membro a membro:
pmax − pmin = K P ⋅ (VM max − VM min )
Si definisce banda proporzionale BP di un controllore la differenza tra il massimo ed il minimo
valore della variabile controllata capaci di modificare il segnale di uscita del controllore dal valore
più elevato (per controllori pneumatici di solito 15 PSI, 1.05 bar) a quello più basso (3 PSI, 0.2 bar).
Avremo quindi:
∆p
BP = (VM max − VM min ) =
KP
ossia la banda proporzionale BP è inversamente proporzionale al guadagno KP. Il guadagno KP quindi
determina sia la velocità di risposta del sistema di controllo che il range di valori della variabile controllata
entro cui può agire la regolazione.
Per capire ciò basta rappresentare su un grafico la pressione p in uscita dal controllore in funzione
dell’errore ε. Stabiliti i valori massimo pmax e minimo pmin della pressione in uscita rispetto al valore
di riferimento ps (pressione in uscita per valore della variabile controllata uguale al set-point,
ovvero pressione corrispondente a errore nullo) tracciamo una retta che, passando per il valore di
riferimento, unisce i due valori (pmax e pmin).
L’espressione su scritta, chiamata forma ideale del segnale, in molti testi di teoria dei controlli
automatici viene sostituita dalla cosiddetta forma standard:
t
KP dε
p = ps + K P ⋅ ε + ⋅ ∫ ε ⋅ dt + K P ⋅τ D
τI 0 dt
Cioè il guadagno derivativo KD e quello integrale KI vengono espressi in funzione del guadagno
proporzionale KP e di altri due parametri, chiamati rispettivamente tempo derivativo τD ed integrale
τI:
K K
τD = D τI = P
KP KI
Il motivo di questa apparentemente inutile complicazione risiede nel fatto che in questo modo i
parametri suddetti acquistano un significato fisico maggiormente comprensibile. Infatti,
raggruppando a fattore comune, abbiamo:
dε 1
t
p = p s + K P ⋅ ε + τ D + ⋅ ∫ ε ⋅ dt
dt τ I 0
In altri termini il segnale di un controllore PID è proporzionale al valore che l’errore avrà
(approssimativamente) tra τD secondi nel futuro sommato al valore (medio) che l’errore stesso
assumerebbe se l’azione di controllo riuscisse ad eliminarlo in τI secondi a partire dall’istante in cui
si è manifestato nel passato.
Con la presenza di un sistema di controllo invece, dopo qualche tempo inizierà un'azione di detto
sistema che cercherà di mantenere la variabile controllata vicino al valore che essa aveva prima
dell'azione di disturbo. Con un controllo puramente proporzionale il sistema e' in grado di arrestare
la crescita o il decremento della variabile controllata ma non di riportare questa variabile al valore
che essa aveva prima che intervenisse l'azione disturbatrice. L'azione del sistema quindi consiste nel
far sì che il nuovo valore di regime della variabile controllata sia minore (in valore assoluto) di
quello che essa assumerebbe senza controllo.
La differenza tra questo nuovo valore di regime e il valore originario viene detta offset. L'aggiunta
dell'azione integrale migliora notevolmente le cose in quanto elimina l'offset, cioè la variabile
controllata riassumerà alla fine il valore originario, tuttavia il sistema acquista un carattere
fortemente pendolatorio, cioè la variabile inizia ad oscillare intorno al valore di set-point fino ad
assestarsi, dopo un periodo più o meno lungo, su tale valore. L'azione derivativa, sommata a quelle
integrale e proporzionale, migliora in maniera definitiva il comportamento del sistema. La
variazione nei valori della variabile controllata si arresta subito e questa ritorna al punto di set-point
senza quasi nessuna oscillazione. La scelta tra i vari tipi di sistemi di controllo dipende dalle loro
particolari applicazioni. Se un offset è in qualche misura tollerabile, il sistema proporzionale sarà da
I controllori possono essere costruiti utilizzando diverse tecnologie. Esistono infatti controllori
elettronici (analogici e digitali), meccanici, pneumatici, oleodinamici.
Alla base di tutti gli strumenti pneumatici si utilizza il sistema lamina-ugello. Esso e' detto
modulatore pneumatico e il suo schema di funzionamento e' rappresentato nella figura.
A fronte di un ugello posto all'estremità' di un piccolo tubetto e' posta la lamina che e' collegata al
sistema di misura. A monte dell'ugello e' posta una strozzatura che ha lo scopo di variare la perdita
di carico al variare della portata di aria che percorre il tubetto. Questa portata e' a sua volta funzione
della distanza della lamina dall'ugello, distanza che e' legata al segnale dello strumento di misura.
Un tubetto posto a valle della strozzatura e a monte all'ugello invia il segnale modulato all'utilizzo,
ossia all’organo di regolazione. Tutto il sistema e' alimentato con la pressione standard di 20 PSI
(1.4bar).
Quando la lamina e' molto lontana dall'ugello la portata di aria e' molto forte per cui la perdita di
carico nelle strozzatura e' elevata.
Supponiamo che vi sia uno spostamento della lamina dovuto al fatto che la misura non è quella
desiderata e ipotizziamo che durante tale spostamento la lamina si avvicini all'ugello. L'azione tende
ovviamente a far aumentare la pressione in uscita. Osservando la figura, vediamo che la pressione
in uscita tende ad allontanare la lamina in quanto il soffietto si dilata comprimendo la molla. Il
movimento del soffietto modera quindi l'azione che avrebbe avuto il solo sistema lamina-ugello.
Risulta che il segnale in uscita e' il medesimo presente nel soffietto contrastato dalla molla. Essendo
la deformazione della molla lineare, il tutto agisce nel senso di linearizzare il segnale di uscita al
variare dello spostamento di un estremo della lamina.
4 – Valvole di regolazione
L'organo finale di regolazione è di solito costituito da una valvola. Nel tipo pneumatico l'organo che
provoca il movimento è un motore costituito da una membrana di gomma alloggiata in un
opportuno serbatoio di forma circolare e collegata ad uno stelo che a sua volta sposta l'otturatore
della valvola. Il movimento dello stelo è contrastato da una molla antagonista. La forza che agisce
sulla membrana è data dal prodotto della pressione dell'aria per la superficie della membrana stessa.
Siccome la superficie della membrana è costante, la spinta è direttamente proporzionale alla
pressione dell'aria, ed essendo la molla comprimibile in modo rigorosamente proporzionale,
l'otturatore si sposta proporzionalmente alla pressione di comando dello strumento regolatore
(controllore). Quando ad esempio la pressione di comando è di 3 PSI la valvola comincia a chiudere
I controlli automatici – Ia parte 9
o ad aprire; a 9 PSI la valvola ha fatto metà corsa, ed è chiusa o aperta definitivamente a 15 PSI. Le
valvole possono infatti essere o "normalmente aperte", nel senso che senza aria sono aperte e che
l'aumento del segnale dello strumento provvede a chiuderle, o "normalmente chiuse" quando la
molla le chiude e la pressione di comando tende ad aprirle. La scelta del tipo di azione dipende dal
processo da regolare. Una valvola che immette ad esempio acido cloridrico in un serbatoio di
neutralizzazione è bene che sia normalmente chiusa, in modo che in assenza di aria per una
eventuale rottura non si abbia travaso non regolato di acido nel serbatoio. La scelta del diametro di
passaggio della valvola deve essere calcolata rigorosamente. Di solito detto diametro deve essere
minore di quello della tubazione in modo da concentrare nella valvola il massimo di perdite di
carico e con ciò la possibilità di regolazione. Bisogna anche porre attenzione affinché la forza della
membrana sia sufficiente ad azionare la valvola quando si è in presenza di forti salti di pressione.
Nel caso ciò non si verifichi si deve ricorrere a servomotori maggiorati.
In una valvola di regolazione, la relazione esistente tra il grado di apertura (la luce della sezione di
passaggio determinata dal movimento dell’otturatore) e la portata del fluido, viene chiamata
caratteristica della valvola. In base alla loro caratteristica, le valvole di regolazione si distinguono
in 4 tipi:
1. valvole ad apertura rapida;
2. valvole a caratteristica lineare;
3. valvole a caratteristica quadratica;
4. valvole a caratteristica esponenziale o equipercentuale.
La caratteristica di una valvola è ottenuta attraverso misure sperimentali in laboratorio ed è fornita
dal costruttore sotto forma di diagramma in cui, sull’asse delle ascisse, è riportato il grado di
apertura come rapporto percentuale del grado di apertura massimo e, su quello delle ordinate, la
portata come rapporto percentuale della portata massima. Avremo pertanto 4 tipi di curve
corrispondenti ai 4 tipi di valvole suddette: