La distinzione più immediata nel timbro delle voci è quella tra voci maschili,
femminili e bianche. Le voci bianche sono quelle dei bambini prima della muta
vocale, cioè prima del cambiamento della voce, che succede in età adolescenziale (tra i
12 e i 16 anni circa). Durante l’adolescenza la voce mostra una trasformazione evidente.
Nei maschi le corde vocali si ingrossano e si allungano, il timbro si scurisce e
l’estensione della voce si incammina verso il registro grave. Nelle ragazze invece le
corde vocali si rafforzano, ma restano più corte di quelle dei maschi, raggiungiendo di
conseguenza note più acute, con timbri a volte molto brillanti.
Per estensione vocale si intende tutta la serie di suoni che una voce produce, dal più
grave al più acuto. L’estensione aumenta naturalmente con l’età, ma soprattutto con
l’esercizio opportuno della voce. Come gli atleti esercitano i loro muscoli, i cantanti
professionisti, con lo studio metodico e costante, conseguono gradualmente migliorare
le loro prestazioni canore: arricchiscono il loro timbro vocale e allo stesso tempo
ampliano l’estensione, raggiungendo suoni sempre più acuti o gravi.
Voci maschili
Tenore: estensione più acuta delle voci maschili, timbro chiaro e squillante. In base
alle caratteristiche distinguiamo tenore leggero o di grazia, lirico, drammatico o di
forza.
Voci femminili
Soprano: estensione più acuta delle voci femminili, timbro chiaro e brillante.
Distinguiamo il soprano leggero o di coloratura (caratterizzata dalla capacità
tecnica di eseguire ornamenti virtuosistici utilizzando al massimo l'agilità vocale),
lirico, drammatico.
Contralto: estensione più grave tra le voci femminili, timbro scuro e corposo.
Falsettisti
Durante il Medioevo e fino al XVII secolo, alle voci femminili non era permesso
esibirsi nel canto, soprattutto nel repertorio sacro, il quale veniva eseguito dalle voci
bianche e dai falsettisti, cantanti maschili che raggiungono i suoni più acuti della sua
estensione utilizzando il chiamato falsetto. Il falsettto è un registro sottile del quale i
cantanti si servirono fino al XVIII secolo sia nel campo della musica sacra, sia per
interpretare ruoli operistici. Oggigiorno i denominati controtenori (detti anche
sopranisti e contraltisti, a seconda della loro estensione) sono falsettisti di sesso
maschili che studiano l’uso della voce nelle corrispondenti estensioni femminili,
cercando di arricchire timbro ed estensione, e dedicandose prevalentemente allo studio e
all’esecuzione della musica antica.
Castrati
I castrati o evirati erano cantanti di sesso maschile soggetti alla castrazione prima della
pubertà, cioè della muta della voce. Di conseguenza l’apparato vocale si potenziava con
doti di rilievo come la resistenza polmonare, l’estensione vocale verso l’acuto e un
timbro dolce, pieno e duttile, decisamente più ricco del falsetto e molto simile a quello
femminile. Inizialmente i castrati proliferarono, a partire dal Cinquecento, nella musica
sacra, particolarmente a Roma, in sostituzione dei falsettisti nelle cappelle musicali. Le
loro voci, angelicali ma potenti, costituivano un magnifico mezzo per meravigliare e
commuovere i fedeli durante le celebrazioni liturgiche. E così che questa pratica,
sebbene mai legalizzata, fu tacitamente ammessa dalla Chiesa.
La pratica di far cantare due cori (doppio coro) o più cori allo stesso tempo
(policoralità), moltiplicando tutte le sezioni vocali e disponendole anche in luoghi
diversi e distanti tra loro, risale al periodo rinascimentale. Con il doppio coro si possono
ottenere particolari effetti stereofonici e di dialogo. Questa pratica è detta anche a coro
spezzato.
Il teatro musicale
La storia dell’opera può essere letta come una storia della collaborazione tra poesia e
musica; una collaborazione che è stata spesso anche in conflitto, nel quale si tendeva a
far prevalere l’uno o l’altro dei due componenti (per non parlare del concorso di altre
tecniche artistiche, come la scenografia e la danza). Nei primi passi del melodramma
l’accompagnamento strumentale, normalmente affidato al clavicembalo e al violoncello
o alla viola da gamba, era presente in tutte le parti dell’opera e per questo fu detto basso
continuo (o più semplicemente continuo). Solo nei ritornelli, nei cori e nelle danze,
insieme al basso continuo suonava l’intera orchestra.
Il canto solistico dei primi melodrammi fu detto recitar cantando, perché doveva
essere una via di mezzo tra la recitazione e il canto: rispettava ritmo e punteggiatura del
parlato e conteneva l’intonazione delle parole in un’estensione vocale limitata; il
risultato era abbastanza monotono. Claudio Monteverdi ruppe la monotonia del recitar
cantando trasformandolo in due differenti stili di canto solistico:
-il recitativo: una specie di recitazione cantata, simile al recitar cantando, adeguato a
raccontare gli eventi senza troppo impulso emotivo. Veniva intonato in un’estensione
vocale limitata e con ritmo libero, sostenuto dagli accordi del continuo;
-l’arioso, con movimento melodico e ritmo ben scandito, risultava appropriato per
esprimere i sentimenti dei singoli personaggi, che ripetevano spesso le parole più
significative, evidenziandole con abbellimenti.
Verso la fine del Seicento Alessandro Scarlatti elaborò una forma ben definita di canto
solistico, accompagnata dell’orchestra e più adeguata a esprimere i sentimenti e il
carattere dei vari personaggi: l’aria con il da capo, che fu prediletta dai compositori del
Settecento. Un’altra innovazione di Scarlatti fu la distinzione di due tipi di recitativo: il
recitativo secco e il recitativo accompagnato. Cristallizza così in questi anni una
distinzione che caratterizzarà l’opera di modello italiano del Sette-Ottocento, ma in
parte riferibile anche a lavori di altre epoche ed aree geografiche. Questa distinzione fa
riferimento all’opposizione tra recitativi e pezzi chiusi.
Diversa da quella dei recitativi è la funzione dei pezzi nei quali l’aspetto musicale è
molto rilevante; qui hanno peso l’originalità dell’invenzione melodica, lo sviluppo
compositivo (con una partecipazione sostanziale dell’orchestra e a volte anche del coro)
e spesso anche la complessità tecnica della parte vocale. Questi brani vengono definiti
pezzi chiusi, termine che indica che si tratta di forme musicali autonome e complete in
sé stesse, distinte e isolabili tra di loro e rispetto ai recitativi. I pezzi chiusi sono detti
anche numeri, dato che era frequente l’uso di indicare con dei numeri l’ordine dei pezzi
musicali all’interno dell’opera (dalla numerazione erano esclusi i recitativi).
Il pezzo che più tradicionalmente si oppone al recitativo è l’aria, dove c’è una pausa
nello svolgimento dell’azione drammatica e il personaggio esprime lo stato d’animo
causato in lui dalla situazione (a volte anche le proprie idee o il proprio carattere). Tra le
molte forme delle arie, alcune hanno avuto particolare diffusione. Dalla forma bipartita
tipica di molte arie più antiche si passò, verso gli inizi del Settecento, alla forma
tripartita della menzionata aria con il ‘da capo’, la quale si divide in tre parti, secondo
lo schema ABA’, dove A’ è la ripetizione variata di A (da capo), nella quale il cantante
inserisce abbellimenti per mostrare il proprio virtuosismo canoro: ciò succede
soprattutto verso la fine dell’aria, dove si inserisce la cadenza, una specie di sospensione
del discorso, improvvisata dal cantante per esibire la propria voce senza
l’accompagnamento strumentale.
Nel Settecento si incontra anche un modello di aria in due sezioni dal diverso
andamento (tipo adagio-allegro): qui la sezione conclusiva è detta cabaletta, e ha
generalmente un carattere ritmicamente veloce e virtuosistico. Si possono trovare anche
arie in forma di rondò, soprattutto a conclusione dell’opera. In un’aria solistica è anche
frequente la partecipazione di altre voci (aria con pertichini) o del coro, che hanno in
questo caso una funzione secondaria o di sostegno rispetto alla voce principale.
Diverso è il caso dei pezzi a più voci nei quali ognuna delle voci ha una parte di rilievo.
Questi pezzi si chiamano duetto, terzetto, quartetto, ecc., a seconda del numero delle
voci. Data la presenza del dialogo tra diversi personaggi, i brani a più voci possono
contenere elementi di svolgimento dell’azione drammatica. Di particolare rilievo sono i
concertati, che possono raggiungere dimensioni considerevoli, sia per sviluppo
drammatico e musicale, sia per quantità di voci (molti personaggi, spesso anche il coro).
È generalmente un concertato il finale, cioè il pezzo posto alla fine dell’opera o di uno
dei suoi atti.
Anche l’introduzione, il pezzo che apre il primo atto dell’opera, può avere uno
sviluppo particolare (spesso con la presenza del coro). Possono esserci anche, nel corso
dell’opera, brani per il solo coro (sempre, s’intende, con l’accompagnamento
dell’orchestra), che prendono semplicemente il nome di coro. L’intero svolgimento di
un’opera di teatro musicale è quasi sempre preceduto da un brano per la sola orchestra
(sinfonia, ouverture, preludio).
Facciamo il punto
I castrati o (10) ..................... avevano un timbro dolce, pieno e duttile, più ricco di
quello dei (11) .....................................
Alla fine del XVI secolo, ispirata dalla tragedia greca, si crea una nuova forma di
spettacolo nella quale è presente insieme musica, poesia e azione teatrale: il (15)
.............................., detto anche opera, nel quale i personaggi si esprimono mediante il
canto.
I pezzi (20) .........................sono detti anche numeri, dato che era frequente l’uso di
indicare con dei numeri l’ordine dei pezzi musicali all’interno dell’opera (dalla
numerazione erano esclusi i (21) ...........................).
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