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UNITÀ 6.

La voce: dalla parola al canto


La classificazione delle voci

Le voci possono essere classificate in base a due caratteristiche fondamentali: il timbro


e l’estensione. Il timbro della voce dipende dalla struttura fisica di una persona: dalle
dimensioni dell’organo di fonazione, ma anche della conformazione del corpo. Le
cavità che servono da casse di risonanza al suono prodotto dalle corde vocali sono la
cassa toracica, la faringe e le cavità del cranio. Di conseguenza non esiste una voce
perfettamente uguale a un’altra, in quanto non può esistere un corpo esattamente uguale
a un altro.

La distinzione più immediata nel timbro delle voci è quella tra voci maschili,
femminili e bianche. Le voci bianche sono quelle dei bambini prima della muta
vocale, cioè prima del cambiamento della voce, che succede in età adolescenziale (tra i
12 e i 16 anni circa). Durante l’adolescenza la voce mostra una trasformazione evidente.
Nei maschi le corde vocali si ingrossano e si allungano, il timbro si scurisce e
l’estensione della voce si incammina verso il registro grave. Nelle ragazze invece le
corde vocali si rafforzano, ma restano più corte di quelle dei maschi, raggiungiendo di
conseguenza note più acute, con timbri a volte molto brillanti.

Per estensione vocale si intende tutta la serie di suoni che una voce produce, dal più
grave al più acuto. L’estensione aumenta naturalmente con l’età, ma soprattutto con
l’esercizio opportuno della voce. Come gli atleti esercitano i loro muscoli, i cantanti
professionisti, con lo studio metodico e costante, conseguono gradualmente migliorare
le loro prestazioni canore: arricchiscono il loro timbro vocale e allo stesso tempo
ampliano l’estensione, raggiungendo suoni sempre più acuti o gravi.

Voci maschili

In base al timbro ed estensione si classificano nel modo seguente:

Tenore: estensione più acuta delle voci maschili, timbro chiaro e squillante. In base
alle caratteristiche distinguiamo tenore leggero o di grazia, lirico, drammatico o di
forza.

Baritono: estensione intermedia, timbro a volte chiaro (baritono leggero o tenorile,


lirico), a volte scuro (baritono verdiano, drammatico).
Basso: estensione più grave tra le voci maschili, timbro scuro e corposo. Distinguiamo
basso baritono, buffo (specializzato nel repertorio comico), profondo.

Voci femminili

Le voci femminili si classificano come segue:

Soprano: estensione più acuta delle voci femminili, timbro chiaro e brillante.
Distinguiamo il soprano leggero o di coloratura (caratterizzata dalla capacità
tecnica di eseguire ornamenti virtuosistici utilizzando al massimo l'agilità vocale),
lirico, drammatico.

Mezzosoprano: estensione intermedia tra le voci femminili, timbro pastoso e oscuro,


simile a quello di certe soprani drammatici.

Contralto: estensione più grave tra le voci femminili, timbro scuro e corposo.

Falsettisti

Durante il Medioevo e fino al XVII secolo, alle voci femminili non era permesso
esibirsi nel canto, soprattutto nel repertorio sacro, il quale veniva eseguito dalle voci
bianche e dai falsettisti, cantanti maschili che raggiungono i suoni più acuti della sua
estensione utilizzando il chiamato falsetto. Il falsettto è un registro sottile del quale i
cantanti si servirono fino al XVIII secolo sia nel campo della musica sacra, sia per
interpretare ruoli operistici. Oggigiorno i denominati controtenori (detti anche
sopranisti e contraltisti, a seconda della loro estensione) sono falsettisti di sesso
maschili che studiano l’uso della voce nelle corrispondenti estensioni femminili,
cercando di arricchire timbro ed estensione, e dedicandose prevalentemente allo studio e
all’esecuzione della musica antica.

Castrati

I castrati o evirati erano cantanti di sesso maschile soggetti alla castrazione prima della
pubertà, cioè della muta della voce. Di conseguenza l’apparato vocale si potenziava con
doti di rilievo come la resistenza polmonare, l’estensione vocale verso l’acuto e un
timbro dolce, pieno e duttile, decisamente più ricco del falsetto e molto simile a quello
femminile. Inizialmente i castrati proliferarono, a partire dal Cinquecento, nella musica
sacra, particolarmente a Roma, in sostituzione dei falsettisti nelle cappelle musicali. Le
loro voci, angelicali ma potenti, costituivano un magnifico mezzo per meravigliare e
commuovere i fedeli durante le celebrazioni liturgiche. E così che questa pratica,
sebbene mai legalizzata, fu tacitamente ammessa dalla Chiesa.

Con la nascita dell’opera lirica i castrati diventarono i primi superstar operistici,


conquistando l’adulazione del pubblico. Dalla fine del Seicento fino ai primi decenni
del XVII secolo ebbero la loro età d’oro: erano richiesti nei teatri più importanti
d’Europa e per loro i compositori componevano le pagine più difficili, date la loro
capacità nel risolvere i passaggi vocali più virtuosistici.

Canto solistico e canto corale: gli organici vocali


Il canto solistico, intonato da un solo cantante (solista), è detto anche canto monodico,
dato che si basa su una sola linea melodica, normalmente sostenuta da un
accompagnamento strumentale (monodia accompagnata). Anche nel repertorio corale
possiamo avere canti monodici o all’unisono, quando tutte le voci cantano allo stesso
tempo gli stessi suoni. Il canto monodico corale ha il grande vantaggio di essere
facilmente compreso da chi ascolta, perché tutte le voci del coro cantano lo stesso testo
e gli stessi suoni nello stesso momento. È il caso, ad esempio, del canto gregoriano, con
il quale i fedeli di una comunità rivolgono la loro preghiera a Dio.

Il canto corale è più frequentemente un canto polifonico, a più linee melodiche,


confidate a gruppi di persone, denominate sezioni del coro, ognuna delle quali esegue
una delle parti vocali previste in partitura. A differenza del canto monodico corale, il
canto polifonico corale esprime i propri messaggi anche attraverso l’armonia, cioè
attraverso gli accordi che si creano sovrapponendo le linee melodiche delle varie sezioni
del coro.

Se un coro canta senza accompagnamento di strumenti musicali è detto coro a


cappella. Questo nome deriva dal fatto che anticamente i cori si esibivano senza
strumenti nelle cappelle annesse ai palazzi dei nobili, luoghi sacri simili a piccole chiese
destinate alla preghiera e al culto religioso. In tali ambienti, originariamente per
mancanza di spazio e in seguito per tradizione, cantavano solo le voci senza
l’accompagnamento strumentale.

La pratica di far cantare due cori (doppio coro) o più cori allo stesso tempo
(policoralità), moltiplicando tutte le sezioni vocali e disponendole anche in luoghi
diversi e distanti tra loro, risale al periodo rinascimentale. Con il doppio coro si possono
ottenere particolari effetti stereofonici e di dialogo. Questa pratica è detta anche a coro
spezzato.

Il teatro musicale

Il teatro musicale (quello al quale comunemente ci riferiamo con il nome di opera,


opera lirica o melodramma) viene caratterizzato dal fatto che i personaggi si
esprimono cantando. Le forme del teatro musicale dipendono, in misura maggiore o
minore, dalle forme del testo poetico che viene musicato. Esiste di fatto un genere
letterario destinato specificamente al teatro musicale: il libretto. Si tratta di un testo
teatrale preparato quasi sempre da uno specialista, il librettista, diverso dal compositore
delle musiche. Il libretto è diviso quasi sempre in diverse parti, detti atti. Ogni atto è a
sua volta articolato al suo interno in molte sottoparti, quadri e scene, dalle funzioni e
dalle caratteristiche diverse. Nel libretto sono annotate anche le indicazioni, dette
didascalie, per lo svolgimento dell’azione teatrale (entrate e uscite di scena dei
personaggi, indicazioni relative alla recitazione degli interpreti, alla scenografia, ecc.).

La storia dell’opera può essere letta come una storia della collaborazione tra poesia e
musica; una collaborazione che è stata spesso anche in conflitto, nel quale si tendeva a
far prevalere l’uno o l’altro dei due componenti (per non parlare del concorso di altre
tecniche artistiche, come la scenografia e la danza). Nei primi passi del melodramma
l’accompagnamento strumentale, normalmente affidato al clavicembalo e al violoncello
o alla viola da gamba, era presente in tutte le parti dell’opera e per questo fu detto basso
continuo (o più semplicemente continuo). Solo nei ritornelli, nei cori e nelle danze,
insieme al basso continuo suonava l’intera orchestra.

Il canto solistico dei primi melodrammi fu detto recitar cantando, perché doveva
essere una via di mezzo tra la recitazione e il canto: rispettava ritmo e punteggiatura del
parlato e conteneva l’intonazione delle parole in un’estensione vocale limitata; il
risultato era abbastanza monotono. Claudio Monteverdi ruppe la monotonia del recitar
cantando trasformandolo in due differenti stili di canto solistico:

-il recitativo: una specie di recitazione cantata, simile al recitar cantando, adeguato a
raccontare gli eventi senza troppo impulso emotivo. Veniva intonato in un’estensione
vocale limitata e con ritmo libero, sostenuto dagli accordi del continuo;
-l’arioso, con movimento melodico e ritmo ben scandito, risultava appropriato per
esprimere i sentimenti dei singoli personaggi, che ripetevano spesso le parole più
significative, evidenziandole con abbellimenti.

Verso la fine del Seicento Alessandro Scarlatti elaborò una forma ben definita di canto
solistico, accompagnata dell’orchestra e più adeguata a esprimere i sentimenti e il
carattere dei vari personaggi: l’aria con il da capo, che fu prediletta dai compositori del
Settecento. Un’altra innovazione di Scarlatti fu la distinzione di due tipi di recitativo: il
recitativo secco e il recitativo accompagnato. Cristallizza così in questi anni una
distinzione che caratterizzarà l’opera di modello italiano del Sette-Ottocento, ma in
parte riferibile anche a lavori di altre epoche ed aree geografiche. Questa distinzione fa
riferimento all’opposizione tra recitativi e pezzi chiusi.

I recitativi, che si alternano ai pezzi musicali, hanno principalmente una funzione


drammatica e servono a far avanzare l’azione. È perciò che l’aspetto verbale ha nel
recitativo una decisa prevalenza, in modo di rendere ben comprensibile il testo.
L’aspetto musicale invece è in secondo piano, ridotto spesso a formule melodiche ed
armoniche molto convenzionali. Questo succede soprattutto nel recitativo secco, nel
quale la voce è generalmente accompagnata dal clavicembalo. Qui il ritmo
dell’esecuzione è dettato dalle necessità di recitazione delle parole, molto più che dalle
durate delle note scritte dal compositore. Il recitativo secco è pertanto una lettura
intonata del testo teatrale più che una forma musicale in senso stretto. Una maggiore
autonomia e originalità della parte musicale si può avere nel recitativo accompagnato,
dove la voce del cantante è invece sostenuta dall’orchestra o da una sua sezione. Questo
tipo di recitativo obbligava l’esecutore a rispettare le indicazioni del compositore, in
modo che i cantanti non potevano aggiungere o togliere note.

Diversa da quella dei recitativi è la funzione dei pezzi nei quali l’aspetto musicale è
molto rilevante; qui hanno peso l’originalità dell’invenzione melodica, lo sviluppo
compositivo (con una partecipazione sostanziale dell’orchestra e a volte anche del coro)
e spesso anche la complessità tecnica della parte vocale. Questi brani vengono definiti
pezzi chiusi, termine che indica che si tratta di forme musicali autonome e complete in
sé stesse, distinte e isolabili tra di loro e rispetto ai recitativi. I pezzi chiusi sono detti
anche numeri, dato che era frequente l’uso di indicare con dei numeri l’ordine dei pezzi
musicali all’interno dell’opera (dalla numerazione erano esclusi i recitativi).
Il pezzo che più tradicionalmente si oppone al recitativo è l’aria, dove c’è una pausa
nello svolgimento dell’azione drammatica e il personaggio esprime lo stato d’animo
causato in lui dalla situazione (a volte anche le proprie idee o il proprio carattere). Tra le
molte forme delle arie, alcune hanno avuto particolare diffusione. Dalla forma bipartita
tipica di molte arie più antiche si passò, verso gli inizi del Settecento, alla forma
tripartita della menzionata aria con il ‘da capo’, la quale si divide in tre parti, secondo
lo schema ABA’, dove A’ è la ripetizione variata di A (da capo), nella quale il cantante
inserisce abbellimenti per mostrare il proprio virtuosismo canoro: ciò succede
soprattutto verso la fine dell’aria, dove si inserisce la cadenza, una specie di sospensione
del discorso, improvvisata dal cantante per esibire la propria voce senza
l’accompagnamento strumentale.

Nel Settecento si incontra anche un modello di aria in due sezioni dal diverso
andamento (tipo adagio-allegro): qui la sezione conclusiva è detta cabaletta, e ha
generalmente un carattere ritmicamente veloce e virtuosistico. Si possono trovare anche
arie in forma di rondò, soprattutto a conclusione dell’opera. In un’aria solistica è anche
frequente la partecipazione di altre voci (aria con pertichini) o del coro, che hanno in
questo caso una funzione secondaria o di sostegno rispetto alla voce principale.

Diverso è il caso dei pezzi a più voci nei quali ognuna delle voci ha una parte di rilievo.
Questi pezzi si chiamano duetto, terzetto, quartetto, ecc., a seconda del numero delle
voci. Data la presenza del dialogo tra diversi personaggi, i brani a più voci possono
contenere elementi di svolgimento dell’azione drammatica. Di particolare rilievo sono i
concertati, che possono raggiungere dimensioni considerevoli, sia per sviluppo
drammatico e musicale, sia per quantità di voci (molti personaggi, spesso anche il coro).
È generalmente un concertato il finale, cioè il pezzo posto alla fine dell’opera o di uno
dei suoi atti.

Anche l’introduzione, il pezzo che apre il primo atto dell’opera, può avere uno
sviluppo particolare (spesso con la presenza del coro). Possono esserci anche, nel corso
dell’opera, brani per il solo coro (sempre, s’intende, con l’accompagnamento
dell’orchestra), che prendono semplicemente il nome di coro. L’intero svolgimento di
un’opera di teatro musicale è quasi sempre preceduto da un brano per la sola orchestra
(sinfonia, ouverture, preludio).
Facciamo il punto

Inserite al posto giusto negli spazi vuoti i seguenti termini:

bianche canto falsetto cappella estensione evirati tenori spezzati


monodico pari falsettisti polifonico sopranisti mezzosoprani

Il (1) ............................ è l’amplificazione della prosodia nel discorso melodico; serve a


comunicare stati d’animo e situazioni emotive; può essere (2) ................................
(solistico o corale) oppure (3) ............................................ (cioè a più linee melodiche).

Timbro ed (4) .................................... della voce dipendono dalla struttura fisica di


ognuno di noi. Distinguiamo pertanto voci maschili, (5) ......................., baritoni e bassi,
voci femminili, soprani, (6) ............................. e contralti, e voci (7) .......................... o
di bambini.

I contratenori, detti anche (8) .............................. o contraltisti, raggiungono suoni più


acuti della sua estensione naturale utilizzando il (9) .............................

I castrati o (10) ..................... avevano un timbro dolce, pieno e duttile, più ricco di
quello dei (11) .....................................

Il canto corale può essere a (12) .......................................... (solo voci) o concertante


(voci e strumenti); a voci (13) .......................... (formato dallo stesso tipo di voci) o a
voci miste (cioè maschili e femminili). I doppi cori sono anche detti cori (14)
........................... e vengono usati per ottenere particolari effetti stereofonici e di
dialogo.

cabaletta esprime libretto pertichini scene abbellimenti voce aria ripresa


secco andamento chiusi melodramma recitativi capo

Alla fine del XVI secolo, ispirata dalla tragedia greca, si crea una nuova forma di
spettacolo nella quale è presente insieme musica, poesia e azione teatrale: il (15)
.............................., detto anche opera, nel quale i personaggi si esprimono mediante il
canto.

Il (16) ................................., cioè la trama dell’opera scritta da un poeta in


collaborazione con il compositore, si suddivide in atti e ogni atto in (17)
.................................
Il recitativo (18) ................................ è accompagnato dal solo basso continuo (in genere
il clavicembalo). Nel recitativo accompagnato la (19) ...............................e invece
sostenuta dall’orchestra.

I pezzi (20) .........................sono detti anche numeri, dato che era frequente l’uso di
indicare con dei numeri l’ordine dei pezzi musicali all’interno dell’opera (dalla
numerazione erano esclusi i (21) ...........................).

Il pezzo che più tradicionalmente si oppone al recitativo è l’(22) .............................,


dove c’è una pausa nello svolgimento dell’azione drammatica e il personaggio
(23)............................... lo stato d’animo causato in lui dalla situazione.

Nell’opera del Settecento le arie hanno generalmente la forma con il da (24)


.....................: due strofe poetiche, piu o memo contrastanti, delle quali la prima viene
integramente (25) ..........................con la stessa musica dopo la seconda. Questa
ripetizione e in genere variata dal cantante con l’inserimento di (26)
...............................virtuosistici.

Il termine (27)............................... designa il tempo conclusivo, generalmente dal


carattere vivace e brillante, di un modello di aria a due sezioni dal diverso (28)
.........................

In un’aria solistica è anche frequente la partecipazione di altre voci (aria con


(29)......................................) o del coro, che hanno in questo caso una funzione
secondaria o di sostegno rispetto alla voce principale.

CHIAVI ESERCIZI

1.canto 2.monodico 3. Polifonico 4.estensione 5.tenori 6.mezzosoprani 7.bianche


8.sopranisti 9.falsetto 10.evirati 11.falsettisti 12.cappella 13.pari 14.spezzati
15.melodramma 16.libretto 17.scene 18.secco 19.voce 20.chiusi 21.recitativi
22.aria 23.esprime 24.capo 25.ripresa 26.abbellimenti 27.cabaletta 28.andamento
29.pertichini

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